Potenziamento 1 - Prof.ssa Monica Guido

ATTIVITÀ DI POTENZIAMENTO
NOME ……………………………………………………………....
CLASSE ……………… DATA ………………………………
IL MEDIOEVO
L’autore
Dante Alighieri
Analisi del testo
• Leggi con molta attenzione la poesia di Dante Sonar bracchetti, e cacciatori aizzare (D1), tratta dalle Rime, le note
e le attività.
• Compila le singole risposte alle attività che ti orientano nella comprensione, nell’analisi, nell’interpretazione e nella
contestualizzazione d’insieme (Traccia di lavoro).
• Organizza le risposte in un testo omogeneo di relazioni logiche, grammaticali e sintattiche.
• Svolgi la tua trattazione con riferimenti anche alle conoscenze acquisite sulla produzione poetica di Dante.
• Non superare le 4 colonne di foglio protocollo, se scrivi a mano, e 2000 caratteri in corpo grafico 12, spazi esclusi, se
digiti il testo al computer.
TRACCIA DI LAVORO
1. Comprensione del testo
Riassumi il contenuto informativo della lirica, rispondendo alle domande.
• Quale situazione viene rappresentata nei versi 1-7?
• Qual è lo stato d’animo dominante dell’io lirico e quali le sue riflessioni nei versi successivi?
2. Analisi del testo
2.1 Individua la forma metrica della poesia (componimento, strofe, schema delle rime).
2.2 L’elenco di situazioni piacevoli nei versi 1-7 richiama contenuti e forme provenzali: spiega per quale motivo,
riflettendo sul significato del verbo dilettare.
2.3 Nei versi 1-2 si riscontra una figura retorica che dimostra l’abilità di versificazione del poeta. Individuala e precisane
la costruzione sintattica.
3. Interpretazione complessiva e approfondimenti
3.1 Quale contrasto viene colto e analizzato dall’io lirico nel corso della poesia?
3.2 Gli elementi presenti nella lirica riconducono a quella fase del traviamento di Dante successiva alla morte di Beatrice
e unita anche al pentimento del disperdersi da parte del poeta. Parlane con precisi riferimenti
• allo sperimentalismo di tono comico-realistico della produzione giovanile (la tenzone, le petrose) come premessa
per la nuova concezione di vita nelle opere successive;
• allo sviluppo della poetica dantesca dalla Vita nuova alla Commedia.
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Panebianco, Gineprini, Seminara LETTERAUTORI – Edizione verde © Zanichelli 2012
1
ATTIVITÀ DI POTENZIAMENTO
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Dossier
D1
Dante Alighieri
Rime
Sonar bracchetti, e cacciatori aizzare
in Rime, a cura di G. Contini, Einaudi, Torino 1965
LXI
Sonar bracchetti, e cacciatori aizzare,
lepri levare, ed isgridar le genti,
e di guinzagli uscir veltri correnti,
per belle piagge volgere e imboccare
5
10
assai credo che deggia dilettare
libero core e van d’intendimenti!
Ed io, fra gli amorosi pensamenti,
d’uno sono schernito in tale affare,
e dicemi esto motto per usanza:
“Or ecco leggiadria di gentil core,
per una sì selvaggia dilettanza
lasciar le donne e lor gaia sembianza!”.
Allor, temendo non che senta Amore,
prendo vergogna, onde mi ven pesanza.
1. Sonar bracchetti, e cacciatori aizzare: l’abbaiare dei cani e le grida di incitamento dei cacciatori.
2. lepri levare: lo stanare le lepri; isgridar le genti: le grida delle persone.
3. di guinzagli uscir veltri correnti: i cani veloci sguinzagliati.
4. per belle piagge volgere: corrono lungo i prati; imboccare: afferrano con la bocca (le prede).
5. deggia dilettare: debba dare diletto.
6. libero core e van d’intendimenti!: cuori liberi da affanni d’amore.
7. Ed io: invece io; fra gli amorosi pensamenti: preso da riflessioni sull’amore.
8. d’uno sono schernito in tale affare: sono schernito da una di esse mentre faccio la battuta di caccia.
9. e dicemi esto motto per usanza: (soggetto sottinteso è il pensiero d’amore) mi deride di solito con queste parole.
10. leggiadria: raffinatezza; gentil core: animo nobile.
11. per una sì selvaggia dilettanza: per un piacere tanto selvaggio.
12. lasciar le donne: soggetto sottinteso sono i cacciatori; lor gaia sembianza!: il loro piacevole aspetto.
13. temendo … Amore: temendo che Amore (personificazione) senta quelle parole.
14. prendo vergogna … pesanza: per cui mi vergogno e provo dolore.
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2
ATTIVITÀ DI POTENZIAMENTO
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IL MEDIOEVO
L’autore e l’opera
Giovanni Boccaccio
Analisi del testo
• Leggi con molta attenzione le strofe tratte dal Ninfale fiesolano (D1), la parafrasi con le note e le attività.
• Compila le singole risposte alle attività che ti orientano nella comprensione, nell’analisi, nell’interpretazione e nella
contestualizzazione d’insieme (Traccia di lavoro).
• Organizza le risposte in un testo omogeneo di relazioni logiche, grammaticali e sintattiche.
• Svolgi la tua trattazione con riferimenti anche alle conoscenze acquisite sulla produzione narrativa di Boccaccio.
• Non superare le 4 colonne di foglio protocollo, se scrivi a mano, e 2000 caratteri in corpo grafico 12, spazi esclusi, se
digiti il testo al computer.
TRACCIA DI LAVORO
1. Comprensione del testo
1.1 Riassumi il contenuto informativo dei versi.
1.2 Precisa quali sono i motivi tematici centrali.
2. Analisi del testo
2.1 Delinea sinteticamente le caratteristiche di Africo e Mensola. Da quali sentimenti sono animati?
2.2 Individua i termini che rinviano all’area semantica del “vedere”. Poi spiega quale relazione simbolica si instaura tra il
paesaggio primaverile e i sentimenti dei personaggi.
2.3 L’uso di termini dell’area semantica del vedere a quale concezione medioevale dell’amore rinvia?
3. Interpretazione complessiva e approfondimenti
3.1 L’atmosfera fiabesca e i personaggi mitici riconducono alle Metamorfosi di Ovidio: a quale genere narrativo
appartiene il Ninfale fiesolano e qual è l’intento di Boccaccio?
3.2 L’antitesi tra Cupido (inviato da Venere, dea dell’Amore) e Diana (che impone alle sue ninfe la castità) introduce il
tema boccacciano dell’invincibilità dell’amore, forza naturale cui non è giusto resistere. Approfondisci questo motivo
tematico con precisi riferimenti a qualche novella del Decameron da te letta e analizzata.
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1
ATTIVITÀ DI POTENZIAMENTO
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Dossier
D1
Giovanni Boccaccio
Ninfale fiesolano
L’innamoramento di Africo
in Opere e versi, a cura di P.G. Ricci, Ricciardi, Milano-Napoli 1965
Era ’n quel tempo del mese di maggio,
quando i be’ prati rilucon di fiori,
e gli usignuoli per ogni rivaggio
manifestan con canti i lor amori,
e’ giovinetti, con lieto coraggio,
senton d’amor i più caldi valori,
quando la dea Dïana a Fiesol venne,
e con le ninfe sue consiglio tenne.
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35
Intorno ad una bella e chiara fonte
di fresca erbetta e di fiori intorniata,
la qual ancor dimora a piè del monte
Cécer, da quella parte che ’l sol guata
quand’è nel mezzogiorno a fronte a fronte,
e fonte Aquelli è oggi nominata,
intorno a quella Dïana allor volse
essere, e molte ninfe vi raccolse.
Così a sedere tutte quante intorno
si poson alla fonte chiara e bella,
ed una ninfa, sanza far soggiorno,
si levò ritta, leggiadretta e snella,
ed a sonar incominciò un corno
perch’ognuna tacesse; e poi, quand’ella
ebbe sonato, a seder si fu posta,
aspettando di Dïana la proposta.
La qual, com’usata era, così allora
diceva lor ch’ognuna si guardasse
che con niun uom facesse mai dimora,
«E se avvenisse pur che l’uom trovasse,
fuggal come nimico ciascun’ora,
acciò che ’nganno o forza non usasse
contra di voi: ché qual fosse ingannata
da me sarebbe morta e sbandeggiata».
