Capitolo 3 Chimica della stratosfera.

Capitolo 3
Chimica della stratosfera.
La chimica della stratosfera `e soprattutto conseguenza di alcune reazioni di
fotodissociazione, tra cui la pi`
u importante `e quella dell’ossigeno molecolare,
O2 . Una reazione fotochimica avviene quando una molecola assorbe un fotone,
cio`e una quantit`a di energia luminosa pari ad hν, dove h `e la costante di
Planck e ν `e la frequenza della radiazione. Indicheremo quindi le reazioni
hν
fotochimiche con una freccia sovrastata dal simbolo hν; ad esempio, AB −→
A+B. La velocit`a e quindi l’importanza di una reazione fotochimica dipende
la due fattori: il numero di fotoni assorbiti dal reagente, per unit`a di tempo e
di volume, e la probabilit`a che una molecola di reagente, una volta eccitata,
subisca il processo reattivo di interesse; tale probabilit`a `e detta resa quantica
della reazione.
Il numero di fotoni assorbiti ad una certa lunghezza d’onda λ dipende a sua
volta da tre fattori: l’intensit`a della radiazione o irradianza I(λ) (W/m2 ),
la concentrazione della specie chimica che assorbe, ed il suo coefficiente di
estinzione ε(λ). La resa quantica di fotodissociazione, per piccole molecole
in fase gassosa, di solito `e uguale a 1 o quasi, purch´e l’energia del fotone
sia sufficiente a rompere un legame: infatti, soprattutto per gas rarefatti, ogni
altro processo che potrebbe competere con la dissociazione (disattivazione dello
stato eccitato per urti, luminescenza, etc) `e molto pi`
u lento. In qualche caso
si ha competizione tra due diverse frammentazioni. L’energia del fotone `e
E = hν = hc/λ, dove c `e la velocit`a della luce. Misurando λ in nanometri
(nm) e l’energia in kcal/mol, abbiamo E = 28592/λ. Cos`ı, con luce rossa
(λ=750 nm) si pu`o rompere un legame con energia di dissociazione pari a 38.1
kcal/mol; all’altro estremo del visibile (λ=400 nm) l’energia `e 71.5 kcal/mol,
e al limite dell’ultravioletto “da vuoto” (λ=200 nm) l’energia `e 143 kcal/mol.
67
3.1
Il ciclo dell’ozono nella stratosfera.
L’energia di dissociazione di O2 `e 118 kcal/mol, che corrisponde a λ=243 nm.
A questa lunghezza d’onda l’ossigeno assorbe debolmente, ma a λ pi`
u corte di
200 nm l’assorbimento diventa molto intenso. La reazione si pu`o indicare con
hν
O2 −→ 2 O
(3.1)
Ogni atomo di ossigeno pu`o reagire con diverse altre molecole, ma non con
l’azoto, che `e molto stabile; se la pressione totale non `e troppo bassa, la reazione
pi`
u probabile `e
O + O2 + M → O3 + M
(3.2)
Qui M `e una qualsiasi molecola (di solito N2 oppure O2 ) che, partecipando
all’urto triplo, acquista un po’ di energia (traslazionale, rotazionale o
vibrazionale), in maniera da stabilizzare il prodotto di reazione; ci`o `e
necessario, perch´e non si pu`o produrre una piccola molecola per associazione
Figura 3.1: Concentrazioni di ozono in funzione dell’altitudine (da
http://www.ccpo.odu.edu/SEES/index.html, dati NASA).
Altitude (km)
50
40
30
20
10
0
1
2
3
4
5
Number
Density 3
12
(X 10 molecules/cm )
68
6
di due frammenti, senza sottrarre energia fino a passare al di sotto del
limite dissociativo. L’intensit`a della luce UV necessaria per la reazione (3.1)
diminuisce rapidamente scendendo nella stratosfera, a causa dell’assorbimento
dell’ossigeno stesso e soprattutto dell’ozono, prodotto dalla reazione (3.2).
Perci`o la fotodissociazione di O2 diviene rapidamente trascurabile al di sotto
dei 15-20 km di altezza. D’altra parte, la velocit`a della reazione di associazione
(3.2) `e proporzionale al quadrato della pressione totale, P 2 ; infatti, PO2
`e proporzionale a P e la pressione del terzo corpo M si identifica con P
stessa. Ne segue che l’efficienza della reazione (3.2) diminuisce rapidamente
con l’altitudine. A causa di questa doppia limitazione, verso il basso per la
reazione (3.1) e verso l’alto per la (3.2), l’ozono viene prodotto in quantit`a non
trascurabile solo tra 15 e 50 km di altezza, cio`e nella stratosfera. Questa non
`e una coincidenza: `e proprio l’assorbimento di raggi UV da parte dell’ozono
che riscalda la stratosfera e le impartisce la sua caratteristica stabilit`a.
