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FISCONV
24-03-2014
14:13
Pagina 1
20
19 maggio 2014
Settimanale di approfondimento per professionisti e imprese
NOVITÀ
Delega fiscale
– Società di comodo e beni in godimento ai soci
– Riordino dei redditi d’impresa
– Cooperative compliance e gestione del rischio fiscale
– Riforma del contenzioso tributario
Redditometro e spese medie Istat
Presunta distribuzione di utili nelle società a ristretta
base sociale
Aumento dell’aliquota delle rendite finanziarie
Base imponibile Iva dei distacchi di personale
Conseguenze penal-tributarie del cambio di
amministratore
Credito per rivalsa Iva nel concordato preventivo
Giurisprudenza tributaria
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Rivista settimanale - Anno XXXVIII
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In un contesto sempre piu` dinamico e complesso, l’informazione di
qualita` e` il fattore determinante per affrontare e vincere le sfide quotidiane.
La rivista ‘‘il fisco’’ si rinnova per continuare a fornire risposte autorevoli e concrete ai bisogni informativi degli operatori del settore e rappresentare il punto di riferimento per professionisti e aziende.
Il nuovo progetto editoriale prevede un sempre maggiore approfondimento delle questioni di attuale interesse per gli operatori: temi che incidono frequentemente sui loro adempimenti quotidiani, che sono oggetto dell’attivita` di accertamento o che riguardano problematiche ancora in attesa di una soluzione ufficiale interpretativa o normativa.
Per garantire questo risultato tramite un monitoraggio continuo di tali
questioni viene istituita una Direzione Scientifica, affidata a Gianfranco Ferranti, e rinnovato il Comitato Scientifico con nuovi autorevoli
esperti e riconosciuti operatori del mondo professionale, direttamente
impegnati ad approfondirle.
Per essere certi che la Rivista faciliti e possa rendere l’attivita` professionale sempre piu` agevole e proficua la nuova formula editoriale prevede
che la consueta qualita` e completezza dell’approfondimento de ‘‘il fisco’’
vengano sempre coniugati con la chiarezza espositiva e le esemplificazioni legate a fattispecie reali.
Ringraziamo la Direzione e il Comitato Scientifico che si faranno portavoce delle esigenze del mondo professionale, offrendo inoltre spunti
di riflessione e stimolando il mondo istituzionale a dare risposte e soluzioni.
L’Editore
Settimanale di approfondimento per professionisti e imprese
Direzione scientifica
Gianfranco Ferranti
- Responsabile Dipartimento scienze tributarie, Scuola Superiore dell’Economia e delle Finanze
Comitato Scientifico
Giulio Andreani
Bruno Ferroni
Giuseppe Ascoli
Luca Gaiani
Lelio Cacciapaglia
Tamara Gasparri
Saverio Capolupo
Antonio Iorio
Dottore commercialista e Revisore legale
Dottore commercialista in Roma e Milano
Ministero dell’Economia, Dipartimento Finanze
Università degli Studi di Urbino
Ivo Caraccioli
Già ordinario di Diritto penale nell’università di Torino
Andrea Carinci
Professore straordinario di Diritto tributario presso
l’Università di Bologna - Avvocato in Bologna
Massimo Conigliaro
Dottore commercialista in Siracusa
Eugenio Della Valle
Professore ordinario di Diritto tributario presso
l’Università “Sapienza” di Roma
Dario Deotto
Commercialista in Monfalcone (GO)
Flavio Dezzani
Professore Emerito di Ragioneria nell’Università
di Torino, Dottore commercialista in Torino
Direttore Affari Fiscali e Societari Ferrero S.p.A.
Dottore commercialista in Modena
Collaboratore Assonime Area Fisco
Avvocato in Roma e Milano
Maurizio Leo
Avvocato in Roma, Milano e Torino
Luigi Lovecchio
Dottore commercialista in Bari
Pierpaolo Maspes
Dottore commercialista
Marco Piazza
Dottore commercialista in Milano
Benedetto Santacroce
Avvocato in Roma e Milano
Alessandro Sura
Direttore della ricerca dell’OIC - Dottore commercialista
Stefano Trettel
Direttore coordinamento fiscale di Fininvest S.p.A.
Piergiorgio Valente
Dottore commercialista in Milano
Direttore responsabile Giulietta Lemmi
Redazione: Viale Maresciallo Pilsudski, 124 - 00197 Roma - Tel. 06.20.381.463 - Fax 06.20.381.229
I contenuti e i pareri espressi negli articoli sono da considerare opinioni
personali degli autori che non impegnano pertanto l’editore, la direzione
e il comitato scientifico.
Gli articoli da pubblicare devono essere inviati al seguente indirizzo:
Viale Maresciallo Pilsudski, 124 - 00197 Roma - Tel. 06.20.381.463 Fax 06.20.381.229 - E-mail: redazione@ilfisco.it
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1907
SOMMARIO
SOMMARIO
Approfondimento
La revisione della disciplina delle societa` di comodo e dei beni in godimento ai soci: un’opportunita`
da non perdere
di Gianfranco Ferranti ..............................................................................................................................................
1911
Perdite su crediti, ammortamenti e ‘‘altri costi’’ alla prova della legge delega
di Tamara Gasparri ...................................................................................................................................................
1922
Deducibilita` delle perdite su crediti di modesto ammontare: punti fermi e aspetti controversi
di Luca Gaiani ...........................................................................................................................................................
1931
Il nuovo redditometro e l’epopea delle spese medie Istat
di Eugenio della Valle ...............................................................................................................................................
1937
La diabolica prova contraria alla presunta distribuzione di utili nelle societa` a ristretta base sociale
di Luigi Lovecchio ......................................................................................................................................................
1943
Cooperative compliance, governance aziendale e tutoraggio
di Bruno Ferroni .........................................................................................................................................................
1951
La gestione del rischio fiscale: il nuovo rapporto Fisco-Impresa
di Benedetto Santacroce e Luigi Fruscione .............................................................................................................
1957
Aumento dell’aliquota delle rendite finanziarie: effetti e regime transitorio
di Marco Piazza e Marcella Valsecchi ...................................................................................................................
1962
La base imponibile Iva dei distacchi di personale: questione veramente chiusa?
di Francesco delli Falconi e Pierpaolo Maspes .......................................................................................................
1971
Contenzioso tributario: dalla delega fiscale una timida e alquanto vaga proposta di riforma
di Massimo Conigliaro ...............................................................................................................................................
1979
Conseguenze penal-tributarie del cambio di amministratore
di Antonio Iorio e Sara Mecca .................................................................................................................................
1985
Il trattamento del credito per rivalsa Iva nel concordato preventivo
di Giulio Andreani e Angelo Tubelli .........................................................................................................................
1992
Giurisprudenza
Corte di Cassazione
Accertamento - Poteri degli Uffici - Richiesta di documenti al contribuente - Indisponibilita` dei documenti imputabile a colpa - Preclusioni probatorie - Esclusione
(CASSAZIONE, Sez. trib., Pres. Adamo, Est. Iofrida - Sent. n. 8539, del 31 gennaio 2014, dep. l’11 aprile
2014) con commento di Alessandro Borgoglio .....................................................................................................
20/2014
1999
1908
SOMMARIO
Processo tributario - Impugnazioni - Ricorso per cassazione - Sentenza del giudice di merito fondata
su piu` ragioni autonome - Omessa impugnazione di una delle diverse ragioni - Ricorso - Inammissibilita`
(CASSAZIONE, Sez. trib., Pres. Cirillo, Est. Valitutti - Sent. n. 8847, del 25 febbraio 2014, dep. il 16
aprile 2014) con commento di Pierfranco Turis ..................................................................................................
2004
Imposte sui redditi - Valutazioni - Operazioni infragruppo tra societa` residenti - Riferimento al normale valore di mercato ex art. 9 del Tuir - Applicabilita` - Prova contraria a carico del contribuente Ammissibilita`
(CASSAZIONE, Sez. trib., Pres. Cirillo, Est. Valitutti - Sent. n. 8849, del 25 febbraio 2014, dep. il 16
aprile 2014) con commento di Alessandro Borgoglio ..........................................................................................
2007
Processo tributario - Impugnazioni - Ricorso per cassazione - Vizio di omessa motivazione - Elementi a base del convincimento del giudice - Indicazione omessa o priva di approfondita disamina logica e
giuridica - Difetto assoluto o motivazione apparente - Sussistenza
Processo tributario - Impugnazioni - Motivazione per relationem - Legittimita` - Limiti
(CASSAZIONE, Sez. trib., Pres. Cirillo, Est. Valitutti - Sent. n. 8850, del 25 febbraio 2014, dep. il 16
aprile 2014) con commento di Pierfranco Turis ..................................................................................................
2010
Imposta sul valore aggiunto (IVA) - Rimborso - Istanza - Provvedimento di diniego - Natura impositiva - Esclusione - Indicazione delle ragioni di fatto e di diritto - Irrilevanza
(CASSAZIONE, Sez. trib., Pres. Adamo, Est. Valitutti - Sent. n. 8998, del 21 gennaio 2014, dep. il 18
aprile 2014) con commento di Marco Peirolo .....................................................................................................
2013
Processo tributario - Efficacia del giudicato esterno - Giudicato favorevole al contribuente relativo
ad altro soggetto coobbligato d’imposta - Efficacia - Ammissibilita`
(CASSAZIONE, Sez. trib., Pres. Di Blasi, Est. Bruschetta - Sent. n. 9156, del 18 marzo 2014, dep. il 23
aprile 2014) con commento di Camillo Beccalli ..................................................................................................
2016
Commissioni tributarie regionali
Imposta sul valore aggiunto (IVA) - Operazioni esenti - Cessione di fabbricato in regime di esenzione
- Successiva cessione del terreno sottostante - Esenzione - Ammissibilita`
(COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE di Firenze, Sez. XXX, Pres. Franco, Est. Di Rollo - Sent. n.
422, del 19 settembre 2013, dep. il 24 febbraio 2014) con commento di Marco Peirolo .......................
20/2014
2019
1909
SOMMARIO
INDICE CRONOLOGICO
Corte di Cassazione
n. 8539, del 31.01.2014-11 aprile 2014 (Sez. trib.) ..........................................................................................
n. 8847, del 25.02.2014-16.04..2014 (Sez. trib.) ................................................................................................
n. 8849, del 25.02.2014-16.04.2014 (Sez. trib.) ................................................................................................
n. 8850, del 25.02.2014-16.04.2014 (Sez. trib.) ................................................................................................
n. 8998, del 21.01.2014-18.04.2014 (Sez. trib.) ................................................................................................
n. 9156, del 18.03.2014-23.04.2014 (Sez. trib.) ................................................................................................
1999
2004
2007
2010
2013
2016
Commissioni tributarie regionali
Firenze, n. 422, del 19.09.2013-24.02.2014 (Sez. XXX) ..................................................................................
2019
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16620 del 22 dicembre 1976
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1911
APPROFONDIMENTO
La revisione della disciplina
delle societa` di comodo
e dei beni in godimento ai soci
di Gianfranco Ferranti (*)
L’art. 12, comma 1, lett. d), della legge delega per
la riforma fiscale 1 ha previsto ‘‘la revisione, razionalizzazione e coordinamento della disciplina
delle societa` di comodo e del regime dei beni assegnati ai soci o ai loro familiari’’.
L’obiettivo di tale riforma, dichiarato nello stesso
testo della delega, e` quello ‘‘di evitare vantaggi fi-
scali dall’uso di schermi societari per utilizzo personale di beni aziendali o di societa` di comodo’’.
Tale previsione costituisce un’importante opportunita` per risolvere i numerosi e rilevanti problemi posti dall’attuale disciplina normativa, che appare priva di sistematicita` e di cui appare arduo
comprendere la finalita`.
Si potrebbe, a tal fine, abolire l’attuale disciplina e
stabilire che ai fini delle imposte sui redditi l’attivita` delle societa` ‘‘di mero godimento’’ non da` luogo a reddito d’impresa e l’imposizione debba avvenire nei riguardi dei soci. L’attivita` di controllo
avverrebbe, in tal modo, congiuntamente a quella
effettuata ai fini dell’Iva con riguardo alle societa`
di mero godimento, alle quali e` negata la detrazione dell’imposta sugli acquisti, senza che si verifichino rilevanti conseguenze in termini di gettito.
Sarebbe, in alternativa, in ogni caso necessaria la
revisione della detta disciplina, apportando modifiche quali, ad esempio, la possibilita` di adeguare
i coefficienti previsti per la determinazione dei ricavi presunti e del reddito minimo all’andamento
del mercato, l’ampliamento delle cause di esclusione e di disapplicazione automatica, la non obbligatorieta` della presentazione dell’istanza di interpello e la non impugnabilita` del provvedimento di rigetto della stessa.
La trasmissione della comunicazione prevista in
presenza della menzionata assegnazione dei beni
(*)
1
La legge delega per la riforma fiscale ha previsto
la revisione, la razionalizzazione e il coordinamento della disciplina delle societa` di comodo e
di quella relativa ai beni assegnati in godimento
ai soci. In sede di attuazione si auspica che sia possibile sostituire l’attuale disciplina delle societa` di
comodo, comprese quelle in perdita ‘‘sistematica’’, con la previsione della non commercialita`
dell’attivita` della societa`, analogamente a quanto
previsto ai fini dell’Iva, e dell’imposizione dei redditi in capo ai soci. Appare, inoltre, opportuno
abolire l’obbligo di effettuare la comunicazione
relativa ai beni dell’impresa assegnati in godimento a soci e familiari e riproporre le agevolazioni
per lo scioglimento delle societa` in esame.
1. Premessa
Responsabile Dipartimento scienze tributarie - Scuola superiore dell’Economia e delle Finanze.
L. 11 marzo 2014, n. 23.
20/2014
1912
APPROFONDIMENTO – Redditi d’impresa
ai soci e loro familiari appare, invece, imposta per
effettuare una sorta di ‘‘controllo incrociato’’ tra la
stessa e la dichiarazione dei redditi, che si potrebbe evitare considerato che chi non intende adeguarsi in sede di compilazione di quest’ultima
non rispettera`, presumibilmente, neanche l’obbligo di trasmettere la comunicazione e risulteranno, in ogni caso, decisivi i controlli ‘‘sul campo’’
da parte degli Uffici delle Entrate.
Anche la norma che estende la disciplina delle societa` di comodo a quelle in perdita sistematica
potrebbe essere eliminata, trovando gia` applicazione quella che stabilisce che la programmazione dei controlli fiscali debba assicurare una vigilanza costante, basata su specifiche analisi di rischio, sulle imprese che presentano dichiarazioni
in perdita fiscale per almeno due periodi d’imposta consecutivi. Cio` anche in considerazione dell’attuale fase di crisi economica, che sta provocando l’insorgere di perdite non derivanti necessariamente da fenomeni di carattere evasivo. In
alternativa dovrebbe almeno essere aumentato il
numero degli anni oggetto del ‘‘monitoraggio’’.
La perdita di gettito potrebbe essere compensata,
almeno in parte, dalla riproposizione della disciplina per lo scioglimento agevolato delle societa`
di comodo.
2. La disciplina delle societa` ‘‘di comodo’’
La normativa intesa a contrastare l’utilizzo di societa` costituite non per esercitare attivita` commerciali ma per gestire patrimoni ed ottenere
dei vantaggi ai fini fiscali si applica, qualora non
ricorrano cause di esclusione o di disapplicazione, alle societa` che non superano il cosiddetto
‘‘test di operativita`’’: in tal caso il reddito e il valore della produzione rilevante ai fini dell’Irap devono essere dichiarati in misura non inferiore a
quella risultante dall’applicazione di criteri forfetari e sono poste delle limitazioni alla utilizzabilita` dei crediti Iva.
In seguito alle rilevanti modifiche introdotte alla
normativa originaria 2 dall’art. 35, commi 15 e
16, del D.L. n. 223/2006 e dall’art. 1, commi 109
e seguenti, della L. n. 296/2006 (legge Finanziaria
2007) tutte le imprese interessate dalla disciplina
in esame hanno dovuto compilare l’apposito pro2
Art. 30 della L. n. 724/1994.
3
Cfr., al riguardo, R. Lupi, Le societa` di comodo come disciplina antievasiva, in ‘‘Dialoghi dir. trib.’’ n. 9/2006, pag. 1097;
Id., Il corto circuito dell’intestazione a societa` di beni oggetti-
20/2014
spetto contenuto nella dichiarazione dei redditi, nel quale e` richiesta l’indicazione dei dati necessari per effettuare la verifica dell’operativita`,
e presentare l’istanza di interpello qualora intendano disapplicarla.
L’art. 2, commi da 36-quinquies a 36-duodecies,
del D.L. n. 138/2011 ha, infine, stabilito, sempre
con riguardo alla disciplina delle societa` di comodo:
la maggiorazione di 10,5 punti percentuali dell’aliquota dell’Ires dovuta dalle dette societa`;
l’applicazione di tale disciplina anche alle societa` che presentano dichiarazioni in perdita
fiscale per tre periodi d’imposta consecutivi ovvero per due periodi se nel terzo e` dichiarato
un reddito inferiore a quello minimo.
In dottrina si e` ampiamente dibattuto in merito
alle finalita` della disciplina in discorso e, in particolare, alla sua giustificazione in termini di capacita` contributiva, che appare di difficile individuazione.
` stato, da una parte, osservato 3 che la finalita`
E
antievasiva sarebbe l’unica convincente giustificazione dell’istituto, in quanto esistono alcuni beni che sono ‘‘oggettivamente fruttiferi’’, il cui inserimento all’interno delle societa` rafforza la presunzione di un loro impiego a scopi reddituali,
ma a cui non corrisponde un reddito imponibile.
Nel 1991, anno a cui risalgono i dati di cui il legislatore del 1994 poteva disporre, su 520.000 societa` di capitali circa 170.000 erano prive di ricavi e
circa 60.000 avevano ricavi inferiori a 50 milioni
di vecchie lire. Si poteva quindi ragionevolmente
presumere l’esistenza di innumerevoli piccole immobiliari ‘‘di famiglia’’, utilizzate per spersonalizzare la capacita` economica immobiliare e dedurre i compensi agli amministratori, le spese di manutenzione, gli interessi passivi, ecc. L’intestazione dei beni non comporterebbe, peraltro, sempre
un vantaggio, in quanto il carico fiscale sui relativi redditi potrebbe risultare in alcuni casi superiore a quello della persona fisica: si pensi, ad esempio, alle plusvalenze derivanti dalla cessione degli
immobili, che risultano imponibili anche se ultraquinquennali, a differenza di quanto avviene per
le persone fisiche al di fuori dell’attivita` d’impresa.
Dall’altra parte, la fiscalita` prevista per gli immovamente fruttiferi, ivi n. 10/2006, pag. 1328; Id., Modifiche alle societa` di comodo: norma antievasione o patrimoniale camuffata?, ivi n. 11/2006, pag. 1431.
1913
Redditi d’impresa – APPROFONDIMENTO
bili avrebbe potuto essere aggirata cedendo le
quote sociali, e mantenendo gli stessi intestati alle
societa`: non sarebbe, quindi, casuale che l’istituto
sia stato modificato nel luglio del 2006, in concomitanza con una serie di interventi nel settore immobiliare. Ma se questa fosse la finalita` della normativa dovrebbero esservi soggette pure le societa`
semplici, che si prestano anch’esse a consentire
queste forme di ‘‘gestione indiretta’’ dei beni, mentre la trasformazione in societa` semplice e` stata,
al contrario, agevolata, almeno in passato; per
gli stessi motivi la disciplina dovrebbe essere, altresı`, estesa alle fondazioni, alle societa` estere,
ai trusts e, in generale, a tutti gli enti ai quali le
persone fisiche possono trasferire i cespiti senza
perderne sostanzialmente la titolarita`.
In quest’ottica, le disposizioni sulle societa` di comodo conterrebbero, quindi, una ‘‘presunzione di
evasione’’, e non costituirebbero una ‘‘norma antielusiva’’, della quale non sarebbe chiaro il fondamento.
` stato, altresı`, osservato che concepire in termini
E
antievasivi la disposizione sulle societa` di comodo avrebbe senso anche per il patrimonio investito in attivita` liquide e finanziarie, almeno con riguardo alla possibilita` di erogare crediti senza registrare i relativi ricavi, magari ottenuti presso
persone fisiche, ad onta della naturale fruttuosita`
del denaro.
