Volume 3 – Dal secondo Ottocento al Postmoderno

Il secondo Ottocento Invito alla storia dell’arte
Impressionismo e Postimpressionismo
OPERA
Autore: Claude Monet
Il Carnevale
al Boulevard
des Capucins
Titolo: Il Carnevale al Boulevard des Capucins
Anno: 1873
Collocazione attuale: Museo Puškin, Mosca
Tecnica: Olio su tela
Dimensioni: 60 � 80 cm
L’autore
Oscar-Claude Monet (Parigi 1840-Giverny 1926) è il caposcuola dell’Impressionismo francese. Dopo la giovinezza trascorsa a Le Havre, nel 1859 si trasferisce a Parigi per studiare
all’Accademia. Il vivace ambiente artistico della capitale lo porta a frequentare gli atelier
dei pittori e le grandi esposizioni di arte contemporanea, dove può entrare in contatto
con molti artisti. Rientrato a Parigi nel 1862, dopo il servizio militare in Algeria, inizia un
periodo di intenso lavoro, segnato anche dall’incontro con Manet, e di sperimentazioni
sulla pittura all’aria aperta, dal quale nascono le prime opere impressioniste. È proprio un
dipinto di Monet, Impressione, sole nascente, esposto a una mostra collettiva nello studio del
fotografo Nadar nel 1874, a dare il nome al gruppo e a segnare l’inizio ufficiale del movimento impressionista. Nel 1872 si stabilisce ad Argenteuil, una località sulla Senna vicino
a Parigi. Da qui nel 1883 si trasferisce a Giverny, dove, a parte brevi soggiorni a Londra,
Madrid e Venezia, trascorre il resto della sua vita.
L’opera
L’interesse degli impressionisti è rivolto al mondo contemporaneo: alla vita della città, nelle
strade e nei locali pubblici, ma anche alla quiete delle campagne nei prati e lungo i fiumi.
• Claude Monet, Impressione sole nascente, 1872. Olio su tela, 48�73 cm.
Parigi, Musée Marmottan Monet.
• Claude Monet, Il Boulevard des Capucins, 1873. Olio su tela, 79,4�59 cm.
Kansas City, Nelson Atkins Museum of Art
Opera
Il Carnevale al Boulevard des Capucins
Copyright © 2012 Zanichelli Editore SpA, Bologna [6201der]
Questo file è un’estensione online del corso B. Panebianco, M. Gineprini, S. Seminara, LETTERAUTORI - edizione verde © Zanichelli 2012
1
L’enciclopedia
Colori complementari Sono i
colori che si trovano opposti tra
loro nel cosiddetto cerchio
cromatico. Se accostati l’uno
all’altro si ottiene un effetto di
massimo contrasto: i due colori
acquistano forza cromatica
rafforzando a vicenda la
luminosità. I colori complementari
sono: arancione e blu, violetto
e giallo, verde e rosso.
In questo dipinto Monet ha ritratto, come in un’istantanea, un momento di vita in
un famoso viale parigino: a sinistra vediamo la quinta dai toni gialli dei palazzi e delle
chiome degli alberi spogli, a destra il viale affollato da una moltitudine di persone che
passeggiano. Sul bordo destro della tela sono raffigurati due uomini con il cilindro che
osservano come noi lo spettacolo della folla affacciati a un balcone.
L’artista non ha dipinto ogni singola persona, albero o casa con un contorno preciso,
ma ha ritratto quello che noi vedremmo da un luogo elevato: figure non bene definite,
colori, luci e ombre. Per rendere questo effetto, Monet ha accostato direttamente sulla tela
i colori complementari stesi a piccole macchie e a rapidi tocchi, che frantumano le figure e
il paesaggio. L’accostamento dei colori complementari rende l’effetto della luce, mentre il
modo di stenderli suggerisce il movimento, il brulichio della folla e il senso dell’atmosfera
che circola.
La vera protagonista del dipinto è la luce. Questa dà vita alla scena, che si svolge in un
preciso momento della giornata e che un attimo dopo non sarà più come il pittore l’ha
fissata.
L’attività artistica di Monet si svolse nell’incessante approfondimento dei rapporti luce-colore, attraverso le infinite variazioni che la luce produce su uno stesso soggetto nei
diversi momenti del giorno, nell’intento di fissare sulla tela l’attimo. Il Boulevard des Capucins è il soggetto di un altro dipinto dell’artista che lo ritrae in una giornata grigia e
piovosa.
Opera
Il Carnevale al Boulevard des Capucins
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Percorso I generi
1. La lirica: il Simbolismo francese
La lirica è tratta da Poesie saturnine. L’originale è in sestine (strofe di sei versi) di quaternari
(versi di quattro sillabe) rimate secondo lo schema aa bc cb. La traduzione conserva la divisione in sestine dell’originale, ma varia lo schema metrico della lunghezza dei versi e della
rima•.
1
Paul Verlaine
Poesie saturnine
S
Canzone
d’autunno
inghiozzi lunghi
dai violini
in Poesie, trad. di L. Frezza, Rizzoli,
dell’autunno
Milano, 1974
mordono il cuore
5 con monotono
languore.
10
Ecco ansimando
e smorto, quando
suona l’ora,
io mi ricordo
gli antichi giorni
e piango;
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e me ne vado
nel vento ingrato
che mi porta
di qua di là
come fa la
foglia morta.
1. La lirica: il Simbolismo francese
Paul Verlaine
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1
testi
1
ANALISI
E COMMENTO
L’analogia tra natura e stato d’animo
I suoni monotoni della pioggia evocano la malinconica melodia dei violini e suscitano
nell’animo del poeta un dolce struggimento. L’ora che suona ricorda lo scorrere del
tempo e accentua lo stato d’animo di languore del poeta, che rimpiange le illusioni
passate. Non gli resta che camminare nel vento autunnale (vento ingrato), spinto
di qua e di là come una foglia morta, simbolo della condizione precaria dell’uomo.
La musicalità
La lirica realizza il programma, teorizzato da Verlaine in Arte poetica, del legame tra
poesia e musica: è infatti impostata sull’effetto fonosimbolico, ossia il significante
suggerisce gli stati d’animo. La corrispondenza tra la malinconia del poeta e la tristezza della natura autunnale è evocata dalla musicalità delle singole parole e dalla
fitta trama di rime• e di assonanze•.
I versi brevi, spezzati dagli enjambement•, creano l’effetto fonico, delicato e struggente insieme, dei singhiozzi del violino e del pianto del poeta.
LAVORIAMO
SUL TESTO
1. Il languore. Completa la mappa che visualizza i diversi momenti, corrispondenti
alle tre strofe, attraverso cui l’io lirico• delinea l’evoluzione del suo stato d’animo.
Lo stato d’animo
dell’io lirico
è scandito attraverso
Percezioni sensoriali
...............
...............
evoca
...............
suscita
richiama
Una struggente
malinconia
...............
...............
accentua
a cui è associata
...............
L’immagine delle
foglie morte
simboleggia
...............
2. L’autunno. Quali motivi possono avere spinto il poeta a scegliere come sfondo
ambientale un paesaggio autunnale?
3. La misura del verso. Il poeta utilizza versi brevissimi: ritieni che questa scelta sia
connessa allo stato d’animo? Rifletti sul possibile rapporto fra il pianto dell’io lirico
e il ritmo che la brevità dei versi conferisce al componimento.
4. Gli enjambement. Rintraccia alcuni fra i numerosi enjambement presenti nella
lirica e prova a spiegarne la funzione in rapporto al contenuto della lirica.
5. La poetica della musicalità. Ritieni che Canzone d’autunno nella traduzione proposta sia coerente con quanto afferma l’autore in Arte poetica (• T4)?
Il secondo Ottocento
I generi: Poesia e narrativa
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Percorso I generi
La lirica in Europa e negli Stati Uniti
Il Simbolismo si diffuse anche in Italia, grazie a Giovanni Pascoli e a Gabriele D’Annunzio, e in Spagna, con il nicaraguense Rubén Darío (1867-1916) e Antonio Machado
(1875-1939), dove prese il nome di Modernismo e fu caratterizzato dall’uso del verso
libero e da tendenze estetizzanti. Il Modernismo si spostò poi nell’area anglo-americana, fino ad arrivare in Germania e in Austria, dando vita a una poesia fortemente
interiore, metafisica, che, superando i dati dell’esperienza, cerca di pervenire all’intuizione dei principi essenziali della realtà, talora con componenti misticheggianti.
Inghilterra:
dal Preraffaellismo
all’Estetismo
• Dante Gabriel Rossetti, Proserpina,
1874. Londra, Tate Gallery.
In Inghilterra si svilupparono due tendenze poetiche, il Preraffaellismo e l’Estetismo.
Il Preraffaellismo di Rossetti
La Confraternita preraffaellita era un movimento pittorico che, muovendo dal rifiuto
della civiltà industriale e borghese, voleva liberare la pittura e la poesia dal realismo
e dai temi materialistici che si erano diffusi a metà Ottocento. Fondatore del Preraffaellismo fu Dante Gabriel Rossetti (1828-1882), che anticipò alcune istanze del
Simbolismo. Sostenitore di una poesia mistica, auspicava il ritorno
all’equilibrio dell’arte rinascimentale italiana precedente a Raffaello
(da qui il loro nome), allo Stilnovo e al Dante della Vita nuova. Oltre
che pittore, fu anche autore di poesie che esprimevano una forte sensualità e una raffinata perfezione stilistica.
L’Estetismo di Browning, Hopkins, Swinburne
Il Preraffaellismo in seguito intraprese una ricerca estetizzante, in
reazione al conformismo dominante nell’Inghilterra vittoriana. Esponenti di questa tendenza furono Robert Browning (1812-1889), che
privilegiò forme narrative e valorizzò l’aspetto colloquiale della lingua
poetica inglese; Gerard Manley Hopkins (1844-1889), che si distinse
per l’eccezionale varietà e audacia delle soluzioni stilistiche, basate
sul ritmo spezzato e sulla compresenza di termini di stile alto e basso; e infine Charles Swinburne (1837-1909) che, sulla scia di autori
come Baudelaire, esaltò il piacere fisico ed espresse una ricerca di
musicalità.
Il misticismo religioso di Yeats
L’irlandese William Butler Yeats (1865-1939) assimilò le suggestioni
del Simbolismo francese, traducendole in immagini evocative e di
intensa carica espressiva. Il poeta considerò l’arte, ingiustamente trascurata a vantaggio del godimento dei sensi, come una guida verso
l’eternità, perché essa coglie una parte dell’essenza divina:
… non fanno che esaltare
Tutto ciò che è generato, che nasce, e che muore.
Presi da quella musica sensuale tutti trascurano
I monumenti dell’intelletto che non invecchia.
(William Butler Yeats, Verso Bisanzio, Ultime poesie in Quaranta poesie,
trad. di G. Melchiori, Einaudi, Torino, 1983)
La lirica in Europa e negli Stati Uniti
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Stati Uniti:
poesia civile e lirica
intimista
Nella seconda metà dell’Ottocento la poesia americana elaborò tematiche e forme
metriche autonome da quelle inglesi, grazie a due grandi poeti dalla personalità
molto diverse: Walt Whitman (1819-1892) ed Emily Dickinson (1830-1886).
Whitman cantò gli ideali di libertà e democrazia di un paese giovane come gli Stati
Uniti, interpretando la figura del poeta vate, messa in crisi, nel vecchio continente
europeo, dal Simbolismo e dal Decadentismo.
Americani! conquistatori! tappe d’umanità!
pionieri! marce secolari! libertà! masse!
per voi un programma di canti.
(Walt Whitman, Inno all’America. Foglie d’erba, trad. di E. Giachino, Einaudi, Torino, 1965)
La strofa libera e il ritmo incalzante del verso lungo e sciolto da schemi metrici traducono una concezione della vita libera e operosa, e fanno della sua poesia un inno
al popolo americano.
La Dickinson, considerata tra le più grandi poetesse degli Stati Uniti, condusse
un’esistenza appartata in un paesino della provincia americana, ma seppe esprimere
con la forza dell’immaginazione poetica esperienze umane fondamentali: il contatto
con la natura, una religiosità profonda e problematica, e soprattutto l’amore, con la
sua carica trasgressiva.
Germania:
aristocrazia
spirituale
e inquietudine
decadente
In Germania, alcuni poeti assimilarono l’ideologia imperialistica di Guglielmo II e i
princìpi nazionalisti della politica tedesca, traducendoli in atteggiamenti di aristocrazia spirituale.
Fra questi Stefan George (1868-1933), fondatore della rivista «Blätter für die Kunst»
(“Pagine per l’arte”) e sostenitore del ruolo di poeta vate, profeta di una nuova religione della bellezza, aristocraticamente lontano dalla mediocrità borghese, secondo
una concezione vicina a quella di Gabriele D’Annunzio.
L’inquieta ricerca di Rilke
• Fernand Khnopff, “I lock my
door upon myself”, 1891. Monaco,
Bayerisches Nationalmuseum.
La poesia di Rainer Maria Rilke (1875-1926) esprime invece una profonda inquietudine, riflesso dell’angoscia esistenziale serpeggiante all’alba del nuovo secolo. L’atteggiamento critico e tormentato di Rilke è però bilanciato nella positività di spinte
mistiche. Educato alle arti figurative, creò immagini poetiche di gusto decadente,
dense di simboli che traducono un’ansia di serenità spirituale e di trascendenza. Lo
stile delle sue liriche è musicale, con parole ricercate e un ritmo agile.
GUIDA ALLO STUDIO
a. Quali sono le esperienze
artistiche e letterarie a cui
si ispira il movimento
preraffaellita?
b. Quale fu l’evoluzione poetica
del Preraffaellismo?
c. Quale fu la personale ripro posizione del Simbolismo
da parte di Yeats?
d. Quali sono le principali ca ratteristiche della personali tà e dell’opera di Whitman
e Dickinson?
e. Quale concezione esistenziale
trapela dalle liriche di Rilke?
Il secondo Ottocento
I generi: Poesia e narrativa
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Mappa di sintesi
Italia: influenza del Simbolismo nelle opere di Giovanni Pascoli e di Gabriele D’Annunzio
Spagna: Rubén Darío (1867-1916) e Antonio Machado (1875-1939); verso libero e tendenze estetizzanti
(Modernismo)
Preraffaellismo: Dante Gabriel Rossetti (1828-1882); poesia mistica, ritorno
all’armonia rinascimentale, allo Stilnovo e al Dante della Vita nuova
La lirica
in Europa
e negli Stati
Uniti
Inghilterra
Estetismo: Robert Browning (1812-1889), Gerard Manley Hopkins (1844-1889),
Charles Swinburne (1837-1909)
William Butler Yeats (1865-1939): ripresa del Simbolismo in chiave religiosa,
poesia mistica e tendenza verso l’eternità
Walt Whitman (1819-1892): poeta vate degli ideali di libertà e democrazia;
verso lungo e sciolto
Stati Uniti
Emily Dickinson (1830-1886): rapporto con la natura, religiosità e forza trasgressiva
dell’amore
Stefan George (1868-1933): ruolo di poeta vate, culto di una aristocratica bellezza,
polemica antiborghese
Germania
Rainer Maria Rilke (1875-1926): angoscia esistenziale, tendenze mistiche
e aspirazione alla serenità spirituale e alla trascendenza; stile musicale
La lirica in Europa e negli Stati Uniti
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Percorso L’autore e l’opera
Giovanni Pascoli
3. Myricae [Invito all’opera]
FOCUS
Il Decadentismo di Pascoli e D’Annunzio
Pascoli e D’Annunzio sono i rappresentanti più significativi del
Decadentismo italiano, ma presentano notevoli differenze nel carattere, nello stile di vita, nel rapporto con la società letteraria.
Poetiche opposte e complementari Pascoli, riservato e schivo,
bisognoso di protezione, si fece portatore di un’ideologia fondata sui valori della famiglia, della casa, del lavoro; D’Annunzio,
estroverso e mondano, amò far parlare di sé, dare scandalo, si
compiacque del bel gesto, del bel motto, e si propose quale figura
pubblica in cui la borghesia italiana potesse proiettare i propri
desideri di affermazione o di trasgressione.
Allo stesso modo, anche le due poetiche appaiono radicalmente diverse e complementari. Il «fanciullino» di Pascoli è un invito
alla regressione della sensibilità verso zone di infantile pudore,
in cui il linguaggio torni a essere tramite di intuizioni profonde,
pre-logiche, simboliche di verità nascoste alla razionalità.
Al contrario il «superuomo», che D’Annunzio traduce dal pensiero di Nietzsche in fare poetico, non si ripiega nel linguaggio ma
attraverso esso agisce sul reale con l’intento di mutarlo. Forte
di un’enorme ricchezza lessicale, il poeta crea una nuova realtà,
come a voler piegare il mondo alla propria visione, nel tentativo
di fondere l’individuo con la totalità dell’esistente.
Queste differenze riemergono nel diverso appropriarsi del
ruolo di vate: Pascoli cantò le glorie patrie ponendosi sulla linea
di un nazionalismo moderato, estensione dei legami di sangue
dalla famiglia alla nazione, dal nido privato al nido comune (l’Italia); D’Annunzio si sentì chiamato a esortare la patria a tornare a
essere la potenza egemonica di un tempo.
Pascoli e il Simbolismo europeo La fuga dalla storia e dalla
realtà contemporanea accomuna Pascoli ai simbolisti francesi
(Baudelaire, Verlaine, Rimbaud) e ai rappresentanti dell’Estetismo (Wilde, Huysmans): per i primi l’ansia di evasione si esprime
nella ricerca di mondi esotici, per i secondi nella ricerca di piaceri
raffinati, per Pascoli nel ripiegamento intimistico, nel vagheggiamento della vita rurale e delle umili cose, in una poesia intesa
come fuga nell’infanzia, in quel tempo della sua vita che precede
l’uccisione del padre e che egli identifica con il luogo della felicità
incontaminata.
GUIDA ALLO STUDIO
a. Quale funzione svolge il linguaggio per Pascoli e per
D’Annunzio?
b. Che cosa distingue la fuga pascoliana dalla realtà e dalla
storia da quella del Simbolismo e dell’Estetismo?
Poetiche opposte
e complementari
Evasione dalla realtà
Simbolismo
Ricerca di
mondi esotici
Estetismo
Ricerca di
piaceri raffinati
Ripiegamento
intimistico
e fuga
nell’infanzia
Pascoli
Riservatezza
e culto
della famiglia
Mondanità,
scandalismo
e trasgressione
Il «fanciullino»;
linguaggio
tramite
per intuizioni
simboliche
Il «superuomo»;
linguaggio
strumento
per mutare
la realtà
Nazionalismo
moderato
Nazionalismo
di conquista
D’Annunzio
Invito all’opera
3. Myricae: Focus
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Percorso L’autore e l’opera
Gabriele D’Annunzio
4. La narrativa
L’OPINIONE DEL CRITICO
Carlo Salinari (1919-1977), critico di formazione marxista, riconosce negli elementi etico-politici e nel comportamento umano influenzati dalla teoria del superuomo di Nietzsche l’inevitabile approdo della personalità dannunziana, segnata dal velleitarismo,
I
Carlo Salinari
Miti e coscienza
del Decadentismo italiano
Il superomismo
dannunziano
Feltrinelli, Milano, 1976
5
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1. onde: affinché.
2. diritti: saldi.
3. inabolibile: che non può
essere abolita.
4. disfrenarsi: abbandonarsi
senza controllo ai propri
impulsi.
5. ferino: animalesco.
dalla «sproporzione, nel superuomo, fra gli obiettivi e le forze per
raggiungerli, fra il desiderio e la realtà, fra la tensione spasmodica
della volontà e la sua capacità di concretarsi e autolimitarsi.»
35
l superuomo nasce in Italia ufficialmente nel gennaio del 1895 con la pubblicazione
sul primo numero del Convito (la rivista di Adolfo De Bosis) della prima puntata de
Le vergini delle rocce. Claudio Cantelmo, il protagonista del romanzo dopo «i necessari
tumulti della prima giovinezza», si raccoglie in se stesso per decidere quale nuovo
corso dare alla sua vita e si accorge di avere una persuasione profonda: che «il mondo è la rappresentazione della sensibilità e del pensiero di pochi uomini superiori
i quali lo hanno creato e quindi ampliato e ornato nel corso del tempo». Il mondo,
in sostanza, quale oggi appare, «è un dono magnifico largito dai pochi ai molti, dai
liberi agli schiavi: da coloro che pensano e sentono a coloro che debbono lavorare».
Egli naturalmente sente di appartenere a quei pochi uomini superiori per la virtù
della sua stirpe, per le tante cause remote «operanti da tempo memorabile attraverso
una infinita serie di generazioni», che hanno confluito a formare la sua personalità,
e infine per la dura disciplina a cui si sottopone onde1 non infiacchirsi. E infatti dalle radici stesse della sua sostanza «là dove dorme l’anima indistruttibile degli avi»
sorgono spesso all’improvviso getti di energia «così veementi e diritti2», ch’egli deve
rattristarsi «riconoscendo la loro inutilità in un’epoca in cui la vita pubblica non è se
non uno spettacolo miserabile di bassezza e di disonore».
La prima caratteristica del superuomo è quindi l’energia, la forza («le antiche forze
barbare») che in altri tempi gli avrebbero consentito di riprendere il compito che si
addice ai suoi pari, il compito cioè «di colui che indica una meta certa e guida i seguaci
a quella» e che ora, invece, debbono essere concentrate e trasformate in poesia. «La
forza è la prima legge della natura, indistruttibile, inabolibile3» ed essa si manifesta con
la volontà di dominio, con l’amore della violenza, lo sprezzo del pericolo, la capacità di
godere e di aderire al mondo con tutti i propri sensi. Collegata con la forza è l’esuberanza sensuale, il libero disfrenarsi4 dei diritti della carne e della natura umana, e accanto
ad esse si pone – senza contraddizione – il culto della bellezza, valore discriminante
degli eletti dalla plebe. Senza contraddizione abbiamo detto, anche se può sembrare
che le prime si richiamino a un momento barbarico e ferino5 della nostra storia e della
nostra psicologia e l’altro, al contrario, a un momento di elevata civiltà e di raffinata
spiritualità: poiché tutti sono aspetti fondamentali di quella volontà di affermazione e
di dominio che è la molla più segreta della personalità del superuomo. Alla base del
superuomo c’è, quindi, una concezione aristocratica del mondo. [ … ]
Il superuomo dannunziano, dunque, al suo primo apparire, presenta alcune caratteristiche che potrebbero così riassumersi: culto dell’energia dominatrice sia che
si manifesti come forza (e violenza) o come capacità di godimento o come bellezza;
ricerca della propria tradizione storica nella civiltà pagana, greco-romana, e in quella
rinascimentale; concezione aristocratica del mondo e conseguente disprezzo della
massa, della plebe e del regime parlamentare che su di essa è fondato; idea di una
missione di potenza e di grandezza della nazione italiana da realizzarsi soprattutto
4. La narrativa
L’opinione del critico
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• L’OPINIONE DEL CRITICO
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6. post-hegeliano: dopo la
morte del filosofo tedesco
G.W.F. Hegel (1770-1831) si
crearono le correnti filosofiche della Destra e Sinistra
hegeliana (Marx e Engels) e
anche filosofie antihegeliane
sostenitrici della superiorità
della scienza (il Positivismo,
• nota 7) o avverse ad ogni
forma di razionalità (come il
pensiero di Nietzsche).
7. positivismo: corrente filosofica della seconda metà del
XIX secolo che, fondando la
conoscenza sui dati empirici e
rifiutando ogni forma di metafisica, proponeva di estendere il metodo delle scienze
positive a tutti gli ambiti
dell’attività umana.
8. volontaristicamente:
volontariamente, basandosi
solo sulla sua volontà.
9. Crispi: Francesco Crispi,
politico italiano (1818-1901).
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attraverso la gloria militare; giudizio totalmente negativo sull’Italia post-unitaria e
necessità di energie nuove che la sollevino dal fango; concetto naturalistico, basato
sul sangue e sulla stirpe ed altri elementi fisici, sia della nazione che del superuomo
destinato ad incarnarla e a guidarla. [ … ]
Componente di rilievo del superuomo dannunziano è senza dubbio l’influenza del
pensiero di Federico Nietzsche. Ed è da notare, in modo particolare, quel contrapporlo all’evangelismo degli slavi che ci fa ricordare come il nostro poeta, in quel momento,
fosse appena uscito (o stesse per uscire) dal periodo della bontà e dell’influenza degli
scrittori russi (il periodo di Giovanni Episcopo e dell’Innocente); il lasciar cadere tutta
la parte più schiettamente filosofica dell’opera nicciana (la quale, del resto, si collegava all’ambiente culturale tedesco post-hegeliano6, del tutto sconosciuto al Nostro,
e risentiva notevolmente, nel corso del suo sviluppo, l’influsso del positivismo7) per
riprenderne soprattutto gli elementi etico-politici e di comportamento umano; infine
la concezione della nobiltà che sarà in parte corretta nel superuomo dannunziano
delle Vergini delle rocce. [… ]
Il superuomo, dunque, è il punto di arrivo della personalità dannunziana. La critica
che ha voluto sbarazzarsene come di un fenomeno astratto sovrapposto volontaristicamente8 dal D’Annunzio alla sua vera natura, ha creato una frattura che poi non è riuscita
né a colmare, né a spiegare, ha diviso in due quella personalità con una operazione arbitraria che non ha alcuna giustificazione scientifica, ha ricostruito in modo parziale la
linea dell’opera dannunziana. Se, invece, ci s’impegna in un’analisi scientifica e si pone
al centro di quell’opera il superuomo, essa, nel suo complesso, non potrà sottrarsi alla
caratteristica fondamentale che la nostra ricerca ha messo in luce: la sproporzione, nel
superuomo, fra gli obiettivi e le forze per raggiungerli, fra il desiderio e la realtà, fra la
tensione spasmodica della volontà e la sua capacità di concretarsi e autolimitarsi. Il tratto
distintivo del superuomo (e dell’opera dannunziana) apparirà, così, il velleitarismo. Un
velleitarismo alimentato nelle cose dal contrasto fra un’illusione storica propria di vasti
gruppi d’intellettuali e la realtà italiana. Un velleitarismo che in D’Annunzio si nutre
anche del contrasto fra l’infinito proiettarsi della sensualità e il suo pratico soddisfacimento, fra la tensione dello stile e il raggiungimento dell’espressione, fra l’aspirazione
a una posizione europea e le radici culturali abbastanza modeste e superficiali. Voglio
dire che quella sproporzione è, in primo luogo, un fatto storico, reale, che s’incarna nel
nazionalismo passionale e retorico cui abbiamo accennato e di cui la megalomania di
Crispi9 fu la prima espressione politica. Ed è, inoltre, una caratteristica della sensualità
dannunziana imprigionata in una spirale senza fine in cui il vagheggiamento di sempre
nuove sensazioni supera continuamente il desiderio e mai lo appaga; è nella struttura
intellettuale di D’Annunzio così povera – anche rispetto a Nietzsche – di ragioni ideali,
di pathos morale, di polemica culturale; è infine nel suo stile, almeno nei moduli più
diffusi e vulgati, in quel lussureggiare d’immagini e di suoni, in quella sovrabbondanza
di parole, che crescono e quasi s’inseguono senza mai raggiungere una vera pacificazione nella pienezza espressiva, un vero ritmo, una vera musica.
GUIDA ALLO STUDIO
a. Quali sono le principali caratteristiche del superuomo dannunziano, secondo Salinari?
b. Quali elementi del superuomo nicciano vengono ripresi da D’Annunzio, secondo Salinari?
c. Quale relazione coglie Salinari tra il mito del superuomo e la personalità di D’Annunzio?
d. Per quale ragione, secondo Salinari, il velleitarismo è il tratto caratteristico del superomismo dannunziano?
Il secondo Ottocento
L’autore e l’opera: Gabriele D’Annunzio
2
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Percorso L’autore e l’opera
Gabriele D’Annunzio
L’ultima produzione: narrativa e teatro
La prosa lirica
di Faville
Tra il 1911 e il 1914, con la pubblicazione sul «Corriere della Sera» delle Faville del maglio,
scritte in Francia, D’Annunzio diede inizio a una nuova forma di prosa, dallo stile più
semplice e meno immaginoso dei precedenti romanzi e racconti. Il titolo (che si riferisce alle scintille provocate dai colpi di martello sul ferro) allude alla creazione poetica:
si tratta di brevi prose liriche (riflessioni, ricordi, confessioni), uscite come scintille
dalla fucina del poeta. Le esperienze eroiche sono ricordate con una nuova disposizione d’animo, che unisce alla celebrazione del successo un sottile turbamento.
In seguito D’Annunzio raccolse queste prose in due volumi: Il venturiero senza
ventura e altri studi del vivere inimitabile (1924), dedicato alla Duse, e Il compagno dagli
occhi senza cigli (1928), sorta di testamento della propria esistenza.
Contemporanee alle Faville furono le prose di Contemplazione della Morte (1912),
dedicate alla commemorazione di Pascoli e dell’amico francese Henri Brémond,
e il racconto Leda senza cigno (a puntate nel 1913, in volume nel 1916), ambientato
sull’Atlantico, nella «Landa oceanica» dove lo scrittore aveva vissuto.
Il mondo poetico
del Notturno
I risultati più interessanti di quest’ultima fase dell’opera narrativa dannunziana vengono dal Notturno. Il testo scaturì da una vicenda drammatica: il 16 gennaio 1916, di ritorno da un volo di guerra, il poeta, costretto a un ammaraggio di fortuna presso Grado,
subì un trauma alla tempia destra che gli provocò il distacco della retina all’occhio destro.
Per salvare l’altro occhio fu costretto a un lungo periodo d’immobilità con gli occhi
bendati. Nel tentativo di sfuggire all’inerzia mentale, occupò questo tempo annotando
su strisce di carta che la figlia Renata ritagliava per lui (più di diecimila!) pensieri, ricordi, descrizioni, sensazioni. Nacquero così i cartigli del Notturno, il «commentario delle
tenebre» come lo definì lo scrittore, a sottolineare il suo carattere di appunti slegati.
Proprio perché privato del rapporto sensoriale con la realtà, D’Annunzio cercò il
filo conduttore nella scoperta di sé e della propria fìsicità, dando corpo alle figure del
passato e allo stesso presente vissuto nelle «tenebre».
L’enciclopedia
Cartiglio Motivo ornamentale
raffigurante un rotolo di carta,
spesso sorretto da una figura
e contenente un’iscrizione sacra;
in questo caso, però, indica
semplicemente una striscia di
carta, di quelle su cui D’Annunzio,
momentaneamente cieco,
appuntava ricordi ed emozioni.
Lo stile lirico e impressionistico
Il Notturno è un testo simbolico, da cui emergono smarrimento e senso di sconfitta.
Ricopiato dalla figlia Renata uscì nel 1921, suddiviso in tre parti chiamate «Offerte».
La scrittura, ridotta ad appunto impressionistico, ha un periodare rapido e incalzante,
scarno e asciutto, la prosa è semplice e di una musicalità sommessa.
Il Libro segreto
A questa fase autobiografia e caratterizzata da uno stile più misurato appartengono
le Cento e cento e cento e cento pagine del libro segreto di Gabriele D’Annunzio tentato
di morire (1935), un diario con osservazioni di poetica e ricordi biografici, in cui il
passato e il presente si fondono, con esiti artisticamente modesti.
GUIDA ALLO STUDIO
a. Per quale motivo a proposito di Faville si parla di prosa lirica?
b. Quali aspetti del Notturno intese sottolineare D’Annunzio definendo l’opera un «commentario delle tenebre»?
c. Quali novità stilistiche caratterizzano il Notturno?
L’ultima produzione: narrativa e teatro
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Mappa di sintesi
Faville del maglio
(1911-1914)
Suddivise in due volumi: Il venturiero senza ventura e altri studi del vivere
inimitabile (1924) e Il compagno dagli occhi senza cigli (1928)
Riflessioni, ricordi e confessioni sulle esperienze del passato, rivisitate con
uno stato d’animo inquieto
Contemplazione della Morte (1912): commemorazione di Pascoli e dell’amico Henri Brémond
L’ultima
produzione
narrativa
Leda senza cigno (1913, 1916): racconto ambientato sull’Atlantico, nella «Landa oceanica»
Appunti scritti durante un lungo periodo d’immobilità con gli occhi bendati
Notturno
(1921)
Pensieri, ricordi di guerra, descrizioni, sensazioni e visioni; senso di
smarrimento e di sconfitta
Scrittura impressionistica, periodi brevi e lessico essenziale, lieve musicalità
Cento e cento e cento e cento pagine del libro segreto di Gabriele D’Annunzio tentato di morire (1935): riflessioni
di poetica e ricordi biografici
Il secondo Ottocento
L’autore e l’opera: Gabriele D’Annunzio
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il SECONDO OTTOCENTO
Invito alla musica
La musica
di Wagner
Fra gli intellettuali e gli artisti in grado di
influenzare profondamente la cultura e
gli orientamenti estetici dell’Europa del
secondo Ottocento Richard Wagner (18131883) ricopre certamente un ruolo centrale. Rivoluzionario nella vita come nell’arte, egli non solo fondò una nuova forma
di teatro musicale e un nuovo tipo di sintassi musicale, ma la sua opera esercitò
un’enorme influenza sugli tutti gli ambiti del pensiero artistico europeo fino alle
soglie del Novecento.
L’enciclopedia
Leitmotiv tema musicale
ricorrente associato a un
particolare personaggio,
sentimento, concetto, oggetto,
luogo ecc. (ad esempio: tema
dell’Anello, tema del Drago, tema
di Sigfrido, tema dell’Amore,
tema della rinuncia all’Amore
ecc.). Nelle opere di Wagner il
flusso musicale dell’orchestra
presenta un intreccio dei vari
Leitmotive presenti nell’opera
combinati fra loro in base ai
significati che essi assumono
all’interno del dramma
rappresentato.
Opera vs Dramma
Il campo entro cui Wagner introdusse le
sue radicali innovazioni fu quello del teatro d’opera, di cui egli si proclamò radicale riformatore. Secondo Wagner, infatti, l’opera tradizionale italiana e francese,
da lui designata con il termine Oper, era
«un genere d’arte anti-naturale e di nessun valore»1. Le forme che l’opera tradizionale aveva assunto erano caratterizzate da
un’alternanza fra momenti di supremazia
della musica sullo svolgimento del dramma e momenti di sviluppo dell’azione a
scapito dell’interesse musicale: che la musica presentasse caratteri di autonomia e
separazione dal contenuto del dramma, situazione frequente nell’opera tradizionale,
era inaccettabile nell’ottica wagneriana. La
riforma di Wagner intendeva riportare le
istanze del dramma in una prospettiva di
centralità rispetto a quelle puramente musicali, modificando alla base le strutture
musicali dell’opera tradizionale e dando vi-
ta al cosiddetto Musikdrama, cioè al dramma musicale in cui musica e dramma si
compenetrano reciprocamente. Questo significava concepire una forma musicale
interamente modellata sulla scena rappresentata. Wagner elimina la struttura alternata di recitativo e aria chiusa creando un
flusso musicale ininterrotto in cui l’azione drammatica si svolge senza fermate o
rallentamenti (la melodia infinita). Questo
flusso è costituito da un continuo avvicendamento di brevi idee melodiche che hanno la caratteristica di legarsi saldamente
a particolari immagini, oggetti, concetti,
personaggi che si succedono sul palcoscenico: sono i Leitmotive, cellule musicali
che acquistano un particolare significato
in virtù del legame che instaurano con il
referente drammatico a cui vengono connesse. Ad esempio, nell’Anello del Nibelungo ogni personaggio ha un suo proprio Leitmotiv, che risuona in orchestra ogni volta
che il personaggio entra in scena o viene
nominato, sia espressamente che implicitamente. I vari Leitmotive si connettono
fra loro attraverso legami di somiglianza,
generazione, contrasto, sovrapposizione,
creando una vera e propria rete di relazioni in grado di creare una rete di significati
parallela a quella del testo drammatico e
dell’azione scenica. Attraverso questi procedimenti tecnici Wagner realizzò il suo
ideale estetico di completa fusione tra Parola-Suono-Azione scenica, quello che nella pubblicistica wagnerista diverrà lo slogan Wort-Ton-Drama.
1. Richard Wagner, Opera e dramma, Torino; Milano, Bocca, 1939 [1894].
La musica di Wagner
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La produzione
La sua produzione può essere suddivisa in tre fasi: una fase giovanile in cui si
collocano le opere di apprendistato (18331842), in cui Wagner assimila gli stilemi dell’opera tedesca (Le Fate), dell’opera
italiana (Il Divieto di amare) e del Grand
Opéra francese (Rienzi); nella fase successiva (1843-1849) si collocano le cosiddette opere “romantiche” (L’Olandese volante,
Tannhäuser, Lohengrin) nelle quali iniziano a delinearsi alcuni caratteri innovativi della sua poetica destinati a svilupparsi poi nelle opere della maturità; infine la
fase matura con le opere scritte a partire dagli anni Cinquanta, a seguito un periodo di riflessione teorica che si concretizza nella pubblicazione di alcuni scritti
programmatici (L’opera d’arte dell’avvenire
e Opera e dramma) in cui Wagner formula i principi della sua nuova concezione
estetica. Le opere seguite a tale riflessione
sono: L’Anello del Nibelungo, ciclo formato
da quattro drammi musicali: L’Oro del Reno, La Valchiria, Sigfrido, Il Crepuscolo degli Dei; quindi il Tristano e Isotta; I Maestri
cantori di Norimberga, l’unica opera comica e Parsifal.
L’enciclopedia
Gesamtkunstwerk Opera d’arte
totale. Ideale di totale fusione
delle varie forme artistiche in un
unico spettacolo teatrale in cui
musica, canto, poesia, danza,
recitazione, arte figurativa
raggiungano una sintesi unitaria
finalizzata al rispecchiamento
dell’identità collettiva del popolo.
Il Gesamtkunstwerk: l’opera d’arte totale
L’intento innovatore di Wagner si muove
entro le direttrici di un chiaro programma
politico. La sua “opera d’arte del futuro”,
deve infatti, avere i connotati di un’espressione estetica collettiva in cui il “popolo”
possa ritrovare rispecchiata la propria
identità e in cui possa leggere i segni del
sorgere di una nuova fase sociale, rigenerata e purificata. Il dramma musicale deve essere un Gesamtkunstwerk, un’opera
d’arte totale in cui confluiscono le diverse forme artistiche: la poesia, il dramma,
la musica, la recitazione, la danza, la scenotecnica, la scenografia, l’architettura, in
un contesto di ritualità collettiva chiamato
a sancire una palingenesi sociale, cioè un
rinnovamento e una rigenerazione radicale della società.
La riscoperta del mito
Per conferire questo carattere ritualistico al dramma musicale Wagner sfrutta la forza simbolica del mito. A partire
fin dalle “opere romantiche” Wagner ricava i soggetti dei suoi drammi dal grande serbatoio di miti e leggende nordiche:
dai cicli cavallereschi medievali (Tannhäuser, Lohengrin, Parsifal) all’universo mitico
della Scandinavia arcaica (L’Anello del Nibelungo). Il mito possiede la proprietà di
essere manifestazione narrativa di archetipi universali, di essere simbolizzazione
di concetti sempre validi e sempre attuali.
L’operazione di Wagner è mettere in scena il mito antico conferendogli, però, un
significato attuale con l’intento utopico di
attribuire all’evento teatrale una funzione di rinnovamento sociale. I soggetti dei
suoi drammi ripropongono ripetutamente, sotto forme sempre nuove, lo schema narrativo della “redenzione tramite
l’amore” così riassumibile: all’origine di
ogni vicenda vi è lo spezzarsi di un equilibrio naturale che si infrange a causa di
un peccato commesso dall’eroe; l’eroe dovrà espiare questa colpa, ma affinché ciò
avvenga sarà necessario il sacrificio di un
donna che decida volontariamente di morire per amore dell’eroe. La quasi totalità
delle opere di Wagner si conclude con un
processo di trasfigurazione catartica, cioè
una purificazione in cui la colpa originaria trova la sua assoluzione raggiungendo la redenzione completa. Negli intenti
di Wagner questa catarsi avrebbe dovuto
riverberarsi sull’uditorio stesso, che ne sarebbe dovuto essere a sua volta rigenerato. Il luogo in cui questa sorta di “rituale
scenico” collettivo sarebbe dovuto avvenire doveva essere, nelle volontà di Wagner,
un teatro specificamente ideato e progettato per poter accogliere al meglio la rappresentazione delle sue opere. Wagner
agognò a lungo la costruzione di un luogo
simile e riuscì a coronare il suo progetto
grazie all’aiuto munifico del principe Ludwig II di Baviera che finanziò la costruzione del teatro di Bayreuth, in Franconia,
destinato a divenire il tempio della musica wagneriana. Qui verrà rappresentato
per la prima volta l’intero ciclo de L’anello
del Nibelungo nel 1876.
L’influenza di Wagner fino ai giorni nostri
La cultura del secondo Ottocento fu enormemente influenzata dalle idee e dall’ope-
Il secondo Ottocento
Invito alla musica
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ra wagneriane. Le nuove generazioni di
musicisti, scrittori e artisti ne furono infatuate e elessero Wagner a loro modello
indiscusso. Charles Baudelaire confessò
a Wagner stesso, in una celebre lettera,
l’esaltazione provata all’ascolto della sua
musica, Gabriele D’Annunzio gli rese
omaggio nel romanzo Il Fuoco, Anton
Bruckner gli dedicò una delle sue più importanti sinfonie e innumerevoli altri artisti tributarono, in un modo o nell’altro, la
loro personale ammirazione al maestro di
Bayreuth. Tanta fu la venerazione che la
sua opera suscitò quante anche le critiche
e le stroncature. Il filosofo Friedrich Nietzsche, ad esempio, da grandissimo estimatore che fu nei primi anni, divenne il
massimo detrattore dell’opera wagneria-
na; compositori come Claude Debussy
e Igor Stravinsky furono profondamente influenzati dallo stile musicale di Wagner, pur affermando decisamente la loro completa avversione e antipatia per la
sua musica. Di questa singolare forma di
attrazione e rifiuto si potrebbero elencare
numerosissimi casi. Ma l’influenza di Wagner non si limita solamente ai decenni
successivi alle sue dirompenti innovazioni: tutt’oggi molti aspetti del nostro modo di pensare l’arte e la musica sono totalmente debitori delle idee wagneriane. Ad
esempio, la musica cinematografica ancora oggi sfrutta appieno la tecnica del Leitmotiv, ereditata direttamente da Wagner
già dai primissimi anni dopo la nascita
del cinema.
REGISTRAZIONI CONSIGLIATE
L’Olandese volante, Ballata di Senta
Lohengrin, Preludio
La Valchiria, Finale. Incantesimo del fuoco
Parsifal, Preludio
La musica di Wagner
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Il primo Novecento Invito alla storia dell’arte
L’età delle Avanguardie
OPERA
Autore: Giorgio De Chirico
Il grande metafisico
Titolo: Il grande metafisico
Anno: 1917-1918
Collocazione attuale: The Museum of Modern art, New York
Tecnica: Olio su tela
Dimensione: 104,5 � 69,8 cm
L’autore
L’enciclopedia
Pittura Metafisica Questa
corrente pittorica nacque
ufficialmente a Ferrara nel 1917,
e oltre ai fondatori De Chirico
e Carrà, vi aderirono artisti come
Alberto Savinio (pseudonimo
di Andrea Alberto De Chirico,
fratello di Giorgio) e Filippo
De Pisis. Il termine “metafisica”
deriva dal greco metà physikà
e significa “ciò che si trova
al di là del fisico”, ossia di quanto
è immediatamente conoscibile.
I pittori metafisici si proponevano
di indagare la realtà aldilà
delle ordinarie apparenze,
stabilendo nessi tra le cose
atipici e inconsueti.
Giorgio De Chirico nasce nel 1888 a Volos in Grecia da genitori italiani. Si iscrive ai corsi
di pittura presso l’Accademia di Belle Arti di Monaco dove studia l’opera di importanti artisti come Klinger e Böklin, che tanta influenza avranno nella sua produzione successiva.
A partire dal 1910 si trasferisce a Parigi, dove entra in contatto con gli artisti e i letterati del
tempo e inizia la sua carriera di artista, elaborando uno stile personale e molto differente
dalla produzione delle avanguardie dell’epoca. Rientra in Italia a causa dello scoppio della
Prima Guerra Mondiale e si arruola come volontario a Ferrara; qui, in occasione di un
ricovero ospedaliero, conosce Carrà con il quale elaborerà la teoria della pittura Metafisica.
Dopo la guerra soggiornerà nuovamente a Parigi, e in seguito tornerà in Italia, a Roma,
dove vivrà sino alla sua morte nel 1978.
L’opera
Il grande metafisico è una delle opere che meglio rappresenta la produzione metafisica
dell’artista. In esse prendono forma le tensioni e le inquietudini della produzione di De
Chirico e sono già presenti alcuni dei suoi soggetti più classici.
Nel centro di una piazza vuota, tra due quinte formate da palazzi e ombre, si erge una
“scultura totem” carica di simbolismi apparentemente senza alcun significato. Un senso
di vago disorientamento avvolge lo spettatore, che sebbene sia rassicurato dalla presenza
di elementi che ben conosce – i palazzi, riconducibili alla tradizione classica di una piazza
italiana, squadre e righelli da disegno – fatica a trovare il perché della loro collocazione e
del legame che li unisce. In questo “enigma”, come lo stesso autore definiva i temi delle
sue opere, risiede il fine ultimo e primo della pittura metafisica: oggetti a noi familiari
fanno la loro comparsa inspiegabile in luoghi inconsueti, senza un motivo.
Aldilà della loro reale collocazione le cose acquistano un senso nuovo e più profondo,
legato alle più recondite vie dell’inconscio e della percezione. In questo caso Il grande me-
• Irving Penn, Giorgio De Chirico,
1944. Roma.
• Giorgio De Chirico, Le gioie
e gli enigmi di un’ora strana, 1913,
collezione privata.
Opera
Il grande metafisico
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1
tafisico è il simbolo stesso dell’uomo, ingabbiato nella rigidità della struttura che la vita
contemporanea gli impone; minacciato da ombre misteriose, illuminato da una luce accecante, come quella di un riflettore, che lo investe senza toccarlo fino in fondo.
Sono presenti nell’opera i temi che saranno ricorrenti in tutta la produzione di De Chirico,
innanzitutto le architetture, algide, lontane, riprodotte sempre nelle regole della prospettiva
più rigida, indagate nei loro dettagli in modo così realistico da divenire irreale. E poi gli strumenti del pittore e i manichini, rappresentazioni di uomini senza volto, stranianti e misteriosi.
Eppure De Chirico non voleva che i suoi “enigmi” fossero decifrati e ricondotti a una
realtà, neanche a quella inconscia. Dietro le inquietudini dipinte dall’artista, De Chirico
non fa altro che affermare il principio di supremazia dell’arte che può creare mondi nuovi,
anche metafisici, ai quali per esistere non serve necessariamente una spiegazione.
Opera
Il grande metafisico
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Il primo Novecento Invito alla storia dell’arte
L’età delle Avanguardie
OPERA
Autore: Giacomo Manzù
Il crocifisso
e il generale
Titolo: Il crocifisso e il generale
Anno: 1942
Collocazione attuale: Galleria Nazionale d’Arte Moderna, Roma
Tecnica: Bronzo
Dimensioni: 72 � 51 cm
L’autore
L’enciclopedia
«Corrente» All’inizio intitolata
«Corrente di vita giovanile», è una
rivista fondata nel 1938 dal
pittore Ernesto Treccani, attorno
alla quale si raccolsero artisti e
intellettuali animati dal desiderio
di uscire dall’isolamento culturale
imposto dal regime fascista,
opponendosi a un’arte celebrativa
e sottomessa al potere.
• Giacomo Manzù, Porta della Morte,
1947-1964. Bronzo. Città del Vaticano,
Basilica di San Pietro.
Giacomo Manzù, pseudonimo di Giacomo Manzoni (Bergamo 1908-Ardea 1991), è stato
uno dei più importanti scultori italiani del Novecento.
Dopo una prima formazione in ambito artigianale, l’artista si dedica allo studio della
scultura da autodidatta. Nel 1929 intraprende il primo viaggio a Parigi, durante il quale
conosce le sculture di Medardo Rosso. Dal 1930 si stabilisce a Milano. Qui entra in contatto con alcuni artisti insieme ai quali nel 1938 collaborerà alla rivista «Corrente» e inizia a
partecipare a mostre collettive. Nella capitale lombarda riceve la sua prima commissione,
la decorazione della cappella dell’Università Cattolica.
