ESTRATTO - CSAI Impianti

ESTRATTO
Marzo 2013
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SOMMARIO
1. PREMESSE E CONDIZIONI ALLA BASE DELLA PROGETTAZIONE
PROPOSTA. .......................................................................................................................................... 2 2. DESCRIZIONE DEGLI INTERVENTI IN PROGETTO. ...................................................... 5 2.1. Situazione attuale ........................................................................................................5 2.2. Ampliamento della discarica, con costruzione di nuovi moduli di stoccaggio ..............7 3. UBICAZIONE (PUNTO 2.1 ALLEGATO 1, D.LGS. 36/03). ................................................ 13 4. PREDISPOSIZIONE DELL’INVASO (PUNTO 2.4.2. ALLEGATO 1, D.LGS.
36/03). ................................................................................................................................................... 16 5. RETE DI RACCOLTA, DEFLUSSO E RILANCIO DELLE ACQUE SUPERFICIALI
(PUNTO 2.3 ALLEGATO 1, D.LGS. 36/03)............................................................................... 25 5.1. Acque di scarico reflui civili ......................................................................................26 5.2. Acque meteoriche .....................................................................................................28 6. DRENAGGIO E RETE DI RACCOLTA E TRASPORTO DEL PERCOLATO
(PUNTO 2.3 ALLEGATO 1, D.LGS. 36/03)............................................................................... 51 7. ASSESTAMENTI PREVISTI ED EVOLUZIONE DELLA MORFOLOGIA
FINALE. ............................................................................................................................................... 51 8. OPERAZIONI DI COPERTURA (PUNTO 2.4.3 ALLEGATO 1, D.LGS. 36/03). .......... 51 9. MATERIALI ALTERNATIVI PROPOSTI E ATTIVITA’ DI RECUPERO
RELATIVE .......................................................................................................................................... 54 10. BIOGAS (PUNTO 2.5 ALLEGATO 1, D.LGS. 36/03)............................................................. 54 10.1. Valutazione teorica del gas di discarica prodotto. ......................................................54 10.2. Valutazione della quantità di gas di discarica captato. ................................................57 10.3. Impianto di captazione e combustione del biogas. ....................................................79 11. IMPIANTO ANTINCENDIO ED IMPIANTO ELETTRICO. ............................................. 87 12. DISTURBI E RISCHI (PUNTO 2.6 ALLEGATO 1, D.LGS. 36/03). .................................... 87 13. DOTAZIONE DI ATTREZZATURE E PERSONALE (PUNTO 2.9 ALLEGATO 1,
D.LGS. 36/03). .................................................................................................................................... 87 14. MODALITÀ E CRITERI DI COLTIVAZIONE (PUNTO 2.10 ALLEGATO 1,
D.LGS. 36/03). .................................................................................................................................... 88 15. DIAGRAMMA A BLOCCHI DEL CICLO DI SMALTIMENTO IN DISCARICA E
INDICAZIONE DELLE RISORSE UTILIZZATE. ................................................................. 88 ____________________________________________________________________________________________________________________________
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PROGETTO DEFINITIVO DI AMPLIAMENTO DELL’IMPIANTO DI DISCARICA
PER RIFIUTI NON PERICOLOSI DI CASA ROTA
- Relazione di Progetto -
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1.
PREMESSE E CONDIZIONI ALLA BASE DELLA PROGETTAZIONE PROPOSTA.
Il presente progetto illustra le scelte effettuate per l’ampliamento della discarica per rifiuti non
pericolosi ubicata in località “Casa Rota”, nel Comune di Terranuova Bracciolini, in Provincia di
Arezzo.
La discarica su cui si interviene è uno degli impianti previsti dalla programmazione della gestione
integrata dei rifiuti urbani che l’Amministrazione della Provincia di Arezzo ha elaborato ed
approvato nell’anno 2000, sulla base di “ … una accurata indagine sulle produzioni e sulle modalità e
possibilità di smaltimento attuali al fine di individuare le aree problematiche e le carenze esistenti …”. Il PPGR
(Piano Provinciale per la Gestione dei Rifiuti) “ … ha come obiettivo quello di concentrare i rifiuti in un
limitato numero di impianti costituenti un unico “sistema integrato di livello sovracomunale”, conformemente a quanto
previsto dal D.Lgs. 05/02/1997, n. 22, modificato ed integrato con il D. Lgs. 08/11/1997, n. 389, dalla L.R.
25 del 18/05/1998 e dal Piano regionale di gestione dei rifiuti ….
… Come fulcro dell’intero sistema di gestione dei rifiuti a livello provinciale si propone il costruendo impianto integrato
di selezione, compostaggio ed incenerimento in località S. Zeno del Comune di Arezzo, affiancato dagli impianti di
servizio in località Il Pero del Comune di Castiglion Fibocchi e in località Casa Rota del Comune di Terranuova
Bracciolini …”.
In particolare alla discarica di Podere Rota viene affidato “ … il ruolo di discarica di supporto sia della
struttura di selezione e compostaggio da realizzare all’interno del medesimo, sia dell’impianto di selezione,
compostaggio ed incenerimento di S. Zeno. Verrà destinato anche allo smaltimento dei rifiuti industriali dell’ATO
provinciale e del Valdarno fiorentino, nonché dei residui di processo degli impianti di S. Zeno e di Selvapiana …
La discarica servirà, nei periodi di manutenzione dell’inceneritore di S. Zeno e Selvapiana, anche per l’eventuale
smaltimento dei rifiuti da fermo impianto di incenerimento …”.
La discarica è certamente l’elemento più rilevante, ormai storico e consolidato, di un sistema
articolato che le società Centro Servizi Ambiente Impianti S.p.A. e TB S.p.A. stanno sviluppando
nell’area tecnologica di “Casa Rota”, in modo da attuare i criteri e le finalità indicate nella parte IV –
Titolo I del D.Lgs. 152/2006 in materia di trattamento e smaltimento dei rifiuti. In effetti l’impianto
di discarica rappresenta l’elemento di sostenibilità in un sistema più complesso, in cui i rifiuti
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PROGETTO DEFINITIVO DI AMPLIAMENTO DELL’IMPIANTO DI DISCARICA
PER RIFIUTI NON PERICOLOSI DI CASA ROTA
- Relazione di Progetto -
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verranno selezionati, separati e valorizzati, e consente già da ora di sfruttare, in modo efficace, i
processi di decomposizione anaerobica della sostanza organica che residua nella frazione conferita,
utilizzando i rifiuti come mezzo per produrre energia.
L’impianto è in possesso dal 2003 dell’autorizzazione del Piano di Adeguamento ai sensi del D.Lgs.
36/2003 ed è stato recentemente autorizzato anche ai sensi dell’art. 7 del D.Lgs. 59/2005, con
Provvedimento Dirigenziale n. 88/EC del 30/06/2006, aggiornato con successivo Provvedimento
Dirigenziale n. 38/EC del 02/04/2007. In termini concreti ciò equivale ad affermare che l’impianto
in questione risponde ai requisiti recentemente introdotti dalla normativa italiana per le discariche, in
recepimento delle indicazione europee, e che nello stesso sono applicate tutte le misure necessarie
per conseguire un elevato livello di protezione dell’ambiente nel suo complesso.
Proprio in funzione delle particolari condizioni tecniche e gestionali che contraddistinguono
l’impianto, la Provincia di Arezzo ha ritenuto opportuno applicare, in sede di autorizzazione ai sensi
del D.Lgs. 59/2005 (AIA-IPPC) quanto previsto dall’art. 7 del D.M. 03 agosto 2005, con impianto
che si configura perciò quale discarica per rifiuti non pericolosi sottocategoria c), cioè una
“discarica per rifiuti misti non pericolosi con elevato contenuto sia di rifiuti organici o
biodegradabili che di rifiuti inorganici, con recupero di biogas”. Per questi impianti sono
possibili deroghe rispetto ad alcuni parametri che caratterizzano i rifiuti in ingresso: nel nostro caso,
l’autorizzazione rilasciata con Provvedimento Dirigenziale n. 88/EC del 30/06/2006, prevede la
deroga al parametro DOC.
Per quanto attiene la normativa a cui riferirsi per gli aspetti costruttivi e gestionali, si ricorda che lo
Stato Italiano ha recentemente recepito la direttiva comunitaria CE 31/99, applicata a livello
nazionale tramite il Decreto Legislativo n. 36 del 13 gennaio 2003, relativo ai soli impianti di
discarica. La norma si pone l’obiettivo generale (art. 1) di prevedere misure, procedure ed
orientamenti tesi a prevenire o a ridurre il più possibile le ripercussioni negative sull’ambiente indotte
dalla realizzazione di impianti di discarica.
Il D.Lgs. 36/2003 costituisce infatti il riferimento tecnico di settore per l’applicazione delle migliori
tecnologie disponibili in materia di prevenzione integrata dell’inquinamento (MTD, versione italiana
del più noto acronimo BAT inglese), così come esplicitato all’art. 4, comma 4 del D.Lgs. 59/2005
Attuazione integrale della direttiva 96/61/CE relativa alla prevenzione e riduzione integrate dell’inquinamento.
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PROGETTO DEFINITIVO DI AMPLIAMENTO DELL’IMPIANTO DI DISCARICA
PER RIFIUTI NON PERICOLOSI DI CASA ROTA
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In accordo con l’obiettivo del decreto, si evidenzia che i criteri progettuali assunti per la definizione
dell’ampliamento sono improntati alla tutela dell’impianto esistente, al conseguimento della massima
garanzia contro eventuali inquinamenti, all’ottimizzazione della funzionalità e della logistica e alla
riduzione dei fattori di impatto ambientale.
In particolare si sono esaminati e considerati tutti gli aspetti riconducibili al massimo livello di
garanzia per la protezione delle acque, sotterranee e superficiali, contro eventuali fughe di percolato,
e si sono assunti criteri che tendono al contenimento delle emissioni in atmosfera di odori, gas, e
rumori.
L’adeguata e immediata realizzazione di interventi per il recupero e la riqualificazione ambientale
dell’area contribuirà a ridurre l’impatto che deriva dalla presenza dell’opera, nonché ai potenziali
disagi arrecati al territorio circostante dove, peraltro, non risulta che l’impianto già insediato abbia
provocato sensibili variazioni delle condizioni ambientali.
Altro aspetto ritenuto di fondamentale importanza riguarda la costante tenuta in efficienza di un
sistema di monitoraggio ambientale e strutturale efficace, che consenta di intervenire
tempestivamente qualora si manifestassero inconvenienti all’impianto o problemi di inquinamento.
La descrizione delle varie opere previste per l’ampliamento in oggetto verrà presentata al lettore
proponendo l’esame dei singoli criteri costruttivi e gestionali, così come introdotti dall’allegato 1
della normativa italiana in materia di discariche.
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PER RIFIUTI NON PERICOLOSI DI CASA ROTA
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2.
DESCRIZIONE DEGLI INTERVENTI IN PROGETTO.
2.1. Situazione attuale
Il progetto iniziale della discarica di Iª e IIª categoria Tipo B di Casa Rota è stato approvato in data
28/07/88 dalla Provincia di Arezzo (Deliberazione C.P. di Arezzo n. 340 del 28/07/88), e
prevedeva una capacità di abbancamento di 1.526.000 m3, con volumetria suddivisa su un totale di 7
moduli di coltivazione (nel seguito si farà riferimento a tale zona come “modulo storico”).
Nel febbraio del 2002 il titolare della proprietà e della gestione dell’impianto, la società Centro
Servizi Ambiente S.p.A. (CSA), ora denominata Centro Servizi Ambiente Impianti S.p.A. (CSAI), ha
presentato un progetto di ampliamento che ha portato allo sviluppo dell’impianto sia per
ampliamento che per sopraelevazione della discarica esistente, con interventi che si inquadrano nella
pianificazione proposta dalla Provincia di Arezzo, con l’adozione del “Piano di Gestione dei Rifiuti 1° stralcio Rifiuti urbani ed assimilabili”. L’ampliamento prevedeva la realizzazione di 4 moduli, da
coltivare in 6 fasi successive, per una volumetria netta totale di 2.174.000 m3, da sommare a quella
del modulo storico.
L’istruttoria di questo progetto è stata particolarmente lunga ed articolata: si rammenta, ad esempio,
che durante l’esame è intercorsa l’applicazione della Direttiva CE 31/1999 e questo ha comportato,
tra l’altro, la produzione di nuovi elaborati e dei piani richiesti dall’allegato 2 al D.Lgs. 36/2003.
La versione finale del progetto è stata approvata con la Delibera di Giunta della Provincia di Arezzo
n. 589 del 04/08/2003.
Nel novembre del 2005 CSA S.p.A. ha presentato un “Progetto definitivo di riassetto morfologico di
ottimizzazione gestionale dell’impianto di Casa Rota” approvato contestualmente al rilascio
dell’Autorizzazione Integrata Ambientale (AIA) di cui al Provvedimento Dirigenziale della Provincia
di Arezzo n. 88/EC del 30/06/2006. Il progetto mantiene inalterata la volumetria complessiva
dell’impianto ma ne prevede una nuova suddivisione, con imposizione di linee di quota temporanee
più acclivi, in modo da consentire un miglior deflusso delle acque dalle coperture e ridurre gli spazi
esposti all’azione degli eventi meteoclimatici.
Il dettaglio dei volumi per le varie fasi di coltivazione è riportato nella seguente tabella, estrapolata
dall’Allegato 1 dell’AIA.
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Progetto originale
Fasi di costruzione
Fasi di
autorizzazione
alla gestione
Storico
modulo stralcio
modulo di
1° modulo
monte
ampliamento
modulo di valle
2° modulo
3° modulo
1ª fase
2ª fase
3ª fase
4ª fase
4° modulo
5ª fase
6ª fase
totale
Progetto di ottimizzazione della fase gestionale del novembre 2005,
con dati volumetrici riepilogati al 31/12/2005
Volumetria
prevista dal
progetto
approvato, da
intendersi al
netto degli
assestamenti
(m3)
Volumetria
autorizzata alla
gestione ed
attivata
(m3)
Fasi di costruzione e
corrispondenza con
suddivisione
originale
1.526.000
327.500
1.526.000
327.500
83.000
83.000
170.000
182.000
134.000
165.000
11.000
12.000
539.000
12.000
199.000
339.500
3.700.000
Storico
moduli già realizzati,
170.000 compresa superficie
182.000 riconducibile a parte
del 3° modulo
134.000
(area modulo 3a)
165.000
11.000
/ modulo 3b (spicchio)
modulo 3 b
/
modulo 4a
modulo 4b
12.000
già realizzato
/
moduli 5 e 6
/
2.610.500
Nuova
Volumetria
Volumetria residua
Suddivisione
residua al
complessiva al
della volumetria volumetria da
considerarsi già
31/12/2005,
31/12/2005, relativa
al netto degli
autorizzata alla relativa alle aree alle aree autorizzate
assestamenti
gestione ed
già autorizzate ed ancora da attivare,
attesi
attivata, al netto alla gestione ed
al netto degli
(m3)
degli
attivate, al netto
assestamenti attesi
assestamenti
degli
(m3)
attesi
assestamenti
(m3)
attesi
(m3)
1.526.000
1.526.000
0
0
327.500
327.500
0
0
83.000
83.000
0
0
170.000
138.194
101.747
125.285
8.352
86.320
210.267
166.000
421.563
10.435
170.000
138.194
101.747
125.285
8.352
/
0
108.319
79.752
98.201
6.547
/
/
/
10.435
/
/
0
0
108.319
79.752
98.201
6.547
86.320
210.267
166.000
421.563
0
325.337
/
/
325.337
3.700.000
2.490.513
292.819
1.502.306
Tab. 1 - Tabella E contenuta nell’Allegato 1 al Provvedimento Dirigenziale n°88/EC del 30/06/2006
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2.2. Ampliamento della discarica, con costruzione di nuovi moduli di stoccaggio
Il progetto in esame si configura come adeguamento di un impianto di discarica esistente per
sopraelevazione ed ampliamento.
Nel rispetto del D.Lgs. 36/03 e delle successive note interpretative per l’approvazione dei Piani di
Adeguamento di cui all’art. 17 comma 3 dello stesso decreto, emanate dalla Regione Toscana con
deliberazione n. 739 del 18 luglio 2005, per le operazioni di ampliamento e/o sopraelevazione di
impianti di discarica esistenti, vengono definite alcune specifiche procedure:

nel caso di ampliamento di discariche autorizzate [lettera a) del punto 4) dell’allegato A] gli
impianti sono assoggettati al rispetto delle normative vigenti in materia di autorizzazione di
discariche ma possono essere applicate deroghe ai criteri previsti negli Allegati al D.Lgs. n.
36/2003 e nel D.M. 03/08/2005 per quanto attiene ai criteri localizzativi;