In pratica, la disciplina delle societa` di comodo
sarebbe finalizzata, in base a questa prima tesi,
a dirigere la tassazione verso soggetti socialmente
disapprovati, o comunque ritenuti scarsamente
meritevoli, anche a costo di poca chiarezza su
quale sia la capacita` economica sottostante: invece di indicare se si tassa il reddito, il consumo o il
patrimonio, si tasserebbe un’immagine deteriore,
che suscita diffidenza, come quella delle ‘‘societa`
di comodo’’.
` stato da altri 4 sostenuto che, soprattutto dopo
E
le modifiche normative introdotte dal D.L. n.
223/2006 e dalla legge Finanziaria 2007, si affiancherebbe alla finalita` antievasiva quella di scoraggiare utilizzi impropri dello schermo societario, miranti ad attuare lo spossessamento formale tra i beni e i loro proprietari, nascondendo
dietro al paravento societario un’attivita` di mero
godimento. L’obiettivo di ridurre il numero delle
societa` commerciali risulterebbe, d’altra parte,
confermato dall’introduzione, in passato, di disposizioni agevolative in materia di scioglimento
delle societa` non operative e di trasformazione
delle stesse in societa` semplici.
` stato, inoltre, sostenuto che sia stata introdotta
E
una surrettizia tassazione di tipo patrimoniale 5. Il prelievo sulle societa` non operative assumerebbe, quindi, la valenza di una tassa sulla personalita` giuridica e sulla responsabilita` limitata o,
comunque, sulla creazione di patrimoni autonomi e separati rispetto alla sfera degli effettivi proprietari.
L’Agenzia delle Entrate ha affermato, nella circolare del 2 febbraio 2007, n. 5/E, che la disciplina
in esame e` stata introdotta al fine di ‘‘disincentivare il ricorso all’utilizzo dello strumento societario
come schermo per nascondere l’effettivo proprietario di beni, avvalendosi delle piu` favorevoli norme dettate per le societa`’’, che sarebbero costituite
‘‘per gestire il patrimonio nell’interesse dei soci,
anziche´ per esercitare un’effettiva attivita` commerciale’’.
Nella circolare del 29 marzo 2013, n. 7/E e` stato
ulteriormente ribadito che la disciplina delle societa` di comodo e` stata concepita per:
contrastare le societa` che, indipendentemente
dall’oggetto sociale adottato, gestiscono il proprio patrimonio essenzialmente nell’interesse
dei soci senza esercitare un’effettiva attivita`
d’impresa ed impedire, di conseguenza, ‘‘il proliferare di societa` costituite esclusivamente
con l’intento di conseguire finalita` estranee alla causa sociale, sostanzialmente prive dello
scopo lucrativo’’;
scoraggiare la permanenza in vita di societa`,
‘‘costituite senza finalita` elusive, ma prive di
obiettivi imprenditoriali concreti e immediati’’,
che, per diverse ragioni, non svolgono alcuna
effettiva attivita` imprenditoriale.
4
5
Si veda D. Stevanato, Societa` di comodo e intenti pedagogici
del legislatore tributario, in ‘‘Dialoghi dir. trib.’’ n. 10/2006,
pag. 1326; Id., La disciplina sulle ‘societa` di comodo’ come incentivo all’abbandono dello schermo societario per attivita` di
mero godimento, ivi n. 11/2006, pag. 1436; Id., Societa` ‘di comodo’, tra imposizione cripto-patrimoniale e dirigistico utilizzo extra-fiscale del tributo, ivi n. 1/2007, pag. 1.
L’individuazione della finalita` della disciplina in
commento e` divenuta ancora piu` ardua dopo
che le societa` in perdita sistematica per un
‘‘triennio’’ sono state considerate, nel quarto peSi veda, al riguardo, oltre a D. Stevanato, op. loc. ult. cit., anche L. Paverini, Societa` di comodo e imposta patrimoniale: il
contrasto tributario all’utilizzo distorto della forma societaria,
in ‘‘Giurisprudenza commerciale’’ n. 2/2013, pag. 260.
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1914
APPROFONDIMENTO – Redditi d’impresa
riodo di imposta, ‘‘di comodo’’, ancorche´ abbiano
rispettato il test di operativita` sui ricavi.
Al riguardo e` stato correttamente osservato 6 che
‘‘una situazione di perdita continua e ricapitalizzazione continua non e` un indizio di fedelta` fiscale ma - molto spesso - di mancata registrazione
degli incassi, che poi rientrano con i versamenti
dei soci’’ e che la norma in esame ‘‘trasforma un
presupposto di natura accertativa in una norma
sostanziale, stabilendo che la reiterazione triennale delle perdite fiscali fa diventare non operativa una societa`’’.
` stato, altresı`, evidenziato 7 che ‘‘la previsione di
E
una presunzione di redditivita` minima nei confronti di societa` in perdita non puo` dipendere
da una valutazione negativa dell’ordinamento
nei confronti delle attivita` di mero godimento.
La dichiarazione di perdite prescinde del tutto
dal livello di operativita` della societa`, che potrebbe avere anche un ingente ammontare di ricavi e/
o di rimanenze. La realizzazione di perdite, anche
reiterate, potrebbe riguardare benissimo le societa` appartenenti ai maggiori gruppi industriali del
Paese, che certo non potrebbero essere «accusati»
di indugiare in attivita` di mero godimento a vantaggio dei soci. Evidentemente, dietro all’estensione alle societa` in perdita della normativa sulle
«societa` di comodo», non puo` esservi un giudizio
di non operativita`, quanto un’insana estensione
dell’abusato concetto di «antieconomicita`», riferito stavolta non gia` a singole operazioni di acquisto, di vendita, ecc., bensı` all’intera attivita` sociale, considerata nel suo complesso: una serie di risultati aziendali di segno negativo sarebbe appunto, di per se´, contraria ai canoni dell’economia ...
Con l’elevatissimo rischio di tassare ricchezze inesistenti, anziche´ concentrare l’attenzione su quelle nascoste: anche perche´ non vi e` da dubitare che
le societa` in grado di occultare i propri ricavi staranno bene attente a dichiarare degli utili, per
quanto risicati, sfuggendo cosı` alle regole sul reddito minimo presunto applicabili alle societa` in
perdita’’.
` stato, pertanto, ritenuto che puo` avere senso efE
fettuare controlli fiscali ‘‘per verificare se, dietro
alle perdite, si nascondano occultamenti dei ricavi a fronte di costi fissi non comprimibili, deduzioni di costi non inerenti, sviamenti delle spese
rispetto alle finalita` imprenditoriali, e altre patologie ancora. Ha invece molto meno senso costringere l’amministrazione a misurarsi con le migliaia di istanze di disapplicazione’’.
L’Istituto di ricerca dei dottori commercialisti e
degli esperti contabili ha osservato, nella circolare n. 25/IR del 31 ottobre 2011, che tutte le opinioni possono avere un fondamento nel disposto normativo, ‘‘attesa l’ambiguita` e la scarsa coerenza sistematica della disciplina in esame che necessiterebbe di una revisione complessiva, finalizzata a
semplificarla e renderla coerente con il vigente sistema impositivo’’.
6
Da R. Rizzardi, Non c’e` pace per le aziende con i conti in rosso, in ‘‘Il Sole 24 Ore’’ del 3 settembre 2011, pag. 14.
8
7
Da D. Stevanato, Societa` in perdita sistemica e tassazione di
utili inesistenti, una bomba a orologeria da disinnescare, in
‘‘Dialoghi Tributari’’ n. 5/2012, pag. 502.
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3. La legge delega
Tale revisione e` stata prevista nella legge delega
per la riforma fiscale, che non ha, pero`, formulato
dei chiari principi direttivi ai quali debba attenersi il legislatore delegato ma ha soltanto precisato
che la nuova disciplina dovra` consentire di evitare
il conseguimento di ‘‘vantaggi fiscali dall’uso di
schermi societari per utilizzo personale di beni
aziendali o di societa` di comodo’’.
Al riguardo si ritiene che si sia inteso attribuire alla normativa in esame la duplice finalita` di:
contrastare il proliferare di societa` ‘‘senza
impresa’’, anche al fine di ridurre il numero
dei soggetti da controllare ai fini fiscali;
favorire l’effettuazione dell’accertamento sintetico disincentivando l’occultamento dei beni
utilizzati dalle persone fisiche dietro lo schermo societario.
A quest’ultimo riguardo si osserva che l’attuale disciplina - compresa quella riguardante le societa`
in perdita sistematica - si applica alle societa` di
capitali (per azioni, in accomandita per azioni e
a responsabilita` limitata, con esclusione delle societa` cooperative e di mutua assicurazione e di
quelle consortili), in nome collettivo e in accomandita semplice 8 (e quelle ad esse equiparate
ai sensi dell’art. 5 del Tuir), nonche´ alle societa`
e agli enti di ogni tipo non residenti, con stabile
organizzazione nel territorio dello Stato. Non
rientrano, invece, nell’ambito applicativo della
norma le societa` semplici, le societa` e gli enti
L’estensione dell’applicazione della disciplina delle societa`
di comodo alle societa` in nome collettivo e in accomandita
semplice e a quelle alle stesse equiparate (societa` di fatto
esercenti attivita` commerciali e societa` di armamento) e` avvenuta ad opera dell’art. 3, comma 37, della L. n. 662/1996.
1915
Redditi d’impresa – APPROFONDIMENTO
non residenti privi di stabile organizzazione in
Italia nonche´ gli enti commerciali e non commerciali residenti, compresi i trust, nell’ambito dei
quali potrebbero, pero`, essere ugualmente occultati i beni posseduti dalle persone fisiche.
Per raggiungere lo scopo di disincentivare l’occultamento dei beni utilizzati dalle persone fisiche si
dovrebbe estendere l’applicazione della disciplina
anche a tali soggetti. In tal modo resterebbero, pero`, pur sempre esclusi i soggetti non residenti privi di stabile organizzazione in Italia, il cui reddito
non potrebbe essere, evidentemente, assoggettato
ad imposizione in Italia (salvo che sia possibile
considerarle esterovestite). Sarebbe, inoltre, disincentivata anche la costituzione di soggetti
che sono per natura ‘‘senza impresa’’, quali le societa` semplici. La ipotizzata estensione dell’ambito di applicazione della disciplina in discorso non
appare, quindi, una soluzione che consente di
raggiungere pienamente lo scopo che la normativa si prefigge.
Si dovrebbe, quindi, prendere innanzitutto in
considerazione l’opportunita` di eliminare l’attuale disciplina normativa, che, applicandosi anche
a societa` che svolgono un’effettiva attivita` commerciale ma non superano il test di operativita`
ovvero realizzano perdite ‘‘sistematiche’’, sembra
configurare una sorta di minimum tax 9.
Peraltro, l’utilizzo di una ‘‘societa` senza impresa’’
potrebbe di per se´ consentire di disconoscere l’inerenza dei costi sostenuti dalla stessa, non essendo posta in essere un’effettiva attivita` d’impresa ma trattandosi di un occultamento della reale
attivita` non imprenditoriale, consistente nel ‘‘godimento privato’’ dei beni.
Si ricorda che, ai fini dell’Iva, le societa` ‘‘di mero
godimento’’ non sono considerate 10 esercitare
un’attivita` d’impresa, anche in deroga alla presunzione assoluta di commercialita` riguardante le societa` di capitali e quelle commerciali di persone
nonche´ gli enti commerciali.
L’art. 4, comma 5, del D.P.R. n. 633/1972 stabilisce, infatti, che non e` detraibile l’Iva pagata da societa` ed enti per l’acquisto di beni (unita` immobiliari classificate o classificabili in categoria catastale A - tranne A10 - e loro pertinenze, unita` da
diporto, aeromobili da turismo o qualsiasi altro
mezzo di trasporto ad uso privato e complessi
sportivi o ricreativi, compresi quelli destinati all’ormeggio, al ricovero e al servizio di unita` da di-
porto) che vengono gestiti e messi a disposizione
dei soci e partecipanti, e dei loro familiari, gratuitamente o a fronte di un corrispettivo inferiore al
valore normale. Tale disposizione si applica anche se il godimento, personale o familiare, dei beni o degli impianti sia conseguito indirettamente
dai soci o partecipanti anche attraverso la partecipazione ad associazioni, enti o altre organizzazioni. Si tratta, peraltro, di ipotesi diverse dall’autoconsumo familiare o dall’assegnazione dei beni
ai soci, perche´ i beni stessi non fuoriescono dal
regime d’impresa.
La indetraibilita` dell’Iva e` stata, inoltre, stabilita
dalla detta disposizione nei riguardi delle holding
di gestione, in caso di ‘‘possesso, non strumentale
ne´ accessorio ad altre attivita` esercitate, di partecipazioni o quote sociali, di obbligazioni o titoli
similari, costituenti immobilizzazioni, al fine di
percepire dividendi, interessi o altri frutti, senza
strutture dirette ad esercitare attivita` finanziaria
ovvero attivita` di indirizzo, di coordinamento o
altri interventi nella gestione delle societa` partecipate’’.
Sarebbe, quindi, opportuno coordinare le due discipline, stabilendo che ai fini delle imposte sui
redditi l’attivita` delle societa` ‘‘di mero godimento’’
non da` luogo a reddito d’impresa e che l’imposizione debba avvenire nei riguardi dei soci. L’attivita` di controllo avverrebbe, in tal modo, congiuntamente ai fini dell’Iva e delle imposte sui redditi
e non si dovrebbero verificare rilevanti conseguenze in termini di gettito.
Occorre, inoltre, prevedere, come gia` avvenuto in
passato, una disciplina per lo scioglimento agevolato delle societa` di comodo, atteso che la finalita` delle nuove disposizioni e` quella di scoraggiare l’utilizzo di tali societa` e ricondurre l’intestazione dei beni alle persone fisiche che li utilizzano. I relativi introiti dovrebbero, naturalmente,
essere considerati in sede di valutazione degli effetti sul gettito. L’introduzione di tale disciplina
agevolativa appare senz’altro possibile nell’ambito dell’attivita` di revisione stabilita dalla norma
di delega, anche se non appare a tal fine utilizzabile lo specifico riferimento contenuto nella stessa alle ‘‘norme che regolano il trattamento dei cespiti in occasione dei trasferimenti di proprieta`’’.
Cio` in quanto e` stato espressamente specificato
che quest’ultima disposizione e` stata inserita allo
scopo di ‘‘dare continuita` all’attivita` produttiva in
9
10
Cosı` M. Damiani, Societa` di comodo e perdite sistematiche:
l’abuso del diritto risolve le possibili discriminazioni, in ‘‘Corr.
Trib.’’ n. 12/2014, pag. 929.
A partire dal 1º gennaio 1998.
20/2014
1916
APPROFONDIMENTO – Redditi d’impresa
caso di trasferimento della proprieta`, anche tra
familiari’’.
` stato ritenuto 11 che anche l’istituto dell’abuso
E
del diritto ‘‘possa costituire un argine ben piu` razionale e sufficiente per prevenire e reprimere i
comportamenti che cercano di utilizzare impropriamente la forma societaria per la finalita` di
conseguimento di vantaggi fiscali indebiti, costituiti per lo piu` dal riconoscimento della deduzione di costi sostenuti in difetto di inerenza ad
un’attivita` d’impresa e quindi dissimulanti spese
private afferenti utilizzi personali a cui si riferiscono ... In termini gia` noti nel diritto tributario
(e` il caso della normativa sulla pex) si tratta di verificare nei singoli casi se vi e` una mera gestione
passiva del patrimonio’’. La stessa Corte di cassazione, sez. III penale, nella sentenza del 3 maggio
2013, n. 19100, ha ricondotto all’abuso del diritto
la costituzione di una societa` in assenza di una
apprezzabile ragione economica, essendo stata
considerata la forma societaria non necessaria e
costituita, quindi, al fine di conseguire vantaggi
fiscali indebiti.
Per quanto concerne la disciplina delle societa` in
perdita sistematica si rileva che la stessa appare
perseguire la medesima finalita` di quella prevista
nell’art. 24, comma 1, del D.L. n. 78/2010, che ha
stabilito che la programmazione dei controlli fiscali debba assicurare una vigilanza sistematica,
basata su specifiche analisi di rischio, sulle imprese che presentano dichiarazioni in perdita fiscale per almeno due periodi d’imposta consecutivi 12, compresi i primi anni di esercizio dell’attivita`. In entrambi i casi vengono, infatti, prese in
considerazione le imprese che dichiarano perdite
‘‘reiterate’’, in quanto tale comportamento risulta, in via di principio, antieconomico e privo di
logica imprenditoriale, come affermato nelle
sentenze della Corte di cassazione n. 21536 del
15 ottobre 2007, n. 24436 del 2 ottobre 2008 e n.
26167 del 6 dicembre 2011.
Si ritiene che quest’ultima disciplina risulti sufficiente a contrastare i detti comportamenti antieconomici, in presenza dei quali la giurisprudenza
11
Da M. Damiani, Societa` di comodo e perdite sistematiche: l’abuso del diritto risolve le possibili discriminazioni, in ‘‘Corr.
Trib.’’ n. 12/2014, pag. 929.
12
Non sono soggette a monitoraggio le imprese che dichiarano perdite determinate da compensi erogati ad amministratori e soci e quelle che deliberano e interamente liberano,
nello stesso periodo, uno o piu` aumenti di capitale a titolo
oneroso di importo almeno pari alle perdite fiscali.
13
Si vedano, tra le altre, le sentenze n. 27912 del 13 dicembre
20/2014
della Corte di cassazione ha ritenuto legittimo anche il ricorso all’accertamento induttivo 13. Potrebbe, pertanto, rinunciarsi all’estensione della
disciplina delle societa` di comodo a quelle in perdita sistematica, tenuto anche conto dell’attuale
fase di crisi economica, ‘‘nella quale i risultati negativi delle imprese dipendono sempre piu` spesso
non tanto dall’utilizzo strumentale dello schermo
societario bensı` dall’impossibilita` reale di conseguire il quantum di proventi richiesti dal legislatore’’ 14.
Anche in tal caso gli effetti dell’attivita` di controllo potranno compensare la perdita di gettito derivante dall’eliminazione della disciplina in esame.
Qualora il legislatore delegato ritenga ‘‘troppo radicali’’ le proposte sin qui illustrate, dovrebbe in
ogni caso procedere ad una profonda modifica
della disciplina in discorso, prevedendo, ad esempio:
la possibilita` di modificare i coefficienti previsti per la determinazione dei ricavi presunti e
del reddito minimo, al fine di tenere conto dell’andamento negativo del mercato ed, in particolar modo, di quello immobiliare. L’Agenzia
delle Entrate ha affermato, nella risposta resa
il 30 maggio 2013 ad un’interrogazione parlamentare 15, che per i ‘‘coefficienti di rendimento presuntivo’’ non e` prevista alcuna forma di
aggiornamento rimessa all’Amministrazione
finanziaria, ne´ alcuna modalita` di adeguamento automatico degli stessi, a differenza di quanto avviene, invece, per gli studi di settore.
Quindi per un’eventuale rideterminazione al ribasso dei detti coefficienti sarebbero necessarie apposite iniziative normative che dovrebbero tenere conto anche dei vincoli di finanza
pubblica. Si ritiene che in sede di predisposizione del decreto delegato si potrebbe stabilire
la possibilita` di modificare i detti coefficienti
mediante l’emanazione di un apposito decreto
ministeriale;
la facoltativita` della presentazione dell’istanza di interpello e la non impugnabilita` del
2013, riguardante il caso di una societa` che aveva dichiarato
costi ritenuti troppo elevati, e n. 1839 del 29 gennaio 2014,
concernente il caso di una societa` che aveva dichiarato di
aver applicato una percentuale di ricarico ‘‘irrisoria’’.
14
Cosı` l’Assonime nella circolare n. 17 dell’11 giugno 2013, paragrafo 2.3.
15
L’interrogazione 5-00186 degli onorevoli Zanetti e altri.
1917
Redditi d’impresa – APPROFONDIMENTO
provvedimento di rigetto della stessa (di cui si
trattera` piu` avanti);
l’ampliamento delle cause di esclusione e di
disapplicazione automatica, al fine di tenere
conto di situazioni quali quelle relative alle societa` che affittano l’unica azienda posseduta o
che non applicano gli studi di settore;
l’allungamento (ad esempio da tre a quattro o
cinque anni) del periodo di ‘‘monitoraggio’’
delle perdite fiscali che provocano l’applicazione della disciplina delle societa` di comodo.
