cave & cantieri cave & cantieri Spunti di riflessione sulla normativa italiana Incertezze per il riuso delle terre da scavo Fabrizio Bonomo, Luisa Casazza Un convegno organizzato dalla Società Italiana Gallerie (SIG) al Samoter 2014 ha evidenziato le problematiche della normativa italiana sulle terre e rocce da scavo provenienti da opere in sotterraneo, ed in particolare di quelle trattate con agenti condizionanti utilizzati per scavi di gallerie con TBM EPB, e il diverso approccio che riescono ad avere altri paesi dell’UE, pur nel rispetto della stessa normativa europea di base, per non parlare di quanto avviene nel mondo Particolare degli impianti nell’isola di Wallasea, sul Tamigi, per il deposito di una parte delle terre da scavo provenienti dai lavori per la nuova linea ferroviaria Crossrail, sotto Londra Settembre 2014 quarry & construction 21 C he il riuso delle terre da scavo in altre opere infrastrutturali o ambientali sia ancora un problema aperto lo si è scritto più volte su queste pagine (vedi ad esempio Q&C dell’ottobre 2013), mostrando le difficoltà di attivazione di questo circolo virtuoso, frenato da incertezze legislative e paure sociali, nonostante la normativa europea, e in teoria anche quella nazionale, punti proprio a evitare lo smaltimento in discarica. Più che meritorio è quindi il convegno organizzato nel maggio scorso a Verona dalla Società Italiana Gallerie (SIG), che essere recuperate per successivo uso pubblico (ad esempio la realizzazione di altre opere pubbliche) per evitare uno spreco importante, facendo venire meno una risorsa economica. Inoltre – aggiungono Fulvio Maria Soccodato, Francesca Romana Ietto e Serena Majetta, della Direzione centrale Progettazione di Anas Spa – all’opportunità di risparmio economico si aggiunge anche una concreta occasione di ricerca di soluzioni sostenibili che medino tra la concezione più antica del rifiuto, inteso appunto come qualcosa di cui disfarsi, e l’accezione più moderna di risorsa rigenerata, materiale da coinvolgere nuovamente nei processi di trasformazione del territorio. Complicazioni sociali e normative ha cercato di fare luce, con un respiro internazionale, sul tema complesso e delicato delle Terre e rocce da scavo delle opere in sotterraneo, quelle che per forza maggiore necessitano di additivi o materiali non naturali per il sostegno/consolidamento del fronte in avanzamento. Sin dal titolo – “Un problema o una opportunità?” – il convegno segnala la contraddittorietà della situazione italiana riguardo alla possibilità di un riuso di queste terre, perchè si registrano modalità di gestione e interpretazioni delle norme molto diverse e poco coerenti tra loro, messe in luce da diversi relatori e in particolare da una ricerca di Italferr (la società di ingegneria del gruppo Ferrovie dello Stato Italiane) sulla situazione in Italia, in Europa e nel mondo, coordinata da Andrea Pigorini (che è anche il nuovo Presidente SIG), e condotta da Antonello Martino, Francesca Martelli, Sara Padulosi e Daniela Putzu. E’ un paradosso, perchè le finalità dichiarate della normativa del nostro Paese in 22 Squarry ettembre & 2014 construction materia ambientale, rinnovata negli ultimi anni, e prima ancora quella europea da cui in parte deriva, puntano tutte verso il riuso. Lo sottolinea ad esempio Massimo Perin, Consigliere della Corte dei conti, nel suo intervento al convegno, ribadendo che le rocce e le terre da scavo devono Certo è che spesso le situazioni si complicano, anche per il semplice riuso di materiali come quelli da fresatura delle pavimentazioni stradali o meglio ancora quelli da demolizione di edifici e opere d’arte, dai quali si possono ottenere ottimi inerti, stabilizzati in impianto con calce o cemento, o entrambi. All’estero il circolo virtuoso è attuato da tempo e realizzato proprio da grandi protagonisti del settore delle