per le sopraelevazioni, ammesse solo nel caso in cui sia stato approvato il piano di
adeguamento, trattandosi di discariche già in esercizio, si deve fare riferimento ai criteri tecnici
di cui al D.Lgs. n. 36/2003 e al D.M. 13 marzo 2003, per quanto applicabili. In questo caso
l’esame delle varie operazioni tecniche e dei criteri costruttivi deve essere implementato dal
concetto di “opere infrastrutturali possibili”.
In sintesi pare che la norma si basi sul principio che la presenza della discarica sul territorio e la sua
conformità ai criteri introdotti dal D.Lgs. 36/03 siano elementi favorevoli di cui tener conto nella
valutazione complessiva dell’impianto e delle sue ricadute nei confronti delle matrici ambientali.
Sia la sopraelevazione che l’ampliamento interessano le parti superiori dell’anfiteatro naturale in cui
si sviluppa l’impianto, con parte basale dello stesso che rimane inalterata, nella configurazione
morfologica ed impiantistica ormai consolidata. In effetti la discarica, con livelli di conferimento che
si attestano dal basso verso l’alto, è caratterizzata da parti basali in fase post-operativa da diversi
anni, con sagome ormai assestate e superfici recuperate “a verde” grazie ad azioni di ricomposizione
paesaggistica ed ambientale.
L’ampliamento in oggetto si svilupperà a nord e ad est della zona interessata dai conferimenti attuali
e dall’impianto originale, e si presenterà come un classico esempio di discarica di “versante”,
intendendo con ciò un impianto che si sviluppa sul fianco di uno o più versanti naturali, previa
verifica delle loro condizioni di stabilità ed impermeabilità, o su parti di discarica già esistente, stante
la verifica della compatibilità statica e gestionale dell’ampliamento rispetto a quanto già autorizzato.
In questa configurazione i rifiuti si appoggiano sulla “sponda” rappresentata dalla pendice o dai
cumuli di discarica già realizzati mentre la sigillatura finale viene eseguita nelle sole parti esposte agli
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eventi meteoclimatici, con coperture temporanee e finali coerenti ai criteri costruttivi di cui al D.Lgs.
36/03.
L’area di ampliamento sarà quindi opportunamente sagomata e predisposta, operando inizialmente
con esecuzione di scavi per rimuovere gli strati di copertura alterati e non affidabili e provvedendo,
nel seguito, con interventi di ricostruzione del fondo invaso e delle scarpate con terre idonee,
compattate per strati a modesto spessore, in modo da garantire le migliori caratteristiche geotecniche
agli strati minerali collocati in opera.
Sia per il fondo invaso che per le scarpate dell’impianto di nuova costruzione è prevista la
realizzazione di un sistema di protezione idraulica di tipo multibarriera, in grado di garantire la
costruzione di un pacchetto impermeabilizzante particolarmente efficace, descritto nel seguito nel
rispetto dei criteri costruttivi già richiamati.
Inoltre si sottolinea che si prevede di suddividere l’ampliamento in moduli tra loro separati da
strutture in terra. In questo modo si vuole limitare la superficie dei rifiuti esposta all’azione degli
agenti atmosferici ed a confinare, per quanto possibile, le aree in cui gli apporti pluviometrici
determinano incrementi nella produzione di percolato. I moduli verranno raggruppati in tre fasi
operative, così descritte:
Fase
1ª fase
I modulo della 2ª fase
II modulo della 2ª fase
III modulo della 2ª fase
I modulo 3ª fase
Completamento 3ª fase
Superficie fondo
(m2)
6.410
4.390
5.020
1.930
Superficie scarpate
(m2)
7.960
2.480
3.315
2.300
Capacità
(m3)
516.795,00
102.805,00
136.490,00
357.990,00
13.405
17.575
370.043,00
103.646,00
Tab. 2 - Caratteristiche geometriche delle singole fasi
Complessivamente l’ampliamento consentirà l’utilizzo di ulteriori 1.587.769 m3, con volumetria
determinata ai sensi della lettera c) del comma 1 dell’art. 8 del D.Lgs. 36/2003 “ … espressa in termini
di volume utile per il conferimento dei rifiuti, tenuto conto dell’assestamento dei rifiuti e della perdita di massa dovuta
alla trasformazione in biogas …”.
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Considerando un peso specifico del rifiuto conferito pari a 1,1 t/m3 il quantitativo complessivo che
si potrà smaltire nell’impianto è valutato in circa 1.746.546 tonnellate, da suddividere nei moduli di
ampliamento per il periodo che va dal 2012 al 2022.
Fig. 1 - Rappresentazione delle fasi di ampliamento
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I nuovi volumi in progetto andranno a sommarsi a quelli già autorizzati, che presumibilmente
residueranno alla data del 31/12/2007, valutati in 1.042.231 m3. Pertanto, per il periodo considerato,
pari alla gestione quindicennale dell’impianto di selezione e compostaggio e quindi relativo agli anni
che vanno dal 2008 al 2022, si ipotizza una volumetria complessiva di 2.630.000 m3, a cui
corrispondono 2.893.000,00 tonnellate di rifiuti non pericolosi.
La tabella successiva descrive la previsione della tempistica di smaltimento nell’impianto in oggetto,
relativa ai volumi già autorizzati ed a quelli di progetto.
Suddivisione volumi ampliamento
(1.587.769 m3 complessivi)
1ª fase
I modulo
2ª fase
II modulo
2ª fase
III modulo
2ª fase
I modulo
3ª fase
completamento
3ª fase
anno
tonnellate
volumi
2008
286.000
260.000
2009
286.000
260.000
2010
286.000
260.000
2011
275.000
250.000
2012
275.000
250.000
237.769
2013
187.000
170.000
170.000
2014
187.000
170.000
109.026
2015
143.000
130.000
2016
143.000
130.000
2017
143.000
130.000
130.000
2018
143.000
130.000
130.000
2019
143.000
130.000
16.311
2020
132.000
120.000
120.000
2021
132.000
120.000
120.000
2022
132.000
120.000
16.354
103.646
Tot.
2.893.000
2.630.000
370.043
103.646
60.974
41.831
88.169
48.321
516.795
102.805
136.490
81.679
357.990
113.689
Tab. 3 - Volumetrie di progetto
A partire dal 2008, anno in cui entrerà a regime il limitrofo impianto di compostaggio, gli
smaltimenti annui sono previsti in leggera diminuzione, con decrementi più significativi in
concomitanza delle probabili attivazioni di ulteriori impianti di trattamento-smaltimento dei rifiuti,
con conseguente e significativa diminuzione dei conferimenti in discarica. Dal 2015 in poi le quantità
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previste in smaltimento rimangono pressoché costanti, con un leggero decremento nell’ultimo
triennio prima dell’esaurimento della volumetria, previsto per il 2022.
Come detto si opera in un’area caratterizzata da pendici, in cui si realizza una discarica di versante.
E’ quindi opportuno che la progettazione si ponga innanzitutto obiettivi che mirano a garantire la
stabilità delle pendici e dei fronti di discarica sia in condizioni ante che post-operam, con attività di
approntamento che, come già detto, richiederanno la rimozione di strati a minori caratteristiche
geotecniche e la ricostruzione di porzioni significative di versanti. Acquisire e garantire gli obiettivi
suddetti comporterà operazioni di scoronamento estese a tutte le parti di versante che sono
attualmente residuali rispetto alle attività antropiche già condotte, con lavorazioni che inizieranno
dalle zone di crinale e raggiungeranno le zone di attuale conferimento/approntamento. Applicare
questa procedura equivale a consolidare e stabilizzare i versanti esistenti dall’alto verso il basso, in
modo da evitare l’innesco di fenomeni gravitativi connessi ad operazioni di movimento terra
condotte nelle parti basali del versante senza aver preventivamente stabilizzato le zone a quote
geodetiche maggiori, evitando così l’attivazione di scivolamenti superficiali e/o modifiche delle
pressioni interstiziali ed efficaci che caratterizzano gli strati in cui si opera.
Tutte le lavorazioni saranno progettate e sviluppate in funzione di quanto accertato dalle varie
campagne di indagine, dagli studi condotti per la descrizione del modello geomorfologico dell’area e
dalle specifiche relazioni già elaborate per gli interventi precedenti. L’apposito documento di cui
all’elaborato 3.A., denominato Relazione geologica, idrologica e geotecnica, rappresenta il compendio di tutte
le informazioni prima brevemente riepilogate, in quanto basata anche su informazioni ricavate in
modo diretto durante l’esecuzione dei lavori di costruzione dei moduli di discarica già attivati.
La morfologia finale dell’impianto colmato verrà sagomata in modo da garantire linee e profili
compatibili con l’assetto del territorio ed il naturale deflusso delle acque meteoriche che interessano
l’area, con costruzione di appositi sistemi di deflusso e canalizzazioni predisposte perimetralmente
all’invaso. La regimazione prevista per le acque permetterà, in ogni fase operativa, la separazione
fisica tra acque meteoriche e di percolazione, con sistemi indipendenti afferenti a vettori idraulici
distinti.
Le emissioni liquide e gassose verranno gestite [leggasi raccolte e/o aspirate e trattate] per tutta la
durata della fase operativa e post-operativa, nel rispetto delle indicazioni normative e delle necessarie
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PROGETTO DEFINITIVO DI AMPLIAMENTO DELL’IMPIANTO DI DISCARICA
PER RIFIUTI NON PERICOLOSI DI CASA ROTA
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precauzioni e protezioni già prese in esame dal gestore per limitare gli impatti ambientali connessi
all’impianto.
In particolare il percolato verrà drenato sul fondo invaso e rilanciato ai sistemi di stoccaggio
temporaneo per poi essere inviato alla depurazione, mentre il biogas, prodotto dalla decomposizione
della sostanza organica contenuta nei rifiuti, verrà captato dall’ammasso e inviato alla combustione
per il recupero energetico.
La dimensione delle operazioni da effettuare, l’entità dei materiali da approvvigionare ed utilizzare e
la quantità dei materiali naturali da movimentare per la predisposizione degli invasi di contenimento
dei rifiuti consigliano, anche per motivi connessa alla successiva fase di gestione operativa, di
suddividere l’opera in fasi di intervento.
Si è già riportato che il progetto prevede tre fasi operative distinte. La loro organizzazione operativa
risulta di fondamentale importanza per la corretta gestione dell’impianto. Per questo motivo nel
seguito si riporta, per capitoli, la descrizione delle varie lavorazioni previste per la costruzione e la
gestione dell’ampliamento.
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PROGETTO DEFINITIVO DI AMPLIAMENTO DELL’IMPIANTO DI DISCARICA
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3.
UBICAZIONE (PUNTO 2.1 ALLEGATO 1, D.LGS. 36/03).
La discarica per rifiuti non pericolosi di Casa Rota si colloca nella località omonima, a circa 4 km a
NO dal centro abitato di Terranuova Bracciolini, in Provincia di Arezzo.
Le principali vie di comunicazione circostanti il sito sono:
- la SC di Piantravigne che si sviluppa a Est dell’impianto prendendo origine dalla SP 7
- la SP 7 di Piantravigne (Persignano) a Sud della discarica
- la SP del Botriolo che si sviluppa in direzione Nord/Sud a circa 750 m a Ovest della discarica
- l’A1, Autostrada del Sole, a circa 1200 m a Sud/Ovest del sito.
L’area di discarica, intesa quale impianto esistente e ampliamento in progetto, è censita al Catasto
Terreni del Comune di Terranuova Bracciolini ai fogli 3 e 4 ed interessa, anche solo parzialmente, i
seguenti mappali:
Foglio 3
Foglio 4
Mappali n°
Mappali n°
96-97-98-99-100-101-109
15-43-44-51-52-80-227-267-269-271-273-278-279
I vertici delle coordinate Gauss-Boaga e UTM riferiti agli spigoli perimetrali dell’impianto di
discarica, inviluppo complessivo delle varie fasi gestionali, sono riportati nella figura di pagina
seguente.
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Dal punto di vista geologico, la zona collinare a monte degli ex fabbricati colonici di Casa Rota,
attualmente interessati dagli impianti di discarica e selezione e compostaggio, è caratterizzata dalla
presenza di affioranti sedimenti ad elevato contenuto di argilla, tutti scarsamente permeabili, con
buone garanzie per la salvaguardia della acque sotterranee da possibili modifiche/inquinamenti
connesse alla presenza dell’area tecnologica.
Per quanto riguarda l’inquadramento urbanistico, si rileva che il Comune di Terranuova Bracciolini,
in attuazione alla legge urbanistica regionale (L.R. 5/95 poi modificata con la L.R. 1/2005) Norme per
il governo del territorio, si è recentemente dotato di un nuovo strumento urbanistico, composta da:

Piano Strutturale, strumento della pianificazione territoriale che ha determinato la componente
strategica, le invarianti e gli indirizzi generali di conformazione del territorio

Regolamento Urbanistico, atto di governo del territorio che definisce il quadro operativo e
giuridico amministrativo.
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Nella tavola n. 10 allegata al Regolamento Urbanistico l’area tecnologica di Casa Rota, destinata alla
gestione integrata dei rifiuti ed in cui è inserita anche l’area di discarica esistente, viene compresa
nella Zona F3SMA01, così definita dalle norme tecniche all’articolo 56 - AREE PER
ATTREZZATURE DI INTERESSE PUBBLICO (SOTTOZONE “F3”):
Area per la gestione integrata dei rifiuti urbani e speciali non pericolosi. All’interno di tale ambito sono ammessi
esclusivamente interventi funzionali all’esercizio dell’attività svolta nel rispetto di indici e parametri funzionali alle
esigenze. Nell’area di rispetto a corona della zona non è ammessa alcuna nuova edificazione, essa dovrà essere
piantumata a bosco con essenze autoctone.
Parte dell’area inserita nell’ampliamento in progetto non è compresa nella zonizzazione descritta, e
questo richiede lo sviluppo di una specifica variante alla destinazione urbanistica riportata dal PSC,
in modo da estendere la zona sopra richiamata anche all’intervento in progetto, proponendo
eventualmente al suo contorno ancora la creazione di una zona di rispetto. La variante fa parte della
documentazione che CSAI ha elaborato per la presente richiesta di ampliamento e viene allegata alla
presente documentazione.
L’evoluzione dimensionale della discarica è attualmente correlata alle varie scelte urbanistiche e di
programmazione dell’intero territorio provinciale che si sono sviluppate nel corso degli anni, nel
rispetto delle esigenze da soddisfare.
Gli altri aspetti di inquadramento territoriale e di vincolistica sono trattati in modo approfondito
nell’elaborato 1 - Quadro di riferimento programmatico.
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4.
PREDISPOSIZIONE DELL’INVASO (PUNTO 2.4.2. ALLEGATO 1, D.LGS. 36/03).
Come noto ed indicato al punto 2.4.1 dell’Allegato 1 al D.Lgs. 36/03 “ … l’ubicazione e la progettazione
di una discarica devono soddisfare le condizioni necessarie per impedire l’inquinamento del terreno, delle acque
sotterranee o delle acque superficiali e per assicurare un’efficiente raccolta del percolato.
La protezione del suolo, delle acque sotterranee e di superficie deve essere realizzata, durante la fase operativa,
mediante la combinazione della barriera geologica, del rivestimento impermeabile del fondo e delle sponde della discarica
e del sistema di drenaggio del percolato, e durante la fase post-operativa anche mediante copertura della parte
superiore”.
In effetti il recente D.Lgs. 36/2003 introduce, al successivo punto 2.4.2, l’obbligo della
impermeabilizzazione del fondo e delle pareti della discarica, con un rivestimento di materiale
artificiale posto al di sopra della barriera geologica, con caratteristiche idonee a resistere alle
sollecitazioni chimiche e meccaniche presenti nella discarica: “ … Il substrato della base e dei fianchi della
discarica deve consistere in una formazione geologica naturale che risponda a requisiti di permeabilità e spessore almeno
equivalente a quello risultante dai seguenti criteri:

discarica per rifiuti non pericolosi: k minore o uguale a 1 x 10-9 m/s e spessore maggiore o uguale a 1 m;

discarica per rifiuti pericolosi: k minore o uguale a 1 x 10 -9 m/s e spessore maggiore o uguale a 5 m;
La continuità e le caratteristiche di permeabilità della barriera geologica su tutta l'area interessata dalla discarica
devono essere opportunamente accertate mediante indagini e perforazioni geognostiche.
La barriera geologica, qualora non soddisfi naturalmente le condizioni di cui sopra, può essere completata
artificialmente attraverso un sistema barriera di confinamento opportunamente realizzato che fornisca una protezione
equivalente.
Per tutti gli impianti deve essere prevista l’impermeabilizzazione del fondo e delle pareti con un rivestimento di
materiale artificiale posto al di sopra della barriera geologica, su uno strato di materiale minerale compattato. Tale
rivestimento deve avere caratteristiche idonee a resistere alle sollecitazioni chimiche e meccaniche presenti nella discarica.
Il piano di imposta dello strato inferiore della barriera di confinamento deve essere posto al di sopra del tetto
dell'acquifero confinato con un franco di almeno 1,5 m, nel caso di acquifero non confinato, al di sopra della quota di
massima escursione della falda con un franco di almeno 2 m.
Le caratteristiche del sistema barriera di confinamento artificiale sono garantite normalmente dall'accoppiamento di
materiale minerale compattato (caratterizzato da uno spessore di almeno 100 cm con una conducibilità idraulica k
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minore o uguale a 10 alla -7 cm/s, depositato preferibilmente in strati uniformi compattati dello spessore massimo di
20 cm) con una geomembrana.
L’utilizzo della sola geomembrana non costituisce in nessun caso un sistema di impermeabilizzazione idoneo; la stessa
deve essere posta a diretto contatto con lo strato minerale compattato, senza interposizione di materiale drenante.”
Sull’area di Casa Rota sono state effettuate diverse campagne di indagini geognostiche sviluppate sia
in sito che in laboratorio, per valutare l’effettiva idoneità dei terreni con quanto richiesto dalla
normativa vigente.
Nella Relazione geologica, idrologica e geotecnica, a firma del dott. geologo Giorgio Francini, e nello Studio
Idrogeologico redatto da Golder Associates, ai quali si rimanda per una descrizione più dettagliata, si
rileva che nell’area dell’impianto esistente ed in quella di ampliamento sono presenti formazioni a
carattere prevalentemente limo e limo-argilloso e che gli strati presenti, seppur di potente spessore,
non hanno omogeneità diffusa. In altri termini le formazioni in cui si opera, che nel loro complesso
presentano bassa permeabilità, possono contenere, in modo anche del tutto casuale e certamente
non diffuso, interstrati e lenti a maggior permeabilità, tali da compromettere l’affidabilità della
barriera naturale al passaggio di acqua e, quindi, della protezione delle acque da fenomeni di
inquinamento.
Lo strato minerale compattato di fondo previsto dalla norma viene perciò integrato da specifiche
attività di riqualificazione e bonifica di strati meno affidabili, procedendo secondo le metodologie
usuali in casi simili, fino alla costruzione della barriera geologica espressamente richiamata dal punto
2.4.2. dell’allegato 1 al D.Lgs. 36/03, a cui si sovrappone, in continuità, uno spessore di almeno 1
metro a caratteristiche geotecniche e di permeabilità certificate, nel rispetto delle caratteristiche
stabilite al punto 4 della D.C.R.T. n. 88/98 “Piano Regionale di Gestione dei Rifiuti – Approvazione primo
stralcio relativo ai rifiuti urbani e assimilati” ed al punto 2.4.2. dell’allegato 1 del D.Lgs. 36/2003.
I moduli dell’ampliamento verranno rivestiti con una barriera artificiale, composta in modo diverso a
seconda della collocazione, in modo da realizzare le barriere multistrato di seguito descritte.
Fondo invaso

barriera geologica naturale e/o artificiale;

