Giornale del 01/04/2014

òς
European Journalism - GNS Press Ass.tion - The ECJ promotes publishing, publication and communication- P. Inter.nal
I COMPORTAMENTI A RISCHIO
LE DIPENDENZE ( 2 parte )
ANNO X N.RO 04
del 01/04/2014
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Pag. psicologica
Al supermercato
Popolo stai sereno
Il teatro romano
De cognomine
Note antropologiche
Ius primae noctis
Il racconto del mese
Da Trapani
Momento tenero
La donna nella storia
Immagini d’un altro t.
Proverbi
Storia della musica
La pagina medica
Storia della musica
La donna nella letterat.
Quanti l’avevano capito?
Fatalità di E.Siviglia
Dentro la storia
Baby Squillo
I grandi pensatori
Politica e nazione
Dentro le istituzioni
I piatti tipici
Dalla Red.di Bergamo
Dalla Red.di San Valent.
Nuova pubbl. A.Burdua
Regimen sanitatis saler.
Opinione Eretica
Leviora
L’angolo della follia
Sul portale
L’alcool non è percepito tra i giovani come una sostanza pericolosa in
quanto è una sostanza di uso comune, legalizzata ed ampiamente pubblicizzata. I giovani, inoltre, sembra non conoscano i rischi sociosanitari correlati all’alcool,ne sottovalutano la pericolosità e tendono ad
aderire in maniera sempre più diffusa alla cosiddetta cultura dello
“sballo”, come alterazione dello stato di coscienza.
Nelle femmine la situazione è completamente diversa, nell’aggressività, né
la timidezza né tanto meno problemi di concentrazione hanno alcuna relazione
con la tendenza ad usare droghe in un secondo momento. All’età di 16-17 anni
le ragazze usano una quantità inferiore di birra, vino, liquori, marijuana, ed
altre droghe illegali rispetto ai loro coetanei maschi, ma non usano meno tabacco. All’interno d’entrambi i gruppi, maschi o femmine con i punteggi
intellettivi più alti e le migliori risposte ai testi attitudinali scolastici tendevano
ad abusare di birra, vino, super alcolici e marijuana 10 anni più tardi. In
genere i bambini che sono più “pronti” e adatti alla scuola sono anche quelli
più preparati a sperimentare le droghe. Lo stato della salute psicologica e le
relazioni intra-familiari giocano un ruolo essenziale per le ragazze. Le madri
hanno un importante effetto sulla salute psicologica delle loro figlie , ma non
dei loro maschi . Le aspettative materne e la salute psichica della madre sono i
fattori protettivi più validi contro l’abuso di sostanze nelle ragazze, 10 anni
più tardi. Le ragazze con solidi rapporti affettivi all’interno della famiglia
tendono ad usare meno sostanze di quelle che provengono da famiglie in crisi,
ma la stessa situazione non è valida per i loro fratelli per i quali l’ aggressività
rimane uno dei comportamenti predittivi più importanti dell’abuso di cocaina. Purtroppo, che sono sempre più frequenti, tra gli adolescenti, quei comportamenti che la letteratura specialistica definisce “a rischio” in quanto causa,
in modo diretto o indiretto di danno alla loro salute e, spesso, della morte.
Ovviamente, ci si riferisce sia ai comportamenti autolesivi (suicidio e tentativi
di suicidio, tossicomanie), che alle conseguenze (malattie a trasmis-sione
sessuale, uso dei contraccettivi, aborti); sia ad un’attività sessuale preco-ce,
che a comportamenti alimentari abnormi (anoressia, bulimia) ed alla mor-te
“da divertimento” (le stragi del sabato sera, la violenza agita e subita nello
sport). Ed anche se non si può negare che l’eziologia della maggior parte di
questi comportamenti è da ricercare nella “difficoltà di crescere”, tipica
dell’adolescenza, è pur vero che un adeguato intervento educativo, sul valore
della vita e della salute, e la presenza di adulti attivi ed autorevoli, consentirebbero di modificare in modo incisivo il rapporto dell’adolescente con la
realtà esterna.
Le droghe, per le loro caratteristiche chimiche e culturali, rappresentano
delle esperienze accattivanti per gli adolescenti, poiché danno l’illusione di
vivere esperienze diverse, trasgressive, in grado di rispon-dere al loro bisogno
di esplorazione, di creatività e di scoperta.1
http://www.andropos.eu/antroposint
heworld.html
1) Franco Pastore, LE PROBLEMATICHE DELL?ADOLESCENZA, A.I.T.W. edizioni SA. 2013
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Antropos in the world
AL SUPERMERCATO DELLA DROGA
Ecco la vulgata farsi avanti, questa volta il trambusto e il
rumore di accompagnamento alla richiesta di poter “farsi”
è davvero ridondante.La Consulta ha abrogato la legge
Giovanardi-Fini che regolava la materia della droga e
delle tossicodi-pendenze, per cui ora tra chi fuma uno
spinello e chi si buca o sniffa cocaina esisterà una grande
differenza, d'ora in poi anche la legge tornerà a tenere
conto di queste diversità. La Corte Costituzionale ha
infatti "bocciato" la legge Fini-Giovanardi che equipara
droghe leggere e pesanti: nella norma di conversione
furono inseriti emenda-menti estranei all'oggetto e alle
finalità del decreto.
E’ tempesta mediatica senza precedenti, come la
confusione dialettica tra significati ben diversi e distanti,
infatti per chi scrive non esiste una droga normale, una
droga che fa bene, una droga buona e un’altra cattiva, più
semplicemente esiste la droga che fa male.
A sentire esperti e specialisti, il carcere verrà riequilibrato, risolto il problema endemico dell’Amministrazione Penitenziaria dal sovraffollamento, fatti uscire
dalle gabbie migliaia di detenuti, perché adesso è sancita
la mistura peregrina per autorizzare una droga leggera,
quindi finalmente accettabile.
Quando c’è un grave momento di crisi, trapasso di usi e
costumi, l’idea salvifica sta nel rigurgito di vecchie
richieste liberticide, che in sintesi vorreb-bero significare
il comando a dare a ogni singolo individuo adulto la
possibilità di scegliere di dro-garsi o meno, di dire e fare
della propria salute, nonché della propria vita.
Questo pensiero parrebbe esprimere rispetto per le scelte
individuali, invece non è così, somiglia di più a un
inseguimento circolare, meccanico, che riporta al punto di
partenza, sempre che ci si arrivi, incolumi, a quel nastro
di avvio, in barba alle norme del diritto e di tutela della
persona.
In gioco non c’è soltanto la salute e la vita, ma anche la
libertà e l’esistenza degli altri, soprattutto degli innocenti,
che spesso pagano dazi non propri, quegli innocenti che
rimangono spesso senza giustizia, senza sostegno per le
lacerazioni imposte e ingiustamente subite.
Quando sento dire che la canna fa bene, oppure non fa
male, non crea danni fisici-psichici collaterali, penso che
scienza è non solo coscienza, per comprendere che i
principi attivi sono cambiati, esponenzialmente superiori
a ogni sopportabilità, che stordirsi equivale a non essere
lucidi, né presenti, che sballarsi non è normale, come non
lo è mai troncare gambe e vite a chi ci è prossimo.
Farsi le canne comporta il rischio di un progressivo uso di
altre droghe, una riduzione-capacità cognitiva, di memoria, psicomotoria, alimentando ansia, stress, depressione,
i più formidabili nemici del tempo, nostro compagno di
viaggio. Proibizionismo e antiproibizionismo non fanno
servizio agli ultimi, non aiutano i più fragili, non accompagnano i più giovani a ben camminare, serve una norma
che spinga al recupero della persona, non certa-
mente un manifesto che incita a sostenere “la libertà della
droga, a discapito della libertà dalla droga”.
Qualcuno mi ha risposto:non sempre finisce come è accaduto a te, non sempre si
diventa fatti a vita o tossici, non sempre
c’è sangue, assenza, tragedia in agguato,
non sempre al divertimento si sostituisce la
dipendenza, la patologia, la malattia. Non amo il pensiero
unico che non aiuta le persone, ma spacciare statualmente
significa usare le persone, renderle addomesticate, non
certamente liberarle: fumare, calare, tirare, non è slancio in
avanti che avvicina al traguardo, bensì allontana
ulteriormente da ogni forma concreta di autorealizzazione.
Fumare canne non fa bene: incidenti stradali, inciampi
professionali, rese e abbandoni scolastici, sono dietro
l’angolo, per non parlare del fatto che legalizzare non farà
abbassare le utenze, il Giudice Borsellino lo ha spiegato
bene, non è superata dal tempo passato la sua eredità
intellettuale quando afferma che in questo modo
aumenteranno quelle pesanti.
Per chi come me svolge il proprio servizio in una comunità
di servizio e terapeutica, a stretto contatto con i più fragili,
con i tossicodipendenti, non è difficile provare che il 90%
di queste persone ha iniziato la propria discesa all’inferno
scoprendo le droghe erroneamente definite, peggio,
interpretate “leggere”. Ho l’impressione che il mondo
adulto viva malamente la propria condizione di formatore e
di guida, come se fosse sufficiente ridurre tutto a una
nozione da trasmettere, invece no, non è così, occorre
raccontarla la vita, soprattutto ai più giovani, raccontare
che le anse non proteggono e le derive portano al macero.
Se non c’è automatismo tra chi fuma e chi sniffa, c’è
sicuramente una correlazione e una contaminazione statistica che lo conferma.
Lo stato già vende alcol, tabacco, slot e gioco d’azzardo,
perché farsi tanti problemi? Proprio perché lo stato guarda
ai capitolati e ai denari importanti per peso di ingresso,
occorre mettersi di traverso. Conosco la fatica e la sofferenza che circondano le persone che stanno tentando di
riprendersi la propria vita violentata dall’alcolismo, dalla
ludopatia, dal tabagismo, c’è urgenza di mettersi a mezzo
per non aggiungere altre lacerazioni a quelle che già ci
sono. C’ è perfino chi protesta per il ritiro della patente se
trovato positivo al test per uso di sostanze, una canna non
fa niente, non ti mette in coma, non ti fa fare retromarcia
durante una corsa dritta.
Ricordo come fosse ieri quella macchina, i tre ragazzini, le
cartine e i pezzetti di fumo, diventa un pugno nello
stomaco, l’ammasso di ferraglia contorta tutta intorno al
grande albero, il silenzio fermo, acre come l’odore del
sangue mischiato all’olio motore. Rimasero in due a
strisciare sull’asfalto per raggiungere il lago.
Rammento la rabbia feroce e gli improperi nei riguardi di
chi guidava fatto, buttando giù guardrail e pezzi di umanità
inconsapevole.
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Antropos in the world
non sarà così, perché tutte le mafie hanno grande capacità
di riciclarsi, la storia ce lo insegna a chiare lettere.
Pensiamo a legalizzare morte, mentre i maggiori sfaceli
accadono dentro le nostre belle e tranquille quattro mura,
dove rimane a fare da cubista diroccata la famiglia, dove i
ragazzi sono alla catena del messaggio istantaneo, dentro
una scuola solitudinarizzata e messa in disparte, ebbene
troviamo tempo e modo per delocalizzare attenzione e
solidarietà costruttiva, attraverso un effetto spostamento
caratteristico, così la buttiamo sulla Maria e sulla
Giovanna.
Siccome non siamo mai sazi di parole e di spari alle
spalle, c’è anche chi invita a legalizzare la cocaina se
vogliamo vincere la battaglia contro la droga.
Come ci dice qualcuno mai stanco di essere-farsi
testimone del nostro tempo: “c’è necessità di buone a
valide ragioni, non solamente di leggi, ma di presenze
adulte che sappiano parlare e accompagnare con cuore”.
Ostinato e cocciuto ritorna l’eco: ognuno decide della
propria salute, è libero di farsi del male, senza
intromissioni da parte dello stato.
Però esistono i diritti e i doveri, di essere salvaguardato
come cittadino, di non pesare sulla collettività a causa
delle mie scelte.
Credo occorra maggiore rispetto per chi non ce la fa, per
chi non ha imparato ancora a vivere, il resto è davvero
retrovia di ogni ideologia.
Siamo il paese dei minori allo sbaraglio, quali maggiori
consumatori di cannabis, adolescenti e spinelli che è
illegale farsi, ma domani che sarà legalizzata, ci
rassicurano i saggi e sapienti, i giovani rimarranno fuori
dal consumo autorizzato, ma continueranno a fumare e
tirare, con l’aggravio evidente di un mercato parallelo
assai più devastante.
Siamo il paese delle mafie, delle organizzazioni criminali,
delle politiche antimafie: legalizzando toglieremo
mercato alle organizzazioni antistato, ben sapendo che
Andraous
X CONCORSO DI PITTURA ESTEMPORANEA: L’ARTE A SANT’ELIGIO E A PIAZZA MERCATO
Una nuova opportunità di poter dipingere all’aria
aperta viene offerta dalla estemporanea organizzata
da Enzo Falcone nella zona di Sant’Eligio e piazza
Mercato. L’ultima edizione ha sancito la riuscita di
questa manifestazione culturale che da anni
l’associazione Storico Borgo Sant’Eligio organizza
sul territorio, con tantissimi artisti che nelle varie
edizioni si sono cimentati con paesaggi e palazzi,
fontane ed arcate, chiese e automobili, in un mix di
emozioni e di suggestioni storiche forti, nei luoghi
del “moricino” e di quei traffici millenari che proprio qui furono porta aperta sulle culture mediterranee. L’ultima edizione ha visto la partecipazione
di oltre centotrenta artisti, divise in tre sezioni tra
artisti “professionisti”, allievi e ragazzi e la qualità
veramente alta delle opere, è stato molto soddisfacente, anche e soprattutto in considerazione del
tempo ridotto in cui realizzarle. Ma si apre un nuovo
capitolo, con la prossima estemporanea, che offre
tanti angoli suggestivi e tante strade piene di storia,
e come al solito saranno tanti di buon mattino ad
andare a scegliere l’angolino preferito, per lo scorcio
da ritrarre. Anche in questa edizione saranno tanti
gli studenti delle varie scuole di diverso ordine, a
partecipare, sia per lo spirito di partecipazione attiva
al territorio e sia per la maggiore conoscenza dello
stesso. Saranno tante le facce già conosciute, come
quelle di artisti che verranno per la prima volta a
scoprire gli angoli dove Masaniello aizzava il
popolo, dove il Cardinale Ruffo a cavallo sedò
la rivolta, la piazza dove Corradino perse il regno
e la testa. L’Associazione Storico Borgo Sant’Eligio ed il Consorzio Antiche Botteghe di Piazza
Mercato saranno gli organizzatori ed Enzo Falcone che dalla prima idea ne ha realizzato un appuntamento irrinunciabile in città. VI ASPETTIAMO.
Informazioni: Enzo Falcone – tel 081.5544834
[email protected]
A MASSIMO TROISI
Ci mancheranno , Massimo ,
in questo a volte strano divenire
la tua parlata , il tuo gesticolare ,
le battute istintive
la tua gran voglia di comunicare .
Ci mancheranno , Massimo ,
le tue mimiche uniche
ad effetto sicuro
inconfondibili
la tua maschera comica
che celava il segreto del tuo cuore
che ti tradì quel giorno all'improvviso
l'eco del tuo " Postino " di Neruda
è come un urlo , massimo ,
è dolore !
Luciano Somma
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Erroneamente attribuita a Guglielmo Somma nel n.ro precedente.
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Antropos in the world
POPOLO STAI SERENO, ALMENO FINO A MAGGIO!
Sbaglierò, ma l’esordio roboante di Matteo Renzi
non mi sembra questa grande novità. Il tanto enfatizzato primo Consiglio dei Ministri renziano, infatti,
non ha varato nessun provvedimento; si è limitato ad
approvare l’elenco delle cose che il buon Matteo dice
di voler realizzare; salvo – naturalmente – a trovare
le necessarie “coperture”. Esattamente come il primo
Consiglio dei Ministri presieduto da Letta. L’unica
differenza sta nella “lista della spesa”. Letta voleva
bloccare l’aumento dell’IVA, abolire l’IMU, dare una
pensione agli esodati, rafforzare gli ammortizzatori
sociali, umanizzare l’imposizione fi-scale, e altre
cose di minor conto: per un importo totale oscillante
dai 20 ai 30 miliardi di euro. La lista di Renzi,
invece, è più folta, e prevede: il taglio del cuneo
fiscale che dovrebbe portare i famosi 80 euro mensili
in più per una larga fascia di contribuenti (spesa
prevista: 10 miliardi), il pagamento dei debiti della
pubblica amministrazione alle imprese private (spesa
prevista: 68 miliardi), una riduzione dell’IRAP del
10% (spesa prevista: 2,6 miliardi) ed altre piccole
cose. A occhio e croce – diciamo – poco meno di un
centinaio di miliardi di euro, 200.000 miliardi delle
vecchie lire. La qualcosa – mi permetto di aggiungere
– equivale a bollare come incapaci quelli del governo
precedente (molti dei quali sono anche ministri del
suo gabinetto), i quali – si ricorderà – non furono
capaci di trovare un misero miliarduzzo per tagliare
un pezzo di IMU.
E veniamo alla nota dolente, quella delle coperture. Molti dubitano che ci siano; anche perché su
questo punto il piccolo rottamatore fiorentino è stato
tutt’altro che preciso. A mio modesto parere, invece,
il furbo Matteo questi 100 miliardi li troverà. E li
troverà nell’unico posto dove potrà andarli a cercare,
cioè nelle nostre tasche. Certamente non in maniera
sfacciata, non sotto forma di tassazione generalizzata
o di riduzione delle retribuzioni. Ma in modo accorto,
subdolo, sotto le mentite spoglie di riduzione della
spesa o di redistribuzione della ricchezza.
Attenzione: teniamo ben presente che, a parte gli
sprechi e le ruberie, ogni singolo euro di riduzione
della spesa pubblica comporta per il cittadino una
maggiore spesa di un euro. In altri termini: se ti do 80
euro di più in busta paga e, contemporaneamente, ti
impongo 150 euro di maggiori spese per sanità,
istruzione, tariffe, addizionali comunali, eccetera,
non ti regalo 80 euro, te ne tolgo 70.
E tutto questo non perché Renzi sia cattivo, ma
perché i soldi li può trovare solo nelle nostre
tasche. E per “nostre” intendo di noi privati o delle
aziende. Dove, altrimenti? In piccolissima parte nei
proventi fiscali di una ipotizzabile – ottimisticamente – crescita delle esportazioni. E poi, basta. La
verità è questa: altri soldi non ce ne sono, non ne
esistono materialmente in Italia, né se ne potranno
trovare in futuro; almeno fino a quando non usciremo dall’euro e non ci riapproprieremo della facoltà di battere una nostra moneta nazionale. E
quando dico “battere moneta”, mi riferisco ad una
moneta emessa “a credito” dallo Stato o dalla banca di Stato. E non ad una moneta “a debito” che
una banca centrale privatizzata (come la Banca
d’Italia o la Banca Centrale Europea) presta allo
Stato. Solo in questo modo potremo ripagare il nostro astronomico debito pubblico. A proposito:
l’ultimo bollettino della Banca d’Italia – fresco di
stampa – ci informa che nel solo mese di gennaio
2014 il debito pubblico italiano è aumentato di altri
20 miliardi e mezzo, portando il totale a quasi
20.090 miliardi di euro, 40 e passa, milioni di miliardi di lire. E non s’è parlato ancora di MES e
Fiscal Compact, altri 70 miliardi di euro all’anno –
fra esborsi e tagli – da sacrificare sull’altare europeo. Nonostante tutto, comunque, sono convinto
che arriveranno gli 80 euro in busta paga e che le
azien-de creditrici riceveranno buona parte delle
loro spettanze. Renzi – come ho scritto la settimana
scorsa – ha il compito di tenere allegra la gente fino
alle elezioni europee, per scongiurare il pericolo di
un successo dei “populisti”. Poi, si vedrà.
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Michele Rallo
Che dici,
finirà bene?
Bene?A me gia brucia da morire, figuriamoci tra un po’!