Il rapporto di concentrazione tra ossigeno atomico e ozono `e influenzato
dall’efficienza relativa delle due reazioni (3.1) e (3.2) e dalla fotodissociazione
di O3 :
hν
O3 −→ O2 + O
(3.3)
Quest’ultima reazione non necessita di luce ultravioletta: infatti, il legame OO nell’ozono `e piuttosto debole, e pu`o essere dissociato da luce con λ < 1180
nm; inoltre l’ozono assorbe, sia pure molto debolmente, anche nel visibile.
Nella stratosfera gli atomi di O, a causa della loro reattivit`a, rimangono
comunque a concentrazioni molto basse; negli strati pi`
u alti il rapporto [O]/[O3 ]
`e dell’ordine di 1:100; scendendo nella stratosfera, la fotodissociazione di
O2 perde importanza rispetto alla reazione (3.2) e il rapporto diminuisce
ulteriormente.
C’`e infine una reazione che consuma sia l’ozono che il suo precursore, l’ossigeno
atomico, riconvertendoli a O2 :
O3 + O → 2 O2
(3.4)
A causa di questa reazione, la concentrazione di ozono si mantiene a
livelli quasi stazionari, con fluttuazioni stagionali. Di notte, o durante
gli inverni polari, entrambe le reazioni che distruggono O3 sono inefficaci:
la (3.3) perch´e non c’`e luce e la (3.4) perch´e gli atomi di ossigeno,
avendo concentrazioni molto pi`
u basse delle molecole di ozono, non possono
distruggerne una frazione significativa. Quindi al buio i livelli di ozono si
conservano quasi invariati. Le concentrazioni di ozono variano a seconda
dell’irraggiamento solare e della temperatura; infatti, la reazione (3.4) ha una
69
Figura 3.2: Spettri di assorbimento di O3 e O2 e attenuazione della luce
solare nell’UV (da http://www.ccpo.odu.edu/SEES/index.html, dati NASA).
La sezione d’urto σ (cm2 ) `e proporzionale al coefficiente di estinzione molare
ε (mol−1 ·L·cm−1 ): σ = 3.8235 · 10−21 ε.
Absorption Cross Section
10-16
cm2
10-17
O3
10-18
10-19
10-20
200
O2 (x104)
225
250
275
300
Wavelength (nm)
325
350
w c m - 2 nm-1
Solar flux
10-4
Top of the atmosphere
10-6
10-8
30 km
30 km
UV-A
10-10
200
UV-B
Surface
225
250
275
300
Wavelength (nm)
SZA=45o
325
piccola ma non trascurabile energia di attivazione (4.4 kcal/mol) e quindi
a basse temperature corrispondono concentrazioni maggiori. Inoltre, vicino
all’equatore le infiltrazioni di aria calda, priva di ozono e ricca di gas in
traccia provenienti dalla troposfera, fanno scendere i livelli di ozono nella
bassa stratosfera. La figura 3.1 mostra tre profili della concentrazione di
ozono in funzione dell’altezza, ottenuti prendendo le medie di diverse misure
rappresentative di tre fasce di latitudine.
La densit`a di O3 integrata lungo la coordinata verticale si pu`o misurare con
uno strumento abbastanza semplice, basato sulla spettroscopia di assorbimento
differenziale (DOAS). Si tratta di misurare l’intensit`a della luce solare a diverse
70
350
lunghezze d’onda nella zona fra 320 e 340 nm, dove l’ozono ha diversi picchi
di assorbimento (vedi figura 3.2). La differenza di intensit`a tra lunghezze
d’onda vicine, corrispondenti rispettivamente ad un massimo e ad un minimo
nel coefficiente di estinzione, pu`o essere attribuita unicamente all’assorbimento
da parte dell’ozono, con buona approssimazione. La concentrazione integrata
di ozono `e proporzionale al rapporto delle due intensit`a misurate, e la si esprime
come se l’ozono fosse concentrato in uno strato a pressione e temperatura
standard (1 atm e 273 K). Lo spessore di questo strato si esprime in unit`a
Dobson (DU), pari a 10−3 cm. Normalmente, si trovano valori tra 250 e 400
DU, mediamente 300. La distribuzione altitudinaria si pu`o ottenere mediante
strumenti portati da palloni sonda, o per mezzo di misure da satelliti.