barriera di confinamento composta da strati minerali compattati dello spessore minimo di 100
cm e coeff. di permeabilità k ≤ 10-7 cm/s e geomembrana impermeabile in polietilene ad alta
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densità (hdpe) da 2,5 mm, con caratteristiche conformi alle indicazioni della norma UNI EN
13493 per impieghi in presenza di materiali inquinanti e/o aggressivi;

geotessile a protezione della geomembrana con resistenza al punzonamento statico ≥ 6.500 N

strato drenante dello spessore di almeno 50 cm, in cui vengono inseriti i collettori
macrofessurati in polietilene ad alta densità (hdpe) che costituiscono la rete di drenaggio del
percolato.
Nel rispetto delle indicazioni costruttive e tecniche derivanti dalla lettura combinata della D.C.R.T.
88/1998 e del D.Lgs. 36/03 verranno adottate le seguenti modalità costruttive:

il fondo degli invasi sarà sagomato in modo da garantire una pendenza minima del 2% verso il
punto di raccolta del percolato;

il fondo invaso verrà suddiviso in settori per separare fisicamente le acque bianche dei settori
non ancora attivati e i percolati di quelli oggetto di conferimenti.
Infine, come previsto dal Piano di Sorveglianza e Controllo (PSC) dell’impianto esistente, i materiali
utilizzabili per la costituzione della barriera geologica artificiale di fondo saranno scelti sulla base di
prove di laboratorio, quali:

limiti di Atterberg;

determinazioni granulometriche;

prove Proctor Standard;
oltre alle verifiche dirette, condotte in fase realizzativa, per la determinazione delle caratteristiche di
permeabilità e di densità del singolo strato.
Scarpata
“P
Particolari soluzioni progettuali nella realizzazione del sistema barriera di confinamento delle sponde, che
garantiscano comunque una protezione equivalente, potranno eccezionalmente essere adottate e realizzate anche con
spessori inferiori a 0,5 m, a condizione che vengano approvate dall'Ente territoriale competente; in tal caso dovranno
essere previste specifiche analisi di stabilità del sistema barriera di confinamento.”
(stralcio del punto 2.4.2. dell’allegato 1 al D.Lgs. 36/2003)
La metodologia costruttiva proposta per la costruzione delle scarpate presenta alcune modifiche
rispetto ai sistemi consolidati nelle parti di discarica già attivate. Come detto la procedura di
costruzione prevede, di norma, attività di scoronamento della pendice dall’alto verso il basso, con
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sponde dei moduli che vengono “ritagliate” all’interno delle formazioni presenti. A secondo delle
caratteristiche riscontrate all’atto della sagomatura si procede alla costruzione per solo scavo, fino
alla costruzione di profili di progetto o, nel caso di terreni meno affidabili, alla loro completa
rimozione ed alla ricostruzione del profilo con terre scelte compattate. Tale procedura è possibile
proprio in funzione della nuova metodica costruttiva adottata, con attività che, condotte dall’alto
verso il basso, consentono di rimuovere tutti gli strati a minor caratteristiche geotecniche in
condizioni di stabilità e sicurezza sia per l’area di cantiere che per i settori già attivati alla gestione.
Una volta ultimata la fase di messa in vista di strati e formazioni geotecnicamente affidabili, si
provvederà alla eventuale ricostruzione del profilo, riportando le sagome a pendenze e sistemazioni
coerenti con il fondo invaso approvato. La ricostruzione verrà eseguita con terre idonee,
opportunamente caratterizzate e compattate in corso d’opera per strati a modesto spessore, su cui
verranno condotte prove di qualificazione e verifica sia delle condizioni di portanza che di
permeabilità.
Da questo punto in poi la procedura costruttiva prevede, in modo ancor più cautelativo rispetto alle
indicazioni della norma, l’interposizione, tra strato minerale compattato e geomembrana, di un
geocomposito bentonitico.
In questa logica si procede alla costruzione della seguente stratigrafia, descritta dal basso verso l’alto:

barriera geologica naturale e/o artificiale;

materassino in geocomposito bentonitico costituito da due strati di geotessile non tessuto con
interposto uno strato di bentonite sodica naturale granulare;

geomembrana impermeabile in polietilene ad alta densità (hdpe) da 2,5 mm, con caratteristiche
conformi alle indicazioni della norma UNI EN 13493 per impieghi in presenza di materiali
inquinanti e/o aggressivi;

strato di protezione realizzato con pneumatici usati, utilizzati quale materiale da ingegneria.
Il telo sarà normalmente ancorato in trincee riempite con il terreno di scavo ricavate a bordo delle
piste a coronamento dei nuovi moduli.
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Fig. 2 - Barriere impermeabili di protezione
Le operazioni di scavo per la sagomatura dei moduli di stoccaggio sono state suddivise in 3 fasi
elementari, con una ulteriore fase preliminare propedeutica alla realizzazione del cantiere e delle
attività operative di dettaglio.
La descrizione che segue ripercorre le varie attività previste, già in parte illustrate, e riporta uno
schema operativo tipologico da adottare nel caso si riscontrasse la presenza di terreni da riqualificare.
Fase preliminare
Preliminarmente all’avvio delle operazioni di scavo delle singole fasi, si provvederà a realizzare la
pista di accesso perimetrale alle zone di lavorazione.
Gli interventi prevedono:

lo scavo della pista in asse alla viabilità perimetrale definitiva;

lo spostamento della recinzione al limite dell’area di proprietà per contenere le attività di
cantiere entro l’area impiantistica;

la preventiva piantumazione delle essenze arboree schermanti previste dal progetto di
ripristino ambientale;

lo scavo delle canalette perimetrali di intercettazione delle acque meteoriche di monte.
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Prima fase:
La prima fase di scavo interessa l’area nord-ovest dell’ampliamento, nella zona a contatto con
l’impianto “storico” e con il sottomodulo di completamento della quarta fase dell’attuale
ampliamento.
Operativamente si procederà secondo il seguente programma:

iniziale decespugliamento e realizzazione di canalette, anche a sviluppo locale, a cui verranno
affidate le funzioni di canale di guardia dell’area oggetto degli scavi. Ad integrazione di
questo sistema si prevede la costruzione di una pista provvisoria intermedia per l’accesso ai
gradoni previsti nella morfologia finale;

scotico dell’area di scavo e tracciamento sul suolo delle opere da realizzare. In linea generale
il terreno di scotico, essendo quello con caratteristiche più idonee per le successive azioni di
ricomposizione paesaggistica, sarà collocato in quelle aree che necessitano di materiali per lo
strato vegetale della copertura finale;

scavo e trasporto dei materiali nelle zone di stoccaggio previste all’interno dell’impianto. In
questa fase i materiali idonei potranno essere inviati direttamente nelle zone di conferimento
dei rifiuti, per gli utilizzi previsti in ambito gestionale (esecuzione delle coperture
temporanee).
Fig. 3 - Area oggetto degli scavi preliminari e di Prima Fase
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Seconda fase:
La seconda fase di scavo interessa l’area posta a nord e nord-est a contatto con i primi due moduli
della 4a fase dell’attuale ampliamento.
In questa area, operativamente si procederà secondo il programma descritto nella prima fase.
Terza fase:
Fig. 4 - Area oggetto degli scavi di seconda Fase
La terza fase di scavo interessa l’area posta a nord della seconda fase e ad est della prima fase di
ampliamento e costituisce il completamento del presente intervento di ampliamento.
Anche in questa area si procederà secondo il consueto programma operativo.
Fig. 5 - Area oggetto degli scavi di terza Fase
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Durante le operazioni di scavo il materiale di risulta, se ritenuto idoneo per essere utilizzato come
materia prima per la ricostituzione dello strato impermeabile di fondo, verrà caratterizzato
geotecnicamente presso un laboratorio autorizzato: nel caso presentasse caratteristiche conformi con
quanto stabilito nel PSC si provvederà a stoccarlo temporaneamente in un area prossima al cantiere
per il suo successivo riutilizzo.
I materiali provenienti dagli scavi ed eccedenti gli usi ai quali saranno direttamente inviati (come
indicato nel programma operativo relativo alle singole fasi), verranno stoccati entro l’area
impiantistica in aree di volta in volta concordate con la gestione. In alternativa, per i soli materiali
compatibili, si può prevedere l’utilizzo di quota parte delle materie di scavo, per effettuare interventi
mirati di sistemazione agraria.
Durante tutto lo sviluppo cantieristico delle tre fasi di realizzazione, le operazioni di movimento
terra saranno sempre condotte procedendo dall’alto verso il basso, a garanzia della stabilità dei fronti
di scavo.
Fig. 6 - Schema di conduzione degli scavi (a strati successivi)
Sul fondo dei moduli sagomato in via definitiva si procederà con la ricostituzione dello strato
minerale impermeabile di fondo (utilizzando se possibile i materiali idonei temporaneamente
stoccati) (caratterizzato da uno spessore di almeno 100 cm con una conducibilità idraulica k minore o uguale a 10
alla -7 cm/s, depositato preferibilmente in strati uniformi compattati dello spessore massimo di 20 cm).
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Durante le operazioni di scavo dei moduli, in corrispondenza delle gradonature poste a nord,
qualora il rispetto della morfologia del profilo di scavo progettato non consentisse la rimozione di
tutti gli strati alterati di suolo si procederà con interventi specifici, con riqualificazioni localizzate
condotte secondo il seguente schema operativo:

rimozione del materiale non ritenuto idoneo;

sagomatura a gradoni della zona di ripristino;

riporto di materiale con caratteristiche idonee (reperito fra quello proveniente dagli scavi e
stoccato per il successivo riutilizzo) steso con l’utilizzo di ruspa e rullo compattatore;

riprofilatura della zona di riporto secondo il profilo previsto dal progetto.
Le operazioni sopra indicate verranno condotte, per quanto possibile, appena ultimato lo scavo dello
strato posto alla stessa quota della zona da bonificare, come schematizzato nella figura successiva.
Fig. 7 - Schema tipologico di intervento di riqualificazione
della barriera geologica in fase di realizzazione degli scavi
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25/88
5.
RETE DI RACCOLTA, DEFLUSSO E RILANCIO DELLE ACQUE SUPERFICIALI
(PUNTO 2.3 ALLEGATO 1, D.LGS. 36/03).
Il D.Lgs. 36/2003 indica che “devono essere adottate tecniche di coltivazione e gestionali atte a minimizzare
l’infiltrazione dell’acqua meteorica nella massa dei rifiuti.
Per quanto consentito dalla tecnologia, tali acque meteoriche devono essere allontanate dal perimetro dell’impianto per
gravità, anche a mezzo di idonee canalizzazioni dimensionate sulla base delle piogge più intense con tempo di ritorno
di 10 anni.”
La discarica dispone attualmente, come previsto dalla normativa, di un sistema di raccolta e
allontanamento delle acque meteoriche dimensionato con tempo di ritorno almeno decennale. Il
sistema permette di intercettare e trasportare a recapiti idrici stabili le acque meteoriche che
corrivano sui bacini circostanti l’invaso di discarica e/o sulle aree di impianto già coperte in modo
definitivo.
L’intervento di ampliamento non modifica, quindi, l’impostazione generale già presente
nell’impianto ma la adegua, sia planimetricamente che altimetricamente, in funzione della nuova
morfologia di discarica e delle verifiche eseguite, di seguito riportate.
Innanzitutto è però il caso di definire le diverse tipologie di acque generate all’interno dell’impianto
di discarica di Casa Rota, così definite secondo le indicazioni contenute nel D.Lgs. 36/2003, nel
D.Lgs. 152/06 e nelle leggi regionali della Toscana:
 percolato ed acque di discarica: prodotto nelle aree di discarica in coltivazione ovvero nelle
aree caratterizzate da lisciviazione delle acque meteoriche dei rifiuti non protetti in superficie da
alcuna copertura o comunque non sufficiente ad evitare l’infiltrazione delle precipitazioni nel
corpo della discarica e quindi a produrre percolato.
Le acque di percolazione vengono raccolte dalla rete di drenaggio collocata sul fondo invaso.
Quest’area è di buona norma limitata alle zone di scarico non ancora protette dalle prime
coperture, anche provvisorie;
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 acque di scarico reflui civili: sono le acque reflue provenienti da insediamenti di tipo
residenziale e da servizi e derivanti prevalentemente dal metabolismo umano e da attività
domestiche.
Nel caso in esame l’attività dalla quale derivano gli scarichi rientra nella tabella allegata al
D.P.G.R. n. 28/R del 23/05/2003, “Regolamento d’attuazione all’art. 6 della L.R. 21/12/2001 n. 64”
e pertanto sono assimilabili ad acque reflue domestiche. In particolare si fa espresso riferimento
all’attività contrassegnata con il numero 1, ovvero alla produzione e commercio di beni o servizi
le cui acque reflue sono costituite esclusivamente dallo scarico di acque derivanti dal
metabolismo umano e da attività domestiche.
Gli scarichi in questione, infatti, derivano da moduli prefabbricati destinati a servizi, uffici e
spogliatoi, senza interessare alcun altro elemento riconducibile all’impianto di discarica;
 acque meteoriche: raccolte nelle aree di discarica non ancora interessate dai conferimenti o
nelle aree invece già esaurite e/o abbandonate definitivamente dai conferimenti su cui è stata
realizzata la copertura giornaliera, provvisoria/definitiva e sulla quale è comunque in
avanzamento il recupero a verde tale da favorire il deflusso delle acque e da minimizzare
l’infiltrazione delle stesse nella discarica;
I temi connessi al percolato ed alle acque di discarica verranno trattati in modo approfondito al
capitolo successivo, mentre nel seguito si descrivono le modalità di raccolta e scarico delle altre
tipologie di acque prima classificate.
5.1. Acque di scarico reflui civili
Queste acque, riconducibili agli scarichi di servizi, uffici e spogliatoi, vengono attualmente raccolte
con fognatura separata che prevede, prima del conferimento al collettore di allacciamento con il
depuratore di S. Giovanni Valdarno, il trattamento dei reflui in tre fosse biologiche tricamerali, in
modo da ottenere una notevole riduzione dei solidi sospesi presenti nel flusso e dei conseguenti
fenomeni di occlusione del collettore.
Si riporta uno schema descrittivo della situazione riscontrabile nell’area servizi.
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L’ampliamento in progetto non modificherà in alcun modo la gestione di questi scarichi.
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5.2. Acque meteoriche
L’ampliamento in progetto comporta l’adeguamento e/o il rifacimento dei canali perimetrali a
protezione dell’impianto, dimensionati sulla base di piogge intense e con deflusso a gravità, mentre
all’interno, in corrispondenza dei vari settori individuati per la compartimentazione di questi ultimi,
verranno adottati efficaci sistemi di separazione delle aree, mirando ad evitare che acque meteoriche
che precipitano in aree non interessate dai rifiuti corrivino sulle aree già in fase operativa, dove sono
presenti rifiuti e le acque sono classificate unicamente come percolato.
In questo modo si dovrebbe minimizzare la contaminazione di acque meteoriche e la produzione di
percolato; in modo complementare la nuova morfologia di impianto massimizza senz’altro
l’efficienza di contenimento ed allontanamento delle acque meteoriche che trovano naturale recapito
idraulico nell’area interessata dalla discarica, ridotte senz’altro rispetto alla configurazione attuale.
Come già anticipato, è dunque bene distinguere la tipologia “acque meteoriche” in base
all’evoluzione dell’impianto, ovvero in:
a)
acque meteoriche raccolte in aree non ancora interessate dal conferimento dei rifiuti;
b)
acque meteoriche raccolte dalle aree di pertinenza della discarica e dalle coperture provvisorie
e finali d’impianto.
a) Acque meteoriche raccolte in aree non ancora interessate dal conferimento dei rifiuti.
Si è già detto che per ottimizzare la gestione del cantiere e proporre evoluzioni coerenti con le
necessità impiantistiche l’ampliamento in esame viene suddiviso in fasi costruttive, secondo lo
schema sequenziale riportato di seguito.
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Fig. 8 - Indicazione delle fasi realizzative
Il fondo di ogni invaso elementare verrà sagomato con pendenza del 2% in modo da garantire il
deflusso delle acque ai pozzetti posizionati nel punto più depresso del modulo.
Per quanto riguarda il drenaggio delle acque, si osserva che fino all’attivazione del conferimento dei
rifiuti le acque rilanciate sono da assimilare ad acque meteoriche.
In effetti le stesse non giungono a contatto con alcun tipo di rifiuto e non possono quindi, in alcun
modo, essere oggetto di potenziale inquinamento.
Risulta quindi corretto ipotizzare un sistema che consenta una netta separazione tra acque
meteoriche ed acque di percolazione, intendendo con questa definizione le acque che sono giunte a
contatto con i rifiuti e che, per questo, sono da ritenere rifiuto con codifica CER.
La separazione viene realizzata sia tra aree esterne e di invaso che tra le singole aree di invaso. In
questa condizione anche nel caso di predisposizione di più moduli gli stessi risulteranno tra loro
indipendenti, con strutture in terra che consentiranno di isolare idraulicamente le singole porzioni di
discarica. All’interno di ciascuna verrà posizionato, in corrispondenza del punto più depresso
dell’invaso, un pozzetto o un elemento specifico in cui inserire una pompa per il rilancio nel fosso
perimetrale delle acque meteoriche.
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Una volta attivato il conferimento dei rifiuti, il percolato drenato nel primo modulo verrà
opportunamente convogliato alla rete di raccolta ed agli stoccaggi presenti nell’impianto attuale.
Attivazione dei moduli successivi
All’attivazione del modulo successivo, già a suo tempo predisposto, si provvede all’esecuzione di una
serie di semplici lavorazioni:

rimozione della pompa di rilancio delle acque meteoriche e del pozzetto in cui è installata;