Antropos in the world
IL TEATRO COMICO ROMANO a cura di Andropos
La parola commedia è tutta greca: κωμῳδία, "comodìa", infatti, è composta da κῶμος, "Kòmos", corteo festivo e
ᾠδή,"odè", canto. Di qui il suo intimo legame con indica le antiche feste propiziatorie in onore delle divinità
elleniche, con probabile riferimento ai culti dionisiaci . Peraltro, anche i primi ludi scenici romani furono istituiti,
secondo Tito Livio, per scongiurare una pestilenza invocando il favore degli dèi. I padri della lingua italiana, per
commedia intesero un componimento poetico che comportasse un lieto fine, ed in uno stile che fosse a metà strada
fra la tragedia e l'elegia. Dante, infatti, intitolò comedìa il suo poema e considerò tragedia l’Eneide di Virgilio. La
commedia assunse una sua struttura ed una sua autonomia durante le fallofòrie dionisiache e la prima gara
teatrale fra autori comici si svolse ad Atene nel 486 a.C. In altre città si erano sviluppate forme di spettacolo
burlesche, come le farse di Megara, composte di danze e scherzi. Spettacoli simili si svolgevano alla corte del
tiranno Gerone, in Sicilia, di cui purtroppo, non ci sono pervenuti i testi.
A Roma, prima che nascesse un teatro regolare, strutturato cioè intorno a un nucleo narrativo e organizzato
secondo i canoni del teatro greco, esisteva già una produzione comica locale recitata da attori non professionisti,
di cui non resta tuttavia documentazione scritta. Analogamente a quanto era accaduto nel VI secolo a.C. in
Attica, anche le prime manifestazioni teatrali romane nacquero in occasione di festività che coincidevano con
momenti rilevanti dell’attività agricola, come l’aratura, la mietitura, la vendemmia.
TERENZIO: Andria (rappresentata nel 166 a.C.)
La data di nascita di Terenzio non è conosciuta con precisione; si ritiene sia nato lo stesso anno della morte
di Plauto, nel 184 a.C., e comunque tra il 195 e il 183 a.C.. Di bassa statura, gracile e di pelle scura, nacque
a Cartagine ed arrivò a Roma come schiavo del senatore Terenzio Lucano. Quest’ultimo lo educò nelle arti liberali, e
in seguito lo affrancò ed assunse il nome di Publio Terenzio Afro. Fu in stretti rapporti con il Circolo degli Scipioni,
ed in particolare con Gaio Lelio, Scipione Emiliano e Lucio Furio Filo: grazie a queste frequentazioni, apprese l'uso
alto del latino e si tenne aggiornato sulle tendenze artistiche di Roma. Il grammatico Fenestella cita però altri
esponenti della "nobilitas", ossia Sulpicio Gallo, Quinto Fabio Labeone e Marco Popillio. Durante la sua carriera di
commediografo (dal 166, anno di rappresentazione della prima commedia, Andria,al 160 a.C.), venne accusato di
plagio ai danni delle opere di Nevio e Plauto e di aver fatto da prestanome ad alcuni protettori, impegnati in politica,
per ragioni di dignità e prestigio (l'attività di commediografo era considerata indegna per il civis romano), tanto che
Terenzio stesso si difese tramite le sue commedie: nel prologo degli Adelphoe (I fratelli), per esempio, egli rifiuta
l'ipotesi che lo vede prestanome di altri, segnatamente dei membri dello stesso Circolo degli Scipioni. Venne accusato
di mancanza di vis comica e di uso della contaminatio. Morì mentre si trovava in viaggio in Grecia nel 159 a.C.,
all'età di circa 26 anni. Terenzio scrisse soltanto 6 commedie, tutte giunte a noi integralmente.
TRAMA DELLA COMMEDIA –
E’ la storia del vecchio Simone, il quale si è
accordato con il vicino di casa Cremete perché i
loro figli Panfilo e Filùmena si sposino. Panfilo ha
però una relazione segreta con Glicerio, una
fanciulla che tutti credono sorella dell'etera Criside,
che attende da lui un figlio.
Simone scopre la relazione del figlio solo in occasione del funerale di Criside e, profondamente
irritato da questa "ribellione", gli comunica l'imminenza delle nozze con Filumena, nonostante
Cremete abbia annullato l'accordo. Il 'giovane',
però, è deter-minato a non tradire Glicerio e finge di
accettare passivamente le nozze.
La vicenda si complica: Cremete ha un ripensamento e concede il consenso. Gli equivoci sono
chiariti dall'arrivo del vecchio Critone, amico della
morta Criside, che riconosce in Glicerio la figlia che
Cremete credeva morta in naufragio verso l'isola di
Andro, Pasibula.
La commedia si conclude con duplici nozze:
Panfilo sposa Glicerio e Carino, un amico di Panfilo, sposa Filumena.
SINOSSI - L'Andria è la prima opera di teatro
latino in cui il prologo è dedicato non all'esposizione del contenuto, ma alla polemica letteraria.
Nei primi versi, infatti, Terenzio si difende dall'accusa di plagio e contaminatio. Il prologo di Andria
ha la funzione di respingere l'accusa di “contaminatio” di Luscio Lanuvino. Scritto, evidentemente, dopo che la commedia era stata rappresentata, non fa alcuna allusione alla trama o ai personaggi. L'autore afferma, in primo luogo, che sua
unica preoccupazione è stata quella di rivolgere
l'animo allo scrivere, affinché le sue composizioni
riuscissero gradite al popolo.
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ASSOCIAZIONE LUCANA
“G. Fortunato” - SALERNO
SEDE SOCIALE in Via Cantarella
(Ex Scuola Media “A. Gatto”)
Antropos in the world
DE COGNOMINE DISPUTĀMUS
“ Il soprannome è l’orma di una identità forte, che
si è imposta per una consuetudine emersa d’improvviso, il riconoscimento di una nobiltà popolare, conquistata in virtù di un ruolo circoscritto alla persona,
quasi una spinta naturale a proseguire nella ricerca
travagliata di un altro sé. Il sistema antroponimico
era dunque binominale, formato da un nome seguito
o da un’indicazione di luogo (per es.: Jacopone da
Todi), o da un patronimico (Jacopo di Ugolino) o da
un matronimico (Domenico di Benedetta) o da un
attributo relativo al mestiere (Andrea Pastore), et
cetera. Il patrimonio dei cognomi era pertanto così
scarso, che diventava necessario ricorrere ai soprannomi, la cui origine non ha tempi e leggi tali, da
permettere la conoscenza di come si siano formati, e
la maggior parte di essi resta inspiegabile a studiosi
e ricercatori.
Spesso, la nascita di un soprannome rimanda ad
accostamenti di immagini paradossali ed arbitrari.
Inutilmente ci si sforzerebbe di capire il significato e
l’origine di soprannomi come "centrellaro" o come
"strifizzo" o "trusiano", lavorando solo a livello di
ricerca storica e filologica. E così, moltissimi soprannomi restano inspiegabili, incomprensibili, perché si è perso ormai il contesto storico, sociale e culturale o, addirittura, il ricordo dell’occasione in cui
il soprannome è nato. Verso il XVIII° secolo, il bisogno di far un po’ d'ordine e la necessità di identificare popolazioni diventate ormai troppo popolose
porta all'imposizione per legge dell'obbligo del cognome.
Questo mese, ci occuperemo del cognome: NEGRI
In Italia : 6073 persone hanno il cognome NEgri secondo
i nostri dati ed è il 180° più diffuso in Italia. Il cognome è
diffuso massimamente nel parmese, ma è presente in
buona parte dell’Italia. Le varianti sono: Negro, Negra,
Negrini, Negrinotti, Negrioli, Negretto, Negrello, Negrato.
Origini
Deriva dal latino Niger "nero", nasce da un soprannome
dovuto al colore scuro della pelle, dei capelli o della barba.
Ve ne è traccia antica in circa 20 famiglie nobili di
Bologna, Ferrara, Milano, Pavia, Padova, Palermo, Asti,
Piemonte, Roma, Marche, Trentino, Venezia, Vicenza,
Savona e Verona. Così Negrelli è tipico del mantovano e
del modenese. Negrello risulta diffuso nel vicentino.
Negretti ha due ceppi, uno in Lombardia e l'altro nel
Lazio. Neri è panitaliano. Negro ha un nucleo nel Salento.
Negroni è molto ricorrente nel bolognese.
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a cura di Andropos
Nigrelli presenta dei ceppi autoctoni in Sicilia e si
ritrova, forse come conseguenza di errori di trascrizione, nel mantovano. Risultano più rare le varianti
Nerini e Negrino.
PERSONAGGI FAMOSI:IAda Negri nacque a
Lodi il 3 febbraio del 1870. Le sue origini erano umili:
suo padre Giuseppe era vetturino e sua madre, Vittoria
Cornalba, tessitrice; passò l'infanzia nella portineria del
palazzo dove la nonna, Peppina Panni, lavorava come
custode presso la nobile famiglia Barni, legata un
tempo al celebre mezzosoprano Giuditta Grisi, fino alla
morte della quale era stata governante Peppina: sul
rapporto tra Grisi e la sua famiglia, Ada costruirà il
mito della propria infanzia. In portineria Ada passava
molto tempo sola, osservando il passaggio delle persone, come descritto nel romanzo autobiografico Stella
Mattutina (1921). Ad appena un anno dalla nascita
rimase orfana del padre, avvinazzato e avvezzo al
canto, considerato, dunque, un peso dalla madre
Vittoria: fu grazie ai sacrifici di questa, la quale cercò
un guadagno sicuro in fabbrica, che Ada poté
frequentare la Scuola Normale femminile di Lodi,
ottenendo il diploma di insegnante elementare. compose le poesie poi pubblicate nel 1892 nella raccolta
Fatalità, un libro di grande successo, al punto che, su
decreto del ministro Zanardelli, le fu conferito il titolo
di docente per chiara fama presso l'Istituto superiore
"Gaetana Agnesi" di Milano. Così si trasferì con la
madre nel capoluogo lombardo.A Milano entrò in
contatto con i membri del Partito socialista italiano,
anche grazie agli apprezzamenti ricevuti da alcuni di
essi per la propria produzione poetica, nella quale è
molto sentita la questione sociale. Tra loro ebbe un
ruolo fondamentale il giornalista Ettore Patrizi, col
quale ebbe intense relazioni epistolari; conobbe poi
Filippo Turati, Benito Mussolini e Anna Kuliscioff .
Nel 1894 vinse il Premio Giannina Milli per la poesia. Nello stesso anno uscì la sua seconda raccolta di
poesie, Tempeste, meno apprezzata di Fatalità, nonché
vittima di una forte critica da parte di Luigi Pirandello.
In questo periodo la sua lirica si concentrò soprattutto
su temi sociali ed ebbe forti toni di denuncia, tanto da
farla definire la poetessa del Quarto Stato. Il 1896 fu
l'anno di uno fallimentare matrimonio con Giovanni
Garlanda, industriale tessile di Biella, dal quale ebbe la
figlia Bianca, ispiratrice di molte poesie, e Vittoria, che
morì a un mese di vita. Da questo periodo le sue
vicende personali modificarono fortemente la sua
poetica e le sue opere divennero introspettive e autobiografiche, come si vede in Maternità, pubblicata
nel 1904, e Dal Profondo (1910). Morì nel 1945 e fu
sepolta aMilano. Il 3 aprile 1976 la sua tomba è stata
traslata nella Chiesa di San Francesco a Lodi.
Antropos in the world
NOTE ANTROPOLOGICHE
Dopo la primavera, nuovamente l’inferno!
di V. Andraous
L’estate è avanti a noi, le temperature alzano il
tiro, i corpi ammassati tentano disperatamente di
resistere, i malati più deboli muoiono, quelli più sani
combattono dentro una resistenza senza riparo, altri
stanno lì senza il più piccolo sollievo, nè capacità di
avvertire la propria colpa.
Il carcere non è più spauracchio dell’illegalità,
strumento deterrente, non è più ultima trincea a difesa
di ogni libertà. E’ diventato altro, come Dante e il suo
inferno sono diventati un mero eufemismo, e Benigni
un cantore in disuso, entrambi non più corrispondenti
alla disperazione di un luogo perduto alle coscienze.
Cos’è il carcere oggi, a cosa ed a quale dissacrante
dottrina si è ridotto, se non all’indifferenza?
Sovraffollamento che non è più riconducibile al
solo problema endemico all’Amministrazione Penitenziaria: è il risultato di recidive alimentate da politiche ingannevoli, più galera per tutti, meno misure
alternative che invece insegnano a lavorare, a faticare, a scegliere la responsabilità, in un patto di lealtà
sociale.
Carenza di personale professionale e dimezzamento dei fondi di investimento al settore giustizia non
sono sufficienti a confermare il livello di disumanità
che circonda un penitenziario, una cella, un citta-dino
detenuto, perché ancora tale è, come sancito dal-la
Costituzione, dalla condizione di persona momentaneamente privata della libertà, non certamente del
diritto di sperare.
Quando penso al carcere, malandato, umiliato,
percosso dalle intelligenze addormentate, mi vengono
in mente le pretese di giustizia di un certo Peter
Moskos, ex funzionario di Polizia, ora docente di diritto penale, salito prepotentemente alle cronache per
un report di 154 pagine, con cui ritiene di supe-rare il
fallimento del sistema penitenziario americano, debellando il più devastante sovraffollamento carcerario della storia dell’umanità, attraverso la punizione della flagellazione.
E’ soltanto una boutade sconcertante di un illuminato
senza più luce né ragione, oppure c’è qualcosa che fa
al caso nostro? Al sistema americano certamente sì,
con la pena di morte, con il carcere privatizzato, con
la violenza intramuraria che neppure i films riescono
più a immaginare, figuriamoci raccontare.
Nel paese della selva oscura dell’Alighieri e del
Benigni che disconoscono i gironi ben nascosti di un
inferno in continua ebollizione, forse qualche nerba-
-7-
ta potrebbe passare,
come pena alternativa a un carcere che
mi ostino a dire che
ancora non c’è.
Oppure il solo
pensare a una punizione come questa
scandalizza, perché
ci ricorda la schiavitù, qualche reminiscenza di tortura, di
inquisizione, di pene
illegali.
Certo non è semplice optare per una condanna
alla frustata, al ritorno del sangue statuale, ma con
qualche scudisciata ben assestata, il 70% di popolazione detenuta potrebbe nell’immediato lasciare
le anguste e sovraccariche celle italiche.
Il dott. Moskos pare più attrezzato a scioccare e
banalizzare, che a risolvere una violenza carceraria
che ha superato ogni livello di guardia nel suo paese.
Ma in questa partitura medioevale è possibile trovare
qualche indicazione, quanto meno ripartire da una
riflessione.
Disturba fare ricorso anche solo con le parole a
una violenza che dovrebbe “sanare” altra violenza,
che “ripara” il male con altro male, eppure come è
possibile inorridire assai meno per una pena che rapina le dignità con inaudita perseveranza, tant’è che
a metà anno abbiamo perso il conto dei tanti “evasi”
con i piedi in avanti, detenuti e agenti.
Sobbalziamo al pensiero di trascendere alla fustigazione, rimanendo impassibili di fronte al grado di
violenza cui è sottoposto il detenuto, e non solo,
l’intero impianto penitenziario.
Abbandono e indifferenza, morte dei corpi e delle
menti, morte di ogni possibilità di comprendere di sé
e del proprio esistere nella vita che rimane, nonostante la cella, nonostante il carcere.
E’ un degrado che polverizza ogni speranza di
sentirci ancora utili, parte di una società che professa la difesa del diritto alla riabilitazione, che giustamente rigetta il teatrino dei dinieghi alle frustate, ma
non intende guardare al di là del muro, dove l’ultima
solitudine è concessa senza timbri sul passaporto.
E’ morte assunta con una stringa allacciata alla
gola, in un giorno dove Dio è morto dentro una cella.
Antropos in the world
Lo jus primae noctis e la cintura di castità
DUE LEGGENDE DA SFATARE
Il Medioevo europeo viene per lo più collocato
tradizionalmente tra il 300/500 e il 1500 circa. La sua
categoria fu un’invenzione dei polemisti del CinqueSeicento poi elevata a categoria denigratoria dagli
illuministi e a categoria esaltatoria dai romantici (Cf G.
Falco, La polemica sul medioevo ).
Analizzando i termini – come suggerisce Rino
Cammilleri in Fregati dalla scuola – si ha che
“Medioevo” significa “età di mezzo”, laddove “Rinascimento” sta per “nuova nascita”. Ma se si rinasce vuol
dire che si era nati, poi si era morti e quindi ri-nati.
Dunque si era nati nell’età classica di Atene e di Roma,
si era morti per più di mille anni e si era rinati col
ritorno per pochi decenni di Bacco ed Arianna, Ercole,
Apollo e Minerva, cioè l’antico paganesimo. Dopo
avemmo l’età moderna. Ne deriva che durante i mille
anni, chiamati da quelli che ci abitavano “Cristianità”
eravamo morti! Si veda la vecchia, illuministica, falsificatrice visione di questo periodo fatta propria dal film
“Il nome della rosa” tratto dall’omonimo romanzo .
Nulla di più falso dunque se si considera che quel
periodo era talmente ricco di cultura che la nostra civiltà
ne risulta imbevuta da cima a fondo, perfino il nostro
“codice genetico” ne sembra influenzato. ( La mostra
“Il Medioevo Europeo di Jacques Le Goff” ospitata nel
2003-2004 nel Palazzo della Pilotta di Parma,” l’età di
mezzo ci appare diversa dagli stereotipi ai quali siamo
abituati: furono tempi di grandi progressi, dal credito
all’architettura, dalla musica alle buone maniere” – Il
Sole-24 Ore 21 sett. 2003).
Ma la storiografia, pur con la rivalutazione romantica, continua ad impiegare acriticamente il concetto di Medioevo come una semplice etichetta negativa
di luogo storico della superstizione, della violenza e
della barbarie (Cf Regine Pernoud, Medioevo. Un
secolare pregiudizio). Tra le tante leggende da sfatare
ci occupiamo in questa nota dello jus primae noctis e
della cintura della castità.
Scrive il grande medievalista Franco Cardini:” Il
cosiddetto jus primae noctis altro non era se non il
diritto del signore ad autorizzare il matrimonio dei suoi
servi, tradotto in un gesto simbolico di possesso del
talamo nuziale e ad una modesta esazione. Niente delibazione della sposa, dunque: la Chiesa, d’altronde, mal
sopportava lo stesso originario divieto fatto al servo di
contrarre matrimonio fuori dei confini della signoria,
origine del rito. Figurarsi un adulterio legalizzato. Beninteso, violenze e abusi erano allora sempre possibili,
come anche più tardi: ma diritti del genere, questo no”.
Lo storico Alessandro Barbero (vedi “ Donne, madonne e cavalieri. Sei storie medievali ” e “ Dietro le
-8-
quinte della storia. La vita quotidiana attraverso il
tempo” ) ha avuto modo di spiegare che
lo “ jus primae noctis “ è stato studiato
già dai primi dell’ Ottocento e possiamo dire che oggi, tra gli addetti ai lavori,tutti sanno che si tratta di una leggenda.Nessuno nel Medioevo ha mai fatto riferimento a questa legge. Ad esempio
nelle novelle del Boccaccio, dove pure si parla molto
e in m odo esplicito di sesso. Eppure una cosa del
genere sarebbe stata un formidabile spunto narrativo
[…] Del resto, se ci fosse stata una legge del genere, i
contadini non sarebbero stati molto contenti, eppure in
nessun documento risulta una lamentela sullo jus
primae noctis”.
Per quanto riguarda le cinture di castità lo stesso
Cardini scrive: “Durante il Medioevo nessun castellano, andando in guerra chiudeva a chiave in artistiche
mutandone di ferro le grazie della consorte (la cintura
della castità è una spiritosa invenzione libertina)”. Due
rispettabili accademici del Regno Unito, James
Brundage e Felicity Riddy, fanno sapere che il noto
marchingegno è una
invenzione di epoca
vittoriana.
Nel British Museum
fu rimossa una cintura di castità che faceva bella mostra di sé
dal 1846, perché i curatori del prestigioso
museo hanno accertarono trattarsi di un falso costruito come “curiosità per
lascivi o scherzo per gente di cattivo gusto”. Stessa
fine fecero due esemplari di cinture alle Roval
Armouries. La professoressa Riddy fa risalire questo
tipo di cintura alla fantasia letteraria d’origine
francese, riconducibile al poeta-musicista Guglielmo
di Machaut e poi al grande Rabelais.