Mentre che tal consiglio si tenea,
un giovinetto ch’Africo avea nome,
il qual forse venti anni o meno avea,
sanz’ancor barba avere, e le sue chiome
bionde e crespe, ed il suo viso parea
un giglio o rosa, over d’un fresco pome;
costui ind’oltre abitava col padre,
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sanz’altra vicinanza, e con la madre;
il giovane era quivi in un boschetto
presso a Dïana quando il ragionare
delle ninfe sentì, ch’a suo diletto
ind’oltre s’era andato a diportare;
per che fattosi innanzi, il giovinetto
dopo una grotta si mise a ’scoltare,
per modo che veduto da costoro
non era, ed e’ vedeva tutte loro.
Vedea Dïana sopra l’altre stante,
rigida nel parlar e nella mente,
con le saette e l’arco minacciante,
e vedeva le ninfe parimente
timide e paurose tutte quante,
sempre mirando il suo viso piacente,
istando ognuna cheta, umìle e piana
pel minacciar che facea lor Dïana.
Poi vide che Dïana fece in piedi
levar ritta una ninfa, ch’Alfinea
aveva nome, però ch’ella vede
che più che nïun’altra tempo avea,
dicendo: «Ora m’intenda qual qui siede:
i’ vo’ che questa nel mio loco stea,
però ch’i’ ’ntendo partirmi da voi,
sì che, com’io, ubidita sia poi».
Africo stante costoro ascoltando,
fra l’altre una ninfa agli occhi li corse,
la qual alquanto nel viso mirando,
sentì ch’Amor per lei il cor gli morse
sì che gli fe’ sentir, già sospirando,
le fiaccole amorose: ché gli porse
un sì dolce disio, che già saziare
non si potea della ninfa mirare.
E tra se stesso dicea: «Qual saria
di me più grazïoso e più felice,
se tal fanciulla io avessi per mia
isposa? Ché per certo il cor mi dice
ch’al mondo sì contento uomo non s’arìa;
e se non che paura mel disdice
di Dïana, i’ l’arei per forza presa,
ché l’altre non potrebbon far difesa».
Lo ’nnamorato amante, in tal maniera
nascoso stava infra le fresche fronde,
quando Dïana, veggendo che sera
già si faceva, e che ’l sol si nasconde
e già perduto avea tutta la spera,
con le sue ninfe, assai liete e gioconde,
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ATTIVITÀ DI POTENZIAMENTO
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si levâr ritte, ed al poggio salendo,
di belle melodi’e canzon dicendo.
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Africo, quando vide che levata
s’era ciascuna, e simil la sua amante,
udì che da un’altra fu chiamata:
«Mensola, andianne»; e quella, su levante,
con l’altre tosto si fu ritrovata.
E così via n’andaron tutte quante:
ognuna a sua capanna si tornoe
poi Dïana si partì e lor lascioe.
Avea la ninfa forse quindici anni;
biondi com’oro e grandi i suoi capelli,
e di candido lin portava i panni;
du’ occhi in testa rilucenti e belli,
che chi li vede non sente mai affanni;
con angelico viso ed atti isnelli,
e ’n man portava un bel dardo affilato.
Or vi ritorno al giovane lasciato.
Il qual soletto rimase pensoso,
oltre modo dolente del partire
che fé la ninfa del viso vezzoso,
e ripiatendo il passato disire,
dicendo: “Lasso a me, che ’l bel riposo
ch’ho ricevuto mi torna in martìre,
pensando ch’i’ non so dove o ’n qual parte
cercarmene già mai, o con qual arte.
Né conosco costei che m’ha ferito,
se non ch’udii che Mensola have nome;
e lasciato m’ha qui, solo e schernito,
sanz’avermi veduto; ed almen come
i’ l’amo sapesse ella, e a che partito
Amor m’ha qui per lei carche le some!
Omè, Mensola bella, ove ne vai,
e lasci Africo tuo con molti guai?”.
1-8
Era il mese di maggio, quando i bei prati risplendono di fiori, e gli usignoli sui terreni in pendio manifestano con i canti il loro amore, e i
giovinetti, con cuore lieto, avvertono i più caldi impulsi dell’amore, quando la dea Diana giunse a Fiesole, e tenne il concilio delle sue ninfe.
7. Dïana: dea italica della castità, protettrice dei boschi e delle montagne, associata alla dea greca della caccia Artemide. Boccaccio riprende
la leggenda secondo cui sui colli fiorentini, prima della fondazione di Fiesole, vivevano ninfe vergini consacrate a Diana, che le radunava per
cacciare o per parlare con loro.
9-16
Intorno ad una bella e limpida fonte attorniata da erbetta fresca e da fiori, la quale si trova sotto il monte Céceri, illuminata dal sole dalla parte
opposta a mezzogiorno [cioè esposta a nord], e oggi chiamata fonte Aquelli, là intorno volle andare Diana, e vi riunì le sue ninfe.
17-24
Così tutte quante si misero a sedere intorno alla limpida e bella fonte, e una ninfa, senza alcun indugio, si alzò graziosa e agile, e cominciò a
suonare un corno per ottenere il silenzio; dopo aver suonato, si mise a sedere, e le ninfe rimasero in attesa degli ordini di Diana.
25-32
La quale, com’era solita fare, anche allora disse loro di evitare di intrattenersi con un uomo, «E se vi accadesse di incontrare un uomo,
ciascuna di voi deve sempre fuggirlo come un nemico, per evitare il suo inganno o la sua violenza: perché chi fosse conquistata con l’inganno
da un uomo sarebbe uccisa o cacciata via da me».
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ATTIVITÀ DI POTENZIAMENTO
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33-40
Mentre si teneva il concilio, un giovane di nome Africo, che aveva vent’anni o poco meno, ancora senza barba, dai capelli biondi e crespi, dal
viso simile a un giglio o a una rosa, come un frutto appena colto, abitava poco lontano da lì con il padre e con la madre, senza altri vicini.
41-48
Il giovane era lì in un boschetto vicino a Diana quando sentì il ragionare delle ninfe, che per diletto si era spinto a passeggiare da quelle parti;
pertanto avvicinatosi, il giovane si mise ad ascoltare da dietro una grotta, in modo da non essere visto da loro, ma da poterle vedere tutte.
49-56
Vedeva Diana in piedi dinanzi alle altre, rigida nelle parole e anche nelle intenzioni, in posa minacciosa con le saette e con l’arco, e vedeva le
ninfe allo stesso modo tutte timide e paurose, guardare sempre il suo bel viso, e stare ognuna quieta, docile e silenziosa per le parole
minacciose di Diana.
55. umìle e piana: soave e piana è la coppia di aggettivi che Dante attribuisce alla caratterizzazione stilnovista di Beatrice nel II canto
dell’Inferno, v. 56.
57-64
Poi vide che Diana fece alzare in piedi una ninfa, che Alfinea si chiamava, poiché ella aveva visto che era la più anziana, dicendo: «Ora mi
comprenda chiunque è qui seduta: io voglio che costei prenda il mio posto, dato che io debbo allontanarmi da voi, in modo che poi sia ubbidita
come lo sono io».
65-72
Ad Africo che stava ascoltando lo sguardo cadde su una ninfa, e mentre la osservava a lungo in volto, sentì che Amore gli morse il cuore tanto
da fargli avvertire, già sospirando, un ardente sentimento: provocò in lui un desiderio così struggente, che non si poteva saziare se non
guardando la ninfa.
66. corse: il verbo sottolinea il carattere casuale e subitaneo dell’apparizione e anticipa la folgorazione amorosa (fiaccole amorose, dolce disio
sono metafore di derivazione stilnovista).
73-80
E diceva tra sé: «Chi sarebbe più fortunato e più felice di me, se avessi come sposa questa fanciulla? Perché certamente il cuore mi dice che
non esisterebbe al mondo un uomo così contento; e se non me lo sconsigliasse la paura di Diana, io l’avrei già presa con la forza, perché le
altre non potrebbero difenderla».
81-88
L’amante innamorato stava così nascosto tra i freschi rami, quando Diana, vedendo che la sera scendeva e che il sole era sparito all’orizzonte,
perdendo i suoi raggi luminosi, insieme alle ninfe liete e gioconde si avviò, salendo verso il poggio e cantando dolci melodie.
89-96
Africo, quando vide che ogni ninfa si era alzata, e che la stessa cosa aveva fatto la sua amata, udì che fu chiamata da un’altra: – Mensola,
andiamocene –; e lei, alzandosi, subito si unì alle altre. E così se ne andarono tutte: ciascuna tornò alla propria capanna, poi Diana partì e le
lasciò.
91. udì ... fu chiamata: ritorna il motivo della casualità già presente al v. 66.
92. Mensola: ha questo nome un altro corso d’acqua che discende dalle colline di Fiesole.
97-104
La ninfa aveva forse quindici anni; i suoi capelli lunghi erano color biondo oro, e indossava abiti di lino; gli occhi luminosi e belli, che
rasserenano al guardarli; il viso era angelico e i movimenti aggraziati, e in mano portava una freccia appuntita. Ora vi riporto al giovane.