4. La revisione della disciplina
dell’interpello
Si e` in precedenza accennato all’opportunita` di
procedere, qualora non sia possibile operare l’auspicata riforma ‘‘radicale’’ della normativa in materia di societa` di comodo, anche alla revisione
della disciplina delle relative istanze di interpello,
nell’ambito di quella prevista, in via generale, nell’art. 6, comma 6, della legge delega allo scopo di
garantire una maggiore omogeneita` delle procedure delle diverse tipologie di interpelli, ‘‘anche
ai fini della tutela giurisdizionale e di una maggiore tempestivita` nella redazione dei pareri, procedendo in tale contesto all’eliminazione delle
forme di interpello obbligatorio nei casi in cui
non producano benefici ma solo aggravi per i
contribuenti e per l’Amministrazione’’.
Si ricorda che l’Agenzia delle Entrate ha confermato, nella circolare n. 32/E del 14 giugno 2010,
l’obbligatorieta` della presentazione dell’istanza
di interpello disapplicativo riguardante la disciplina delle societa` di comodo, ‘‘ai fini dell’ottenimento di un parere favorevole all’accesso ad un
regime derogatorio (in talune ipotesi anche agevolativo) rispetto a quello legale, normalmente
applicabile. L’obbligo di presentazione dell’istanza, previsto dalla normativa di riferimento, risponde all’esigenza di consentire all’Amministrazione finanziaria un monitoraggio preventivo in
merito a particolari situazioni considerate dal legislatore potenzialmente elusive’’. La stessa Agenzia ha, peraltro, affermato, nella successiva circolare n. 7/E del 2013, che la disciplina delle societa`
di comodo si applica a prescindere dalla sussistenza di finalita` elusive.
Nelle circolari n. 5/E del 2007 e n. 7/E del 2009
l’Agenzia delle Entrate aveva ritenuto che, qualo16
ra fosse stato assolto l’onere di presentazione dell’istanza, avrebbe dovuto ammettersi la possibilita` di riproporre la questione concernente l’operativita` della societa` o dell’ente all’esame dei giudici
tributari, mediante impugnazione dell’eventuale
avviso di accertamento emesso del competente
Ufficio a seguito del rigetto dell’istanza da parte
del direttore regionale. In assenza, invece, di presentazione dell’istanza, il ricorso sarebbe stato
inammissibile.
Nella circolare n. 32/E del 2010 16 l’Agenzia ha opportunamente rivisto la propria posizione, affermando innanzitutto che l’obbligatorieta` dell’istanza, oltre a non mutare il carattere non vincolante della risposta, quale atto avente natura di
parere, non preclude all’istante ‘‘la possibilita` di
dimostrare anche successivamente la sussistenza
delle condizioni che legittimano l’accesso al regime derogatorio. In tutti questi casi, infatti, le determinazioni dell’Agenzia rappresentano comunque un atto di indirizzo, indicativo dell’orientamento assunto dall’Amministrazione, sulla base
della documentazione fornita e/o richiesta, in ordine alla valutazione della sussistenza delle condizioni che autorizzano la disapplicazione della
norma puntuale ovvero della disciplina che ordinariamente troverebbe applicazione’’.
L’Agenzia ha poi esplicitamente affermato che
‘‘nel corso dell’attivita` di controllo nei confronti
dei soggetti che, pur in presenza di un obbligo
normativo in tal senso, non hanno presentato
istanza di interpello, in primo luogo sara` irrogata
la sanzione prevista dall’art. 11, comma 1, lett. a),
del D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 471 (omissione di
ogni comunicazione prescritta dall’Amministrazione finanziaria, punita con sanzione amministrativa da euro 258 ad euro 2.065, diversamente
graduata dagli uffici tenuto conto della situazione
concretamente riscontrata). Il comportamento
omissivo dei contribuenti che non presentano
l’istanza, ove obbligatoria, incide, infine, anche
sulla graduazione delle sanzioni ordinariamente applicabili qualora, in fase di accertamento,
l’Amministrazione rilevi, sulla base della documentazione in possesso del contribuente e del
contraddittorio con quest’ultimo, l’insussistenza
delle condizioni che legittimano la disapplicazione della disciplina, oggetto dell’interpello obbligatorio. Al riguardo, vale la pena precisare che l’analisi condotta dagli Uffici non deve limitarsi alla
mera constatazione del mancato rispetto di parametri quantitativi o di condizioni formali posti
Nei paragrafi 4 e 8.
20/2014
1918
APPROFONDIMENTO – Redditi d’impresa
dal legislatore, ma deve mirare a verificare se gli
elementi sostanziali addotti dal contribuente siano idonei a dimostrare l’effettiva sussistenza delle
circostanze esimenti previste dalle norme di riferimento. In assenza di tale dimostrazione - considerata la gravita` del comportamento del contribuente che, omettendo la proposizione dell’interpello obbligatorio, ha sottratto al vaglio preventivo dell’Amministrazione fattispecie che il legislatore tributario ritiene meritevoli di particolare tutela - gli Uffici applicheranno, in linea di principio, le sanzioni nella misura massima prevista
dalla Legge. Inoltre, nei suddetti casi di controlli
effettuati nei confronti di soggetti che non hanno
interpellato preventivamente l’amministrazione,
gli uffici procedenti informano in ogni caso la Direzione regionale (che, se del caso, interessa la Direzione Centrale Normativa e la Direzione Centrale Accertamento)’’. Pertanto, soltanto nel caso
in cui venga accertata l’infedelta` della dichiarazione sara` applicata la sanzione pari a due volte
l’imposta dovuta. Qualora, pero`, il contribuente
dimostri la sussistenza delle condizioni che legittimano la disapplicazione, resta applicabile la sola sanzione residuale di cui all’art. 11 del D.Lgs. n.
471/1997.
Si ritiene che in sede di attuazione della delega
possa essere eliminata la obbligatorieta` dell’interpello e, conseguentemente, l’applicazione delle
menzionate sanzioni in caso di mancata presentazione dello stesso. Si tratta, infatti, di un adempimento che appare ispirato dalla volonta` di monitorare ex ante la situazione dell’intera platea delle
societa` interessate e che provoca, per i contribuenti e per l’Amministrazione, gli aggravi che
la delega intende eliminare, senza, peraltro, produrre particolari benefici per quest’ultima.
Dovrebbe, altresı`, stabilirsi normativamente che il
provvedimento di rigetto del Direttore regionale
non puo` essere impugnato immediatamente - in
quanto non rientra tra gli atti impugnabili di
cui all’art. 19 del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n.
546 - ma il contribuente potra` far valere le proprie
ragioni dinanzi alla Commissione tributaria mediante impugnazione dell’eventuale avviso di
accertamento notificato a seguito del provvedimento di rigetto del Direttore regionale.
In tal senso si e` espressa l’Agenzia delle Entrate
nelle circolari n. 5/E e n. 14/E del 2007 e n. 32/E
del 2010. In quest’ultima e` stato affermato che,
17
Cfr., in tal senso, la sentenza della Commissione tributaria
provinciale di Reggio Emilia, Sez. IV, 21 settembre 2011,
n. 154.
20/2014
‘‘come piu` volte chiarito dall’Amministrazione
(da ultimo, cfr. circolare n. 7/E del 2009), la risposta resa in sede di interpello non e` un atto impugnabile in quanto, stante la natura di parere, al
quale il contribuente puo` non adeguarsi, non e`
in alcun modo lesivo della posizione del contribuente; tale soluzione e` stata recentemente confermata anche dalla giurisprudenza del Consiglio
di Stato (decisione 26 gennaio 2009, n. 414) secondo cui la disciplina vigente, che non contempla le risposte all’interpello tra gli atti impugnabili
dinanzi al giudice tributario, ‘‘in nulla pregiudica
il diritto’’ del contribuente ‘‘di impugnare, tempestivamente ed a tempo debito, gli eventuali atti
rientranti nella previsione dell’art. 19 del D.Lgs.
n. 546/1992 nei quali dovesse farsi applicazione
delle disposizioni antielusive il cui esonero e` stato
negato’’, appunto, attraverso la risposta all’interpello. Tale conclusione, come si desume chiaramente anche dalla richiamata pronuncia, resta
valida non solo nei casi degli interpelli ordinari,
ma anche nei casi degli altri interpelli (nella specie, all’interpello obbligatorio di cui all’art. 37-bis,
comma 8, del D.P.R. n. 600/1973 al quale si riferisce la citata decisione)’’.
La Corte di cassazione ha, pero`, affermato, nella
sentenza del 15 aprile 2011, n. 8663, che il provvedimento del direttore regionale dell’Agenzia
delle Entrate che nega la disapplicazione e` da
considerare alla stregua di un provvedimento di
diniego di un’agevolazione e lo stesso risulta,
quindi, autonomamente impugnabile dinanzi
agli organi del contenzioso tributario.
Da tale principio la Suprema Corte ha fatto discendere la ulteriore e importante conseguenza
che l’impugnazione del detto provvedimento direttoriale diventa indispensabile al fine di far valere la sussistenza dei presupposti per la disapplicazione, il che non sarebbe, invece, possibile in
sede di ricorso avverso il successivo atto di accertamento.
Si ritiene che tale conseguenza non si dovrebbe,
quanto meno, verificare per le mancate impugnazioni dei provvedimenti di rigetto emanati prima
della pronuncia della Cassazione, proprio in
quanto l’Agenzia ha affermato la non impugnabilita` di tali provvedimenti, peraltro ribadita in calce a questi ultimi 17.
I principi affermati nella detta sentenza n. 8663
del 2011 sono stati confermati nella sentenza del
1919
Redditi d’impresa – APPROFONDIMENTO
13 aprile 2012, n. 5843, nella quale e` stato precisato che la cognizione del giudice tributario rispetto
al diniego non e` limitata alla legittimita` formale
dell’atto ma e` estesa al merito della pretesa. La
Suprema Corte e`, pero`, giunta in questa sentenza
a concludere che il provvedimento dichiarativo
della improcedibilita` dell’istanza non e` autonomamente impugnabile, perche´ lo stesso non puo`
qualificarsi come definitivo diniego della richiesta di disapplicazione ma come provvedimento
‘‘sostanzialmente interlocutorio’’.
Nella sentenza del 5 ottobre 2012, n. 17010, la
Cassazione si e` pronunciata a favore della non obbligatorieta` per il contribuente dell’impugnativa
del provvedimento di diniego perche´ si tratta di
un atto diverso da quello che nega il riconoscimento di un’agevolazione e la mancata impugnazione di un atto non espressamente citato nell’art.
19 del D.Lgs. n. 546/1992 ‘‘non determina, in ogni
caso, la non impugnabilita` (e cioe` la cristallizzazione) di quella pretesa, che va successivamente
reiterata in uno degli atti tipici previsti dallo stesso art. 19’’.
Nella ordinanza del 29 novembre 2012, n. 20394,
la Corte e`, pero`, tornata sui suoi passi, affermando che la risposta negativa dell’Agenzia delle Entrate deve essere impugnata dal contribuente
che intenda evitare la sua definitivita`.
Atteso il menzionato orientamento giurisprudenziale, i contribuenti interessati sono, di fatto,
costretti ad impugnare i provvedimenti di rigetto,
al fine di evitare il rischio di un’eventuale preclusione dell’impugnativa del successivo avviso di
accertamento. In tal modo dovranno essere presentati due ricorsi (avverso la risposta all’interpello e il successivo accertamento), con due
procedure di mediazione e con doppio pagamento del contributo unificato. La possibilita` di impugnare la risposta all’istanza di interpello non rappresenta, pertanto, un sicuro vantaggio per il contribuente.
Si ritiene, pertanto, opportuno che venga confermato in sede normativa l’orientamento interpretativo piu` volte espresso dall’Agenzia delle Entrate.
` stato, al riguardo, giustamente rilevato 18 che
E
‘‘l’assimilazione dei dinieghi opposti alle istanze
cd. disapplicative ai dinieghi di agevolazioni e`
non poco forzata, non trattandosi nel caso del riconoscimento di regimi agevolativi, ma, piu` esat18
Da M. Basilavecchia, Funzione impositiva e forme di tutela,
Torino, 2009, pag. 47.
19
Sulla tecnica di tutela cd. differita, cfr. per tutti, M. Basila-
tamente, della presentazione di un’istanza nella
quale il contribuente, dopo aver descritto l’operazione che intende porre in essere, indica le disposizioni normative (di cui domanda la disapplicazione) che «limitano deduzioni, detrazioni, crediti d’imposta o altre posizioni soggettive altrimenti
ammesse dall’ordinamento tributario» (art. 37bis, comma 8, del D.P.R. n. 600/1973) ... Conseguentemente, non sussiste alcun vulnus alla tutela giurisdizionale della posizione giuridica soggettiva del contribuente, rinviata al momento in
cui viene notificato l’avviso di accertamento 19.
Inoltre, non convince l’ipotesi di un’impugnazione facoltativa del diniego opposto, che non pregiudicherebbe l’impugnazione del successivo avviso di accertamento notificato al contribuente.
Se essa fosse ammessa, sarebbe consentito un duplice accesso al controllo giurisdizionale sulla base di una scelta rimessa esclusivamente al contribuente ed alla sua strategia processuale, con una
serie di delicati profili, non solamente teorici, collegati ad una possibile diversita` di giudizio’’.
5. La comunicazione
relativa ai beni in godimento ai soci
Nel D.L. n. 138/2011 e` stabilito che, qualora l’impresa conceda dei beni in godimento ai soci o ai
familiari:
la differenza tra il valore di mercato e il corrispettivo annuo previsto per la detta concessione concorre alla formazione del reddito complessivo del socio o familiare quale reddito diverso;
i costi relativi ai beni concessi ai soci o ai familiari per un corrispettivo annuo inferiore al valore di mercato del diritto di godimento ‘‘non
sono in ogni caso ammessi in deduzione dal
reddito imponibile’’;
l’impresa concedente ovvero il socio o il familiare dell’imprenditore devono comunicare all’Agenzia delle Entrate i dati relativi ai beni
concessi in godimento, al fine di garantire l’attivita` di controllo.
In caso di pagamento di un corrispettivo inferiore al valore del diritto di godimento del bene
l’ufficio avrebbe potuto, prima dell’intervento
normativo in esame, accertare un maggior comvecchia, op. cit., pag. 50, il quale sottolinea che la regola vale
fondamentalmente per gli atti istruttori o preparatori rispetto agli atti dichiarati autonomamente impugnabili.
20/2014
1920
APPROFONDIMENTO – Redditi d’impresa
ponente di reddito in capo all’impresa, applicando il principio, affermato dalla giurisprudenza
della Corte di cassazione, secondo il quale e` possibile sindacare la congruita` dei componenti di
reddito risultanti dalla contabilita` e dalle dichiarazioni, in presenza di comportamenti antieconomici dei contribuenti 20. Con la nuova disciplina si
e` inteso, evidentemente, eliminare dubbi e contestazioni al riguardo e stabilire, in luogo della imponibilita` della differenza tra il corrispettivo e il
valore normale, la indeducibilita` ‘‘in ogni caso’’
dell’intero ammontare dei costi sostenuti dalla
societa`, con lo scopo di rendere piu` semplice e
immediata l’applicazione della norma.
Al riguardo e` stato affermato 21 che ‘‘se un bene
dell’impresa viene utilizzato dai soci o dai familiari, vuol dire che non e` inerente. Cio` significa che,
per principio generale, le spese e i costi che si riferiscono al bene non inerente sono indeducibili.
Fare una norma come quella del decreto di Ferragosto 2011 vuol dire correre il rischio che beni assolutamente non inerenti dell’impresa (ad esempio, uno yacht intestato a una societa` che vende
immobili) lo diventino ex lege, consentendo, quindi, la deduzione delle spese se i soci pagano un
corrispettivo «congruo», pari al valore normale
del godimento del bene stesso’’.
Tale considerazione risulta, pero`, valida soltanto
se a fronte dell’attribuzione del diritto di godimento del bene non sia stabilito alcun corrispettivo mentre se quest’ultimo e` previsto la sua concorrenza alla formazione del reddito d’impresa
impone di considerare inerenti anche i relativi costi.
Tale disciplina dovrebbe essere coordinata con
quella relativa alle societa` di comodo, escludendo
i beni assegnati in godimento a soci e familiari dal
novero di quelli presi in considerazione per il calcolo del test di operativita`. La legge delega fa, infatti, esplicito riferimento anche alla necessita` di
provvedere al coordinamento tra le due discipline.
L’Agenzia delle Entrate ha chiarito, con il provvedimento del 2 agosto 2013, n. 94902, che la finalita` della comunicazione dei dati relativi ai beni
dell’impresa concessi in godimento ai soci e ai loro familiari e` quella di controllare la corretta ap20
Si veda, al riguardo, G. Ferranti, La prova dell’inerenza e le
risultanze delle scritture contabili’’, in ‘‘Corr. Trib.’’ n. 36/
2010, pag. 2929.
21
Da D. Deotto, Le rettifiche non superano gli errori di fondo, in
‘‘Il Sole 24 Ore’’ del 25 settembre 2012, pag. 21.
22
Lo stesso provvedimento ha stabilito che la comunicazione
20/2014
plicazione delle penalizzazioni reddituali e non
di agevolare l’effettuazione dell’accertamento
con il metodo sintetico.
La comunicazione deve essere, infatti, effettuata
soltanto qualora sussista una differenza tra il corrispettivo relativo al godimento del bene ed il valore di mercato del relativo diritto, cioe` se l’utilizzatore e` tenuto ad assoggettare ad imposizione tale differenza come reddito diverso e l’impresa
concedente a non dedurre, in proporzione, i relativi costi. L’obbligo non sussiste, inoltre, nelle ipotesi in cui nelle circolari n. 24/E e n. 36/E del 2012
e` stata esclusa l’applicazione delle dette penalizzazioni.
I contribuenti dovevano, pertanto, tenere conto
delle dette penalizzazioni nella dichiarazione annuale, che normalmente era successiva alla trasmissione della comunicazione, che avrebbe dovuto avvenire entro il 30 aprile.
Per evitare tale inconveniente il provvedimento
direttoriale del 16 aprile 2014, n. 54581, ha stabilito che la comunicazione deve essere effettuata entro il trentesimo giorno successivo al termine di presentazione della dichiarazione dei redditi relativa al periodo d’imposta in cui i beni sono concessi o permangono in godimento 22. Nelle motivazioni del provvedimento e` stato chiarito che il nuovo termine ‘‘consente l’utilizzo di
elementi che in sede dichiarativa hanno gia` concorso alla tassazione del reddito diverso ... e determinato l’indeducibilita` dei relativi costi sostenuti’’.
Si tratta, in pratica, di un adempimento imposto
per effettuare una sorta di ‘‘controllo incrociato’’
e che si potrebbe anche evitare, considerato che
chi non intende adeguarsi in sede di dichiarazione dei redditi non rispettera`, presumibilmente,
neanche l’obbligo di trasmettere la comunicazione e risultera` decisiva, in tali casi, l’effettuazione
dei controlli ‘‘sul campo’’ da parte degli Uffici delle Entrate. D’altra parte, se non e` previsto, in tutto
o in parte, il sostenimento del corrispettivo da
parte del socio o familiare, i dati non assumeranno particolare rilievo neanche ai fini dell’accertamento sintetico da effettuare nei suoi confronti.
dei dati relativi ai soci o familiari dell’imprenditore che effettuano finanziamenti o capitalizzazioni nei confronti dell’impresa deve essere effettuata entro il trentesimo giorno
successivo al termine di presentazione della dichiarazione
dei redditi relativa al periodo d’imposta in cui i detti finanziamenti o capitalizzazioni sono stati ricevuti.
1921
Redditi d’impresa – APPROFONDIMENTO
6. La comunicazione dei finanziamenti dei
soci
Il provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle
Entrate del 2 agosto 2013, n. 94904, ha disciplinato le modalita` e i termini di comunicazione dei
dati relativi ai soci e ai familiari dell’imprenditore
che effettuano finanziamenti o capitalizzazioni
nei confronti dell’impresa prevedendo una comunicazione autonoma rispetto a quella relativa ai
beni dell’impresa concessi in godimento a soci e
familiari.