Ad onor del vero non sono solo queste le leggende da
sfatare riguardo al Medioevo. Il Cardini ci invita perciò a vigilare per non restare prigionieri dei mestatori
della disinformazione, dei venditori di fumo, degli
spacciatori di falsi Graal, di falsi templari e di false
torture.
Conforta osservare che sono molti i paesi e le città
che, se possibile, ricordano con pubblicazioni celebrative, manifestazioni folcloristiche e feste le loro origini
medievali o momenti significativi di vita medievale
che li riguardi più da vicino.
Renato Nicodemo
Antropos in the world
DALLA REDAZIONE DI S.VALENTINO TORIO
A proposito della legge elettorale
Si fa un gran parlare in questi giorni della stramaledetta legge elettorale, vituperata, tenuta in vita per troppi
anni, repellente, ad usum dei partiti, finalmente silurata
dalla Corte costituzionale.
La famigerata legge elettorale, il cosiddetto “Porcellum”,
riconosciuta come un obbrobrio giuridico dallo stesso
indegno padre putativo, il dentista Calderoli della Lega
Padana, è stata accolta con favore prima dal centro destra
e poi dalla sinistra, in quanto a calcoli fatti sui sondaggi
preelettorali, attribuiva immeritatamente uno spropositato premio di maggioranza ( tanto spropositato che
riusciva anche a sbalordire gli stessi partiti beneficiari).
Altro aspetto ripugnante di questa legge era la scelta dei
candidati/degli eletti che facevano i partiti senza dare la
possibilità ai cittadini di poter fare una disamina, una
scelta. Anche questo aspetto negativo sempre vituperato
da tutti faceva comodo a tutti, che si assicuravano gli
eletti tra i più fidati del partito, senza minimamente
soffermarsi sulle capacità e sulle doti che un rappresentante del popolo deve avere. (Ed è cosi che si è
provveduto a far eleggere i propri avvocati, i propri commercialisti, i propri portatori di borsa, le più avvenenti
donne ecc…..)
In tutti questi anni tutti criticavano questa legge (a
chiacchere) , ma nessun partito muoveva un dito per
cambiarla.
Alla fine dell’anno scorso vi è stato il provvidenziale
intervento della Corte Costituzionale che ha posto fine a
questo teatrino/spettacolo davvero avvilente, dichiarandone l’incostituzionalità. Tutti erano in trepidante attesa
di conoscere le motivazioni, senza minimamente pensare
che la Corte Costituzionale si è limitata a ribadire le
ragioni a tutti note mettendo in rilievo soprattutto: a) le
“porcate” più evidenti del Porcellum e cioè le liste
preconfezionate che toglievano all’elettore il diritto
democratico e sacrosanto di scegliere i propri rappresentanti; b) il premio di maggioranza al partito che aveva
preso più voti in una misura inusitata e capace di
stravolgere le elezioni.
Altro aspetto contestatissimo, nel dibattito che ne è
seguito, è stata la cosiddetta “soglia di sbarramento” al
di sotto della quale nessun partito poteva essere presente
in Parlamento: una misura necessaria per evitare il
proliferare di piccoli partiti ed assicurare più tranquilla
agibilità agli altri.
A questo punto tutti i leaders dei partiti si sono
sbizzarriti ad andare alla ricerca delle soluzioni più
opportune per eliminare le storture preesistenti. I pareri
dei costituzionalisti si sono sprecati. Chi ha tentato di
ispirarsi alla legge tedesca, chi alla legge alla francese
con il doppio turno, chi alla legge spagnola in salsa
italiana, senza che nessuno (dico nessuno) ha avuto
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l’idea che noi in Italia un’altra legge elettorale già ce
l’abbiamo ed è anche più vetusta del Porcellum, ma
nessuno l’ha mai contestata.
Di che cosa si tratta ?
Ma è la legge elettorale per l’elezione dei rappresentanti
dell’Italia in seno al Parlamento europeo, una legge che
nei prossimi giorni si metterà in moto per le elezioni del
prossimo mese di Maggio. Questa legge è la n.18 del
24/01/1979 e da allora nessuno l’ha contestata. E cosa
prevede questa legge? a) Le liste non sono preconfezionate, gli elettori possono esprimere fino a un massimo
di tre preferenze. b) esiste, per i partiti la soglia di sbarramento, al 4%.
A questo punto rimane da definire il premio di maggioranza a favore del partito che riporta la maggioranza
relativa e la legge elettorale è già pronta. O questa legge
va bene per il Parlamento europeo e non va bene per il
Parlamento Italiano?
A complicare le cose adesso c’è anche la questione
delle “quote rosa” così a cuore ai deputati di sesso femminile di ogni gruppo politico non bastando il disaccordo
sulle preferenze, sulle liste “blindate”, sulla soglia minima
per essere ammessi in Parlamento , il premio di maggioranza.
Il problema delle quote rosa non esiste e vi spiego
perché. Nella Costituzione non si parla di quote rosa, si
parla solo di elettorato passivo che può essere esercitato
dalle donne e dagli uomini in base alla scelta democratica
di coloro che rappresentano l’elettorato attivo e cioè gli
elettori. Questi e solo questi, possono decidere il rapporto
di rappresentanza dei due sessi. Stabilire per legge quote
di candidati di sesso femminile da attribuire in percentuali
del 40 o 50%? E perché? Ma le candidate non potrebbero
aspirare al 60, 70% o più di candidati? E, dunque, sarebbe
riduttivo assegnare per legge un 40 0 50% di posti. Le
donne statisticamente sono più del 50% della popolazione
italiana; perché accontentarsi del 40 o 50%? Sarebbe
riduttivo e non una conquista.
Lasciando le cose come stanno, le donne avrebbero
tutto da guadagnare. La cosa importante è che prima del
passo della candidatura e della elezione poi, vi sia un
autoesame per verificare se c’è una buona predisposizione
d’animo non disgiunta da una buona preparazione
culturale, perché al Parlamento non si va a fare una sfilata
ma si va a legiferare.
Vincenzo Soriente
Ἐν οἴνῳ αλήϑεια. en oinò aletèia
l’equivalente è “ in vino veritas”
Antropos in the world
IL RACCONTO DEL MESE:
NUNZIATINA
( II parte)
eBook di Franco Pastore - ISBN 9788868143053
La donna non rispose, abbassò lo sguardo verso il
fazzoletto che aveva in grembo e strinse tra le dita i
nodi del Rosario.
- Ma’, chi è stato! - chiese ancora il giovane‚
provando una pena profonda per le lacrime della
vecchia.
- Don Filipp'ò capurale... - rispose la donna, tutto
d'un fiato, come se avesse voluto liberarsi di un
grosso peso‚ ma perfet-tamente consapevole delle
conseguenze, che quella verità avrebbe avuto sul
figlio Felice. Il giovane, uscì dalla stanza senza dire
una parola‚ rimise la camicia, che aveva appena
tolto e stava per varcare la soglia di casa‚ quando il
grido disperato di sua madre‚ per un breve attimo, lo
bloccò:
- Fìgliu mio, nunn'ascì, statte ccà cu' mamma
toia! Felice, dopo un attimo di esitazione, sbatté la
porta dietro di sé e si addentrò nella campagna.
Rimasta sola, la povera donna si accasciò sulla
sedia:
- Gesù e Maria, mò che succede? – quella
accorata invo-cazione si trasformò in una preghiera
che accompagnò il lento scorrere del rosario, tra le
dita avvezze al duro lavoro dei campi.
Nell'altra stanza, Nunziatina, ripresasi, chiamò la
madre; la donna accorse, mentre il cane lanciava
lunghi ululati nella sera.
Felice‚ intanto‚ aveva raggiunto la casa del
cugino Gaetano. Fischiò tre volte‚ dal lato della
finestra sopra il pergolato e rimase in attesa.
Il cane, riconoscendolo, gli andò vicino, senza
abbaiare, ma il giovane lo allontanò bruscamente:
- Va via‚ disse‚ la selvaggina di questa battuta va
lasciata ai vermi!Dieci minuti dopo‚ Gaetano lo raggiunse. Si
allontanarono, dirigendosi verso il pozzo.
- Che succede, Felì! – gli chiese il giovane‚
senza na-scondere una certa apprensione.
- Succede che… - il giovane scoppiò in
singhiozzi ed afferrando il cugino per le spalle
aggiunse:
- 'Aimm'accìre chélla carogna! – (2)
__________
2) Dobbiamo uccidere quella belva.
- Chi?- chiedeva Gaetano, già in preda ad una
agitazione profonda;
- Don Filippo 'ò capurale ha sverginat'à Nunziatina, che sta murènne!Gaeta portò entrambe la mani al viso e, dopo un
lungo silenzio, disse:
- Calmate‚ giustizia sarà fatta, pàtreme ìsse l'ha accì s e! Si avviarono verso l'interno della campagna‚ per
decidere il giorno a l'ora della vendetta.
Quella notte fu tremenda per Felice: i gemiti della
sorella accrescevano in lui un furore mai provato
prima; la mamma vegliava la fanciulla senza concedersi un istante di riposo. Nei momenti in cui il
sonno distendeva i lineamenti della sventurata‚ la
dita scorrevano i nodi del Rosario‚ che accompagnava con penosi sussurri di preghiera. E venne
l'alba.
L'aria fresca del mattino avvolgeva la natura
ancora addormentata; piccoli voli incoraggiavano i
primi raggi del sole. Felice uscì sull'aia a si diresse
verso il pozzo. Il secchio venne su gocciolando
acqua limpida e fresca. V’immerse il viso, passando
la mano bagnata sul collo e sui capelli scomposti. Si
raddrizzò massaggiandosi il torace villoso e le
braccia pesanti. Prese il secchio e lo svuotò in
direzione del basso vigneto di uva fragola‚ ancora
acerba. Adagiò il secchio vuoto sul muretto del
pozzo e‚ con passi lenti‚ guadagnò l'uscio di casa.
Mamma Rita aveva acceso il focolare ed aveva
messo a bollire dell' acqua con delle piantine di
camomilla.
- Ma’‚ come sta Nunziatina? - chiese il giovane
sottovoce.
- Come deve stare, povera figlia mia! Sta
riposando
Giunse dalla carrara un lungo fischio: era Gaetano che chia-mava il cugino.
- Ciao mà! –
- Buon lavoro‚ figliu mio! –
Si recarono nei pressi della fontana‚ di fronte
alla terra di compare Picariello‚ lì avrebbero atteso
l'offerta di lavoro. Altri giovani aspettavano l'arrivo
del Caporale, con la speranza di guadagnare qualche
lira.
- 10 -
Antropos in the world
Il sole illuminava il bianco delle rade case‚ voli
di passeri, tra gli alberi dalle fronde immobili. Un
gregge s'arrampicava per la stretta mulattiera, che
portava su in collina ed un grosso cane da pastore
andava avanti ed indietro‚ guidando le bestie al
pascolo. Un rumore di zoccoli‚ avvertì gli uomini
che don Filippo stava arrivando. Gaetano strinse il
braccio del cugino per invitarlo alla calma. L'uomo
arrivò e‚ senza smontare da cavallo:
- Oggi c'è lavoro solo per due! Tu e tu‚ disse, indicando Felice ed il cugino‚ venite nel fondo di
compare Sabìa, che c'è da zappare Non ebbe il coraggio di guardarli in faccia, e non
perse tempo ad allontanarsi‚ scomparendo‚ subito
dopo‚ dietro il boschetto di salici. I due giovani si
avviarono.
Intanto, schiantata dal dolore, Nunziatina pose
fine alla sua vita, lanciandosi nel pozzo, al centro
dell’aia, tra la casa e la terra e le piante di
granturco. Sull'aia‚ tutto il paese attendeva che la
bara uscisse. Sebastiano guardava il pozzo‚ come
se l'anima di Nunziatina dovesse schizzare fuori da
un momento all'altro.
Gruppetti muti, soffrivano il caldo nei vestiti
pesanti, altri commentavano il dramma, sottovoce.
Dopo circa mezz'ora‚ dall'uscio spalancato‚ le
lucide sfaccettature della bara brilla-rono al sole.
Quattro uomini reggevano il feretro sulle spalle‚
con la tempia poggiata al legno lucido. La
commozione prese tutti. Felice seguiva subito dopo‚
col bavero della giacca alzato e la barba sul viso
stanco‚ tirato. Gaetano e l'amico Giuvanniello gli
stavano a lato‚ tenendolo sotto braccio. Cummare
Rita‚ tutta vestita di nero‚ veniva avanti urlando al
mondo intero il suo dolore :
- Figlia mia‚ t'hann'accisa! –
Il corpo le si piegava in due‚ nello sforzo di
superare la grande sciagura. Rosa ed Ersilia‚ le due
donne che avevano soccorso Nunziatina dopo li
stupro‚ le stavano accanto‚ reggendola in tutto il
suo peso. Il feretro si mosse lungo la "carrara". Il
pianto disperato la vecchia risuonò nella piana‚ con
i rintocchi della campana e gli ululati di Barone‚ il
cane di Nunziatina.
Sulla collina di "Spinazzo"‚ Don Filippo‚ dritto sul
cavallo‚ seguiva la scena e non provava altri
sentimenti, oltre la paura. Il sole‚ alle sua spalle‚
dava alla sua figura un non so che d’irreale e di
diabolico insieme. Felice‚ come attratto da una
forza irresistibile‚ guardò nella sua direzione e lo
scorse. Strinse gli occhi e mosse affermativamente
il capo‚ giurando‚ su quel feretro‚ che gli avrebbe
preso la vita.
Anche Gaetano guardò ed un unico sentimento lo unì
al cugino. Nella piana non si lavorò quel giorno.
Tutti avevano lasciato i campi‚ nelle prime ore del
mattino e nessun sorvegliante aveva avuto il coraggio
di intervenire. La ricchezza dei poveri è la solidarietà,
che unisce gli animi nella cattiva sorte. Tutti i
braccianti della "piana” avrebbero alzato volentieri la
zappa contro l'ingiustizia, perché ci sono limiti, oltre i
quali nessuno può andare: oltraggiare l'onore, quando
questo è l'unico bene posseduto‚ è un delitto che si
paga con la vita.
Don Filippo questo lo sapeva e se ne preoccupava,
nell'attesa impaziente di Micheluccio‚ un tirapiedi,
cui aveva dato l'incarico di vedere come stavano le
cose. Si udirono dei passi fuori casa, trasalì. Si
precipitò alla finestra e lo vide:
- Entra‚ fai presto! - gli intimò.
Il giovane entrò e, togliendosi il cappello:
- Brutto segno Don Filì‚ quando la gente non
parla, è peri-coloso avventurarsi nella piana -.
Il "caporale” si avvicinò alla finestra, fissò
l'orizzonte per un lungo instante e mille pensieri lo
assalirono, mentre il sole dipingeva di rosso il
tramonto. Poi‚ girandosi di scatto, disse:
- Sempre pècore sono! –
- Tieni cumpariè, bevi alla mia salute! –
Micheluccio vuotò in fretta il bicchiere di vino e si
congedò. Il caporale lo vide correre come se fuggisse
da un appestato.
- Schifosa carogna! –
L’insulto gli veniva dalla moglie, che ora vedeva in
pericolo il suo futuro e la sicurezza economica. Don
Filippo afferrò il fiasco ancora pieno e lo lanciò
contro la donna‚ che si scansò appena in tempo,
mentre il vino si sparse come una grossa macchia di
sangue, sulla parete bianca. Angelina scappò più per
superstizione‚ che per paura.
Intanto‚ nella casa di Felice‚ il silenzio era totale.
Donna Rita si riposava sul letto al posto della povera
figlia e‚ nella cucina‚ il giovane si intratteneva con
l'amico Giuvanniello ed il cugino Gaetano.
Il lume a petrolio‚ al centro del tavolo‚ illuminava
scarsamente l'ambiente; il cane‚ cucciato al lato della
sedia del padrone‚ emetteva strani mugolii.
Bussarono. Gaetano andò ad aprire; un ragazzino
scalzo gli porse un cesto di taralli ed un fiasco di
vino‚ la porta venne rinchiusa.
Nessuno aveva voglia di mangiare‚ l'immagine
della ragazza era ancora tra loro: l'avevano tirata su
dal pozzo‚ dove si era gettata con la forza della
disperazione. (continua)
- 11 -
Antropos in the world
DA TRAPANI
STAFFETTA LETTA – RENZI:
ECCO PERCHE’ TANTA FRETTA
Sono in molti ad interrogarsi sul perché “là dove si
puote” sia stata impressa una sì brusca accelerazione alle
cose italiane, al punto da liquidare il secondo governo di
Re Giorgio, da umiliare un uomo fidato come Lettanipote, e da far fare una pessima figura al successore
designato. Costui – Matteo Renzi – aveva a più riprese
dichiarato di voler andare al governo solo dopo una
democratica investitura elettorale, impegnandosi a sostenere il gabinetto in carica ed il suo Presidente: “Enrico,
stai sereno”. Ed invece… Contrordine, compagni, come
avrebbe detto Giovannino Guareschi. Con una differenza:
ai tempi di Guareschi il contrordine ai compagni poteva
venire soltanto dal Cremlino o da proconsoli oculatamente selezionati; adesso, invece, i nipotini degeneri
della “generazione Peppone” gli ordini li prendono dai
“mercati”. E i mercati danno una mano come possono:
facendo diminuire lo spread, per esempio, in modo da
dare l’impressione agli italiani che le mi-steriose ricette
del piccolo rottamatore fiorentino possano funzionare.
Non voglio ripetermi, ma rimando il lettore al mio
articolo su “Social” del 25 ottobre scorso: «Uno spread a
orologeria per premiare i governi amici».
Ma, torniamo a bomba: perché tanta fretta? Io non ho
certezze, né dispongo di fonti diverse da quelle di un
normale osservatore della realtà politica. Ma così, a naso,
una spiegazione me la sarei data. Secondo me, in questo
momento la preoccupazione principale dei “mercati”
riguarda le elezioni europee di maggio, ed il successo
clamoroso che – stando ai sondaggi – dovrebbe arridere
alle forze anti-europee un po’ in tutto il Continente,
esclusa la Germania e non tutti i paesi ex- comunisti in
cerca di fortuna. Si pensi – per fare qualche esempio – al
primo posto pronosticato in Francia per il Front National
di Marine Le Pen; in Grecia – altro caso eclatante – ai
primi due posti dovrebbero arrivare due partiti antieuropei, uno di estrema sinistra ed uno di estrema destra;
primo posto per la Destra antieuropea anche in due
nazioni dell’orbita tedesca, l’Austria e l’Olanda; primo
posto in Ungheria per il partito moderatamente euroscettico del presidente Orban e buona affermazione per il
nazionalista-populista Jobbik; e, ancora, in Inghilterra c’è
l’incognita del partito euroscettico di Nigel Farage, forte
già del 23% ottenuto alle elezioni ammi-nistrative
dell’anno scorso e che adesso tenta il grande balzo in
avanti. Immune dall’ondata antieuropea in Europa Occidentale rimarrebbe soltanto la Germania, ma relativamente: gli euroscettici di Alternative für Deutschland,
questa volta, dovrebbero superare ampiamente lo sbarramento percentuale e mandare una loro prima rappresentanza al Parlamento Europeo.
Ora, se questo è lo scenario complessivo – e lo è – non
c’è dubbio che il voto italiano potrebbe avere un peso
decisivo, da vero e proprio ago della bilancia. Ecco perché
– è il mio personalissimo punto di vista – il non più
credibile Enrico Letta è stato liquidato. Ed ecco perché, al
suo posto, è stato chiamato l’affabulatore toscano che una
parte dell’opinione pubblica italiana considera –
sbagliando – un innovatore.
La cosa importante – per i burocrati europei e per le
banche americane – è che il fronte italiano regga fino a
maggio, per contenere il prevedibile successo di populisti
ed euroscettici alle elezioni europee. Poi il Renzi potrà
anche apparire per quel che realmente è: il continuatore di
Mario Monti e di Enrico Letta, il terzo (e più simpatico)
garante di quegli “impegni con l’Europa” che stanno
uccidendo l’economia italiana.