3.2
Cicli catalitici e ozono.
Le quattro reazioni (3.1-3.4) costituiscono il cosiddetto ciclo di Chapman, dal
nome di colui che le indic`o come responsabili dell’esistenza di uno “strato di
ozono” nell’alta atmosfera, nel 1930. Se per`o si misurano in laboratorio le
velocit`a di reazione, se ne deduce che le concentrazioni di ozono dovrebbero
essere circa 5 volte superiori a quelle osservate sul campo. La ragione `e che
esistono altre reazioni capaci di consumare ozono. Si tratta di cicli catalitici,
in cui un singolo radicale X pu`o convertire migliaia di molecole di O3 e atomi
di O in O2 , prima di ricombinarsi a sua volta. Il meccanismo `e
O3 + X → O2 + XO
(3.5)
O + XO → O2 + X
(3.6)
La somma di queste due reazioni equivale alla (3.4), ma esistono diversi
radicali X che reagiscono con O3 pi`
u facilmente di O, ossia con una barriera
di attivazione pi`
u bassa. Le coppie X/XO pi`
u attive sono H/OH, OH/OOH,
NO/NO2 , Cl/ClO e Br/BrO. Come la (3.4), queste reazioni eliminano, oltre
ad una molecola di O3 , anche un atomo di ossigeno che ne sarebbe con alta
probabilit`a un precursore.
Tutte le specie attive nel catalizzare la riconversione di O3 /O in O2 sono
presenti nella stratosfera (in piccolissime concentrazioni), per cause in parte
naturali e in parte antropiche. I radicali OH sono generati dall’attacco di atomi
di ossigeno su molecole di acqua o metano:
H2 O + O(1 D) → 2 OH
(3.7)
71
CH4 + O(1 D) → CH3 + OH
(3.8)
L’ossigeno atomico nello stato fondamentale non `e in grado di strappare un
idrogeno a molecole stabili, ma lo fa nello stato eccitato indicato come O(1 D).
Questo `e prodotto dalla dissociazione di O3 o NO2 con fotoni sufficientemente
energetici: λ < 411 nm per O3 e λ < 300 nm per NO2 . Perci`o, anche le reazioni
(3.7) e (3.8) sono conseguenza di processi fotochimici. L’acqua, presente in
abbondanza nella troposfera, condensa quasi tutta ad altitudini ben inferiori
alla tropopausa; una piccola quantit`a riesce per`o a penetrare nella stratosfera,
soprattutto in conseguenza di uragani che perturbano il confine tra le due zone.
Il metano arriva nella stratosfera grazie al suo tempo di residenza molto lungo
(≃ 10 anni), al contrario della maggior parte degli inquinanti che vengono
degradati chimicamente o dilavati dalle precipitazioni prima di attraversare la
tropopausa.
Un’altro composto con tempo di residenza lunghissimo (≃ 120 anni) `e N2 O,
che reagisce con atomi di ossigeno eccitati producendo ossido nitrico:
N2 O + O(1 D) → 2 NO
(3.9)
Come abbiamo gi`a visto nella sezione 2.3, CH4 ed N2 O sono prodotti da
processi naturali, ma le loro concentrazioni sono in aumento per l’interferenza
di attivit`a antropiche. Gli ossidi di azoto NO e NO2 sono prodotti anche da
processi di combustione (vedi sezione 4.4), ma sono rapidamente eliminati per
ossidazione e dilavamento nell’ambiente troposferico. I voli di aerei supersonici,
che si spingono ad altitudini superiori a quelle usuali per altri aerei, allo scopo
di minimizzare la resistenza dell’aria, emettono direttamente ossidi di azoto
nella bassa stratosfera. La maggior parte di questi voli `e di aerei militari, ma
il progetto di una flotta passeggeri supersonica, lanciato negli anni 1970, fece
nascere forti preoccupazioni per l’inquinamento della stratosfera. Il progetto
si concretizz`o nell’aereo “Concorde”, che fu un insuccesso commerciale, per cui
il numero di voli non fu mai molto alto. Questo dibattito stimol`o fortemente
lo studio della chimica della stratosfera, a partire dalla coppia di reazioni del
tipo (3.5-3.6):
O3 + NO → O2 + NO2
(3.10)
O + NO2 → O2 + NO
(3.11)
Il cloro viene trasportato nella stratosfera sotto forma di idrocarburi clorurati
e d`a luogo ad un’altra analoga coppia di reazioni, complessivamente la pi`
u
72
importante nel tenere bassa la concentrazione di O3 :
O3 + Cl → O2 + ClO
(3.12)
O + ClO → O2 + Cl
(3.13)
Il cloro `e presente nella troposfera in diverse forme con tempo di residenza
molto basso, essendo solubili in acqua, come NaCl o HCl. Il composto naturale
pi`
u importante nel trasportare cloro fino alla stratosfera `e il clorometano,
CH3 Cl, che viene prodotto da attivit`a biologica negli oceani, da incendi
forestali e da eruzioni vulcaniche. Gli idrocarburi alogenati sono lentamente
ossidati nella troposfera, purch´e abbiano almeno un atomo di idrogeno; infatti,
la reazione iniziale `e del tipo:
CH3 Cl + OH → CH2 Cl + H2 O
(3.14)
Vedremo in sezione 4.6 come prosegue l’ossidazione dei radicali cos`ı prodotti.