Nella rubrica del provvedimento e` stato ribadito
che con lo stesso si e` inteso dare attuazione al detto art. 2, comma 36-septiesdecies e nelle motivazioni e` poi precisato che l’intervento normativo
operato con il D.L. n. 138/2011 23 ‘‘e` volto a rafforzare le misure che presiedono il recupero della
base imponibile non dichiarata, tramite lo strumento della determinazione sintetica del reddito’’.
Inoltre l’Agenzia ha affermato che l’obbligo di comunicazione e` fondato sull’art. 7, comma 12, del
D.P.R. n. 605/1973, secondo il quale il Direttore
dell’Agenzia delle Entrate, ai fini dei controlli
sulle dichiarazioni dei contribuenti, puo` richiedere alle imprese, anche limitatamente a particolari categorie, di effettuare comunicazioni all’Anagrafe tributaria di dati e notizie in loro possesso.
Le richieste contenute nella comunicazione in
esame appaiono senz’altro utili ed efficaci ai fini
dello svolgimento dell’azione accertatrice, ed ap-
pare, pertanto, opportuno il mantenimento della
stessa, anche in considerazione del fatto che la
legge di delega non ne fa menzione.
I versamenti effettuati dai soci potrebbero, ad
esempio, costituire il veicolo per far rientrare nella societa` gli incassi non registrati.
Si ricorda, inoltre, che la Corte di Cassazione ha
affermato, nella sentenza del 23 aprile 2014, n.
9132, che i versamenti infruttiferi dei soci possono integrare una condotta antieconomica di finanziamento a fondo perduto di una societa` formalmente senza utili e che se non sono giustificati dai redditi dichiarati dai soci legittimano la presunzione che provengano da importi prelevati
` stata, di conseguenza, condalla stessa societa`. E
testata la distribuzione occulta di dividendi e l’omessa effettuazione della relativa ritenuta.
Se la societa` non avesse avuto la disponibilita` di
risorse finanziarie si sarebbe, invece, potuto presumere che i soci avessero ‘‘reintrodotto’’ in societa` ricavi incassati ‘‘in nero’’. La stessa Corte ha, infatti, affermato, nella ordinanza del 5 luglio 2013,
n. 16797, che i finanziamenti dei soci effettuati in
contanti e non preceduti da un’apposita delibera
possono, unitamente ad altre irregolarita` contabili, legittimare l’accertamento, con metodo analitico-induttivo, di maggiori ricavi non dichiarati pari all’ammontare dei detti finanziamenti 24.
Tale problematica risulta, peraltro, ridimensionata in seguito all’introduzione del limite di 1.000
euro entro il quale sono ammessi i versamenti
in contanti.
23
24
D.L. 13 agosto 2011, n. 138, convertito con modificazioni
dalla L. 14 settembre 2011, n. 148.
Un analogo principio e` stato affermato da Comm. trib. reg.
Piemonte 15 luglio 2013, n. 140/36/13.
20/2014
1922
APPROFONDIMENTO
Perdite su crediti, ammortamenti
e ‘‘altri costi’’ alla prova
della legge delega
di Tamara Gasparri (*)
La legge delega intende rendere piu` semplice e
competitivo il sistema fiscale, adottando, per taluni componenti negativi del reddito d’impresa,
soluzioni diverse in ragione delle loro specifiche
caratteristiche. E cosı`, la disciplina delle perdite
su crediti e` improntata al principio di coerenza
dei criteri di deducibilita` fiscale con l’impostazione contabile del bilancio d’esercizio, e prevede alcune significative differenze tra settore industriale e settore finanziario e assicurativo. Al contrario, la revisione degli ammortamenti secondo il
pooling method muove verso un doppio binario,
semplice sotto il profilo degli adempimenti amministrativi, e, nel contempo, flessibile e idoneo
a favorire i nuovi investimenti. Infine, la rivisitazione in via normativa del concetto di inerenza
dovrebbe restituire certezza ai criteri di deducibilita` di tutti quei particolari costi e spese che sono meno strettamente connessi con l’oggetto
della attivita` dell’impresa stand alone.
1. Disciplina delle perdite su crediti
In tema di determinazione del reddito d’impresa,
la legge delega di riforma fiscale (in seguito, anche la delega) prevede interventi di semplificazio(*)
Collaboratore Assonime Area Fisco.
20/2014
ne e razionalizzazione delle norme esistenti con
l’obiettivo di migliorare la certezza e la stabilita`
del sistema tributario.
La disciplina delle perdite su crediti e` sicuramente uno degli ambiti che, in un lungo periodo di
crisi economica, ha creato le maggiori difficolta`.
Al tema e` dedicato l’art. 12, lett. a), della delega
che sollecita ‘‘l’introduzione di criteri chiari e coerenti con la disciplina di redazione del bilancio, in
particolare per determinare il momento del realizzo delle perdite su crediti, ed estensione del regime fiscale previsto per le procedure concorsuali
anche ai nuovi istituti introdotti dalla riforma del
diritto fallimentare e dalla normativa sul sovra indebitamento, non che´ alle procedure similari previste negli ordinamenti di altri Stati’’.
I due principi direttivi dell’art. 12 (tendenziale
coerenza tra imponibile fiscale e risultato d’esercizio e maggiore apertura alle nuove procedure,
anche di diritto estero, che regolano le crisi d’impresa e da indebitamento eccessivo) ripropongono tel quel i contenuti dell’originario disegno di
legge delega presentato dal Governo Monti il 16
aprile 2012, che, come e` noto, fu travolto dall’interruzione anticipata della legislatura.
Nel frattempo, tuttavia, la riforma della disciplina
delle perdite su crediti e` gia` stata portata a compimento, in modo pressoche´ completo, prima attraverso il D.L. 22 giugno 2012, n. 83 e, poi, con la
` presulegge di stabilita` 2014 (L. n. 147/2013). E
mibile che i decreti legislativi si limiteranno, per-
1923
Redditi d’impresa – APPROFONDIMENTO
tanto, ad inserire gli ultimi tasselli ad un quadro
gia` profondamente innovato.
Ricordiamo, al riguardo, che quando il progetto
di delega fu concepito, l’art. 101, comma 5, stabiliva che ‘‘le perdite di beni ... e le perdite su crediti
sono deducibili se risultano da elementi certi e
precisi e in ogni caso, per le perdite su crediti,
se il debitore e` assoggettato a procedure concorsuali’’. La prova della definitivita` della perdita
sulla base di elementi certi e precisi doveva essere
indistintamente fornita, ad avviso dell’Agenzia
delle Entrate, per tutte le perdite su crediti, e cioe`
sia per le perdite determinate in base ad un processo interno di valutazione del credito, sia per
le perdite derivanti da atti o eventi irreversibili
di estinzione del credito (rinunce, transazioni,
prescrizione), comprese le cessioni pro soluto.
Questa impostazione e` sempre stata fortemente
contestata dalla prevalente dottrina, che riteneva,
invece, che le minusvalenze conseguite a seguito
di cessioni pro soluto dei crediti rientrassero, come quelle di qualsiasi altro bene ‘‘relativo’’ all’impresa, nella previsione del comma 1 dell’art. 101,
e potessero, pertanto, essere computate in deduzione, senza ulteriori oneri probatori, semplicemente in conseguenza dell’intervenuto atto di dismissione a favore di altri soggetti.
Il diverso orientamento della Amministrazione e`
stato tuttavia confermato dalla Cassazione, che
in alcune pronunce ha anche contestato al contribuente di essersi artatamente procurato le perdite, attraverso atti di disposizione pro soluto antieconomici, se non addirittura abusivi. In altri termini, nel previgente regime, il contribuente doveva farsi carico di dimostrare in modo appropriato
lo status d’insolvenza non temporanea o irreversibile del debitore, secondo le indicazioni in ultimo
illustrate dalla circolare n. 26/E del 2013.
A fronte delle incertezze e delle controversie sorte
attorno a questi temi, la soluzione piu` semplice
non poteva che venire da una chiara individuazione in via normativa degli ‘‘elementi certi e precisi’’:
veri e propri safe harbours (rifugi sicuri) in grado
di semplificare l’applicazione delle disposizioni in
esame e di assicurare certezza alle imprese.
In questa direzione e`, in effetti, intervenuto il D.L.
n. 83/2012 che ha inserito nel comma 5 dell’art.
101 l’espressa previsione secondo cui ‘‘gli elementi certi e precisi sussistono in ogni caso quando il
1
Cfr. per un esame approfondito delle novita` del D.L. n. 83/
2012 in tema di sopravvenienze attive e perdite su crediti
la circolare Assonime n. 15 del 13 maggio 2013 e la circolare
Agenzia delle Entrate n. 26/E del 2013. Cfr. anche L. Gaiani,
credito sia di modesta entita` e sia decorso un periodo di sei mesi dalla scadenza di pagamento del
credito stesso. Il credito si considera di modesta
entita` quando ammonta ad un importo non superiore a 5.000 euro per le imprese di piu` rilevante
dimensione di cui all’art. 27, comma 10, del D.L.
29 novembre 2008, n. 185 ... e non superiore a
2.500 euro per le altre imprese. Gli elementi certi
e precisi sussistono inoltre quando il diritto alla
riscossione del credito e` prescritto’’ 1.
1.1. Coerenza tra imponibile fiscale
e risultato d’esercizio
Inoltre, il medesimo D.L. n. 83/2012 aveva anche
inteso dare attuazione, per i soggetti Ias adopters,
al principio piu` generale di coerenza tra i criteri
fiscali di deducibilita` delle perdite su crediti e i
principi contabili di redazione del bilancio. Era
stato, infatti, introdotto nel comma 5 dell’art.
101 un ultimo periodo secondo cui ‘‘Per i soggetti
che redigono il bilancio in base ai principi contabili internazionali di cui al regolamento (CE) n.
1606/2002 ... gli elementi certi e precisi sussistono
inoltre in caso di cancellazione dei crediti dal bilancio operata in dipendenza di eventi estintivi’’.
Il dato letterale della norma e` stato successivamente superato dalla novella della legge di stabilita` 2014, perche´ introduceva un’ingiustificata disparita` di trattamento tra le imprese, in ragione
dei principi nazionali o internazionali di redazione del bilancio cui erano tenute. Inoltre, creava
ulteriori problemi anche per i soggetti Ias adopters, poiche´ attribuiva rilievo fiscale all’impostazione contabile nelle sole ipotesi di derecognition
del credito conseguente ad ‘‘eventi estintivi’’: formulazione imprecisa, che non chiariva se la natura ‘estintiva` dell’evento dovesse essere apprezzata
in base alle indicazioni del codice civile (che richiede l’estinzione giuridica del diritto); oppure
in base alle piu` ampie regole ermeneutiche dello
Ias 39 il quale, invece, impone la cancellazione
dei crediti dal bilancio in tutti i casi in cui risultino completamente trasferiti i relativi rischi e i benefici, indipendentemente dalla circostanza che
ne sia stata o meno trasferita anche la titolarita`
giuridica.
L’art. 1, comma 160, della legge di stabilita` per il
2014 ha risolto il problema, sostituendo l’ultimo
periodo del ripetuto comma 5 dell’art. 101 con il
Deducibilita` delle perdite su crediti di modesto ammontare:
punti fermi e aspetti controversi, in questo numero della Rivista, pag. 1931.
20/2014
1924
APPROFONDIMENTO – Redditi d’impresa
seguente:‘‘Gli elementi certi e precisi sussistono
inoltre in caso di cancellazione dei crediti dal bilancio in applicazione di principi contabili’’. In
definitiva, il corretto trattamento contabile,
conforme con i principi di riferimento di ciascuna
impresa (Ias o ITA gaap), diventa il presupposto
necessario e sufficiente per la deducibilita` fiscale di tutte le perdite che conseguono ad eventi di
natura realizzativa che comportino la cancellazione dei crediti dal bilancio.
Per la generalita` delle imprese (diverse dagli istituti di credito), questo principio di conformita`
al bilancio non opera per le riduzioni di valore
dei crediti che dipendono da vicende valutative
e che, come tali, non consentono la derecognition.
Alle perdite di questo tipo restano quindi applicabili le altre disposizioni del comma 5 dell’art. 101,
che, come detto, hanno comunque visto ampliarsi
i casi in cui gli ‘‘elementi certi e precisi’’ sono assistiti da presunzioni legali che sollevano il contribuente da qualsiasi onere della prova.
Per le banche, enti finanziari e assicurazioni, la
legge di stabilita` 2014 e` intervenuta in modo ancor piu` significativo sulla disciplina ad essi riservata, garantendo al settore la completa aderenza
con la impostazione contabile dei criteri di deducibilita` fiscale di tutte, indistintamente, le perdite
su crediti verso la clientela, nonche´ delle svalutazioni.
A differenza del precedente regime che, come e`
noto, disciplinava in modo distinto le svalutazioni
e le perdite su crediti, la legge di stabilita` 2014
sovverte questa classificazione. Introduce, infatti,
direttamente nel nuovo testo del comma 3 dell’art. 106 tutte le perdite su crediti verso la clientela, operando una summa divisio tra le perdite derivanti da atti di cessione a titolo oneroso (che, ai
sensi del secondo periodo del comma 3, restano
interamente deducibili nell’esercizio in cui sono
‘‘rilevate in bilancio’’) e tutte le altre perdite (sempre relative a crediti verso la clientela) le quali,
avendo natura intrinsecamente valutativa, vengono in tutto e per tutto equiparate alle svalutazioni
e sono ora unitariamente disciplinate dal primo
2
Per gli esercizi precedenti a quelli in corso al 31 dicembre
2013, restano fermi i precedenti criteri di deducibilita` dell’art. 106, comma 3.
3
Per completezza, occorre aggiungere che la legge di stabilita`
2014, a decorrere dal periodo d’imposta in corso al 31 dicembre 2013, ha incluso nella base imponibile Irap delle imprese del settore bancario, finanziario e assicurativo, le perdite e le riprese di valore nette su crediti verso la clientela.
Nello specifico, per le banche e societa` finanziarie e` stata introdotta la nuova lett. c-bis) dell’art. 6 del D.Lgs. n. 446/1997,
20/2014
periodo dell’art. 106, comma 3, del Tuir, che ne
prevede la deducibilita` in quote costanti nell’esercizio in cui risultano contabilizzate in bilancio e
nei quattro successivi 2. Per le imprese del settore
creditizio e assicurativo, gli elementi certi e precisi non dovrebbero piu` costituire un problema 3.
In conclusione, le modifiche apportate dal D.L. n.
83/2012 e dalla legge di stabilita` per il 2014 hanno
dato anticipata attuazione, per una parte consistente, e in modo differenziato per il settore industriale e per quello finanziario e assicurativo, agli
obiettivi del primo principio direttivo dell’art. 12
della delega.
1.2. Apertura alle nuove procedure
che regolano la crisi d’impresa
Non solo. In linea di massima, risulta gia` attuato
anche il secondo criterio di delega del medesimo
art. 12, comma 1, che impegna il legislatore ad
estendere il regime fiscale previsto per le procedure concorsuali anche ai nuovi istituti introdotti dalla riforma del diritto fallimentare e dalla
normativa sul sovraindebitamento, nonche´ alle
procedure similari previste in altri ordinamenti.
Si tratta della previsione per cui le perdite sono
comunque deducibili sin dalla data della sentenza
dichiarativa del fallimento o del provvedimento
che ordina la liquidazione coatta amministrativa
o del decreto di ammissione alla procedura di
concordato preventivo, in quanto l’inesigibilita`
(sia pure non definitiva) del credito e` adeguatamente dimostrata con l’accertamento giudiziale
dello stato di insolvenza del debitore. Il testo attuale dell’art. 101, comma 5, del Tuir – come di recente modificato ad opera del richiamato D.L. n.
83/2012 – estende questo regime anche agli accordi omologati di ristrutturazione dei debiti,
uno dei nuovi istituti di composizione concordata
dello stato di crisi d’impresa introdotti nell’ordinamento a seguito della riforma del diritto fallimentare. Sono negozi stragiudiziali di diritto privato, disciplinati dall’art. 182-bis della legge fallimentare, che si formano e si concludono al di fuosecondo cui le rettifiche e riprese di valore nette relative a
crediti verso la clientela concorrono alla base imponibile
Irap in quote costanti nell’esercizio in cui sono contabilizzate e nei quattro successivi. Per le imprese di assicurazione, e`
stata introdotta la nuova lett. b-bis dell’art. 7 secondo cui le
perdite le svalutazioni e le riprese di valore nette su crediti
verso gli assicurati concorrono alla base imponibile Irap
nell’esercizio in cui sono contabilizzate e nei quattro successivi.
1925
Redditi d’impresa – APPROFONDIMENTO
ri dell’ambito giudiziario, ma la cui efficacia dipende, anche ai fini della rilevanza fiscale delle
perdite, dalla omologazione del Tribunale 4. Il
D.L. n. 83/2012 non ha comunque inteso estendere questo medesimo regime anche ai ‘‘piani attestati di risanamento’’ di cui all’art. 67, comma 3,
lett. d) della legge fallimentare, ritenuti, evidentemente, meno affidabili sotto il profilo della tutela
delle ragioni erariali, in quanto si realizzano al di
fuori di qualsiasi intervento da parte dell’autorita`
giudiziaria 5.
Sul tema della equiparazione delle procedure
concorsuali estere a quelle nazionali e` poi intervenuta, in senso favorevole alle esigenze delle
imprese, la richiamata circolare n.26 del 2013,
ponendo come condizione che sia garantito l’’’accertamento della situazione di illiquidita` da parte
di un’autorita` giurisdizionale o amministrativa’’.
L’unica questione ancora aperta e che e` rimessa
totalmente alla iniziativa del legislatore delegato
riguarda l’estensione del regime di deducibilita`
immediata delle perdite anche alle particolari
procedure che sono state introdotte nell’ordinamento civilistico dalla ‘‘normativa sul sovraindebitamento’’ 6, e cioe` dalle disposizioni con cui si
e` inteso comporre le crisi da indebitamento eccessivo di privati non soggetti a fallimento (persone
fisiche, piccoli imprenditori o professionisti) in
difficolta` con le rate di mutui e finanziamenti: crisi che gravano negativamente sui bilanci di banche e finanziarie.
2. Disciplina degli ammortamenti
Il metodo attuale di ammortamento su base individuale dei beni strumentali, disciplinato dall’art.
102 del Tuir e dal D.M. 31 dicembre 1988, prevede
coefficienti distinti per ciascun macrosettore di
attivita` e tipologia di beni strumentali. Nelle intenzioni del legislatore fiscale la individuazione
di aliquote ‘‘massime’’ di deducibilita` di questi
particolari componenti negativi doveva non solo
tutelare le ragioni dell’erario, ma anche riflettere
il piu` fedelmente possibile la misura ‘‘massima’’
4
Per superare lo stato di crisi, il debitore puo` stipulare accordi con uno o piu` creditori che rappresentino una percentuale significativa dei crediti (pari ad almeno il 60% del totale)
per rinegoziare singolarmente i termini, la misura o le modalita` di soddisfacimento del debito; fermo restando il diritto dei creditori che non partecipano all’accordo di essere integralmente soddisfatti negli ordinari termini di scadenza.
5
Sono, infatti, atti unilaterali e stragiudiziali dell’imprenditore, attestati da un professionista, che possono, a loro volta,
in cui il valore dei beni materiali strumentali impiegati nell’esercizio dell’attivita` partecipa alla
formazione del risultato d’esercizio: ed in effetti
i coefficienti ministeriali sono stati, per decenni,
utilizzati anche in sede civilistica.
Il contesto di riferimento e` ora molto diverso. Il
codice civile e i principi contabili individuano in
modo autonomo i criteri che ciascuna impresa
deve osservare per il piano di ammortamento e
vietano, inoltre, che il bilancio sia ‘‘inquinato’’
da rettifiche e valutazioni adottate solo per ottenere benefici fiscali. Ed e`, fondamentalmente,
per queste considerazioni che non e` stata data attuazione alla revisione generale dei coefficienti di
ammortamento, annunciata dall’art. 6 del D.L. n.
78/2009, che nelle intenzioni del legislatore doveva servire a rimodulare – a fronte della ‘‘vetusta`’’’
del D.M. 31 dicembre 1988 – le aliquote dei beni
industrialmente meno strategici a beneficio di
quelli a piu` avanzata tecnologia, assenti nella vecchia classificazione. E’, in effetti, molto dubbia
l’utilita` di ridefinire in via amministrativa autonome tabelle di ammortamento, che, per un verso,
sono tecnicamente complesse da costruire, e,
per un altro, farebbero gravare sulle imprese l’onere di gestire un difficile doppio binario a fronte
del conseguente disallineamento di valori contabili e fiscali.