Dopo una visita alla Basilica di San Pietro in Vaticano, nel 1934 inizia a sviluppare il tema
dei Cardinali, presente fino alla fine della sua produzione. Dal 1940 al 1954 ottiene la cattedra di scultura all’Accademia di Brera. Nel 1947 inizia la realizzazione della sua opera più
impegnativa, la Porta della Morte per la Basilica di San Pietro, a cui si dedicherà fino al 1964.
Divenuto un artista di fama internazionale, Manzù partecipa a mostre e riceve onorificenze e riconoscimenti in tutto il
mondo. Oltre alla scultura si è dedicato anche al disegno, all’incisione e alla
scenografia.
L’opera
Il crocifisso e il generale appartiene al ciclo intitolato Variazioni sul tema. Cristo
nella nostra umanità, che comprende
otto bassorilievi in bronzo realizzati da
Manzù fra il 1939 e il 1943. Rifacendosi
alla tradizionale iconografia della Crocifissione e della Deposizione di Cristo,
in queste opere l’artista affronta il tema
della guerra e della violenza.
La scena è divisa in due parti dal
montante verticale della croce. A sinistra pende il corpo senza vita della
vittima, appeso alla croce per il polso.
A destra si erge la grossa figura del generale carnefice, quasi completamente nudo, rivestito solo di una spada e
del copricapo, l’elmetto chiodato usato
dall’esercito tedesco durante la Prima
guerra mondiale.
Opera
Il crocifisso e il generale
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1
L’enciclopedia
Stiacciato Bassorilievo appena
emergente dal piano di fondo, il
cui spessore diminuisce
gradatamente dai primi agli
ultimi piani, dando l’illusione
della profondità. Venne
particolarmente impiegato nel
Rinascimento a partire da
Donatello.
Le figure, delineate per mezzo di una sottile linea incisa, affiorano sulla superficie del
bronzo e si distaccano appena dal fondo. Manzù impiega la tecnica dello stiacciato di Donatello, appreso in gioventù, per ottenere l’effetto della profondità e del volume con il
minimo lavoro di incavo.
Da questa leggerezza materica scaturiscono con grande forza la sofferenza e il dolore
dell’essere umano e la denuncia da parte dell’artista delle atrocità generate dalla guerra.
L’opera, infatti, evoca chiaramente fatti di storia contemporanea, l’occupazione tedesca
durante la Seconda guerra mondiale. Il partigiano appeso alla croce è un chiaro richiamo
alla figura di Cristo, che diviene metafora della tragica condizione dell’uomo contemporaneo e violenta dichiarazione contro la guerra e la violenza.
Opera
Il crocifisso e il generale
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Il primo Novecento Invito alla storia dell’arte
L’età delle Avanguardie
OPERA
Autore: René Magritte
La condizione umana
Titolo: La condizione umana
Anno: 1933
Collocazione attuale: National Gallery, Washington
Tecnica: Olio su tela
Dimensioni: 100 � 81 cm
L’autore
René Magritte (Lessines 1898-Bruxelles 1967) è uno dei maggiori esponenti del Surrealismo. Dopo avere studiato all’Académie Royale de Bruxelles inizia un percorso di conoscenza dell’arte futurista e cubista. Nel 1925 incontra la pittura metafisica di De Chirico e
decide di trasferirsi l’anno successivo a Parigi per entrare in contatto con André Breton,
fondatore del movimento surrealista. Nel 1930 torna definitivamente a Bruxelles dove creerà attorno a sé un cenacolo di artisti surrealisti belgi.
L’enciclopedia
L’opera
Breton André Breton (1896-1966)
fu un poeta, saggista e critico
d’arte francese. Ebbe il ruolo di
principale promotore del
movimento surrealista, nato nel
1924 a seguito della pubblicazione
del Manifesto surrealista.
L’ispirazione arrivò dalla lettura
de L’interpretazione dei sogni di
Sigmund Freud e dalla
conseguente convinzione che
occorresse promuovere una
corrente in cui il mondo
dell’inconscio avesse un ruolo
centrale.
Magritte sceglie una strada autonoma rispetto agli altri surrealisti, non concentrandosi
sulla rappresentazione dell’oniricità, ma sulla realtà: una realtà però diversa da quella che
tutti conosciamo perché paradossale e contraddittoria. La tecnica pittorica quasi fotografica di Magritte aumenta il senso di straniamento che lo spettatore prova davanti ai suoi
dipinti.
La condizione umana fu
eseguito nel 1933 e rappresenta una tela appoggiata su
un cavalletto su cui è dipinto
il paesaggio che si vede oltre
il davanzale di una finestra:
tela e paesaggio si fondono
insieme. Magritte gioca col
tema del quadro nel quadro,
analizzando il confine tra realtà e rappresentazione. Se
la prima impressione è che
il panorama oltre la finestra
sia reale in quanto rappresentato nel dipinto in primo
piano, l’osservatore capisce
poi che anche questo è finzione perché facente parte
del quadro d’insieme che sta
osservando.
Lo stesso tema ritorna
in Le passeggiate di Euclide,
del 1955. In questo dipinto
Magritte inserisce anche un
gioco visivo di forme, il cui
• René Magritte, Le passeggiate
di Euclide, 1955. Minneapolis,
The Minneapolis Institute of Arts.
Opera
La condizione umana
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scopo è creare divertimento e stupore. La forma conica del tetto della torre merlata ritorna
nella strada rappresentata in prospettiva sulla destra, mettendo così in discussione l’idea
che lo spettatore si è fatta della realtà rappresentata.
Opera
La condizione umana
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Percorso I generi
1. La narrativa in Europa e negli Stati Uniti
FOCUS
La Lettera al padre
Kafka per due volte tentò inutilmente di sposarsi, prima con Felice Bauer, conosciuta in casa dello scrittore e amico Max Brod,
e poi con Julie Wohryzeck, osteggiata dal padre in quanto figlia
di un umile calzolaio. Nel brano, tratto dalla Lettera al padre, lo
scrittore attribuisce alla presenza incombente della figura paterna i suoi fallimenti.
Kafka sostiene che il matrimonio è la meta più alta che un
uomo possa proporsi, ma per quanto riguarda se stesso si ritiene
inadatto, perché è un territorio che lo costringe a un confronto
con l’invadente personalità paterna, rispetto alla quale egli si
sente sempre perdente. Non ha il coraggio di confrontare il suo
essere uomo con quello del padre, un modello non condiviso, ma
comunque imprescindibile. Il matrimonio richiede doti che Kafka
riconosce nel padre ma non in se stesso.
F. Kafka
Il problema del matrimonio
Lettera al padre, trad. di A. Rho, Il Saggiatore, Milano, 1959
P
5
10
15
20
1. crucci: pene, inquietudini,
rimorsi.
2. pedanteria: pignoleria,
rigorismo, eccessiva precisione.
3. intrepidezza: coraggio,
audacia.
25
erché, dunque, non mi sono sposato? Vi furono ostacoli vari, come sempre
accade, ma la vita consiste appunto nell’accettare tali ostacoli. L’impedimento essenziale, purtroppo indipendente da ogni singolo caso, era che io, non v’è dubbio,
sono spiritualmente incapace di sposarmi. Prova ne sia che dal momento in cui
risolvo di prender moglie, non posso più dormire, la testa mi brucia giorno e notte,
non vivo più, vado in giro barcollante, disperato. Non è la preoccupazione che mi
riduce così; s’intende che tanti crucci1 mi assillano, in rapporto sempre alla mia
malinconia e alla mia pedanteria2, ma non sono l’essenziale, malgrado essi compiano il loro lavorio come vermi in un cadavere; il fatto decisivo è tuttavia un altro.
Vengo distrutto dall’assalto simultaneo della paura, della debolezza, del disprezzo
di me stesso.
Cercherò di spiegarmi meglio: nel caso del matrimonio agiscono fra Te e me,
con violenza inaudita, due elementi apparentemente opposti. Il matrimonio è certo
la garanzia di una assoluta liberazione e indipendenza. Avrei una famiglia, la cosa
più alta cui secondo me si possa giungere, e anche la cosa più alta cui sei giunto Tu;
sarei quindi un Tuo pari, l’antica e sempre nuova vergogna e tirannia apparterrebbe
ormai al passato. Sarebbe un sogno, ma proprio in questo sta il problema. È troppo,
non si può arrivare a tanto. […]
Il più grave impedimento alle nozze è però il convincimento, non più sradicabile, che per mantenere e guidare una famiglia è necessario possedere tutto ciò che
ho riconosciuto in Te; l’insieme, buono e cattivo, com’è organicamente riunito nel
Tuo carattere; forza e disprezzo del prossimo, buona salute e una certa mancanza
di misura, eloquenza e inettitudine, sicurezza di sé e incontentabilità verso tutti gli
altri, senso di superiorità di fronte al mondo e tirannia, conoscenza degli uomini e
diffidenza verso la maggior parte di essi; e poi anche virtù senza difetti come operosità, tenacia, presenza di spirito, intrepidezza3. Di tutto questo io non possedevo
quasi nulla o ben poco.
GUIDA ALLO STUDIO
a.In quale passaggio del brano l’autorità e la grandezza di Kafka padre sono in contrasto
con il senso di inferiorità e di debolezza psicologica del figlio?
b. Individua le antitesi con cui Kafka tratteggia la personalità del padre.
c. Secondo Kafka, quali doti sono necessarie per affrontare il matrimonio?
1. La narrativa in Europa e negli Stati Uniti
Focus
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Percorso I generi
Il teatro europeo del primo Novecento
Tra la fine dell’Ottocento e gli inizi del Novecento la drammaturgia europea aveva
trovato espressione nel teatro naturalista (Henry Becque, Gerhart Hauptmann), nel
teatro psicologico e di atmosfera (Henrik Ibsen, Anton C
�echov), nel teatro simbolista (August Strindberg, Maurice Maeterlinck, Hugo von Hofmannsthal). In Italia,
accanto al teatro verista (Giuseppe Giacosa, Giovanni Verga) e a quello dialettale, si
era avuta la significativa esperienza decadentista di D’Annunzio, autore anche di
drammi in versi, ispirati all’antica tragedia classica.
Il teatro futurista
In contrasto con queste forme di teatro tradizionale si pone la linea avanguardistica
del movimento futurista di Filippo Tommaso Marinetti (1876-1944).
Il Manifesto dei Drammaturghi futuristi
L’enciclopedia
Leit-motiv Motivo conduttore di
un’opera.
• Fortunato Depero, Cartellone per
“I Balli Plastici”, 1918. Rovereto, Museo
d’Arte Moderna e Contemporanea.
L’importanza che Marinetti attribuiva al teatro è testimoniata dal Manifesto dei Drammaturghi futuristi (11 gennaio 1911), poi titolato La voluttà d’essere fischiati. In esso sono
riassunti i punti critici del teatro precedente e le direttive sovversive che il nuovo
teatro deve seguire:
«Fra tutte le forme letterarie, quella che può avere una portata futurista più immediata è certamente l’opera teatrale. – Noi vogliamo quindi che l’Arte drammatica
non continui ad essere ciò che è oggi: un meschino prodotto industriale sottoposto al
mercato dei divertimenti e dei piaceri cittadini, bisogna spazzar via tutti gl’immondi
pregiudizi che schiacciano gli autori, gli attori ed il pubblico.
Noi futuristi insegniamo anzitutto agli autori il disprezzo del pubblico e specialmente il disprezzo del pubblico delle prime rappresentazioni, del quale possiamo
sintetizzare così la psicologia: rivalità dei cappelli e di toilettes femminili, – vanità del
posto pagato caro, che si trasforma in orgoglio intellettuale, – palchi e platea occupati
da uomini maturi e ricchi, dal cervello naturalmente sprezzante e dalla digestione
laboriosissima, che rende impossibile qualsiasi sforzo della mente».
L’innovazione futurista puntava essenzialmente sulla scrittura drammatica, che
doveva essere di «un’assoluta originalità novatrice»: «I leit-motivs dell’amore e del
triangolo dell’adulterio essendo già stati troppo usati, devono essere assolutamente
banditi dal teatro. […] Poiché l’arte drammatica non può avere, come tutte le arti, altro
scopo che quello di strappare l’anima del pubblico alla bassa realtà quotidiana e di
esaltarla in una atmosfera abbagliante d’ebbrezza intellettuale, noi disprezziamo tutti
quei lavori che vogliono soltanto commuovere e far piangere, mediante lo spettacolo
inevitabilmente pietoso di una madre a cui è morto il figlio, o quello di una ragazza
che non può sposare il suo innamorato, o altre simili scipitaggini [stupidaggini]…».
Su questa strada, il Futurismo rifiutava sia le ricostruzioni storiche, che traevano
interesse dalla figura di un eroe o di un’eroina illustri, con il loro corollario di costumi e scenari sontuosi, sia il teatro naturalista e psicologico («L’arte drammatica non
deve fare della fotografia psicologica»). Sosteneva, viceversa, che il dramma futurista
doveva riflettere la vita moderna, «esasperata dalle velocità terrestri, marine ed aeree,
e dominata dal vapore e dall’elettricità», e tendere a una «sintesi della vita nelle sue
linee più tipiche e significative».
Era chiaro, inoltre, che il nuovo teatro aveva bisogno di interpreti diversi da quelli
che dominavano sui palcoscenici: «Noi vogliamo sottoporre completamente gli attori
Il teatro europeo del primo Novecento
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1
L’enciclopedia
Giacomo Balla (1871-1958)
Pittore, fu tra i rappresentanti
della tendenza impressionista
e divisionista in Italia. Collaborò
con Boccioni e Severini, Carrà
e Russolo alla stesura del
Manifesto dei Pittori futuristi
(11 febbraio 1910) e del Manifesto
tecnico della Pittura futurista
(11 aprile 1910); con Marinetti,
Corra, Chiti e Settimelli alla stesura
del Manifesto della Cinematografia
futurista (1916). Sua fu la
scenografia di Feu d’artifice per
i Balletti russi di Djagilev (1917).
Nell’ambito della pittura futurista
Balla rappresenta la tendenza
all’astratto, al magico,
all’incorporeo.
Fortunato Depero (1892-1960)
Pittore, incisore, scenografo,
firmò con Balla il manifesto
Ricostruzione futurista
dell’Universo. In seno al futurismo
rappresentò l’elemento giocoso
e fantastico. Fu autore di scritti
e componimenti poetici in
“onomalingua” (poesia visuale
e fonetica).
all’autorità degli scrittori e strapparli alla dominazione del pubblico che li spinge
fatalmente a ricercare l’effetto facile, allontanandoli da qualsiasi ricerca di interpretazione profonda».
Le «serate futuriste»
Intanto, a partire dal gennaio del 1910, Marinetti aveva dato il via al programma delle
«serate futuriste». Si trattava di eventi spettacolari animati, oltre che dal suddetto, da
esponenti delle arti figurative come Giacomo Balla e Fortunato Depero. Le «serate» si
svolgevano in teatri o, per cerchie più ristrette di spettatori, in gallerie d’arte. Questi
incontri consistevano in letture di poesie e di manifesti futuristi, ascolti musicali,
presentazione di quadri futuristi. Lo spirito che le animava era volutamente provocatorio, nei confronti sia delle istituzioni culturali sia del pubblico, coinvolto e partecipe
dell’evento, che spesso degenerava in scontri verbali, lanci di oggetti e risse.
Il «Teatro di Varietà»
Negli anni successivi, Marinetti individuò nel «Teatro di Varietà» una forma di spettacolo particolarmente adatta a rappresentare i princìpi del futurismo per il ritmo
veloce, per il proposito di «distrarre e divertire il pubblico con degli effetti di comicità,
di eccitazione erotica o di stupore immaginativo», ritenendolo «il più igienico fra
tutti gli spettacoli, pel suo dinamismo di forma e di colore (movimento simultaneo
di giocolieri, ballerine, ginnasti, cavallerizzi multicolori, cicloni spiralici di danzatori
trottolanti sulle punte dei piedi). Col suo ritmo di danza celere e trascinante, il Teatro
di Varietà trae per forza le anime più lente dal loro torpore e impone loro di correre
e di saltare».
Il «Teatro sintetico»
GUIDA ALLO STUDIO
a. A quali forme del teatro
tradizionale si opponevano i futuristi?
b. In che modo si svolgevano le «serate futuriste»?
c. Per quali motivi Marinet ti riteneva che il teatro di
varietà fosse un genere
particolarmente adatto
ai temi e allo spirito
del Futurismo?
d. Quali sono gli aspetti
principali del «Teatro
sintetico»?
e. Per quale ragione, pur
non lasciando opere importanti, i futuristi con tribuirono a rinnovare
il teatro?
Nel 1915, in opposizione al teatro contemporaneo, definito prolisso, analitico, psicologico, statico, ammuffito, pacifista e neutralista, uscì il manifesto del Teatro futurista
sintetico. Per i firmatari il nuovo teatro sarebbe dovuto essere: «sintetico», «atecnico»
(al contrario della scrittura drammatica del teatro borghese, naturalista e tecnica),
«dinamico» e «simultaneo» («cioè nato dall’improvvisazione, dalla fulminea intuizione, dall’attualità suggestionante e rivelatrice»), «autonomo», cioè svincolato dalla
tradizione, «alogico» e «irreale».
Nacquero così le cosiddette «sintesi futuriste», azioni teatrali rapidissime, che
dovevano «stringere in pochi minuti, in poche parole e in pochi gesti innumerevoli
situazioni, sensibilità, idee, sensazioni, fatti e simboli».
Le «sintesi» non dovevano fotografare la realtà, ma combinare «a capriccio» elementi tratti dalla realtà. In Il teatrino dell’amore, per esempio, si assiste a un dialogo
tra un buffet e una credenza. In Le basi, in scena appaiono solo i piedi degli interpreti.
I dialoghi, d’altro canto, erano ridotti al minimo (dalle otto alle dieci battute), in molti
casi il “discorso” era affidato piuttosto ai suoni, ai ritmi, alle luci, agli oggetti in scena.
Eredità del teatro futurista
Le teorie teatrali futuriste non si concretizzarono in opere importanti, ma diedero
una spinta alla disgregazione delle strutture tradizionali, intervenendo nel rapporto
tra realtà e finzione, tra pubblico e scena (con il tentativo di rompere la “quarta parete” che idealmente divide l’attore dagli spettatori).
Inoltre, il teatro futurista lasciò in eredità due importanti innovazioni: da una
parte una nuova attenzione alla scenografia, o meglio alla scenotecnica, con una serie
di invenzioni e di effetti spettacolari determinati dalla luce; dall’altra una fruttuosa
contaminazione tra il teatro di cultura e quello di varietà, da cui scaturì una nuova
comicità, incarnata in figure di attori creatori di macchiette, come il grande Ettore
Petrolini (1886-1936), dalla comicità beffarda e surreale.
Il primo Novecento
I generi: Narrativa
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Il «teatro
del grottesco»
Di poco successivo al teatro futurista, più o meno nel periodo che intercorre tra la Grande guerra e i primi anni Venti, si colloca il cosiddetto «teatro del grottesco». Nato
anch’esso come risposta critica al teatro borghese e naturalista, porta però le innovazioni maggiori nei contenuti e nella struttura piuttosto che nell’aspetto tecnico della scrittura. Il tema centrale di questa forma di teatro è la superficialità della vita sociale, vista
come una “maschera” che la rappresentazione svela e rende evidente. L’obiettivo è mostrare la realtà delle convenzioni e la sua crisi, accentuandone i caratteri e deformandoli.
Il termine «grottesco» e l’amaro sorriso
Il termine «grottesco» comparve come sottotitolo del dramma La maschera e il volto
(1916) di Luigi Chiarelli (1884-1947), a indicare il contrasto tragicomico, caro anche
a Pirandello, tra quello che siamo o crediamo di essere e come invece appariamo
agli altri.
L’espressione «teatro del grottesco» indicò la drammaturgia di autori diversi che,
secondo il critico Adriano Tilgher, hanno in comune una disposizione d’animo «tanto
staccato dalla sua materia, da poterci ridere e scherzare, e, insieme, tanto preso da
essa, che il suo riso non è mai schietto e sincero del tutto, non è fine a se stesso,
ma ha un alcunché di amaro, come di chi veda, sotto la deformità e l’oscenità della
maschera sociale, passare il pianto e il brivido della commozione e della miseria
umana» (Antonucci, 1988).
Il «teatro del grottesco», nella sua rappresentazione disarmonica della società contemporanea, risentiva del teatro espressionista tedesco, tra le cui caratteristiche vi era
il rifiuto dello sviluppo psicologico dei personaggi, spesso privi di una precisa identità
e persino di un nome (a connotarli era solo il loro ruolo nella vicenda: il Padre, il
Giovane, il Banchiere). Il rinnovamento riguardò anche la struttura drammaturgica
(con l’eliminazione della suddivisione in atti e scene) e la messa in scena (con l’annullamento del confine tra palcoscenico e platea: fu, per esempio, abolito il sipario).
I temi e gli autori
Oltre al più noto nome di Luigi Pirandello (1867-1936), che aderì al grottesco tra il
1917 e il 1921 – con testi divenuti poi fondamentali come Così è (se vi pare) (1917), Il
piacere dell’onestà (1917), La patente (1918), Il giuoco delle parti (1918) –, i nomi di rilievo
di questo movimento sono quelli di Luigi Antonelli (1882-1942), Pier Maria Rosso di
• James Ensor, L’intrigo, 1890.
Anversa, Koninklijk Museum voor
Schone Kunsten.
Il teatro europeo del primo Novecento
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San Secondo (1887-1956) e Massimo Bontempelli (1878-1960).
In questi autori ricorrono alcune tematiche: al centro dell’opera vengono rappresentate, discusse, parodiate la bassezza e l’inautenticità dei rapporti sociali. Il tentativo dei protagonisti di liberarsi dalle false maglie delle convenzioni si associa spesso
ad atmosfere sognanti e contesti insoliti (un’isola misteriosa, la sala del Telegrafo di
Milano), fino ad assumere toni surreali e magici.
Con L’uomo che incontrò se stesso (1918) Luigi Antonelli proietta nel fantastico il
tema del triangolo amoroso. Luciano, dopo due anni di felice matrimonio, ha trovato
il cadavere della moglie Sonia, morta in un terremoto, abbracciata al suo amante
Rambaldo. Molti anni dopo Luciano, che ancora sogna di rivivere i brevi momenti
di felicità avuti con la moglie, approda in un’isola misteriosa dove il dottor Climt,
scienziato e mago insieme, trasforma i sogni in realtà. Così il protagonista si sdoppia
nell’uomo che è stato vent’anni prima. Ma le cose si verificano esattamente come
allora, compreso l’adulterio. Luciano lascia l’isola sconsolato ma consapevole dell’insegnamento ricevuto dal dottor Climt, cioè che si deve vivere guardando al futuro.
L’opera del siciliano Pier Maria Rosso di San Secondo – Marionette, che passione! (1918), La bella addormentata (1919), Tra vestiti che ballano (1926) –, incentrata
sull’angoscia esistenziale dell’uomo moderno, risente particolarmente dell’influenza
dell’Espressionismo europeo.
Al «teatro del grottesco» aderisce anche Massimo Bontempelli che, su indicazione
di Pirandello, ricava dai toni surreali di una sua novella (Giovine anima credula) il
dramma Minnie la candida (1926). L’opera rispecchia l’alienazione dell’uomo contemporaneo, la tragica condizione dell’individuo combattuto tra inautenticità e bisogno
di certezze.
GUIDA ALLO STUDIO
a. In quale modo il «teatro del grottesco» si contrappose alla commedia borghese?
b. Qual è il tema tipicamente pirandelliano che viene proposto in La maschera e il volto di Luigi
Chiarelli?
c. Quale aspetto del teatro espressionista tedesco viene ripreso dal «teatro del grottesco»?
d. Quale tema viene sviluppato dal dramma di Bontempelli Minnie la candida?
Il teatro storicopsicologico di Eliot
Negli anni Trenta il rinnovamento del teatro europeo ha inizio con l’inglese Thomas
Stearns Eliot (1888-1965), poeta e saggista, oltre che drammaturgo, che ha segnato
profondamente il panorama europeo del Novecento.
Antinaturalismo e «teatro di poesia»: il «correlativo oggettivo»
Eliot reagisce al naturalismo proponendo un «teatro di poesia» attraverso il quale
cerca di realizzare i suoi ideali artistici e spirituali. Ricollegandosi alla lezione dei
poeti metafisici inglesi del Seicento (John Donne, 1572-1631) e, più indietro nel tempo,
al simbolismo medioevale (Dante) e alla tragedia greca classica (Eschilo, Sofocle, Euripide), Eliot crea un teatro prevalentemente in versi e permeato di tensione religiosa.
Il dramma poetico gli appare lo strumento espressivo più idoneo a rappresentare
il conflitto tra esperienza spirituale ed esistenza materiale in cui l’uomo si dibatte,
e a realizzare la sua teoria del «correlativo oggettivo», ovvero l’oggettivazione delle
emozioni individuali in immagini concrete, universalmente recepibili. L’autore ne
aveva spiegato la funzione nel saggio Problemi dell’Amleto (1920): oggetti, situazioni,
una catena di fatti o i personaggi stessi sono assunti come protagonisti lirici per la
loro equivalenza con determinati sentimenti e sensazioni del poeta.
Temi religiosi e scrittura in versi
Il confronto tra spirito e materia è centrale nell’opera di Eliot e spiega la sua attrazioIl primo Novecento
I generi: Narrativa
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ne per la tradizione classica e medioevale, ovvero per un’arte permeata di religiosità e
altamente simbolica. La scelta del verso al posto della prosa, che conferisce al mondo
reale messo in scena un tono sublime e assoluto, è spiegata dall’autore nel saggio
Sulla poesia e sui poeti: «Ciò che dobbiamo fare è portare la poesia nel mondo in cui il
pubblico vive e a cui ritorna dopo lo spettacolo, non trasportare il pubblico in qualche
mondo immaginario e totalmente diverso dal suo».
Un dramma in versi, strutturato sul modello della tragedia greca classica, è il suo
capolavoro Assassinio nella cattedrale (1935; • 2 ), in cui, al di là del motivo religioso
e dei dissidi interiori di un’anima – che pure costringe il lettore-spettatore a interrogarsi sul significato della vicenda –, affronta i nodi cruciali del rapporto tra Chiesa e
Stato, coscienza e potere, libertà dell’individuo e totalitarismo, temi in quegli anni
di grande attualità in diversi paesi europei.
GUIDA ALLO STUDIO
a. Quale forma teatrale Eliot contrappone al naturalismo?
b. Qual è il tema fondamentale della drammaturgia di Eliot?
c. Che cosa si intende per «correlativo oggettivo» e qual è la sua funzione?
d. Quali argomenti storici vengono affrontati da Eliot nel dramma Assassinio nella cattedrale?
Mappa di sintesi
Manifesto dei Drammaturghi futuristi (1911): critica del teatro naturalista e
psicologico; innovazione della scrittura drammatica; teatro come riflesso
della vita moderna
Il teatro
futurista
«Serate futuriste»: eventi spettacolari e provocatori in teatri o gallerie d’arte;
partecipazione delle arti visive, coinvolgimento del pubblico
Manifesto del Teatro di Varietà (1913): esaltazione della velocità e del
dinamismo della rappresentazione e delle finalità di svago e intrattenimento
Teatro futurista sintetico (1915): rapidissime azioni teatrali, combinazione
casuale di elementi provenienti dalla realtà
Il teatro
europeo
del primo
Novecento
Rappresentazione distaccata e disarmonica della società, condanna
dell’inautenticità delle convenzioni sociali, eliminazione della struttura
drammaturgica e annullamento della distinzione fra palcoscenico e platea
Luigi Chiarelli (1884-1947): La maschera e il volto (1916); contrasto tragicomico
tra l’essere e l’apparenza
Il «teatro
del grottesco»
Luigi Pirandello (1867-1936): Così è (se vi pare) (1917), Il piacere dell’onestà
(1917), La patente (1918), Il giuoco delle parti (1918)
Luigi Antonelli (1882-1942): L’uomo che incontrò se stesso (1918); Pier Maria
Rosso di San Secondo (1887-1956): Marionette, che passione! (1918)
Massimo Bontempelli (1878-1960): Minnie la candida (1926); alienazione
dell’uomo contemporaneo, scisso tra finzione e bisogno di certezze
Il teatro di T.S. Eliot
(1888-1965)
«Teatro di poesia»: antinaturalismo, influenza della poesia metafisica inglese del
Seicento, del simbolismo medioevale e della tragedia greca classica; tensione
religiosa e conflitto tra spirito e materia (Assassinio nella cattedrale, 1935)
«Correlativo oggettivo»: oggetti o situazioni divengono protagonisti lirici per
la loro capacità di esprimere sentimenti e sensazioni dell’autore
Il teatro europeo del primo Novecento
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Percorso I generi
Il teatro europeo del primo Novecento
Thomas
Stearns Eliot
• Cecil Beaton, Ritratto fotografico
di Thomas Stearns Eliot, 1956.
La vita
Nato nel 1888 negli Stati Uniti, a Saint Louis (Missouri), da una famiglia agiata, Eliot
studiò all’Università di Harvard, nei pressi di Boston. In quegli anni, a contatto con il
vivace ambiente intellettuale della città, scoprì i poeti metafisici inglesi (John Donne)
e si interessò alle filosofie e alle religioni orientali. Importante per la sua formazione
e per il suo futuro di poeta fu anche l’incontro con il poeta americano Ezra Pound
(1885-1972), che lo introdusse ai poeti provenzali e stilnovisti, e soprattutto a Dante,
e che lo sostenne nelle prime esperienze letterarie.
Dopo un soggiorno a Parigi (1910-1911), dove frequentò la Sorbona, e un nuovo periodo
ad Harvard, nel 1915 si stabilì a Londra. Per qualche anno lavorò come impiegato alla
Lloyds Bank, e solo dopo i primi successi poté dedicarsi completamente alla letteratura.
A partire dal 1923 fu anche direttore della rivista «The Criterion», poi della casa editrice
Faber and Faber. Nel 1927 ricevette la cittadinanza inglese e si convertì al Cristianesimo,
accostandosi alla corrente anglocattolica della Chiesa anglicana. Questa scelta, cui approdò dopo una lunga e sofferta ricerca spirituale, mutando la sua visione della vita, che
divenne meno amara e sconsolata, aprì una nuova fase anche della sua opera letteraria.
Nel 1948 ottenne il premio Nobel per la letteratura. Morì a Londra nel 1965.
Le opere
Le prime raccolte di poesie (Prufrock e altre osservazioni, 1917; Poesie, 1919) e il poema
La terra desolata (1922) testimoniano di una visione estremamente pessimistica del
destino umano: il mondo è abitato da «morti viventi» e privo di senso per il crollo dei
valori tradizionali, cui non è seguita la ricerca di nuovi valori. I drammi successivi alla
«conversione», tra i quali Assassinio nella cattedrale (1935) e l’ultima raccolta poetica
Quattro quartetti (1942), rappresentano la possibilità di dare un significato alla sofferenza dell’uomo sulla terra, vista come itinerario che conduce a Dio.
Il classicismo moderno
In Eliot il rapporto tra il contemporaneo e l’antico, tra i miti greci della rinascita
sacrificale e il processo cristiano della redenzione, ha il fine di dare forma, ordine e
significato al «panorama di futilità e anarchia che è la storia contemporanea». Tali
considerazioni determinano una moderna poetica classicista, che rappresenta la società contemporanea mantenendo la continuità formale con le opere del passato.
La figura storica di Thomas Becket, protagonista del dramma Assassinio nella cattedrale, ucciso per motivi politici, divenne il simbolo, negli anni Trenta, dell’uomo
che difende la propria libertà violata dai regimi totalitari.
Dapprima collaboratore del re Enrico II d’Inghilterra, poi diventato arcivescovo di
Canterbury, Becket difende le prerogative della Chiesa di Dio contro la volontà del
sovrano di sottoporla al proprio controllo (con le Costituzioni di Clarendon il sovrano
aveva affermato, nel 1164, i suoi diritti in materia ecclesiastica), ma viene condannato
all’esilio in Francia.
LA TRAMA •
Assassinio nella cattedrale
Il 2 dicembre del 1170 l’arcivescovo di Canterbury Thomas Becket torna dalla
Francia in Inghilterra dopo sette anni di esilio, ed è ben deciso a non lasciare
che il re Enrico II sottometta la Chiesa, prevaricando il potere ecclesiastico.
L’arcivescovo si accorge di essere avversato sia dai fedeli, che temono nuove persecuzioni, sia dai seguaci del re, che vogliono la sua sottomissione.
Il teatro europeo del primo Novecento
Thomas Stearns Eliot
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• LA TRAMA
Il popolo e i sacerdoti presagiscono eventi funesti. Becket è tormentato da
alcune tentazioni: l’amore per i piaceri contro cui ha combattuto in passato, il desiderio di potere, la possibilità di una congiura contro il sovrano,
l’aspirazione al martirio per una gloria duratura. Ma il martirio «non è mai
disegno d’uomo; poiché vero martire è colui che è divenuto strumento di
Dio». Dopo un tormentoso conflitto interiore, scaccia tutte le tentazioni ma
sente vicina la fine. Convinto di agire secondo coscienza, Becket ribadisce
nella predica natalizia al popolo la sua idea della libertà della Chiesa e non
tenta di fuggire quando, il 29 dicembre, quattro cavalieri vengono nell’arcivescovado a ucciderlo.
I legami con il teatro greco
I legami con il teatro greco (V sec. a.C.) sono particolarmente evidenti in tutta la
produzione drammatica di Eliot. In Assassinio nella cattedrale, l’utilizzo stesso dei
versi conferisce solennità tragica al tema universale del destino umano. Mutuata
da Eschilo è poi la presenza del coro, che in quest’opera viene chiamato a svolgere
il ruolo di «correlativo oggettivo». La voce del coro delle donne di Canterbury che
apre e conclude il dramma è il «correlativo oggettivo» del difficile ma rasserenante
percorso di Eliot verso la fede. A esso l’autore affida il compito di esprimere i propri
sentimenti e la propria visione del mondo (• 2 ).
In Riunione di famiglia (1939) compaiono le Eumenidi, divinità infernali divenute
benefiche (a esse è intitolata l’ultima tragedia dell’Orestea di Eschilo), che fungono
da parallelo mitico al mondo contemporaneo. In Cocktail party (1949) uno strano
ospite che risolve una crisi matrimoniale, aiutando i protagonisti a vedere chiaro in se
stessi, è il parallelo di un dio saggio e illuminato (come il deus ex machina che risolve
l’intrico della situazione nelle tragedie di Euripide). Mentre è sull’Edipo a Colono di
Sofocle che si fonda Il grande statista (1958). In questi ultimi drammi Eliot si avvale
anche di elementi del teatro di varietà.
GUIDA ALLO STUDIO
a. Qual è la visione esistenziale che traspare nella prima raccolta di poesie Prufrock e altre osservazioni e in La terra desolata?
b. Quale vicenda personale influenza la seconda fase della produzione letteraria di Eliot?
c. Per quale motivo i drammi di Eliot sono avvicinabili al teatro greco classico?
d. Quali valori vengono rappresentati attraverso il personaggio di Thomas Becket?
e. Che rapporto esiste tra il concetto di «correlativo oggettivo» e la funzione del coro in Assassinio nella cattedrale?
Il primo Novecento
I generi: Narrativa
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Percorso I generi
Il teatro europeo del primo Novecento
Siamo all’epilogo del dramma (Atto III). L’azione si svolge all’interno dell’arcivescovado. Stanno arrivando i cavalieri incaricati dal re Enrico II d’Inghilterra di uccidere Thomas Becket: il
popolo di Canterbury e i sacerdoti vogliono barricare le porte della chiesa, ma l’arcivescovo si
sente pronto al giudizio di Dio.
Al coro Eliot affida il compito, come nelle tragedie classiche, di commentare l’azione drammatica, conferendo all’opera una solennità religiosa.
2
Thomas Stearns Eliot
Assassinio nella
Cattedrale
L’assassinio
dell’arcivescovo
S
trad. di A. Castelli, Bompiani,
Milano, 1982
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1. come la quercia e la pietra:
come le porte (quercia) e i
muri (pietra).
2. Voi spranghereste… bestie:
come si sprangherebbero le
porte davanti alle belve feroci,
così devono chiudersi davanti
ai cavalieri, che intendono agire allo stesso modo.
3. Vi rimettete al fatto: l’arcivescovo osserva che la giustizia degli uomini si limita alla
dimensione terrena delle
azioni umane, che si compiono nel tempo. Ma egli offre la
sua vita per una decisione
presa fuori del tempo, nella
dimensione del divino.
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sacerdoti –
barrate la porta. Sbarrate la porta.
La porta è sbarrata.
Siamo salvi. Siamo salvi.
Non ardiscono irrompere.
Non possono irrompere. Non ne hanno la forza.
Siamo salvi. Siamo salvi.
tommaso – Disserrate le porte! Aprite le porte!
Non voglio che la casa della preghiera, la chiesa di Cristo,
Il santuario, sia mutato in fortezza.
La Chiesa proteggerà i suoi, alla sua maniera, non
Come la quercia e la pietra1!; la pietra e la quercia si corrompono,
Non dànno saldezza, ma la Chiesa durerà.
La chiesa dev’essere aperta, anche ai nostri nemici.
Aprite la porta!
sacerdoti – Mio Signore! questi non sono uomini, questi non vengono come
vengono gli uomini, ma
Come bestie impazzite. Non vengono come uomini, che
Rispettano il santuario, che s’inginocchiano al Corpo di Cristo,
Ma come bestie. Voi spranghereste la porta
Contro il leone, il leopardo, il lupo o il cinghiale,
Perché non di più
Contro bestie con le anime d’uomini dannati, contro uomini
Che si dannerebbero ad essere bestie2. Mio Signore!
Mio Signore!
tommaso – Voi mi credete incauto, disperato e pazzo.
Voi concludete dai risultati, come fa il mondo,
Per decidere se un’azione è buona o grama.
Vi rimettete al fatto3. Ché ogni vita e ogni atto può dimostrarsi
conseguenza di bene o di male.
E come nel tempo sono commisti i risultati di molti fatti
Così alla fine si fanno confusi il bene e il male.
Non è nel tempo che la mia morte sarà conosciuta;
La mia decisione è presa fuori del tempo.
Se chiamate decisione ciò
Al quale tutto il mio essere dona pieno consenso.
Io do la mia vita
Per la Legge di Dio sopra la Legge dell’Uomo.
Disserrate la porta! Disserrate la porta!
Il teatro europeo del primo Novecento
Thomas Stearns Eliot
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testi
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Noi non siamo qui per trionfare con la lotta, con lo stratagemma, o con
la resistenza,
Non a combattere con bestie simili a uomini. Noi abbiamo combattuto la
bestia4.
E abbiamo vinto. Dobbiamo solo conquistare
Ora, con la sofferenza. Questa è la vittoria più facile.
Ora è il trionfo della Croce, ora
Aprite la porta! Io lo comando. APRITE LA PORTA!
(La porta viene aperta. Entrano i CAVALIERI, alquanto brilli).
sacerdoti – Per di qui, mio Signore! Presto. Sulla scala.
Sul tetto. Nella cripta. Svelto. Venite. Forzatelo.
50 cavalieri – (un verso ciascuno.) Dov’è Becket, il traditore del Re?
Dov’è Becket, il prete intrigante?
Vieni giù Daniele nella fossa dei leoni5,
Vieni giù Daniele per il marchio della bestia.
Vi siete lavato nel sangue dell’Agnello?
Vi siete marchiato col marchio della bestia?
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Vieni giù Daniele nella fossa dei leoni,
Vieni giù Daniele ed unisciti alla festa.
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4. Noi… la bestia: il protagonista ha sconfitto la tentazione
delle passioni (bestia) e ora si 75
sente pronto ad abbracciare
la croce di Cristo, che si è sacrificato per l’umanità.
5. Vieni giù… leoni: nella
Bibbia si legge che il profeta
Daniele, durante l’esilio a Babilonia, fu gettato nella fossa
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dei leoni per aver disobbedito,
pregando il proprio Dio, alle
prescrizioni del re dei persiani
Ciro.
6. vassallo temporale: Reginaldo era sottoposto all’arcivescovo come vescovo-conte,
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cioè come amministratore
di beni terreni (temporali).
Dov’è Becket, il ragazzaccio della Contrada Mercanti?
Dov’è Becket, il prete infedele?
Vieni giù Daniele nella fossa dei leoni,
Vieni giù Daniele ed unisciti alla festa.
tommaso – L’uomo giusto
Come audace leone, dovrebbe essere senza paura.
Eccomi.
Non traditore del Re. Io sono prete,
Un cristiano, salvato dal Sangue di Cristo,
Pronto a soffrire col mio sangue.
È questo il segno della Chiesa, sempre,
Il segno del sangue. Sangue per sangue.
Dato è il Suo sangue per comprare la mia vita,
Dato è il mio sangue per pagare la Sua morte.
La mia morte per la Sua morte.
primo cavaliere – Assolvete tutti coloro che avete scomunicato.
secondo cavaliere – Rinunciate ai poteri che vi siete arrogato.
terzo cavaliere – Ritornate al Re il danaro che vi siete appropriato.
primo cavaliere – Rinnovate l’obbedienza che avete violato.
tommaso – Per il mio Signore sono pronto ora a morire,
E la Sua Chiesa abbia pace e libertà.
Fate di me come volete, a vostro torto e vergogna;
Ma nessuno del mio popolo, nel nome di Dio,
O laico o chierico, toccherete.
Io lo proibisco.
cavalieri – Traditore! traditore! traditore!
tommaso – Voi, Reginaldo, tre volte traditore voi:
Traditore di me come mio vassallo temporale6,
Traditore di me come vostro signore spirituale,
Il primo Novecento
I generi: Narrativa
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Traditore di Dio nel profanare la Sua Chiesa.
primo cavaliere – Nessuna fedeltà io debbo a un rinnegato,
E ciò che debbo sarà pagato subito.
90 tommaso – Ora, a Dio Onnipotente, alla Beata sempre Vergine Maria, al
Beato Giovanni Battista, ai santi apostoli Pietro e Paolo, al Beato martire
Dionigi e a tutti i Santi, affido la mia causa e quella della Chiesa.
(Mentre i CAVALIERI lo uccidono si ode il Coro7).
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7. Coro: il coro delle donne di
Canterbury si configura come
un personaggio, sia pure
stilizzato: ed io vado… se li
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spezzo sanguinano; vado… se
li tocco sanguinano… Come
come posso mai tornare…
Posso ancora guardare…
8. La terra è sozza: la terra
necessita di purificazione
perché è stata macchiata
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dal sangue di un innocente
ucciso.
coro – Chiarite l’aria! pulite il cielo! lavate il vento! separate pietra da
pietra e lavatele.
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La terra è sozza , l’acqua è sozza, le nostre bestie e noi stesse insozzate di
sangue.
Una pioggia di sangue m’ha accecato gli occhi. Dov’è l’Inghilterra? dov’è
il Kent? dov’è Canterburgo?
Oh lontano lontano lontano lontano nel passato; ed io vado vagando in
una landa di sterpi sterili: se li spezzo sanguinano;
vado vagando in una landa di aridi sassi: se li tocco sanguinano.
Come come posso mai tornare alle soavi stagioni tranquille?
Notte, resta con noi, fermati sole, trattieniti stagione, non venga il giorno,
non venga la primavera.
Posso ancora guardare il giorno e le sue cose solite, e vederle tutte
imbrattate di sangue, attraverso una cortina di sangue che cade?
Noi non volevamo che accadesse nulla.
Noi capivamo la catastrofe privata,
La perdita personale, la miseria generale,
Vivendo e in parte vivendo;
Il terrore della notte che termina nell’azione del giorno,
Il terrore del giorno che termina nel sonno;
Ma chiacchierare sulla piazza del mercato, con la mano sulla scopa,
Ammucchiare le ceneri al cadere della sera,
Porre l’esca sul fuoco allo spuntar del giorno,
Questi gli atti che segnavano un limite al nostro soffrire.
Ogni orrore aveva la sua definizione,
Ogni dolore aveva una specie di fine:
Nella vita non v’è tempo d’affannarsi a lungo.
Ma questo, questo è fuori della vita, questo è fuori del tempo,
Un’immediata eternità di male e d’ingiustizia.
Noi siamo sporche d’una sozzura che non possiamo detergere, mischiata
col verme soprannaturale,
Non siamo noi sole, non la sola casa, non la città ch’è insozzata,
Ma il mondo che è tutto sozzo.
Chiarite l’aria! pulite il cielo! lavate il vento! separate pietra da pietra,
separate la pelle dal braccio, separate il muscolo
dall’osso, e lavateli.
Lavate la pietra, lavate l’osso, lavate il cervello, lavate l’anima, lavateli,
lavateli!
Il teatro europeo del primo Novecento
Thomas Stearns Eliot
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testi
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ANALISI
E COMMENTO
Una meditazione sul significato della vita
L’azione è molto movimentata e sulla scena agiscono numerosi personaggi che si
esprimono collettivamente, per gruppi corrispondenti ai tre strati sociali del mondo medioevale: la nobiltà (i cavalieri, accaniti nella loro missione, obbediscono al
sovrano), il clero (i sacerdoti, timorosi e rinunciatari, si piegano alle circostanze), il
popolo (il coro del popolo e delle donne guarda ma non può intervenire, poi invoca la
purificazione per l’avvenuto delitto). Al centro campeggia solitario l’eroe-protagonista,
l’unico personaggio caratterizzato dal punto di vista psicologico. Tommaso testimonia la sua fede di uomo giusto… prete… cristiano, salvato dal Sangue di Cristo, Pronto
a soffrire (rr. 62-67) col proprio sangue per essere coerente con le sue idee. Queste
parole, al di là del loro significato religioso, suonano come un inno alla libertà, in un
tempo che vede la libertà violata da regimi dittatoriali, ed esprimono una meditazione
sempre attuale sul senso della vita.
Il significato della “catarsi”
Al coro l’autore affida il compito di esprimere i propri sentimenti e la propria visione
del mondo. Un coro di sole donne commenta l’accaduto ed esprime orrore per il
delitto. Il male e il peccato (sangue, sozzura) hanno contaminato il mondo esterno
(aria, cielo, vento) e anche il mondo interiore degli uomini (Un’immediata eternità di
male e d’ingiustizia), da cui la necessità di una profonda purificazione (lavate il cervello,
lavate l’anima). Come nella tragedia greca, l’orrore è superato dalla “catarsi”, ovvero
da quel particolare tipo di purificazione che lo spettatore raggiunge partecipando
emotivamente alla rappresentazione di fatti dolorosi e al loro scioglimento finale.
L’uccisione di Becket viene accettata alla luce della fede: sono contenti i cavalieri che
hanno obbedito al re e ridimensionato il potere della Chiesa a vantaggio del benessere
di tutto lo Stato, i preti che hanno un nuovo martire, il popolo che non teme più le
persecuzioni e si affida a Dio.
Lo stile
Il linguaggio scarno e arido si apre a echi di mistero. I versi di varia misura, ricalcando il modello dei versetti biblici, conferiscono sacralità al testo.
LAVORIAMO
SUL TESTO
1. L’atteggiamento nei confronti della morte. Per quale motivo Thomas Becket decide di affrontare la morte, aprendo le porte della cattedrale? Quale concezione della
morte c’è alla base della sua scelta? E quale affermazione sintetizza le ragioni del
suo comportamento?
2. La figura dell’arcivescovo. Quale tema viene emblematicamente rappresentato
attraverso il personaggio di Thomas Becket? Quale concezione della vita riassume
la sua personalità?
3. La condanna della Chiesa. Per quale motivo possiamo affermare che il comportamento dei sacerdoti contiene un’implicita denuncia dell’atteggiamento della Chiesa
nei confronti del potere politico?
4. L’invito dei cavalieri. Quale episodio biblico viene ricordato dai cavalieri giunti per
uccidere Becket? E che significato ha questo richiamo?
5. Una vicenda emblematica. Oltre quelli storici, quali significati psicologici e religiosi
si possono attribuire alla vicenda narrata nel dramma, ovvero lo scontro tra Chiesa
e Stato nell’Inghilterra medioevale? Inoltre, è possibile intravvedere nell’opera un
riferimento alla situazione politica del tempo in cui Eliot scriveva?