eventuale prolungamento del pozzo di rilancio del percolato e posizionamento della pompa
per il suo rilancio alle cisterne di stoccaggio temporaneo.
Questo schema gestionale verrà replicato anche per la realizzazione dei moduli successivi, per cui le
acque meteoriche dei moduli non ancora attivi verranno rilanciate tramite pompe ai fossi perimetrali.
Si specifica inoltre che man mano che i moduli verranno coltivati, si provvederà a posizionare teli
impermeabili sulla scarpata interna dell’ammasso: tale intervento temporaneo impedirà l’ingresso di
acque meteoriche in discarica, con l’ovvio beneficio di diminuire la produzione di percolato.
b) Acque meteoriche raccolte dalle aree di pertinenza della discarica e dalle coperture provvisorie e
finali d’impianto.
Si è già detto che l’ampliamento in progetto comporta l’adeguamento e/o il rifacimento dei canali
perimetrali a protezione dell’impianto, dimensionati sulla base di piogge intense e con deflusso a
gravità, e la prosecuzione, all’interno delle aree di invaso, delle procedure di separazione delle acque,
mirando ad evitare che le acque meteoriche che precipitano in aree non interessate dai rifiuti
corrivino sulle aree già in fase operativa, dove sono presenti rifiuti e le acque sono classificate
unicamente come percolato.
In questo modo si dovrebbe raggiungere il doppio obiettivo di minimizzare la contaminazione di
acque meteoriche e la produzione di percolato in fase di costruzione e di prima operatività
dell’impianto.
In modo complementare si prevede di realizzare, in fase operativa e di copertura, sagome e profili
tali da massimizzare l’efficienza dei sistemi di contenimento ed allontanamento delle acque
meteoriche che interessano le coperture della discarica, applicando, nella maggior parte possibile
delle aree, azioni di isolamento tra corpo dei rifiuti ed ambiente esterno. In questa logica si conferma
che, compatibilmente con le scelte gestionali, sulle aree in fase operativa che dovessero essere
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temporaneamente essere escluse dal conferimento dei rifiuti, si provvederà ad eseguire coperture
intermedie con terra e rivestimento impermeabile, in modo da diminuire la produzione di percolato.
Le aree così sagomate e protette troveranno recapito idraulico nelle fossette e canalette realizzate a
perimetro nell’impianto o nelle aree già predisposte ma escluse dal conferimento (moduli prima
descritti).
Sulle aree progressivamente portate alle quote ed alla morfologia finale si procederà quindi alla
realizzazione della rete di drenaggio superficiale definitiva, descritta nella tavola 4.2.C.23 e così
costituita:

canali realizzati sulla superficie portata a colmatazione finale e sulla quale è stata realizzata la
stratigrafia prevista dal capping definitivo: sono realizzati in scavo a sezione trapezoidale ed
hanno come dimensioni massime b = 0,3 m, h=0,5 cm;

tubi chiusi in pvc o pead per la canalizzazione delle portate di pioggia lungo le linee di massima
pendenza delle scarpate portate a colmatazione finale e sulle quali è stata realizzata la stratigrafia
prevista dal capping definitivo;

pozzetti di confluenza dei canali trapezoidali e dei tubi chiusi realizzati in calcestruzzo gettato in
opera, sagomato secondo il numero e la forma dei recapiti e chiuso con coperchio carrabile in
calcestruzzo di dimensioni opportune;

tubazioni chiuse per il sottopasso delle viabilità, secondo le dimensioni indicate nelle tavole di
progetto;

canalizzazioni esterne all’area interessata dallo stoccaggio dei rifiuti, per l'allontanamento finale
delle portate meteoriche intercettate: questi canali, di norma con pendenze inferiori al 4% sono
realizzati in scavo a sezione trapezoidale ed hanno le dimensioni massime b= 0,3 m, h=0,5 cm.
Essi si trovano al margine interno della viabilità a perimetro dell'impianto e recapitano le acque
nei canali di destra e sinistra idraulica per l’allontanamento finale verso i recapiti stabili. In
corrispondenza dei manufatti di attraversamento e di confluenza sono rivestiti in calcestruzzo
per un tratto di 1,50 ml. a monte ed a valle del manufatto;

canalizzazioni esterne all'area interessata dallo stoccaggio dei rifiuti, per l'allontanamento finale
delle portate meteoriche afferenti all’invaso di discarica e provenienti dalle coperture: questi linee
di deflusso, identificabili con i canali di sinistra e destra idraulica sono a sezione trapezia in terra
con dimensioni massime b=0,5 m, h=0,7m.
Si osserva che al perimetro della copertura ed in presenza di cambi di pendenza, può essere inserito
nello strato di drenaggio superiore della copertura anche un tubo di drenaggio che raccoglie le acque
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di infiltrazione eventualmente presenti nello strato di sigillatura finale, nella zona immediatamente
superiore alla barriera impermeabile, e le recapita nei sistemi esterni già descritti.
Nel seguito si procederà quindi a progettare/verificare l’affidabilità idraulica dei sistemi, di nuova
realizzazione ed esistenti, per le portate di progetto, secondo il seguente schema operativo:

individuazione dei bacini e dei sottobacini scolanti;

determinazione dei dati geometrici caratteristici dei bacini;

quantificazione delle portate da smaltire;

verifica delle corrispondenti sezioni idrauliche.
Particolare attenzione è stata riservata nei confronti delle seguenti situazioni:

il deflusso delle acque dai sottobacini della discarica;

la possibilità di procedere alla rapida e costante manutenzione delle opere;

l’assenza di conflitti ed interferenze con la viabilità dell’impianto;

la flessibilità della rete, con possibilità di adeguamenti senza costi eccessivi;

il mantenimento per i canali principali, per quanto possibile, di una situazione di deflusso a
cielo aperto, senza tratti tombati e possibilità di ostruzioni.
Per quanto riguarda gli scarichi nei recettori, si ricorda che sono presenti cinque punti di scarico
(S1÷S5), la cui ubicazione è riportata nelle planimetrie. Per gli scarichi, numerati con i codici S1, S3
ed S5, interessati dal possibile deflusso di acque da discarica a basso contenuto di inquinanti, si
ritiene opportuno prevedere, prima del recapito al corpo idrico esterno, una sezione di
controllo/trattamento, per ora identificato con un bacino di sedimentazione a sezione trapezoidale.
Come noto questi impianti consentono la separazione solidi-liquidi per l’effetto combinato della
ridotta velocità di trasporto e della velocità di caduta delle particelle solide se trasportate in un flusso
liquido (con velocità di separazione dipendente dalla loro dimensione, peso, forma e dal numero di
Reynolds della corrente).
La velocità di sedimentazione è facilmente calcolabile partendo dalla legge di Stokes, che correla in
modo direttamente proporzionale la forza F di attrito che un liquido di viscosità oppone al moto di
una sferetta di raggio R che scorre in esso alla velocità della sferetta, al suo raggio e al coefficiente di
viscosità del liquido.
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Individuazione dei bacini scolanti e determinazione dei dati geometrici caratteristici
Una volta determinati i bacini imbriferi, le rispettive aree ed i corrispondenti tempi di corrivazione, è
possibile procedere alla determinazione delle portate idrauliche per il dimensionamento e la verifica
delle sezioni significative.
Si riporta di seguito una planimetria con indicazione del cumulo di discarica in cui si evidenziano i
sottobacini scolanti.
Fig. 9 - Planimetria con indicazione della morfologia finale della discarica in progetto e dei sottobacini
scolanti
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Le caratteristiche dei bacini individuati sono di seguito riassunte:
BACINO
valori
dimensionali
A
m2
L
km
HM
m
A1
5,536
A2
16,381
A3
20,660
A4
4,808
A5
2,606
A6
4,670
A7
17,565
A8
A9
15,060 27,600
0.49
0.21
0.23
0.10
0.05
0.10
0.16
0.14
0.39
11.90
7.00
2.75
5.00
5.00
6.15
4.50
4.50
7.00
BACINO
valori
dimensionali
A
m2
L
km
HM
m
A10
13,910
A11
10,850
A12
10,475
A13
6,670
A14
15,680
A15
93,910
A16
4,870
A17
8,311
A18
4,560
0.25
0.16
0.17
0.07
0.24
0.50
0.18
0.20
0.09
7.00
5.50
7.00
6.00
5.75
73.50
0.50
7.15
5.65
BACINO
valori
dimensionali
A
m2
L
km
HM
m
A19
8,515
A20
1,514
A21
8,520
A22
5,160
A23
2,530
A24
5,150
A25
6,610
A26
1,600
A27
2,820
0.17
0.09
0.21
143.00
0.06
0.24
0.07
0.05
0.16
1.40
4.25
10.00
5.25
3.25
9.75
10.68
4.20
10.00
BACINO
valori
dimensionali
A
m2
L
km
HM
m
A28
2,931
A29
8,211
A30
1,308
A31
2,330
A32
12,900
A33
55,100
A34
5,700
A35
4,200
0.08
0.05
0.05
0.15
0.32
0.54
0.12
0.26
3.00
3.00
5.00
10.00
17.50
23.50
6.50
9.00
Quantificazione delle portate da smaltire
Per il dimensionamento delle opere idrauliche si è fatto riferimento ai risultati ottenuti dalla
elaborazione della curva
di possibilità pluviometrica con tempo di ritorno pari a 10 anni,
elaborazione per la quale è stato utilizzato uno studio statistico delle piogge intense, servendosi dei
dati pluviometrici della stazione di Renacci, da tempo utilizzata quale riferimento in fase progettuale.
La curva calcolata esprime il legame esistente tra l’altezza di pioggia che cade nella località
considerata e la sua durata, per un assegnato valore del tempo di ritorno. Si ricorda che con il
termine altezza di precipitazione in un punto della superficie terrestre si indica l’altezza della lama
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d’acqua che si formerebbe al suolo in un certo intervallo di tempo (durata della precipitazione) in
assenza di perdite, su una superficie orizzontale ed impermeabile di estensione limitata (al limite
infinitesima) sviluppatesi attorno al punto. La curva di possibilità climatica ha la forma:
h  a tn
dove:
h = altezza di pioggia caduta nel tempo considerato (mm);
a = parametro (mm);
n = parametro (adimensionale).
Entrambi i parametri risultano in generale variabili al variare del tempo di ritorno considerato.
Tuttavia, mentre il parametro a, che rappresenta la pioggia di durata unitaria avente il tempo di
ritorno T, è ovviamente crescente al crescere del tempo di ritorno, il parametro n presenta spesso
variazioni modeste al variare di T.
Dalla relazione precedente si ricava l’espressione della intensità di pioggia :
i(d,T)= adn-1
(2)
Fig. 10 - Andamento delle curve che rappresentano l’altezza e l’intensità di pioggia in funzione della durata.
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La curva di possibilità climatica è stata stimata a partire dall’analisi delle serie storiche delle piogge
intense misurate nella stazione del Servizio Mareografico Nazionale di interesse, di seguito riportate
così come rese disponibili dal sito http://www.idropisa.it. Si riporta inoltre l’ubicazione della stazione
pluviometrica utilizzata.
Fig. 11 - Ubicazione della stazione pluviometrica considerata
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Attraverso le tecniche proprie della statistica, si può ricercare la funzione di distribuzione di
probabilità più adatta ad interpretare il campione di dati disponibile. Trattandosi di valori massimi
risulta particolarmente adatta a questo scopo la legge di Gumbel. Si ricorda che la funzione di
distribuzione di tale legge, F(x), esprimente la possibilità che la generica osservazione risulti minore
od uguale ad un valore x assegnato, ha la seguente espressione:
FX  x   e  e
   x u 
(3)
in cui i parametri α e u possono essere stimati grazie alla conoscenza delle caratteristiche statistiche
del campione, secondo le formule 4 e 5:
d 
1.283
d
(4)
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ud   d 
0.577
d
(5)
dove σ e μ rappresentano rispettivamente lo scarto quadratico medio e la media della serie dei
massimi di pioggia per una data durata.
Esplicitando la (3) rispetto al quantile di probabilità assegnata x(T) si ottiene:
xT   u d 
1
d
ln ln F  x 
(6)
Introducendo nella 6 il legame tra tempo di ritorno e la probabilità di non superamento in un anno
generico dell’assegnato valore x
T
1
1  FX  x 
(7)
si ottiene:
xT   u d 
T  1

ln  ln
T 
d 
1
(8)
da cui è immediato ricavare il valore della pioggia di assegnata durata d in funzione del tempo di
ritorno. In particolare, per il caso in esame si sono ottenuti i seguenti risultati per durate assegnate:
durata
1h
h(T=5)
3h
6h
12h
24h
32,17 51,86
58,97
71,06
83,79
h(T=10)
39,20 65,02
72,88
87,05
103,70
h(T=20)
45,95 77,64
86,22
102,38 122,80
h(T=50)
5468
103,49
122,23 147,52
h(T=100) 61,22 106,22 116,43
137,11 166,04
h(T=200) 67,74 118,42 129,32
151,93 184,50
93,98
Se i valori di h(d,T) così calcolati vengono disposti su un piano bilogaritmico in cui in ascisse si
riportano le durate d e in ordinata le corrispondenti h(d,T), si osserva che i punti che corrispondono
ad un medesimo valore del tempo di ritorno tendono a disporsi approssimativamente su di una retta:
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individuando quella che meglio interpola le stime delle altezze di pioggia di pari tempo di ritorno, ad
esempio con il metodo dei minimi quadrati, si possono individuare i parametri a ed n cercati.
Si riportano di seguito i valori di a ed n desunti in funzione del Tempo di ritorno, e, il grafico
rappresentante la curva h-d,.
T=5
T=10
T=20
T=50
T=100
T=200
n
0.293
0.295
0.296
0.297
0.298
0.298
a
34.35
42.27
49.85
59.68
67.02
74.35
CURVA DI POSSIBILITÁ PLUVIOMETRICA
STAZIONE DI RENACCI - COMUNE DI SAN GIOVANNI VALDARNO
250
T=5
T=10
T=20
T=50
T=100
T=200
200
h (mm)
150
100
50
0
0
5
10
15
20
d (ore)
Fig. 12 - Curva di possibilità pluviometrica della stazione di Renacci per diversi tempi di ritorno.
Per coerenza con i precedenti progetti elaborati e approvati per l’impianto di Discarica, una volta
verificata l’attendibilità dei coefficienti calcolati per la curva di possibilità pluviometrica si sono
adottati quali valori di a ed n i valori considerati nei progetti a suo tempo approvati, in quanto
leggermente più cautelativi, ovvero:
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a=45
n=0.28
Il tempo di corrivazione del singolo bacino è stato determinato inizialmente con la formula empirica
ideata dal Giandotti: Formula di Giandotti che determina il tempo di corrivazione tc del bacino
espresso in ore:
tc 
a* A b*L
c Hm
dove:
a = coefficiente adimensionale da assumere pari a 4;
A = area del bacino espressa in km2;
b = coefficiente adimensionale da assumere pari a 1,5;
L = lunghezza in km del percorso idraulicamente più lungo del bacino;
Hm = altezza media del bacino, in metri, rispetto alla sezione di chiusura;
c = coefficiente adimensionale da assumere pari a 0,8.
La portata corrispondente ai dati di input è stata calcolata applicando il metodo cinematico basato
sulle seguenti considerazioni:
gocce di pioggia cadute in punti diversi dell’area considerata impiegano tempi diversi per

arrivare alla sezione di chiusura;
il contributo di ogni singolo punto del bacino alla portata è direttamente proporzionale alla

intensità della pioggia caduta nel punto in un istante precedente quello del passaggio della
piena del tempo necessario perché detto contributo raggiunga la sezione di chiusura;
questo tempo è caratteristico di ogni singolo punto ed invariante nel tempo;

La formula utilizzata è la seguente:
Q 
 * * h * A
tc
dove:

coefficiente di deflusso (rapporto tra pioggia netta afferente alla rete e pioggia totale),
cautelativamente assunto pari a 1;
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
coefficiente di laminazione/ritardo (valore che dipende dalle caratteristiche del bacino
quali superficie, pendenza dei versanti, sviluppo della rete idrografica, natura dei
terreni, etc..), assunto pari a 1;
h
altezza di pioggia determinata per il rispettivo tempo di corrivazione;
A
area scolante;
tc
tempo di corrivazione.
Di seguito si riporta, a titolo esemplificativo, lo sviluppo del calcolo del bacino 1 e i risultati ottenuti
per i bacini individuati:
A
area del bacino (in km2) = 0,0055;
L
lunghezza dell’asta fluviale per la sezione esaminata (in km) = 0,490;
Hm
altitudine media del bacino sulla sezione di chiusura (m) = 11,90;
a* A  b*L
tc 
c Hm

4 * 0,0055  1,5 * 0,490
0,8 11,90
 0,37
h = altezza di pioggia calcolata per il tempo di corrivazione e con i coefficienti a ed n sopra indicati:
h  a * t c  45 * 0,37
n
0 , 28
 34,14 mm
Q1 = portata calcolata con il metodo cinematico, adottando un coefficiente di afflusso pari ad 1, a
cui corrisponde una situazione cautelativa di saturazione superficiale del bacino:
Q1 
 * * h * A
3600 * t c