Allo stato dei fatti, si prospettano ragionevolmente due alternative: accettare la derivazione diretta
dal bilancio delle aliquote di ammortamento, assumendo come valide, anche fiscalmente, le valutazioni contabili; oppure disegnare una disciplina
fiscale completamente autonoma che sia, ad un
tempo, semplice e idonea a incentivare in modo
duraturo nuovi investimenti in beni strumentali;
sul modello ad esempio, del c.d. pooling method.
Questo metodo, da tempo adottato con successo,
con diverse varianti, in alcuni Paesi dell’Unione
(Svezia, Danimarca e Regno Unito) e` stato prescelto dalla Commissione europea nel contesto
del progetto di direttiva per la determinazione di
una base imponibile comune consolidata per le
imprese europee (Common Consolidate Corporate
Tax Base- CCCTB) del 18 marzo 2011 e prevede
prevedere accordi di rinegoziazione del debito o dei termini
di pagamento. Il D.L. n. 83/2012 ha invece previsto che, per
il debitore, le riduzioni del debito derivanti dal perfezionamento sia di accordi di ristrutturazione che di piani attestati
non costituiscano sopravvenienze attive imponibili, ma consumino le perdite fiscali coeve e pregresse.
6
Si tratta di procedure regolate in sede civilistica dalla L. n. 3/
2012 e dall’art. 18 del D.L. n. 179/2012.
20/2014
1926
APPROFONDIMENTO – Redditi d’impresa
l’ammortamento ordinario su base individuale
per i beni immateriali e gli immobili e la costituzione di un unico pool per tutti gli altri beni materiali, diversi dagli immobili.
A tre mesi di distanza dalla pubblicazione di quel
progetto, l’art. 23, comma 47, del D.L. 6 luglio
2011, n. 98, interveniva sulla questione, proponendo una soluzione analoga anche in Italia. La
norma prevedeva, infatti, che, con decreto del
Presidente della Repubblica di natura regolamentare, sarebbe stata ‘‘rivista la disciplina del regime
fiscale degli ammortamenti dei beni materiali e
immateriali sulla base di criteri di sostanziale
semplificazione che individuino attivita` ammortizzabili individualmente in base alla vita utile e
a quote costanti e attivita` ammortizzabili cumulativamente con aliquota unica di ammortamento’’. La Relazione governativa chiariva, al riguardo, che la revisione della tabella dei coefficienti
sarebbe stata effettuata ‘‘secondo lo schema del
pooling, ovvero prevedendo l’individuazione di
macrocategorie di beni cui applicare un unico
coefficiente di ammortamento’’.
Il previsto Regolamento di attuazione, tuttavia,
non e` mai stato varato e la riforma della disciplina degli ammortamenti e` ormai affidata ai decreti
legislativi di attuazione dell’art. 12, comma 1, lett.
c) della delega, il quale ha annunciato, inter alias,
la ‘‘revisione dei regimi di deducibilita` degli ammortamenti, delle spese generali, degli interessi
passivi e di particolari categorie di costi, salvaguardando e specificando il concetto di inerenza
e limitando le differenziazioni tra settori economici’’.
In verita`, il principio direttivo non e` del tutto
chiaro, ma il riferimento alla revisione del ‘‘regime’’ di deducibilita` degli ammortamenti per renderlo il piu` possibile uniforme tra i diversi settori
potrebbe alludere - e` una ipotesi - ad una opzione
preferenziale per sistemi tipo pooling. Resta aperta anche la possibilita` che il legislatore intenda
dare rilievo fiscale alle valutazioni contabili, ma
sembra, ormai, improbabile una semplice revisione dei coefficienti di ammortamento che segnerebbe un mero aggiustamento del ‘‘regime’’ esistente ed appare superata dagli eventi.
In attesa delle scelte che saranno adottate, puo` essere, dunque, utile descrivere le caratteristiche
tecniche del pooling method, che resta una delle
opzioni piu` probabili.
Nel corso delle riunioni preparatorie per la definizione della bozza di direttiva CCCTB, molti Stati
avevano espresso l’avviso che il pooling non potesse essere accettato come metodo di ammorta20/2014
mento perche´ inidoneo a riflettere l’effettiva realta` economica; ma la Commissione ne ha sempre
esaltato i vantaggi per la competitivita` delle imprese, ritenendo che esso sia un metodo semplice
e non oneroso sotto il profilo degli adempimenti
amministrativi, oltre che particolarmente idoneo
a favorire i nuovi investimenti con il c.d. roll over
relief. E, questa medesima propensione e` stata piu`
volte manifestata anche da Business Europe.
Tecnicamente, il pooling method comporta l’aggregazione di tutti i beni ammortizzabili, in
un uno (o piu`) pool cui si applica un unico coefficiente di ammortamento, a valere per qualsiasi
assets e settore di attivita`. Sono ordinariamente
esclusi dal pool e continuano, quindi, ad essere
ammortizzabili su base individuale gli immobili
e gli Intangibles , in virtu` della loro spiccata unicita`.
Il costo di tutti gli altri beni strumentali inseriti
nel pool – acquisiti nel corso del primo esercizio
dell’impresa (o di prima applicazione del metodo)
– costituisce un unico stock sul cui ammontare
complessivo viene applicata un’unica aliquota.
In ciascuno degli esercizi successivi, il coefficiente annuale di ammortamento si applica sullo
stock netto residuo, che nel corso del periodo si
e` incrementato degli ulteriori costi di acquisto
dei beni strumentali e si e` ridotto in misura corrispondente ai prezzi di vendita dei beni ceduti.
Il metodo consente l’ammortamento pieno dei
beni, anche nel primo esercizio di acquisizione,
porta ad ammortamenti decrescenti qualora il
pool continui ad includere sempre e soltanto i beni del precedente esercizio ( c.d. declining balance
method) e favorisce i nuovi investimenti. In effetti, le plusvalenze realizzate dalla cessione di beni
del pool non sono tassate, come tali, bensı` concorrono al reddito, in modo graduale e ripartito nel
tempo, per effetto dei minori ammortamenti che
potranno essere effettuati sullo stock residuo: tanto maggiore e`, infatti, il corrispettivo di cessione
di un vecchio bene (e tanto maggiore e`, dunque,
la plusvalenza - o minore la minusvalenza - ad esso riferibile) tanto piu` si riduce lo stock e con esso
i futuri ammortamenti. Del pari, le minusvalenze
non sono deducibili e daranno luogo in futuro a
maggiori ammortamenti. Qualora i cespiti ceduti
siano sostituiti con altri beni di valore piu` elevato,
lo stock e gli ammortamenti si accrescono, producendo un effetto virtuoso del tutto analogo a quello un tempo affidato alle norme di esenzione delle
plusvalenze reinvestite.
Prescindendo dalla determinazione della vita utile dei singoli beni, il metodo e` di per se´ compati-
1927
Redditi d’impresa – APPROFONDIMENTO
bile con qualsiasi aliquota; ma puo` essere veramente efficace e vantaggioso per gli investimenti
e la competitivita` delle imprese solo in presenza
di aliquote sufficientemente elevate, tra il 20 e il
25%. In ogni caso, per non penalizzare le imprese
che utilizzano soprattutto beni a vita breve, il metodo e` ordinariamente completato da disposizioni
che ammettono la deducibilita` immediata in un
unico esercizio del software e dei beni di costo inferiore a 1.000 o 2.000 euro o dei beni con vita utile inferiore a tre anni 7.
` una soluzione molto lontana dal principio di
E
coerenza con le risultanze di bilancio, ma il doppio binario che ne consegue e` di semplice gestione perche´ riguarda lo stock nel suo insieme e non
richiede calcoli distinti e analitici delle differenze
di valore sui singoli beni. Proprio perche´ e` un metodo solo ‘‘fiscale’’, puo` essere piu` facilmente usato come strumento di politica tributaria, dimostrandosi flessibile rispetto a molteplici varianti:
in ragione della spinta che il legislatore intende
dare al rinnovamento e alla innovazione delle imprese e della disponibilita` delle necessarie risorse,
il pooling puo` essere utilizzato come incentivo
economico anche in via temporanea, semplicemente agendo sul livello dell’aliquota unica.
3. Principio di inerenza
Il restyling dei regimi di deducibilita` di alcuni
componenti negativi, previsto dalla lett. c) dell’art. 12, riguardera` anche ‘‘spese generali ... interessi passivi e ... particolari categorie di costi, salvaguardando e specificando il concetto di inerenza e limitando le differenziazioni tra settori economici’’.
La disposizione non chiarisce i criteri direttivi cui
si dovrebbero ispirare le nuove norme, ne´ individua con precisione le categorie di spese interessate. Il ‘‘filo conduttore’’ e` costituito dal principio di
7
Per maggiore appeal, il regime danese permette opzionalmente che l’impresa possa dedurre immediatamente le minusvalenze; ed in tal caso lo stock si decrementa dell’intero
valore fiscale residuo del bene ceduto, anziche´ del corrispettivo di cessione; prevede che l’ammortamento non sia obbligatorio e che l’impresa possa applicare in determinati esercizi una aliquota intermedia tra l’aliquota zero e quella massima del pool.
8
Cfr. Ministero delle finanze circolare n. 30/9/944 del 7 luglio
1983: in questa logica di grande apertura erano dunque da
considerare deducibili, secondo gli esempi riportati nella
circolare, anche le spese di organizzazione di seminari per
gruppi di venditori dei prodotti o per organizzare in Italia
la conferenza degli amministratori unici di tutte le filiali
inerenza che la delega prevede debba essere ‘‘salvaguardato’’ come principio generale di natura
sistematica e, nel contempo, ‘‘specificato’’ in relazione a tutte quei particolari costi e spese che sono meno strettamente connessi con l’oggetto dell’attivita` della particolare impresa stand alone e
che, proprio per questo, sono diventate facile bersaglio di contestazioni. Inoltre, gli auspicati interventi di razionalizzazione – giusto quanto chiariva la Relazione illustrativa al testo originario del
disegno di legge delega presentato nella XVI legislatura – ‘‘dovrebbero essere orientati al rispetto
del diritto comunitario e degli orientamenti giurisprudenziali in ambito UE, monitorando anche
gli sviluppi della discussione sull’adozione di
una base imponibile comune consolidata
(CCCTB)’’.
Il principio generale di inerenza, che privilegia il
collegamento funzionale dei componenti negativi non con singole operazioni o specifici elementi reddituali, bensı` con l’attivita` d’impresa nel
suo complesso fu introdotto a seguito della riforma fiscale del 1973 e la circolare del Ministero
delle Finanze n. 30 del 1983 ne illustro` con particolare enfasi le differenze rispetto alla precedente
disciplina, ove la spesa era deducibile solo se si
presentava ‘‘nella sua individualita` come condizione non generica, ma specifica, perche´ il reddito si producesse’’. Nell’assetto post riforma, invece, ‘‘il legislatore ... si e` ispirato a criteri di maggiore larghezza, nel senso di considerare deducibili anche costi e oneri in proiezione futura, quali
le spese a fini promozionali e comunque quelle
dalle quali possano derivare ricavi in successione
di tempo’’ 8.
L’attuale art. 109, comma 5, fa propria questa
stessa impostazione, confermata nel tempo dalla
Corte di Cassazione, secondo cui ‘‘l’inerenza e` ...
una relazione tra due concetti – la spesa e l’impresa – che implica un accostamento concettuale ...
per cui il costo assume rilevanza ... non tanto
estere, le spese di pubblicita` per promuovere consumo di pesce da parte di una impresa che produce mangimi o le spese
per la certificazione anche facoltativa dei bilanci. Cfr. anche
risoluzione n. 158/1998. Dalla deducibilita` erano escluse poche fattispecie, chiaramente individuate: le spese che afferiscono in modo specifico ai proventi esenti (per i quali non
opera il principio generale di onnicomprensivita` del reddito
d’impresa), nonche´ - pro quota – le spese indistintamente sostenute per beni o attivita`, esenti e imponibili; mentre agli
interessi passivi e` da sempre dedicata una propria autonoma disciplina. Infine, le erogazioni liberali che, come tali,
non sono attinenti alla attivita`, potevano essere dedotte solo
se, e nei limiti in cui, sono incluse in un elenco tassativo, come riconoscimento della funzione etica dell’impresa stessa.
20/2014
1928
APPROFONDIMENTO – Redditi d’impresa
per la sua esplicita e diretta connessione ad una
precisa componente di reddito bensı` in virtu` della
sua correlazione con una attivita` ‘potenzialmente`
idonea a produrre utili’’ 9.
Tutto cio` non ha tuttavia evitato problemi e criticita` e nel corso degli anni sono state introdotte e
continuamente modificate disposizioni specifiche
per limitare la deducibilita` delle spese meno direttamente connesse con l’attivita` o che piu` potevano
prestarsi ad utilizzi ultronei. Mentre, in altri casi,
si e` affermato un orientamento giurisdizionale
che ha cercato di ridefinire e circoscrivere, in via
interpretativa, il concetto stesso di inerenza, per
escludere la deducibilita` fiscale di alcuni particolari costi, alimentando incertezze e controversie, che
il legislatore delegato e` chiamato a superare.
Un primo settore problematico riguarda, come e`
noto, i costi che per la loro natura si prestano
ad un uso promiscuo a beneficio sia dell’impresa
che della sfera privata dell’imprenditore individuale, dei soci o amministratori (costi relativi a
mezzi di trasporto, telefonini e simili); oppure le
spese di rappresentanza e di pubblicita` (in particolare, prima della attuale disciplina del comma
2 dell’art. 108 del Tuir) sia perche´ non sempre e`
facile distinguere tra le due categorie, sia perche´
alcune di queste spese possono facilmente tradursi in erogazioni liberali per finalita` non attinenti
alla attivita`, o per procurare all’impresa vantaggi
non sempre eticamente ‘‘irreprensibili’’ o conformi alle leggi di settore.
Di particolare complessita`, data l’infungibilita` e la
mobilita` del denaro, la vicenda degli interessi
passivi. Nonostante siano stati successivamente
introdotti specifici regimi di deducibilita`, alla ricerca di criteri di misurazione ragionevoli dell’indebitamento da ritenere afferente all’impresa e
compatibile con una adeguata capitalizzazione,
questi particolari componenti negativi hanno posto problemi sempre piu` complessi con la globalizzazione dell’economia. Il tema non riguarda solo il possibile utilizzo ‘‘privato’’ dei finanziamenti
da parte di imprenditori o soci di societa` a ristretta base societaria, ma investe i programmi di
pianificazione fiscale dei gruppi. Nelle situazioni piu` strutturate, infatti, una societa` puo` essere
9
Cassazione n. 16826 del 2007.
10
Lo stesso problema si puo` porre in verita` anche per altre categorie di spese disciplinate in modo specifico, anche se con
effetti in genere piu` circoscritti.
11
Cfr. Cassazione nn. 12246 del 2010, 1465 del 2009, 22034 del
2006, n. 2114 del 2005, n. 14702 del 2001.
12
Nella sentenza n. 7292 del 2006, la Cassazione ha affermato
20/2014
fatta indebitare in misura eccedente le proprie
esigenze operative per finanziare l’acquisto delle
partecipazioni nel proprio capitale da parte dei
soci; oppure per conseguire meri vantaggi fiscali:
utilizzando strumenti di debito ibridi che, ad un
tempo, consentono all’emittente di dedurre interessi passivi dalla base imponibile nazionale e di
erogare interessi che, nel paese di residenza dei
soci (finanziatori), sono considerati dividendi
non imponibili o proventi comunque sottoposti
ad un basso livello di imposizione.
A tal proposito, si e` continuamente riproposto il
medesimo problema di principio: ossia se i limiti
quantitativi stabiliti dal Tuir alla deducibilita` degli interessi passivi 10 si applichino tout court a
prescindere da qualsiasi ulteriore indagine di inerenza, sollevando il contribuente da qualunque
onere probatorio; oppure operino solo ex post sull’ammontare degli oneri finanziari che siano stati
considerati inerenti.
Al riguardo, non vi e` stato un orientamento pacifico e uniforme della prassi e della giurisprudenza. In alcune sentenze, anche recenti, la Cassazione ha affermato che i vari regimi di deducibilita`
degli interessi passivi sono stati concepiti proprio
come meccanismi legali di predeterminazione
dell’ammontare deducibile, completi ed esaustivi 11; mentre in altre circostanze la stessa Corte
ha sostenuto l’opposta tesi per cui ‘‘l’inerenza e`
un prerequisito essenziale per la deducibilita` degli interessi passivi’’ 12. Del pari, l’Agenzia delle
Entrate, che si era espressa in un primo momento
in senso favorevole all’istanza del contribuente
con la risoluzione n. 178 del 2001, ha successivamente modificato il proprio orientamento 13 finendo per vanificare proprio quelle esigenze di
certezza e semplificazione che hanno indotto il legislatore a prevedere discipline ad hoc, immaginate come rifugi sicuri.
3.1. Sanzioni e ‘‘costi da reato’’
Un capitolo a parte riguarda le sanzioni comminate a titolo afflittivo per contrastare condotte
contrarie a norme categoriche, penali amministrative o civili. Esse sono indeducibili, in punto
che l’inerenza e` un ‘‘prerequisito’’ essenziale per la deducibilita` degli interessi passivi, logicamente antecedente rispetto
alla applicabilita` delle specifiche discipline per essi previste:
il caso atteneva alla deducibilita` degli interessi relativi ad un
finanziamento che una srl aveva acceso quando gestiva direttamente l’azienda, poi concessa in locazione, ma di cui
continuava a dichiarare i canoni attivi.
13
Cfr. la circolare n. 19 del 2009.
1929
Redditi d’impresa – APPROFONDIMENTO
di principio, per non svilirne il potere dissuasivo e
per non ‘premiare` fiscalmente comportamenti ad
alto disvalore sociale. Tuttavia, in relazione ai casi in cui la violazione appariva strettamente correlata ad esigenze di business 14 (come in ipotesi di
violazioni al codice della strada per accelerare i
tempi di consegna delle merci o di violazioni antitrust), si e` a lungo discusso se la tutela del valore
repressivo della sanzione dovesse prevalere anche
a scapito della inerenza.
Al riguardo, la giurisprudenza di legittimita` non
solo ha confermato l’indeducibilita` delle sanzioni
in considerazione della loro natura afflittiva ma per superare qualsiasi motivo di conflitto con uno
dei principi fondanti del reddito d’impresa - ha
proceduto a ‘‘rivisitare’’ il concetto stesso di inerenza, chiarendo che ‘‘l’illecito spezza il nesso di
inerenza, atteso che ‘la spesa non nasce piu` nell’impresa’, ma in un atto o fatto, quello antigiuridico, che per sua natura si pone al di la` della sfera
aziendale. La sanzione per la violazione di un divieto da parte di un’impresa non deriva da un’attivita` connessa al corretto esercizio dell’impresa
stessa e non puo` pertanto qualificarsi come fattore produttivo’’ 15.
` il medesimo concetto di inerenza (come colleE
gamento con una attivita` lecita) che e` stato
poi accolto dalla nuova disciplina dei ‘‘costi da
reato’’ di cui all’art. 14, comma 4-bis, della L. n.
537/1994, dopo le modifiche apportate dall’art. 8
del D.L. n. 16/2012. In tale contesto, l’indeducibilita` riguarda non tanto le sanzioni, bensı` tutti i costi e le spese d’impresa, qualora siano direttamente utilizzati per commettere gli illeciti piu` gravi,
che si connotino, sotto il profilo penale, come delitti non colposi.
Orbene, con la recente risistemazione dell’intera
disciplina si e` anche inteso evitare – come chiarisce la Relazione illustrativa all’art. 8 del D.L. n.
14
Cfr. sulla natura afflittiva e repressiva delle sanzioni, la prassi e la giurisprudenza in tema, ad esempio, di sanzioni antitrust: risoluzione Agenzia delle Entrate n. 89/2001; Cassazione n. 5050 del 2010, n.8135 del 2011 e n. 19702 del 2011.
15
Cfr. Cassazione n. 19702 del 2011.