Il primo Novecento
I generi: Narrativa
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6. La voce delle donne. In quale modo il coro esprime il proprio orrore per il delitto
dell’arcivescovo? Perché le donne di Canterbury ritengono che il gesto compiuto dai
cavalieri richieda una purificazione universale? E per quale motivo possiamo sostenere che esse svolgono la funzione di «correlativo oggettivo»?
• John Westbrook interpreta Thomas
Becket in Assassinio nella cattedrale,
in scena nella cattedrale di Canterbury
nel 1970.
Il teatro europeo del primo Novecento
Thomas Stearns Eliot
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testi
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Percorso L’autore e l’opera
Luigi Pirandello
4. Il fu Mattia Pascal [Invito all’opera]
IIl brano è il primo capitolo del romanzo (il titolo è Premessa). L’accento è posto subito sul
problema dell’identità: Mattia Pascal informa il lettore di avere avuto nella propria esistenza
poche certezze e di non sapere ora nemmeno più quale sia veramente il proprio nome.
3
Luigi Pirandello
Il fu Mattia Pascal
U
Il narratore
inattendibile
Mondadori, Milano, 1986
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• Frontespizio della prima
edizione de Il fu Mattia Pascal,
Nuova Antologia, Roma, 1904.
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1. cordoglio: dispiacere, sofferenza.
2. tutt’a un tratto… o come
non fu: per depistare il lettore allude a un tipico intreccio
dei romanzi d’avventura (romantici e naturalisti), in cui il
protagonista, abbandonato
da bambino, va poi in cerca
delle sue origini e della sua
identità.
3. si accomodi: faccia pure.
4. come qualmente: come e
in che modo.
testi
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35
na delle poche cose, anzi forse la sola ch’io sapessi di certo era questa:
che mi chiamavo Mattia Pascal. E me ne approfittavo. Ogni qual volta qualcuno de’ miei amici o conoscenti dimostrava d’aver perduto il senno fino al
punto di venire da me per qualche consiglio o suggerimento, mi stringevo
nelle spalle, socchiudevo gli occhi e gli rispondevo:
– Io mi chiamo Mattia Pascal.
– Grazie, caro. Questo lo so.
– E ti par poco?
Non pareva molto, per dir la verità, neanche a me. Ma ignoravo allora che
cosa volesse dire il non sapere neppur questo, il non poter più rispondere,
cioè, come prima, all’occorrenza:
– Io mi chiamo Mattia Pascal.
Qualcuno vorrà bene compiangermi (costa così poco), immaginando l’atroce cordoglio1 d’un disgraziato, al quale avvenga di scoprire tutt’a un tratto
che… sì, niente, insomma: né padre, né madre, né come fu o come non fu2; e
vorrà pur bene indignarsi (costa anche meno) della corruzione dei costumi, e
de’ vizii, e della tristezza dei tempi, che di tanto male possono esser cagione
a un povero innocente.
Ebbene, si accomodi3. Ma è mio dovere avvertirlo che non si tratta propriamente di questo. Potrei qui esporre, di fatti, in un albero genealogico,
l’origine e la discendenza della mia famiglia e dimostrare come qualmente4
non solo ho conosciuto mio padre e mia madre, ma e gli antenati miei e le
loro azioni, in un lungo decorso di tempo, non tutte veramente lodevoli.
E allora?
Ecco: il mio caso è assai più strano e diverso; tanto diverso e strano che mi
faccio a narrarlo5.
Fui, per circa due anni, non so se più cacciatore di topi che guardiano di
libri nella biblioteca che un monsignor Boccamazza, nel 1803, volle lasciar
morendo al nostro Comune6. È ben chiaro che questo Monsignore dovette
conoscer poco l’indole e le abitudini de’ suoi concittadini; o forse sperò che
il suo lascito dovesse col tempo e con la comodità accendere nel loro animo
l’amore Guida allo studio. Finora, ne posso rendere testimonianza, non si è
acceso: e questo dico in lode de’ miei concittadini. Del dono anzi il Comune
si dimostrò così poco grato al Boccamazza, che non volle neppure erigergli un
mezzo busto pur che fosse, e i libri lasciò per molti e molti anni accatastati in
un vasto e umido magazzino, donde poi li trasse, pensate voi in quale stato,
per allogarli7 nella chiesetta fuori mano di Santa Maria Liberale, non so per
5. mi faccio a narrarlo: mi accingo a raccontarlo.
6. Comune: Miragno è un luogo
inventato, modellato su Girgenti
ma fatto figurare in Liguria.
7. allogarli: depositarli.
Invito all’opera
4. Il fu Mattia Pascal
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8. discernimento: criterio.
9. sinecura: occupazione che
comporta poca responsabilità
e scarso impegno.
10. sieno: siano.
11. per avventura: per caso.
12. riducendosi… a effetto:
realizzandosi.
quale ragione sconsacrata. Qua li affidò, senz’alcun discernimento8, a titolo
di beneficio, e come sinecura9, a qualche sfaccendato ben protetto il quale,
40 per due lire al giorno, stando a guardarli o anche senza guardarli affatto, ne
avesse sopportato per alcune ore il tanfo della muffa e del vecchiume.
Tal sorte toccò anche a me; e fin dal primo giorno io concepii così misera
stima dei libri, sieno10 essi a stampa o manoscritti (come alcuni antichissimi della nostra biblioteca), che ora non mi sarei mai e poi mai messo a
45 scrivere, se, come ho detto, non stimassi davvero strano il mio caso e tale da
poter servire d’ammaestramento a qualche curioso lettore, che per avventura11, riducendosi finalmente a effetto12 l’antica speranza della buon’anima di
monsignor Boccamazza, capitasse in questa biblioteca, a cui io lascio questo
mio manoscritto, con l’obbligo però che nessuno possa aprirlo se non cin50 quant’anni dopo la mia terza, ultima e definitiva morte.
Giacché, per il momento (e Dio sa quanto me ne duole), io sono morto, sì,
già due volte, ma la prima per errore, e la seconda… sentirete.
ANALISI
E COMMENTO
La finzione del manoscritto e l’innovazione strutturale
Le pagine di apertura del romanzo ne rivelano tutta la complessità strutturale. L’ormai
maturo Mattia Pascal si propone di raccontare la paradossale storia di un uomo morto
già due volte: pertanto è sia l’io narrante, che conosce le vicende narrate, sia l’io narrato,
cioè il protagonista nel momento in cui ha vissuto quelle esperienze. Quando inizia il
suo racconto, il processo che lo ha portato a morire due volte è già terminato; nella sua
terza reincarnazione egli è un uomo che ha rinunciato alla vita e si è rifugiato nella
scrittura di un memoriale («la vita o si vive o si scrive», ha ribadito più volte Pirandello).
Questa è una delle novità strutturali del romanzo: il narratore• che racconta in
prima persona è dubbioso e insieme autoironico. Egli lascerà alla biblioteca Boccamazza il proprio manoscritto che dovrà essere aperto solo cinquant’anni dopo la sua
terza, ultima e definitiva morte. La finzione letteraria del manoscritto rientra nella
tradizione dei Promessi sposi, ma in questo caso svolge una funzione completamente
diversa dal realismo manzoniano. Di conseguenza la verità è inaccertabile, la vicenda
è bizzarra, dovuta al caso e di incerta interpretazione.
Il manoscritto
non accentua
provoca
Il realismo della narrazione
Un rovesciamento ironico
su cui si fonda
determinato da
Lo sviluppo delle vicende di
I promessi sposi
La messa in discussione
dell’identità
del protagonista
crea
Un narratore inattendibile
ignora
Il proprio nome
mostra
Una scarsa considerazione
per i libri
Il primo Novecento
L’autore e l’opera: Luigi Pirandello
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La suspense
Le pause sospensive e le anticipazioni sulla vicenda (io sono morto, sì, già due volte,
ma la prima per errore, e la seconda… sentirete, rr. 51-52) creano un senso di attesa e
sollecitano la curiosità del lettore, cui il personaggio si rivolge direttamente (si ricordi
che il romanzo uscì a puntate su una rivista letteraria).
LAVORIAMO
SUL TESTO
1. L’autopresentazione. Quale immagine offre di sé l’io narrante? Quali caratteristiche
personali evidenzia?
2. Il rifiuto del romanzo tradizionale. Per quale motivo possiamo affermare che nelle righe 13-20 l’io narrante polemizza implicitamente con la narrativa d’avventura?
Quale caratteristica avrà invece la vicenda che si appresta a raccontare?
3. La scelta di scrivere. Per quale ragione e con quale scopo Mattia, pur avendo poca
fiducia nei libri, ha intrapreso la stesura delle sue memorie? Rispondi con opportuni
riferimenti al testo.
4. La biblioteca. Quale valore simbolico assume il luogo in cui iniziano e terminano
le vicende narrate? Quale funzione possono svolgere i libri e la scrittura per chi si
trova nella condizione esistenziale di Mattia?
5. La suspense. Attraverso quali tecniche narrative e linguistiche il narratore• stimola
la curiosità del lettore e crea un effetto di attesa?
6. Ebbene, si accomodi. Con un procedimento tipicamente pirandelliano, il narratore
si rivolge direttamente al lettore: quale effetto crea questa scelta stilistica sullo sviluppo della narrazione? Ritieni che sia funzionale alla natura “filosofica” dei romanzi
di Pirandello?
7. Pirandello e Svevo. Confronta le parole dell’io narrante del Fu Mattia Pascal con le
affermazioni del Dottor S. nella Prefazione della Coscienza di Zeno (• T38), cogliendo
le analogie fra i due autori.
• Edward Hopper, Ufficio in una
piccola città, 1953. New York,
Metropolitan Museum of Art.
Invito all’opera
4. Il fu Mattia Pascal
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testi
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Percorso L’autore e l’opera
Italo Svevo
4. La coscienza di Zeno [Invito all’opera]
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Italo Svevo
La coscienza di Zeno
La domanda
di matrimonio
Dall’Oglio, Milano, 1981
testi
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Zeno ha conosciuto al Tergesteo, la Borsa di Trieste, Giovanni Malfenti, un abile uomo d’affari che ha iniziato a proteggerlo e lo ha introdotto nella sua ricca casa. Per diversi mesi Zeno
frequenta la moglie e le quattro figlie del ricco commerciante: Ada, Augusta, Alberta e la
piccola Anna (curiosamente, il nome di ogni ragazza inizia con la “a” in opposizione all’ultima
lettera dell’alfabeto con cui inizia il nome di Zeno, che lo interpreta quasi come un segno del
destino). Si innamora di Ada, la più bella, e non si accorge che Augusta a sua volta è innamorata di lui. Nel brano che segue, tratto dal quinto capitolo, Zeno approfitta di un momento in cui è solo con Ada per farle finalmente la sua dichiarazione d’amore. Ma la ragazza lo
respinge. Ecco allora che sposta la sua domanda di matrimonio dapprima su Alberta infine
proprio su Augusta, che mai avrebbe voluto sposare.
G
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1. Guido: Guido Speier è un
giovane cinico e superficiale,
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rivale di Zeno nell’amore di
Ada.
2. scandere: marcare, cadenzare.
3. la Chaconne: la Ciaccona è
uno dei brani violinistici più
difficili (conclude la Partita
25
in re minore) con variazioni
contrappuntistiche.
4. biasimo: disapprovazione.
5. Bach… modo: nella partitura di Bach la legatura indica che tutte le note vanno
eseguite con una sola arcata,
invece Guido interrompe l’ar- 30
cata per ogni nota.
6. l’occasione… presentata:
l’occasione di parlare da solo
con Ada e di farle la proposta
di matrimonio.
uido1 cessò di suonare sapientemente. Nessuno plaudì fuori di Giovanni,
e per qualche istante nessuno parlò. Poi, purtroppo, sentii io il bisogno di
parlare. Come osai farlo davanti a gente che il mio violino conosceva? Pareva
parlasse il mio violino che invano anelava alla musica e biasimasse l’altro
sul quale – non si poteva negarlo – la musica era divenuta vita, luce ed aria.
– Benissimo! – dissi e aveva tutto il suono di una concessione più che di
un applauso. – Ma però non capisco perché, verso la chiusa, abbiate voluto
scandere2 quelle note che il Bach segnò legate.
Io conoscevo la Chaconne3 nota per nota. C’era stata un’epoca in cui avevo
creduto che, per progredire, avrei dovuto affrontare di simili imprese e per
lunghi mesi passai il tempo a compitare battuta per battuta alcune composizioni del Bach.
Sentii che in tutto il salotto non v’era per me che biasimo4 e derisione.
Eppure parlai ancora lottando contro quell’ostilità.
– Bach – aggiunsi – è tanto modesto nei suoi mezzi che non ammette un
arco fatturato a quel modo5.
Io avevo probabilmente ragione, ma era anche certo ch’io non avrei neppur
saputo fatturare l’arco a quel modo.
Guido fu subito altrettanto spropositato quanto lo ero stato io. Dichiarò:
– Forse Bach non conosceva le possibilità di quell’espressione. Gliela regalo io!
Egli montava sulle spalle di Bach, ma in quell’ambiente nessuno protestò
mentre mi si aveva deriso perché io avevo tentato di montare soltanto sulle
sue.
Allora avvenne una cosa di minima importanza, ma che fu per me decisiva.
Da una stanza abbastanza lontana da noi echeggiarono le urla della piccola
Anna. Come si seppe poi, era caduta insanguinandosi le labbra. Fu così ch’io
per qualche minuto mi trovai solo con Ada perché tutti uscirono di corsa dal
salotto. Guido, prima di seguire gli altri, aveva posto il suo prezioso violino
nelle mani di Ada.
– Volete dare a me quel violino? – domandai io ad Ada vedendola esitante
se seguire gli altri. Davvero che non m’ero ancora accorto, che l’occasione
tanto sospirata s’era finalmente presentata6.
Invito all’opera
4. La coscienza di Zeno
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7. ribaltarmi: rigirarmi affannosamente.
8. bische: luoghi dove si pratica il gioco d’azzardo.
9. non sapevano l’amore:
non mostravano alcun segno
Ella esitò, ma poi una sua strana diffidenza ebbe il sopravvento. Trasse il
violino ancora meglio a sé:
– No – rispose, – non occorre ch’io vada con gli altri. Non credo che Anna
si sia fatta tanto male. Essa strilla per nulla.
Sedette col suo violino e a me parve che con quest’atto essa m’avesse invitato di parlare. Del resto, come avrei potuto io andar a casa senz’aver parlato?
Che cosa avrei poi fatto in quella lunga notte? Mi vedevo ribaltarmi7 da destra
a sinistra nel mio letto o correre per le vie o le bische8 in cerca di svago. No!
Non dovevo abbandonare quella casa senz’essermi procurata la chiarezza e
la calma.
Cercai di essere semplice e breve. Vi ero anche costretto perché mi mancava il fiato. Le dissi:
– Io vi amo, Ada. Perché non mi permettereste di parlarne a vostro padre?
Ella mi guardò stupita e spaventata. Temetti che si mettesse a strillare
come la piccina, là fuori. Io sapevo che il suo occhio sereno e la sua faccia
dalle linee tanto precise non sapevano l’amore9, ma tanto lontana dall’amore
come ora, non l’avevo mai vista. Incominciò a parlare e disse qualche cosa
che doveva essere come un esordio. Ma io volevo la chiarezza: un sì o un
no! Forse m’offendeva già quanto mi pareva un’esitazione. Per fare presto e
indurla a decidersi, discussi il suo diritto di prendersi tempo:
– Ma come non ve ne sareste accorta? A voi non era possibile di credere
ch’io facessi la corte ad Augusta!
Volli mettere dell’enfasi10 nelle mie parole, ma, nella fretta, la misi fuori di
posto e finì che quel povero nome di Augusta fu accompagnato da un accento
e da un gesto di disprezzo.
Fu così che levai Ada dall’imbarazzo. Essa non rilevò altro che l’offesa fatta
ad Augusta:
– Perché credete di essere superiore ad Augusta? Io non penso mica che
Augusta accetterebbe di divenire vostra moglie!
Poi appena ricordò che mi doveva una risposta:
– In quanto a me… mi meraviglia che vi sia capitata una cosa simile in
testa.
La frase acre11 doveva vendicare l’Augusta. Nella mia grande confusione
pensai che anche il senso della parola non avesse avuto altro scopo12; se mi
avesse schiaffeggiato credo che sarei stato esitante a studiarne la ragione.
Perciò ancora insistetti:
– Pensateci, Ada. Io non sono un uomo cattivo. Sono ricco… Sono un po’
bizzarro13, ma mi sarà facile di correggermi.
Anche Ada fu più dolce, ma parlò di nuovo di Augusta.
– Pensateci anche voi, Zeno: Augusta è una buona fanciulla e farebbe
veramente al caso vostro. Io non posso parlare per conto suo, ma credo14…
Era una grande dolcezza di sentirmi invocare da Ada per la prima volta col
mio prenome15. Non era questo un invito a parlare ancora più chiaro? Forse
era perduta per me, o almeno non avrebbe accettato subito di sposarmi, ma
di turbamento amoroso.
10. enfasi: energia.
11. acre: aspra, pungente.
12. pensai… scopo: pensai che
non solo il tono ma anche il signi-
ficato delle parole di Ada intendessero vendicare Augusta e non
esprimessero il suo rifiuto.
13. bizzarro: eccentrico.
14. Io… ma credo: nella famiglia
Malfenti è stato deciso che Augusta sia la più adatta per Zeno, che
verrà abilmente pilotato soprattutto dalla futura suocera.
15. prenome: nome di battesimo.
Il primo Novecento
L’autore e l’opera: Italo Svevo
2
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16. aprirle gli occhi: metterla
in guardia.
17. rabbonita: calmata.
18. i responsi del tavolino: la
serata nel salotto dei Malfenti si era aperta con una seduta spiritica, e Zeno ne aveva
approfittato per far parlare
intanto bisognava evitare che si compromettesse di più con Guido sul conto
del quale dovevo aprirle gli occhi16. Fui accorto, e prima di tutto le dissi che
stimavo e rispettavo Augusta, ma che assolutamente non volevo sposarla. Lo
dissi due volte per farmi intendere chiaramente: «io non volevo sposarla».
Così potevo sperare di aver rabbonita17 Ada che prima aveva creduto io volessi
offendere Augusta.
– Una buona, una cara, un’amabile ragazza quell’Augusta; ma non fa per
me.
Poi appena precipitai le cose, perché c’era del rumore sul corridoio e mi
poteva essere tagliata la parola da un momento all’altro.
– Ada! Quell’uomo non fa per voi. È un imbecille! Non v’accorgeste come
sofferse per i responsi del tavolino18? Avete visto il suo bastone? Suona bene a
violino, ma vi sono anche delle scimmie che sanno suonarlo. Ogni sua parola
tradisce il bestione19…
Essa, dopo d’esser stata ad ascoltarmi con l’aspetto di chi non sa risolversi20 ad ammettere nel loro senso le parole che gli sono dirette, m’interruppe.
Balzò in piedi sempre col violino e l’arco in mano, e mi soffiò addosso21 delle
parole offensive. Io feci del mio meglio per dimenticarle e vi riuscii. Ricordo
solo che cominciò col domandarmi ad alta voce come avevo potuto parlare
così di lui e di lei! Io feci gli occhi grandi dalla sorpresa perché mi pareva di
non aver parlato che di lui solo. Dimenticai le tante parole sdegnose ch’essa
mi diresse, ma non la sua bella, nobile e sana faccia arrossata dallo sdegno e
dalle linee rese più precise, quasi marmoree, dall’indignazione. Quella22 non
dimenticai più e quando penso al mio amore e alla mia giovinezza, rivedo la
faccia bella e nobile e sana di Ada nel momento in cui essa m’eliminò definitivamente dal suo destino.
Ritornarono tutti in gruppo intorno alla signora Malfenti che teneva in braccio Anna ancora piangente. Nessuno si occupò di me o di Ada ed io, senza
salutare nessuno, uscii dal salotto; nel corridoio presi il mio cappello. Curioso!
Nessuno veniva a trattenermi. Allora mi trattenni da solo, ricordando ch’io
non dovevo mancare alle regole della buona educazione e che perciò prima di
andarmene dovevo salutare compitamente tutti. Vero è che non dubito io non
sia stato impedito23 di abbandonare quella casa dalla convinzione che troppo
presto sarebbe cominciata per me la notte ancora peggiore delle cinque notti
che l’avevano preceduta. Io che finalmente avevo la chiarezza, sentivo ora un
altro bisogno: quello della pace, la pace con tutti. Se avessi saputo eliminare
ogni asprezza dai miei rapporti con Ada e con tutti gli altri, mi sarebbe stato
più facile di dormire. Perché aveva da sussistere24 tale asprezza? Se non potevo
prendermela neppure con Guido il quale se anche non ne aveva alcun merito,
certamente non aveva nessuna colpa di essere stato preferito da Ada!
Essa era la sola che si fosse accorta della mia passeggiata sul corridoio e,
quando mi vide ritornare, mi guardò ansiosa. Temeva di una scena25? Subito
volli rassicurarla. Le passai accanto e mormorai:
– Scusate se vi ho offesa!
il tavolino usato per simili esperimenti preannunciando a Guido
cattivi affari commerciali.
19. tradisce il bestione: rivela la
sua rozzezza e insensibilità.
20. risolversi: decidersi.
21. mi soffiò addosso: mi parlò
con tono deciso.
22. Quella: quella faccia.
23. non dubito… impedito: sono
sicuro di essere stato impedito.
24. aveva da sussistere: avrebbe
dovuto continuare.
25. Temeva di una scena: temeva
che facessi una scenata.
Invito all’opera
4. La coscienza di Zeno
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3
testi
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26. scipitezze: sciocchezze. 165
27. figurarvi: immaginare.
28. Io… stima di voi: vi tengo
in grande considerazione.
29. mi ricrederò: cambierò
idea.
30. non mi tradirete: non
rivelerete il mio segreto.
170
Essa prese la mia mano e, rasserenata, la strinse. Fu un grande conforto. Io
chiusi per un istante gli occhi per isolarmi con la mia anima e vedere quanta
pace gliene fosse derivata.
Il mio destino volle che mentre tutti ancora si occupavano della bimba, io
mi trovassi seduto accanto ad Alberta. Non l’avevo vista e di lei non m’accorsi
che quando essa mi parlò dicendomi:
– Non s’è fatta nulla. Il grave è la presenza di papà il quale, se la vede
piangere, le fa un bel regalo.
Io cessai dall’analizzarmi perché mi vidi intero! Per avere la pace io avrei
dovuto fare in modo che quel salotto non mi fosse mai più interdetto. Guardai Alberta! Somigliava ad Ada! Era un po’ di lei più piccola e portava sul
suo organismo evidenti dei segni non ancora cancellati dell’infanzia. Facilmente alzava la voce, e il suo riso spesso eccessivo le contraeva la faccina e
gliel’arrossava. Curioso! In quel momento ricordai una raccomandazione di
mio padre: «Scegli una donna giovine e ti sarà più facile di educarla a modo
tuo». Il ricordo fu decisivo. Guardai ancora Alberta. Nel mio pensiero m’industriavo di spogliarla e mi piaceva così dolce e tenerella come supposi fosse.
Le dissi:
– Sentite, Alberta! Ho un’idea: avete mai pensato che siete nell’età di prendere marito?
– Io non penso di sposarmi! – disse essa sorridendo e guardandomi mitemente, senz’imbarazzo o rossore. – Penso invece di continuare i miei studi.
Anche mamma lo desidera.
– Potreste continuare gli studi anche dopo sposata.
Mi venne un’idea che mi parve spiritosa e la dissi subito:
– Anch’io penso d’iniziarli dopo essermi sposato.
Essa rise di cuore, ma io m’accorsi che perdevo il mio tempo, perché non
era con tali scipitezze26 che si poteva conquistare una moglie e la pace. Bisognava essere serii. Qui poi era facile perché venivo accolto tutt’altrimenti
che da Ada.
Fui veramente serio. La mia futura moglie doveva intanto sapere tutto. Con
voce commossa le dissi:
– Io, poco fa, ho indirizzata ad Ada la stessa proposta che ora feci a voi.
Essa mi rifiutò con sdegno. Potete figurarvi27 in quale stato io mi trovi.
Queste parole accompagnate da un atteggiamento di tristezza non erano
altro che la mia ultima dichiarazione d’amore per Ada. Divenivo troppo serio
e, sorridendo, aggiunsi:
– Ma credo che se voi accettaste di sposarmi, io sarei felicissimo e dimenticherei per voi tutto e tutti.
Essa si fece molto seria per dirmi:
– Non dovete offendervene, Zeno, perché mi dispiacerebbe. Io faccio una
grande stima di voi28. So che siete un buon diavolo eppoi, senza saperlo,
sapete molte cose, mentre i miei professori sanno esattamente tutto quello
che sanno. Io non voglio sposarmi. Forse mi ricrederò29, ma per il momento
non ho che una meta: vorrei diventare una scrittrice. Vedete quale fiducia vi
dimostro. Non lo dissi mai a nessuno e spero non mi tradirete30. Dal canto
mio, vi prometto che non ripeterò a nessuno la vostra proposta.
– Ma anzi potete dirlo a tutti! – la interruppi io con stizza. Mi sentivo di
nuovo sotto la minaccia di essere espulso da quel salotto e corsi al riparo.
Il primo Novecento
L’autore e l’opera: Italo Svevo
4
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31. calmante per Anna: la bambina nella caduta si era ferita il
labbro.
32. rude: rozza, brutale.
C’era poi un solo modo per attenuare in Alberta l’orgoglio di aver potuto
respingermi e io l’adottai non appena lo scopersi. Le dissi:
– Io ora farò la stessa proposta ad Augusta e racconterò a tutti che la sposai
perché le sue due sorelle mi rifiutarono!
Ridevo di un buon umore eccessivo che m’aveva colto in seguito alla stranezza del mio procedere. Non era nella parola che mettevo lo spirito di cui
ero tanto orgoglioso, ma nelle azioni.
Mi guardai d’intorno per trovare Augusta. Era uscita sul corridoio con un
vassoio sul quale non v’era che un bicchiere semivuoto contenente un calmante per Anna31. La seguii di corsa chiamandola per nome ed essa s’addossò
alla parete per aspettarmi. Mi misi a lei di faccia e subito le dissi:
– Sentite, Augusta, volete che noi due ci sposiamo?
La proposta era veramente rude32. Io dovevo sposare lei e lei me, ed io non
domandavo quello ch’essa pensasse né pensavo potrebbe toccarmi di essere
io costretto di dare delle spiegazioni. Se non facevo altro che quello che tutti
volevano!
Essa alzò gli occhi dilatati dalla sorpresa. Così quello sbilenco33 era anche
più differente del solito dall’altro. La sua faccia vellutata e bianca, dapprima
impallidì di più, eppoi subito si congestionò. Afferrò con la destra il bicchiere
che ballava sul vassoio. Con un filo di voce mi disse:
– Voi scherzate e ciò è male.
Temetti si mettesse a piangere ed ebbi la curiosa idea di consolarla dicendole della mia tristezza.
– Io non scherzo,– dissi serio e triste. – Domandai dapprima la sua mano
ad Ada che me la rifiutò con ira, poi domandai ad Alberta di sposarmi ed
essa, con belle parole, vi si rifiutò anch’essa. Non serbo rancore né all’una né
all’altra. Solo mi sento molto, ma molto infelice.
Dinanzi al mio dolore essa si ricompose e si mise a guardarmi commossa,
riflettendo intensamente. Il suo sguardo somigliava ad una carezza che non
mi faceva piacere.
– Io devo dunque sapere e ricordare che voi non mi amate? – domandò.
Che cosa significava questa frase sibillina34? Preludiava35 ad un consenso?
Voleva ricordare! Ricordare per tutta la vita da trascorrersi con me? Ebbi il
sentimento di chi per ammazzarsi si sia messo in una posizione pericolosa
ed ora sia costretto a faticare per salvarsi. Non sarebbe stato meglio che anche
Augusta m’avesse rifiutato e che mi fosse stato concesso di ritornare sano
e salvo nel mio studiolo nel quale neppure quel giorno stesso m’ero sentito
troppo male? Le dissi:
– Sì! Io non amo che Ada e sposerei ora voi…
Stavo per dirle che non potevo rassegnarmi di divenire un estraneo per Ada
e che perciò mi contentavo di divenirle cognato. Sarebbe stato un eccesso,
ed Augusta avrebbe di nuovo potuto credere che volessi dileggiarla36. Perciò
dissi soltanto:
– Io non so più rassegnarmi di restar solo.
33. sbilenco: strabico.
34. frase sibillina: frase oscura,
ma in realtà chiarissima: Augusta
accetta di essere la moglie di
Zeno pur sapendo che egli non la
ama. Sibilla era la sacerdotessa
ispirata dal dio Apollo che prediceva il futuro con profezie difficili
da interpretare.
35. Preludiava: preannunciava.
36. dileggiarla: schernirla, prenderla in giro.
Invito all’opera
4. La coscienza di Zeno
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5
testi
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255
37. sostegno: appoggio.
38. saviamente: saggiamente.
260
Essa rimaneva tuttavia poggiata alla parete del cui sostegno37 forse sentiva a
bisogno; però pareva più calma ed il vassoio era ora tenuto da una sola mano.
Ero salvo e cioè dovevo abbandonare quel salotto, o potevo restarci e dovevo
sposarmi? Dissi delle altre parole, solo perché impaziente di aspettare le sue
che non volevano venire:
– Io sono un buon diavolo e credo che con me si possa vivere facilmente
anche senza che ci sia un grande amore.
Questa era una frase che nei lunghi giorni precedenti avevo preparata per
Ada per indurla a dirmi di sì anche senza sentire per me un grande amore.
Augusta ansava leggermente e taceva ancora. Quel silenzio poteva anche significare un rifiuto, il più delicato rifiuto che si potesse immaginare: io quasi
sarei scappato in cerca del mio cappello, in tempo per porlo su una testa salva.
Invece Augusta, decisa, con un movimento dignitoso e che mai dimenticai,
si rizzò e abbandonò il sostegno della parete. Nel corridoio non largo essa si
avvicinò così ancora di più a me che le stavo di faccia. Mi disse:
– Voi, Zeno, avete bisogno di una donna che voglia vivere per voi e vi assista. Io voglio essere quella donna.
Mi porse la mano paffutella ch’io quasi istintivamente baciai. Evidentemente non c’era più la possibilità di fare altrimenti. Devo poi confessare che
in quel momento fui pervaso da una soddisfazione che m’allargò il petto.
Non avevo più da risolvere niente, perché tutto era stato risolto. Questa era
la vera chiarezza.
Fu così che mi fidanzai. Fummo subito festeggiatissimi. Il mio somigliava
un poco, al grande successo del violino di Guido, tanti furono gli applausi di
tutti. Giovanni mi baciò e mi diede subito del tu. Con eccessiva espressione
di affetto mi disse:
– Mi sentivo tuo padre da molto tempo, dacché cominciai a darti dei consigli per il tuo commercio.
La mia futura suocera mi porse anch’essa la guancia che sfiorai. A quel
bacio non sarei sfuggito neppure se avessi sposato Ada.
Vede che io avevo indovinato tutto, – mi disse con una disinvoltura incredibile e che non fu punita perché io non seppi né volli protestare.
Essa poi abbracciò Augusta e la grandezza del suo affetto si rivelò in un
singhiozzo che le sfuggì interrompendo le sue manifestazioni di gioia. Io
non potevo soffrire la signora Malfenti, ma devo dire che quel singhiozzo
colorì, almeno per tutta quella sera, di una luce simpatica e importante il
mio fidanzamento.
Alberta, raggiante, mi strinse la mano:
– Io voglio essere per voi una buona sorella.
E Ada:
– Bravo, Zeno! – Poi, a bassa voce: – Sappiatelo: giammai un uomo che creda di aver fatta una cosa con precipitazione, ha agito più saviamente38 di voi.
Guido mi diede una grande sorpresa:
– Da questa mattina avevo capito che volevate una o l’altra delle signorine
Malfenti, ma non arrivavo a sapere quale.
Non dovevano dunque essere molto intimi se Ada non gli aveva parlato
della mia corte! Che avessi davvero agito precipitosamente?
Il primo Novecento
L’autore e l’opera: Italo Svevo
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ANALISI
E COMMENTO
La scelta obbligata
Il passo evidenzia il tema della scelta obbligata da parte di Zeno, consapevole di fare
ciò che tutti si aspettavano da lui (Se non facevo altro che quello che tutti volevano!,
rr. 185-186). Nel mondo di Zeno sembra non esserci posto per la provvidenza o per
una logica successione di cause ed effetti: al contrario, tutto appare affidato al caso.
Infatti il protagonista, inetto, instabile nelle decisioni e incapace di assumersi delle
responsabilità, ha un comportamento assolutamente assurdo e imprevedibile:
•fa la proposta di matrimonio per non trascorrere la notte insonne (rr. 40-44);
•poi si rassegna, desideroso di pace, non avendo più da decidere niente (Non avevo
più da risolvere niente, perché tutto era stato risolto, r. 236).
Il ruolo dell’inconscio
L’ironia con cui l’io narrante conferma la tentazione di fuga dell’io narrato (Non
sarebbe stato meglio che anche Augusta m’avesse rifiutato e che mi fosse stato concesso di
ritornare sano e salvo nel mio studiolo…, rr. 205-207) priva la tradizionale dichiarazione d’amore di ogni carica “romantica” e rivela piuttosto come il corso dell’esistenza
umana sia determinato da fattori casuali e complicati processi psichici.
Al di là dell’azione del protagonista, così com’è riferita e interpretata dall’io narrante, il lettore risale alle motivazioni che trapelano indirettamente dall’azione, al
conflitto fra intenzione cosciente e desiderio inconscio del personaggio. La proposta
di Zeno nasce all’insegna dello scambio di persone: anzitutto egli commette con Ada
la gaffe di offendere Guido invece di parlare dei sentimenti che nutre per lei, poi usa
con Augusta le stesse parole che aveva preparato per Ada. Questi episodi sottolineano
il conflitto fra i suoi due impulsi contrastanti: è attratto dalla bellezza di Ada ma alla
fine prevale il desiderio di una donna protettiva e rassicurante.
Il discorso indiretto libero e il “tempo misto”
Il discorso• indiretto libero (alternato al discorso diretto) consente a Svevo di assumere il punto di vista del personaggio e di esprimere in modo penetrante l’analisi
delle sue condizioni psicologiche (Che cosa significava questa frase sibillina? Preludiava
ad un consenso? Voleva ricordare! Ricordare per tutta la vita da trascorrersi con me?,
rr. 202-203). Il continuo passaggio dal tempo passato della rievocazione dei fatti
al presente delle riflessioni di Zeno crea il “tempo misto” dell’interiorità, in cui si
annullano le tradizionali categorie temporali.
Si osservi, nella frase Io non so più rassegnarmi di restar solo (r. 214), l’uso frequentissimo in Svevo, per quanto riguarda la sintassi, della preposizione “di” seguita
dall’infinito del verbo (rassegnarmi di invece che “rassegnarmi a”).
LAVORIAMO
SUL TESTO
1. La struttura. Completa la tabella, assegnando un titolo che riassuma il significato
di ciascuna delle macrosequenze• in cui abbiamo suddiviso il testo.
rr. 1-24
Un giudizio inopportuno di Zeno
rr. 25-103
...................................................................
rr. 104-124
...................................................................
rr. 125-174
...................................................................
rr. 175-237
...................................................................
rr. 238-263
...................................................................
Invito all’opera
4. La coscienza di Zeno
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7
testi
4
2. La conquista della consapevolezza. Alla fine della serata, analizzando il proprio
comportamento apparentemente assurdo, Zeno riesce a darne una spiegazione? Rispondi con opportuni riferimenti al testo.
3. Il giudizio sul rivale. Quale opinione esprime Zeno nei confronti di Guido? Gli avvenimenti successivi al dialogo con Ada cambiano il parere dell’innamorato respinto?
4. La personalità di Augusta. Quali aspetti del carattere della sua futura moglie vengono sottolineati dall’io narrante? Come si comporta la donna nei confronti di Zeno
e delle sue parole, per alcuni aspetti offensive e inopportune?
5. Moglie e madre. Augusta si rivelerà un’ottima moglie, assumendo con Zeno anche
un atteggiamento materno, divenendo, come affermerà il protagonista, una «sana
balia». Individua nel testo l’affermazione che lascia presagire questo aspetto della
futura vita matrimoniale.
6. L’interscambiabilità delle sorelle Malfenti. Oltre alla ragione presentata da Zeno – il
timore di trascorrere una notte insonne – nella riproposizione ostinata della domanda di matrimonio possiamo cogliere ulteriori motivazioni inconsce? Svevo desidera
effettivamente una moglie o piuttosto è alla ricerca di altri valori e di altre figure?
7. Una moglie brutta. In una pagina successiva del romanzo, dedicata al matrimonio, Zeno afferma: «la mia sposa era molto meno brutta di quanto avessi creduto».
Rintraccia nella descrizione di Augusta le espressioni in cui il narratore evidenzia,
anche in maniera implicita, lo scarso fascino della ragazza.
8. L’aspirazione alla serenità e alla chiarezza. La nevrosi spinge Zeno ad aspirare
ossessivamente alla tranquillità della coscienza. Individua alcuni fra i numerosi passaggi del testo in cui manifesta questa esigenza e se ne serve per giustificare il suo
comportamento bizzarro.
Il primo Novecento
L’autore e l’opera: Italo Svevo
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Percorso I generi
1. La poesia delle Avanguardie in Europa
Guillaume
Apollinaire
La vita
Guillaume Apollinaire, pseudonimo di Wilhelm Apollinaris de Kostrowitzky, nacque a
Roma nel 1880 da una nobile polacca e da un ex ufficiale borbonico. Nell’infanzia girò
l’Europa con la famiglia, studiò irregolarmente a Monaco, Cannes, Nizza, si diplomò
nel 1898. Stabilitosi a Parigi nel 1902, si impiegò in banca, collaborò a importanti riviste
e partecipò alla vita artistica della città, frequentando i poeti Max Jacob e Marinetti, il
pittore Picasso, e André Breton, caposcuola del Surrealismo. Erano gli anni della rivoluzione cubista e Apollinaire nel 1913 scrisse il celebre saggio Pittori cubisti. Meditazioni
estetiche, con cui, difendendo Picasso e Georges Braque dalle critiche dei tradizionalisti,
divenne il principale teorico del movimento cubista. A sostegno della battaglia condotta
contro la tradizione dai futuristi, quello stesso anno si avvicinò alla rivista «Lacerba»
e pubblicò il manifesto L’antitradizione futurista. Allo scoppio della guerra si arruolò
come volontario, ma nel 1916 fu gravemente ferito a una tempia. Ritornato a Parigi,
non resistette all’epidemia di febbre spagnola e morì nel 1918.
Le opere
Apollinaire è stato autore di opere narrative (Il poeta assassinato, 1916), e di saggi
teorici, ma è diventato celebre soprattutto per le due raccolte di poesie, Alcools (1913),
cinquanta componimenti scritti fra il 1898 e il 1913, e Calligrammi (1918; dal greco
kalòs, “bello”, e grámma, “segno”; letteralmente, “belle immagini”), ottantasei componimenti «della pace e della guerra», di cui solo diciannove però hanno la struttura
del calligramma, cioè di una composizione figurata.
• Pablo Picasso, Guillaume
Apollinaire fotografato nello studio
di Picasso, ca. 1910-1912.
Dal Simbolismo allo sperimentalismo della poesia visiva
Le liriche della prima raccolta sono legate a tematiche simboliste e alla malinconica
musicalità di Verlaine (• p. 51), ma lo stile già risente del clima culturale cubista e futurista per l’eliminazione della punteggiatura e per alcune scelte grafiche. Le liriche di
Calligrammi sono invece contraddistinte dallo sperimentalismo metrico-stilistico:
• l’«ideogramma lirico» utilizza le possibilità figurative offerte dai segni verbali;
• il «poema-conversazione» rompe la gerarchia tra il prosastico e il poetico;
• il «testo simultaneo» guarda alla tecnica pittorica del cubismo e fonde poesia e
pittura, in linea con l’idea futurista dello sconfinamento tra le diverse arti.
Nei calligrammi il verso libero frantuma la rima, mentre la disposizione su piani
diversi delle parole spezza la tradizionale linearità del discorso poetico e crea immagini figurate. Questi procedimenti stilistici anticipano la tecnica surrealista della
«scrittura automatica», vale a dire la registrazione spontanea e passiva di tutto quello
che il pensiero suggerisce, senza la mediazione dell’intelletto (• 5 ).
La raccolta è divisa in sei parti: Onde, Stendardi, Rifugio d’Armans, Bagliori di fuoco,
Granata color di luna, La testa stellata.
GUIDA ALLO STUDIO
a. Che cosa si intende specificamente con il termine “calligramma”?
b. Quali forme e quali caratteristiche assume lo sperimentalismo metrico-stilistico nei Calligrammi?
1. La poesia delle Avanguardie in Europa
Guillaume Apollinaire
Copyright © 2012 Zanichelli Editore SpA, Bologna [6201der]
Questo file è un’estensione online del corso B. Panebianco, M. Gineprini, S. Seminara, LETTERAUTORI - edizione verde © Zanichelli 2012
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Percorso I generi
1. La poesia delle Avanguardie in Europa
5
testi
5
Il calligramma che presentiamo, tratto dalla sezione Onde, si legge dall’alto verso il basso di
ogni riga verticale.
Guillaume
Apollinaire
Calligrammi
Piove
in Poesie, trad. di M. Pasi,
Guanda, Milano, 1960
Traduzione
Piovono voci di donna come se fossero morte
anche nel ricordo. / Siete anche voi che piovete
meravigliosi incontri della mia vita o gocciolette. /
E quelle nuvole impennate cominciano a nitrire
tutto un universo di città auricolari. / Ascolta se
piove mentre il rimpianto e lo sdegno piangono
una musica antica. / Ascolta cadere i legami che ti
trattengono in alto e in basso.
1. La poesia delle Avanguardie in Europa
Guillaume Apollinaire
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ANALISI
E COMMENTO
Malinconia e tristezza
La lirica descrive una giornata di pioggia, che riporta alla memoria del poeta presenze femminili. Il lontano ricordo di quelle voci è per analogia associato alle gocce di
pioggia, mentre nuvole tempestose come cavalli impennati incombono sulla città
in ascolto. L’io lirico•, rivolgendosi a se stesso, ascolta il rumore della pioggia e il
rimpianto e lo sdegno risuonano nel suo animo come una musica antica. La pioggia
libera l’animo del poeta sia dal legame con le cose terrene sia da tensioni spirituali.
Poesia visiva
Il poeta dispone le lettere in corpo grafico molto piccolo, irregolari e oblique secondo
criteri estetici che suggeriscono visivamente l’idea della pioggia e comunicano al
lettore la sensazione di malinconia e di tristezza.
LAVORIAMO
SUL TESTO
1. Lo sperimentalismo metrico. Per quale ragione possiamo affermare che la lirica
corrisponde alla definizione di “calligramma”?
2. Il linguaggio figurato. Individua le numerose metafore• presenti nel testo e rifletti
sullo stato d’animo che esse comunicano.
3. L’eredità del Simbolismo. Nonostante l’innovazione grafica, nella lirica è possibile
cogliere l’influenza del Simbolismo sul piano sia tematico sia stilistico: giustifica
questa affermazione, riflettendo sul procedimento retorico utilizzato da Apollinaire
e sul suo stato d’animo.
4. L’influenza del Futurismo. Analizza gli aspetti formali della lirica alla luce dei principi teorici del Manifesto tecnico della letteratura futurista di Marinetti (• Focus, p. 386).
• Giorgio De Chirico, Ritratto di
Apollinaire, 1914. Parigi, Musée
National d’Art Moderne Georges
Pompidou.
Il primo Novecento
I generi: La lirica
2
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Percorso I generi
2. La poesia delle Avanguardie in Italia e l’Ermetismo
Sergio
Corazzini
La vita
Sergio Corazzini nacque a Roma nel 1886 da una famiglia benestante. In seguito al
dissesto economico del padre, proprietario di una tabaccheria, interruppe gli studi
e si impiegò in una compagnia di assicurazioni. Frequentò un cenacolo di poeti,
tra i quali figuravano Alberto Tarchiani, Corrado Govoni e Fausto Maria Martini,
cui fu legato da profonda amicizia. Colpito da una grave forma di tubercolosi, morì
giovanissimo nel 1907.
Le opere
Tra le sue raccolte poetiche si ricordano Dolcezze (diciassette liriche, 1904); L’amaro
calice (dieci liriche, 1905); Le aureole (dodici liriche, 1905); Piccolo libro inutile (otto
liriche, 1906; contiene anche poesie di Tarchiani); Elegia (un solo componimento
di ottantatré versi, 1916); Libro per la sera della domenica (dieci liriche, 1906). Fausto
Maria Martini curò una raccolta postuma della sua produzione col titolo Liriche, successivamente confluita nel volume Poesie edite e inedite. L’ispirazione di Corazzini,
delicata e complessa insieme, dà vita a immagini quotidiane e sviluppa temi tipicamente crepuscolari: il senso della solitudine, dell’abbandono, l’angoscia esistenziale,
la malattia, la morte. Il tono è languido e malinconico, con esiti formali interessanti
e innovativi, soprattutto per la modulazione del verso libero.
L’inutilità della poesia
Sul frontespizio della raccolta Piccolo libro inutile si legge che l’autore non ha osato
dichiarare il prezzo del libro, perché lo ritiene inutile e pensa che nessuno lo comprerà. Corazzini intende dire che la poesia non ha più una funzione sociale, è «inutile»
in una società utilitaristica che ha ridotto anche l’arte a merce.
Scomparsa la figura tradizionale del poeta-vate e perso il privilegio sociale, il poeta
è ora «un piccolo fanciullo che piange», che rifiuta anche il nome di poeta. Egli è
un individuo come gli altri, che dà voce al dolore degli uomini: si differenzia dalla
gente comune solo per una dolorosa consapevolezza della vita che se ne va e per una
tensione verso esperienze mistiche (• 6 ).
GUIDA ALLO STUDIO
a. Quali sono i temi tipicamente crepuscolari affrontati nelle poesie di Corazzini?
b. Qual è la soluzione metrica privilegiata dal poeta?
c. Per quale motivo Corazzini ritiene inutile la funzione sociale della poesia?
d. Secondo Corazzini, che cosa accomuna e distingue il poeta dagli altri uomini?
2. La poesia delle Avanguardie in Italia e l’Ermetismo
Sergio Corazzini
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Percorso I generi
2. La poesia delle Avanguardie in Italia e l’Ermetismo
Questa lirica del 1906, tra le più celebri del Piccolo libro inutile, esprime la tristezza del poeta
che, in un intimo colloquio con il dolore, definisce se stesso dolce e pensoso fanciullo.
Le otto strofe• di varia lunghezza sono in versi• liberi di diversa misura e sciolti, senza
legame di rima.
6
Sergio Corazzini
Poesie edite e inedite
Desolazione
del povero poeta
sentimentale
a cura di S. Jacomuzzi, Einaudi,
Torino, 1968
5
P
I
erché tu mi dici: poeta?
Io non sono un poeta.
Io non sono che un piccolo fanciullo che piange.
Vedi: non ho che le lagrime da offrire al Silenzio.
Perché tu mi dici: poeta?
II
Le mie tristezze sono povere tristezze comuni.
Le mie gioie furono semplici,
semplici così, che se io dovessi confessarle a te arrossirei.
Oggi io penso a morire.
III
10 Io voglio morire, solamente, perché sono
solamente perché i grandi angioli
su le vetrate delle catedrali
mi fanno tremare d’amore e d’angoscia;
11. i grandi angioli: gli angeli
solamente perché, io sono, oramai,
rappresentati sui vetri delle
15 rassegnato come uno specchio,
cattedrali.
15. rassegnato come uno come un povero specchio melanconico.
stanco;
specchio: inerte come uno
specchio, che riflette passivamente ciò che gli si pone Vedi che io non sono un poeta:
innanzi.
sono un fanciullo triste che ha voglia di morire.
16. melanconico: malinconico.
19. maravigliarti: meravi- IV
gliarti.
Oh, non maravigliarti della mia tristezza!
21. vane: inutili, vuote.
25. sgranare: recitare.
