fisica_2 - Appuntiunito

Vittorio Mussino: [email protected]
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Dipartimento di Fisica – Politecnico di Torino
CARICA E MATERIA
La caratteristica di attrarre piccoli e leggeri oggetti quando l’ambra ed il vetro vengono sfregati con un panno
era nota fin dal VII secolo A.C. Nel XVI secolo D.C. Gilbert chiamò
• elettrizzati tutti quei materiali che presentavano la caratteristica del vetro e dell’ambra,
• forze elettriche le forze esercitate durante il fenomeno dell’attrazione.
Il vetro sfregato era ritenuto sede di cariche positive (elettricità vetrosa), l’ambra invece di cariche negative:
corpi elettrizzati con cariche di segno differente si attraggono, con cariche di identico degno si respingono.
Dizione corretta: l’interazione fra corpi elettrizzati si esprime tramite forze determinate dalle cariche elettriche
(elettroni e protoni che preesistono nei corpi prima del fenomeno, ad esempio sfregamento, che determina la
loro elettrizzazione) che vengono rilocalizzate. Dal punto di vista elettrico, i corpi sono
• isolanti se mantengono per lungo tempo la loro elettrizzazione in quanto le cariche negative (elettroni
periferici degli atomi) hanno scarsa propensione a muoversi liberamente,
• conduttori se non mantengono a lungo la loro elettrizzazione. Nei conduttori metallici sono le cariche
negative quelle che presentano maggiore facilità di muoversi liberamente all’interno del reticolo, mentre
quelle positive (protoni, localizzati nei nuclei) si considerano praticamente ferme. Si parla di effetto Hall
quando i portatori di cariche liberi sono proprio gli elettroni degli strati più esterni, quelli inerenti alla
compartecipazione orbitale a più nuclei. Gli ioni, positivi quando l’atomo presenta una carenza di elettroni
o negativi quando l’atomo presenta un eccesso di elettroni, sono loro stessi portatori di cariche elettriche.
• Dimensioni fisiche: un atomo ha dimensione dell’ordine di 10−10 m ed il raggio atomico è definito dalla
relazione R ≈ R 0 A1 3 (con R 0 = 1.5 ⋅10−15 m e A = Z + N proprio in accordo con la distribuzione uniforme
•
•
•
di massa nel nucleo). Un protone o un neutrone hanno dimensione dell’ordine di 10−15 m ( 10−15 m e detto 1
fermi), un elettrone ha dimensione dell’ordine di 10−17 m . Il volume atomico risulta definito dallo spazio
entro il quale si muovono gli elettroni attorno al nucleo.
Carica elettrica: B. Franklin ipotizzò che la carica elettrica fosse assimilabile ad un fluido continuo. Nella
formulazione moderna, si considera la carica elettrica come multiplo intero (positivo o negativo) di una
carica fondamentale pari a
e = 1.6 ⋅ 10− 19 C
( C → coulomb )
(1)
valore così piccolo da non essere rilevato nella realtà quotidiana. Ciò significa che ogni carica elettrica
risulta essere quantizzata ed esprimibile secondo la relazione
q = ± ne
(2)
Conservazione della carica elettrica: quando un corpo elettricamente isolato ed in equilibrio (identico
numero di cariche elettriche di segno opposto) viene sfregato meccanicamente, si determina la separazione
delle cariche elettriche che vengono rilocalizzate in modo da variare leggermente la sua neutralità elettrica.
In un sistema elettricamente isolato, la somma algebrica di tutte le cariche resta costante nel tempo: ossia il
numero complessivo delle cariche elettriche è conservato.
Induzione elettrostatica: fenomeno statico per il quale avvicinando un corpo elettrizzato A ad un corpo
elettricamente neutro B, sulla superficie di quest’ultimo vengono rilocalizzate le cariche elettriche presenti
nel corpo [figura 1]. Precisamente, sulla superficie di B prossima al corpo A compaiono cariche di segno
opposto a quelle che hanno elettrizzato A (sulla superficie opposta di B compaiono cariche di identico
segno di quelle di elettrizzazione di A).
[ figura 1]
+
+
−
−
+
−
+
−
+
+
−
−
−
+
−
+
+
−
−
−
−
−
−
−
−
−
+
L’effetto è appunto statico perché l’eccesso di cariche dello stesso segno, distribuite su una superficie
relativamente limitata del corpo B, blocca la rilocalizzazione di altre cariche omologhe congelando in tal
modo la situazione.
1
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•
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Elettroscopio: dispositivo che sfrutta il fenomeno della repulsione fra
cariche dello stesso segno [figura 2]. In un contenitore chiuso due sottili
lamine metalliche (ottime due foglioline d’oro o di argento), in fulcrate ad
un loro estremo, se elettrizzate divergono fra loro di un angolo che
dipende dal numero delle cariche localizzate sulla loro superficie. Tale
strumento non può essere usato per una misura quantitativa, ma
unicamente qualitativa poiché variando il numero delle cariche sulle
lamine varia l’angolo indipendentemente dal segno delle cariche.
[ figura 2 ]
+
+
+
LEGGE DI COULOMB
Nel 1795 Coulomb, utilizzando un dispositivo simile alla bilancia di torsione 1 , cercò di misurare l’entità della
interazione fra cariche elettriche in funzione sia del valore delle cariche stesse sia della loro distanza.
Sperimentalmente ricavò una relazione del tipo
qq
FC ∝ 1 n 2
r
con l’esponente n circa uguale a 2 (entro il limite degli errori di misurazione si assume proprio n = 2 ). Inoltre a
parità del numero di cariche e della distanza, l’intensità della forza di interazione risulta dipendere dalle
caratteristiche del mezzo (detto dielettrico) nel quale si esegue la misura
qq
FC = k 1 2 2
(3)
r
La costante k dipende dal sistema di misura usato, infatti
− se k = 1 , la carica elettrica è misurata in unità meccaniche: si definisce carica elettrica unitaria quella
carica che, posta ad una distanza unitaria da un’altra carica unitaria, è sottoposta all’azione di una forza
unitaria. La carica unitaria ha come unità di misura lo statcoulomb (in unità meccaniche).
− nel Sistema Internazionale S.I. la carica elettrica unitaria è definita come la carica trasportata da una
corrente unitaria (unità di misura: l’ampère o 1A ) in un tempo unitario (unità di misura: 1s )
q = i Δt
[ unità di misura di q ] = 1 A ⋅ 1s = 1C
(coulomb)
Le caratteristiche del mezzo, che tengono conto delle peculiarità microscopiche del materiale, sono descritte da
una grandezza detta costante dielettrica che viene indicata con il simbolo ε. Al fine di semplificare la scrittura
delle varie relazioni fisiche inerenti le cariche elettriche, evitando coefficienti di proporzionalità, la costante k
che compare nella (3) è espressa dalla relazione razionalizzata se il mezzo considerato è il vuoto
1
N ⋅ m2
k=
= 9 ⋅ 109
(4)
4π ε 0
C2
essendo ε 0 la costante dielettrica del vuoto il cui valore è ε 0 = 8.85 ⋅ 10−12 F m
Nella dimostrazione della legge di Gauss, si capirà meglio l’opportunità di una scelta tipo (4).
Analiticamente la relazione dedotta da Coulomb si esprime tramite una forza detta forza elettrostatica
coulombiana, in quanto le cariche si considerano ferme e se il mezzo entro il quale si esplica l’azione è il vuoto
1 q1q 2
FC =
4π ε0 r 2
La validità della relazione è assolutamente generale, al più si deve considerare l’effetto di disturbo imputabile a
cariche non puntiformi. In elettrostatica l’entità delle cariche trattate è dell’ordine di 10− 6 C , che risulta essere
un valore enorme rispetto a quello della carica elementare. Considerando i condensatori, le cariche sulle
armature possono risultare dell’ordine di ( 0.1 ÷ 1) C .
1
Il dispositivo era stato proposto da Cavendish per la verifica dell’interazione gravitazionale fra masse, ma solamente nel 1798
ottenne un risultato valido.
2
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La legge di Coulomb associata alla teoria quantistica descrive il comportamento di
− atomi
(interazione elettroni/protoni)
− molecole
(interazione atomi/atomi)
− corpi fisici
(interazione molecole/atomi)
Nel nucleo degli atomi i componenti, detti nucleoni, sono neutroni e protoni e sono strettamente legati fra loro
tramite una forza agente a brevissimo raggio di azione: la forza nucleare. La forza coulombiana fra le cariche
positive tende a diminuire quella nucleare, quando la forza nucleare risulta minore di quella coulombiana la
stabilità del nucleo risulta compromessa. Ciò spiega il decadimento nucleare con emissione di particelle α
(carica positiva) o con la fissione del nucleo stesso.
• Formulazione vettoriale: essendo la forza una grandezza vettoriale, la relazione di Coulomb deve essere
espressa tramite i vettori. La forza coulombiana è funzione di una distanza, quindi è una forza centrale e
se il suo modulo risulta positivo la forza è repulsiva, se il modulo è negativo la forza è attrattiva
⎧q q > 0 → forza repulsiva
FC ( r ) ⇒ forza centrale ⎨ 1 2
⎩q1q 2 < 0 → forza attrattiva
ossia se le cariche hanno identico segno si respingono, se hanno opposto segno si attraggono. Definendo
G G
un versore u r = r r si ha
⎧⎪q1q 2 > 0 → FC ( r ) > 0 → azione repulsiva
⎨
⎪⎩q1q 2 < 0 → FC ( r ) < 0 → azione attrattiva
Considerando un elettrone (massa m e e carica q e ) ed un protone (massa m p e carica q p ) posti ad una
(5)
G
FC ( r ) =
1 q 1q 2 G
ur
4π ε 0 r 2
distanza r, la forza gravitazionale e quella elettrostatica hanno valore in modulo
m m
1 qe qp
FG = −γ e 2 p
FG = −
r
4π ε0 r 2
e calcolando il loro rapporto si ricava
qeq p
FC
1
=
≈ 1039
FG 4π ε0 γ m e m p
Ossia: la forza coulombiana risulta essere 1039 maggiore di quella gravitazionale per cui a livello atomico
quest’ultima è trascurabile. La forza FC è detta a short range, la forza FG è detta a long range.
− Validità: la forza elettrostatica coulombiana agisce lungo la
retta congiungente le due cariche che devono essere
considerate puntiformi. Se le cariche non possono essere
considerate puntiformi, è necessario esprimere la carica in
funzione della sua geometria e ciò implica la definizione
della densità di carica elettrica è [figura 3]
+ q1
G
FC
G
FC
− q2
[ figura 3]
CAMPO ELETTROSTATICO
Quando la carica q 0 interagisce con la carica q, è giustificato pensare che q 0 eserciti un’azione a distanza
G
(data dalla forza coulombiana FC ) su q, ossia separando la carica che determina l’azione da quella che lo subisce
(attenzione: per il principio di reciprocità, vale anche il viceversa)
G
⎛ 1 q0 G ⎞
(6)
FC = q ⎜
ur ⎟
2
⎝ 4π ε 0 r
⎠
G
G
F
1 q0 G
(7)
u r = C = E0
2
4π ε 0 r
q
3
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E tale definizione operativa permette di asserire proprio quanto enunciato. La grandezza a primo membro è
detto il campo elettrostatico generato da una carica q 0 o sorgente, il secondo membro definisce che tale campo
elettrostatico è pari all’azione esercitata su una eventuale carica q posta nel campo, riferita alla carica stessa.
− Attenzione: non si confonda la sorgente q 0 del campo elettrostatico con la carica q che lo subisce, infatti
una sorgente NON può esercitare un’azione su se stessa.
G
G
FC
1N
E0 =
(unità di misura
(8)
)
q
1C
G
G
FC = q E0
(9)
Rappresentando il campo elettrostatico secondo il criterio di Faraday, se la carica
è considerata puntiforme le linee del campo sono semirette con origine la carica
[ figura 4 ]
e disposte secondo una simmetria radiale: l’orientamento delle linee è verso
l’esterno se la sorgente è positiva, verso la carica se essa è negativa [figura 4].
Il campo elettrostatico è una proprietà intrinseca delle cariche elettriche e, per il principio di sovrapposizione
degli effetti, in presenza di una distribuzione di cariche o di cariche non puntiformi il campo elettrostatico
complessivo in un punto è dato dalla risultante dei campi generati dalle singoli cariche componenti.
G
Si consideri un campo elettrostatico E 0 , generato da una carica
G
puntiforme + q 0 , che eserciti un’azione sulla carica + q1 e sulla carica
+ q1
FC1
− q 2 (le due cariche sono ad una distanza tale da non influenzarsi
+q 0
G
G
E
01
reciprocamente). Applicando la relazione (9) si ha [figura 5]
FC2
G
G
+
q
G
0
i due vettori sono paralleli e concordi, quindi
− FC1 = + q1E 0
− q 2 E 02
la forza è repulsiva
G
G
[ figura 5 ]
i due vettori sono paralleli e discordi, quindi
− FC2 = − q 2 E 0
la forza è attrattiva
Considerando l’analogia fra il campo gravitazionale ed il campo elettrostatico si desume
campo gravitazionale
campo elettrostatico
G
G
m G
1 q0 G
E0 =
ur
G = − γ r0 u r
4π ε 0 r r
r
forza coulombiana
forza newtoniana
G
G
mm G
1 q q0 G
FG = − γ 2 0 u r
FC =
ur
r
4π ε0 r r
G
G
G
G
FG = m G
FC = q E 0
• Distribuzione di cariche elettriche: essendo le cariche elettriche reali molto grandi rispetto alla carica di
riferimento e, dette cariche sono distribuite in regioni finite dello spazio. Inoltre le cariche reali possono, a
loro volta, presentare distribuzioni preferenziali lungo una direzione, su una superficie, in un volume di
spazio. In tale ipotesi, si deve esprimere la carica elettrica in funzione delle coordinate spaziali e si parlerà
di
dq
1C
− densità lineare di carica : λ =
(unità di misura
)
dl
1m
dq
1C
: σ=
)
− densità superficiale
(unità di misura
1m 2
dS
dq
1C
)
− densità volumica
: ρ=
(unità di misura
dW
1m3
In una distribuzione di cariche elettriche viene generato sia un campo elettrostatico locale (il cui calcolo è
complicato) sia una campo elettrostatico medio ad una distanza r molto maggiore di quella esistente fra le
singole cariche (generalmente r >> 10−10 m ). Se tale ipotesi viene soddisfatta, le distribuzioni di carica si
possono considerare continue e si ha ad esempio [figura 6]
4
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− distribuzione lineare
: dq = λ ( x, y, z ) dl
G
1 λ ( x, y, z ) dl G
dE 0 =
G G 2 ur
4π ε 0
r′ − r
dq = σ dS
[ figura 6 ]
− distribuzione superficiale : dq = σ ( x, y, z ) dS
G
1 σ ( x, y, z ) dS G
dE 0 =
G G 2 ur
4π ε 0
r′ − r
G
r
P
G
r′
− distribuzione volumica
: dq = ρ ( x, y, z ) dW
G
1 ρ ( x, y, z ) dW G
dE 0 =
ur
G G2
4π ε 0
r′ − r
G
dE 0
Se la densità fosse costante in tutti i punti delle distribuzioni, il campo elettrostatico complessivo sarebbe
G
G
G
1
dl G
1
dS G
1
dW G
E0 =
E0 =
E0 =
λ∫ G G 2 ur
σ ∫∫ G G 2 u r
ρ∫∫∫ G G 2 u r
4π ε 0 l r ′ − r
4π ε0 S r′ − r
4π ε0 W r ′ − r
con l’avvertenza che gli elementi infinitesimi vanno intesi come molto piccoli rispetto alle dimensioni del
corpo, ma molto grandi rispetto alle dimensioni atomiche. Le tre relazioni hanno validità assolutamente
generale.
• Distribuzione lineare di carica: si calcoli in campo
+ y dq
elettrostatico generato da una distribuzione indefinita di
[ figura 7 ]
carica con densità uniforme ( λ = cost ). Scegliendo un
r
G
riferimento come in [figura 7], l’elemento di carica
dE
0
dq = λ dy (posto a distanza y dall’asse delle ascisse)
θ
P
genera nel punto P ( x ) il campo elettrostatico
G
x
dE P
dq
λ dy
G
dE 0 = k 2 = k 2
dE 0
r
r
r
essendo r = x 2 + y 2 . Si osservi che l’elemento di carica
dq = λ dy , posto a distanza − y dall’asse delle ascisse,
−y
genera un campo equivalente in modulo.
G
G
Il campo elettrostatico complessivo dE P è la risultante dei campi dE 0 generati dai due elementi di carica
G
considerati ed il modulo di dE P risulta pari a dE P = 2 dE 0 cos θ . Per proprietà trigonometriche
1
dy = x
dθ
y = x tan θ
cos 2 θ
e ricordando che r = x 2 + y 2 = x 1 + tan 2 θ = x cos θ si ricava
1 x
2kλ
dE P = 2dE 0 cos θ = 2kλ 2
cos θ d θ
=
r cos θ
x
Integrando e tenendo conto che per y = 0 si ha θ = 0 mentre per y = +∞ si ha θ = + π 2
2kλ π 2
EP =
cos θ d θ
x ∫0
Attenzione: il coefficiente 2 nella relazione dE p tiene conto della distribuzione simmetrica rispetto all’asse
delle ascisse. Risolvendo si ricava
•
G
EP =
1 λG
n
2π ε 0 x
G
con n il versore normale alla distribuzione lineare.
Distribuzione piana circolare di carica: il raggio della distribuzione sia R e si calcoli il valore del campo
elettrostatico nei punti dell’asse della distribuzione (sia x la distanza del suo centro).
5
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Facendo riferimento alla [figura 8], suddividendo la
circonferenza in infiniti elementi infinitesimi dl ,
l’elemento di carica dq = λ dl genera nel punto P ( x )
dell’asse il campo
dE 0 = k
dq = λ dl
[ figura 8 ]
dq
λ
= k 2 dl
2
r
r
R
r
G
essendo r = x + y . Proiettando il vettore dE 0 lungo
l’asse della distribuzione si ricava
dE P = dE 0 cos θ
2
con cos θ = x
ricava
2
x
x 2 + R 2 . Sostituendo le varie relazioni si
dE 0 =
kλ x
(x
2
+ R2 )
3
θ
P
G
dE 0
dl
2
G
dE P
e l’integrazione risulta semplice in quanto l’operazione viene fatta sulla circonferenza di raggio R e tale
integrale di linea lungo una linea chiusa viene detto circuitazione e lo si indica con
v∫ dl = ∫ dl
2 πR
Fissato il punto P ( x ) , tutti i termini risultano costanti, quindi
E0 =
ossia
(10)
•
EP =
1
λx
v∫ dl
4πε 0 x 2 + R 2 3 2 N
(
) 2πR
λ
Rx
2ε 0 x 2 + R 2 3 2
(
)
Quando x >> R (ossia la spira è vista come un oggetto di dimensione trascurabile) il campo vale
G
λR 1 G
per x >> R
EP ( x ) =
n
2ε0 x 2
Particolarità delle linee del campo elettrostatico:
− se la sorgente del campo è una carica positiva, le linee sono orientate verso l’esterno; se la carica è
negativa, le linee sono orientate verso la carica
G
− la tangente ad ogni punto della linea di campo ha la direzione del campo E 0
− ogni linea di campo è univocamente definita cioè le linee non si incrociano
G
− dove il campo E 0 ha intensità maggiore, le linee si infittiscono maggiormente
G
− un campo E 0 uniforme è rappresentato da linee parallele
G
− dato uno spostamento infinitesimo d l , parallelo ad una linea di campo, il prodotto vettoriale è nullo
G
G
G
ux uy uz
G G
G
G
G
E 0 × dl = E 0x E 0y E 0z = 0
dx dy dz
e svolgendo
G
G
G
G
G
G
G
G
G
E 0y dz − E 0 y dy u x + E 0z dx − E 0x dz u y + E 0x dy − E 0y dx u z = 0
(
)
(
)
(
)
Le relazioni nelle parentesi devono essere tutte identicamente nulle ed i valori
dx
dz
dx
dy
dy
dz
=
=
=
E 0x E 0z
E 0x E 0 y
E 0y E 0z
6
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Definiscono analiticamente le linee del campo elettrostatico.
MOTO DI CARICHE IN UN CAMPO ELETTROSTATICO
Una carica q, in moto in un campo elettrostatico E 0 , è sottoposta all’azione di una forza FC = qE 0 . Applicando
il secondo principio della dinamica si ricava l’equazione del moto
q
FC = qE 0 = m q a
a=
E0
mq
− Quando il campo elettrostatico si può considerare uniforme, si ha in modulo
dv
q
(11)
=a=
E0
dt
mq
ossia
q
v ( t ) = v0 +
Et
mq
− Quando il campo elettrostatico non risulta uniforme, per ottenere la (11) bisogna conoscere le
componenti del campo
dv y
dv x
dv z
q
q
q
E 0y
= ay =
= ax =
= az =
E0z
E 0x
dt
mq
dt
mq
dt
mq
ESPERIENZA DI MILLIKAN
Tale esperienza dimostrò che le cariche elettriche sono tutte multiple di una grandezza elementare che è pari
alla carica dell'elettrone q = ± ne− . Semplicemente, fra le armature di un condensatore (dove esiste un campo
E 0 che può essere opportunamente variato) vengono spruzzate goccioline di glicerina [figura 9]. Le goccioline,
che risultano elettrizzate negativamente a causa della nebulizzazione, cadono verticalmente con moto definito
dalla relazione
ma = m′g − Fv
essendo: Fv = 6πηrv la forza di attrito viscoso dovuta alla presenza dell'aria
fra le armature, m′ la massa il cui valore è corretto a causa della spinta
idrostatica (la densità della glicerina sia ρ e quella dell'aria ρ')
m′ = 4π r ( ρ − ρ′ ) 3 . Sostituendo nell'equazione del moto i valori dei singoli
glicerina
+
Fe
termini si ha
⎡
⎤
4
ma = m ⎢
− 6πηrv ⎥
⎣⎢ 3π r ( ρ − ρ′ )
⎦⎥
e poiché in regime di caduta libera a = 0 , cioè v = cost , si ottiene
2 ( ρ − ρ′ )
v=
rg
9 η
E0
−
mg
[ figura 9 ]
Applicando un campo E 0 , orientato dall'alto verso il basso, d'intensità E 0 ∼ 105 N C e osservando con un
oculare il moto delle gocce di olio (elettrizzate per nebulizzazione) si noterebbe che esse tendono a rallentare la
loro caduta in quanto la forza elettrica Fe = − qE 0 agisce in verso opposto alla direzione del moto. Osservando il
comportamento di una delle gocce, in questo caso l'equazione del moto diventa
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ma = m′g − Fv − Fe
e poiché in regime di caduta libera a = 0 , v = cost e si ricava il valore
E
v′ = v − 0 q < v
6πηr
Variando opportunamente l'intensità del campo elettrico applicato, la goccia può scendere o salire o restare
stazionaria. Conoscendo le varie grandezze in gioco e misurando la velocità , si ricava il valore della carica q.
Ionizzando l'aria contenuta nell’apparecchiatura, la goccia ionizzata può
acquisire ulteriore cariche ragion per cui varia bruscamente il suo stato di moto (una goccia in uno stato
stazionario può bruscamente mettersi in moto) e la variazione di velocità vale
E
Δ v′ = 0 Δq
6πηr
La misurazione della variazione Δv′ permette la determinazione del valore delle cariche acquisite dalla goccia
indipendentemente dal valore iniziale della carica dovuta alla nebulizzazione iniziale da parte dello spruzzatore.
Sperimentalmente: si determina che Δv′ assume valori quantizzati, conseguentemente anche Δ q risulta essere
quantizzato e, in assenza di radiazioni, q = ne − con n = (10 ÷ 100 ) .
POTENZIALE ELETTROSTATICO
La carica + q 0 ferma generi il campo elettrostatico E 0 rappresentato
dalle linee di campo a simmetria radiale. Il campo esercita un’azione
sulla carica q che si muove, lungo una traiettoria piana dal punto A al
punto B, entro il campo. Il lavoro compiuto dalla forza coulombiana
FC = qE 0 è definito dalla relazione [figura 10]
(12)
B
B
B
A
A
A
L AB = ∫ FC • d l = q ∫ E 0 • dl = q ∫ E 0 dl cos θ
e osservando la figura, si deduce che d l cos θ è uguale al modulo dr
+ q0
rB
r
rA
q
dl
B
θ
dr
della componete dello spostamento lungo la direzione del campo E 0
A
(funzione di r). Sostituendo si ha
E0 ( r )
B
figura
10
[
]
⎡
⎤
B
B
q
q
1
1
L AB = q ∫ E 0 ( r ) dr = q 0 ∫ 2 dr = q 0 ⎢ − ⎥
A
A
4π ε0
r
4π ε0 ⎣⎢ r A ⎦⎥
1 q0
1 q0
L AB = q
−q
4π ε0 rA
4π ε0 rB
L’integrale di linea (12) non dipende dal tipo di traiettoria percorsa dalla carica q (la forza coulombiana è una
forza conservativa), quindi il lavoro (dimensione di una energia) è uguale alla differenza che una funzione
scalare (detta energia potenziale elettrostatica) assume nello stato iniziale e finale
1 qq 0
1 qq 0
UA =
UB =
4π ε 0 rA
4π ε 0 rB
da cui
L AB = U A − U B = −Δ U
Dalla (12) si deduce altresì che l’integrale di linea
B
B
B
q0 B 1
q0 ⎡ 1 ⎤
1 q0
1 q0
(13)
E
•
d
l
=
E
dr
=
dr
=
−
−
⎢
⎥=
∫A 0
∫ A 0 4π ε0 ∫ A r 2
4π ε0 ⎢⎣ r A ⎥⎦ 4π ε0 rA 4π ε0 rA
risulta anch’esso indipendente dal tipo di linea passante per il punto A e B: il campo elettrostatico è
conservativo ed il suo integrale di linea è pari alla differenza che una funzione scalare (detta potenziale
elettrostatico) assume nello stato iniziale e finale
8
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VA =
1 q0
4π ε 0 rA
VB =
1 q0
4π ε0 rB
da cui
∫
B
A
E0 • dl = VA − VB = −Δ V
Scegliendo il punto A come riferimento, si ha
B
B
U B = U A + ∫ FC • dl
VB = VA + ∫ E 0 • dl
A
A
ossia l’energia potenziale elettrostatica ed il potenziale elettrostatico in un punto sono definiti a meno di una
costante
1 qq 0
energia potenziale elettrostatica
: U=
+ k1
4π ε 0 r
1 qq 0
+ k2
4π ε 0 r
Confrontando le relazioni dell’energia potenziale elettrostatica e del potenziale elettrostatico, si deduce che
U = qV
ed il lavoro è anche uguale a
L AB = q ( VA − VB ) = − qΔ V
: V=
potenziale elettrostatico
L’unità di misura dell’energia potenziale elettrostatica è il joule (1 J ), quella del potenziale elettrostatico è
⎧ 1J ⎫
U
⎨ ⎬ = {1 V} (1 volt)
q
⎩1C ⎭
Se la carica q si spostasse dal punto A all’infinito, il lavoro varrebbe
L A∞ = q ( VA − V∞ )
V=
e poiché V∞ = 0 , si ha
L A∞
q
che operativamente definisce il potenziale elettrostatico in un punto come il lavoro necessario per spostare la
carica unitaria da quel punto all’infinito (o dall’infinito a quel punto, per il principio di reciprocità).
Facendo riferimento alla [figura 10], la traiettoria piana
q0
percorsa dalla carica q è possibile scomporla secondo elementi
di spostamento paralleli alle linee del campo (spostamenti
[ figura 11]
radiali) e normali alle linee del campo (spostamenti normali):
dl = dr + dn . L’integrale di linea di E 0 [figura 11]
B
− non riceverebbe contributi relativamente agli
spostamenti normali in quanto i vettori sono E 0 ⊥ d n ,
− riceverebbe contributi relativamente agli spostamenti
A
radiali in quanto i vettori sono E 0 dr e tali contributi
d
sono ovviamente le differenze di potenziale
c
e
elettrostatico per i singoli spostamenti.
Il valore complessivo dell’integrale (dal valore iniziale A al valore finale B) è uguale alla somma dei valori
riferiti unicamente agli spostamenti radiali e la differenza di potenziale elettrostatico VA − VB è uguale alla
somma delle singole differenze di potenziale
VA =
∫
B
A
B
E 0 • dl ≡ ∫ E 0 • dr = ( VA − V1 ) + ( V1 − V2 ) + ( V2 − V3 ) +
A
+ ( Vn − VB ) = VA − VB
Si consideri un sistema di cariche elettriche, l’energia potenziale elettrostatica vale
9
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U tot =
1 1
2 4π ε 0
∑
i≠ j
qi q j
rij
con l’avvertenza che
− ogni carica non interagisce con se stessa, quindi gli indici devono essere differenti
− l’interazione fra q i e q j è uguale a quella fra q j e q i essendo rij = rji , quindi per non duplicare il
contributo è necessario dividere per due il valore calcolato.
DIPOLO ELETTRICO
Si definisce dipolo elettrico il sistema costituito da due cariche di
uguale valore q e segno opposto, posizionate ad una distanza fissa fra
loro. La grandezza specifica che descrive il dipolo elettrico è il
momento di dipolo elettrico, una grandezza vettoriale definita da
− modulo: pari al valore assoluto della carica per il valore della
distanza d fra le cariche,
− direzione: quella della congiungente le due cariche,
− verso: dalla carica negativa a quella positiva.
p = q (B − A)
•
p = qd
Campo elettrostatico generato da un dipolo elettrico: si
consideri il generico punto P dell’asse del dipolo, a distanza
x da esso. Il campo elettrostatico è dato dalla
sovrapposizione dei campi generati dalle due cariche del
dipolo E = E + + E − , si noti che i moduli dei due campi sono
identici in quanto i valori di carica e distanza sono gli stessi
[figura 12]
q
E+ = E− = k 2
r
⎛d⎞
essendo r = x + ⎜ ⎟
⎝2⎠
2
+q
B
A
d
+q
[ figura 12]
θ
d
−q
p
r
P
p
x
θ
E+
E−
E
−q
2
Rappresentando i vettori E + e E − ( E + = E − = E ), si osserva che il campo risultante è orientato
antiparallelamente al momento di dipolo elettrico ed il modulo vale
q
E P = 2E cos θ = 2k 2 cos θ
r
d2
Il coseno dell’angolo θ vale cos θ =
e sostituendo si ricava la relazione
r
d
q
qd
1
p
E P = 2k 2 2 = k 3 =
2 32
r r
r
4π ε0 ⎡
⎛d⎞ ⎤
2
⎢x + ⎜ ⎟ ⎥
⎝ 2 ⎠ ⎥⎦
⎢⎣
In annotazione vettoriale il campo elettrostatico, generato da un dipolo elettrico, nei punti del suo asse vale
1
p
(14)
EP ( x ) = −
2 32
4π ε 0 ⎡
⎛d⎞ ⎤
2
⎢x + ⎜ ⎟ ⎥
⎝ 2 ⎠ ⎥⎦
⎢⎣
10
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− Sperimentalmente, misurando il momento di dipolo elettrico, si ricava un valore complessivo per il
quale non è possibile distinguere il contributo imputabile alla carica da quello della distanza. Inoltre,
determinando il campo elettrostatico ad una distanza dal dipolo assolutamente prevalente rispetto alla
dimensione del dipolo stesso (cioè x >> d ) si ricava la relazione approssimata
1 p
EP ( x ) −
4π ε 0 x 3
•
•
− Significato: il campo elettrostatico generato da una singola carica ha un andamento analitico 1 r 2 ,
mentre in presenza di due cariche fisse e di identico valore vale il principio di sovrapposizione degli
effetti e l’andamento analitico è del tipo 1 r 3 .
Potenziale elettrostatico generato da un dipolo elettrico: tenendo presente quanto ricavato
precedentemente, si scelga come punto P uno qualsiasi del piano contenete il dipolo e sia r+ la distanza
dalla carica positiva, r− quella dalla carica negativa ed r quello dal centro del dipolo [figura 13].
Il potenziale elettrostatico è la somma dei potenziali delle
P
due cariche VP = V+ + V− ed i due potenziali valgono
[ figura 13]
q
q
V+ = k
V− = − k
r+
r−
r+
r+
⎛1 1⎞
r− − r+
quindi VP = kq ⎜ − ⎟ = kq
. Se il punto P è assunto
r
r
r
r
− +
⎝ + −⎠
r
+q
r
molto distante dal dipolo (ossia r >> d ), allora è possibile
ur
+q
approssimare r+ ∼ r− ∼ r ed inoltre l’angolo θ, fra u r e p
θ
θ
r−
(essendo u r il versore della direzione r), è circa uguale
d
r−
all’angolo formato da r− e r+ con il dipolo: ossia r+ , r− ed r
p
p
θ
si possono approssimare paralleli fra loro ( r+ ∼ r− ∼ r ).
r− − r+
Tracciando dalla carica positiva la normale ad r− , nella
−q
−q
situazione di approssimazione illustrata, r− − r+ d cos θ e
sostituendo nel potenziale VP si ricava
d cos θ
1 p cos θ
V kq
=
2
r
4π ε0 r 2
Ricordando il versore u r della direzione di r, il numeratore altro non è che il prodotto scalare del momento
di dipolo elettrico con tale versore
1 p • ur
VP ( r )
4π ε 0 r 2
− Quando θ = ± π 2 (il punto P si trova sull’asse del dipolo) il potenziale elettrostatico è nullo,
− Quando θ = 0, π il potenziale assume la forma
1 p
VP ( r )
4π ε 0 r 2
Interazione fra un campo elettrostatico ed un dipolo elettrico: si consideri un campo elettrostatico
uniforme E 0 (le linee di campo sono parallele fra loro) nel quale sia presente un dipolo elettrico.
Chiamando con θ l’angolo formate fra il momento di dipolo elettrico e la direzione del campo [figura 14],
le cariche del dipolo sono sottoposte all’azione delle forze
− F+ = qE 0
agente concordemente con la direzione del campo elettrostatico
−
F+ = −qE 0
agente discordemente con la direzione del campo elettrostatico
11
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I moduli delle forze sono uguali, inoltre la retta di azione è la stessa: la risultante è nulla. Tuttavia, rispetto
ad un polo O, il momento meccanico della coppia di forze è differente da zero.
Scegliendo per tale polo il centro O del dipolo
A
d
⎫
+q
M + = ( A − O ) × F+ M + = F+ sin θ⎪
F+
⎪
2
θ
⎬ M+ = M−
O
d
M − = ( B − O ) × F− M − = F− sin θ ⎪
E0
⎪⎭
2
−q
Il modulo del momento meccanico totale è la somma
B
F
−
[ figura 14 ]
dei due momenti meccanici in quanto la loro azione
avviene nello stesso verso
M = M + + M − = 2F+ d 2sin θ = qdE 0 sin θ
ed in annotazione vettoriale
M = p × E0
L’azione di tale momento meccanico è quella di allineare il momento di dipolo elettrico lungo la direzione
del campo elettrostatico, facendo acquisire la condizione di equilibrio stabile θ = 0 .
Quando il dipolo, sotto l’azione del campo elettrostatico ruota dall’angolo iniziale θ1 a quello finale θ2 , il
lavoro speso vale
θ2
θ2
θ1
θ1
L = ∫ M d θ = pE 0 ∫ sin θ d θ = pE 0 ( cos θ1 − cos θ2 )
− d ( cos θ )
Fissando θ1 = π 2 e θ2 = θ si ottiene
L = − p • E0
LEGGE DI GAUSS
Si consideri una superficie dS attraversata da un certo numero
di linee di un campo elettrostatico E 0 , generato da una
sorgente. La grandezza che permette di calcolare quante linee
attraversano la superficie è detta flusso del campo e viene
definito come [figura 15]
(15)
( )
dΦ E0 = E0 • n dS = E0 dS cosθ = E0 dS 0
n
θ
[ figura 15]
dS0 θ
E0
dS
essendo:
− n la normale alla superficie (il flusso è un numero, perciò bisogna definire l’orientamento della
superficie rispetto alla direzione del campo) che forma l’angolo θ rispetto a E 0 ,
− dS0 = dScos θ rappresenta la superficie normalizzata rispetto al vettore E 0 ,
− se la superficie fosse curva la normale n , per convenzione, deve essere orientata in verso opposto alla
concavità (verso l’esterno).
Quando 0 ≤ θ < π 2 , il flusso è positivo e si dice flusso uscente dalla superficie; quando π 2 < θ ≤ π , il flusso
è negativo e si dice flusso entrante attraverso alla superficie; quando θ = π 2 , il flusso ha valore nullo essendo
n ⊥ E 0 . Si consideri una superficie chiusa, semplicemente connessa (la superficie è continua senza cavità o
singolarità geometriche) attraversata dalle linee di un campo elettrostatico E 0 . Il valore complessivo del flusso,
attraverso alla superficie chiusa, è funzione della localizzazione della sorgente del campo
• Flusso attraverso ad una superficie chiusa non contenente sorgenti: in tale caso, il numero di linee di
campo entranti è uguale a quello delle linee uscenti. Il flusso entrante è negativo e quello uscente è positivo
12
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( )
( )
( )
d Φ tot E 0 = d Φ in E 0 + d Φ out E 0 = 0
<0
•
>0
Flusso attraverso ad una superficie chiusa contenente sorgenti: sia q 0 la carica sorgente puntiforme dalla
quale escono le linee di campo (ad esempio orientate verso l’esterno) che attraversano la superficie S, la
quale racchiude il volume WS [figura 16].
Si consideri la superficie sferica semplicemente connessa di
raggio r e con origine la carica. Un cono (cono di flusso) di
apertura dΩ , formato dalla linee di campo uscenti dalla
sorgente, intercetta la sfera secondo la superficie dS e la
dΩ
E0
n
superficie complessiva S secondo la superficie dS′ . Nel
volume grigio, compreso fra la sfera e la superficie S non ci
sono sorgenti di campo, quindi il flusso entrante è uguale a
quello uscente per cui il flusso totale attraverso alla
WS
superficie è nullo. Il flusso attraverso alla superficie dS
della sfera non è nullo, quindi è giustificato asserire che il
flusso del cono di flusso attraverso alla superficie dS′ è
uguale a quello uscente dalla superficie dS della calotta
sferica di raggio r
d Φ tot E 0 = E 0 in dS = E 0 dS = E 0 r 2 d Ω
dS
dS′
[ figura 16 ]
( )
concordi
Il flusso attraverso alla sfera, ossia il flusso complessivo attraverso alla superficie S, è uguale all’integrale
esteso a tutto l’angolo solido 4π
( ) ∫ E r d Ω = 4π E r
Φ tot E 0 =
2
0
2
0
4π
Ricordando il valore del modulo del campo elettrostatico generato da una carica puntiforme, si ricava
1 q0 2
Φ tot E 0 = 4π
r
(16)
4πε 0 r 2
( )
k
( )
Φtot E0 =
•
1
q0
ε0
Dalla (16) è possibile capire come mai sia utile scrivere l’espressione razionalizzata k = 1 4πε 0 che
compare nelle relazioni coulombiane al fine di semplificare la relazione di Gauss.
Avvertenza: la relazione di Gauss ha validità assolutamente generale, tuttavia non fornisce alcuna
informazione aggiuntiva rispetto alla relazione di Coulomb. La superficie semplicemente connessa
(superficie gaussiana) può essere qualsiasi, ma per il calcolo veloce della superficie è consigliata o la
superficie sferica, o la cilindrica o quella di un parallelepipedo. La scelta è dettata dal tipo di simmetria
delle sorgenti di campo elettrostatico.
Flusso attraverso ad una superficie chiusa contenente sorgenti
sulla superficie: sia la carica sorgente puntiforme posizionata sulla
q0
superficie chiusa S [figura 17]. Come nel caso precedente si
circondi la sorgente con una superficie sferica di raggio r e si
dΩ
determini il flusso di un cono di flusso, con origine nella sorgente,
E0
attraverso alla sfera ed alla superficie S. Il ragionamento è uguale a
n
quanto esposto nel paragrafo precedente, tranne il fatto che l’angolo
di integrazione è quello piatto, cioè 2π che rappresenta l’angolo di
apertura del piano tangente alla superficie S nel punto dove è
[ figura 17 ]
localizzata la sorgente in quanto il flusso per valori superiori è
nullo non intercettando alcuna superficie
13
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( ) ∫ E r d Ω = 2π E r
Φ tot E 0 =
2
0
2
0
2π
ossia
( )
Φ tot E 0 = 2π
1 q0 2
r
4π ε 0 r 2
k
( )
Φtot E0
1
=
q0
2ε 0
Attenzione: le cariche considerate sono semplicemente quelle interne alla superficie chiusa, quelle esterne non
forniscono alcun contributo in accordo a quanto esposto a pagina 12. Conoscendo il valore delle cariche,
tramite la legge di Gauss si ricava il valore del campo elettrostatico; conoscendo il valore del campo
elettrostatico, tramite la legge di Gauss si ricava il valore delle cariche elettriche.
APPLICAZIONE DELLA LEGGE DI GAUSS
•
Campo generato da una carica puntiforme: si consideri la
superficie gaussiana sferica di raggio r con origine la carica q 0 . Si
consideri la calotta sferica di superficie dS0 , la cui normale n risulta
parallela e concorde con il campo elettrostatico E 0 (a simmetria
radiale). La legge di Gauss impone [figura 18]
Φ tot E 0 = ∫∫ E 0 • n dS = ∫∫ E 0 dS = ∫ E 0 r 2 d Ω = E 0 r 2 ∫ d Ω = 4πE 0 r 2
( )
S
S
4π
dΩ
dS0
E0
4π
e ricordando che, quando la sorgente è interna alla superficie chiusa,
il flusso totale è uguale a q 0 ε0 , si ricava
1
Φ tot E 0 = 4πE 0 r 2 = q 0
ε0
ossia proprio la relazione nota
1 q0
E0 =
n
4πε0 r 2
Campo generato da una distribuzione lineare omogenea indefinita: la
densità lineare sia λ = dq dl = cost . A causa della simmetria della
distribuzione, si consideri una superficie gaussiana costituita da un
cilindro retto (con l’asse coincidente con la distribuzione) di altezza dl
[ fugura 18 ]
( )
•
n′
c
e superficie dS delle sue basi. Il campo elettrostatico E 0 ha simmetria
radiale [figura 19] e rappresentando le normali alle tre superfici del
cilindro si deduce che
− base c
: n′ ⊥ E 0
d Φ1 E 0 = 0
E0
( )
dΦ ( E ) = 0
d Φ ( E ) = E 2πr dl
: n ′′ ⊥ E 0
− base d
2
− mantello laterale : n E 0
lat
n
0
0
d
0
La legge di Gauss impone che
( )
n
( )
( )
0
0
( )
d Φ tot E 0 = d Φ1 E 0 + d Φ 2 E 0 + d Φ tot E 0
E 0 2 π r dl
14
1
= dq
ε0
[ figura 19 ]
n′′
E0
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1
dq
ε0
1 dq 1
1 λ
=
E0 =
2πε0 dl r 2πε0 r
E 0 2πr dl =
λ
•
Campo elettrostatico generato da una distribuzione superficiale sferica di carica: la distribuzione sia
posizionata su una sfera virtuale di raggio R con densità uniforme σ = dq dS .
− Superficie gaussiana sferica di raggio r < R , concentrica con la
distribuzione. Si consideri un cono di flusso di apertura d Ω e
con origine la carica, che intercetta la sfera secondo una calotta
di superficie dS (con la normale n diretta radialmente).
n
n
Applicando la legge di Gauss si ha [figura 20]
O
d Φ E 0 = E 0 • n dS = E 0 dS
( )
fra loro
ma internamente alla distribuzione non esistono cariche, quindi
E0 = 0
[ figura 20 ]
− Superficie gaussiana di raggio r > R , concentrica con la
distribuzione.
Si consideri un cono di flusso di apertura dΩ e origine la carica, che intercetta tale superficie chiusa
secondo una calotta di superficie dS (non la normale n diretta radialmente). Applicando la legge di
Gauss si ha
d Φ E 0 = E 0 • n dS = E 0 dS
( )
// fra loro
( )
Φ E 0 = ∫∫ E 0 dS = E 0 4πr 2 =
S
1
q
ε0
q
σ R2
=
4π r 2 ε 0 ε 0 r 2
Tale risultato indica chiaramente che il campo elettrostatico è non
nullo semplicemente al di fuori della distribuzione (fra l’interno e
l’esterno della distribuzione esiste una discontinuità pari a σ ε 0 ).
− Sulla distribuzione il potenziale elettrostatico vale
1 q
V (R ) =
4πε0 R
− La differenza di potenziale fra il centro della distribuzione ed un
punto della distribuzione vale
E0 ( r ) =
E0 ( r )
R
0
interni alla distribuzione hanno lo stesso potenziale elettrostatico
pari a V ( R )
− A distanza r > R dalla distribuzione, il potenziale elettrostatico
vale
1 q
1 σ 4πR 2 σ R 2
V (r) =
=
=
4πε0 r 4πε0
r
ε0 r
La rappresentazione grafica sia di E 0 ( r ) sia di V ( r ) è in [figura 21]
15
∼
1
r2
∼
1
r
R
VO − V ( R ) = ∫ E 0 • dr = 0
in quanto E 0 = 0 . Ciò implica che VO = V ( R ) , ossia tutti i punti
[ figura 21]
σ
ε0
σ
R
ε0
V (r)
R
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•
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Campo elettrostatico generato da una distribuzione volumica sferica omogenea: il raggio della
distribuzione sia R con densità uniforme
q
ρ=
4
πR 3
3
− Superficie sferica gaussiana di raggio r < R e concentrica con la
distribuzione (superficie 4π r 2 ) [figura 22]. A causa della
simmetria, il campo elettrostatico risulta radiale e applicando la
legge di Gauss si ottiene
q
Φ E 0 = E 0 • n S = E 0 2πr 2 = interna
ε0
// fra loro
( )
da cui
1 q interna
4πε 0 r 2
La carica interna “netta”, racchiusa nella superficie sferica
gaussiana, si ricava tenendo presente che la densità volumica è
4
uniforme e q interna = ρ πr 3 . Sostituendo nella (17) si ha
3
ρ
E0 =
rn
3ε 0
(17)
E0 =
[ figura 22 ]
− Superficie gaussiana di raggio r > R , concentrica con la distribuzione, di valore 4πr 2 [figura 22]. A
causa della simmetria, il campo elettrostatico risulta radiale e applicando la legge di Gauss si ottiene
q
Φ E 0 = E 0 • n S = E 0 2πr 2 = interna
ε0
// fra loro
( )
da cui
1 q
4πε 0 r 2
La carica complessiva racchiusa nella superficie gaussiana
sferica è tutta la carica della distribuzione
1 1 4 3
ρ πR
E0 =
4πε 0 r 2 3
ossia
ρ R3
E0 =
n
3ε0 r 2
(17)’
E0
E0 =
Sulla superficie della distribuzione il campo elettrostatico vale E 0 =
•
è data in [figura 23].
Campo elettrostatico generato da una distribuzione piana
uniforme: per evitare una discontinuità dell’andamento delle linee
del campo (dove il campo è uniforme, le linee sono parallele; dove
il campo è nullo, non esistono linee), si consideri la distribuzione
indefinita di densità σ = dq dS = cost . La superficie gaussiana per
l’applicazione della legge di Gauss sia un cilindro di altezza
infinitesima dh e con superfici di base pari a dS posizionate dalle
due bande della distribuzione [figura 24].
16
[ figura 23]
ρ
R
3ε 0
∼
1
r2
R
ρ
R n e la rappresentazione di E 0
3ε0
n′
dS
dS
E0
n
n
E0
[ figura 24 ]
n′
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Il flusso complessivo vale
( )
( )
( )
d Φ E 0 = 2 d Φ basi E 0 + d Φ lat E 0 = 2E 0 dS =
n ′⊥ E0
n / / E0
1
dq
ε0
da cui si ricava
E0 =
•
1 dq
1
σn
n=
2ε 0 dS
2ε0
(relazione nota come teorema di Coulomb).
Campo elettrostatico generato da una doppia distribuzione piana di segno opposto: le due distribuzioni
piane e indefinite siano ± σ , posizionate a distanza d 0 l’una dall’altra [figura 25].
Utilizzando la precedente relazione e osservando che il
campo complessivo vale E 0 = E + + E − , con E + = E − = σ 2ε0
E−
E−
e le linee del campo parallele e orientate in verso opposto, si
deduce che il campo E 0 risulta avere un valore non nullo
E0
semplicemente nello spazio compreso fra le due distribuzioni.
In tale spazio l campo è uniforme, con le linee di campo tutte
E+
E+
parallele fra loro e orientate dalla distribuzione positiva a
quella negativa
σ
σ
[ figura 25]
E0 = 2
n= n
ε0
2ε 0
La differenza di potenziale elettrostatico fra due punti posti (a distanza d 0 fra loro) in un campo
elettrostatico uniforme vale
V+ − V− = ∫ E 0 • d l = E 0 d 0
d0
0
// fra loro
DISCONTINUITÀ DI UN CAMPO ELETTROSTATICO
Si consideri una generica superficie dielettrica sulla quale vi sia una distribuzione di cariche elettriche con
densità superficiale σ = dq dS . Per analizzare il comportamento del vettore campo elettrostatico E 0 attraverso
la superficie si sfruttano le caratteristiche correlate alla circuitazione ed alla legge di Gauss. Nella parte di
spazio c il campo elettrostatico sia E10 = E10t + E10t , nella parte di spazio d sia E 20 = E 20t + E 20t .
•
Circuitazione: si consideri una linea chiusa orientata ABCDA, con AB = CD paralleli alla superficie e
BC = DA (lunghezza infinitesima) e normali alla superficie
[figura 26]. Il contributo correlato ai due tratti infinitesimi
risulta trascurabile, quindi
B
C
D
A
A
B
C
D
∫ E0 • dl = ∫ E0 • dl + ∫ E0 • dl + ∫ E0 • dl + ∫ E 0 • dl = 0
∫E
0
• dl =
∫
B
A
trascurabile
D
E 20 • d l + ∫ E10 • d l = ∫
C
B
A
(E
trascurabile
20t
)
− E10t dl = 0
essendo AB = CD , l’integrando deve soddisfare
E10t = E20t
•
E 20
d A
E 01t
B
σ
c
C
D
E 20
E 01
[ figura 26 ]
Le componenti tangenziali del campo elettrostatico si conservano
attraverso ad una superficie dielettrica.
Legge di Gauss: si consideri un punto della distribuzione, contenuto in un intorno circolare di superficie dS .
Calcolando il flusso attraverso alla superficie gaussiana cilindrica, di altezza infinitesima dh e basi
17
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dS (una in ogni semispazio della distribuzione) si ha [figura 27]
( )
( )
( )
( )
E 20n
d Φ E 0 = d Φ base E 0 + d Φ base E 0 + d Φ lat E 0 =
trascurabile
= E10 in dS + E 0 in dS
( )
d Φ E 0 = E 20n dS − E10n dS =
E 20n − E10n
E 20
d
σ
dq
ε0
c
1 dq
=
ε 0 dS
E 01
E 01n
[ figura 26 ]
ossia
E20n − E10n =
1
σ
ε0
Le componenti normali del campo elettrostatico presentano una discontinuità pari a σ ε 0 attraverso ad una
superficie dielettrica.