costruzioni, come ad esempio Eurovia, società del gruppo Vinci, che ha base in Francia ed Uno degli impianti di trattamento e il riuso degli inerti da costruzione, realizzati in Francia dalla società Eurovia, del gruppo Vinci cave & cantieri è considerato il primo gruppo mondiale integrato di concessioni-costruzioni, con oltre 180 mila dipendenti e un volume d’affari di 38,6 miliardi di euro. Questo gruppo si occupa di tutto il ciclo di vita di una infrastruttura, cioè progettazione, costruzione e gestione, e spazia dalle autostrade agli aeroporti, dalle ferrovie ai parcheggi e agli stadi (gestisce metà della rete autostradale francese, oltre 4 mila chilometri, e 13 aeroporti di cui 10 in Francia e 3 in Cambogia). Ebbene, dispone di oltre cento impianti di trattamento delle macerie e reimpiega il materiale nella sua attività; addirittura le macerie le acquista, per alimentare il proprio ciclo di produzione di materie prime secondarie. In Italia invece si paga per conferire le macerie nei siti autorizzati, e in generale ci si muove in un quadro complesso, spesso oscuro e reticente, legato alla farraginosità della normativa, o ai fenomeni di malcostume che purtroppo si verificano e innescano diffidenze e paure sociali. Del resto, nel settore ambientale qualsiasi informazione può essere interpretata male, specie se riportata in modo distorto o superficiale, come avviene spesso fuori dall’ambito degli addetti ai lavori, così che il riuso o “riciclaggio” è visto dall’opinione pubblica come un sistema di interramento di rifiuti. Quindi, da una parte c’è ignoranza sugli aspetti specifici, dall’altra sospetto, e dall’altra ancora reticenza, e nessuno vuole guai (Istituzioni, organi di controllo, committenze progettisti, imprese ecc.). La normativa ambientale poi non aiuta; ci sono leggi emanate in tempi diversi e in contrasto le une con le altre, che fissano regole differenti per uno stesso elemento. Un esempio eclatante: l’acqua potabile in bottiglia, che ha limiti meno stringenti di quelli per lo scarico al suolo dell’acqua, così che se si beve non ci sono problemi, ma se la si vuota sul terreno si potrebbe essere sanzionati penalmente, perchè non rispetta i limiti dello scarico al suolo. Quindi definire un inquinamento non è una cosa banale, e diversi esperti del mondo ambientalista confermano che il tema è effettivamente spinoso, perchè le definizioni non sempre sono precise, e i confini fra “materiale di recupero” e “rifiuto” sono spesso sfumati e confusi; il rischio di equivoci, malintesi e conflitti è dunque elevato, e questo spiega la “riservatezza” con la quale il tema viene trattato. Lo smarino delle opere in sotterraneo Il problema si complica ulteriormente per le terre e rocce da scavo di gallerie – non a caso il tema centrale del convegno SIG di Verona – specie quelle con frese Tbm di tipo Epb, che effettuano l’avanzamento mantenendo in pressione il fronte di scavo e sono oggi la tecnologia più avanzata per realizzare gallerie superficiali in ter- Testa della Tbm “Ellie”, utilizzata per lo scavo della canna est della diramazione verso Stratford della ferrovia Crossrail di Londra reni con granulometria fine e in contesti ambientali complessi, come ad esempio quelli in ambito urbano. Il nodo critico (in termini di riuso dello smarino), è che l’avanzamento avviene con la camera di scavo costantemente e completamente piena del materiale estratto, “condizionato” attraverso ugelli installati sulla testa fresante con tensioattivi, schiume e polimeri, in funzione delle caratteristiche granulometriche dei terreni da scavare. Il “condizionamento” dei terreni è il punto di forza della Tbm-Epb, perchè garantisce una distribuzione omogenea e uniforme di pressione di terra al fronte con cali minimi di pressione tra un avanzamento (spinta) e quello successivo. Ad oggi non ci sono alternative all’uso di additivi