Per ora basta dire che, nonostante la reazione (3.14), il CH3 Cl ha un tempo di
residenza abbastanza lungo, circa 1.5 anni, per cui una frazione delle emissioni
totali in atmosfera arriva alla stratosfera. Qui la sua degradazione inizia con
la reazione (3.14) e produce alla fine atomi di cloro; nelle parti pi`
u alte della
stratosfera `e possibile anche la sua fotodissociazione.
Il contributo pi`
u grande al carico di Cl nella stratosfera viene per`o dai
clorofluorocarburi (CFC). Si tratta di idrocarburi in cui tutti gli atomi di
idrogeno sono sostituiti da F o Cl: CFCl3 (sigla CFC-11), CF2 Cl2 (CFC12), CF2 ClCFCl2 (CFC-113) e molti altri. L’assenza di H conferisce ai
CFC un’altissima stabilit`a, non solo rispetto all’ossidazione in aria, ma
anche rispetto alla combustione. Questa e altre propriet`a positive (non
sono tossici n´e esplosivi, non si degradano ad altri inquinanti pi`
u pericolosi,
sono chimicamente e biologicamente inerti) li hanno fatti scegliere per una
variet`a di usi: fluidi refrigeranti per frigoriferi e condizionatori (perch´e bollono
vicino alla temperatura ambiente), agenti schiumogeni per polimeri espansi
(usati soprattutto come pannelli isolanti), solventi nell’industria elettronica,
propellenti per bombolette spray. I CFC hanno tutti tempi di residenza in
atmosfera molto lunghi (da 40 a 300 anni), perch´e vengono distrutti solo
quando salgono abbastanza in alto nella stratosfera, dove trovano radiazione
UV di lunghezza d’onda adatta per fotodissociarli; ad esempio:
hν
CF2 Cl2 −→ CF2 Cl + Cl
(3.15)
Le reazioni che seguono la fotodissociazione finiscono col liberare tutti gli
atomi di Cl. In questo modo i CFC danno un contributo sproporzionatamente
73
grande al cloro totale nella stratosfera, almeno l’80% del quale `e oggi di origine
antropica. Considerazioni simili valgono per il bromo, che per`o `e presente
in concentrazione molto inferiore al cloro. Il contributo maggiore al bromo
stratosferico viene da CH3 Br, che `e prodotto da attivit`a biologica negli oceani
come CH3 Cl, e in quantit`a confrontabile `e stato utilizzato in varie attivit`a,
soprattutto per la fumigazione dei terreni. Altra sorgente importante di bromo
stratosferico sono i bromofluorocarburi (“halon”), usati negli estintori.