1 *1 * 27,42 * 4500
 0,141 m³/s
3600 * 0,37
Si ripotano di seguito quindi i valori di portata per i singoli bacini:
BACINO
valori
tc
dimensionali
h
A1
0.373
A2
0.394
A3
0.693
A4
0.239
A5
0.159
A6
0.214
A7
0.451
A8
0.411
A9
0.590
h
mm
0.141
0.401
0.336
0.168
0.123
0.177
0.389
0.357
0.504
Q
m³/s
0.251
0.744
0.938
0.218
0.118
0.212
0.798
0.684
1.253
____________________________________________________________________________________________________________________________
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BACINO
valori
tc
dimensionali
h
A10
0.402
A11
0.350
A12
0.314
A13
0.223
A14
0.445
A15
0.287
A16
0.971
A17
0.311
A18
0.213
h
mm
0.335
0.289
0.302
0.245
0.351
2.884
0.062
0.241
0.174
Q
m³/s
0.632
0.493
0.476
0.303
0.712
2.884
0.221
0.377
0.207
BACINO
valori
tc
dimensionali
h
A19
0.655
A20
0.172
A21
A22
0.270 117.176
A23
0.202
A24
0.259
A25
0.163
A26
0.146
A27
0.176
h
mm
0.144
0.067
0.273
0.002
0.100
0.170
0.305
0.080
0.123
Q
m³/s
0.387
0.069
0.387
0.234
0.115
0.234
0.300
0.073
0.128
BACINO
valori
tc
dimensionali
h
A28
0.237
A29
0.319
A30
0.123
A31
0.165
A32
0.279
A33
0.451
A34
0.239
A35
0.272
h
mm
0.103
0.234
0.074
0.106
0.404
1.222
0.200
0.134
Q
m³/s
0.133
0.373
0.059
0.106
0.404
1.222
0.259
0.191
Verifica delle sezioni idrauliche
Il dimensionamento delle opere idrauliche verrà sviluppato riferendosi alle formule che simulano
l’andamento delle correnti idriche che percorrono i corsi d’acqua naturale (fiumi e torrenti) o i canali
artificiali (di bonifica, di irrigazione, di fognatura, di navigazione interna).
Queste correnti sono caratterizzate dall’avere una parte della loro superficie di contorno, e
precisamente quella superiore, non a contatto con una parte solida, ma con un gas, che nella più
grande generalità dei casi è l’atmosfera.
Tale superficie, che si dice appunto superficie libera o pelo libero è pertanto una superficie isobarica,
a pressione costante, nulla nel riferimento relativo. Si potrà pertanto parlare, per la generica sezione,
della quota d’alveo o di fondo invaso, del pelo libero della corrente o, più semplicemente, del profilo
del pelo libero, della pendenza motrice e della velocità, approssimando lo studio della corrente ad
una corrente lineare, secondo la teoria unidimensionale, caratterizzata da moto uniforme.
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Presa ad esame la singola sezione idraulica potremo indicare con h l’altezza del pelo libero, misurata
rispetto al punto più depresso del suo contorno e con A l’area della sezione trasversale occupata dal
liquido: negli alvei considerati l’area sarà funzione solo dell’altezza della corrente idraulica.
Definiremo con R il raggio idraulico corrispondente ad una data altezza h come il rapporto fra la
sezione liquida A ed il suo contorno bagnato B: ricordiamo che, per le correnti a pelo libero, si
assume quale contorno bagnato soltanto quella parte del perimetro della sezione liquida che è
costituita dalla parte solida dell’alveo, giacchè soltanto ad essa si deve praticamente la resistenza alla
corrente.
In condizioni di moto uniforme la velocità media V è legata alle caratteristiche dell’alveo (pendenza,
scabrezza, forma della sezione trasversale) e della corrente (profondità, area della sezione liquida,
raggio idraulico) dalla legge del moto uniforme, che di norma si esprime a mezzo della formula di
Chézy
V  C * R *i
nella quale si pone la pendenza i quale pendenza media dell’alveo considerato.
Al coefficiente di scabrezza C sono state assegnate varie espressioni da diversi autori, riferendosi
sempre alle condizioni dell’alveo e prescindendo dal tipo di moto, assunto sempre turbolento (la
formulazione non considera quindi il numero di Reynolds).
Limitandoci alle formule più comunemente utilizzate, per la determinazione di C possiamo citare
quelle di Bazin, Manning, Kutter, e quella di Strickler, detta anche di Gaukler e Strickler, di tipo
monomio, così riassumibile:
C  c*R
1
6
nella quale il coefficiente c, dipendente dalla scabrezza della parete, può essere anche considerato un
indice di scabrezza.
Lo sviluppo dei calcoli idraulici vedrà perciò l’utilizzo della formula del moto uniforme, con il
coefficiente di scabrezza di Strickler, utilizzando parametri c dedotti dalle tabelle di bibliografia o
fornite dalle ditte produttrici dei collettori utilizzati, adottando la formula:
Q  A V  A *C * R *i
Di ogni sezione idraulica verificata verranno riportati i dati significativi, calcolati in modo iterativo
per successive approssimazione del tirante d’acqua, fino a determinare le condizioni che consentono
di smaltire la portata effluente dai bacini di monte.
Si specifica che verranno realizzati esclusivamente linee di deflusso in terra, senza utilizzare elementi
antropizzanti, quali cemento o acciaio, per la realizzazione dei canali. La scelta è dettata sia dal minor
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45/88
impatto provocato sull’ambiente, sia dalla volontà di realizzare una rete efficiente ma flessibile,
realizzata secondo i dettami dell’ingegneria naturalistica e facilmente adattabile ad eventuali
evoluzioni o cambiamenti. Fa eccezione rispetto a questa scelta l’utilizzo di una linea di deflusso
rivestita in cls già esistente nella parte meridionale della discarica, con immissione nel Borro del
Molinaccio, nella quale, previa apposita verifica della compatibilità idraulica, verranno fatte defluire
parte delle acque provenienti dalle coperture del modulo di ampliamento.
Al fine di prevenire eventuali problemi di erosione a cui i canali in terra potrebbero essere esposti, si
provvederà a realizzare, con concentrazioni maggiori nei punti più ripidi, un sistema idoneo di briglie
in legno e pietrame, necessarie a limitare la pendenza delle linee di deflusso e di conseguenza la
velocità dell’acqua, maggiore responsabile dei fenomeni di erosione, secondo quanto riportato nel
seguito.
Canali circolari (collettori chiusi)
elemento u.d.m.
descrizione
diametro
(m)
dimensione interna del collettore verificato, al netto dello spessore
if
(%)
pendenza del tratto di canale verificato (livelletta, così come desunta dai profili o
da misure ricavate sui rilievi planoaltimetrici allegati)
h
(m)
altezza del tirante d’acqua corrispondente alla portata effluente
B
(m)
contorno bagnato della sezione (misura lo sviluppo del perimetro della sezione a
contatto con l’acqua)
A
(m2)
superficie scolante nella sezione verificata (area della vena fluida)
R
(m)
raggio idraulico della sezione, determinato dal rapporto tra l’area ed il contorno
bagnato della sezione determinata
c
(m1/3/s)
coefficiente di scabrezza del collettore (Gauckler-Strickler)
Q
(m3/s)
portata effluente
V
(m/s)
velocità media della corrente idrica, determinata dal rapporto tra portata e sezione
Fr
n° di Froude, rapporto fra la velocità media e la velocità critica della sezione. Se
Fr>1 la corrente è veloce, al contrario è lenta.
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Canali a cielo aperto (sezioni idrauliche di fossi e torrenti)
elemento
base
pendenza
u.d.m.
(m)
angolo
sponde
if
descrizione
dimensione del fondo alveo della sezione esaminata
pendenza delle sponde della sezione esaminata, con angolo di inclinazione
misurato rispetto all’orizzontale passante per il fondo alveo
(%)
pendenza del tratto di canale verificato (livelletta, così come desunta dai profili o
da misure ricavate sui rilievi planoaltimetrici allegati)
h
(m)
altezza del tirante d’acqua corrispondente alla portata effluente
B
(m)
contorno bagnato della sezione (misura lo sviluppo del perimetro della sezione a
contatto con l’acqua)
A
(m2)
superficie scolante nella sezione verificata (area della vena fluida)
R
(m)
raggio idraulico della sezione, determinato dal rapporto tra l’area ed il contorno
bagnato della sezione determinata
c
(m1/3/s)
coefficiente di scabrezza della sezione (Gauckler-Strickler)
Q
(m3/s)
portata effluente
V
(m/s)
velocità media della corrente idrica, determinata dal rapporto tra portata e sezione
E’ il caso di notare che, per le sezioni scolanti più bacini, le portate assunte nel calcolo sono quelle
massime ottenute per l’insieme dei bacini, definite cioè adottando il tempo di corrivazione più
gravoso per l’intero comparto sotteso.
In questi casi la portata massima utilizzata non corrisponde alla somma delle portate massime dei
singoli bacini considerati, ma leggermente inferiore a questo valore.
Nella figura e nelle tabelle seguenti si riporta un estratto della planimetria delle verifiche condotte
per il dimensionamento delle linee di deflusso individuate e i risultati delle stesse, suddivisi per linee
di deflusso a cielo aperto, con sezione trapezia, e tubi chiusi.
Si rileva che relativamente alle linee di deflusso in terra delle acque di copertura si è provveduto a
verificare esclusivamente quella in condizioni più gravose, ovvero quella scolante le acque del bacino
9, indicata come verifica c.
Relativamente ai sistemi di deflusso delle aree relative ai piazzali non si rilevano modifiche degne di
nota, per cui si omettono le verifiche di tali elementi: ci si limiterà a verificare il tubo Dn 1000 mm in
cls che costituisce il recapito finale individuato con la sigla S4, in quanto parte delle acque della
copertura confluiscono in tale tubo, con probabile modifica delle portate afferenti rispetto a quelle
attuali. Si precisa infine che nella verifica di tale tubo è stato considerato anche l’apporto relativo a
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parte all’impianto di compostaggio, pari a 1,49 m³/s, considerando sempre eventi pluviometrici con
T=10 anni.
Fig. 13 - Planimetria della colmatazione generale con indicazione delle sezioni di verifica
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Verifica n°
1
2
3
Sezione
c
p
s
Linea di deflusso
canaletta in
terra in
condizioni più
gravose
canale di
destra
idraulica
canale di
sinistra
idraulica
sottobacini
9
5+6+9+10
1÷4, 11, 16,
20, 24
Base (m)
0.3
0.5
0.5
Altezza (m)
0.5
0.7
0.7
Sponde (angolo)
30
30
30
if (%)
0.4
0.4
0.5
h (m)
0.46
0.57
0.64
B (m)
1.362
1.816
1.978
A (m2)
0.260
0.473
0.556
R (m)
0.191
0.260
0.281
c (m1/3/s)
30
30
30
Q (m3/s)
0.508
1.115
1.613
V (m/s)
1.95
2.36
2.90
Verifica n°
4
5
6
7
8
sezione
a
b
d
e
f
sottobacini
5+6
2+4
3
11
16
Diametro (mm)
400
500
315
400
315
if (%)
0.03
0.04
0.12
0.03
0.03
h (m)
0.29
0.33
0.24
0.27
0.15
B (m)
0.81
0.94
0.66
0.76
0.47
A (m2)
0.09
0.13
0.06
0.09
0.04
R (m)
0.12
0.14
0.09
0.11
0.07
c (m1/3/s)
80
80
80
80
80
Q (m3/s)
0.31
0.58
0.34
0.28
0.09
V (m/s)
3.29
4.34
5.59
3.25
2.46
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Verifica n°
9
10
11
12
13
sezione
g
h
i
l
m
sottobacini
7+8
7+8+12+13
7+8+12+13+17 7+8+12+13+17 7+8+12+13+17+1
+18
+18+21+22
8+21+22+26+27
Diametro (mm)
400
500
500
600
600
if (%)
0.21
0.20
0.26
0.20
0.35
h (m)
0.29
0.33
0.375
0.38
0.34
B (m)
0.81
0.94
1.04
1.09
1.01
A (m2)
0.09
0.13
0.15
0.18
0.16
R (m)
0.12
0.14
0.15
0.17
0.16
c (m1/3/s)
80
80
80
80
80
Q (m3/s)
0.81
1.29
1.70
1.95
2.20
V (m/s)
8.66
9.71
11.22
10.80
13.88
Verifica n°
14
15
16
17
18
sezione
n
o
q
r
t
sottobacini
9+10
14
5+6+9+10+14
20
7+8+12+13+17+1
8+21+22+
25÷31+34+35+co
mp.
Diametro (mm)
600
400
500
315
4.70
if (%)
0.03
0.04
0.39
0.03
1000
h (m)
0.41
0.29
0.29
0.11
0.04
B (m)
1.15
0.81
0.85
0.39
0.8
A (m2)
0.20
0.09
0.11
0.02
2.21
R (m)
0.17
0.12
0.13
0.06
0.67
c (m1/3/s)
80
80
80
80
0.30
Q (m3/s)
0.84
0.35
1.50
0.05
75
V (m/s)
4.26
3.80
13.09
2.13
4.68
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Verifica n°
19
20
21
22
23
sezione
u
v
z
aa
ab
sottobacini
30
25
7+8+12+13+17+18
+21+22+25÷30
19
23
Diametro (mm)
400
400
2.90
315
315
if (%)
0.02
0.03
1000
0.29
0.20
h (m)
0.15
0.28
0.02
0.11
0.1
B (m)
0.52
0.79
0.73
0.39
0.37
A (m2)
0.04
0.09
2.05
0.02
0.02
R (m)
0.08
0.11
0.61
0.06
0.06
c (m1/3/s)
80
80
0.30
80
80
Q (m3/s)
0.09
0.29
75
0.15
0.11
V (m/s)
2.11
3.27
2.92
6.57
5.29
Verifica n°
24
25
sezione
ac
ad
sottobacini
29+29
34
Diametro (mm)
400
315
if (%)
0.03
0.25
h (m)
0.31
0.13
B (m)
0.86
0.43
A (m2)
0.10
0.03
R (m)
0.12
0.07
c (m1/3/s)
80
80
Q (m3/s)
0.33
0.20
V (m/s)
3.30
6.67
Relativamente alle verifiche indicate con le lettere g÷m, si evidenzia che, in fase gestionale, si
valuterà l’opportunità di sostituire i tubi dei diametri indicati con un numero sufficiente di tubi di
diametro inferiore, posati anche in tempi diversi, tali da permettere il deflusso complessivo delle
portate afferenti, ma in maniera coordinata con le fasi evolutive della discarica, con configurazione
finale da raggiungersi per step successivi. Si ritiene opportuno procedere con questa soluzione anche
in virtù dei probabili fenomeni d’assestamento ai quali il corpo di discarica andrà incontro, fenomeni
che potrebbero richiedere la sostituzione dei tubi ancor prima del raggiungimento della
configurazione finale della discarica.
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51/88
6.
DRENAGGIO E RETE DI RACCOLTA E TRASPORTO DEL PERCOLATO (PUNTO
2.3 ALLEGATO 1, D.LGS. 36/03).
Omissis: non oggetto del presente appalto
ASSESTAMENTI PREVISTI ED EVOLUZIONE DELLA MORFOLOGIA FINALE.
7.
Omissis: non oggetto del presente appalto
8.
OPERAZIONI DI COPERTURA (PUNTO 2.4.3 ALLEGATO 1, D.LGS. 36/03).
“... La copertura superficiale finale della discarica deve rispondere ai seguenti criteri:

isolamento dei rifiuti dall’ambiente esterno;

minimizzazione delle infiltrazioni d’acqua;

riduzione al minimo della necessità di manutenzione;

minimizzazione dei fenomeni di erosione;

resistenza agli assestamenti ed a fenomeni di subsidenza localizzata.
La copertura deve essere realizzata mediante una struttura multistrato costituita, dall’alto verso il basso, almeno dai
seguenti strati:
1. strato superficiale di copertura con spessore ≥ 1 m che favorisca lo sviluppo delle specie vegetali di copertura ai fini
del piano di ripristino ambientale e favorisca una protezione adeguata contro l’erosione e di proteggere le barriere
sottostanti dalle escursioni termiche;
2. strato drenante protetto da eventuali intasamenti con spessore ≥ 0,5 m in grado di impedire la formazione di un
battente idraulico sopra le barriere di cui ai successivi punti 3 e 4;
3. strato minerale compattato dello spessore ≥ 0,5 m e di conducibilità idraulica ≥ 10-8 m/s, o di caratteristiche
equivalenti, integrato da un rivestimento impermeabile superficiale per gli impianti di discarica di rifiuti pericolosi;
4. strato di drenaggio del gas e di rottura capillare, protetto da eventuali intasamenti, con spessore ≥ 0,5 m;
5. strato di regolarizzazione con la funzione di permettere la corretta messa in opera degli strati sovrastanti ...”.
Nella normale gestione delle discariche uno degli aspetti di più difficile soluzione è quello relativo
alle coperture giornaliere e finali dei rifiuti. Per soddisfare ai criteri richiesti dalla norma, la copertura
deve essere in grado di affrontare ogni situazione meteoclimatica della zona in cui è realizzata la
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discarica e garantire adeguati presidi gestionali anche nella fase operativa, dove la copertura ha scopi
temporanei riconducibili essenzialmente alla mitigazione degli aspetti visivi ed eolici.
Il progetto della copertura finale della discarica è realizzato in funzione:

della merceologia e del trattamento a cui sono stati sottoposti i rifiuti;

del tipo di manutenzione e controllo dell’efficienza della copertura nel tempo;

degli eventuali riutilizzi futuri della superficie di copertura.
E’ il caso di rimarcare l’importanza degli aspetti associati a questa progettazione, in quanto la
copertura finale interessa un ammasso di rifiuti ancora in fase di decomposizione e/o assestamento
e, quindi, una superficie soggetta a deformazioni e cedimenti differenziali, che possono pregiudicare
l’integrità e/o l’efficienza della copertura stessa.
A questo proposito è auspicabile ricorrere inizialmente all’esecuzione di una copertura provvisoria
tale da proteggere il cumulo durante la maggior parte dell’assestamento dopo di che, trascorso un
tempo ragionevole, si provvederà a realizzare una copertura finale, in cui è ugualmente previsto un
residuo di assestamento calcolato su un intervallo di tempo abbastanza ampio.
In fase di progetto occorre comunque considerare anche altri fattori che possono mettere in crisi
l’efficienza della barriera:

variazioni atmosferiche di temperatura, che possono dare origine sia a fenomeni di gelodisgelo fino a profondità significative, sia a cicli di bagnature e essiccamenti dovuti alle
condizioni atmosferiche;

penetrazione di radici e di animali negli strati sotterranei;

problemi di stabilità delle scarpate;

traffico veicolare sulle strade di trasporto che attraversano la copertura;

erosione ad opera del vento e dell’acqua.
La copertura di progetto tiene conto di quanto sopra descritto e delle tecnologie attualmente
presenti sul mercato per la costruzione del capping definitivo delle discariche. Inoltre garantisce
ottimi risultati relativamente alla produzione del percolato e delle esigenze connesse alla produzione
e captazione del biogas e si pone obiettivi ragionevoli, per quanto attiene l’uso delle materie prime,
anche in termini di impatto ambientale, così riassumubili:

migliorare la captazione del biogas ed estenderla su gran parte dell’area di discarica;

evitare la formazione di acquiferi sospesi o la loro alimentazione dalla copertura finale, anche
in funzione di fenomeni di assestamento dei rifiuti, peraltro sempre presenti in discariche
come quella in esame;

garantire il corretto smaltimento delle acque meteoriche dell’intera copertura;
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53/88