Michele Rallo
__________
1) Da Social – Le opinioni eretiche di Rallo.
Villetta singola,disposta su una superficie di 500 mq,
composta da ampio salone con angolo cottura, due
camere, bagno, porticato, doccia esterna, pergolato ed
altro, a 300 metri dal mare, in località Campolon-go
(Eboli) – Cantattare la Direzione della Rivista
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Antropos in the world
PRIMA DELLA TENEBRA
MOMENTO TENERO
Accendeva il buio
dell’inverno
la morbida carezza
di un tuo bacio.
Quando, la memoria di te
mi seguiva sul cuscino
della notte,
per annunciarmi l’alba,
con l’essenza ascosa
dei tuoi segreti.
Lampi di desiderio
fermavano il tempo,
nell’attesa
che ti sciogliessi
in languido canto,
che cangiava in sogno
la gioia di vivere.
Or sei un’ombra
della mia solitudine,
l’ultimo velo,
prima della tenebra.
Prima della tenebra
di
Franco Pastore
________________
Dalla raccolta “OLTRE LE STELLE”
SECONDA EDIZIONE DEL PREMIO DI POESIA RELIGIOSA “MATER DEI”
E’ bandito dalla Rivista “Antropos in the
world”, in collaborazione con la “ Chiesa Madre
SS.Corpo di Cristo, e la Fondazione Carminello
ad Arco
Possono partecipare poeti ovunque residenti e
di qualunque nazionalità, con una lirica dedicata
alla Vergine Maria. La quota di partecipazione è
di € 10,00, che dà diritto a ricevere la rivista per
un anno.
Sono ammessi a partecipare, per la prima volta, gli alunni della Scuola Elementare, che dovranno inviare un breve componimento in poesia
o anche in prosa, purché nessun adulto vi abbia
messo mano.
La partecipazione dei bambini è gratuita. Inviare i lavori alla Direzione di Antropos in the
world, via Posidonia,171/h – 84128 Salerno,
entro il 30 aprile 2014.
La Commissione è formata da:
Prof. Pastore Rosa Maria, dirett.ce di A. I. T. W.
dott. Flaviano Calenda, Pres. Carminello ad Arco
dott. Renato Nicodemo, mariologo
dott. Franco Pastore, scrittore.
Geom. Carlo D’Acunzo, giorn. redatt. di Angri
Tra i concorrenti saranno scelti tre vincitori,
mentre saranno dati tre diplomi di merito a coloro che si sono comunque distinti nella stesura
dell’elaborato.
A tutti i fanciulli delle scuole elementari partecipanti, sarà consegnato un attestato di partecipazione. Le poesie premiate figureranno sul giornale di luglio.
Successivamente sarà comunicata la sede
della manifestazione che si terrà presumibilmente a fine giugno.
Info: [email protected]
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Antropos in the world
LA DONNA NELLA STORIA
LADY DIANA SPENSER
A cura di Marco de Boris
Lady Diana Frances Spencer era nata il 1° luglio
del 1961 a Sandringham, nel Norfolk (Inghilterra
orientale), quarta figlia del visconte e della viscontessa
Althorpe, una delle famiglie nobili più antiche e
abbienti di Gran Bretagna, imparentata con la Famiglia
Reale. Era una bambina allegra ma molto timida, e
sicuramente la separazione dei genitori, avvenuta
quando aveva solo sette anni, fu per la piccola
piuttosto traumatica. Tuttavia, la sua vita procedette
tranquilla durante l’adolescenza e i suoi studi la
portarono a diplomarsi in qualità di maestra d’asilo,
dato che fin da giovanissima aveva sempre manifestato una spiccata predilezione per i bambini.
Fu proprio quando cominciò a lavorare presso la
Young England School di Londra, in qualità di
puericultrice, che Diana conobbe il principe Carlo, che
a quei tempi frequentava più o meno ufficialmente la
sorella di lei Sarah. In realtà, come ora ben sappiamo,
l’allora quasi trentenne Carlo era già legato a quella
che ora è diventata la sua seconda moglie, Camilla
Parker Bowles. In ogni modo, le cronache raccontano
che durante una battuta di caccia il principe e la bella
Diana si conobbero, e lei si innamorò. La regina
Elisabetta, a conoscenza della liaison segreta del
figlio e per nulla contenta di ciò, vide subito di buon
occhio una eventuale unione con la giovanissima
Diana, perfetta, anche per via del suo sangue blu, per
diventare la consorte di un futuro re. Il 24 febbraio
1981 fu così annunciato il fidanzamento ufficiale dei
due.
Le nozze di Lady D con il principe Carlo, celebrate
il 29 luglio 1981, furono un evento mediatico straordinario, quasi un miliardo di telespettatori seguì la
cerimonia in diretta tv, e tutti, nessuno escluso,
pensarono che fosse solo l’inizio di una bellissima
fiaba. La nascita, a breve distanza, dei principini
William e Harry contribuì a rafforzare questa convinzione. Peccato che le cose non stessero esattamente
così come le apparenze mostravano. Con gli anni, la
bella Diana, pur continuando a ricoprire impeccabilmente il ruolo di principessa e consorte, divenne
sempre più evanescente, triste il suo sguardo, insofferente il suo atteggiamento. Era la crisi.
Carlo aveva ripreso la sua storica relazione con
l’amore di sempre Camilla, trascurando la bella
moglie, che cominciò a consolarsi con qualche fugace
relazione extraconiugale di poca importanza. Ma
quando la misura fu colma, quando l’umiliazione
pubblica seguita alla
pubblicazione di alcune telefonate piccanti tra Carlo e Camilla raggiunse l’apice, Diana si riscosse
e chiese (e ottenne) il
divorzio , che divenne formale nel 1996.
Fu uno scandalo per
la famiglia reale, tanto che la regina Elisabetta non riuscì mai
perdonare l’ex nuora
per aver creato quell’increscioso precedente.
Diana, però, risorse. Divenne sempre più attiva sul
fronte umanitario e della beneficenza, collaborando per lo
smantellamento delle mine anti uomo, per la lotta
all’AIDS, conobbe e divenne amica di Madre Teresa di
Calcutta, morta a pochi giorni di distanza dalla principessa.
Si legò al discusso Dodi Al Fayed, e fu proprio l’incredibile pressione del gossip, la continua e molesta
presenza dei paparazzi a spingere Diana e Dodi a tutto gas
in quel tunnel mortale. La colpa, si disse allora, fu dei
servizi segreti, un complotto della famiglia reale per far
fuori quella donna scomoda, ma alla fine il vero e unico
colpevole fu dichiarato essere l’autista che quella notte si
schiantò (sotto gli effetti dell’alcool, pare) contro un
pilastro del tunnel dell’Alma. Così calò il sipario su Lady
D, la principessa triste. E noi, 15 anni esatti dopo, lo
riapriamo per rendere il giusto tributo alla sua memoria.
Il 31 agosto 2012 non è solo una data come un’altra, un
anonimo giorno di fine estate.
Lady D periva tragicamente, a soli 36 anni, proprio 15
anni fa esatti, a causa di un incidente mortale nel tunnel
dell’Alma, a Parigi.
Si trovava in compagnia dell’uomo che era riuscita a
farla di nuovo sorridere dopo le vicende legate al
traumatico divorzio dal principe Carlo, Dodi al Fayed,
figlio del magnate arabo Mohamed, proprietario del grandi
magazzini Harrod’s. La notizia giunse come un fulmine a
ciel sereno nella luminosa mattina del 31 agosto 1997,
mentre tanti di noi erano intenti a gustarsi la prima
colazione con uno sguardo distratto alle news del tg,
lasciandoci sgomenti e sbigottiti. Increduli.
- 14 -
Antropos in the world
IMMAGINI D’UN ALTRO TEMPO –
IL PIANINO
Le melodie che poeti e musicisti dedicavano a Napoli
venivano proposte "dai venditori di musica" che
giravano con i pianini per le strade della città. I
motivi venivano riproposti dai po-steggiatori, nei
caffè e nei ristoranti, ai turisti.
Nasceva così una popolarità che portava la
canzone in tutto il mondo.
Quando di lontano senti un suono soave che si
spande per le vie e i vicoli della contrada e ti porta le
più sublimi e dolci cantilene, questo è il pianino.
Poche parole per restituirci l'immagine di vecchie
foto e di oleografici dipinti della Napoli ottocentesca, con lo sfondo del Golfo e l'immancabile,
traballante carretto su cui è issato l'organino di
Barberia, popolarescamente chia-mato "pianino".
Trainato da un cavallo o spinto dallo stesso
suonatore, era il "veicolo" della canzone napole-tana.
Il suo transitare, al pari del lattaio, del pescivendolo,
dell'acquaiolo, scandiva lo scorrere della vita di
quella folcloristica Napoli.
Richiamata dal suono - prodotto dai piccoli chiodi
che ruotavano movendo le corde - si affollava intorno
gente che acquistava le copielle e si univa nel canto
mentre altri si rifornivano di questi fogli con i testi
delle canzoni facendo scendere dalle finestre i cestini
di vimini usati per ritirare la spesa. Il pianino portava
la canzone nelle case e nel cuore, la faceva conoscere, la proponeva come "souvenir" ai turisti che
venivano da tutto il mondo.
Napoli divenne, così, la capitale degli organini e
il suonatore non fui mai considerato "questuante, ma
"venditore" di musica. Era tenuto in massima stima
da autori ed editori, grati per la prezio-sissima
collaborazione divulgativa.
Assolta con gli anni la sua funzione (che passava
successivamente alle ribalte del café-chantant, al
disco, alla radio e alla televisione), il "pianino di
Napoli" è entrato nel Museo, pronto a riproporre, con
le sue martellanti note, le più belle canzoni come se
Carluccio Pontirossi 'o calamaio, o Ciro Pantolese lo
portassero ancora per le vie e i vicoli della contrada.
Il pianola cilindro: sotto il pomposo nome questo
strumento tipico italiano è stato poco conosciuto; da
regione a regione prendeva il nome di organetto di
Barberia, verticale, organo, viola, pianino, eccetera...
Rallegrava i giri delle giostre spinte a mano, gli
intervalli nelle sale cinematografiche, si tro-vava
nelle sale da ballo, nei ristoranti ed osterie, nei locali
pubblici e soprattutto per strada, su un carrettino
- 15 -
spinto dal suonatore ambulante o trainato da un
somarello.
In effetti, Già Platone, tre secoli prima di Cristo,
aveva avuto l'idea di costruire un orologio a flauti
perché segnasse acusticamente le ore di notte. Non
sappiamo se questo orologio sia stato costruito, ma
certo esso doveva contenere alcuni elementi che
sarebbero stati più tardi utilizzati nell' automazione
dell'organo. Esso avrebbe dovuto funzionare press' a
poco come i moderni orologi a cucù; l'unico meccanismo, per così dire programmatore, era quello che
doveva azionare i flauti ad un'ora determinata.
Molto probabilmente i greci e i romani non proseguirono oltre su questa via e non pensarono a
riprodurre automaticamente delle opere musicali per
due ragioni: innanzitutto perché la loro musica era
estremamente semplice e poi perché presso i romani
i musicisti (come quasi tutte le persone che sapevano fare qualche cosa) erano generalmente degli
schiavi. Le esigenze dei forti e liberi maestri artigiani dell’Umanesimo erano al contrario ben differenti. Si può dire che l'invenzione dell'organo meccanico fu anche prodotto da questa ansia di libertà,
di potere sulla natura e di conoscenza.
Antropos in the worldc
PROVERBI E MODI DI DIRE - OVVERO ELEMENTI DI PAREMIOLOGIA
1.
2.
3.
4.
5.
A nemico ca fùie ponti d’oro
E’ sfuttuti pure mparaviso vanno
Aiutati che Dio t’ aiuta
Ogni scarrafone1 è bello a mamma soa
Chi compra sprezza e chi accàtta apprezza
Implicanze semantiche:
Esplicatio: In effetti, se un nemigo fugge, bisogna agevolargli la fuga, mentre in paradiso vanno coloro che
sulla terra sono emarginati. Al di la di tutto, occorre
sempre darsi da fare per i nostri obiettivi. Le mamme
vogliono bene a tutti i figli, soprattutto quelli più brutti e
sfortunati. Negli acquisti si cerca sempre di svilire cio che
si compra, per risparmiare, allo stesso modo che chi
vende aumenta il valore di ciò che offre.
Riflessio: Il trovare la corrispondenza nella lingua
latina e greca dei nostri proverbi ( ad esempio:
qua fugiunt hostes, via munienda est = a nemico
che fugge ponti d’oro), la dice lunga sulla vetustà
degli stessi e sulla loro tradizione più antica.
Fuie: da fujere, fuggire.Dal latino
fugio- is-fugere, con caduta
di g e suono di transizione j.
Sirica Dora
Sfuttùte: insultare. Da s intensiva
+ fottere, dal latino futūere
Fraseologia: Chi sfotte rimane sfuttute.
Antropologia: Sfòttere è legato a fòttere, compiere un atto sessuale. Cio per evidenziare
il piacere che si può ricavare dall’uso aggressivo della parola. Ovviamente è che
sfotte che svolge il ruolo attivo, mentre la
“vittima”, il ricevente ha un ruolo passivo.
I modi sono tanti: da quello scherzoso, a
quello cattivo, che lascia il segno, a quello
distruttore della personalità del nemico,che
si intende distruggere con la parola.
Rocco Normanno: Sincretismo contemporaneo
A cura di Teobaldo Fortunato
La mostra dell’artista pugliese Rocco Normanno, “Sincretismo Contemporaneo”, a Cava de’ Tirreni nasce da una
felice intuizione di Massimo Bisogno. L’esposizione di
Normanno costituisce un ulteriore importante tassello
nell’attività di promozione dell’arte perseguita da Bisogno
già da diversi anni. Il percorso espositivo ideato si articola
attraverso una duplicità di punti di vista che prevedono la
riproposizione di una sacralità di classica progenie fino ad
esiti neotestamentari dai risvolti figurativi attualissimi. Le
figure scelte da Rocco Normanno attingono spesso ad un
repertorio consolidato nella storia dell’arte occidentale e se
in apparenza sembrano rimandare a risvolti formali e
tecnicismi manieristici dei maestri del XVI secolo, i santi
e gli dei si accampano nello spazio pittorico e nel locus
prescelto con pose assolutamente inattese ed improvvise. È
la ritualità quotidiana, in alcune opere di Normanno a
prendere il sopravvento, come nel caso di Marte o Mercurio
a riposo, Giano bifronte o il dubbioso Narciso che cerca se
stesso riflesso in uno specchio convesso di eyckiana
memoria. Nonostante tutti i volti si configurino con
iperrealistici lineamenti e non prelevati tout court, da uno
stanco repertorio accademico, il tratto contemporaneo si
palesa in un sincretismo di remote, quasi ancestrali
ascendenze mediterranee. Un filo continuo e di colto
spessore accomuna gli interpreti ai personaggi che sono
disposti sulla tela secondo uno schema iconografico
incisivo e volutamente marcato: Eva e Salomè, le uniche
donne del nostro percorso, prescelte tra le tante nella lunga
serie di dipinti approntati dall’artista negli ultimissimi anni,
sono antitetiche e ieratiche al contempo: distanti nel rac-
- 16 -
conto biblico, immortali ed assimilate alle divinità d’un
paganesimo mai fugato del tutto nella cultura dell’antichità. Rievocate spesso nell’immaginario d’ogni corrente
artistica d’Europa, nelle mani di Normanno assumono una
plasticità scultorea ancorché pittorica di sicura e fortissima presa emozionale; il punto di vista è prospettico ed
assiale. Entrambe sono illuminate da una luce sinistra e
drammatica che rende spettrale la scena, presaga di
imminenti, inquietanti tragedie umane. Per San Girolamo e San Matteo, l’artista che ha scelto la Toscana quale
terra elettiva, ha posto l’accento sui volti e non sulla gestualità, percorrendo le strade maestre d’una consumata
traditio d’arte italica, abusata forse, ma di grande spessore. Talora, nel modus pingendi Rocco Normanno è lezioso
e raffinato quanto basta a lasciare i fruitori spiazzati
dinanzi all’assenza di apparenti moti dell’animo. Negli
sguardi che oltrepassano l’orizzonte fuori dal contesto del
dipinto, si cela una scoperta rassegnazione: è l’atto di
rinuncia e la consapevolezza del proprio destino nel San
Sebastiano carnale ed impassibile. Il pathos finale è raggiunto nella teatralità di Tizio, effigiato in quella nudità
che il mito riservava agli dei ed agli eroi. La tracotanza
del gigante è immortalata nel momento precedente all’eterno supplizio a cui fu sottoposto nello spettrale sincretico Tartaro.
Ὁ μὲν βίος βϱαχύς, ἡ δὲ τέχνη μαϰϱά.
La vita è breve, l’arte lunga -Ippocrate di Cos.
Antropos in the world
LA PAGINA MEDICA: a cura di Andropos
Che significa: « Ho una macchia nei polmoni? »
Il nodulo polmonare è per definizione un'anomalia
radiologica che può essere riscontrata anche occasionalmente in un soggetto senza alcun sintomo.
La radiografia del torace standard evidenzia una "macchia sul polmone" o per usare un linguaggio più medico un
addensamento polmonare di tipo rotondeggiante. Tipicamente si definisce nodulo polmonare una opacità radiologica di tipo sferico che può misurare fino a 30 millimetri
di diametro. Si tratta di un reperto anomalo rispetto alla
normale anatomia radiologica polmonare che può avere
diversi significati e natura (infiammatorio, infettivo,
tumorale, ecc.). Nella pratica clinica i noduli polmonari non
sono una rarità, e anzi sono estremamente comuni nell'attività quotidiana di un Centro specialistico Pneumologico.
Infatti si riscontra un nodulo polmonare circa ogni 500
radiografie toraciche effettuate. Ciò nonostante anche per
un Centro specialistico i noduli polmonari possono rappresentare una sfida clinica continua, specialmente i noduli
più piccoli di dimensioni inferiori al centimetro. Comunque, l’identificazione di un nodulo polmonare maligno
solitario è molto importante perché può rappresentare una
forma potenzialmente curabile di cancro polmonare.
Per spiegare meglio i concetto a chi non è esperto di
anatomia radiologica, occorre sapere che il polmone ha una
struttura molto sottile e normalmente è ripieno di aria che
alla radiografia risulta di colore nero.
Tutto quello che non è aria ha un aspetto bianco più o
meno marcato alla radiografia secondo la densità del tessuto. Quindi la presenza di una "macchia" bianca sul polmone
dove dovrebbe esserci solo il nero dell'aria richiama
l'attenzione del radiologo e Radiografia standard del Torace
normale del medico in generale perché potrebbe essere
segno di una patologia polmonare.
Il classico nodulo polmonare è una singola opacità sferica
ben circoscritta e completamente circondato da polmone
normalmente ripieno di aria e non associato a versamento
pleurico (liquido nel cavo pleurico), o a ingrandimento dei
linfonodi all’ilo polmonare o ad atelettasia polmonare
(zona di polmone collassata per mancanza di aria). ll
nodulo polmonare nel 90% dei casi è un riscontro
occasionale. Si possono distinguere noduli subcentimetrici,
cioè di diametro inferiore al centimetro, rispetto a noduli di
dimensioni maggiori perchè i noduli più piccoli di 8
millimetri sono più raramente di natura maligna. Noduli di
dimensioni maggiori ai 30 millimetri di diametro vanno
definiti come masse polmonari e in prima ipotesi devono
essere considerate di natura maligna Sia la radiografia
standard che la TAC possono evidenziare noduli polmonari, ma la caratterizzazione del nodulo è differente.
La radiografia toracica permette la visualizzazione di
noduli polmonari che hanno un diametro di almeno 1-2
centimetri, mostrando un’immagine in due dimensioni e
quindi “appiattita”.