Non `e facile prevedere l’effetto complessivo di tutte le coppie di radicali
che catalizzano la riconversione di O3 /O, perch´e le loro azioni non sono
semplicemente sommabili. Vi sono infatti sequenze di reazioni che coinvolgono
due o pi`
u radicali X/XO con X diversi. Inoltre, la velocit`a di reazione per
alcuni cicli dipende in maniera non lineare dalle concentrazioni di radicali. Ad
esempio, la fotodissociazione di NO2 , annulla l’effetto della reazione 3.10:
O3 + NO → O2 + NO2
(3.10)
hν
NO2 −→ NO + O
(3.16)
O + O2 + M → O3 + M
(3.2)
D’altra parte, la conversione di NO ad NO2 pu`o avvenire anche in altro modo,
accoppiando il ciclo catalitico di NO/NO2 con quello di Cl/ClO:
ClO + NO → Cl + NO2
(3.17)
Altri cicli permettono di consumare O3 senza coinvolgere l’ossigeno atomico,
la cui concentrazione pu`o essere molto bassa. Per esempio:
O3 + Cl → O2 + ClO
(3.12)
O3 + OH → O2 + OOH
(3.18)
ClO + OOH → HOCl + O2
(3.19)
hν
HOCl −→ OH + Cl
(3.20)
oppure
O3 + Cl → O2 + ClO
(3.12)
O3 + NO → O2 + NO2
(3.10)
ClO + NO2 + M → ClONO2 + M
74
(3.21)
hν
ClONO2 −→ Cl + NO3
(3.22)
hν
NO3 −→ NO + O2
(3.23)
Entrambi questi cicli di reazione distruggono due molecole di O3 , accoppiando
il ciclo del Cl con quelli di OH e di NO. Un altro modo di riprodurre atomi di
cloro da ClO, senza far intervenire l’ossigeno atomico, `e il seguente:
ClO + ClO + M → ClOOCl + M
hν
ClOOCl −→ O2 + 2 Cl
(3.24)
(3.25)
In tutti i casi, si tratta di passare attraverso composti pi`
u facilmente
fotodissociabili rispetto all’O2 , che permettono di rigenerare atomi di cloro
con luce di lunghezza d’onda pi`
u lunga.
Le reazioni (3.19), (3.21) e (3.24) generano tre “composti serbatoio”, cio`e
specie relativamente stabili prodotte per combinazione di radicali attivi nella
riconversione di O3 /O; questi composti possono essere fotodissociati, o reagire
termicamente, riproducendo i radicali da cui provengono; ma, esaminando il
carico di cloro o azoto in forma ossidata nella stratosfera, si trova che una
grande frazione del totale `e sotto forma di composti serbatoio, cio`e inattiva;
l’esistenza dei composti serbatoio va quindi a diminuire fortemente l’attivit`a
catalitica delle specie considerate. Oltre ai composti serbatoio gi`a visti, HOCl,
ClONO2 e ClOOCl, ve ne sono altri, tra cui N2 O5 , HNO3 , HCl, HOBr e
BrONO2 . Una conseguenza paradossale dell’esistenza di composti serbatoio
misti alogeno/azoto `e che, data la prevalenza degli alogeni come catalizzatori
della riconversione di O3 /O, un moderato aumento degli ossidi di azoto porta
a diminuire complessivamente l’attivit`a catalitica, trasformando una maggior
frazione di Cl e Br in composti serbatoio (ClONO2 e BrONO2 ).
Alla complessit`a dei cicli reattivi si aggiungono effetti di retroazione, come
quello legato alla temperatura; infatti, una diminuzione della concentrazione
di ozono porta ad un minore assorbimento di luce UV, e quindi ad un
abbassamento della temperatura; ma questo ha l’effetto di rallentare le reazioni
termiche, soprattutto la (3.4), col risultato di moderare la variazione di
concentrazione (retroazione negativa).
75
3.3
Riduzione dell’ozono stratosferico e sue
conseguenze
Durante gli anni 1980 furono accumulati dati sufficienti sulle concentrazioni
di composti in traccia nella stratosfera e sulle loro reazioni, per tentare una
stima del decremento nella concentrazione di ozono conseguente all’aumento
del carico di cloro e di altri catalizzatori. Le stime oscillavano tutte intorno a
qualche punto percentuale, e si sono rivelate realistiche, con l’eccezione delle
zone polari. Infatti, ad oggi si rileva una diminuzione intorno a 10-12 unit`a
Dobson (3-4%), considerando una media globale sul periodo di un anno; la
variazione `e pi`
u forte alle latitudini alte e quasi nulla all’equatore. Lo strato
di ozono `e necessario per impedire alla luce UV di raggiungere la superficie
terrestre, dove sarebbe molto dannosa a quasi tutti gli esseri viventi. La
figura 3.2 mostra che praticamente non arriva al suolo luce UV con lunghezze
d’onda λ < 290 nm, essendo tutta assorbita dall’ozono. Tenuto presente che
il rapporto tra O3 e O2 totali `e circa 1:30000, ma che l’assorbimento di O2 `e
molto pi`
u debole in tutto l’intervallo di λ considerato nella figura, si vede che
il contributo di O2 prevale solo a λ < 200 nm.