105-112
Egli rimase solo e pensoso, molto rattristato per la partenza della ninfa dal volto pieno di dolcezza, e soffrendo per il desiderio d’amore prima
provato, disse: “Povero me, che la sensazione di pace che ho provato si trasforma in sofferenza, al pensiero che non so dove o in quale modo
la potrò ritrovare.
109-110. bel riposo ... martìre: sono i due stati d’animo tipici dell’innamorato: la beatitudine per la presenza della donna amata e il tormento
per la sua scomparsa.
113-120
Non conosco costei che mi ha fatto innamorare, ho solo sentito che si chiama Mensola; e mi ha lasciato qui, solo e deluso, senza avermi visto;
se almeno lei sapesse quanto l’amo, e in quale modo Amore mi ha gravato di sofferenza per lei! Ohimè, Mensola bella, dove vai, e lasci il tuo
Africo tra le pene d’amore?”.
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ATTIVITÀ DI POTENZIAMENTO
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IL MEDIOEVO
L’autore e l’opera
Francesco Petrarca
Analisi del testo
• Leggi con molta attenzione la lirica di Petrarca Se lamentar augelli, o verdi fronde (D1), le note e le attività.
• Compila le singole risposte alle attività che ti orientano nella comprensione, nell’analisi, nell’interpretazione e nella
contestualizzazione d’insieme ( Traccia di lavoro).
• Organizza le risposte in un testo omogeneo di relazioni logiche, grammaticali e sintattiche.
• Svolgi la tua trattazione con riferimenti anche alle conoscenze acquisite sulla produzione di Petrarca.
• Non superare le 4 colonne di foglio protocollo, se scrivi a mano, e 2000 caratteri in corpo grafico 12, spazi esclusi, se
digiti il testo al computer.
TRACCIA DI LAVORO
1. Comprensione del testo
1.1 La lirica scritta durante il soggiorno a Valchiusa (1351-1353) appartiene alla rime “in morte” (CCLXXIX), collocate
nella seconda parte del Canzoniere. Il ritorno in Provenza suscita nell’animo del poeta la memoria dell’amore per
Laura.
Presta attenzione alle immagini (descrizioni di luoghi, persone), ai fatti (azioni, eventi), alle sensazioni (visive,
uditive), agli stati d’animo espressi nella poesia e poi riassumi il contenuto informativo dei versi.
1.2 Precisa qual è il tema centrale.
2. Analisi del testo
2.1 Individua la forma metrica della poesia (componimento, strofe, schema delle rime). Rifletti sulla originale
combinazione delle rime e poi spiega quale specifico legame metrico-sintattico si instaura tra le due quartine.
2.2 Ripensa alle caratteristiche del paesaggio estivo: il lamentar degli uccelli e il roco mormorar delle onde quale
significato evocativo assumono? Quale legame si instaura tra natura e stato d’animo dominante dell’io lirico?
2.3 Qual è l’atteggiamento di Laura nel colloquio con il poeta? Quali sono le sue qualità? Per quale motivo la figura
femminile non appare realistica?
3. Interpretazione complessiva e approfondimenti
3.1 Soffermati sul seguente passo critico e poi interpreta il componimento riconducendolo al ruolo di Laura nella poetica
petrarchesca.
«Particolare rilievo assume, come è noto, l’assonanza o il calembour [gioco di parole] – per dirla con Contini – tra
Laura, il nome della donna amata, l’oggetto irraggiungibile del desiderio, l’oggetto dell’amore impossibile, e aura, il
soffio, il vento che spira dal luogo dove si trova l’amata e che diventa poi, per estensione, Spirito Vitale, respiro,
atmosfera e ancora: alone, aureola, alba ecc.» (da Petrarca e l’“aura” della poesia a cura di S. Mecatti,
Conversazione con Giovanni Giudici, Giovanni Raboni, Mario Luzi in Petrarca latino e le origini dell’umanesimo, Atti
del Convegno internazionale, Firenze, 19-22 maggio 1991. “Quaderni petrarcheschi”, IX-X, 1992-93, p. 717)
3.2 Protagonista del Canzoniere, come di tutte le sue opere, è l’animo tormentato del poeta, che considera l’amore e la
passione terrena per Laura tutt’uno con il proprio progresso spirituale. Il contrasto interiore di Petrarca tra amore
terreno e amore divino può essere visto come un dissidio tra la concezione religiosa medioevale e la visione laicoumanistica dell’esistenza.
Parla di questi aspetti con precisi riferimenti tematici e stilistici (lessico, simmetrie, intensità evocativa delle parole e
dei suoni, armonia della forma) ai seguenti testi del Secretum e del Canzoniere:
• L’amore per Laura: anima e corpo
• Voi ch’ascoltate in rime sparse il suono
• Erano i capei d’oro a l’aura sparsi
• La vita fugge et non s’arresta una hora
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ATTIVITÀ DI POTENZIAMENTO
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Dossier
D1
Francesco Petrarca
Canzoniere
Se lamentar augelli, o verdi fronde
in Canzoniere, a cura di G. Contini, Einaudi, Torino 1992
CCLXXIX
Se lamentar augelli, o verdi fronde
mover soavemente a l’aura estiva,
o roco mormorar di lucide onde
s’ode d’una fiorita et fresca riva,
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là ’v’io seggia d’amor pensoso et scriva,
lei che ’l ciel ne mostrò, terra n’asconde,
veggio, et odo, et intendo ch’anchor viva
di sì lontano a’ sospir’ miei risponde.
«Deh, perché inanzi ’l tempo ti consume?
– mi dice con pietate – a che pur versi
degli occhi tristi un doloroso fiume?
Di me non pianger tu, ché’ miei dì fersi
morendo eterni, et ne l’interno lume,
quando mostrai de chiuder, gli occhi apersi».
1-8
Se si odono i canti lamentosi degli uccelli, lo stormire piacevole delle verdi foglie (degli alberi) alla brezza (aura) estiva, lo smorzato mormorio
delle acque limpide (del ruscello) da una riva fiorita e ombreggiata, dove io stia seduto (seggia) immerso nei miei pensieri (pensoso) e scriva
delle mie sofferenze d’amore; vedo e sento colei che il cielo ci mostrò, ma che la terra (la tomba) ora nasconde, e percepisco (intendo) che è
ancora viva, e risponde da tanto lontano (dal Paradiso) ai miei sospiri d’amore per lei.
1-4. Se lamentar ... riva: questi versi descrivono la situazione tipica del locus amoenus: uno spazio aperto, privo di mura (a privativo e
moenus, mura), con prati e fiori variopinti, animali domestici, fontane e ruscelletti, che ricorda anche il paradiso terrestre. È un luogo mitico,
caro alla tradizione classica, che favorisce l’amore e invita a godere dei piaceri della vita (l’aggettivo amoenus spesso è legato alla parola
amor).
2. aura: il termine riecheggia il nome di Laura, la donna amata.
9-15
«Beh, perché ti distruggi (di dolore) prima ancora che sia giunto per te il tempo (di morire)? – mi dice con pietà – perché continui a versare dagli
occhi tristi un così triste fiume di lacrime? Non piangere per me, perché la mia vita è diventata (fersi) eterna dopo la mia morte terrena, e quando
sembrò che io morissi, invece aprii i miei occhi alla vera luce interiore (di Dio).»
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L'UMANESIMO E IL RINASCIMENTO
L’autore e l’opera
Ludovico Ariosto
Analisi del testo
• Leggi con molta attenzione le ottave sulla sfida tra Bradamante e il mago Atlante (D1) tratte dall’Orlando furioso (IV,
16-39), la parafrasi con le note e le attività.
• Compila le singole risposte alle attività che ti orientano nella comprensione, nell’analisi, nell’interpretazione e nella
contestualizzazione d’insieme (Traccia di lavoro).
• Organizza le risposte in un testo omogeneo di relazioni logiche, grammaticali e sintattiche.
• Svolgi la tua trattazione con riferimenti anche alle conoscenze acquisite sulla produzione letteraria di Ariosto.
• Non superare le 4 colonne di foglio protocollo, se scrivi a mano, e 2000 caratteri in corpo grafico 12, spazi esclusi, se
digiti il testo al computer.
TRACCIA DI LAVORO
1. Comprensione del testo
Attribuisci al passo un tuo titolo di fantasia che metta in evidenza i motivi tematici del testo.
2. Analisi del testo
2.1 Atlante esce dal castello e si dirige col cavallo alato contro Bradamante, che, grazie all’anello magico, vede quale
egli è in realtà: come appare ai suoi occhi l’incantator? Quale strategia difensiva la donna mette in atto (vv. 1-40)?