per le Tbm-Epb, ma questo complica il riuso dello smarino, anche se le case produttrici li dichiarano biodegradabili, non classificabili come rifiuti tossici o pericolosi. Lo dimostra la ricerca di Italferr presentata al convegno di Verona, dalla quale emerge che, nonostante siano noti da tempo i prodotti utilizzati per il condizionamento del terreno, non esistono approcci codificati che delineino chiaramente ed univocamente quali siano i limiti di concentrazione delle sostanze presenti negli additivi a cui riferirsi, e quali siano i test da effettuare per la relativa verifica. Si tratta di aspetti fondamentali – sottolineano gli autori della ricerca – necessari affinché le diverse Committenze possano allinearsi nelle modalità di gestione delle terre e rocce da scavo. Il problema si ripropone poi anche per lo scavo in tradizionale delle gallerie, come dimostra la recente cronaca giudiziaria sul versante toscano dell’Alta velocità Bologna-Firenze, a causa dei materiali utilizzati per i consolidamenti del fronte, cioè elementi strutturali in vetroresina (vtr), pvc e spritz-beton, che a volte sono interpretati come materiali inquinanti, anche se presenti con percentuali minime, non più del 2 per cento. Il risultato è che in caso le Autorità preposte adottino una interpretazione conservativa delle norme, si arrivi a iter di approvazione particolarmente complessi, articolati e dilazionati nel tempo. Campionamento sul fronte di scavo del Passante ferroviario di Genova, effettuato su richiesta della Regione Liguria Settembre 2014 quarry & construction 23 Le linee d’indirizzo della normativa europea Ultimi sviluppi della normativa italiana La normativa italiana in materia di rifiuti fa riferimento in origine alle linee di indirizzo della Direttiva europea sul trattamento dei rifiuti, la 2008/98/CE del 19 novembre 2008 e alle successive Linee guida di interpretazione emanate dalla Commissione UE nel giugno 2012. La Direttiva, recepita due anni dopo dall’Italia (Dlgs 205/2010), definisce e codifica alcuni concetti basilari come le nozioni di rifiuto, recupero e smaltimento, e stabilisce le misure per proteggere l’ambiente e la salute dell’uomo, quali la riduzione dell’uso delle risorse e il relativo riutilizzo, introducendo inoltre il concetto di sottoprodotto. Di fatto definisce e valorizza anche il riciclaggio, che aveva cominciato a trovare spazio in altre norme ambientali, come il Decreto 203/2003 dell’8 maggio 2003, con il quale si indicava, per gli acquisti della Pubblica Amministrazione, l’obbligo di una quota minima del 30 per cento di prodotti ottenuti da materiale riciclato, in generale. Le Linee guida entrano poi nello specifico, qualificando come sottoprodotto, e non rifiuto, quel residuo di produzione (“una sostanza non deliberatamente prodotta in un processo di produzione”) che soddisfi quattro condizioni: certezza dell’utilizzo; utilizzo diretto senza un ulteriore trattamento diverso dalla normale pratica industriale; sostanza prodotta come parte integrante di un processo produttivo; assenza di impatti complessivi negativi sull’ambiente e sulla salute. Le Commissione UE precisa inoltre che “la decisione per la quale una particolare sostanza od oggetto sia un sottoprodotto deve essere presa prima di tutto dal produttore di quella sostanza insieme alle Autorità nazionali competenti, sulla base della normativa vigente”. E’ evidente – segnalano i relatori di Italferr – che, per la normativa UE, le terre e rocce da scavo possano e anzi debbano essere considerate un sottoprodotto e non un rifiuto. La risposta italiana alle indicazioni comunitarie è un succedersi di norme e leggi, finalizzate a regolamentare, chiarire e semplificare il riuso dei materiali e la gestione delle terre e rocce da scavo. Oggi le norme di riferimento sono il decreto 161 del 10 agosto 2012 del Ministero dell’Ambiente (“Regolamento