Gli intervalli di lunghezze d’onda che hanno importanza per gli effetti biologici
sono 280 < λ < 315 nm (i cosiddetti UV-B) e 315 < λ < 400 (UVA). Vi sono diversi tipi di danni biologici da radiazione UV: al DNA, al
sistema fotosintetico delle piante, al sistema visivo e all’integrit`a della pelle.
Questi ultimi riguardano soprattutto l’uomo (eritemi solari) e altri animali non
protetti da peli, squame, penne o esoscheletri; sono causati soprattutto dagli
UV-B, ma anche dagli UV-A, che hanno intensit`a molto maggiore. I danni
al sistema visivo (per esempio, cataratta precoce) possono riguardare anche
molti animali, oltre che l’uomo. L’assorbimento del DNA cresce rapidamente
verso lunghezze d’onda corte, dove per`o diminuisce l’intensit`a della luce
solare; il miglior compromesso, cio`e, la massima efficacia nel causare danni
di tipo fotochimico al DNA, si ha verso λ=300 nm, nel pieno degli UV-B.
Danneggiando il DNA nella pelle, si possono causare tumori, anche di tipo
grave (melanomi). Luce con λ < 310 nm degrada vari componenti del sistema
fotosintetico delle piante, con ricadute negative sulla produttivit`a delle colture
e sullo sviluppo degli ecosistemi.
Bisogna considerare che l’intensit`a di radiazione UV che arriva al suolo `e
fortemente variabile, e non solo in dipendenza dalla concentrazione di ozono:
fattori importanti sono l’inclinazione dei raggi solari (quindi, latitudine, ora
del giorno e stagione), la copertura nuvolosa e l’altitudine (perch´e anche nella
76
troposfera la radiazione UV `e in parte assorbita e diffusa). Inoltre, la dose di
UV che una persona riceve dipende da altri fattori ancora: in primo luogo il
tempo passato all’aperto e il vestiario; analoghe considerazioni valgono per lo
stile di vita degli animali, molto meno per le piante. La sensibilit`a ai danni
causati dalla radiazione varia infine a seconda delle specie e, tra gli uomini,
dipende dal colore della pelle, in quanto la melanina agisce come fattore
protettivo. La stima dei danni che potrebbe provocare un assottigliamento
dello strato di ozono ha quindi un carattere unicamente statistico e non ha
valore per il singolo individuo.
La relazione tra diminuzione percentuale dell’ozono stratosferico ed aumento
della radiazione UV al suolo non `e affatto lineare. L’intensit`a I della luce UV
che riesce ad attraversare la stratosfera `e legata allo spessore s dello strato di
ozono, misurato in unit`a Dobson, attraverso la legge di Lambert-Beer:
I(λ) = I0 (λ) e−ε(λ)l
(3.26)
Qui I0 `e l’intensit`a che arriva ai confini della stratosfera, ε `e il coefficiente di
estinzione, dato in atm−1 cm−1 , e l `e il percorso della luce solare attraverso
lo strato di ozono, immaginato ridotto a pressione e temperatura standard.
Questo percorso, in cm, `e l = D/(1000cosθ), dove θ `e l’angolo che i raggi solari
fanno con la verticale. Se viene a mancare una frazione F della concentrazione
di ozono, lo spessore D si riduce a D ′ = D(1 − F ). Esprimiamo l’aumento
conseguente nell’irraggiamento UV come rapporto tra la nuova intensit`a I ′ e
la precedente, I:
10−ε(λ)D(1−F )/(1000cosθ)
I ′ (λ)
=
= 10ε(λ)DF/(1000cosθ)
−ε(λ)D/(1000cosθ)
I(λ)
10
(3.27)
Assumendo D = 300 unit`a Dobson e una riduzione del 5% nell’ozono
stratosferico (F =0.05), possiamo calcolare l’aumento di intensit`a. Quando il
Sole `e allo zenit (θ = 0), abbiamo un aumento del 13% per λ=300 nm (ε=3.6
atm−1 cm−1 ) e del 2% per λ=315 nm (ε=0.54). L’aumento `e ancora minore
a lunghezze d’onda pi`
u lunghe (UV-A), ma `e maggiore quando il Sole non si
trova allo zenit.