2.2 Quando Bradamante scende da cavallo, come si capovolge l’esito della sfida? Quale aspetto della figura di Atlante
emerge? Quale spiegazione il mago fornisce a proposito di Ruggiero (vv. 41-148)?
2.3 Qual è la risposta di Bradamante al mago e quale l’ultima magia di Atlante (vv. 149-192)?
2.4 Ariosto, nel corso del duello, presenta come reale un elemento fantastico e come illusori e immaginari oggetti tipici
del mondo reale. Individua nei versi l’uno e gli altri, e precisane le caratteristiche.
2.5 Individua i termini e le espressioni che appartengono all’area semantica dell’illusorietà e spiegane la funzione
tematica.
3.
Interpretazione complessiva e approfondimenti
Spiega qual è il significato simbolico della magia nel Furioso ricollegandoti alla concezione dell’uomo rinascimentale.
Puoi arricchire le tue considerazioni riferendoti a
• Ludovico Ariosto, Il duello tra Atlante e Bradamante
• Ludovico Ariosto, Il castello di Atlante (T61)
• Marsilio Ficino, La magia naturale (Doc10)
Idee per insegnare l’italiano con…
Panebianco, Gineprini, Seminara LETTERAUTORI – Edizione verde © Zanichelli 2012
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ATTIVITÀ DI POTENZIAMENTO
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Dossier
D1
Ludovico Ariosto
Orlando furioso
Il duello tra Atlante e Bradamante
a cura di C. Segre, Mondadori, Milano 1976
Il cavaliere musulmano Ruggiero è stato allevato dal mago Atlante di Carena, che vorrebbe preservarlo dalla morte a lui destinata. La
cristiana Bradamante ama Ruggiero e ha saputo dalla maga Melissa che il giovane è trattenuto da Atlante in un castello tutto d’acciaio
sui Pirenei, impossibile da scalare. Nel cammino verso il castello la giovane incontra il saraceno Brunello che, su ordine di Agramante
dei Mori, vuole liberare Ruggiero. Brunello è in possesso di un anello magico che rende invisibili ma Bradamante ruba l’anello e con il
suo corno sfida a combattimento il mago. L’episodio è intessuto di straordinari incantesimi che destano meraviglia nel lettore: ciò che fa
Atlante è solo magica apparenza e, mentre sembra che colpisca con le sue armi, in realtà è lontano ed è poco pericoloso. Il duello
stesso è uno scontro tra incantesimi (il libro dell’alta maraviglia, lo scudo abbagliante di Atlante, l’anello magico in possesso della
donna).
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Non stette molto a uscir fuor de la porta
l’incantator, ch’udì ’l suono e la voce.
L’alato corridor per l’aria il porta
contra costei, che sembra uomo feroce.
La donna da principio si conforta;
che vede che colui poco le nuoce:
non porta lancia né spada né mazza,
ch’a forar l’abbia o romper la corazza.
Da la sinistra sol lo scudo avea,
tutto coperto di seta vermiglia;
ne la man destra un libro, onde facea
nascer, leggendo, l’alta maraviglia:
che la lancia talor correr parea,
e fatto avea a più d’un batter le ciglia;
talor parea ferir con mazza o stocco,
e lontano era, e non avea alcun tocco.
Non è finto il destrier, ma naturale,
ch’una giumenta generò d’un Grifo:
simile al padre avea la piuma e l’ale,
li piedi anteriori, il capo e il grifo;
in tutte l’altre membra parea quale
era la madre, e chiamasi ippogrifo;
che nei monti Rifei vengon, ma rari,
molto di là dagli aghiacciati mari.
Quivi per forza lo tirò d’incanto;
e poi che l’ebbe, ad altro non attese,
e con studio e fatica operò tanto,
ch’a sella e briglia il cavalcò in un mese:
così ch’in terra e in aria e in ogni canto
lo facea volteggiar senza contese.
Non finzion d’incanto, come il resto,
ma vero e natural si vedea questo.
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Del mago ogn’altra cosa era figmento,
che comparir facea pel rosso il giallo;
ma con la donna non fu di momento,
che per l’annel non può vedere in fallo.
Più colpi tuttavia diserra al vento,
e quinci e quindi spinge il suo cavallo;
e si dibatte e si travaglia tutta,
come era, inanzi che venisse, instrutta.
E poi che esercitata si fu alquanto
sopra il destrier, smontar volse anco a piede,
per poter meglio al fin venir di quanto
la cauta maga instruzion le diede.
Il mago vien per far l’estremo incanto;
che del fatto ripar né sa né crede:
scuopre lo scudo, e certo si prosume
farla cader con l’incantato lume.
Potea così scoprirlo al primo tratto,
senza tenere i cavallieri a bada;
ma gli piacea veder qualche bel tratto
di correr l’asta o di girar la spada:
come si vede ch’all’astuto gatto
scherzar col topo alcuna volta aggrada;
e poi che quel piacer gli viene a noia,
dargli di morso, e al fin voler che muoia.
Dico che ’l mago al gatto, e gli altri al topo
s’assimigliar ne le battaglie dianzi;
ma non s’assimigliar già così, dopo
che con l’annel si fe’ la donna inanzi.
Attenta e fissa stava a quel ch’era uopo,
acciò che nulla seco il mago avanzi;
e come vide che lo scudo aperse,
chiuse gli occhi, e lasciò quivi caderse.
Non che il fulgor del lucido metallo,
come soleva agli altri, a lei nocesse;
ma così fece acciò che dal cavallo
contra sé il vano incantator scendesse:
né parte andò del suo disegno in fallo;
che tosto ch’ella il capo in terra messe,
accelerando il volator le penne,
con larghe ruote in terra a por si venne.
Lascia all’arcion lo scudo, che già posto
avea ne la coperta, e a piè discende
verso la donna che, come reposto
lupo alla macchia il capriolo, attende.
Senza più indugio ella si leva tosto
che l’ha vicino, e ben stretto lo prende.
Avea lasciato quel misero in terra
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il libro che facea tutta la guerra:
e con una catena ne correa,
che solea portar cinta a simil uso;
perché non men legar colei credea,
che per adietro altri legare era uso.
La donna in terra posto già l’avea:
se quel non si difese, io ben l’escuso;
che troppo era la cosa differente
tra un debol vecchio e lei tanto possente.
Disegnando levargli ella la testa,
alza la man vittoriosa in fretta;
ma poi che ’l viso mira, il colpo arresta,
quasi sdegnando sì bassa vendetta:
un venerabil vecchio in faccia mesta
vede esser quel ch’ella ha giunto alla stretta,
che mostra al viso crespo e al pelo bianco,
età di settanta anni o poco manco.
«Tommi la vita, giovene, per Dio,»
dicea il vecchio pien d’ira e di dispetto;
ma quella a torla avea sì il cor restio,
come quel di lasciarla avria diletto.
La donna di sapere ebbe disio
chi fosse il negromante, ed a che effetto
edificasse in quel luogo selvaggio
la rocca, e faccia a tutto il mondo oltraggio.
«Né per maligna intenzione, ahi lasso!
(disse piangendo il vecchio incantatore)
feci la bella rocca in cima al sasso,
né per avidità son rubatore;
ma per ritrar sol dall’estremo passo
un cavallier gentil, mi mosse amore,
che, come il ciel mi mostra, in tempo breve
morir cristiano a tradimento deve.
Non vede il sol tra questo e il polo austrino
un giovene sì bello e sì prestante:
Ruggiero ha nome, il qual da piccolino
da me nutrito fu, ch’io sono Atlante.
Disio d’onore e suo fiero destino
l’han tratto in Francia dietro al re Agramante;
ed io, che l’amai sempre più che figlio,
lo cerco trar di Francia e di periglio.
La bella rocca solo edificai
per tenervi Ruggier sicuramente,
che preso fu da me, come sperai
che fossi oggi tu preso similmente;
e donne e cavallier, che tu vedrai,
poi ci ho ridotti, ed altra nobil gente,
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acciò che quando a voglia sua non esca,
avendo compagnia, men gli rincresca.
Pur ch’uscir di là su non si domande,
d’ogn’altro gaudio lor cura mi tocca;
che quanto averne da tutte le bande
si può del mondo, è tutto in quella rocca:
suoni, canti, vestir, giuochi, vivande,
quanto può cor pensar, può chieder bocca.
Ben seminato avea, ben cogliea il frutto;
ma tu sei giunto a disturbarmi il tutto.
Deh, se non hai del viso il cor men bello,
non impedir il mio consiglio onesto!