CONDUTTORI IN EQUILIBRIO
I conduttori sono materiali per i quali si verifica condizione di possedere cariche libere che si muovono. Nei
conduttori metallici le cariche libere sono gli elettroni degli strati periferici degli atomi che presentano
compartecipazione elettronica. Tali elettroni (gas di elettroni), scarsamente legati ai nuclei, presentano la
caratteristica di muoversi a causa dell’agitazione termica, senza che vi sia qualche direzione preferenziale di
moto (distribuzione isotropa delle velocità termiche). Applicando un campo elettrico esterno, su detti elettroni
agiscono forze del tipo F = − eE che determinano un moto ordinato con una definita velocità, detta velocità di
deriva: il moto ordinato definisce una corrente elettrica. In condizione di equilibrio elettrostatico (cariche
ferme) il campo elettrostatico internamente al conduttore è nullo: il campo è solenoidale. In vicinanza dei
nuclei, i campi elettrici sono molto intensi.
• Caratteristiche elettriche di un conduttore elettrizzato in equilibrio:
internamente il campo elettrostatico è nullo, quindi il flusso
complessivo attraverso ad una superficie localizzata in prossimità
della superficie del conduttore è nullo. Se all’interno vi fosse un
( E0 = 0)
eccesso di cariche, esse tenderebbero o ad annullarsi (quando il
segno fosse differente) o ad allontanarsi il più possibile (quando il
segno fosse uguale) localizzandosi sulla superficie del conduttore
A
con una densità σ = dq dS [figura 27]
− Differenza di potenziale fra due punti A e B interni al conduttore:
per definizione
B
B
VA − VB = ∫ E 0 • dl = 0
VA = VB
A
nullo
− Differenza di potenziale fra il punto B interno al conduttore ed il
punto C sulla superficie: per definizione
C
VB − VC = ∫ E 0 • dl = 0
B
VB = VC
C
( )
Φ E0 = 0
[ figura 27 ]
nullo
Internamente ad un conduttore elettrizzato in equilibrio, il campo elettrostatico è nullo. Tuttavia il
potenziale elettrostatico in ogni punto interno è costante ed uguale a quello della superficie, la quale
risulta essere equipotenziale.
− Esternamente al conduttore il campo elettrostatico viene determinato o facendo riferimento alla
discontinuità della componente normale del campo o applicando la legge di Gauss attraverso ad una
superficie cilindrica con una base internamente ed una esternamente alla superficie elettrizzata.
18
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Il flusso attraverso il mantello laterale è nullo, il flusso attraverso la
base interna è nullo in quanto il campo è nullo. L’unico flusso
avviene attraverso la superficie di base esterna [figura 28]
dq
d Φ E 0 = E 0 in dS = E 0 dS =
ε0
1 dq 1
E0 =
= σ
ε0 dS ε0
La direzione è quella della normale alla superficie: infatti essendo in
condizione di staticità, la generica carica superficiale non deve essere
sottoposta ad alcuna forza che ne determini o lo spostamento o il
distacco da essa. Se il campo elettrostatico fosse del tipo
E 0 = E 0t + E 0 n , la componente tangenziale del campo tenderebbe a
spostare la carica Ft = qE 0t = qE 0 cos θ = mq a . Essendo la carica in
[ figura 28 ]
( )
E0
n
( E0 = 0)
n
E0
q
θ
E 0t
equilibrio, deve essere v = 0 ossia a = 0 : per cui anche E 0t = 0 .
Essendo la carica ferma sulla superficie, l’unica direzione che può assumere il campo è quello della
normale alla superficie
1
E0 = σ n
ε0
Se le cariche della distribuzione superficiale fossero positive, il campo risulterebbe orientato verso
l’esterno; se fossero negative, l’orientamento del campo risulterebbe orientato verso il conduttore.
− Si considerino due superfici sferiche elettrizzate in equilibrio, poste a distanza fra loro in modo da non
interagire reciprocamente. Le due densità superficiali sono uniformi, collegando le sfere con un
conduttore filiforme, si stabilisce uno stesso potenziale elettrostatico
prima
( R1 , σ1 )
( R 2 , σ2 )
q1
σ1 4πR12
V1 = k
=k
= 4πR1k σ1
R1
R1
q2
σ2 4πR 22
V2 = k
=k
= 4πR 2 k σ 2
R2
R2
dopo
V1 = V2
4πR1k σ1 = 4πR 2 k σ2
σ1 R 2
=
σ 2 R1
La densità superficiale è inversamente proporzionale al raggio di curvatura della superficie sulla quale è
distribuita: le cariche tendono ad addensarsi sulle superfici con un piccolo raggio di curvatura ed il
campo elettrostatico E 0 ( r ) raggiunge valori molto alti in prossimità di tali superfici. Quando la densità
•
superficiale raggiunge valori critici, le cariche si respingono violentemente e vengono espulse nello
spazio circostante. Quando il fenomeno avviene nell’aria, le cariche espulse urtano le molecole e
determinano una ionizzazione dell’ambiente. Ne deriva una luminosità a causa dell’intercambio di
energia legato ai fenomeni chimico/fisici connessi agli urti (effetto corona). Il processo è reversibile:
attraverso ad un volume di aria fortemente ionizzata, possono avvenire scariche determinate da un moto
a valanga di cariche elettriche (come quelle di un fulmine) verso la superficie conduttrice con un
piccolo raggio di curvatura (rispetto alle superfici di altri conduttori presenti). Su tale fatto si basa il
principio di funzionamento del parafulmine.
Induzione elettrostatica: è un fenomeno statico, Si avvicini un conduttore non elettrizzato A ad uno
elettrizzato B, il cui campo elettrostatico determina una rilocalizzazione delle cariche libere possedute da A.
Tale rilocalizzazione impone un accumulo di cariche negative (densità − σ ) e di cariche positive (densità
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+ σ ) sulla superficie di A (la distribuzione negativa è dovuta ad un
eccesso di elettroni, quella positiva ad una carenza di elettroni in
quanto i protoni sono strettamente impacchettati nei nuclei). Sulla
superficie di A, prossima al conduttore elettrizzato, si ha una
distribuzione di cariche di segno opposto a quella su B che ha
scatenato l’effetto. Durante la rilocalizzazione delle cariche,
all’interno di A si determina una campo elettrostatico E′ orientato
dalla distribuzione positiva a quella negativa (opposto a E 0 ). Nel
( E0 = 0)
tempo t = d c , con d la dimensione tipica del conduttore A e c la
velocità della luce nel vuoto, si raggiunge un equilibrio
elettrostatico ( E′ = − E 0 ) e il fenomeno della rilocalizzazione delle
cariche cessa su A [figura 29]. Questo conduttore, pur avendo
+σ
complessivamente un numero di cariche pari a zero, risulta alla
[ figura 29 ]
−σ
fine possedere due distribuzioni separate di cariche identiche e di
segno opposto.
La nuova condizione di equilibrio e ben definita in accordo a quanto previsto dall’equazione di Poisson.
In un conduttore isolato ed in equilibrio, la distribuzione superficiale di carica è tale da rendere
equipotenziale la sua superficie. Sperimentalmente esiste una proporzionalità fra carica q e densità
superficiale σ
q = ∫∫ σ ( x, y, z ) dS
S
V ( x′, y′, z′ ) =
•
1
4πε0
∫∫
S
σ ( x, y, z ) dS
( x − x′) + ( y − y′) + ( z − z′)
2
2
2
Capacità di un conduttore: si definisce capacità di un conduttore il rapporto fra il valore della carica
distribuita sulla sua superficie ed i potenziale della distribuzione
q
C=
V
e la sua unità di misura vale
1C
ossia {1 farad}
{C} = ⎧⎨ ⎫⎬ = {1F}
⎩1V ⎭
La capacità è una caratteristica della geometria del conduttore e non dipende dalla sua fisica. Per una sfera
conduttrice di raggio r, elettrizzata con una carica q (densità σ = q 4πr 2 uniforme), la capacità vale
q
q
= 4 πε 0 r
C= =
1 q
V
4πε0 r
e affinché la sua capacità C fosse pari ad {1 farad} , il sua raggio sarebbe dell’ordine di grandezza quello
•
terrestre. Nell’uso pratico, si usano i sottomultipli 1μF = 10− 6 F , 1nF = 10− 9 F , 1pF = 10−12 F .
Conduttore cavo ed isolato: il campo elettrostatico è nullo in tutti i punti interni al conduttore
− Nessuna carica all’interno della cavità: il flusso
attraverso ad una generica superficie gaussiana
interna al conduttore risulta nullo. Per assurdo si
ammetta che nel punto A della superficie della
B
A
cavità vi sia una distribuzione + σ di carica e nel
punto B una distribuzione − σ . La circuitazione di
E 0 lungo una linea qualsiasi che unisca A con B e
ricongiunga B con A vale [figura 30]
20
[ figura 30 ]
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B
A
A
B
∫ E0 • dl = ∫ E 0 • dl + ∫ E0 • d l = 0
c
d
perché il campo elettrostatico è conservativo. Ora, i singoli integrali hanno valore
c : VA − VB ≠ 0
d : 0 (in quanto il campo è nullo per definizione)
Il risultato c è però privo di significato perché non vi sono cariche, quindi deve essere VA − VB = 0 .
− Cariche sulla superficie esterna: sia all’interno del conduttore sia entro la cavità non vi sono cariche.
La differenza di potenziale fra un punto A della
superficie della cavità ed un punto C della superficie
esterna vale [figura 31]
C
A
VA − VC = E 0 • dl = 0
( VA = VC )
∫
A
Tale risultato impone che il potenziale elettrostatico
in tutti i punti interni e della superficie del
conduttore abbiano lo stesso valore.
[ figura 31]
C
Il flusso attraverso ad una generica superficie
gaussiana interna al conduttore è sempre nullo.
− Conduttore elettrizzato nella cavità di un conduttore non elettrizzato: la elettrizzazione del conduttore
A è dovuta alla distribuzione + σ . A causa dell’induzione elettrostatica, sulla parete della cavità del
conduttore B compare la distribuzione − σ e sulla superficie esterna la distribuzione + σ . Applicando la
( )
legge di Gauss per una superficie chiusa, interna al conduttore B, si ricava un flusso Φ B E 0 nullo in
quanto la distribuzione − σ (sulla cavità) e + σ (sul conduttore A) si annullano [figura 32]
Attenzione: tutte le linee di campo uscenti da A
finiscono sulla cavità di B in quanto vi è induzione
completa.
Il valore del campo elettrostatico è unicamente
differente da zero sia all’interno della cavità sia
all’esterno del conduttore B e si noti che
− variando la distribuzione + σ del conduttore B,
il campo generato dalla distribuzione sul
conduttore A NON varia in quanto
A
ΦB E0 = 0 ,
B
( )
− variando la distribuzione + σ del conduttore A,
il campo generato dalla distribuzione esterna
del conduttore B NON varia in quanto
ΦB E0 = 0 ,
( )
− ponendo a contatto il conduttore A con la
parete della cavità, le due distribuzioni si
annullano ed il campo all’esterno del
conduttore B NON varia in quanto Φ i E 0 = 0 .
( )
( )
ΦB E0 = 0
[ figura 31]
La cavità funge da schermo elettrostatico, tuttavia non è detto che il conduttore schermante debba essere
massiccio. Potrebbe essere traforato, però ponendosi ad una distanza maggiore della dimensione della
traforatura le discontinuità non sarebbero avvertite. Un conduttore che funga da schermo elettrostatico
è detto gabbia di Faraday. Un conduttore che fosse in grado di subire grandi trasferimenti di cariche,
senza subire apprezzabili variazioni di potenziale, possiede una grande capacità.
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CONDENSATORI
Dispositivo statico costituito da due conduttori affacciati fra i quali esista una induzione completa. I due
conduttori sono detti armature del condensatore e su di esse sono localizzate le cariche secondo due
distribuzioni superficiali identiche, ma di segno opposto ± σ . Le linee di campo escono dalla distribuzione
positiva e terminano su quella negativa.
• Capacità di un condensatore: è definita come il rapporto fra la quantità di
ΔV
carica (in valore assoluto) su una delle armature e la d.d.p. fra le armature
stesse
q
C=
−
ΔV
+
ed anche in questo caso l’unità di misura è il farad, la capacità è una
caratteristica che dipende dalla geometria del sistema e dal mezzo
( C ) [ figura 32 ]
interposto fra le armature. La rappresentazione grafica di un condensatore è
data in [figura 32]
− Uso del condensatore: è un dispositivo che permette di produrre un intenso campo elettrico in un
volume di spazio relativamente limitato fra le sue armature. L’energia spesa per caricare il
condensatore, generando il campo elettrico, viene accumulata fra le armature.
− Tipi di condensatori
a) condensatore piano: le due armature sono superfici piane e parallele con dimensioni preponderanti
rispetto alla loro distanza. In tale condizione ( S → ∞ ) si verifica lo stato di induzione completa;
b) condensatore cilindrico: le armature sono due conduttori cilindrici e coassiali con uno sviluppo
assiale preponderante rispetto alla distanza. In tale condizione ( l → ∞ ) si verifica lo stato di
induzione completa;
c) condensatore sferico: le armature sono conduttori sferici e concentrici.
− Effetto di bordo: il campo elettrostatico fra le armature risulta
B
A
uniforme unicamente nelle due tipologie a) e b). quando le
dimensioni delle armature sono finite, le linee di campo ai
C
D
bordi non possono bruscamente interrompersi ai bordi delle
armature presentando una discontinuità. Si consideri per
semplicità un condensatore piano [figura 33] ed una linea
E0 ≠ 0
E0 ≠ 0
chiusa ABCDA (con AB = CD e AB fuori dal bordo;
BC = DA infinitesimi). La circuitazione del campo
−σ
+σ
elettrostatico è definita da
B
C
D
A
[ figura 33]
E • dl = E • d l + E • dl + E • dl + E • d l = 0
∫
∫
A
0
esterno
•
∫
B
0
trascurabile
∫
C
0
∫
interno
D
0
trascurabile
Il primo integrale vale VA − VB = 0 in quanto il campo è nullo, il terzo integrale vale VC − VD ≠ 0 che
risulta essere in contraddizione con la definizione di conservatività del campo elettrostatico. La
discontinuità risulterebbe inesistente se, in una regione delle dimensioni pari alla distanza fra le
armature, si ammettesse che il valore del campo fosse fortemente decrescente. In tale ipotesi, le linee di
campo risulterebbero avere un andamento lenticolare.
Capacità di un condensatore piano: sia d la distanza fra le armature ed S la loro superficie. Trascurando
l’effetto di bordo, il campo elettrostatico fra le armature è uniforme e la loro d.d.p. vale
d
σ
ΔV = ∫0 E 0 • dl = E 0d = d
ε0
Utilizzando la relazione della capacità si ricava C = q ΔV = ε0 σS σd , ossia
S
C = ε0
d
22
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•
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Capacità di un condensatore cilindrico: le due armature coassiali
abbiano raggi R1 < R 2 e lunghezza d >> ( R 1 , R 2 ) . Il campo
elettrostatico ha simmetria radiale e considerando una superficie
gaussiana coassiale di raggio R1 < r < R 2 , il flusso di E 0 è differente
da zero solamente attraverso al mantello laterale [figura 34]
1
Φ E 0 = E 0 2πrd = q
ε0
1 q1
ossia E 0 =
2πε0 d r
La d.d.p. fra le armature è definita da
R2
1 q R2 1
1 q R2
dr =
ln
ΔV = ∫ R E 0 • d l =
∫
1
2πε0 d R1 r
2πε0 d R1
dr
E0
E0
( )
R1
R2
r
[ figura 34 ]
//
E sostituendo nella relazione della capacità si ottiene
C = 2πε 0
•
d
R
ln 2
R1
Capacità di un condensatore sferico: le due armature siano sferiche e
concentriche di raggi R1 < R 2 . Il campo elettrostatico ha simmetria
radiale e considerando una superficie gaussiana coassiale di raggio
R1 < r < R 2 , il flusso di E 0 vale [figura 35]
1
Φ E 0 = E 0 4πr 2 = q
ε0
1 q
ossia E 0 =
2πε 0 r 2
La d.d.p. fra le armature è definita da
R2
1 q R 2 dr
1 q⎛ 1
1 ⎞
=
−
ΔV = ∫ R E 0 • dl =
⎜
⎟
2
∫
R
1
2πε0 d 1 r
2πε0 d ⎝ R1 R 2 ⎠
dr
( )
E0
E0
R1
r
R2
[ figura 35]
//
E sostituendo nella relazione della capacità si ottiene
R1R 2
C = 4πε 0
R 2 − R1
•
Condensatori collegati in parallelo: tutti i condensatori del sistema hanno la stessa d.d.p. fra le armature,
mentre la carica localizzata sulle armature è tale da soddisfare la conservazione della stessa
Q = q1 + q 2 + q 3 + + q n
C1
q
q
q
C1 = 1
C2 = 2
C3 = 3
ΔV
ΔV
ΔV
Il sistema di tre condensatori, collegati in parallelo fra loro, è
Ceq
rappresentata in [figura 36] ed è possibili sostituire ad esso un
C2
condensatore equivalente di capacità Ceq (esprimibile con le singole
capacità) ai cui capi si abbia la stessa d.d.p. ΔV
q + q + q3
q
q
q
Q
Ceq =
= 1 2
= 1 + 2 + 3
ΔV
ΔV
ΔV ΔV ΔV
ossia
Ceq = C1 + C2 + C3
23
C3
ΔV
ΔV
[ figura 36 ]
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La capacità equivalente di un sistema di condensatori collegati in parallelo fra loro è uguale alla somma
delle capacità dei singoli condensatori.
Ceq = ∑ Ck
k
•
Condensatori collegati in serie: applicando una d.d.p. ai capi delle
armature, si determina una rilocalizzazione delle cariche su di esse.
Per la armature in collegamento fra loro, la carica complessiva è
nulla e ciò implica che tutte le armature possiedono la stessa quantità
di carica [figura 37]. Le capacità sono
q
q
q
C1 =
C2 = 2
C3 =
ΔV1
ΔV2
ΔV3
La d.d.p. complessiva è pari alla somma delle singole d.d.p.
ΔVtot = ΔV1 + ΔV2 + ΔV3
e pensando di sostituire al sistema un condensatore di capacità Ceq
C1
C2
ΔV1 ΔV2 ΔV3
ΔVtot
Ceq
C3
ΔVtot
[ figura 37 ]
con la d.d.p. ΔVtot ai capi delle armature, si ottiene
Q
Q
Ceq =
=
ΔVtot ΔV1 + ΔV2 + ΔV3
ossia
ΔV1 + ΔV2 + ΔV3 1 1 1
1
+
=
=
+
Ceq
Q
C1 C2 C3
L’inverso della capacità equivalente di un sistema di condensatori collegati in serie fra loro è uguale alla
somma dell’inverso della capacità dei singoli condensatori.
1
1
=∑
Ceq
k Ck
In una simile configurazione la carica sulle armature dei singoli condensatori è la stessa, la d.d.p.
complessiva è la somma delle singole d.d.p. e la capacità equivalente è minore delle singole capacità.
ENERGIA DEL CAMPO ELETTROSTATICO
Caricare un condensatore (rilocalizzando le cariche sulle armature) significa applicare una d.d.p. fra le armature
che genera un campo elettrostatico nello spazio compreso fra di esse. Il lavoro compiuto determina una
separazione di cariche sulle armature ed essendo il campo elettrostatico conservativo, tale lavoro risulta
indipendente dalle modalità con le quali è stato compiuto (essendo funzione esclusivamente dello stato iniziale
e finale di carica). Si definisce energia potenziale elettrostatica il lavoro speso per costituire un sistema di
cariche elettriche, partendo da componenti posti ad una distanza fra loro tale da non interagire. Il lavoro
speso per caricare un condensatore è compiuto da un ente detto generatore, che trasforma energia chimica in
energia elettrica. Detta energia è immagazzinata nello spazio fra le armature (dove esiste il campo
elettrostatico) sotto forma di energia potenziale. Cortocircuitando le armature di un condensatore, tramite un
qualche conduttore, è possibile utilizzare la energia immagazzinata. Nell’ipotesi di trasferire la carica dq dalla
armatura negativa a quella positiva di un condensatore sotto l’azione del generatore, la d.d.p. fra le armature
varia nel tempo (in quanto varia nel tempo anche l’entità delle cariche sulle armature). Il lavoro speso per il
trasferimento vale
q
1
dL = − dq Δ V ( t ) = − dq = − qdq
C
C
essendo C la capacità del condensatore. Il lavoro complessivo è dato dall’integrale fra il valore iniziale q i = 0
(al tempo t = 0 ) ed il valore finale q f = Q (al tempo t, a carica avvenuta)
24
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1 Q
1 Q2
1
1
2
q
dq
=
−
= − QΔV = − C ( ΔV )
∫
0
C
2 C
2
2
Essendo le forze in gioco conservative in quanto il campo elettrostatico è conservativo, il lavoro è uguale alla
differenza che una funzione scalare (detta energia potenziale elettrostatica) assume allo stato iniziale ( U i = 0 )
ed allo stato finale ( U f ≠ 0 )
L=−
L=−
1 Q2
1
1
2
= − QΔV = − C ( ΔV ) = U i − U f
2 C
2
2
≡U
e
Ricordando che il segno meno indica un lavoro fornito al sistema, si ottiene che
1 Q2 1
1
2
Ue =
= QΔ V = C ( Δ V )
2 C 2
2
− Un conduttore elettrizzato in equilibrio è equivalente ad un condensatore con una delle armature
all’infinito.
− L’energia potenziale elettrostatica complessiva non è altro che la somma delle energie potenziali
elettrostatiche relative alle singole cariche.
DENSITÀ DI ENERGIA ELETTROSTATICA
Il valore dell’energia potenziale elettrostatica U e per un condensatore è stata ricavata nel precedente paragrafo
e se il condensatore è piano, sostituendo la relazione della sua capacità, si ricava
1 S
1 S
1
2
2
U e = ε 0 ( ΔV ) = ε0 ( E 0 d ) = ε 0 E 02 W
2 d
2 d
2
Sd
C
e riferendo l’energia potenziale elettrostatica al volume W si ricava la densità di energia potenziale
elettrostatica per unità di volume u e = U e W
1
ue = ε 0 E02
2
Attenzione: tale relazione ha una validità assolutamente generale in quanto se in un volume W di spazio fosse
presente una campo E 0 , la densità di energia potenziale elettrostatica per unità di volume in ogni suo punto
varrebbe proprio u e = ε 0 E 02 2 .
PROBLEMA FONDAMENTALE DELL’ELETTROSTATICA
L’equazione di Laplace
∂2V ∂2V ∂2V
2
∇ V= 2 + 2 + 2 =0
∂x
∂y
∂z
definisce le proprietà dello spazio vuoto e cioè
divE 0 = 0
( campo solenoidale )
rotE 0 = 0
•
( campo irrotazionale )
Problema del DIRICHLET:
− l’equazione di Laplace con la condizione
E 0 = 0 definisce le caratteristiche di un
conduttore isoalto in equilibrio.
⎧
⎫
⎪
⎪
⎪funzione f ⎪
⎪⎪
⎪⎪
∂f
⎨
⎬ ⇒
r
∂
⎪
⎪
2
⎪ ∂ f
⎪
⎪
⎪
2
⎪⎩ ∂ r
⎪⎭
25
S
( WS )
funzione
{armonica
}
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− L’integrale generale della equazione di Laplace è definito da funzioni armoniche che godono di precise
proprietà analitiche.
− Il teorema di unicità definisce che una funzione armonica risulta univocamente definita in un dominio,
che racchiude il volume WS, se sono assegnati i valori della funzione, delle sue derivate prime (che
devono essere finite e continue) e delle sue derivate seconde (che devono essere continue) sulla
superficie S del dominio.
− Se una funzione armonica assume un valore costante sulla
superficie S di un dominio, essa assumerà l’identico valore in
tutti i punti interni del dominio (come nel caso del potenziale
elettrostatico all’interno di un conduttore dove E 0 = 0 ).
− Un dominio può essere finito (a) o infinito (b): in ogni caso la
definizione per una funzione armonica è identica
− Conoscendo il valore di una funzione armonica, delle sue
derivate prime e seconde sulla superficie S di un dominio è
(a )
(b)
possibile definire la funzione armonica nello spazio esterno al
dominio (ammettendo una andamento asintotico).
Se ad esempio la funzione armonica fosse V ( r ) , nel caso di un conduttore si ha
V (∞) ∼
1
r
∂V (∞)
1
∼− 2
∂r
r
potenziale elettrostatico esterno
campo elettrostatico esterno
CONDENSATORI CON DIELETTRICO
Si ricorda che un conduttore possiede cariche libere di muoversi secondo traiettorie casuali e che tali cariche
libere, sotto l’azione di un campo elettrico, si muovono con una ben precisa velocità (detta velocità di deriva)
lungo direzioni concordi con la direzione del campo. Quando si elettrizza un conduttore in equilibrio, le cariche
libere si distribuiscono sulla superficie con una densità superficiale σ = dq dS generando un campo
elettrostatico normale alla superficie e di valore (in punti prossimi alla sua superficie)
σ
(18)
E0 = n
ε0
Internamente al conduttore il campo elettrostatico è nullo, mentre il potenziale elettrostatico ha identico valore
in tutti i punti interni e sulla superficie.
Si consideri un condensatore piano (tuttavia il ragionamento illustrato in seguito vale per qualsiasi tipo di
condensatore) fra le cui armature vi sia il vuoto. Trascurando l’effetto di bordo, internamente il campo
elettrostatico è dato da (18), risultando uniforme (le linee di campo sono parallele fra loro), che determina una
distribuzione superficiale ± σ0 di cariche sulle armature. La d.d.p. fra le armature vale ΔV0 = E 0 d e la capacità
è data da
S
C = ε0
(19)
d
− Introducendo una lastra conduttrice piana di spessore s fra le
armature, senza che venga a contatto con una di esse, a causa della
[ figura 38 ]
induzione elettrostatica, sulla superficie della lastra compaiono due
distribuzioni di cariche di segno opposto a quelle presenti sulla
corrispondente armatura affacciata [figura 38]. Attenzione: la +
−
distribuzioni delle cariche negative è imputabile ad un eccesso di
elettroni, quella delle cariche positive ad una carenza di elettroni.
26
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Durante il processo di rilocalizzazione delle cariche sulla superficie della lastra, si genera nel suo
interno un campo elettrostatico E′0 antiparallelo a E 0 . Quando viene raggiunto l’equilibrio elettrostatico
E′0 = −E 0 e all’interno della lastra il campo elettrostatico risulta nullo. Lo spazio nel quale il campo
elettrostatico non è nullo ha dimensione d − s ed il potenziale elettrostatico in tale situazione vale
ΔV = E 0 ( d − s ) < ΔV0 , ossia diminuisce indipendentemente dalla posizione della lastra.
•
− Condensatore con dielettrico: i dielettrici o isolanti, non possedendo cariche libere di muoversi, quindi
non subiscono il fenomeno della induzione (possono essere elettrizzati unicamente per sfregamento).
Ponendo una lastra di materiale dielettrico fra le armature del condensatore, la d.d.p. diminuisce seppur
molto meno rispetto al valore che si avrebbe se la lastra fosse conduttrice, a parità di spessore. La d.d.p.
varia linearmente dal massimo valore ΔV0 (il vuoto fra le armature) al minimo valore ΔVk (il
dielettrico occupa tutto lo spazio fra le armature). Il rapporto ΔV0 ΔVk è sempre maggiore di uno e
Faraday lo chiamò costante dielettrica relativa
ΔV0
ke =
>1
ΔVk
I materiali che soddisfano tale relazione sono detti appunto dielettrici e sulle superfici di un dielettrico, a
contatto con le armature del condensatore, non esistono cariche libere localizzate. La costante dielettrica
relativa non dipende dalla geometria del dielettrico, ma dalle sue caratteristiche microscopiche.
Campo elettrico in un condensatore con dielettrico: il materiale dielettrico occupa tutto lo spazio fra le
armature, che distano d fra loro. Il modulo del campo elettrico è data da
ΔVk 1 ΔV0 1
=
= E0
Ek =
d
ke d
ke
Il valore del campo elettrico, in presenza del dielettrico, è ridotto di un fattore k e rispetto al campo elettrico
con il vuoto. Calcolando la variazione Δ E = E 0 − E k si ottiene
k −1
1
E0 − Ek = E0 − E0 = e
E0
(20)
ke
ke
e si definisce suscettività elettrica di un dielettrico la relazione
χe = k e − 1
Dalla (20) si ricava
k −1
1
1 ke −1
(21)
σ0
Ek = E0 − e
E 0 = σ0 −
ε0
ε0 k e
ke
dimensione
di una
densità
ke −1
σ0 si possa identificare con la densità superficiale di carica localizzata sulle
ke
superfici del dielettrico a contatto con le armature. Tali cariche pur essendo cariche reali sono legate e sono
la risultanza dell’azione del campo elettrico esterno E 0 sulla struttura molecolare del materiale dielettrico
(sono correlate alle sua proprietà microscopiche): tale fenomeno si dice polarizzazione del dielettrico. Si
definisce densità superficiale di carica di polarizzazione la relazione
k −1
σp = e σ0
ke
Riprendendo la (21) si deduce che
1
1
E k = σ0 − σ p
ε0
ε0
ed è lecito ipotizzare che
E0
27
Ep
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Ossia il campo elettrico all’interno di un condensatore con dielettrico si può interpretare come la
sovrapposizione del campo elettrico quando fra le armature c’è il vuoto ed il campo elettrico generato da
una distribuzione superficiale di cariche di polarizzazione (cariche legate), localizzate sulle superfici a
contatto con le armature, cariche di segno opposto a quelle presenti sulle armature [figura 39]
Ek = E 0 + Ep
Sulle armature vi sono cariche libere localizzate con una densità ± σ0 , sulla superficie del dielettrico vi
k −1
sono cariche legate di polarizzazione con una densità ∓ σp = ∓ e σ0 , all’interno del dielettrico vi è un
ke
campo elettrico di polarizzazione.
+
Ek
−
•
+
=
− σp
+ σ0
E0
+
− σ0
Ep
+ σp
−
[ figura 39 ]
Capacità di un condensatore con dielettrico: se il condensatore fosse piano, applicando la definizione di
capacità si ricava
q
q
S
Ck = 0 = k e 0 = k e C0 = k e ε 0
ΔVk
ΔV0
d
Si definisce costante dielettrica assoluta il prodotto della costante dielettrica relativa per la costante
dielettrica del vuoto
ε = k eε0
E si osservi che la capacità di un condensatore con dielettrico è maggiore di quella del medesimo
condensatore che abbia il vuoto fra le armature
S
Ck = ε
d
− Vuoto: particolare “materiale” che è definito con k e = 1 , χe = 0 ed ε = ε0
− Rigidità dielettrica: massimo valore di un campo elettrico, applicato ad un dielettrico, senza che
avvengano scariche al suo interno.
MECCANISMI DI POLARIZZAZIONE
In un conduttore metallico vi sono cariche libere (elettroni) in quanto per ogni
atomo vi sono elettroni non legati liberi di muoversi con una velocità termica e
l’induzione elettrostatica determina la separazione fra le cariche. In un
dielettrico non esistono cariche libere, in quanto gli elettroni sono strettamente
legati ai nuclei e per determinare lo spostamento si deve agire meccanicamente.
− In assenza di un qualsiasi campo esterno, gli elettroni si possono
pensare distribuiti simmetricamente attorno al nucleo in un volume di
spazio dell’ordine di grandezza delle dimensioni atomiche ( ∼ 10−10 m ):
il centro di massa delle cariche negative CM − coincide con il centro di
massa delle cariche positive CM + [figura 40].
( E0 = 0)
CM + ≡ CM −
[ figura 40 ]
− Applicando un campo elettrico esterno E 0 ≠ 0 , si determina la separazione dei due centri di massa delle
28
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cariche elettriche in quanto
CM − : F− = − Ze E 0
nella direzione opposta al campo
CM − : F+ = + Ze E 0
nella direzione del campo
Tale separazione è dell’ordine delle dimensione del nucleo
( ∼ 10−15 m ) e viene raggiunto l’equilibrio quando la forza
elettrostatica attrattiva fra i due centri di massa uguaglia la
forza F± , determinata dall’azione del campo elettrico esterno
E 0 , su di essi. Se la separazione fosse d, i due centri di massa
possedendo la carica ± Ze costituiscono un dipolo elettrico di
momento di dipolo
pa = Ze d
F−
pa
F+
d
[ figura 41]
orientato da CM − a CM + [figura 41]. Tale fenomeno è detto polarizzazione elettronica di un
dielettrico ed il momento di dipolo elettrico ha un significato intrinseco. Per ogni singolo atomo
l’effetto è molto piccolo, ma in un volume unitario si hanno circa 1025 ÷ 1028 atomi per cui l’effetto
complessivo è grande e fisicamente misurabile. Annullando il valore del campo elettrico esterno,
l’effetto scompare.
− Molecole polari: sono molecole poliatomiche, come il biossido
N3−
di carbonio CO 2 , l’acqua H 2 O o l’ammoniaca NH 3 , che
presentano dipoli elettici intrinseci pi e quindi una
separazione tra CM + e CM − . A causa degli urti fra le
H+
H+
molecole, imputabili all’agitazione termica, tali momenti di
dipolo intrinseco sono casualmente orientati: cioè non esiste
H+
una direzione preferenziale di orientamento (la distribuzione
(b)
(a )
risulta isotropa) e quindi il valore medio è nullo < p > = 0
[figura 42a]. Applicando un campo esterno E 0 ≠ 0 , sul
momento di dipolo intrinseco di ogni singola molecola viene
esercitato un momento meccanico M i = pi × E 0 (con un’energia
E0 = 0 < p > ≠ 0
E0 = 0
spesa pari a U i = − pi • E 0 ) che tende ad allinearlo lungo la
direzione del campo. In tale situazione, il valore medio è
differente da zero < p > ≠ 0 anche se l’agitazione termica tende
[ figura 42 ]
a disorientare l’allineamento [figura 42b].
− Polarizzazione per orientamento: internamente ad un dielettrico polare si consideri un punto P,
appartenente ad un suo volume Δ W , contenente un numero Δ N di molecole polari con momento di
dipolo elettrico intrinseco pari a < p > . La risultante di tutti i momenti di dipolo elettrico vale
Δ p = ΔN < p >
e riferendo all’unità di volume
Δ p ΔN
=
< p >= n < p >
ΔW ΔW
con n = Δ N Δ W il numero di molecole polari per unità di volume. Eseguendo il passaggio al limite
Δ W → 0 si ricava il vettore di polarizzazione di un dielettrico definito da
dp
P=
dW
con l’avvertenza che il passaggio al limite è dal punto di vista macroscopico. Microscopicamente,
poiché n ∼ (1025 ÷ 1028 ) , sia < p > sia P sono ben definiti e non soggetti a fluttuazioni statistiche.
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− Dielettrici lineari: sostanze amorfe con isotropia spaziale. Il vettore P (effetto) risulta proporzionale al
campo elettrostatico esterno E (causa) attraverso la relazione
P = ε 0 ( k e − 1) E
(22)
− Cristalli: materiali con anisotropia spaziale. La proporzionalità diretta fra P ed E è verificata
unicamente lungo determinate direzioni preferenziali dette assi principali.
CAMPO ELETTRICO DA DIELETTRICI POLARIZZATI
Un dielettrico polarizzato genera un campo elettrico, anche se le cariche di polarizzazione sono cariche legate ai
nuclei. Tuttavia, non è possibile alcun trasferimento di cariche neppure quando il dielettrico è a diretto contatto
con le armature di un condensatore.
• Polarizzazione uniforme: in tale situazione il vettore di polarizzazione P ha valore costante in tutti i punti
del dielettrico. Le cariche di polarizzazione definiscono unicamente una distribuzione superficiale con
densità ± σp , che risulta correlata al vettore P .
− Dielettrico di forma regolare: si consideri una lastra dielettrica polarizzata di superficie di base dS0 e
spessore dh (il volume vale dW = dh dS0 ). Ricordando che P = d p dW , la risultante di tutti i
momenti di dipolo vale
d p = P dW = Pdh dS0
e scegliendo l’orientamento di dh concorde con quello di P , è possibile riscrivere la relazione
(23)
d p = P dS0 d h
Poiché la polarizzazione implica due distribuzioni di cariche ± q p , distribuite a distanza dh sulle
superfici dS0 , il momento di dipolo elettrico vale d p = q p d h . Confrontando tale relazione con la (23),
risulta evidente che
P dS 0 = dqp
rappresenta la carica di polarizzazione distribuita sulle superfici di base dS0 della lastra dielettrica.
Operativamente: in un sistema neutro di cariche (identico numero di cariche negative e positive) sia il
campo sia il potenziale elettrostatico di dipolo risultano indipendenti dalle reale forma della
distribuzione. Quindi è possibile sostituire alla distribuzione originaria un’altra distribuzione,
opportunamente definita e di facile calcolo, purché i due momenti di dipolo elettrico siano uguali. In
tale condizione, i due effetti risultano identici ed indistinguibili.
L’elemento polarizzato di volume dW può essere
sostituito (come effetto) da un sistema di cariche
( + dq p ; +σp )
± dq p = ± P dS0
dS0
uniformemente distribuite nel vuoto [figura 43] su
due superfici dS0 , a distanza reciproca dh , con
densità superficiale pari a
dh
dh
± σ p = ± dq p dS0 = ± P
Come spiegato, i momenti di dipolo elettrico dei
due sistemi sono uguali.
Per elementi contigui di volume, si noti che le
cariche distribuite sui due lati di ogni superficie di
separazione sono uguali (quindi si compensano) e
solamente sulle superfici esterne non si ha
compensazione a causa della discontinuità.
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dS0
[ figura 43]
( − dq ; − σ )
p
p
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Essendo la distribuzione uniforme, le cariche ± dq p sono distribuite entro uno strato superficiale
dell’ordine delle dimensiono atomiche.
Riassumendo: la lastra polarizzata può essere sostituita, come effetto, da una due distribuzioni piane di
cariche di polarizzazione (densità superficiale ± σp = ± P ) poste ad una distanza pari allo spessore della
lastra. Le cariche di polarizzazione sono cariche legate e risultano localizzate a causa dell’effetto del
campo elettrostatico esterno.
− Dielettrico di forma qualsiasi: il volume del dielettrico lo si
dW
suddivida in elementi infinitesimi dW e si consideri uno di tali
elementi, la cui superficie dS sia parte della superficie del
dW
dielettrico [figura 44]. Nel punto A di tale superficie infinitesima
P
sia distribuita la carica dq p con densità superficiale σ p = dq p dS
dS0 A
n
e ricordando che dq p = P dS0 (attenzione: dS0 è la proiezione
dS
della superficie dS in direzione normale a quella del vettore P )
θ
P dS0 P dScos θ
[ figura 44 ]
σp =
=
= P cos θ
(24)
P
dS
dS
Definendo un versore n , normale alla superficie dS , la relazione (24) assume la forma
σp = P • n
Ossia la densità superficiale di polarizzazione σ p è uguale alla componente normale del vettore di
polarizzazione P nel punto considerato della superficie.
Da quest’ultima relazione si deduce che
− quando 0 ≤ θ < π 2 : la densità σ p è positiva
n
(cariche positive di polarizzazione)
− quando π 2 < θ ≤ π : la densità σ p è negativa
(cariche negative di polarizzazione)
: la densità σ p è nulla
− quando θ = π 2
+ σp
P
[ figura 45]
− σp
n
(nessuna carica di polarizzazione)
nel caso della lastra dielettrica, polarizzata uniformemente) fra le armature del condensatore piano, le
cariche − q p sono distribuite sulla faccia a contatto con l’armatura positiva e quelle + q p sono distribuite
sulla faccia a contatto con l’armatura negativa. Sulle superfici parallele al vettore P non si hanno
cariche di polarizzazione [figura 45]
All’interno del dielettrico polarizzato non ci sono cariche di polarizzazione e sulla superficie del
dielettrico la carica complessiva è nulla
q p = ∫∫ σ p dS = ∫∫ P • ndS = 0
S
S
e applicando il teorema della divergenza
q p = ∫∫ P • ndS = ∫∫∫ div P dW = 0
S
WS
div P = 0
•
Il flusso complessivo del vettore P attraverso a tutta la superficie di un dielettrico uniformemente
polarizzato è nullo ed il vettore di polarizzazione risulta solenoidale.
Polarizzazione non uniforme: il valore del vettore di polarizzazione P non ha lo stesso valore in tutti i
punti del dielettrico. Si considerino due volumi infinitesimi e contigui di dielettrico (volume
dW = dxdydz ) e sulla loro faccia di separazione siano distribuite cariche di polarizzazione con una densità
superficiale [figura 46]. Orientando gli spigoli di dW secondo gli assi del riferimento {x, y, z} , le normali
alla superficie di separazione dSx = dydz (dalle due parti) siano n x ed n′x . Le cariche distribuite siano
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dq px = σpx dSx
σ px = Px • n x
dq′px = σ′px dSx
σ′px = Px′ • n ′x
σp
con n′x = n x . Ricordando che il vettore polarizzazione ha
differenti valori sulle due facce della superficie di separazione,
si ricava
dq px = σpx dSx = Px • n x dydz = + Px dydz
dq′px = σ′px dSx = Px′ • n ′x dydz = − Px′ dydz
∂ Px
dx
∂x
la relazione (25) diventa
Px′ = Px +
Px′ − Px =
→
nx
n ′x
[ figura 46 ]
Sottraendo termine a termine
(25)
dq px − dq′px = ( Px − Px′ ) dydz
σ′p
z
x
y
∂ Px
dx
∂x
∂ Px
∂P
dxdydz = x dW
∂x
∂x
Interpretazione: nel tratto dx la componente Px del vettore polarizzazione non determina alcuna
compensazione di cariche sulla superficie di separazione dSx = dydz , come nel caso di polarizzazione
uniforme,quindi compaiono all’interno del volume di dielettrico cariche di polarizzazione. Per spostamenti
dy e d z , in modo analogo, si ottiene
∂P
∂P
componente y
: dq p y − dq′p y = y dxdydz = y dW
∂y
∂y
∂P
∂P
componente z
: dq pz − dq′pz = z dxdydz = z dW
∂z
∂z
componente x
: dq px − dq′px =
Sommando le tre variazioni si ha
⎛ ∂ P ∂ Py ∂ Pz ⎞
+
dq p = − ⎜ x +
⎟ dW = − div P dW
⎝ ∂x ∂ y ∂z ⎠
e dividendo per il volume
ρp = − div P
In un dielettrico non uniformemente polarizzato compaiono cariche di polarizzazione sia superficiali
σ p = P • n sia volumiche ρp = − div P ed entrambi le distribuzioni contribuiscono, in tutti i punti esterni
al dielettrico, a definire il campo ed il potenziale elettrostatico.
In modo analogo al caso precedente, il numero complessivo delle cariche di polarizzazione è nullo
q p = ∫∫ σp dS + ∫∫∫ ρp dW = 0
S
WS
ossia sostituendo
∫∫ P • ndS − ∫∫∫ div P dW = 0
S
•
WS
che altro non è che il teorema della divergenza.
Calcolo del potenziale elettrostatico in un generico punto A {x, y, z} , esterno ad un dielettrico polarizzato,
in presenza sia di cariche libere sia di cariche di polarizzazione. Il valore del potenziale è la somma di tre
contributi relativi alla distribuzione delle cariche libere, alla distribuzione superficiale ed alla distribuzione
volumica delle cariche di polarizzazione
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Vlib =
1
4πε 0
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ρlib dW
∫∫∫
r1
W′
Vρp =
1
4πε 0
∫∫
S
σp dS
r2
Vρp =
1
4πε 0
∫∫∫
ρp dW
WS
r3
quindi Vtot = Vlib + Vσp + Vρp .
INDUZIONE DIELETTRICA
Ancora una volta è importante sottolineare che il campo elettrostatico generato dalle cariche statiche, anche in
presenza di un dielettrico polarizzato, è sempre conservativo. Infatti, quando fra le armature di un condensatore
piano carico è posto un dielettrico si ha
− sulle armature sono localizzate le cariche libere con una densità superficiale ± σ0 ,
− il dielettrico è polarizzato e sulle facce, a contato con le armature, compaiono cariche di polarizzazione
con densità superficiale ∓ σp = P • n mentre all’interno le cariche di polarizzazione hanno densità
volumica ρp = − div P
Se la distanza fra le armature (spessore del dielettrico) fosse d, la d.d.p. fra le armature avrebbe valore
ΔV = ∫0 E • d l = E 0d
d
indipendentemente dalla scelta della linea che unisce l’armatura positiva a quella negativa. Si avrebbe
•
∫E
0
rot E 0 = 0
• dl = 0
Applicazione della legge di Gauss: si considerino sia cariche libere q 0 sia cariche polarizzate q p
− Superficie gaussiana contenente completamente il dielettrico polarizzato: la superficie gaussiana sia S
con volume WS , il flusso del campo elettrico attraverso alla superficie vale [figura 47]
1
Φ E = ∫∫ E • ndS = ( q 0 + q p )
ε0
S
q0
Applicando il teorema della divergenza e considerando che le
cariche libere sono contenute entro il volume WS con densità
volumica ρ0 e che le cariche di polarizzazione, nel medesimo
qp
volume, hanno densità volumica ρp = − div P
S
( )
ε0 ∫∫∫ div E dW = ∫∫∫ ρ0 dW − ∫∫∫ div P dW
WS
WS
ossia
(
)
∫∫∫ div ε0 E + P dW = ∫∫∫ ρ0dW
WS
( WS )
WS
[ figura 47 ]
WS
Si definisce vettore induzione dielettrica la relazione
D = ε 0E + P
(26)
Il dominio di integrazione è lo stesso per i due integrali che devono essere uguali, quindi uguagliando
gli integrandi si ricava
divD = ρ0
∫ D • ndS = q0
Si presti attenzione che le cariche sono solamente quelle libere, perché quelle di polarizzazione
esprimono il loro contributo attraverso la definizione del vettore induzione D .
− Superficie gaussiana intersecante un dielettrico polarizzato: per comodità di calcolo si considerino
S la superficie gaussiana di volume WS ,
S1 la superficie del dielettrico racchiusa dalla superficie gaussiana S,
S2 la superficie di intersezione fra il dielettrico e la superficie gaussiana S,
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W12 il volume racchiuso fra le superfici S1 ed S2 .
La legge di Gauss impone che sia [figura 48]
1
Φ E = ∫∫ E • ndS =
q 0 + q σ p + q ρp
ε0
S
con
q σp = ∫∫ σp dS = ∫∫ P • n dS
(
( )
S1
)
S2
(q )
( q0 )
S
p
S1
S1
⎡
⎤
⎢
⎥
q ρp = ∫∫∫ ρp dW = − ∫∫∫ div PdW = − ⎢ ∫∫ P • n dS + ∫∫ P • n dS⎥
⎢ S1
⎥
W12
W12
S2
⎢⎣ entrante
⎥⎦
uscente
Sostituendo si ricava
q
1
(27)
Φ E = ∫∫ E • ndS = 0 − ∫∫ P • n dS
ε0 ε0 S2
S
[ figura 48 ]
( )
e notando che nel volume di spazio fra la superficie gaussiana e le superficie S1 non vi sono cariche di
polarizzazione volumiche, è sensato considerare la superficie di integrazione S anziché S2 . La (27)
risulta
∫∫ ε0 E • ndS = q 0 − ∫∫ P • ndS
S
∫∫ ( ε E + P ) • ndS = q
0
S
0
S
∫∫ D • ndS = q
0
S
Attenzione: il flusso del vettore induzione dielettrica D , attraverso ad una qualsiasi superficie
gaussiana che conglobi (totalmente o parzialmente) un dielettrico polarizzato, dipende unicamente
dalle cariche libere contenute entro la superficie gaussiana e non da quelle di polarizzazione.
− Superficie gaussiana interna ad un dielettrico polarizzato: non esistendo né cariche libere né cariche
di polarizzazione superficiale, il flusso è legato unicamente alle cariche di polarizzazione volumica
1
1
1
Φ E = ∫∫ E • ndS = q p = ∫∫∫ ρp dW = − ∫∫∫ div P d W
ε0
ε 0 WS
ε 0 WS
S
( )
teorema
divergenza
⎛
⎞
⎜
⎟ dW = 0
div
ε
E
+
P
divD = 0
∫∫∫
⎜ 0
⎟
WS
⎝ D ⎠
− Significato dei tre casi analizzati:
− Le cariche libere q 0 sono le uniche ad essere conosciute, le cariche di polarizzazione q p si
calcolano conoscendo queste.
− Conoscendo la relazione fra D e P , tramite il vettore induzione dielettrica D = ε 0 E + P , si calcola
il campo e il potenziale elettrostatico.
− In assenza di cariche libere ( q 0 = 0 ), valgono le relazioni divD = 0 e ∫∫ D • n dS = 0 : il campo di
S
induzione dielettrica è solenoidale.
− Non potendo stabilire se la circuitazione del vettore D sia nulla, il relativo campo associato non è
conservativo.
− Il vettore induzione dielettrica ha significato unicamente in presenza di un dielettrico: se vi fosse il
vuoto D = ε E = ε 0 E , quindi il vettore D non presenterebbe alcuna proprietà rispetto al campo
elettrico.
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RELAZIONI FRA E , D , P
Nei dielettrici lineari si ha P = ε0 ( k e − 1) E e ricordando le definizioni di P e D si deduce che
(28)
D = ε0 E + P = εE
(29)
P = ε0 ( k e − 1) E = ε0
(i due vettori sono paralleli fra loro)
ke −1
k −1
D= e
D
ε
ke
(i due vettori sono paralleli fra loro)
ossia i tre vettori E , D e P risultano paralleli fra loro.
− Costante dielettrica relativa costante in tutti i punti del dielettrico: dalla relazione (29) si ha
k −1
div P = e divD
ke
Se non vi sono cariche libere divD = 0 e ρp = − div P = 0 , per cui non possono esistere cariche
volumiche di polarizzazione: esistono unicamente cariche di polarizzazione con σp = P • n .
− Costante dielettrica relativa variabile da punto a punto nel dielettrico: dalla relazione (29) si ha
⎡ k −1 ⎤
div P = div ⎢ e
D⎥
⎣ ke
⎦
in quanto k e − 1 k e non risulta costante. Applicando quanto spiegato negli appunti di “Teoria dei
Campi”,
k −1
k −1
div P = e divD + D • grad e
= − ρp
ke
ke
ed in tale situazione si hanno anche cariche volumiche di polarizzazione.
Nei dielettrici di tipo non lineare, la relazione fra P e E è esprimibile tramite equazioni complesse tra le varie
componenti e la suscettività elettrica è definita da un tensore. In detti dielettrici vi sono tre direzioni, normali fra
loro, lungo le quali E , e P risultano paralleli fra loro. Tali direzioni sono dette assi cristallografici o assi ottici
del dielettrico.
CAMPO D ATTRAVERSO AD UNA SUPERFICIE DIELETTRICA
Il campo elettrostatico, attraverso ad una superficie sulla quale ci sia una distribuzione σ0 , presenta una
continuità delle componenti tangenziali ed una discontinuità delle componenti normali
σ
E 02t = E 01t
E 02t − E 01t = 0
ε0
Si consideri una superficie di separazione fra due dielettrici ( ε1 = k e1ε0 e
ε 2 = k e2 ε0 ) sulla quale vi sia una distribuzione superficiale di cariche di
D2
polarizzazione. Nei due semispazi il vettore induzione dielettrica è definito
n 2 θ2
come [figura 49]
σp
D1 = ε0 E1 + P1
D 2 = ε 0 E 2 + P2
e applicando la legge di Gauss ad una superficie cilindrica con le due basi
(superficie dS e altezza infinitesima) dalle due bande della superficie
( )
D1 θ n1
1
d Φ tot D = D1 • n1dS + D 2 • n 2dS = dq 0 = 0
poiché non vi sono cariche libere. Passando ai valori scalari
− D1dScos θ1 + D 2 dScos θ2 = 0
D1n = D2n
35
[ figura 49 ]
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La relazione impone la conservazione della componente normale del vettore induzione elettrica.