accelerare il processo di inerbimento delle coperture e garantire un adeguato ripristino
ambientale dell’area.
“... La copertura superficiale finale della discarica nella fase di post-esercizio può essere preceduta da una copertura
provvisoria, la cui struttura può essere più semplice di quella sopra indicata, finalizzata ad isolare la massa di rifiuti
in corso di assestamento. Detta copertura provvisoria deve essere realizzata al fine di consentire il regolare deflusso delle
acque superficiali e di minimizzarne l’infiltrazione nella discarica ...”.
Quanto previsto dal decreto trova evidente riscontro nella realtà gestionale delle discariche per rifiuti
urbani. Questa categoria di impianti, in modo assai differente rispetto a quelli per rifiuti industriali, è
infatti caratterizzata da assestamenti e cedimenti differenziati rilevanti, di cui si è ampiamente trattato
al capitolo precedente.
La fase di gestione post-operativa risente della necessità di interventi frequenti di ripristino, tali da
garantire una corretta baulatura dell’impianto, coerente alle linee di quota utili al deflusso delle acque
meteoriche.
Nel caso in cui l’impianto sia coperto in modo definitivo fin dal momento della sua chiusura si deve
prevedere, in presenza di assestamenti eccessivi, di intervenire sulla superficie esterna.
Gli adeguamenti della morfologia interessano, perciò, il solo strato vegetale superiore, con rettifiche
che comportano la completa rimozione degli apparati e delle specie vegetali insediate e non possono,
nel contempo, ripristinare la sagomatura degli strati impermeabili e di drenaggio interni.
In altri termini, gli interventi “distruggono” le azioni di recupero agrovegetazionale realizzate e non
evitano la formazione di acquiferi negli strati interni della copertura finale.
Proprio per questo motivo si provvede alla preventiva costruzione di una copertura provvisoria della
discarica, con cui affrontare i primi anni della fase di gestione post-operativa.
La struttura di questa copertura è più semplice di quella prima indicata, composta soltanto dallo
strato di regolarizzazione e da una geomembrana in ldpe opportunamente zavorrata al terreno, in
modo da isolare idraulicamente l’ammasso di discarica.
Ad assestamento principale ultimato, trascorsi due o tre anni dalla fine della fase operativa, si
procederà alla costruzione della copertura finale, adottando la seguente soluzione multibarriera:
PARTI PIANEGGIANTI E CON PENDENZA FINO A 21°
1.
strato superficiale realizzato con 60 cm di terreno di riporto e 40 cm di terreno vegetale;
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2.
strato drenante realizzato con ghiaia o con materiali inerti drenanti, con spessore minimo di
50 cm, protetto da due geotessili da 200 g/m2;
3.
strato impermeabilizzante costituito da uno strato di 50 cm di minerale compattato con K 
10-8 m/s e da una geomembrana in polietilene in ldpe da 200 g/m2;
4.
strato di drenaggio del gas realizzato con F.O.S. mista a materiale inerte o con pneumatici
interi annegati in un letto di sabbia o pneumatici frantumati, per uno spessore complessivo di
almeno 50 cm;
5.
strato di regolarizzazione con spessore variabile fra i 10 ed i 30 cm, composto da F.O.S.
miscelata a terreno naturale.
NOTA: STRATIGRAFIA IN SEGUITO MODIFICATA CON PD 111/EC del 11/07/2013 e
successiva nota di aggiornamento richiesta dalla conferenza dei servizi del 20/11/2013
Si osserva che l’utilizzo di pneumatici nello strato 4 del capping finale era già stato autorizzato con il
Progetto di riassetto morfologico ed ottimizzazione dell’impianto, presentato dal gestore nel
novembre 2005 ed approvato con Provv. Dirig. n. 88/EC del 30/06/2006.
In questa sede si propone come materiale alternativo anche la frazione organica stabilizzata, tale
tecnica, prevista dalla D.C.R.T. n. 88/1998, viene argomentata nel capitolo successivo.
9.
MATERIALI ALTERNATIVI PROPOSTI E ATTIVITA’ DI RECUPERO RELATIVE
Omissis: non oggetto del presente appalto
10.
BIOGAS (PUNTO 2.5 ALLEGATO 1, D.LGS. 36/03).
10.1. Valutazione teorica del gas di discarica prodotto.
La valutazione della produzione di biogas, intesa come cinetica di gassificazione del rifiuto o, meglio,
del carbonio organico in esso contenuto, richiede la conoscenza di diversi dati relativi alle
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caratteristiche chimico-fisiche dei rifiuti, alle loro modalità di deposito e copertura, alle condizioni
climatiche ed idrologiche locali.
Esistono ormai vari modelli utili alla descrizione della formazione del gas da discarica (biogas o landfill
gas, LFG).
In linea di principio i modelli teorici di generazione del biogas possono essere basati su
considerazioni microbiologiche o biochimiche: la loro evoluzione e cinetica viene correlata a fattori
principali quali:

disponibilità di nutrienti contenuti nell’ammasso;

ph;

temperatura;

umidità;

livello del substrato;

condizioni ambientali dell’ammasso dei rifiuti;

condizioni ambientali del sito di discarica.
Il rapporto esistente tra velocità e fattori di generazione è di vario tipo, indipendente o correlato.
E’ altrettanto vero che le condizioni reali che caratterizzano l’evoluzione di una discarica sono assai
varie, al limite dell’indeterminazione, e che allo stato attuale le variabili presenti nelle modellazioni
sono tante e tali da confondere l’applicazione delle correlazioni sopraindicate.
In funzione di quanto osservato, spesso si adottano semplici descrizioni del fenomeno, basati
principalmente su osservazioni in laboratori o in impianti in vera grandezza, con modellazioni delle
cinetiche inferiori al secondo ordine.
La formazione del biogas è, in breve, il risultato della biodegradazione del carbonio organico
contenuto nel rifiuto: per ogni kg di carbonio organico che si degrada si formano
approssimativamente 1,87 Nm3 di biogas (COOPS ed altri, Validation of landfill gas formation models SARDINIA ‘95 - Volume 1, pagg.635÷647).
La cinetica di formazione, al tempo  t , è proporzionale al decadimento della sostanza organica:
 t   1, 87 A
dC
dt
(1)
La definizione della cinetica di reazione consente di valutare l’evoluzione temporale del fenomeno
degradativo e quindi la durata della produzione del biogas.
L’espressione generale è un’equazione differenziale del primo ordine del tipo:
dC
 c  Cn
dt
(2)
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Dove con C si è indicata la concentrazione di carbonio organico gassificabile e con n l'ordine della
cinetica.
Tale relazione è usualmente applicata ad una massa di rifiuti depositata in uno stesso strato o in un
determinato periodo (mese o semestre). Particolare attenzione va rivolta all'esponente n che
rappresenta l’ordine del modello. Una cinetica di ordine zero (n=0) implica che variazioni non
eccessive di C, non influenzano la velocità di massificazione della frazione organica del rifiuto, ed
essa quindi risulta evidentemente costante nel tempo, eventualmente influenzabile solo da altre
condizioni al contorno, quali il contenuto di acqua e la disponibilità di nutrienti.
Alcuni processi dovuti ad un certo numero di reazioni, vengono descritti da cinetiche del secondo
ordine (n=2) (ad esempio massificazione anaerobica della sostanza organica).
Tuttavia la maggior parte dei modelli attualmente in uso fa riferimento a cinetiche del primo ordine,
in cui il fattore limitante del processo è rappresentato dalla concentrazione di carbonio gassificabile
residuo.
La soluzione di (2) in funzione di condizioni iniziali e di una quantità di rifiuto trasformato in biogas
(quantità definita quale fattore di generazione  ) porta alla formazione di modelli funzione
dell’ordine della cinetica di reazione, in cui la quantità di materia organica C è funzione della
quantità iniziale C0.
Ulteriore metodologia per la valutazione della cinetica di biogassificazione è quella pratica basata su
raccolta di serie di dati da campagne estrattive e relative verifiche. Questo metodo, peraltro
estremamente utile, ha un grosso limite: necessita dell’impianto stesso per cui vengono effettuate le
campagne di indagine. In altri termini questo metodo è applicabile solo in presenza di una discarica
in evoluzione per lotti, con conferimento e tipo di gestione costanti nel tempo.
Altri ricercatori hanno condotto sperimentazioni in ambienti controllati (lisimetri) con risultati però
non estendibili a grossi ammassi eterogenei.
Riassumendo si può affermare che:
a) la corretta progettazione di un impianto di captazione e trattamento di biogas richiede la
modellazione della produzione di biogas;
b) i fattori che influenzano la produzione di biogas possono riassumersi nella seguente tabella:
caratteristiche ambientali
caratteristiche dei rifiuti
precipitazioni
temperatura
composizione
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umidità
granulometria
densità
pretrattamenti
spessore dei rifiuti
gestione del collocamento
materiale di copertura
ricircolo del percolato
modalità di gestione
dell’impianto
Tab. 9 - Fattori di influenza per la produzione del biogas.
c) le maggiori problematiche riscontrate nella produzione del biogas, inteso come gas sviluppato
dalla fermentazione metanigena, pare risiedano nella estensione della interfaccia solido-liquido e
perciò sono collegate alla densità del rifiuto, alla sua pezzatura ed al contenuto di umidità e, di
riflesso, alla temperatura dell’ammasso.
Studi condotti su discariche di rifiuti domestici mostrano una scarsa fermentazione metanigena
quando il contenuto d’acqua è inferiore al 50% rispetto alla saturazione. Questo accade non solo
nel caso di discariche situate in area secche ma anche in zone della stessa discarica, a causa di
differenziati contenuti d’acqua, ed è dovuto al fatto che i microrganismi metanigeni non sono in
grado di emigrare in zone distanti (alcuni centimetri) dal luogo di origine. Anche a causa di
notevoli eterogeneità del rifiuto conferito, un elevato numero di parti della stessa discarica
possono mostrare perciò piccole e non appropriate attività microorganiche;
d) i gas che si sviluppano in discariche per rifiuti non pericolosi sono solitamente metano, anidride
carbonica, composti azotati, idrogeno, idrogeno solforato e composti sulfurei, idrogeno ed
ossido di carbonio in percentuali volumetriche assai diverse, con netta predominanza di metano
ed anidride carbonica.
In pratica si stima che da una tonnellata di rifiuto urbano di un paese industrializzato possano
svilupparsi dai 100 ai 200 Nm3 di biogas, in un arco temporale compreso tra 10 e 50 anni,
concentrati maggiormente nei primi 5÷10 anni di fermentazione metanigena, a seconda delle
diverse velocità di decomposizione del rifiuto.
e) tutte le schematizzazioni attualmente disponibili non possono comunque dare informazioni su
valori assoluti ma descrivono la probabilità delle emissioni, in un certo intervallo piuttosto che su
un singolo valore, caratterizzando in modo omogeneo un reattore biochimico che omogeneo
non è, uniformando così le variazioni puntuali ed intermittenti che possono verificarsi nello
stesso.
10.2. Valutazione della quantità di gas di discarica captato.
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Sulla base delle indicazioni formulate si ritiene opportuno, nel caso pratico in esame, determinare la
produzione di biogas effettiva adottando modelli matematici basati su due distinti sottomodelli: uno
chimico-fisico ed uno biochimico. La modellazione prevede anche fattori di correzione, riconducibili
a coefficiente di efficienza, che tengono conto dei fattori che caratterizzano l’impianto e di fattori
impiantistici, esterni all’impianto di smaltimento controllato, riassumibili in:

depressione di aspirazione;

distanza planimetrica dei pozzi;

tipo di pozzo;

tipologia del materiale drenante;

tipologia della sonda drenante.
Il dato teorico ottenuto viene corretto in funzione dell’efficienza del sistema di captazione: nel caso
di pozzi verticali esistono grafici (quale quello attribuibile ai proff. Doedens e Weber) che
consentono di ricavare il rapporto tra portata aspirata e portata prodotta (Qa/Qt) in funzione della
forma dell’elemento di captazione (pozzo o trincea) e del raggio medio di influenza attribuito al
singolo pozzo.
Nel caso della discarica in oggetto, con copertura pressoché impermeabile, si può stimare un
coefficiente di efficienza pari al 90%.
Va detto, a ragion del vero, che un metodo di questo genere, seppur basato su esperienze empiriche
diffuse per vari tipi di impianto, non garantisce l’attendibilità del dato, che verrà determinato
correttamente solo in via sperimentale, una volta attivato l’impianto, anche perché questi valori di
efficienza sono funzione della distribuzione dei pozzi, come chiaramente intuibile dalle indicazioni
riportate nelle figure riportate in precedenza.
Sviluppo e confronto dei modelli usati per la stima della produzione del biogas
Sono stati confrontati diversi modelli atti a stimare la produzione di biogas in modo da acquistare
maggiore capacità di analisi ai fini progettuali.
Per poter condurre uno studio valido dal punto di vista dell’affidabilità dei dati previsti ed eventuale
fittaggio di quelli esistenti, passo fondamentale è stata la scelta dei modelli da utilizzare come
architrave teorica.
Le caratteristiche che questo studio richiede ai modelli da scegliere sono:
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1
relativa linearità concettuale (assenza di vincoli troppo stretti legati all’impianto), in modo da
poter inserire dei parametri di impianto da poter lasciare liberi di variare in base alle esigenze;
2
possibilità di utilizzo multifase del modello: volendo studiare il comportamento dell’impianto
al variare del contenuto merceologico dei rifiuti in esame;
3
possibilità di aggiornamento dei dati in ingresso.
Per questo sono stati scelti e implementati il modello di Scholl Canyon, per la sua attendibilità
previsionale e per il suo largo impiego nei sistemi esistenti, ed il modello triangolare, che ad una
buona approssimazione di previsioni associa una grande versatilità, e, infine, il modello LandGEM
(versione 3.02) sviluppato da E.P.A.. ( Environmental Protection Agency).
Dati e assunzioni comuni ai modelli

Conferimenti annuali
Un dato comune ai modelli è la quantità di rifiuti conferiti per ogni anno di gestione nella discarica di
Podere Rota.
La chiusura della discarica è stata ipotizzata per il 2022, di conseguenza sono stati inseriti nei modelli
i valori reali dei conferimenti annuali fino al 2006 ed è stato stimato un quantitativo annuale per i
conferimenti dopo il 2007 .
Una volta ipotizzati i conferimenti in entrata all’impianto, sono stati definiti, in base ai dati forniti dal
gestore, i quantitativi attesi in entrata all’impianto di inerti e Frazione Organica Stabilizzata,
provenienti da altri impianti di trattamento rifiuti. Non è facile stimare l’evoluzione merceologica del
rifiuto: è comunque ragionevole ipotizzare un percorso in cui, anche per steps discontinui connessi
all’attivazione di specifici impianti di trattamento o per il recepimento di stringenti normative, la
quantità di frazione organica putrescibile conferita in discarica tenda a diminuire. Questa determina,
come effetto più evidente, una conseguente diminuzione del potenziale di produzione del biogas,
con le immaginabili conseguenze in fase previsionale.
La dinamica di evoluzione delle caratteristiche merceologiche del rifiuto è rappresentata nei modelli
previsionali attraverso il concetto di rifiuto trattato equivalente (tonnellate/anno RU_eq), ipotizzato in
ingresso nell’impianto dal 2008 in poi.
Per stimare le tonnellate di rifiuto equivalente sono state utilizzate le previsioni dei flussi dell’ATO 6
e le produzioni di FOS e ceneri in output agli impianti della comunità di ambito.
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Per ogni singolo flusso di rifiuto proveniente dagli impianti di trattamento, è stata definita una
percentuale di biodegradabilità residua, intendendo con ciò la percentuale in peso dei rifiuti trattati e/o
stabilizzati che partecipano ai processi di degradazione anaerobica interni al corpo di discarica.
FOS
10%1
Ceneri e Inerti
0%
Tab. 10 - Biodegradabilità residua (percentuale in peso)
Tenendo conto di queste percentuali di biodegradabilità a fronte dei flussi in entrata all’impianto
ipotizzati, si ottengono le seguenti tonnellate di rifiuto equivalente:
Lavoro di tesi: Brizzi Tommaso, 2003: “Studio di soluzioni di gestione di impianti di trattamento dei rifiuti urbani
integrate a livello di macro-ambiti territoriali”. Relatore: Prof. E. Carnevale; Università di Firenze.
1
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2008
2009
2010
2011
2012
2013
2014
2015
2016
2017
2018
2019
2020
2021
2022
Conferimenti totali +
FOS a recupero
301.000
301.000
301.000
290.000
290.000
202.000
202.000
158.000
158.000
158.000
158.000
158.000
147.000
147.000
147.000
Tonn
RU_eq
245.132
244.963
243.021
231.868
231.799
128.536
128.495
95.856
95.583
95.310
95.037
94.764
83.491
83.218
82.945
Tab. 11 - Tonnellate di rifiuto in input ai modelli.