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La TAC (tomografia assiale computerizzata) definisce meglio la forma (o morfologia) del nodulo rispetto
alla radiografia convenzionale, infatti la TAC consente
di vedere i noduli in tre dimensioni e di ricostruirne la
forma con una grande accuratezza. Le TAC più recenti
possono ricostruire anche l’aspetto volumetrico del
nodulo, calcolando con più precisione se vi è una
crescita del nodulo a distanza di tempo. I noduli polmonari possono essere o di natura benigna o di natura
maligna (in questo secondo caso si tratta di tumori
maligni).
Occorre però rimarcare che solo una minoranza dei
noduli polmonari risultano al termine degli accertamenti diagnostici di natura neoplastica maligna: come
i carcinomi broncogeni o polmonari, i linfomi, le
metastasi polmonari di tumori a partenza da altre sedi
anatomiche (es. mammella, osso, colon, ecc.). I noduli
polmonari legati a cause benigne possono essere dovuti
ad esiti fibrotici (cioè cicatrici) di processi infiammatori
pregressi (es. broncopolmoniti), a granulomi (come
nella sarcoidosi), a infezioni di varia natura, a malformazioni (es. amartomi).
La diagnosi differenziale può essere orientata, oltre
che dalle caratteristiche radiologiche del nodulo, anche
da un’attenta valutazione clinica specialistica che ponga
l’indicazione ad eventuali ulteriori accertamenti. I
noduli polmonari si caratterizzano oltre che per le
dimensioni, anche in base al numero e alla densità. Il
termine nodulo solitario deve essere utilizzato solo
quando è singolo e non accompagnato da altri noduli o
altre alterazioni radiologiche. Poiché le cause di un
nodulo polmonare solitario possono essere le più
diverse è necessario orientare l’approccio diagnostico
in modo che pazienti con noduli sospetti benigni non
vengano sottoposti a rischi chirurgici inutili, mentre
soggetti portatori di noduli sospetti maligni non dovrebbero procrastinare l’approccio chirurgico curativo.
La tabella sottostante riassume in modo sintetico le
principali diagnosi differenziali del nodulo polmonare.
 TUMORE PRIMITIVO
 METASTASI SOLITARIA
 NODULO INFIAMMATORIO
 NODULO VASCOLARE
 TRAUMATICO
 CONGENITO
 ARTRITE REUMATOIDE
 SARCOIDOSI
 GRANULOMA A PLASMACELLULE
 EMORRAGIA ALVEOLARE CIRCOSCRITTA
 ESITO FIBROTICO-CICATRIZIALE
_______________
Struttura Complessa PNEUMOLOGIA - Direttore:
dott. Marco Confalonieri - Tel: 040 – 399 4665;
e-mail: [email protected]
Antropos in the world
I GRANDI PENSATORI: a cura di Andropos
Sri Aurobindo
Nacque a Calcutta, il 15 agosto 1872, dal
dottor Krishnadan Ghose (medico condotto)
e da Swarmalata Bose. I primi anni li trascorse a Rangpur, nel Bengala orientale; nel
1877 studia presso la Loretto School a Darjeeling. Nel 1879 il padre, per sottrarlo all'influenza della cultura e della religione indiana,
lo invia in Inghilterra insieme a due dei suoi fratelli. Pur vivendo in grande povertà a Manchester, ospite della
famiglia Drewett, compie studi classici, e, nel 1884,viene
ammesso alla St. Paul's School di Londra. Comincia a comporre i
suoi primi poemi, alcuni dei quali vengono pubblicati su una
rivista della scuola. Venuti meno i magri sussidi del padre,
sopravvive con le borse di studio che riesce ad ottenere
soprattutto per la straordinaria abilità nella versificazione
greca e latina, e deve mantenere anche i fratelli. Nel 1890 si
trasferisce a Cambridge, dove viene ammesso nel presti-gioso King's College e alla Indian Civil Service, la scuola di
formazione degli ammini-stratori indiani. Qui si unisce a
un'associazione studentesca la Indian Majlis. Per via dei discorsi
rivoluzionari il suo nome viene iscritto nella lista nera della
polizia politica inglese.
Nell'agosto del 1892 supera il primo esame dell'Indian Civil
Service. In ottobre torna a Londra e si iscrive a una società segreta chiamata 'Lotus and Dagger', nata con l'intento di fa-vorire
la liberazione dell'India dal giogo britannico. A novem-bre dello
stesso anno, dopo aver superato tutti gli esami, non viene
ammesso all'Indian Civil Service per essersi rifiutato di sostenere
la prova di equitazione. Così rientra in India e ottie-ne un incarico
presso il Maharaja di Baroda.
Durante i quattordici anni di soggiorno in Inghilterra Sri Aurobindo acquisisce una vasta conoscenza della cultura euro-pea
antica, medioevale e moderna. Profondo conoscitore del greco e
del latino, impara il francese e l'italiano, il tedesco e lospagnolo,
tanto da poter leggere in originale Dante, Goethe e Cervantes.
Arrivato in India nel 1893, diventa segretario particolare del
Maharaja dello Stato di Baroda, poi Ministro dell'Educazione e
docente di lingue presso l'Università di Stato, dove diventa presto
Vicerettore. Comincia a interessarsi e a studiare la condizione
economica e sociale dell'India, allo scopo di verificare le possibilità di una rivolta contro gli inglesi. Per questo scopo si incontra
segretamente con i maggiori capi nazionalisti dell'epoca. Fin dal
1893 scrive alcuni articoli sul quotidiano Indu Prakash, denunciando la "politica di accattonaggio" del Partito del Congresso.
Il giornale viene minacciato di sequestro ed è costretto a rinunciare alla sua collaborazione. Intanto va approfondendo le
letterature e le lingue indiane, apprende il sanscrito e il bengali,
continuando a dedicarsi alla poesia. La sua prima raccolta di
versi, Songs to Myrtilla, viene pubblicata nel 1895, seguita dal
poemetto Urvasi. Nel 1899, scrive il poema Love and Death,
considerata la più importante delle sue composizioni liriche
giovanili. Nel 1901 sposa Mrinalini Bose. Nei primi anni del
secolo XX scrive la commedia The Viziers of Bassora. Nel
1905 viene nominato Rettore dell'Università di Baroda. Si dimette dalla carica in seguito alla spartizione del Bengala in due stati
operata dagl'inglesi e si trasferisce a Calcutta, deciso a lanciarsi
apertamente nella lotta rivoluzionaria. Partecipa attivamente alla
lotta politica in Bengala dal 1906 al 1910, elaborando un pro-
gramma rivoluzionario basato su quattro punti che lui stesso così
riassunse: 1) risvegliare l'India all'idea dell'indipendenza; 2)
suscitare nei connazionali uno stato permanente di rivolta; 3)
trasformare le imbelli rivendicazioni del Partito del Congresso in
un movimento che si proponga l'indipendenza completa del
Paese dalla Gran Bretagna; 4) preparare l'insurrezione armata.
Nell'agosto del 1906 fonda il quotidiano politico Bande
Mataram, di cui sarà il più importante editorialista e redattore.
Lo stesso mese viene aperta la prima Università nazionalista, di
cui Sri Aurobindo diventa il Rettore. Tra l'ottobre e il dicembre
dello stesso anno assume la leadership del Partito nazionalista
del Bengala. Il 7 luglio 1907 viene denunciato per diffamazione
e arrestato. Il Viceré dell'India dichiara di considerarlo «l'uomo
più pericoloso con il quale abbia-mo a che fare». E tuttavia i
suoi articoli sono redatti in modo da apparire inattaccabili anche
dalla censura inglese e il governo di Sua Maestà è costretto a
rilasciarlo, in quanto «i fatti non sussistono». Sri Aurobindo è
ormai considerato il leader indiscusso del movimento rivoluzionario indiano. A Pondicherry andrà prendendo forma quello che
Sri Aurobindo stesso definisce il suo "vero lavoro", che verrà
portato a compimento grazie all'aiuto della sua compagna spirituale, Mirra Alfassa, che verrà chiamata semplicemente Mère, la
Madre. Tuttavia, ancora per molti anni, Sri Aurobindo non trascura la sua attività poetica, letteraria e filosofica, compilando
da solo per sei anni (dal 1914 al 1920) la rivista Arya, nella
quale andrà elaborando le sue maggiori opere in prosa: La vita
divina, La sintesi degli Yoga, Il ciclo umano, L'ideale dell'unità
umana, i Saggi sulla Gïtã, Il segreto dei Veda, oltre a studi
di linguistica comparata e a numerosi altri saggi di filosofia,
di critica poetica e letteraria: circa cinquemila pagine in sei anni.
In queste opere Sri Aurobindo illustra la propria visione del
mondo e dell'evoluzione, creando quella che Romain Rolland definiva «la più vasta sintesi mai realizzata tra il genio
dell'Asia e il genio dell'Europa». Mentre Aldous Huxley parlerà
di Sri Aurobindo come del «Platone delle gene-razioni future».
E tuttavia Sri Aurobindo diceva "in confidenza" ad alcuni suoi
discepoli: «mai e poi mai sono stato un filosofo, benché abbia
scritto di filosofia: ma questa è un'altra storia. Prima di praticare
lo yoga... sapevo pochissimo di filosofia; ero poeta e mi occupavo di politica, non certo di filosofia. Nel 1914 un intellettuale
francese mi aveva proposto di collaborare a una rivista filosofica, e dato che la mia teoria era che uno yogi deve riuscire a
fare qualsiasi cosa, non avevo argomenti per rifiutare; poi lui fu
richiamato in guerra e mi lasciò con 64 pagine di filosofia da
riempire ogni mese, tutte da solo! L'ho potuto fare perché mi
bastava trasporre in termini intellettuali ciò che avevo osservato
e appreso un giorno dopo l'altro nella pratica dello yoga: ed ecco
che la filosofia nasceva automaticamente. l 24 novem-
bre 1926 Sri Aurobindo decide di ritirarsi nella sua stanza,
dalla quale non uscirà mai più, fino alla morte, il 5 dicembre
del 1950. Il ritiro era necessario per potersi concentrare più
intensamente in quello che egli considerava il suo vero lavoro: «Non è contro il governo britannico che ora devo battermi, questo chiunque può farlo, ma contro l'intera Natura universale!». Da quel momento egli si circonda di quella riservatezza che doveva caratterizzare l'intera esistenza trascorsa
a Pondicherry. «La mia vita non si è svolta in superficie, affinché gli uomini la possano vedere».
- 18 -
Antropos in the world
UNA DONNA NELLA LETTERATURA – A cura di Andropos
BEATRICE
La tradizione che identifica Bice di Folco Portinari con la Beatrice amata da Dante è ormai molto
radicata. Lo stesso Giovanni Boccaccio, nel commento alla Divina Commedia, fa esplicitamente riferimento alla giovane.
I documenti certi sulla sua vita sono sempre stati
molto scarsi, arrivando a far persino dubitare della
sua reale esistenza. L'unico che si conoscesse fino a
poco tempo fa era il testamento di Folco Portinaridatato 1287. Vi si legge: ...item d. Bici filie sue et
uxoris d. Simonis del Bardis reliquite [...], lib.50 ad
floren, cioè si parla di una lascito in denaro alla figlia
Bice maritata a Simone de' Bardi. Folco Portinari era
stato un banchiere molto ricco e in vista nella sua
città, nato a Portico di Romagna.
Trasferitosi a Firenze, viveva in una casa vicina a
Dante ed ebbe sei figlie. Folco ebbe il merito di
fondare quello che tutt'oggi è il principale ospedale
nel centro cittadino, quello di Santa Maria Nuova.
La data di nascita di Beatrice è stata ricavata per
analogia con quella presunta di Dante (coetanea o di
un anno più piccola del poeta, che si crede nato
nel 1265); la data di morte è ricavata dalla Vita
Nuovadi Dante stesso e forse non è altro che una data
simbolica. Anche molte delle notizie biografiche
provengono unicamente dalla Vita Nuova, come
l'unico incontro con Dante, il saluto, il fatto che i due
non si scambiarono mai parola, ecc.
Beatrice, figlia di un banchiere, si era imparentata
con un'altra famiglia di grandi banchieri, i Bardi,
andando in sposa ancora giovanissima, appena
adolescente, a Simone, detto Mone. È recentissimo il
ritrovamento di nuovi documenti nell'archivio Bardi
su Beatrice e suo marito da parte dello studioso
Domenico Savini[1]. Tra questi un atto notarile
del 1280, dove Mone de' Bardi cede alcuni terreni a
suo fratello Cecchino con il beneplacito della moglie
Bice, che all'epoca doveva avere circa quindici anni.
Un secondo documento del 1313, quando cioè
Beatrice doveva essere già morta, cita il matrimonio
tra una figlia di Simone, Francesca, e Francesco di
Pierozzo Strozzi per intercessione dello zio Cecchino, ma non è specificato se la madre fosse stata
Beatrice o la seconda moglie di Simone, Bilia
(Sibilla) di Puccio Deciaioli. Altri figli conosciuti di
Simone sono Bartolo e Gemma, la quale venne
maritata a un Baroncelli. Un'ipotesi plausibile è che
Beatrice sia morta così giovane forse al primo parto
Beatrice è la prima donna a lasciare una traccia
indelebile nella nascente letteratura italiana, nonostante analoghe figure femminili siano presenti anche
nei componimenti di Guido Guinizzelli e Guido Cavalcanti, anche se non con l'incisività del personaggio dantesco.
A Beatrice è dedicata la Vita Nuova, dove il poeta
raccoglie entro una struttura in prosa una serie di
componimenti poetici scritti negli anni precedenti.
Secondo la Vita Nuova Beatrice fu vista da Dante per
la prima volta quando aveva 9 anni e i due si conobbero quando lui aveva diciotto anni. Andata in sposa
al banchiere Simone dei Bardi nel 1287, si crede
anche che si sia spenta nel 1290, a soli 24 anni.
Quando morì, Dante, disperato, studiò la filosofia e si rifugiò nella lettura di testi latini, scritti da
uomini che, come lui, avevano perso una persona
amata. La fine della sua crisi coincise con la composizione della Vita Nuova (intesa come "rinascita").
Nella Divina Commedia Beatrice subisce un
processo di spiritualizzazione e viene riconosciuta
come creatura angelica. Ella rappresenta la Fede, che
accompagna il pellegrino nel Paradiso.
I riferimenti alla fanciulla Beatrice che Dante, nella Vita Nova, narra di avere incontrato, a nove anni
poi a diciotto, sembrano costruiti per risultare pienamente convincenti come episodi biografici.
Una luce diversa su Beatrice come figura di creazione Dantesca può arrivare dalla lettura del Canto di
un poeta provenzale vissuto, prevalentemente in
Italia, circa un secolo prima di Dante: Raimbaut de
Vaqueiras: « Tant gent comensa, / Part totas gensa,/
Na Beatritz, e pren creissensa / Vostra valensa;[…].
Ai tempi del liceo, Beatrice assumeva, nell’immaginario di noi giovani, particolari caratteristiche di
seduzione, percui la gentilezza e la piacenza avevano
il colore rosso della passionalità giovanile, con risvolti che avrebbero fatto arrossire il buon Dante.
Infatti, la vedevamo diversamente da come era stata:
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Antropos in the world
QUANTI L’AVEVANO CAPITO?
Cottarelli e le ricette “greche” del Fondo Monetario Internaz.le
Di Michele Rallo
In pochissimi, fino alla settimana scorsa,
conoscevano il nome di Carlo Cottarelli, l’uomo
designato da Letta (ed ereditato da Renzi) per
compilare la famosa spending review, cioè l’elenco dei risparmi da realizzare per mantenere gli
“impegni con l’Europa”; risparmi – aggiungo – sui
quali il nuovo inquilino di Palazzo Chigi diceva di
fare affidamento anche per recuperare “risorse” da
utilizzare per lo “sviluppo”. Parole in libertà, come
dicevano i futuristi.
Ed in pochissimi – ne sono convinto – si sono
scomodati a gettare uno sguardo sulle famose
“Proposte per una revisione della spesa pubblica
(2014-2016)” che il Commissario Straordinario
per la Revisione della Spesa ha scodellato sulla
scrivania del Premier. Chi scrive si è invece preso
questa bri-ga, convinto di dover sobbarcarsi ad una
immane fatica.Immaginavo di dover consultare
volumoni zeppi di analisi, dati, cifre e dotte
disquisizioni macroeconomiche… Se non altro per
giustificare il mare di soldi che le suddette “Proposte” sono costate al contribuente italiano. «La
retribuzione lorda annua concordata per il lavoro
del Commissario – leggo su “Il Sole 24 Ore” – è
pari a 258.000 euro.» Dividendo questa spesa per
i 365 giorni dell’anno si ha una cifra di “soli” 707
euro al dì, inclusi sabati, domeniche e feste comandate: più o meno il netto di un mese al centralino di un call center. Mi aspettavo di dover restare sommerso dalle carte – dicevo – e, invece, quale
non è stata la mia sorpresa nel trovarmi di fronte
ad un fascicoletto di 72 pagine in formato orizzontale (diconsi settantadue pagine, copertina compresa), tutti riempiti con grafici, tabelle riassuntive o
con poche righe redatte in forma didascalica ed a
caratteri di ragguardevoli dimensioni, come fanno
gli studenti per riempire i fogli delle tesine alle
scuole medie.
Ma – si sa – la scienza non si misura a metri e
non si pesa a chili. E, allora, mi sono fatto coraggio e mi sono immerso nella edificante lettura di
quelle 72 carissime paginette, cercando di coglierne il senso, il significato intrinseco e – diciamola
tutta – il messaggio che, tra le righe, è diretto ai
governanti italiani. Già, il messaggio.
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Perché uso questo termine? Perché Cottarelli non è un normale manager della burocrazia
italiana, ma un alto papavero del Fondo Monetario Internazionale; e l’incarico – proprio a
lui – di formulare le famigerate Proposte assomiglia tanto ad un “ditemi voi cosa dobbiamo
fare”. Il FMI – si tenga presente – è l’organismo
finanziario mondiale (ma di precisa matrice
americana) che è il massimo ispiratore delle
poli-tiche globalizzatrici e neoliberiste che
hanno distrutto le economie nazionali di numerosi Paesi, compreso il nostro. Inoltre il Fondo è
– insieme alla BCE ed alla Commissione Europea – uno dei tre membri (e il più arcigno) di
quella famigerata “troika” che è stata inca-ricata
– dall’alto – di “sorvegliare” i Paesi europei in
difficoltà, imponendo misure draconiane per
“risanare” le rispettive economie. Esempio tipico
di questo “risanamento” è la macelleria sociale
imposta alla Grecia, con milioni di cittadini
ellenici ridotti letteralmente alla fame. Ora, tra i
piatti forti delle ricette greche, particolarmente
indigesti sono stati i crudeli salassi imposti ai
pensionati “normali” (non solamente a quelli
d’oro o d’argento) ed il licenziamento di diverse
migliaia di impiegati statali. Guarda caso – e non
vorrei che questo fosse il “messaggio” – misure
che fanno prudentemente capolino anche dalle
proposte del Cottarelli, ancorché non dettagliate
e subordinate “agli obiettivi di bilancio e (sic)
riduzione della tassazione”.
Naturalmente, il Mattacchione nazionale si
è subito precipitato a dichiarare che le proposte
cot-tarelliane su pensioni e statali non verranno
prese in considerazione. Ma – si sa – Renzi deve
rastrellare voti per le prossime elezioni europee,
e certo non può controfirmare le prescrizioni
venefiche del Fondo Monetario Internazionale.
La cosa, però, non mi tranquillizza affatto. La
mia preoccupazione è per il dopo, quando “passata la festa, gabbato lo santo”. Soprattutto se
“lo santo” (cioè il popolo italiano) si sarà lasciato convincere a votare per i partiti europeisti.
( Da Social)
Antropos in the world
DALLA REDAZIONE DI BERGAMO
A Benvento la Premiazione del concorso nazionale,
indetto dall’Ordine Nazionale dei Giornalisti
Si svolgerà il prossimo 6 e il 7 maggio, a
Benevento, la cerimonia di premiazione dei
vincitori dell’XI Edizione del Concorso Nazionale “Fare il giornale nelle scuole”. Il concorso è organizzato dall’Ordine nazionale dei Giornalisti, allo scopo di sostenere le iniziative delle
scuole italiane per valorizzare l’attività giornalistica come strumento di arricchimento comunicativo e di modernizzazione del linguaggio.