Considerandole due relazioni E 01t = E 02t e D1n = D 2n si ha
E1 sin θ1 = E 2 sin θ2
e calcolando il rapporto
k e1E1 cos θ1 = k e2 E 2 cos θ2
tanθ 2 k e2
=
tanθ1 k e1
− Interpretazione: la relazione rappresenta la rifrazione delle
linee del campo elettrostatico nel passaggio fra due dielettrici
separati da una superficie e precisamente
k e2 > k e1
: θ2 > θ1 , le linee divergono
k e2 < k e1
: θ2 < θ1 , le linee convergono
θ2 = θ1
: D 2 = D1 , ossia k e2 E 2 = k e1E1
•
k e2
k e1
q
Determinazione del vettore induzione elettrica: dato un dielettrico di costante dielettrica relativa k e , si
desideri determinare il valore di D = ε 0 E + P . Si pratichi una fessura all’interno del dielettrico in direzione
normale a quella del vettore D , il valore del campo elettrico (misurato al suo interno) moltiplicato per ε 0
dà D = ε 0 E . Applicando la conservazione della componente normale si ricava [figura 50]
D1n = ε0 E1n + P1n
D 2n = ε0 E 2n + P2n
P1n = ε0 ( k e1 − 1) E1n
P2n = ε0 ( k e2 − 1) E 2n
[ figura 50 ]
D
e uguagliando
1
1
( P2n − P2n ) = ( σp2 − σp1 )
ε0
ε0
In perfetta analogia con quanto ricavato per le cariche libere.
E 2n − E1n =
E
ENERGIA ELETTROSTATICA NEI DIELETTRICI
L’energia del campo elettrostatico “racchiusa” fra le armature di un condensatore vale
1
− per il vuoto: U e = ε0 E 2 W e l’energia dipende sia dalle cariche libere sulle armature del condensatore
2
sia dall’intensità del campo elettrostatico
1
− per un dielettrico: U e = ε E 2 W e l’energia dipende anche dalle proprietà del materiale tramite la
2
costante dielettrica relativa ( ε = k e ε0 ). La densità di energia per unità di volume u e = U e W ha validità
assolutamente generale con relazione
1
ue = ε E2
2
Ricordando che D = ε E , per un dielettrico anisotropo (lineare) la relazione precedente assume la forma
1
1
u e = εE 2 = εE • E
2
2
1
ue = E • D
2
Da tale prodotto scalare si deduce che i vettori E e D NON sono mai normali fra loro. In un volume W di un
dielettrico, immerso in un campo elettrico E , l’energia posseduta vale
36
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U e = ∫∫∫ u e dW =
W
1
εE 2d W
∫∫∫
2 W
Il lavoro per unità di volume speso per caricare un condensatore è uguale alla energia U e accumulata fra le
armature, quindi la differenza di lavoro (per unità di volume) speso per caricare un condensatore con il vuoto
( l0 ) ed uno con un dielettrico ( lk ) è data da
1
1
(30)
Δl = lk − l0 = ( ε − ε0 ) E 2 = ε0 ( k e − 1) E 2
2
2
Poiché il dielettrico è polarizzato, la relazione (30) rappresenta il lavoro per unità di volume l pol speso per
polarizzare il dielettrico
l pol =
L 1
= ε 0 ( k e − 1) E 2
W 2
e per il vuoto k e = 1 ed lpol = 0 .
Il lavoro speso per separare due cariche uguali e di segno opposto di un tratto x vale
(31)
dL = F dx = qE dx = E dp
essendo dp il momento di dipolo elettrico che viene definito con la separazione. La risultante di tutti i momenti
di dipolo elettrico è dp = P dW e calcolandola per unità di volume dp = d P . Sostituendo nella (31)
dL = E d P
essendo P = ε 0 ( k e − 1) E , differenziando d P = ε 0 ( k e − 1) dE si ricava dL = ε 0 ( k e − 1) E dE . Integrando e
riferendo il risultato all’unità di volume si ottiene proprio
1
lpol = ε 0 ( k e − 1) E 2
2
• Ricapitolazione sui dielettrici
− dielettrici lineari
: P = ε 0 ( k e − 1) E
− dielettrico isotropo
− dielettrici anisotropi
− polarizzazione
uniforme
disuniforme
− induzione dielettrica
: E e P sempre // fra loro
: E e P // fra loro lungo gli assi principali
: σp = P • n
: ρp = − div P e σ p = P • n
: D = ε0 E + P = εE
k −1
P
: D= e
ke
:
∫∫ D • n dS = q
0
(nel vuoto D = ε 0 E e P = 0 )
divD = ρ0
S
− continuità campo elettrico
− energia elettrostatica
: E1t = E 2t
1
: Ue = ε E2 W
2
− densità di energia elettrostatica per unità di volume
D1n = D 2n
1
1 D2 1
: u e = εE 2 =
= E•D
2
2 ε
2
dielettrici
anisotropi
: lp = ε 0 ( k e − 1) E 2
− lavoro di polarizzazione per unità di volume
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TENSIONE ELETTRICA E FORZA ELETTROMOTRICE
È stato dimostrato che il campo elettrostatico E 0 , generato da cariche elettriche ferme, è conservativo quindi
l’integrale di linea fra il punto A e B non dipende dal tipo di linea che unisce i due punti, ma risulta uguale alla
differenza che una funzione scalare (potenziale elettrostatico V ) assume agli estremi di integrazione
∫
B
A
E 0 • dl = VA − VB
Calcolando l’integrale lungo una linea chiusa o circuitazione si ottiene un valore nullo
∫ E0 • dl = 0
Se il campo elettrico è determinato da cause che coinvolgono forze non
conservative, allora il campo elettrico E non è conservativo quindi
l’integrale di linea dipende dal tipo di linea scelta dal punto iniziale A
fino a quello finale B: l’integrale di linea di un campo elettrico non
conservativo è detto tensione elettrica, definita lungo una linea.
Scegliendo differenti linee passanti per identici punti iniziali A e finali B,
i valori delle tensioni elettriche sono differenti fra loro, pur essendo
identici i punti A e B [figura 51]
∫
B
A
∫
E • d l = τl1
B
A
[ figura 51]
B
dl
E
l1
A
E • dl = τl2
dl
l2
E
Per calcolare la circuitazione di un campo elettrico non conservativo, si scelga la linea l1 dal punto A al punto
B e le linea l2 dal punto B al punto A
∫ E • dl = ∫
B
A
E • dl + ∫ E • dl = ∫ E • d l − ∫ E • dl
A
B
B
A
B
A
l1
l2
I due integrali di linea al secondo membro altro non sono che le tensioni elettriche τl1 e τl2 , calcolate fra gli
stessi punti A e B seguendo linee differenti. Quindi
∫ E • d l = τl1 − τl2 ≠ 0
e al differenza fra le due tensioni elettriche viene detta forza elettromotrice E (f.e.m.): la forza elettromotrice
E è data dalla circuitazione (integrale lungo una linea chiusa) del vettore campo elettrico non conservativo
∫ E • dl = E
CONDUZIONE ELETTRICA
I conduttori metallici solidi sono costituiti da un reticolo spaziale ai cui vertici vi sono gli ioni positivi, che si
considerano fermi rispetto ai portatori liberi di carica (elettroni periferici di compartecipazione elettronica a
più atomi) che si muovono liberamente in moto casuale e disordinato (in equilibrio elettrostatico) nel reticolo
spaziale con una velocità termica vi . Il numero di elettroni per unità di volume è dato da
n = N A ρ Z ≈ 1028 elettroni m3
ed in un piccolo volume, su scala macroscopica, la distribuzione delle velocità termiche vi risulta isotropa e
casuale, ossia il valore medio è nullo
1 n
< v > = ∑ vi = 0
n i =1
• Conduttori metallici a contatto: due conduttori abbiano differente potenziale (cioè differente stato di
elettrizzazione oppure siano uno elettropositivo ed uno elettronegativo).
Ponendoli a contatto geometrico in condizione di equilibrio elettrostatico acquisiscono identico valore di
potenziale ( Δ V = 0 ) poiché si stabilisce il fenomeno transiente di un moto spontaneo ordinato di
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•
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elettroni dal conduttore a potenziale minore a quello a potenziale maggiore. Tale fenomeno viene detto
conduzione elettrica ed il moto ordinato degli elettroni si chiama corrente elettrica. Il fenomeno è
transiente in quanto la sua durata è limitata dell’ordine di grandezza del tempo τt d 0 c (con d 0 la
dimensione tipica dello spazio percorso, c la velocità della luce nel vuoto).
Generatore di forza elettromotrice (f.e.m.): dispositivo che permette di mantenere una d.d.p. fra due
conduttori a contatto (o fra due punti di uno stesso conduttore) per un tempo sufficientemente lungo. In tale
situazione, il moto degli elettroni (portatori di carica) definisce una corrente elettrica in condizione di
equilibrio dinamico e non più elettrostatico.
Pila di Volta: coppia di conduttori metallici (elettrodi) a differente potenziale immersi in un elettrolita
costituito da un acido forte (ad esempio acido solforico H 2SO 4 ) a bassa concentrazione. Tipicamente uno
degli elettrodi è il rame che presenta la tendenza a cedere elettroni (risultando Cu + ), l’altro lo zinco che
presenta la tendenza ad acquisire elettroni (risultando Zn − ): la d.d.p. fra gli elettrodi resta costante per un
tempo lungo fino all’insorgere del fenomeno della polarizzazione.
f.e.m. della pila: date N coppie di conduttori metallici tipo Cu / Zn , ognuna delle quali presenta una d.d.p.
Δ V fissa e caratteristica per ogni coppia di metalli, le f.e.m. complessiva è data da E = NΔ V .
Corrente elettrica: collegando gli elettrodi di un generatore di f.e.m., si stabilisce un moto ordinato di
elettroni ed il lavoro speso per mantenerli in moto è fornito dal generatore che trasforma energia chimica in
energia elettrica.
Conduzione elettrica
− Nei gas: essendo neutri gli atomi che li costituisco, non esistono cariche libere di muoversi. I gas non
sono conduttori a meno che un agente ionizzante generi al loro interno coppie (elettroni/ioni positivi)
che si muovono in moto disordinato. Un elettrone catturato da uno ione positivo definisce un processo
ricombinazione con risultato finale un atomo neutro, un elettrone catturato da un atomo definisce un
processo di cattura con risultato finale uno ione negativo, un atomo neutro che ceda un elettrone
definisce il fenomeno della dissociazione con risultato finale uno ione positivo.
− Nei liquidi: allo stato puro non posseggono cariche libere però sali e acidi si dissociano formando ioni
positivi (che si muovono concordemente alla direzione del campo elettrico) e negativi (che si muovono
discordemente alla direzione del campo elettrico).
Resistenza elettrica: l’azione esercitata dalle forze passive agenti sui portatori di carica in moto è detta
resistenza elettrica. Per vincere tale resistenza è necessario spendere lavoro ottenibile come energia interna
dal generatore di f.e.m.
Intensità della corrente elettrica: si consideri un conduttore nel quale vi siano N portatori di carica libera
che, sotto l’azione di un campo elettrico E , subiscono l’azione F = qE . Un tale forza determina il loro
moto ordinato delle cariche libere con una velocità v d (detta di deriva). La velocità vd non solamente è
differente da quella di agitazione termica vi (ogni carica ha una velocità termica), ma è la stessa per
tutti i portatori a parità di carica. Una qualunque sezione ΔS del conduttore, nell’intervallo temporale Δ t
è attraversato dalla carica Δ q . Il limite per Δ t → 0 del rapporto incrementale Δq Δ t è detto intensità
della corrente
Δ q dq
=
i = lim
Δt → 0 Δ t
dt
la cui unità di misura è {i} = {q} {t} = {1C} {1s} = {1A} o ampère. La definizione dell’intensità di corrente
ha una validità assolutamente generale e si applica anche a fenomeni dipendenti dal tempo. I tre vettori E ,
F e vd risultano tutti paralleli fra loro e concordi per identici portatori di carica. Si consideri la sezione dS
di un conduttore al quale sia applicato un campo elettrico E non conservativo e detta n la normale alla
superficie considerata, che forma l’angolo θ con la direzione del campo elettrico, [figura 52], la quantità di
carica che attraversa la sezione considerata nel tempo dt è pari a quella contenuta nel volume dW, ossia
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(32)
dq = nq dW
dS
essendo n = dN dW il numero di portatori di carica per unità di
E
volume. Il volume dW è quello compreso nel cilindro di superficie
dS e altezza vd dt (spazio percorso dai portatori di carica nel tempo
n
v d dt
dt ) ed il suo calcolo è semplice in quanto, normalizzando la
superficie dS rispetto alla direzione del campo elettrico
E
dS
dS0 = dScos θ , si ricava dW = dS0 vd dt = vd dt dScos θ .
n
dS0
Sostituendo la relazione nella (32) si ha
[ figura 52 ]
dq = nq vd dScos θ dt
e dividendo per il tempo
dq
→ (intensità) = nqvd dScos θ
(33)
dt
Nella relazione (33) la superficie dS è orientata secondo la normale n , la velocità di deriva è un vettore e
definendo una nuova grandezza vettoriale detta vettore densità di carica avente
− modulo uguale a nqvd (rappresenta il numero, per unità di volume, di portatori di carica che nel tempo
dt attraversano la sezione dS ),
− direzione coerente con quella di vd
− unità di misura { j} = {i} {S} = {1A} {1m 2 }
j = nqv d
la relazione (33) può essere scritta in annotazione vettoriale
dq
→ (intensità) = j • n dS
dt
Si osservi che il secondo membro è un differenziale, quindi lo deve essere anche il primo
di = j • n dS = jdS 0
e si definisce densità di corrente j la corrente che attraversa una qualsiasi sezione unitaria di un
conduttore, purché la sezione sia normale alla direzione di moto dei portatori di carica. L’intensità i di
una corrente risulta uguale al flusso del vettore densità di corrente j attraverso ad una qualunque
sezione del conduttore.
Attenzione: i portatori di carica q possono essere positivi o negativi e si hanno i seguenti casi
− q > 0 si ha
⎫
⎯⎯⎯⎯→ E
⎪
v+
⎯→
⎬ E parallelo e concorde con j+
j+ = n + qv + ⎪⎭
⎯⎯⎯→
−
q < 0 si ha
⎫
⎯⎯⎯⎯→ E
⎪
v+
←⎯
⎬ E parallelo e concorde con j−
j− = − n − qv − ⎪⎭
⎯⎯⎯→
Il vettore densità di corrente risulta sempre concorde con il campo elettrico, indipendentemente dal
segno dei portatori di carica. Nei materiali ionizzati, i portatori di carica sono sia quelli di segno positivo
sia quelli di segno negativo ed il vettore densità di corrente è dato da
j = j+ + j− = n + qv + − n − qv −
•
Per conduttori metallici: i portatori di carica sono gli elettroni di compartecipazione elettronica e si ha
j = − nev d
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•
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Su scala macroscopica è impossibile correlare il verso di circolazione della corrente con il segno dei
portatori di carica. Su scala microscopica, unicamente per i conduttori metallici è possibile stabilire il segno
dei portatori ci carica che sono elettroni (effetto Hall).
Convenzione: il verso di circolazione di una corrente elettrica in un conduttore è quello corrispondente al
moto dei portatori di carica positiva, che si muovono da un punto a potenziale maggiore verso un punto a
potenziale minore (simbolicamente + → − ) anche perché j
E in ogni caso.
CONSERVAZIONE DELLA CARICA ELETTRICA
Si consideri un conduttore di superficie S e volume WS percorso da una corrente elettrica di intensità i (si
ricordi: la quantità di carica che, in un dato intervallo temporale, attraversa una qualsiasi sezione del
conduttore). Introducendo il vettore densità di corrente, l’intensità è definita come il flusso del vettore j
attraverso alla superficie del conduttore considerato
i = ∫∫ j • n dS
(34)
S
Il segno del prodotto scalare, quindi il segno della corrente, implica che
⎧
⎧ +q uscente
⎪> 0 ⎨
⎪
⎩ −q entrante
j•n ⎨
⎪< 0 ⎧+ q entrante
⎨
⎪
⎩−q uscente
⎩
Se all’interno del conduttore vi fossero delle cariche q, l’intensità i delle corrente che lo attraversa potrebbe
subire una variazione correlata alla variazione temporale di tali cariche q e precisamente se
− l’intensità aumentasse di valore ciò implicherebbe una diminuzione delle cariche interne al conduttore
− l’intensità diminuisse di valore ciò implicherebbe un aumento delle cariche interne al conduttore
Una tale situazione analiticamente impone che sia
∂q
i=−
(35)
∂t
Sostituendo la (34) nella (35) e ricordando che q = ∫∫∫ ρ dW , si ha
WS
∂
∫∫ j • ndS = − ∂ t ∫∫∫ ρdW
S
WS
c
d
alla relazione c si applichi il teorema della divergenza e nella relazione d si osservi che la derivata è fatta
rispetto al tempo mentre l’integrale coinvolge le coordinate spaziali, quindi è possibile scambiare le due
operazioni
⎛ ∂ρ ⎞
div j dW = ∫∫∫ ⎜ − ⎟ dW
∫∫∫
∂t ⎠
WS
WS ⎝
Essendo identico il dominio di integrazione ed uguali gli integrali, si uguaglino gli integrandi
∂ρ
divj +
=0
∂t
L’equazione descrive la formulazione della continuità della corrente elettrica che esprime in forma dinamica
la conservazione della carica.
− Caso stazionario: le cariche interne al conduttore non variano nel tempo (ossia ρ = cost ), quindi
div j = 0
i=
∫∫ j • ndS = cost
S
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il vettore densità di corrente resta costante nel tempo (il campo descritto dal vettore risulta solenoidale).
Si consideri un tubo di flusso racchiuso dalle due
superfici dS1 (orientata secondo n1 ) e dS1 (orientata
[ figura 53]
secondo n 2 ): il flusso del vettore j attraverso alla
superficie complessiva del tubo è nullo [figura 53]
n2
n1
d Φ tot j = d Φ1 j + d Φ 2 j + d Φ lat j =
dS2
dS1
j
()
()
()
()
j⊥n′
dS1
= j • n1dS1 + j • n 2 dS2 = 0
<0
dS2
>0
Ricordando la definizione di intensità di corrente, il
flusso d Φ1 j definisce la corrente − di1 entrante ed
()
il flusso dΦ ( j ) definisce la corrente + di
2
2
vd
vd
uscente.
Poiché − di1 + di 2 = 0 , l’integrale descrive proprio che l’intensità della corrente entrante è uguale a
quella della corrente uscente per cui i = cost .
− Attenzione: è la carica che resta costante, mentre l’intensità può variare. Infatti considerando un
conduttore a sezione variabile, la velocità di deriva aumenta diminuendo la sezione. La velocità di
deriva è correlata al vettore j il cui flusso definisce l’intensità [figura 53].
MODELLO CLASSICO DELLA CONDUZIONE ELETTRICA
La teoria classica fu proposta da Drude e sviluppata da Lorentz. Si basa sul presupposto che in un conduttore
metallico i vertici del reticolo sono occupati dagli ioni positivi, che sono considerati fermi rispetto agli elettroni
liberi che vagano nel reticolo secondo un moto disordinato con velocità termica vi .
− Nella condizione imperturbata, le direzioni del moto sono casuali ed
( E = 0)
isotrope (non esistendo una direzione preferenziale lungo la quale
avviene il moto), il valore medio delle velocità termiche risulta nulla
1 N
[ figura 54 ]
< v > = ∑ vi = 0
N i =1
Gli elettroni interagiscono con gli ioni positivi tramite urti ed un elettrone percorre fra due urti
consecutivi una traiettoria rappresentata da un segmento di lunghezza l0 (distanza libera media) ed il
tempo medio impiegato a percorrerla vale τ = l0 vi [figura 54].
− Applicando una differenza di potenziale ΔV ai capi del conduttore metallico, si genera un campo
elettrico E che esercita la forza F = − eE su ogni singolo elettrone libero in moto casuale. Tale forza è
diretta in verso opposto a quello del campo e per la II legge della dinamica
dv
e
F = − eE = ma = m
a=− E
dt
m
ed il moto conseguente è vario. Ogni singolo elettrone acquisisce un moto organizzato e la direzione
preferenziale risulta parallela al campo E . La velocità istantanea di ogni singolo portatore di carica è
data dalla sovrapposizione della velocità termica vi e della velocità vd riferibile all’azione del campo
E (questa velocità è detta velocità di deriva). La velocità termica ha valore differente per ogni singolo
elettrone, la velocità di deriva (essendo la carica identica) è la stessa per tutti gli elettroni (portatori di
carica libera). Fra due urti consecutivi contro gli ioni (ad esempio posti nei punti Pk e Pk +1 ), la
traiettoria descritta in questa situazione è un arco di parabola [figura 55].
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Sia v k la velocità di un elettrone subito dopo l’urto
in Pk e v k +1 subito prima del successivo urto in Pk +1 .
( − e)
Poiché la velocità di deriva è la stessa per tutti gli
elettroni ed essendo v d << vi , il tempo medio τ
E
(impiegato a percorrere l’arco di parabola compreso
fra i due punti) resta sostanzialmente lo stesso di
quello riferito alla situazione imperturbata. La
relazione per la determinazione della velocità in un
vk
moto vario è
e
v k +1 = v k + a τ = v k − E τ
Pk
m
Calcolando il valore medio delle velocità su un
numero molto grande di urti si ricava
1 N
e
< v > = ∑ vk − E τ
N k =1
m
[ figura 55 ]
v k +1
Pk +1
(*)
La sommatoria (*) ha valore nullo, com’è stato illustrato nella situazione imperturbata, quindi il valore
medio risulta essere costante e dipendente unicamente dal campo elettrico, responsabile della velocità di
deriva. È coerente definire la velocità di deriva come
e
vd = - τ E
m
Interpretazione: durante ogni urto contro uno ione, la direzione di moto dell’elettrone viene persa, ma
subito dopo l’azione del campo elettrico ristabilisce tale la direzione. La precedente relazione si può
riscrivere come
m vd = − e E τ = − Fτ = − i
che rappresenta il teorema dell’impulso: durante ogni urto l’elettrone dissipa la quantità di moto mvd ,
ma l’impulso i = F τ la ristabilisce.
Calcolando la densità di corrente elettrica si ricava
⎛ e2 τ ⎞
ne 2 τ
(36)
E
=
j = − nev d = − n ⎜ −
E
⎟
m
⎝ m ⎠
ed il rapporto è una grandezza macroscopica, caratteristica del mezzo conduttore e correlata alle
grandezze microscopiche carica e massa dell’elettrone. Si definisce conducibilità elettrica di un
materiale conduttore la relazione
n e2 τ
σ=
(conducibilità)
m
il cui inverso rappresenta la resistività del conduttore
1
m
ρ= = 2
(resistività)
σ ne τ
Riscrivendo la (36) come relazione fra causa (il campo elettrico) e l’effetto (la circolazione di corrente)
si ottiene la relazione di Ohm
E = ρj
j = σE
I due vettori risultano paralleli e concordi, indipendentemente dal segno della carica, in quanto essa
compare al quadrato.
− In un conduttore qualsiasi, i cui portatori possono essere sia cariche positive che cariche negative, si ha
qτ
qτ
v− = − − E
velocità di deriva
: v+ = + + E
m+
m−
densità di corrente
: jtot = + n + qv + − n − q v −
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m+
m−
+
2
n + q τ+ n − q 2 τ−
resistività
: ρ tot =
legge di Ohm
: E = ρ tot j
POTENZA TRASFERITA
La forza F = − eE , che il campo elettrico esercita su un elettrone per mantenerlo in moto con la velocità di
deriva vd , compie il lavoro
dL = F • dl = − eE • vd dt = E • ( − evd ) dt
Essendo n gli elettroni per unità di volume, il lavoro complessivo vale
dL tot = ndL = E • ( − nev d ) dt = E • jdt
Si definisce potenza dissipata la grandezza
P=
dL tot
= E• j
dt
e quando gli elettroni urtano gli ioni, la potenza E • j viene ceduta al reticolo sotto forma di energia interna che
determina un aumento della temperatura del sistema. Poiché il conduttore è in equilibrio termico con
l’ambiente, il conduttore cede una certa quantità di calore (effetto joule della corrente in un conduttore).
La potenza dissipata può essere espressa in varie formulazioni equivalenti, usando la legge di Ohm
P = E • j = ρj2 = σ E2
• Conduttore a sezione costante (calibra): il conduttore di lunghezza l0 e sezione calibra S0 è percorso dalla
•
corrente di intensità i = jS0 . Ricordando la legge di Ohm, l’intensità vale
1
i = jS0 = S0 E
ρ
ossia
ρ
E= i
S0
e se il campo elettrico all’interno del conduttore fosse uniforme, la d.d.p. ai suoi capi vale
l0
⎛ l ⎞
ΔV = ∫0 E • d l = El0 = ⎜ ρ 0 ⎟ i
⎝ S0 ⎠
La d.d.p. ai capi del conduttore risulta proporzionale all’intensità della corrente circolante, il fattore fra
parentesi dipende dalla geometria del conduttore e dalle proprietà microscopiche del materiale che lo
compone. Si definisce resistenza elettrica di un resistore calibro o resistore
l
R=ρ 0
S0
E la legge di Ohm per un simile resistore assume la forma
ΔV = Ri
Conduttore a sezione variabile: la d.d.p. dovrebbe essere scritta come
i
dV = ρ dl
S
ed integrando su tutta la lunghezza
l0
dl
ΔV = i ∫0 ρ
S
Definendo come resistenza del conduttore l’integrale
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dl
0
S
La legge di Ohm continuerebbe ad essere formulata come ΔV = Ri .
l0
R=∫ ρ
EFFETTI TERMICI DELLA COORENTE
•
Nei conduttori metallici puri la resistività varia in funzione della temperatura. In un intervallo di
temperatura prossimo a θ = 20D C , la legge di variazione può essere definita come
ρ ( θ ) = ρ0 (1 + α Δ θ )
essendo ρ0 la resistività a θ = 20D C e α il coefficiente termico definito da
ρ ( θ ) − ρ0 1
ρ0
Δθ
Il coefficiente termico per i metalli puri è sempre maggiore di uno; per il C, Si ed il Ge è sempre minore di
uno. Quando la temperature tende allo zero della scala Kelvin (temperatura assoluta) la resistività tende ad
un valore costante: per determinati materiali, detti superconduttori, quando la loro temperatura T risulta
minore a quella critica Tcritica la resistività tende ad annullarsi.
α=
•
Quando la corrente di intensità i = jS0 attraversa un conduttore calibro S0 di lunghezza dl , la potenza
complessiva spesa per mantenere in moto gli elettroni è pari al prodotto della potenza per unità di volume
moltiplicata per il volume
2
⎧
⎛ i ⎞
2
⎪P = ρj = ρ ⎜ ⎟
dl 2
d
P
=
ρ
i
dP = P dW ⎨
S
⎝ 0⎠
S
0
⎪
⎩dW = S0 dl
che integrata diventa
P = Ri 2
Quando la carica dq si muove in un conduttore, al quale è applicata la d.d.p. ΔV , il lavoro speso vale
dL = dq ΔV = i ΔVdt
ed il lavoro totale speso per vincere la resistenza che agisce sugli elettroni in moto nel reticolo
L = ∫ i ΔVdt = i ΔV t
t
0
e la potenza dissipata è
dL
= i ΔV
dt
Ricordando la legge di Ohm, si ricavano le relazioni omologhe
P=
( ΔV )
P = i ΔV =
2
R
= Ri 2
RESISTORI
I conduttori che obbediscono alla legge di Ohm nella formulazione ΔV = Ri e che dissipano una potenza
P = Ri 2 (o relazioni simili) si dicono conduttori ohmici o resistori. Risultano definiti quando ad essi viene
assegnato un ben preciso valore di resistenza elettrica R a temperatura ambiente ed il massimo valore della
potenza dissipata senza che la struttura venga alterata. Il simbolo è rappresentato in [figura 56]
45
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•
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Collegamento in serie: ogni singolo resistore è collegato
R
sequenzialmente a tutti gli altri e la d.d.p. totale ai capi del sistema è
+
−
pari alla somma delle d.d.p. ai capi dei singoli resistori, mentre
l'intensità della corrente che li attraversa è la stessa (identico numero di
ΔV
cariche passanti attraverso una sua qualsiasi sezione normale nell’unità
[ figura 56 ]
di tempo).
Il sistema dei condensatori è sostituito da un resistore di resistenza R eq , ai cui capi la d.d.p. è la stessa del
sistema
VA − VD = ( VA − VB ) + ( VB − VC ) + ( VC − VD ) con
VA − VB = R1i ⎫
⎪
R3
R2
R1
C
B
A
D
VB − VC = R 2i ⎬ VA − VD = R eq i
−
+
VC − VD = R 3i ⎪⎭
La relazione definisce che la resistenza equivalente di resistori in serie è uguale alla somme delle loro
singole resistenze
R eq = R1 + R 2 + R 3
La potenza dissipata è la somma delle singole potenze dissipate
Peq = P1 + P2 + P3 = ( R1 + R 2 + R 3 ) i 2
•
Collegamento in parallelo: i capi dei vari resistori, di pari polarità, sono collegati fra loro. La d.d.p. ai capi
dei singoli resistori è la stessa VA − VB , mentre le intensità delle correnti che li attraversano sono differenti.
Infatti la carica q che arriva al nodo A si distribuisce nei singoli rami che si dipartono secondo il valore
delle resistenze (conservazione della carica)
q
q
q
q
q = q1 + q 2 + q 3
= 1 + 2 + 3
R1
Δt Δt Δt Δt
i = i1 + i 2 + i3
Il sistema può essere sostituito da un resistore di resistenza R eq
ai cui capi la d.d.p. sia VA − VB e per il quale la legge di Ohm è
VA − VB = R eq i
A
+
R2
R3
ΔV
B
−
i1
VA − VB = R1i1 ⎫
i2
i
⎪
VA − VB = R 2i 2 ⎬ i = i1 + i 2 + i3
i3
VA − VB = R 3i3 ⎪⎭
Sostituendo si ricava
V − VB VA − VB VA − VB ⎛ 1
1
1 ⎞
1
i = i1 + i 2 + i3 = A
+
+
=⎜
+
+
( VA − VB )
⎟ ( VA − VB ) =
R1
R2
R3
R eq
⎝ R1 R 2 R 3 ⎠
l'inverso della resistenza equivalente di resistori in parallelo è uguale alla somma dell'inverso delle
singole resistenze
1
1
1
1
=
+
+
R eq R 1 R 2 R 3
La potenza dissipata è la somma delle singole potenze dissipate
Peq = P1 + P2 + P3 = R 1 i12 + R 2 i 22 + R 1 i32
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FORZA ELETTROMOTRICE DEL GENERATORE
Si consideri il semplice circuito di [figura 57] costituito da un generatore di f.e.m. E costante e di un resistore
di resistenza R. Applicando la legge di Ohm e ricordando la definizione di f.e.m.
G G
E = v∫ E • d l = Ri
Affinché si abbia circolazione di corrente nel circuito, internamente al
G
generatore deve essere prodotto un campo elettromotore E em
G
E0
sfruttando reazioni chimiche (nelle quali non agiscono forze
conservative). Detto campo non è conservativo tuttavia, a causa
dell’accumulo di cariche agli elettrodi del generatore, esiste anche un
G
campo elettrostatico E 0 che è conservativo.
G
+
E em
• Internamente al generatore: il campo elettrico è la
A G
B
sovrapposizione del campo elettromotore e del campo
E0
G G
G
elettrostatico E = E em + E 0
• Esternamente al generatore: esiste unicamente il campo
G G
[ figura 57 ]
elettrostatico, quindi nel resistore è presente tale campo E = E 0
Calcolando la circuitazione del campo elettrico lungo il circuito si ricava
G
G
G
G
G
G G
B G
A G
B G
A G
A G
E = v∫ E • dl = ∫ E • d l + ∫ E • dl = ∫ E 0 • dl + ∫ E 0 • dl + ∫ E em • dl = τBA
A
B
A
B
B
esterno
generatore
interno
generatore
circuitazione
La circuitazione del campo conservativo è nullo, mentre l’integrale di linea del campo elettromotore
definisce la tensione elettrica lungo una linea qualsiasi fra l’elettrodo negativo e quello positivo del
generatore. Ossia la forza elettromotrice del generatore E (imputabile all’azione del campo
elettromotore E em ) è uguale alla tensione elettrica τ − + calcolata lungo una qualsiasi linea, interna al
generatore, che parta dall’elettrodo negativo ed arrivi a quello positivo.
Esiste circolazione di corrente fino a quando
G
G G
G
G
E = v∫ E • dl = v∫ E em + E 0 • dl > 0
(
)
facendo riferimento alla [figura 57], calcolando il prodotto scalare
G
G G
E = v∫ E • dl = v∫ ( E em − E 0 ) dl > 0
ossia
E em > E 0
All’interno del generatore la corrente fluisce dall’elettrodo negativo a quello
positivo ed essendo il generatore costituito da materiali reali, esiste anche una
resistenza interna che si oppone alla circolazione dei portatori di carica. Si
parla di generatore reale quando viene quantificata la sua resistenza interna
r e la rappresentazione grafica del generatore è illustrata nella figura a lato.
Considerando il circuito della [figura 57] con un generatore reale, si ha
G G
E = v∫ E • d l = R tot i = ( R + r ) i = Ri + ri = VA − VB + ri
+
r
B
−
A
+
E
resistore
•
VA − VB = E − r i
Quando ai morsetti del generatore è collegato un circuito, la f.e.m. non coincide con la d.d.p.
Ramo di un circuito: tratto di circuito nel quale possono essere presenti sia resistori sia sorgenti di f.e.m.
Una volta definito il verso di circolazione della corrente nel circuito (quindi nel ramo), al valore delle
singole f.e.m. deve essere associato il segno positivo se permettono il fluire della corrente nel verso scelto o
il segno negativo se contrastano il fluire della corrente. Se la resistenza elettrica complessiva dei resistori
inseriti nel ramo valesse R tot , deve valere la relazione
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N
VA − VB + ∑ Ei = R tot i
i =1
− Quando
N
∑E
i =1
i
= 0 , vale la classica legge di Ohm nella semplice formulazione VA − VB = R tot i
− Quando VA − VB = 0 , si ha una circuito chiuso e
N
∑E
i =1
i
= R tot i
Nel ramo di [figura 58] si ha
VA − VB + E1 − E2 = R tot i
R
r1
i
A
r2
E1
E2
B
[ figura 58 ]
STRUMENTI DI MISURA
•
Amperometro: strumento che misura l'intensità di una corrente elettrica. Se l'intensità è piccola, lo
strumento è detto milliamperometro, microamperometro o galvanometro. L'inserimento dello strumento
deve essere in serie rispetto all'elemento del circuito, per il quale si deve misurare l'intensità della corrente
che lo attraversa. Si consideri un circuito costituito da un generatore di f.e.m. E , da un resistore di
resistenza R e l'amperometro abbia resistenza interna r [figura 59]
La legge di Ohm impone
R
− con l’amperometro: E = ( R + r ) i mis
E
R
i
[ figura 59 ]
e confrontando le due espressioni si ricava
r
1
E
i mis =
i
r reale
+
1+
R
Le due intensità sono uguali quando i mis = i reale e ciò è verificato se la resistenza interna dell'amperometro
risulta trascurabile rispetto a quella del resistore r << R .
Voltmetro: strumento che misura la d.d.p. fra due punti di un circuito. L'inserimento deve essere in parallelo
con l'elemento del quale si desidera misurare la d.d.p. e per evitare che la corrente circolante passi
preferenzialmente attraverso lo strumento, si aggiunge in serie alla resistenza interna r dello strumento una
resistenza aggiuntiva R s detta shunt.
Applicando la legge di Ohm
R
B
A
− con il voltmetro: (VA − VA )mis = R eq i
−
+
R (Rs + r)
1
1
1
essendo
= +
=
R eq R R s + r R + R s + r
r
Rs
[ figura 60 ]
− senza voltmetro: (VA − VB )reale = R i
− senza amperometro:
•
i reale =
e confrontando le due espressioni, si ricava
(VA − VB )mis =
Rs + r
(VA − VB )reale
R + Rs + r
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Quando la resistenza di shunt è maggiore di quella del resistore R s >> R , (essendo la resistenza interna del
voltmetro necessariamente trascurabile rispetto alle altre due), i due valori delle d.d.p. risultano essere
uguali (VA − VB )mis = (VA − VB )reale .
GENERALITÀ DEL CAMPO MAGNETICO
Alcuni minerali come Fe O ⋅ Fe 2 O3 presentano la caratteristica di attrarre a sé piccoli oggetti (di ferro o
contenenti ferro) e tale proprietà non risulta diffusa in tutto il materiale, ma semplicemente in zone circoscritte.
Tali aree ristette sono dette poli magnetici e Gilbert stabilì che fra poli magnetici si esplica una interazione
attrattiva o repulsiva. Dedusse che devono esiste polarità di segno opposto: polarità differenti si attraggono,
polarità omologhe si respingono. Tali caratteristiche continuano a sussistere anche frazionando il materiale che
le presenta in elementi di piccolo volume e soprattutto la proprietà magnetica di un corpo non è imputabile
alle cariche elettrostatiche che eventualmente potessero essere presenti sul corpo.
• Si definisce calamita una struttura contenente ferro che è stato magnetizzato o per contatto con un altro
corpo magnetizzato oppure tramite un qualche processo.
• Dipolo magnetico: la contemporanea presenza della doppia
N tg
polarità in ogni materiale magnetico, suggerisce che il dipolo
Stm
magnetico sia l’elemento rappresentativo del campo
magnetico. Il dipolo magnetico è descritto dal momento di
15°
dipolo magnetico, un vettore orientato dalla polarità negativa
a quella positiva. Non avendo significato parlare di masse
magnetiche nel significato letterale del termine, nel dipolo
G
m
magnetico le masse magnetiche sono nulle per definizione.
Allo stato attuale della ricerca, non esistono evidenze
sperimentali che esistano monopoli magnetici liberi.
• Ago magnetico: sottile sbarretta di ferro magnetizzato.
Sospendendo ad un filo un ago magnetico, qualunque sia la
posizione iniziale, questi tenderà sempre ad orientarsi lungo la
direzione tangente al meridiano terrestre passante per il punto
[ figura 61]
di sospensione. Tale fatto suggerisce che la Terra debba
N tm S
tg
possedere un campo magnetico naturale. Facendo riferimento
alla [figura 61], si deduce che
− il polo dell’ago magnetico orientato verso il polo geografico terrestre nord è detto polo nord magnetico
ed è considerato positivo,
− il polo dell’ago magnetico orientato verso il polo geografico terrestre sud è detto polo sud magnetico ed
è considerato negativo
I poli magnetici terrestri interagiscono con quelli dell’ago magnetico esercitando una forza attrattiva,
ma ciò significa che nell’emisfero nord geografico terrestre deve essere sede del polo magnetico
terrestre sud ( Stm ) e nell’emisfero sud geografico terrestre deve essere sede del polo magnetico
terrestre nord ( N tm ). Il momento di dipolo magnetico dell’ago magnetico forma un angolo di circa 15°
gradi con l’asse di rotazione terrestre passante per i poli geografici (rispettivamente N tg e Stg ). I poli
•
magnetici terrestri non sono fissi e analizzando lo stato di magnetizzazione di reperti fossili o di
materiali sedimentari si è osservato una variazione sia dell’intensità sia dello stato di magnetizzazione
del campo magnetico terrestre durante le ere geologiche.
Caratteristiche del campo magnetico: Oersted, Ampère e Maxwell stabilirono che
− il campo magnetico è correlato al moto di cariche elettriche
− il campo magnetico esercita un’azione su cariche in moto non uniforme
− il campo magnetico esercita un’azione su un conduttore percorso da una corrente elettrica
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•
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− fra conduttori percorsi da una corrente elettrica si esercita una interazione elettrodinamica imputabile ai
campi magnetici generati dalle correnti
− una spira o circuito reale chiuso, percorso da una corrente elettrica, esplicita un effetto equivalente ed
indistinguibile da quello generato da un dipolo magnetico purché i due momenti di dipolo (magnetico)
siano uguali
− un campo magnetico variabile nel tempo è sempre correlato ad un campo elettrico non conservativo
− il campo elettrico ed il campo magnetico presentano una univoca esistenza, definendo il campo
elettromagnetico
Linee del campo magnetico: a causa della contemporanea presenza
N (+)
delle due polarità, le linee del campo sono linee chiuse, orientate
dal polo nord (+) al polo sud (−). Considerando una generica
G
m
superficie chiusa tutta contenuta nel campo, se non esistono sorgenti
al suo interno, il flusso totale del campo è nullo [figura 62]. Cioè il
numero di linee entranti è pari a quello delle linee uscenti e per il
teorema della divergenza il campo magnetico risulta solenoidale.
S
Un campo magnetico è definito tramite la grandezza intensità del
G
campo H , l’azione del campo sulla materia è descritta dal vettore
G
induzione magnetica B (vedere il capitolo relativo alla descrizione
del comportamento della materia in presenza di campi magnetici). S ( − )
Per comodità di trattazione, fino a quando non verrà esplicitamente
[ figura 62]
G
scritto, verrà utilizzato il vettore induzione magnetica B per indicare
G
un campo magnetico anziché di H . Per quanto detto
G
G G
G
Φ B =w
divB = 0
∫∫ B • ndS = 0
( )
S
Considerando una qualsiasi linea chiusa in un campo magnetico, esistono infinite superfici che hanno come
contorno la predetta linea chiusa: il flusso attraverso a tutte queste superfici è sempre nullo, purché siano
tutte equiorientate
G G
G G
G G
G G
∫∫ B • ndS = ∫∫ B • ndS = ∫∫ B • ndS = " = ∫∫ B • ndS
S1
S2
S3
Sn
Tale integrale esprime il flusso concatenato di un campo magnetico ad una linea chiusa orientata.
Confrontando le equazioni del campo elettrostatico (conservativo) e del campo magnetico (solenoidale) si
ha
G G
G G
1
E
w
∫∫S 0 • ndS = ε0 q
w
∫∫S B • ndS = 0
G
1
G
divE 0 0 = ρ
divB = 0
ε0
FORZA MAGNETICA SU CARICA IN MOTO
G
Una carica q si trovi in una regione di spazio nella quale sia presente un campo B : se la carica è in quiete nel
medesimo sistema di riferimento del campo, non agisce alcuna forza. Se la carica si muovesse con una velocità
G
v rispetto al riferimento, su di essa agirebbe una forza (detta di forza di Lorentz) definita dalla relazione
G
G G
FL = qv × B
G G
− modulo: dato da FL = qvBsin θ , essendo θ l’angolo formato fra i vettori v e B [figura 63]
se v = 0 , la forza agente è nulla
G G
se v / /B , la forza agente è nulla
G G
se v ⊥ B , la forza agente ha valore massimo
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G G
− direzione: normale al piano definito dai vettori v e B
− verso: quello della “vite” allineata lungo la direzione e ruotata
G
G
secondo v → B .
G
Ricordando che il vettore velocità v è sempre tangente in ogni punto alla
traiettoria descritta, per proprietà del prodotto vettoriale il vettore risulta
G
G
sempre normale al piano contenete v e B , quindi è anche normale alla
traiettoria in ogni suo punto. Calcolando il lavoro compiuta dalla forza di
Lorentz
G 1
BG
1
L AB = ∫ FL • dl = mv 2B − mv A2 = 0
A 2 2 G
v
θ
G
B
[ figura 63]
G
FL
⊥
teorema energia cinetica
da cui si ricava che
v A = v B = cost
La velocità resta costante in modulo, ma non in direzione. Infatti per il II principio della dinamica
dv
⎧
⎪a t = dt
G
G
G ⎪
FL = ma = ma t u t + ma n u n ⎨
2
⎪a = v
⎪⎩ n ρ
Essendo costante la velocità in modulo v t = 0 , l’unica accelerazione è quella normale o centripeta. Quindi
(37)
FL = qvBsin θ = m
v2
ρ
G
− Dalla relazione (37), se θ = π 2 e se B è uniforme, si ricava
G
v
v2
mv
ρ=
(q)
ρ
q B
G
Essendo tutte le grandezze a secondo membro costanti, anche il
G
G
F
B
L
ω
raggio di curvatura risulta costante e la traiettoria risulta essere
una circonferenza di raggio [figura 64]
mv
R=
q B
R
La forza di Lorentz è sempre diretta verso il centro della
[ fugura 64 ]
circonferenza. La velocità angolare è data da
G
G
G G G
G
G
qv × B = ma n = mω× v = v × ( − mω)
G
q G
ω=− B
m
G G
− se q > 0 , ω e B sono antiparalleli ed il moto avviene in senso orario,
G G
− se q < 0 , ω e B sono paralleli ed il moto avviene in senso antiorario,
Il periodo di percorrenza di una sola circonferenza vale
2π
m
= 2π
T=
ω
qB
La relazione B = mv qR rappresenta la definizione operativa del campo magnetico in quanto non
occorre esprimere, tramite una unità di misura fondamentale, la massa magnetica ed il momento di
dipolo magnetico.
Inoltre è possibile, misurando la massa e la carica della particella, la sua velocità ed il raggio di
curvatura della traiettoria, determinare il valore del campo di induzione
qvB = m
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G
− Se θ ha valore qualsiasi e se B è uniforme, nella relazione della
forza di Lorentz è possibile scomporre la velocità in due
G
G
componenti: una componente v n , normale alla direzione di B ed
G
una componente v B lungo la direzione del campo [figura 65].
G
G
G
Algebricamente v n = v sin θ e v B = v cos θ . La componente v n
(normale al campo) determinerebbe un moto circolare piano secondo
G
quanto esposto mentre la componente v B sposterebbe il piano lungo
la direzione del campo. Il moto reale della carica è deducibile dalla
composizione di un moto piano e di un moto rettilineo, ossia un
moto spaziale elicoidale. Nel periodo T, durante il quale la traiettoria
circolare sarebbe compiuta il piano che la contiene si sposterebbe in
avanti di un tratto
mv
d = v B T = 2π
cos θ
q B
e tale distanza è detto passo dell’elica.
G
vn
G
vB
G
FL
G
v
θ G
B
[ figura 65]
FORZA MAGNETICA SU UN CONDUTTORE
PERCORSO DA CORRENTE
Di consideri un elemento di conduttore metallico di sezione S0 e lunghezza dl percorso da una corrente di
G
G
intensità i (si ricordi che il moto ordinato degli elettroni liberi definisce una densità di corrente j = − nev d ). Il
G
G
G G
campo di induzione B esercita su ognuna delle cariche libere la forza di Lorentz FL = − ev × B e la risultante di
G
G
tali forze vale dFL = dN FL . Il numero d N di elettroni liberi contenuti nel volume dW = S0 dl vale dN = ndW .
La risultante di tutte le forze magnetiche risulta pari a
G
G
G
G G
G
G G
dF = n FL dW = − nev × B dW = jdW × B = jS0 dl × B
(
)
Orientando in modo omologo il vettore densità di corrente e la lunghezza dell’elemento di conduttore, è
possibile riscrivere
G G
G G
G G
G
dF = jS0 dl × B = jS0 d l × B = idl × B
N
i
G G
G
La relazione dF dW = j × B rappresenta la risultante, per unità di volume, di
G
tutte le forze di Lorentz agenti sugli elettroni liberi del conduttore. La forza
dl
G
magnetica esercitata su un conduttore percorso da una corrente vale
j
[figura 66]
G
G G
dF = i dl × B
G
B
La relazione, detta I legge di Laplace, non ha validità fisica in quanto non è
G
sensato trattare un elemento infinitesimo di conduttore percorso da una
dFL
[ figura 66 ]
corrente. Tuttavia è molto comodo utilizzare la relazione infinitesima a fini
di calcolo. Nel caso di un conduttore di lunghezza finita, la forza agente è
G G
K
F = ∫ idl × B
H
e per correnti stazionarie
G
K G
F = i ∫ dl × B
H
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Il significato fisico rappresenta una legge macroscopica di base che evidenza come l’azione di un campo
magnetico su un conduttore, percorso da una corrente, sia correlata al moto di deriva dei portatori di carica
e non allo loro velocità termica. Se nel conduttore non circolasse corrente, la forza magnetica non esisterebbe.
G
− Conduttore rettilineo piano: la sua lunghezza è H − K = l0 e la forza agente è
G
G
F = i (K − H)× B
F = il0 B
(38)
− Conduttore curvilineo piano: suddividendo la sua lunghezza
G
in infiniti elementi infinitesimi di lunghezza d l , su ognuno di
G G
G
essi agisce la forza dF = id l × B . Integrando su tutta la
lunghezza HK [figura 67]
G
G
G
K G
F = i ∫ dl × B = i ( K − H ) × B
K
[ figura 67 ]
In quanto l’integrale rappresenta il vettore ( K − H ) , che è la
H
G
risultante di tutti vettori infinitesimi d l .
La forza magnetica su un conduttore piano percorso da una corrente è indipendente dalla forma del
conduttore in quanto dipende solamente dalla posizione iniziale e finale del conduttore. Quando
H ≡ K (circuito chiuso) la forza agente è nulla: su una spira non agisce alcuna forza magnetica.
H
AZIONE MECCANICA ESERCITATA DA UN CAMPO MAGNETICO
SU UNA SPIRA PERCORSA DA COORENTE
Si consideri una spira rettangolare di lati AB = CD = a e
BC = DA = b percorsa da una corrente di intensità i. La
superficie della spira S = ab sia orientata secondo la
G
normale n , definita in accordo con il verso di circolazione
G
della corrente e l’angolo formato fra la normale n ed il
G
campo B sia θ [figura 68].)
Essendo i lati della spira rettilinei, si di essi agisce una forza
magnetica definita dalla relazione (38) e cioè
G
G
− lato AB : F1 = i ( B − A ) × B
F1 = iaBsin θ
G
G
F2 = ibBsin θ
− lato BC : F2 = i ( C − B ) × B
G
G
F3 = iaBsin θ
− lato CD : F3 = i ( D − C ) × B
G
G
F4 = ibBsin θ
− lato DA : F4 = i ( A − D ) × B
G
F4
D
G
n
θ
A
O′
G
F3
C
O
G
F1
B
G
F2
[ figura 68 ]
G
B
Tenendo presente la definizione del verso del prodotto vettoriale si ricava che
G
G
− la forza F1 e la forza F3 hanno identico modulo, stessa retta di azione e verso opposto. Quindi la loro
G
G
G
risultante è nulla e non forniscono alcun contributo all’azione del campo B sulla spira F3 = − F1 .
G
G
− la forza F2 e la forza F4 hanno identico modulo, ma non hanno la medesima retta di azione, quindi
costituiscono una coppia di forze agenti sulla spira. La loro risultante è nulla, ma il loro momento
meccanico è non nullo e tale momento esercita un’azione sulla spira. Scegliendo come asse di
G
G
riferimento OO′ , il momenti meccanici di F2 ed F4 si sommano per definire il momento meccanico
risultante.