In base alle previsioni elaborate dagli scienziati dell’atmosfera, negli anni
1980 furono intavolate trattative internazionali per impedire un progressivo
assottigliamento dello strato di ozono, riducendo la produzione delle sostanze
che lo danneggiano. Una spinta decisiva alle trattative venne dalla scoperta del
tutto imprevista del “buco nell’ozono” sull’Antartide (vedi oltre), pubblicata
nel 1985. Nel 1987 venne concordato il protocollo di Montreal, che poneva
limiti nella produzione dei CFC, e pi`
u volte negli anni successivi questi limiti
77
furono rivisti al ribasso. La produzione della maggior parte dei CFC `e
attualmente quasi nulla e le loro concentrazioni nella troposfera sono in calo
dagli anni ’90; nella stratosfera, dato il ritardo con cui i gas si propagano verso
l’alto, le concentrazioni hanno raggiunto il massimo approssimativamente nel
2000. Per diversi anni continuer`a il rilascio di CFC da parte di manufatti
dismessi e non correttamente smaltiti (circuiti di raffreddamento di frigoriferi
e condizionatori e pannelli isolanti). La diminuzione sar`a molto lenta, dati i
lunghi tempi di residenza in atmosfera di queste sostanze. Per alcuni usi, i
CFC sono stati sostituiti da idrocarburi non peralogenati (HFC e HCFC), cio`e
contenenti almeno un atomo di idrogeno. Grazie all’ossidazione catalizzata da
radicali OH (vedi sezione 4.6), gli HCFC hanno tempi di residenza molto pi`
u
brevi, nella maggior parte dei casi uno o pochi anni; perci`o, solo una piccola
frazione delle emissioni totali raggiunge la stratosfera.
L’annuncio dell’esistenza di un “buco nell’ozono” fu fatto nel 1985 da un
gruppo di scienziati del British Survey che misurano da molti anni le
concentrazioni totali sopra la base antartica della baia di Halley. I dati vengono
solitamente riportati come medie mensili e mostrano, a partire dalla fine degli
anni 1970, un forte calo durante i mesi di settembre e ottobre; dalla met`a degli
anni 1980, i questi due mesi si oscilla intorno a 150 unit`a Dobson, circa la met`a
di quanto `e considerato normale. Tra novembre e dicembre la concentrazione
risale a valori normali (vedi figura 3.3). Dal 1978, dati molto pi`
u dettagliati
vengono raccolti per mezzo di strumenti basati su satelliti, che possono creare
mappe della concentrazione di ozono su estese regioni. L’elaborazione della
notevole massa di dati, per mezzo di un calcolatore, prevedeva di scartare
le misure troppo lontane dalla media, come errori strumentali: cos`ı, i dati
sul “buco” vennero scartati e l’onore della scoperta and`o a ricercatori che
operavano con mezzi molto pi`
u poveri. In seguito, i dati da satellite furono
recuperati; essi confermarono in pieno quelli misurati da terra; le mappe
mostrano che il “buco” `e approssimativamente circolare ed ha un’estensione
circa pari a quella del continente antartico.
Questi risultati pongono tre questioni. Perch´e questo assottigliamento dello
strato di ozono `e tanto maggiore di quello previsto dai modelli e verificato
nelle altre zone del globo? Perch´e si trova proprio sull’Antartide? Perch´e
proprio nei due primi mesi della primavera antartica, quando torna la luce
al di l`a del circolo polare? La chiave del problema sta nella meteorologia
del tutto particolare della regione antartica. La stratosfera `e ovunque molto
secca e perci`o generalmente priva di nubi; tuttavia, durante l’inverno (giugnoagosto) sull’Antartide si raggiungono temperature cos`ı basse (-80◦ C) che la
scarsa umidit`a presente condensa a formare cristalli di ghiaccio, probabilmente
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Figura 3.3: Concentrazione totale di ozono in unit`a Dobson, sopra
la baia di Halley, Antartide.
Medie mensili a settembre, ottobre
e dicembre, a partire dal 1956.