20 E non domandarmi;
26. davanti… dolente: al
io non saprei dirti che parole così vane,
cospetto della mia anima, sofferente come quella della
Dio mio, così vane,
Vergine Addolorata, raffigu che mi verrebbe di piangere come se fossi per morire.
rata trafitta da sette spade, cioè dai sette peccati capitali.
Le mie lagrime avrebbero l’aria
29. avvenisse: accadesse.
25
di sgranare un rosario di tristezza
30-31. Io mi comunico…
davanti alla mia anima sette volte dolente
romori: entro in comunica- zione quotidianamente con ma io non sarei un poeta;
il silenzio, cioè con Dio, come
sarei, semplicemente, un dolce e pensoso fanciullo
se fosse la comunione con il corpo di Cristo. Il tramite di cui avvenisse di pregare, così, come canta e come dorme.
questa comunione spirituale
sono i rumori del mondo,
paragonati a dei sacerdoti, V
attraverso i quali il poeta per30
Io
mi
comunico
del
silenzio,
cotidianamente, come di Gesù.
cepisce il silenzio ed entra in
comunicazione con Dio.
E i sacerdoti del silenzio sono i romori,
2. La poesia delle Avanguardie in Italia e l’Ermetismo
Sergio Corazzini
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testi
6
poi che senza di essi io non avrei cercato e trovato il Dio.
VI
Questa notte ho dormito con le mani in croce.
Mi sembrò di essere un piccolo e dolce fanciullo
35 dimenticato da tutti gli umani,
povera tenera preda del primo venuto;
e desiderai di essere venduto,
di essere battuto
di essere costretto a digiunare
40 per potermi mettere a piangere tutto solo,
disperatamente triste,
in un angolo oscuro.
VII
Io amo la vita semplice delle cose.
Quante passioni vidi sfogliarsi, a poco
45 per ogni cosa che se ne andava!
Ma tu non mi comprendi e sorridi.
E pensi che io sia malato.
VIII
32. poi che: poiché.
Oh, io sono, veramente malato!
33. con le mani in croce:
allusione alla posizione con E muoio, un poco, ogni giorno.
cui sono ricomposti i defunti,
50 Vedi: come le cose.
dopo la morte.
36. preda: vittima.
Non sono, dunque, un poeta:
44. sfogliarsi: cadere come le
io so che per essere detto: poeta,
foglie, svanire.
53. ben altra vita: la vita at- viver ben altra vita!
tiva e mondana, come quella
Io non so, Dio mio, che morire.
del collega D’Annunzio.
55. Amen: così sia.
55Amen.
ANALISI
E COMMENTO
a poco,
conviene
Malattia e poesia
Corazzini si rivolge a un immaginario interlocutore e in primo luogo a se stesso: il
tono sommesso, con riferimenti religiosi e immagini mistiche, lascia emergere dolore, malinconia, rimpianto, autoconsunzione. Sembra quasi che, abbandonato ogni
tipo di spiritualismo di maniera, il poeta si lasci per così dire morire in comunione silenziosa e intima con Dio (la morte di Corazzini, tra l’altro, avverrà di lì a pochi mesi).
Lo sviluppo tematico
Prima strofa
Corazzini proclama l’impossibilità di essere detto poeta, nel senso tradizionale del termine: la sua condizione esistenziale è quella di un fanciullo che piange e offre le proprie lacrime al Silenzio, presagio di morte e
divinità in cui rifugiarsi, lontano dalle lotte rumorose della vita.
Seconda strofa
Il poeta afferma che la propria vita è fatta di povere tristezze comuni e di gioie tanto semplici da farlo arrossire nel confessarle. Egli pensa alla morte.
Terza strofa
Egli trema d’angoscia davanti alla realtà e invoca la morte, perché stanco di vivere: accetta passivamente
ogni cosa e si sente come uno specchio che riflette la triste esistenza dell’uomo.
Il primo Novecento
I generi: La lirica
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Quarta strofa
Il poeta sottolinea l’incapacità di comunicare certezze e messaggi definitivi: egli potrebbe dire solo parole
inutili e prive di significato. Così facendo, si sentirebbe triste, come se stesse per morire: le sue lacrime
sono come le perle di un rosario.
testi
6
Quinta strofa
Il poeta afferma che ogni giorno fa la comunione non con il corpo di Cristo, ma con il silenzio, nel quale percepisce la presenza di Dio: le lotte della vita lo hanno portato alla scoperta di Dio.
Sesta strofa
Egli dorme, componendo le mani in croce, secondo un’immagine che ricorda ancora la morte: desidera essere, come Cristo, umiliato e percosso, ed esprime un desiderio di pianto e di solitudine.
Settima strofa
Corazzini proclama il suo amore per una vita semplice: le passioni giovanili si sono spente e lo hanno privato della gioia di vivere. Si dice incompreso dagli uomini e se ne compiace: la sua è una malattia morale, che
consiste nel rifiuto dell’esistenza.
Ottava strofa
Egli afferma che vivere significa morire lentamente. Affidando alla parola poetica il messaggio della vita
che se ne va, è consapevole che il proprio ideale di poesia non può essere riconosciuto come tale dai contemporanei, che seguono i poeti dalla vita mondana: non gli resta che morire.
La nuova condizione del poeta
Il titolo racchiude emblematicamente la tematica della lirica ed è una vera e propria
dichiarazione di poetica. La Desolazione esprime, infatti, la condizione esistenziale
del poeta stanco di vivere e la poesia è fatta di sentimenti comuni, come semplice
(povero) è l’animo del poeta.
Stile prosastico
Lo stile semplice e piano si coniuga con lo stato d’animo e con la visione del mondo
del poeta. Il linguaggio è quotidiano e gli aggettivi appartengono all’area semantica•
crepuscolare della sofferenza e della tristezza (povero, piccolo, stanco, triste). Al contrario,
la forma ortografica arcaica di alcune parole (lagrime, angioli, catedrali, cotidianamente,
romori) indica una ricercatezza letteraria. La ripetizione delle parole chiave ha la funzione
di compensare il ritmo frammentario delle strofe (semplici-semplici; solamente-solamente;
triste-tristezza; vane-vane; malato-malato). Il tessuto sintattico, caratterizzato da brevi periodi, presenta due proposizioni consecutive (v. 8; vv. 22-23) che danno ai versi un andamento prosastico; le esclamative e le interrogative creano un senso di sospeso stupore.
Le metafore religiose
Molti versi esprimono un desiderio di passività, rinuncia di vivere e desiderio di
morte spesso attraverso l’utilizzo di metafore• religiose. Le immagini della liturgia
cristiana avvicinano la lirica a una sorta di preghiera e, al di là dell’esperienza individuale, conferiscono un significato assoluto alla condizione esistenziale del poeta.
LAVORIAMO
SUL TESTO
1. La struttura. Completa la tabella assegnando a ciascuna strofa un titolo che ne
riassuma il contenuto.
Prima strofa
...............................................................
Seconda strofa
...............................................................
Terza strofa
...............................................................
Quarta strofa
...............................................................
Quinta strofa
...............................................................
Sesta strofa
...............................................................
Settima strofa
...............................................................
Ottava strofa
...............................................................
2. La poesia delle Avanguardie in Italia e l’Ermetismo
Sergio Corazzini
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3
2. Il poeta. Per quale motivo Corazzini sostiene di non poter essere definito poeta?
Che cosa gli manca per diventarlo?
3. Gli elementi crepuscolari. Individua nel testo gli elementi tipicamente crepuscolari.
4. La polemica antidannunziana. Nell’ultima strofa della lirica è possibile scorgere
una implicita accusa nei confronti del dannunzianesimo allora imperante: giustifica
questa affermazione con opportuni riferimenti al testo.
5. Metafore religiose. Individua le metafore religiose presenti nel testo e spiegane il
significato.
6. Le cose comuni. Rileggi la poesia e rintraccia tutti i riferimenti alla grigia semplicità della vita quotidiana e dei suoi oggetti, tòpos ricorrente nella lirica crepuscolare.
7. Lo stile. Sul piano dello stile si possono individuare tre aspetti nuovi e interessanti
nella lirica. Quali? Analizza la forma, la metrica e il linguaggio.
Il primo Novecento
I generi: La lirica
4
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Percorso I generi
2. La poesia delle Avanguardie in Italia e l’Ermetismo
Il poemetto appartiene alla terza e ultima sezione dei Colloqui (1911). Gozzano delinea il ritratto culturale ed esistenziale dell’artista e, con distacco ironico, adombra se stesso nel
personaggio di Totò Merùmeni.
Il metro è in quartine (strofe di quattro versi) di doppi settenari• (o “martelliani”) a rima
alternata secondo lo schema prevalente ababcdcd ecc.; solo due quartine (vv. 13-16; 29-32)
seguono lo schema abba a rima incrociata.
7
Guido Gozzano
I colloqui
Totò
Merùmeni
in Tutte le poesie, a cura
di A. Rocca e M. Guglielminetti,
Mondadori, Milano, 1983
C
I
ol suo giardino incolto, le sale vaste, i bei
balconi secentisti guarniti di verzura,
la villa sembra tolta da certi versi miei,
sembra la villa-tipo, del Libro di Lettura…
5
Pensa migliori giorni la villa triste, pensa
gaie brigate sotto gli alberi centenari,
banchetti illustri nella sala da pranzo immensa
e danze nel salone spoglio da gli antiquari.
10
Ma dove in altri tempi giungeva Casa Ansaldo,
Casa Rattazzi, Casa d’Azeglio, Casa Oddone,
s’arresta un automobile fremendo e sobbalzando;
villosi forestieri picchiano la gorgòne.
15
S’ode un latrato e un passo, si schiude cautamente
la porta… In quel silenzio di chiostro e di caserma
vive Totò Merùmeni con una madre inferma,
una prozia canuta ed uno zio demente.
II
Totò ha venticinque anni, tempra sdegnosa,
molta cultura e gusto in opere d’inchiostro,
2. secentisti: di gusto baroc
scarso cervello, scarsa morale, spaventosa
co tipico del Seicento; verzura: erbe e piante.
20 chiaroveggenza: è il vero figlio del tempo nostro.
3. versi miei: Gozzano nella
sua raccolta del 1907, La via del rifugio, aveva descritto la
casa del nonno materno ad Agliè nel Canavese.
8. spoglio… antiquari: spo gliato dagli antiquari, che
avevano acquistato i mobili
e gli arredi della nobiltà pie- 25
montese decaduta.
9-10. Casa Ansaldo… Oddo ne: famiglie nobili e dell’alta
borghesia piemontese, che solitamente frequentavano
la villa.
11. un automobile: vocabolo
all’epoca di genere maschile.
12. villosi forestieri: visitatori
impellicciati; gorgòne: il battente che raffigura la testa
della Gorgòne o Medusa, uno
dei mostri mitologici greci.
Non ricco, giunta l’ora di «vender parolette»
(il suo Petrarca!…) e farsi baratto o gazzettiere,
Totò scelse l’esilio. E in libertà riflette
ai suoi trascorsi che sarà bello tacere.
Non è cattivo. Manda soccorso di danaro
al povero, all’amico un cesto di primizie;
non è cattivo. A lui ricorre lo scolaro
pel tema, l’emigrante per le commendatizie.
17. tempra sdegnosa: carattere
distaccato e schivo.
18. opere d’inchiostro: opere
poetiche. È una citazione dal
Proemio dell’Orlando furioso di
Ariosto (I, 3, 6).
21. «vender parolette»: è una ci-
tazione dal Canzoniere di Petrarca
(CCCLX, v. 81).
22. baratto o gazzettiere: il
barattiere (nel Medioevo, chi
teneva un banco di gioco nelle
piazze) guadagna in modo illecito
sfruttando la sua carica pubblica
(i barattieri sono condannati
nell’Inferno di Dante, canti XXIXXII). Il gazzettiere è il giornalista
in senso dispregiativo.
28. per le commendatizie: per
farsi scrivere lettere di raccomandazione.
2. La poesia delle Avanguardie in Italia e l’Ermetismo
Guido Gozzano
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1
testi
7
30
Gelido, consapevole di sé e dei suoi torti,
non è cattivo. È il buono che derideva il Nietzsche
«…in verità derido l’inetto che si dice
buono, perché non ha l’ugne abbastanza forti…».
35
Dopo lo studio grave, scende in giardino, gioca
coi suoi dolci compagni sull’erba che l’invita;
i suoi compagni sono: una ghiandaia rôca,
un micio, una bertuccia che ha nome Makakita…
III
La Vita si ritolse tutte le sue promesse.
Egli sognò per anni l’Amore che non venne,
sognò pel suo martirio attrici e principesse
40 ed oggi ha per amante la cuoca diciottenne.
Quando la casa dorme, la giovanetta scalza,
fresca come una prugna al gelo mattutino,
giunge nella sua stanza, lo bacia in bocca, balza
su lui che la possiede, beato e resupino…
IV
45 Totò non può sentire. Un lento male indomo
inaridì le fonti prime del sentimento;
l’analisi e il sofisma fecero di quest’uomo
ciò che le fiamme fanno d’un edificio al vento.
50
Ma come le ruine che già seppero il fuoco
esprimono i giaggioli dai bei vividi fiori,
quell’anima riarsa esprime a poco a poco
una fiorita d’esili versi consolatori…
V
Così Totò Merùmeni, dopo tristi vicende,
quasi è felice. Alterna l’indagine e la rima.
55 Chiuso in sé stesso, medita, s’accresce, esplora,
la vita dello Spirito che non intese prima.
60
30-32. È il buono… forti: l’espressione è ripresa da Così parlò
Zarathustra del filosofo tedesco
Nietzsche (1844-1900). Attraverso la voce del profeta Zarathustra, Nietzsche auspica l’avvento
del superuomo. ugne: unghie.
35-36. ghiandaia rôca… Makakita: la ghiandaia è un uccello
stridulo, con ciuffo di piume sulla
testa e becco nero, che si nutre di
ghiande. La bertuccia è una picco-
intende
Perché la voce è poca, e l’arte prediletta
immensa, perché il Tempo – mentre ch’io parlo! – va.
Totò opra in disparte, sorride, e meglio aspetta.
E vive. Un giorno è nato. Un giorno morirà.
la scimmia, con un nome strano
ed esotico, Makakita. Il gusto per
l’esotico, caratteristico degli esteti di fine Ottocento, qui si limita
al possesso della scimmietta.
37. si ritolse: si riprese.
39. pel suo martirio: per il suo
tormento.
44. resupino: disteso sulla
schiena.
45. Totò… sentire: è incapace di
provare sentimenti vitali e genui-
ni; indomo: inguaribile.
47. sofisma: ragionamento cavilloso, caratteristico della scuola
filosofica presocratica dei sofisti.
49. ruine: rovine; seppero: conobbero.
50. esprimono: fanno spuntare.
52. una fiorita: una fioritura.
54. l’indagine e la rima: l’analisi
filosofica e l’attività poetica.
55. s’accresce: si coltiva spiritualmente.
56. la vita dello Spirito: astratte
ricerche interiori.
59. opra: lavora (componendo
poesie).
60. Un giorno… morirà: l’esistenza di Totò è racchiusa tra il giorno
in cui è nato e la data del giorno
in cui dovrà morire. L’espressione
traduce quasi letteralmente un
verso del poeta belga Francis
Jammes (1868-1938).
Il primo Novecento
I generi: La lirica
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ANALISI
E COMMENTO
Isolamento e inettitudine
Totò Merùmeni vive nel silenzio di una vecchia villa aristocratica, che nel passato
aveva ospitato illustri famiglie piemontesi e ora, invece, è frequentata da forestieri
dall’aspetto volgare, segno del mutamento dei tempi. La sua famiglia è tutta particolare, in senso negativo: con lui convivono infermità, vecchiaia e follia, rappresentati
grottescamente da esseri ridotti a ombre (una madre inferma, una prozia canuta,
uno zio demente).
Intellettualismo, amore e malattia
Anche Totò ha le caratteristiche di un eroe negativo: è gelido e indifferente, consapevole delle proprie debolezze, è inoffensivo, ma non sa amare. In sintesi è un
inetto, è la controfigura degradata del superuomo: la vita con lui non ha mantenuto
le promesse, i sogni di gloria sono stati delusi e anche l’amore ideale e sublime si è
rivelato un inganno. Per anni ha tragicamente sognato l’amore di donne teatrali e
principesche, ma oggi ha una prosaica relazione con una serva diciottenne. Il male
morale di Totò sono le complicazioni intellettualistiche (l’analisi e il sofisma), che lo
rendono insensibile, come le fiamme che bruciano un edificio.
La consolazione della poesia
Come dalle rovine di un edificio sbocciano i giaggioli, così Totò produce una fioritura
di pochi e tenui versi che arrecano consolazione alla sua anima. Egli vive quasi felice, alternando la poesia alla meditazione, consapevole che se la voce di un poeta ha
durata breve, al contrario la poesia è eterna. Deluse le aspirazioni e crollati i sogni di
una vita eccezionale, non gli resta che accettare il proprio destino e aspettare inerte
la fine dell’esistenza.
Il ritratto dell’artista: un antieroe
Gozzano raffigura ironicamente se stesso come un antieroe, un inetto: pur essendo tentato dai miti nietzscheani e dannunziani di una vita eccezionale (come gran
parte della generazione del suo tempo), egli è incapace di viverli in prima persona,
quindi fa la scelta opposta e preferisce la condizione di isolamento e inattività. Unico
gesto deciso è il suo rifiuto di vendere parolette, ossia di diventare un mestierante
che commercia parole, a sottolineare l’incompatibilità tra la poesia e il materialismo
del mondo borghese. È l’intellettuale che crede nell’autonomia dell’arte e aspira a
una vita «per le lettere e con le lettere», anche se una scelta come questa non incide
sulla realtà.
Lessico quotidiano e lessico letterario
Al tono colloquiale, al lessico quotidiano e all’andamento prosastico, scandito dall’adozione del verso
lungo, si accompagnano scelte stilistiche auliche
con frequenti citazioni letterarie (Petrarca, Ariosto,
Nietzsche). L’assonanza• Nietzsche-dice sottolinea
la polemica sottile nei confronti di quanti in Italia
hanno fatto di Nietzsche il loro mito.
• Domenico Cantatore,
Autoritratto, 1925. Bari, Pinacoteca
Provinciale.
2. La poesia delle Avanguardie in Italia e l’Ermetismo
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testi
7
LAVORIAMO
SUL TESTO
1. La struttura. Assegna a ogni strofa un titolo che ne riassuma il contenuto.
2. L’ambiente degradato. Per quale motivo possiamo affermare che la villa triste in
cui abita Totò rappresenta lo scontro tra il passato e il presente? Quali trasformazioni
sociali vengono emblematicamente rappresentate dallo stato di abbandono in cui si
trova?
3. La vita di Totò. Completa la mappa in cui si visualizzano le condizioni esistenziali
del giovane protagonista della lirica.
Totò
convive con
ha riconosciuto
ha rifiutato
L’infermità
............
............
La prozia
............
............
ha perduto
La sua
inettitudine
Il fallimento
............
I sogni d’amore
opposta a
sostituiti da
hanno determinato
L’autonomia
intellettuale
............
............
............
Una condizione
4. Il rifiuto del superomismo. In quali versi Gozzano esplicita la propria condanna del
mito del superuomo? A quali “incapacità” di Totò viene addebitata la sua incapacità
di adeguarsi alla logica nietzscheana?
5. La funzione della poesia. Quale effetto producono su Totò gli esili versi che la sua
anima riarsa di tanto in tanto compone?
6. I richiami letterari. Con l’aiuto delle note individua le numerose citazioni di autori
classici e contemporanei presenti nella lirica e spiega quale effetto producono questi
ripetuti rinvii al mondo dell’arte.
PARLARE
7. Un confronto con un personaggio pirandelliano. Confronta la situazione in cui si
trovano Totò e Belluca, il protagonista di Il treno ha fischiato (• T32), e la risposta che
essi danno alla loro esistenza, cercando di cogliere analogie e differenze. Esponi le
tue considerazioni in un intervento di 10 minuti circa.
Il primo Novecento
I generi: La lirica
4
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Questo file è un’estensione online del corso B. Panebianco, M. Gineprini, S. Seminara, LETTERAUTORI - edizione verde © Zanichelli 2012
Percorso I generi
2. La poesia delle Avanguardie in Italia e l’Ermetismo
Camillo
Sbarbaro
La vita
Nato nel 1888 a Santa Margherita Ligure, Camillo Sbarbaro visse a lungo a Genova,
dove, terminati gli studi, trovò dapprima un impiego presso un’industria siderurgica,
poi intraprese l’insegnamento del greco. Nel 1914 pubblicò la sua prima raccolta in
versi sulla rivista letteraria «La Voce» e partecipò, ma senza l’entusiasmo di tanti
altri intellettuali, alla Prima guerra mondiale nelle file della Croce Rossa. Costretto
ad abbandonare l’insegnamento per aver rifiutato l’iscrizione al partito fascista, visse
lontano dal clamore degli ambienti politici e culturali, dando ripetizioni di latino e
greco e svolgendo un’importante attività di traduttore di autori greci (Sofocle) e francesi (Stendhal, Flaubert, Huysmans). A partire dal 1951 si ritirò a Spotorno, dove, con
la sorella, mise insieme un’interessante collezione di muschi e licheni, per la quale
ottenne anche dei riconoscimenti internazionali. Morì a Savona nel 1967.
Le opere
• Ritratto fotografico di Camillo
Sbarbaro.
• Mario Sironi, Periferia, 1922. Milano,
Collezione privata.
Le opere principali di Sbarbaro sono le raccolte di versi Resine (1911), Pianissimo (1914),
Versi a Dina (1931), Rimanenze (1955), e le prose liriche Trucioli (1920) e Fuochi fatui
(1956). Le componenti stilistiche della sua poesia avevano inizialmente collocato Sbarbaro nell’ambito dell’espressionismo vociano; più recentemente la critica sottolinea
la sua vicinanza a una certa tradizione, in particolare leopardiana, per il profondo
pessimismo che anima le sue liriche.
Lontano dall’ironia di Gozzano – cui peraltro il critico Mengaldo lo avvicina, oltre
che per i comuni interessi scientifici, per il «nichilismo apatico» – come dall’entusiasmo futurista per la civiltà delle macchine, Sbarbaro guarda con pessimismo alle
forme di vita alienata della società di massa.
A Leopardi e a Baudelaire rimandano, in particolare, i versi di Pianissimo, una sorta
di diario morale, i cui motivi dominanti sono i temi della scissione dell’io, dell’individuo ridotto a oggetto, che si guarda vivere dall’esterno, dell’aridità e della «assenza
di vita», che traducono, attraverso l’apatia e l’estraniamento dalla realtà, l’incapacità
esistenziale di aderire al mondo.
Lo stile antiespressionistico
Lo stile è lontano dalla tensione espressionistica di altri vociani: nelle liriche di Sbarbaro
mancano la violenza verbale e la destrutturazione della sintassi, mentre dominano il tono
prosastico, semplice e dalla musicalità sommessa.
GUIDA ALLO STUDIO
a. A quale Avanguardia fu avvicinato Sbarbaro?
E a tale proposito quali sono gli orientamenti
più recenti della critica?
b. Quali sono i temi affrontati dal poeta nelle liriche di Pianissimo?
c. Quali sono le principali caratteristiche formali
della poesia di Sbarbaro?
2. La poesia delle Avanguardie in Italia e l’Ermetismo
Camillo Sbarbaro
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1
Percorso I generi
2. La poesia delle Avanguardie in Italia e l’Ermetismo
La lirica, scritta nel 1913, apre il volume Pianissimo, del quale enuncia la tematica centrale:
la rassegnazione disperata dell’individuo dinanzi a un mondo sempre più incomprensibile,
che sta per essere travolto dalla guerra. Il metro è in versi• liberi, prevalentemente endecasillabi•.
8
Camillo Sbarbaro
Pianissimo
T
Taci, anima
stanca
di godere aci, anima stanca di godere
e di soffrire (all’uno e all’altro vai
rassegnata).
Nessuna voce tua odo se ascolto:
in L’opera in versi e in prosa,
a cura di G. Lagorio e V. Scheiwiller,
5 non di rimpianto per la miserabile
Garzanti, Milano, 1985
giovinezza, non d’ira o di speranza,
e neppure di tedio.
Giaci come
il corpo, ammutolita, tutta piena
10 d’una rassegnazione disperata.
15
20
Non ci stupiremmo,
non è vero, mia anima, se il cuore
si fermasse, sospeso se ci fosse
il fiato…
Invece camminiamo,
camminiamo io e te come sonnambuli.
E gli alberi son alberi, le case
sono case, le donne
che passano son donne, e tutto è quello
che è, soltanto quel che è.
La vicenda di gioia e di dolore
non ci tocca. Perduto ha la voce
la sirena del mondo, e il mondo è un grande
deserto.
25
Nel deserto
io guardo con asciutti occhi me stesso.
triste giovinezza (perché vissuta
nell’apatia), né di ribellione, né di
speranza, neppure di noia (tedio).
Il verbo Taci è all’indicativo presente ed esprime una constatazione del poeta, come si osserva
anche al v. 4.
8-10. Giaci… disperata: sei ferma come il corpo, nel silenzio di
un’angoscia lucida e rassegnata,
priva di speranza (disperata).
11-14. Non… il fiato: non ci si stupirebbe neppure se il respiro
o il cuore si arrestassero.
21. La vicenda: l’alternarsi.
22. non ci tocca: non ci riguarda.
22-24. Perduto… deserto: il mondo ha perso ogni lusinga, come
una delle sirene incantatrici che
abbia perduto la voce. Le sirene
sono figure mitiche, metà donna
e metà pesce, che con il loro canto melodioso attiravano
i naviganti.
26. con asciutti occhi: senza
piangere.
1-7. Taci… tedio: tu taci, anima
stanca di gioire e di soffrire, sei
(vai) passiva nell’uno e nell’altro
(sia nella gioia, sia nel dolore).
Ascolto, e nessuna voce è possibile udire, né di rimpianto per la
ANALISI
E COMMENTO
Alienazione e smarrimento dell’identità
In un colloquio interiore con la propria anima il poeta constata che essa non prova
più alcuna emozione, né di gioia né di dolore. L’anima ha perso la sua leggerezza
vitale, è inerte come la materia, in uno stato di rassegnazione disperata di fronte alla
perdita di valore del mondo e di attrattiva delle cose. Ogni elemento della realtà
(la natura, le cose, gli uomini), chiuso nei contorni irrigiditi delle proprie forme,
frammento privo di senso, non esiste altro che in se stesso. Al poeta non resta che
2. La poesia delle Avanguardie in Italia e l’Ermetismo
Camillo Sbarbaro
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1
testi
8
constatare il suo stato di separatezza, sentirsi solo e alienato, oggetto tra altri oggetti
in un mondo ridotto a deserto.
Estraniamento dalla realtà
L’esistenza è ridotta a un vagabondaggio da sonnambulo e l’io lirico• è come un
automa che riproduce gesti meccanici. La condizione di estraniamento dalle cose
propria della coscienza di Sbarbaro si esprime nella materializzazione dell’anima,
ridotta all’anonimato del corpo, a sua volta ipoteticamente privo di vita (Non ci stupiremmo… / mia anima, se il cuore / si fermasse, vv. 11-13). Il mondo esterno è pura materialità presente nella sua banale evidenza oggettiva, ma in quest’arida dimensione
esistenziale il poeta sa comunque trovare il coraggio di guardare in faccia la realtà e
se stesso senza illusioni e senza cedimenti (con asciutti occhi).
Stile prosastico
Testimone della coscienza tutta moderna dell’aridità del vivere, Sbarbaro è propenso
più che all’urlo e al lessico espressionistico di altri vociani, come Rebora, alla poesia
sussurrata a mezza voce. Il verso di apertura indica il tono sommesso e colloquiale,
tendenzialmente prosastico della lirica, in linea con l’atmosfera di assoluta inerzia,
culminante nell’ossimoro• della rassegnazione disperata. Poche le metafore• (la sirena
è il richiamo incantatore, il deserto è la vita) e le inversioni sintattiche (l’anastrofe•
anticipa l’aggettivo in asciutti occhi per evidenziare l’alienazione dell’uomo).
LAVORIAMO
SUL TESTO
1. L’ossimoro. Spiega il significato dell’espressione rassegnazione disperata (v. 10) e il
suo rapporto con il nucleo tematico della lirica.
2. Camminiamo, camminiamo. Per quale motivo l’io lirico si paragona a un sonnambulo? Quale relazione con il mondo esterno determina questa condizione esistenziale?
3. Il deserto e gli occhi asciutti. Leggi con attenzione gli ultimi versi della lirica: a
quale conclusione giunge il poeta? Quale destino lo attende e con quale stato d’animo
deve porsi dinanzi a esso?
4. Il silenzio. Per quale ragione possiamo affermare che il tema del silenzio domina
la lirica e le conferisce una struttura circolare?
5. Taci. A tuo giudizio, il verbo con cui inizia la poesia è un invito che l’io lirico rivolge
alla propria anima o è una constatazione? Giustifica la tua risposta con opportuni
riferimenti al testo.
Il primo Novecento
I generi: La lirica
2
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Percorso L’autore e l’opera
Umberto Saba
2. Il Canzoniere [Invito all’opera]
La lirica appartiene alla sezione 1944 (1944) e descrive una rappresentazione popolare nel Teatro degli Artigianelli, a Firenze. L’atmosfera è quella della riconquistata libertà dal nazismo.
Le tre strofe• di varia lunghezza sono composte da endecasillabi• sciolti, con un settenario• (v. 20).
9
Umberto Saba
Il canzoniere
Teatro degli
Artigianelli in Tutte le poesie, a cura di A. Stara,
Mondadori, Milano, 1988
F
alce martello e la stella d’Italia
ornano nuovi la sala. Ma quanto
dolore per quel segno su quel muro!
Entra, sorretto dalle grucce, il Prologo.
Saluta al pugno; dice sue parole
perché le donne ridano e i fanciulli
che affollano la povera platea.
Dice, timido ancora, dell’idea
che gli animali affratella; chiude: «E adesso
faccio come i tedeschi: mi ritiro».
Tra un atto e l’altro, alla Cantina, in giro
rosseggia parco ai bicchieri l’amico
dell’uomo, cui rimargina ferite,
gli chiude solchi dolorosi; alcuno
venuto qui da spaventosi esigli,
si scalda a lui come chi ha freddo al sole.
1-2. Falce… sala: i simboli del 5
socialismo e del Partito comu- nista ornano nuovamente la
sala del teatro (durante il ventennio fascista i partiti politici erano stati dichiarati illegali).
2-3. quanto… muro: quanto
dolore è costata la possibilità 10
di esporre liberamente quel simbolo (era stata vietata
d’autorità l’esposizione della bandiera del Partito comuni- sta), dove prima si vedevano
solo fasci e croci uncinate. 4-5. Entra… sue parole: il
15
presentatore dello spettacolo
è un mutilato di guerra che cammina con le stampelle
Questo è il Teatro degli Artigianelli,
(grucce), saluta il pubblico in sala alzando il braccio sinistro
quale lo vide il poeta nel mille
col pugno chiuso, secondo
novecentoquarantaquattro, un giorno
l’uso comunista, e pronuncia
qualche battuta; Prologo:
20 di Settembre, che a tratti
nella commedia classica,
rombava ancora il cannone, e Firenze
prima dell’inizio della rappre taceva, assorta nelle sue rovine.
sentazione, un attore (detto Prologo) entrava in scena per
spiegare alcuni elementi della
trama della commedia.
fascismo e la guerra sono
socialismo.
8-9. Dice… affratella: parla
ancora vicini) dell’ideale di
9-10. chiude… ritiro: concluin modo ancora timido (il
giustizia e di fratellanza del
de il suo intervento con una
ANALISI
E COMMENTO
testi
9
battuta comica nei confronti
dell’esercito tedesco in ritirata.
11-16. Tra un atto… al sole: tra
un atto e l’altro, nella piccola
osteria (Cantina) annessa al
teatro, rosseggia, a piccole dosi (parco), nei bicchieri portati
in giro, il vino, amico dell’uomo, perché rimargina le ferite
e fa dimenticare i dolori e le
sofferenze; qualcuno (alcuno),
appena ritornato dalla guerra
o dalla prigionia (venuto qui da
spaventosi esigli), si scalda al
vino (a lui) come chi ha freddo
si scalda al sole.
20-21. a tratti… cannone: a
tratti si sentivano le cannonate dal fronte ancora vicino.
Esperienze e valori condivisi
Il poeta, nell’atmosfera di liberazione dal nazifascismo, esprime solidarietà fraterna
per gli umili, ai quali si sente unito da esperienze e valori comuni. Nei versi, privi
di toni celebrativi e retorici, si intrecciano gioia (per la ripresa della vita, la ritrovata
libertà di parlare e di incontrarsi, il calore del vino) e dolore (per le conseguenze
tragiche delle persecuzioni razziali e della guerra).
La prima strofa descrive la sala ornata di simboli nuovi, che sono costati tante sofferenze. La seconda ricrea l’atmosfera di contentezza triste che regna nel teatro: dalla
figura del Prologo che, pur nella sua condizione di mutilato, cerca di far ridere donne
e bambini e riafferma la fede nell’ideale di giustizia e fratellanza del socialismo, agli
uomini che si scaldano al calore del vino per dimenticare le sofferenze patite.
Invito all’opera
2. Il Canzoniere
Copyright © 2012 Zanichelli Editore SpA, Bologna [6201der]
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Nella terza strofa il poeta ribadisce la verità del racconto collocando la vicenda di cui
è stato osservatore, partecipe e distaccato insieme, in un luogo e una data precisi, come
a sottolinearne la sua qualità storica, rafforzata negli ultimi due versi dalla notazione dei
cannoni che a pochi chilometri di lì rombano ancora, nel silenzio che avvolge Firenze.
Sentimenti di affratellamento
La poesia fotografa un momento storico preciso: nell’agosto del 1944 gli Alleati liberarono Firenze e costrinsero i tedeschi ad arretrare al di là della cosiddetta “Linea
gotica”, che dalla dorsale appenninica tosco-emiliana correva fino all’Adriatico. Per
Saba, che da anni viveva clandestinamente a Firenze, la liberazione della città fu
come la fine di un incubo. Scrisse in quel periodo un gruppo di cinque poesie, tra
cui Teatro degli Artigianelli, pubblicata su un quotidiano. L’occasione della lirica è
così raccontata dal poeta in Storia e cronistoria del Canzoniere: «Teatro degli Artigianelli
passò per essere una poesia volutamente comunista. Lo è per “l’ambiente” e per il
verso iniziale: Falce martello e la stella d’Italia, emblema che il poeta vide per la prima
volta, in luogo dei fasci e della croce uncinata, sulle bianche nude pareti della povera
sala. In realtà Saba si commosse assistendo, dopo la lunga orribile prigionia, ad una
rappresentazione popolare, dentro la cornice di uno di quei teatrini suburbani sempre cari alla sua Musa [ispirazione poetica], amante degli umili».
Lo stile
Nella discorsività della lirica si inseriscono inversioni sintattiche ed enjambement•
che spezzano l’andamento pesante dell’endecasillabo.
LAVORIAMO
SUL TESTO
1. I nuclei tematici. Completa la mappa in cui si visualizza lo sviluppo dei contenuti
principali della lirica.
La poesia
sottolinea
L’esistenza di ideali ed
esperienze . . . . . . . .
evidenziata da
La fede politica
nel . . . . . . . . . . . .
diventano
Strumenti di unione
e di . . . . . . . . . . . . .
...............
Il valore aggregante
del vino
aiutano a superare
...............
...............
L’occupazione
Il primo Novecento
L’autore e l’opera: Umberto Saba
2
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2. La lirica antiretorica. Saba affronta i temi dell’occupazione nazifascista e della riconquista della libertà evitando toni celebrativi e creando un’atmosfera in cui la gioia
per il momento storico si fonde con un alone di tristezza e di malinconia: giustifica
questa affermazione con opportuni riferimenti al testo.
3. Le manifestazioni della libertà. Attraverso quali immagini e situazioni simboliche
Saba rappresenta simbolicamente la riconquista della libertà e la speranza di un
futuro migliore, in cui vi siano uguaglianza e fratellanza?
4. La presenza dell’io lirico. Nell’ultima strofa, il poeta manifesta apertamente la
propria presenza, precisando il luogo e il tempo in cui è avvenuto quanto ha descritto
nei versi precedenti. Quale effetto produce questa scelta?
5. L’autobiografismo. In quali versi è possibile cogliere un evidente richiamo a una
esperienza biografica dell’autore? Quali vicende storiche avevano sconvolto la vita di
Saba, accomunandolo agli umili protagonisti della poesia?
6. Gli enjambement. Individua i numerosi enjambement• presenti nella lirica: quali
e per quale ragione ti sembrano i più significativi sul piano tematico-espressivo?
Invito all’opera
2. Il Canzoniere
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testi
9
Percorso L’autore e l’opera
Giuseppe Ungaretti
2. L’Allegria [Invito all’opera]
L’altura di San Michele del Carso, sul fronte di Gorizia, teatro di sanguinose operazioni militari nella Prima guerra mondiale, diventa fonte di ispirazione.
I versi sono liberi con una suddivisione strofica di otto versi nella prima, tre nella seconda
e nella terza; quest’ultima di soli ternari.
10
Giuseppe Ungaretti
Il porto sepolto
Sono
una creatura
in Vita d’un uomo, 106 poesie
1914-1960, Mondadori,
Milano, 1966
1. Come: ripetuto al verso
9, sottolinea l’identità fra la
pietra carsica e il pianto del
poeta.
2. S. Michele: il monte San
Michele del Carso.
ANALISI
E COMMENTO
testi
10
Valloncello di Cima Quattro il 5 agosto 1916
5
10
C
ome questa pietra
del S. Michele
così fredda
così dura
così prosciugata
così refrattaria
così totalmente
disanimata
Come questa pietra
è il mio pianto
che non si vede
La morte
si sconta
vivendo
3-8. così… disanimata: l’iterazione così… così… così… così…
così… dilata le qualità negative:
fredda, dura, arida, resistente alle
alte temperature (refrattaria), del
tutto priva di vita.
9-10. Come… vede: il dolore
dell’io lirico è senza lacrime, non
si mostra all’esterno.
12-14. La morte… vivendo: vivendo come pietrificati si paga il
privilegio di non essere morti.
Il crudele destino del sopravvissuto
La lirica affronta la tematica dell’angoscia dell’uomo dinanzi al dramma e agli orrori
della guerra: il poeta si sente uomo tra gli uomini, creatura di pena che soffre per sé
e per l’umanità intera.
Egli accosta analogicamente la roccia carsica alla condizione del proprio animo pietrificato dal dolore dinanzi a quella tragedia collettiva: una realtà esterna è dunque utilizzata per rappresentare uno stato d’animo che non si potrebbe facilmente trasmettere
in maniera diretta. La sentenza conclusiva (La morte / si sconta / vivendo) riprende il
titolo e riassume le considerazioni precedenti: racchiuso nel suo dolore, il poeta sconta
il privilegio di non essere morto e, come sopravvissuto, avverte un senso di colpa.
La similitudine e la struttura simmetrica
La lirica è costruita su una similitudine (Come questa pietra / è il mio pianto) che collega due elementi opposti per significato: la pietra carsica nella sua durezza minerale
è collegata al pianto del poeta, un pianto invisibile, trattenuto fino alla insensibilità.
La pietrificazione del pianto è una condizione di morte anticipata: vivendo come
pietrificati si sconta il privilegio di non essere morti.
Invito all’opera
2. L’Allegria
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1
I versi liberi e le unità sintattiche scarnificate accompagnano il tono lapidario della
lirica, costituita da un periodo per ogni strofa: le prime due presentano un paragone
nel quale è messo al primo posto il secondo termine (Come questa pietra), mentre il
primo termine (è il mio pianto) è posto a fine periodo.
L’architettura sintattica è la seguente:
Come… / così… / così… / così… / così… / così…
ed è interessante la variazione introdotta nella seconda strofa:
Come… / è…
dove «è» risulta strutturalmente equivalente al «così» della prima strofa.
Le anafore danno particolare rilievo mediante la climax agli aggettivi riferiti alla
pietra priva di vita (fredda, dura, prosciugata, refrattaria, disanimata): la fitta trama
delle allitterazioni (-d, -t, -r) e l’enjambement «totalmente / disanimata» accentua la
suggestione di aridità: la totale assenza di acqua coincide con la mancanza di vita.
LAVORIAMO
SUL TESTO
1. Il rapporto analogico pietra-pianto. Completa la mappa in cui si visualizza lo sviluppo tematico della lirica.
La pietra carsica
è paragonata a
caratterizzata da
...............
è privo di
L’assenza di
...............
...............
evidenziata da
...............
...............
...............
è segnato da
Senso di colpa
per essere scampato a
La refrattarietà
...............
2. Lo stato d’animo dell’io lirico. Quale rapporto si determina fra la pietra e la condizione in cui si trova il poeta? Quale effetto determina, a tuo giudizio, la scelta di
Ungaretti di anticipare il secondo termine di paragone (la roccia carsica) e di posporre
il primo termine di paragone (il pianto)?
3. Il titolo. Quale rapporto è possibile cogliere tra il titolo della lirica e l’affermazione
dell’ultima strofa?
4. La concezione della morte. Ritieni che sia corretto affermare che l’io lirico guarda
alla morte come a una meta desiderata? Rispondi con opportuni riferimenti al testo.
5. Il pianto e il porto. Quale relazione possiamo stabilire tra il “segreto inesauribile”
che conclude Il porto sepolto e il pianto “nascosto”, senza lacrime, dell’io lirico di Sono
una creatura? Rifletti sul significato che assume per Ungaretti il mistero, ciò che si
cela nella profondità dell’animo.
Il primo Novecento
L’autore e l’opera: Giuseppe Ungaretti
2
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Percorso L’autore e l’opera
Giuseppe Ungaretti
3. Sentimento del tempo e l’ultima produzione
La lirica fu composta da Ungaretti nel 1930, in occasione della morte della madre.
Le cinque strofe sono costituite da endecasillabi e settenari alternati liberamente, senza
rime.
11
Giuseppe Ungaretti
Sentimento del tempo
La madre
in Vita d’un uomo, Tutte le poesie,
a cura di L. Piccioni, Mondadori, Milano, 1986
testi
11
E
il cuore quando d’un ultimo battito
Avrà fatto cadere il muro d’ombra,
Per condurmi, Madre, sino al Signore,
Come una volta mi darai la mano.
5
10
1-2. E… d’ombra: E quando In ginocchio, decisa,
Sarai una statua davanti all’Eterno,
Come già ti vedeva
Quando eri ancora in vita.
Alzerai tremante le vecchie braccia,
Come quando spirasti
Dicendo: Mio Dio, eccomi.
l’ultimo battito del mio cuore
E solo quando m’avrà perdonato,
avrà fatto cadere il muro
d’ombra che ci separa.
Ti verrà desiderio di guardarmi.
4. Come… mano: mi prenderai per mano come quando
Ricorderai d’avermi atteso tanto,
ero bambino.
5. decisa: in atteggiamento 15 E avrai negli occhi un rapido sospiro.
deciso.
7. vedeva: vedevo.
10-11. Come… eccomi: come
12-13. E solo… guardarmi: solo
cederà al poeta il perdono, ella
quando spirasti, affidandoti
quando Dio, su intercessione
cesserà di pregare, volgendosi ad
a Dio.
delle preghiere della madre, conaccogliere il figlio.
ANALISI
E COMMENTO
15. E… sospiro: è il sospiro di consolazione della madre che a lungo
ha atteso la salvezza del figlio.
La madre intermediaria tra il poeta e Dio
La lirica propone il tema del rapporto fra la vita terrena e l’aldilà, sottolineato dalla
certezza del poeta di ricongiungersi alla madre nella vita ultraterrena. Il sentimento
dominante è il rimpianto per la perduta felicità dell’infanzia, che Ungaretti spera di
recuperare quando tornerà a incontrare sua madre. In questo altro mondo la madre
conserva gli atteggiamenti abituali che aveva in vita, la sua figura rievoca immagini
che appartengono alla memoria e diventa un ponte tra la vita e la morte.
Atmosfera spiritualizzata
Il ricordo del passato torna ripetutamente (come una volta, come già ti vedevo, come
quando spirasti) e crea un legame di continuità nella dimensione dell’eterno (il futuro
incontro con la madre). La morte non ha più i toni tragici dell’Allegria, ma è solo un
muro da valicare per ottenere il premio della gloria eterna.
Scelte stilistiche tradizionali
Il testo presenta una struttura simmetrica: ogni strofa coincide con un periodo e
con un gesto compiuto dalla madre, che danno al componimento una intonazione a
tratti solenne. Il recupero delle forme poetiche tradizionali è evidenziato nella pun3. Sentimento del tempo e l’ultima produzione
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Questo file è un’estensione online del corso B. Panebianco, M. Gineprini, S. Seminara, LETTERAUTORI - edizione verde © Zanichelli 2012
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teggiatura, nella subordinazione, che caratterizza la costruzione dei periodi in modo
lineare, nelle similitudini che introducono le immagini del passato, nelle inversioni
dell’ordine delle parti del discorso, che danno maggiore rilievo a una rispetto a un’altra (quando d’un ultimo battito / avrà fatto cadere il muro d’ombra; Come una volta mi
darai la mano) e nella sinestesia finale degli occhi della madre, che “sospirano” di
amore e di sollievo.
LAVORIAMO
SUL TESTO
1. Il contenuto. Sintetizza il contenuto della lirica.
2. La madre. Individua il doppio valore che assume la figura della madre.
3. La descrizione della madre. Quali immagine offre il poeta della figura materna?
Che rapporto si stabilisce tra la donna terrena e la creatura giunta nell’aldilà? Quale
compito le affida il poeta?
4. Il passato remoto. Nel testo c’è un solo passato remoto: quale? Che significato ha?
5. L’infanzia. Con quale stato d’animo l’io lirico ripensa al passato? Rispondi con
opportuni riferimenti al testo.
6. Lo stile. Quali sono gli aspetti stilistici che caratterizzano questa lirica? Noti alcune
differenze rispetto a Stelle (• T62), che appartiene alla stessa raccolta poetica?
Il primo Novecento
L’autore e l’opera: Giuseppe Ungaretti
2
Copyright © 2012 Zanichelli Editore SpA, Bologna [6201der]
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Percorso L’autore
Eugenio Montale
3. Ossi di seppia e il male di vivere
Fra i temi della poesia di Montale c’è quello della memoria, come in questa lirica in cui il ricordo è la conferma che il passato è un’illusione e che i momenti di gioia lasciano una traccia
di solitudine e di vuoto.
La forma metrica è di endecasillabi• variamente rimati.
12
Eugenio Montale
Ossi di seppia
Cigola
la carrucola del pozzo in Tutte le poesie, Mondadori,
Milano, 1979
testi
12
5
10
C
igola la carrucola del pozzo,
l’acqua sale alla luce e vi si fonde.
Trema un ricordo nel ricolmo secchio,
nel puro cerchio un’immagine ride.
Accosto il volto a evanescenti labbri:
si deforma il passato, si fa vecchio,
appartiene ad un altro…
Ah che già stride
la ruota, ti ridona all’atro fondo,
visione, una distanza ci divide.
1-2. Cigola la carrucola… si fonde: la carrucola è la ruota con una
scanalatura dove scorre la catena
a cui è agganciato il secchio che
raccoglie l’acqua del pozzo.
3. Trema: il volto della persona
amata è quasi una dissolvenza,
sia perché il secchio oscilla, sia
perché l’immagine costituisce un
recupero memoriale.
5. evanescenti labbri: labbra
incorporee.
7. appartiene ad un altro: è la
parte del poeta che aveva amato
quella figura femminile: un altro
se stesso, che appartiene a un
passato non recuperabile.
9. ti ridona: ti riporta; atro: nero.
ANALISI
E COMMENTO
La ricerca di un varco nel passato
Stride la carrucola del pozzo, mentre l’acqua portata in superficie dal secchio sembra
fondersi con la luce che la colpisce. Su di essa affiora un ricordo, si delinea l’immagine
tremula e sorridente di una persona amata. Quando il poeta accosta il volto a quelle
labbra femminili che crede di vedere, muove la superficie dell’acqua e fa svanire l’immagine; il cigolio della carrucola riconduce la visione al fondo oscuro del pozzo.