recante la disciplina dell’utilizzazione delle terre e rocce da scavo”), in vigore dal 6 ottobre 2012, integrato poi, dopo le prime verifiche applicative, dalla legge 71 del 24 giugno 2013 e, soprattutto dalla legge 98 del 9 agosto 2013. Il Decreto 161/2012 ha lo scopo dichiarato di migliorare l’uso delle risorse naturali e prevenire la produzione di rifiuti, stabilendo i criteri qualitativi e quantitativi da soddisfare affinché i materiali di scavo siano classificabili come sottoprodotti, quindi reimpiegabili in nuove opere, e non “rifiuti”, assoggettati a una disciplina speciale (ex parte IV del Dlgs 152/2006) e destinati a impianti di recupero o smaltimento. In particolare il concetto di “opere” viene ampliato a quelle infrastrutturali e di scavo, e si ammette che lo smarino può contenere materiali estranei come cls, bentonite, pvc, vetroresina, miscele cementizie e additivi vari. Fulcro dell’intero provvedimento è rappresentato dal Piano di utilizzo (PdU) delle terre e rocce da scavo, un documento da presentare all’Autorità competente, che 24 Squarry ettembre & 2014 construction può approvarlo, rifiutarlo o chiedere integrazioni. La legge 98/2013 introduce ulteriori disposizioni, precisando gli ambiti di applicazione delle diverse casistiche e chiedendo un’autocertificazione sul rispetto di alcune condizioni: destinazione certa all’utilizzo presso uno o più siti o cicli produttivi determinati; valori di contaminazione non superiori a quanto previsto dalla normativa ambientale (colonne A e B, tab. 1, all. 5, parte IV del Dlgs 152/2006) nel caso siano destinati a recuperi, ripristini, rimodellamenti, riempimenti ambientali; nessun rischio per la salute in caso di destinazione a successivi cicli di produzione. Per rispettare queste due ultime indicazioni non è necessario sottoporre i materiali di scavo ad alcun trattamento preventivo, fatto salvo le normali pratiche industriali e di cantiere. In altre parole, il nuovo quadro normativo propone tre alternative nella gestione dei materiali da scavo: riutilizzo, se il materiale è suolo non contaminato; utilizzo come sottoprodotto in un sito diverso da quello di produzione (applicando il regolamento del Decreto 161/2012 se si tratta di materiali da opere sottoposte al VIA e/o AIA o con volumi superiori a 6 mila metri cubi, mentre se non rientrano in questa casistica è sufficiente un’autocertificazione sul rispetto delle condizioni previste dall’art. 41 bis della Legge 98/2013); recupero del materiale in regime di “rifiuto” quando non ha i requisiti dei due casi precedenti. cave & cantieri Contrasti interpretativi e difficoltà burocratiche Fin qui le norme, ma il passaggio dalla teoria alla pratica mostra che la gestione delle terre e rocce da scavo costituisce ancora un problema di tipo giuridico, amministrativo e burocratico. Infatti – puntualizzano diversi relatori al convegno SIG – nonostante il decreto 161/2012 stabilisca con chiarezza i criteri e i requisiti per poter considerare i materiali come sottoprodotti, la sua applicazione varia da progetto a progetto, da Regione a Regione, con interpretazioni differenti e non concordi da parte delle diverse Autorità competenti. Anche se per lo smarino delle frese TbmEpb la tendenza generale è di esclusione dal regime dei rifiuti, questa mancanza di unicità interpretativa e i problemi burocratici portano a un effetto paradossale – segnalato da Francesca Baiocco del gruppo Salini-Impregilo – cioè che il conferimento in discarica, come rifiuto, possa affermarsi come la soluzione, apparentemente più complessa ma certamente più garantista. I processi di gestione delle terre e rocce da scavo nei cantieri di nuove infrastrutture sono realmente molto complessi – ammettono i relatori della Direzione Progettazione di Anas Spa – risultando tra loro spesso molto differenti e con caratteristiche e peculiarità