Composizione merceologica media
Per poter rappresentare una realtà quantomeno “gestibile e realistica” si è scelto di dividere i rifiuti
urbani in 8 categorie merceologiche:
Categorie merceologiche considerate
Organico
Verde
Carta e cartone
Legno
Plastiche
Vetro
Tessili
Metalli
Tab. 12 - Categorie merceologiche del rifiuto
Come situazione di riferimento è stata scelta la distribuzione merceologica dell’area di raccolta
dell’ATO di Arezzo, con percentuale di composizione media fornita dal gestore:
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Merceologica Ato 6
6%
12%
Organico
25%
Carta e cartone
plastica
4%
Tessili
Verde
Legno
9%
Vetro
Metalli
20%
8%
11%
Fig. 32 - Grafico della composizione merceologica del rifiuto implementata da 1991 al 2007.
Dal 2008 al 2022 sono state implementate le distribuzioni merceologiche previste dall’ATO 6 che, in
funzione delle percentuali di raccolta differenziata programmate, cambiano le caratteristiche del
rifiuto in entrata agli impianti di ambito.
Previsione ATO 6
Organico
Carta e cartone
Plastica
Tessili
Verde
Legno
Vetro
Metalli
2007
25%
20%
11%
8%
9%
4%
12%
6%
2008
28%
19%
12%
9%
11%
5%
5%
3%
2009
26%
20%
13%
9%
10%
4%
5%
3%
2010
25%
21%
13%
10%
10%
4%
5%
3%
2011
22%
21%
14%
11%
10%
4%
5%
2%
2012
21%
23%
14%
12%
9%
4%
5%
2%
2013
19%
24%
14%
12%
10%
4%
6%
2%
2014
19%
24%
14%
12%
10%
4%
6%
2%
2015
16%
24%
15%
13%
10%
4%
6%
2%
Tab. 13 - Merceologica prevista dall’ATO 6 , dal 2015 al 2022 rimane invariata.
Affinché i modelli considerati si adattino realisticamente alla situazione italiana, sono stati considerati
i dati in possesso per altre realtà impiantistiche riguardo le composizioni chimiche medie delle varie
merceologie, soprattutto rispetto alla loro biodegradabilità e umidità [1].
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C
Organico
Carta e
cartone
Plastiche
Tessili
Sfalci e
potature
Legno
Vetro e
inerti
Metalli
H
O
N
S
Inerti
%
% umidità biodegra
dabilità
% s.s.
28,70%
% s.s.
3,10%
% s.s.
29,20%
% s.s.
1,90%
% s.s.
0,60%
% s.s.
36,50%
u.j
70,00%
B.j
82%
44,40%
4,40%
40,90%
0,10%
0,30%
9,90%
5,50%
50%
70,50%
39,60%
11,50%
6,50%
11,30%
25,30%
0,90%
5,60%
0,90%
0,70%
4,90%
22,30%
2,00%
10,00%
0%
54%
45,50%
8,70%
20,10%
1,80%
0,20%
23,70%
60,00%
60%
49,50%
6,00%
42,70%
0,20%
0,10%
1,50%
20,00%
72%
0,50%
0,10%
0,40%
0,10%
0,00%
98,90%
2,00%
0%
0,50%
0,60%
4,30%
0,10%
0,00%
94,50%
3,00%
0%
Tab. 14 - Composizioni merceologiche tipiche

Calcolo del potenziale di generazione del biogas
La stima della produzione del biogas risente in modo sostanziale del potenziale di generazione Lo,
elemento essenziale per la elaborazione di un qualunque modello
Si assume come ipotesi semplificativa che i processi di formazione del biogas seguano il seguente
schema:
materia organica -> acidi organici -> biogas + materia non-biodegradabile
Esprimendo la composizione elementare della materia organica in base ai suoi componenti
fondamentali (C,H,O,N,S) si può usare il seguente schema stechiometrico per la reazione globale:
CaHbOcNdSe + w H2O → x CH4 + y CO2 + z NH3 + k H2S
(3)
Dai bilanci elementari si possono ottenere i coefficienti stechiometrici w, x, y, z e k in funzione di a,
b, c, d, raggiungendo il seguente bilancio stechiometrico:
4a  b  2c  3d  2e
)H 2 O 
4
4a  b  2c  3d  2e
4a  b  2c  3d  2e
(
)CH 4  (
)CO 2  dNH 3  eH 2 S
8
8
(4)
C a H b Oc N d Se  (
In totale le moli di biogas prodotte saranno:
____________________________________________________________________________________________________________________________
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xyzk 
4a  b  2c  3d  2e 4a  b  2c  3d  2e

 d  e  a  d  e  moli bio,s
8
8
(5)
Questa quantità è relativa a condizioni di biogas secco. Se si considera che il processo ha luogo in un
ambiente saturo di vapore acqueo, a temperatura nell’ordine di almeno 50÷60 °C,, si possono
calcolare le moli di biogas umido prodotte.
Con l’equazione 3 viene quindi determinato il potenziale di generazione di biogas della reazione in
questione, nell’ipotesi teorica che tutta la massa di rifiuti reagisca in condizioni anaerobiche.
moli bio ,s  22.414  L0 [
Nm 3
]
tonn RSU
(6)
E’ evidente che non è realistico ipotizzare che tutto il materiale biodegradabile smaltito in discarica
reagisca anaerobicamente nei tempi previsti, o, in termini complementari, è logico attendersi che i
processi descritti dalle equazioni sopra riportate subiscano dei rallentamenti che, nella modellazione,
vengono rappresentati da un coefficiente di biodegradabilità w.s,bd,j e da un coefficiente dipendente
dalla temperatura [DOCF(T), fraction of degradable organic carbon dissimilated] che indica l’efficienza di
biodegradazione della materia deposta.
DOC F  0.014T  0.28
(7)
Il coefficiente preso di default è 0.77, pari a 35°C.

Perdite di acqua legate alla produzione del biogas
Una quota parte dell’acqua che si infiltra nel corpo discarica viene consumata durante la
decomposizione anaerobica dei componenti organici contenuti nei rifiuti. La quantità di acqua
richiesta nel processo può essere stimata usando l’ equazione 4.
In particolare la quantità di acqua consumata è rappresentata dal coefficiente w, il quale, essendo
calcolato attraverso i contributi dei termini a, b, c, d, e, che esprimono le kmoli dei corrispondenti
elementi per ogni tonnellata di rifiuto , indica le kmoli di acqua persa per ciascuna tonnellata.
Pertanto, moltiplicando tale coefficiente per il peso molecolare dell’acqua si ottengono i kg di H2O
persa per tonnellata di RU:
KgH 2 O  4a  b  2c  3d  2e 

  18
tonnRU 
4

(8)
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Inserendo nell’equazione il potenziale di generazione di gas Lo (Nm3/tonnellate RU), si può
calcolare la quantità di acqua consumata per ogni Nm3 di gas prodotto:
KgH 2 O ( 4 a  b  2c  3d  2e)  (18 / 4)

Lo
Nm 3 gas
(9)
Il fabbisogno di acqua viene quindi determinato in funzione dei Nm3 di gas prodotto: risulta quindi
evidente che la disponibilità di acqua è un fattore determinante sia per la produzione dei gas di
discarica che del percolato, come si evince dal modello descritto al paragrafo 6.2.

Costante cinetica k di generazione del metano
Un altro parametro fondamentale utilizzato dai modelli è la costante di velocità di biodegradazione
k, espressa in anni-1, con il quale si stima la rapidità della produzione di CH4 dopo il conferimento
dei rifiuti.
I valori di k in letteratura variano in un range da 0.02 a 0.69 anni-1.
Questo parametro dipende da vari fattori, riconducibili a:

quantità di acqua presente nel rifiuto (fino ad un livello del 60-80% in umidità, al crescere di
questo parametro cresce anche la produzione di metano, dopo di che si ha stabilità),

pH, temperatura ed altri parametri ambientali,

condizioni operative della discarica e condizioni del rifiuto trattato.
Scenari di simulazione:
Fatte le suddette assunzioni, per ogni singolo modello sono stati simulati differenti scenari di
produzione di biogas (dal 1991 al 2072, assunto quale ultimo anno di post-gestione) considerando:
1. i quantitativi di rifiuto equivalente e quindi l’entrata in discarica del rifiuto trattato e/o
stabilizzato secondo le percentuali di biodegradabilità attese (indicato con 1-R_Eq) ;
2. le tonnellate di rifiuto riferite ai soli moduli già approvati ipotizzando l’anno di chiusura nel
2011 (chiamato in precedenza “stato attuale o scenario zero”); tale simulazione è stata effettuata
al fine di ricavare l’aliquota di biogas prodotta dai soli moduli di ampliamento (indicato con
2- Senza ampl.);
3. i conferimenti totali addizionati dei quantitativi della FOS a recupero, assunti come rifiuti tal
quali, in modo da valutare la riduzione percentuale della produzione totale di biogas
introdotta dall’ipotesi di diminuzione della sostanza organica putrescibile in entrata alla
discarica (indicata con 3- R_tal_quale).
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Risultati dei modelli
Il modello di Scholl Canyon

Il modello di Scholl Canyon è un metodo di decadimento del primo ordine e si basa sulla seguente
equazione (3):
QCH 4  L0  k  R( e  kc  e  kt )
(10)
dove
QCH4= rateo di generazione del metano al tempo t [m3/anno]
L0= potenziale di generazione di CH4 dei rifiuti [m3/tonn]
R= media del rateo di accettazione annuale di rifiuti [tonn/anno]
k= costante di generazione del CH4 [1/anno]
c= tempo trascorso dalla chiusura della discarica [anni] (c=0 per le discariche ancora attive)
t= tempo trascorso dal conferimento iniziale dei rifiuti [anni]
Per il calcolo della costante di generazione del metano k, le varie merceologie sono state raggruppate
in tre macrocategorie: biodegradazione moderata, lenta e veloce, in accordo con la classificazione
Emcon MGM.
In particolare sono state identificate a quale classe appartengono le categorie merceologiche
identificate e le percentuali degli elementi chimici che costituiscono tali categorie:
Organico
Carta e cartone
Plastiche
Tessili
Sfalci e potature
Legno
Vetro e inerti
Metalli
Reaz. Veloce
V.j
100%
0%
0%
0%
100%
0%
0%
0%
Reaz.Moder.
M.j
0%
100%
0%
0%
0%
0%
0%
0%
Reaz. Lenta
L.j
0%
0%
0%
100%
0%
100%
0%
0%
Tab. 15 - Percentuali di velocità di biodegradazione
In base ai dati della tabella 15 sono stati calcolati kl, km, kv tramite la seguente equazione[4]:
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k
ln 2 1
[
]
t 1 / 2 anni
(10)
Categoria
Rapidamente
degradabili
Moderatamente
degradabili
Lentamente
degradabili
Merceologie
organico domestico
organico grandi utenze
sfalci e potature
carta cartone
prodotti cellulosici
Legno altri materiali
(resistenti alla
decomposizione
anaerobica)
k
t½
0.36 anni-1
1-10 anni
0.15 anni-1
10 – 20 anni
0.07 anni-1
20 – 40 anni
Tab. 16 - Tipologie di rifiuti in base alla velocità di biodegradazione
L’ipotesi fondamentale di questo modello è l’assunzione che il massimo della produzione di biogas si
raggiunga al momento di fine conferimento dei rifiuti, oltre il quale si ha solo decadimento
esponenziale: questo vincolo impone i tempi di biodegradazione, tarati su di un set di discariche.
Altra semplificazione radicale è considerare la composizione di biogas al 50% in metano e 50% in
CO2 , mentre L0 è calcolato anche su NH3 e H2S.
Risultati:
Dal calcolo del potenziale di generazione del biogas si ricava:
Lo veloce
Lo mode.
Lo lenta
Nm3 biogas/t
RU
40
60
49
Tab. 17 - Potenziale di produzione di biogas
Le produzioni annue di biogas dal 1991, al 2072 ultimo anno della fase di post-gestione, sono
rappresentate nel grafico seguente:
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Fig. 33 - Stima della produzione annua di biogas
Dai valori delle produzione annue sono state ricavate le portate medie orarie attese di biogas
prodotto; nel grafico seguente si riporta anche le portate del gas aspirato considerando due differenti
coefficienti di captazione:

coeff. di captazione pari al 67% (valore stimato per il 2006);

coeff. di captazione pari al 90% (valore di progetto).
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Fig. 34 - Produzione oraria di biogas e ipotesi di captazione nel modello Scholl-Canyon
Dai risultati delle simulazioni dei differenti scenari si osserva che:

il biogas totale prodotto dai moduli di ampliamento rappresenta il 25% della produzione
totale;

la riduzione della produzione di biogas totale, dovuta alla diminuzione dei quantitativi di
sostanza organica putrescibile conferiti, è di circa il 30%;

la produzione massima di biogas si ha nell’anno 2012 ed è pari a 3.291 Nm3/h;

il biogas che si prevede di captare nell’anno 2012, con un coefficiente di captazione del 90%,
è pari a 2.962 Nm3/h.
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
Il modello triangolare
Questo modello è stato proposto da Tchobanoglous [6] e poi riadattato da Bonori, Pasquali e
Bergonzoni [7].
Viene ipotizzata una crescita lineare del rateo di produzione di biogas in un primo periodo, seguita
da una decrescita anch’essa lineare nella seconda fase.
Tchobanoglous ha inizialmente ipotizzato un tempo di ritardo di un anno dal conferimento dei
rifiuti, prima che inizi la produzione di biogas, ed ha assunto le curve triangolari come formate ad
ogni istante da due contributi: quello dato dai rifiuti rapidamente degradabili e quello dei rifiuti
lentamente biodegradabili.
A differenza nel modello precedente, si considerano due k una per i rifiuti a degradazione veloce e
una per i rifiuti a degradazione lenta; in questo modo si dovranno considerare due masse di sostanza
organica biodegradabile per ciascuna classe merceologica:
w s,bd, j, V  w s, j 
w s,bd, j,L  w s, j 
Bj

Vj

Lj
100 100
Bj
(11)
100 100
(12)
dove ws,j sta ad indicare la percentuale di massa secca della frazione j-esima, ws,bd,j la percentuale di
massa secca e biodegradabile di tale frazione mentre Vj ed Lj indicano rispettivamente le percentuali
di velocità di biodegradazione veloce e lenta. Per ognuna di queste masse si devono calcolare i
coefficienti a,b,c,d da inserire nello schema stechiometrico globale della reazione.
Categoria merceologica
Organico domestico
Carta
Cartone
Plastiche
Sfalci e potature
Vetro ed inerti
Metalli
Sottovaglio
Reaz. Veloce
V.j
100%
100%
100%
0%
60%
0%
0%
0%
Reaz. Lenta
L.j
0%
0%
0%
0%
40%
0%
0%
100%
Tab. 18 - Percentuali di velocità di biodegradazione veloce e lenta
La degradazione dei rifiuti avviene in tempi differenti per i diversi tipi di rifiuto per cui la produzione
media annuale di biogas si potrà ottenere sommando i contributi dovuti ai due termini di
degradazione veloce e lenta.
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Curve di biodegradazione lenta e veloce
aliquota di produzione annuale
0,250
0,200
0,150
lenta
veloce
0,100
0,050
anno 21
anno 19
anno 17
anno 15
anno 13
anno 11
anno 9
anno 7
anno 5
anno 3
anno 1
0,000
anni trascorsi dal conferimento
Fig. 35 - Generatrici triangolari del modello
Risultati:
Dal calcolo del potenziale di generazione del biogas si ricavano i seguenti valori:
Lo veloce
Lo lenta
Nm3 biogas/t RU
46
15
Tab. 19 - Potenziali di generazione del biogas
Da cui derivano i seguenti grafici riepilogativi della produzione stimata di biogas.
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Fig. 36 - Stima della produzione annua di biogas
Fig. 37 - Stima della produzione oraria di biogas
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Dai risultati delle simulazioni dei differenti scenari si osserva che:

il biogas totale prodotto dai moduli di ampliamento rappresenta il 35% della produzione
totale;

la riduzione della produzione di biogas totale, dovuta alla diminuzione dei quantitativi di
sostanza organica putrescibile conferiti, è di circa il 21%;

la produzione massima di biogas si ha nell’anno 2014 ed è pari a 3.705 Nm3/h;

il biogas captato nell’anno 2014, con un coefficiente di captazione del 90%, è pari a 3.335
Nm3/h.

LandGEM
Landfill Gas Emission Model è uno strumento di stima con interfaccia Microsoft Excel che è stato
sviluppato da E.P.A. per stimare il rateo di emissione dei gas da discarica (CH4, CO2, ed altri
inquinanti prodotti da discariche di rifiuti non pericolosi) e utilizza una cinetica del primo ordine.
Il metodo è di possibile applicazione ma non si può però ignorare, nel momento del suo utilizzo, che
il modello di calcolo nella versione che viene liberamente concesso in uso non è molto idoneo per la
previsione della produzione di biogas per siti italiani. In effetti anche adattando i valori di default in
funzione di numerose campagne di ricerca dati è assai difficile trovare una giusta correlazione tra
impianti di discarica italiani ed un modello che è espressamente riferito a condizioni di progetto e
gestione statunitensi.
In particolare, i modelli fino ad ora illustrati considerano due o tre valori di k e Lo relativi alle
categorie di materia identificate (velocemente, moderatamente e lentamente biodegradabile) mentre
il LandGem utilizza un solo valore per questi parametri.
Risultati:
Per il calcolo della produzione di biogas si è utilizzato Lo e k di default, tali parametri non sono
pertanto stati calcolati sulla merceologica in esame.
k
0.05
Lo Nm3
biogas/t RU
170
Tab. 20 - Parametri del modello
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Fig. 38 - Stima della produzione annua di biogas
Fig. 39 - Stima della produzione oraria di biogas
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Dai risultati delle simulazioni dei differenti scenari si osserva che:

il biogas totale prodotto dai moduli di ampliamento rappresenta il 12% della produzione
totale;

la riduzione della produzione di biogas totale, dovuta alla diminuzione dei quantitativi di
sostanza organica putrescibile conferiti, è di circa il 16%;

la produzione massima di biogas si ha nell’anno 2013 ed è pari a 5.300 Nm3/h;

il biogas captato nell’anno 2013, con un coefficiente di captazione del 90%, è pari a 4.700
Nm3/h.
Verifica e confronto fra i modelli
Al fine di verificare l’attendibilità previsionale dei modelli, sono state confrontate le produzioni
orarie ottenute (scenario 1) con i valori realmente aspirati ai quali è stata sommata la portata stimata
delle emissioni diffuse dalla copertura della discarica.
2005
2006
Nm3/h
Nm3/anno aspirati
10.841.925 1.238
13.259.497 1.514
Nm3/h
emessi*
772
755
Nm3/h
prodotti
2.010
2.289
*Stime fornite dal gestore inseguito alle campagne di monitoraggio delle emissioni diffuse.
Tab. 21 - Produzioni stimate e portate reali aspirate
Dal grafico si osserva come LandGEM sovrastimi i quantitativi di biogas prodotto, in ragione del
fatto che il modello presenta le limitazioni evidenziate in precedenza (unica velocità di reazione e
parametri svincolati dalla distribuzione merceologica del rifiuto locale).
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Fig. 40 - Confronto fra i modelli
Nel caso dei modelli Scholl Canyon e triangolare, si hanno invece risultati migliori, anche se gli
andamenti hanno delle differenze sostanziali:

l’anno di massima produzione è diverso a causa delle assunzioni fatte in merito al tempo di
innesco delle reazioni;