16
Secondo la Relazione illustrativa, la finalita` della nuova disciplina e` inibire ‘‘in modo inequivoco la deducibilita` dei
componenti negativi di reddito direttamente connessi al
compimento delle fattispecie di reato piu` gravi, evitando
che l’indeducibilita` possa essere letta come una sanzione
impropria, venendo invece la stessa inquadrata come regola
generale nell’ambito della determinazione del reddito imponibile’’.
17
Decidendo della deducibilita` di una clausola penale contrattuale per ritardate consegne ai clienti, la sentenza n. 19702
16/2012 - che l’indeducibilita` di questi costi potesse essere letta come una sanzione ‘‘indiretta’’ di
natura afflittiva (di dubbia costituzionalita`), richiamandosi proprio alla tesi di fonte giurisdizionale che considera immanente all’ordinamento
una sorta di presunzione assoluta di non inerenza
dei componenti negativi strettamente afferenti ad
atti o attivita` illeciti, sotto il profilo penale 16.
Basandosi su questa stessa impostazione, la Cassazione ha invece risolto in senso favorevole al
contribuente la diversa questione delle penalita`
per inadempimento contrattuale che si collocano, in funzione risarcitoria di un mero danno patrimoniale, nell’ambito della normale attivita`
d’impresa 17, ma che in altre sentenze della Corte
erano state confuse con le sanzioni vere e proprie,
comminate ex lege, a scopo punitivo, per violazione di norme 18.
3.2. Principio di inerenza quantitativa
Un altro tema di forte impatto concettuale e` il
principio di inerenza c.d. ‘‘quantitativa’’, che, del
pari, e` di derivazione giurisprudenziale. La questione e` se il giudizio di inerenza dei componenti
negativi di reddito debba altresı` comportare la
previa valutazione della loro rispondenza ai normali canoni di economicita`; o se invece si tratti
di due questioni diverse da collegare in un’ottica
di ragionevolezza e di onere della prova.
Costi antieconomici, palesemente superiori ai valori correnti, possono, infatti, assumere valore segnaletico di una simulazione, totale o parziale,
dei prezzi di acquisto di beni o servizi; oppure
di illegittimo trasferimento delle basi imponibili
` pertanto
dall’una all’altra entita` di un gruppo 19. E
comprensibile che essi possano provocare, rispetto alla generale presunzione di inerenza dei costi
d’impresa, una sorta di rovesciamento dell’onere
della prova sul contribuente, chiamato a fornire
del 2011 ha, in ultimo, chiarito che tale clausola ‘‘non ha natura e finalita` sanzionatoria o punitiva, ma assolve la funzione di rafforzare il vincolo contrattuale e di liquidare preventivamente la prestazione risarcitoria ... Invero, proprio la
circostanza che le somme sono dovute in forza di apposita
clausola penale inserita nel contratto riconduce ... l’erogazione alle pattuite vicende del rapporto, e porta ad escludere, oltretutto, l’interruzione del nesso sinallagmatico risultando la stessa evoluzione delle vicende contrattuali costituire espressione dinamica della attivita` d’impresa’’.
18
Cfr. Cassazione n. 292 del 2006.
19
Il tema dell’antieconomicita` si e` affacciato anche nel caso
delle spese di rappresentanza, di cui all’art. 108, comma 2,
nel cui contesto la non congruita` e` ritenuta indizio di erogazione liberale.
20/2014
1930
APPROFONDIMENTO – Redditi d’impresa
spiegazioni adeguate, come si afferma in alcune
pronunce della Cassazione 20.
In altri casi, tuttavia, la Corte si e` spinta sino ad
affermare, tout court, l’indeducibilita` per difetto
di inerenza dei costi non conformi agli ordinari
criteri di economicita`, avvalorando una nuova
accezione del principio di inerenza, anche ‘quantitativa’, dei costi rispetto alla attivita`, la quale si e`
affiancata a quella tradizionale, desumibile dal
dato testuale dell’art. 109, comma 5, che invece
pone rilievo al collegamento qualitativo dell’onere
con l’attivita`.
Alcune recenti sentenze in tema di mancato riaddebito di interessi corrispettivi o di interessi di
mora 21 a societa` del gruppo sono un sintomo evidente di questa confusione di prospettiva concettuale, che rischia di attribuire all’Amministrazione finanziaria il potere di sindacare l’inerenza di
spese di cui non riesca a comprendere la logica
economica, ma che possono essere ragionevolmente spiegate nel contesto piu` ampio in cui si inseriscono. Soprattutto, in presenza di gruppi di
societa`, il difetto di inerenza e` stato spesso contestato per recuperare a tassazione costi antieconomici (superiori a quelli correnti) pattuiti tra entita`
residenti alle quali non si applica la disciplina del
transfer princing, e ha finito per assumere una
funzione di supplenza rispetto a supposte ‘‘lacune’’ dell’ordinamento, che semmai dovrebbero
eventualmente essere colmate, nei casi limite,
con esplicite disposizioni normative.
In definitiva, si e` verificata nel tempo una sorta di
altalenante evoluzione applicativa del concetto di
inerenza verso accezioni piu` circoscritte rispetto
al dato testuale dell’art. 109, comma 5, del Tuir.
3.3. Conclusioni
Sono questi i temi di cui dovranno occuparsi i decreti legislativi, alla luce del criterio direttivo dettato dall’art. 12 lett. c) della delega che richiede di
salvaguardare il principio di inerenza, specificandone, tuttavia, l’applicazione con disposizioni ad
20
Cfr. Cassazione n. 23635 del 2008; n. 11329 del 2001.
21
Cfr sentenze n. 9498 del 2008, n. 9469 e n. 11154 del 2010.
22
Il successivo paragrafo 2 chiarisce che ‘‘Le spese deducibili
includono tutti i costi delle vendite e tutte le spese ... sostenute dal contribuente per ottenere o assicurarsi redditi,
compresi i costi della ricerca e dello sviluppo e i costi sostenuti per raccogliere capitali o reperire prestiti per l’esercizio
dell’attivita`’’.
23
Il testo e` quello della citata ‘‘Proposta di compromesso’’.
24
Solo per le spese di rappresentanza, l’approccio europeo ap-
20/2014
hoc per tutte le categorie di spese piu` problematiche. E cio`, nella prospettiva di semplificare e razionalizzare l’ordinamento evitando che il principio di inerenza sia messo continuamente in discussione e declinato in modi diversi per risolvere
i singoli casi e chiarendo che, ove operino discipline specifiche, il contribuente e` sollevato da ulteriori oneri probatori.
` questo l’approccio, spiccatamente pragmatico e
E
casistico, adottato in sede europea. Il paragrafo 1
dell’art. 12 della bozza di direttiva sulla CCCTB
(COM (2011)121) - nella versione modificata dalla
‘‘Proposta di compromesso’’ del Consiglio n.
14768/13 del 14 ottobre 2013 - accoglie, senza
enunciarlo, un concetto di inerenza, meno ampio,
prevedendo che le spese siano deducibili ‘‘solo
nella misura in cui sono state sostenute nell’interesse diretto dell’attivita` del contribuente’’ 22.
L’art. 14 contiene poi l’elencazione delle spese
espressamente dichiarate come ‘‘non deducibili’’ 23, le quali comprendono, inter alias, le ‘‘tangenti ‘‘ e ‘‘gli altri pagamenti illegali’’, nonche´ le ‘‘pene
pecuniarie e le sanzioni, le penali per tardivo pagamento, dovute ad una autorita` pubblica per violazione della legge’’: fattispecie il cui trattamento
ai fini dell’ordinamento italiano e` stato chiarito,
come detto, solo all’esito di complesse e non sempre coerenti vicende giurisdizionali 24. Infine,
l’art. 15 attribuisce significativita` ai criteri di economicita` e congruita` delle spese limitatamente alle operazioni ‘‘interne’’ intercorse con soci e parti
correlate, prevedendo che ‘‘I benefici concessi ad
un azionista che sia una persona fisica (o al coniuge o ad un parente in linea ascendente o discendente di tale persona) o un’impresa consociata ... non sono trattati come spese deducibili nella
misura in cui tali benefici non sarebbero concessi
ad un terzo indipendente’’.
Non mancano, in definitiva, gli spunti e le suggestioni anche di profilo comunitario da cui il legislatore delegato potra` trarre utili elementi di riflessione per un sistema fiscale piu` semplice e
equo.
pare meno semplificatorio rispetto a quello del vigente art.
108, comma 2, del Tuir. Sono dichiarate indeducibili le spese di rappresentanza, ad eccezione di una percentuale, commisurata ai ricavi, di spese di rappresentanza ‘‘qualificate’’,
sostenute cioe` ‘‘per creare nuove relazioni d’affari o migliorare quelle esistenti’’; escluse, in ogni caso, le ‘‘spese di qualsiasi tipo concernenti attivita` di pesca o caccia, navigazione
da diporto, soggiorni a scopo ricreativo’’. Per gli interessi
passivi sono previsti limiti alla deducibilita`, secondo un
meccanismo analogo a quello dell’attuale art. 96 del Tuir,
con l’ulteriore previsione che ‘‘dovranno essere messe a punto regole specifiche per i gruppi’’.
1931
APPROFONDIMENTO
Deducibilita` delle perdite su crediti
di modesto ammontare:
punti fermi e aspetti controversi
di Luca Gaiani (*)
L’introduzione della deducibilita` delle perdite su
crediti di modesto ammontare ha certamente
contribuito a semplificare il regime dell’art. 101
del Tuir, ma restano aperte alcune problematiche applicative. Per individuare il momento di deduzione dei ‘‘piccoli crediti’’, occorre in particolare chiarire eventuali vincoli derivanti dall’esistenza di fondi tassati iscritti in bilancio per masse. Se
l’impresa non ritiene di correlare il fondo tassato
al credito di modesto ammontare, mantenendo
quest’ultimo iscritto all’attivo, e` consentito rinviare la deduzione al momento in cui si procedera`
all’utilizzo del fondo.
dalla deduzione ‘‘automatica’’ delle perdite su crediti di modesto ammontare, introdotta dal D.L. n.
83/2012.
L’effettiva applicazione della disposizione da parte delle imprese nei bilanci 2012 e 2013 ha evidenziato talune problematiche interpretative che non
trovano soluzione nei chiarimenti sino ad oggi
forniti dall’Agenzia delle Entrate 2.
2. Crediti di modesto ammontare
In attesa della razionalizzazione dell’intera disciplina delle perdite su crediti, prevista dalla legge
delega fiscale 1, le regole per la deduzione dei
mancati incassi da clienti hanno formato oggetto
negli ultimi due anni di importanti interventi normativi finalizzati alla semplificazione del regime.
La novita` piu` rilevante e` certamente costituita
L’art. 101, comma 5, ultimo periodo, del Tuir, come modificato dall’art. 33 del D.L. n. 83/2012, stabilisce, con effetto dal periodo di imposta in corso
al 12 agosto 2012, che gli elementi certi e precisi
di inesigibilita` del credito sussistono per i crediti
di modesto ammontare per i quali sono decorsi
sei mesi dalla scadenza. Sono esclusi da questa
disposizione i crediti coperti da garanzia assicurativa.
La soglia per considerare il credito ‘‘di modesto
ammontare’’ e` fissata a 2.500 euro; per le imprese di grandi dimensioni ai sensi dell’art. 27,
comma 10, del D.L. n. 185/2008 (si tratta di quelle
che hanno realizzato ricavi oppure un volume di
affari Iva di importo non inferiore a 100 milioni),
il limite e` invece elevato a 5.000 euro.
(*)
Dottore commercialista in Modena.
2
1
Cfr. anche T. Gasparri, Perdite su crediti, ammortamenti e
‘‘altri costi’’ alla prova della legge delega, in questo numero
della Rivista, pag. 1922.
1. Premessa
Ci riferiamo in particolare alla circolare 1º agosto 2013, n.
26/E dell’Agenzia delle Entrate.
20/2014
1932
APPROFONDIMENTO – Redditi d’impresa
L’importo del credito da confrontare con la soglia
che individua la modesta entita` e` dato, come indicato dalla circolare 26/E del 2013, dal valore nominale comprensivo dell’Iva (o, se diverso, dal
prezzo di acquisto del credito) prescindendo da
eventuali svalutazioni contabili e/o fiscali.
Se il credito e` stato riscosso parzialmente, rileva il
valore al netto degli importi incassati. Non vanno
invece considerati gli interessi di mora e gli oneri
accessori addebitati al debitore in caso di inadempimento.
La data alla quale verificare se il credito e` scaduto, o meno, da oltre sei mesi e` quella di chiusura
dell’esercizio essendo invece irrilevante a questi
fini il periodo successivo che va fino alla predisposizione del bilancio.
3. Crediti in valuta
Un primo aspetto problematico, non considerato
dalla circolare n. 26/E del 2013, riguarda i crediti
in valuta estera, che vengono iscritti in contabilita`
in euro al tasso di cambio del giorno di effettuazione dell’operazione (e dunque del giorno in
cui viene rilevato il ricavo o il provento che origina il credito ai sensi dell’art. 109 del Tuir) e successivamente adeguati sulla base del cambio di fine esercizio secondo il disposto dell’art. 2426 c.c.
e del principio contabile Oic 26.
L’art. 110, comma 3, del Tuir stabilisce che gli
oneri e i proventi scaturiti dall’adeguamento
dei crediti e dei debiti in valuta al cambio del
31 dicembre non sono fiscalmente rilevanti. Le
perdite su cambi da valutazione, dunque, non sono deducibili e cosı` gli utili su cambi da valutazione non concorrono a formare il reddito.
Il valore contabile della posta in valuta, a seguito
dell’allineamento di bilancio, non coincide piu`
con il relativo valore fiscale, che resta quello derivante dalla iscrizione originaria, con il conseguente obbligo di compilazione del quadro RV
della dichiarazione dei redditi. Proprio per questo
motivo, molte imprese iscrivono gli adeguamenti
valutari di fine esercizio in appositi conti transitori (che si riversano a conto economico con segno
contrario nell’esercizio seguente) senza modificare l’importo di ogni singola posta.
L’irrilevanza, prevista dalla circolare n. 26/E del
2013, delle svalutazioni di qualunque tipologia
successive alla prima iscrizione del credito induce
3
Alle stesse conclusioni era giunta l’Agenzia delle Entrate (risposte fornite dalla Direzione regionale del Piemonte alla di-
20/2014
a ritenere che, ai fini della determinazione dell’importo facciale del credito da confrontare con
la soglia stabilita dall’art. 101 del Tuir, la conversione al cambio della data del bilancio non vada
considerata, e si debba dunque tenere conto
esclusivamente del valore fiscale originario 3.
Esempio
Si consideri, ad esempio, un credito derivante da
una cessione con prezzo in dollari, che viene contabilizzato a 2.450 euro in base al tasso di conversione vigente alla data di effettuazione e successivamente adeguato al cambio del 31.12 rilevando
un utile su cambi non realizzato di euro 60. Il valore contabile del credito in bilancio e` dunque pari a 2.510 euro, ma l’attivita` e` comunque da considerare sotto soglia, essendo rilevante solo l’importo fiscale originario.
4. Importo dei singoli crediti
La circolare n. 26/E del 2013 ha chiarito che l’importo rilevante e` quello del singolo credito corrispondente ad una distinta obbligazione posta in
essere tra le parti (in pratica il valore di ogni distinta fattura verso il cliente).
Esempio
Una impresa vanta, nei confronti di uno stesso
cliente, due crediti derivanti da due distinte forniture di materiale con relative fatture, rispettivamente, di 2.000 euro (con scadenza pagamento
31 marzo 2014) e 1.500 euro (con scadenza pagamento 31 maggio 2014). Nel bilancio chiuso al
31.12.2014 entrambi i crediti sono ancora esistenti ancorche´ scaduti da oltre sei mesi. L’impresa,
con riferimento all’esercizio 2014 (mod. Unico
2015), potra` dedurre l’intera perdita anche se l’importo complessivo supera il tetto di 2.500 euro.
La rilevanza distinta dei crediti non vale qualora
le singole posizioni si riferiscano ad uno stesso
rapporto contrattuale (come, ad esempio, nel
caso di piu` fatture emesse a fronte di un unico
contratto di somministrazione, ovvero per un appalto fatturato a stati di avanzamento lavori).
In quest’ultima situazione, cioe`, occorre invece
prendere in esame il saldo complessivo esistente
verso quel debitore, e scaduto da oltre sei mesi, al
termine di ciascun esercizio; senza cumulare inretta ‘‘MAP’’ del 6 aprile 2006) con riferimento al calcolo della svalutazione fiscalmente deducibile (art. 106 Tuir).
1933
Redditi d’impresa – APPROFONDIMENTO
vece gli importi che, alla medesima data, non avevano ancora superato il periodo semestrale.
di presunta inesigibilita` fiscale del credito che,
una volta scattata, consente la deduzione automatica della perdita.
Esempio
Si consideri un’impresa di minori dimensioni
che, a fronte di un contratto di somministrazione,
ha in essere, al 31.12.2014, tre fatture non pagate:
una scaduta da meno di sei mesi pari a 1.500 euro, e due scadute da oltre sei mesi, pari rispettivamente a 1.200 e 1.000 euro. In questo caso, la deduzione e` possibile in quanto l’importo totale di
queste due ultime fatture (2.200) non supera la
soglia, non dovendosi infatti considerare l’ammontare ancora entro i sei mesi alla scadenza
(1.500).
Le indicazioni della circolare n. 26/E circa i distinti crediti derivanti da un unico rapporto contrattuale devono a nostro avviso estendersi al caso
di un’unica fornitura di beni o di servizi per la
quale sono previsti contrattualmente pagamenti
per singole rate.
Ogni singola rata costituisce infatti un credito
avente un suo proprio termine di pagamento, il
quale, alla data di riferimento del bilancio, potra`
o meno essere decorso da oltre sei mesi.
Pertanto nella verifica della dimensione del credito (per il confronto con la soglia legale), occorrera`
cumulare l’importo di tutte le rate non pagate
che, al 31.12., erano scadute da oltre sei mesi.
Un altro aspetto applicativo non trattato dalle
istruzioni dell’Agenzia delle Entrate riguarda
eventuali rideterminazioni dei termini di pagamento (in particolare l’allungamento degli stessi)
che vengano espressamente pattuite tra creditore
e debitore successivamente all’insorgenza del credito.
Se la modifica viene contrattualizzata prima della
data di scadenza originaria, il nuovo termine dovrebbe sostituirsi a quello originario anche ai fini
della applicazione della norma. Alle stesse conclusioni, riteniamo, si deve giungere, in caso di allungamento pattuito dopo la scadenza, ma prima
che siano trascorsi i sei mesi indicati dalla legge.
Una proroga concessa quando sono gia` decorsi
sei mesi dalla data originariamente stabilita per
il pagamento non dovrebbe invece assumere rilevanza (restando dunque verificata la condizione
temporale che consente la deducibilita`) dato che
l’inadempimento ultra-semestrale viene individuato dalla norma come una sorta di indicatore
4
Anche attraverso deduzioni extracontabili nel quadro EC effettuate (fino all’esercizio 2007) in vigenza della norma con-
5. Imputazione a conto economico
La deduzione, anche per i crediti di minore importo (come pure per ogni altra perdita su crediti
deducibile), richiede il preventivo utilizzo del fondo stanziato e dedotto ai sensi dell’art. 106 del
Tuir 4, nonche´ l’imputazione della perdita a conto
economico prevista dall’art. 109 del Tuir.
Se dunque una societa` ha crediti inferiori alla soglia scaduti da oltre sei mesi, che non ritiene di
contabilizzare a perdita nel conto economico
(ipotizzando che vi siano ancora possibilita` di recupero o per altri motivi), non potra` dedurre la
perdita nella dichiarazione dei redditi (non e` cioe`
possibile effettuare una variazione in diminuzione).
Potra` peraltro farlo nell’esercizio successivo (o in
un altro ancora seguente), al momento della iscrizione nel conto economico, non essendovi vincoli
o condizioni circa l’imputazione temporale.
L’Agenzia delle Entrate ha poi precisato che il requisito di imputazione a conto economico puo`
considerarsi realizzato anche qualora si sia proceduto ad iscrivere una svalutazione non dedotta
fiscalmente anziche´ un onere a titolo di perdita
(voce B14).