Come ogni anno, sono stati centinaia gli elaborati presentati dagli istituti italiani di ogni
ordine e grado, con la partecipazione di migliaia
di studenti e di insegnanti.
Il gran finale beneventano si articola in due
appuntamenti: il primo è fissato per il 6 maggio
alle ore 16, quando il Teatro De Simone ospiterà il convegno intitolato “L’etica del giornalismo nell’era digitale”, a cui parteciperà il giornalista Bruno Vespa.
Il giorno successivo, al Cinema San Marco,
nel cuore della città di Benevento, alla presenza
dei vertici dell’Ordine nazionale dei Giornalisti,
verranno premiate le scuole vincitrici del Concorso, fra cui è segnalato il Liceo Scienti-fico
Statale “Filippo Lussana” di Bergamo, per il suo
giornale d’Istituto, dal titolo “Quinto Piano” .
Tutti i dettagli della manifestazione verranno
illustrati dai componenti del Gruppo di Lavoro
dell’Ordine Nazionale dei Giornalisti, che ha
esaminato gli elaborati pervenuti e coordinato
dal consigliere nazionale Salvatore Campitiello,
nel corso della conferenza stampa, prevista per
il 30 aprile, alle 11.30, nella sede dell’Ordine
dei Giornalisti in via Parigi 11, a Roma.
Si tratta di una splendida iniziativa che
coniuga il tema della “festa” e dell’incontro tra
giovani con l’idea di una partecipazione attiva
degli studenti alle vicende della contemporaneità storica.
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Si tratta di valorizzare il lavoro e l’impegno dell’attività giornalistica fra gli allievi
della scuola secondaria superiore, in un mondo
sempre più globalizzato ed omologato, dove
l’informazione passa ormai attraverso la Rete,
spesso senza un filtro critico e severo dei dati
di realtà.
Si tratta inoltre di valorizzare anche il piacere della scrittura fra i giovani, in un mondo
sempre più povero di idee e di parole, per gridare la propria intelligenza e la forza di saper
leggere criticamente il reale.
Maria Imparato
CRISTINA FONTANELLI CI SCRIVE:
Happy Spring to all my wonderful friends and
fans! Hope you and your families are well. Pls
mark your calendars for these fun and wonderful shows/concerts and be sure to say hello! It
is always a joy to see you! Much love, Cristina
Happy Spring a tutti i miei meravigliosi
amici e fan! Spero che voi e le vostre famiglie stiate bene. Per favore segnatevi le date
dei miei spettacoli E 'sempre una gioia vedervi! Con Tanto amore, Cristina.
- 9 maggioCristina Fontanelli Sings The Great
International Songbook
- 1 giugno From Bagels to Bocelli: The Musical
Journey of My Life
- July 26 "Cristina Fontanelli and Her Fabulous
Friends"(From Opera to Broadway
________________
Complimenti ed auguri Cristina!
lo staff di Antropos in the world
Antropos in the world
Fatalità o predestinazione?
Di Egidio Siviglia
Teruccio, vinto dalla calura estiva, si sdraiò in poltrona
per la siesta. Dopo essersi sistemato nella maniera più
consona alle sue abitudini, guardando il soffitto s’immerse
in una profonda meditazione. L’argomento della
riflessione gli venne dalla recente lettura dei primi filosofi
antichi in cui veniva esposta la teoria degli atomi. Al
termine delle sue riflessioni concluse: “Sarà vero o sono
fantastiche elucubrazioni dei vecchi pensatori?”. Intanto,
dalla finestra socchiusa, attraverso uno spettro di luce, il
pulviscolo mostrava le molte particelle che roteavano
davanti al suo sguardo. Il passaggio dagli atomi alle
minuscole particelle di polvere fu molto breve. Il
movimento era dato dalla forza di attrazione e di
repulsione di questi piccoli elementi che, agitandosi,
creavano il moto. Sì, ma il moto di che? Quello della
materia? O anche degli eventi umani? L’attrazione e la
repulsione non giocano un ruolo essenziale nella simpatia
e nell'antipatia? E queste osservazioni non alimentano i
legittimi dubbi dell’incerto destino degli uomini? E’ la
casualità o la causalità, la predeterminazione o la
predestinazione, la fatalità o altro? E il senso della
previsione, prima ancora che si realizzi alcunché, è
fondamento di un principio ancora sconosciuto, sia alla
filosofia che alla scienza? Alla ricerca di una possibile
risposta Teruccio fece ricorso alla esperienza concreta di
un episodio di vita vissuta; nelle memorie troviamo:
"La parte orientale del paese, con poche case e incantevoli
estensioni di terreno ben coltivato, era la perla da tutti
considerata una meravigliosa oasi di pace. Le soddisfazioni del lavoro agricolo e l’arte paziente delle sartine e
delle ricamatrici erano il diploma della onesta dirittura
poggiata sulla laboriosità e la bontà.
In uno dei casolari del borgo viveva Luisina: la mamma
era vedova e malferma in salute, Luisina, poco più che
trentenne, aiutava l’economia familiare con l’arte del
cucire; era quella la sola fonte di sostentamento dal
momento che l’unico fratello, svogliato e amante del bere,
si era allontanato da casa, lasciando le due donne a
provvedere a loro stesse con i loro mezzi. La casa di
Luisina era frequentata da qualche amica e dalle
signorinelle che, giovandosi del buon trattamento, si
facevano preparare eleganti vestine. L’unica persona, fuori
protocollo, era l’arciprete della lontana parrocchia che,
periodicamente, si recava in campagna per offrire il
conforto religioso ai residenti e per impartire ai piccoli
della scuola elementare le nozioni della fede cristiana. Il
buon curato, prima di andare all'edificio scolastico, si
fermava in casa di Luisina e, mentre infondeva coraggio e
apportava il sollievo spirituale alla vecchia madre della
giovane, veniva gratificato dalle notizie del contado;
infatti, Luisina, vivendo al centro del mondo giovanile,
riferiva la cronaca della vita del paese come avrebbe fatto
un reporter di professione. Il buon parroco, dopo aver
gustato il caffè, usava l’uscita posteriore della casa per
raggiungere il vicino edificio scolastico. Un giorno, però,
in questo quadretto di vita paesana si inserì un tal Simone,
che col suo modo di fare, sconvolse degli equilibri ormai
consolidati. Simone era un giovane dall'aspetto distinto,
aveva il dono di una meravigliosa favella, che incantava
ogni ascoltatore! Si interessava del commercio delle
derrate alimentari e della vendita delle ciliegie, in quel
luogo molto richieste dall'industria dolciaria. Le buone
referenze di questo galantuomo furono offuscate da un
episodio che, al di là del fatto singolo, rappresenta l’effetto
catastrofico della turbativa sociale. Un giorno, dopo che il
prete ebbe fatto visita a Luisina e alla sua anziana madre,
Simone, notò che era trascorso un bel po’ di tempo da
quando il santo uomo era entrato nella casa dell’avvenente
sartina, così, per soddisfare la propria curiosità, decise di
recarsi da Luisina. Bussò alla porta e fu ricevuto, come al
solito, dalle due donne, con grande garbo e buona
educazione.
“Luisina - disse Simone - mia moglie è andata nei campi e
mia figlia è al mercato; io ho un languorino allo stomaco,
per cortesia, mi prepareresti un buon caffè?”.
Fedele alla sua natura, Luisina, con cortesia e disponibilità,
si diede da fare per esaudire il desiderio di Simone; intanto
il giovane, tra uno scambio di battute e convenevoli, iniziò
a guardarsi in giro, alla ricerca dell’arciprete, che
immaginava fosse da qualche parte! Guarda di qua, guarda
di là, alla fine Simone, non reggendo ancora all'istintiva
curiosità, domandò alla giovane: “Luisina, ho visto entrare
l’arciprete ma non l’ho visto uscire; desideravo vederlo per
parlargli; sai dirmi dov'è?”. Luisina, con assoluta semplicità, spiegò che la casa era dotata di un'uscita secondaria, perciò, era possibile raggiungere l’edificio scolastico
dalla parte posteriore.
“Dopo che l’arciprete è stato da noi - ella spiegò - è andato
dai bambini per la consueta lezione di catechismo uscendo
dalla porta secondaria”. Dopo la spiegazione della giovane,
sembrava tutto finito, ma …
La visita di Simone, più che un gesto di cortesia, fu dettata
da un istinto perverso; fu un’azione inquisitoria; infatti,
all'occhio attento del curioso intruso non sfuggì la presenza
in casa di Luisina di un televisore nuovo, con la relativa
scatola di imballaggio utilizzata per il trasporto. Beh! Fin
qui niente di male; ma la Fama, di virgiliana memoria,
agisce nell'ombra: il caso volle che un padre missionario
fosse di passaggio in paese per raccogliere offerte da
destinare al terzo mondo. Il pio uomo, nelle sue visite di
casa in casa, venne a conoscenza delle storielle quotidiane
che riguardavano l’intero contado. La maldicenza dominava
quasi sempre gli abituali pettegolezzi. Ogni domenica, il
padre missionario celebrava messa e, durante l’omelia, non
si sottraeva al dovere di invitare il popolo ad astenersi dalla
maldicenza. Tra le tante notizie, giunse all'orecchio del
- 22 -
Antropos in the world
buon reverendo la notizia che una certa Luisina, stinco
di santa e timorata di Dio, avesse un amante e che costei,
come gratificazione dei propri favori, avesse avuto in
dono un apparecchio televisivo nuovo. La notizia destò
meraviglia, apprensione e diciamo la verità, anche
scandalo. Il pio sacerdote, che aveva già una veneranda
età e molta esperienza, si pose la domanda: “E se non
fosse vero?”. Dopo tre mesi di permanenza, il pio uomo
fu in grado di tracciare una mappa precisa del territorio,
di uomini e problemi e poichél’anticamera del sospetto è
la calunnia, bisognava sradicare il perverso meccanismo
che, gratuitamente, sopprime gli uomini e offende la
pace sociale. Ma come si fa, senza prove ad incriminare
qualcuno? E qualora si conoscesse l’autore della
maldicenza, la punizione, se non rientra negli articoli del
codice civile, a chi spetta infliggerla? E poi, a che serve
farlo quando il danno è già stato consumato? Prima di
ritornare alla missione il reverendo, tra le preghiere e i
saluti, pronunciò una frase: “Coloro che mancano di
carità offendono Dio e rendono infelici gli altri; siate
buoni e temete il castigo; mi dispiace che nel disordine,
quando ci sarà il giudizio, prima ancora della cernita o
del giusto castigo, i cattivi morranno e ahimè, anche i
buoni associati in un'unica sorte”. Quest’ultima frase
tristemente profetica, trovò una scellerata attuazione
qualche tempo dopo. Un giorno, in una delle tante
conventicole delle signorinelle che frequentavano la
sartoria di Luisina, nel raccontare i particolari della
settimana, una di esse disse: “In questi giorni sono un
po’ giù di corda; devo partecipare ad un concorso e
vorrei prepararmi come si deve”. Intervenne subito la
sartina che esclamò: “Non so se ti fa piacere, ma se
accetti il mio consiglio, posso chiedere al mio vecchio
maestro un supplemento di sostegno, e s’intende, a titolo
gratuito”. Il suggerimento fu accolto con piacere e su
due piedi, programmarono la visita all'anziano didatta.
Era un sabato, la giornata incantevole e Luisina, con
l’amica e due sorelle di questa, si recarono dal vecchio
didatta che abitava a una decina di chilometri dal borgo.
L'anziano insegnante accolse le signorine con piacere e
grande calore; ai vecchietti fa sempre piacere vedere la
gioventù, perché ricorda gli anni verdi. Nella gioia
dell’incontro sgorgò spontanea e sentita l’espressione:
“Quale piacere vedervi qui! Che bello ricevere la vostra
persona!”. Non appena si furono accomodate il maestro,
tra i mille pensieri e i ricordi del passato, poiché era
trascorso un bel lasso di tempo dall'ultima volta che si
erano visti, domandò: “Premesso che come ho già detto,
sono contento di avervi qui, a cosa devo questa gradita
visita?”. Prima ancora di attendere la risposta, il maestro
aggiunse: “Sapete che sono sincero, ma non posso
esimermi dal chiedervi: “Questa visita è casuale o ha una
ragione precisa? Ve lo chiedo perché prima di adagiarci
in conversazioni varie, è opportuno che esprimiate il
vostro pensiero”. L’età giovanile e la verecondia
muliebre, attraverso lo sguardo, dipinsero il clima e
descrissero l’andamento del discorso.
Luisina, pur avendo il coraggio di esporre il desiderio
dell’amica, velatamente, aprì il discorso: “Professore, la
prima cosa è che volevamo vedervi per riprovare la gioia
della vecchia amicizia e poi … e poi, il resto ve lo dirà
lei”. E puntòl’indice verso l’amica. Il simpatico maestro
apprezzò la schiettezza delle giovani amiche, dichiarò la
sua totale disponibilità e, per qualche ora, discorsero in
serenità. Alla fine, quando si ritrovarono davanti al cancelletto che delimitava il giardino antistante l’ingresso,
prima di congedarsi, Luisina ebbe a dire: “Non ci sono
altre parole che saprei usare per evidenziare i sentimenti
che dominano i nostri cuori; sento una forza interiore che
mi trattiene, come se non volessi partire di qui. Noi
andiamo via e dovunque andremo porteremo con noi un
pezzo del vostro cuore. Vi salutiamo ... chissà quando ci
vedremo un’altra volta … se ci vedremo!”.
Tra le lacrime e gli abbracci, le ragazze ed il maestro si
separarono. Il giorno successivo all'imbrunire, Simone
uscì di casa infuriato perché i cani non la smettevano di
abbaiare, i maiali, pur essendo satolli fino all'ugola,
grugnivano in modo strano; Simone, disturbato dall'insolito comportamento del bestiame, si diresse verso la
pubblica strada; incontrò nel suo bighellonare l’arciprete
e in modo concitato, disse: “Monsignore, benedite il
bestiame che non mi dà pace”. L’arciprete di rimando:
“Simone, tu devi farti benedire, chissà che morrai senza il
conforto della fede” poi aggiunse: Vado in chiesa a
prendere l’acqua lustrale”.
Qualche minuto dopo una violenta scossa sismica fece
crollare numerose case, un cornicione cadde, alcuni
edifici si sbriciolarono come sabbia. Quando arrivarono i
primi soccorsi ci si rese conto che sotto un cornicione
giaceva schiacciato il corpo del povero Simone. Poco più
in là, l’edificio scolastico non esisteva più e tra le macerie
della propria abitazione trovò la morte Luisina. Nel
ricordo il nesso tra il pensiero e la realtà ritornarono alla
mente: “Tutti morranno buoni e cattivi, … chissà se ci
vedremo, … sei tu che devi essere benedetto perché
morrai senza sacramenti”. Presentimento, fatalità, destino
o altro?
Intanto le particelle ancora per la forza dell’attrazione e
della repulsione, continuavano a roteare e il filosofo era
ancora alla ricerca di una possibile soluzione.
Anche l’uomo comune pone domande e attende possibili
risposte. Negli spazi vuoti del tempo si consola affidandosi a qualcuno: la cappellina del contado fu rasa al
suolo: di essa restò in piedi solo la statua di S. Giuseppe,
patrono della buona morte.
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Egidio Siviglia
BRONTOLO
IL GIORNALE SATIRICO DI SALERNO
Direzione e Redazione
via Margotta,18 - tel. 089.797917
Antropos in the world
STORIA DELLA MUSICA - A cura di Ermanno Pastore
BÉLA BARTÓK
Nagyszentmiklós, 25 marzo 1881 – New York, 26 settembre 1945
Venne educato alla musica sin dall’età di cinque anni, prima dalla madre che gli insegnò i rudimenti del pianoforte, in seguito (a soli dodici anni)
dal maestro L.Erkel che lo iniziò alla
composizione.
Più tardi, studiò piano con István
Thomán e composizione con János
Koessler all' Accademia Reale della
Musica di Budapest. Lì incontrò Zoltán Kodály e insieme raccolsero musica popolare dalla regione. Questo
ebbe molt’influenza sul suo stile. Precedentemente, l'idea
che Bartók aveva della musica popolare ungherese derivava
dalle melodie gitane che potevano essere ascoltate nei
lavori di Franz Liszt, e nel 1903 Bartók scrisse un grande
lavoro orchestrale, Kossuth, in onore di Lajos Kossuth, eroe
della rivoluzione ungherese del 1848, contenente melodie
gitane di quel tipo. Da questo poema sinfonico lavorò per
estrarre una marcia fune-bre pianistica che rese celebre
Bartók come pianista-concertista-compositore per lo stile
"nazionalunghe-rese" che prende come modello le Rapsodie
unghe-resi di Liszt, in particolare la celebre Seconda. Il
mondo in cui Bartók si era spinto come pianistacompositore era quello capeggiato da Paderewsky, Busoni,
d'Albert e l'ungherese Ernő Dohnányi.
La musica di Richard Strauss, che incontrò alla prima di
Also sprach Zarathustra a Budapest nel 1902, lo influenzò
molto (ha trascritto ed eseguito più volte a memoria il
poema sinfonico Vita d'Eroe di Strauss). Questo nuovo stile
emerse durante gli anni seguenti. Bartók stava costruendo la
sua carriera pianistica, quando nel 1907 ottenne il posto di
professore di pianoforte all'Accademia Reale. Questo gli
permise di rimanere in Ungheria e di non girare l'Europa
come pianista, e gli lasciò più tempo per raccogliere altre
canzoni popolari, soprattutto in Transilvania. Intanto la sua
musica cominciava ad essere influenzata da questi interessi
e dalla musica di Claude Debussy che Kodály aveva portato
da Parigi. I suoi lavori orchestrali erano ancora scritti alla
maniera di Johannes Brahms o Richard Strauss, ma scrisse
numerose composizioni brevi per pianoforte che mostrano
il suo crescente interesse per la musica tradizionale.
Probabilmente il primo brano che mostrava chiaramente i
suoi nuovi interessi è Quartetto per archi n. 1 (1908), che
contiene vari rimandi alla musica folklorica. Nel 1908
scrive anche le 14 bagatelle per pianoforte, in cui comincia
a delineare il suo stile che appunto parte dal pianoforte,
distaccandosi dal romanticismo
Nel 1909 Bartók sposò Márta Ziegler. Il loro figlio, anch'egli di nome Béla, nacque nel 1910.L'avvicinamento alla
musica popolare di Bartók (su esempio di Franz Liszt) è
stato compiuto in maniera scientifica, influenzando in maniera metodica il suo stile, ricco di richiami alla musica
popolare di molti popoli dell'area europea orientale e medio-orientale (uso di scale pentatonica e modale) ma
contemporaneamente aggiornato anche sulle innovazioni
ritmiche e armoniche portate dai contemporanei come Igor
Stravinskij.
Nel 1911, Bartók scrisse quella che sarebbe stata la sua
unica opera, Il castello del Duca Barbablù, dedicata a sua
moglie, Márta, ancora ricca di influenze stilistiche derivanti
da Strauss e Debussy. Con questa composizione partecipò a
un concorso indetto dalla Commissione Ungherese per le
Belle Arti, ma questi dissero che era insuonabile, e la
respinsero. L'opera rimase ineseguita fino al 1918, quando
il governo fece pressione su Bartók perché togliesse il
nome del librettista, Béla Balázs, dal programma a causa
delle sue convinzioni politiche. Bartók si rifiutò, e alla fine
ritirò il lavoro. Per il resto della sua vita, Bartók non si
sentì molto legato al governo o alle istituzioni ungheresi,
pur continuando la sua passione per la musica popolare.
Bartók divorziò da Márta nel 1923, e sposò una studentessa
di pianoforte, Ditta Pásztory. Il suo secondogenito, Péter,
nacque nel 1924.