mediante le generatrici triangolari si considera un tempo massimo di esaurimento dei
processi di degradazione di 20 anni (degradazione lenta) pertanto rispetto al decadimento
esponenziale di Scholl Canyon le emissioni di biogas residue, in fase di post gestione, si
esauriscono prima.
Entrambi i modelli sono stati scelti per verificare le necessità impiantistiche connesse al sistema di
trattamento dei gas da discarica.
Si riportano di seguito i valori anno per anno delle produzioni di biogas risultate dai modelli:
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1991
1992
1993
1994
1995
1996
1997
1998
1999
2000
2001
2002
2003
2004
2005
2006
2007
2008
2009
2010
2011
2012
2013
2014
2015
2016
2017
2018
2019
2020
2021
2022
2023
2024
2025
2026
2027
2028
2029
2030
Scholl Canyon
Nm3/h
128
240
326
392
454
500
582
628
926
1386
1743
2164
2335
2514
2676
2818
2962
3083
3174
3240
3263
3292
3051
2872
2650
2478
2343
2235
2149
2049
1967
1685
1457
1270
1115
986
876
781
700
630
Triangolare
Nm3/h
0
22
67
136
197
249
291
332
363
430
570
786
1042
1254
1430
1540
1626
1853
2210
2710
3098
3417
3654
3706
3575
3230
2910
2599
2347
2154
2012
2010
1925
1774
1419
1105
833
604
415
275
2031
2032
2033
2034
2035
2036
2037
2038
2039
2040
2041
2042
2043
2044
2045
2046
2047
2048
2049
2050
2051
2052
2053
2054
2055
2056
2057
2058
2059
2060
2061
2062
2063
2064
2065
2066
2067
2068
2069
2070
Scholl Canyon
Nm3/h
568
513
465
423
385
351
320
293
268
246
225
207
190
175
162
149
137
127
117
108
100
93
86
80
74
68
64
59
55
51
47
44
41
38
35
33
31
28
26
24
Triangolare
Nm3/h
225
182
146
117
92
70
51
36
23
12
5
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
Tab. 22 – Produzioni orarie stimate dai modelli
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Le portate nominali delle torce e dei motori a recupero energetico sono le seguenti:

torce: 3.600 Nm3/h

motori: 2.666 Nm3/h

totale: 6.266 Nm3/h
Complessivamente il sistema integrato di combustione consente, a pieno regime, la combustione di
una portata di biogas nettamente superiore rispetto alla massima prevista dai modelli.
Non si prevede quindi l’istallazione di altri utilizzatori dedicati ai moduli di ampliamento.
Fig. 41 - Verifica delle portate degli utilizzatori
Riferimenti bibliografici:
[1]
AGAC & “Gf ambiente” S.n.c. (Calderara di Reno, Bo) (1997) Determination of chemical-physical composition
and commercial fraction of solid wastes managed by AGAC, Reggio Emilia
[2]
Salcone A. (2002) Controllo della produzione di biogas da rifiuti solidi. Il caso della discarica di Maiolati Spontini.
Relatore tesi: Prof. Ing. Maurizio Mancini –
[3]
DISTART - Facoltà di Ingegneria - Alma Mater Studiorum - Università di Bologna Augenstein D.,
Pacey J. (1991). “Landfill methane models” in atti del 29 esimo Convegno SWANA Annual
International solid Waste Exposition (Silver Springs), SWANA, pp. 111.87-111.111
[4]
Jensen J.E. e altri (2000), CH4 emissions from solid waste disposal, in Good Practice Guidance and
Uncertainty Management in National Greenhouse Gas Inventories, Institute for Global Environmental
Strategies (IGES) for the IPCC, Japan, pp. 419-439
[5]
Tchobanoglous G. et al. (1993), Water resources and environmental engineering, McGraw-Hill.
[6]
Tchobanoglous G. et al. (1993), Integrated solid waste management, McGraw-Hill.
[7]
B.Bonori, G.Pasquali, M.Bergonzoni, (2001), Landfill gas production valued with a mathematical method, in Sardinia
2001, CISA, Cagliari
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10.3. Impianto di captazione e combustione del biogas.
“ … Le discariche che accettano rifiuti biodegradabili devono essere dotati di impianti per l’estrazione dei gas che
garantiscano la massima efficienza di captazione e il conseguente utilizzo energetico.
La gestione del biogas deve essere condotta in modo tale da ridurre al minimo il rischio per l’ambiente e per la salute
umana; l’obiettivo è quello di non far percepire la presenza della discarica al di fuori di una ristretta fascia di rispetto.
Poiché il naturale assestamento della massa dei rifiuti depositati può danneggiare il sistema di estrazione del biogas, è
indispensabile un piano di mantenimento dello stesso, che preveda anche l’eventuale sostituzione dei sistemi di
captazione deformati in modo irreparabile.
E’ inoltre indispensabile mantenere al minimo il livello del percolato all’interno dei pozzi di captazione del biogas, per
consentirne la continua funzionalità, anche con sistemi di estrazione del percolato eventualmente formatosi; tali sistemi
devono essere compatibili con la natura di gas esplosivo, e rimanere efficienti anche nella fase post-operativa.
Il sistema di estrazione del biogas deve essere dotato di sistemi per l’eliminazione della condensa; l’acqua di condensa
può essere eccezionalmente reimmessa nel corpo della discarica.
Il gas deve essere di norma utilizzato per la produzione di energia, anche a seguito di un eventuale trattamento, senza
che questo pregiudichi le condizioni di sicurezza per la salute dell’uomo e per l’ambiente.
Nel caso di impraticabilità del recupero energetico la termodistruzione del gas di discarica deve avvenire in idonea
camera di combustione a temperatura T>850°, concentrazione di ossigeno maggiore o uguale a 3% in volume e tempo
di ritenzione maggiore o uguale a 0,3 s.
Il sistema di estrazione e trattamento del gas deve essere mantenuto in esercizio per tutto il tempo in cui nella discarica
è presente la formazione del gas e comunque per il periodo necessario, come indicato all'articolo 13, comma 2…”.
(stralcio del punto 2.5. dell’allegato 1 al D.Lgs. 36/03)
E’ evidente che la descrizione dell’impianto connesso al presente ampliamento rappresenta la
sommatoria fra interventi già effettuati e nuove predisposizioni/realizzazioni previste, con sistema di
captazione che viene prolungato in modo coerente con l’evoluzione d’impianto.
L’intero sistema viene predisposto affinché sia possibile procedere per lotti successivi, sviluppati in
funzione delle fasi di abbancamento e copertura dei rifiuti; in ogni configurazione i gas aspirati dai
sistemi verticali e suborizzontali esistenti nell’ammasso dei rifiuti vengono convogliati tramite
apposite tubazioni alla stazione di aspirazione e, da qui, agli utilizzatori finali. Data la presenza della
fase liquida all’interno del biogas (il biogas è una miscela molto umida vista la particolarità del luogo
di produzione) vengono previste opportune livellette di posa dei collettori, caratterizzate da punti
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depressi imposti in fase di progettazione ed esecuzione dell’impianto in cui sono collocati sistemi di
raccolta e rilancio delle condense.
Nella discarica è presente, oltre alle torce ad alta temperatura, un impianto per il recupero energetico
dei gas di discarica, costituito da motori endotermici per la produzione di energia elettrica. Entrambi
gli impianti consentono la combustione del gas in condizioni di temperatura e di eccesso di ossigeno
controllate, in modo da garantire un’efficace riduzione dei composti inquinanti che caratterizzano la
miscela gassosa.
A questo proposito si ricorda che è stato recentemente approvato, con Provv. Dirig. n. 38/EC del
02/04/2007, un progetto di ottimizzazione del sistema di aspirazione e combustione dei gas di
discarica, introducendo nuovi sistemi di controllo e recupero energetico dai flussi aspirati. Le scelte
impiantistiche adottate possono riassumersi in:
1.
installazione di un nuovo sistema di valorizzazione del gas di discarica costituito da una
specifica stazione di aspirazione completa di n. 2 motori a combustione interna e da un
sistema del tipo a ciclo di Rankine con fluido organico (ORC), con produzione di energia
elettrica dal recupero del calore generato dai gas di scarico dei motori;
2.
attivazione di un sistema di aspirazione e combustione dedicata ai gas di discarica a scarso
tenore di metano, cioè al gas con basso potere calorifico che non rappresenta, viste le qualità
energetiche, un combustibile adeguato per il funzionamento sia dei motori dell’impianto
esistente che di quello di nuova realizzazione.
A tal fine nel progetto, ora in corso di costruzione, si proponeva la realizzazione dei seguenti sistemi
di aspirazione (peraltro già realizzati in buona parte):

linea di aspirazione dedicata unicamente al “gas povero”, costituita da un anello perimetrale
collegato ai pozzi più esterni della parte vecchia di discarica. Scopo di tale elemento è quello
di captare i flussi attesi nella fascia esterna di questa parte di discarica, correlabili in
particolare alla discontinuità tra la barriera di confinamento, realizzata in materiale
impermeabile, e i rifiuti;

un sistema di pozzi verticali con linee drenanti suborizzontali ed inclinate. Le linee
suborizzontali vengono realizzate nei punti di discontinuità morfologica del fondo invaso ed
in apposite trincee ricavate all’interno dei rifiuti;
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
tubi inclinati di tipo duale sulle scarpate esterne, in grado cioè sia di aspirare biogas che
drenare e condurre sul fondo invaso l’eventuale percolato intercettato nei livelli superiori del
corpo di discarica.
Si precisa che il sistema di captazione e aspirazione del biogas già in essere, che verrà ampliato man
mano che si procederà con la copertura delle superfici in cui il conferimento è esaurito, continuerà
ad alimentare i sistemi di recupero energetico esistenti (impianto di cogenerazione), mentre il nuovo
sistema di estrazione perimetrale sarà prioritariamente a servizio di una torcia di combustione, in
quanto non si ritiene che le caratteristiche quantitative e qualitative del biogas estratto in questa zona
siano sufficienti a giustificare il ricorso al recupero energetico. E’ comunque già previsto il
collegamento tra i due sistemi, in modo da avviare a recupero tutto il gas estratto appena ne
verranno accertate le condzioni.
Lo schema funzionale previsto per l’intero impianto, valido anche nella configurazione di
ampliamento attuale, viene schematizzato nella figura successiva.
Fig. 42 - Layout dell’impianto di aspirazione e combustione del biogas nella configurazione finale
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Le unità funzionali (o sottosistemi) in cui è suddiviso il sistema biogas possono essere così riassunte:
1.
elementi per l’aspirazione dei gas, riconducibili a:

pozzi verticali, rappresentati sia da specifici pozzi verticali trivellati dopo aver conferito i
rifiuti e pozzi verticali di gestione del percolato, già descritti in precedenza;

tubi inclinati drenanti inseriti in scarpata e/o di sfiato delle platee drenanti di fondo
invaso;

drenaggi di strato (di cui si è già detto nel capitolo relativo al percolato), a posa
suborizzontale, e di collegamento tra i pozzi verticali di gestione del percolato;

drenaggi suborizzontali realizzati in corrispondenza delle parti sommitali delle varie
scarpate in cui viene sagomato il versante, punto che per sue caratteristiche rappresenta il
naturale bersaglio dei flussi gassosi che corrono al contatto della discontinuità geologica
realizzata tra fondo impermeabile e cumulo dei rifiuti. Tale drenaggio viene solitamente
indicato con il termine di masso drenante perimetrale o, ancor più brevemente, masso
drenante;

drenaggi suborizzontali inseriti all’interno dello strato 4 [strato di drenaggio dei gas]
espressamente richiesto dalla norma nella copertura finale;
2.
linee di collettamento e trasporto;
3.
stazioni di regolazione;
4.
organi di separazione delle condense;
5.
stazione di aspirazione;
6.
impianto di deumidificazione;
7.
sala controllo;
8.
impianto per il recupero energetico;
9.
torce di combustione.
Di seguito vengono sinteticamente descritte alcune delle unità funzionali prima indicate, rimandando
anche a quanto già riferito per la gestione del percolato per specifici elementi duale.
Si rileva infatti che, come già osservato dalla lettura del testo, i sistemi di aspirazione e drenaggio dei
gas di discarica e del percolato sono sempre più tra loro connessi e funzionali, con elementi che
assolvono al duplice scopo e trovano applicazione in entrambe le parti impiantistiche. Non va
peraltro sottovalutato che questa dualità, certamente fondamentale per l’ottimizzazione della
gestione delle emissioni, è fortemente limitabile in seede operativa e post-operativa, e trova
applicazione solo nel caso in cui gli elementi siano posati in modo da rimuovere le condense che si
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formano all’interno per gravità. In effetti è abbastanza frequente il caso in cui alcuni sistemi di
drenaggio dei gas risultino inefficaci a causa di “tappi idraulici” presenti nei collettori, tappi che, viste
le depressioni in gioco, non possono essere rimossi dal sistema aspirante.
E’ quindi evidente che il progettista ma, soprattutto, il gestore, deve riuscire a costruire un sistema in
cui le condense che si formano nei tratti convogliati possano essere allontanate in modo semplice ed
efficace (leggasi per gravità) ed afferite a posizioni in cui siano presenti elementi efficaci di rilancio
(leggasi pompe del percolato) per il maggior tempo possibile. In queste condizioni, con elementi di
aspirazione in efficienza, si può ipotizzare una ben evidente sovrapposizione tra elementi aspiranti,
con schema tipologico rappresentato nella figura seguente
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Fig. 43- Schema del sistema di drenaggio del biogas.
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Pozzi verticali
Quando lo stoccaggio dei rifiuti ha raggiunto le quote definitive previste in progetto e si è
provveduto ad eseguire la copertura definitiva dei rifiuti, si procede alla trivellazione meccanica di
pozzi verticali. In questo caso il pozzo viene costruito con tecnologie usuali, realizzando un cilindro
verticale con altezza prossima allo spessore della colonna dei rifiuti (la trivellazione viene interrotta a
circa quattro metri dal fondo invaso) e foro con diametro di 800 mm.
Nel pozzo vengono inseriti una sonda drenante centrale in tubo in hdpe fessurato Ø 250 e ghiaia
basaltica con funzioni di filtro: da notare che la sonda centrale può essere attrezzata per
l’inserimento di pompe di controllo ed eventuale rilancio delle condense e del percolato, qualora il
battente misurato presenti quote anomale.
Ogni singolo pozzo è dotato di una valvola di regolazione, al fine di modificare la portata di biogas
in funzione della percentuale ottimale di ossigeno e metano.
Rispetto a quanto già realizzato si prevede la costruzione di 45 nuovi pozzi verticali indicati nella
planimetria 4.2.C.24, ai quali corrisponde un raggio d’influenza medio pari a circa 20 m.
Fra gli elementi di captazione verticale sono introdotti anche i nuovi pozzi di emungimento del
percolato, i quali saranno attrezzati con testa di sigillatura a tenuta e collegamenti di messa in
depressione della colonna.
Trincee drenanti
Una delle problematiche maggiormente presenti nelle fasi post-operative di discariche in rilevato è la
possibile uscita, in corrispondenza del punto di raccordo tra corpo di discarica e copertura, di
emissioni liquide e/o gassose, essenzialmente da ricondurre alla presenza di lenti o strati a maggior
permeabilità presenti nelle strutture arginali di contenimento.
Per evitare l’insorgere di queste criticità, si provvede alla costruzione di un apposito innesto nella
scarpata esterna, nel quale verrà installato un tubo drenante in hdpe Ø 200. Questo elemento,
solitamente denominato masso drenante, risulta completamente impermeabilizzato sulla sommità e
diventa il punto di aspirazione del cuneo dei rifiuti idealmente confinato tra la parete d’invaso e la
verticale passante dal perimetro del fondo invaso.
Tubi inclinati drenanti e/o di sfiato delle platee drenanti di fondo invaso
I collettori di fondo invaso vengono, per quanto possibile, prolungati sulle pendici e sulle parti
esterne della discarica, in modo da consentire l’ispezionabilità del sistema di drenaggio del percolato
anche nel lungo periodo.
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Questi sistemi diventano, nel tempo, elementi di tipo duale, in grado cioè sia di aspirare biogas sia
drenare e condurre sul fondo invaso l’eventuale percolato intercettato nei livelli superiori del corpo
di discarica.
Esperienze già condotte in altre realtà mostrano come questi elementi di aspirazione, collocati in
zone della discarica caratterizzate da elevati spessori del rifiuto e discontinuità litostratimetriche,
sono solitamente interessati da elevate portate e buona qualità del gas, con tenori della
concentrazione di metano superiore al 50%.
Nel caso in esame questi elementi possono essere raccordati al sistema di aspirazione di nuova
costruzione prevista sulle banche canale realizzate in scarpata.
Linee di collettamento e trasporto
La rete di captazione e collettamento del biogas è composta essenzialmente dalla rete di collettori
secondari, dalle sottostazioni e dalla rete di collettamento principale. Una volta che si è completato il
conferimento dei rifiuti ed è stata realizzata la copertura finale, si procede alla realizzazione della rete
di collettori secondari, che prevede il collegamento di ciascun pozzo con la sottostazione mediante tubo
in hdpe avente diametro 90 mm.
Le linee di collettamento principali sono costituite da tubazioni in hdpe del diametro di 250 mm e
servono per il trasporto del biogas da ciascuna sottostazione alla centrale di aspirazione. Per ragioni
di protezione meccanica e per ridurre le dilatazioni termiche e l’influenza della luce, tutte le tubazioni
hdpe sono collocate in scavo ad una profondità minima di cm 60 dal piano campagna,
opportunamente alloggiate in sabbia con sovrastante copertura di terra.
Stazioni di regolazione
Omissis: non oggetto del presente appalto
Organi di separazione delle condense
Omissis: non oggetto del presente appalto
Stazione di aspirazione
Omissis: non oggetto del presente appalto
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Impianto di deumidificazione
Omissis: non oggetto del presente appalto
Sala di controllo
Omissis: non oggetto del presente appalto
Impianto per il recupero energetico
Omissis: non oggetto del presente appalto
Torce di combustione
Omissis: non oggetto del presente appalto
11.
IMPIANTO ANTINCENDIO ED IMPIANTO ELETTRICO.
Omissis: non oggetto del presente appalto
12.
DISTURBI E RISCHI (PUNTO 2.6 ALLEGATO 1, D.LGS. 36/03).
Omissis: non oggetto del presente appalto
13.
DOTAZIONE DI ATTREZZATURE E PERSONALE (PUNTO 2.9 ALLEGATO
1, D.LGS. 36/03).
Omissis: non oggetto del presente appalto
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14.
MODALITÀ E CRITERI DI COLTIVAZIONE (PUNTO 2.10 ALLEGATO 1,
D.LGS. 36/03).
Omissis: non oggetto del presente appalto
15.
DIAGRAMMA A BLOCCHI DEL CICLO DI SMALTIMENTO IN DISCARICA E
INDICAZIONE DELLE RISORSE UTILIZZATE.
Omissis: non oggetto del presente appalto
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