specifiche legate alle singole opere o ai siti ove ne è prevista la realizzazione. Un primo aspetto critico sono i vincoli cui sono sottoposti i Piani di utilizzo, che devono avere un livello di precisione elevato sin dalle prime fasi di progettazione, anche quando la conoscenza delle opere e del territorio non consente ancora un dettaglio effettivo, ad esempio nei progetti di infrastrutture strategiche, per i quali il Piano è richiesto già a livello di Preliminare. Problemi ci sono anche rispetto alla certezza dell’utilizzo, perchè i tempi lunghi che spesso intercorrono tra la progettazione e la cantierizzazione – dell’ordine di diversi anni a volte necessari per l’iter autorizzativo e di appalto, o di reperimento dei finanziamenti – aprono al rischio che il sito di destinazione previsto possa non essere più disponibile. Un altro aspetto critico – continuano i relatori Anas – è la caratterizzazione preventiva, certamente positiva per evitare la movimentazione incontrollata di terreno contaminato e ottenere una maggiore conoscenza del territorio sin dalle prime fasi progettuali, ma può essere troppo anticipata rispetto allo sviluppo progettuale e come tale, oltre ad essere onerosa, rischia di essere prematura, tanto da dovere essere ripetuta e/o integrata nelle fasi progettuali successive. A questo si aggiunge il rischio puramente burocratico della perdita di qualifica di sottoprodotto, e quindi il passaggio automatico alla gestione come rifiuto, ad esempio per semplici inadempimenti della norma, come la mancata compilazione del documento di trasporto, o lo scadere dei termini temporali del Piano di utilizzo, o dei termini di comunicazione delle varianti. In altre parole, le semplificazioni introdotte per agevolare e incentivare il recupero dei materiali e ridurre il ricorso a cave per l’approvvigionamento (e a discariche per lo smaltimento), rischiano di vanificarsi a causa di una tempistica e un appesantimento documentale che, mancando di flessibilità, comporta una notevole dilazione dei tempi e un aumento dei costi, tanto da scoraggiare una gestione più ambientalmente sostenibile dei cantieri. Esempi in Italia Indipendentemente dalla normativa di riferimento vigente però, quanto emerge dai diversi progetti in Italia analizzati dalla ricerca Italferr o presentati al convegno, risulta che a volte le Committenze e le Autorità competenti si orientano verso l’esclusione del materiale scavato dal regime dei rifiuti e il suo riuso come inerte per riempimenti, rinterri, rilevati ecc. In altri casi, come per i progetti in area romana (metropolitane B1 e C), è invece prevista l’inclusione nel regime dei rifiuti, applicando però un codice CER (Codice Europeo Rifiuto) diverso: 01-05-99 in un caso, 17-05-04 nell’altro. Fra gli esempi di riuso si segnala la linea M4 della metropolitana di Milano – presentato da Enrico Campa e Cesare Umiliaco di Astaldi Spa – lunga circa 15 chilometri, tutta in galleria, scavata in parte con Tbm-Epb, che sulla base degli esiti di caratterizzazione prevede due tipi di riutilizzo dello smarino, in conformità con il Decreto 161/2012, privilegiando il sito stesso dell’opera per riempimenti e/o rinterri degli scavi, come da prescrizione Cipe. Lo stesso vale per numerosi interventi presentati da Anas, come l’ammodernamento della tratta Palermo-Lercara della Statale 121 Palermo-Agrigento, dove i Quadro dei materiali di scavo prodotti per il Passante ferroviario di Genova e oggetto del relativo Piano di utilizzo Settembre 2014 quarry & construction 25 materiali da scavo delle lunghe gallerie sono riutilizzati in altri tratti della stessa opera per migliorarne l’inserimento paesaggistico-ambientale o come schermatura acustica. Nell’ammodernamento del tratto AttiliaFalerna della Salerno-Reggio Calabria, il materiale da scavo è invece utilizzato per rinaturalizzare i versanti dei tratti da