L’iscrizione dell’onere deducibile nelle svalutazioni anziche´ tra le perdite, lo ricordiamo, produce
effetti anche in termini di disciplina delle societa`
di comodo da perdite sistematiche rendendo piu`
agevole realizzare la condizione di MOL positivo
che consente la disapplicazione automatica della
norma.
6. Utilizzo di fondi tassati
La circolare n. 26/E ha precisato che il preventivo
transito a conto economico della perdita (quale
condizione per la deducibilita` ex art. 109 del Tuir)
si considera comunque realizzato anche a seguito
della esistenza in bilancio di svalutazioni di crediti tassate. Piu` specificamente, l’Agenzia ha affermato che, nell’ipotesi di svalutazione integrale
dei crediti di modesta entita`, imputata a conto
economico nell’esercizio o negli esercizi precetenuta nell’art. 109, comma 4, lett. b), Tuir e non ancora affrancate o riassorbite.
20/2014
1934
APPROFONDIMENTO – Redditi d’impresa
denti e non dedotta fiscalmente, la deduzione fiscale della perdita rileva nel periodo d’imposta
in cui risulta decorso il termine di sei mesi previsto dalla norma. La verifica del requisito posto
dall’art. 109 del Tuir e` in tal caso garantita dall’imputazione contabile della svalutazione.
La stessa circolare aggiunge che, in presenza di
fondi svalutazione tassati iscritti ‘‘per masse’’,
all’interno dei quali, cioe`, non risulta possibile individuare la parte riferibile ai crediti di modesto
importo, la perdita su crediti deve essere integralmente imputata all’intero ammontare delle svalutazioni operate.
Sulla base di quest’ultima affermazione ci si e`
chiesti se l’esistenza in bilancio di fondi tassati
non specifici possa far sorgere un vincolo temporale per l’imputazione delle perdite sui ‘‘piccoli
crediti’’, che ne condiziona l’esercizio di possibile
deduzione. In particolare, l’interrogativo che ci si
e` posti e` se le societa` che hanno iscritto fondi tassati generici abbiano l’obbligo di ritenere gia` contabilizzato a perdita, e dunque di dedurre - fino a
concorrenza del fondo (attraverso una variazione
in diminuzione) - l’intero ammontare dei ‘‘piccoli
crediti’’ che, al 31.12., risultavano scaduti da oltre
sei mesi, senza possibilita` di rinviare l’imputazione a conto economico e la relativa deduzione ad
esercizi successivi.
Va sottolineato al riguardo che, nell’interpretazione
dell’Agenzia delle Entrate, la deduzione dei crediti
di modesto importo scaduti da oltre sei mesi risponde a criteri di automaticita` (non essendo previste ulteriori condizioni o requisiti) e discrezionalita`. In presenza della condizione quantitativa, e
decorso il termine semestrale, l’impresa ha cioe` la
liberta` di individuare in modo discrezionale l’esercizio (quello in cui si e` superato il periodo di sei
mesi dalla scadenza o quelli successivi) in cui far
transitare la perdita a conto economico, ottenendone la deduzione nella dichiarazione dei redditi.
E se e` vero che l’imputazione nel conto economico puo` intendersi realizzata anche attraverso una
preventiva svalutazione (tassata), che si trasforma
in onere deducibile una volta che i requisiti (importo e scadenza) dei crediti si sono verificati,
non pare altrettanto sostenibile che ogni fondo
5
Come in genere avviene nella prassi contabile, dove i fondi
tassati sono calcolati sulla base di percentuali di svalutazione su valori complessivi, senza una correlazione specifica.
6
Si pensi ad un fondo tassato iscritto nel 2012 per rappresentare la rischiosita` media di inesigibilita` dei crediti, non ancora movimentato al 31.12.2013 e al 31.12.2014. Nell’esercizio 2014 nascono crediti di piccolo importo che, al 31.12.,
20/2014
tassato generico preesistente sia necessariamente
da correlare prioritariamente ed interamente ai
crediti in esame, comportandone di fatto una
automatica ed obbligatoria imputazione come
perdite del conto economico.
Se infatti il fondo tassato non e` stato accantonato
per svalutare specifici crediti 5, ma per rappresentare nel complesso il rischio di inesigibilita`, l’imputazione del relativo importo ai ‘‘mini-crediti’’ (piuttosto che a crediti differenti) al fine di effettuarne
la deduzione non puo` essere la conseguenza automatica ed obbligata di una presunzione, ma deve
passare attraverso un ulteriore atto dell’impresa,
che puo` consistere (preferibilmente) in un giroconto contabile in bilancio (si vedano le esemplificazioni riportate nel paragrafo successivo) ovvero,
quanto meno, nella scelta di effettuare la variazione
in diminuzione nella dichiarazione dei redditi.
Sorregge questa conclusione il fatto che i fondi
tassati (generici) esistenti in bilancio ben potrebbero essere stati contabilizzati (per masse e dunque senza alcuna correlazione specifica), in tutto
o in parte, in esercizi precedenti a quello in cui i
‘‘piccoli crediti’’ che ora hanno acquisito i requisiti
di deduzione (scadenza ultrasemestrale) sono
sorti o comunque hanno superato il termine di
scadenza 6. Non e` dunque ragionevole ritenere
che, sempre e comunque, il fondo pregresso possa o debba correlarsi a questi crediti imponendone la deduzione immediata.
Diverso e` invece il caso (richiamato dalla circolare n. 26/E del 2013 quale ulteriore esempio di
transito da conto economico mediante preventiva
svalutazione tassata) di svalutazioni tassate
stanziate su beni ammortizzabili, che danno
origine alla successiva deduzione extracontabile
(mediante variazione in diminuzione) di quote
di ammortamento del cespite 7.
Le svalutazioni di beni ammortizzabili sono infatti
necessariamente specifiche; il loro importo e`, sin
dall’origine, univocamente correlato al costo di un
determinato bene ammortizzabile. Il riversamento
fiscale della svalutazione sotto forma di ammortamenti deducibili in dichiarazione e` dunque per cosı`
dire automatico e necessario, non richiedendo nessuna ulteriore imputazione o atto dell’impresa.
risultano scaduti da oltre sei mesi, ma che l’impresa non ritiene ancora di imputare a perdita fiscalmente deducibile.
In assenza di una riclassifica del fondo nel bilancio 2014
con imputazione specifica ai crediti in esame, e` da ritenere
che nessun vincolo sussista a rinviare l’imputazione e la deduzione all’esercizio 2015 (Unico 2016).
7
Si veda la circolare n. 26/E del 26 giugno 2012.
1935
Redditi d’impresa – APPROFONDIMENTO
In conclusione, il passaggio sopra riportato della
circolare n. 26/E del 2013, circa la correlazione
tra fondi tassati e perdite su crediti, dovrebbe
piu` propriamente interpretarsi come una facolta`,
e non un obbligo, del redattore del bilancio di utilizzare i fondi tassati preesistenti (laddove non specificamente correlati a crediti differenti da quelli
in esame) per operare, gia` al momento del decorso
del termine semestrale dalla scadenza, la deduzione della perdita sui crediti di modesto ammontare,
anche senza il loro materiale storno dall’attivo del
bilancio. Se invece l’impresa sceglie di mantenere
il fondo tassato ‘‘per masse’’, senza effettuarne alcuna assegnazione specifica, essa potra` considerare come ancora non avvenuta l’imputazione al conto economico dei ‘‘piccoli crediti’’, rinviandone la
deduzione a esercizi successivi.
7. Contabilita` delle perdite
sui ‘‘piccoli crediti’’
La gestione delle perdite su crediti di modesto importo richiede, anche alla luce delle considerazioni sopra riportate, una particolare attenzione nelle registrazioni contabili.
Fondo svalutazione crediti art. 106
a
Vanno distinti i casi in cui l’impresa per operare
la deduzione stralci il credito dall’attivo del bilancio imputando la perdita nella voce B14 del conto
economico 8 da quello in cui per il transito dal
conto economico si utilizzi una svalutazione imputata ad un fondo.
Attraverso i due esempi che seguono, si illustrano
le problematiche contabili e i riflessi fiscali delle
diverse impostazioni.
7.1. Perdita nella voce B14 del conto
economico
Una societa` ha in essere crediti di importo singolarmente inferiore a 2.500 euro, scaduti da oltre 6
mesi, per complessivi 32.000 euro.
Il fondo svalutazione crediti di cui all’art. 106 del
Tuir e` di 6.000 euro e non vi sono fondi tassati in
bilancio.
Nel bilancio dell’esercizio chiuso al 31.12.2014, la
societa` applica la deduzione automatica di questi
crediti e contabilizza a perdita i crediti di modesto ammontare, previo utilizzo del fondo fiscale.
Le scritture contabili della societa` sono le seguenti:
6.000
Clienti
per utilizzo preventivo per perdite su crediti del fondo stanziato con quote fiscalmente dedotte.
Perdite su crediti (B.14)
a
26.000
Clienti
per imputazione a conto economico dell’intero importo dei crediti di modesto ammontare.
Nella dichiarazione dei redditi Unico 2015 la societa` non effettua alcuna variazione fiscale, dando piena rilevanza agli importi contabilizzati.
Negli esercizi successivi al 2014, qualora il credito
Banca c/c
a
venga in tutto o in parte riscosso, la societa` rilevera` una sopravvenienza attiva da sottoporre ordinariamente a tassazione ai fini Ires.
La scrittura contabile sara`:
Sopravvenienze attive
per rilevazione incasso di credito in precedenza stralciato.
7.2. Svalutazione del credito
Una societa` ha in essere crediti di importo singolarmente inferiore a 2.500 euro, scaduti da oltre 6 mesi, per un ammontare complessivo di 75.000 euro.
Il fondo svalutazione crediti art. 106 del Tuir e` pari a 10.000 euro ed esiste un fondo svalutazione
8
In realta`, il principio contabile Oic 15 prevede l’imputazione
nella voce B14 delle sole perdite su crediti definitive, cioe`
derivanti da atti di cessione, rinuncia o transazione; nella
tassato di 50.000 euro iscritto per masse e senza
alcuna correlazione con singoli crediti.
Nel bilancio al 31.12.2014, la societa` non intende
stornare i crediti dall’attivo, operando altresı` la
deduzione fiscale attraverso il fondo tassato e
iscrivendo una ulteriore svalutazione.
Si opera la riclassificazione contabile del fondo
prassi, peraltro, si utilizza frequentemente questa voce anche per perdite di natura valutativa come quelle per procedure concorsuali o simili.
20/2014
1936
APPROFONDIMENTO – Redditi d’impresa
tassato per imputazione specifica ai crediti ritenuti inesigibili e dedotti fiscalmente.
Fondo svalutazione crediti art. 106
a
Le scritture contabili della societa` sono le seguenti:
Fondo svalutazione crediti di modesto
ammontare art. 101
10.000
per imputazione specifica del fondo svalutazione fiscale a copertura perdite su crediti di modesto importo.
Fondo svalutazione crediti tassato
a
Fondo svalutazione crediti di modesto
ammontare art. 101
50.000
per imputazione specifica del fondo tassato a copertura di perdite su crediti di modesto importo deducibili fiscalmente.
Svalutazione crediti (Voce B.10.d)
a
Fondo svalutazione crediti di modesto
ammontare art. 101
15.000
per svalutazione specifica crediti di modesto importo deducibili fiscalmente
Nel mod. Unico 2015, la societa` effettua una variazione in diminuzione pari a euro 50.000 (deduzione dei crediti di modesto ammontare per la
parte gia` compresa nel fondo tassato ad essi imputato) e deduce interamente l’importo della ulteriore svalutazione di 15.000.
Nella base di calcolo della svalutazione crediti deducibile nel bilancio 2014 (art. 106 Tuir: quota
dello 0,5%), i crediti di 75.000 gia` oggetto di deduzione fiscale non vengono considerati.
Qualora, nel corso degli esercizi successivi, i crediti di modesto ammontare vengano in tutto o in
a
Banca c/c
parte riscossi, la societa` rilevera` l’incasso a chiusura del credito e rilascera` il fondo al conto economico tassando il relativo provento.
In alternativa, si effettuera` una variazione in aumento nella dichiarazione dei redditi e si girocontera` il fondo dedotto art. 101 Tuir al fondo tassato.
La societa` nel 2015 incassa 7.000 euro da crediti
gia` dedotti.
Le scritture contabili da effettuare sono le seguenti:
Clienti
7.000
Sopravvenienze attive
7.000
per incasso crediti da clienti
Fondo svalutazione crediti di modesto ammontare art. 101
a
per rilevazione sopravvenienza attiva da incasso crediti in precedenza imputati a perdita
Oppure, in alternativa:
Fondo svalutazione crediti di modesto ammontare art. 101
a
Fondo svalutazione crediti tassato
7.000
per riclassifica fondo svalutazione crediti a seguito incasso crediti in precedenza imputati a perdita
In questo secondo caso la societa` effettua una variazione in aumento di 7.000 in Unico 2016.
20/2014
1937
APPROFONDIMENTO
Il nuovo redditometro
e l’epopea delle spese medie Istat
di Eugenio della Valle (*)
Le recenti indicazioni fornite in materia di redditometro e spese medie Istat dal Garante per la
protezione dei dati personali sembrano essere il
portato di una crisi di rigetto di natura sistemica.
Siamo, infatti, al cospetto di un provvedimento
amministrativo i cui contenuti stridono con il dato normativo. A questo punto, le alternative sul
tappeto non sembrano essere molte: o si torna
a mettere mano all’art. 38 del D.P.R. n. 600/
1973 escludendo la rilevanza delle spese di non
certo apprezzamento o si ridefiniscono i contenuti del decreto di attuazione cercando di individuare voci di spesa che, ancorche´ stimate, presentino
un adeguato tasso di verosimiglianza.
1. Il tortuoso percorso
di aggiornamento
dell’accertmento redditometrico
Una storia tutta italiana. Cosı` si potrebbero sintetizzare le bizzarre vicende che, negli ultimi mesi,
hanno avuto per protagonista uno degli strumenti
(*)
Professore ordinario di Diritto tributario presso l’Universita`
‘‘Sapienza’’ di Roma.
1
Per una rassegna di alcune delle criticita` insite nel nuovo
redditometro v. L. Perrone, Il nuovo redditometro, in
AA.VV., Il libro dell’anno del diritto, Roma, 2014, ed il recente lavoro monografico di M. Giorgi, Spese personali e accertamento del reddito, Roma, 2013, passim.
2
Nella relazione di accompagnamento all’art. 22 del D.L. n.
piu` temuti a disposizione dell’Amministrazione
finanziaria per ricostruire la capacita` reddituale
delle persone fisiche ossia l’accertamento sintetico basato su indici nominati (il cd. redditometro) 1.
Ed invero, a fronte di un’equazione oggettivamente elementare (ad una determinata capacita` di
spesa non puo` che fare da contraltare, almeno
nella generalita` dei casi, una congrua capacita`
reddituale), si e` dapprima assistito ad una meritoria attivita` di restyling legislativo 2 e quindi, in sede di implementazione del relativo strumentario
applicativo, ad una serie di discutibili stop and
go che, ben lungi dal favorire l’ottimizzazione e
la razionalizzazione del quadro di riferimento,
hanno finito con il determinare una vera e propria paralisi nell’attivita` di accertamento.
I momenti salienti della vicenda sono presto individuati.
Come si ricordera`, quattro anni or sono, il legislatore, nel riscrivere la disciplina dell’accertamento sintetico, aveva riformulato il comma 5 dell’art. 38 del D.P.R. n. 600/1973 prevedendo che
la determinazione sintetica del reddito complessivo puo` anche essere fondata ‘‘sul contenuto induttivo di elementi indicativi di capacita` contributiva
78/2010 (rubricato ‘‘aggiornamento dell’accertamento sintetico’’) si sottolinea che ‘‘l’attuale impostazione non tiene conto dei cambiamenti, connessi ai mutamenti sociali, verificatisi nel tempo in ordine alle tipologie di spesa sostenute dai
contribuenti ed alle preferenze nella propensione ai consumi. Le modifiche proposte intendono pertanto innovare profondamente questo importante strumento di contrasto alla
evasione dell’imposta sul reddito delle persone fisiche’’.
20/2014
1938
APPROFONDIMENTO – Accertamento
individuato mediante l’analisi di campioni significativi di contribuenti, differenziati anche in funzione del nucleo familiare e dell’area territoriale
di appartenenza, con decreto del Ministero dell’economia e delle finanze da pubblicare nella Gazzetta Ufficiale con periodicita` biennale’’ 3.
Alla fine del 2012, con ritardo tale da far dubitare
dell’esistenza dei requisiti che avevano indotto
due anni prima il Governo a ricorrere alla decretazione d’urgenza 4, ha finalmente visto la luce il
decreto di attuazione il quale, per un verso, ha individuato una corposa serie di ‘‘elementi indicativi di capacita` contributiva’’ (circa 100 voci di
spesa divise in 11 macrocategorie) e, per altro verso, ha fissato sia il criterio o, a seconda dei casi, i
criteri da seguirsi per valorizzare le spese sostenute che le relative modalita` di imputazione.
Al varo del decreto attuativo e` seguita una lunga
scia di polemiche in risposta alle quali l’Agenzia
delle entrate - dopo aver precisato, in maniera invero assai discutibile, che gia` in fase di selezione
non saranno prese in considerazione ne´ determinate categorie di contribuenti (il riferimento e`, in
particolare, ai pensionati titolari della sola pensione), ne´, tantomeno, le posizioni con scostamenti inferiori ad una certa soglia (in specie, 12
mila euro) - ha enfatizzato le virtu` salvifiche del
nuovo redditometro ritenendolo strumento capace di ‘‘individuare i finti poveri e, quindi, l’evasione ‘spudorata` ossia quella ritenuta maggiormente deplorevole dal comune sentire’’ 5.
Coeve al varo del decreto di attuazione sono poi
alcune prese di posizione della giurisprudenza
di merito le quali, oltre ad essere caratterizzate
da alcune ‘‘forzature’’ sul piano processuale, ap3
Sulle novita` recate dal D.L. n. 78/2010 in materia di accertamento sintetico v., tra gli altri, E.M. Bagarotto, L’accertamento sintetico dopo le modifiche apportate dal DL n. 78/
2010, in ‘‘Riv. dir. trib.’’, 2010, I, pag. 967 ss.; A.M. Gaffuri,
I nuovi accertamenti di tipo sintetico, in ‘‘Riv. trim. dir. trib.’’,
2013, pag. 577 ss.; F. Terrusi, La prima, dirompente giurisprudenza di merito sul nuovo redditometro: la tutela del contribuente e i problemi di privacy, giurisdizione e retroattivita`,
in ‘‘Riv. dir. trib.’’, 2013, I, pag. 1219 ss., e L. Perrone, Il redditometro verso accertamenti di massa e con obbligo di contraddittorio, in AA.VV., La concentrazione della riscossione
nell’accertamento, a cura di C. Glendi e V. Uckmar, Padova,
2011, pag. 271 ss.
4
Il ritardo registrato nell’elaborazione dell’imprescindibile
decreto attuativo e` giustamente stigmatizzato da G. Marongiu, I profili costituzionali del nuovo accertamento sintetico e
redditometrico, in ‘‘Corr. Trib.’’ n. 5/2013, pag. 352.
5
Cfr. il comunicato stampa del 23 gennaio 2013. L’approccio
‘‘miracolistico’’ e` oggetto del severo giudizio formulato dalla
Corte dei Conti che, licenziando il ‘‘Rapporto 2013 sul coordinamento della finanza pubblica’’, rileva come ‘‘il clamore
20/2014
paiono animate da un marcato furore ideologico 6. Torna in particolare alla mente, anche per
la vasta eco suscitata sugli organi di stampa, l’ordinanza del Tribunale di Napoli, sede di Pozzuoli,
che, scorgendo dietro l’impiego del redditometro
gravissime violazioni dei diritti fondamentali
garantiti dalla Costituzione e dalla CEDU, ha tacciato il D.M. 24 dicembre 2012 di radicale nullita`
ordinando all’Agenzia delle entrate di non intraprendere alcuna ricognizione, archiviazione, o
comunque attivita` di conoscenza dei dati relativi
a quanto previsto dall’art. 38, commi 4 e 5, del
D.P.R. n. 600/1973 e di distruggere, al contempo,
tutti i relativi archivi 7. Nella stessa direzione si e`
posta la successiva sentenza della Commissione
tributaria di Reggio Emilia che, nel condividere
le argomentazioni del Giudice partenopeo, ha
dapprima ritenuto che il D.M. 24 dicembre 2012
potesse essere applicato anche ad annualita` antecedenti il 2009 e, quindi, lo ha letteralmente demolito giudicandolo capace, tra l’altro, di porre
‘‘in evidente pericolo l’integrita` morale della sfera
privata nella sua completezza con potenzialita`
pregiudizievoli irreparabili e imprevedibili nelle
loro evidenti proiezioni in danno della dignita`
umana e della relativa liberta` e vita privata’’ 8.