La lirica presenta l’andamento di un racconto all’apparenza molto semplice ma dal
significato simbolico complesso. Tutto è effimero, vuole dirci Montale, non riusciamo a trattenere nella memoria neppure i volti amati e gli istanti di gioia: essi sono
solo un barlume, un’illusione che si spegne, rifluendo nella profondità dell’inconscio
(• Focus, p. 538). Il concetto astratto dell’irrecuperabilità del ricordo è espresso dal poeta attraverso immagini concrete: il volto femminile che si deforma e invecchia allude
al fatto che il passato si modifica nella nostra memoria, si diventa più vecchi; il ritorno
della visione in fondo al pozzo indica che quel ricordo si allontana definitivamente.
Il verso 5 divide la lirica in due parti e segna il momento dello «scacco», in quanto
contrappone al volto che si avvicina (la speranza) le labbra che svaniscono (il tentativo
vano). La circolarità della lirica è scandita dal movimento di risalita (Cigola la carrucola)
e di ricaduta (Ah che già stride), corrispondente a illusione e delusione.
Simmetrie sintattiche e scelte metrico-stilistiche
La struttura dei quattro periodi è bilanciata sintatticamente: i primi due corrispondono ai primi quattro versi, che contengono l’affiorare del ricordo; gli altri due occupano due versi e mezzo ciascuno ed esprimono lo scomparire del ricordo. I primi
3. Ossi di seppia e il male di vivere
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due periodi hanno carattere descrittivo; nel terzo l’uso della prima persona (Accosto)
mette in rilievo l’io lirico•; nel quarto compare l’interlocutrice (ti; visione). I primi tre
periodi iniziano con un verbo (Cigola… Trema… Accosto) e i primi due verbi sono posti
prima del soggetto. I versi sono attraversati dalla trama delle rime• perfette (secchio
/ vecchio, ride / stride / divide) e imperfette (fonde / fondo). A fine verso prevalgono
suoni aspri (pozzo, secchio, labbri, vecchio, stride), e vi sono anche assonanze• (Cigola…
carrucola… stride… ruota). La spezzatura dei versi 7 e 8 esprime la distanza che c’è tra
noi e il nostro passato e l’impossibilità di riviverlo.
LAVORIAMO
SUL TESTO
1. La struttura. Completa la mappa in cui si visualizza lo sviluppo tematico della lirica.
La carrucola
del pozzo
riporta in superficie
...............
è colmo di
...............
sembra fondersi con
...............
riflette
L’immagine del volto
della donna amata
deformata e
fatta svanire da
...............
riportata e
dissolta in
...............
2. La materializzazione del ricordo. Attraverso quali immagini concrete Montale
esprime la sua concezione della memoria? In particolare, a quale aspetto dell’esistenza umana allude il pozzo?
3. La simmetria. Analizza il parallelismo che si stabilisce tra il movimento della carrucola e lo stato d’animo dell’io lirico•.
4. Stride /la ruota. L’immagine del verso 1 è riproposta ai vv. 8-9: il senso è uguale
o diverso?
Il primo Novecento
L’autore: Eugenio Montale
2
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Percorso L’autore
Eugenio Montale
4. Le occasioni, La bufera e altro, Satura e l’ultima produzione
Questa lirica, pubblicata nel 1930 sul periodico «L’Italia Letteraria», apre la quarta e ultima
sezione della raccolta Le occasioni.
La forma metrica è di quattro strofe•, due di cinque e due di sei versi, alternate. I versi
sono liberi con prevalenza di endecasillabi•.
13
Eugenio Montale
Le occasioni
La casa
dei doganieri
in Tutte le poesie, Mondadori,
Milano, 1979
testi
13
5
1. Tu non… doganieri: il poeta
sa già che nella memoria della
donna non c’è più posto per
ricordare la casa dei doganie-
ri, un tempo luogo dei loro incontri amorosi (la casa cui
10
allude il poeta era una stazione della guardia di Finanza, a
Monterosso in Liguria).
3. desolata: squallida e triste.
4-5. in cui v’entrò… irrequie
to: questi pochi particolari
disegnano efficacemente una
figura femminile colta nella sua irrequietezza giovanile:
15
probabilmente si tratta di
Annetta o Arletta, trasfigu- razione poetica di Anna degli
Uberti, una donna che Monta
le frequentò in gioventù (dal
1920 al 1924) a Monterosso (• Focus, p. 542); sciame è
una metafora dell’agitazione
e del tumulto dell’animo della
20
donna.
6. Libeccio: vento di sud- ovest, che soffia con violenza;
da anni: da quell’incontro.
7. il suono… lieto: quel riso è
ormai un ricordo d’altri tempi,
ora vanificato dalla consapevolezza dell’assenza della
donna.
8-9. la bussola… non torna:
le due metafore testimoniano il disorientamento e
la mancanza di certezze del
poeta: la sua condizione è
come quella di una bussola
che non sa più indicare la
direzione giusta perché l’ago
ha perduto la sua attrazione
magnetica, o è paragonabile
al giuoco dei dadi, retto da
una casualità cieca.
10. frastorna: distrae. La
donna è distratta dalle vicissi-
T
u non ricordi la casa dei doganieri
sul rialzo a strapiombo sulla scogliera:
desolata t’attende dalla sera
in cui v’entrò lo sciame dei tuoi pensieri
e vi sostò irrequieto.
Libeccio sferza da anni le vecchie mura
e il suono del tuo riso non è più lieto:
la bussola va impazzita all’avventura
e il calcolo dei dadi più non torna.
Tu non ricordi; altro tempo frastorna
la tua memoria; un filo s’addipana.
Ne tengo ancora un capo; ma s’allontana
la casa e in cima al tetto la banderuola
affumicata gira senza pietà.
Ne tengo un capo; ma tu resti sola
né qui respiri nell’oscurità.
Oh l’orizzonte in fuga, dove s’accende
rara la luce della petroliera!
Il varco è qui? (Ripullula il frangente
ancora sulla balza che scoscende…)
Tu non ricordi la casa di questa
mia sera. Ed io non so chi va e chi resta.
tudini della vita.
11. un filo s’addipana: un filo si
raggomitola. Il filo che si riavvolge nella matassa della memoria,
disperdendosi, sta a indicare il
rifluire del ricordo nell’inconscio.
12. Ne tengo ancora un capo:
solo io trattengo ancora uno dei
capi di quel filo del passato.
12-13. ma s’allontana la casa: la
casa si allontana anche nella memoria del poeta. L’enjambement
lascia isolato il verbo s’allontana,
sottolineando il graduale dissolversi dell’oggetto-casa.
13-14. la banderuola… pietà:
la banderuola segnavento che
sul tetto gira senza pietà indica
anch’essa il trascorrere inesorabile del tempo, che travolge ogni
ricordo.
15. sola: isolata, estranea a quello che accade al poeta.
16. nell’oscurità: il poeta è da
solo nel buio.
17-18. Oh l’orizzonte… petroliera!: la linea dell’orizzonte, che
sembra allontanarsi (in fuga) e
confondersi con la distesa del
mare, è resa a tratti visibile dalla
luce intermittente (rara) della
petroliera.
19. Il varco è qui?: è questo il
punto di passaggio? È la metafora del varco, cara al poeta, che
si domanda angosciato se quella
luce misteriosa (recupero del
passato) può essere un’indicazione di salvezza. Il mare, nella
poesia di Montale, è un simbolo
positivo.
19-20. Ripullula… scoscende:
ancora, come un tempo, le onde
si infrangono sulla scogliera a
picco (scoscende) sul mare.
21-22. Tu non ricordi… mia sera:
ma la donna non ricorda la casa,
rivissuta in questa sera solo dal
poeta.
22. Ed io non so… resta: lo
smarrimento si impadronisce del
poeta che di nuovo ha perduto il
senso delle cose, della vita e della
morte; chi resta: chi è vivo.
4. Le occasioni, La bufera e altro, Satura e l’ultima produzione
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ANALISI
E COMMENTO
La ricerca del varco
Uno dei temi fondamentali di questa lirica è quello del varco, inteso come superamento della solitudine esistenziale, come ricerca di una vita autentica, ma che rimane
una possibilità irrealizzata.
La casa dei doganieri, un tempo luogo di incontri amorosi con una donna e ormai
luogo della memoria, diviene per il poeta il pretesto, l’“occasione” per riandare a un
sogno di felicità accarezzata e perduta insieme. Il poeta è consapevole che non ci
può essere più corrispondenza di affetti nel ricordo: dei due è solo lui a mantenere
vivo il tempo di quell’incontro e a tenere un capo del filo che non riesce però a farli
ricongiungere: all’altro capo lei non c’è più, distratta da altri labirinti di vita.
Di lontano, balena a tratti una luce (riecheggia «l’anello che non tiene» della lirica
I limoni, • T64), forse la via di fuga dal rapido scorrere del tempo sempre uguale;
ma subito la speranza del varco è vanificata. L’io lirico• non può che proclamare la
sua solitudine e il suo smarrimento dinanzi agli eventi: perduto il senso delle cose,
dell’andare e del restare, del permanere nella memoria e del perdersi nell’oblio, egli
non sa più quale significato attribuire al passato, al presente, alla vita stessa.
I correlativi oggettivi: la negatività
L’inquietudine e il disorientamento esistenziale sono resi attraverso oggetti-simbolo.
Alla casa il poeta attribuisce lo squallore e la desolazione che sono nel suo animo;
essa è vuota e sferzata dal libeccio, simbolo del tempo che spazza via ogni cosa; la sua
posizione è a strapiombo, così che evoca un senso di precarietà; è la casa dei doganieri, la qual cosa suggerisce l’idea di un confine che non si sa se potrà essere varcato.
L’ago della bussola che non sente più l’attrazione magnetica ed è come impazzito
indica la difficoltà di trovare la strada giusta, così come il giuoco dei dadi, il cui calcolo
non torna più, indica l’impossibilità di ogni previsione.
Il recupero memoriale: Proust e Montale
Il tema del tempo, la potenza del ricordo e dell’immergersi nella memoria evocano i
procedimenti conoscitivi di Alla ricerca del tempo perduto di Marcel Proust, ma Montale appare una specie di «Proust alla rovescia», secondo una definizione del critico
Gianfranco Contini.
Lo scrittore francese vive il presente come rivisitazione del passato: non si tratta
solo di ricordare ma di rivivere il passato, fino ad annullare le distanze temporali, a
sentirlo vivo e presente. Per Montale, invece, il passato si perde nel buio della memoria e non è possibile riviverlo: la memoria si rivela incapace di custodirlo di fronte
allo scorrere inesorabile del tempo, che tutto cancella (• Focus, p. 538).
La trama fonica
La poetica della sofferenza in Montale si esprime anche attraverso l’irregolarità delle
rime• e delle assonanze•: irrequieto-lieto (vv. 5-7) stabilisce un legame tra la prima e la
seconda strofa; s’addipana-s’allontana (vv. 11-12) collega la seconda e la terza; scoglierasera-petroliera (vv. 2-3-18) collega la prima e la quarta strofa.
LAVORIAMO
SUL TESTO
1. Il significato della casa. La descrizione della casa dei doganieri, al di là del dato
paesaggistico, assume un significato psicologico. Quali caratteristiche le vengono
attribuite? Quale significato ha nella lirica?
2. Aggressione e disorientamento. La seconda e la terza strofa sono ricche di immagini che suggeriscono l’idea di disorientamento: individuale e spiega il loro significato
simbolico.
Il primo Novecento
L’autore: Eugenio Montale
2
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3. Il male di vivere. Il male di vivere è un tema ricorrente nelle poesie di Montale.
Quale aspetto assume in questa lirica?
4. La condanna alla solitudine. Spiega per quale motivo il ricordo non permette di
ricostruire un legame fra l’io lirico• e la donna e di recuperare il passato.
5. I correlativi oggettivi. Questa lirica è ricca di correlativi oggettivi, cioè di immagini
e situazioni concrete che rimandano a un’emozione. Completa la tabella precisando
le situazioni o gli oggetti collegati ai sentimenti in elenco.
La mancanza di certezze e il disorientamento
dell’io lirico
..................................
Il ricordo che si dilegua
..................................
..................................
..................................
Il trascorrere inesorabile del tempo
la banderuola / affumicata gira senza
pietà
La speranza di una salvezza
..................................
..................................
6. L’assenza della donna. Quali riflessioni sulla vita e sul tempo sono provocate dal
ricordo della ragazza un tempo amata? Quale stato d’animo genera nell’io lirico la
sua assenza?
7. L’ultimo verso. Chiarisci il significato che assume nel contesto l’ultimo verso.
8. Il varco è qui? Il v. 19 ha un significato profondo nella poetica di Montale: quale?.
4. Le occasioni, La bufera e altro, Satura e l’ultima produzione
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3
testi
13
IL PRIMO NOVECENTO
Invito alla musica
La musica
dodecafonica
Nei primi decenni del Novecento l’arte
musicale partecipò in prima linea agli
stravolgimenti che la cultura e l’estetica
attraversarono. Nel giro di pochi decenni
si susseguirono una serie di rapidi mu­
tamenti nella fisionomia delle varie for­
me artistiche interamente sconvolte dal­
le innovazioni introdotte dai cosiddetti
movimenti d’avanguardia. Fra le varie
rivoluzioni avanguardistiche europee la
dodecafonica costituisce una delle più si­
gnificative e radicali in ambito musicale.
Essa si pone come continuazione di un’al­
trettanto radicale rottura che il linguaggio
musicale aveva conosciuto circa un decen­
nio prima della nascita della dodecafonia:
la atonalità.
L’enciclopedia
Serie dodecafonica è la
successione delle dodici note
della scala cromatica che il
compositore decide di adottare
all’interno di un determinato
brano musicale dodecafonico.
Perché un brano possa dirsi
dodecafonico, deve essere
rispettata la regola secondo cui
nessuna delle dodici note può
essere ripetuta prima che tutte le
restanti note dell’insieme siano
state utilizzate.
L’atonalità
Sia l’atonalità che la dodecafonia sono le­
gate strettamente al compositore che per
primo le introdusse: Arnold Schönberg
(1874-1951), esponente della tradizione
musicale viennese, che visse pienamen­
te la crisi che lacerò la cultura europea nei
primi decenni del Novecento. Le innova­
zioni che Schönberg introdusse nel suo
linguaggio musicale sconvolsero i fonda­
menti stessi della teoria musicale. La mu­
sica europea a partire dal diciassettesimo
secolo si era basata fondamentalmente sul
sistema tonale, ovvero una precisa gerar­
chia di suoni e di accordi facenti capo al­
la nota più importante: la tonica. Con la
nascita dell’atonalità le dodici note della
scala musicale (sette diatoniche e cinque
cromatiche) assumono un’importanza pa­
ritaria fra loro, annullando il senso di un
centro tonale attorno al quale ruota tutto il
discorso melodico e armonico. Grossola­
namente si potrebbe dire che l’atonalità fu,
per la musica tonale, quello che l’astratti­
smo pittorico fu per l’arte rappresentativa:
entrambi liberarono l’espressione musica­
le dall’obbligo di sottostare a un sistema
di regole, nel caso della musica le regole
dell’armonia tonale, nel caso della pittura
l’imitazione, seppur libera, della realtà. La
prima opera atonale scritta da Schönberg
fu Erwartung (Attesa), un dramma musi­
cale di stampo espressionista del 1909.
La dodecafonia
Dopo l’entusiasmo iniziale, questa sorta
di anarchia compositiva che l’introduzio­
ne della atonalità comportò iniziò a esse­
re percepita come eccessiva libertà, votata
a un troppo esasperato soggettivismo. Fu
lo stesso Schönberg a escogitare un me­
todo che potesse fornire anche al nuovo
linguaggio atonale una serie di regole in
grado di dotare la musica di una solida
struttura compositiva. L’elemento fondan­
te della musica dodecafonica è la cosiddet­
ta “serie”, una sequenza di note (diversa
per ogni brano) formata dalle dodici no­
te della scala cromatica (da cui il nome
“dodecafonia”), disposte secondo la regola
per cui nessuna nota può essere ripetuta
fino a che non sono state suonate o canta­
te tutte le restanti note della serie. La serie
fornisce la struttura sulla quale costruire
tutto il brano. Per ampliare le possibilità
compositive la serie può essere sottoposta
a una sequenza di diverse trasformazioni
che alterano la sua conformazione di ba­
se. Innanzitutto i suoni della serie posso­
no essere eseguiti anche contemporanea­
La musica dodecafonica
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L’enciclopedia
Inversione operazione che inverte
la direzione degli intervalli della
serie, trasformando gli intervalli
discendenti in ascendenti e
viceversa. Ad esempio, la
sequenza di note Do-Fa-Mi
invertita diventa: Do- Sol-La
Retrogradazione operazione che
inverte l’ordine delle note della
serie dall’ultima alla prima. Ad
esempio, la sequenza di note DoFa-Mi invertita diventa: Mi-Fa-Do
Serie cancrizzante L’unione delle
operazioni di inversione e
retrogradazione. Ad esempio, la
sequenza cancrizzante delle note
Do-Fa-Mi è: Mi-Re-Sol
mente fra loro, inoltre la sequenza può
essere trasposta su ogni suono, oppure
invertita a specchio (inversione), oppure
suonata alla rovescia dall’ultima alla pri­
ma (retrogradazione) o, ancora, sottoposta
a entrambe le modificazioni contempora­
neamente (serie cancrizzante), secondo
una prassi ereditata dai polifonisti quat­
trocenteschi. Questi principi compositivi
(definiti con il termine “serialismo”) co­
stituirono la più importante eredità che
la dodecafonia lasciò agli sviluppi della
cosiddetta “Nuova Musica”, il movimen­
to di ricerca e sperimentazione musicale
che andò evolvendosi lungo tutto il vente­
simo secolo.
REGISTRAZIONI CONSIGLIATE
Arnold Schönberg, Variazioni per orchestra op. 31
Alban Berg, Lulu-Suite
Anton Webern, Sinfonia per orchestra da camera op. 21
Il primo Novecento
Invito alla musica
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Dal dopoguerra al terzo millennio Invito alla storia dell’arte
L’arte dagli anni Quaranta alla fine del XX secolo
OPERA
Autore: Pablo Picasso
Massacro in Corea
Titolo: Massacro in Corea
Anno: 1951
Collocazione attuale: Museo Picasso, Parigi
Tecnica: Olio su compensato
Dimensioni: 110 � 210 cm
L’autore
L’enciclopedia
Guerra di Corea La guerra scoppiò
nel 1950 con l’invasione
della Corea del Sud da parte
dell’esercito nord-coreano.
Su mandato dell’ONU gli Stati
Uniti intervennero, affiancati
da 17 paesi, nel tentativo
di liberare il paese occupato.
Fu una guerra particolarmente
sanguinosa dove persero la vita
soprattutto civili. I combattimenti
si conclusero tre anni dopo
con la firma di un armistizio
che ristabiliva la situazione
preesistente al conflitto.
Pablo Picasso (Malaga 1881-Mougins 1973) pittore e scultore spagnolo, rivoluzionò la pittura moderna. Dopo la formazione accademica a Barcellona e Madrid, nel 1904 si trasferì a
Parigi. Fin dall’inizio della sua carriera artistica fu attratto dai problemi relativi all’analisi e
alla sintesi della forma e alla rappresentazione simultanea dei piani e delle superfici, che
lo porteranno all’invenzione della pittura cubista nel 1907, con il fondamentale dipinto
de Les demoiselles d’Avignon. Negli anni Venti del Novecento Picasso, dopo un soggiorno a
Roma, Napoli e Pompei, abbandona il cubismo per uno stile che si ispira alla grande pittura classica italiana. Gli anni Trenta sono caratterizzati da un ritorno delle forme cubiste:
oramai lo stile è piuttosto stilizzato, le superfici sono piatte e i colori molto accesi. Negli
ultimi anni della sua vita fu particolarmente prolifico e si dedicò sempre più intensamente
alla ceramica e alla grafica.
L’opera
Massacro in Corea del 1951 è un dipinto che ha come tema la guerra tra la Corea del Nord
e la Corea del Sud, scoppiata pochi mesi prima. All’interno della tela, molto sviluppata in
lunghezza, si contrappongono due gruppi ben distinti: da una parte le vittime innocenti,
donne (alcune gravide) e bambini paralizzati dal terrore, la cui nudità simboleggia l’im-
• Francisco Goya, Le fucilazioni
del 3 maggio 1808, 1814.
Museo del Prado, Madrid.
Opera
Massacro in Corea
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possibilità di potersi difendere, dall’altra i soldati, armati fino ai denti e pronti ad infierire.
Il naturalismo dei corpi contrasta con i volti cubisti dei personaggi: il cubismo qui è utilizzato per esprimere sia la paura delle vittime sia la cieca barbarie dei carnefici, che vengono
rappresentati con tratti robotici, vere e proprie macchine della morte.
Per questo dipinto Picasso attinge alla tradizione pittorica francese e spagnola: dal Giuramento degli Orazi di Jacques-Louis David all’Esecuzione di Massimiliano del Messico di
Èdouard Manet, ma soprattutto alle Fucilazioni del 3 maggio 1808 di Francisco Goya. Da
quest’opera provengono la suddivisione dei personaggi in due gruppi, la minacciosa anonimità dei soldati e la posizione di uno dei caduti, qui ripresa dal bambino accoccolato
che raccoglie i fiori. Questo dipinto ribadisce la condanna di Picasso nei confronti di tutte
le guerre e il suo impegno pacifista, come già era accaduto quattordici anni prima con
Guernica.
Opera
Massacro in Corea
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Dal dopoguerra al terzo millennio Invito alla storia dell’arte
L’arte dagli anni Quaranta alla fine del XX secolo
OPERA
Autore: Alberto Burri
Rosso plastica
Titolo: Rosso plastica
Anno: 1964
Collocazione attuale: Fondazione Palazzo Albizzini, Città di Castello
Tecnica: Plastica e combustione su tela
L’autore
Alberto Burri (Città di Castello 1915-Nizza 1995) è stato un pittore e scultore informale.
Dopo la laurea in medicina partecipa alla Seconda guerra mondiale come ufficiale medico
e nel 1944 viene deportato come prigioniero in un campo di concentramento nel Texas.
Abbandonata la professione per dedicarsi all’arte, nel 1946 è a Roma, dove entra in contatto con gli artisti che aderivano all’avanguardia informale, divenendone presto uno dei
principali esponenti.
L’enciclopedia
Informale Tendenza artistica
sviluppatasi in Europa ed
in America negli anni Cinquanta,
caratterizzata da molteplici
linguaggi che hanno in comune
la dissoluzione della forma.
• Alberto Burri, Cretto nero, 1979.
Monaco di Baviera, Pinakothek der
Moderne, Sammlung Moderne Kunst.
L’opera
L’opera di Burri appartiene all’Informale materico, quel filone dell’Informale che, al posto
dei mezzi tradizionali dell’espressione artistica, impiega materiali eterogenei come sacchi,
plastica, legno, ferro, catrame. Questi materiali poveri, talora vecchi e logori, sono elevati
da Burri a livello d’arte.
Rosso plastica fa parte della serie delle Combustioni: più fogli di plastica vengono applicati su una tela e su di essi l’artista interviene con il fuoco, provocando pieghe, lacerazioni
e grinze. La reazione della plastica al fuoco e la scelta del colore rosso danno all’opera un
forte carattere di drammaticità. La combustione non è mai casuale ed il controllo sulla forma da parte dell’artista è assoluto. Il grande cratere nella parte inferiore del quadro rivela
la tela scura sottostante: come nelle tele lacerate di Fontana, questo rimanda a percezioni
spaziali oltre la superficie dell’opera.
Nel 1973 Burri inaugurò la serie dei Cretti,
opere dalla realizzazione piuttosto complessa
a base di vinavil. L’artista crea sulla superficie
di colore uniforme, solitamente bianco o nero, delle crettature, che
ricordano quelle della
terra arsa dal sole. Come nelle Combustioni,
i materiali sono i protagonisti assoluti: non
simboleggiano nulla,
ma suggeriscono stati
d’animo, sofferenze e
tormenti profondi, radicati nella natura stessa
dell’uomo.
Opera
Rosso plastica
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Opera
Rosso plastica
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Dal dopoguerra al terzo millennio Invito alla storia dell’arte
L’arte dagli anni Quaranta alla fine del XX secolo
OPERA
Autore: Michelangelo Pistoletto
Uomo di schiena
Titolo: Uomo di schiena
Anno: 1962
Collocazione attuale: Collezione Giorgio Persano, Torino
Tecnica: Velina dipinta su acciaio inox lucidato a specchio
Dimensioni: 170 � 100 cm
L’autore
Michelangelo Pistoletto è nato a Biella nel 1933. La sua formazione artistica avviene nello
studio del padre, pittore e restauratore. Dopo l’esordio in pittura negli anni Cinquanta,
con un’indagine sull’autoritratto, alla fine degli anni Sessanta aderisce, assieme ad artisti
quali Anselmo, Boetti e Merz, alla corrente dell’Arte povera ed inizia ad esporre in gallerie
e musei in Europa e negli Stati Uniti. Oggi è internazionalmente riconosciuto come uno
dei più originali ed incisivi artisti italiani contemporanei.
L’opera
L’enciclopedia
Arte povera Movimento artistico
nato a Torino negli anni Sessanta
del Novecento attorno alla figura
del critico d’arte Germano Celant.
Questa corrente deriva il nome
sia dall’uso di materiali poveri
ed umili utilizzati (stracci, legno,
terra, sassi ecc.), sia in
opposizione alla contemporanea
Pop Art che aveva fatto
del consumismo imperante
nella società il soggetto principale
delle sue opere.
È uno dei primi lavori su “specchio” che
caratterizzano, a partire dagli anni Sessanta, tutta la carriera artistica di Pistoletto. La fotografia di un uomo, ingrandita a dimensioni reali, viene ricalcata a
punta di pennello su carta velina e ritagliata lungo i contorni per ottenere un
effetto più realistico. L’immagine così
acquisita viene applicata su una lastra di
acciaio inox lucidato a specchio. Questo
tipo di opera realizza l’antico ideale di
una pittura capace di doppiare perfettamente la realtà, ma riesce ad andare
anche oltre, inglobando all’interno dello
spazio dell’opera la vita stessa: tutto ciò
che viene a specchiarsi nel quadro, infatti, dall’ambiente allo spettatore, entra a
far parte dell’opera. Lo spazio chiuso del
dipinto si apre allo spazio multiforme
della realtà e il pubblico si trova coinvolto nel ruolo di spettatore-attore come è
possibile vedere in Uomo coi pantaloni
gialli del 1964.
• Michelangelo Pistoletto, Uomo coi pantaloni gialli,
1964. Museum of Modern Art, New York.
Opera
Uomo di schiena
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Opera
Uomo di schiena
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Percorso I generi
1. La drammaturgia in Europa, negli Stati Uniti e in Italia
Il teatro
antinaturalista
L’enciclopedia
Straniamento In narrativa
indica una tecnica stilistica
di rappresentazione della
realtà (un personaggio, un
ambiente, un oggetto) che,
evidenziando un particolare o
un aspetto inconsueto, strano,
presenta una percezione
diversa della realtà stessa.
Nella prima metà del Novecento il teatro naturalistico, che mirava a descrivere in
modo oggettivo e impersonale vicende e personaggi, fu messo in crisi da nuove
concezioni che propugnavano un teatro che inducesse a riflettere, ad assumere un
atteggiamento critico nei confronti di ciò che veniva rappresentato. In questa direzione si erano mosse per prime le Avanguardie storiche (in particolare il Futurismo,
l’Espressionismo e il Surrealismo), che concepirono spettacoli volti a evidenziare il
carattere di finzione della scena e a impedire l’adesione passiva degli spettatori alle
vicende narrate, utilizzando procedimenti stilistici come la deformazione, lo straniamento, la gestualità esagerata.
Negli stessi anni, lo scrittore inglese Thomas Stearns Eliot (1888-1965) aveva reagito
al naturalismo proponendo un «teatro di poesia», un dramma in versi strutturato sul
modello della tragedia greca classica (Assassinio nella cattedrale).
Artaud e il «teatro della crudeltà»
In prospettiva antinaturalistica fu significativo il lavoro condotto a Parigi, negli anni Venti e Trenta, dall’attore-regista-autore Antonin Artaud (1896-1948), teorico del
«teatro della crudeltà» (la tragedia I Cenci, 1935; i saggi Il teatro della crudeltà, 1932,
e Il teatro e il suo doppio, 1938). Proveniente dalle file del Surrealismo, Artaud rifiutava il dramma intimo e psicologico, e portava in scena situazioni estreme, crudeli,
esasperate nella gestualità e nella voce, con l’intenzione di produrre, come in un
esorcismo magico, una violenta carica liberatoria sia nell’attore sia nello spettatore.
L’azione scenica non imitava la realtà né faceva appello alla razionalità, dunque, ma
indicava simbolicamente al pubblico una strada per portare in superficie e liberare
le energie primordiali inconsce, pre-verbali e pre-logiche.
Il teatro epico di Brecht
Il più importante innovatore del teatro europeo della prima metà del Novecento fu il
tedesco Bertolt Brecht (1898-1956). Con l’avanguardia espressionista il teatro di Brecht
aveva in comune lo spirito di rivolta nei confronti della realtà contemporanea, il rifiuto
della verosimiglianza e il gusto per il grottesco. In Brecht però questi elementi erano
utilizzati a fini più direttamente politici (la dottrina marxista era lo sfondo ideologico
della sua attività letteraria). Brecht chiamò «epico» (da epos, “narrazione”) il suo teatro,
contrapponendolo a quello «drammatico» della tradizione.
Un teatro di riflessione politica: lo straniamento
Il «teatro epico» brechtiano mira a rendere lo spettatore consapevole del fatto che
non sta assistendo a un “pezzo di vita vera”, ma a una “finzione” da sottoporre al
vaglio della ragione. Nel mettere in scena i conflitti politico-sociali della sua epoca,
Brecht vuole indurre lo spettatore a osservare criticamente la realtà del capitalismo
industriale e a riflettere su di essa, per dibatterla e giudicarla. Sono gli anni dell’ascesa del nazismo e nelle sue opere si avverte la preoccupazione per il diffondersi delle
ideologie totalitarie. Brecht aspira a realizzare un teatro autenticamente popolare,
che recupera del teatro classico la valenza “conoscitiva” puntando non all’abbandono
al sentimento e all’emotività, ma alla razionalità.
Per raggiungere il suo scopo il «teatro epico» di Brecht si avvale di svariate tecniche, quali la successione di scene slegate l’una dall’altra, l’inserimento di canzoni, la
proiezione di filmati, l’uso di didascalie scritte su cartelli che interrompono l’azione
1. La drammaturgia in Europa, negli Stati Uniti e in Italia
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GUIDA ALLO STUDIO
a. Attraverso quali
tecniche il teatro delle
Avanguardie storiche
ha cercato di impedire
l’adesione passiva degli
spettatori alle vicende
narrate?
b. Quali sono le analogie e
le differenze fra il «teatro
della crudeltà» di Artaud
e il «teatro epico» di
Brecht?
c. Qual era l’obiettivo
politico perseguito da
Brecht attraverso le sue
opere teatrali?
d. Con quali tecniche
drammaturgiche Brecht
otteneva l’effetto di
straniamento?
e. Chi sono i principali
epigoni del «teatro epico»
di Brecht?
e indicano il punto di vista dell’autore. Inoltre, le opere di Brecht prevedono la recitazione “straniata” dell’attore, che non deve immedesimarsi in alcun modo nella
parte, per non coinvolgere emotivamente il pubblico. Le situazioni stranianti servono
a impedire il coinvolgimento passivo dello spettatore, a sollecitare la sua parte razionale e a stimolare interrogativi rispetto alla realtà rappresentata.
In tal senso il teatro brechtiano si contrappone al «teatro dell’assurdo» di Eugène
Ionesco e di Samuel Beckett, che si afferma in Europa nel dopoguerra. Questi drammaturghi si qualificano per una totale sfiducia nella razionalità e per una percezione
drammatica dell’assurdo dell’esistenza.
Gli epigoni del teatro epico
L’opera di Brecht fece da battistrada al teatro politicamente impegnato di diversi autori venuti dopo. Nell’area linguistica tedesca si segnalano il «teatro-documento» di
Heinar Kipphardt (1922-1982); il teatro di Peter Weiss (1916-1982), autore fra l’altro di
un testo, L’istruttoria, ispirato ai verbali del processo di Francoforte (1963-1964), che
vide sul banco degli imputati i carnefici del lager di Auschwitz; il teatro degli svizzeri
Max Frisch (1911-1991) e soprattutto Friedrich Dürrenmatt (1921-1990), che denuncia
il militarismo, i pericoli della scienza, la corsa agli armamenti, il capitalismo aggressivo, in un’alternanza di contenuti tragici e di toni farseschi, ma privi dello spirito
“educativo” e della speranza di modificare l’uomo e la società che erano stati di Brecht.
In Italia, negli anni Sessanta, lo straniamento teorizzato dal «teatro epico» ha
avuto larga influenza sulla produzione di Dario Fo (1926).
Mappa di sintesi
Avanguardie storiche: finzione della scena, deformazione, straniamento, gestualità, volti a ostacolare l’adesione
passiva degli spettatori alle vicende narrate
Thomas Stearns Eliot (1888-1965): «teatro di poesia», influenzato dal modello della tragedia greca classica
Il teatro
antinaturalista
Antonin Artaud
(1896-1948)
«Teatro della crudeltà»: rappresentazione di scene estreme, esasperazione nella
gestualità e nella voce
Liberazione delle energie primordiali inconsce, pre-verbali e pre-logiche
«Teatro epico» (da epos, “narrazione”) contrapposto a quello «drammatico» della tradizione
Ribellione verso la realtà contemporanea, rifiuto della verosimiglianza e gusto per il
grottesco
Bertolt Brecht
(1898-1956)
Valenza “conoscitiva” e politica del teatro fondata sul rifiuto del coinvolgimento
sentimentale ed emotivo (straniamento) e sulla razionalità e presa di coscienza dei
problemi economico-sociali (teoria marxista)
Tecniche drammatiche: successione di scene slegate, inserimento di canzoni, proiezione
di filmati, didascalie scritte su cartelli indicanti il punto di vista dell’autore
Gli epigoni: Heinar Kipphardt (1922-1982), Peter Weiss (1916-1982), Max Frisch (1911-1991),
Friedrich Dürrenmatt (1921-1990), Dario Fo (1926)
Dal dopoguerra al terzo millennio
I generi: Teatro
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L’«assurdo»
di Ionesco e Beckett
Il «teatro dell’assurdo»
L’espressione «teatro dell’assurdo», coniata dal critico Martin Esslin, indica la produzione teatrale di un gruppo di drammaturghi di varie nazionalità, operanti negli
anni Cinquanta a Parigi, divenuta loro patria di adozione: il rumeno Eugène Ionesco
(1912-1994), l’irlandese Samuel Beckett (1906-1989), il russo Arthur Adamov (19081970).
I loro drammi esprimono l’angoscia esistenziale di una generazione appena uscita
dalla guerra mondiale e che ora, nel clima inquieto e conflittuale della guerra fredda,
assiste con sgomento alla nascita della società del benessere, priva di ideali, dimentica
del dramma trascorso, sempre più alienata e chiusa alla comunicazione. È questo
“assurdo” dell’esistenza che molti drammaturghi rappresentano sulla scena.
Nelle opere di Ionesco e di Beckett confluiscono sia le esperienze maturate all’inizio del secolo dalle avanguardie surrealiste e dadaiste, sia la lezione dell’Esistenzialismo di Jean-Paul Sartre, che nell’opera teatrale A porte chiuse (1945) aveva fatto dire a
uno dei personaggi: «l’inferno sono gli altri» (altri drammi di Sartre legati alla guerra,
al nazismo e alla Resistenza sono Le mosche, 1943; I sequestrati di Altona, 1959), sia di
Albert Camus (il tema dell’assurdo e dell’estraneità affiora nei drammi Il malinteso,
1944; Caligola, 1945).
L’assurdo linguistico di Ionesco
Scrive Ionesco: «Assurdo è ciò che è privo di scopo. Recise le sue radici religiose,
metafisiche e trascendentali, l’uomo è perduto; tutte le sue azioni diventano insensate, ridicole, inutili». Se la vita è assurda e priva di senso anche le parole perdono
di importanza, diventano illogiche o ridicole. I suoi testi teatrali sono pertanto caratterizzati da situazioni paradossali e dalla ripetizione esasperata di parole e frasi che
sono dei nonsense (“assurdità”, in inglese). Ionesco esordisce nel 1950 con La cantatrice calva (1950), un’«anticommedia», come l’autore stesso l’ha definita, in quanto
non presenta progressione dell’azione drammatica né uno sviluppo della narrazione,
essendo i dialoghi tra due coppie in un interno borghese una vuota reiterazione di
luoghi comuni, che non portano a nulla, se non a prendere atto dello squallore di
una società piatta e massificata.
L’assurdo esistenziale di Beckett
• Constantin Brancusi, Maiastra,
1915. Venezia, Collezione Peggy
Guggenheim.
Anche Beckett mette in scena non azioni, ma gesti e silenzi, in un teatro che è metafora dell’assurdità dell’esistenza, dove i personaggi, privi di interiorità, si muovono
come marionette. In Aspettando Godot (1952), l’opera del suo esordio teatrale, il tema centrale è quello dell’attesa: due vagabondi aspettano un certo Godot, ma nulla
succede, nessuno arriva, se non altri due tragici compagni dell’inferno che è la vita,
e soprattutto nessuno esce. L’angoscia indefinita di questa attesa fu ben compresa
dai detenuti del carcere di San Quentin, negli Stati Uniti, dove nel 1958 Aspettando
Godot venne rappresentato. Fu un’esperienza che lasciò un segno: all’interno del
penitenziario nacque infatti una compagnia teatrale, attiva fino a metà degli anni
Sessanta, che ripropose il repertorio beckettiano.
Altri autori
Al «teatro dell’assurdo» sono riconducibili altri drammaturghi che hanno operato
nel secondo dopoguerra, come l’inglese Harold Pinter (1930-2008), che ha dato voce
alle nevrosi dell’uomo contemporaneo, in un’alternanza di cupo pessimismo e toni
farseschi, e il polacco Witold Gombrowicz (1904-1969), che ha arricchito il non-senso
di una vivacità fantastica. Il tema beckettiano dell’attesa, gli eventi privi di spiegazione
razionale, le atmosfere surreali cariche di scetticismo e incertezza sono al centro della
produzione narrativa dell’italiano Dino Buzzati (1906-1972), che si è cimentato anche
1. La drammaturgia in Europa, negli Stati Uniti e in Italia
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nella scrittura di testi teatrali (Un caso clinico, 1953; L’uomo che andrà in America, 1962;
La fine del borghese, 1964). Inoltre, il «teatro dell’assurdo» ha influenzato, negli anni
Sessanta, le sperimentazioni neoavanguardiste del Gruppo 63.
GUIDA ALLO STUDIO
a. In quale modo il «teatro dell’assurdo» rappresenta l’esistenza umana?
b. Quali movimenti culturali e quali autori hanno influenzato gli esponenti del «teatro dell’assurdo»?
c. Per quale motivo, a proposito di Ionesco, si parla di “assurdo linguistico”?
d. Quali sono le principali caratteristiche dei personaggi beckettiani?
e. Quale tema sviluppa Beckett in Aspettando Godot?
f. Quale scrittore italiano sviluppa in chiave narrativa i temi beckettiani?
Mappa di sintesi
Le influenze culturali: avanguardie surrealiste e dadaiste, l’Esistenzialismo di Jean-Paul Sartre, Albert Camus
I temi: angoscia esistenziale alimentata dalla conflittualità della guerra fredda e dalla nascita della società del
benessere, assenza di ideali, alienazione e incomunicabilità
Assurdità della vita determinata dalla perdita delle radici religiose, metafisiche e
trascendentali
Eugène Ionesco
(1912-1994)
Il «teatro
dell’assurdo»
Situazioni paradossali e ripetizione esasperata di nonsense (assurdo linguistico)
Anticommedia: assenza di progressione drammatica e di sviluppo narrativo (La
cantatrice calva, 1950)
Samuel Beckett
(1906-1989)
Messinscena di gesti e silenzi e personaggi-marionetta
Tema dell’angoscia indefinita dell’attesa (Aspettando Godot, 1952)
Altri esponenti: Harold Pinter (1930-2008); Witold Gombrowicz (1904-1969)
Influenze sulla narrativa di Dino Buzzati (1906-1972) e sulle sperimentazioni neoavanguardiste del Gruppo 63
Il realismo
psicologico
A partire dagli anni Trenta-Quaranta nel teatro statunitense si manifestò una fioritura
di opere incentrate sulla crisi dell’uomo contemporaneo. Autori come Eugene O’Neill,
Tennessee Williams, Arthur Miller mettono in scena il disagio, lo straniamento, le
nevrosi, la follia che colpiscono gli individui più fragili, e in particolare le donne, a
seguito della pressione psicologica esercitata dalla società e dalla famiglia. Va detto
che questi drammaturghi, pur nelle loro diversità, hanno in comune l’interesse per
la psicoanalisi di Freud, che in quegli anni cominciava a essere conosciuta negli Stati
Uniti, come pure per il pensiero di Nietzsche (O’Neill), per i classici greci (O’Neill,
Miller), per il teatro naturalista di Ibsen e per il teatro di Pirandello.
Eugene O’Neill
Le tecniche dell’avanguardia espressionista si combinano con tematiche legate al
teatro di Ibsen nell’opera di Eugene O’Neill, pietra miliare della drammaturgia statunitense.
Dal dopoguerra al terzo millennio
I generi: Teatro
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L’enciclopedia
Premio Pulitzer Prestigioso
premio conferito negli Stati
Uniti a chi si è distinto nel
giornalismo, nella letteratura e
nella composizione musicale;
venne istituito dal giornalista
e magnate dell’editoria Joseph
Pulitzer (di origine ungherese) e
assegnato la prima volta nel 1917.
Nato a New York nel 1888 (e morto a Boston nel 1953), figlio di un attore, Eugene
O’Neill fu iniziato precocemente al teatro. Si sposò giovanissimo ma abbandonò
moglie e figli per girare il mondo in cerca di avventure. Nel 1910 si imbarcò come
marinaio e navigò tra Buenos Aires, Sudafrica, Inghilterra, Stati Uniti. Conclusa
l’esperienza del mare, fu attore con il padre e cronista in un giornale di provincia. Nel
1913, minato dalla tubercolosi e dall’alcol, venne ricoverato in sanatorio, dove trascorse
diversi mesi leggendo (Dostoevskij, Strindberg e Conrad) e scrivendo testi teatrali.
Nel 1916 si stabilì a Provincetown, dove vennero rappresentati i suoi primi drammi “marini”: In viaggio per Cardiff (1916), Il lungo viaggio di ritorno (1917), La luna dei
Caraibi (1917).
Trasferitosi a New York, mise in scena il dramma in tre atti Al di là dell’orizzonte
(1918), con il quale vinse il premio Pulitzer. Da allora la sua esistenza, segnata da
divorzi, nuovi amori, tragedie familiari, si identificò con l’attività teatrale.
Nei drammi successivi O’Neill mise a frutto le sue numerose letture (Darwin,
Nietzsche, i tragici greci, riletti attraverso Freud e Jung), che lo avevano avvicinato al
tema della lotta per la vita e dell’affermazione dell’individuo nella società moderna,
ma anche all’analisi dei traumi psichici e delle nevrosi causate dalle sopraffazioni
familiari e sociali e dal senso di sconfitta.
Strano interludio (1928) è un lungo dramma imperniato sulle frustrazioni all’interno di una famiglia e caratterizzato dall’espediente delle battute “a parte”, che traducono scenicamente il “flusso di coscienza” della narrativa contemporanea.
La trilogia Il lutto si addice a Elettra (1931) attualizza il ciclo tragico degli Atridi
(Agamennone, figlio di Atreo, di ritorno dalla guerra di Troia viene ucciso dalla moglie Clitennestra e dal suo amante Egisto, ma verrà poi vendicato dai figli, Oreste
ed Elettra) mettendo in scena la storia di una famiglia americana, in cui il codice
repressivo scatena l’impulso all’autodistruzione, nel clima di disgregazione sociale
provocato dalla guerra civile (1861-1865). Nel primo dramma della trilogia (Ritorno) il
generale Ezra Ammon, tornato a casa dopo la guerra, scopre che la moglie Christine
lo ha tradito con il capitano Brant, di cui è innamorata anche la figlia Lavinia. Per
non perdere l’amante Christine avvelena il marito, ma questi prima di morire rivela a
Lavinia d’essere stato assassinato. Nel secondo dramma (L’agguato) torna dalla guerra
Orin, fratello di Lavinia, la quale gli svela la colpa della madre, anche se non riesce
a fornirne le prove. Orin però le crede e uccide Brant; rimasta sola di fronte al suo
misfatto, Christine si dà la morte. L’incubo, ultima parte della trilogia, si svolge un
anno dopo: Lavinia e Orin tornano da un viaggio nei mari del Sud. Lavinia vorrebbe
andarsene e sposarsi, ma teme che Orin, preso dal rimorso, confessi il loro delitto.
Orin però si uccide, non potendo più sopportare il peso del suo gesto, e Lavinia, a cui
«si addice il lutto» come a Elettra, resterà per sempre nella casa di famiglia.
Nel 1936 O’Neill ricevette il premio Nobel, cui seguì un lungo silenzio interrotto
solo da Arriva l’uomo del ghiaccio (1946), inizio della sua ultima stagione creativa,
culminata con il dramma Lungo viaggio verso la notte (scritto nel 1940 e rappresentato
postumo nel 1956); in esso O’Neill mette in scena una giornata nella villa dell’attore
James Tyrone, che vive insieme alla moglie Mary e ai due figli. Il dramma è scandito
da lunghe battute tra i quattro personaggi, che si accusano a vicenda di torti subìti, di
rari gesti d’amore ricevuti, e infine del fallimento delle loro vite, segnate dalla superficialità vanesia del padre, dalla malattia della madre, dedita alla morfina, dall’alcolismo
della figlia, dall’esasperata tendenza all’introspezione del figlio.
Tennessee Williams e Arthur Miller
Negli anni Quaranta si affermano altri due drammaturghi di notevole rilievo, Tennessee Williams (1914-1983; Un tram che si chiama desiderio, 1947; La gatta sul tetto
che scotta, 1955; Improvvisamente l’estate scorsa, 1958) e Arthur Miller (1915-2005; Erano tutti miei figli, 1947; Morte di un commesso viaggiatore, 1949; Il crogiolo, 1953; Uno
sguardo dal ponte, 1955).
1. La drammaturgia in Europa, negli Stati Uniti e in Italia
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Follia, solitudine, straniamento dalla realtà, inettitudine sono i motivi dominanti
delle opere di Tennessee Williams, trasposte anche in opere cinematografiche di
successo. Un tram che si chiama desiderio (1947), ambientato a New Orleans, ha per
protagonista una donna, Blanche, il cui marito si è ucciso dopo che lei ha scoperto
le sue tendenze omosessuali. Preda dell’alcol, sempre in cerca di un amore che la
soddisfi pienamente, Blanche vorrebbe riscattarsi ma fallisce: una relazione con il
marito della sorella, uomo violento e maschilista cui non riesce a sottrarsi, si concluderà in una tragedia e con il suo ricovero in una casa di cura.
Il teatro sociale di Miller, vicino ai modelli di Ibsen e O’Neill, affronta in particolare
i temi della lotta per l’affermazione sociale e dei conflitti familiari.
I giovani arrabbiati inglesi
Nell’ambito del realismo psicologico, nel secondo dopoguerra la scena teatrale inglese è animata dai «giovani arrabbiati» (angry young men), espressione con la quale
si indica un gruppo eterogeneo di scrittori e drammaturghi accomunati da un atteggiamento protestatario nei confronti dell’establishment intellettuale e interpreti delle
nuove istanze che andavano emergendo nella società. Tra gli esponenti di questa
rinascita figurano i drammaturghi John Osborne (1929-1994), il cui esordio avvenne
con la commedia Ricorda con rabbia (1956), e John Arden (1930).
GUIDA ALLO STUDIO
a. Quali furono i temi rappresentati dal teatro statunitense a partire dagli anni Quaranta?
b. Quali influenze culturali subirono i drammaturghi statunitensi?
c. Su quali aspetti della società contemporanea rivolse la propria attenzione il teatro di O’Neill?
d. Quale ciclo tragico viene attualizzato nella trilogia Il lutto si addice a Elettra?
e. Oltre a O’Neill, quali furono gli altri due principali drammaturghi statunitensi?
f. Quali aspetti accomunarono i «giovani arrabbiati» del teatro inglese?