Piglia lo scudo (ch’io tel dono) e quello
destrier che va per l’aria così presto;
e non t’impacciar oltra nel castello,
o tranne uno o duo amici, e lascia il resto;
o tranne tutti gli altri, e più non chero,
se non che tu mi lasci il mio Ruggiero.
E se disposto sei volermel torre,
deh, prima almen che tu ’l rimeni in Francia,
piacciati questa afflitta anima sciorre
de la sua scorza ormai putrida e rancia!»
Rispose la donzella: «Lui vo’ porre
in libertà: tu, se sai, gracchia e ciancia;
né mi offerir di dar lo scudo in dono,
o quel destrier, che miei, non più tuoi sono:
né s’anco stesse a te di torre e darli,
mi parrebbe che ’l cambio convenisse.
Tu di’ che Ruggier tieni per vietarli
il male influsso di sue stelle fisse.
O che non puoi saperlo, o non schivarli,
sappiendol, ciò che ’l ciel di lui prescrisse:
ma se ’l mal tuo, c’hai sì vicin, non vedi,
peggio l’altrui c’ha da venir prevedi.
Non pregar ch’io t’uccida, ch’i tuoi preghi
sariano indarno; e se pur vuoi la morte,
ancor che tutto il mondo dar la nieghi,
da sé la può aver sempre animo forte.
Ma pria che l’alma da la carne sleghi,
a tutti i tuoi prigioni apri le porte.»
Così dice la donna, e tuttavia
il mago preso incontra al sasso invia.
Legato de la sua propria catena
andava Atlante, e la donzella appresso,
che così ancor se ne fidava a pena,
ben che in vista parea tutto rimesso.
Non molti passi dietro se la mena,
ch’a piè del monte han ritrovato il fesso,
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e li scaglioni onde si monta in giro,
fin ch’alla porta del castel saliro.
Di su la soglia Atlante un sasso tolle,
di caratteri e strani segni insculto.
Sotto, vasi vi son, che chiamano olle,
che fuman sempre, e dentro han foco occulto.
L’incantator le spezza; e a un tratto il colle
riman deserto, inospite ed inculto;
né muro appar né torre in alcun lato,
come se mai castel non vi sia stato.
Sbrigossi da la donna il mago alora,
come fa spesso il tordo da la ragna;
e con lui sparve il suo castello a un’ora,
e lasciò in libertà quella compagna.
Le donne e i cavallier si trovar fuora
de le superbe stanze alla campagna:
e furon di lor molte a chi ne dolse;
che tal franchezza un gran piacer lor tolse.
1-8
Il mago (Atlante) non ci mise molto a uscire fuori dalla porta, avendo udito il suono del corno e la voce di Bradamante (che l’ha sfidato a
duello). Il cavallo alato (l’alato corridor: l’ippogrifo) lo porta in aria contro di lei, che sembra un uomo adirato (feroce). La donna inizialmente si
tranquillizza; perché vede che lui può nuocerle poco: non porta lancia né spada né mazza che possa forarle (ch’a forar l’abbia) o spezzarle la
corazza.
9-16
Il mago aveva soltanto uno scudo nella mano sinistra, tutto coperto di seta rossa (vermiglia) e un libro nella mano destra, dal quale (onde),
leggendolo, faceva nascere prodigiosi incantesimi (l’alta meraviglia): a volte sembrava che facesse correre la lancia (la lancia talor correr
parea: cioè che combattesse con la lancia), tanto che aveva fatto sbattere gli occhi di spavento (batter le ciglia) a più di uno; altre volte
sembrava colpire (ferir) con la mazza o lo stocco (spada corta) ed invece era lontano, e non aveva toccato (tocco) nessuno.
17-24
Il cavallo invece non è un’illusione, ma è reale, una cavalla (giumenta) lo aveva partorito da un grifone (il grifone è un animale favoloso metà
aquila e metà leone); come il padre (il grifone) aveva le piume e le ali, i piedi anteriori e il muso (grifo); in tutte le altre membra assomigliava
alla madre, e si chiama ippogrifo; nascono (vengon) nei monti Rifei (forse corrispondenti agli odierni Urali), molto oltre i mari ghiacciati del
nord.
L’ippogrifo è un animale favoloso, con testa e ali d’uccello, ma il corpo di quadrupede. Si tratta di un’invenzione ariostesca (la mitologia greca
conosceva il cavallo alato Pegaso, sorto dal sangue della Gorgone Medusa quando fu decapitata da Perseo, ma si tratta di un animale
diverso). Atlante aveva attirato a sé l’ippogrifo e l’aveva addestrato a combattere. Il cavallo alato ha un ruolo importante nel Furioso: in
particolare è per mezzo suo che Astolfo potrà volare sulla luna a recuperare il senno perduto di Orlando.
25-32
Atlante aveva condotto qui a forza (con un incantesimo) il cavallo, e dopo averlo avuto, non si era occupato (non attese) di altro, e con
impegno (studio) e fatica si adoperò tanto che nel giro di un mese riuscì a cavalcarlo con sella e briglie: sicché in terra, in aria e in ogni luogo
lo faceva volare senza difficoltà (senza contese). Il volo dell’ippogrifo (questo) era una cosa reale, non una finzione ottenuta con l’incantesimo
come tutto il resto.
33-40
Ogni altra cosa del mago era finzione (figmento): era capace di fare apparire giallo ciò che era rosso: ma con Bradamante ciò non fu di
alcuna utilità (non fu di momento), dato che grazie all’anello magico non può essere tratta in inganno (non può vedere in fallo). Ciò
nonostante la donna vibra nel vuoto (diserra al vento) più colpi, e spinge il suo cavallo di qua e di là (quinci e quindi); e si dibatte e si dà da
fare tutta, come era stata istruita (instrutta) prima del suo arrivo al castello. Bradamante aveva ricevuto istruzioni dalla maga Melissa per
vincere Atlante: doveva inizialmente fingersi sconfitta.
41-48
E dopo che si fu data da fare (esercitata) un po’ sopra il cavallo, volle scendere a piedi, per compiere (al fin venir) meglio quanto la saggia
(cauta) maga le aveva suggerito. Atlante si avvicina per compiere l’ultimo incantesimo, perché non crede e non sa che vi sia rimedio (ripar)
contro la sua magia (del fatto): scopre lo scudo (che era coperto dalla seta rossa) e dà per scontato (certo si presume) di farla cadere con la
luce incantata dello scudo (liberato del drappo rosso lo scudo sprigiona una luce abbagliante che folgora gli avversari).
49-56
Poteva in tal modo (così) scoprirlo anche al primo incontro (tratto), senza duellare con i cavalieri con le sue magie; ma gli piaceva vedere
qualche bel colpo (bel tratto) dovuto al correre dell’asta o al brandire la spada: come si vede che all’astuto gatto a volte piace (aggrada)
giocare con il topo; e dopo che si stanca di quel piacere, lo morde e desidera di ucciderlo.
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Intendo dire che nelle battaglie precedenti (dianzi) il mago assomigliò al gatto, e gli altri cavalieri al topo; ma non fu così dopo che la donna si
fece avanti (inanzi) con l’anello magico. Stava attenta e concentrata su quello che era necessario fare (era uopo) affinché (acciò) il mago non
avesse su di lei alcun vantaggio (nulla seco avanzi); e appena vide che egli aprì lo scudo, chiuse gli occhi e si lasciò cadere.
65-72
Non perché il bagliore del metallo luminoso le avesse nuociuto, come accadeva agli altri, ma si comportò lo stesso così perché il mago
inefficace nei suoi incantesimi (il vano incantator) scendesse (dall’ippogrifo): e nessuna parte del suo progetto fallì; perché appena lei mise il
capo in terra, l’ippogrifo (il volator) movendo le ali più velocemente con ampi giri (larghe ruote) scese a terra.
73-80
Atlante lascia lo scudo sull’arcione, che aveva già posto sotto il mantello (ne la coperta), e scende a piedi verso la donna, che lo aspetta
come il lupo nascosto (reposto) nella boscaglia (macchia) aspetta il capriolo. Senza indugi lei si alza appena (tosto che) lui le è vicino e lo
afferra stretto. Quel disgraziato aveva lasciato a terra il libro degli incantesimi che faceva apparire i combattimenti (il libro che facea tutta la
guerra).
81-88
E con una catena correva verso di lei (ne correva) perché credeva di legare lei esattamente come in precedenza era abituato a legare gli altri.
La donna l’aveva già atterrato: se lui non si difese, lo capisco (io ben l’escuso); perché era troppo impari la situazione (la cosa differente) tra
un debole vecchio e lei così forte.