Calcolando i momenti meccanici delle due forze: essi agiscono nello stesso verso ed inoltre i bracci di tali forze
sono normali alle loro rette di azione e di identico valore a sin θ 2 [figura 69]
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a
⎧
G
G
n
F4
⎪⎪ M 2 = ibB 2 sin θ
θ
⎨
a 2
G
⎪ M = ibB a sin θ
4
B
⎪⎩
2
a
M OO′ = M 2 + M 4 = 2ibB sin θ
G
[ figura 69 ]
(38)
2
F2
= iabBsin θ = iSBsin θ
Il momento meccanico ed il campo di induzione sono due grandezze vettoriali, inoltre la superficie S è orientata
G
secondo la normale n coerente con il verso di circolazione della corrente. Ampère determinò che una qualsiasi
spira, percorsa da una corrente elettrica, genera un campo magnetico indistinguibile dal campo generato da un
dipolo magnetico, purché i due momenti di dipolo siano uguali: come momento magnetico della spira si
definisce il vettore che ha per modulo il prodotto dell’intensità della corrente per la superficie della spira, per
direzione e verso quello della normale orientata alla spira
G
G
ms = iS n
G
G G
La relazione (38) si scrive vettorialmente M OO′ = ms × B e poiché il momento meccanico di una coppia di forze
risulta indipendente dalla scelta del polo (o dall’asse di riferimento) si può asserire in generale che
G G G
M = ms × B
G
G
G
M OO′ = M 2 + M 4
•
Se la spira nella quale circola la corrente di intensità i fosse di forma
irregolare, pur essendo piana, si potrebbe approssimarla con un grande
numero di spire (di superficie dS ) equiorientate rispetto alla normale
G
n e con la medesima corrente i circolante nello stesso verso [figura
G
70]. Il momento meccanico, determinato dall’azione del campo B , su
una di esse vale
G
G G
G
G
d M = dm × B
d m = idSn
Il momento meccanico totale si ricava integrando su tutto il volume
G
G G
G G G G
M = i ∫∫ dSn × B = iSn
N× B = m× B
S
•
G
m
G
n
[ figura 70 ]
G G
− quando θ = 0 : m / /B (concordi)
(condizione di equilibrio stabile)
G G
(condizione di equilibrio instabile)
− quando θ = π : m / /B (discordi)
− per ogni altro valore di θ la spira, sotto l’azione del momento meccanico, ruota fino a raggiungere la
posizione di equilibrio stabile corrispondente alla situazione del momento di dipolo magnetico parallelo
al campo magnetico.
G
Si abbia una piccola spira di superficie S, posta in moto oscillatorio armonico in un campo B : lo studio
delle piccole oscillazioni permette di determinare il valore del campo. Ruotando la spira di un angolo θ,
rispetto alla posizione di equilibrio stabile, si determina un momento meccanico di reazione che tende a
riportarla nella posizione iniziale di equilibrio
d 2θ
− iSBsin θ = IO 2
dt
essendo i l’intensità della corrente circolante nella spira e I O il momento di inerzia rispetto all’asse del
momento meccanico. Riscrivendo
d 2 θ iSB
+
sin θ = 0
dt 2 IO
e determinando l’equazione dimensionale del coefficiente si ricava la pulsazione
2
⎡ iSB ⎤ ⎡ 1 ⎤
iSB
2
ω=
⎢
⎥ = ⎢ −1 ⎥ = ⎡⎣ ω ⎤⎦
IO
⎣ IO ⎦ ⎣ T ⎦
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Linearizzando l’equazione risolvente, ossia cercando la correlazione lineare fra causa ed effetto (fisica) e
sviluppando la funzione seno in funzione di θ (analisi, sviluppo di Mc Laurin) si ha
d 2θ
+ ω2 θ = 0
dt 2
Questa equazione differenziale del secondo ordine, lineare ed omogenea ammette come integrale generale
θ ( t ) = θ0 sin ( ω t + ϕ )
con ωt + ϕ la fase e θ0 l’ampiezza iniziale. La fase iniziale ϕ (come anche l’ampiezza iniziale) si calcola
tramite le condizioni iniziali del moto. Il moto è oscillatorio armonico di ampiezza costante e periodo di
oscillazione T vale
I
2π
T=
= 2π O
ω
iSB
Ricavando da tale relazione il valore del campo magnetico si ottiene
4π iS
B= 2
T IO
ENERGIA POTENZIALE MAGNETICA
Seguendo un procedimento analogo a quello illustrato nel caso del dipolo elettrico posto in un campo elettrico,
G
una spira percorsa da una corrente di intensità i posta in un campo B , quando risulta ruotata di un angolo θ
rispetto alla posizione di equilibrio stabile, possiede una energia potenziale magnetica
G G
Um = − m • B
G G G
G G
Confrontando le due relazioni M = m × B e U m = − m • B si deduce che
dU m
M=−
dθ
− quando θ = 0 : M = 0 e U m = − iSB
(minimo, energia potenziale magnetica massimo negativa)
− quando θ = π : M = 0 e U m = + iSB
(massimo, energia potenziale magnetica massimo positiva
PRINCIPIO DI EQUIVALENZA DI AMPÈRE
Una qualsiasi spira, percorsa da una corrente di intensità i, genera un
effetto equivalente ed indistinguibile da quello prodotto da un dipolo
magnetico purché i due momenti di dipolo magnetico siano uguali in
modulo, direzione e verso. Si consideri una generica spira (superficie S),
percorsa da una corrente di intensità i, immersa in un campo magnetico
e la si approssimi con N spire di superficie dS tutte equiorientate sia fra
G
loro sia rispetto alla normale n della superficie S [figura 71]. L’energia
potenziale magnetica di ogni singolo elemento è
G G
G
G G
G G
dU m = − dm • B = − idS nN
• B = − iB • ndS = − id Φ B
( )
S
G
m
G
ms
N
[ figura 71]
proprietà
commutativa
mentre quella complessiva è
G G
G
U m = − i ∫∫ B • ndS = − iΦ B
( )
S
G
G
Il campo B è solenoidale ( divB = 0 ) ed il flusso attraverso ad una qualsiasi superficie, che abbia come
contorno la spira data, è sempre lo stesso. Tale flusso si dice concatenato al circuito e l’energia potenziale
G
magnetica vale dU m = − iΦ B .
( )
55
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UNITÀ DI MISURA
•
Dalla relazione di Lorentz si ricava che il modulo del campo magnetico vale
G
FL
B=
qv sin θ
ed è possibile ricavare sia l’equazione dimensionale sia l’unità di misura
G
⎡ FL ⎤ ⎡ LMT −2 ⎤
= ⎡⎣C−1LT −1 ⎤⎦
[ B] = ⎢
⎥=⎢
−1 ⎥
θ
qv
sin
C
LT
⎦
⎣
⎦ ⎣
⎧
⎫
G
⎧ FL ⎫ ⎪ 1N ⎪ ⎧ 1N ⎫
{B} = ⎨
⎬=⎨
⎬=⎨
⎬ = {1T} → ( tesla )
⎩ qv sin θ ⎭ ⎪1C1 m ⎪ ⎩1A1m ⎭
s ⎭
⎩
− Una unità ammessa nel S.I. per il campo magnetico è {1G} = {10−4 T} ossia {1 gauss} = {10-4 tesla} .
− Il campo magnetico terrestre vale Bterra 10−5 T = 10−1 G
− Il campo magnetico generato dai superconduttori ha valore Bsup er 101 T
•
Il flusso del campo magnetico ha come unità di misura
G
Φ B = {BS} = {1T1m 2 } = {1W} = {1 weber}
{ ( )}
CAMPO MAGNETICO GENERATO DA CORRENTI
•
Conduttore filiforme: si consideri un conduttore filiforme percorso dalla corrente di intensità i e se ne
G
consideri un suo elemento infinitesimo di lunghezza d l [figura 72]. In un generico punto P dello spazio, a
G
G
G
distanza r = r u r il campo dB vale
G μ i G G
dB = 0 2 dl × ur
4π r
con l’osservazione che:
− μ 0 è una grandezza, detta permeabilità magnetica del vuoto, che
G
descrive il comportamento microscopico del mezzo (in questo
dl
caso il vuoto) e che dipende dal sistema di misura;
i
G G
G
P
G
− dB risulta normale al piano individuato dai vettori d l e u r con
r
ur
il verso definito dal loro prodotto vettoriale;
− la relazione NON ha significato fisico in quanto è incongruente
G
parlare di un elemento infinitesimo di circuito percorso da una
ut
G
corrente.
G
dB
G
G
G
G
Definendo un versore u t tangente al conduttore ( d l = dl u t ), la
uθ
ur
relazione si riscrive
G μ idl G G
[ figura 72 ]
(39)
dB = 0 2 ( u t × u r )
4π r
G G G
Considerando una terna ortonormale di versori u t × u r = u θ , la relazione (39) diventa
56
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•
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G μ idl G
dB = 0 2 u θ
4π r
Considerando il circuito completo, percorso dalla corrente stazionaria di intensità
i, il campo magnetico è l’integrale calcolato lungo la linea chiusa rappresentante
il circuito
i
G G
G μ0
μ0
d l × u r μ0
dl G G
dl G
=
B=
i
i
( u t × u r ) = i v∫ 2 u θ
4π v∫l r 2
4π v∫l r 2
4π l r
Tale relazione è conosciuta come II legge di Laplace.
Se r = cost , il modulo del campo è costante e la direzione è definita dal prodotto
G G
vettoriale ( u t × u r ) : tenendo conto della definizione di linea di campo, il luogo
G
dei punti equidistanti dall’elemento dl è una circonferenza contenuta in un piano
[ figura 73]
G
normale al vettore dato e con B tangente in ogni suo punto [figura 73].
G
Conduttore non filiforme: il conduttore abbia sezione calibra S0 e se ne consideri un elemento d l .
L’intensità della corrente è definita da i = jS0 per cui
G
G
G μ 0 idl × uG r μ 0 jS0d l × uG r
dB =
=
4π r 2
4π
r2
G
G
Considerando l’orientamento del vettore densità di corrente j coerente con d l , si può intercambiare il
segno di vettore
G
G μ 0 jS0 dl × uG r μ 0 S0 dl G G
μ 0 dW G G
μ jdW G G
μ jdW G
dB =
=
j
×
u
=
j × ur = 0 2 ( ut × ur ) = 0 2 uθ
r
2
2
2
4π
r
4π r
4π r
4π r
4π r
G μ dW G G
dB = 0 2 j × ur
4π r
E per un circuito chiuso
G μ
μ
μ
dW G G
j
j
G G
G
B = 0 ∫∫∫ 2 j × u r = 0 ∫∫∫ 2 dW ( u t × u r ) = 0 ∫∫∫ 2 dW u θ
4π W r
4π W r
4π W r
(
(
)
(
)
(
)
)
CAMPO MAGNETICO GENERATO DA CARICA IN MOTO
Il campo magnetico è correlato al moto di una carica con una velocità che non sia quella termica. Nel caso del
conduttore non filiforme, l’elemento infinitesimo considerato ha volume dW = S0 dl ed il numero delle cariche
libere contenute vale dN = ndW . Ognuna di esse si muove con una precisa velocità di deriva ed è possibile
G
G
allora definire il vettore densità di corrente j = nqv che fluisce nell’elemento conduttore. Il campo magnetico
G μ dW G G
dB = 0 2 j × u r
(40)
4π r
G
si può considerare come la risultante di tutti i campi magnetici B generati dalle d N cariche libere che
G
costituiscono la densità di corrente j , ossia
G G
G
dB = BdN = B ndW
(41)
G
Nella (40) sostituendo a j il suo valore
G μ dW
μ q G G
G G
dB = 0 2 ( nqv × u r ) = 0 2 ( v × u r ) ndW
4π r
4π r
e confrontandola con la (41) si evince che il campo magnetico generato da una carica in moto vale
(
)
57
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G μ q G G
B = 0 2 ( v × ur )
4π r
Nel medesimo sistema di riferimento la carica in moto genera un campo elettrico dato da [figura 74]
G
1 q G
E=
ur
G
4πε 0 r 2
P
E
G
e confrontando con la precedente espressione di B , si
r
deduce che
G
G μ0 G q G
G
μ0 G
B
G
B=
v × 2 ur =
v × 4πε0 E
ur
4π
r
4π
G
v
ossia
G
G G
(q)
B = ε 0μ 0 v × E
[ figura 74 ]
L’analisi dimensionale e numerica del coefficiente
permette di evidenziare che
1
1
[ε0μ0 ] = ⎡⎢ −1 ⎤⎥ = ⎡⎢ 2 ⎤⎥
⎣ LT ⎦ ⎣ v ⎦
2
⎛
⎞
1
1
1
ε 0μ 0 = ⎜
(c è la velocità della luce nel vuoto): c =
⎟ = 2
8
ε 0μ 0
⎝ 3 ⋅10 m s ⎠ c
Il campo magnetico generato da una carica in moto è dato dalla relazione
G 1 G G
B = 2 v×E
c
e si seduce il ruolo fondamentale delle cariche che si muovono con una velocità ben definita ed uguale per tutte
le cariche: la velocità termica non influenza minimamente il meccanismo di generazione del campo
G
G G
magnetico e la relazione fra v , B ed E vale per velocità v << c .
CAMPO MAGNETICO GENETRATO DA UN CONDUTTORE
PERCORSO DA CORRENTE
•
Lunghezza finita: il conduttore abbia lunghezza HK = 2l0 e sia
percorso dalla corrente di intensità costante i 0 . Si consideri un
riferimento con origine nel punto medio O del conduttore
G
[figura 75] e l’elemento i 0 dy a distanza y da O genera nel punto
P un campo definito da
G μ0 dyG × uG r
dB =
i0
4π
r2
il cui modulo è
μ i
(42)
dB = 0 02 sin θ dy
4π r
Osservando la figura si ricava
1 sin 2 θ
− x = r sin ( π − θ )
=
r2
x2
cos θ
y = −x
− x = y tan ( π − θ ) = − y tan θ
sin θ
x
differenziando dy =
dθ
sin 2 θ
e sostituendo nella (42) si ricava
58
θ∗
K
idy
y
O
HK = 2l0
θ
G
ur
π−θ
r
P
x
[ figura 75 ]
H
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μ0 i0
μ i
sin θ d θ = − 0 0 d ( cos θ )
4π x
4π x
G
L’elemento simmetrico − i 0 dy , a distanza − y da O, fornisce un contributo simile a quello dato dalla (43),
per cui
(43)
dB =
K
K
H
O
BP = ∫ dB = 2∫ d B
ed essendo θ la variabile di integrazione, si hanno i valori
− O :y=0→θ=π 2
cos θ = 0
∗
− K : y = l0 → θ = θ
cos θ∗
μ i cos θ∗
μ i
BP = −2 0 0 ∫
d ( cos θ ) = − 0 0 cos θ∗
0
4π x
2π x
Sempre osservando la figura si ricava
l0
cos ( π − θ∗ ) = − cos θ∗ =
2
l0 + x 2
e sostituendo si ricava
μ i
l0
BP = 0 0
(44)
2
2π x l0 + x 2
Si ricordi che le linee di campo sono circonferenze concentriche con
origine il conduttore [figura 76] e avendo definito la terna ortonormale
G G G
di vettori u t × u r = u θ la precedente relazione assume la forma
μ i
l0
BP = 0 0
2π x l 02 + x 2
•
•
G
ut
G
ur
G
uθ
[ figura 76 ]
Lunghezza indefinita: significa che il conduttore è filiforme con una lunghezza assolutamente prevalente
rispetto al suo diametro. Calcolando il limite per l0 → ∞ della relazione (44) si ricava
μ i
l0
μ i
B = lim 0 0
= 0 0
2
l0 →∞ 2π x
2π x
⎛x⎞
l0 1 + ⎜ ⎟
⎝ l0 ⎠
Tale relazione è nota come la relazione di Biôt-Savart
μ i
BP = 0 0
2π x
Spira circolare: il raggio della spira sia R, la corrente
G
circolante abbia intensità i0 costante ed punto P appartenga
G
i 0 dl
ur
[ figura 77 ]
all’asse della spira [figura 77]. Considerando l’elemento
G
i 0 d l , che risulta sempre tangente alla spira, il campo nel
R
θ
punto P è dato dalla relazione
G G
r
G μ
d l × ur
G
O
i0
G
dB = 0 i 0
(45)
dBn
dB
4π
r2
G
e si osservi che il versore u r risulta normale all’elemento
G
x
i 0 d l , quindi il modulo della relazione vale
G
dBt
μ0 i0
P
dB =
dl
4π r 2
mentre la direzione risulta ortogonale al piano contenete i due vettori del prodotto vettoriale. L’elemento
G
i 0 d l , diametralmente opposto a quello considerato, genera un campo uguale a quello definito nelle (45), ma
rispetto all’asse della spira, speculare a questo [figura 78].
59
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G
Determinando le componenti dei due campi dB rispetto all’asse ed in direzione normale, si osserva che le
G
due componenti dBn reciprocamente si compensano. Il campo complessivo risulta diretto lungo l’asse della
spira
μ i
dBP = 2dBcos θ = 0 02 cos θ dl
2π r
Il valore del coseno di θ si ricava ricordando che
G
r
dB
dB
R
R
n
θ
cos θ =
r
quindi
G
x
dBP
μ0 R
dBP =
i 0 dl
(46)
2π r 3
Una volta fissata la posizione del punto P, la distanza r
[ figura 78 ]
resta costante ed integrando la (46) per tutta la
semilunghezza della spira πR si ottiene
μ0 R
R2 μ
πR 2 μ i S μ m
i 0 3 v∫ dl = μ 0i 0 3 = 0 i 0 3 = 0 03 = 0 3
2π r πR
r
π
r
2π r
2π r
G
Il campo di induzione magnetica risulta parallelo e concorde con il momento magnetico m della spira e
(47)
BP =
1
poiché r = ( x 2 + R 2 ) 2 si ha
G
μ
BP ( x ) = 0
π
G
m
(x
3
2
+ R2 )2
G
: B∞ = 0
G
G
μ0 m
− quando x >> R
: BP π x3
Solenoide: si definisce solenoide un filo conduttore avvolto ad elica cilindrica di piccolo passo e raggio di
curvatura R costante. Tecnicamente il solenoide è equivalente ad una serie di N spire (di raggio R)
strettamente affiancate tutte percorse dalla corrente di intensità i 0 nello stesso verso.
Si definisce numero di spire per unità di lunghezza il
rapporto n = N l 0 , essendo l0 la lunghezza del
G
ni 0 dx
solenoide. Dato il riferimento in [figura 79] con
l’origine nel centro del solenoide e l’asse delle ascisse
R
r
coincidente con il suo asse, nel tratto dx circola la
P
θ
corrente ni 0 dx che genera nel punto P ( x ) un campo
x
x
− quando x → ∞
•
0
magnetico con modulo definito dalla relazione (47)
G
μ
R2
ni 0 dx
dB ( x ) = 0 ni 0 3 dx
(48)
2
r
r
θ2
Geometricamente si ha R = r sin θ e x − x 0 = −R cot θ
θ1
(attenzione al segno!) e differenziando
P
R
r
dx =
d
θ
=
d
θ
sin 2 θ
sin θ
Sostituendo nella (48) si ottiene
[ figura 79 ]
μ0
μ0
dB ( x ) = ni 0 sin θd θ = − ni 0 d( cos θ )
2
2
che integrata fra i valori cos θ1 e cos θ2 (i due angoli θ1 e θ2 sottendono dal punto P gli estremi del
solenoide) fornisce il risultato
60
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cos θ2
μ0
μ
ni 0 ∫
d( cos θ ) = 0 ni 0 ( cos θ1 − cos θ2 )
cos θ1
2
2
Essendo l’origine del riferimento posto nel centro del solenoide, si ricava
l0
+x
2
cos θ =
cos ( π − θ ) = − cos θ =
B(x) = −
1
2
2
2
⎛l
⎞
R +⎜ 0 + x⎟
⎝2
⎠
e sostituendo nel valore del campo si ottiene
⎛
μ
l0 + 2x
l0 − 2x
+
B ( x ) = 0 ni 0 ⎜
2
⎜ 4R 2 + l + 2x 2
2
R 2 + ( l0 − 2x )
(0
)
⎝
l0
per x = 0
: al centro del solenoide si ha BO ( x ) = nμ 0i 0
4R 2 + l02
2
per l0 >> R
l0
−x
2
⎛l
⎞
R2 + ⎜ 0 − x ⎟
⎝2
⎠
2
⎞
⎟
⎟
⎠
: si ha θ1 → 0 con cos θ1 → 1 e θ2 → π con cos θ2 → −1 ed il valore bel campo diventa
B = μ 0ni 0
Il campo all’interno di un solenoide risulta sufficientemente uniforme, anzi: tanto più il solenoide è lungo,
tanto più il campo è uniforme con tutte le linee di campo parallele all’asse del solenoide con orientamento
dalla polarità positivo o nord alla polarità negativa o sud.
AZIONE ELETTRODINAMICA DELLE CORRENTI ELETTRICHE
Dati due conduttori filiformi e complanari, percorsi dalle
G
correnti di intensità i1 e i 2 , si considerino i due elementi i1d l1
G
G
dB2
e i 2 d l2 paralleli fra loro e posti a distanza d 0 [figura 80].
G G
G
μ i
− Il campo dB1 = 0 12 d l1 × u1 , generato dalla
4π d 0
G
G
i1d l1
corrente i1 , determina su i 2 d l2 la forza magnetica
G
G
G
G
u1
dF12 = i 2 d l2 × dB1
(49)
G G
G
G
μ i
u
− Il campo dB2 = 0 22 dl2 × u 2 , generato dalla
2
d0
4π d 0
G
corrente i 2 , determina su i1d l1 la forza magnetica
G
G
G
G
dF21 = i1d l1 × dB2
(50)
dB1
G
G
I due versori u1 e u 2 hanno identica retta di azione e sono
G
G
legati dalla relazione u 2 = −u1 .
Sostituendo nelle (49) e (51) i rispettivi valori, le due forze si possono riscrivere come
1
G G
G
μ 0 i1i 2 ⎡ G
dF12 =
d l2 × d l1 × u1 ⎤
⎦
4π d 02 ⎣
G
G G
G
μ ii
dF21 = 0 1 22 ⎡d l1 × d l2 × u 2 ⎤
4π d 0 ⎣
⎦
(
(
)
)
(
)
(
)
2
Analizzando i doppi prodotti vettoriali si ricava
61
G
i 2 d l2
[ figura 80 ]
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ortogonali
G
G
G G
G
G G
G G
1 : d l2 • u1 d l1 − d l2 • d l1 u1 = − d l2 • d l1 u1
G G
G
G G G
G
G G
2 : d l1 • u 2 d l2 − d l1 • d l2 u 2 = + d l2 • d l1 u1
ortogonali
G
G
e si deduce che le due forze dF12 e dF21 hanno moduli uguali, stessa direzione e verso opposto (sono attrattive)
G
G
dF21 = − dF12
(
(
)
)
(
(
)
)
(
(
)
)
Per due conduttori filiformi rettilinei ed indefiniti, posti a distanza d 0 l’uno dall’altro e di lunghezza l0 ,
percorsi dalle correnti di intensità i1 e i 2 si ha
μ 0 i1
2π d 0
μ i
B2 = 0 2
2π d 0
B1 =
F12 = i 2 l0 B1
F21 = i1l0 B2
e i due moduli hanno valore
μ 0 i1i 2
l0 = F
2π d 0
Dividendo i moduli della forza per la lunghezza l0 si ottiene la forza per unità di lunghezza f = F l 0 agente
sui due conduttori
μ ii
f= 0 12
2π d 0
F12 = F21 =
•
− Fra due conduttori affiancati, percorsi da correnti nello stesso verso, si determinano forze attrattive.
− Fra due conduttori affiancati, percorsi da correnti in verso opposto, si determinano forze repulsive.
Definizione operativa dell’ampère: la corrente di intensità 1A è quella corrente che, circolando in due
conduttori paralleli e posti a distanza unitaria, determina fra loro una forza per unità di lunghezza pari a
μ
f= 0
2π
LEGGE DI AMPÈRE
•
Formulazione integrale: si consideri un conduttore
G
i
G
filiforme indefinito percorso dalla corrente di intensità i
u t uθ
che genera un campo (legge di Biôt-Savart)
G
ur
G μ0 i G
B=
uθ
G
2π r
G
G
G G
B
2π
(con u θ = u t × u r ). Calcolando la circuitazione di B lungo
r
una linea chiusa, orientata in accordo al verso di
θ
G
percorrenza della corrente [figura 81]
dl
G
G G μ0 1 G
figura 81]
[
v∫ B • dl = 2π i v∫ r u θ • dl
G
Se il tratto d l formasse un angolo θ con la direzione del campo, il prodotto scalare varrebbe [figura 82]
G
G
u θ • d l = dl cos θ = ds
G
con ds componente di d l lungo la direzione del campo con valore ds = r d θ .
La circuitazione vale
62
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(51)
G
G
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μ0
v∫ B • dl = 2π i v∫ dθ
(i)
Il valore dell’integrale dipende dal fatto che la linea chiusa risulti o
meno concatenata con il conduttore percorso dalla corrente
− Linea chiusa concatenata. L’angolo, con origine nel punto di
intersezione del conduttore con il piano contenente la linea chiusa,
che sottende la linea chiusa completa vale 2π .
G
B
[ figura 82 ]
r
dθ
ds
G
dl
G
Quindi l’integrale assume proprio tale valore e la circuitazione del campo B in tale caso risulta
G G
B
v∫ • dl = μ0i
Se la linea chiusa concatenasse più conduttori percorsi da correnti (concordemente o discordemente fra
loro) si otterrebbe
G G
B
v∫ • dl = μ 0 ∑ ik
k
e la sommatoria è di tipo algebrico.
− Linea chiusa non concatenata: per ogni tratto ds 1 di curva
± dθ
sotteso dall’angolo dθ , esiste un tratto ds 2 di curva sotteso
•
G
B ( r1 )
G
B ( r2 )
dall’angolo − d θ . Il valore dell’integrale risulta nullo [figura 83]
− Attenzione: nell’ipotesi che la linea chiusa fosse concatenata con
ds 2
ds1
il conduttore percorso dalla corrente, il valore dell’integrale di
circuitazione potrebbe essere sia positivo sia negativo. Ciò
figura 83]
dipenderebbe se l’orientamento della linea chiusa risultasse [
coerente con il verso di percorrenza della corrente.
− Validità: come per la legge di Gauss, la validità della legge di Ampère è assolutamente generale. Tale
legge viene utilizzata quando si presenta una precisa simmetria per cui conviene ricercare la linea di
integrazione rispetto alla quale il modulo del campo resti costante e la direzione sempre nello stesso
verso.
Formulazione differenziale: si abbiano più conduttori percorsi da
G
correnti di differente intensità i k ed ogni corrente generi un
jk
G
campo magnetico Bk .
G
G
G
nk
B=
Bk
(52)
Sk
k
∑
Si considerando una linea chiusa l , concatenata con i conduttori,
lungo la quale calcolare la circuitazione del campo. Ogni corrente
G
i k è correlata al flusso del vettore densità di corrente jk
attraverso ad una sezione del rispettivo conduttore. Per definire
tali sezioni, si consideri una generica superficie S che abbia come
contorno la linea chiusa: detta superficie intersecherà ogni
conduttore definendo una sezione S k [figura 84]. Ossia
G G
i k = ∫∫ jk • n k dS k
Sk
La circuitazione del vettore definito dalla (52) lungo la linea
chiusa vale
G G
G G
(53)
B
•
dl
=
μ
i
=
μ
0∑ k
0 ∑ ∫∫ jk • n k dSk
v∫
l
k
k
Sl
l
[ figura 84 ]
Sk
Il termine a secondo membro rappresenta la densità di corrente complessiva che fluisce attraverso alla
G
superficie Sl , che ha come contorno la linea chiusa. Infatti il flusso di jk risulta differente da zero
unicamente dove i conduttori intersecano la superficie Sl (determinando appunto le singole sezioni S k ),
63
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mentre ha valore nullo in tutti gli altri punti. La (53) si può riscrivere come
G G
G G
G G
B
•
dl
=
μ
j
•
n
dS
=
μ
∑
0
k
k
k
0
v∫l
∫∫S k
∫∫S j • n dS
l N
l
G
j
Applicando il teorema del rotore o di Stokes al primo membro (la superficie che ha come contorno la linea
chiusa data sia lo stesso di Sl )
JJJJGG G
G G
rot
∫∫ B • n dS = μ 0 ∫∫ j • n dS
Sl
Sl
e dovendo essere uguali i due integrali estesi allo stesso dominio di integrazione, si ottiene
JJJJGG
G
rot B = μ 0 j
− Validità: per correnti stazionarie, nell’equazione di continuità
G ∂ρ
divj +
=0
∂t
G
deve essere ∂ρ ∂ t = 0 (ossia ρ = cost ) per cui div j = 0 e nella precedente equazione
JJJJGG
div rot B = 0
( )
Se le correnti non fossero stazionarie
JJJJG
G
∂ρ
div rotB = − μ 0
∂t
( )
MUTUA INDUZIONE E AUTOINDUZIONE
•
Il circuito 1, avente lunghezza l1 e percorso dalla corrente di intensità i 1 ,
genera il campo magnetico
l1
G G
G
μ0
dl1 × u1
B1 =
i1
4π v∫l1 r12
G
i1d l1
G
u1
Il circuito 2, avente lunghezza l 2 e percorso dalla corrente di intensità i 2 ,
G
dS2
attraversato dalle linee di campo di B1 possiede un flusso concatenato
definito da [figura 85]
G G
⎡ ⎛μ
⎤
G
G G
d l1 × u 1 ⎞ G
G
0
n
dS
(54)
Φ 2 B1 = ∫∫ B1 • n 2 dS2 = ⎢ ∫∫ ⎜ v∫
•
⎟
n
2
2 ⎥ i1
G
2
2
⎢⎣ S2 ⎜⎝ 4π l1 r1 ⎟⎠
⎥⎦
S2
B1
G
essendo r1 la distanza fra l’elemento i1d l1 (circuito 1) e la superficie dS2
l2
G
orientata secondo la normale n 2 (circuito 2). Nella (54) la parentesi
[ figura 85 ]
quadra correla la geometria dei due circuiti e viene detta coefficiente di
mutua induzione del circuito 1 sul circuito 2
G
⎛ μ 0 dl × uG ⎞ G
M12 = ∫∫ ⎜ v∫ 1 2 1 ⎟ • n 2 dS2
⎜ 4π l
r1 ⎟⎠
S2 ⎝
1
G
Reciprocamente, il campo B 2 generato dal circuito 2 determina un flusso concatenato con il circuito 1
G G
⎡ ⎛μ
⎤
G
G G
d
l ×u ⎞ G
Φ1 B 2 = ∫∫ B 2 • n 1dS1 = ⎢ ∫∫ ⎜ 0 v∫ 2 2 2 ⎟ • n1dS1 ⎥ i 2
(55)
⎢⎣ S1 ⎜⎝ 4π l2 r2 ⎟⎠
⎥⎦
S1
( )
( )
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G
G
essendo r2 la distanza fra l’elemento i 2 d l2 (circuito 2) e la superficie dS1 orientata secondo la normale n1
(circuito 1). Nella (55) la parentesi quadra correla la geometria dei due circuiti e viene detta coefficiente di
mutua induzione del circuito 2 sul circuito 1
G
⎛ μ 0 d l × uG ⎞ G
M 21 = ∫∫ ⎜ v∫ 2 2 2 ⎟ • n1dS1
⎜ 4π l
r2 ⎟⎠
S1 ⎝
2
Quando i due circuiti sono indeformabili e fissi l’uno rispetto all’altro, i due coefficienti di mutua induzione
sono uguali e costanti
M12 = M 21 = M = cos t
− Flusso concatenato fra circuiti: ogni volta che un circuito, percorso da una corrente, determina un
flusso concatenato con un altro circuito anch’esso percorso da una corrente si ha reciprocamente
G
circuito 1 su circuito 2
: Φ2 B1 = M i 1
G
circuito 2 su circuito 1
: Φ1 B 2 = M i 2
( )
( )
Attenzione: non è tanto importante la sezione geometrica del circuito attraverso il quale si ha il flusso
concatenato del campo magnetico, quanto quella parte di esso attraverso la quale il flusso ha un valore
realmente differente da zero.
− Autoflusso concatenato: una corrente circolante in un circuito genera un campo magnetico, che
determina un flusso concatenato con il circuito stesso. Ossia
G
G
G G
⎡ ⎛ μ 0 d l × uG ⎞ G ⎤
Φ B = ∫∫ B • ndS = ⎢ ∫∫ ⎜ v∫ 2 ⎟ • ndS⎥ i
⎢⎣ S ⎝ 4π l r ⎠
⎥⎦
S
La parentesi quadra definisce la geometria del circuito e viene detta coefficiente di autoinduzione
G G
⎛ μ0 d l × u ⎞ G
L = ∫∫ ⎜ v∫
⎟ • n dS
2
4
r
π
S ⎝
l
⎠
ed il flusso concatenato diventa
G
Φ B = Li
( )
( )
PROPRIETÁ MAGNETICHE DELLA MATERIA
Il comportamento dei materiali in presenza di un campo magnetico è definito secondo tre differenti tipologie di
comportamento: materiali ferromagnetici, materiali diamagnetici e materiali diamagnetici.
• Materiali ferromagnetici: sono tutti quei materiali che presentano un comportamento simile a quello del
G
Fe ⋅ Fe 2 O 3 in presenza di un campo magnetico B0 1 . La contemporanea presenza della doppia polarità
(anche in piccole frazioni del materiale) e la caratteristica che detti poli siano localizzati in aree
circoscritte, suggeriscono che nelle predette aree possano essere definiti dei momenti di dipolo magnetico
G
m con un ben preciso valore (si ricordi che l’orientamento del vettore è dal polo negativo o polo sud al
polo positivo o polo nord). Le aree, nelle quali sono esplicitati i fenomeni magnetici, sono dette domini di
Weiss. Quando non agisce alcun campo magnetico esterno, la distribuzione dei momenti di dipolo
G
magnetico mk è del tutto casuale ed isotropa a causa dell’agitazione termica. Il loro valore medio risulta
G
pertanto nullo < m > = 0 [figura 86]. La presenza di un campo magnetico esterno determina su ogni singolo
G
G G
G G
dipolo magnetico un momento meccanico M k = mk × B0 (con un lavoro fornito U m = − m • B0 ) che tende ad
allinearlo lungo la direzione del campo. Inoltre quei domini di Weiss, che per motivi intrinseci presentano
G
G
un mk già allineato con B0 , tendono ad estendere la loro dimensione conglobando quelli circostanti.
1
In questo paragrafo si userà la convenzione che il pedice “0” sarà riferito alla grandezza che determina gli effetti nei materiali.
65
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Ciò implica che risulta quasi impossibile, cessando l’azione del campo
magnetico esterno, ritornare alle condizioni iniziali. Nel complesso il
G
G
materiale presenta una magnetizzazione definita da un momento di
G
B = 0:→ < m > = 0
dipolo magnetico, risultante dei singoli mk , con un valore medio
G
differente da zero < m > ≠ 0 . La direzione di tale campo di
G
magnetizzazione risulta allineato con quello di B0 [figura 86].
L’allineamento è direttamente proporzionale al’intensità del campo
magnetico ed inversamente proporzionale alla temperatura. Un tale
meccanismo spiega la forza attrattiva esercitata da un magnete
G
G
permanente su un pezzo di ferro: sotto l’azione del campo magnetico
B ≠ 0:→ < m > ≠ 0 G
G
B
del magnete permanente i vari mk dei domini di Weiss del ferro
subiscono un allineamento e nel complesso il ferro diventa, a sua volta,
un magnete con il suo polo sud affacciato al polo nord del magnete
permanente.
Un magnete permanente conserva lo stato di magnetizzazione per lungo
N S
S
N
tempo, pur essendo possibile determinare una perdita di
magnetizzazione tramite urti o aumentando al sua temperatura. Ogni
materiale ferromagnetico ad una temperatura superiore ad un ben
[ figura 86 ]
preciso valore (punto di Curie) perde la caratteristica di allineare i
G
momenti di dipolo magnetico dei domini di Weiss in direzione di B0 .
Il ferro, il cobalto, il nichel, il gadolinio ed un certo numero di leghe sono materiali ferromagnetici a
temperatura ambiente, altre leghe hanno un punto di Curie così basso da risultare ferromagnetiche
solamente a bassa temperatura.
L’analogia fra il campo magnetico generato da un magnete naturale e quello generato da una spira percorsa
da una corrente (principio di equivalenza) suggerì ad Ampère l’ipotesi che vi sia correlazione fra correnti
elettriche e proprietà magnetiche. Negli atomi dei materiali gli elettroni descrivono un moto orbitale attorno
al nucleo ed essendo cariche negative ciò è assimilabile ad una corrente circolante in una spira. Il moto
G
orbitale genera un campo magnetico descritto da un momento magnetico morb orbitale;inoltre gli elettroni
G
descrivono un moto di rotazione su se stessi detto spin e ad esso è associato un momento magnetico mspin di
G
spin. Se non agisse alcun campo esterno B0 , tali momenti magnetici presentano una distribuzione casuale.
Nei materiali ferromagnetici, diventa preponderante un fenomeno, detto interazione di scambio, che allinea
G
G
i momenti mspin entro domini ben definiti (i domini di Weiss) che acquisiscono un momento mk uguale alla
G
G
risultante dei vari mspin . Quando agisce un campo magnetico esterno B 0 , i momenti magnetici dei vari
domini tendono ad allinearsi concordemente alla direzione del campo esterno ed il materiale risulta
G
complessivamente magnetizzato con un campo B m ben definito.
Un solenoide, con n = N l 0 spire per unità di lunghezza e percorso
da una corrente di intensità i 0 , genera al suo interno un campo
magnetico definito da B0 = n μ 0i 0 quando la lunghezza risulta
assolutamente prevalente rispetto al suo diametro. Piegando il
solenoide ad anello (solenoide toroidale) il campo magnetico,
generato dalla corrente di intensità Ni 0 (essendo N il numero
complessivo di spire), può essere calcolato applicando la legge di
Ampère. Considerando una circonferenza di raggio r compreso fra il
raggio minimo rm e quello massimo rM , ossia rm ≤ r ≤ rM [figura 87]
G
G
B
•
dl
= 2πrB0 = Nμ 0i 0
0
v∫
66
G
B0
[ figura 87 ]
rm
rM
r
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N
i0
2πr
Se la struttura toroidale fosse sufficientemente sottile, con buona approssimazione risulterebbe rm rM R
e la (56) diventerebbe
N
B0 μ 0
i 0 = μ 0 ni 0
2πR
con n = N 2πR il numero di spire per unità di lunghezza.
G
− Introducendo un materiale ferromagnetico fra le spire di un solenoide, il campo magnetico B 0 (generato
dalla corrente di conduzione i 0 , circolante nel solenoide) determina la magnetizzazione del materiale
G
con un campo magnetico B m . Il campo magnetico complessivo risulta la sovrapposizione dei due campi
magnetici
G G
G
B = B0 + Bm
Si definisce permeabilità magnetica relativa del materiale il rapporto
B
km =
B0
(56)
B0 = μ 0
e per il materiale nel solenoide B = μ m B0 = nk m μ 0i 0 = nμi 0 B, avendo definito con
μ = k mμ 0
la permeabilità magnetica assoluta del materiale.
− Ciclo di isteresi magnetica: si desideri studiare il comportamento di un materiale ferromagnetico (con
permeabilità magnetica relativa k m ) posto all’interno di un solenoide, facendo variare il campo esterno
G
B 0 (variando la corrente di conduzione i 0 circolante nelle spire del solenoide) e rappresentando il
G
G
campo magnetico complessivo B in funzione di B0 [figura 88].
In assenza di campo magnetico esterno, i domini di Weiss del
materiale non presentano un qualche specifico allineamento.
B
G
A
Aumentando l’intensità di B 0 si determina un progressivo
allineamento dei momenti di dipolo magnetico dei domini
lungo la direzione del campo esterno fino a raggiungere la
H
saturazione di magnetizzazione del materiale corrispondente a
G
circa il 98% (punto A). Diminuendo l’intensità di B 0 fino ad
B0
annullarla, il materiale non perde del tutto lo stato di
magnetizzazione (punto H) in quanto i domini di Weiss hanno
K
subito una variazione di estensione per cui è variato anche il
valore del loro momento di dipolo magnetico. Si dice che il
materiale possiede una magnetizzazione residua. I materiali
C
ferromagnetici con piccola magnetizzazione residua si dicono
dolci e vengono utilizzati, ad esempio, negli elettromagneti per
[ figura 88 ]
i quali vi è la necessità di invertire il verso di magnetizzazione
senza un eccessivo dispendio di energia.
I materiali ferromagnetici con una alta magnetizzazione residua si dicono duri e sono utilizzati per i
G
magneti permanenti. Invertendo il verso di circolazione della corrente nel solenoide, il campo B0
subisce una inversione 180° ed il materiale ferromagnetico si rimagnetizza in verso opposto al
G
precedente fino a raggiungere il relativo punto di saturazione C. Diminuendo l’intensità di B 0 fino ad
annullarla, si evidenzia il punto K di magnetizzazione residua opposta a quella di H.
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Il diagramma completo costituisce il ciclo di isteresi magnetica e durante il processo viene dissipata
energia sotto forma di calore a causa della variazione di estensione dei domini di Weiss. L’area
compresa nel ciclo risulta proporzionale a tale energia.
È possibile definire le caratteristiche magnetiche di un materiale analizzando i valori della permeabilità
magnetica relativa e precisamente
G
G
− materiali ferromagnetici : B m >> B0 , quindi k m >> 1
G
G
− materiali paramagnetici : B m B0 , quindi k m 1 (leggermente superiori)
G
G
− materiali diamagnetici
: B m − B0 , quindi k m 1 (leggermente inferiori)
G
Il campo esterno B0 , in prima approssimazione dal punto di vista atomico, determina un aumento di
velocità degli elettroni che si muovono in una determinata direzione ed un rallentamento per quelli che
si muovono in direzione opposta. Ciò determina un campo di magnetizzazione antiparallelo al campo
inducente, quindi il campo magnetico totale è estremamente piccolo da essere considerato nullo. Il
fenomeno del diamagnetismo è sempre presente in tutti i materiali, ma essendo il suo effetto,
estremamente debole rispetto al ferromagnetismo ed al paramagnetismo, risulta mascherato.
• Correnti ampèriane superficiali di magnetizzazione: all’interno di un solenoide, con una corrente i 0
circolante nelle sue n spire per unità di lunghezza, si ponga un materiale ferromagnetico omogeneo con
permeabilità magnetica relativa k m (il significato di omogeneità implica sia densità sia k m costante). La
variazione dell’intensità del campo magnetico, quando fra le spire vi è il materiale ferromagnetico o quando
vi è il vuoto, vale
B − B0 = k m B0 − B0 = ( k m − 1) B0 = χ m B0
(57)
avendo definito la suscettività magnetica del materiale come χ m = k m − 1 . Dalla (57) si ricava
B = B0 + χ m B0
(58)
Riscrivendo la (58) si ha
B = μ 0 ( ni 0 ) + μ 0 ( nχ mi 0 )
B0
Bm
G
Il campo magnetico totale [figura 89] è la sovrapposizione del campo inducente B 0 (generato dalla corrente
G
di conduzione ni 0 che circola nelle spire del solenoide) e dal campo di magnetizzazione B m (generato dalla
corrente di magnetizzazione i m = n χ mi 0 , che si può pensare fluisca sulla superficie del materiale
ferromagnetico a contatto con le spire del solenoide). Tale corrente di magnetizzazione, risultato di
correnti di origine atomica (moto degli elettroni come è stato illustrato precedentemente), è detta corrente
ampèriana superficiale.
ni 0
=
G
B
G
B0
i m = nχ mi 0
+
G
Bm
ni 0
[ figura 89 ]
i m = n χmi0
68
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•
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Nel volume ΔW di un materiale magnetizzato vi siano Δ N suoi costituenti (atomi e molecole) con un
G
G
momento magnetico medio < m > ≠ 0 allineato con il campo esterno B 0 . La risultante di tutti tali momenti
magnetici, riferita all’unità di volume, vale
G
Δm Δ N G
G
G
G
Δm = Δ N < m >
=
<m>=n<m>
ΔW ΔW
Si definisce vettore di intensità di magnetizzazione o magnetizzazione media il rapporto
G
G Δm
M=
(valore medio)
ΔW
Passando al limite per ΔW → 0 (con il preciso significato illustrato nel paragrafo illustrante il vettore di
magnetizzazione) si ricava punto per punto il vettore di intensità di magnetizzazione o magnetizzazione
G
G dm
M=
dW
Si consideri un cilindro di materiale magnetizzato con superficie di base S ed altezza l 0 orientato lungo
G
G
l’asse z, coincidente con l’asse del cilindro. Il vettore di magnetizzazione sia M = M u z .
− Magnetizzazione uniforme: M = cost in tutti i suoi punti. Si
suddivida il cilindro in dischi di altezza dz , a loro volta
suddivisi in elementi di volume dW = dSdz con dS la loro
superficie laterale. Tali volumi risultano anch’essi magnetizzati
uniformemente e caratterizzati da un momento magnetico
[figura 90]
G
G
G
G
d m = M dW = M Sdz = M Sdz u z
(59)
Per il principio di equivalenza di Ampère, come effetto il prisma
magnetizzato di volume dW è equivalente ad una spira
nastriforme di altezza dz e superficie pari alla superficie
laterale dS percorsa da una corrente di magnetizzazione di m . Il
momento magnetico della spira vale
G
G
(60)
d mspira = di m dS u z
I due momenti devono essere uguali affinché l’effetto sia lo
stesso, uguagliando
G
G
di m dSu z = M Sdz u z
di m = M dz
Estendendo il ragionamento a tutti gli elementi di volume dW
del disco, le correnti di magnetizzazione circolanti sulle
superfici di separazione di elementi contigui si compensano
come effetto, mentre a causa della discontinuità non si ha alcuna
compensazione sulla superficie laterale del disco. Considerando
l’insieme di tutti i dischi che compongono il cilindro
magnetizzato, si ricava la corrente di magnetizzazione
complessiva
l0 G
i m = ∫ M dz = M l 0
(61)
0
Dividendo la corrente di magnetizzazione per la lunghezza l 0 si
ottiene la densità di corrente superficiale di magnetizzazione.
Tale densità è un vettore con
− modulo pari a jm,σ = i m l 0 = M ,
− direzione tangente al mantello del cilindro,
− verso definito dal prodotto vettoriale
G
G G
jm ,σ = M × n
69
G
G
M = M uz
[ figura 90 ]
l0
G
dm
G
d mspira
di m
dz
spira ideale
im
G
jm,s
G
M
G
n
im
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G
essendo n la normale in ogni punto del mantello laterale.
La relazione (61) deve essere riformulataG tenendo conto che il
G
vettore di magnetizzazione è un vettore M = M u z . Si consideri
una
magnetizzato (dove
G linea chiusa , parte interna al materiale
G
M ≠ 0 ) e parte esternamente (dove M = 0 ) e calcolando la
circuitazione si ricava [figura 91]
G
G
G G
B G
A G
l0 G
M
M
•
d
l
=
M
•
d
l
+
•
d
l
=
cos θ = M l 0 = i m
v∫
∫
∫B
∫0 M dl
A
esternamente
G
M
θ
dz
A
[ figura 91]
G
dl
dz
internamente
La circuitazione del vettore di magnetizzazione, lungo una
qualsiasi linea chiusa passante per un mezzo magnetizzato, è
correlata alla intensità della corrente ampèriana di
B
magnetizzazione.
− Magnetizzazione non uniforme: in tale situazione le correnti di magnetizzazione, circolanti sulle due
facce di una superficie di separazione fra elementi contigui, non si compensano. Significa che esistono
correnti di magnetizzazione circolanti all’interno del materiale magnetizzato.
Applicando il teorema del rotore o di Stokes alla relazione
G G
v∫ M • d l = i m
l
avendo cura di scegliere una qualsiasi superficie Sl che abbia come contorno la linea lungo la quale si
calcola la circuitazione
G G
G
∫∫ rot M × ndS = ∫∫ jm,ρ × ndS
Sl
Sl
Il dominio di integrazione è lo stesso e dovendo essere uguali gli integrali, sono uguali gli integrandi
G G
rot M = jm ,ρ
Risulta utile confrontare le equazioni relative alla polarizzazione di un dielettrico con quelle della
magnetizzazione di un materiale e precisamente
G G
⎧⎪uniforme
σp = P • n
− polarizzazione
:⎨
G
⎪⎩non uniforme ρ p = − div P
G G
⎧⎪uniforme
jp,σ = M × n
JJJJJG
− magnetizzazione : ⎨
G
⎪⎩non uniforme ρ p,ρ = rot M
INTENSITA DEL CAMPO MAGNETICO
Si consideri una campo magnetico generato sia da correnti di conduzione sia da materiali magnetizzati. La
legge di Ampère relativa ad una linea chiusa che concateni sia le correnti di conduzione sia i materiali
magnetizzati è scritta come
G
G G
G G
B G
•
=
+
M
d
l
i
B
•
d
l
=
μ
i
+
i
(
)
0
0
m
0
v∫l
v∫l μ 0
v∫l • dl
G
G
G G
G⎞ G
⎛B
B G
•
−
M
•
=
dl
dl
i
−
M
⎜
0
v∫l μ 0
v∫l
v∫l ⎝ μ 0 ⎟⎠ • d l = i 0
Si definisce intensità di un campo magnetico il vettore
G
G B
G
H=
−M
μ0
e la circuitazione assume la forma
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G
G
v∫ H • dl = i
0
l
Applicando il teorema di Stokes (qualsiasi superficie Sl che abbia come contorno la linea chiusa data)
JJJJJGG G
G G
rot
H
•
ndS
=
∫∫
∫∫ j0 • ndS
Sl
Sl
JJJJJG
G G
rot H = j0
− Si osservi che le correnti di magnetizzazione non compaiono esplicitamente, ma il vettore intensità di
G
G
G
magnetizzazione M , nella relazione B μ 0 − M , dipende dalla corrente di magnetizzazione
JJJJJG
G
G G
( rot M = jm,ρ ). L’equazione di stato del mezzo magnetizzato si determina ricercando le relazioni fra B
G
G
G
ed M oppure fra H ed M , con il vettore di magnetizzazione nel ruolo di variabile. È plausibile
immaginare che valga
G
G
G
M = χ m H = ( k m − 1) H
(
)
e ricordando le definizioni di permeabilità magnetica relativa e di intensità del campo magnetico
G
G G
G
G
G
G
B = μ 0 H + M = μ 0 H + μ 0k m H − μ 0 H = μH
G k −1 G
G
M = ( k m − 1) H = m
B
μ
(
)
MOMENTI MAGNETICI ATOMICI
Lo stato di magnetizzazione di un materiale ferromagnetico o paramagnetico si pone in relazione al momento
magnetico intrinseco (o di spin) dei suoi atomi il quale, a sua volta, è correlato al momento angolare. In
generale, si consideri una carica Q di massa M che ruoti su una circonferenza di raggio R con velocità periferica
G
G G G
v . La velocità angolare è definita dalla relazione v = ω× R .