Nel 1918 portò a termine anche i Tre studi per
pianoforti in cui più che il virtuosismo emergono le idee
creative e bizzarre. Sono vicini all'atmosfera dei Tre pezzi
op.11 di Schoenberg ma anche alla forma di trittico-sonata
che troviamo in Debussy (Images, Estampes) e in Ravel
(Gaspard de la Nuit). Nel primo studio si trovano accenti in
controtempo che anticipano leggermente gli Studi per
pianoforte di György Ligeti, specialmente il primo del
Libro I. Nel 1920 scrisse su commissione della Revue
musicale di Parigi le Serre improvvisazioni su canti di
contadini ungheresi (Op.20). Gli venne commissionato un
solo pezzo (che fu poi la settima improvvisazione) da
pubblicare in un supplemento chiamato Tombeau de
Debussy, a cui contribuirono anche De Falla, Stravinsky,
G.F. Malipiero, Dukas e altri. Negli anni venti intraprende
una serie di tournée concertistiche in giro per l'Europa che
gli procurarono simpatie ma pochi compensi; i suoi pezzi
furono quindi accettati nei recital solo i pezzi piccoli
(quindi non la Suite né la Rapsodia) come pezzi di carattere
alla Grieg. Nel 1940, dopo lo scoppio della seconda guerra
mondiale, e con il peggioramento della situazione politica
in Europa, Bartók si convinse che doveva andarsene
dall'Ungheria. Béla Bartók morì a New York di leucemia
nel 1945. Fu sepolto al cimitero Ferncliff ad Hartsdale,
New York, ma dopo la caduta del comunismo in Ungheria
nel 1988, i suoi resti furono portati a Budapest per i
funerali di stato il 7 luglio 1988 e in seguito fu sepolto al
cimitero Farkasréti di Budapest.
- 24 -
Antropos in the world
POLITICA E NAZIONE
Edilizia e Politica
Ovvero il pensiero spicciolo della gente comune
Il Crescent è un muraglia alta circa trenta metri
che, nel suo complesso, si estende per ben trecento
metri per un totale di circa 90.000 metri cubi di
volumetria.
Il Sindaco di Salerno De Luca, dal suo pulpito televisivo, in passato ha sempre parlato della programmazione della più grande piazza europea sul
mare guardandosi bene dal dire che questa piazza
sarebbe stata circondata da una colata di cemento
senza precedenti (pari a tre campi di calcio) che altererà per sempre, in modo negativo, un pezzo della
città di Salerno.
Oggi i cittadini salernitani si chiedono il perché
del comportamento anomalo del Sindaco e del perché nei suoi monologhi televisivi non ne abbia mai
par-lato quanto decantava la nuova piazza che, comunque, rientra nei lavori pubblici a beneficio della
città mentre la realizzazione delle costruzioni commerciali e residenziali e demandata solo ed esclusivamente ai palazzinari che ne traggono immensi benefici economici.
L’enorme muraglia di cemento, in corso di realizzazione su suolo demaniale, nella parte più bella della città, tra il centro storico ed il lungomare, ha il
solo scopo speculativo di realizzare centinaia di alloggi privati.
Era proprio necessario per l’amministrazione comunale intraprendere una iniziativa cosi maldestra e
trascurare il disastroso impatto ambientale per consegnare il tutto nelle mani dei privati ?
Quali reali interessi hanno portato le autorità comunali a far progettare ed approvare una così grande
colata di cemento nel cuore della città in spregio ad
ogni regola del buon padre di famiglia ?
Non a caso il Sindaco De Luca è indagato per concorso in abuso d’ufficio in relazione a due delibere
approvate dalla giunta comunale di Salerno in violazione di norme tecniche e urbanistiche per consentire
la realizzazione dell’ecomostro detto “crescent”.
Fortunatamente i carabinieri del Comando Provinciale hanno già notificato una trentina di avvisi di
garanzia e sequestrato l’intero cantiere con l’accusa
di (presunti) reati di abuso di ufficio, falso in atto
pubblico e lottizzazione abusiva. Tutto ciò è potuto
avvenire grazie ad una parte attiva e attenta della città di Salerno Italia Nostra e Comitato No Crescent)
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che di fronte alla devastante colata di cemento e al
disastroso impatto ambientale ha ingaggiato una vera e propria battaglia legale contro gli abusi commessi per realizzare il famigerato ecomostro. Anche la
stampa nazionale, quasi all’unanimità, ha bocciato la
realizzazione dell’ecomostro.
In tutto questo infuocato clima di inchieste penali,
indagini su falsi ideologici, abuso d’ufficio, mancata
trasmissione a Roma dei richiesti pareri , della sentenza definitiva del Consiglio di Stato che ha annullato le autorizzazioni per il crescent e dell’itero
comparto di Santa Teresa l’Amministrazione comunale di Salerno invece di usare la necessaria prudenza ha continuato imperterrita a forzare la mano rilasciando una nuova autorizzazione paesaggistica non
di propria competenza pur di vedere realizzato l’ecomostro che si sviluppa su sette livelli fuori terra e
due interrati.
Ma quale è l’interesse del comune di Salerno visto
che questa colata di cemento ha una funzione commerciale (piano terra e piano ammezzato) ed una
funzione ad uso prevalentemente residenziale ?
Quanto è costato alla comunità salernitana questa
disastrosa iniziativa che ha visto fare piazza pulita
delle strutture commerciali, industriali, scolastiche e
turistiche (abbattimento dell’istituto nautico e del
Jolli Hotel) ?
Perché il Comune di Salerno ha acquisito l’area
demaniale (già in suo possesso) al solo scopo di togliere il vincolo decennale di inalienabilità ?
Questo ed altro ancora si chiede l’intera comunità
salernitana con la speranza che almeno questa volta
la giustizia possa trionfare e salvare una parte del territorio comunale da lasciare così intatto nel suo
splendore ai nostri figli.
Mario Bottiglieri
Antropos in the world
PIATTI TIPICI DEL MEDITERRANEO - A cura di Rosa Maria Pastore
LA PATATA: RICETTE
GLI GNOCCHI DI PATATE
Ingredienti per 4 persone
- 1 kg di patate
- 1 0 2 uova (facoltative)
- farina quanta ne viene assorbita
- sal e
Preparazione: Per preparare ottimi gnocchi è essenziale usare patate piuttosto grosse, di qualità farinosa.
Lavare le patate, conservando la buccia, quindi metterle in una casseruola molto capace, ricoperte di abbondante acqua fredda, opportunamente salata; farle
cuocere coperte, a calore moderato e costante. A cottura avvenuta, sbucciarle rapidamente e, ancora bollenti, passarle nello schiacciapatate per evitare che,
indugiando, il composto diventi colloso.
Aggiungere 1 o 2 uova (facoltative), il sale e farina
quanta ne assorbe. Farne dei rotoli lunghi, sul tavolo
infarinato. Tagliarli a tocchetti e farli scivolare a uno a
uno sull’apposita tavoletta rigata o sopra una forchetta
per dare la forma di un ricciolo. Lasciarli asciugare
per 2 ore, buttarli quindi in acqua salata in ebollizione
e, quando affiorano, scolarli con la schiumarola.
Condire con sugo di carne o salsa di pomodoro,
oppure con 200 gr. di burro e abbondante parmigiano
grattugiato o con pesto genovese.
CROCCHE’ DI PATATE SU LETTO DI LATTUGA
Ingredienti (per 4 persone)
- 750 gr di patate
- 50 gr di burro
- 50 gr di parmigiano
- 2 tuorli
Preparazione: Lessare le patate lavate e, ancora bollenti, passarle al passaverdure raccogliendo la polpa in
una ciotola. Unire il burro, il parmigiano grattugiato, i
tuorli, sale e pepe,impastare per qualche minuto amalgamando bene gli ingredienti. Aspettare che l’impasto
si raffreddi per formare delle crocchette lunghe 6-7
cm che dovranno essere passate prima negli albumi
delle due uova sbattuti con un po’ di sale e poi nel
pangrattato. Friggere le crocchette poche per volta in
abbondante olio ben caldo, passarle su carta assorbente e servirle calde adagiate su foglie di lattuga.
PATATE AL FORNO
Ingredienti (per 4 persone)
- 1 kg di patate
- Sale, pepe, spezie per patate
Preparazione: Lavare e pelare le patate, tagliarle a
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pezzi non molto grandi. Metterle sul fuoco in una
teglia ricoperte dall’acqua e scolarle appena l’acqua
bolle. Sistemarle in una tortiera o nella placca del
forno, condirle con sale, olio, misto spezie per patate,
una spruzzatina di pepe e completare la cottura.
Ritirarle dorate e croccanti
PATATE ALLA CILENTANA
Ingredienti ( per 4 persone)
- 6 etti di patate
- in 8 cucchiai di olio
- 1 mestolo di ragù
- pecorino
Preparazione: Peliamo e tagliamo le patate e
friggiamole in abbondante olio. Prendiamo mezza
cipolla rossa tagliata a fettine sottilissime, e soffriggiamola per bene in una teglia capace con l’ olio,
aggiungendo un po’ d'acqua per evitare che si bruci.
Ad acqua evaporata, aggiungiamo le patate fritte e
rimescoliamo il tutto aggiungendo la mestolata di ragù
preparato in precedenza. Due minuti di cottura, rimescolando continuamente, e servire ben caldo, con abbondante pecorino.
PUREA SALMONATA
Ingredienti (per 4 persone)
- 4 grosse patate
- 70 g di salmone
- 70 g di burro
Preparazione:Lessare le patate in acqua leggermente salata, sbucciarle e passarle allo schiacciapatate
raccogliendole in una casseruola. Aggiungere il burro
a pezzetti, il salmone tritato, sale, pepe ed un po’ di
latte caldo, se occorre. Amalgamare la purea sul fuoco
per 5 minuti, mescolando con un cucchiaio di legno.
Allontanare dal fuoco e servire la purea ben calda
PATATE IN PADELLA
Ingredienti (per 4 persone)
- 1 kg di patate
- ½ kg di cipolle
- 2 dl d’olio
- 1 rametto di rosmarino,
- s al e
Preparazione: Tagliare le patate a spicchi o a fette
rotonde; affettare sottilmente le cipolle e, dopo aver
lavato tutto, versare in una padella, dove sia stato riscaldato l’olio insieme al rosmarino ed il sale fino.
Coprire la padella con un coperchio e mescolare di
tanto in tanto fino a completa cottura.
Antropos in the world
DENTRO LA STORIA
IL PIAZZISTA BARAK OBAMA
GLI F-35 e il gas americano
È arrivato di corsa, trafelato, con le grandi orecchie
protese come per intercettare gli ultimi segreti carpiti dalle
antenne della CIA. L’imperatore a stelle-e-strisce si è
precipitato nel Vecchio Continente per impartire ai vassalli
europei gli ultimi ordini del cupolone americano: essere
pronti anche alle estreme conseguenze per imporre alla
Crimea di restare soggetta all’Ukraina, e mettere la mano
al portafoglio perché “la libertà non è gratis”. Non che i
vassalli – beninteso – avessero dato segni di insofferenza:
sono sempre stati allineati e coperti, come dei bravi
soldatini, pronti a scattare sull’attenti e a dire “signorsì”.
Ma, questa volta – a telecamere spente e stando ben
attenti a non far trapelare nulla all’esterno – qualcuno
aveva forse mostrato una certa titubanza: in fondo,
l’Ukraina aveva democraticamente scelto un governo
filorusso, e questo governo era stato poi abbattuto da una
rivolta illegale e – lo sanno anche le pietre – organizzata e
pagata dall’esterno; e se la Crimea aveva scelto –
democraticamente ed a schiacciante maggioranza – di
lasciare l’Ukraina e di tornare alla Russia, non aveva fatto
altro che seguire l’esempio del Kosovo, che pochi anni fa
proprio gli americani avevano strappato alla sovranità
serba. Molto probabilmente, dunque, i Paesi europei – più
o meno unitariamente – stavano orientandosi su una linea
diplomatica un po’ elastica: mostrare, a parole, grande
determinazione nel difendere l’Ukraina “democratica”
dagli insani appetiti della contigua “dittatura” moscovita,
ma – nel contempo – non tirare troppo la corda. In fondo,
l’Europa dipende per l’approvvigionamento di gas proprio
dalla Russia di Putin, e spingere le democratiche sanzioni
fino al punto di rimanere senza gas da qui a qualche mese
equivarrebbe al comportamento di quel marito che, per far
dispetto alla moglie, si tagliava i cosiddetti.
Altro fattore che ha spinto il Premio Nobel per la
Pace a percorrere le polverose contrade delle colonie
europee è, con ogni probabilità, riconducibile agli affari
italiani. Anzi, ad un affare soltanto: quello degli F-35.
Nella disperata ricerca di un po’ di soldi per tappare
qualche buco, infatti, il Piccolo Rottamatore Fiorentino
aveva rivolto lo sguardo anche ai bilanci della Difesa, e si
era accorto che questi riportavano una voce da capogiro:
l’equivalente di 7 miliardi di dollari per l’acquisto di
“solo” 90 sofisticatissimi superbombardieri americani F35, decretato dal governo Monti con la bovina acquiescenza dei partiti che supportavano il suo patriottico
governo. Ma non finisce qui – come diceva un noto
presentatore televisivo – perché nessuno è in grado di
precisare quale sarà il costo finale effettivo dell’operazione; infatti il prezzo finale della commessa (originariamente di 78 milioni di dollari per ogni singolo aereo)
potrebbe lievitare fino al doppio del prezzo iniziale.
«Mantenendoci su una valutazione mediana – scrivevo
su “La Risacca” nell’ottobre 2012 – diciamo che lo
scherzetto dovrebbe costarci circa 10 miliardi di euro, sia
pure scaglionati negli anni.» Naturalmente, poiché il
Torquemada della Bocconi i soldi doveva pur prenderli da
qualche parte, contemporaneamente era stata decretata la
soppressione – anche questa diluita negli anni – di 40.000
posti di lavoro al Ministero della Difesa: per l’esattezza,
30.000 militari e 10.000 impiegati civili.
Ma, torniamo ad oggi. Appena si è accennato ad acquistare un paio di bombardieri in meno, sùbito si è levato
un coro di voci critiche, di allarmi accorati contro l’ipotesi
di “tagli immotivati” al bilancio della Difesa. Poi è arrivato
Lui, splendente nella sua democratica abbron-zatura,
magnanimo fino al punto di congratularsi con Mattacchione
Renzi per il suo programma di governo (ma l’altro ieri non
aveva invitato Letta a pranzare con lui alla Casa Bianca?) e
alla mano fino al punto da visitare un Colosseo fatto
evacuare dai comuni turisti e consacrato esclusivamente alla
visita della sua Augusta Persona. Lui, naturalmente, non ha
avuto bisogno di fare la voce grossa. Ha appena accennato
che “la libertà non è gratis”, lasciando alla fantasia dei
governanti italiani l’ònere di trarre le debite conclusioni.
Quanto al gas russo – ha detto all’Italia e all’Europa
intera – niente paura. Se il Cremlino interromperà le
forniture, Washington è prontissima a rimpiazzarle.
Naturalmente, siccome dall’America all’Europa non ci
sono gasdotti, il gas dovrà arrivarci a bordo di una numerosissima flotta di enormi navi “gasiere”, e quindi con costi
raddoppiati. Ma avremo la soddisfazione di riscaldarci
all’alito della democrazia. Magari con qualche altra falcidia
di posti di lavoro al Ministero della Difesa. Pazienza, la
libertà non è gratis.
Rallo
- 27 -
Antropos in the world
BABY SQUILLO ED I NUOVI VALORI DEI GIOVANI
Negli ultimi mesi i quotidiani, le riviste, la
televisione e qualunque altro mezzo di informazione
non hanno fatto altro che parlarci di inchieste e
scandali riguardanti figure maschili più o meno note
e, soprattutto, giovani ragazze, poco più che bambine, che vendevano il proprio corpo per un guadagno
da “reinvestire” successivamente nell’acquisto di
borse, vestisti, cellulari, scarpe. Queste figure sono
ormai divenute note nell’immaginario comune con il
nome di “baby squillo”.
Certamente ognuno di noi, nel leggere o sentire
notizie a riguardo, si sarà chiesto: Perché delle bambine decidono di rovinare così la loro adolescenza?
Perché danno un’importanza tale a cose futili da dare
letteralmente se stesse per averle? Proviamo a capire
insieme e a rispondere a queste (ed altre) domande.
Ebbene, la risposta al primo dei nostri dubbi sta
proprio nel secondo: queste ragazzine non si fanno
scrupoli a compiere gesti e azioni che possono segnare per sempre un periodo così delicato della loro
crescita, proprio perché danno minor peso alla loro
stessa vita che al possesso di quegli oggetti che per
noi sembrano inutili ma che in realtà sono per loro
fondamentali.
Per chiudere il ciclo non ci resta dunque che rispondere alla seconda delle nostre domande. Ma è
proprio qui che tutto si complica: nella nostra mente
iniziano a balenare un’infinità di altri quesiti, dubbi,
perplessità: quali sono i nuovi valori dei giovani?
Che colpe ha la società nei riguardi di questo
cambiamento? Posso esserne anch’io responsabile in
qualche modo? Cosa posso fare per cercare di cambiare le cose?
La società moderna, intesa come società dei
consumi e di massa, caratterizzata dalla diffusione e
dal consumo di beni non necessari e dalla capillare
diffusione e condivisione di idee, gusti, abitudini, è
sicuramente la maggiore responsabile della caduta
degli antichi valori morali e della nascita di quelli
negativi moderni (come già analizzato nell’articolo
riguardante lo spaccio giovanile). Infatti queste
adolescenti, così come avviene nel caso dei giovani
spacciatori, iniziano a fare tale “lavoro” per riuscire a
mettere da parte una quantità di denaro necessario a
permettere loro di seguire la scia delle nuove
tendenze (che come sappiamo impongono il possesso
di capi firmati e tecnologie moderne).
Eppure tutti noi siamo parte integrante di questa
società e di questi meccanismi. Anche noi ogni giorno
seguiamo le mode, facciamo ciò che esse ci impongono di fare, compriamo ciò che ci impongono di
comprare e andiamo dove ci impongono di andare.
Dunque, e inevitabilmente, la colpa non può che
essere anche nostra ed è inutile illudersi, o cercare di
farlo, dicendoci: io non sono così, io non mi faccio
influenzare, io penso con la mia testa: in fondo, chi di
noi non è mai andato in un locale solo perché è “alla
moda”? Chi non ha acquistato un prodotto che magari
neanche gli serviva solo perché la pubblicità l’ha
convinto a farlo?
All’ultima delle domande che ci siamo posti non
posso essere io a rispondere (non avendo né l’autorità
né la capacita di farlo). Ognuno di noi dovrebbe analizzare la propria coscienza e cercare di trovarvi una
risposta, di riuscire, cioè, a capire cosa può veramente
fare per cambiare questa società in cui “piccole donne” (come le avrebbe definite Louisa May Alcott)
vendono se stesse e la loro adolescenza per seguirne i
falsi “idoli”.
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Paolo Zinna
Antropos in the world
Dentro le istituzioni
ERGASTOLO E’ PENA CERTA
VINCENZO ANDRAOUS
Accade sempre in ogni epoca di crisi e di trapasso; chi sta al fondo del barile, all’ultima fila di sedie,
inchiodato alla propria condizione per forza o per
necessità, non sarà inteso come persona da trattare,
ma un numero da contenere e incapacitare.
Carcere, sempre più carcere per risolvere problemi complessi che mettono in ginocchio una società,
come a dire è sufficiente buttare via la chiave,
omettendo di ricordare che prima o poi invece si
esce da quella sorta di terra di nessuno, a volte con i
piedi in avanti, altre con le proprie gambe, ma con lo
sguardo che non ravvisa alcuna direzione.
Norme, decreti, leggi di nuovo conio, ognuno a
scandire le proprie ragioni, a lanciare strali, è battaglia ideologica disegnata dagli slogans, dalla cartellonistica d’accatto, una dislocazione furiosa di parole
contrapposte che avvisano del pericolo carceri svuotate dai criminali, di condoni, amnistie, e chi più ne
ha, più ne metta. Eppure alla linea d’arrivo, poco
meno di qualche centinaia di detenuti usciranno, non
ci sarà alcun sollievo nell’inferno carcerario per
nessuna delle sue componenti, non ci sarà possibilità
di abbassare la recidiva, non ci sarà formazione né
rieducazione, solamente una nuova presa per i fondelli.