89-96
Meditando di (disegnando) tagliargli la testa alza velocemente la sua mano di vincitrice; ma vedendo il suo volto, ferma il colpo, quasi
disprezzando una vendetta così poco onorevole (sì bassa); vede che quello che ha messo alle strette (ha giunto alla stretta) è un vecchio
venerabile dall’espressione triste, che dimostra dal volto rugoso (crespo) e per i capelli bianchi (per il bianco pelo) settant’anni o poco meno.
97-104
Toglimi (tommi) la vita, giovane, per Dio, diceva il vecchio pieno d’ira e di fastidio; ma quella era così restia in cuor suo a togliergli (a torla) la
vita, quanto egli invece avrebbe avuto piacere di lasciarla. La donna ebbe desiderio (disio) di sapere chi fosse il mago (il negromante), e a
quale scopo (a che effetto) avesse innalzato in quel luogo selvaggio il suo castello e perché arrecasse danno (oltraggio) a tutti.
105-112
Non con intenzioni cattive, ahimè (ahi lasso), disse piangendo il vecchio mago, costruii la bella rocca in cima alla montagna, e non sono
nemmeno un ladro (rubatore) per avidità; ma fu l’amore che mi spinse (mi mosse) a fare ciò, soltanto per sottrarre alla morte (per ritrar
dall’estremo passo) un nobile (gentil) cavaliere che, come mi dicono gli astri, tra breve dovrà essere ucciso a tradimento dopo essersi
convertito al cristianesimo (cristiano).
In Boiardo si legge la profezia che Ruggiero sposerà Bradamante ma di lì a sette anni morirà per mano di Gano di Maganza, nemico
implacabile del casato cui Bradamante appartiene. Ariosto riprende la profezia boiardesca, ma lascia fuori del poema la morte di Ruggiero
affidando alle magie di Atlante il compito di rinviarla: egli ha allevato Ruggiero in un castello solitario della Mauritania (odierno Marocco), per
tenerlo lontano dalle guerre.
113-120
Il sole non vede tra questo emisfero e quello australe (austrino) un giovane altrettanto bello e valoroso (prestante): si chiama Ruggiero, e fu
allevato sin da piccolo da me, che sono Atlante. Il desiderio d’onore e il suo crudele destino lo hanno condotto in Francia al seguito del re
Agramante (che aveva attaccato Carlo Magno); e io, che sempre lo amai più di un figlio, cerco di portarlo via (trar) dalla Francia e dal pericolo
(periglio).
121-128
Il bel castello (rocca) costruii (sui Pirenei) per tenervi al sicuro (sicuramente) Ruggiero, che fu catturato da me allo stesso modo (similmente)
in cui speravo oggi di catturare te; e dopo vi ho portati (ridotti) le donne e i cavalieri che vedrai, ed altri nobili cavalieri, affinché, non potendo
(quando: poiché) uscire dal castello a suo piacimento (a voglia sua), ciò sia meno gravoso per lui (men gli rincresca) avendo compagnia.
129-136
Purché non mi si chieda di uscire dal castello (di là su), io mi preoccupo (cura mi tocca) di assicurare loro ogni piacere; e tutti i piaceri del
mondo (da tutte le bande del mondo) sono tutti in quel castello: suoni, canti, vestiti, giochi, cibi, tutto quel che la mente può immaginare, la
bocca può chiederlo. Avevo ben seminato, e bene ne coglievo il frutto (cioè “avevo organizzato tutto bene”); ma poi sei arrivato tu a rovinare
tutto.
137-144
Se il tuo animo non è meno bello del tuo viso non ostacolare il mio giusto proposito! Prendi lo scudo, che io te lo dono, e quel cavallo che va
per l’aria così veloce (l’ippogrifo); e non preoccuparti oltre del castello, oppure portane via (tranne) uno o due amici, e lascia gli altri; oppure
anche tutti, e non ti chiedo (chero) altro se non che mi lasci il mio Ruggiero.
145-152
E se sei deciso (disposto) a volermelo sottrarre (tòrre), allora almeno, prima che tu lo riconduca (’l rimeni) in Francia, voglia tu (piacciati)
liberare (sciorre) questa mia anima afflitta dal suo corpo (de la sua scorza), ormai putrido e marcio (rancia)». Rispose la fanciulla: «Voglio
dare la libertà proprio a lui (Ruggiero): tu, se vuoi, strepita e parla; e non pensare di potermi offrire in dono lo scudo o quel cavallo, che sono
ormai miei, non più tuoi (perché Atlante è stato sconfitto).
153-160
E nemmeno se dipendesse (s’anco stesse) da te prenderli (torre) o regalarli, mi sembrerebbe che il cambio mi convenga: tu dici che tieni
prigioniero Ruggiero per impedirgli (vietarli) il cattivo (male) influsso delle sue stelle (cioè il suo destino). Ma o non puoi conoscerlo (il suo
destino) o, se lo conosci, non puoi evitargli (schivarli) ciò che il cielo ha stabilito per lui (di lui prescrisse): e se non sei capace di prevedere il
male che hai così vicino (cioè quello che ti è appena accaduto), peggio ancora prevedi le sventure future di altri.
161-168
Non pregare che io ti uccida, perché le tue preghiere sarebbero inutili (sariano indarno); e se tuttavia (pur) desideri la morte, se anche (ancor
che) tutti (tutto il mondo) rifiutassero di dartela, un uomo coraggioso può sempre darsela da solo. Ma prima che tu sciolga (sleghi) l’anima dal
corpo (cioè che tu muoia), apri le porte a tutti i tuoi prigionieri (prigioni)». Così dice la donna, e intanto (tuttavia) spinge verso la rupe (incontra
al sasso invia: la rupe del castello) il mago.
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169-176
Legato con la propria catena Atlante camminava, e presso di lui la fanciulla, che ancora non si fidava per nulla di lui, nonostante questi si
mostrasse all’apparenza (in vista) rassegnato (rimesso). Dopo non molti passi in cui lui la stava precedendo (se la mena) trovano ai piedi del
monte la fenditura nella roccia (il fesso) e i gradini (li scaglioni) per i quali si sale girando intorno al monte (si monta in giro), finché salirono
alla porta del castello.
177-184
Dalla soglia del castello Atlante solleva (tolle) una pietra scolpita (insculto) di lettere e figure magiche. Sotto vi sono dei vasi, che si chiamano
olle (pentole), che fumano sempre, e dentro hanno un fuoco segreto (le pentole sono usate per riti magici). Il mago le spezza: e all’improvviso
(a un tratto) il colle rimane deserto, disabitato e selvaggio (inospite ed inculto); non vi appare né muro né torre in nessun lato, come se non vi
fosse mai stato un castello.
185-192
Il mago si sottrasse (sbrigossi) allora dalla donna, come spesso fa il tordo quando riesce a liberarsi dalla rete (ragna); e insieme a lui nello
stesso istante era sparito il castello, e lasciò in libertà quella compagnia. Le donne e i cavalieri si trovarono fuori dalle splendide stanze del
castello, all’aria aperta (alla campagna): e molte di loro se ne dolsero, perché quella libertà (franchezza) li privò di un grande piacere.
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DALL'UMANESIMO AL TARDO CINQUECENTO
L’autore e l’opera
Niccolò Machiavelli
Analisi del testo
• Leggi con molta attenzione le due scene tratte dalla Mandragola (D1), le note e le attività.
• Compila le singole risposte alle attività che ti orientano nella comprensione, nell’analisi, nell’interpretazione e nella
contestualizzazione d’insieme (Traccia di lavoro).
• Organizza le risposte in un testo omogeneo di relazioni logiche, grammaticali e sintattiche.
• Svolgi la tua trattazione con riferimenti anche alle conoscenze acquisite sulla produzione letteraria di Machiavelli.
• Non superare le 4 colonne di foglio protocollo, se scrivi a mano, e 2000 caratteri in corpo grafico 12, spazi esclusi, se
digiti il testo al computer.
TRACCIA DI LAVORO
1. Comprensione del testo
1.1 L’anziano Nicia ritiene che la causa della mancanza di figli risieda nella sterilità della giovane moglie Lucrezia. Per le
cure necessarie è disposto a portarla ai bagni termali, fuori Firenze, dove Callimaco, innamorato della donna spera
di incontrarla segretamente. Nel dialogo tra Ligurio e Callimaco (Atto primo scena terza) per quale motivo Ligurio
ritiene non conveniente che Lucrezia si rechi ai bagni termali?
1.2 Che cosa Ligurio promette a Callimaco?
1.3 Nel dialogo tra Ligurio, Nicia e Callimaco (Atto secondo scena sesta) per quale motivo Ligurio coinvolge nella beffa
Sostrata, madre di Lucrezia, e frate Timoteo?
2.