G G
G
− Il momento angolare, rispetto all’asse di rotazione, vale L = R × mv ed essendo i tre vettori normali fra
loro, il modulo ha valore
L = MvR
− La carica durante la rotazione genera una corrente di intensità
Q
Q
1 Qv
i= =
=
T 2π R v 2 πR
e la circonferenza risulta essere una spira virtuale percorsa dalla corrente di intensità i che determina un
G
G
G
momento magnetico pari a m = iSn = qvRn 2 . Ricavando la velocità dalla relazione del momento
angolare e sostituendo
G 1Q G
L
m=
2M
G
G G
G
Attenzione: se Q > 0 si avrebbe m↑↑ L , se Q < 0 si avrebbe m↑↓ L .
Secondo la teoria quantistica, il momento angolare orbitale risulta multiplo intero della costante di Plank divisa
per 2π (tipograficamente si indica = = h 2π ), quindi
G
G 1Q L
m=
=
2M =
Se la carica considerata fosse quella dell’elettrone ( Q = − e ) e la massa fosse ovviamente quella dell’elettrone
G
m e , il momento intrinseco (o di spin) risulta essere il doppio del valore ottenuto mentre la relazione di m vale
sempre. Riscrivendo
71
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G
1⎛ e ⎞L
G
(62)
=⎟
m=− ⎜
2 ⎝ me ⎠ =
La parentesi tonda rappresenta il valore del momento magnetico relativo allo spin e viene detto magnetone di
Bohr il cui modulo vale
e
mB =
=
me
La relazione (62) assume la forma
G
G
1
L
m = − mB
2
=
MAGNETIZZAZIONE PER SATURAZIONE
Se tutti i momenti magnetici (atomici o molecolari) fossero equiorientati lungo una precisa direzione e con
G
valore m , il momento magnetico complessivo (o di saturazione) per unità di volume risulta pari al prodotto del
numero di elementi per unità di volume per il momento magnetico del singolo elemento
G
G
M saturazione = n m
(63)
Il numero di elementi per unità di volume è pari a
N
n =ρ A
M
3
essendo ρ la densità volumica ( kg m ), N A il numero di Avogadro (atomi/mole) ed M la massa molecolare
( kg / moli ). L’unità di misura della (63) è
⎧1A ⎫
⎬
⎩1m ⎭
{M } = ⎨
MATERIALI PAREMAGNETICI
Teli materiali sono caratterizzati dall’avere il valore della suscettività magnetica χ m leggermente positiva,
costante e dipendente dalla temperatura. I momenti magnetici intrinseci non interagiscono fortemente fra loro e,
G
in assenza di un campo magnetico esterno B0 , non presentano uno specifico allineamento (distribuzione
G G G
casuale). In presenza di un campo magnetico esterno, a causa del momento meccanico M = m × B0 , i momenti
magnetici intrinseci tendono ad allinearsi anche se l’agitazione termica molecolare tende a disallinearli. Nella
realtà operativa, i campi magnetici attualmente prodotti determinano un allineamento alla temperatura di pochi
G G
G
gradi kelvin. A temperature superiori, l’allineamento è sempre più scarso ed il campo magnetico B = B0 + B m
G
G
risulta piccolo. Si è visto che il lavoro per allineare un dipolo magnetico m lungo un campo B0 vale
⎧massimo valore per θ = π
G G
U m = − m • B0 = − m B0 cos θ ⎨
(64)
⎩minimo valore per θ = 0
e
e considerando un magnetone di Bohr ( mB =
= ) immerso in un campo magnetico di valore B0 1T , la
me
variazione di energia è
Δ U m = m B B0 − ( − m B B0 ) = 2m B B0
(65)
A temperature di tipo ambientale, l’energia termica è data da k BT ( k B è la costante di Boltzmann) e ha un
valore di circa 200 volte superiore a quello definito dalla (65).
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L’agitazione termica tende sostanzialmente a disorganizzare l’allineamento quindi il numero di momenti
magnetici intrinseci allineati risulta molto piccolo. Facendo crescere l’intensità del campo magnetico esterno a
valori molto elevati, è possibile allineare
i momenti magnetici intrinseci fino al valore di saturazione. Pierre
G
Curie scoprì sperimentalmente che M risulta inversamente proporzionale alla temperatura assoluta, poiché il
suo valore dipende dal rapporto fra l’energia potenziale massima di dipolo magnetico della (64) m B0 e
l’energia termica di riferimento k BT
G 1 m B0 G
M=
M saturazione
3 k BT
Si presti attenzione che il rapporto è un valore adimensionato.
EQUAZIONI DI MAXWELL PER I FENOMENI STRAZIONARI
I fenomeni stazionari risultano indipendenti dal tempo. Assumendo che le sorgenti del campo elettrico siano
cariche libere e le sorgenti del campo magnetico siano correnti stazionarie, nelle equazioni di Maxwell (scritte
in formulazione locale) gli operatori vettoriali hanno esclusivamente derivate rispetto alle coordinate spaziali e
non rispetto al tempo. Quindi
G G
G G
E = E ( x, y, z )
B = B ( x, y, z )
G 1
G
G
G G
divD = ρ 0
divE = ρ 0
(per un dielettrico polarizzato D = ε 0 E + P )
ε0
JJJJGG
rot E = 0
campo elettrico conservativo
G
divB = 0
campo magnetico solenoidale
G
JJJJJGG G
JJJJJG
G
G B
G
rot B = μ 0 j0
(per un mezzo magnetizzato H =
−M )
rot H = j0
μ0
INDUZIONE ELETTROMAGNETICA
•
Faraday ed Henry dimostrarono sperimentalmente che ad un campo magnetico variabile nel tempo è
associato un campo elettrico non conservativo. Quando sono verificate determinate condizioni fisiche, si ha
una forza elettromotrice indotta E i come effetto primario ed una corrente indotta i i come effetto
secondario.
Quando Maxwell cercò di rendere compatibili la conservazione della carica e le equazioni che descrivono
fenomeni variabili nel tempo, si rese necessario postulare che un campo elettrico variabile nel tempo risulta
associato ad un campo magnetico.
• I campi elettrici e magnetici variabili nel tempo non possono
G
esistere separatamente, ma definiscono un campo elettromagnetico.
Φ
(B)
d
Le soluzioni delle equazioni, che descrivono la propagazione in un
mezzo di tale campo, impongono che esso si propaghi con una ben
definita velocità secondo un fenomeno ondoso.
c
Nel circuito c , la f.e.m. E determina la circolazione di una corrente di
G
intensità i 0 che genera un campo magnetico B . Nel circuito d non
Ei
contenete alcuna f.e.m. [figura 92].
G
− Faraday scoprì che se il flusso Φ B del campo magnetico
+
E
[ figura 92]
concatenato subisse una variazione temporale, si genererebbe
una f.e.m. indotta Ei ;
•
( )
73
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− Lentz stabilì che l’effetto di Ei è tale da opporsi alla variazione della causa che l’ha generata (dovendo
valere la conservazione dell’energia)
In termini analitici il fenomeno è descritto dalla equazione
G
dΦ B
Ei = −
(effetto primario)(
dt
Si osservi che il circuito d , rispetto al quale si ha il flusso concatenato, potrebbe essere semplicemente una
linea chiusa: l’effetto della f.e.m. indotta è una proprietà intrinseca del fenomeno (effetto primario). Se il
circuito d fosse un circuito reale con resistenza elettrica R, allora si avrebbe la circolazione di una corrente
indotta i i = Ei R ossia
G
d
B
Φ
1
ii = −
(effetto secondario)
R dt
( )
( )
− Misurando la d.d.p. ai capi del circuito d a circuito aperto ( R = ∞ ), si avrebbe
G
dΦ B
ΔV = Ei = −
dt
Ossia le f.e.m. indotta risulta equivalente a quella prodotta da un generatore reale fra i cui poli la d.d.p. a
circuito aperto valga ΔV
− Considerando una spira conduttrice reale con inserito un generatore di f.e.m. E , immersa in un campo
magnetico variabile nel tempo, la legge di Ohm deve tenere conto sia della f.e.m. inserita della f.e.m.
indotta
G
⎡
⎤
d
B
Φ
i
i
⎥
i = ( E + Ei ) = ⎢ E −
R
R⎢
dt ⎥
⎣
⎦
La variazione di flusso concatenato del campo magnetico è possibile ottenerlo con svariate tecniche
( )
( )
− campo magnetico uniforme: per una traslazione rigida
G
sarebbe Φ B = cost la cui derivata temporale è nulla,
( )
circuito d rigido
nessuna f.e.m. indotta. Per una rototraslazione rigida sarebbe
G
Φ B ≠ cost : generazione di una f.e.m. indotta.
( )
− con un campo magnetico non uniforme, qualsiasi tipo di
G
spostamento determinerebbe un Φ B ≠ cost : generazione di
( )
circuito d deformabile
una f.e.m. indotta.
qualunque fosse il campo magnetico, si determinerebbe sempre
G
un Φ B ≠ cost e l’insorgere di una f.e.m.
( )
G
circuito d fisso, campo B uniforme
la variazione di flusso concatenato avverrebbe in presenza di un
materiale ferromagnetico.
la corrente che fluisce nel circuito c varia nel tempo ed il campo
circuito d fisso e k m = cost
magnetico generato è anch’esso variabile nel tempo, si avrebbe la
generazione di una f.e.m. indotta.
Analizzando la legge di Lentz, alla luce della conservazione dell’energia, è possibile capire meglio il significato
del segno meno che compare nell’equazione della f.e.m. indotta. Osservando la [figura 93], quando
G
− d Φ B dt > 0 : nel circuito reale d si genera un autoflusso che tende a compensare l’aumento di
G
G
G
Φ B . Alla corrente indotta i i è associato campo magnetico indotto Bi che risulta discorde con B ed
( )
( )
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il verso di circolazione della corrente indotta deve essere
G
coerente con il verso di Bi .
G
− d Φ B dt < 0 : nel circuito reale d si genera un autoflusso
G
che tende a compensare la diminuzione di Φ B . Alla
( )
•
G
B
( )
(
G
Bi
ii
corrente indotta i i è associato un campo magnetico indotto
G
G
Bi che risulta concorde con B ed il verso di circolazione
G
della corrente indotta deve essere coerente con il verso di Bi .
Si consideri una spira conduttrice rettangolare indeformabile che
G
G
trasli con velocità v in un campo magnetico B uniforme. Gli
elettroni liberi sono sottoposti all’azione del campo magnetico
G
G G
secondo la relazione di Lorentz FL = − e v × B ed il campo
elettromotore (non conservativo) vale
G
G
FL G G
= v×B
E em =
−e
la cui circuitazione lungo una linea chiusa definisce la f.e.m. indotta
G
G G
G G
(66)
Ei = v∫ E • dl = v∫ v × B • dl
G
B
ii
G
d Φ (B) dt > 0
G
G
Bi d Φ (B) dt < 0
[ figura 93]
)
G G
Tenendo presente che nel tempo d t la spira trasla rigidamente di un tratto d s = vdt [figura 94], ricordando
le proprietà del prodotto misto fra vettori, la relazione (65) diventa
G
G
G G G
⎛ ds G ⎞ G
⎛ G ds ⎞ G d
(67)
Ei = v∫ ⎜ × B ⎟ • d l = v∫ ⎜ d l × ⎟ • B = v∫ d l × ds • B
dt ⎠
dt
⎝ dt
⎠
⎝
Analizzando il significato dei vari prodotti
G G
− d l × ds : il suo modulo rappresenta l’area dSl
G
c
figura 94 ]
[
spazzata dallo spostamento d l durante la
G
traslazione di un tratto ds . Tale area è orientata
G
d
secondo la normale u n , la cui direzione è
definita dalla regola del prodotto vettoriale.
G dS
Ossia
lat
d
l
G G
G
d l × ds = dSl u n
G
G
G
G
G
G
un
− dSl u n • B = B • u n dSl = d Φ lat B : è il flusso del
G
B
campo magnetico attraverso alla superficie
G
G
ds
dSlat spazzata dallo spostamento d l durante la
G
traslazione di un tratto ds .
Quando la spira si sposta rigidamente, dalla posizione identificata da c alla posizione identificata da
G
d di tratto ds , spazza un’area laterale dStot . Il flusso totale attraverso a dStot è dato dall’integrale di
G
d Φ lat B esteso appunto al valore dS tot .
l
l
(
)
( )
( )
Attenzione: poiché dStot è una grandezza infinitesima (in quanto riferita allo spostamento infinitesimo
G
ds ), il valore dSlat risulta un infinitesimo di ordine superiore rispetto a dS tot .
Lo spostamento rigido della spira dalla configurazione c alla d definisce un virtuale parallelepipedo ed il
G
G
flusso di B attraverso alla spira è equivalente al flusso di B attraverso alla superficie chiusa del virtuale
G
parallelepipedo. Essendo il campo magnetico B solenoidale, il flusso complessivo è nullo e risulta dalla
somma dei flussi attraverso
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G
− alla spira nella posizione c , ossia − Φ1 B (entrante)
G
− alla spira nella posizione d , ossia Φ 2 B (uscente)
G
− alla superficie spazzata lateralmente, ossia d Φ tot B
G
G
G
− Φ1 B + Φ 2 B + d Φ tot B = 0
laterale
entrante
uscente
G
G
G
Φ 2 B − Φ1 B = − d Φ tot B
( )
( )
( )
( )
( )
( )
( )
( )
( )
variazione totale
di flusso durante
la traslazione
L’integrale che compare a secondo membro della (67) vale per quanto detto
G G G
G
d
l
×
ds
•
B
=
−
Φ
B
tot
v∫
(
)
( )
Quindi la f.e.m. indotta diventa
G
d
Φ
B
G
G
G
tot
d
Ei = v∫ dl × ds • B = −
dt
dt
ossia la forza elettromotrice indotta è data dalla variazione temporale del flusso tagliato dalla spira
durante la traslazione.
G
G
− Quando Φ1 B = Φ 2 B , la f.e.m. indotta è nulla, quindi il campo magnetico risulta uniforme.
(
( )
•
( )
)
( )
− Quando un circuito si muove in un campo magnetico, la forza di Lorentz agente sulle singole cariche
libere di conduzione determina un campo elettromotore indotto che tende a spostarle.
Formulazione differenziale della f.e.m. indotta: nella relazione
G
dΦ B
(68)
Ei = −
dt
sostituendo alla f.e.m. ed al flusso le loro definizioni analitiche, avendo l’accortezza di considerare una
qualsiasi linea chiusa l alla quale associare una generica superficie Sl che la contorni
G G
G
G G
Ei = v∫ E • d l
Φ B =w
B
∫∫ • n dS
( )
( )
Sl
l
La legge di Stokes impone che
JJJJG
G G
G G
Ei = v∫ E • dl = w
rotE
∫∫ • n dS
l
Sl
Sostituendo nella (68) le due relazioni si ottiene
JJJJGG G
G G
d
•
=
−
rotE
n
dS
B
w
∫∫S
w
∫∫S • n dS
dt
l
l
Nel secondo termine la derivata è calcolata rispetto al tempo, mentre l’integrale è calcolato rispetto alle
coordinate spaziali: le due operazioni sono quindi intercambiabili
G
JJJJGG G
dB G
w
∫∫S rotE • n dS = − w
∫∫S dt • n dS
l
l
Il dominio di integrazione è lo stesso e i due integrali devono essere uguali, quindi uguagliando gli
integrandi (attenzione: il campo magnetico e quello elettrico sono funzioni sia delle coordinate spaziali sia
del tempo, quindi la derivata deve essere espressa come derivata parziale)
G
JJJJJG
∂B
rotE = −
∂t
Attenzione: la definizione integrale e quella differenziale (o locale) della legge della induzione
elettromagnetica rappresentano una identica realtà fisica, tuttavia la loro applicazione è differente.
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−
G
G
G G
∂
v∫ E • d l = − ∂ t w
∫∫ B • n dS
l
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si applica tutte le volte che una linea chiusa è interessata alla variazione
Sl
temporale di un flusso concatenato di un campo magnetico.
G
JJJJGG
∂B
si applica o quando si considera la variazione temporale di un campo magnetico oppure
− rotE = −
∂t
quando si tratta un campo elettrico conseguente al moto di un circuito in un campo magnetico.
ESEMPI DI INDUZIONE ELETTROMAGNETICA
•
Una sbarretta conduttrice rigida (lunghezza HK = l 0 ) è
appoggiata agli estremi su due guide filiformi parallele,
interconnesse tramite un resistore di resistenza elettrica
G
R. Il sistema è immerso in un campo B uniforme e
normale al piano delle guide, la sbarretta vi muove con
G
una velocità v , partendo da ferma [figura 95].
Considerato il riferimento in figura, nel tempo dt la
sbarretta spazza un’area data da
dS ( t ) = l 0 vdt
G
G
attraverso la quale il flusso vale (sia n ↑↑ B )
G
G G
d Φ B = B • ndS = BdS = Bl 0 vdt
( )
[ figura 95 ]
G
B
H(−)
ii
R
G
v
l0
x
G
Bi
ii
K(+ )
La variazione temporale de flusso attraverso alla superficie vale
G
dΦ B
= Bl 0 v
dt
alla quale corrisponde una f.e.m. indotta
G
dΦ B
= − Bl 0 v
Ei = −
dt
Il circuito costituito dalla sbarretta, dai due tratti di guida e dalla loro connessione è sede di una corrente
indotta
Bl v
E
ii = i = − 0
R
R
e poiché l’area spazzata aumenta, la variazione temporale del flusso è definita positiva
G
dΦ B
>0
dt
e la legge di Lentz impone che, per contrastare l’aumento del flusso, la corrente indotta fluisca nel circuito
G
G
in verso orario al fine di generare un campo magnetico indotto Bi che sia opposto a B .
Il medesimo risultato potrebbe essere ottenuto partendo dalla considerazione che ogni elettrone della
G
G
G G
sbarretta è sottoposto all’azione, imputabile alla forza di Lorentz FL = − ev × B , del campo B . Ossia il
campo elettromotore
G
FL G
G G
= E em = v × B
−e
è orientato da H verso K: infatti gli elettroni (negativi) si muovono dal punto a potenziale minore H verso
quello a potenziale maggiore K ed il verso di circolazione della corrente è appunto quello orario. Nella
sbarretta esistono due campi elettrici [figura 96] e precisamente
( )
( )
( )
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G
− il campo elettromotore E em non conservativo, imputabile
all’azione del campo magnetico sugli elettroni di conduzione
della sbarretta conduttrice
G
− il campo elettrostatico E 0 conservativo, imputabile
all’accumulo degli elettroni all’estremo K ed alla loro
carenza all’estremo H, orientato da K verso H.
Il campo elettrico interessante la sbarretta e le guide è
G G
G
E = E em + E 0 e la sua circuitazione lungo il circuito
G
G G
G
G
Ei = v∫ E • dl = v∫ E em + E 0 • dl
(
)
G
G
G
G⎞ G
K G
l0 ⎛ G
× B⎟ • dl
Ei = ∫ E em • d l + v∫ E 0 • d l = ∫ ⎜ vN
H
0 ⎜ G G ⎟
⎝ v⊥ B ⎠
[ figura 96 ]
H
G
B
G
E0
G
v
G
F
ii
G
E em
K
solo sbarretta
passando dall’annotazione vettoriale a quella scalare e integrando
Bl v
E
ii = i = − 0
Ei = − Bl 0 v
R
R
G G
G
G
Il campo B esercita sulla sbarretta HK, percorsa dalla corrente i i , la forza F = i i l0 × B orientata in verso
opposto alla direzione del moto e tale forza risulta frenante.
•
G
Una spira conduttrice rettangolare (di resistenza elettrica R e superficie S, orientata secondo la normale n )
G
è vincolata a ruotare con attrito trascurabile attorno all’asse di simmetria OO′ con velocità angolare ω . Un
G
G
campo magnetico B , che forma un angolo θ ( t ) con la normale n , definisce un flusso [figura 97]
G
G G
Φ B = B × n S = BScos θ ( t )
b
G
[ figura 97 ]
L
ω
2
con θ ( t ) = ωt . Applicando la definizione di f.e.m. indotta, si
( )
ricava
(69)
Ei ( t ) = −
G
dΦ B
b
2
( ) = BSω sin ωt
O
dt
G
M
K
n
Ei BSω
ii ( t ) = =
sin ωt
(70)
R
R
θ(t)
a
O′
Le due relazioni sono pulsate secondo una legge sinusoidale con
periodo T = 2π ω ed il loro valore medio su un intero periodo è
G
H
nullo
B
1 T
Ei ( t )
< Ei ( t ) > = BSω ∫ sin ωt dt = 0
0
+ BSω
T
T
BSω 1
sin ωt dt = 0
< ii ( t ) > =
R T ∫0
Una f.e.m. ed una corrente che soddisfino tali condizioni sono
− BSω
dette forza elettromotrice alternata e corrente alternata.
G G
G G
Gli elettroni liberi della spira sono sottoposti alla forza di Lorentz, esercitata dal campo B , FL = − ev × B ed
il campo elettromotore non conservativo vale
G
FL G
G G
= E em = v × B
−e
il cui modulo vale (con v = ω b 2 )
1
E em = vBsin θ ( t ) = vBsin ωt = Bbω sin ωt
2
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Attenzione: nella semispira O′HKO il campo elettromotore è orientato verso l’alto, mentre nel semitratto
OLMO′ è orientato vero il basso. La definizione di forza elettromotrice impone che sia
G
G
G
G
G
G
K G
L G
M G
H G
E ( t ) = v∫ E em • dl = ∫ E em • dl + ∫ E em • dl + ∫ E em • dl + ∫ E em • dl
H
K
L
M
c
d
e
f
e analizzando i singoli integrali si ottiene
G
G
− lato HK: E em ↑↑ d l
1
1
c → E em a = Bωab sin ωt = BωSsin ωt
2
2
G
G
− lato KL: E em ⊥ d l
d→ 0
G
G
− lato KM: E em ↑↑ d l
1
1
e → E em a = Bωab sin ωt = BωSsin ωt
2
2
G
G
− lato MH: E em ⊥ d l
f→ 0
Sostituendo i valori nell’espressione della f.e.m. si ricava
G
G
E ( t ) = v∫ E em • d l = BSω sin ωt ≡ Ei ( t )
ed una identica relazione si ricava per la intensità della corrente, che risulta uguale a quella indotta.
La potenza in gioco vale P ( t ) = Ri
( BSω)
=
2
sin 2 ωt
R
G G G
Il lavoro meccanico per far ruotare la spira vale dL = M d θ , essendo M = m × B con
M = mBsin θ ( t ) = mBsin ωt . Sostituendo dL = mBsin ωt dθ = mBω sin ωt dt e dividendo per il dt si
ricava proprio la potenza
2
P(t)
( BSω)
=
R
I massimo valori che assumono E ( t ) , i ( t ) e P ( t ) sono
2
sin 2 ωt
( BSω)
BSω
i max ( t ) =
Emax ( t ) = BSω
Pmax ( t ) =
R
R
− Nelle applicazioni reali, la corrente i ( t ) è utilizzata in intervalli temporali certamente superiori al
periodo T ed in tale situazione il valore medio è differente da zero. Il valore medio della potenza in
gioco nell’intervallo temporale di un periodo vale
2
( BSω)
>=
2
1 T 2
sin ωtdt
R T ∫0
L’andamento della funzione sin 2 ωt è illustrato in [figura 98] ed il
suo valore medio nell’intervallo (0, T) è pari ad 1 2 , quindi il
valore medio della potenza è
< P(t)
P(t)
t
2
[ figura 98 ]
E2 ( t )
1 ( BSω)
(71)
< P(t) > =
= max
2 R
2R
È possibile supporre che la f.e.m. alternata (indotta) sia equivalente alla f.e.m. prodotta da un generatore
e ciò è plausibile a patto che, a parità di resistenza elettrica, la potenza erogata dal generatore e la
potenza media espressa dalla (71) siano uguali
2
Emax
E2
=
2R R
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ossia
E=
Emax
2
tale valore è detto valore efficace.
CORRENTI PARASSITE DI FOUCAULT
Un campo magnetico variabile nel tempo è associato ad un campo
elettrico non conservativo quando per un circuito conduttore è definita
una variazione temporale di flusso. Si consideri un conduttore massiccio
G
G
in moto con velocità v in un campo magnetico B , la variazione
temporale di flusso determina una f.e.m. indotta (effetto primario) e una
corrente indotta (effetto secondario). Se la resistenza del conduttore è
piccola, l’intensità della corrente è grande. Il campo elettromotore
G
G
G G
E em = v × B (non conservativo) è normale al campo B , per la legge di
G
Lentz si genera un autoflusso Φ Bi che tende a opporsi alla variazione
G
di Φ B e circola una corrente in direzione normale rispetto alla
( )
( )
G
E em
ii
G
B
G
v
[ figura 99 ]
direzione del campo magnetico [figura 99].
La grande potenza dissipata P = Ri 2 determina un riscaldamento notevole che viene utilmente sfruttato nei
forni ad induzione nei quali si fondono metalli con campi magnetici variabili nel tempo ad alta frequenza.
G
− Conseguenza del fenomeno delle correnti parassite è il
ω
freno
elettromagnetico
,
utilizzato
dispositivo noto come
[ figura 100 ]
nei moderni trasporti veloci di massa: un elettromagnete
G
posizionato sotto la vettura in prossimità dei binari genera
B
G
G
correnti parassite nelle rotaie con conseguente frenamento
r
ω B
S
del mezzo. Variando l’intensità della corrente di
eccitamento, si variano a piacere le condizioni di frenata.
d0
G
Si consideri un disco conduttore omogeneo (il materiale
ω
del disco abbia resistività ρ ) di massa m e spessore d 0 ,
ruotante attorno al suo asse di simmetria con velocità
G
G
G
angolare ω . Un campo magnetico B , con direzione
B
normale al disco, è applicato su una superficie S = l 02
G
v
r
posta a distanza r dall’asse di rotazione. Determinare il
momento meccanico della forza frenante.
G
E
d
Nell’intervallo temporale dt della rotazione la superficie
em
0
S descrive un arco di lunghezza ds = vdt = ωrdt ,
G
l0
l0
F
spazzando l’area d Σ = l 0 ds = l 0 ωrd t . Il flusso del campo
magnetico attraverso alla superficie dΣ vale [figura 100]
G
G
G
G G
E
ii d l
em
dΦ B = B
• nd Σ = Bd Σ = Bl 0 ωrd t
N
G
v
paralleli
La legge dell’induzione elettromagnetica impone che sia
G
G
G
dΦ B
G
B
B
Ei = −
= − Bl 0 ωr
F
dt
( )
( )
e per quanto detto, trattando le correnti di Foucault, si ha circolazione di una corrente indotta circolante
in una direzione normale alla direzione del campo magnetico (si ricordi che il campo elettromotore vale
80
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G
G G
E em = v × B
L’area S = l 02 della superficie del disco, sulla quale è applicato il campo magnetico, risulta equivalente
ad un conduttore di lunghezza l 0 e sezione l 0 d 0 il quale durante la circolazione della corrente presenta
una resistenza elettrica
l
ρ
R =ρ 0 =
l0d 0 d 0
La corrente indotta ha valore
E
Bωr
ii = i = −
l0d 0
R
ρ
G
con una circolazione di tipo radiale. Il campo B esercita sul predetto conduttore una forza
G G
G
B 2 ωr 2
F = iil0B = −
d 0l 0
F = i i l0 × B
ρ
Il cui momento meccanico rispetto all’asse di rotazione vale
G G G
B 2 l 02 r 2 ω
d0
M = r ×F
M =−
ρ
LEGGE DI FELICI
G
La legge della induzione elettromagnetica, applicata ad un circuito reale, impone che Ei = − d Φ B d t con una
( )
circolazione di corrente indotta
G
Ei
1 dΦ B
ii = = −
R
R dt
G
La relazione può essere riscritta come i i Rdt = − d Φ B e nell’intervallo temporale Δ t = t f − t i
G
tf
Φf
R ∫ i i dt = − ∫ d Φ B
( )
( )
Φi
ti
( )
Il primo integrale rappresenta la quantità complessiva di carica che viene spostata nel circuito a causa del
G
G
campo elettromotore (non conservativo), quindi Rq tot = Φ i B − Φ f B
( )
( )
G
G
1⎡
Φi B − Φf B ⎤
⎦
R⎣
La quantità complessiva di carica è indipendente dalla legge temporale dell’induzione elettromagnetica,
risultando semplicemente proporzionale alla differenza fra il valore iniziale e finale del flusso del campo
magnetico concatenato con il circuito.
• Misura del campo magnetico: operativamente la misura è fatta introducendo una sonda, costituita da una
bobina contenente da N avvolgimenti di piccola superficie S, nella regione ove esiste il campo da misurare.
La piccola superficie soddisfa la condizione che il flusso del campo magnetico risulti uniforme e valga da
G
Φ i B = NBS . Estraendo velocemente la sonda e spostandola in una regione dove non esiste campo
G
magnetico, si ha Φ f B = 0 : la legge di Felici definisce che
q tot =
( )
( )
( )
( )
Nq totS
NBS
B=
R
R
La misura è condotta alla determinazione della carica complessiva che fluisce durante il processo.
q tot =
CARICA E SCARICA DI UN CONDENSATORE
81
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Si consideri un circuito costituito da un generatore (f.e.m. costante E e resistenza interna trascurabile), un
resistore ohmico (resistenza elettrica R), un condensatore (capacità C) ed un interruttore collegati tutti in serie.
Un tale circuito è detto RC in serie [figura 101].
• Carica del condensatore: l’interruttore sia aperto, quindi nel circuito
non circola alcuna corrente e sulle armature del condensatore non
R
sono localizzate cariche elettriche. Analiticamente si ha
dq ( 0 )
+
E
t = 0 → q ( 0) = 0 → i ( 0) =
=0
dt
C
i
Chiudendo l’interruttore, inizia a fluire la corrente e sulle armature del
− +
B
A
condensatore iniziano a depositarsi le cariche fino a raggiungere il
massimo valore q 0 = C ΔV0 a cui corrisponde da d.d.p. ( VA − VB )
[ figura 101]
che è pari a f.e.m. E . Tutte le grandezze fisiche inerenti il processo di
carica descrivono un andamento transiente, cioè variano nel tempo
da un valore iniziale (nullo) ad un valore finale (massimo)
0 ≤ q ( t ) ≤ C ΔV0
ed anche le d.d.p. ai capi di resistore e condensatore risultano funzioni del tempo. Ad un dato istante del
processo di carica si ha
E = Δ VR ( t ) + Δ VC ( t )
e sostituendo ai simboli i rispettivi valori si ricava l’equazione differenziale del primo ordine e lineare
dq( t ) 1
1
E = Ri( t ) + q( t ) = R
(72)
+ q( t )
C
dt
C
Separando le variabili
dq( t )
1
= − d ⎡⎣ ln ( CE − q( t ) ) ⎤⎦ =
dt
CE − q ( t )
RC
e integrando fra i valori: per t = 0 si ha q ( 0 ) = 0 , per il generico tempo t si ha q
∫
q
0
−
−
−
dq( t )
1 t
=
dt
CE − q( t ) RC ∫0
− ln
CE − q ( t )
1
=
t
CE
RC
1
t ⎞
−
⎛
q( t ) = C E ⎜ 1 − e RC ⎟
⎝
⎠
1
t
dq ( t ) E − RC
= e
i(t) =
dt
R
ΔVR ( t ) = Ri ( t ) = E e
−
1
t
RC
1
t ⎞
−
⎛
1
RC
ΔVC ( t ) = q ( t ) = E ⎜1 − e ⎟
C
⎝
⎠
Come già sottolineato, tutte queste grandezze rappresentano fenomeni transienti e la rapidità di tali
transienti è pilotata dall’esponente della funzione esponenziale: dovendo essere adimensionato, la sua
equazione dimensionale è [1 RC] = [1 T ] e si definisce costante capacitiva di tempo la relazione
−
τ C = RC
La potenza erogata dal generatore vale
1
t
E 2 − RC
PG = Ei ( t ) = e
R
e la potenza dissipata dal resistore per effetto Joule vale
82
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1
t
E 2 − 2 RC
PR = Ri ( t ) = e
R
La potenza spesa per caricare il condensatore, corrispondente all’aumento della sua energia elettrostatica, è
data da
E2 − 1 t E2 −2 1 t
PC = ΔVCi ( t ) = e RC − e RC = PG − PR
R
R
ossia ogni istante, in ottemperanza al principio di conservazione dell’energia, si ha che PC = PR .
2
L’andamento temporale di q ( t ) e i ( t ) è rappresentato in [figura 102]
q(t)
i(t)
CE
[ figura 102]
E
R
t
t
Nella carica di un condensatore, metà dell’energia fornita dal generatore è dissipata per effetto Joule nel
resistore e metà è accumulata all’interno del condensatore sotto forma di energia elettrostatica.
Scarica del condensatore: sulle armature di un condensatore è localizzata la carica q 0 = C ΔV0 e vengono
cortocircuitate attraverso un resistore (resistenza elettrica R). Una corrente inizia a fluire nel circuito e le
cariche sulle armature diminuiscono dal valore iniziale q ( 0 ) = q 0 per t = 0 fino ad annullarsi quando
t → ∞ secondo la legge oraria
d
q(t)
dt
Eliminando il generatore nel circuito di [figura 103], la relazione in (72) diventa
dq( t ) 1
1
Ri( t ) + q( t ) = R
+ q( t ) =0
C
dt
C
i(t) = −
separando le variabili e integrando fra i valori iniziali q ( 0 ) = q 0 e finali q ( t → ∞ ) = 0 si ricava
dq ( t )
1 t
=
−
∫q0 q ( t ) RC ∫0 dt
q
ln
ossia
−
1
t
RC
−
q ( t ) = q 0e
−
i(t) =
−
ΔVR ( t ) = Ri ( t ) = ΔV0 e
= C ΔV0 e
−
1
t
RC
1
t
dq ( t ) ΔV0 − RC
=
e
dt
R
−
1
t
RC
83
q(t)
1
=−
t
q0
RC
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1
t
−
1
RC
− ΔVC ( t ) = q ( t ) = ΔV0 e
C
Anche in questi fenomeni la rapidità del transiente è pilotata dalla
costante capacitiva di tempo. In [figura 103] sono rappresentati gli
andamenti di q ( t ) e i ( t ) . L’energia elettrostatica posseduta dal
q(t)
C ΔV0
[ figura 103]
condensatore carico viene completamente dissipata dal resistore
per effetto Joule
ΔV02 −2 RC1 t
1 q 02
Ue =
→
PR = Ri ( t ) =
e
2 C
E
i(t)
Durante la carica/scarica del condensatore (esempio ad armature piane,
ma il ragionamento vale per qualsiasi condensatore) circola corrente
nel circuito, ma fra le armature non esiste alcun trasporto di cariche.
ΔV0
Per considerare ancora valida l’equazione di continuità, è opportuno
R
imporre che “qualcosa” con le caratteristiche di una corrente fluisca fra
le armature. La definizione di corrente è
G
dΦ B
dq ( t ) d
d⎛ S ⎞
d
i(t) =
= ( C ΔV ) = ⎜ ε 0 Ed ⎟ = ε 0 ( ES) = ε 0
dt
dt
dt ⎝ d ⎠
dt
dt
La corrente variabile nel tempo è posta in relazione alla variazione temporale del flusso del
campo elettrico attraverso alle armature. Tale relazione rappresenta l’artificio formale per
definire il moto di cariche nel condensatore, anche se al suo interno non si ha spostamento
materiale di cariche: l’espressione è detta corrente di spostamento.
( )
CIRCUITI INDUTTIVI
La corrente che circola in un circuito determina un flusso concatenato proporzionale all’intensità della corrente
G
Φ B = Li(t)
( )
Se l’intensità della corrente variasse nel tempo, se il circuito si muovesse all’interno del campo magnetico
generato o e il circuito variasse la sua geometria verrebbe generata una f.e.m. indotta data da
G
dΦ B
di ( t )
= −L
Ei = −
dt
dt
Il coefficiente L, legato alla geometria del circuito ed alla permeabilità magnetica del mezzo nel quale è posto il
circuito, viene detto induttanza. La validità della relazione è assolutamente generale, purché il tempo durante il
quale avviene il fenomeno sia molto maggiore del tempo impiegato dalla luce a percorrere uno spazio pari alle
dimensioni caratteristiche del circuito: altrimenti l’intensità della corrente non sarebbe costante
contemporaneamente in tutti i suoi punti. Un circuito nel quale sia L ≠ 0 si dice induttivo e se detta
caratteristica è localizzata in una sua specifica parte, essa è chiamata induttore ed il simbolo grafico è un
solenoide elicoidale. In presenza di materiali ferromagnetici ( k m >> 1 ) il fenomeno dell’autoinduzione è molto
spiccato, per i materiali paramagnetici e diamagnetici ( k m 1 ) il fenomeno è trascurabile.
Circuito RL: si consideri un circuito con un generatore (f.e.m. E costante), un induttore (induttanza L), ed un
resistore (resistenza elettrica R) ed un interruttore tutti in serie fra loro [figura 104]. Al tempo iniziale t = 0 ,
l’interruttore sia aperto per cui non si ha circolazione di corrente i ( 0 ) = 0 . Chiudendo l’interruttore, inizia a
( )
circolare corrente i ( t ) e nell’induttore si genera un campo magnetico che determina una f.e.m. indotta.
La legge di Ohm per il circuito impone che
(73)
E + E i ( t ) = Ri ( t )
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E−L
di ( t )
= Ri ( t )
dt
Separando le variabili
di ( t )
1
1
= − d ln ⎡⎣E − Ri ( t ) ⎤⎦ = dt
E − Ri ( t )
R
L
{
}
R
ed integrando fra il valore iniziale i ( 0 ) = 0 a t = 0 e i ( t ) al generico
istante t si ha
{
}
R t
∫0 d ln ⎡⎣E − Ri ( t )⎤⎦ = L ∫0 dt
i
E
i
⎡ E − Ri ( t ) ⎤
R
ln ⎢
⎥=− t
L
E
⎣
⎦
L
ossia
[ figura 104 ]
R
− t ⎞
E⎛
L
1
e
−
⎜
⎟
R⎝
⎠
−
i(t) =
−
Ei ( t ) = − L
−
ii ( t ) =
+
R
− t
di ( t )
= − Ee L
dt
Ei
E −Rt
=− e L
R
R
⎞
⎟
⎝
⎠
Tutte queste grandezze rappresentano fenomeni transienti e la rapidità di tali transienti è pilotata
dall’esponente della funzione esponenziale: dovendo essere adimensionato, la sua equazione dimensionale è
[ R L] = [1 T ] e si definisce costante induttiva di tempo la relazione
−
⎛
ΔVR ( t ) = Ri ( t ) = E ⎜1 − e
−
R
t
L
L
R
Quando t → ∞ , i ( ∞ ) = E R e i i ( t ) = 0 , la loro rappresentazione è in [figura 105]. Calcolando la differenza
τL =
i (∞) − i ( t ) =
R
− t ⎞
E E⎛
E − R t Ei ( t )
− ⎜1 − e L ⎟ = e L =
= ii ( t )
R R⎝
R
R
⎠
In definitiva
i (t ) = i (∞ ) − ii (t )
E
R
i(t)
ciò significa che durante il transitorio, oltre alla corrente deducibile
ii ( t )
con la legge di Ohm per il circuito puramente resistivo si aggiunge si
aggiunge una corrente (detta extracorrente di chiusura) che risulta
t
[ figura 105]
massima al tempo t = 0 di chiusura dell’interruttore e si annulla per
t → ∞ quando al corrente ohmica diventa stazionaria.
Staccando il generatore di f.e.m. e aprendo l’interruttore, la resistenza R del resistore tende all’infinito e
l’intensità della corrente circolante tende a zero. Tutto ciò non ha significato reale in quanto nell’induttore si
G
genera un autoflusso in rapida diminuzione d Φ B dt < 0 che determina (legge di Lentz) una f.e.m. indotta
( )
Ei > 0 . La corrente indotta aumenta considerevolmente ed in alcune situazioni può scoccare una violenta
scintilla fra i morsetti dell’interruttore (si arriva a saldare i morsetti ed il coltello di chiusura).
È plausibile pensare che in realtà la resistenza R aumenti fino a raggiungere un valore R ′ ( >> R ) , restando poi
costante per tutto il periodo durante il quale la corrente circolante passa dal massimo valore iniziale i ( 0 ) = E R
al valore finale i ( ∞ ) = 0
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R
R = cost ( R >> R )
→
E
i ( 0) =
→
i (∞) = 0
R
Utilizzando la relazione (73), nella quale E = 0 e si sostituisce R con R ′ , si ricava l’equazione
di ( t )
di ( t )
R′
−L
= R ′i ( t )
= − dt
dt
i(t)
L
′
′
e integrando fra i valori i ( 0 ) = E R (per t = 0 ) e i ( t ) (per il generico t) si ricava
−
−
′
E − RL t
e
R
′
di ( t )
R ′ − RL t
=E e
Ei ( t ) = − L
dt
R
i(t) =
Ei ( t ) E − RL′ t
− ii ( t ) =
= e
R′
R
Al tempo iniziale la corrente ha il massimo valore i ( 0 ) = E R e le f.e.m. indotta vale
R′
Ei ( 0 ) = E >> E
R
e tale valore indica l’esistenza di una extracorrente di apertura di forte intensità. Negli interruttori industriali
tali correnti devono essere assolutamente evitate e gli elementi dell’interruttore sono posti in mezzi ad alta
rigidità dielettrica (ad esempio olio minerale). La resistenza R′ viene detta resistenza di scintilla.
ENERGIA DEL CAMPO MAGNETICO
La presenza di una f.e.m. in un circuito sottende sempre un lavoro compiuto sulle cariche libere che,
muovendosi da un punto a potenziale maggiore verso uno a potenziale minore, determinano una corrente. Nelle
relazione (73), moltiplicando tutti i termini per l’intensità i, si ricava la potenza in gioco durante il processo
di
Ei = Ri 2 + Li
dt
ed il bilancio energetico vale
Eidt = Ri 2 dt + Lidi
con il significato dei vari termini
− dL G = Eidt : rappresenta il lavoro compiuto dal generatore per far circolare la corrente,
−
dL R = R i 2 dt : rappresenta il lavoro dissipato per effetto Joule nel resistore (circuito) durante la
circolazione della corrente,
rappresenta
il
lavoro
speso
− dL L = Lidi :
P
nell’induttore per contrastare la f.e.m. indotta
E2
affinché si abbia un aumento di della corrente
R
Ei
Ri 2
circolante.
Il lavoro complessivo è uguale alla somma degli integrali dei
singoli termini ed in [figura 106] sono rappresentati i loro
andamenti. A un dato tempo t, le aree sottese dalle singole
[ figura 106 ]
di
curve con l’asse dei tempi sono numericamente uguali ai
Li
rispettivi lavori (significato geometrico di un integrale) e
dt
quando la corrente raggiunge il valore stazionario si ha
t
E
E2
i ( ∞ ) = = cost
≠0
Ei ( ∞ ) = Ri 2 ( ∞ ) =
R
R
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Ciò implica che il generatore continua a fornire potenza per la circolazione della corrente in regime ohmico e
detta potenza è numericamente uguale a quella dissipata per effetto Joule.
Nell’intervallo temporale durante il quale la corrente passa dal valore iniziale i ( 0 ) = 0 al generico valore i ( t )
il generatore, per contrastare l’azione della f.e.m. indotta Ei , compie un lavoro pari a
i
1
L i = L ∫ idi = Li 2 = U intrinseca
0
2
Tale lavoro risulta indipendente dalla modalità con la quale la variazione di corrente è avvenuta, mentre risulta
uguale alla differenza fra il valore finale ed iniziale di questa. Il lavoro è un’energia che viene accumulata
all’interno dell’induttore dove viene generato un campo magnetico: l’energia viene detta energia intrinseca
della corrente e risulta uguale all’energia del campo magnetico alla fine del processo.
1
U intrinseca ≡ U m = Li 2
2
• Si consideri un solenoide di lunghezza l 0 , costituito da N spire conduttrici di raggio R percorse da una
corrente di intensità i. Se la lunghezza è prevalente rispetto al diametro, il campo magnetico interno vale
B = n μ 0i (con n = N l 0 il numero di spire per unità di lunghezza) e genera un autoflusso definito da
⎛ N2 ⎞
Φ ( B ) = NBS = ⎜ μ 0
S ⎟ i = Li
l
0
⎝
⎠
È facile definire l’induttanza per un tale induttore come
N2
N2
N2
L = μ0
S = μ 0 2 l 0S = μ 0 2 W = n 2 μ 0 W
l0
l0
l0
L’energia magnetica al suo interno è
1 2
1
B2
2
U m = Li =
W
( nμ 0i ) W =
2
2μ 0
2μ 0
E dividendo per il volume W si ricava la densità di energia magnetica per unità di volume u e = U e W
ue =
•
B2
2μ 0
Il confronto fra la densità di energia per unità di volume sia per il campo elettrico sia per il campo
magnetico conduce ad avere per il
G
G G
1
1G G
− campo elettrico : u e = ε 0 E 2 e poiché D = ε 0 E + P , se P = 0 si ricava u e = E • D
2
2
G
2
G B G
1B
1 G G
e poiché H =
− M , se M = 0 si ricava u m = H • B
− campo magnetico : u m =
2 μ0
2
μ
questa due relazioni hanno una validità assolutamente generale indipendentemente dal fatto che siano state
ricavate usando un condensatore piano o un induttore
1
1
B2
U e = ∫∫∫ ε 0 E 2 dW
U m = ∫∫∫
dW
2 W
2 W μ0
PRESSIONE ELETTROSTATICA
In un condensatore piano il campo elettrostatico al suo interno risulta uniforme, se viene trascurato l’effetto di
bordo, con orientamento dall’armatura positiva a quella negativa [figura 107]. L’energia elettrostatica vale
1
1
U e = ε 0 E 2 W = ε 0 E 2Sl 0
2
2
La forza elettrostatica viene definita come
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JJJJJJJG
G
d ⎛1
1
⎞G
2
2 G
Fe = − gradU e = −
⎜ ε 0 E Sl 0 ⎟ n = − ε 0 E Sn
dl 0 ⎝ 2
2
⎠
G
avendo indicato con n la normale all’armatura negativa sulla quale agisce
G
normalmente Fe
La definizione di pressione elettrostatica, esercitata sulle armature di
superficie S, è
F 1
pe = e = ε0E 2 ≡ u e
S 2
ossia è pari alla densità di energia per unità di volume.
[ figura 107 ]
G
E
G
n
+
−
PRESSIONE MAGNETICA
All’interno di un solenoide di lunghezza l 0 e raggio r, costituito da n
spire per unità di lunghezza percorse da una corrente di intensità i 0 , il
campo magnetico B = n μ 0i 0 risulta assiale ed uniforme. Su ogni
G
elemento i 0 d l di spira del solenoide tale campo magnetico esercita
G G
G
un’azione pari a dF = i 0 d l × B che risulta diretta radialmente verso
l’sterno [figura 108]. Nel volume di spazio all’interno del solenoide
l’energia magnetica vale
1 B2
1 B2 2
Um =
W=
πr l 0
2 μ0
2 μ0
La forza magnetica viene definita come
JJJJJJJJG
G
G
d ⎛ 1 B2 2 ⎞ G
B2
π
=
−
πrl 0 n
Fm = − gradU m = −
r
l
n
⎜
0⎟
μ0
dR ⎝ 2 μ 0
⎠
La definizione di pressione magnetica, esercitata sul “mantello” del
solenoide di superficie
Sl = 2πrl 0
F
1 μ0
pm = m =
≡ um
Sl 2
ossia è pari alla densità di energia per unità di volume.
G
dF
G
dl
i0
r
l0
G
Fm
G
n
[ figura 108 ]
MUTUA INDUZIONE
Fra due circuiti accoppiati (definiti completamente dalla loro
c
d
resistenza R, induttanza L e coefficiente di mutua induzione M) la
induzione mutua impone che valgano le relazioni
R1
L1
R2
L2
Φ12 = M i1
e
Φ 21 = M i 2
E(t)
ed il coefficiente di muta induzione M (che è il medesimo per i due
circuiti, dipende dai fattori geometrici dei circuiti e dalla permeabilità
∼
magnetica del mezzo nel quale i circuiti si trovano) vale
[ figura 109 ]
Φ
Φ
M = 12 = 21
i1
i2
Si considerino i due circuiti accoppiati rappresentati in [figura 109], analizzando cosa succede in ognuno di essi
si ha
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–
circuito c, nell'induttore L1
E L 1 = − L1
–
nel circuito d la f.e.m. indotta
E2 = −
–
circuito d, nell'induttore L 2
E L 2 = − L2
–
nel circuito c la f.e.m. indotta
E1 = −
dii 1
dt
d Φ12
di
= −M 1
dt
dt
dii2
dt
d Φ 21
di
= −M 2
dt
dt
Applicando la legge di Ohm, si ricava per il circuito
dii
di
c
: E i − L1 1 − M 2 = R1 i1
dt
dt
dii
di
d
: − L2 2 − M 1 = R 2 i2
dt
dt
e queste due equazioni differenziali presentano il coefficiente di accoppiamento definito da M.
Fisicamente si ha un intercambio di energia fra i due circuiti attuato mediante il campo magnetico variabile. Se
i due induttori fossero solenoidi di identica sezione S, si avrebbe
L1 = n12μ0 S ⎫⎪
⎬ → M = L1 L 2
L 2 = n 22μ0 S⎪⎭
ed il suo valore è la media geometrica delle due induttanze.
ENERGIA MAGNETICA DEI CIRCUITI ACCOPPIATI
Si considerino due circuiti accoppiati nei quali, chiudendo gli interruttori, circolino rispettivamente le correnti
i1 e i 2 . Analizzando in dettaglio cosa succede, si ha
− circuito c chiuso: i(0) = 0 → i1 = cost
(a regime),
−
−
−
−
circuito d aperto: i 2 = 0 ,
circuito c chiuso e corrente a regime i1 = cost ,
circuito d chiuso: i(0) = 0 → i 2 = cost
(a regime).
Il generatore c, per contrastare l'azione dell'autoinduzione, deve fornire l'energia (lavoro)
1
U1 = L1 i12
2
− il generatore c, per contrastare l'azione della induzione muta, deve fornire l'energia (lavoro)
t
t di
2
U 21 = E 21 i1 dt = M 21 i1
dt = M 21 i1 i 2
0
0 dt
− il generatore d, per contrastare l'azione dell'autoinduzione, deve fornire l'energia (lavoro)
1
U 2 = L 2 i 22
2
− L'energia complessiva (lavoro totale) in gioco è
1
1
U tot = U1 + U 21 + U 2 = L1 i12 + L 2 i 22 + M 21 i1 i 2
2
2
∫
∫
89
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e per il principio di reciprocità, ripetendo il medesimo procedimento invertendo i due circuiti si ha una identica
1
1
relazione U tot = L1 i12 + L 2 i 22 + M12 i1 i 2
2
2
Essendo gli stati iniziali e finali identici per i due casi, la variazione di energia magnetica deve essere la stessa,
cioè M12 = M 21 = M e per i due circuiti accoppiati si ha l'energia magnetica
1
1
U m = L1 i12 + L 2 i 22 + M i1 i 2
2
2
Attenzione: in aggiunta all'energia U1 , U 2 e U 21 = U12 i generatori devono erogare una energia aggiuntiva
R1 i12 dt e R 2 i 22 dt per determinare la circolazione della corrente nei rispettivi circuiti.