Mappa di sintesi
Le influenze culturali: psicoanalisi freudiana, filosofia di Nietzsche, classici greci, teatro naturalista di Ibsen e
teatro di Pirandello
I temi: disagio, straniamento, nevrosi, follia determinata dalla pressione psicologica esercitata dalla società e dalla
famiglia
Al di là dell’orizzonte (1918), Strano interludio (1928), Il lutto si addice a Elettra (1931),
Lungo viaggio verso la notte (1940)
Il teatro
realistico–
psicologico
negli Usa e in
Inghilterra
Eugene O’Neill
(1888-1953)
Fusione delle tecniche dell’avanguardia espressionista con i temi del teatro naturalista
Lotta per l’affermazione nel mondo contemporaneo, analisi dei traumi psichici e delle
nevrosi, conflitti familiari e sociali e senso di sconfitta
Un tram che si chiama desiderio, 1947; La gatta sul tetto che scotta, 1955;
Improvvisamente l’estate scorsa, 1958
Tennessee
Williams
(1914-1983)
Follia, solitudine, straniamento dalla realtà, inettitudine
Arthur Miller
(1915-2005)
Morte di un commesso viaggiatore, 1949; Uno sguardo dal ponte, 1955
Lotta per l’affermazione sociale e conflitti familiari
I «giovani arrabbiati»: atteggiamento critico nei confronti della cultura ufficiale; John Osborne (1929-1994; Ricorda
con rabbia, 1956), John Arden (1930)
Dal dopoguerra al terzo millennio
I generi: Teatro
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Il teatro del
“processo morale”
In Italia, al superamento della commedia borghese contribuirono nei primi anni
del Novecento le sperimentazioni teatrali futuriste, il cosiddetto «teatro del grottesco» (Luigi Chiarelli, Pier Maria Rosso di San Secondo, Massimo Bontempelli) e
soprattutto il teatro di Luigi Pirandello, che resta l’autore più significativo del XX
secolo. Il rinnovamento radicale portato avanti da Pirandello, in sintonia con le sperimentazioni, anche tecniche, dell’Espressionismo, e la sua messa in discussione del
rapporto tra vita e teatro, realtà e finzione, attore e personaggio, fanno da battistrada
per nuove forme drammatiche.
Negli anni Trenta-Quaranta si affermò una drammaturgia volta a indagare problemi
morali in forma di indagine giudiziaria; principali rappresentanti furono Ugo Betti
e Diego Fabbri.
Ugo Betti
• Felice Casorati, Natura morta con
l’elmo, 1947. Torino, Galleria Civica di
Arte Moderna.
I testi di Ugo Betti (1892-1953) sono stati rappresentati con successo da compagnie
teatrali prestigiose (Salvo Randone e Paola Borboni, Vittorio Benassi e Rina Morelli).
Magistrato di professione, Betti concepiva il teatro come strumento di approfondimento del tema della colpa e della responsabilità individuale e collettiva (Frana allo scalo
nord, 1932; Ispezione, 1942; Corruzione al Palazzo di giustizia, 1944; Delitto all’isola delle
capre, 1948). Se il teatro pirandelliano e «del grottesco» metteva in discussione ogni
forma di conoscenza, qui il relativismo coinvolge il giudizio di colpevolezza e crea
situazioni estreme, in un gioco inquietante di sospetti: per Betti non esistono colpevoli
e non, perché tutti in qualche modo lo sono. Il problema
è indagato mediante lo schema dell’inchiesta giudiziaria
condotta da uno dei personaggi che, ponendo sotto accusa i suoi simili, pone se stesso come voce della coscienza
e sollecita nel pubblico una forte tensione moralizzatrice.
Al riguardo è esemplare il dramma Corruzione al Palazzo
di giustizia, rappresentato nel 1949.
LA TRAMA •
Corruzione al Palazzo di giustizia
Ambientato nel Palazzo di giustizia di una imprecisata città contemporanea, ha come tema
le rivalità e i rancori tra i giudici, che possono
spingersi fino a commettere un omicidio.
Ludvi-Pol, uomo potente coinvolto in oscure trame finanziarie, sta per essere processato
ma viene ucciso all’interno del Palazzo. Si apre
un’inchiesta (il Consigliere inquisitore è Erzi)
e i sospetti si concentrano sul magistrato più
anziano, il Presidente Vanan. Elena, la figlia
di Vanan, chiede di essere ricevuta dal giudice
Cust e gli porta un memoriale che testimonia
l’innocenza del padre. Ma nel corso del collo-
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• LA TRAMA
quio con Cust, che è il vero colpevole, la giovane donna resta profondamente turbata, perché il suo diabolico interlocutore le toglie ogni illusione sulla
reale innocenza del padre e scuote la sua fiducia nei valori in cui aveva fino
allora creduto. Poco dopo Elena si uccide. Quando l’inchiesta è ormai chiusa,
sconvolto dal rimorso Cust decide di costituirsi.
Diego Fabbri
La lezione pirandelliana del “teatro nel teatro” e l’interesse per le problematiche
morali e religiose in forma d’inchiesta si intrecciano nel teatro di Diego Fabbri (19111980), drammaturgo di ispirazione cristiana. Ma, se in Pirandello il relativismo esistenziale è privo di sbocchi (si pensi ai Sei personaggi in cerca d’autore), in Fabbri il
processo drammatico ha una soluzione positiva. Tra i suoi testi più significativi si
ricordano Inquisizione (1950), Il seduttore (1951), Processo di famiglia (1953), Processo a
Gesù (1955), Veglia d’armi (1956), Al Dio ignoto (1980).
LA TRAMA
La sperimentazione
teatrale
nell’età delle
Neoavanguardie
Processo a Gesù
Protagonista del dramma Processo a Gesù è una compagnia di attori ebrei
girovaghi: Elia, ex professore dell’università di Tubinga, la moglie Rebecca, la
figlia Sara, Davide, innamorato di Sara, replicano sulla scena, per l’ennesima
volta, il processo a Gesù di Nazareth. Ma ora lo spettacolo ha un’impostazione aperta: si invita sul palcoscenico il pubblico, che fa domande provocatorie
e anima il dibattito. Gli interpreti intrecciano al dibattito il loro dramma
privato e l’indagine turba profondamente Sara e Davide, responsabili (come i
traditori di Cristo) di aver denunciato ai tedeschi il marito di lei, provocandone la morte. Sara, presa nella spirale del rimorso, insiste perché lo spettacolo
investighi sulle cause del parziale successo del messaggio cristiano dopo
tanti secoli di storia, così che il “processo a Gesù”, il Grande Condannato, si
trasforma in un processo alla debolezza degli uomini e in un chiarimento sul
senso profondo della vita. Dalle voci degli spettatori divenuti personaggi (un
sacerdote, un intellettuale, una donna delle pulizie che soffre per la perdita
del figlio ucciso ma è animata dalla fede) affiora il messaggio dell’autore: il
Cristianesimo corrisponde alla ricerca di amore e di perdono cui ogni individuo aspira e a questa ansia corrisponde la presenza perenne di Cristo fra
gli uomini, se gli uomini si riuniscono tra di loro in suo nome.
Negli anni Sessanta, la Neoavanguardia del Gruppo 63 (tra cui Edoardo Sanguineti,
poeta ma anche autore di teatro, K e altre cose) sperimenta nuove forme drammaturgiche e nuove definizioni dello spazio scenico, del ruolo dell’attore e del regista, del
rapporto con il pubblico.
Autori-registi-attori
L’enciclopedia
Mattatore Attore in grado
di reggere da solo la scena
teatrale, grazie a una recitazione
veemente e talora esasperata,
una postura altera e una
gestualità enfatizzata.
Al centro dell’attività creativa si pone, più che la scrittura del soggetto, l’interesse per
la recitazione e per la regia di autori-registi-attori. I teorici e i registi d’avanguardia
dissolvono lo spazio scenico tradizionale (palcoscenico, platea, palchi, loggione), talora recuperando l’antica dimensione della festa collettiva da portare in spazi alternativi
come le piazze, per dare vita a spettacoli in cui il pubblico è chiamato a svolgere
un ruolo attivo. La parola, ridotta a gioco dissacrante, puro suono, dà rilievo, anche
provocatorio, alla reinvenzione della gestualità, messa in essere da attori-mattatori
come Vittorio Gassman (1922-2000) o da registi come Giorgio Strehler (1921-1997),
fondatore del Piccolo Teatro di Milano (1947), e Luca Ronconi (1933).
Sono interessanti anche le esperienze drammaturgiche di alcuni scrittori, come il
romano Achille Campanile (1900-1977), i cui testi sono caratterizzati da una comicità
surreale, o come Ennio Flaiano (1910-1972), autore di vere e proprie farse, nelle quali
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coglie gli aspetti più assurdi e paradossali della vita contemporanea: Un marziano a
Roma (1960), portato in scena da Vittorio Gassman, narra dello sprovveduto marziano Kunt che, piombato in via Veneto, frequentata da artisti e attori, ne sconvolge la
vita quotidiana prima di finire nell’oblio, “consumato” come un divo dello schermo.
Più decisamente sperimentali sono le opere teatrali del pittore, scrittore, critico d’arte Giovanni Testori (1923-1993), tra le quali la trilogia costituita da L’Ambleto (1972),
Macbetto (1974), Edipus (1977), attualizzazioni grottesche di temi classici, ambientate
in un contesto violento e degradato, fra operai del sottoproletariato urbano.
L’enciclopedia
Il teatro politico di Dario Fo
Vangeli apocrifi Racconti antichi
della vita di Cristo, detti “apocrifi”
(nascosti, riservati a pochi) perché
esclusi dalla versione cristiana
della Bibbia. Rispetto ai Vangeli
canonici, vi si trovano episodi
dell’infanzia di Gesù e raccolte di
detti e massime a lui attribuiti; a
volte forniscono interpretazioni
del messaggio evangelico di
Cristo vicine alle dottrine di sette
ereticali.
Autore-attore-regista dotato di grande abilità pantomimica è Dario Fo (1926), premio
Nobel per la letteratura nel 1997. Fo ha recepito il senso delle trasformazioni in atto
nella società italiana negli anni Sessanta e Settanta, e ha dato vita a un teatro politicomilitante, caratterizzato da una forte carica antiborghese, e in cui si intrecciano la
lezione dell’assurdo linguistico di Eugène Ionesco e la tecnica drammaturgica di
Bertolt Brecht. La sua opera più riuscita resta Mistero buffo (1969), un lungo monologo basato su una rielaborazione di Vangeli apocrifi medioevali, in cui l’attore Fo dà
voce e corpo a diversi personaggi utilizzando il grammelot, un “pasticcio” linguistico
che combina parole, gesti e suoni.
La sperimentazione di Carmelo Bene
Un’altra originale sperimentazione teatrale legata all’uso della parola come demistificazione linguistica è messa in campo dal pugliese Carmelo Bene (1937-2002). Il suo
programma è amplificare la voce, poi filtrarla, distorcerla, sradicarla dalla comprensibilità della parola con una nuova disinibita vocalità (le frasi sono spezzate, le sillabe
accentuate). Egli rifiuta dell’attore contemporaneo «la tanto ricercata simulazione, il
suo elemosinare una sciagurata attendibilità». Regista, autore e attore, il suo progetto
è teso a manipolare i classici, per offrire allo spettatore una via d’accesso leggera,
sottilmente burlesca, all’opera, sottratta al rigore formale e all’unitarietà stilistica
tradizionalmente richiesti. I suoi Pinocchio, Amleto, Otello, Erode, Macbeth sono
personaggi reinventati, contaminati dalla parodia, da una mescolanza di generi alti
e bassi (Pinocchio, 1961; Nostra Signora dei turchi, 1966; Romeo e Giulietta – Storia di
Shakespeare secondo Carmelo Bene, 1976).
Il teatro dialettale
napoletano
Nella drammaturgia del nostro paese un posto rilevante è occupato dal teatro dialettale napoletano. Tra la Prima guerra mondiale e gli anni Trenta soprattutto Raffaele
Viviani (1888-1950; ’Nterra a ’Mmaculatella, tradotto poi in Scalo marittimo, 1918), il
più grande attore e scrittore napoletano di commedie, si distinse per i copioni realistici e per la recitazione naturale, priva di sentimentalismo. Famosi interpreti della
“napoletanità” sono poi i fratelli De Filippo, Titina (1898-1963), Eduardo (1900-1984)
e Peppino (1903-1980), figli naturali dell’attore e commediografo Eduardo Scarpetta.
Eduardo De Filippo
I testi di Eduardo, protagonista delle scene nazionali dagli anni Trenta agli anni
Settanta, si sono rivelati i migliori nel rappresentare situazioni quotidiane cariche
di malinconia. Come ha osservato il critico teatrale Vito Pandolfi, egli «riflette esperienze compiute direttamente dal suo pubblico» raccolto in platea e «stabilisce con
esso una partecipazione immediata».
La “napoletanità” di Eduardo consiste in una filosofia tragica e amara, che interpreta il male e il dolore di vivere dell’uomo contemporaneo. Superati gli stereotipi
della maschera del teatro napoletano (Il figlio di Pulcinella ricorda il goloso e sempre
affamato Pulcinella della commedia dell’arte, amaramente saggio anche se maltrattato da tutti), i suoi personaggi irrompono sulla scena animati da una carica vitale,
1. La drammaturgia in Europa, negli Stati Uniti e in Italia
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GUIDA ALLO STUDIO
a. Quali sono i temi affrontati rispettivamente dalla
drammaturgia di Betti e
di Fabbri?
b. Quali sono le principali
caratteristiche del teatro
di Campanile, Flaiano e
Testori?
c. Quali sono le fonti di ispirazione di Fo?
d. Quale lavoro compie Bene
sul modo di recitare?
e. Quali sono gli ambienti
sociali che fanno da sfondo alle vicende rappresentate da De Filippo?
Mappa di sintesi
da un bisogno di valori autentici come la solidarietà e la giustizia in antitesi con
l’egoismo e l’avidità. Le commedie, al di là della mimica e dell’intreccio, sono ricche
di battute farsesche e animate dalle inquietudini interiori dei protagonisti. Si svolgono per lo più tra le pareti domestiche in ambienti quotidiani di Napoli, popolari o
piccolo-borghesi, movimentati dalla furbizia dell’uomo comune e dalla sua capacità
di affrontare le contraddizioni dell’esistenza con dignità e orgoglio, con una risata
o con amara rassegnazione. Il dialetto inserito nel linguaggio quotidiano rende più
colorite le situazioni ed esprime il senso profondo delle cose. L’uso del napoletano
non preclude la comprensione dei dialoghi a chi non conosca quel dialetto.
Fra le sue opere più note e rappresentate ricordiamo Natale in casa Cupiello (due atti
nel 1931, poi ampliati in tre nella versione del 1943), Napoli milionaria (1945), Filumena
Marturano (1946), Il sindaco del rione Sanità (1961), Gli esami non finiscono mai (1973).
Superamento della commedia borghese: sperimentazioni teatrali futuriste, «teatro del grottesco» e Luigi Pirandello
Ugo Betti (1892-1953): Corruzione al Palazzo di giustizia (1944); tema della colpa e della
responsabilità individuale e collettiva, relativismo del giudizio di colpevolezza
Teatro di
indagine
giudiziaria
Diego Fabbri (1911-1980): Processo a Gesù (1955); “teatro nel teatro”, problematiche morali
e religiose in forma d’inchiesta e soluzione positiva del relativismo esistenziale
Sperimentazioni della Neoavanguardia: nuove forme drammaturgiche, nuove definizioni dello spazio scenico, del
ruolo dell’attore e del regista, del rapporto con il pubblico
Vittorio Gassman (1922-2000), Giorgio Strehler (1921-1997), Luca Ronconi (1933):
dissoluzione dello spazio scenico, coinvolgimento del pubblico, sperimentazioni sulla
parola e la gestualità
Il teatro
italiano
Autori-registiattori
Achille Campanile (1900-1977): comicità surreale
Ennio Flaiano (1910-1972): aspetti assurdi e paradossali della vita contemporanea
Giovanni Testori (1923-1993): attualizzazioni grottesche di temi classici
Dario Fo (1926)
Teatro politico-militante e antiborghese, sintesi di assurdo linguistico di Ionesco e
drammaturgia brechtiana
Mistero buffo (1969): Vangeli apocrifi medioevali e utilizzo del grammelot
Carmelo Bene
(1937-2002)
Parola come demistificazione linguistica e sperimentazione sull’uso della voce
Pinocchio, 1961; Romeo e Giulietta – Storia di Shakespeare secondo Carmelo Bene, 1976;
manipolazione dei classici, reinvenzione parodistica dei personaggi, mescolanza di generi
Raffaele Viviani (1888-1950): copioni realistici e recitazione naturale, priva di
sentimentalismo
Natale in casa Cupiello (1931-1943), Napoli milionaria (1945),
Filumena Marturano (1946)
Teatro dialettale
napoletano
Eduardo
De Filippo
(1900-1984)
Ambienti popolari o piccolo-borghesi; il male e il dolore di
vivere dell’uomo, ricerca dei valori della solidarietà e della
giustizia, dignità e orgoglio
Inserimento del dialetto nel linguaggio quotidiano
Dal dopoguerra al terzo millennio
I generi: Teatro
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Percorso I generi
1. La drammaturgia in Europa, negli Stati Uniti e in Italia
Bertolt Brecht
• Rudolf Schlichter, Ritratto di Bertolt
Brecht, 1926. Monaco, Städtische
Galerie.
La vita
Bertolt Brecht nacque ad Augusta (Germania) nel 1898 da una ricca famiglia borghese. Finito il liceo, si iscrisse alla facoltà di lettere e poi a quella di medicina, ma non
frequentò i corsi a causa della guerra, scoppiata poco dopo. Nel 1918, mentre prestava
servizio come infermiere in un ospedale militare, iniziò a scrivere i suoi primi drammi
e poesie (Baal e La leggenda del soldato morto). Nel 1924 si stabilì a Berlino dove entrò in
contatto con gli artisti e gli intellettuali più interessanti del momento: collaborò con i
registi Max Reinhardt e Erwin Piscator al Deutsches Theater, incominciò un sodalizio
con il compositore Kurt Weill (che nel 1935 sarà costretto dal nazismo a emigrare negli
Usa), strinse amicizia con il pittore George Grosz, conobbe il filosofo e critico letterario
Walter Benjamin, che lo avvicinò al marxismo. Nel 1928, l’anno in cui andò in scena
una delle sue opere più famose, L’opera da tre soldi, sposò in seconde nozze l’attrice
Helene Weigel, protagonista di molti suoi drammi. Dopo il 1930 si legò sempre più al
Partito comunista tedesco ed elaborò una nuova concezione del teatro, più direttamente
politica. Il 28 febbraio 1933, il giorno dopo l’incendio del Reichstag (il Parlamento) da
parte dei nazisti, Brecht abbandonò con la famiglia e con alcuni amici la Germania (il
10 maggio dello stesso anno le sue opere, come quelle di tanti altri intellettuali, vennero
bruciate dai nazisti sulla pubblica piazza). Dopo brevi soste a Zurigo, in Canton Ticino
e a Parigi, si stabilì nella piccola città di Svendborg, in Danimarca. Nell’esilio danese
continuò a comporre le sue opere e a svolgere attività politica, e viaggiò in Unione
Sovietica, negli Stati Uniti, a Parigi. Quando i nazisti invasero la Danimarca, riparò in
Finlandia, poi quando anche questo paese cadde in mano ai tedeschi, si spinse fino a
Mosca, da dove poi raggiunse fortunosamente gli Stati Uniti. Nei sette anni trascorsi
a Los Angeles, in California, visse progettando film per Hollywood, ma si sentiva sostanzialmente un estraneo. Nel 1947 andò in scena a Hollywood, per la regia di Losey,
il dramma Vita di Galileo. Chiamato a comparire davanti al “Comitato per le attività
antiamericane”, ottenne di lasciare gli Stati Uniti. Si stabilì a Berlino Est, dove nel 1949
organizzò la famosa compagnia Berliner Ensemble, in seno alla quale approfondì la
sua ricerca sulla funzione critica e militante del teatro. A Berlino morì nel 1956. La
sua opera è stata conosciuta in Italia nel dopoguerra grazie al Piccolo Teatro di Milano
e al suo principale animatore, il regista Giorgio Strehler.
Le opere
La fase tardoespressionista
Negli anni 1924-1929 Brecht non era ancora approdato all’idea di un ruolo politico
del lavoro teatrale; era interessato ai meccanismi economici che presiedono alla vita
sociale, ma restava sospeso tra teatro d’avanguardia tardoespressionista e teatro tradizionale. Nel 1928 mise in scena uno dei suoi primi capolavori, L’opera da tre soldi,
al cui successo contribuirono anche le Canzoni (Songs) del compositore Kurt Weill.
Il dramma, tratto dall’Opera del mendicante (1728) dell’inglese John Gay, narra le vicende del delinquente Mackie Messer tra bande di accattoni e malviventi, prostitute,
commercianti imbroglioni e poliziotti corrotti. Un mondo lontano da quello borghese
ma, come questo, soggetto alla logica del profitto: i mendicanti devono pagare una
“licenza” di accattonaggio al loro “re”, un commerciante-usuraio senza scrupoli.
L’avvicinamento al marxismo è segnato da Ascesa e rovina della città di Mahagonny
(1928-1929), la città-ragnatela che, fondata sul mito del denaro, arriva a suicidarsi a
causa della depravazione indotta dalla ricchezza.
1. La drammaturgia in Europa, negli Stati Uniti e in Italia
Bertolt Brecht
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LA TRAMA
L’opera da tre soldi
Ambientato nella Londra dei primi anni del Novecento, nel quartiere malfamato di Soho, narra le peripezie di Macheath, detto Mackie Messer il Capitano. In seguito al matrimonio con Polly, la figlia di Jonathan Jeremiah
Peachum, “re” dei mendicanti e padrone dei grandi magazzini, è da questi,
contrario alle nozze e in combutta con lo sceriffo Brown la Tigre, costretto
a fuggire. Dopo una serie di alterne vicende Mackie viene imprigionato ma,
quando sta per essere giustiziato, viene liberato per ordine della regina, che
gli conferisce anche un titolo nobiliare.
Il «teatro epico»
A partire dalla teoria del «teatro epico», che Brecht elaborò nel Saggio sull’opera «Ascesa e rovina della città di Mahagonny» (1931), nascono nel periodo dell’esilio, dal 1933
al 1947, le sue opere maggiori, enigmatiche per la loro irrisolta contraddittorietà e
apertamente esemplificatrici della dialettica della società capitalistica.
Il carattere «epico» di Madre Courage e i suoi figli (1939; • 14 ) è indicato dal
sottotitolo Cronache della Guerra dei trent’anni. Si tratta appunto di una narrazione
(cronaca) ambientata in Germania tra il 1624 e il 1636 e ispirata a un romanzo picaresco di Grimmelshausen (1670). Le scene, dodici in tutto, sono costituite da altrettanti
episodi il cui leitmotiv è dato dal carro (che è anche la casa) di Anna Fierling, detta
Madre Courage, una vivandiera al seguito degli eserciti in lotta.
LA TRAMA
Madre Courage e i suoi figli
Anna Fierling, detta Madre Courage (in francese significa “coraggio”), è una
vivandiera al seguito degli eserciti impegnati nella guerra tra cattolici e protestanti che sconvolse l’Europa per trent’anni, dal 1618 al 1648. La donna, che
non parteggia per nessuno degli schieramenti in lotta ma offre i suoi servigi
a entrambi, cerca solo di approfittare della situazione, di vendere mercanzie
per far sopravvivere i suoi figli. La protagonista trascina il suo carro di cianfrusaglie da un campo all’altro alla ricerca di modesti affari; anche quando
muoiono sia il figlio minore Schweiserkas sia la figlia muta Kattrin e il carro
va perso, lei si ostina nella sua disperata peregrinazione, che è un modo per
sopravvivere nella generale tragedia della guerra.
Gli altri drammi e le raccolte poetiche
L’anima buona di Sezuan, composta nel 1939 e rappresentata negli Stati Uniti nel
1943, è un dramma sull’impossibilità d’essere “buoni” in un mondo “cattivo”. La
prostituta Shen Te è un’anima buona e generosa costretta a recitare la parte di un
uomo duro e spietato per far fronte a un mondo dominato dagli interessi economici.
Il dramma Vita di Galileo, incentrato sulla figura del grande scienziato del Seicento
inquisito dalla Chiesa per le sue teorie scientifiche, ha avuto tre versioni: la prima,
danese, vede Galileo come il combattente per la libertà intellettuale (1938-1939); la
seconda, americana, rappresenta lo scienziato come succube di un «voluttuoso e
tirannico impulso scientifico» (1945-1946); la terza, berlinese, vede in Galileo il capostipite degli odierni scienziati atomici asserviti al potere (1953-1955).
Brecht scrisse anche alcune raccolte di poesie, tra le quali ricordiamo la prima Il
libro di devozioni domestiche (1927) e le Poesie di Svendborg (1939).
GUIDA ALLO STUDIO
a. Quando e per quale motivo Brecht dovette allontanarsi dalla Germania?
b. Quale tecnica rappresentativa contribuì al successo dell’Opera da tre soldi?
c. In quali anni Brecht compose le sue opere più importanti legate alla teoria del «teatro epico»?
d. Quale avvenimento storico fa da sfondo alle vicende di Madre Courage?
e. In che cosa si differenziano le tre versioni di Vita di Galileo?
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I generi: Teatro
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Percorso I generi
1. La drammaturgia in Europa, negli Stati Uniti e in Italia
Il dramma• Madre Courage e i suoi figli, con le nove canzoni musicate da P. Dessau, fu rappresentato per la prima volta a Zurigo nel 1941. Nel 1949 Brecht ne allestì una nuova rappresentazione al teatro Berliner Ensemble da poco costituito, e affidò la parte della protagonista
alla moglie, l’attrice Helene Weigel.
In ogni scena• la didascalia• di apertura ha una funzione di raccordo narrativo con la scena
precedente e di sommario dell’azione drammatica che si deve svolgere.
La scena V è ambientata nel 1631 a Breitenfeld, presso Lipsia. È terminata da poco la
battaglia tra gli svedesi comandati da Gustavo Adolfo e le truppe imperiali comandate dal
generale Tilly. Madre Courage, che con il suo carro si trova nei pressi di un villaggio semidistrutto, su sollecitazione del cappellano e della figlia Kattrin, sacrifica quattro camicie per
farne delle bende per i contadini feriti.
Nella scena XII è l’alba, gli eserciti imperiali si stanno allontanando dalla città di Halle e
Madre Courage insieme ad alcuni contadini siede vicino al corpo di Kattrin, morta per salvare
la città.
14
Bertolt Brecht
Madre Courage e i suoi
figli
La guerra
di Madre
Courage
trad. di R. Leiser e F. Fortini, Einaudi,
Torino, 1970
S
Scena V
ono passati due anni, la guerra invade sempre nuovi paesi. Il piccolo carro
della Courage compie viaggi interminabili attraverso la Polonia, la Moravia,
la Baviera, l’Italia e ancora la Baviera. 1631. La vittoria di Tilly1 a Lipsia costa
a Madre Courage quattro camicie da ufficiali.
5
Il carro di Madre Courage è fermo in un villaggio semidistrutto.
Giunge da lontano il suono di una fanfaretta2 militare. Al banco due soldati, serviti
da Madre Courage e da Kattrin. Uno di loro è avvolto in una pelliccia da signora.
madre courage Come? Non puoi pagare? Niente soldi, niente grappa3. Marce
trionfali, quelle sì che le sanno suonare; ma intanto la paga non la dànno.
10 primo soldato Voglio la mia grappa. Sono arrivato troppo tardi per il saccheggio. Il capitano ci ha fregati e ha dato il permesso di saccheggiare la
città soltanto per un’ora. «Non sono uno snaturato», ha detto. Si vede che
la città gli ha pagato qualcosa.
cappellano (Si precipita in scena). In cortile ce n’è degli altri4. La famiglia dei
15
contadini. Mi aiuti, qualcuno. Ho bisogno di bende.
Il soldato esce con lui. Kattrin dà segni5 di grande eccitazione e cerca di convincer
sua madre a dare stoffa per bende.
madre courage Non ne ho. Le bende le ho vendute tutte al reggimento. Le
mie camicie da ufficiali non le strappo per quelli là.
cappellano (grida da fuori). Ho bisogno di bende, dico.
madre courage (Si siede sulla scaletta di accesso al carro, per vietare a Kattrin di
salirvi). Non do niente. Quelli non pagano, già: non hanno niente.
cappellano (curvo su una donna che ha portato in scena). Perché siete rimasti
25
qui, sotto le cannonate?
20
1. Tilly: il cattolico belga
Johann Tserclaes Conte di
Tilly era il comandante delle
truppe imperiali.
2. fanfaretta: piccola banda
musicale.
3. grappa: bevanda alcolica distillata dalle vinacce, acquavite.
4. ce n’è degli altri: ci sono altri
feriti.
5. Kattrin dà segni: la piccola è
muta.
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testi
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contadina (debolmente). La casa.
madre courage Quelli lì, mollare l’osso6! Figuriamoci! Ma ora toccherebbe a
me. Non ci penso nemmeno.
primo soldato Sono protestanti. Che bisogno hanno di essere protestanti?
30 madre courage Se ne infischiano della religione, quelli! Hanno perso la
casa.
secondo soldato Macché protestanti. Cattolici, sono.
primo soldato Non possiamo mica sgombrarli sotto il bombardamento!
contadino (sorretto dal cappellano). Il mio braccio è fottuto7.
35 cappellano E queste bende?
Tutti guardano Madre Courage, che non si muove.
madre courage Non vi posso dar nulla. Con tutte le spese, dazi8, interessi, e
i quattrini che ci vogliono per ungere le ruote9! (Kattrin solleva un pezzo di
legno, mugolando, e minaccia sua madre) Sei diventata matta? Butta via, o ti
piglio a schiaffi, disgraziata! Non do nulla, non voglio, devo pensare ai casi
40
miei. (Il cappellano la solleva di peso dalla scaletta del carro e la fa sedere per
terra; poi fruga fra la mercanzia, tira fuori delle camicie e le strappa per farne
bende) Le mie camicie! Mezzo fiorino10 l’una! Son rovinata!
Dalla casa viene un pianto di bambino.
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contadino Il bambino è ancora lì!
Kattrin corre dentro la casa.
cappellano (alla donna). Stai qui, tu! È già andato qualcuno.
madre courage Fermatela! Se casca il tetto...
cappellano Io non ci vado più, là dentro.
50 madre courage (che non sa più a chi badare). Non me lo sprecate, quel lino,
che mi costa un occhio della testa! (Il secondo soldato la tiene ferma. Kattrin
esce dalle rovine con un lattante in braccio) Meno male che hai trovato un
altro lattante da trascinarti in giro! Dàllo subito a sua madre, o dopo mi
tocca lottare per delle ore prima di cavartelo; hai capito o no? (Al secondo
soldato) Cosa stai qui a bocca aperta, vai piuttosto là a dire a quegli altri che
55
la smettano con la musica, lo vediamo qui che han vinto. Io non faccio che
rimetterci, con le vostre vittorie.
cappellano (fasciando i feriti). Il sangue passa!
Kattrin culla il lattante e canterella una ninna-nanna.
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madre courage Eccola qui seduta, tutta felice in mezzo a quest’iradiddio11.
Dàllo via subito, sua madre sta già tornando in sé. (S’accorge del primo sol-
6. mollare l’osso: lasciare le proprie cose.
7. Il mio… fottuto: il mio braccio
è gravemente ferito.
8. dazi: tasse.
9. ungere le ruote: corrompere.
10. fiorino: moneta tedesca
dell’epoca.
11. quest’iradiddio: questi eventi
bellici, in senso figurato.
Dal dopoguerra al terzo millennio
I generi: Teatro
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dato che è andato a frugare fra le bottiglie e che sta scappando con una di quelle)
Alt! Bestia, vuoi continuare a vincere? Paga, ora!
primo soldato Non ho nulla.
65 madre courage (gli strappa la pelliccia di dosso). Allora molla il cappotto, tanto
è roba rubata.
cappellano Ce n’è ancora uno, sotto le macerie.
[…]
Scena XII
Verso l’alba. Si odono tamburi e pifferi di truppa in marcia che si allontana12.
Madre Courage è seduta davanti al carro, vicino a sua figlia. I contadini sono con
lei.
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contadino (ostilmente). Devi andartene, donna. Ormai l’ultimo reggimento
sta per partire. Non puoi continuare da sola.
madre courage Forse si addormenta. (Canta)
Eja popeja13,
75 che cosa fruscia tra la paglia?
Fuori c’è un bimbo che piange
e invece i miei sono contenti14.
C’è di fuori un bimbo in stracci,
per te invece c’è la seta
80 d’una veste d’angelo15.
Quei bambini non han pane
ma per te, vedi, c’è un dolce.
Se non vuoi, dillo alla mamma.
Eja popeja,
85 che cosa fruscia tra la paglia?
In Polonia uno è sepolto,
l’altro chi sa mai dov’è.
contadina Non avreste dovuto parlare dei bambini e del cognato16.
contadino Se tu non fossi andata in città per i tuoi affari, forse non succedeva.
90
madre courage Ora dorme.
contadina Non dorme, cerca di ragionare: è all’altro mondo.
contadino E tu, bisogna che te ne vai, finalmente. Ci sono i lupi, e i briganti,
che è peggio.
95 madre courage (alzandosi). Sì. (Prende un telo dal carro per coprire la morta).
contadina Ma non hai proprio nessuno, allora? Dove potresti andare?
12. tamburi e pifferi... allontana:
sono le truppe imperiali cattoliche
che lasciano la città protestante
di Halle.
13. Eja popeja: le parole della
ninnananna non hanno un signifi-
cato preciso.
14. i miei sono contenti: perché
sono morti. Più avanti allude al
figlio minore, morto in Polonia, e
a Eilif, il maggiore, che è morto
da tempo, ma che lei si ostina a
credere ancora vivo.
15. una veste d’angelo: per la
madre, l’anima della piccola Kattrin è con gli angeli.
16. dei bambini e del cognato: il
cognato di Madre Courage, con
i suoi bambini, era nella città di
Halle. Se Kattrin non l’avesse
saputo forse non si sarebbe sacrificata per salvare la città.
1. La drammaturgia in Europa, negli Stati Uniti e in Italia
Bertolt Brecht
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testi
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madre courage Sì, uno l’ho ancora: Eilif.
contadino (mentre Madre Courage ricopre la morta). Lo devi trovare. A questa
ci penseremo noi, che venga seppellita come si deve. Puoi star tranquilla.
100 madre courage Qui ci sono un po’ di soldi per le spese. (Conta alcune monete
ai contadini).
Il contadino e suo figlio le danno la mano e portano via Kattrin.
contadina (le dà la mano, inchinandosi; poi, andandosene). Sbrigati!
madre courage (si mette alle stanghe). Spero di farcela da sola, col carro. Camminerà, non c’è molta roba dentro. Devo riprendere il mio commercio.
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Dietro le quinte passa un altro reggimento, con pifferi e tamburi.
madre courage (muovendo il carro). Vengo con voi!
Dietro le quinte, si ode un canto:
Con la sua buona sorte, i suoi rischi,
110 la guerra, è tanto tempo che c’è.
Anche durasse cent’anni, la guerra,
la gente come noi non ci guadagna.
Stracci il vestire, schifo il mangiare,
della paga i comandi ne rubano metà...
115 Ma un miracolo può ancora capitare:
non è finita ancora, la campagna!
Vien primavera. Sveglia, cristiani!
Sgela la neve. Dormono i morti.
Ma quel che ancora morto non è
120 sugli stinchi si leverà.
ANALISI
E COMMENTO
Il messaggio antimilitarista e l’intento educativo
Il dramma è una dura condanna della guerra, di ogni guerra, perché provoca solo
morte e distruzione, e soprattutto perché colpisce i più deboli e indifesi, mentre i
potenti ne traggono vantaggio.
La scena V mette in evidenza la durezza di Madre Courage in contrapposizione
alla pietà della figlia, che cerca di convincere la madre a compiere un atto di solidarietà e rischia a sua volta la propria vita per salvare dalla casa bombardata un neonato.
La scena XII presenta Madre Courage accanto al cadavere di Kattrin, sconvolta dal
dolore e riluttante a credere che la figlia sia morta: ma neppure in questa occasione la
donna maledice la guerra, perché resta la sua fonte di guadagno. Intorno, per tutto il
dramma, corrono le immagini ossessive della guerra: armi, civili feriti, soldati cinici
e violenti.
Si legge nella nota conclusiva dell’autore: «Madre Courage riconosce, non diversamente dagli amici ed ospiti suoi e da quasi ogni altro personaggio, il carattere puramente mercantile della guerra; ed è proprio questo ad attirarla. Crede nella guerra
sino alla fine. Non le passa nemmeno per la testa che ci vuole un coltello molto lungo, al tavolo della guerra, per potersi tagliare la propria fetta di torta. Chi contempla le
catastrofi si aspetta sempre, a torto, che le vittime imparino qualcosa. [...] La lezione
della catastrofe non [...] insegnerà [loro] più di quanto la cavia non impari di biologia.
Dal dopoguerra al terzo millennio
I generi: Teatro
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Non è compito dell’autore aprire gli occhi a Madre Courage,
alla fine dello spettacolo: all’autore importa che, a vedere, sia
il pubblico».
Lo straniamento
Per Brecht lo straniamento è «una tecnica con la quale si
può dare ai rapporti umani rappresentati l’impronta di cose
sorprendenti, che esigono spiegazioni, non evidenti, non
semplicemente naturali». In Madre Courage lo straniamento è affidato alle canzoni. In particolare l’ultima sintetizza il
messaggio: Anche durasse cent’anni, la guerra, / la gente come
noi non ci guadagna. Se si pensa che l’opera è del 1939, si
può comprendere l’allusione a una guerra spaventosa che sta
per coinvolgere l’Europa intera e l’importanza che riveste per
l’autore additarla agli spettatori.
• Käthe Kollwitz, La torre delle madri,
1937-1938. Berlino, Museo Käthe
Kollwitz.
LAVORIAMO
SUL TESTO
PARLARE
1. Il ritratto di Madre Courage. La protagonista del dramma, nonostante la morte dei
figli, resta sino alla fine inconsapevole delle contraddizioni e delle ingiustizie della
guerra: giustifica questa affermazione in un intervento di 5 minuti circa. Analizza
gesti e parole della donna sia durante il bombardamento del villaggio contadino sia
dopo la morte della figlia.
2. L’antitesi madre-figlia. Rifletti sul comportamento di Kattrin e spiega per quale
motivo rappresenta valori contrapposti a quelli di cui si fa portatrice Madre Courage.
3. Il silenzio di Kattrin. Ritieni che il mutismo della figlia di Madre Courage abbia
anche un valore simbolico? Potrebbe essere interpretato come rifiuto di stabilire
una forma di comunicazione?
4. Il fine utilitaristico. Nella prima scena, individua termini ed espressioni che rinviano alla sfera economica e alle leggi del profitto.
5. La condanna dell’egoismo. Rifletti sui diversi personaggi e rintraccia comportamenti e parole da cui possiamo ricavare il cinismo egoistico e il disinteresse verso il
destino altrui prodotti dalla logica crudele della guerra.
6. Il giudizio nei confronti della guerra. Quale immagine della guerra viene trasmessa dal dramma? Quali conseguenze determina nei comportamenti individuali
e collettivi?
7. La canzone. Rileggi gli ultimi due versi della canzone (rr. 119-120) con cui si conclude la scena XII. Quale significato possiamo attribuire all’affermazione che chi è
sopravvissuto alla guerra sugli stinchi si leverà?
1. La drammaturgia in Europa, negli Stati Uniti e in Italia
Bertolt Brecht
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testi
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Percorso I generi
1. La drammaturgia in Europa, negli Stati Uniti e in Italia
Samuel
Beckett
La vita
Samuel Beckett nacque a Dublino, in Irlanda, nel 1906. Si laureò nel 1927 in lettere
moderne e italiano e intraprese per qualche tempo la carriera universitaria. Scrisse in
inglese i suoi primi libri, fra cui il romanzo Murphy (1938). Nel 1938 si stabilì a Parigi
e nel 1945 incominciò a scrivere in francese. Con la commedia Aspettando Godot ebbe
inizio nel 1952 la sua attività teatrale, a cui si dedicò negli anni successivi, pur non
abbandonando la narrativa. Nel 1969 ricevette il premio Nobel per la letteratura. È
morto a Parigi nel 1989.
Le opere
• Ritratto fotografico di Samuel
Beckett.
Beckett ha composto le sue opere più importanti in lingua francese. Esordì come
narratore e, tra il 1951 e il 1953, pubblicò la trilogia Molloy, Malone muore e L’innominabile. Al suo primo testo teatrale Aspettando Godot (1952), che gli procurò fama
internazionale, seguirono altre importanti prove, come Finale di partita (1957), Atto
senza parole (1957), L’ultimo nastro di Krapp (1958), Giorni felici (1961), Commedia
(1964), Respiro e altri pezzi brevi (1971). Nella motivazione del premio Nobel, di cui
Beckett fu insignito nel 1969, si legge: «La sua opera letteraria con nuove forme di
romanzo e dramma, interpretando la degradazione dell’uomo moderno, raggiunge
vertici sublimi e trae motivo di elevazione dalla messa a nudo del dissolvimento
dell’uomo di oggi».
I personaggi di Beckett coltivano una vana e irrinunciabile speranza, rappresentata dall’attesa per qualcosa di indefinito che deve accadere, metafora del Nulla e del
vuoto esistenziale, della sconfitta connaturata alla vita stessa. Questi temi sono al
centro anche della poetica di Pirandello ma, mentre i personaggi di Pirandello tentano di opporsi allo scacco attraverso un dialogo serrato, a volte cerebrale, in Beckett
le parole si dissolvono fino al limite del silenzio. «La pantomima nel vuoto e nel
silenzio è l’estremo approdo di una drammaturgia che va da Cˇechov a Pirandello»
(L. Ferrante).
La parodia del teatro borghese
In Aspettando Godot, Beckett ha espresso, attraverso uno humour clownesco, l’impossibilità della comunicazione in una società come quella contemporanea.
Il dramma è in due atti, la vicenda si svolge nell’arco di due giorni e la scena
è sempre la stessa (Atto I: Strada di campagna con albero. È sera; Atto II: Il giorno
dopo. Stesso posto). La struttura equilibrata sembra rispettare le convenzioni tradizionali del teatro ma in realtà le demolisce: non c’è intreccio né azione, i dialoghi
sono ripetitivi, illogici, fatti per ingannare il tempo, come se i personaggi si esibissero solo per il pubblico e senza un ragionevole scopo. La storia si chiude com’è
cominciata: sotto un albero secco e in un paesaggio deserto. La caratterizzazione
dei personaggi, dagli improbabili nomi di Estragon e Vladimir, ricorda quella dei
clown, grotteschi e tragici a un tempo; i loro gesti sono ripetitivi come le parole, il
linguaggio è puerile (• 15 ).
L’opera aperta e l’identità di Godot
Sull’identità di Godot si è discusso molto. L’aspetto con cui è descritto rinvia a un
simbolo religioso o mitologico (ha la barba bianca) e comunica una sensazione di
indefinibile paura: al suo nome cala il silenzio e, nel secondo atto, segue un’esclamazione angosciata di Vladimir: «Misericordia». Godot contiene in sé la parola inglese
God, cioè Dio, ma l’inutile attesa dei due nega ogni speranza religiosa. Potrebbe
1. La drammaturgia in Europa, negli Stati Uniti e in Italia
Samuel Beckett
1
indicare la morte o ancora la felicità (il finale ot ricorda Pierrot o Charlot, metafora di
libertà e fantasia), ma è lo stesso Beckett a non identificarlo: «Se sapessi chi è Godot,
ve l’avrei detto nella commedia».
LA TRAMA
Aspettando Godot
I protagonisti, Estragon e Vladimir, sono due mendicanti, hanno fame e
freddo, si lamentano e aspettano un non meglio identificato Godot che dovrà
salvarli non si sa da chi. Arriva un vecchio, Lucky, carico di bagagli e tenuto
al guinzaglio dal suo padrone, un ricco e crudele mercante di nome Pozzo,
che lo va a vendere al mercato. Giunge poi un ragazzo, ad annunciare che
Godot arriverà l’indomani.
Al secondo atto ricompaiono Estragon e Vladimir e, dopo poco, anche
Pozzo e Lucky: Pozzo è diventato cieco, Lucky muto. Lucky regge i bagagli
del padrone e una frusta, sviene, lascia cadere il cappello che poi Vladimir
indossa. Pozzo vorrebbe sapere che ora è, dove si trova, ma non riceve risposta. Ricompare il ragazzo ad annunciare che Godot verrà certamente
il giorno dopo. I due vagabondi considerano l’eventualità di separarsi, ma
restano uniti da una solidarietà assurda perché inutile. Al termine affermano
di volersene andare insieme, ma restano immobili.
GUIDA ALLO STUDIO
a. Oltre a quella di drammaturgo, quale attività letteraria svolse Beckett?
b. Quali analogie e differenze vi sono tra il teatro di Beckett e quello di Pirandello?
c. Qual è il tema centrale intorno a cui ruota la rappresentazione di Aspettando Godot?
d. Per quale motivo possiamo affermare che Aspettando Godot abbatte le convenzioni del teatro
tradizionale?
e. Quali diversi significati può assumere la figura di Godot?
Dal dopoguerra al terzo millennio
I generi: Teatro
2
Percorso I generi
1. La drammaturgia in Europa, negli Stati Uniti e in Italia
L’opera fu rappresentata con grande successo nel 1953 nel piccolo Théâtre de Babylone a
Parigi, poi nel 1955 a Londra, in versione inglese.
Qui viene proposta la parte conclusiva del secondo atto che è, in sostanza, la replica del
primo.
15
Samuel Beckett
Aspettando Godot
Vladimir si avvicina a Estragon addormentato, lo guarda per qualche istante, poi
lo sveglia.
L’inutilità
dell’attesa
E
in Teatro, trad. di C. Fruttero, Einaudi,
Torino, 1961
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stragon (gesti impauriti, parole incoerenti. Finalmente) Perché non mi
lasci mai dormire?
vladimir Mi sentivo solo.
estragon Sognavo di essere felice.
vladimir Intanto il tempo è passato.
estragon Sognavo che...
vladimir Sta’ zitto! (Silenzio). Mi domando se è davvero cieco.
estragon Chi?
vladimir Un vero cieco direbbe forse che non ha la nozione del tempo?
estragon Chi?
vladimir Pozzo.
estragon È cieco?
vladimir L’ha detto lui.
estragon E allora?
vladimir M’è sembrato che ci vedesse.
estragon Hai sognato. (Pausa). Andiamocene. Non si può. È vero. (Pausa).
Sei sicuro che non fosse lui?
vladimir Chi?
estragon Godot.
vladimir Ma chi?
estragon Pozzo.
vladimir Ma no! Ma no! (Pausa). Ma no.
estragon Potrei anche alzarmi. (Si alza penosamente) Ahi!
vladimir Non so più che cosa pensare.
estragon I miei piedi! (Torna a sedersi, cerca di togliersi le scarpe) Aiutami!
vladimir Ho forse dormito mentre gli altri soffrivano? Sto forse dormendo in
questo momento? Domani, quando mi sembrerà di svegliarmi, che dirò di
questa giornata? Che col mio amico Estragon, in questo luogo, fino al cader
della notte, ho aspettato Godot? Che Pozzo è passato col suo facchino e che ci
ha parlato? Certamente. Ma in tutto questo quanto ci sarà di vero? (Estragon,
dopo essersi invano accanito sulle proprie scarpe, si è di nuovo assopito. Vladimir
lo guarda). Lui non saprà niente. Parlerà dei calci che si è preso e io gli darò
una carota. (Pausa) A cavallo di una tomba è una nascita difficile. Dal fondo
della fossa, il becchino maneggia pensosamente i suoi ferri. Abbiamo il tempo d’invecchiare. L’aria risuona delle nostre strida. (Sta in ascolto) Ma l’abitudine è una grande sordina. (Guarda Estragon) Anche per me c’è un altro
che mi sta a guardare, pensando. Dorme, non sa niente, lasciamolo dormire.