Analisi del testo
2.1 Delinea la caratterizzazione di Ligurio e di Callimaco, precisando quale dei due personaggi è il dominatore di queste
due scene e per quali motivi.
2.2 Ricostruisci il ritratto di Nicia e precisa a quali elementi – anche linguistici – è riconducibile la comicità del
personaggio.
3.
Interpretazione complessiva e approfondimenti
Riconduci la amoralità dei personaggi alle componenti fondamentali del pensiero dell’autore e confronta questa
caratteristica con gli strumenti dell’agire politico del Principe (per esempio L’agire politico e la simulazione  T57).
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Dossier
D1
Niccolò Machiavelli
Mandragola
La beffa
a cura di G. Davico Bonino, Einaudi, Torino 1990
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ATTO PRIMO Scena terza
Ligurio, Callimaco.
LIGURIO Io non credo che sia nel mondo el più sciocco uomo di costui; e
quanto la Fortuna lo ha favorito!1 Lui ricco, lei bella donna, savia2,
costumata3, ed atta a governare un regno. E parmi4 che rare volte si
verifichi quel proverbio ne’ matrimoni, che dice: «Dio fa gli uomini,
e’ s’appaiono5»; perché spesso si vede uno uomo ben qualificato
sortire una bestia6, e, per avverso7, una prudente8 donna avere un
pazzo. Ma dalla pazzia di costui se ne cava questo bene, che
Callimaco ha che sperare.
– Ma eccolo. Che vai tu appostando9, Callimaco?
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CALLIMACO Io t’avevo veduto col dottore , ed aspettavo che tu ti
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spiccassi da lui, per intendere quello avevi fatto.
LIGURIO Egli è uno uomo della qualità che tu sai, di poca prudenzia, di
meno animo12, e partesi13 mal volentieri da Firenze; pure, io ce l’ho
riscaldato14: e’ mi ha detto infine che farà ogni cosa; e credo che,
quando e’ ti piaccia questo partito15, che noi ve lo condurreno; ma io
non so se noi ci fareno el bisogno nostro16.
CALLIMACO Perché?
LIGURIO Che so io? Tu sai che a questi bagni va d’ogni qualità gente, e
potrebbe venirvi uomo a chi madonna Lucrezia piacessi come a te,
che fussi ricco più di te, che avessi più grazia di te: in modo che si
porta pericolo di non durare questa fatica per altri17, e che
c’intervenga18 che la copia19 de’ concorrenti la faccino più dura20, o
che, dimesticandosi21, la si volga ad un altro e non a te.
CALLIMACO Io conosco che tu di’ el vero. Ma come ho a fare? Che
partito22 ho a pigliare? Dove mi ho a volgere? A me23 bisogna tentare
qualche cosa, sia grande, sia periculosa, sia dannosa, sia infame.
Meglio è morire che vivere così. Se io potessi dormire la notte, se io
potessi mangiare, se io potessi conversare, se io potessi pigliare
piacere di cosa veruna24, io sarei più paziente ad aspettare el tempo;
ma qui non c’è rimedio; e, se io non sono tenuto in speranza da
qualche partito, i’ mi morrò in ogni modo; e, veggendo25 d’avere a
morire, non sono per temere cosa alcuna, ma per pigliare qualche
partito bestiale, crudele, nefando.
LIGURIO Non dire così, raffrena cotesto impeto dello animo.
26
CALLIMACO Tu vedi bene che, per raffrenarlo, io mi pasco di simili
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pensieri. E però è necessario o che noi seguitiamo di mandare costui
al bagno, o che noi entriano per qualche altra via, che mi pasca d’una
speranza, se non vera, falsa almeno, per la quale io nutrisca un
pensiero, che mitighi in parte tanti mia affanni.
LIGURIO Tu hai ragione, ed io sono per farlo.
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CALLIMACO Io lo credo, ancora che io sappia che e pari tuoi vivino di
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ATTIVITÀ DI POTENZIAMENTO
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CLASSE ……………… DATA ………………………………
uccellare29 li uomini. Nondimanco30, io non credo essere in quel
numero, perché, quando tu el facessi ed io me ne avvedessi, cercherei
valermene31, e perderesti per ora l’uso della casa mia32, e la speranza
di avere quello che per lo avvenire t’ho promesso.
LIGURIO Non dubitare della fede mia, ché, quando e’ non ci fussi l’utile
che io sento e che io spero, e’ c’è che ’l tuo sangue si confà col mio33,
e desidero che tu adempia questo tuo desiderio presso a quanto34 tu.
Ma lasciamo ir35 questo. El dottore mi ha commesso36 che io truovi
un medico, e intenda a quale bagno sia bene andare. Io voglio che tu
faccia a modo mio, e questo è che tu dica di avere studiato in
medicina, e che abbi fatto a Parigi qualche sperienzia: lui è per
crederlo facilmente per la semplicità sua, e per essere tu litterato e
poterli dire qualche cosa in gramatica37.
CALLIMACO A che ci ha a servire cotesto?
LIGURIO Serviracci38 a mandarlo a qual bagno noi vorreno, ed a pigliare
qualche altro partito che io ho pensato, che sarà più corto, più certo,
più riuscibile che ’l bagno.
CALLIMACO Che di’ tu?
39
LIGURIO Dico che, se tu arai animo e se tu confiderai in me, io ti do
questa cosa fatta, innanzi che sia domani questa otta40. E, quando e’
fussi uomo che non è41, da ricercare42 se tu se’ o non se’ medico, la
brevità del tempo, la cosa in sé farà o che non ne ragionerà o che non
sarà a tempo a guastarci el disegno, quando bene e’ ne ragionassi.
43
CALLIMACO Tu mi risuciti . Questa è troppa gran promessa, e pascimi
di troppa gran speranza. Come farai?
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LIGURIO Tu el saprai, quando e’ fia tempo ; per ora non occorre che io
te lo dica, perché el tempo ci mancherà a fare, nonché dire. Tu,
vanne45 in casa, e quivi m’aspetta, ed io andrò a trovare el dottore, e,
se io lo conduco a te, andrai seguitando46 el mio parlare ed
accomodandoti47 a quello.
CALLIMACO Così farò, ancora che tu mi riempia d’una speranza, che io
temo non se ne vadia in fumo.
ATTO SECONDO Scena sesta
Ligurio, Callimaco, messer Nicia.
[…]
CALLIMACO Infine, dottore, o voi avete fede in me, o no; o io vi ho ad
insegnare un rimedio certo, o no. Io, per me, el rimedio vi darò. Se
voi arete48 fede in me, voi lo piglierete; e se, oggi ad uno anno49, la
vostra donna non ha un suo figliolo in braccio, io voglio avervi a
donare dumilia ducati.
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NICIA Dite pure, ché io son per farvi onore di tutto , e per credervi più
51
che al mio confessoro .
52
CALLIMACO Voi avete ad intender questo, che non è cosa più certa ad
ingravidare una donna che dargli bere una pozione fatta di
mandragola53. Questa è una cosa esperimentata da me dua paia di
volte54, e trovata sempre vera; e, se non era questo55, la reina di
Francia sarebbe sterile, ed infinite altre principesse di quello stato.
NICIA È egli possibile?
CALLIMACO Egli è come io vi dico. E la Fortuna vi ha in tanto voluto
bene, che io ho condutto qui meco56 tutte quelle cose57 che in quella
pozione si mettono, e potete averla a vostra posta58.
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NICIA Quando l’arebbe ella a pigliare?
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ATTIVITÀ DI POTENZIAMENTO
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Questa sera dopo cena, perché la luna è ben disposta, ed el
tempo non può essere più appropriato.
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NICIA Cotesto non fia molto gran cosa . Ordinatela in ogni modo : io
gliene farò pigliare.
CALLIMACO È bisogna ora pensare a questo: che quello uomo che ha
prima a fare seco, presa che l’ha, cotesta pozione, muore infra otto
giorni, e non lo camperebbe el mondo62.
NICIA Cacasangue! Io non voglio cotesta suzzacchera! A me non
l’apiccherai tu Voi mi avete concio bene!63
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CALLIMACO State saldo , e’ ci è rimedio.
NICIA Quale?
CALLIMACO Fare dormire sùbito con lei un altro che tiri, standosi seco
una notte, a sé65 tutta quella infezione della mandragola: dipoi vi
iacerete voi sanza periculo.
NICIA Io non vo’ fare cotesto.
CALLIMACO Perché?
66
NICIA Perché io non vo’ fare la mia donna femmina e me becco .
CALLIMACO Che dite voi, dottore? Oh! io non vi ho per savio come io
credetti67. Sì che voi dubitate68 di fare quello che ha fatto el re di
Francia e tanti signori quanti sono là?