Uno spostamento relativo dei due circuiti, affinché la mutua induttanza vari di dM (restando costanti sia i1 che
i 2 ) implica che la variazione dell'energia magnetica di accoppiamento valga
dU m = i1i 2 dM
Determinando le f.e.m. indotte mutamente nel processo, ossia
d Φ 21
dM
E1 = −
= −i 2
dt
dt
dΦ
dM
E 2 = − 12 = −i1
dt
dt
si osserva che i due generatori devono spendere i lavori
dL12 = − E 1i1 dt = i1i 2 dM
dL 21 = − E 2i 2 dt = i1i 2 dM
Nel complesso il lavoro speso è dL = dL12 + dL 21 = 2i1i 2 dM ≡ dU m : la variazione di energia magnetica rende
conto semplicemente della metà dell'energia spesa dai generatori, la restante parte
serve a spostare fisicamente i due circuiti. La convenzione dei segni da associare al coefficiente M impone che
sia:
− M > 0 : i generatori erogano lavoro che
− aumenta l'energia magnetica,
− tale lavoro si comporta come fosse lavoro meccanico compiuto dalle forze del campo.
− M < 0 : i generatori assorbono lavoro che
− proviene dalla diminuzione dell'energia magnetica,
− tale lavoro si comporta come fosse lavoro meccanico compiuto contro le forze del campo.
CORRENTI DI SPOSTAMENTO
•
Correnti stazionarie: la legge di Ampère definisce che
JJJJGG
G
G G
B
•
dl
=
μ
i
rot
=
μ
B
(73)
0 0
0 j0
v∫
se le correnti sono costanti nel tempo i 0 = cost e ρ0 = cost . L’equazione della continuità, che esprime in
forma dinamica la conservazione della carica, impone che sia
G
G ∂ρ
∂ρ 0
(74)
div j0 + 0 = 0
= 0 → div j0 = 0
∂t
∂t
JJJJG
G
G
e la seconda relazione (73) definisce div rotB = μ 0 div j0 = 0 che verifica quanto asserito.
( )
90
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•
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Correnti non stazionarie: ad esempio, durante la carica o la scarica di un condensatore l’intensità della
corrente varia nel tempo i ( t ) secondo una legge un precisa legge temporale che è stata definita nei
precedenti paragrafi. Tale corrente si considera circolante in tutti i punti del circuito, anche se fra armature
del condensatore (dove vi è un dielettrico) non si ha alcun trasferimento reale di cariche. Tale fatto
impone che la conservazione della carica, enunciata secondo la relazione (74), deve essere riscritta per non
incorrere in una palese contraddizione di discontinuità nella circolazione della corrente. In una delle
armature “entra” la corrente i 0 ( t ) = + dq ( t ) dt , mentre dall’altra ne esce una i 0 ( t ) = − dq ( t ) dt .
91
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Si consideri una linea chiusa piana [figura 110], orientata secondo il
verso della corrente che fluisce nel conduttore contornato dalla linea: la
legge di Ampère definisce
∫ B • d l = μ 0i 0
e attraverso alla superficie S1 , che ha come contorno la linea chiusa
considerata
(superficie S1 )
∫∫ j0 • n dS = i 0
j0
S1
[ figura 110 ]
S1
Considerando una seconda superficie S2 , che ha come contorno la linea
chiusa considerata e che racchiude una selle due armature
(superficie S2 )
∫∫ j0 • n dS = 0
S1
j0
S2
j0
La discontinuità deve essere aggirata attraverso ad un qualche fenomeno
che definisca una virtuale corrente circolante fra le armature
j0
⎛
⎞
dΦ E
⎟
d
d
d⎜ S
d
i ( t ) = q ( t ) = ( CΔV0 ) = ⎜ ε 0 Ed 0 ⎟ = ε 0 ( ES) = ε 0
dt
dt
dt ⎜ d 0 ΔV ⎟
dt
dt
0
⎝ C
⎠
Tale corrente virtuale è detta corrente di spostamento i s ( t ) , che risulta definita da una densità di corrente
( )
di spostamento j s ( t ) e le due relazioni sono
is (t ) = ε0
( )
dΦ E
∫∫ j
dt
s
• n dS = i s
S2
All’interno della armature del condensatore esiste un campo elettrico che soddisfa alla relazione
divE = ε 0ρ 0
ρ 0 = div ε 0 E
( )
e derivando rispetto al tempo (attenzione: la densità volumica può essere funzione sia delle coordinate
spaziali sia di quelle temporali, quindi devono essere usate derivate parziali)
∂ρ 0 ∂
= div ε 0 E
∂t ∂t
La derivata è operata rispetto al tempo mentre la divergenza è calcolata rispetto alle coordinate spaziali,
quindi le due operazioni intercambiabili
⎛ ∂E ⎞
∂ρ
= div ε 0 E = div ⎜ ε 0
⎟
∂t
⎝ ∂t ⎠
e sostituendo nell’equazione (74) si ricava
⎛ ∂E ⎞
⎛
∂E ⎞
div j0 + div ⎜ ε 0
⎟ = div ⎜ j0 + ε 0
⎟=0
∂t ⎠
⎝ ∂t ⎠
⎝
Definendo una densità totale di corrente
∂E
jtot = j0 + ε 0
∂t
È possibile affermare che anche in presenza di correnti variabili nel tempo, la divergenza della somma delle
− densità di corrente di conduzione j0
( )
( )
− densità di corrente di spostamento js = ε 0
∂E
∂t
div jtot = 0
91
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EQUAZIONI DI MAXWELL PER FENOMENI VARIABILI NEL TEMPO
Quando vengono trattati campi elettrici e campi magnetici variabili nel tempo, le quattro equazioni di Maxwell
hanno la forma (per il vuoto
formulazione integrale
formulazione differenziale
1
1
divE = ρ 0
divD = ρ 0
∫∫S E • n dS = ε 0 q 0
ε0
∫ E • dl = −
( )
∂Φ B
rotE = −
∂t
∫∫ B • n dS = 0
S
∫ B • dl = μ 0i 0 + μ 0ε 0
∂B
∂t
D = ε0 E + P
H=
divB = 0
( )
∂Φ E
∂t
rotB = μ 0 j0 + μ 0 ε 0
∂E
∂t
rotH = j0 +
B
−M
μ0
∂D
∂t
CIRCUITO RLC IN SERIE
Si consideri un circuito costituito dai seguenti componenti collegati in serie fra loro: un resistore (resistenza
elettrica R), un induttore (induttanza L), un condensatore (capacità C) ed un interruttore [figura 111]. Al tempo
iniziale t = 0 l’interruttore sia aperto ed il condensatore sia completamente carico, ossia fra le due armature
esiste la d.d.p. ΔVC ( 0 ) = q 0 C . Alla chiusura dell’interruttore il condensatore perde cariche e fluisce una i ( t ) .
Fra i punti ABCDA la somma delle d.d.p. risulta nulla
⎞ ⎛
⎛
⎞ ⎛
⎞ ⎛
⎞
⎜V −V ⎟+⎜V −V ⎟+⎜V −V ⎟+⎜V −V ⎟ = 0
B
C
D
D
A
⎟ ⎜ C
⎜ A
⎟ ⎜ B
⎟ ⎜
⎟
=
V
V
E
⎠ ⎝ D A ⎠
i
⎝ ΔVR ( t ) ⎠ ⎝ ΔVC ( t ) ⎠ ⎝
Esplicitando si ricava
di ( t )
1
ΔVR ( t ) = −Ri ( t )
ΔVC ( t ) = − q ( t )
Ei = −L
C
dt
in quanto le cariche diminuiscono e i ( t ) = − dq ( t ) dt . Sostituendo e
R
B
A
i(t)
D
derivando rispetto al tempo si ha
d 2i ( t ) L di ( t ) 1
(75)
+
+
i(t) = 0
dt 2
R dt
LC
per comodità si ponga L R = 2γ e determinando l’equazione dimensionale di 1 LC
−
C
+
C
L
[ figura 111]
2
⎡ 1 ⎤ ⎡1⎤
⎢⎣ LC ⎥⎦ = ⎢⎣ T ⎥⎦
ha la dimensione di una pulsazione al quadrato ω02 = 1 LC . L’equazione (75) assume la forma
d 2i ( t )
di ( t )
(76)
+ 2γ
+ ω02i ( t ) = 0
2
dt
dt
una tale equazione differenziale è del secondo ordine, lineare a coefficienti costanti e completa. Nel corso di
Fisica I, relativamente al moto di una massa sottoposta all’azione della forza peso, di una forza di tipo elastico e
di una forza d attrito viscoso, è già stata analizzata. L’integrale generale della (76) è del tipo i ( t ) = e α t
derivando e sostituendo nell’equazione si ricava l’equazione algebrica caratteristica
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α 2 + 2γα + ω02 = 0
le cui radici sono
α1 = −γ − γ 2 − ω02
α 2 = −γ + γ 2 − ω02
Poiché sia e α1t sia e α 2 t sono integrali generali che soddisfano l’equazione (76), anche la loro combinazione è
ancora integrale generale. La realtà delle radici dell’equazione caratteristica dipendono dal segno del radicando
γ 2 − ω02 , ossia
−
γ 2 − ω02 > 0
−
− γ 2 −ω02 t
+ γ 2 −ω02 t ⎤
+ B1e
i ( t ) = e − γ t ⎡ A1e
(smorzamento forte)
⎢⎣
⎥⎦
γ 2 − ω02 = 0
: due radici reali e coincidenti, l’integrale generale è
: due radici reali e distinte, l’integrale generale è
i ( t ) = e − γ t [ A 2 + B2 t ]
(smorzamento critico)
Poiché γ 2 = ω02 , il valore della resistenza che si ricava è detta resistenza critica R = 2 L C .
−
γ 2 − ω02 < 0
: due radici complesse e coniugate, ponendo ω02 − γ 2 = ω2 l’integrale generale è
i ( t ) = e − γ t ⎡⎣ A 3e − i ωt + B3e + i ωt ⎤⎦
Attenzione: i ( t ) è una grandezza reale, quindi le due costanti di integrazione devono essere complesse e
coniugate. Applicando la relazione di Eulero per gli esponenziale complessi si ricava
i ( t ) = Ae − γ t sin ( ωt + θ0 )
(smorzamento oscillante)
L’ampiezza della oscillazione non è costante nel tempo in quanto decresce secondo la relazione
esponenziale e − γ t e ciò è imputabile all’effetto Joule che avviene nel resistore.
Le costanti di integrazione, che compaiono in ognuna delle tre relazioni, si determinano tramite le condizioni
iniziali del problema.
CIRCUITO LC IN SERIE
Nel circuito illustrato in [figura 111], quando R = 0 l’equazione risolvente diventa
d 2i ( t )
(77)
+ ω02i ( t ) = 0
2
dt
e l’equazione differenziale risulta del secondo ordine, lineare, a coefficienti costante ed omogenea. L’integrale
generale della (77) è del tipo
(78)
i ( t ) = K sin ( ω0 t + θ 0 )
(79)
ΔVC ( t ) + ΔVL ( t ) = 0
ΔVC ( t ) = − ΔVL ( t ) = L
di ( t )
= KLω0 cos ( ω0 t + θ 0 )
dt
di ( t )
= − KLω0 cos ( ω0 t + θ 0 )
dt
Le costanti di integrazione dipendono dalle condizioni iniziali del problema che si deducono tenendo presente
la legge di Ohm per il circuito presente
− Condensatore carico e induttore non percorso da corrente: le condizioni iniziali sono
⎧⎪i ( 0 ) = 0 = K sin θ0
t=0 ⎨
⎪⎩ΔVC ( 0 ) = ΔV0 = Ei = LK ω0 cos θ 0
⎛
ΔV0 ⎞
k=
⎜ θ0 = 0
⎟
ω0 L ⎠
⎝
In tale situazione le relazioni (78), (79) e (80) assumono la forma
(80)
Ei ( t ) = −L
93
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i(t) =
ΔV0
ω0 L
sin ω0 t
ΔVC ( t )
ΔVC ( t ) = ΔV0 cos ω0 t
Ei ( t ) = − ΔV0 cos ω0 t
i(t)
La rappresentazione dell’andamento di i ( t ) e di ΔVC ( t ) è data in
[figura 112] e si osserva che sono in quadratura di fase.
− Condensatore scarico e induttore percorso da corrente: le condizioni
iniziali sono
⎧⎪i ( 0 ) = i 0 = K sin θ0
π
⎛
⎞
K = i0 ⎟
t=0 ⎨
⎜ θ0 =
2
⎝
⎠
⎪⎩ΔVC ( 0 ) = 0 = LK ω0 cos θ0
[ figura 112]
In tale situazione le relazioni (78), (79) e (80) assumono la forma
π⎞
⎛
i ( t ) = i 0 sin ⎜ ω0 t + ⎟ = i 0 sin ω0 t
2⎠
⎝
π
ΔVC ( t ) = Li 0ω0 cos ⎛⎜ ω0 t + ⎞⎟ = − Li 0 ω0 sin ω0 t
2⎠
⎝
π⎞
⎛
Ei ( t ) = − i 0 Lω0 cos ⎜ ω0 t + ⎟ = − i 0 Lω0 sin ω0 t
2⎠
⎝
In tutti e due i casi illustrati, quando
− la corrente i ( t ) è massima: ΔVC ( t ) risulta nullo, quindi tutta l’energia è magnetica e localizzata
nell’induttore
1 2
Li 0
2
risulta massimo, quindi tutta l’energia è elettrica e localizzata nel
Um =
− la corrente i ( t ) è nulla: ΔVC ( t )
condensatore
1
2
U e = C ( ΔV0 )
2
Le due grandezze fisiche sono in quadratura di fase (ossia sfasate di π 2 ) e la somma delle due energia è
U e + U m = cost
ossia
⎧⎪ Li 02
1 2 1
2
Li 0 + C ( ΔV0 ) = ⎨
2
2
2
⎪⎩C ( ΔV0 )
in quanto non esiste dispersione di energia per effetto Joule
OSCILLAZIONI ELETTRICHE PERSISTENTI
Nel circuito rappresentato in [figura 111] il resistore dissipa potenza per effetto Joule e, nel caso di γ 2 − ω02 < 0 ,
l’ampiezza delle oscillazioni dell’andamento di i ( t ) risulta smorzata esponenzialmente. Inserendo nel circuito
un generatore E ( t ) [figura 113] che fornisca una potenza uguale a quella dissipata, le oscillazioni diventano
persistenti (l’ampiezza resta costante nel tempo). La f.e.m. prodotta dal generatore sia del tipo
E ( t ) = E 0 sin ωt
e l’equazione risolvente risulta essere
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di ( t ) 1
+ q ( t ) = E 0 sin ωt
dt
C
Derivando rispetto al tempo entrambi i membri si ottiene l’equazione
differenziale
E0ω
d 2i ( t ) L di ( t ) 1
+
+
i(t) =
cos ωt
2
dt
R dt
LC
L
Ri ( t ) + L
R
∼
per comodità si ponga L R = 2 γ e ω02 = 1 LC , quindi
d 2i ( t )
di ( t )
Eω
+ 2γ
+ ω02i ( t ) = 0 cos ωt
(81)
2
dt
dt
L
L’integrale generale della (81) è la somma di un integrale generale della
equazione omogenea associata (ossia il primo membro uguagliato a
zero) i oa ( t ) e di un qualunque integrale particolare i p che soddisfi
l’equazione differenziale data
i ( t ) = i oa ( t ) + i p
B
A
E(t)
C
D
C
L
[ figura 113]
− Integrale della omogenea associata: la tipologia è stata illustrata nel paragrafo relativo al circuito RLC
e tale integrale rappresenta sempre un fenomeno transiente
− γ 2 −ω02 t
+ γ 2 −ω02 t ⎤
+ B1e
se γ 2 − ω02 > 0
: i oa ( t ) = e − γ t ⎡ A1e
⎢⎣
⎥⎦
se γ 2 − ω02 = 0
: i oa ( t ) = e − γ t [ A 2 + B 2 t ]
se γ 2 − ω02 < 0
: i oa ( t ) = e − γ t ⎡⎣ A 3e − i ωt + B3e + i ωt ⎤⎦
− Integrale particolare: è scelto in funzione della forma analitica che rappresenta le f.e.m. del generatore,
ossia
→
i p = K sin ( ωt + ϕ )
⎪⎧E ( t ) = E 0 sin ωt
quando ω ≠ ω0 ⎨
→
i p = K sin ( ωt + ϕ )
→
i p = K cos ( ωt + ϕ )
⎪⎩E ( t ) = E 0 cos ωt
→
i p = K cos ( ωt + ϕ )
⎧⎪E ( t ) = E 0 sin ωt
quando ω = ω0 ⎨
→
i p = K sin ( ωt + ϕ )
⎪⎩E ( t ) = E 0 cos ωt
Calcolando le derivate temporali prime e seconde di i p = K sin ( ωt + ϕ ) e sostituendo nella (81) si ricava
E0 ω
cos ωt
L
dopo aver svolto sin ( ωt + ϕ ) e cos ( ωt + ϕ ) , uguagliando i coefficienti dei termini sin ωt e cos ωt , si ricava un
K ( ω02 − ω2 ) sin ( ωt + ϕ ) + 2 γ K cos ( ωt + ϕ ) =
sistema di due equazioni nelle incognite K e ϕ
⎧sin ωt) : K ⎡( ω2 − ω02 ) cos ϕ − 2 γ sin ϕ⎤ = 0
⎣
⎦
⎪
⎨
Eω
⎪cos ωt) : K ⎡( ω2 − ω02 ) sin ϕ − 2 γ cos ϕ⎤ = 0
⎣
⎦
⎩
L
Risolvendo si ottiene
E0
K (ω) =
⎛
1 ⎞
R + ⎜ωL −
⎟
ωC ⎠
⎝
e l’integrale della equazione (81) ha la forma
ϕ ( ω ) = atan
2
2
95
ωL −
R
1
ωC
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i ( t ) = i oa ( t ) + K ( ω ) sin ⎡⎣ωt + ϕ ( ω ) ⎤⎦
transiente
•
persistenza
Considerazioni: quando in un circuito RLC in serie si applica una f.e.m. pulsata del tipo E ( t ) = E 0 sin ωt ,
terminato il transiente rappresentato da i oa ( t ) si innescano oscillazioni persistenti aventi l’ampiezza costante
nel tempo. La corrente circolante risulta del tipo i p = K ( ω) sin ⎡⎣ωt + ϕ ( ω) ⎤⎦ :
− l’ampiezza risulta funzione delle pulsazione della f.e.m. del generatore, del valore massimo E 0 e dei
parametri resistenza, induttanza e capacità;
− lo sfasamento ϕ ( ω) fra le f.e.m. E ( t ) e la corrente i ( t ) e l’ampiezza K ( ω) delle oscillazioni
persistenti sono indipendenti dalle condizioni iniziali, che pilotano semplicemente la parte transiente del
fenomeno.
RISONANZA
L’ampiezza delle oscillazioni persistenti K ( ω) presenta un massimo quando il denominatore assume il valore
minimo e ciò avviene quando
1
1
ω2 =
= ω02
ωL −
=0
ωC
LC
con ω 0 =
1 LC la pulsazione caratteristica del sistema e ω la pulsazione indotta. In tale situazione lo
sfasamento ϕ ( ω) risulta nullo. Quando si verificano tali condizioni, si parla del fenomeno di risonanza che
risulta sempre più evidente quanto più e piccolo il valore della resistenza R del resistore
e se
ω = ω0 → ϕ ( ω ) = 0
R →0
K ( ω) → ∞
Nella situazione di risonanza, nel circuito RLC circola una corrente di intensità
E
i ( t ) = 0 sin ωt
R
esattamente come se il circuito fosse puramente resistivo.
Annullando il denominatore di K ( ω) si ha
1
= ±R
ωC
e l’ampiezza delle oscillazioni persistenti assume il valore massimo costante
E0
K max =
= cost
R 2
• Si definisce larghezza di risonanza la differenza fra due valori della pulsazione indotta per
ω1 < ω0
ω 2 > ω0
in corrispondenza del valore di annullamento del denominatore.
1
R
1
ω12 + ω1 −
=0
ω1L −
= −R
ω1C
L
CL
ωL −
ω02
ω2 L −
1
= +R
ω2 C
ω22 −
R
1
ω2 −
=0
L
CL
ω02
Risolvendo le due equazioni e scartando le radici negative, si ricava
96
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2
R
⎛ R ⎞
2
ω1 = − + ⎜
⎟ − ω0
L
⎝ 2L ⎠
La larghezza della risonanza vale
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2
R
⎛ R ⎞
2
ω1 = + + ⎜
⎟ − ω0
L
⎝ 2L ⎠
Δω = ω2 − ω1 =
R
L
ed il prodotto delle due pulsazioni
2
2
⎛ R ⎞ ⎛ R ⎞
2
2
ω 0 = ω1 ω 2
ω1ω2 = − ⎜
⎟ +⎜
⎟ + ω0 = ω0
⎝ 2L ⎠ ⎝ 2L ⎠
La pulsazione propria ω 0 risulta medio proporzionale fra le due
•
[ figura 114 ]
K(ω)
Δω
ω1 ω0
ω2
pulsazioni ω 1 e ω 2 , ciò implica che le due pulsazioni non risultano
equidistanti da ω 0 per cui la curva che rappresenta la risonanza non è
simmetrica rispetto ad ω 0 [figura 114].
Fattore di merito: la larghezza della risonanza può essere riscritta
R
Δ ω = ω0
ω0 L
ed il fattore di merito viene definito come
L
Q = ω0
R
Si osservi che Δω = ω0 Q , quindi
ω
L
Q = 0 = ω0
Δω
R
e questo fatto implica che tanto è più stretta l’ampiezza di risonanza tanto più è alto il fattore di merito: la
resistenza elettrica è piccola rispetto al prodotto ω0 L . In un circuito RLC con un generatore E ( t ) circola
sostanzialmente una corrente quando la pulsazione esterna ω del generatore risulta molto prossima alla
pulsazione caratteristica del circuito.
CIRCUITI ELETTRICI IN ALTERNATA
Una qualunque grandezza X si definisce alternata quando risulta periodica ed il suo valore medio, calcolato
sul periodo T, è nullo
1 T
〈 X ( t )〉 =
X ( t ) dt = 0
T 0
Una forza elettromotrice o una corrente si definiscono alternate quando variano periodicamente secondo una
relazione analitica sin ω t o cos ω t .
• Limite di validità: affinché l'intensità della corrente i(t) si possa considerare costante in tutti i punti del
circuito, la variazione temporale deve essere lenta rispetto al tempo impiegato dalla luce a percorrere una
distanza pari alla dimensione tipica del circuito
d
2π
>> 0
T=
ω
c
Nella presente trattazione, il generatore produce una forza elettromotrice alternata esprimibile dalla
relazione E (t) = E 0 cos ωt e la corrente che circola nel circuito ha intensità i(t) = i 0 cos ω t .
∫
•
Resistore: il valore della resistenza sia R [figura 115]
− E(t) = E 0 cos ω t : la legge di Ohm definisce che l'intensità della corrente nel circuito vale
97
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E(t) E0
= cos ωt = i 0 cos ωt
R
R
essendo i 0 = E0 R il valore massimo. La corrente circolante
i(t) =
−
ΔVR ( t ) = Ri(t) = Ri0 cos ωt = ΔV0 cos ωt
R
[ figura 115]
essendo ΔV0 = Ri 0 il suo valore massimo. La d.d.p. ΔVR ( t ) è
•
ΔVR ( t )
E(t) ∼
i(t) risulta in fase con E(t) .
i(t) = i 0 cos ωt : calcolando la d.d.p. ai capi del resistore si ha
in fase con i(t) ed il comportamento del resistore risulta essere
indipendente dalla pulsazione ω.
Induttore: il valore dell'induttanza sia L [figura 116].
− E (t) = E 0 cos ωt : la legge di Ohm E i (t) + E(t) = 0 , con
E i (t) = − L di(t) dt , permette di calcolare l'intensità della
E(t) ∼
ΔVL ( t )
L
corrente circolante nel circuito, ossia integrando
di(t) E i (t) E 0
=
= cos ωt
dt
L
L
si ricava
[ figura 116 ]
E0
π⎞
⎛
i(t) =
sin ωt = i 0 cos ⎜ ωt − ⎟
ωL
2⎠
⎝
essendo i 0 = E0 ω L il suo valore massimo. La corrente circolante i( t) ha un ritardo di fase pari a
Δθ = π 2 rispetto alla f.e.m. E(t) .
−
i(t) = i 0 cos ωt : calcolando la d.d.p. ai capi dell'induttore si ricava ΔVL ( t ) = L di(t) dt , da cui
π
ΔVL ( t ) = − ω Li0 sin ωt = ΔV0 cos ⎛⎜ ωt + ⎞⎟
2⎠
⎝
essendo ΔV0 = ωLi 0 il suo valore massimo. La d.d.p. ΔVL ( t ) ha un anticipo di fase pari a Δ θ = π 2
•
rispetto alla corrente circolante.
La reattanza dell'induttore è la grandezza ω L ed il comportamento dell'induttore risulta essere lineare e
pilotato della pulsazione ω.
Condensatore: la capacità sia C [figura 118].
− E(t) = E 0 cos ωt : la legge di Ohm ΔVC ( t ) + E ( t ) = 0 , con
ΔVC ( t ) = q ( t ) C , permette di calcolare l'intensità della corrente
ΔVC ( t )
E(t) ∼
circolante nel circuito, ossia
q ( t ) = C E ( t ) = C E0 cos ωt
C
e derivando rispetto al tempo si ricava
dq ( t )
π⎞
⎛
[ figura 118 ]
= − CE 0 ω sin ωt = i 0 cos ⎜ ωt + ⎟
i(t) =
dt
2⎠
⎝
essendo il suo valore massimo i 0 = ω CE 0 . La corrente circolante i(t) ha un anticipo di fase pari a
Δθ = π 2 rispetto alla E ( t ) .
−
i(t) = i 0 cos ωt : calcolando la d.d.p. ai capi del condensatore si ricava ΔVC ( t ) = q ( t ) C , da cui si ha
ΔVC ( t ) =
1
1
q (t) =
C
C
i0
t
i0
⎛
π⎞
∫ i ( t ) dt = ω C sin ωt = ω C cos ⎜⎝ ωt − 2 ⎟⎠
0
essendo ΔV0 = i 0 ω C il suo valore massimo. La d.d.p. ΔVC ( t ) ha un ritardo di fase pari a Δ θ = π 2
rispetto alla corrente circolante.
98
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1
ed il comportamento dell'induttore risulta essere un
ωC
comportamento lineare e inverso della pulsazione ω.
Osservazioni: quando una f.e.m. E (t) = E 0 cos ωt è applicata ad un resistore o a un induttore o a un
La reattanza del condensatore è la grandezza
•
condensatore si ha circolazione di una corrente i(t) e precisamente nel caso del
− resistore: ΔVR ( t ) e i(t) sono in fase fra loro;
− induttore: ΔVL ( t ) in anticipo di fase di π 2 su i(t) , sono in quadratura fra loro;
− condensatore: ΔVC ( t ) in ritardo di fase di π 2 su i(t) , sono in quadratura fra loro.
•
Da notare che la proporzionalità si ha solamente nel caso dei valori massimi.
Nel caso di circuiti in alternata con elementi in serie, la determinazione della d.d.p. complessiva viene fatta
utilizzando il procedimento dei vettori rotanti di Fresnell (vedere Fisica Generale I).
Serie RL: facendo circolare una corrente di intensità i(t) , ai capi
R
dei singoli elementi si hanno le d.d.p. [figura 119]
⎧ΔVR ( t ) = R i 0 cos ωt
ΔV ( t )
⎪
i(t) = i 0 cos ωt ⎨
π⎞
⎛
⎪ΔVL ( t ) = ω Li 0 cos ⎜ ωt + ⎟
2⎠
L
⎝
⎩
e dalla figura si ricava
ΔV ( t ) = ΔV0 cos ( ωt + θ )
ΔV0
essendo per i valori massimi
ΔVL0
2
ΔV0 = i 0 R 2 + ( ω L )
θ
ωL
θ = atan
i(t)
R
ΔVR 0
La d.d.p. ΔV ( t ) ai capi del circuito è in anticipo di fase rispetto
[ figura 119 ]
alla corrente circolante nel circuito, inoltre valgono le
approssimazioni seguenti se
− ωL >> R : ΔVL0 ω Li 0 e θ
π 2 , il circuito si comporta come puramente induttivo;
ωL << R : ΔVR 0 Ri 0 e θ 0 , il circuito si comporta come puramente resistivo.
Al crescere di ω e per valori fissi di R ed L, il comportamento del circuito passa dalla caratteristica
puramente resistiva a quella puramente induttiva.
Serie LC: analogamente al caso precedente si ha [figura120]
−
•
C
ΔV ( t )
L
ΔVL
ΔVC
0
ΔVL
0
i(t)
i(t)
ΔVC
0
i0
⎧
π⎞
⎛
cos ⎜ ωt − ⎟
⎪ΔVC ( t ) =
2⎠
ωC
⎪
⎝
i(t) = i 0 cos ωt ⎨
⎪ ΔV ( t ) = ωL i cos ⎛ ωt + π ⎞
0
⎜
⎟
⎪⎩ L
2⎠
⎝
e si hanno due possibili casi e precisamente
99
0
[ figura 120 ]
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− se ωL >>
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⎛
1
1 ⎞
: ΔV0 = i 0 ⎜ ω L −
⎟ da cui
ωC
ωC ⎠
⎝
π
ΔV ( t ) = ΔV0 cos ⎛⎜ ωt + ⎞⎟
2⎠
⎝
la d.d.p. è in anticipo di fase rispetto alla corrente circolante. Le caratteristiche sono quelle puramente
induttive e si può porre
1
1
ωL′ = ωL −
L′ = L − 2
ωC
ω C
− se ωL <<
⎛ 1
⎞
1
: ΔV0 = i 0 ⎜
− ω L ⎟ da cui
ωC
⎝ ωC
⎠
π
ΔV ( t ) = ΔV0 cos ⎛⎜ ωt − ⎞⎟
2⎠
⎝
la d.d.p. è in ritardo di fase rispetto alla corrente circolante. Le caratteristiche sono quelle puramente
capacitive e si può porre
1
1
1
=
− ω L , ossia C′ = C
ω C′ ω C
1 − ω2 LC
− se ω L = 1 ω C : ΔV0 = 0 da cui ΔV ( t ) = 0
•
Serie RC: applicando la legge dei circuiti si ha [figura 121]
⎧
1
π⎞
⎛
⎪ ΔVC ( t ) = ω C i 0 cos ⎜ ωt − 2 ⎟
i(t) = i 0 cos ωt ⎨
⎝
⎠
⎪ΔV ( t ) = R i cos ωt
0
⎩ R
C
ΔV ( t )
R
e dalla figura si ricava
ΔVR
ΔV ( t ) = ΔV0 cos ( ωt + θ )
essendo per i valori massimi
⎛ 1 ⎞
⎟
⎝ ωC ⎠
−θ
2
ΔV0 = i0 R 2 + ⎜
•
0
ΔVC
0
i(t)
ΔV0
1
[ figura 121]
ωC
θ = − arctan
R
La d.d.p. ai capi del circuito risulta in ritardo di fase rispetto alla corrente circolante, inoltre valgono le
approssimazioni seguenti se si verificano i seguenti casi:
− R >> 1 ω C : il circuito si comporta secondo una modalità puramente resistiva (condizione verificata per
grandi valori di ω);
− R << 1 ω C : il circuito si comporta secondo una modalità puramente induttiva (condizione verificata per
piccoli valori di ω).
Serie RLC: applicando quanto ricavato nei casi precedenti si ha
⎧
π⎞
⎛
⎪ΔVL ( t ) = ω Li 0 cos ⎜ ωt + ⎟
2⎠
⎝
⎪
⎪
i(t) = i 0 cos ωt ⎨ΔVR ( t ) = R i 0 cos ωt
⎪
⎪ΔV ( t ) = 1 i cos ⎛ ωt − π ⎞
0
⎜
⎟
⎪⎩ C
ωC
2⎠
⎝
e dalla figura si ricava [figura122]
100
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ΔV ( t ) = ΔV0 cos ( ωt + θ )
R
essendo per i valori massimi
⎛
1 ⎞
ΔV0 = i 0 R + ⎜ ω L −
⎟
ωC ⎠
⎝
1
ωL −
ωC
θ = arctan
R
2
ΔV ( t )
2
C
L
[ figura 122]
ΔVL
Si definisce impedenza del circuito RLC in serie la grandezza
0
2
⎛
1 ⎞
Z0 = R 2 + ⎜ ω L −
⎟
ωC ⎠
⎝
ed il comportamento del circuito è pilotato dal valore di ω. Infatti
se
− ω → piccoli valori : il termine predominante è 1 ω C , per cui
⎛ 1 ⎞
⎟
⎝ ωC ⎠
ΔV0
θ
ΔVC
2
ΔVR
i(t)
0
0
ΔV0 i 0 R 2 + ⎜
tan θ < 0
ed il comportamento è equivalente a quello di un circuito RC in serie;
− ω → grandi valori : il termine predominante è ω L , per cui
ΔV0 i 0 R 2 + ( ω L )
2
tan θ > 0
ed il comportamento è equivalente a quello di un circuito RL in serie.
− Quando ω L = 1 ω C si ricava ΔV0 i 0 R e tan θ = 0 , il circuito ha un comportamento puramente
•
resistivo (caso della risonanza).
− Limiti di validità: anche se in un circuito non vi fossero resistori, i rami di collegamento dei vari
elementi hanno un valore di resistenza. Hanno significato i circuiti R, RC, RL e RLC mentre i circuiti
L, C e LC acquisiscono interesse quanto più le reattanze ω L e 1 ω C sono maggiori di R.
Legge generale: quando in un circuito, costituito da resistori, induttori e condensatori (presi singolarmente
o variamente associati fra loro in serie), circola una corrente i(t) = i 0 cos ωt la d.d.p. ai capi del circuito è
del tipo ΔV ( t ) = ΔV0 cos ( ωt + θ ) .
Fra i valori massimi delle grandezze in gioco esiste la relazione ΔV0 = Z0 i 0 , essendo
2
⎛
1 ⎞
Z0 = R + ⎜ ω L −
⎟
ωC ⎠
⎝
l'impedenza della serie. Detta impedenza, nel caso dei singoli elementi, assume un ben preciso significato e
precisamente
− Resistore: Z0 = R .
2
− Induttore: Z0 = ω L , l'impedenza cresce linearmente dal valore 0 ( ω = 0 , corrente continua) fino al
valore ∞.
di(t)
.
Quanto maggiormente cresce di(t) dt tanto più rapidamente cresce E i (t) = − L
dt
Valendo ΔV0 = Z0 i 0 = ω Li 0 , si nota che nell'induttore circola una corrente di intensità i 0 = ΔV0 ω L
che decresce all'aumentare di ω (a parità di ΔV0 ).
101
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− Condensatore: Z0 = 1 ω C , l'impedenza diminuisce linearmente dal valore ∞ (per ω = 0 ) al valore 0 per
ω → 0 . Al crescere di ω, l'intensità i 0 = ω CΔV0 della corrente circolante aumenta e sulle armature del
condensatore si ha una variazione di carica (a parità di ΔV0 ).
Nei circuiti composti dai predetti elementi si ha una combinazione dei singoli effetti.
POTENZA DI UNA CORRENTE ALTERNATA
Applicando ad un circuito la f.e.m. E ( t ) = E 0 cos ωt si determina la circolazione di una corrente di intensità
i ( t ) = i 0 cos ωt ed ai capi del circuito esiste la d.d.p. Δ V ( t ) = Δ V0 cos ( ωt + ϕ ) . La potenza istantanea viene
definita dalla relazione
P ( t ) = i ( t ) ΔV ( t ) = i 0 ΔV0 cos ωt cos ( ωt + ϕ )
Applicando la somma di angoli si ricava
1
P ( t ) = i 0 ΔV0 cos ϕ cos 2 ωt − i 0 ΔV0 sin ϕ sin 2ωt
2
e calcolandone il valore medio su un intero periodo
1 2π
1
1 2π
< P ( t ) > = i 0 ΔV0 cos ϕ ∫ cos 2 ωt dt − i 0 ΔV0 sin ϕ ∫ sin 2ωt dt
2π 0
2
2π 0
Il primo integrale ha valore 1 2 mentre il secondo vale zero, quindi si ha la relazione di Galileo Ferraris
i ΔV0
1
< P ( t ) > = i 0 ΔV0 cos ϕ = 0
cos ϕ = i eff ΔVeff cos ϕ = Preale
2
2 2
Preale = i eff ΔVeff cosϕ
(82)
La potenza media coincide con quella reale e risulta sempre differente da zero purché cos ϕ ≠ 0 ( ϕ ≠ π 2 ): il
caso ϕ = π 2 riguarda un circuito con un resistore o un induttore oppure una loro combinazione, nell’ipotesi
che la resistenza elettrica del circuito sia trascurabile. Il termine cosϕ e detto fattore di potenza.
Nella relazione (82) si osservi che
− i 0 ΔV0 cos ϕ cos 2 ωt risulta sempre positivo,
1
−
i 0 ΔV0 sin ϕ sin 2ωt risulta positivo se corrisponde all’energia ceduta dal generatore al circuito,
2
negativo se corrisponde all’energia ceduta dal circuito al generatore. Il suo valore massimo definisce la
potenza reattiva
i ΔV0
1
Preattiva = i 0 ΔV0 sin ϕ = 0
sin ϕ = i eff ΔVeff sin ϕ
2
2 2
Si definisce potenza apparente o potenza di picco che un generatore deve fornire affinché vi sia circolazione di
corrente nel circuito e si abbia una d.d.p. ai suoi capi
2
2
Papparente = Preale
+ Preattiva
= eff ΔVeff
Tale potenza non viene tutta utilizzata (ad esempio in un’automobile, all’accensione del motore, la batteria deve
erogare una potenza superiore a quella effettivamente utilizzata nel processo vero e proprio).
TRASFORMATORI
I trasformatori sono dispositivi statici in grado i produrre variazioni di tensione e di corrente senza una
perdita significativa di potenza. Il principio fisico utilizzato è quello dell’induzione mutua: precisamente, un
circuito primario che contiene un generatore di f.e.m. E ( t ) induce su un circuito secondario una f.e.m. indotta
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Ei ( t ) ed il legame fra i due circuiti è costituito da un nucleo di materiale ferromagnetico. Tale nucleo definisce
( )
un circuito chiuso per le linee del campo magnetico in modo da permettere il passaggio del flusso Φ B dal
circuito primario a quello secondario [figura 123]. Le correnti parassite di Foucault devono essere
assolutamente minimizzate e ciò viene fatto utilizzando lamierini di piccolo spessore (separati fra loro da
materiale isolante) e strettamente impacchettati fra loro.
i(eff) ( t )
i(eff) ( t )
1
E(t)
[ figura 123]
∼
2
nucleo
trasformatore
ΔVeff(1) ( t )
ΔVeff( 2) ( t )
R
( circuito primario )
( circuito primario )
Utilizzando la relazione di Galileo Ferraris, che definisce la potenza media dissipata su un circuito resistivo
(83)
< P ( t ) > = i eff ΔVeff cos ϕ
per un trasformatore ideale si abbia un
− circuito primario c : contiene il generatore di f.e.m. E ( t ) = E 0 cosωt e abbia N1 spire (elettricamente
isolate) avvolte attorno al nucleo ferromagnetico;
− circuito secondario d : costituito da N 2 spire (elettricamente isolate) avvolte attorno al nucleo
ferromagnetico, da un interruttore e da un resistore di resistenza elettrica R.
Per i due avvolgimenti la resistenza sia piccola in modo da essere trascurabile e siano anche trascurabili le
perdite di energia imputabili all’isteresi magnetica. Per un trasformatore ideale, le perdite totali di energia sono
inferiori a 1%.
• Il circuito primario c è puramente induttivo ed essendo la corrente circolante i1 ( t ) in ritardo di fase
ϕ = π 2 rispetto a E ( t ) , il fattore di potenza nella (83) è nullo quindi non si ha trasferimento di energia.
•
•
La corrente determina nell’avvolgimento primario un campo magnetico B ( t ) il cui valore varia nel tempo e
che interessa tutto il nucleo ferromagnetico. Il flusso concatenato è anch’esso variabile nel tempo ed
attraversa anche l’avvolgimento del circuito secondario d .
Per la legge della induzione elettromagnetica, le f.e.m. indotta nei due avvolgimenti è la stessa
dΦ B
− circuito primario c : Ei ( t ) = − N1
dt
( )
− circuito secondario d : Ei ( t ) = − N 2
( )
dΦ B
dt
Essendo la d.d.p. ai capi dei singoli circuiti è pari alle f.e.m. indotte nei rispettivi circuiti
dΦ B
dΦ B
(1)
( 2)
= − N1
= −N2
Ei ( t ) = ΔVeff
(84)
Ei ( t ) = ΔVeff
dt
dt
e calcolando il rapporto, si ricava la d.d.p. ai capi del circuito secondario (trasformazione della d.d.p.)
N
ΔVeff( 2) = 2 ΔVeff( 2)
N1
( )
( )
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Con l’interruttore aperto non di si ha alcuna trasformazione, ma chiudendolo avvengono molteplici
fenomeni sia nel circuito secondario d (nel quale possono essere presenti resistori, capacitori ed induttori:
nel presente caso unicamente un resistore) sia in quello primario c .
− Nel circuito secondario si genera una corrente indotta i (eff2) ( t ) che, nel resistore dissipa una potenza pari
( 2)
< P ( 2) ( t ) > = i (eff2) ( t ) ΔVeff
(t)
− Tale corrente genera un flusso di campo magnetico indotto che, attraversando il nucleo ferromagnetico,
interessa anche il circuito primario nel quale si genera una f.e.m. indotta.
(1)
, per la legge di Lentz, ma essa non può variare in
− La f.e.m. indotta tende ad opporsi alla d.d.p. ΔVeff
quanto deve essere uguale alla f.e.m. prodotta dal generatore. La chiusura dell’interruttore non può
variare tale condizione.
′
− Il generatore deve conseguentemente produrre una corrente i (eff1) di intensità e fase costante per
(1)
.
contrastare l’effetto che tenderebbe a far cariare ΔVeff
•
Applicando il principio di conservazione dell’energia si ha < P (1) ( t ) > = < P ( 2) ( t ) >
(1)
i (eff1) ( t ) ΔVeff
( t ) = i (eff2) ( t ) ΔVeff( 2) ( t )
i (eff2) ( t ) = i (eff1) ( t )
ΔVeff(1) ( t )
ΔVeff( 2) ( t )
Ricordando le relazioni (84) si ottiene la relazione per la trasformazione della corrente
N 1
2
i (eff) ( t ) = 1 i (eff) ( t )
N2
•
Per il circuito secondario d si può scrivere
1
ΔVeff( 2) ( t )
R
e tenendo presente la relazione per la trasformazione della corrente
i (eff) ( t ) =
2
2
⎛N ⎞
N
1 N1
ΔVeff( 2) ( t )
ΔVeff(1) ( t ) = R ⎜ 1 ⎟ i (eff1) ( t )
i eff ( t ) 1 =
N2 R N2
⎝ N2 ⎠
Dal punto di vista del circuito primario, la resistenza equivalente alla resistenza di carico del circuito
secondario vale
( 2)
2
•
•
⎛N ⎞
R eq = R ⎜ 1 ⎟
⎝ N2 ⎠
che definisce la trasformazione della resistenza.
Trasmissione della corrente: per minimizzare le perdite imputabili all’effetto Joule durante il trasporto, è
conveniente trasferire correnti di bassa intensità a la tensione più alta possibile.
Uso locale: per motivazioni di sicurezza, le correnti usate hanno intensità alta e tensione relativamente
bassa.
EQUAZIONI DEL CAMPO ELETTROMAGNETICO
Nel 1873 Maxwell pubblicò un lavoro nel quale propose l’unificazione delle leggi relative al campo elettrico ed
al campo magnetico come conseguenza che detti campi sono strettamente correlati fra loro, in quanto
descrivono un’unica interazione fondamentale legata alla carica elettrica.
• Nel vuoto
− divE = ρ 0 ε 0 correla il campo elettrico alla carica, sia nel caso statico sia in quello dinamico;
−
divB = 0 implica un campo magnetico solenoidale (presenza della doppia polarità);
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•
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−
rotE = − ∂ B ∂ t implica che ad un campo magnetico variabile nel tempo deve essere associato un
campo elettrico non conservativo;
−
rotE = μ 0 j0 + ε 0μ 0 ∂ E ∂ t significa che “sorgenti” di campo magnetico sono sia correnti di conduzione
sia campi elettrici variabili nel tempo.
Nella materia
− Il campo elettrico genera in un dielettrico cariche di polarizzazione (che sono cariche legate, le cui
caratteristiche sono descritte dal vettore di polarizzazione P )
D = ε0E + P
− Il campo magnetico in un mezzo magnetizzabile genera correnti di magnetizzazione o correnti
ampèriane ed lo stato di magnetizzazione è descritto dal vettore di magnetizzazione M
1
H=
B−M
μ0
− Le equazioni del campo elettromagnetico si scrivono
divD = ρ 0
divB = 0
rotE = −
∂B
∂t
rotH = j0 +
con le equazioni di correlazione
D = εE = ε 0 ( k e − 1) E
∂D
∂t
B = εH = μ 0 ( k m − 1) H
− Un campo elettromagnetico genera su una carica elettrica la forza
FL = q 0 E + v × B
(
)
con l’osservazione che la componente magnetica esercita l’azione solamente se la carica è in moto
− La presenza di un campo elettromagnetico in un data regione di spazio implica la presenza di una
densità di energia per unità di volume pari a
1 2 1 B2
u em = ε E +
2
2 μ
− Per un materiale conduttore, la correlazione fra campo elettrico e densità di corrente è definita dalla
relazione di Ohm
E = ρj
essendo ρ la resistività del materiale
− Le equazioni di Maxwell risultano invarianti sia per trasformazioni relativistiche (ogni legge fisica in un
riferimento inerziale, deve presentare la medesima espressine) sia per trasformazioni di Lorentz.
ONDE
Una qualsiasi perturbazione che si propaghi in un mezzo con una ben definita velocità, funzione dei
parametri caratteristici del mezzo, è detta onda. In una propagazione ondosa non avviene alcun
trasferimento di materia, ma unicamente di energia.
• Sorgente: l’origine della perturbazione, che si propaga in un mezzo, può essere puntiforme o estesa.
• Funzione di perturbazione: funzione Ψ ( x, y, z; t ) che descrive la propagazione di una perturbazione in un
•
mezzo. È una funzione continua (e derivabile), sia delle coordinate spaziali sia di quella temporale, che
soddisfa l’equazione differenziale di D’Alambert.
Onde in una sbarra calibra: si consideri una sbarra calibra (sezione costante S), omogenea (densità
ρ = cost ) e di massa m, appoggiata su una superficie orizzontale liscia.
105
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Applicando assialmente ad un suo estremo una forza impulsiva, si determina un impulso che definisce una
variazione di quantità di moto (teorema dell’impulso)
t
i = ∫ Fdt = mv f − mv i
0
Se la sbarra fosse inizialmente in quiete v i = 0 , la velocità finale con la quale si muoverebbe varrebbe
1 t
v f = ∫ Fdt
m 0
Poiché la sbarra nella realtà è un sistema elastico, sotto l’azione dell’impulso assiale i l’elemento di
volume prossimo al punto di applicazione subisce una compressione. In accordo a quanto previsto per un
corpo elastico, dopo un tempo molto breve, tale volume si decomprime ritornando nella condizione iniziale
di equilibrio. Ciò determina una compressione sull’elemento di volume contiguo che, decomprimendosi a
sua volta, esercita una compressione sul successivo elemento contiguo. A causa delle proprietà elastiche,
internamente alla sbarra si innescano cicli successivi di compressione e decompressione, che si
propagano da un estremo all’altro per tutta la lunghezza AB.
L’azione di una forza impulsiva, applicata assialmente da un estremo di una sbarra elastica,
genera una perturbazione di spostamento che si propaga da un estremo all’altro con una
velocità che dipende dalle caratteristiche del materiale costituente la sbarra.
Orientando la sbarra secondo un riferimento assiale lineare x, con origine nell’estremo dove è applicata la
forza impulsiva, il generico elemento di volume dm = ρdW = ρSdx (a distanza x dall’origine) risulta
sottoposto a forze di compressione/decompressione esercitate dagli elementi contigui che lo precedono e lo
seguono [figura 124].
A
B
dm
i
x
x
x + dx
c
d
F {x; t}
F {x + dx; t}
x + Ψ {x; t}
[ figura 124 ]
( x + dx ) + Ψ {x + dx; t}
L’elemento di volume dm subisce una variazione di lunghezza a causa del processo innescato dalla
perturbazione e le due sezioni c e d variano la loro posizione di equilibrio. La funzione di perturbazione
che descrive il loro spostamento, durante il processo di compressione/decompressione, risulta funzione sia
della coordinata x sia del tempo t, cioè Ψ {x; t} . Analogamente anche la forza che si propaga lungo la
sbarra è funzione sia della coordinata x sia del tempo t, ossia F {x; t} . La seconda legge della dinamica
impone che sia
F {x + dx; t} + F {x; t} = dm a
e considerando la sua proiezione sull’asse di riferimento
∂ F {x; t}
dx = dm a
∂x
Si tenga presente che l’accelerazione è riferita alla perturbazione di spostamento che si propaga lungo la
sbarra.
F {x + dx; t} − F {x; t} =
106
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L’accelerazione, in tale situazione, è definita dalla derivata seconda temporale della funzione di
perturbazione
∂ 2 Ψ {x; t}
a=
∂t2
ossia
∂ F {x; t}
∂ 2 Ψ {x; t}
dx = dm
(85)
∂x
∂t2
Bisogna ricercare la relazione che esprima la forza F {x; t} rispetto alla funzione di spostamento Ψ {x; t} .
A tale scopo si considerino le tre grandezze inerenti l’elasticità di un corpo
− Carico specifico: rapporto fra la forza normale, agente su una superficie e la superficie stessa. Poiché
F {x; t} agisce normalmente alla superficie S dell’elemento di volume dm
F ( x; t )
dimensione ⎡⎣ L−1MT −2 ⎤⎦ e unità di misura 1N 1m 2
S
− Allungamento unitario: rapporto fra la variazione di lunghezza Δl = lperturbata − limperturbata che subisce
(86)
σ=
l’elemento di volume dm e la sua lunghezza imperturbata
l
−l
ε = perturbata imperturbata
adimensionato
l imperturbata
forza
posizione iniziale(imperturbata)
posizione finale (perturbata)
sezione c
F {x; t}
x
x + Ψ {x; t}
sezione d
F {x + dx; t}
x + dx
( x + dx ) + Ψ {x + dx; t}
Il valore dell’allungamento unitario vale
⎡⎣( x + dx ) + Ψ {x + dx; t}⎤⎦ − ⎡⎣ x + Ψ {x; t}⎤⎦ − ⎡⎣( x + dx ) − x ⎤⎦
ε=
=
⎡⎣( x + dx ) − x ⎤⎦
(87)
∂Ψ {x; t}
dx
∂Ψ {x; t}
∂x
=
=
dx
∂x
− Modulo di elasticità o di Young: rapporto fra il carico specifico e l’allungamento unitario
σ
(88)
E=
dimensione ⎡⎣ L−1MT −2 ⎤⎦ e unità di misura 1N 1m 2
ε
Sostituendo le (86) e (87) nella relazione (88) si ricava l’espressione della forza in funzione di Ψ ( x; t )
{
}
F {x; t}
∂Ψ {x; t}
σ
S
E= =
F {x; t} = ES
∂x
ε ∂Ψ {x; t}
∂x
che sostituita nella equazione del moto (85), definisce
∂ 2 Ψ {x; t}
∂ 2 Ψ {x; t}
ES
dx = ρS
∂x2
∂t 2
ossia
∂ 2 Ψ {x; t} ρ ∂ 2 Ψ {x; t}
−
=0
E
∂x2
∂t 2
Determinando l’equazione dimensionale di ρ E si ricava
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−3
⎡ ρ ⎤ ⎡ ML ⎤ ⎡ 1 ⎤ ⎡ 1 ⎤
=
⎢⎣ E ⎥⎦ ⎢ L−1MT −2 ⎥ = ⎢⎣ LT −1 ⎥⎦ = ⎢⎣ v ⎥⎦
⎣
⎦
ossia il rapporto ρ E ha le dimensioni di una velocità e ponendo
2
2
v= E ρ
si ottiene un’equazione differenziale detta del di D’Alambert
∂ 2 Ψ {x; t} 1 ∂ 2 Ψ {x; t}
− 2
=0
(89)
∂ x2
v
∂t2
•
Nella sbarra elastica la perturbazione, prodotta dalla forza
impulsiva, genera un’onda di spostamento che agisce come
un’onda di pressione da un estremo all’altro mediante stati
successivi di compressione/decompressione.