dismettere, anche ricomponendone la morfologia originaria. Analogamente, nel progetto della nuova Statale 125 Orientale Sarda, nel tratto Terra-Mala-Capo Boi (circa 100 mila metri cubi di smarino), è utilizzato per stabilizzare il piede di un versante in frana, riqualificandolo anche dal punto di vista ambientale. Valenza ambientale e, contemporaneamente, elemento di ottimizzazione della gestione materie è invece l’intervento di riqualificazione della Cava Agrippina, le- Particolare di una delle soluzioni di riuso delle terre di scavo previste nel progetto di ammodernamento del tratto Palermo-Lercara della Statale 121 Palermo-Agrigento Progetto di riambientalizzazione dell’ex cava Cutizza con l’utilizzo del materiale di scavo derivante dai lavori di riassetto del nodo ferroviario di Bari gato al progetto di ammodernamento della Statale 117 Centrale Sicula. Da segnalare anche il caso di scavo con avanzamento in tradizionale presentato da Italferr, cioè l’attraversamento in sotterraneo del nodo ferroviario di Genova, dove l’opportunità di assoggettare la gestione dei materiali di scavo al Decreto 161/2012, le modalità di elaborazione del Piano di utilizzo nonchè il suo processo di approvazione sono state costantemente condivise con gli Enti coinvolti. I siti di destinazione finale previsti sono le parti d’opera interne al cantiere (formazione di opere in terra), la Cava Gneo (utilizzo in processi produttivi), e le cave Cascina Viscarda e Cascina Girasolina (riqualifica ambientale). Non mancano però le difficoltà, nonostante la rispondenza della documentazione ai criteri del Decreto 161/2012 e il proficuo confronto e la condivisione con gli Enti territoriali coinvolti (Regione e Arpal) sugli aspetti tecnici e procedurali: a più di un anno dall’avvio della procedura, l’efficacia del PdU è ancora condizionata all’ottemperanza delle prescrizioni regionali del Dgr 224/2014. Un esempio è la richiesta di fornire elementi tecnici sulla gestione dei materiali di scavo – sia in esclusione dal regime dei rifiuti che come rifiuto – e la realizzazione di caratterizzazioni preliminari all’avvio delle attività di scavo per la definizione del chimismo delle rocce, peraltro da eseguirsi secondo modalità di campionamento e metodiche analitiche non ben disciplinate dal Decreto 161/2012 nel caso di materiali litoidi. Esperienze estere Un quadro variegato emerge anche da una serie di progetti in Europa e nel mondo. Ad esempio, gli scavi di gallerie con TbmEpb a Copenaghen, Karlsruhe e Vancouver sono orientati al riutilizzo tal quale del materiale scavato, previa verifica ambientale; di fatto la gestione si fonda sul principio della Valutazione del rischio ambientale (Environmental Risk Assessment), e 26 Squarry ettembre & 2014 construction cave & cantieri Diagramma di flusso del piano di Gestione del materiale di risulta da scavo della linea 5 della metropolitana di Bucarest quando il materiale rispetta i limiti ambientali può essere riutilizzato senza essere sottoposto al regime dei rifiuti. Viceversa, i progetti per la nuova ferrovia Crossrail sotto Londra e per la seconda linea della metropolitana di Varsavia, prevedono il riutilizzo delle terre e rocce da scavo come forma di recupero di rifiuto, attribuendo un codice Cer 1705-04; per il progetto Crossrail la gestione in regime di rifiuto è stata dovuta alla non certezza sul quantitativo da poter riutilizzare nel sito individuato (vedi appresso). Soluzioni simili sono adottate per lo smarino della linea 5 della metropolitana di Bucarest, reimpiegato nella composizione di calcestruzzi o per bonifiche ambientali. Veduta dell’area naturalistica umida di Wallasea Logistica delle terre da scavo della linea ferroviaria Crossrail, sotto Londra Per il progetto londinese – presentato da John Davis e Lorna Russell, di Crossrail – che interessa una nuova linea lunga 100 chilometri, con 