NICIA Chi volete voi che io truovi che facci cotesta pazzia? Se io gliene
dico, e’ non vorrà; se io non gliene dico, io lo tradisco, ed è caso da
Otto69: io non ci vo’ capitare sotto male.
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CALLIMACO Se non vi dà briga altro che cotesto, lasciatene la cura a me .
NICIA Come si farà?
71
CALLIMACO Dirovelo : io vi darò la pozione questa sera dopo cena; voi
gliene darete bere e, sùbito, la metterete nel letto, che fieno circa a
quattro ore di notte72. Dipoi ci travestiremo, voi, Ligurio, Siro ed io, e
andrencene cercando in Mercato Nuovo, in Mercato Vecchio73, per
questi canti74; ed el primo garzonaccio75 che noi troverremo
scioperato76, lo imbavagliereno, ed a suon di mazzate lo condurre no
in casa ed in camera vostra al buio. Quivi lo mettereno nel letto,
direngli quel che gli abbia a fare, non ci fia difficultà veruna77. Dipoi,
la mattina, ne manderete colui innanzi dì78, farete lavare la vostra
donna, starete79 con lei a vostro piacere e sanza periculo.
NICIA Io sono contento, poiché tu di’ che e re e principi e signori hanno
tenuto questo modo. Ma soprattutto, che non si sappia, per amore
degli Otto!80
CALLIMACO Chi volete voi che lo dica?
NICIA Una fatica ci resta, e d’importanza.
CALLIMACO Quale?
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NICIA Farne contenta mogliama , a che io non credo ch’ella si disponga
mai.
CALLIMACO Voi dite el vero. Ma io non vorrei innanzi essere marito, se
io non la disponessi a fare a mio modo82.
LIGURIO Io ho pensato el rimedio.
NICIA Come?
LIGURIO Per via del confessoro.
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CALLIMACO Chi disporrà el confessoro, tu?
84
LIGURIO Io, e danari, la cattività nostra, loro .
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NICIA Io dubito, non che altro, che per mio detto la non voglia ire a
parlare al confessoro.
LIGURIO Ed anche a cotesto è rimedio.
CALLIMACO
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CALLIMACO Dimmi.
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LIGURIO Farvela condurre alla madre .
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NICIA La le presta fede .
LIGURIO Ed io so che la madre è della
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opinione nostra. – Orsù!
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avanziam tempo , ché si fa sera.
Vatti89, Callimaco, a spasso, e fa’ che alle ventitré ore90 noi ti
ritroviamo in casa con la pozione ad ordine. Noi n’andreno a casa la
madre91, el dottore ed io, a disporla, perché è mia nota92. Poi ne
n’andreno al frate, e vi raguagliereno93 di quello che noi areno
fatto.
CALLIMACO Deh! non mi lasciar solo.
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LIGURIO Tu mi par’ cotto .
CALLIMACO Dove vuoi tu ch’io vadia ora?
LIGURIO Di là, di qua, per questa via, per quell’altra: egli è sì grande
Firenze!
95
CALLIMACO Io son morto .
1. che sia … favorito!: che ci sia al mondo un uomo più sciocco di costui (riferito a Nicia), eppure quanto lo ha favorito la fortuna!
2. savia: saggia.
3. costumata: di buoni costumi.
4. parmi: mi pare.
5. Dio … appaiono: corrisponde alla espressione proverbiale “Dio li fa e poi li accoppia”.
6. uno uomo … bestia: un uomo pieno di qualità avere in sorte una bestia.
7. per avverso: al contrario.
8. prudente: saggia.
9. appostando: spiando.
10. col dottore: con messer Nicia.
11. ti spiccassi: ti allontanassi.
12. di poca … animo: poco accorto e ancor meno risoluto nell’agire.
13. partesi: si allontana.
14. io … riscaldato: io l’ho convinto.
15. quando … partito: qualora ti vada bene questa decisione.
16. non so … nostro: non so se faremo la cosa giusta.
17. in modo … altri: in modo tale che si corre il rischio di sopportare questa fatica a vantaggio di altri.
18. c’intervenga: ci accada.
19. la copia: l’abbondanza.
20. la faccino più dura: rendano (la donna) più difficile da conquistare.
21. dimesticandosi: divenendo più disponibile.
22. partito: decisione.
23. A me: per me.
24. cosa veruna: cosa alcuna.
25. veggendo … morire: visto che devo morire.
26. mi pasco: mi nutro.
27. seguitiamo: insistiamo.
28. ancora che: benché.
29. uccellare: ingannare.
30. Nondimanco: tuttavia.
31. valermene: rivalermi, vendicarmi.
32. l’uso … mia: la possibilità di frequentare la mia casa.
33. ’l tuo … mio: abbiamo lo stesso sangue, cioè abbiamo una profonda affinità.
34. presso a quanto: quasi quanto.
35. ir: andare.
36. mi ha commesso: mi ha incaricato.
37. gramatica: latino.
38. Serviracci: ci servirà.
39. arai animo: avrai coraggio.
40. questa otta: a quest’ora.
41. quando … è: qualora egli fosse l’uomo che in realtà non è.
42. ricercare: indagare.
43. mi risuciti: mi ridoni la vita.
44. Tu … tempo: Lo saprai quando sarà il momento.
45. vanne: va’.
46. andrai seguitando: asseconderai.
47. accomodandoti: adeguandoti.
48. arete: avrete.
49. oggi ad uno anno: tra un anno da oggi.
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ATTIVITÀ DI POTENZIAMENTO
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50. ché io… tutto: perché io sono pronto a darvi soddisfazione in tutto.
51. confessoro: confessore.
52. certa: sicura.
53. mandragola: un’erba medicinale, la cui radice si riteneva fosse dotata di virtù magiche.
54. dua paia di volte: molte volte.
55. se non era per questo: se non fosse stato per questo rimedio.
56. meco: con me.
57. cose: ingredienti.
58. a vostra posta: a vostra disposizione.
59. Quando … pigliare?: quando dovrebbe prendere la pozione?
60. non … cosa: non sarà molto difficile.
61. Ordinatela in ogni modo: preparatela a puntino.
62. Quello uomo … mondo: l’uomo che per primo avrà rapporti con lei, dopo che avrà preso questa pozione morirà entro otto giorni e non si
potrebbe salvare in alcun modo.
63. Cacasangue! … bene!: Accidenti (letteralmente: dissenteria!). io non voglio questa porcheria (suzzacchera); non me la propinerai! Voi mi
avete sistemato bene! (detto con ironia).
64. saldo: tranquillo.
65. un altro … a sé: un altro che giacendo una notte con lei attiri su di sé.
66. Perché … becco: perché io non voglio fare di mia moglie una prostituta (femmina) e di me un cornuto.
67. io non … credetti: voi non siete giudizioso come io pensavo.
68. dubitate: avete paura.
69. caso da Otto: un caso giudiziario; gli Otto di guardia erano i giudici del Tribunale penale.
70. Se non … a me: se è solo questo ciò che vi preoccupa, lasciate che ci pensi io.
71. Dirovelo: ve lo dirò.
72. subito … notte: la metterete a letto appena saranno (fieno) circa quattro ore dopo il tramonto (di notte).
73. in Mercato … Vecchio: per le zone più povere e popolari di Firenze.
74. canti: luoghi.
75. garzonaccio: giovinastro.
76. scioperato: fannullone.
77. diregli … veruna: gli diremo ciò che deve fare e non ci sarà alcuna difficoltà.
78. ne manderete colui … dì: lo manderete via prima dell’alba.
79. starete: giacerete.
80. Per amore degli Otto: per amore della giustizia!
81. Farne … mogliama: convincerne mia moglie.
82. Ma io non vorrei … mio modo: ma io preferirei piuttosto non essere marito, se non la convincessi a fare quello che voglio io.
83. disporrà: convincerà.
84. la cattività … loro: la nostra astuzia e dei frati.
85. Io dubito … ire: io temo che non voglia andare (ire) se glielo dico solo io (per mio detto).
86. Farvela … madre: farcela portare dalla madre.
87. La le presta fede: si fida di lei.
88. avanziam tempo: affrettiamoci.
89. Vatti: va’.
90. alle ventitré ore: ventitre ore dopo il tramonto; il tramonto era il momento dal quale cominciava il calcolo delle ore del giorno, quindi un’ora
prima del tramonto successivo.
91. n’andreno … madre: andremo a casa della madre.
92. a disporla … è mia nota: a prepararla, perché la conosco.
93. raguagliereno: informeremo.
94. cotto: preso talmente dall’amore da non capire più niente.
95. Io son morto: mi sento morire, in ansia per ciò che mi attende.
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