L’integrale generale della (89) è una qualunque funzione di
argomento ( x ± vt ) , quindi non importa la “forma” della funzione
vt
x1
purché l’argomento sia ( x ± vt ) 1 . Entrambe le funzioni f {x − vt} e
x2
anche la loro sovrapposizione risulta ancora integrale generale della
(89)
Ψ {x; t} = f {x − vt} + g {x + vt}
(90)
f ( x − vt )
v
f
ondosa regressiva. Infatti [figura 125a]
f {x − vt} :
x 2 = x 1 + vt
x 2 − x1 = vt
g {x − vt} :
•
•
x 1 = x 2 + vt
x1
(b)
descrive una propagazione ondosa
progressiva e la funzione g ( x + vt ) descrive una propagazione
(a )
vt
g {x + vt} sono integrali generali che soddisfano la (89), quindi
La funzione
x2
f +g
g
f
[ figura 125]
x 2 − x 1 = − vt
La relazione (90) rappresenta il principio di sovrapposizione degli effetti [figura 125b] e permette di
descrivere il fenomeno di interferenza fra le onde.
L’onda descritta dall’equazione (89) ha come direzione di propagazione l’asse x. Considerando un piano,
passante per il punto x = x 0 (per t = t 0 ) e normale a tale direzione, in ogni suo punto la funzione di
perturbazione ha valore costante
Ψ {x 0 ; t 0 } = cost
[ figura 126 ]
Una simile onda è detta onda piana con propagazione lungo l’asse x.
Fronte d’onda di un’onda piana: è definito come il piano ortogonale
Ψ {x 0 ; t 0 } = cost
all’asse di propagazione, quindi parallelo a { y, z} , per il quale tutti i
v
punti hanno il medesimo valore costante della funzione di
perturbazione [figura 126].
Onda piana armonica:la funzione di perturbazione è data da una funzione armonica (seno o coseno)
Ψ {x; t} = Ψ 0 sin θ {x; t}
Ψ {x; t} = Ψ 0 cos θ {x; t}
La fase θ ( x; t ) deve essere adimensionata ed avere argomento ( x ± vt ) , quindi
(91)
θ {x; t} = k ( x ± vt ) + θ0
essendo θ0 una eventuale fase iniziale.
Calcolando l’equazione dimensionale dei singoli termini che compaiono nella (91) si deduce
1
g
Attenzione: si sottolinea il fatto che non importa la “forma” della funzione, purché l’argomento sia ( x ± vt )
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[ k ] = ⎡⎣L−1 ⎤⎦
[ x ] = [ L]
[ kv] = ⎡⎣L−1LT −1 ⎤⎦ = ⎡⎣T −1 ⎤⎦ = [ω]
Ponendo
ω = kv
la fase si può anche esprimere come θ {x; t} = ( kx ± ωt ) + θ0 e un’onda piana armonica ha espressione
Ψ {x; t} = Ψ0 sin ⎡⎣k ( x ± vt ) + θ 0 ⎤⎦ = Ψ0 sin ⎡⎣( kx ± ωt ) + θ 0 ⎤⎦
Ψ {x; t} = Ψ0 cos ⎡⎣k ( x ± vt ) + θ 0 ⎤⎦ = Ψ0 cos ⎡⎣( kx ± ωt ) + θ 0 ⎦⎤
•
Periodicità di un’onda piana armonica: la periodicità della funzione armonica vale 2π tuttavia, essendo le
variabili sia spaziale sia temporale, si ha una doppia periodicità. Considerando un’onda piana armonica
progressiva (tuttavia il ragionamento vale anche per una regressiva)
− Periodicità spaziale: al generico istante t = t 0 , l’onda presenta la medesima configurazione nei punti x1
e x 2 se vale la relazione fra le fasi
θ {x 2 ; t 0 } = θ {x 1 ; t 0 } + 2π
da cui si ricava
( kx 2 − ωt 0 ) + θ0 = ⎡⎣( kx1 − ωt 0 ) + θ0 ⎤⎦ + 2π
k = 2π ( x 2 − x 1 ) . La minima distanza fra due punti
x 1 ed x 2 , nei quali l’onda
presenta la medesima configurazione, è detta lunghezza d’onda λ = x 2 − x1 , quindi
2π
λ
essendo k il numero d’onda che indica quante lunghezze d’onda sono contenute in 2π .
− Periodicità temporale: in un generico punto x = x 0 , l’onda presenta la medesima configurazione ai
k=
tempi t 1 e t 2 se vale la relazione fra le fasi
θ { x 0 ; t 1} = θ { x 0 ; t 2 } + 2 π
da cui si ricava ω = 2π
( kx 0 − ωt1 ) + θ0 = ⎡⎣( kx 0 − ωt 2 ) + θ0 ⎤⎦ + 2π
( t 2 − t1 ) . Il minimo intervallo temporale fra due punti di un’onda armonica,
nei quali presenta la medesima configurazione, è detto periodo T = t 2 − t 1 , quindi
2π
ω=
Τ
essendo ω la pulsazione dell’onda.
Il numero d’onda k è correlato alla periodicità spaziale, il periodo T alla periodicità temporale.
La lunghezza d’onda si ricava considerando che
2π 2π
ω = kv
=
v
T
λ
λ = vT
− Fase di un’onda piana armonica: la fase esprime la propagazione dell’onda e la fase iniziale si
determina tramite le condizioni iniziali. Un’onda piana progressiva assume la medesima configurazione
nei due punti A {x 1 ; t 1} e B {x 2 ; t 2 } quando è verificata la relazione
⎧⎪Ψ {x1 ; t1} = Ψ 0 sin k ( x1 − vt 1 )
⎨
⎪⎩Ψ {x 2 ; t 2 } = Ψ 0 sin k ( x 2 − vt 2 )
Ψ { x 1 ; t 1} ⇔ Ψ { x 2 ; t 2 }
e uguagliando le fasi si ricava
x 2 − x1 = v ( t 2 − t1 )
ossia: la sinusoide si muove con velocità v in modo progressivo.
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•
•
•
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Quando la direzione di oscillazione di un’onda coincide con la direzione dello spostamento, l’onda piana si
dice longitudinale (come nel caso della sbarra).
Quando la direzione di oscillazione di un’onda è normale alla direzione dello spostamento, l’onda piana si
dice trasversale (come nel caso di un’onda che si propaga in una fune tesa).
Onda piana trasversale: nel riferimento {x, y, z} la direzione di
z
y
oscillazione è normale alla direzione di propagazione. La funzione di
perturbazione può essere rappresentata nel generico piano
{y, z} ,
Ψ
normale alla direzione di propagazione x, come un vettore di
componenti [figura 127]
Ψ {x; t} = Ψ y {x; t} u y + Ψ z {x; t} u z
Ψz
(x0, t0 )
Ψy
Al generico tempo t, il vettore Ψ {x; t} può assumere una qualsiasi
x
direzione normale alla direzione di propagazione (ossia fissato un
punto x = x 0 , Ψ {x; t} può assumere una qualsiasi direzione al variare
•
[ figura 127 ]
del tempo).
Polarizzazione di un’onda piana: dalla Fisica I si ricordi che la composizione di due moti armonici, di
medesima pulsazione e con sfasamento reciproco ϕ , su assi ortogonali definisce il fenomeno della
polarizzazione. Componendo due onde piane armoniche, di identica pulsazione e sfasate fra loro di un
fattore ϕ , oscillanti in due direzioni normali e con la stessa direzione di propagazione si ha
Ψ y {x; t} = Ψ y0 sin ( kx − ωt )
y):
z):
Ψ z {x; t} = Ψ z0 sin ⎡⎣( kx − ωt ) + ϕ⎤⎦
− Quando ϕ = 0 , si ha
Ψ y {x; t} = Ψ y0 sin ( kx − ωt )
Ψz
Ψ z {x; t} = Ψ z0 sin ( kx − ωt )
(a )
e calcolando il rapporto
Ψ z {x; t} Ψ z0
=
= tan α = cost
Ψ y {x; t} Ψ y0
π⎤
⎡
Ψ z {x; t} = Ψ z0 sin ⎢( kx − ωt ) + ⎥ = Ψ z0 cos ( kx − ωt )
2⎦
⎣
quadrando i termini e sommando membro a membro
Ψy
ϕ=0
il piano di oscillazione di Ψ {x; t} forma un angolo α
costante nel tempo rispetto all’asse y [figura 128a].
− Quando ϕ = π , applicando il medesimo ragionamento, il
piano di oscillazione forma un angolo α costante nel tempo
rispetto al verso negativo dell’asse y.
In entrambi i casi si tratta di onde polarizzate linearmente.
− Quando ϕ = π 2 , si ha
Ψ y {x; t} = Ψ y0 sin ( kx − ωt )
α
Ψ
[ figura 128 ]
(b)
ϕ=π 2
Ψ z0
2
2
⎡ Ψ y {x; t} ⎤ ⎡ Ψ z {x; t} ⎤
Ψ y0
⎢
⎥ +⎢
⎥ =1
⎢⎣ Ψ y0 ⎥⎦ ⎢⎣ Ψ z0 ⎥⎦
La relazione descrive un ellisse ad assi centrati e si parla di
onde polarizzate ellitticamente [figura 128b].
Identico ragionamento si ha per ϕ = − π 2 .
− Quando ϕ = π 2 e Ψ y0 = Ψ z0 = Ψ 0 , l’equazione dell’elle degenera nell’equazione di una circonferenza
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•
•
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Ψ 2y {x; t} + Ψ 2z {x; t} = Ψ 02
e si parla di onde polarizzate circolarmente.
Fronte d’onda di un’onda piana armonica: è l’insieme dei punti del piano, normale alla direzione di
propagazione, per i quali la funzione di perturbazione assume valore costante. Tutti i punti di un fronte
d’onda oscillano con la medesima fase. La velocità di propagazione di un fronte d’onda è dato dal rapporto
fra la lunghezza d’onda e l’intervallo temporale durante il quale si ha uno spostamento esattamente uguale
alla lunghezza d’onda. Due fronti d’onda, fra i quali esiste una differenza di fase pari a 2π , sono
separati da una distanza pari alla lunghezza d’onda.
Intensità di un’onda: è definita come il valore medio dell’energia che attraversa una sezione ortogonale
alla direzione di propagazione per unità di tempo ed unità di superficie. Operativamente, l’intensità di
un’onda è pari al prodotto della velocità per la densità di energia per unità di volume
I = vu
Si ricava che l’intensità è proporzionale al quadrato sia dell’ampiezza dell’onda sia della pulsazione.
Onde sferiche: un’onda, generata da una sorgente puntiforme, si propaga in uno spazio omogeneo ed
isotropo con una velocità v uguale in tutte le direzioni. Un’onda sferica armonica ha equazione
Ψ {r; t} = A ( r ) sin ( kr ± ωt )
essendo r la distanza dalla sorgente. L’ampiezza A ( r ) può essere funzione di r, ma non della direzione di
emissione in quanto la sorgente è puntiforme (ragioni di simmetria). Essendo l’intensità proporzionale al
quadrato dell’ampiezza
I ( r ) = χA 2 ( r )
la costante χ dipende dalla natura dell’onda. La potenza media che incide sulla superficie sferica di raggio r
deve essere costante, indipendentemente dalla distanza r, in quando è uguale alla potenza media emessa
dalla sorgente
< P > = Ι 4πr 2 = 4πχ A 2 ( r ) r 2 = k
ossia
A2 (r) =
k
k 1
=
2
4πχr
4πχ r 2
Il primo rapporto è costante, quindi ponendolo uguale a Ψ 02 si ricava
Ψ
A (r) = 0
r
mentre l’intensità dell’onda sferica è inversamente proporzionale al quadrato della distanza
Ψ02
I (r ) = 2
r
L’onda sferica armonica è descritta dalla relazione
Ψ
Ψ {r; t} = 0 sin ( kr ± ω t )
r
SOLUZIONE DELLE EQUAZIONI DI MAXWELL
Si consideri un mezzo isotropo (il comportamento elettrico sia descritto dalla costante dielettrica ε = k e ε 0 e
quello magnetico dalla permeabilità magnetica μ = k mμ 0 ) privo di cariche elettriche libere q 0 = 0 ( ρ 0 = 0 ) e di
correnti di conduzione i 0 = 0 ( j0 = 0 ). Le equazioni di Maxwell assumono una forma simmetrica
⎛
∂B ⎞
⎜ divE = 0 ; rotE = −
⎟
∂t ⎠
⎝
⎛
∂E ⎞
⎜ divB = 0 ; rotB = εμ
⎟
∂t ⎠
⎝
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Ipotizzando che sia il campo elettrico sia quello magnetico siano funzioni della sola coordinata spaziale x
(direzione di propagazione) e del tempo, si può scrivere per un generico sistema di riferimento
E {x; t} = E x {x; t} u x + E y {x; t} u y + E z {x; t} u z
B {x; t} = B x {x; t} u x + B y {x; t} u y + B z {x; t} u z
Ricordando quello che è stato scritto circa le onde, i due campi devono propagarsi secondo un’onda a patto che
soddisfino entrambi l’equazione differenziale del D’Alambert. Per ( x = x 0 , t = t 0 ) , la generica superficie
{y, z} , normale alla direzione di propagazione x, è un fronte d’onda e tutti i suoi punti hanno il medesimo
valore della funzione di perturbazione, ossia
⎧⎪E {x 0 ; t 0 } = k1 = cost
→ ⎨
⎪⎩B {x 0 ; t 0 } = k 2 = cost
Tale fatto implica che le loro derivate prime parziali (rispetto a y ed a z) siano nulle, cioè
⎡ ∂ E {x; t}
⎤
⎡ ∂ B {x; t}
⎤
∂ E {x; t}
∂ B {x; t}
= 0⎥
=0
= 0⎥
=0
⎢
⎢
∂z
∂z
⎣⎢ ∂ y
⎦⎥
⎣⎢ ∂ y
⎦⎥
(x = x0, t = t0 )
anche per le componenti
anche per le componenti
Al fine di semplificare il calcolo degli operatori divergenza e rotore per i due campi, si indichi simbolicamente
con (•) = ⎡⎣ E {x; t} , B {x; t}⎤⎦ . Il calcolo degli operatori divergenza di un vettore e rotore di un vettore, secondo le
condizioni esposte precedentemente vale
div (•) =
∂ (•) x ∂ (•) y ∂ (•) z
+
+
∂x
∂x
∂x
rot (•) =
ux
uy
uz
∂
∂x
∂
∂y
∂
∂z
(•) x
(•) y
(•) z
⎧
⎪
⎪rot x (•) = 0
⎪⎪
∂ (•) x
→ ⎨rot y (•) = −
∂x
⎪
⎪
∂ (•) y
⎪rot z (•) =
∂x
⎪⎩
ossia
∂ (•) y ⎤
⎡
∂ (•) x
∂ (•) x
rot x (•) = 0 ; rot y (•) = −
; rot z (•) =
⎢
⎥
∂x
∂x
∂x ⎦
⎣
Le singole componenti delle equazioni di Maxwell definiscono che
∂E x
∂ Bx
(92)
=0
=0
∂x
∂x
∂B
∂E
x) : 0 = − x
x) : 0 = εμ x
(93)
∂t
∂t
∂B
∂E
∂B
∂E
y) : − z = − y
y) : − z = εμ y
(94)
∂x
∂t
∂x
∂t
∂E
∂B
∂E
∂B
z) : y = − z
z) : y = εμ z
(95)
∂x
∂t
∂x
∂t
Le derivate nulle della (92) e della (93) indicano che le componenti x sia del campo elettrico sia di quello
magnetico sono costanti, quindi
− E x {x; t} = c1 = cost (il campo elettrico è generato da cariche stazionarie)
div (•) =
−
B x {x; t} = c 2 = cost (il campo magnetico è generato da correnti stazionarie)
Avendo scelto che nel mezzo considerato non esistano né cariche libere né correnti di conduzione, i valori delle
due costanti sono nulli per cui le due componenti sono anch’esse nulle
E x {x; t} = 0
B x {x; t} = 0
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Riordinando le equazioni della (94) e (95) sia ha
∂E y
∂E
∂B
∂B
(96)
=− z
εμ y = − z
∂t
∂x
∂x
∂t
∂By
∂E z ∂By
∂E
(97)
=
εμ z =
∂t
∂x
∂x
∂t
Si derivi rispetto ad x le prime equazioni delle (96) e (97) e rispetto al tempo le seconde equazioni
∂ 2E y
∂ 2E y
∂ 2 Bz
∂ 2 Bz
(98)
=
−
=
−
∂t2
∂t ∂x
∂x2
∂ x ∂t
2
2
∂ 2E z ∂ By
∂ 2E z ∂ By
=
=
∂t 2
∂t ∂x
∂ x 2 ∂ x ∂t
Essendo le variabili x e t indipendenti, nelle derivate seconde miste l’ordine di derivazione non influenza il
risultato quindi uguagliando fra loro le relazioni nella (98) e nella (99) si ricavano le due equazioni
∂ 2 E y {x; t}
∂ 2 E y {x; t}
∂ 2 E z {x; t}
∂ 2 E z {x; t}
0
−
εμ
=0
−
εμ
=
∂x2
∂t 2
∂x2
∂t2
Determinando l’equazione dimensionale del prodotto εμ
(99)
2
2
1
1
[εμ] = ⎡⎢ −1 ⎤⎥ = ⎡⎢ ⎤⎥
⎣ LT ⎦ ⎣ v ⎦
tale velocità è quella della propagazione del campo E {x; t} nel mezzo con le caratteristiche definite all’inizio
del capitolo
v=
1
1
=
εμ
ε 0μ 0
1
c
=
k ek m
k ek m
essendo c la velocità della luce nel vuoto
c=
1
m
= 3 ⋅ 10 8
s
ε 0μ 0
Riscrivendo le equazioni (96) e (97), in modo da esprimere le componenti del vettore B {x; t} in funzione delle
componenti di E {x; t} e applicando il medesimo procedimento di derivazione, si ottiene che anche le
componenti del campo magnetico soddisfano l’equazione di D’Alambert
∂ 2 B y {x; t}
∂ 2 B y {x; t}
∂ 2 B z {x; t}
∂ 2 B z {x; t}
0
−
εμ
=0
−
εμ
=
∂x2
∂t2
∂x 2
∂t2
Ricordando quanto dedotto per la componente x dei due campi, questi si possono scrivere come
⎧⎪E {x; t} = E y {x; t} u y + E z {x; t} u z
(100)
⎨
⎪⎩B {x; t} = B y {x; t} u y + B z {x; t} u z
ed entrambi soddisfano l’equazione del D’Alambert che simbolicamente si rappresenta
∂ 2 E {x; t}
∂ 2 E {x; t}
∂ 2 B {x; t}
∂ 2 B {x; t}
−
εμ
=0
−
εμ
=
0
∂ x2
∂t2
∂ x2
∂t2
v=
c
k ek m
Gli integrali delle equazioni del D’Alambert secondo onde piane armoniche, sono
⎧E x {x; t} = 0
⎪⎪
(101)
E {x; t} = E 0 sin ( kx ± ωt )
⎨E y {x; t} = E y0 sin ( kx ± ωt )
⎪
⎪⎩E z {x; t} = E z0 sin ( kx ± ωt )
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⎧B x {x; t} = 0
⎪⎪
(102)
B {x; t} = B 0 sin ( kx ± ωt )
⎨B y {x; t} = E y0 sin ( kx ± ωt )
⎪
⎪⎩B z {x; t} = E z0 sin ( kx ± ωt )
Si considerino onde armoniche progressive (tuttavia il seguente ragionamento vale anche per quelle regressive),
dalle equazioni (96) e (97) si deduce che
∂ B y {x; t} ∂ E z {x; t}
dB y {x; t} = kE z0 cos ( kx − ωt ) dt
=
= kE z 0 cos ( kx − ωt )
∂t
∂x
∂ E {x; t}
∂ B z {x; t}
dBz {x; t} = −kE y0 cos ( kx − ωt ) dt
=− y
= − kE y0 cos ( kx − ωt )
∂t
∂x
Attenzione: focalizzando l’attenzione sulla variabile temporale e considerando la variabile x come costante, il
simbolo di derivata parziale può essere sostituito da quello delle derivata totale. Integrando
k
k
B y {x; t} = − E z 0 sin ( kx − ωt ) + k 1
B z {x; t} = E y0 sin ( kx − ωt ) + k 2
ω
ω
il rapporto vale
k ω = ( 2π λ ) ( 2π T ) = 1 v
e non essendoci né cariche libere né correnti di conduzione, le due costanti di integrazione sono nulle. Le
componenti del campo elettrico e magnetico presentano la seguente correlazione
1
1
B y {x; t} = − E z
B z {x; t} = E y
v
v
Le relazioni della (100) diventano
⎧ E {x; t} = E y {x; t} u y + E z {x; t} u z
⎪
⎨
1
1
⎪ B {x; t} = − E z {x; t} u y + E y {x; t} u z
v
v
⎩
i cui moduli valgono
1 2
1
1
E {x; t} = E 2y {x; t} + E z2 {x; t}
B {x; t} = B2y {x; t} + E 2z {x; t} =
E z {x; t} + 2 E 2y {x; t} = E
2
v
v
v
I moduli del campo elettrico e del campo magnetico sono correlati dalla relazione
1
E {x; t} = v B {x; t}
B {x; t} = E {x; t}
v
• Prodotto scalare fra i vettori campo elettrico e campo magnetico: definisce come i due vettori siano
posizionati l’uno rispetto all’altro
1
E {x; t} • B {x; t} = E y {x; t} B y {x; t} + E z {x; t} B z {x; t} = − E y {x; t} E z {x; t} + E z {x; t} E y {x; t} = 0
v
ossia i due vettori sono normali fra loro.
• Prodotto vettoriale fra i vettori campo elettrico e magnetico: applicando la definizione operativa
ux
uy
uz
E {x; t} × B {x; t} = 0 E y {x; t} E z {x; t} = ⎡⎣ E y {x; t} Bz {x; t} − E z {x; t} B y {x; t}⎤⎦ u x
0 B y {x; t} B z {x; t}
1 2
1
⎡⎣ E y {x; t} + E 2y {x; t}⎤⎦ u x = E 2 {x; t} u x = vB 2 {x; t} u x = ⎡⎣ E {x; t} B {x; t}⎤⎦ u x
v
v
I due vettori campo elettrico e campo magnetico sono ortogonali fra loro e ortogonali alla direzione di
propagazione x (ossia risultano ortogonali alla velocità)
E {x; t} = v × B {x; t}
E {x; t} × B {x; t} =
Il significato del prodotto vettoriale fra i due vettori è quello di definire la direzione di propagazione
114
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•
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Considerazioni conclusive sul campo elettromagnetico
− I vettori campo elettrico e campo magnetico
G
G
G
E {x; t} = E y {x; t} u y + E z {x; t} u z
G
G
G
B {x; t} = B y {x; t} u y + B z {x; t} u z
hanno moduli correlati da E {x; t} = vB {x; t} e risultano ortogonali fra loro. Si propagano secondo onde
piane lungo l’asse x con una velocità che, nel vuoto vale c = 1
ε 0μ 0 e nella materia v = c
k e k m . Le
onde piane (101) e (102) sono onde trasversali perché la direzione di oscillazione è normale a quella di
propagazione: le onde elettromagnetiche sono onde polarizzate.
− La suscettività magnetica, definita come χ m = k m − 1 , per i mezzi ordinari ha valore inferiore a 10 −5 ,
pertanto il valore di k m è prossimo all’unità. In tale ipotesi
c
1
1
ke = = n
=
v
k ek m
ke
che rappresenta l’indice di rifrazione assoluto del mezzo trasparente nel quale si propagano le onde
elettromagnetiche
− Utilizzando le relazioni E {x; t} = B {x; t} v e H {x; t} = B {x; t} μ si ottiene
v=
E {x; t}
μ0 k m
μ
= μv =
=
H {x; t}
ε
ε0 k e
La radice del rapporto fra la permeabilità magnetica del vuoto e la costante dielettrica del vuoto è
detta impedenza caratteristica del vuoto il cui valore è
μ0
Ω
Z0 =
= 377
ε0
m
(103)
La relazione (103) è detta impedenza caratteristica del mezzo nel quale si propaga l’onda
elettromagnetica
k
μ
1
per ( k m < 10 −5 )
= Z0 m = Z0
Z=
ε
ke
n
− La densità di energia per unità di volume del campo elettromagnetico è la somma della densità di
energia per unità di volume del campo elettrico e di quella del campo magnetico
2
B 2 {x, t}
1
1 B {x, t}
ε
u em = u e + u m = εE 2 {x, t} +
E {x, t} B {x, t}
= εE 2 {x, t} =
=
2
2
μ
μ
μ
B 2 { x, t}
ε
=
E { x, t} B { x, t}
μ
μ
Tale relazione indica che per un campo elettromagnetico la densità di energia per unità di volume è
equidivisa al 50% fra il campo elettrico e quello magnetico.
u em = εE 2 { x, t} =
VETTORE DI POYNTING
G
Una superficie d Σ sia investita da un’onda elettromagnetica piana e sia α l’angolo formato fra la normale n
alla superficie e la direzione di propagazione [figura 129]. L’energia elettromagnetica dU em che nel tempo dt
attraversa la superficie è uguale a quella distribuita nel volume dW
dU em = u em dW
Normalizzando la superficie dΣ rispetto alla direzione di propagazione, si ricava
d Σ 0 = d Σ cos α
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dW = dΣ 0 vdt = vdΣ cos α dt
dU em = u em dW = ε vE 2 {x; t} dΣ cos α dt
La variazione di energia, riferita all’intervallo temporale durante il
quale è avvenuta la variazione, è pari alla potenza trasferita alla
superficie dΣ
dU em
(104)
→ potenza → ε vE 2 {x; t} dΣ cos α
dt
G
Ipotizzando che abbia significato definire un vettore S con
− modulo pari a S = ε vE 2 {x; t} = ⎡⎣ E{x; t} B{x; t}⎤⎦ μ ,
− direzione e verso coincidente con quello della velocità di
propagazione dell’onda
la relazione (104) e definita come il flusso di tale vettore attraverso
alla superficie considerata. Il vettore è detto vettore di Poynting
G 1G
G
S = E {x; t} × B {x; t}
μ
e la (104) diventa
G G
G
G G
G
d Pem = S • n dΣ = d Φ S
Pem = w
S
•
n
d
Σ
=
Φ
S
∫∫
()
G
vdt
G
v
[ figura 129 ]
z
dΣ
dΣ 0
G
n
α
α
G
v
x
()
Σ
Il flusso del vettore di Poynting rappresenta l’energia che nell’unità di tempo attraversa l’unità di superficie
normale alla direzione di propagazione dell’onda elettromagnetica.
La rappresentazione di un’onda elettromagnetica piana armonica, che si propaghi lungo l’asse x e con velocità
G
v , è data in [figura 130]
G
B {x; t}
G
E {x; t}
G
v
[ figura 130 ]
INTENSITÀ DI UN’ONDA ELETTROMAGNETICA
Secondo a quanto illustrato nel capitolo dedicato alle onde, si definisce intensità di un’onda elettromagnetica
il prodotto della densità di energia per unità di volume per la velocità dell’onda
1
I em = vu em = ε vE 2 {x; t} = E {x; t} B {x; t} = S
μ
Se i due campi sono espressi dalle relazioni (101) e (102), l’intensità di un’onda elettromagnetica piana e
armonica vale
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I em =
1
E 0 B0 sin 2 ( kx − ωt )
μ
e calcolandone il valore medio su molti periodi
1
1 E 0 B0 1
< I em > = E 0 B0 < sin 2 ( kx − ωt ) > =
= E B =<S>
μ 2 2 μ eff eff
μ
12
Il modulo del vettore di Poynting definisce l’intensità di un’onda elettromagnetica piane armonica e
polarizzata linearmente.
LA LUCE
Una sorgente puntiforme emette un’onda elettromagnetica che si propaga in un mezzo omogeneo ed isotropo
con velocità
c
v=
k ek m
Al tempo t il fronte d’onda (superficie, normale alla direzione di propagazione, i cui punti oscillano tutti in fase
fra loro) nel caso di un’onda sferica si trova alla distanza R dalla sorgente. Al tempo t + dt il fronte d’onda si è
spostato e la sua distanza dalla sorgente vale R + vdt e tale fatto fu spiegato da
− Huygens: ogni punto del fronte d’onda primario si può pensare come
sorgente di onde sferiche secondarie che si propagano con identica
G
velocità e fase dell’onda primaria. L’inviluppo di tali onde secondarie
v
rappresenta il nuovo fronte d’onda. Poiché non si ha alcuna
R
propagazione all’indietro, le onde secondarie sono onde virtuali non
realmente emesse [figura 131].
− Fresnell: il fronte d’onda secondario si può dedurre da quello primario
[ figura 131]
considerando la sovrapposizione delle onde secondarie in termini di
ampiezza e fase.
− Kirchkoff: dall’equazione di propagazione di un’onda si deduce che l’intensità dell’onda elementare
dipende dall’angolo di emissione e che l’intensità è nulla per le onde emesse all’indietro.
La lunghezza d’onda, decodificata dagli esseri umani da appositi ricettori dell’occhio, è compresa
nell’intervallo 0.38 ⋅ 10 − 6 m ≤ λ ≤ 0.78 ⋅ 10 −6 m e l’onda viene detta luce.
Ipotizzando che la luce emessa da una sorgente si propaghi in linea retta in un mezzo trasparente (individuato
dall’indice di rifrazione assoluto n = c v ) omogeneo (densità costante in tutti i punti) e isotropo (il
comportamento della luce è lo stesso in tutte le direzioni), il percorso è rappresentato da semirette con origine la
sorgente. Le semirette sono comunemente dette raggi luminosi. L’ottica geometrica deduce i comportamenti
della luce usando il concetto di raggio luminoso, del fenomeno della riflessione e di quello della rifrazione.
La luce emessa da una sorgente può essere monocromatica (una sola lunghezza d’onda ) o policromatica (un
numero discreto di lunghezze d’onda). La luce bianca contiene tutte le lunghezze d’onda relative
all’intervallo della luce visibile.
Applicando il principio variazionale di Fermat, è possibile ricavare le leggi della riflessione e della rifrazione.
• Riflessione: il mezzo trasparente, attraversato dal raggio luminoso,
può contenere una superficie riflettente (ottenuta depositando un
(a )
αi
α rifl
sottile strato di argento o alluminio su un supporto accuratamente
levigato). Il piano contenente la direzione di propagazione del raggio
(n)
luminoso e della normale nel punto di incidenza sulla superficie è
detto piano di incidenza [figura 132a]. Il raggio riflesso è contenuto
nel piano di incidenza, ha l’angolo di incidenza α i è uguale a quello
[ figura 132a ]
di riflessione α rifl
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α i = α rifl
•
Rifrazione: quando un raggio luminoso incide su una superficie di
separazione fra due mezzi trasparenti,
αi
con indici di rifrazioni rispettivamente n1 = c v1 ed n 2 = c v 2 ,
n1
una parte del raggio luminoso è riflesso
ed una parte si propaga nel secondo mezzo subendo una
n 2 > n1
rifrazione. Il raggio luminoso in tale caso si dice raggio rifratto e
l’angolo formato fra la direzione di propagazione e la normale nel
α rifr
punto di incidenza si dice angolo di rifrazione [figura 132b]. La
legge della rifrazione è definita dalla legge di Snell
n1sinα i = n 2sinα rifr
Calcolando il rapporto dei seni
αi
sin α i
n2
=
= n 21
sin α rifr n1
n1 > n 2
si definisce in tal modo l’indice di rifrazione del secondo mezzo
rispetto al primo.
n2
Quando l’angolo di rifrazione vale π 2 , il raggio rifratto si
α rifr
propagherà sul piano di separazione dei due mezzi con differente
[ figura 132 b]
indice di rifrazione: n *i sin α i = n 2 . Si definisce angolo limite di
incidenza il valore
n
α *i = arcsin 2 = n 21
n1
e per valori angolari a questo non è più possibile la rifrazione, ma solamente la riflessione totale.
(b)
POLARIZZAZIONE PER ASSORBIMENTO
Determinati cristalli presentano la caratteristica di trasmettere le onde luminose se tagliati secondo opportune
direzioni: in tale situazione la luce trasmessa risulta polarizzata linearmente.
Nel 1938 Land brevettò un procedimento per la produzione lamine di materiale organico , costituito da lunghe
catene di polimeri opportunamente stirate lungo una determinata direzione durante la fase di fabbricazione del
materiale. Nella fase di raffreddamento, le lamine sono immerse in una soluzione iodata, che fornisce loro una
colorazione bruna. Tali lamine presentano la caratteristica di trasmettere solamente luce polarizzata
linearmente. In un polaroide (nome dato a tali lamine) si distinguono due direzioni con precise caratteristiche.
− Direzione di allineamento: direzione lungo la quale le catene
( trasmissione )
polimeriche sono stirate. Se un’onda luminosa incidente sulla
lamina ha il vettore campo elettrico allineato lungo tale
( stiramento )
direzione, nelle catene polimeriche si generano correnti che
determinano l’assorbimento dell’energia luminosa. Non
avviene alcuna trasmissione dell’onda [figura 133].
G G
E & u allineamento → nessuna trasmissione
− Direzione di trasmissione: direzione normale a quella di
allineamento. Quando il campo elettrico di un’onda luminosa è
allineato lungo tale direzione, si ha la propagazione luminosa
[ figura 133]
che risulta pertanto polarizzata linearmente.
G G
E & u trasmissione → trasmissione polarizzata linearmente
• Polarimetro analizzatore: dispositivo costituito da due lamine polarizzatrici, montate coassialmente e che
possono essere reciprocamente ruotate.
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La prima lamina (polarizzatrice) serve a polarizzare un raggio luminoso, la seconda (analizzatrice) ad
analizzarlo [figura 134].
Una sorgente emette onde luminose non polarizzate che
incidono sulla prima lamina polarizzatrice: attraversa la lamina
solamente quella frazione di luce il cui vettore campo elettrico
θ
G
E risulta parallelo alla direzione di trasmissione. Il raggio
trasmesso risulta interamente polarizzato linearmente con
intensità
I 0 = vu em = εvE 2
IL fascio polarizzato incide sulla seconda lamina, che è ruotata
[ figura 134 ]
rispetto alla prima e sia θ l’angolo fra gli assi di trasmissione
delle due lamine.
Il fascio luminoso uscente è ancora polarizzato linearmente, ma il piano di polarizzazione risulta ruotato di
G
un angolo ε rispetto a quello incidente. Il relativo vettore campo elettrico E′ , dovendo essere allineato con
G
l’asse di trasmissione, è necessariamente la componente di E rispetto a tale asse
E′ = E cos α
L’intensità del fascio vale
I = ε vE′ 2 = ε vE 2 cos 2 α
I = I 0 cos 2α
La precedente relazione è nota come legge di Malus.
POLARIZZAZIONE PER RIFLESSIONE
Quando un’onda luminosa incide su una superficie di separazione fra due mezzi (indice di rifrazione
rispettivamente n1 = c v1 ed n 2 = c v 2 ), una piccola frazione viene riflessa mentre la restante parte viene
rifratta. L’onda rifratta risulta lievemente polarizzata, l’onda riflessa può risultare più o meno polarizzata in
funzione degli indici di rifrazione e dell’angolo di incidenza. L’onda luminosa riflessa risulta totalmente
polarizzata linearmente se l’angolo fra la direzione di riflessione e quello di rifrazione vale θ = π 2 .
G
Sperimentalmente Brewster verificò che il vettore campo elettrico E dell’onda incidente si può pensare
G
G
scomposto in una componente normale E n (in figura indicata con D ) ed una trasversale E t (in figura indicata
con 7 ) al piano di incidenza [figura 135].
G G
G
E = En + Et
G
L’onda riflessa possiede unicamente la componente normale E n se
G
En : D
G
Et :7
[ figura 135]
αi
αi
α = π 2 , quindi risulta polarizzata linearmente. Ossia
π π
α i + α + α rifr = π
α rifr = π − α i − = − α i
2 2
π2
e applicando al legge di Snell si ricava
α rifr
⎛π
⎞
n1 sin α i = n 2 sin α rifr = n 2 sin ⎜ − α i ⎟ = n 2 cos α i
⎝2
⎠
n
tan α1 = 2 = n 21
n1
Quando un fascio luminoso incide sulla superficie di separazione fra due mezzi con gli indici di rifrazione n1
ed n 2 secondo un angolo
α 1 = arctan
119
n2
n1
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il fascio riflesso risulta completamente polarizzato.
G
Osservando il raggio riflesso attraverso ad un polaroide con l’asse di trasmissione normale a E n , lo si elimina
come visione (uso dei polarizzatori per la pulizia di un’immagine osservata o fotografata).
BIRIFRANGENZA
Alcuni materiali naturali (come la calcite CaCO 3 ) ed alcuni materiali
plastici, a causa di tensioni interne naturali o prodotte artificialmente
[ figura 136 ]
tramite uno stiramento, presentano il fenomeno della doppia rifrazione.
( asse ottico )
La causa è imputabile alla loro struttura anisotropa, per la quale la
velocità della luce al loro interno risulta funzione della direzione di
propagazione. Nei corpi a struttura isotropa la velocità della luce è
raggio ordinario
indipendente dalla direzione di propagazione [figura 136].
Per i corpi rifrangenti i due raggi sono il
G
− raggio ordinario: velocità v o della luce
raggio straordinario
G
− raggio straordinario: velocità v s della luce
e tali raggi risultano polarizzati in direzione normale l’uno rispetto all’altro.
− Asse ottico di un mezzo birifrangente quella direzione particolare lungo la quale i due raggi si
propagano con identica velocità.
• Quando un raggio luminoso incide (secondo un angolo θ) sulla
G
v o ≠ vs
superficie di un mezzo birifrangente, tagliata parallelamente all’asse
λo ≠ λs
ottico, i due raggi rifratti si separano. Ruotando il mezzo, il raggio
(a )
straordinario ruota attorno al raggio ordinario [figura 136].
( asse ottico )
• Quando un raggio luminoso incide normalmente sulla superficie di
un mezzo birifrangente, tagliata ortogonalmente all’asse ottico, i due
raggi rifratti si propagano nella stessa direzione con identica velocità
(b) G
vo = vs
(quindi hanno identiche lunghezze d’onda) [figura 137a].
λo = λs
( asse ottico )
• Quando un raggio luminoso incide normalmente sulla superficie di
un mezzo birifrangente, tagliata parallelamente all’asse ottico, i due
[ figura 137 ]
raggi rifratti si propagano nella stessa direzione con differente
velocità (quindi hanno differenti lunghezze d’onda) [figura 137b].
OTTICA FISICA
La distinzione fra ottica fisica e ottica geometrica è determinata dal fenomeno della interferenza e della
diffrazione.
• Interferenza: termine propriamente riferito ai fenomeni di sovrapposizione ottenuti con onde emesse da due
o più sorgenti coerenti. L’interferenza è caratteristica assolutamente generale delle grandezze fisiche che si
propagano per onde ed una simile proprietà viene assunta come verifica della natura ondulatoria delle
grandezze in esame.
• Sorgenti coerenti e incoerenti: si definiscono tali quando la differenza di fase fra due onde in un qualsiasi
punto è costante nel tempo Δ θ = cost . Quando tale circostanza non è verificata (o anche si verifica per
intervalli temporali molto brevi rispetto al tempo di osservazione) le sorgenti si dicono incoerenti.
• Differenza di fase: in un generico punto P, nel quale due onde interferiscono, esiste una differenza di fase
intrinseca (imputabile alle sorgenti delle onde) ed una differenza di fase imputabile ad una differenza di
percorso compiuto da ciascuna onda per propagarsi dalla sorgente al generico punto P.
• Procedimento dei vettori rotanti o di Fresnell: nel corso di Fisica I ha permesso la determinazione del
moto risultante di due moti armonici su uno stesso asse.
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Il moto risultante è ancora un noto armonico e la sua ampiezza risulta funzione della differenza di fase.
Le due funzioni armoniche
Ψ 1 ( t ) = Ψ 10 sin θ1 ( t )
con
θ1 ( t ) = ωt + ϕ1
Ψ 2 ( t ) = Ψ 20 sin θ 2 ( t )
θ 2 ( t ) = ωt + ϕ 2
con
siano contemporaneamente integrali dell’equazione differenziale
d 2Ψ ( t )
+ ω2 Ψ ( t ) = 0
2
dt
Anche la sovrapposizione delle due funzioni
Ψ ( t ) = Ψ 1 ( t ) + Ψ 2 ( t ) = Ψ 0 sin θ ( t )
θ ( t ) = ωt + ϕ
risulta integrale generale dell’equazione differenziale.
G
Nel riferimento O {x, y} il vettore Ψ 10 [che forma l’angolo θ1 ( t )
G
con l’asse x] ed il vettore Ψ 20 [che forma l’angolo θ 2 ( t ) con
G
l’asse x] ruotano rigidamente con velocità angolare ω . Anche la
G
loro risultante Ψ 0 [che forma l’angolo θ ( t ) con l’asse x] ruota
[ figura 138 ]
Ψ0
rigidamente con la medesima velocità angolare [figura 138]
Le proiezioni dei tre vettori rispetto l’asse y sono correlate da
Ψ 0 sin θ ( t ) = Ψ 10 sin θ1 ( t ) + Ψ 20 sin θ 2 ( t )
θ(t)
Ψ 0 sin ( ωt + ϕ ) = Ψ 10 sin ( ωt + ϕ1 ) + Ψ 20 sin ( ωt + ϕ 2 )
Essendo valida la relazione di uguaglianza, si potranno identificare
i coefficienti di sin ωt e cos ωt ottenendo in tal modo un sistema
di due equazioni nella incognite Ψ 0 e ϕ
cos ωt) : Ψ 0 sin ϕ = Ψ10 sin ϕ1 + Ψ 20 sin ϕ 2
G
Ψ 20
θ1 ( t )
θ2 ( t )
G
Ψ 10
O
cos ωt) : Ψ 0 cos ϕ = Ψ10 cos ϕ1 + Ψ 20 cos ϕ 2
Calcolando il rapporto termine a termine, quadrando e sommando termine a termine si ricavano le incognite
Ψ10sinϕ 1 + Ψ20sinϕ 2
ϕ = arctan
Ψ0 = Ψ102 + Ψ102 + 2Ψ10 Ψ20 cos ( ϕ 2 − ϕ 2 )
Ψ10 cosϕ 1 + Ψ20 cosϕ 2
La differenza delle due fasi iniziali può essere correlata alla differenza delle fasi
Δθ ( t ) = θ 2 ( t ) − θ 2 ( t ) = ( ωt + ϕ 2 ) − ( ωt + ϕ1 ) = ϕ 2 − ϕ1 = Δϕ
ϕ = arctan
Ψ10sinϕ 1 + Ψ20sinϕ 2
Ψ10cosϕ 1 + Ψ20cosϕ 2
e l’ampiezza risultante può risultare
Δ ϕ = 2π
Ψ 0 = Ψ 10 + Ψ 20
Δϕ = π
•
Ψ0 = Ψ102 + Ψ102 + 2Ψ10 Ψ20cosΔ θ
Ψ 0 = Ψ 10 − Ψ 20
se Ψ10 = Ψ 20 = Ψ ′ si ha Ψ 0 = 2Ψ ′
se Ψ10 = Ψ 20 = Ψ ′ si ha Ψ 0 = 0
Differenza di fase fra due onde piane armoniche: può dipendere da vari fattori, uno dei principali è la
differenza di cammino relativo ai percorsi delle onde. Date due onde piane armoniche progressive
Ψ1 {r1 ; t} = Ψ 10 cos ⎡⎣( kr1 − ωt ) + θ10 ⎤⎦
Ψ 2 {r2 ; t} = Ψ 20 cos ⎡⎣( kr2 − ωt ) + θ 20 ⎤⎦
essendo le fasi
θ {r1 ; t} = ( kr1 − ωt ) + θ10 = − ⎡⎣ωt − ( kr1 + θ10 ) ⎤⎦
θ {r2 ; t} = ( kr2 − ωt ) + θ 20 = − ⎡⎣ωt − ( kr2 + θ 20 ) ⎤⎦
e ponendo ϕ 1 = − ( kr1 + θ10 ) e ϕ 2 = − ( kr2 + θ 20 ) si ha
Ψ1 {r1 ; t} = Ψ10 cos ( ωt + ϕ 1 )
Ψ 2 {r2 ; t} = Ψ 20 cos ( ωt + ϕ 2 )
La loro sovrapposizione in un determinato punto vale
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Ψ {r; t} = Ψ 1 {r1 ; t} + Ψ 2 {r2 ; t} = Ψ 0 cos ( ωt + ϕ )
e applicando il procedimento dei vettori rotanti di Fresnell si ricava
Ψ 10 sin α 1 + Ψ 20 sin α 2
2
2
Ψ 02 = Ψ 10
+ Ψ 20
+ 2Ψ 10 Ψ 20 cos ( ϕ1 − ϕ 2 )
α = arctan
Ψ 10 cos α 1 + Ψ 20 cos α 2
calcolando la differenza ϕ1 − ϕ 2
ϕ1 − ϕ 2 = Δ ϕ = k ( r2 − r1 ) + ( θ 20 − θ10 ) = Δ θ
si ottiene come nel caso precedente
2
Ψ 02 = Ψ10
+ Ψ 220 + 2Ψ10 Ψ 20 cos Δθ
L’intensità di un’onda risulta proporzionale al quadrato dell’ampiezza, si ha in definitiva
I = I 1 + I 2 + 2 I 1I 2 cosΔ θ
Nell’ipotesi che sia θ10 = ϕ 20 , la differenza di fase risulta correlate alla differenza di percorso compiuto
dalle due onde dal punto sorgente al punto di interferenza
Δr
(104)
Δθ = k ( r2 − r1 ) = 2π
λ
con il termine 2π legato alla periodicità dell’onda armonica ed il termine Δ r λ , misurato in lunghezza
d’onda, che determina la periodicità. L’ampiezza dell’interferenza e l’intensità valgono
⎛ Δr ⎞
⎛ Δr ⎞
2
I = I1 + I 2 + 2 I1I 2 cos ⎜ 2π ⎟
Ψ 0 = Ψ 10
+ Ψ 220 + 2Ψ 10 Ψ 20 cos ⎜ 2π
⎟
λ ⎠
λ ⎠
⎝
⎝
− Interferenza costruttiva: quando Δ x = λ , la differenza di fase nella (104) ha valore Δθ = 2π
Ψ 0 = Ψ 10 + Ψ 20
I = I1 + I 2 + 2 I1I 2
Le due onde sono in accordo di fase e sia l’ampiezza sia l’intensità hanno il massimo valore.
− Interferenza distruttiva: quando Δ x = λ 2 , la differenza di fase nella (104) ha valore Δθ = π
I = I1 + I 2 − 2 I1I 2
Le due onde sono in opposizione di fase e sia l’ampiezza sia l’intensità hanno valore minimo.
− Regola generale:l’interferenza fra due onde è correlata alla differenza di cammino e precisamente
⎧⎪ Δθ = 2π ( n = 0, ±1, ±2, ±3,")
Δ r = nλ
⎨
⎪⎩ interferenza costruttiva
⎧⎪ Δθ = π ( n = 0, ±1, ±2, ±3,")
1⎞
⎛
Δr = ( 2n + 1) λ = ⎜ n + ⎟ λ
⎨
2⎠
⎝
⎪⎩ i nterferenza distruttiva
Nell’ipotesi che si abbia Ψ10 = Ψ 20 = Ψ ′
Ψ 0 = Ψ 10 − Ψ 20
per Δr = nλ
•
: Ψ 0 = 2Ψ ′
I = 4Ψ ′ 2
1⎞
⎛
per Δr = ⎜ n + ⎟ λ
: Ψ0 = 0
I=0
2⎠
⎝
e le ultime relazioni interpretano l’affermazione che “luce più luce può dare buio” oppure “suono più
suono può dare silenzio”.
La riflessione di un’onda su una superficie di separazione fra due mezzi, con differenti indici di rifrazione,
comporta una differenza di fase fra l’onda incidente e l’onda riflessa. Precisamente:
− se n1 > n 2 : il primo mezzo risulta più denso del secondo e la differenza di fase è Δβ = 2π
− se n1 < n 2 : il secondo mezzo risulta più denso del primo e la differenza di fase è Δβ = π
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LAMINA PIANA SOTTILE
Si consideri un raggio luminoso monocromatico incidente su una sottile lamina, con facce piano parallele a
distanza reciproca d 0 . L’indice di rifrazione del materiale della lamina ( n ′ = c v′ ) sia maggiore di quello
dell’ambiente che la circonda ( n = c v ). Tale fatto implica che v > v′ e quindi λ > λ′ ; applicando la
definizione di lunghezza d’onda
λ
c
λ′ = v′T = T = 0
n′
n′
con λ 0 = cT la lunghezza d’onda del raggio luminoso nel vuoto. Si ricava che
λ 0 = n ′λ′
•
•
Analisi del fenomeno [figura 139]
− il raggio riflesso d , rispetto al raggio incidente c , presenta una
differenza di fase pari a π ;
[ figura 139 ]
− il raggio rifratto e subisce una riflessione sulla parete inferiore
c
d
g
della lamina (raggio f )e fra i due raggi interni alla lamina la
α
differenza di fase è pari a 0 ;
− il raggio rifratto g in uscita dalla lamina, rispetto al raggio
incidente c , presenta una differenza di fase pari a
P
Δ
r′
Δ α′ = 2 π
λ
d0
e f
− Se il raggio c incidesse sulla superficie superiore della lamina
secondo un angolo α piccolo, i due raggi emergenti d e g
potrebbero essere osservati contemporaneamente dalla stessa
P′
pupilla e quindi si potrebbero considerare paralleli. Ossia
d
PP′ = 0
sin α
ed essendo la differenza di percorso data da Δ r = 2PP′ = 2d 0 sin φ , nell’approssimazione α 0
( cos α 1 ) si avrebbe
Δ r 2d 0
La differenza complessiva di fase risulta
2d
Δ r′
Δα tot = Δα + Δα′ = π + 2π
= π + 2π 0
λ′
λ′
⎧Δα = π
⎪
1
1 ⎞ λ′
− Interferenza costruttiva Δα tot = 2π
⎛
⎨ Δ α′ = π
′ = ⎜⎛ n + ⎟⎞ λ′
Δ
=
+
r
d
n
0
⎜
⎟
N ⎝
⎪
2⎠
2⎠ 2
⎝
2d 0
⎩
⎧Δ α = π
⎪
λ′
− Interferenza distruttiva Δα tot = π
⎨Δα′ = ( 0, 2π )
r′ = n λ′
d0 = n
Δ
N
⎪
2
2d 0
⎩
Quando un raggio luminoso monocromatico incide su una
lamina a spessore variabile, si osserva un’alternanza di
[ figura 140 ]
frange di interferenza chiare (dove esiste additività) e
scure (dove esiste sottrattività).