42 chilometri di gallerie – è da sottolineare che lo smarino prodotto negli scavi con fresa Tbm-Epb, circa 3 milioni di tonnellate, metà del volume complessivo previsto, viene recuperato senza ulteriori trattamenti, se non lo stoccaggio/asciugatura, attraverso il deposito nell’isola di Wallasea, in Essex. Si tratta di una riserva naturale a circa 60 chilometri da Londra, che oggi si estende su 115 ettari e rappresenta la zona umida più grande del Regno Unito, ma con il riuso dello smarino aumenterà le sue dimensioni fino a diventare la maggiore d’Europa, necessaria per attirare uccelli e altra fauna acquatica ai fini tra l’altro della ripopolazione degli uccelli minacciati di estinzione. E’ evidente come questo processo virtuoso di riutilizzo avvenuto nel pieno rispetto della normativa europea, si sia potuto mettere in pratica grazie anche all’approccio pragmatico britannico che ha permesso l’attribuzione del corretto significato alla parola “waste” (in italiano letteralmente “scarto”), che in Italia invece viene tradotto “rifiuto” con tutte le conseguenti paure che questo Settembre 2014 quarry & construction 27 Uno dei nastri inclinati per il trasporto in superficie delle terre da scavo della linea 5 della metropolitana di Bucarest termine ingenera nei non addetti ai lavori. Ne consegue un’amara constatazione: quando mai in Italia si sarebbe potuto realizzare un’isola faunistica con del “rifiuto”? Quanto al volume di smarino della linea 2 di Varsavia (circa 1.500 metri cubi al giorno per due Tbm), Enrico Campa e Cesare Umiliaco di Astaldi Spa segnalano che, già classificato come rifiuto, viene trasportato su gomma al luogo di stoccaggio finale, distante circa 35 chilometri, e interamente recuperato come riempimento di una futura area di lottizzazione residenziale. Per le gallerie della linea 5 del metrò di Bucarest, scavate con due Tbm contemporaneamente (una produzione massima giornaliera di 1.400 metri cubi) lo smarino costituito dalle sabbie, per un totale di 20 mila metri cubi, viene riutilizzato nella composizione di calcestruzzi, mentre per il resto sono argille con cui per ora si stanno colmando delle aree nella periferia di Bucarest. 28 Squarry ettembre & 2014 construction terials Management Plan (Emmp) che il contraente è tenuto a presentare prima dell’inizio di qualsiasi operazione di movimentazione del materiale e sistemazione finale. Quello che spicca è la tempistica e la semplificazione burocratica. Ad esempio, per il progetto sono stati presentati due piani di gestione, perché relativi a due diverse fasi di scavo, ma entrambi sono stati approvati in meno di un mese dalla presentazione. In California, una volta che l’opera è approvata, in pochi giorni si ottengono le autorizzazioni al piano di gestione. Poi, l’autorizzazione alla gestione viene rilasciata dalla stessa Autorità che ha commissionato l’opera, con il controllo e sup- Schema della linea Crossrail di Londra con lo stato di avanzamento al giugno 2014 delle diverse Tbm impiegate Gli Usa e l’esperienza del metrò di San Francisco Di tutt’altro significato è l’estensione della Central Subway di San Francisco, che prevede l’estensione in sotterraneo dell’attuale linea “T” della metropolitana in superficie che attraverserà il centro della città. Il caso – presentato al convegno SIG da Francesca Baiocco del gruppo Salini-Impregilo – dimostra che le procedure adottate in California sono comunque complesse, stringenti e severe, ma garantiscono però una gestione certa e univoca in tutto il territorio, dove il controllo sull’applicazione e rispetto delle norme è delegato da ciascun ente al Committente dell’opera che approva il piano di gestione e discarica del materiale, l’Excavated Ma- porto di un dipartimento interno al Municipio dei lavori pubblici. Quanto alla documentazione da presentare in Italia, il Decreto 161/2012 comporta