Fonte: British Antactic Survey
(www.antarctica.ac.uk/met/jds/ozone/).
settembre
ottobre
dicembre
“spessore dello strato” di ozono (10−3 cm)
400
350
300
250
200
150
1960
1970
1980
1990
2000
2010
anno
con l’aiuto di nuclei di condensazione costituiti da acido solforico (vedi sezione
4.1); insieme, condensa anche l’acido nitrico derivante dagli ossidi di azoto;
questa inusuale composizione caratterizza le nubi stratosferiche polari (PSC,
polar stratospheric clouds). Queste condizioni prevalgono all’interno di un
vortice di aria fredda, generato dalla rotazione terrestre, con un debole flusso
discendente che richiama aria dalle regioni circostanti, a grande altitudine;
sostanzialmente per`o il vortice rimane isolato dal resto della stratosfera fino
alla primavera inoltrata (novembre).
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Quel che mancava nei modelli della chimica della stratosfera prima della
scoperta del “buco” antartico `e un’adeguata considerazione delle reazioni in
fase eterogenea, all’interfaccia tra aria e cristalli di ghiaccio/HNO3 . Durante
l’inverno, sulla superficie dei cristalli, avvengono reazioni del tipo:
ClONO2 + HCl → Cl2 + HNO3
(3.28)
ClONO2 + H2 O → HOCl + HNO3
(3.29)
e
Queste reazioni contribuiscono ad abbassare la concentrazione di composti
dell’azoto, prima nell’aria, perch´e HNO3 rimane in fase condensata, e poi nella
stratosfera in generale, con la lenta deposizione delle particelle di ghiaccio.
L’equilibrio si sposta quindi verso i prodotti Cl2 e HOCl, e quest’ultimo pu`o
essere ancora convertito a Cl2 :
HOCl + HCl → Cl2 + H2 O
(3.30)
Il cloro molecolare rimane in fase gassosa ed `e pi`
u facilmente fotolizzato
rispetto a ClONO2 , in quanto assorbe molto pi`
u intensamente per λ > 300 nm.
All’inizio della primavera, quando la regione antartica `e di nuovo illuminata
dalla luce solare, sia pure con debole intensit`a, quasi tutto il cloro presente
viene convertito alle forme attive (Cl atomico e ClO) e i livelli di ozono
precipitano. Dati i bassi livelli di ossigeno atomico e composti dell’azoto,
acquista importanza il ciclo di reazioni (3.24-3.25) e altri simili coinvolgenti il
bromo. Una prova convincente del meccanismo descritto viene dalla misura
delle concentrazioni di varie specie in funzione della latitudine (vedi figura
3.4), a fine settembre. Le concentrazioni di H2 O, NOX (somma di NO e NO2 )
e ozono calano tutte drasticamente entro pochi gradi intorno a 65◦ S, mentre
quella di ClO sale in coincidenza.
A novembre il vortice stabile sull’Antartide comincia a dissolversi e le
concentrazioni delle varie specie nella stratosfera tornano alla normalit`a. Per
breve tempo, la diluizione dell’aria povera di ozono con quella circostante
porta ad una certa diminuzione della concentrazione di O3 a latitudini inferiori.
Fenomeni simili, ma meno accentuati, sono stati riscontrati anche sull’Artide
negli ultimi anni; qui le temperature sono un po’ pi`
u alte e la formazione
di PSC `e meno frequente, a causa di differenze geografiche (presenza del
mare invece che di un continente, correnti calde oceaniche, diverso regime
dei venti). Le massime diminuzioni dello strato di ozono hanno toccato il
20% circa; significativamente, sono state riscontrate in coincidenza con inverni
particolarmente freddi nella stratosfera artica; questa tendenza potrebbe essere
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Figura 3.4: Concentrazioni di H2 O (vapore), NOX (= NO + NO2 ), O3 e ClO
in funzione della latitudine, nella stratosfera antartica alla fine di settembre.
Notare le diverse scale
dovuta all’aumento dei gas-serra, che trattengono energia nella troposfera e
raffreddano invece la stratosfera.
In seguito alla scoperta dell’importanza della chimica in fase eterogenea per
l’ozono stratosferico, `e stato accertato che anche alle latitudini medio-basse
la presenza di aerosol pu`o indurre piccole diminuzioni della concentrazione di
O3 , in sinergia con l’effetto catalitico del cloro. L’aerosol nella stratosfera, in
assenza di PSC, `e formato da acido solforico, per lo pi`
u di origine vulcanica;
infatti, fluttuazioni negative nello spessore dello strato di ozono sono state
osservate negli anni successivi a due recenti eruzioni esplosive (El Chichon,
1982; Pinatubo, 1991).
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