Si consideri il cuneo di aria fra due sottili lamine (a
d0
α
superfici piane e parallele) che formano un piccolo angolo
fra loro [figura 140]. L’interferenza additiva o sottrattiva
x
si verifica quando
123
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______________________________________
⎧n λ aria
Δ r = ⎪⎨⎛ 1 ⎞
⎪⎜ n + 2 ⎟ λ aria
⎠
⎩⎝
La distanza fra due frange successive
− chiare n λ aria − ( n − 1) λ aria = λ aria
•
•
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Δα = 2π
(frange chiare)
Δα = π
(frange scure)
1⎞
1⎞
⎛
⎛
− scure ⎜ n + ⎟ λ aria − ⎜ n − 1 + ⎟ λ aria = λ aria
2⎠
2⎠
⎝
⎝
Quando un raggio luminoso incide su una bolla di sapone o su una lamina oleosa, si generano frange
luminose di vario colore in quanto il raggio incidente (a causa dello spessore non uniforme delle pareti)
viene riflesso in punti differenti a causa delle varie lunghezze d’onda.
Una figura di interferenza si può facilmente ottenere utilizzando o una radiazione monocromatica oppure
separando il fascio luminoso tramite una sottile lamina, che determina una differenza di percorso correlata
alla differenza di fase
PROCEDIMENTO DI YOUNG
Un’onda piana luminosa investe normalmente una
superficie piana opaca sulla quale sono incise due sottili
fenditure, parallele fra loro a distanza d 0 l’una dall’altra
[figura 141]. Ogni punto delle fenditure è sede di onde
sferiche secondarie con identiche caratteristiche dell’onda
incidente (stessa lunghezza d’onda, fase e velocità). Le
onde sferiche interferiscono fra loro in un punto P,
definendo frange chiare o scure in funzione del valore
della differenza di percorso Δ r = r2 − r1 , essendo OP = r1
O
d0
r
r2
massima ampiezza
massima luminosità
− Frange scure (interferenza sottrattiva): Δθ = π e differenza di percorso
1⎞
⎛
( n = 0, ±1, ± 2, ± 3," )
d 0 sin α = ⎜ n + ⎟ λ
2
⎝
⎠
124
yn
α
l0
e OP′ = r2 la distanza fra le fenditure ed il punto P. Il
O′
punto P di interferenza sia posizionato su una superficie
piana, posta a distanza l 0 >> d 0 dalla superficie opaca. In
O
tale approssimazione, si ha r1 r2 r (con r la distanza
fra il punto medio del segmento OO’ e P) ed i raggi delle
O′
due onde secondarie si possono considerare paralleli.
Δr
[ figura 141]
Tracciando dal punto O la normale ad r2 , si ricava
proprio
Δ r = r2 − r1 = d 0 sin α
e la differenza di fase vale
d sin α
Δ θ = 2π 0
λ
− Frange luminose (interferenza additiva): Δθ = 2π e differenza di percorso
d 0 sin α = n λ
( n = 0, ±1, ± 2, ± 3," )
minima ampiezza
mminima luminosità
P
r1
α
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Se il punto P fosse sede della n-esima frangia, nel riferimento in figura avrebbe coordinate P {l 0 , y n } e con
l’approssimazione l 0 >> d 0 la tangente di α sarebbe tan α = y n l 0 sin θ . Ossia, quando
l
y
− l’ordinata delle frange luminose vale d 0 n = n λ , cioè y n = n λ 0 , la distanza fra due frange luminose
l0
d0
consecutiva varrebbe
l
Δ y = y n − y n −1 = λ 0
d0
1⎞ l
y
1⎞
⎛
⎛
− l’ordinata delle frange scure d 0 n = ⎜ n + ⎟ λ , cioè y n = ⎜ n + ⎟ λ 0 , la distanza fra due frange scure
2 ⎠ d0
l0 ⎝
2⎠
⎝
consecutiva varrebbe
l
Δ y = y n − y n −1 = λ 0
d0
− la differenza di fase in tali casi vale
d sin θ 2π d 0
yn
Δ θ = 2π 0
=
λ
λ l0
L’onda piana incidente sia un’onda elettromagnetica con E 0 il massimo valore di ampiezza del campo elettrico
e con frequenza f = 1 T = ω0 2π . Le onde che si propagano dai due fori sono sferiche (con le medesime
caratteristiche fisiche di quella incidente) e interferiscono nel punto P dello schermo opaco. Le due onde
luminose secondarie sono
E
E
: E1 {r1 ; t} = 0 sin θ1 {r1 ; t} = 0 sin ( kr1 − ωt )
− dalla fenditura O
r1
r1
E
E
− dalla fenditura O′
: E 2 {r2 ; t} = 0 sin θ 2 {r2 ; t} = 0 sin ( kr2 − ωt )
r2
r2
Sovrapponendo le onde si ricava che per l’approssimazione 1 r1 1 r2 1 r [figura 141a]
E
E
E {r; t} = E1 {r1 ; t} + E 2 {r2 ; t} = 0 sin ( kr1 − ωt ) + 0 sin ( kr2 − ωt )
r
r
e applicando il procedimento dei vettori rotanti di Fresnell
2
2
E E
⎛E ⎞ ⎛E ⎞
E = ⎜ 0 ⎟ + ⎜ 0 ⎟ + 2 0 0 cos Δθ
r r
⎝ r ⎠ ⎝ r ⎠
La intensità dell’onda risulta proporzionale all’ampiezza al quadrato, per cui
I tot = I + I + 2 I I cos Δθ = 2I (1 + cos Δθ )
2
tot
e ricordando la relazione di bisezione di un angolo
Δθ 1 + cos Δθ
cos
=
2
2
→
I tot = 4I cos 2
Essendo
1 + cos Δθ = 2 cos
Δθ
Δθ
2
2
2π
2π
Δr =
d 0 sin α
λ
λ
l’intensità nel punto P nel quale avviene l’interferenza vale
⎛ d
⎞
I tot = 4I cos 2 ⎜ π 0 sin α ⎟
⎝ λ
⎠
• Procedimento dei vettori rotanti di Fresnell: nel caso di un certo numero di fenditure equidistanti, il
procedimento risolutivo è simile a quello sfruttato nel caso di due fenditure.
Δθ = θ2 − θ2 =
125
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Le fenditure sono trattate come sorgenti coerenti e la posizione dei massimi di interferenza è
indipendente dal loro numero. Quando si hanno molte fenditure (o molte sorgenti coerenti) l’intensità dei
massimi di interferenza risulta fortemente aumentata rispetto al caso di due fenditure (o di due sorgenti
coerenti), tuttavia la larghezza dei massimi risulta minore.
− Due fenditure: le onde luminose uscenti hanno identica ampiezza E 0 , velocità e lunghezza d’onda.
Presentano però una differenza di fase, imputabile alla differenza di percorso. Nell’ipotesi che si abbia
r1 r2 r , le fasi delle due onde sono
−
θ1 {r; t} = ( kr − ωt ) per quella uscente dalla fenditura O e che percorre il percorso r1 ,
−
θ 2 {r; t} = ( kr2 − ωt ) + ϕ = θ1 {r; t} + ϕ per quella uscente dalla fenditura O′ e che percorre il
percorso r2
Rappresentando in [figura 142] il procedimento di Fresnell si osserva che il triangolo formato dai tre
vettori è isoscele ed i due angoli alla base valgono ϕ 2 per note proprietà
E
ϕ
= E 0 cos
2
2
[ figura 142]
E0
Uguagliando le proiezioni dei vettori rispetto all’asse y
ϕ⎤
⎡
E sin ⎢θ1{r; t} + ⎥ = E 0 sin ⎡⎣θ1{r; t}⎤⎦ + E 0 sin ⎡⎣θ1{r; t} + ϕ⎤⎦
2⎦
⎣
da cui si ricava applicando le relazioni di prostaferesi
θ1 + ϕ
ϕ
ϕ⎤
ϕ
⎡
E
E {r; t} = 2 E 0 sin ⎢( kr − ωt ) + ⎥ cos = 2E′ cos
ϕ
2
2⎦
2
⎣
E′
ϕ 2
E0
L’intensità nel punto di interferenza risulta definito da
θ1
ϕ
I P ∝ E 2 {r; t} = 4E′ 2 cos 2
2
che risulta esattamente uguale alla relazione ottenuta con il procedimento di Young.
− Tre fenditure: il piano, sul quale si osservano le frange di interferenza, sia posizionato a distanza l 0 dal
piano contenente le fenditure (con la distanza fra di esse).
Nell’approssimazione l 0 >> d 0 , i tre raggi secondari sono con buona approssimazione paralleli fra loro
e la differenza di percorso (relativo a due onde secondarie consecutive) vale sempre Δ r = d 0 sin α
costante. Il punto P di interferenza di ordine n ha ordinata [figura 143]
y n = l 0 tan α l 0 sin α
P
Le tre onde siano rappresentate da relazioni con ϕ lo
sfasamento sia della seconda rispetto alla prima sia della
yn
r
d0
terza rispetto alla seconda
α
E1 = E 0 sin ( kr − ωt )
E 2 = E 0 sin ⎡⎣( kr − ωt ) + ϕ⎤⎦
d0
E 3 = E 0 sin ⎡⎣( kr − ωt ) + 2ϕ⎤⎦
l0
La differenza complessiva di percorso vale
Δ rtot = d 0 sin α + d 0 sin α = 2d 0 sin α
[ figura 143]
e la differenza di fase fra due raggi consecutivi vale
d sin α 2π d 0
yn
Δ θ = 2π 0
=
λ
λ l0
− Per α = 0 , Δ θ = 0 e tutte le tre onde sono in fase fra loro e si ha il primo massimo [figura 144]
E = 3E 0
I ∝ 9E 02
126
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− Aumentando il valore di α , diminuiscono sia l’ampiezza
sia l’intensità luminosa.
( α = 0)
E0
E
− Per α = 2π 3 , l’ampiezza totale è nulla ed è nulla anche
l’intensità e si ha il primo minimo
E=0
I=0
− Per α = π , si ha il secondo massimo
( α = 2π 3 )
− Aumentando il valore di θ, diminuiscono sia l’ampiezza
α
E (α)
sia l’intensità luminosa fino ad avere il secondo minimo.
Nel caso di due fenditure, il primo minimo si ha per α = π e
α
risulta essere decisamente maggiore di α = 2π 3 (caso di tre
E0 α
E0
fenditure).
− Fenditure larga: si tenga presente che, nel caso di una
fenditura sottile, l’intensità luminosa delle frange di
[ figura 144 ]
interferenza è la stessa in ogni punto indipendentemente
dall’angolo θ.
Nel caso di una fenditura larga, l’intensità luminosa diminuisce all’aumentare dell’angolo α : per
Δθ = 0 si ha il massimo centrale.
Una fenditura larga h 0 si può pensare costituita da N punti
sorgente allineati a distanza d = h 0 N l’uno dall’altro. Le onde
emesse dalla sorgente A (estremo) e C (punto mediano) hanno
A
una differenza di percorso [figura 145]
α
h
Δ r = 0 sin α
C
2
h0
ed una differenza di fase
2
Δθ = π
(sono in opposizione di fase), quindi l’intensità luminosa risulta
[ figura 145]
nulla. Il medesimo ragionamento lo si applica ad ogni coppia di
sorgenti, posizionate omologamente a queste.
Tutte le onde luminose hanno identica ampiezza E 0 e, fra due successive qualunque, valgono valide le
relazioni
h
h sin α
Δ r = d sin α = 0 sin α
Δ θ = 2π 0
N
N λ
Quando α = 0 anche Δ θ = 0 e tutte le onde luminose, generate dalle N sorgenti puntiformi allineate,
sono in fase fra loro e l’ampiezza nel punto di interferenza additiva (primo massimo) vale
E = NE 0
Ogni onda emessa da un punto sorgente presenta uno
Φ
sfasamento ϕ rispetto all’onda emessa dal punto sorgente
R
precedente e seguente, ossia fra le N onde successive si hanno
2
Φ
gli sfasamenti ⎡⎣ φ, 2φ, 3φ, , ( N-1) φ ⎤⎦ . Utilizzando il
2
E
procedimento di Fresnell, i vettori ampiezza E 0 delle N onde
emesse dai punti sorgente si dispongono lungo un arco di
circonferenza (essendo piccolo il valore dello sfasamento
reciproco).
Sia R il raggio dell’arco di circonferenza e Φ = Nϕ lo
sfasamento fra il primo vettore e l’ultimo, per nota proprietà
geometrica [figura 146]
E
E = 2R sin Φ
= R sin Φ
2
127
E0
[ figura 146 ]
Φ
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Il modulo del vettore ampiezza totale vale E = NE 0 = RΦ e sostituendolo nella precedente relazione
Φ
sin
NE 0
Φ
2
E=2
sin = NE 0
Φ
2
Φ
2
Al limite per Φ → 0 , ricordando che
Φ
sin
2 =1
lim
Φ →0
Φ
2
l’interferenza presenta un massimo di ampiezza E max = NE 0 al quale corrisponde una intensità
luminosa massima I max . Il rapporto fra l’intensità luminosa I ( α ) , corrispondente al generico valore
angolare α ed il massimo valore I max risulta proporzionale al rapporto ( E ( α ) E max )
Φ⎞
⎛
I ( α ) ⎛ E ( α ) ⎞ ⎜ sin 2 ⎟
∝⎜
⎟
⎟ =⎜
I max ⎝ E max ⎠ ⎜ Φ ⎟
⎝ 2 ⎠
2
2
2
con
ϕ = 2π
h
Nd sin α
= 2π 0 sin α
λ
λ
RETICOLI DI DIFFRAZIONE
La determinazione della lunghezza d'onda λ della radiazione luminosa emessa da una sorgente è fattibile
usando un reticolo di diffrazione.
• Spettroscopio a reticolo: la luce emessa da una sorgente S
viene focalizzata da un sistema di lenti su un collimatore
C, posto nel fuoco della lente B e la luce emergente è
L
P
un'onda piana che investe un reticolo dal quale è diffratta
B
A
(ricordare che per θ = 0 si ha l'ordine n = 0 lungo l'asse
del reticolo). Se la luce emessa dalla sorgente fosse bianca
(composta da lunghezze d'onda differenti, quindi non
S
monocromatica) per θ = 0 tutti i massimi coinciderebbero,
θ
ma all'aumentare dell'angolo θ i massimi correlati alle
C
varie lunghezze d’onda si separano fra loro [figura 147].
Sperimentalmente è possibile determinare i vari massimi
usando un telescopio ruotante in un piano normale al
[ figura 147 ]
reticolo (la lente L converge i raggi luminosi nel punto P di
osservazione).
Per ogni valore n ≠ 0 , lo spettroscopio a reticolo disperde la luce incidente in funzione della lunghezza
d'onda (alla quale è associata un colore nel campo del visibile).
Infatti per luce bianca incidente, centrando un massimo di ordine n, la rotazione del telescopio (lungo la
posizione corrispondente all'ordine n) determina una larga sequenza di colori.
− Dispersione: affinché sia possibile distinguere due lunghezze d'onda simili fra loro, il reticolo deve
essere in grado di risolvere le relative righe di diffrazione. Si definisce dispersione il rapporto
Δθ
D=
Δλ
128
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essendo Δ θ la distanza angolare di due righe le cui lunghezze d'onda differiscono di Δλ .
Differenziando la relazione d 0 sin α = n λ , con l'angolo α e la lunghezza d'onda variabili, si ha
d 0 cos α d θ = nd λ
e per angoli sufficientemente piccoli è possibile riscriverla in termini finiti d 0 cos α Δ α = n Δ λ , da cui si
ricava la dispersione come
Δθ
n
=
D=
Δλ d 0 cos α
− Potere risolutivo: le righe con lunghezze d'onda molto simili sono tanto più risolvibili quanto minore è
la loro larghezza. Il potere risolutivo è il rapporto fra la media di due lunghezze d'onda appena
risolvibili e la loro differenza di lunghezza d'onda
〈λ〉
R=
Δλ
ed al decrescere di Δ λ si riduce la distanza alla quale due righe sono risolvibili. Il potere risolutivo di
un reticolo di diffrazione con N righe vale R = Nn .
OLOGRAFIA
Si definisce ologramma la riproduzione, su un mezzo fotosensibile (tipo
riferimento
lastra fotografica) delle figure di interferenza dovute all'interazione di
[figura 148 a ]
almeno due fasci di luce derivanti da un'unica sorgente monocromatica
(fasci coerenti tipo luce laser). Nella generazione di un ologramma, una
oggetto
parte del fascio luminoso emesso dal laser (fascio di riferimento) viene
diffusa da una lente o da uno specchio su una lastra di materiale
fotosensibile e la restante parte è indirizzata su un oggetto, del quale si
vuole riprodurre l'immagine [figura 148 a].
− Il fascio di luce rifratto dall'oggetto (fascio oggetto) incide sulla lastra fotosensibile e su si essa i due
fasci, coerenti fra loro e provenienti da un'unica sorgente monocromatica, determinano figure di
interferenza distinte. L'oggetto sia un punto O ed i due fasci interferiscano secondo un angolo ϕ = π 2 :
la figura di interferenza risulta essere esattamente identica a quella prodotta da una doppia fenditura,
con la distanza d 0 fra le fenditure molto grande rispetto alla dimensione delle stesse. Sulla lastra
fotosensibile si generano sottili frange aventi separazione costante fra massimi adiacenti. La lastra,
sviluppata dopo l'esposizione, diventa un reticolo di diffrazione con un alto indice di dispersione.
− Ricostruzione del fronte d'onda: [figura 148 b] illuminando
R (reale)
la lastra fotosensibile sviluppata con un fascio di
O (virtuale)
riferimento, uguale a quello usato per generare l'ologramma,
la luce diffratta genera un'immagine virtuale O dell'oggetto.
Osservando l'ologramma in direzione di O, si osserva un
punto luminoso nello spazio tridimensionale. Se il fascio di
riferimento venisse indirizzato in verso opposto (fascio
O′ (reale)
R ′ (virtuale)
coniugato R') il punto O′ risulterebbe reale ed anche in
questo caso si osserverebbe un punto luminoso nello spazio
[ figura 148 b ]
tridimensionale. Poiché ogni minima area dell'ologramma
può dare luogo a immagini reali o virtuali, esso si comporta
simultaneamente come una lente convergente, divergente e
reticolo di diffrazione.
Se il punto materiale oggetto fosse sostituito da un corpo esteso, il fascio oggetto sarebbe determinato
da un gran numero di sorgenti puntiformi che costituirebbero i centri di diffusione dell'oggetto.
129
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La registrazione sulla lastra fotosensibile consiste in una sovrapposizione di reticoli di diffrazione i
quali, in funzione di come verrebbero illuminati, restituiscono un'immagine reale o virtuale dell'oggetto
(trasmissione laser). Come già accennato, ogni elemento dell'area dell'ologramma contiene l'insieme
completo delle informazioni per la riproduzione dell'oggetto. Quanto maggiore è la dimensione
dell'ologramma, tanto maggiore è la risoluzione dell'immagine.
EFFETTO DÖPPLER
Ogni volta che un osservatore si muove relativamente ad una sorgente di onde, apparentemente la frequenza
delle onde sembrerebbe aumentare quando la distanza sorgente/osservatore diminuisce, sembrerebbe diminuire
quando la distanza sorgente/osservatore aumenta. Il fenomeno fu studiato nel 1842 da Döppler che dimostrò
l’effetto nel 1845 in Olanda usando un treno in moto con sopra dei trombettieri.
Sono esempi di effetto Döppler [figura 149]
− lo spostamento nella banda del rosso o red-shift della lunghezza
d'onda della luce emessa da galassie che si stanno velocemente
allontanando dalla terra;
v
− la misurazione tramite il radar della velocità di un autoveicolo
S
λ λ
(autovelox): una sorgente emette onde di frequenza f le quali
vengono riflesse dal mezzo con frequenza f ′ e viene misurata la
differenza f − f ′ con la determinazione della velocità. Il valore
ottenuto è valido quando mezzo e autovelox sono collineari, se
[ figura 149 ]
fossero posti su direzioni normali fra loro non si otterrebbe alcun
valore.
Una sorgente S emetta onde sferiche con frequenza f = 1 T = ω 2π che si propagano con velocità v ed un
rivelatore R intercetti i fronti d'onda.
Si possono avere i tre casi:
− rivelatore fermo: il ritmo di intercettazione è pari a quello di emissione dei fronti d'onda da parte della
sorgente, quindi f ′ = f ;
− rivelatore in avvicinamento: il ritmo di intercettazione aumenta, quindi f ′ > f ;
− rivelatore in allontanamento: il ritmo di intercettazione diminuisce, quindi f ′ < f .
• Sorgente ferma ( vS = 0 ) e rilevatore fermo ( v R = 0 )
nel tempo t i vari fronti d'onda si sono spostati di un tratto d 0 = v t ed in tale tratto il numero di lunghezze
d'onda è N = d 0 λ = vt λ .
Tale numero N è proprio quello intercettato dal ricevitore R nel
tempo t, ossia il ritmo di intercettazione (o frequenza f ′ ) è pari
S
al rapporto fra il numero N ed il tempo t [figura 150]
R
vt
v
vS = 0
N
v
vR = 0
f′= = λ =
λ
t
t
quando il rivelatore è fermo, la frequenza rilevata f ′ dal
d0
[ figura 150 ]
rivelatore R è pari v λ = v vT = f che rappresenta la frequenza
di emissione della sorgente S.
• Sorgente fissa e rivelatore in avvicinamento: nel tempo t, il fronte d'onda percorre lo spazio d 0 = v t ed il
rivelatore d1 = v R t [figura 151] Lo spazio che il fronte d'onda percorre rispetto al rivelatore R vale
d = d 0 + d1 = v t + v R t = ( v + v R ) t
ed il numero di lunghezze d'onda contenute in detto spazio vale
130
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d v + vR
=
t
λ
λ
Il ritmo di intercettazione vale f ′ = N t = ( v + v R ) λ , ma dal caso
N=
•
•
v
vR
R
precedente si ha che v λ = f ossia λ = v f che sostituita in f ′
permette di avere
d0
d1
v + vR
⎛ v ⎞
f′= f
= f ⎜1 + R ⎟
v
v ⎠
[ figura 151]
⎝
Quando v R ≠ 0 si ha f ′ > f , quando v R = 0 si ha f ′ = f .
Sorgente fissa e rivelatore in allontanamento: il ragionamento è uguale a quello del caso precedente con la
considerazione che il fronte d'onda percorre rispetto al rivelatore lo spazio
d = d 0 − d1 = vt − v R t = ( v − v R ) t
da cui si ricava
v − vR
⎛ v ⎞
f′= f
= f ⎜1 − R ⎟
v
v ⎠
⎝
Rivelatore fisso e sorgente in allontanamento: ripetendo il ragionamento precedente, la distanza fra due
fronti d'onda successivi è d = d 0 + d1 = ( v + vS ) T = λ′ ed il ritmo di intercettazione del rivelatore vale
f′= f
•
S
v
v + vS
e quando vS < 0 si ha f ′ < f .
Sorgente fissa e rivelatore in allontanamento: il ragionamento è uguale a quello del caso precedente con la
considerazione che il fronte d'onda percorre rispetto al rivelatore lo spazio
d = d 0 − d1 = vS t − v R t = ( vS − v R ) t
per cui si ricava
⎛ v ⎞
vS − v R
= f ⎜1 − R ⎟
v
⎝ vS ⎠
Rivelatore fisso e sorgente in allontanamento: ripetendo il ragionamento precedente, la distanza fra due
fronti d'onda successivi è d = d 0 + d1 = ( vS + vS ) T = λ′ ed il ritmo di intercettazione del rivelatore vale
f′= f
•
f′= f
vS
v S + vS
e quando vS < 0 si ha f ′ < f .
•
Rivelatore fisso e sorgente in avvicinamento: quando la
sorgente si sposta con velocità vS ≠ 0 , rincorre i suoi stessi
fronti d'onda ed i rispettivi centri si spostano da S in S1 , S2 , S3
( vR = 0 )
v
′
S
e così via per cui la lunghezza d'onda λ risulta ridotta nella
direzione del moto. L'intervallo temporale, intercorrente fra
S
R
l'emissione di due fronti d'onda successivi, è pari al periodo
T = 1 f ed in tale intervallo lo spazio percorso dal fronte
[ figura 151]
d'onda è d 0 = v T e quello della la sorgente è d1 = vST . Lungo
la direzione del moto, la distanza [figura 151]
d = d 0 − d1 = ( v − vS ) T
risulta essere uguale alla lunghezza d'onda λ′ (ricordare che dopo il tempo T viene emesso un altro fronte
d'onda e che d rappresenta la loro distanza).
Il rivelatore intercetta tali fronti d'onda con un ritmo
131
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vT
N
v
v
f ′ = = λ′ =
= f
T
T
v − vS
( v − vS ) T
1
f
e quando vS > 0 si ha f ′ > f .
•
•
Sorgente e rivelatore in moto relativo reciproco: se vS è la velocità della sorgente, v è la velocità di
propagazione del fronte d'onda e v R la velocità del rivelatore, la frequenza rilevata vale
v + vR
f′= f
per l'avvicinamento
v − vS
v − vR
f′= f
per l'allontanamento
v + vS
Effetto Döppler al variare della velocità: l'effetto risulta essere differente nel caso che in moto sia la
sorgente o il rivelatore o entrambi, anche se le due velocità fossero identiche.
− Nell'ipotesi che si abbia v R < v e vS < v , utilizzando lo sviluppo binomiale si ricaverebbe
⎛ u⎞
f ⎜1 ± ⎟
⎝ v⎠
la velocità relativa fra la sorgente ed il
f′
essendo u = vS − v R
S
rivelatore [figura 152]
− Quando il rivelatore è fisso ( v R = 0 ) e la sorgente si muove con
vS = v
una velocità pari a quella del fronte d'onda ( vS = v ) la frequenza
rilevata non ha significato fisico in quanto
[ figura 152]
v
f′= f
→∞
v − vS
cioè la sorgente S mantiene il passo di tutti i fronti d'onda emessi in successione.
− Quando vS > v , la sorgente in S1 emette un'onda il cui fronte, al tempo t, ha raggio R1 = v t mentre nel
medesimo intervallo temporale la sorgente si è spostata di un tratto d = vS t . Il processo continua e i
centri S2 , S3 , S4 ,… dei vari fronti d'onda, emessi in successione, sono posizionati alle spalle della
sorgente. Tutti i fronti d'onda si raggruppano in un inviluppo tridimensionale conico avente il vertice nel
punto S sorgente. Il mantello dell'inviluppo conico rappresenta un fronte d'urto in quanto i vari fronte
d'onda determinano una brusca variazione di pressione su un qualunque oggetto investito. Il semiangolo
di apertura del cono di Mach è correlato al rapporto delle velocità tramite la relazione [figura 153]
sin θ = vt vS t = v vS
[ figura 153]
e per le onde sonare tale rapporto è detto numero di Mach
vt
v
N Mach =
= sin θ
θ
vS
Quando degli elettroni si muovono in un mezzo trasparente con una
velocità maggiore di quella della luce nel mezzo ( v e >> vluce ) viene
vS t
emessa luce visibile secondo un cono di emissione che ha come
sorgente i singoli elettroni (effetto Cĕrenkov).
Nella piscina di raffreddamento di un reattore nucleare, gli elettroni emessi dagli atomi radioattivi delle
barre di combustibile viaggiano con una velocità maggiore di quella della luce nell'acqua, per cui
irraggiano un'onda luminosa di lunghezza d'onda corrispondente al colore verde/blu.
132
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OTTICA GEOMETRICA
La luce è una radiazione elettromagnetica che si propaga nel vuoto con velocità
m
c 3 × 10 8
s
e che gli esseri umani decodificano come visibile se la lunghezza d'onda è compresa nello spettro
λ m = 0.38 ⋅10−6 m
(luce violetta)
λ M = 0.78 ⋅10−6 m
(luce rossa)
essendo 1 Å = 10−10 m . Si osservi che, essendo la lunghezza d’onda λ e la frequenza f correlate dalla relazione
λ = vT = v f , alla luce rossa corrisponde una frequenza minore rispetto a quella della luce violetto. Fra queste
due lunghezze d'onda limiti, gli occhi decodificano le lunghezze d'onda corrispondenti ai colori aranciato,
giallo, verde, azzurro, indaco. Secondo il principio di Huygens, la luce si propaga in un mezzo secondo onde
sferiche e l'inviluppo di tali onde si dice fronte d'onda. Ogni punto di un fronte d'onda diventa sorgente di
ulteriori onde sferiche secondarie e, dopo un tempo Δ t , la superficie di inviluppo delle onde sferiche
secondarie costituisce il nuovo fronte d'onda. L'emettitore di onde luminose si dice sorgente e può essere
puntiforme o diffusa. Le onde luminose possono essere monocromatiche (coerenti fra loro) se la sorgente
emette onde di una sola lunghezza d'onda o policromatiche se si hanno differenti lunghezze d'onda. L'indice di
rifrazione è un indicatore della "qualità" del mezzo attraversato dalle onde luminose. L'indice di rifrazione
assoluto è il rapporto fra la velocità della luce nel vuoto e la velocità della luce nel mezzo
c
n=
(con v << c )
v
Nell'ottica geometrica viene introdotto il concetto di raggio luminoso che viaggia in un mezzo omogeneo
(densità costante) ed isotropo (identico comportamento in ogni direzione). Le discontinuità nello spazio in cui
viaggia il raggio devono avere dimensioni caratteristiche superiori alla lunghezza d'onda, cioè d 0 >> λ . Quando
un raggio luminoso incontra una superficie di separazione fra due mezzi con differenti indici di rifrazione,
avente la caratteristica di impedirne la propagazione, avviene il fenomeno della riflessione. Se la superficie di
separazione viene attraversata dal raggio luminoso si parla di rifrazione.
PRINCIPIO VARIAZIONALE DI FERMAT
Il principio variazionale, applicato alla propagazione di un raggio luminoso, si può enunciare affermando che il
raggio luminoso si propaga fra due punti dello spazio seguendo un cammino al quale corrisponde un tempo
o minimo o massimo o stazionario, se detto tempo è confrontato con quello dei percorsi vicini.
• Riflessione: un raggio luminoso, emesso dalla sorgente S e
S
riflesso in O, raggiunge il generico punto P. Considerando la
[ figura 154 ]
figura, il cammino ottico del raggio dal punto S{x, a} fino al
punto P {d − x, b} è dato da
a
SOP = l = l 1 + l 2
essendo [figura 154]
l1 = x 2 + a 2
l2 =
(d − x )
2
P
l1
θ1
θ2
l2
b
+ b2
La posizione del punto O è definita dal principio variazionale,
che si esprime secondo l'equazione
dl
x
(−1)(d − x)
=0
→
+
=0
2
2
dx
x +a
(d − x) 2 + b 2
133
x
O
d
d−x
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⎛π
⎞
= cos ⎜ − θ1 ⎟ = sin θ1
⎝2
⎠
x +a
(d − x)
⎛π
⎞
= cos ⎜ − θ2 ⎟ = sin θ2
2
2
⎝2
⎠
(d − x) + b
x
2
2
Sostituendo si ottiene sin θ1 = sin θ2 , ossia per la riflessione vale la legge
θ1 = θ 2
•
Rifrazione: il raggio luminoso incontra nel punto O una
superficie di separazione fra due mezzi omogenei aventi
rispettivamente gli indici di rifrazione n1 < n 2 .
Il tempo impiegato dal raggio per portarsi dalla sorgente S{x, a}
S
l1
a
al generico punto P {d − x, b} vale [figura 155]
t SOP = t SO + t OP =
l1
v1
+
l2
x
v2
θ1
d−x
( n1 )
l2
(n2 )
b
essendo l1 = SO ed l2 = OP .
θ2
Ricordando la definizione di indice di rifrazione ( n = c v ) e
sostituendo nella precedente relazione i valori della velocità di
[ figura 155]
propagazione del raggio nei due mezzi, si ricava
n1l 1 + n 2 l 2
P
t SOP =
c
da cui si deve porre particolare attenzione che il percorso geometrico ( l 0 = l 1 + l 2 ) del raggio luminoso è
totalmente differente dal percorso ottico ( l = n1l 1 + n 2 l 2 ) del medesimo. Operando si deduce che
ct SOP = l = n1l 1 + n 2 l 2 , essendo l 1 = x 2 + a 2 e l 2 =
(d − x )
2
+ b2 .
Anche nel presente caso la posizione del punto O è definita dal principio variazionale, ossia
dl
x
(−1)(d − x)
+n2
=0
=0
→
n1
2
2
dx
x +a
(d − x) 2 + b 2
⎛π
⎞
= cos ⎜ − θ1 ⎟ = sin θ1
⎝2
⎠
x2 + a2
(d − x)
⎛π
⎞
= cos ⎜ − θ2 ⎟ = sin θ2
2
2
⎝2
⎠
(d − x) + b
x
Sostituendo tali valori, si ricava la legge di Cartesio-Snell per la rifrazione di un raggio luminoso
n1sinθ1 = n 2sinθ 2
Il rapporto sin θ1 sin θ2 = n 2 n1 = n 21 si dice indice di rifrazione del secondo mezzo rispetto al primo.
RIFLESSIONE TOTALE
Un raggio luminoso, emesso da una sorgente puntiforme S, incide in O su di una superficie di separazione fra
due mezzi con indici di rifrazione n1 (sia n 2 < n1 ): analizzare quale valore deve assumere l'angolo di incidenza
per il quale il raggio rifratto viaggi esattamente lungo la superficie di separazione. Applicando la legge di Snell
si ricava [figura 156]
n1 sin θ1 = n 2 sin θ2
con θ2 = π 2 . La relazione diventa n1 sin θ1* = n 2 e si ricava il valore
134
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n2
= n 21
n1
Quando l'angolo di incidenza assume il valore
− θ1 < θ1* : si ha sempre la rifrazione
− θ1 > θ1* : si ha sempre la riflessione
− θ1 = θ1* : angolo limite
− Annotazione: quando è verificata la relazione n 2 < n1 , la
riflessione totale avviene sempre internamente al materiale nel
quale si trova la sorgente S. È il caso di una fibra ottica
quando il raggio incidente rispetta la relazione θ1 > θ1* .
θ1* = arcsin
n2
O
π2
n1
θ1*
S
[ figura 156 ]
DEFINIZIONI
Lo scopo dell'ottica geometrica è quello di determinare le leggi che definiscono l'immagine di un dato oggetto,
ottenuta con un qualche strumento ottico, quando i raggi luminosi dell'oggetto subiscono una riflessione o una
rifrazione attraverso lo strumento.
• Oggetto: corpo fisicamente definito che emette raggi luminosi.
• Immagine: figura nei cui punti convergono i raggi luminosi, provenienti dall'oggetto, che subiscono una
riflessione o una rifrazione attraversando lo strumento ottico.
• Strumento ottico stigmatico: dispositivo che permette la convergenza dei raggi luminosi, uscenti
dall'oggetto, in un sol punto dell'immagine. L'oggetto e l'immagine sono detti punti coniugati.
• Astigmatismo: difetto di focalizzazione in un unico punto dei raggi luminosi.
• Immagine reale: tutti i raggi luminosi passano fisicamente per i suoi punti e ciò implica passaggio di
energia.
• Immagine virtuale: il prolungamento dei raggi luminosi passa per i suoi punti e ciò implica nessun
passaggio di energia.
• Definizione immagine: una buona definizione dell'immagine si ha in condizione di stigmatismo dello
strumento ottico. Nella realtà, solamente uno stretto pennello di raggi luminosi concentrati lungo l'asse
ottico (realmente asse oggetto/immagine) soddisfa alla predetto condizione. Tali raggi sono detti parassiali.
• La superficie incontrata dai raggi luminosi è detta
− specchio o superficie catadiottrica se avviene il solo fenomeno della riflessione,
− diottro o superficie diottrica se avviene principalmente il fenomeno della rifrazione.
• Cromatismo: focalizzazione in differenti punti (colorati) di raggi luminosi aventi differenti lunghezze
d'onda.
• Acromatico: strumento otticamente corretto mediante diottri al fine di annullare il fenomeno del
cromatismo.
SPECCHIO
•
Specchio piano: superficie di separazione fra due mezzi che non permette la trasmissione dei raggi
luminosi. È possibile il solo fenomeno della riflessione, per cui vale la legge
θ1 = θ2
e scegliendo un riferimento come in [figura 157], i raggi luminosi uscenti dall'oggetto O formano
l'immagine I che è virtuale. Sia p la distanza oggetto/specchio, q la distanza immagine/specchio ed x la
distanza fra il raggio luminoso (uscente dall'oggetto O) normale allo specchio ed il generico raggio che è
riflesso dallo specchio. Per il teorema dei seni
135
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•
•
•
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x
p
x
q
=
=
p
q
sin θ sin ( π 2 − θ )
sin θ sin ( π 2 − θ )
I
O
Confrontando le due relazioni si ricava la legge
q = −p
x
con la convenzione che si definisce
θ1
− spazio reale R lo spazio nel quale passano realmente i raggi
luminosi che concorrono a formare l'immagine I,
θ2
[ figura 157 ]
− spazio virtuale V lo spazio nel quale passano i prolungamenti
dei raggi luminosi che concorrono a formare l'immagine I.
Le grandezze fisiche dello spazio reale R sono definite > 0 (positive), le grandezze dello spazio virtuale V
sono definite < 0 (negative).
Gli specchi piani forniscono unicamente immagini virtuali e definiscono
O
I
uno scambio di simmetria. Un oggetto puntiforme dà un'immagine
puntiforme, un oggetto esteso dà un'immagine estesa in quanto ogni punto
dell'oggetto fornisce un'immagine puntiforme.
( superficie utile )
Visione: la pupilla ha un'apertura piccola, la porzione di specchio
necessaria per osservare un oggetto riflesso risulta essere piccolo rispetto
[ figura 158 ]
alla superficie disponibile dello specchio [figura 158]
Specchio sferico: una qualunque superficie catadiottrica avente un raggio r di curvatura costante. Come
convenzione si abbia: C il centro di curvatura dello specchio, V il vertice dello specchio, CV = r il raggio
di curvatura dello specchio, O l'oggetto ( OV = p è la distanza dell'oggetto dallo specchio), I l'immagine
( IV = q è la distanza dell'immagine dallo specchio), OV l'asse ottico dello specchio. Esistono due tipi di
specchi sferici e precisamente
− Specchio concavo: il raggio di curvatura r si trova nello
A
spazio reale R dei raggi luminosi incidenti [figura 159],
[ figura 159 ]
per i due triangoli OAC e OAI si ha che
θ
β=α+θ
γ = α + 2θ
γ
β
α
Eliminando l'angolo θ fra le relazioni si ricava α + γ = 2β
V
I
O
C
e si ha l’approssimazione per i soli raggi parassiali
AV = r β pα q γ
α∼β∼γ
(R )
( V)
Sostituendo, si ricava la legge dei punti coniugatiti per
p
uno specchio sferico concavo
1 1 2
q
+ =
p q r
Per ottenere raggi parassiali, bisognerebbe diaframmare i raggi luminosi riducendo drasticamente l'area
utile dello specchio. Una tale riduzione diminuisce proporzionalmente la quantità di energia luminosa
incidente per cui l'immagine perde in luminosità.
Specchio convesso: il raggio di curvatura r si trova nello spazio virtuale V non attraversato dalla luce
incidente. Ricordando la convenzione dei segni si ha [figura 160]
p∈R → + , q ∈ V → − ,
r∈ V → −
e utilizzando un procedimento simile a quello del caso precedente si ricava
1 1
2
− =−
p q
r
La rappresentazione di quanto esposta è
136
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(R )
C
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(R )
( V)
I
O
V
p < 0⎫
1 1 2
⎪
q > 0⎬ − + =
p q r
r > 0 ⎪⎭
•
( V)
V
I
C
O
p < 0⎫
1 1
2
⎪
q > 0⎬ − + = −
p
q
r
r < 0 ⎪⎭
[ figura 160 ]
Dispositivi convergenti: si considerino i due specchi rappresentati in figura e si ricava
(R )
p=∞
r>0
f >0
(R )
( V)
V
F
[ figura 161]
( V)
V
p=∞
r<0
f <0
F
Quando l'oggetto O si trova all'infinito ( p → ∞ ), tutti i raggi luminosi sono paralleli all'asse e convergono
in un punto detto fuoco [figura 161].
r
1 1 2
q≡f =
+ =
2
∞ q r
Se gli oggetti fossero corpi estesi, anche le loro immagini risulterebbero estese ed in questo caso si
avrebbero le seguenti caratteristiche [figura 162]:
(R )
[ figura 162]
(R )
(I )
(I )
O
O
p > 0⎫
q > 0 ⎪⎪
⎬ immagine reale
r > 0⎪
f > 0 ⎪⎭
•
F
I
I
p > 0⎫
q < 0 ⎪⎪
⎬ immagine virtuale
r < 0⎪
f < 0 ⎪⎭
F
− ogni raggio luminoso passante per il centro di curvatura C viene riflesso ripassando per il punto C,
− ogni raggio luminoso parallelo all'asse ottico passa per il fuoco F,
− ogni raggio luminoso passante per il fuoco viene riflesso parallelamente all'asse ottico.
Ingrandimento trasversale: è il rapporto fra la dimensione lineare dell'oggetto e la dimensione lineare
dell'immagine
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d0
d
Considerando la figura, si osserva che i triangoli OAV e IA′V sono
simili, per cui vale la relazione [figura 163]
d0 : ( − d ) = p : q
i=
d0 p
=
d q
e l'ingrandimento trasversale si può definire come
p
i=−
q
A
d0
I
O
i=−
[ figura 163]
V
d
A′
SUPERFICI DIOTTRICHE
Si consideri la superficie di separazione fra due materiali, caratterizzati da indici di rifrazione n1 < n 2 , avente
raggio di curvatura r. Siano:
− V : il vertice del diottro
− O : l'oggetto puntiforme ( OV = p )
− C : il centro di curvatura ( OC = r )
− I : l'immagine puntiforme ( OI = q )
− θ1 : angolo di incidenza
− θ2 : angolo di rifrazione
− α : angolo del raggio incidente
n
− β : angolo ACV
− γ : angolo del raggio rifratto
Per proprietà degli angoli esterni ad un triangolo, si deduce che per il triangolo OAC vale θ1 = α + β e per il
triangolo ACI vale β = θ2 + γ [figura 164].
Nel caso di raggi luminosi parassiali, si ricava che
p
p
p
AV
AV
AV
( n1 )
(n2 )
α
γ
β=
r
p
q
θ1
A
e la legge di Snell
n1 sin θ1 = n 2 sin θ2
θ2 γ
α
β
può essere riscritta come
I
O
V
C
n1θ1 n 2 θ2
r
p
da cui
q
n
θ2 θ1 1
n2
[ figura 164 ]
Nelle relazioni degli angoli θ1 = α + β e β = θ2 + β ,
la sostituzione definisce che
n
n
β = θ1 1 + γ = ( α + β ) 1 + γ
n2
n2
ossia
n 2β = ( α + β ) n1 + γ
e sostituendo i valori degli angoli si ricava
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n1 n 2 n 2 − n1
+
=
(equazione dei punti coniugati).
p q
r
• Convenzione sui segni
− Spazio reale R : spazio nel quale si forma l'immagine reale a causa della rifrazione della superficie
diottrica.
− Spazio virtuale V : spazio nel quale incide il raggio sulla superficie.
: se O si trova in V
– p>0
: se I si trova in R
– p>0
: se c si trova in R
– r>0
− Specchio : l'incidenza e la riflessione avvengono nello spazio R
− Diottro
: l'incidenza avviene nello spazio V , la rifrazione nello spazio R .
Nel caso in cui sia n1 > n 2 , la relazione dei punti coniugati è data da
n1 n 2
n − n1
−
=− 2
p q
r
in quanto
q<0
r<0
p>0
n n
n −n
− Se l'oggetto si trovasse all'infinito p = ∞ e 1 + 2 = 2 1 , da cui si ricava che l'immagine è formata
∞ q
r
in un punto, posizionato oltre il vertice V, detto fuoco posteriore del diottro
n2
q ≡ f2 =
r
n 2 − n1
n n
n −n
− Se l'immagine si formasse all'infinito q = ∞ e 1 + 2 = 2 1 , l'oggetto risulterebbe posto in un
p ∞
r
punto detto fuoco anteriore del diottro
n1
p ≡ f1 =
r
n 2 − n1
Annotazione: i due fuochi, quello anteriore e quello posteriore del diottro, sono sempre differenti fra loro.
• Lente: porzione di spazio, costituita da un materiale di dato indice di rifrazione n, racchiusa da due diottri
con raggi di curvatura.
• Lente spessa: la distanza fra i due vertici dei diottri è confrontabile con i raggi di curvatura.
• Lente sottile: la distanza fra i due vertici dei diottri è trascurabile rispetto ai raggi di curvatura.
Si consideri una lente di materiale con indice di rifrazione n 2 (ad esempio vetro n 2 = n ) immersa in un mezzo
di indice di rifrazione n1 (ad esempio aria n1 = 1 ). L'equazione dei punti coniugati per tale lente si deduce
applicando l'equazione dei punti coniugati ai due diottri.
− Prima rifrazione: il raggio luminoso, uscendo dall'oggetto O1 , si rifrange e produce l'immagine virtuale
I1 e si ha
n1 n 2 n 2 − n 1
−
=
(105)
p1 q 2
r1
in quanto vale {p1 > 0, q1 < 0, r1 > 0} .
− Seconda rifrazione: un osservatore posto in B osserverebbe il raggio luminoso come se provenisse dalla
sorgente O 2 ≡ I1 , nel mezzo di indice di rifrazione n1 . Ossia l'immagine virtuale I1 (per il primo
diottro) diventa oggetto reale O 2 per il secondo diottro. L'equazione dei punti coniugati
n 2 n1 n1 − n 2
+ =
(106)
p 2 p1
r2
in quanto vale {p 2 > 0, q 2 > 0, r2 > 0, p 2 = q1 + d} .
139
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Sommando le (105) e (106) e ipotizzando che la lente risulti sottile ( d → 0 , cioè trascurabile rispetto ai due
raggi di curvatura dei diottri) si ricava l'equazione dei punti coniugati
⎛1 1⎞
n1 n1
+
= ( n1 − n 2 ) ⎜ − ⎟
p1 q 2
⎝ r1 r2 ⎠
Nel caso presente: chiamando genericamente p la distanza dell'oggetto dal centro della lente, q la distanza
dell'immagine dal centro della lente, n1 = 1 l'indice di rifrazione dell'aria, n 2 = n l'indice di rifrazione del vetro,
al precedente equazione si riscrive come [figura 165]
⎛1 1⎞
1 1
+ = ( n − 1) ⎜ − ⎟
(*)
p q
⎝ r1 r2 ⎠
(n2 )
( n1 )
( n1 )
B
A
I1 ≡ O 2
C1 C2
V1
O1
p1
r1
V2
r1
p2
I2
q2
[ figura 165]
d
p 2 = q1 + d
•
Convenzione dei segni
− se il raggio emesso sul primo diottro è divergente, l'oggetto è reale
: {p > 0, O ∈ V }
− se il raggio emesso sul primo diottro è convergente, l'oggetto è virtuale : {p < 0, O ∈ R}
•
− se l'immagine cade nello spazio reale
: {q > 0, I ∈ R }
− se l'immagine cade nello spazio virtuale
: {q < 0, I ∈ V }
− se il raggio di curvatura cade nello spazio reale
: {r > 0, r ∈ R }
− se il raggio di curvatura cade nello spazio virtuale
: {r < 0, r ∈ V }
Lente convergente: tutti i raggi luminosi provenienti dall'infinito [figura 166] convergano nel primo fuoco
F1 (o fuoco posteriore).
F2
F1
F2
[ figura 166 ]
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F1
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•
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Lente divergente: tutti i raggi luminosi provenienti dall'infinito [figura 166] convergono nel secondo fuoco
F2 (o fuoco anteriore).
In tali condizioni, l'equazione dei punti coniugati per p = ∞ assume la forma
⎛1 1⎞
⎛r −r ⎞
1 1
+ = ( n − 1) ⎜ − ⎟ = ( n − 1) ⎜ 2 1 ⎟
∞ q
⎝ r1 r2 ⎠
⎝ r1r2 ⎠
da cui
1 r1r2
n − 1 r2 − r1
e tale relazione, detta equazione dei fabbricanti di lenti, permette di determinare il fuoco di una lente in
funzione dell'indice di rifrazione e dei raggi di curvatura. Con tale relazione dei punti coniugati (*) assume
la forma
1 1 1
+ =
p q f
Quando l'oggetto è esteso anche l'immagine risulta estesa e la sua costruzione avviene seguendo le norme
precedentemente esposte per i raggi luminosi. Per una lente sottile, convergente o divergente, si hanno i
possibili casi illustrati in [figura167] che segue (sono riportate le costruzioni geometriche delle immagini
degli oggetti estesi e gli spazi)
q≡f =
F2 ≤ O ≤ 0 ⎫
⎬ I∈I
∞ ≤ I ≤ F2 ⎭
I
O
O
F1
F2
F1
F2
∞ ≤ p ≤ F2 ⎫
⎬ I ∈R
F1 ≤ q ≤ ∞ ⎭
I
[ figura 167 ]
F1 ≤ p ≤ 0 ⎫
⎬ I ∈R
F1 ≤ q ≤ 0 ⎭
O
O
I
F1
O
F2
F1
I
F2
∞ ≤ p ≤ F1 ⎫
⎬ I ∈R
F1 ≤ q ≤ 0 ⎭
LAMINA A FACCE PARALLELE
Una lamina di spessore d è costituita da un materiale con indice di rifrazione n 2 ed è immersa in un materiale
di indice di rifrazione n1 .
− Applicando la legge di Snell alla rifrazione attraverso la superficie di separazione ( n1 , n 2 ) si ha
n1 sin θi = n 2 sin θr
141
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− Applicando la legge di Snell alla rifrazione attraverso la superficie di separazione ( n 2 , n1 ) si ha
n 2 sin θr = n1 sin θ′
Confrontando le due relazioni [figura168] si ricava θi = θ′ ,
ossia: il raggio luminoso emerge dalla lamina secondo un
angolo che è uguale a quello di incidenza sulla lamina.
Il tratto percorso dal raggio luminoso nella lamina vale
d
AB =
cos θr
e la distanza fra il raggio incidente e quello emergente vale
sin ( θi − θr )
BB′ = ABsin ( θi − θr ) = d
cos θr
Detto valore rappresenta la separazione operata dalla lamina
sul raggio incidente.
Santena (To), 20 dicembre 2009
142
( n1 )
d
(n2 )
( n1 )
[ figura 168 ]
θi
A
θi − θr
θr
B′
B
θ′