A questa ipotesi di prevenzione ubriaca, di sicurezza a pochi denari, occorre aggiungere il capitolo
della pena nella sua flessibilità e certezza, tant’è che
c’è qualcuno che senza andare troppo per il sottile
afferma che il cosiddetto”fine pena mai” non è
applicato, addirittura non esisterebbe, anzi, con una
ventina di anni di carcere scontati, si è belli e pronti
all’uscita, chi se ne frega se addirittura infantilizzati.
Ho seri dubbi che questa boutade corrisponda al
vero, mentre non ne ho nel ribadire che una pena che
sancisce la fine di un tempo che non passa mai, un
tempo che non esiste, che non ti assolve né perdona,
un tempo bloccato, non è un’astrazione né una
combine della mente, certamente non la pena dell’ergastolo.
Quarant’anni di galera scontata costringono il prigioniero a straripare in universi sconosciuti, un mondo fatto di domani che non ci sono, una negazione
che rinvia alla morte di ogni umanità e riconciliazione, non è perdita di memoria come scelta individuale per non vedere e non sentire, è lontananza
siderale dall’essere, dalla responsabilità di ritrovare e
ricostruire se stessi.
L’ergastolo rappresenta quanto accade fuori nella società libera, dentro è ben più visibile, e rimanere fermi alla medesima stazione di partenza scambiata per arrivo non è un bene per alcuno.
Qualcuno si ostina a dire che il “fine pena mai”
non si porta sulle spalle come carico di un lungo e
lento viaggio di ritorno, eppure quarant’anni di carcerazione sono ben più di una affermazione da play
station, obbligano l’uomo della pena identico alla
sua colpa, e se questa non arretra, quella persona è
un numero destinato a fallire.
L’ergastolo c’è, non è vero che dopo vent’anni
come per incanto le porte blindate di un penitenzario si spalancano, la legge contempla la possibilità
di accedere a questo beneficio, ma la realtà è ben
altra, infatti la liberazione condizionale non viene
quasi mai concessa nei tempi stabiliti, se non con
una aggiunta di dieci o anche venti anni dai requisiti
richiesti.
Chi scrive ha scontato circa quarant’anni di carcere, quattordici in misura alternativa della semilibertà, da un anno ho usufruito della libertà condizionale, potevo accedervi dopo ventisei anni, con
gli sconti di pena, intorno ai venti, ebbene solo ora
sono ritornato un cittadino libero.
Non cito me stesso per fare della polemica spicciola, nutro gratitudine sincera per le istituzioni che
mi sono venute incontro, inoltre so bene perché ero
detenuto, nulla mi era dovuto.
In tema di punizione, di castigo, di giustizia,
all’angolo delle coscienze, c’è sempre il famoso ergastolo ostativo, quel detenuto che per la natura dei
reati commessi, e richiamati in sentenza, non potrà
accedere ad alcun beneficio carcerario nè ad alcuna
misura alternativa,a meno che l’imputato non accetti di collaborare con la magistratura, di mettere in
galera un altro al proprio posto, ultimo ma non per
importanza, esser ancora in grado di poterlo fare.
Forse è un bene per i cittadini detenuti ed i cittadini liberi ricordare quanto ebbe a dire Aldo Moro
sugli scopi e utilità della pena: è un giudizio negativo che va dato alla pena capitale, come alla pena
perpetua, perché contraddicono i principi costituzionali in tema di pena: trattamenti contrari al senso di
umanità e alla finalità rieducative, dunque l’ergastolo tanto è costituzionale e legittimo, in quanto
non si applichi effettivamente.
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Antropos in the world
Fattucchiere ed Eremiti del Vesuvio
da “Gente del Vesuvio”
di Umberto Vitiello
(Fine parte prima ed inizio seconda: Gli eremiti)
Ci si chiede com’è possibile credere a fattucchiere, indovine e veggenti dopo duemila anni di
cristianesimo e i progressi e la diffusione della
scienza. Mi hanno riferito di un’indagine su un
esteso campione della popolazione, condotta pochi
anni fa da un’équipe di giovani antropologi ed
etnologi sociali napoletani, indagine non pubblicata
perché i risultati, ritenuti improponibili, darebbero
inesistente ogni forma di superstizione e ormai non
più praticata la frequentazione di fattucchiere in
un’ampia zona della nostra regione, quella alle
falde del Vesuvio.
Tutti gli intervistati, senza nessuna eccezio-ne,
avevano dichiarato assolutamente non vero tutto ciò
che riguardava la magia, l’arte del divinare, le fatture, il malocchio e il paranormale. Dichiarazioni in
netto contrasto con l’accertata presenza di non poche fattucchiere ed indovine nel territorio.
“Non è vero, ma ci credo” è una nota commedia del 1942 di Peppino De Filippo, divenuta
film nel 1952. Probabilmente gli intervistati al “non
è vero” avevano omesso “ma ci credo” nella loro
risposta. È così che si comportano molti nostri connazionali di tutta Italia ancora oggi. In politica, ad
esempio, l’ipocrisia è diffusa non solo tra gli eletti,
ma anche e forse ancora di più tra gli elettori, che
per la maggior parte hanno l’abitudine di adeguarsi
sempre, ma solo formalmente, al modo di pensare
di chi li ascolta, dichiarando il falso sulla propria
fede politica perfino ai propri conoscenti, se questi
la pensano ben diversamente da loro.
Certo, va ben distinta la magia bianca da
quella nera. Chi pratica la prima affidandosi a un
amuleto, al tocco di mano di un pezzo di ferro o a
un rituale di fattucchiera per sentirsi più forte e
meno esposto ai pericoli e alle disavventure della
vita può essere definito un ingenuo, ma essendo
innocuo non va confuso con coloro che credono al
malocchio fino a vedere la cattiveria negli occhi
degli altri, perfino di amici e parenti. Meno che mai
va confuso con coloro che chiedono alla fattucchiera
di procurare a qualcuno malessere se non addirittura
la morte. Dei veri assassini, certi che le fatture hanno
l’effetto da loro desiderato e sicuri che nessuno potrà
mai scoprire i loro crimini, credendo in una pratica
che garantisce loro il cosiddetto delitto perfetto e
dunque la propria non punibiltà.
Ben diverse le considerazioni su coloro che
vanno a consultare un eremita. Non si tratta infatti
di superstiziosi che si affidano alla magia, bianca o
nera che sia. Chiedere consiglio a qualcuno, a chi si
ritiene più saggio od esperto, è una pratica non solo
lecita ma perfino lodevole, se si considera ad
esempio l’umiltà, e dunque la mancanza di superbia,
di coloro che, ammettendo i propri limiti, si rivolgono a chi si è ritirato in solitudine dal mondo per
cercare di santificare la propria esistenza, non rifiutandosi tuttavia di accogliere ed ascoltare coloro che
gli chiedono un parere e un consiglio.
I nostri eremiti, religiosi ma anche non pochi
laici che singolarmente e nelle varie epoche per
propria scelta si allontanano dalla società rintanandosi in grotte ed anfratti, pur essendo di un numero
infimo e non lasciando tracce vistose, sono i
conoscitori più profondi, ieri come oggi, se ne esiste
ancora qualcuno, della parte più generosa ed umana
di molti abitanti delle falde del Vesuvio. Isolandosi
per dedicarsi alla preghiera solitaria e alla meditazione, essi hanno sempre accettato con gratitudine
cibo e altri aiuti materiali, non disdegnando mai di
mettersi al servizio di coloro che amano consultarli
per avere un parere su una situazione difficile che
stanno vivendo e un consiglio sul come comportarsi
per venirne fuori.
Testimonianza della loro presenza era l’Eremo a
608 metri di quota nei pressi della Cappella del San
Salvatore e dell’Osservatorio Vesuviano1, nelle cui
vicinanze si trovava la stazione intermedia della
funicolare, stazione non a caso intitolata all’Eremo e
non alla cappella né all’osservatorio.A ridosso di
quest’ultimo, allora detto Osservatorio Reale, vi è
ancora l’Hôtel Eremo 1 fatto costruire da James
Mason Cook a corredo della Ferrovia Vesuviana
Cook 1, la funicolare da lui presa in gestione nel
1888 che portava fino a poche decine di metri dal
cratere. (Continua)
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Antropos in the world
DA ERICE
IL NUOVO LIBRO DI ANNA BURDUA
Σϰιᾶς ὄναϱ ἄνϑϱωπος
Skiās onar ànthrōpos
Senza la sua storia,
l’uomo è l’ombra di un
sogno. Di qui il senso
del libro di Anna Burdua, che ferma sulle pagine del tempo la storia
delle sue radici. Venere,
l’antica Astarte,gli eserciti Cartaginesi,le legioni di Roma e poi un lento defluire verso la stagione normanna. Una
storia che ancora aleggia sulle venticinque torri, iniziando da porta
Spada. Eventi e personaggi che si succedono su
di una terra bella, ricca e generosa, si, generosa di
storia, che ti rimane nella mente e … nel cuore.
Di qui, il titolo del libro della Burdua che fa
affiorare una più significativa e profonda attenzione alle cose, ai monumenti ed agli uomini. Ella
coglie quegli aspetti che le consentono di tradurre la realtà storico-sociale di Erice in più vigorose
e rappresentative immagini, non trascurando ricordi indelebili come quelli legati a personaggi
che molto hanno fatto per la cultura e l’affermazione della città.
Quello che può sfuggire a chi non vive attentamente le stagioni dell’anima, rappresenta per la
scrittrice “scintilla di riflessione”, che tracima
fattivamente nella rappresentazione di cio che è
stato, cogliendo il senso storico e vitale degli
eventi, trasmessi così alle nuove generazioni, come icona di civiltà.
Il dominio di sé e la semplicità espressiva le permettono una scelta coerente nella
ricostruzione di fotogrammi
di vita, che efficacemente
rinnovano sensazioni e, con
la forza e la ricchezza d'immagini, emozioni struggen-
- 31 -
ti. Concludiamo con l'asserire che questo libro
nella sua globalità va segnalato non soprattutto
per l'intensità emotività che suscita in questa
nostra epoca di pochezza politica, scritture frettolose e di ancora più frettolose letture, perché
coglie e s'ispira ad una realtà scrutata con l'occhio attento e sgombro da pregiudizi. Una realtà
fatta di storia e di cultura, in cui si apre genuina, una capacità inusitata di stupire.
Franco Pastore
Due momenti della presentazione del libro,
nella Kermesse del 30 marzo, presso la
Galleria d’Arte “ L’Urlo di Rosaria” in
Trapani. Erano presenti, con l’autrice, l’editore N. Barone ed il relatore dott. Fabrizio
Fonte. Moderatrice, la dott.ssa Caterina Colomba. La manifestazione è stata allietata
dalle musiche di Antonio Papa.
Antropos in the world
Regimen Sanitatis Salernitanum
- Caput XXXIV
DE LACTE
Lac ethicis sanum caprium, post camelium,
ac nutritivum plus omnibus est asininum;
Plus nutritivum vaccinum sit ovium.
Si febriat, caput et doleat, non est bene sanum.
Giova al tisico il caprino // latte e poscia il Cammellino.
Nel nutrir sopra ogni greggia, // quello d’asina primeggia.
Quel di vacca è pur nutriente,// quel di pecora ugualmente.
Per chi ha febbre o mal di testa // sempre il latte è ognor funesto
L’ANGOLO DEL CUORE


QUANDO ACCENDEVA
LE NOTTI DELL’INVERNO
Rintocco disperso.
In te, tramonta quel sole,
come pioggia caduta lieve
dal cielo.
Noticina diversa,
di pietra il sogno
è divenuto ormai.
E’ un violino che ferma il Sole,
che viaggia verso il Sole.
E tu mi parli,
tu memoria mi parli,
con la lama d’oro
dei suoi occhi azzurri.
Un ricordo, incolmabile,
di quando accendeva
_____________
Dalla raccolta OMBRE DI SOGNO, di Franco
Pastore
- 32
-
le notti dell’inverno
il solo gesto delle dita
tra i capelli.
Giuffrida Farina
(Premio San Valentino,Terni, 1981)
Antropos in the world
LEVIORA
Non fare il fesso, lo so
che li hai messo il tuo
bastone!
BRONTOLO
IL GIORNALE SATIRICO DI
SALERNO
Direzione e Redazione
via Margotta,18
tel. 089.797917
Radio Italia Uno
via Philips, 13
10091 Alpignano (TO)
Il BASILISCO
Periodico della
Associazione Lucana
Salerno
Presidente
Rocco Risolia
COSE DELL'ALTRO MONDO
 In un paesino di montagna un fabbro, un po' avanti con l'età, cerca disperatamente un
aiuto fabbro... finalmente trova un ragazzo disposto a lavorare per un pezzo di pane. Un
giorno, dopo aver fatto arroventare una barra di ferro, dice al ragazzo:
- io adesso tiro fuori la barra e la poserò sull'incudine... tu con la mazza darai un forte
colpo quando io abbasserò la testa... furono le sue ultime parole...
 L'altro giorno quando faceva tanto freddo un mio amico è andato a comprare dei
mutandomi di lana. Il negoziante gli ha chiesto:- Fin dove vuole che gli arrivino?Il mio amico ha risposto: - Beh, almeno fino alla fine di marzo! Un giorno un cacciatore parlando con un suo amico gli disse che era andato a caccia
dell'orso più grande del mondo. Gli disse che era andato in una grotta piccola ma c'era un
orso piccolo, poi in una grotta media e c'era un orso medio, infine in una grotta
grande... L' amico lo interrompe e gli dicendogli:- E chi ti a ridotto cosí un orso enorme? E l' altro:- No un treno ! Qual'è il colmo per un pidocchio? Stare sempre in testa!
 Una signora denuncia la scomparsa del marito alla locale Stazione dei Carabinieri. Iniziano
la ricerche ma sono infruttuose sino a che, dopo un mese, viene trovato il cadavere di un
uomo nel fiume. Il maresciallo chiama la signora per il riconoscimento. Il corpo è quasi
irriconoscibile vista la lunga permanenza in acqua. Il maresciallo scopre la testa dell'uomo
e chiede alla signora se è suo marito. La signora: No, sono sicura, non è mio marito-.
Il maresciallo le consiglia però di guardare meglio per essere sicura e così scopre il
cadavere fino alla cintola. Ma la signora:- No, no, mio marito era diverso.
- Ma è proprio sicura? Forse sarebbe meglio che lei guardasse anche le parti intime - e
scopre il cadavere completamente. E la signora:- Adesso sono proprio sicura che non è
mio marito, anzi, le dirò di più, questo non è neanche del paese!-
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Antropos in the world
UNA OPINIONE ERETICA - DA SOCIAL
GRANDI MANOVRE PER MATTEO RENZI:
PRODI E DE BENEDETTI IN POOLE POSITION
Quanti italiani conoscono il nome di Fabrizio Barca? Certamente pochi e – al di là di amici e
partenti – quasi tutti appartenenti alla non folta comunità degli “addetti ai lavori” di economia.
Eppure – guarda caso – al sondaggio di “Repubblica” su «chi vorresti come ministro dell’economia?» il 50% dei lettori del quotidiano debenedettiano avrebbe indicato proprio il suo nome. Da lì,
tutta una serie di pressioni più o meno aperte perché accettasse e si imbarcasse sulla goletta renziana.
Nulla di esplicito, di diretto, nulla che potesse impedire a Carlo De Benedetti di dichiarare che lui
Barca non lo vedeva e non lo sentiva da mesi. Ma Fabrizio Barca – che non è un fesso – ha sommato
due più due e ne ha dedotto quel che ha confessato nella telefonata-trappola di Radio 24: «Lui non si
rende conto che io più vedo un imprenditore dietro un’operazione politica, più ho conferma di tutte
le mie preoccupazioni.» Ma di chi si parlava? «Del padrone della Repubblica, con un forcing diretto
di sms, attraverso un suo giornalista, con una cosa che hanno lanciato sul sito “chi vorresti come
ministro dell'Economia” dove ho metà dei consensi.»
Fin qui, la telefonata. Che in un altro contesto lascerebbe forse il tempo che trova, ma che
nello scenario odierno è un’altra tessera del mosaico che spiega il generale rimescolamento di carte
da cui è nato il governo Renzi. Quali gli altri tasselli? Il primo è sotto gli occhi di tutti: il grande
impegno profuso da “Repubblica” per supportare la scalata al potere di quello che – deamicisianamente – qualcuno chiama “il piccolo scrivano fiorentino”. Il secondo tassello – certamente meno
evidente – è il ruolo centrale di De Benedetti (insieme a Prodi e a Monti) nelle rivelazioni che sono
alla base del libro di Alan Friedman “Ammazziamo il Gattopardo”. Un libro uscito con fulminante
tempismo, proprio quando sul capo di Giorgio Napolitano si andavano addensando le nubi di un
possibile – anche se improbabile – impeachment.
Orbene, se vogliamo credere che il mosaico sia questo, lo scenario che si prospetta potrebbe
essere il seguente. Primo: qualcuno, in altissimo loco, ha “mollato” Re Giorgio ed ha decretato la fine
del “suo” secondo governo, quello di Enrico Letta. In questo contesto – volendo dare corpo alle
ombre della fantapolitica – se Napolitano è stato il nume tutelare di Letta, De Benedetti è ora il nume
tutelare di Renzi. E ancòra – seguendo il medesimo fantasioso itinerario – alla scadenza del secondo
mandato di Giorgio Napolitano (o in caso di sue dimissioni, o in caso di impeachment) il suo naturale
successore non potrà essere che l’amico del cuore di De Benedetti, cioè Romano Prodi. Prodi – si
ricordi – è stato la seconda fonte delle rivelazioni di Friedman. La terza fonte è stato Mario Monti: il
perché lo immagino, ma non lo dico.
Grandi manovre, insomma: come quelle del 2011-2012 che – con la complicità di madame
Merkel e di uno spread fatto salire alle stelle dalle agenzie di rating – portarono al potere Mario
Monti in Italia e Lucas Papadémos in Grecia, due uomini di quello che i francesi chiamano
“gouvernement Sachs européen”; di quella particolare “rete d’influenza” europea – cioè – formata da
uomini legati in vario modo alla Goldman & Sachs, la più grande “banca d’affari” americana. L’Italia
ha fornito tanti illustri sodali a quella triste aristocrazia finanziaria. A incominciare da “mister
Britannia” Mario Draghi, oggi governatore della Banca Centrale Europea e, negli anni passati,
vicepresidente per l’Europa di Goldman & Sachs (per gli amici, GS). Ma fra i Goldman’s Boys
italiani spicca un altro nome illustre ed illustrato, quello di “mister Privatizzazioni” Romano Prodi,
già consulente della GS negli anni ’90 ed ora – secondo i soliti maliziosi – candidato in pectore alla
Presidenza della Repubblica.
Guarda un po’ dove andrebbe a parare il piccolo rottamatore fiorentino!
M.Rallo
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Antropos in the world
L’ANGOLO DELLA FOLLIA
MICROFULMINI E FELTRIZZAZIONI
CHIMICO-DANTESCHE
Scintillometro
Effetto luminoso al neon, n. 7
“Microfulmini” Jovis
FELTRIZZAZIONI – ovvero il rapporto
tra il mondo dantesco e la chimica
Si tratta di collages realizzati su cartonci-no;
ogni singolo collage contiene 4 elementi:
1) Una riflessione su Dante o sulla sua Opera.
2) Un concetto chimico (una reazione, una
trasformazione chimica, un generico fenomeno o
processo chimico).
3) Un foro, praticato sul cartoncino.
4) Tre feltrini adesivi rotondi, uno dei quali comprime un piccolo filo di rame: nel termine “feltrino” compare “trino”, che fa pensare al Dio
trino; “adesivo”: Dante ha connesso, ha correlato
Poesia e Chimica; “rotondo”: la visuale di Dante
copre i 360 gradi.
ENERGIA CHE PRENDE FORMA: l’Aldilà
Dantesco è un vasto ed eterogeneo ambiente
energetico, formato da energie sviluppate da
corpi trasformati: dunque viene coinvolta la
Chimica.
Ita apparet menti insanae, per Hercules!
AUCTOR INSANUS: Giuffrida Farina, salernitanus, qui in urbe vivit, laborat, deditusque operibus
insanis est usque ad finem.
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