l’obbligo di una serie (numerosa) di allegati tecnici, cartografici, ambientali e geologici che seppur presenti nel progetto approvato vanno comunque presentati di nuovo affaticando e complicando un processo che dovrebbe essere semplice; viceversa, in California è sufficiente far riferimento alla documentazione progettuale già approvata e in possesso dell’amministrazione (che come già detto è l’unica Autorità Competente). Ancora, riguardo alla comunicazione preventiva, l’allegato 6 del Decreto prevede che siano comunicati all’Autorità competente una serie di dati prima del trasporto, mentre in California è sufficiente quanto cave & cantieri dichiarato e allegato al Piano di gestione, trasmesso senza ulteriori invii. Il Documento di trasporto poi, che per il 161/2012 è complesso e articolato, in California è sufficiente che ogni trasportatore dichiari e porti con se le generalità del progetto per cui fa il trasporto, la tipologia di materiale che trasporta, generalità della società di trasporto, generalità sito di destino del materiale, stima del numero di viaggi (quest’ultimo dato peraltro su richiesta del Committente e non dalla normative). Infine, negli Usa non sono previste le molteplici eccezioni del Decreto 161/2012, che fanno decadere la qualifica di sottoprodotto anche dopo una gestione conforme a un piano, una per tutte la mancata presentazione del Documento di avvenuto utilizzo. Conclusioni A distanza di anni e di numerose leggi che avrebbero dovuto chiarire e semplificare l’argomento, la gestione delle terre e rocce da scavo costituisce ancora un problema di tipo giuridico, amministrativo e burocratico. L’attuale normativa, ancora complessa e macchinosa, non è riuscita a ridurre la produzione di rifiuti con conseguente smaltimento in discarica e soprattutto a dare univocità nella gestione tra le varie regioni italiane, divario che continua ad esserci a distanza di 20 anni (1995 ap- Foto zenitale del sito di deposito per i rifiuti e gli altri materiali di scavo della metropolitana di San Francisco provazione in Conferenza di servizi del progetto per la costruzione della linea ferroviaria della Bologna - Firenze). L’attuale Decreto ministeriale 161/2012, nonostante sia chiaro nella definizione di cosa sia un sottoprodotto risultante dagli scavi in galleria, non è riuscito nell’intento perché si riscontrano diverse applicazioni. Permangono pertanto le difficoltà da parte delle società operanti nel settore delle grandi opere nella gestione univoca del materiale prodotto dagli scavi che porterebbe ad un epilogo che vede come unica soluzione il conferimento dei rifiuti in discarica, apparentemente più complessa ma certamente più garantista. Dal convegno SIG è quindi emerso che, a fronte delle complessità progettuali ed autorizzative, è necessario che in corso Veduta aerea naturalistica dell’isola di Wallasea Testa fresante della Tbm “Jessica”, utilizzata per lo scavo della canna ovest della diramazione verso Stratford di Crossrail d’opera gli Enti preposti al controllo attuino quanto previsto nei Piani di utilizzo approvati in quanto eventuali modifiche all’interpretazione originaria potrebbero non garantire la realizzabilità delle opere infrastrutturali nel rispetto dei tempi e dei costi valutati. Sarebbe perciò necessario addivenire ad un quadro normativo nazionale chiaro ed univocamente interpretabile tale che, nell’ambito delle opere infrastrutturali realmente sostenibili, il riutilizzo dei materiali di scavo rappresenti un’opportunità e non un limite alla realizzazione delle stesse. La SIG si è posta l’obiettivo di intercettare questo bisogno di chiarezza e per questo ha proposto la creazione di un gruppo di lavoro a cui i tecnici interessati a fornire il proprio contributo, sono invitati ad aderire. n Settembre 2014 quarry & construction 29
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