(Pausa). Non posso più andare avanti. (Pausa). Che cosa ho detto?
1. La drammaturgia in Europa, negli Stati Uniti e in Italia
Samuel Beckett
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testi
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Cammina avanti e indietro agitatissimo e finalmente si ferma accanto alla quinta1
sinistra e guarda lontano. Da destra entra il ragazzo del giorno prima. Si ferma.
Silenzio.
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1. quinta: ciascuno degli
elementi scenici laterali del
palcoscenico che permettono
l’entrata in scena degli attori.
ragazzo Signore... (Vladimir si volta). Signor Alberto...
vladimir Ricominciamo. (Pausa. Al ragazzo) Non mi riconosci?
ragazzo Nossignore.
vladimir Sei tu che sei venuto ieri?
ragazzo Nossignore.
vladimir È la prima volta che vieni?
ragazzo Sissignore. (Silenzio).
vladimir È il signor Godot che ti manda?
ragazzo Sissignore.
vladimir Non verrà questa sera?
ragazzo Nossignore.
vladimir Ma verrà domani.
ragazzo Sissignore.
vladimir Sicuramente.
ragazzo Sissignore.
(Silenzio).
vladimir Non hai trovato nessuno, per strada?
ragazzo Nossignore.
vladimir Altri due... (esitando) ... uomini.
ragazzo Non ho visto nessuno, signore.
(Silenzio).
vladimir Che cosa fa il signor Godot? (Pausa). Mi hai sentito?
ragazzo Sissignore.
vladimir E allora?
ragazzo Non fa nulla, signore.
(Silenzio).
vladimir Come sta tuo fratello?
ragazzo È malato, signore.
vladimir Forse era lui quello che è venuto ieri.
ragazzo Non lo so, signore.
(Silenzio).
vladimir Ha la barba il signor Godot?
ragazzo Sissignore.
vladimir Bionda o... (esitando) ... o nera?
ragazzo (esitando). Mi pare che sia bianca, signore.
(Silenzio).
vladimir Misericordia.
(Silenzio).
ragazzo Che devo dire al signor Godot, signore?
vladimir Gli dirai... (s’interrompe) ... gli dirai che mi hai visto e che... (riflettendo) ... che mi hai visto. (Pausa. Vladimir avanza, il ragazzo indietreggia,
Vladimir si ferma, il ragazzo si ferma). Di’ un po’, sei sicuro di avermi visto?
Domani non verrai mica a dirmi che non mi hai visto?
Silenzio. Vladimir fa un balzo improvviso in avanti, il ragazzo scappa come una
freccia. Silenzio. Il sole tramonta, sorge la luna. Vladimir rimane immobile. Estra-
Dal dopoguerra al terzo millennio
I generi: Teatro
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2. ribalta: è la parte anteriore
del palcoscenico, che sporge
verso la sala del teatro dove
c’è il pubblico.
gon si sveglia, si toglie le scarpe, si alza con le scarpe in mano, le posa davanti alla
ribalta2, si avvicina a Vladimir e lo guarda.
estragon Che hai?
vladimir Niente.
estragon Io me ne vado.
vladimir Anch’io.
(Silenzio).
estragon È da tanto che dormivo?
vladimir Non so.
(Silenzio).
estragon Dove andiamo?
vladimir Non lontano.
estragon No, no, andiamocene lontano di qui!
vladimir Non si può.
estragon Perché?
vladimir Bisogna tornare domani.
estragon A far che?
vladimir Ad aspettare Godot.
estragon Già, è vero. (Pausa). Non è venuto?
vladimir No.
estragon E ormai è troppo tardi.
vladimir Sì, è notte.
estragon E se lo lasciassimo perdere? (Pausa). Se lo lasciassimo perdere?
vladimir Ci punirebbe. (Silenzio. Guarda l’albero) Soltanto l’albero vive.
estragon (guardando l’albero). Che cos’è?
vladimir È l’albero.
estragon Volevo dire di che genere?
vladimir Non lo so. Un salice.
estragon Andiamo a vedere. (Trascina Vladimir verso l’albero. Lo guardano
immobili. Silenzio). E se c’impiccassimo?
vladimir Con cosa?
estragon Non ce l’hai un pezzo di corda?
vladimir No.
estragon Allora non si può.
vladimir Andiamocene.
estragon Aspetta, c’è la mia cintola.
vladimir È troppo corta.
estragon Mi tirerai per le gambe.
vladimir E chi tirerà le mie?
estragon È vero.
vladimir Fa’ vedere lo stesso. (Estragon si slaccia la corda che gli regge i pantaloni. Questi, che sono larghissimi, gli si afflosciano sulle caviglie. Tutti e due
guardano la corda). In teoria dovrebbe bastare. Ma sarà solida?
estragon Adesso vediamo. Tieni.
Ciascuno dei due prende un capo della corda e tira. La corda si rompe facendoli
quasi cadere.
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3. Didi: diminutivo di Vladimir.
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vladimir Non val niente.
(Silenzio).
estragon Dicevi che dobbiamo tornare domani?
vladimir Sì.
estragon Allora ci procureremo una buona corda.
vladimir Giusto.
(Silenzio).
estragon Didi3.
vladimir Sì.
estragon Non posso più andare avanti così.
vladimir Sono cose che si dicono.
estragon Se provassimo a lasciarci? Forse le cose andrebbero meglio.
vladimir C’impiccheremo domani. (Pausa). A meno che Godot non venga.
estragon E se viene?
vladimir Saremo salvati. (Vladimir si toglie il cappello, ci guarda dentro, ci passa la mano, lo scuote, lo rimette in testa).
estragon Allora andiamo?
vladimir I pantaloni.
estragon Come?
vladimir I pantaloni.
estragon Vuoi i miei pantaloni?
vladimir Tirati su i pantaloni.
estragon Già, è vero. (Si tira su i pantaloni. Silenzio).
vladimir Allora andiamo?
estragon Andiamo.
Non si muovono.
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I generi: Teatro
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ANALISI
E COMMENTO
La precarietà dell’esistenza
I due temi centrali del dramma sono la precarietà dell’esistenza e l’impossibilità
della fuga.
Il sonno di Estragon, che si ripete più volte nel corso del dramma, esprime quasi
il rifiuto di vivere (è il più introverso e inconcludente dei due), mentre Vladimir, che
lo sveglia per non sentirsi solo, testimonia l’esigenza dell’individuo di uscire dalle
proprie ansie e di instaurare con gli altri un rapporto di solidarietà.
Vladimir (che non sa se sia sveglio o se stia sognando) riflette sulla realtà e sull’apparenza, sul breve tempo che intercorre tra la nascita e la morte, sull’abitudine che rende
indifferenti al dolore altrui e al proprio. Ma alla fine del monologo la domanda rivolta
a se stesso: Che cosa ho detto? sembra invalidare la precedente meditazione.
Il ragazzo che annuncia per l’indomani l’arrivo di Godot chiama Vladimir con un
nome diverso (Signor Alberto, r. 44): sostiene infatti di non conoscerlo, anche se lo
ha incontrato il giorno prima.
L’umorismo tragico
I protagonisti, due mendicanti che vivono per strada, sono l’allegoria della condizione
precaria dell’uomo contemporaneo e della sua inutile attesa di qualcosa che dia un
senso all’esistenza. Sullo sfondo della scena c’è un albero stecchito, unica forma di
vita nel vuoto e nella desolazione che circonda i personaggi; ma neppure l’albero può
rivelarsi un simbolo di speranza, perché fa nascere in Estragon l’idea di impiccarsi.
La soluzione (già prospettata alla fine del primo atto) è rimandata indefinitamente
e l’assurdità dell’esistenza è siglata dal proposito di andarsene delle battute finali: V.
Allora andiamo? / E. Andiamo, ma subito dopo la didascalia avverte: Non si muovono.
E l’irrinunciabile attesa di una salvezza (V. E se viene? / E. Saremo salvati?, rr. 148-149)
continua nella completa inazione e nel non-senso della condizione umana.
La funzione di battute e didascalie
Le battute perdono la loro discorsività razionale e sono subordinate a quello che
avviene sulla scena, dove l’immobilità o il vuoto conversare fine a se stesso rappresentano il malessere esistenziale. Le didascalie• descrivono i gesti privi di senso dei
personaggi e diventano quasi un intervento narrativo dell’autore.
Le situazioni ossessive e tragiche come quelle del tentativo di suicidio sono espresse con espedienti di banale comicità dalle didascalie (Estragon si slaccia la corda che gli
regge i pantaloni. Questi… gli si afflosciano sulle caviglie… La corda si rompe…, rr. 129-133)
e dalle battute (V. I pantaloni / E. Vuoi i miei pantaloni? / V. Tirati su i pantaloni, rr.
154-156), che diventano il mezzo per comunicare facilmente al pubblico un messaggio
tragico e grottesco insieme.
• Scene da Aspettando Godot,
1956. Parigi, teatro Hebertot. Studio
Lipnitzki/Roger-Viollet.
1. La drammaturgia in Europa, negli Stati Uniti e in Italia
Samuel Beckett
Copyright © 2012 Zanichelli Editore SpA, Bologna [6201der]
Questo file è un’estensione online del corso B. Panebianco, M. Gineprini, S. Seminara, LETTERAUTORI - edizione verde © Zanichelli 2012
5
testi
15
LAVORIAMO
SUL TESTO
1. Vladimir ed Estragon. Quali sono le caratteristiche che distinguono i due protagonisti del dramma? Che cosa ricercano l’uno nel sonno e l’altro nelle sue riflessioni?
2. I pensieri di Vladimir. Completa la tabella inserendo le considerazioni di Vladimir
che riguardano gli aspetti in elenco.
L’incapacità di distinguere tra il sonno e la
veglia
L’incapacità di distinguere tra la realtà e l’apparenza
La scissione dell’io
La fatica di vivere
L’impossibilità di distinguere tra la vita e la
morte, e la brevità dell’esistenza
L’indifferenza nei confronti del dolore
3. L’oggetto dell’attesa. Dalle parole dei due personaggi, Godot appare una misteriosa
figura con valenze religiose, che da un lato incute rispetto e timore e dall’altra rappresenta l’unica possibilità di salvezza: giustifica questa affermazione con opportuni
riferimenti al testo.
4. Il tema della fuga. Nel testo compaiono numerosissime forme verbali che rimandano al desiderio di Vladimir ed Estragon di andarsene: quale bisogno si nasconde
in questo motivo ricorrente in modo ossessivo?
5. Dalla tragedia alla farsa. Il dramma della condizione umana sfocia nella comicità
clownesca: quali sono i due episodi che ricordano le gag elementari dei pagliacci di
un circo?
6. La conclusione del dramma. Rifletti sulle ultime battute del dialogo di Vladimir ed
Estragon e sulla didascalia finale. Quale condizione umana sanciscono in maniera
definitiva?
• Francis Bacon, Trittico marzo 1974,
1974. Madrid, Collezione privata.
Dal dopoguerra al terzo millennio
I generi: Teatro
6
Copyright © 2012 Zanichelli Editore SpA, Bologna [6201der]
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Percorso I generi
1. La drammaturgia in Europa, negli Stati Uniti e in Italia
Dario Fo
• Dario Fo in una fotografia di David
Corio, 1984.
La vita
Nato nel 1926 a Sangiano, in provincia di Varese, Dario Fo frequentò l’Accademia di
Belle Arti di Brera e poi la facoltà di architettura di Milano, che interruppe per dedicarsi al teatro. Esordì alla radio nel 1952, scrivendo con Franco Parenti i testi della
trasmissione satirica Poer nano. Il debutto come attore avvenne l’anno seguente, sul
palcoscenico del Piccolo Teatro di Milano dove, insieme a Parenti e a Giustino Durano,
mise in scena Il dito nell’occhio. Lo spettacolo, ironico e trasgressivo, completamente
nuovo per il pubblico di allora, rivelò le doti mimiche del giovane Fo. Nel 1955 avvenne l’incontro con Franca Rame che, nata in una famiglia di attori, lo avvicinò al
patrimonio italiano della commedia dell’arte. Prese forma così lo stile inconfondibile
di questo drammaturgo, regista e attore, una sintesi di surrealismo (recitazione),
lezione brechtiana (contenuti) e tradizione colta (ricerca filologica e linguistica). Nel
1959 fondò con Franca Rame (diventata anche sua compagna di vita) una compagnia
che per tutti gli anni Sessanta calcò le scene producendo uno spettacolo all’anno. Fin
dagli esordi Fo disdegnava i teatri stabili, ai quali preferiva i palcoscenici del varietà.
In questi anni la coppia Fo-Rame partecipò anche a Canzonissima, la trasmissione televisiva più popolare dell’Italia di allora. Ma i loro testi, volti a mettere alla berlina vizi,
ipocrisie, corruzioni del mondo politico e sociale, provocarono diversi interventi della
censura, fino al loro allontanamento dalla televisione di Stato per più di vent’anni.
Negli anni della contestazione (1968-1969) e poi nel decennio successivo il teatro
di Fo si è fatto politico-militante. Contemporaneamente è maturato l’interesse per
la ricerca sul linguaggio e per la tradizione letteraria popolare italiana che, a partire
dalla messa in scena di Mistero buffo (1969), opera di fama internazionale, è diventato
il filone principale della sua successiva produzione teatrale.
Nel 1997 Fo ha vinto il premio Nobel per la letteratura. Il suo teatro, raccolto dall’editore Einaudi in cinque volumi, viene rappresentato in tutta Europa e negli Stati Uniti.
Le opere
La produzione teatrale di Dario Fo si articola in diversi momenti. A partire dal 1959,
anno di fondazione della “Compagnia Dario Fo-Franca Rame”, i due scrivono, dirigono e interpretano opere di satira sociale, soprattutto antiborghese e di denuncia
del malcostume politico (Gli arcangeli non giocano a flipper, 1959; Isabella, tre caravelle
e un cacciaballe, 1963; Settimo: ruba un po’ meno, 1964; La signora è da buttare, 1967).
Gli anni della contestazione (1968-1969) sono contrassegnati da un più deciso impegno politico di Fo. Insieme alla Rame fonda la compagnia “Nuova Scena”, che gira
l’Italia presentando i propri spettacoli nei teatri off, nelle comuni, nei locali dell’Arci
(Associazione Ricreativa Culturale Italiana), nelle Case del Popolo gestite dal Partito
comunista. L’opera più importante di questo periodo è Mistero buffo (1969).
Nel 1970 Fo rompe con il Partito comunista, si lega alla sinistra extraparlamentare
e fonda, sempre con la Rame, il collettivo teatrale “La Comune”, che porta sulle scene
testi legati alla cronaca contemporanea, nati per essere rappresentati nelle fabbriche,
nei circoli culturali, nelle piazze e imperniati sull’improvvisazione, con risultati perciò differenti da una sera all’altra, per effetto del pubblico sempre diverso con cui
l’attore interagisce. A Fo interessa infatti stabilire un contatto diretto con gli spettatori, farsi portavoce di quanti non hanno strumenti per farsi sentire. Nascono così
Morte accidentale di un anarchico, 1970, sul caso dell’anarchico Pinelli, ingiustamente
sospettato della strage in piazza Fontana e precipitato, in circostanze mai del tutto
chiarite, da una finestra della questura milanese durante un interrogatorio; Guerra
di popolo in Cile, 1973, sul golpe cileno; Il Fanfani rapito, 1975, sul politico che aveva
guidato la campagna referendaria contro il divorzio.
1. La drammaturgia in Europa, negli Stati Uniti e in Italia
Dario Fo
1
A partire dalla metà degli anni Settanta questo filone comincia a esaurirsi per fare
posto ai temi della condizione femminile e della liberazione sessuale, ma anche a
eventi tragici come il sequestro e l’uccisione da parte delle Brigate Rosse del politico
democristiano Aldo Moro (Tragedia di Aldo Moro, 1979). Negli anni Novanta Fo si dedica prevalentemente alla ricerca sul linguaggio e sulla tradizione letteraria popolare
italiana (Johan Padan e la descoverta de le Americhe, 1991; Dario Fo incontra Ruzante,
1993; Il diavolo con le zinne, 1997).
Mistero buffo
GUIDA ALLO STUDIO
a. Quali diversi aspetti
confluirono nel teatro di
Fo sin dalle prime opere?
b. Quali aspetti
caratterizzarono le
produzioni di Fo e
della Rame negli anni
Sessanta?
c. Verso quali interessi si
spostò il teatro di Fo a
partire dalla metà degli
anni Settanta?
d. Come si articola la
rappresentazione di
Mistero buffo? E quale
significato ha questo
titolo?
e. Che cosa si intende con
l’espressione grammelot?
1. d’acchito: subito.
2. maccheronizzato: la desinenza
del suono francese è adattata a
quella del veneto. “Maccheronico”
è il linguaggio che imita il latino,
unendo le desinenze latine a
quelle delle lingue volgari.
3. papocchio: pasticcio.
Dal dopoguerra al terzo millennio
I generi: Teatro
2
Per il suo teatro di denuncia politica, Fo riscopre il repertorio dei giullari medioevali
(attori saltimbanchi, anche colti, che recitavano nelle piazze e nelle corti dei signori)
e dei comici dell’arte del Cinque-Settecento. Questo tipo di spettacolo, oltre a esaltare
le sue straordinarie doti espressive e comiche (da solo in scena interpreta contemporaneamente diversi personaggi e dialoga con il pubblico), gli consente di fare a meno
di uno spazio teatrale canonico. Mistero buffo è una reinvenzione di tredici testi di ambientazione medioevale, quasi tutti recitati da un giullare. Il titolo è ripreso da un’opera
teatrale di Vladimir Majakovskij (Mistero buffo, 1918), in cui il poeta russo aveva ripreso
il mito del diluvio e dell’arca per raccontare la rivoluzione operaia del 1917.
«Mistero» era chiamato nel Medioevo il dramma sacro, che riguardava argomenti
presenti nella Bibbia. È detto «buffo» perché non attinge alle fonti religiose ufficiali,
ma propone testi popolari e versioni grottesche di racconti che si richiamano alle
Sacre Scritture.
Nel testo Nascita del giullare (si tratta di un testo di origine orientale, ma diffuso
intorno al 1200 in diverse regioni italiane, dall’area bresciano-cremonese alla Sicilia) si
racconta la vicenda di un contadino, sfruttato dal signore feudale, al quale Cristo dona
la parola della satira come strumento di rivolta, affidandogli la missione di giullare
per denunciare al mondo le ingiustizie commesse dai potenti. Nascita del villano è
invece il rifacimento di un poemetto dell’area di Pavia attribuito a un certo Matazone
di Caligano, vissuto nel XIII o XIV secolo. All’inizio Fo recita parte del testo antico
sulle origini mitiche del villano, poi passa all’attualità: come nel Medioevo il contadino
era sfruttato dal padrone, così nella moderna società industriale è l’operaio a subire la
stessa sorte. Episodi noti come le nozze di Cana, la Passione di Cristo, il miracolo della
resurrezione di Lazzaro sono raccontati secondo il punto di vista degli oppressi. I temi
evangelici offrono infatti lo spunto all’autore per ricordare, a chi li avesse dimenticati,
«i valori rivoluzionari e popolari del messaggio cristiano» (• 16 ).
Scelte linguistiche creative: il grammelot
L’opera si avvale di una tecnica linguistico-comunicativa detta grammelot, basata su
un impasto di suoni e gesti. A proposito di questo linguaggio Dario Fo scrive: «Voglio
cominciare parlando del “grammelot”, attraverso il quale arriveremo a trattare della
storia della Commedia dell’Arte e di un problema del tutto particolare, quello del linguaggio e della sua messa in pratica. Mostrerò il “grammelot” partendo d’acchito1 da
un pezzo ormai classico di repertorio per far capire, a carte scoperte, come si articola.
“Grammelot” è un termine di origine francese, coniato dai comici dell’arte e maccheronizzato2 dai veneti che dicevano “gramlotto”. È una parola priva di significato
intrinseco, un papocchio3 di suoni che riescono egualmente a evocare il senso del
discorso. […] La prima forma di grammelot la eseguono senz’altro i bambini con la
loro incredibile fantasia quando fingono di fare discorsi chiarissimi con farfugliamenti
straordinari (che fra di loro intendono perfettamente). Ho assistito al dialogo tra un
bambino napoletano e un bambino inglese e ho notato che entrambi non esitavano un
attimo. Per comunicare non usavano la propria lingua ma un’altra inventata, appunto
il grammelot. Il napoletano fingeva di parlare in inglese e l’altro fingeva di parlare
in italiano meridionalizzato. Si intendevano benissimo. Attraverso gesti, cadenze e
farfugliamenti variati, avevano costruito un loro codice» (Fo, 1987).
Percorso I generi
1. La drammaturgia in Europa, negli Stati Uniti e in Italia
Siamo al camposanto, i personaggi sono il guardiano del cimitero e gente del popolo. Fo recita
come un giullare e assume il punto di vista delle classi subalterne, soggiogate dalla spettacolarità del miracolo della resurrezione di Lazzaro (il noto episodio del Vangelo di Giovanni in cui
Gesù resuscita Lazzaro, il fratello di Maria e di Marta; Giovanni 11, 1-46). Ma c’è anche chi nella
folla non si fa “incantare” e cerca di trarre profitto dalla situazione borseggiando gli altri: così
al miracolo si mescola il furto. La traduzione del testo è dello stesso autore.
16
Dario Fo
Mistero buffo
La folla
dinanzi
al miracolo
di Lazzaro
in Le commedie di Dario Fo, a cura di
F. Rame, Einaudi, Torino, 1977
O
5
10
15
1-17
– Scusi! È questo il cimitero, 20
camposanto, dove vanno a
fare il resuscitamento (resurrezione) del Lazzaro?
– Sì, è questo.
– Ah bene.
– Un momento, dieci soldi
per entrare.
25
– Dieci soldi?
– Facciamo due.
– Due soldi?! Boia, e perché?
– Perché io sono il guardiano
del cimitero e voialtri venite
dentro a schiacciarmi tutto, a rovinarmi le siepi e a
schiacciarmi l’erba, e io devo 30
essere ricompensato di tutti
i fastidi e i danni che mi impiantate. Due soldi o non si
vede il miracolo.
– Bene! Sei bene un bel furbacchione anche tu, va’ là!
– Due soldi anche voialtri,
e non m’importa se avete
i bambini, non mi importa,
anche loro guardano. Sì,
d’accordo: mezzo soldo. Vai
giù, disgraziato, dal muro.
–
h scusè! Oh l’è questo ol simiteri, campusanto, duè che vai a fà ol
süscitamento d’ul Lassaro?
– Sì, l’è quest.
– Ah bon.
– On mument, des palanche par entrar.
– Des palanche?
– Fasemo do.
– Doi palanche?! Boja, e parché?
– Parché mi a sont ol guardian d’ol simiteri e vialtri a vegnit dentar a impiascicam tütu, a rüinam i sciesi e a schisciarme l’erba, e mi ho da ves cumpensat de tüti i fastidi e i scruseri che me impiantì. Doi palanche o no ’s vede ol
miracol.
– Bon! As ben un bel furbasso anca te, va’!
– Doi palanche anca vi altri, e no me importa se aví i fiolit, a non m’importa,
anca quei varden. Sì, d’acord: mesa palanca. Vai giò disgrassiat dal mür. Al
vol vede ol miracol a gratis, ol fiirbaso! As paga, no?! Doi palanche... no, non
hait pagat. Doi palanche, anca vui doi palanche par ’gní dentar.
– On bel furbasso quelo! Ol fa i dané coi miracoli. Ades bisogna ved ’ndua
l’è ol Lassaro... Ag sarà ol nom sü la tomba! L’altra volta son gnit a vede ol
miracol d’un altro, sont stai mezza giurnada a speciare e pö ol miracolo a
me l’hait fait in funda là! Sunt stait chí cume un babie, un baltroc, a vardag.
Ma sta volta ca so al nom, me sont interesat, a treuvi ol nom in sü la tumba,
a sunt ol primo! Lassaro?!... (cercando) me meti... Lassaro?! me meti davanti
a la tumba, a veuri vede tüt dal prinzipi. Varda! Lassaro?! E anca se treuvi la
tumba cun scrit Lassaro, ca non son capaze a lezar? Bon! A beh! Induini! Sto
chi. M’è ’ndai mal l’oltra volta, sperom adesso. Chi ariva intorna? No, non cominzum a spigner! A sont rivai mi prem, e voi stà davanti! No m’importa se
ti sie piccolo! Queli piccoli vien la matina presto a torse el posto. Furbo eh! A
l’è picolo e el vegn davanti! A fem la scaleta? I piccoli davanti, quei lunghi de
drio! E peu el piccolo el riva dopo e l’è cuma s’el fiiss rivà prima! Non spigner,
me fait andar dentar la tumba! Boja! No m’interessa, stiè indrio! Eh?! Ah! Le
done, anca lor i spigne adesso!
Vuol vedere il miracolo gratis,
il furbastro! Si paga, no?! Due
soldi... no, non hai pagato. Due
soldi, anche voi due soldi per
venire dentro.
18-44
– Un bel furbo quello! Fa i soldi
con i miracoli. Adesso bisogna
vedere dov’è il Lazzaro... Ci sarà
il nome sulla tomba! L’altra
volta sono venuto a vedere il
miracolo di un altro, sono stato
mezza giornata ad aspettare
e poi il miracolo me l’hanno
fatto in fondo là! Sono stato qui
come un cretino a guardare. Ma
questa volta che so il nome, mi
sono interessato, trovo il nome
sulla tomba, sono il primo! Lazzaro?!... (cercando) mi metto...
Lazzaro?! mi metto davanti
1. La drammaturgia in Europa, negli Stati Uniti e in Italia
Dario Fo
Copyright © 2012 Zanichelli Editore SpA, Bologna [6201der]
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1
testi
16
35
40
45
50
55
60
alla tomba, e voglio veder tutto
dall’inizio. Guarda! Lazzaro?!
E anche se trovo la tomba con
scritto Lazzaro, che non sono
capace di leggere? Va beh!
Indovino! Sto qui. M’è andata
male l’altra volta, speriamo
adesso (che vada meglio). Chi
sta venendo avanti? No, non
cominciamo a spingere! Sono
arrivato io prima, e voglio stare
davanti! Non m’importa se tu
sei piccolo! Quelli piccoli vengono la mattina presto a prendersi
il posto. Furbo, eh! È piccolo
e viene davanti! Facciamo la
scaletta? I piccoli davanti, quelli
lunghi di dietro! E poi il piccolo
arriva dopo ed è come se fosse
arrivato prima! Non spingere,
mi fai andare dentro la tomba!
Boia! Non mi importa, state indietro. Eh? Ah! Le donne, anche
loro spingono, adesso!
– No ariva? No è ora de sto miracolamento?
– No gh’è un quai vügn ca conoss stu Jesus Cristo, che ol pò andà a ciamarlo,
che nüm sem arivadi, no? ’N se pò aspeciare sempre pai miracoli, no?
– O dit un urari, o rivare, no?
– Cadreghe! Chi vole cadreghe?! Done! Cateve ’na cadrega! Doi bajochi ’na
cadrega! Catè ’na cadrega par insetarve, done! Che quando gh’è ol miracolamento e ol santo el fa vegní feura ul Lassaro in pie, c’ul parla, ul canta, ul se
move, ve catè un tal stremizio, quant de li a renta, par de dre, andari dentra
a picar par tera su una bocia, un sas, cu’ la testa, e restet cupadi! Morti! E ul
santo ne fa un solamente de miracolamento, int un ziorno, eh! Cateve! Cateve
la cadrega! Doi bajochi!
– Ohi, nol pense propri che a fà dané, eh! [...]
– Cittu!
– In genögio, in genögio, sü, giù tüti in genögio, và!
– Ma mi no, no và in genögio parché no ghe credo! O bella!
– Cittu!
– Fam vedé.
– No, giò de lì: giò de la cadrega.
– No, lasséme montar che voi vedar!
– Boia! Ohi guarda! L’ha tirà sü ol tombon, o gh’è ’ol morto, ol gh’è dentro!
Boja, ol Lassaro, euh che spüssa, s’o l’è stu tanfo?
– Boia!
– Cus’è?
– Cittu!
– Lassém guardà!
– O l’è impienit de vermini, de tafani. Euh! Ol sarà almanco un mese che l’è
morto quelo, ul s’è disfat! Uh, la carugnada co g’han fai! Uhia che schers! No
ghe la fa stavolta, povaretto!
– De seguro non ghe la fa, non ghe riesse! Imposibil ca l’è bon a tirar fora? O
l’è marscio! Che scherso, ohh disgrassià! G’han dit tri dì co l’era morto! O l’è
un mese almanco! Che figura! Por Jesus!
– Non arriva? Non è ora per ’sto
miracolo?
– Non c’è qualcuno che conosca
questo Gesù Cristo, che possa
andare a chiamarlo, che noi
siamo arrivati, no? Non si può
aspettare sempre per i miracoli,
no?
– Mettete un orario e rispettatelo, no?
– Seggiole! Chi vuole seggiole?
Donne! Prendetevi una seggiola!
Due soldi una sedia! Prendete
una sedia per sedervi, donne!
Che quando c’è il miracolo e il
santo fa venir fuori il Lazzaro in
piedi, che parla, canta, si muove, vi prendete uno spavento
quando gli luccicheranno gli occhi (vivi) che andrete a sbattere
di dietro e a picchiare per terra
su un sasso con la testa e resterete ammazzate! Morte! E il
santo ne fa uno solo di miracolo
in un giorno. Prendetevi una
sedia! Due soldi!
– Ohi, pensa proprio solo a fare
soldi, eh!
45-69
– Zitto!
– In ginocchio, in ginocchio, su,
giù tutti in ginocchio!
– Io no! Io non mi metto in
ginocchio, perché non ci credo.
Oh bella!
– Zitto!
– Fammi vedere.
– No! Giù di lì, giù dalla sedia.
– No! Lasciatemi salire che voglio vedere!
– Boia! Guarda! Hanno alzato
la pietra, c’è il morto, è dentro
boia, (è) il Lazzaro che puzza!
Cos’è ’sto tanfo?
– Boia!
– Cos’è?
– Zitto!
– Lasciatemi guardare!
– È pieno di vermi, di tafani!
Oheu! Sarà almeno un mese
che è morto quello, s’è disfatto.
Oh, che carognata che gli hanno
fatto! Oh che scherzo! Non ce la
fa ’sta volta, poveretto!
– Di sicuro non ce la fa, non
ci riesce! Impossibile che sia
buono di (che riesca a) tirarlo
fuori (resuscitarlo). È marcito!
Che scherzo! Oh disgraziati! gli
hanno detto tre giorni che era
morto! È un mese almeno! Che
figura! Povero Gesù!
– Io dico che è capace ugualmente! Quello è un Santo, che
fa il miracolo anche dopo un
mese che è marcito!
– Io dico che non è capace!
– Vuoi far scommessa?
– E facciamo scommessa!
Sì! Due soldi! Tre soldi! Dieci
soldi! Quello che vuoi scommettere!
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– Li tengo io? Ti fidi? Si fida! Ci
fidiamo tutti? D’accordo, li tengo io questi soldi!
– Buoni, ecco, fate attenzione!
Tutti in ginocchio, silenzio.
– Cosa fa?
– È lì che prega.
– Zitto eh!
ANALISI
E COMMENTO
– Mi digo che l’è capaz eguale! Quel l’è un santo c’ ol fà ol miracolamento
anca dopo un mese che l’è marscio!
– Mi digo che non è capaze!
– Vòi far scomessa?
– E femo scomessa!
– Deh! Doi baiocchi! Tre baiocchi! Diese baiocchi! Quel che te vol scometer.
– I tegno mi? Ti te fidi? Se fida! Se fidemo tuti? D’accordo, i tegno mi sti
bajochi!
– Bon, ecco, fet atension! Tüti in genögio, silensio!
– Ul cossa ’l fa?
– U l’è lì ch’el prega!
– Cittu! Eh?!
– Ohia! Alzati, Lassaro!
– Oh! Ghe pò dire e anco cantare, sojamente i vermini che o l’è impienido
ven fora!... Alsarse?...
– Cittu! U s’è muntà in genögio!
– Chi? Jesus?
– No, Lassaro. Boja, varda!
– Ma va’, impusibil!
– Fa’ vedé!
– Oh varda! ol va, ol va, l’è in pie, ol va, ol va, ol borla, ol va, ol va, sü, sü, al va,
ol va, l’è in piè...
– Miracolo! Oeh! Miracolamento! Oh Jesus, dolze che ti set creatura, ca mi
non credeva miga!
– Bravo Jesus!
– Ho vinciü la scumessa, da’ chì. Uehi! Fa’ mia ul fürbasso!
– Jesus, bravo!
– La mia borsa! Me l’han robada! Lader!
– Bravo Jesus!
– Lader!
– Ohia! Alzati, Lazzaro!
– Oh! Glielo può dire e anche
cantare, solo i vermi di cui è pieno vengono fuori!... Alzarsi?
– Zitto! Si è montato (alzato,
messo) in ginocchio!
– Chi? Gesù?
– No! Lazzaro! Boia, guarda!
– Ma va’, impossibile!
– Fammi vedere!
– Oh, guarda! Va, va, è in piedi,
va, va, cade! Va, va su, è in
piedi!...
– Miracolo! Oh! Miracolamento!
Oh Gesù, dolce creatura che sei,
che io non credevo!
– Bravo Gesù!
– Ho vinto la scommessa, dài
qui. Uehi! non fare il furbacchione!
– Gesù, bravo!
– La mia borsa! Me l’hanno rubata! Ladro!
– Bravo Gesù!
– Ladro!
La satira del “miracolo”
Nella premessa al testo l’autore indica come tema di fondo di questa rappresentazione la satira nei confronti «del miracolistico, della magia, dello stregonesco, che è una
costante di molte religioni, compresa la cattolica, il fatto cioè di esibire il miracolo
come un evento soprannaturale, allo scopo di indicare che, indubbiamente, è Dio che
l’ha eseguito: laddove, all’origine del racconto del miracolo, predomina il significato
di amore e di attaccamento della divinità al popolo, all’uomo».
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testi
16
Qui il miracolo è raccontato dal punto di vista del popolo «in funzione di uno spettacolo eseguito da un grande prestigiatore, un mago, qualcuno che riesce a fare cose
straordinarie e immensamente divertenti. Nessun accenno a quello che si pretende
ci sia dietro. In una sinopia del camposanto di Pisa è raffigurata la resurrezione di
Lazzaro (sinopia è l’abbozzo che precede l’esecuzione dell’affresco: strappato l’affresco per un restauro, è venuto alla luce l’abbozzo, ben conservato). Lazzaro non appare
neanche: l’attenzione è tutta concentrata, come in teatro, su una folla di personaggi
attoniti, che esprimono col gesto la meraviglia per il miracolo. Un elemento grottesco,
come grottesca è la rappresentazione, quasi che teatro e rappresentazione figurativa
vadano di pari passo: c’è anche un personaggio che infila le dita nella borsa di uno
spettatore che gli sta vicino. Approfitta della meraviglia, dello stupore, del miracolo,
per fregargli i quattrini».
Teatro militante e denuncia sociale
Il testo è esemplare della concezione “militante” che Fo ha del teatro: il contesto in
cui si verifica il miracolo non ha niente di sacrale (si paga per entrare, si paga per affittare una sedia, entra in scena un borseggiatore), anzi, diventa occasione per l’autore
per denunciare la società consumistica, che trasforma il “sacro” in merce.
La tecnica del grammelot
Il teatro di Fo si basa sull’improvvisazione, che si esprime in giochi verbali e gestuali:
l’attore è un mimo e il suo gesto è profondamente calato nelle parole.
Giullare esterno alla vicenda, Fo interpreta di volta in volta i diversi personaggi, ne
indica gli atteggiamenti in un crescendo mimico. Il linguaggio, come già detto, è il
grammelot, una sorta di dialetto padano, ma con echi di termini piemontesi, bergamaschi, bresciani; gli impasti di suoni e le onomatopee• di cui è intessuto consentono
allo spettatore di comprendere il senso del discorso anche se non conosce il significato delle parole: Cadreghe! Chi vole cadreghe?! Done! Cateve ’na cadrega! Doi bajochi
’na cadrega! Catè ’na cadrega par insetarve, done! Che quando gh’è ol miracolamento e
ol santo el fa vegní feura ul Lassaro in pie, c’ul parla, ul canta, ul se move... (rr. 37-40).
LAVORIAMO
SUL TESTO
1. La focalizzazione. Attraverso quale punto di vista• viene narrato l’episodio evangelico della resurrezione di Lazzaro? Quale effetto produce questa particolare ottica?
PARLARE
2. Il sacro e il profano. Riassumi il testo in un intervento di 5 minuti circa, analizzando i diversi avvenimenti che sottolineano la volontà di dissacrare l’evento prodigioso
e trasformarlo in un avvenimento popolare collettivo, in cui il miracolo perde la sua
dimensione religiosa.
3. Gesù e Lazzaro. Come spieghi il fatto che i due presunti protagonisti della vicenda
narrata sono quasi completamente assenti, personaggi marginali intravisti in lontananza? Prima di rispondere rifletti sulle affermazioni di Fo riportate nell’Analisi
e commento.
4. L’attualizzazione del miracolo. Quale aspetto della società contemporanea viene
ricordato e denunciato nel testo di Fo?
5. Un messaggio accessibile? Ritieni che l’impiego del grammelot possa essere un
ostacolo alla comprensione del testo e, quindi, alla comunicazione delle finalità politico-sociali del teatro di Fo? Ripensando alle caratteristiche della recitazione dell’autoreattore, per quale motivo possiamo affermare che assistere alla rappresentazione dello
spettacolo ne faciliterebbe la fruizione?
Dal dopoguerra al terzo millennio
I generi: Teatro
4
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Questo file è un’estensione online del corso B. Panebianco, M. Gineprini, S. Seminara, LETTERAUTORI - edizione verde © Zanichelli 2012
Percorso I generi
1. La drammaturgia in Europa, negli Stati Uniti e in Italia
sintesi
commesso viaggiatore, 1949) è incentrato sui motivi della lotta per
l’affermazione sociale e dei conflitti familiari.
Nell’ambito del realismo psicologico, nel secondo dopoguerra la scena teatrale inglese è animata dai cosiddetti «giovani arrabbiati», tra cui figurano John Osborne (1929-1994;
Ricorda con rabbia, 1956) e John Arden (1930).
Il teatro antinaturalista in Europa
Il teatro in Italia
Nel corso del Novecento prende corpo la reazione antinaturalista operata nei primi decenni del secolo dalle Avanguardie
storiche e dal «teatro di poesia» di Thomas Eliot.
Negli anni Venti e Trenta, Antonin Artaud (1896-1948) teo­
rizza il «teatro della crudeltà», in cui rappresenta situazioni
estreme, esasperate, volte a liberare le energie inconsce.
Il tedesco Bertolt Brecht (1898-1956) chiama «epico» il suo
teatro, contrapposto a quello «drammatico» della tradizione.
La ribellione verso la realtà contemporanea è rappresentata
tramite la negazione della verosimiglianza e il gusto per il
grottesco. Brecht rifiuta il coinvolgimento emotivo (straniamento) e sostiene la valenza “conoscitiva” del teatro fondata
sulla razionalità e la consapevolezza dei problemi economicosociali (teoria marxista). Il suo teatro si caratterizza per le scene prive di successione logica, l’inserimento di canzoni e di
filmati, le didascalie con il punto di vista dell’autore.
Epigoni di Brecht sono gli autori di lingua tedesca Heinar
Kipphardt (1922-1982), Peter Weiss (1916-1982), Max Frisch
(1911-1991), Friedrich Dürrenmatt (1921-1990).
In Italia il superamento della commedia borghese, iniziato
con le sperimentazioni teatrali futuriste, il «teatro del grottesco» e Pirandello, prosegue nella seconda metà del Novecento.
Negli anni Trenta-Quaranta si afferma una drammaturgia
in forma di indagine giudiziaria. Ugo Betti (1892-1953; Corruzione al Palazzo di giustizia, 1944) approfondisce i motivi
della colpa e della responsabilità individuale e collettiva, e del
relativismo del giudizio di colpevolezza. Il tema del “teatro
nel teatro” e problematiche morali e religiose si intrecciano
nel teatro di Diego Fabbri (1911-1980; Processo a Gesù, 1955).
La Neoavanguardia afferma la necessità di nuove forme
drammaturgiche attraverso la ridefinizione dello spazio scenico, del ruolo dell’attore e del regista, del rapporto con il
pubblico. A questa esigenza rispondono anche alcuni attori
come Vittorio Gassman (1922-2000) o registi come Giorgio
Strehler (1921-1997) e Luca Ronconi (1933).
Dario Fo (1926), premio Nobel per la letteratura nel 1997,
pratica un teatro politico-militante e antiborghese, richiamandosi
a Ionesco e a Brecht. Un elemento caratterizzante dell’opera di
Fo è l’uso del grammelot, un “pasticcio” linguistico in cui l’autoreattore dà voce e corpo a diversi personaggi (Mistero buffo, 1969)
Nella drammaturgia italiana un posto rilevante è occupato
dal teatro dialettale napoletano. Raffaele Viviani (1888-1950) si
distinse per i copioni realistici e per la recitazione naturale.
L’interprete più noto della “napoletanità”, però, è Eduardo De
Filippo (1900-1984; Natale in casa Cupiello, 1931-1943; Napoli
milionaria, 1945; Filumena Marturano, 1946). Le sue commedie, in cui inserisce il dialetto nel linguaggio quotidiano, sono
ambientate nel mondo popolare o piccolo-borghese. I temi dominanti sono il dolore di vivere dell’uomo, la ricerca dei valori
della solidarietà e della giustizia, la manifestazione di dignità
e di orgoglio dei protagonisti.
Il «teatro dell’assurdo» in Europa
Negli anni Cinquanta a Parigi operano alcuni autori, influenzati dalle Avanguardie e dall’Esistenzialismo, che esprimono
l’angoscia esistenziale provocata dalla guerra fredda e dalla
nascita della società del benessere. Le situazioni paradossali e la ripetizione esasperata di nonsense (espressione priva
di significato) di Eugène Ionesco (1912-1994) rappresentano
l’assurdità della vita. Le sue “anticommedie” sono prive di
progressione drammatica e sviluppo narrativo (La cantatrice
calva, 1950). Il teatro di Samuel Beckett (1906-1989) ricorre a
una messinscena che si avvale soprattutto di gesti e silenzi, e
di personaggi-marionetta. L’angoscia indefinita dell’attesa è il
tema dominante (Aspettando Godot, 1952).
Il realismo psicologico negli Stati Uniti e in Inghilterra
Dagli anni Trenta-Quaranta, negli Usa, il teatro, stimolato dalla
psicoanalisi di Freud, dal pensiero di Nietzsche, dai classici greci
e da Pirandello, affronta il disagio dell’uomo contemporaneo.
Le principali opere di Eugene O’Neill (1888-1953; Strano interludio, 1928; Il lutto si addice a Elettra, 1931) analizzano la lotta
per la vita affrontata dall’individuo per affermarsi nella moderna
società e i traumi psichici e le nevrosi causate dalle sopraffazioni familiari e sociali e dal senso di sconfitta. Follia, solitudine,
straniamento dalla realtà e inettitudine sono i temi prevalenti in
Tennessee Williams (1914-1983; Un tram che si chiama desiderio,
1947), mentre il teatro di Arthur Miller (1915-2005; Morte di un
• Edward Hopper, Soir Bleu (particolare), 1914. New York, Whitney Museum of
American Art, Josephine N. Hopper Bequest.
1. La drammaturgia in Europa, negli Stati Uniti e in Italia
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1
Percorso I generi
1. La drammaturgia in Europa, negli Stati Uniti e in Italia
verifica delle conoscenze e delle competenze
CONTROLLO DELLE CONOSCENZE
Ora conosco
• i contenuti e le peculiarità stilistico-formali che caratterizzano la drammaturgia dagli
anni Trenta alla seconda metà del Novecento;
• le tendenze e i modelli di riferimento per la drammaturgia dagli anni Trenta alla seconda
metà del Novecento.
Scegli l’opzione corretta.
1.
a
b
c
d
Il «teatro della crudeltà» di Artaud è volto a
denunciare i conflitti politico-sociali
liberare l’energia vitale dell’inconscio
rappresentare le angosce esistenziali
sollecitare la razionalità dello spettatore
2.
a
b
c
d
Brecht rifiuta
la funzione conoscitiva del teatro
la rappresentazione di scene grottesche
il coinvolgimento emotivo dello spettatore
l’applicazione del principio di straniamento
3.
a
b
c
d
Il personaggio di Madre Courage
collabora con gli eserciti in guerra
si oppone alla violenza della guerra
accetta la logica mercantile della guerra
lotta per affermare i valori della solidarietà
6.
a
b
c
d
Il/i protagonista/i di Aspettando Godot è/sono
due clown
due mendicanti
due coniugi inglesi
un commesso viaggiatore
7. L’influenza della psicoanalisi e del teatro greco classico
è evidente nelle opere di
a Miller
b O’Neill
c Williams
d Osborne
8. Fra i seguenti autori l’unico che appartiene al teatro del
“processo morale” è
a Betti
b Testori
c Flaiano
d Campanile
4. Il contesto storico che fa da sfondo alle opere degli
esponenti del «teatro dell’assurdo» è
a la guerra fredda
b l’ascesa dei regimi totalitari
c le lotte operaie degli anni Settanta
d la crisi economica degli anni Trenta
9.
a
b
c
d
5.
a
b
c
d
10.I personaggi delle commedie di De Filippo
a esprimono l’allegria del popolo napoletano
b lottano per migliorare la loro condizione economica
c cercano di sfuggire alle regole della società e della
famiglia
d difendono la loro dignità e i valori della solidarietà e
della giustizia
Fra gli aspetti del teatro di Ionesco non rientra
l’uso dei nonsense
l’angoscia dell’attesa
l’assenza di sviluppo narrativo
la ripetizione esasperata di parole
Fo e Bene sono accomunati dalla
passione politica
comicità surreale
sperimentazione linguistica
attualizzazione di opere classiche
1. La drammaturgia in Europa, negli Stati Uniti e in Italia
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CONTROLLO DELLE COMPETENZE
Ora sono in grado di
• riconoscere le caratteristiche fondamentali del genere letterario presentato nel Percorso;
• individuare e distinguere gli elementi contenutistici di un testo;
• riconoscere e confrontare i temi e le scelte stilistiche della drammaturgia dagli anni
Trenta alla seconda metà del Novecento;
• cogliere le relazioni fra il testo, l’epoca storica, il clima culturale;
• analizzare elementi di confronto tematico fra i testi;
• applicare ai testi le analisi stilistiche.
PARLARE
Prepara una relazione su «La rappresentazione della società contemporanea nel teatro europeo e italiano
dagli anni Trenta alla seconda metà del Novecento», seguendo la Traccia di lavoro.
TRACCIA DI LAVORO
1. Introduzione
Introduci l’argomento e lo scopo della relazione, spiegando che i riferimenti alla società contemporanea sono presenti in
tutti gli autori antologizzati, dal teatro militante di Brecht e Fo alla rappresentazione dell’assurdità esistenziale di Ionesco
e Beckett, dal realismo psicologico di Miller alla Napoli popolare e piccolo-borghese di De Filippo (1. La drammaturgia in
Europa, negli Stati Uniti e in Italia ).
2. Sviluppo
Nel corso della relazione possono essere rielaborati i seguenti testi.
2.1 La condanna della guerra. Madre Courage e i suoi figli di Brecht è un’opera del 1939, in cui è evidente l’allusione agli eventi
bellici che da lì a poco coinvolgeranno l’Europa (• La guerra di Madre Courage, 14 ).
2.2 L’impossibilità della fuga. L’inutile attesa dei due protagonisti di Aspettando Godot rinvia all’insensatezza e alla
permanente condizione di precarietà a cui la società contemporanea e i suoi falsi ideali hanno condannato l’uomo
(• L’inutilità dell’attesa, 15 ).
2.3 Il teatro politico. L’episodio evangelico della resurrezione di Lazzaro offre a Fo l’occasione per denunciare la società
consumistica, che trasforma il sacro in un’opportunità di guadagno (• La folla dinanzi al miracolo di Lazzaro, 16 ).
3.Conclusione
Nella conclusione, riassumi le tue considerazioni sull’argomento. La relazione potrebbe terminare sostenendo che gli autori
esaminati sono accomunati da un giudizio critico nei confronti della società contemporanea e dei suoi valori deteriori,
anche se ciascuno lo esprime attraverso modalità drammaturgiche diverse (straniamento, assurdo linguistico, ridefinizione
degli spazi scenici, del ruolo di attori e registi, del rapporto con il pubblico) e con sensibilità individuali (impegno politico,
angoscia esistenziale).
Dal dopoguerra al terzo millennio
I generi: Teatro
2
Percorso I generi
2. La narrativa in Italia dagli anni Trenta a oggi
Elio Vittorini
La vita
Elio Vittorini nacque a Siracusa nel 1908. Trascorse l’infanzia in vari luoghi della
Sicilia, al seguito del padre, ferroviere, e compì studi tecnici, ma fu attratto dalla
letteratura. Lasciata giovanissimo la Sicilia, si trasferì in Venezia Giulia, dove svolse
diversi lavori. In quegli anni pubblicò su diverse riviste articoli di politica e di critica
e i primi testi narrativi. Stabilitosi a Firenze nel 1930, diventò redattore di “Solaria”,
collaborò al “Bargello” e a “Campo di Marte”, frequentò, con Romano Bilenchi e Vasco Pratolini, gli ambienti del fascismo “di sinistra”, una frangia critica nei confronti
del fascismo ufficiale, cui si rimproverava l’abbandono delle sue radici antiborghesi,
popolari e rivoluzionarie. Allo scoppio della guerra civile spagnola, nel 1936, deluso
per il sostegno di Mussolini alle forze reazionarie di Francisco Franco, Vittorini si
schierò dalla parte dei repubblicani e maturò il distacco dal fascismo, avvicinandosi
alle forze di opposizione e ai gruppi comunisti clandestini.
Nel 1938 si trasferì a Milano, dove incominciò a lavorare per Bompiani e per altri
editori, alternando all’attività di narratore (Conversazione in Sicilia) quella di traduttore (aveva studiato l’inglese da autodidatta) di autori inglesi e americani (William
Shakespeare, John Steinbeck, William Faulkner, Edgar Allan Poe). Con Cesare Pavese
curò l’antologia Americana, pubblicata da Bompiani nel 1941.
Durante la guerra svolse attività clandestina per il partito comunista. Arrestato dopo il
25 luglio 1943, rimase in carcere fino all’armistizio dell’8 settembre di quello stesso anno,
quindi partecipò alla Resistenza e collaborò alla stampa clandestina. Dopo la Liberazione
scrisse romanzi di impronta neorealista, diresse l’edizione milanese del quotidiano comunista “L’Unità”, fondò per l’editore Einaudi “Il Politecnico” (1945), una rivista eclettica,
aperta alle più varie esperienze della cultura nazionale e internazionale. Ma proprio questa apertura della rivista a tutte le forme di letteratura, compreso il filone irrazionalistico,
fu all’origine dello scontro tra Vittorini, che non intendeva subordinare la letteratura alle
esigenze della politica, e i dirigenti comunisti. Scontro che provocò la chiusura della
pubblicazione, nel dicembre del 1947, e l’uscita dello scrittore dal Partito comunista.
Negli anni Cinquanta, Vittorini diresse per Einaudi la Collana “I Gettoni”, che farà
conoscere nuovi narratori (tra cui Beppe Fenoglio, Mario Tobino, Ottiero Ottieri), e
fondò e diresse insieme a Italo Calvino la rivista “Il Menabò” (1959), dalle cui pagine
prese avvio il dibattito sullo sperimentalismo degli anni Sessanta.
Negli ultimi anni (morì a Milano nel 1966) continuò la sua attività editoriale (curando nuove collane per Einaudi e per Mondadori), e di animatore culturale.
Le opere
Vittorini rappresenta nella cultura italiana la tipica figura dell’intellettuale “impegnato”, animato dalla volontà di contribuire al rinnovamento della società attraverso
la presa di coscienza e la denuncia delle sue contraddizioni. La funzione che egli
attribuisce alla letteratura non è né di evasione né di consolazione, ma di strumento
capace di proteggere l’uomo dalle sofferenze. Un motivo centrale nella sua opera è
la drammatica consapevolezza del “mondo offeso”, cioè del destino di ingiustizia e
di oppressione che grava sul mondo, unita a un’ansia di riscatto, di superamento
dell’egoismo individuale per aprirsi agli altri.
Tra realismo e simbolismo: la prima produzione
Una costante della sua narrativa è la tendenza a trasfigurare il dato concreto e la
rappresentazione della realtà nel favoloso e nel simbolico. La sua scrittura ha un carattere lirico ed è aperta a una varietà di stili, per adeguarla ai soggetti letterari trattati.
2. La narrativa in Italia dagli anni Trenta a oggi
Elio Vittorini
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Le prime opere risentono dell’ideologia del fascismo “di sinistra”, della sua anima
anarchico-rivoluzionaria e antiborghese.
I racconti Piccola borghesia (1931) esaltano l’istintività e trovano i loro modelli formali nel monologo interiore di Proust e nel flusso di coscienza di Svevo e Joyce.
Il garofano rosso (uscito a puntate su “Solaria” tra il 1933 e il 1936), ambientato negli
anni confusi dell’ascesa del fascismo, riflette la crisi ideologica dello scrittore, che
di lì a qualche anno passerà all’opposizione. Nel romanzo si narra della formazione
di un giovane studente della borghesia siciliana, delle sue esperienze amorose, del
suo rifiuto del conformismo borghese. Siamo nel 1924, anno in cui il deputato socialista Matteotti, dopo un drammatico discorso alla Camera in cui aveva denunciato
le violenze e i brogli elettorali compiuti dal regime, viene rapito da una squadra di
fascisti e assassinato. L’episodio provoca indignazione nella borghesia moderata e
nel movimento operaio, che si mobilita con gli scioperi. Il protagonista, schierato
con la “rivoluzione” fascista, si oppone al moderatismo borghese ma constata, nel
contempo, che esiste una umanità lavoratrice offesa e sogna un mondo migliore.
Erica e i suoi fratelli (1936) è la storia di una adolescente costretta dalla povertà
alla prostituzione, che vede i suoi ideali infrangersi contro il male del mondo e la
cattiveria degli uomini.
Conversazione in Sicilia: un viaggio simbolico
Conversazione in Sicilia, apparso a puntate su “Letteratura” tra il 1938 e il 1939 e in volume nel 1941, è considerato l’opera di maggior rilievo di Vittorini. Il romanzo riflette
la crisi ideologica dello scrittore, che così scrive nel 1945 sul “Politecnico”: «Così si è
formata l’educazione politica degli italiani che ora hanno battuto il fascismo e vogliono
costruire un paese nuovo non per trasmissione di esperienza da padri a figli e da vecchi
a giovani, ma per dure, brutali lezioni avute direttamente dalle cose e dentro le cose,
per lente maturazioni individuali, per faticose scoperte di verità, tutta auto-educazione
e tutta tra il luglio del 1936 e il maggio del 1939. Il vecchio antifascismo italiano non
lo trovammo, infatti, che dopo… Fu per la guerra civile di Spagna che lo trovammo».
Rispetto ai testi narrativi precedenti, la novità di Conversazione in Sicilia consiste
nell’abbandono della dimensione realistica e dell’indagine sociologica in favore di una
linea allegorico-simbolica. Il protagonista, Silvestro Ferrauto, tipografo a Milano, vive con
angoscia impotente le notizie quotidiane dei massacri che giungono dalla Spagna, dove è
in corso la guerra civile tra i repubblicani del Fronte unito e le forze reazionarie guidate
da Franco. Per uscire dal suo stato di inerzia, accentuato dalla consapevolezza di avere
qualcosa da dire, o forse da gridare, decide di tornare a Siracusa per salutare la madre. Il
viaggio si trasforma in un’autoanalisi: le «conversazioni» con la madre lo riconducono a
luoghi e situazioni di un’infanzia mitica e felice, a un mondo di certezze ora perdute. Le
«conversazioni» con altre persone del luogo (l’arrotino, il sellaio, il commerciante di stoffe) gli rivelano altresì una realtà fatta solo di fame, di malattia e di dolore. Silvestro è così
costretto a constatare che il dolore del mondo è ovunque. Ogni personaggio incontrato
è se stesso e contemporaneamente un simbolo dell’offesa, ma anche di un possibile riscatto della Sicilia dall’immobilismo secolare (l’arrotino Calogero e i suoi amici Ezechiele
e Porfirio sanno di essere «offesi» ma non intendono arrendersi • Arrota, arrota!, ).
Il romanzo è strutturato in brevi capitoli. La scrittura si avvicina alla composizione poetica per le scelte linguistiche e per le intuizioni espressive: frequenti frasi
ripetute, tono solenne e lapidario, dove ogni parola nasconde un ammaestramento
e una visione della vita.
LA TRAMA •
Conversazione in Sicilia
Silvestro Ferrauto, tipografo a Milano, intraprende un viaggio verso la nativa
Sicilia dopo aver ricevuto una lettera dal padre, che lo informa di aver lasciato
la madre per seguire un’altra donna. Fra i numerosi compagni del suo lungo
viaggio notturno in treno, uno lo colpisce in particolare: il misterioso Gran
Dal dopoguerra al terzo millennio
I generi: Narrativa
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• LA TRAMA
Lombardo, che si presenta come il re di una fiaba (un padrone di terre con
tre belle figlie femmine, proprietario di un cavallo «alto e fiero») e offre una
soluzione agli «astratti furori» e alla crisi d’inerzia che agitano Silvestro additandogli «altri doveri», più alti, verso gli uomini. Giunto a casa, ritrova la
madre Concezione, «alta» e orgogliosa nella sua nuova veste di infermiera.
Silvestro la accompagna nel suo giro quotidiano per le iniezioni in varie
case del paese e ha l’occasione di constatare una realtà di malattia, di miseria
e di disperata rassegnazione. Davanti a questa umanità «offesa» comincia a
riflettere e a domandarsi se non siano «più genere umano» i sofferenti e i
poveri, in quanto serbano in sé una maggiore autenticità. Nei tre giorni e tre
notti di permanenza, Silvestro ha modo di dialogare con altri siciliani, e
persino con l’ombra del fratello Liborio, morto in guerra, anche lui condannato a sostenere nella storia la sua parte di «offeso». Nell’epilogo, dopo un
incontro con il padre, Silvestro, è pronto a ripartire animato dalla coscienza
di «nuovi doveri» e dalla volontà di adempiervi, perché le offese del mondo
vengano riscattate.
Il tema della Resistenza
Il tema del mondo “offeso” ritorna in Uomini e no (1945), ispirato alle esperienze
personali dello scrittore nella lotta partigiana. Il protagonista del romanzo, indicato
con il nome di battaglia Enne 2 appartiene a uno dei gruppi armati di partigiani (i
Gap, Gruppi di Azione Patriottica) che agivano nelle città occupate, prendendo di
mira obiettivi strategico-militari e compiendo azioni di guerriglia contro i nazifascisti.
Militanza politica e autonomia dell’arte
Il romanzo, ambientato a Milano nell’inverno del 1944, si colloca nel clima del Neorealismo, ma è lontano dai toni celebrativi: scritto quasi contemporaneamente ai fatti
narrati, riflette infatti i dubbi e le incertezze sugli esiti della lotta contro il nazifascismo. Come scrive Vittorini nella nota conclusiva alla prima edizione del romanzo:
«Non perché sono, come tutti sanno, un militante comunista si deve credere che
questo sia un libro comunista. Cercare in arte il progresso dell’umanità è tutt’altro
che lottare per tale progresso sul terreno politico e sociale. In arte non conta la volontà, non conta la coscienza astratta, non contano le persuasioni razionali; tutto
è legato al mondo psicologico dell’uomo, e nulla vi si può affermare di nuovo che
non sia pura e semplice scoperta umana». Per Vittorini, in sintesi, la cultura deve
farsi azione politica, deve contribuire al progresso dell’umanità, superando così la
separatezza degli intellettuali dalla vita sociale, ma nei modi che sono suoi, diversi
da quelli della politica, dalla quale deve restare indipendente.
L’enciclopedia
Manicheo Sinonimo di
intransigente, categorico,
settario; il termine deriva da
manicheismo, religione che
risale alla predicazione del
principe persiano Mani (III secolo
d.C.), basata su una rigida
distinzione tra i principi del
bene e del male, simboleggiati
dalla Luce e dalle Tenebre, fra
loro contrapposti. Compito
dell’uomo è quello di vincere la
parte demoniaca che è in lui per
meritare il paradiso della Luce.
Uomini e no: l’interpretazione del titolo
Il titolo Uomini e no è stato interpretato come se la “e” fosse un segno di disgiunzione,
anziché un segno di congiunzione, il che equivalse a dare al romanzo un significato
manicheo: da una parte gli uomini e dall’altra i non-uomini. Quando nell’edizione
francese il libro apparve con il titolo Les hommes et les autres, Vittorini intervenne
presso il traduttore Michel Arnaud contestandolo e spiegando il suo intento: «il titolo
Uomini e no significa esattamente che noi, gli uomini, possiamo anche essere “non
uomini”». In altre parole, lo scrittore ha inteso dire che ci sono nell’uomo molte
possibilità umane e non che l’umanità si divide in due, una tutta umana e l’altra
tutta inumana (Crovi, 1998).
La struttura e lo stile
Il progetto narrativo traduce la concezione della letteratura di Vittorini, per il quale
la capacità inventiva consiste nel saper esprimere le varie esigenze e dimensioni
dello spirito umano.
2. La narrativa in Italia dagli anni Trenta a oggi
Elio Vittorini
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3
La narrazione si articola su due piani: l’uso della terza persona, che conferisce agli
eventi un tono realistico, riguarda le diverse azioni dei partigiani, le rappresaglie tedesche, la lotta di Enne 2 contro la sopraffazione e il suo impegno per il bene comune.
Gli interventi del narratore in prima persona e il dialogo diretto con il protagonista
(riportati graficamente in corsivo) consentono di contrapporre all’esperienza della
guerra le esigenze spirituali di Enne 2 (il suo amore per Berta) e creano una dimensione lirico-evocativa, che trasferisce i fatti su un piano di esperienza assoluta, al di
là dello spazio e del tempo. Lo stile incisivo e secco del romanzo ricalca quello degli
scrittori americani, e in particolare di Ernest Hemingway.
LA TRAMA
Uomini e no
Il romanzo ha per protagonista un partigiano, nome di battaglia Enne 2,
travagliato da un amore impossibile per Berta, una donna sposata. Dopo
l’armistizio e la fuga da Roma del re e del governo, i tedeschi hanno occupato
l’Italia settentrionale. Milano vive sotto l’incubo dei rastrellamenti guidati da
Cane Nero, crudele capo fascista sempre armato di scudiscio. Enne 2 è ricercato perché con un piccolo gruppo di uomini ha organizzato diverse azioni di
guerriglia contro i nazifascisti. Sorpreso e circondato nel suo nascondiglio,
non fugge ma uccide Cane Nero e poi cade sotto il fuoco nemico. La sua
scelta lascia agli altri sopravvissuti la speranza della Liberazione.
Le ultime opere
Nelle altre opere del dopoguerra, più che la storia, prevale la componente miticosimbolica (Il Sempione strizza l’occhio al Frejus, 1947; Le donne di Messina, 1949; La
garibaldina, 1950; Le città del mondo, postumo 1969). La perdita del sogno di una
umanità nuova, di una storia diversa senza offese e senza prevaricazioni, si accompagna alla crisi dello scrittore nei confronti dei destini dell’arte e della letteratura.
Diario pubblico (1957) contiene i suoi scritti critici e saggistici.
GUIDA ALLO STUDIO
a. In seguito a quale avvenimento Vittorini prese le distanze dal “fascismo di sinistra”?
b. Per quale ragione Vittorini polemizzò con il Partito comunista?
c. Quale funzione Vittorini attribuisce alla letteratura?
d. Quale rapporto intercorre tra le vicende narrate in Il garofano rosso e l’evoluzione politica
dell’autore?
e. Per quale motivo possiamo affermare che Conversazioni in Sicilia è un romanzo di formazione?
f. Qual è il significato dell’espressione Uomini e no?
g. Quale concezione del rapporto fra politica e letteratura evidenzia il modo in cui Vittorini narra
l’esperienza della Resistenza in Uomini e no?
h. Quali sono i due piani in cui si articola la narrazione delle vicende di Uomini e no?
Dal dopoguerra al terzo millennio
I generi: Narrativa
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Copyright © 2012 Zanichelli Editore SpA, Bologna [6201der]
Questo file è un’estensione online del corso B. Panebianco, M. Gineprini, S. Seminara, LETTERAUTORI - edizione verde © Zanichelli 2012
Percorso I generi
2. La narrativa in Italia dagli anni Trenta a oggi
Il passo, tratto da Conversazione in Sicilia (parte quarta, cap. XXXIII), presenta il dialogo tra
il protagonista Silvestro e Calogero, l’arrotino del paese.
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T
Elio Vittorini
Conversazione in Sicilia
Arrota, arrota!
Einaudi, Torino, 1966
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1. come per fumo: come se
fosse ricoperto di fumo.
2. dardo: freccia.
utta la strada era in pieno sole aperta sulla valle, e l’arrotino scintillava da più
punti di sé e della sua carriola, nero in faccia ai miei occhi abbagliati dalla luce.
– Arrota, arrota! – egli gridò alle finestre del palazzo. Stridette la sua voce,
beccando vetri e sasso; e io notai ch’era una specie di selvaggio uccello con in
testa uno di quei copricapi che si vedono per le campagne in testa agli spauracchi. – Nulla da arrotare? – gridò.
Parve ora rivolgersi a me e io lasciai il paracarro, mi avvicinai alla sua voce
attraversando la strada.
– Dico a voi, forestiero, – egli gridò.
Era grande nelle gambe spennacchiate e sembrava in qualche modo appollaiato sul suo cavalletto, mandando la ruota avanti e indietro per prova.
– Avete portato niente da arrotare in questo paese? – gridò.
La ruota del viaggio ricominciava ormai a muoversi in me, così mi frugai nelle tasche, prima in una poi in un’altra, e mentre andavo a una terza l’uomo continuò: – Non avete da arrotare una spada? Non avete da arrotare un cannone?
Io tirai fuori un temperino, e l’uomo me lo strappò di mano, attaccò furiosamente ad arrotare; e mi guardava, nero in faccia come per fumo1.
Gli domandai: – Non avete molto da arrotare, in questo paese?
– Non molto di degno, – l’arrotino rispose. E sempre mi guardava, mentre le
sue dita ballavano, con la piccola lama tra esse, nel turbinio della ruota; ed era
ridente, era giovane, era un simpatico tipo di magro sotto il vecchio copricapo
da spaventapasseri.
– Non molto di degno, – disse. – Non molto che valga la pena. Non molto che
faccia piacere.
– Arroterete bene dei coltelli. Arroterete bene delle forbici, – dissi io.
E l’arrotino: – Coltelli? Forbici? Credete che esistano ancora coltelli e forbici a questo mondo?
E io: – Avevo idea di sì. Non esistono coltelli e forbici in questo paese?
Scintillavano come bianco di coltelli gli occhi dell’arrotino, guardandomi,
e dalla sua bocca spalancata nella faccia nera la voce scaturiva un po’ rauca,
d’intonazione beffarda. – Né in questo paese, né in altri, – egli gridò. – Io giro
per parecchi paesi, e sono quindici o ventimila le anime per le quali arroto;
pure non vedo mai coltelli, mai forbici.
Dissi io: – Ma che vi dànno da arrotare se non vedete mai coltelli, mai forbici?
E l’arrotino: – Questo lo domando sempre loro. Che mi date da arrotare?
Non mi date una spada? Non mi date un cannone? E li guardo in faccia, negli
occhi, vedo che quanto mi danno non può chiamarsi nemmeno chiodo.
Tacque, ora, smettendo anche di guardarmi; e si curvò sulla ruota, accelerò
sul pedale, arrotò furiosamente in concentrazione per più di un minuto. Infine disse: – Fa piacere arrotare una vera lama. Voi potete lanciarla ed è dardo2,
potete impugnarla ed è pugnale. Ah, se tutti avessero sempre una vera lama!
Chiesi io: – Perché? Pensate succederebbe qualcosa?
– Oh, io avrei piacere ad arrotare sempre una vera lama! – l’arrotino rispose.
2. La narrativa in Italia dagli anni Trenta a oggi
Elio Vittorini
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testi
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Tornò ad arrotare in furiosa concentrazione per qualche secondo, poi, rallentando, e
sottovoce, soggiunse: – Qualche volta mi sembra basterebbe che tutti avessero denti e unghie da farsi arrotare. Li arroterei loro come denti di vipera, come unghie di leopardo…
Mi guardò e mi strizzò l’occhio, luccicante negli occhi e nero in faccia, e
disse: – Ah! Ah!
– Ah! Ah! – dissi io, e strizzai l’occhio a lui.
E lui si chinò al mio orecchio, mi parlò nell’orecchio. E io ascoltai le parole
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sue al mio orecchio, ridendo, «ah! ah!», e parlai nell’orecchio a lui, e fummo due
che si parlavano all’orecchio, e ridevamo, ci battevamo le mani sulle spalle.
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ANALISI
E COMMENTO
Il bisogno di ribellione
L’arrotino è una figura chiave del romanzo; prova la stessa sofferenza di Silvestro per le
«offese del mondo» ma non si limita agli “astratti furori” del protagonista, non è rassegnato, anzi è indignato dall’indifferenza generale. Con il suo richiamo vorrebbe agire, arrotare
spade, cannoni, forbici, coltelli, o denti e unghie, ma nessuno gli chiede niente di simile.
Il significato simbolico del personaggio
Delineato con rapidi tratti, propri di un personaggio fantastico simile a uno spaventapasseri (l’arrotino scintillava… r. 1; Era grande nelle gambe spennacchiate e sembrava in
qualche modo appollaiato sul suo cavalletto… rr. 10-11; era un simpatico tipo di magro sotto
il vecchio copricapo da spaventapasseri…, rr. 21-22), l’arrotino è simbolo del desiderio di
ribellione all’inerzia e alla rassegnazione che domina tra gli stessi oppressi. Le sue parole infondono in Silvestro la fiducia che uscire dalla condizione esistenziale di torpore
e di vuoto è possibile (La ruota del viaggio ricominciava ormai a muoversi in me, r. 13).
Lo stile
I sintagmi• chiave collocati in frasi interrogative ed esclamative (Non avete da arrotare
una spada? Non avete da arrotare un cannone?… – Arroterete bene dei coltelli. Arroterete
bene delle forbici, – dissi io. E l’arrotino: – Coltelli? Forbici? Credete che esistano ancora
coltelli e forbici a questo mondo?) creano una serie di simmetrie legate all’idea del verbo
«arrotare» e alla metafora• della ruota.
LAVORIAMO
SUL TESTO
1. Arrota, arrota!. Quale valore simbolico assumono la figura dell’arrotino e la sua
ostinata ricerca di trovare qualcosa che sia degno di essere “arrotato”? Quale invito
contiene il suo richiamo e a chi è indirizzato, in particolare?
2. Il temperino. Rifletti sul gesto di Silvestro: per quale motivo affida il suo temperino
al lavoro dell’arrotino? È soltanto un atto di aiuto e di gentilezza verso l’uomo o allude
a un significato più vasto, legato al percorso di formazione del protagonista?
3. Il realismo simbolico. Nel romanzo, i luoghi e i personaggi della Sicilia riscoperta
dal protagonista assumono una dimensione mitica e allegorica. Ti pare che questa
caratteristica si manifesti anche nel dialogo fra Silvestro e l’arrotino?
4. La metafora. Individua i punti del testo in cui il narratore• fa riferimento alla
metafora della ruota e spiegane il significato.
5. Lo stile. La scrittura di Vittorini crea un’atmosfera lirica, grazie anche ad alcune scelte
espressive proprie della composizione poetica, come le inversioni sintattiche, l’anafora•
e l’iterazione•. Individua alcuni esempi per ciascuna delle tecniche indicate.
6. L’uso del corsivo. A tuo giudizio, per quale ragione Vittorini nelle righe 44-47
utilizza il corsivo? Quale aspetto intende sottolineare con questa scelta? Argomenta
la tua risposta.
Dal dopoguerra al terzo millennio
I generi: Narrativa
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Percorso L’autore
Italo Calvino
3. Razionalità e invenzione fantastica
Il racconto• scritto nel 1946 è tratto dalla raccolta omonima. In seguito è confluito nella
sezione Gli idilli difficili di tutti i Racconti (1958).
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Italo Calvino
Ultimo viene il corvo
L
Ultimo viene
il corvo
I racconti, Einaudi, Torino, 1979
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1. cominciò... fondello: la parte
posteriore della bomba, che si
deve svitare prima di lanciarla.
2. Cribbio: esclamazione di stupore.
3. otturatore: dispositivo del 35
fucile che inserisce nella
canna la cartuccia con la polvere
da sparo e la blocca.
4. tascapane: sacca a tracolla.
5. ardesia: pietra di colore grigio
scuro, usata per i tetti
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degli edifici.
6. vaccino: di vacca.
a corrente era una rete di increspature leggere e trasparenti, con in mezzo l’acqua che andava. Ogni tanto c’era come un battere d’ali d’argento a fior
d’acqua: il lampeggiare del dorso di una trota che riaffondava subito a zig-zag.
«C’è pieno di trote» disse uno degli uomini.
«Se buttiamo dentro una bomba vengono tutte a galla a pancia all’aria»
disse l’altro; si levò una bomba dalla cintura e cominciò a svitare il fondello1.
Allora s’avanzò il ragazzo che li stava a guardare, un ragazzotto montanaro, con la faccia a mela. «Mi dài» disse e prese il fucile a uno di quegli
uomini. «Cosa vuole questo?» disse l’uomo e voleva togliergli il fucile. Ma il
ragazzo puntava l’arma sull’acqua come cercando un bersaglio. «Se spari in
acqua spaventi i pesci e nient’altro», voleva dire l’uomo ma non finì neanche.
Era affiorata una trota, con un guizzo, e il ragazzo le aveva sparato una botta
addosso, come l’aspettasse proprio lì. Ora la trota galleggiava con la pancia
bianca. «Cribbio2» dissero gli uomini.
Il ragazzo ricaricò l’arma e la girò intorno. L’aria era tersa e tesa: si distinguevano gli aghi sui pini dell’altra riva e la rete d’acqua della corrente. Una increspatura saettò alla superficie: un’altra trota. Sparò: ora galleggiava morta. Gli
uomini guardavano un po’ la trota un po’ lui. «Questo spara bene» dissero.
Il ragazzo muoveva ancora la bocca del fucile in aria. Era strano, a pensarci,
essere circondati così d’aria, separati da metri d’aria dalle altre cose. Se puntava il fucile invece, l’aria era una linea diritta ed invisibile, tesa dalla bocca del
fucile alla cosa, al falchetto che si muoveva nel cielo con le ali che sembravano
ferme. A schiacciare il grilletto l’aria restava come prima trasparente e vuota,
ma lassù all’altro capo della linea il falchetto chiudeva le ali e cadeva come
una pietra. Dall’otturatore3 aperto usciva un buon odore di polvere.
Si fece dare altre cartucce. Erano in tanti ormai a guardarlo, dietro di lui in
riva al fiumicello. Le pigne in cima agli alberi dell’altra riva perché si vedevano e non si potevano toccare? Perché quella distanza vuota tra lui e le cose?
Perché le pigne che erano una cosa con lui, nei suoi occhi, erano invece là,
distanti? Però se puntava il fucile la distanza vuota si capiva che era un trucco; lui toccava il grilletto e nello stesso momento la pigna cascava, troncata al
picciòlo. Era un senso di vuoto come una carezza: quel vuoto della canna del
fucile che continuava attraverso l’aria e si riempiva con lo sparo, fin laggiù
alla pigna, allo scoiattolo, alla pietra bianca, al fiore di papavero. «Questo non
ne sbaglia una» dicevano gli uomini e nessuno aveva il coraggio di ridere.
«Tu vieni con noi» disse il capo.
«E voi mi date il fucile» rispose il ragazzo.
«Ben. Si sa.»
Andò con loro.
Partì con un tascapane4 pieno di mele e due forme di cacio. Il paese era
una macchia d’ardesia5 paglia e sterco vaccino6 in fondo alla valle. Andare via
3. Razionalità e invenzione fantastica
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7. licheni: organismi vegetali, che
crescono anche sulle rocce.
8. una botta: un colpo di fucile.
9. baita: rifugio di legno o di pietra tipico della zone alpine.
era bello perché a ogni svolta si vedevano cose nuove, alberi con pigne, uccelli
che volavano dai rami, licheni7 sulle pietre, tutte cose nel raggio delle distanze finte, delle distanze che lo sparo riempiva inghiottendo l’aria in mezzo.
Non si poteva sparare però, glielo dissero: erano posti da passarci in silenzio e le cartucce servivano per la guerra. Ma a un certo punto un leprotto
spaventato dai passi traversò il sentiero in mezzo al loro urlare e armeggiare.
Stava già per scomparire nei cespugli quando lo fermò una botta8 del ragazzo. «Buon colpo» disse anche il capo «però qui non siamo a caccia. Vedessi
anche un fagiano non devi più sparare.»
Non era passata un’ora che nella fila si sentirono altri spari. «È il ragazzo
di nuovo!» s’infuriò il capo e andò a raggiungerlo. Lui rideva, con la sua faccia
bianca e rossa, a mela. «Pernici» disse, mostrandole. Se n’era alzato un volo
da una siepe.
«Pernici o grilli, te l’avevo detto. Dammi il fucile. E se mi fai imbestialire
ancora torni al paese.»
Il ragazzo fece un po’ il broncio; a camminare disarmato non c’era gusto,
ma finché era con loro poteva sperare di riavere il fucile.
La notte dormirono in una baita9 da pastori. Il ragazzo si svegliò appena
il cielo schiariva, mentre gli altri dormivano. Prese il loro fucile più bello, riempì il tascapane di caricatori e uscì. C’era un’aria timida e tersa, da mattina
presto. Poco discosto dal casolare c’era un gelso. Era l’ora in cui arrivavano le
ghiandaie10. Eccone una: sparò, corse a raccoglierla e la mise nel tascapane.
Senza muoversi dal punto dove l’aveva raccolta cercò un altro bersaglio: un
ghiro! Spaventato dallo sparo, correva a rintanarsi in cima ad un castagno.
Morto era un grosso topo con la coda grigia che perdeva ciuffi di pelo a toccarla. Da sotto il castagno vide, in un prato più basso, un fungo, rosso coi punti
bianchi, velenoso. Lo sbriciolò con una fucilata, poi andò a vedere se proprio
l’aveva preso. Era un bel gioco andare così da un bersaglio all’altro: forse si
poteva fare il giro del mondo. Vide una grossa lumaca su una pietra, mirò il
guscio e raggiunto il luogo non vide che la pietra scheggiata, e un po’ di bava
iridata11. Così s’era allontanato dalla baita, giù per prati sconosciuti.
Dalla pietra vide una lucertola su un muro, dal muro una pozzanghera e
una rana, dalla pozzanghera un cartello sulla strada, bersaglio facile. Dal cartello si vedeva la strada che faceva zig-zag e sotto: sotto c’erano degli uomini
in divisa che avanzavano ad armi spianate. All’apparire del ragazzo col fucile
che sorrideva con quella faccia bianca e rossa, a mela, gridarono e gli puntarono le armi addosso. Ma il ragazzo aveva già visto dei bottoni d’oro sul petto
di uno di quelli e fatto fuoco mirando a un bottone.
Sentì l’urlo dell’uomo e gli spari a raffiche o isolati che gli fischiavano sopra la testa: era già steso a terra dietro un mucchio di pietrame sul ciglio della
strada, in angolo morto. Poteva anche muoversi, perché il mucchio era lungo,
far capolino da una parte inaspettata, vedere i lampi alla bocca delle armi dei
soldati, il grigio e il lustro delle loro divise, tirare a un gallone, a una mostrina12. Poi a terra e lesto a strisciare da un’altra parte a far fuoco. Dopo un po’
10. ghiandaie: piccoli uccelli caratterizzati da un ciuffo di penne
erettili sulla testa, chiamati così
perché si nutrono di ghiande.
11. iridata: con riflessi multicolore
che sfumano l’uno nell’altro come
quelli dell’arcobaleno (iride).
12. gallone... mostrina: sul colletto o sulle maniche delle divise,
indicano rispettivamente il grado
dei soldati e l’arma o il reparto di
appartenenza.
Dal dopoguerra al terzo millennio
L’autore: Italo Calvino
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sentì raffiche alle sue spalle, ma che lo sopravanzavano e colpivano i soldati:
erano i compagni che venivano di rinforzo coi mitragliatori. «Se il ragazzo
non ci svegliava coi suoi spari» dicevano.
Il ragazzo, coperto dal tiro dei compagni, poteva mirare meglio. Ad un tratto
il proiettile gli sfiorò una guancia. Si voltò: un soldato aveva raggiunto la strada
sopra di lui. Si buttò in una cunetta, al riparo, ma intanto aveva fatto fuoco e
colpito non il soldato ma di striscio il fucile, alla cassa13. Sentì che il soldato
non riusciva a ricaricare il fucile, e lo buttava a terra. Allora il ragazzo sbucò e
sparò sul soldato che se la dava a gambe: gli fece saltare una spallina.
L’inseguì. Il soldato ora spariva nel bosco ora riappariva a tiro. Gli bruciò il
cocuzzolo14 dell’elmo, poi un passante della cintura. Intanto inseguendosi erano arrivati in una valletta sconosciuta, dove non si sentiva più il rumore della
battaglia. A un certo punto il soldato non trovò più bosco davanti a sé, ma una
radura, con intorno dirupi fitti di cespugli. Ma il ragazzo stava già per uscire
dal bosco: in mezzo alla radura c’era una grossa pietra; il soldato fece appena
in tempo a rimpiattarcisi15 dietro, rannicchiato con la testa tra i ginocchi.
Là per ora si sentiva al sicuro: aveva delle bombe a mano con sé e il ragazzo non poteva avvicinarglisi ma solo fargli la guardia a tiro di fucile, che
non scappasse. Certo, se avesse potuto con un salto raggiungere i cespugli,
sarebbe stato sicuro, scivolando per il pendio fitto. Ma c’era quel tratto nudo
da traversare: fin quando sarebbe rimasto lì il ragazzo? E non avrebbe mai
smesso di tenere l’arma puntata? Il soldato decise di fare una prova: mise
l’elmo sulla punta della baionetta e gli fece far capolino fuori dalla pietra. Uno
sparo, e l’elmo rotolò per terra, sforacchiato.
Il soldato non si perse d’animo; certo mirare lì intorno alla pietra era facile, ma se lui si muoveva rapidamente sarebbe stato impossibile prenderlo.
In quella un uccello traversò il cielo veloce, forse un galletto di marzo. Uno
sparo e cadde. Il soldato si asciugò il sudore dal collo. Passò un altro uccello,
una tordella16: cadde anche quello. Il soldato inghiottiva saliva. Doveva essere
un posto di passo17, quello: continuavano a volare uccelli, tutti diversi e quel
ragazzo a sparare e farli cadere. Al soldato venne un’idea: «Se lui sta attento
agli uccelli non sta attento a me. Appena tira io mi butto». Ma forse prima era
meglio fare una prova. Raccattò l’elmo e lo tenne pronto in cima alla baionetta. Passarono due uccelli insieme, stavolta: beccaccini. Al soldato rincresceva
sprecare un’occasione così bella per la prova, ma non si azzardava ancora. Il
ragazzo tirò a un beccaccino, allora il soldato sporse l’elmo, sentì lo sparo e
vide l’elmo saltare in aria. Ora il soldato sentiva un sapore di piombo in bocca; s’accorse appena che anche l’altro uccello cadeva a un nuovo sparo.
Pure non doveva fare gesti precipitosi: era sicuro dietro quel masso, con le
sue bombe a mano. E perché non provava a raggiungere il ragazzo con una
bomba, pur stando nascosto? Si sdraiò schiena a terra, allungò il braccio dietro
a sé, badando a non scoprirsi, radunò le forze e lanciò la bomba. Un bel tiro; sarebbe andata lontano; però a metà della parabola una fucilata la fece esplodere
in aria. Il soldato si buttò faccia a terra perché non gli arrivassero schegge.
Quando rialzò il capo era venuto il corvo. C’era nel cielo sopra di lui un uccello che volava a giri lenti, un corvo forse. Adesso certo il ragazzo gli avrebbe
13. cassa: l’impugnatura e il calcio
in legno del fucile.
14. cocuzzolo: punta.
15. rimpiattarcisi: nascondersi.
16. tordella: tordo.
17. un posto di passo: luogo di
passaggio stagionale degli uccelli
migratori.
3. Razionalità e invenzione fantastica
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testi
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18. aquila... spiegate: un distintivo dei militari
dell’esercito nazista.
sparato. Ma lo sparo tardava a farsi sentire. Forse il corvo era troppo alto? Eppure ne aveva colpito di più alti e veloci. Alla fine una fucilata: adesso il corvo
sarebbe caduto, no, continuava a girare lento, impassibile. Cadde una pigna,
135 invece, da un pino lì vicino. Si metteva a tirare alle pigne, adesso? A una a una
colpiva le pigne che cascavano con una botta secca.
A ogni sparo il soldato guardava il corvo: cadeva? No, l’uccello nero girava
sempre più basso sopra di lui. Possibile che il ragazzo non lo vedesse? Forse il corvo non esisteva, era una sua allucinazione. Forse chi sta per morire
140 vede passare tutti gli uccelli: quando vede il corvo vuol dire che è l’ora. Pure,
bisognava avvertire il ragazzo che continuava a sparare alle pigne. Allora il
soldato si alzò in piedi e indicando l’uccello nero col dito. «Là c’è il corvo!»
gridò, nella sua lingua. Il proiettile lo prese giusto in mezzo a un’aquila ad ali
spiegate18 che aveva ricamata sulla giubba.
Il corvo s’abbassava lentamente, a giri.
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ANALISI
E COMMENTO
La condizione umana tra bene e male
Il racconto rispecchia l’impegno conoscitivo di Calvino, l’amara consapevolezza della
problematicità della condizione umana, costantemente in bilico tra il bene e il male,
il giusto e l’ingiusto.
Questo ragazzo, cresciuto allo sbando, per il quale la guerra è solo un’occasione di
gioco, diventa l’emblema della «crudeltà innocente della vita» (Geno Pampaloni).
«Aggregatosi per puro caso alla banda partigiana, che per lui non si distingue da
quella nazi-fascista, aveva sconvolto il suo gruppo per la mira infallibile: per catturare
le trote le colpiva con il suo fucile a mano a mano che affioravano dall’acqua, mentre
gli occasionali compagni avrebbero voluto buttare una bomba nel torrente per farle
morire tutte. Il problema, è chiaro, si fa conoscitivo: di fronte alla rete prevedibile del
sapere sistematico che teoricamente comprende tutto ma che in pratica non controlla
i moti del singolo, il ragazzo senza nome, ma battezzato con l’epiteto popolare «faccia
a mela», dimostra la superiorità di un sapere che di volta in volta si pone un obiettivo
concreto. Il contesto della guerra è ormai abbandonato per assistere agli esercizi singolari di “faccia a mela” che centra qualsiasi oggetto entri nel suo campo visivo. Come
la pistola di Pin, il fucile gli permette un pieno contatto con l’esterno: “Era un bel gioco
andare così da un bersaglio all’altro: forse si poteva fare il giro del mondo”. Ma poi
l’incontro con un tedesco lo obbliga a cambiare tattica, perché di un bersaglio dotato
di logica si tratta: vuole salvare la pelle e quindi obbliga il ragazzo a scegliere il proprio
campo visivo. Quando, arrivato il corvo, pensando che come al solito “faccia a mela” si
sarebbe momentaneamente distratto per abbatterlo, il tedesco approfitta per fuggire,
viene colpito invece inesorabilmente “giusto in mezzo a un’aquila ad ali spiegate che
aveva ricamata sulla giubba” e che era il vero bersaglio assolutamente astorico, del giovane. Il corvo, simbolo antropologico di morte, significativamente non viene mirato e
colpito. La conoscenza non aiuta a distinguere tra la parte giusta e quella sbagliata della
Storia, se non in circostanze d’eccezione e non serve a risolvere i quesiti più drammatici
dell’individuo, comunque in mano a un destino che lo sovrasta» (Benussi, 1989).
Lo stile rapido ed essenziale
Lo stile di Calvino neorealista è caratterizzato da frasi coordinate e da dialoghi brevi
con espressioni informali del parlato (C’è pieno di trote... Cosa vuole questo?... Cribbio...
Dal dopoguerra al terzo millennio
L’autore: Italo Calvino
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Questo non ne sbaglia una... Se lui sta attento agli uccelli non sta attento a me. Appena
tira io mi butto...).
La prevalenza delle sequenze• descrittive (il paesaggio, la ricerca dei bersagli)
determina un ritmo lento, così che la tragica realtà della guerra partigiana sfuma
gradualmente nella dimensione fiabesca e irreale. Il ritmo si accelera nelle sequenze
dell’inseguimento del soldato (Ad un tratto il proiettile gli sfiorò una guancia. Si voltò...
Si buttò... Sentì... sbucò e sparò... L’inseguì... Gli bruciò...). Poi nella parte finale i punti
interrogativi creano l’attesa angosciante della morte (Forse il corvo era troppo alto?...
Si metteva a tirare alle pigne, adesso? A una a una colpiva le pigne che cascavano con una
botta secca... Possibile che il ragazzo non lo vedesse?... Là c’è il corvo!).
LAVORIAMO
SUL TESTO
1. Il rito di iniziazione. Per quale motivo possiamo affermare che la prima parte del
racconto (rr. 1-58), è una sorta di rito di iniziazione per “faccia a mela”? Credi che
questo abbia una relazione con la successiva atmosfera fiabesca?
2. Un mondo incantato. La dimensione fiabesca del racconto determina la presenza
di personaggi tipicizzati, poco caratterizzati dal punto di vista psicologico: giustifica
questa affermazione con opportuni riferimenti al testo.
3. Il volo del corvo. Quale valore simbolico assume la presenza del corvo? Quale
immagine viene evocata dal suo arrivo sulla scena del racconto?
4. Il punto di vista. La vicenda viene narrata attraverso lo sguardo giocoso e fantastico del giovane protagonista, così da trasformare la tragica realtà della guerra in un
divertimento incantato. Individua alcuni passaggi del testo in cui si manifesta con
maggiore evidenza questo aspetto.
5. Un confronto con Pin. Completa la mappa in cui si visualizzano le analogie tra
“faccia a mela” e il protagonista di Il sentiero dei nidi di ragno (• Volume 3, T88).
Pin e “faccia a mela”
vivono
inconsapevolmente
sono integrati in
stabiliscono
L’esperienza della
La natura
Un contatto con il
mondo degli adulti
...............
percepita come
favorito da
Un mondo
...............
...............
si trasforma in
Oggetto
...............
PARLARE
6. La crudeltà innocente della vita. Cosa intende affermare Pampaloni con il giudizio
riportato nell’Analisi e commento? Ritieni che l’ossimoro• “crudeltà innocente” esprima con efficacia la concezione della vita e del rapporto tra Bene e Male contenuta nel
racconto? Esprimi le tue considerazioni in un intervento di 5 minuti circa.
3. Razionalità e invenzione fantastica
Copyright © 2012 Zanichelli Editore SpA, Bologna [6201der]
Questo file è un’estensione online del corso B. Panebianco, M. Gineprini, S. Seminara, LETTERAUTORI - edizione verde © Zanichelli 2012
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testi
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DAL DOPOGUERRA
AL TERZO MILLENNIO
Invito alla musica
Musica
e informatica
L’enciclopedia
Digitale modalità di
rappresentazione di
un’informazione di qualsiasi tipo
sotto forma di codifica di un
codice numerico di cifre. Da digit:
cifra, in inglese. Il concetto di
digitale si contrappone a quello di
analogico, in quanto in
quest’ultima forma di
rappresentazione il segnale non
viene trasmesso tramite un
codice, ma tramite una
conversione a una grandezza
fisica in relazione analogica.
Midi protocollo di interfaccia tra
un qualsiasi strumento musicale
e un computer. Un controller Midi
è qualsiasi strumento in grado di
inviare informazione a un
elaboratore elettronico che può
generare una gamma di suoni
modificabili a piacimento dal
software che li gestisce.
Attualmente la quasi totalità di
strumenti digitali utilizza il
protocollo Midi.
Con il passaggio dai tradizionali supporti
di riproduzione musicale analogici (dischi
in vinile e nastri magnetici) a quelli digitali, alla musica è stato aperto un campo
di infinite applicazioni offerto dall’informatica: un settore in sempre più rapido
sviluppo e dall’espansione virtualmente
illimitata. Una delle prime tappe di questa
trasformazione è stata la nascita del Compact Disc, il primo supporto musicale di
grande diffusione a utilizzare la tecnologia digitale, introdotto per i vantaggi che
esso offriva in termini di spazio di immagazzinamento di dati e durata del supporto. Il CD visse due decenni di grande successo e rapida diffusione, ma attualmente
è nella sua fase di declino, causato principalmente dall’avvento di Internet.
Internet
La grande rivoluzione degli ultimi anni
è rappresentata dall’avvento di Internet
che, poco dopo la sua nascita, si è trasformato nel più potente mezzo di condivisione di materiale musicale. L’esigenza
di poter trasferire files musicali con velocità attraverso il World Wide Web ha sollecitato la progettazione di formati audio
molto compressi facilmente trasferibili.
Il più diffuso è il formato MP3, che costituì, al suo apparire, un compromesso tra
la perdita di qualità musicale e la facilità
di trasferimento. Attualmente sono stati
introdotti nuovi formati che consentono
una minore perdita di qualità con un limitato utilizzo di spazio di memoria fisica (FLAC, APE, AAC). L’esplosione di
questo nuovo modo di trasmissione della
musica ha messo in seria crisi tutte le for-
me di trasmissione basate sui tradizionali
supporti fisici. Tale crisi corre parallela al
problema di potere esercitare un controllo sulla diffusione di musica coperta dai
diritti d’autore. La rete ha infatti stravolto
il tradizionale concetto di diritto d’autore,
proprio per l’impossibilità di sottoporre la
fruizione musicale a un controllo sistematico. Un fenomeno del medesimo tipo è
quello relativo alla condivisione di spartiti
e partiture musicali, disponibili in quantità sempre crescente e capillare. A fronte
di questi rapidi rivolgimenti, proprio in
questi anni stanno venendo a definizione una serie di nuove norme che possano
adattarsi al mutato panorama della fruizione musicale.
Il formato MIDI
Le profonde trasformazioni che l’informatica sta imprimendo alle prassi musicali dell’epoca post-moderna non si limitano solamente alla fruizione ma anche
alla produzione di musica. A partire dagli anni Settanta, infatti, sono stati ideati i primi protocolli informatici in grado
di interfacciare gli strumenti tradizionali
con programmi informatici per produrre
e modificare suoni. Il protocollo più diffuso di interfaccia tra strumento e calcolatore è il MIDI la cui efficienza ed efficacia
ha sancito il suo successo in tutti i generi di musica. La ricerca in questo campo
ha seguito due diverse linee: da un lato la
sintetizzazione di suoni che cercassero di
imitare i suoni degli strumenti tradizionali, dall’altro la sperimentazione di nuovi timbri inediti che aprissero nuove possibilità espressive al linguaggio musicale,
Musica e informatica
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proseguendo una ricerca già iniziata negli
anni Cinquanta con la musica elettronica.
Se i primi tentativi di imitazione dei suoni
di strumenti tradizionali non potevano dare che risultati molto grezzi e insoddisfacenti, in questi ultimi anni la tecnica del
campionamento, ovvero della registrazione di campioni sonori da strumenti reali,
successivamente azionati da strumenti digitali, sta raggiungendo risultati di grande
interesse. Altrettanto interessante è la dif-
fusione di software che consentono una
videoscrittura rapida di partiture musicale
e un’altrettanto rapida possibilità di modificazione e diffusione.
Il settore informatico è in piena esplosione e sicuramente altre nuove e profonde mutazioni cambieranno nei prossimi
anni la fisionomia della musica, in una
variegata e stimolante fusione fra elementi di recentissima modernità e di secolare
tradizione.
REGISTRAZIONI CONSIGLIATE
Wendy Carlos, The Well-Tempered Synthesizer
Dal dopoguerra al terzo millennio
Invito alla musica
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