Da ultimo, a completare un quadro gia` di per se´
piuttosto complesso, e` intervenuto il Garante
per la protezione dei dati personali che, nello
scorso mese di novembre, al ‘‘fine di ridurre al minimo i rischi specifici per i diritti fondamentali e
la liberta`, nonche´ la dignita` degli interessati, e
quindi rendere conforme al Codice il trattamento
dei dati personali effettuato ai fini dell’accertamento sintetico del reddito delle persone fisimediatico suscitato dal nuovo meccanismo di ricostruzione
sintetica dei redditi appare francamente sproporzionato alle
limitate potenzialita` dello strumento e alla presumibile efficacia dello stesso che, continuera`, inevitabilmente, a costituire un criterio complementare per l’accertamento dell’Irpef’’.
6
Sul punto, v. M. Basilavecchia, Problemi veri e falsi del nuovo
redditometro, in ‘‘Corr. Trib.’’ n. 27/2013, pag. 2138.
7
Cfr. Tribunale di Napoli, sez. civ. dist. di Pozzuoli, 21 febbraio 2013, reperibile in ‘‘GT - Riv. giur. trib.’’ n. 4/2013,
pag. 349 ed ivi nota di S. Giordano, Potenziali e irreparabili
danni alla liberta` personale con il ‘‘nuovo redditometro’’. A
mero titolo di cronaca, si segnala che il Tribunale di Napoli
ha successivamente revocato l’ordinanza de qua rilevando
l’esistenza di un palese difetto di giurisdizione (cfr. Tribunale di Napoli, Sez. civ. I, 11 luglio 2013).
8
Cosı`, testualmente, Comm. trib. prov. di Reggio Emilia, Sez.
II, 18 aprile 2013, n. 74, reperibile in ‘‘Corr. Trib.’’ n. 27/2013,
pag. 2140, con nota di M. Basilavecchia, Problemi veri e falsi
del nuovo redditometro.
1939
Accertamento – APPROFONDIMENTO
che’’ 9, ha prescritto alcune misure (e accorgimenti) da adottare a protezione dei dati personali dei
contribuenti soggetti a controllo.
Di primo acchito, verrebbe da pensare nihil sub
sole novi: ed invero, trattandosi di decreto suscettibile di incidere sulle materie regolate dal Codice
della privacy, occorreva acquisire il (preventivo)
parere del Garante per la protezione dei dati personali. Ma ad una piu` attenta lettura del provvedimento ci si avvede subito del fatto che il Garante
irrompe sulla scena con un intervento che, mutuando un’espressione calcistica, e` a vera e propria gamba tesa. Colpiscono, in particolare, le
considerazioni aventi ad oggetto l’attendibilita`
statistica dei dati elaborati dall’Istat, la loro idoneita` a divenire strumento di selezione dei contribuenti da sottoporre ad accertamento e la loro capacita` di supportare la ricostruzione del reddito:
arriva, infatti, il Garante ad affermare che tale ricostruzione puo` ritenersi conforme al codice della privacy solo se basata su ‘‘dati relativi alle spese
certe, alle spese per elementi certi e al fitto figurativo, che, nonostante sia un dato presunto, si presta ad essere verificato anche in sede di contraddittorio con il contribuente’’ 10.
Per meglio comprendere la portata delle considerazioni del Garante in ordine al ruolo svolto dalle
spese Istat nella ricostruzione sintetica, occorre
fare un passo indietro. A conclusione di un’analisi
che, stante quanto stabilito dal gia` citato comma
5 dell’art. 38 del D.P.R. n. 600/1973, avrebbe dovuto tener conto di campioni significativi di contribuenti differenziati anche in funzione del nucleo
familiare e dell’area territoriale di appartenenza,
il Ministero dell’economia e delle finanze ha elaborato il decreto attuativo individuando una lunga lista di ‘‘elementi indicativi di capacita` contributiva’’ (circa 100 voci di spesa divise in 11 macrocategorie) e fissando, al contempo, sia il criterio o, a seconda dei casi, i criteri da seguirsi per
valorizzare le spese sostenute che le relative modalita` di imputazione 11.
Fondamentale e`, per ovvie ragioni, l’individuazione delle spese rilevanti e, in questa prospettiva, il
comma 2 dell’art. 1 del D.M. 24 dicembre 2012,
dopo aver chiarito che per ‘‘elemento indicativo
di capacita` contributiva si intende la spesa sostenuta dal contribuente per l’acquisizione di servizi
e di beni e per il relativo mantenimento’’, rimanda
al sostanzioso elenco di voci di spesa per consumi e per investimenti recato dalla Tabella A.
Avuto puntuale riguardo all’individuazione del
contenuto induttivo dei predetti elementi di capacita` contributiva, il Ministero sottolinea che tale
contenuto ‘‘corrisponde alla spesa media risultante dall’indagine annuale sui consumi delle
famiglie compresa nel Programma statistico nazionale, ai sensi dell’art. 13 del decreto legislativo
6 settembre 1989, n. 322, effettuata su campioni
significativi di contribuenti appartenenti ad undici tipologie di nuclei familiari distribuite nelle
cinque aree territoriali in cui e` suddiviso il territorio nazionale’’ (cfr., in particolare il comma 3 dell’art. 1 del decreto attuativo).
Il riferimento alle spese medie Istat non deve, tuttavia, considerarsi esaustivo. Dalla lettura del decreto si coglie, infatti, un chiaro e costante riferimento alla necessita` di valorizzare, ove possibile,
le spese considerando i dati disponibili o presenti in Anagrafe tributaria.
Il decreto contempla, inoltre, la possibilita` di determinare il contenuto induttivo degli elementi
di capacita` contributiva ricorrendo a non meglio
9
Cfr. il punto G.3. del provvedimento del 21 novembre 2013
titolato ‘‘Redditometro: le garanzie dell’Autorita` a seguito
della verifica preliminare sul trattamento dei dati personali
effettuato dall’Agenzia delle entrate’’; per un commento al
provvedimento del Garante, v. M. Basilavecchia, ‘‘Privacy’’
e accertamento sintetico: primi segnali di riequilibrio, in
‘‘Corr. Trib.’’ n. 1/2014, pag. 9 ss.; E. De Mita, Redditometro,
la parola torni a governo e parlamento, in ‘‘Il Sole 24 Ore’’ del
23 novembre 2013, pag. 21; A. Giovannini, Note controcorrente su accertamento sintetico, indici Istat e diritto alla riservatezza, in ‘‘il fisco’’ n. 9/2014, pag. 1319 ss., e A. Marcheselli,
Redditometro e diritti fondamentali: da Garante e giurisprudenza estera un ‘‘assist’’ ai giudici tributari italiani, in ‘‘Corr.
Trib.’’ n. 1/2014, pag. 14 ss.
11
10
Cfr. ancora il punto G.3. del provvedimento di cui alla nota
che precede.
2. Il rilievo delle spese Istat
nella ricostruzione sintetica
Tra le righe del decreto attuativo si possono, inoltre, cogliere
alcune parziali ed ultronee precisazioni in ordine alle facolta` probatorie riconosciute al contribuente per superare le risultanze dell’accertamento sintetico. Nulla invece si dice, e
non potrebbe essere diversamente attesa la chiara lettera
del varie volte citato comma 5 dell’art. 38, in merito alla
c.d. ‘‘soglia di indifferenza’’ ed alle garanzie procedimentali
riconosciute al contribuente. Resta, percio`, fermo che la ricostruzione sintetica potra` avere luogo solo e soltanto se il
reddito complessivo accertabile eccede di almeno un quinto
quello dichiarato (cfr. il comma 6 dell’art. 38); cosı` come resta ineludibile l’obbligo per l’Ufficio che procede alla determinazione sintetica di invitare il contribuente, prima, al fine
di fornire dati e notizie rilevanti per l’accertamento e di avviare, poi, il tentativo di accertamento con adesione ex art. 5
del D.Lgs. n. 218/1997 (cfr. il comma 7 dell’art. 38).
20/2014
1940
APPROFONDIMENTO – Accertamento
specificate ‘‘risultanze di analisi e studi socio
economici, anche di settore’’ (cfr. il comma 4 dell’art. 1 e la Tabella A).
Decreto alla mano, onde ricostruire sinteticamente il reddito, possono essere prese in considerazione: spese di ammontare certo; spese di ammontare quantificato applicando ad elementi presenti in Anagrafe tributaria valori medi Istat o
analisi degli operatori appartenenti ai settori economici di riferimento; spese per beni e servizi di
uso corrente di ammontare pari alla spesa media
Istat e, infine, la quota di spesa, sostenuta nell’anno, per l’acquisto di beni e servizi durevoli.
Cio` precisato in linea generale e volendo brevemente dire dei 56 capi di spesa che compongono
l’elenco di voci di spesa per consumi e per investimenti recato dalla Tabella A, balza agli occhi la
presenza, in 26 casi, di un riferimento congiunto
ai valori di spesa effettivi ed ai valori risultanti
dall’indagine annuale sui consumi delle famiglie
condotta dall’Istat ovvero dalle ‘‘analisi e studi socio economici, anche di settore’’; nei restanti casi
il riferimento e`, invece, alle sole spese certe risultanti da dati disponibili o presenti in Anagrafe tributaria.
Non trascurabile e`, dunque, il numero dei casi in
cui puo` esservi coesistenza tra spese certe e
spese stimate ed e` proprio in tale contesto che
entra in gioco l’opinabile criterio fissato dal decreto attuativo a mente del quale, ai fini della determinazione sintetica del reddito complessivo, si
considera ‘‘l’ammontare piu` elevato tra quello disponibile o risultante dalle informazioni presenti
in Anagrafe tributaria e quello determinato considerando la spesa media rilevata dai risultati dell’indagine sui consumi dell’Istituto nazionale di
statistica o da analisi e studi socio economici, anche di settore’’ (cfr., in particolare, il comma 5 dell’art. 1).
Trattasi, all’evidenza, di criterio arbitrario giacche´ sfugge del tutto la ragione per cui, in ipotesi
di coesistenza tra spese certe e spese stimate, anziche´ propendere per il dato ancorato alla realta`
fattuale, si dovrebbe preferire quello frutto di rilevazione statistica.
Ma non e` certamente questo il punto nevralgico.
Sin da subito, infatti, e` apparso chiaro, anche per
12
Cosı`, testualmente, la circolare 31 luglio 2013, n. 24/E.
13
La situazione venutasi a creare e` paradossale: ed invero, come osserva chiaramente L. Perrone, Il nuovo redditometro,
cit., ‘‘o si ritiene che le spese Istat siano tanto «solide» da poter esser prese in considerazione sia in sede di selezione che
in sede di contraddittorio, o, di converso, le si ritiene inadat-
20/2014
il vasto clamore suscitato nell’opinione pubblica,
che la vera partita si sarebbe giocata sul terreno
della rilevanza da attribuirsi alle spese medie
Istat.
E, su questo fronte, i primi passi indietro rispetto
alla via indicata dalla legge e dal decreto attuativo
sono stati proprio quelli dell’Agenzia delle Entrate
che, predisponendo la prima circolare di commento alla disciplina del nuovo redditometro,
ha preso posizione rilevando che, in sede di selezione dei contribuente da verificare, non avrebbero assunto ‘‘valenza le spese per beni di uso corrente che fanno riferimento alla spesa media risultante dall’indagine annuale Istat sui consumi
delle famiglie’’ 12; in buona sostanza, nella fase
di selezione, si sarebbe tenuto conto esclusivamente delle spese certe. Le spese medie rilevate
dall’Istat avrebbero assunto invece rilievo, stando
sempre alle prime indicazioni fornite dall’Agenzia
delle Entrate, in occasione del contraddittorio e
qui avrebbero spiegato pieno effetto ai fini della
ricostruzione sintetica.
Ebbene, gia` questo primo arretramento, forse figlio del clima elettoralistico che si respirava in
quei mesi, da` la cifra della confusione che ha accompagnato l’intero percorso di implementazione delle novita` recate dal D.L. n. 78/2010: ed invero, la scelta di relegare l’impiego delle spese medie Istat alla sola fase della ricostruzione del reddito, oltre ad essere estranea al dato normativo, finisce in sostanza con il privarle di forza persuasiva non comprendendosi la ragione per cui il momento della selezione e quello della ricostruzione
del reddito non debbano essere considerate due
facce di una stessa medaglia 13.
E cio` senza considerare che, seguendo la tesi dell’Agenzia delle Entrate, si finisce con il riconoscere all’impiego delle tanto vituperate spese Istat
una valenza che, nella sostanza, e` parasanzionatoria 14.
Ma il vero e proprio colpo di grazia all’impiego
delle spese medie Istat risulta essere stato inferto
dal Garante per la protezione dei dati personali
che, varando il provvedimento dello scorso mese
di novembre, ha ritenuto non giustificato il ricorso a valori statistici in presenza di un’ampia dite allo scopo ma, in questo caso, cio` che vale per la selezione
deve valere anche per la ricostruzione del reddito. Tertium
non datur’’.
14
Ancora in questi termini L. Perrone, Il nuovo redditometro,
cit.
1941
Accertamento – APPROFONDIMENTO
sponibilita`, per l’Agenzia, di dati effettivi di spesa
presenti in Anagrafe tributaria.
Varie ed articolare sono le critiche mosse dal Garante: si va dall’eccessiva ampiezza delle aree geografiche di riferimento alla scarsa considerazione
della diversa propensione al consumo; si dubita
poi della legittimita` dell’utilizzo di dati che sono
raccolti ed elaborati dall’Istat per finalita` assai diverse da quelle cui sono ‘‘piegati’’ ai fini fiscali.
Il disco rosso opposto dal Garante per la protezione dei dati personali ha indotto quindi l’Agenzia
delle Entrate a rimeditare (o meglio, a ridimensionare) il ruolo delle spese medie Istat riconoscendo che ‘‘a) sussistono criticita` in relazione all’utilizzabilita` delle spese medie Istat per ricostruire voci di spesa non ancorate all’esistenza
di beni o servizi; b) le medie Istat sono utilizzabili
per il calcolo delle spese solo se connesse ad elementi certi, quali il possesso e le caratteristiche
di immobili e di mobili registrati’’; onde, rileva
conclusivamente l’Agenzia, ‘‘le spese per beni e
servizi di uso corrente, il cui contenuto induttivo
e` determinato con esclusivo riferimento alla media Istat della tipologia di nucleo familiare ed
area geografica di appartenenza [....] non concorreranno ne´ alla selezione dei contribuenti, come
gia` precisato nella circolare n. 24/E, ne´ formeranno oggetto del contraddittorio’’ 15.
3. Epilogo di una storia
nata male e finita peggio
Celebrato, almeno sul piano della prassi amministrativa, il de profundis delle spese medie Istat, occorre fare i conti con le macerie rimaste sul campo 16.
Per prima cosa, si deve prendere atto del fatto che
la situazione venutasi a creare e` frutto di una
maldestra attivita` di coordinamento tra i diversi soggetti coinvolti nella vicenda de qua: trattandosi, infatti, di un decreto che e` suscettibile, ictu
15
Cosı` la circolare 11 marzo 2014, n. 6/E.
16
Non sfugge che, nella prospettiva dell’Agenzia (cfr., ancora,
la circolare n. 6/E del 2014), le spese medie Istat continuano
a conservare rilievo con riguardo alle spese connesse ad elementi certi, quali il possesso e le caratteristiche di beni immobili e di beni mobili registrati: trattasi, tuttavia, di un ridimensionamento rispetto agli iniziali intendimenti che la
dice lunga sulla tenuta complessiva dell’impianto uscito dalla riforma del 2010.
17
Nelle battute preliminari del provvedimento dello scorso
mese di novembre il Garante non manca di osservare che
oculi, di incidere sulle materie disciplinate dal Codice di protezione in materia di dati personali, occorreva, giusto quanto previsto dall’art. 154, comma 4, del D.Lgs. 30 giugno 2003, n. 196, consultare preventivamente l’Autorita` garante.
Nel caso di specie, invece, come rileva lo stesso
Garante in modo piuttosto stizzito 17, non c’e` stata alcuna forma di consultazione anticipata.
Ebbene, ferma ogni considerazione sulla legittimita` dell’operato dei soggetti deputati al varo
del decreto attuativo 18, appare del tutto evidente
che un approccio piu` attento agli equilibri tra le
diverse istituzioni avrebbe consentito una piu` meditata definizione dei contenuti del decreto evitando, al contempo, l’imbarazzante e prolungato
disorientamento della prassi amministrativa (dal
varo del decreto attuativo alla pubblicazione della
circolare n. 6/E del marzo 2014 sono trascorsi
quasi quattordici mesi).
Detto della approssimazione con cui e` stata gestita l’intera vicenda, occorre occuparsi dei contenuti del provvedimento dell’Autorita` garante e, su
questo fronte, non mancano davvero spunti di riflessione.
Il Garante, infatti, non si limita a delle mere ‘‘prescrizioni’’ aventi ad oggetto le modalita` di trattamento dei dati personali dei contribuenti soggetti a controllo; formula, come in parte s’e` gia`
detto, dei giudizi di valore talmente forti da mettere in discussione tutto l’impianto normativo
(legge e decreto di attuazione) su cui oggi si basa
l’accertamento sintetico di tipo redditometrico.
Trattasi, occorre avvertire, di rilievi ad ampio
spettro che, in taluni casi, rispondono anche a logiche di elementare buon senso. In materia di
spese certe, ad esempio, il Garante per la protezione dei dati personali, avendo riscontrato in fase di verifica preliminare una serie di inesattezze
nell’acquisizione dei relativi dati (inesattezze
dovute, a giudizio dell’Agenzia delle Entrate, ad
errori commessi dai soggetti tenuti a comunicare
i dati che confluiscono in Anagrafe tributaria), avverte la necessita` di precisare che, nella selezione
la sua consultazione in fase preliminare ‘‘avrebbe potuto notevolmente anticipare e contribuire a risolvere talune problematiche che, invece, sono state oggetto della presente verifica preliminare sul trattamento dei dati’’.
18
Secondo E. De Mita, Redditometro, la parola torni a governo
e parlamento, cit., pag. 21, ‘‘il parere del Garante e` inserito
nel procedimento legislativo in termini necessari. Sicche´ il
comportamento dell’amministrazione finanziaria (e del Governo) e` censurabile non solo nel merito ma nella legittimita`’’.
20/2014
1942
APPROFONDIMENTO – Accertamento
dei contribuenti da sottoporre ad accertamento
sintetico, ‘‘deve essere prestata particolare attenzione alla valutazione dell’esattezza dei dati presenti in Anagrafe tributaria, con particolare riferimento alle informazioni comunicate da soggetti
terzi (ad esempio, operatori economici), provvedendo a correggere prontamente ogni anomalia
riscontrata in tutte le banche dati dell’Agenzia’’ 19.
Ora, ben venga la sollecitazione del Garante in
merito alla ‘‘pulizia’’ dei dati da utilizzarsi in sede
di accertamento, ma ci si deve chiedere se, a parte
le sacrosante esigenze di tutela dei dati riservati,
sia davvero competenza del Garante sensibilizzare l’Agenzia delle Entrate all’utilizzo di dati corretti.
Ma non e` certamente questo il profilo che desta
maggiore interesse.
In tema di spese Istat, il Garante, esaminate tutta
una serie di ‘‘criticita`’’ e valutati i correttivi prospettati dall’Agenzia delle Entrate nel corso della
verifica preliminare, ritiene che la ricostruzione
sintetica del reddito possa considerarsi conforme
al codice della privacy solo se ci si avvale di ‘‘dati
relativi alle spese certe, alle spese per elementi
certi e al fitto figurativo che, nonostante sia un
dato presunto, si presta ad essere facilmente verificato anche in sede di contraddittorio con il contribuente’’ 20.
Evidente e`, da questo punto di vista, la linea di
frattura tra il dato normativo ed il provvedimento
dell’Autorita` garante. Si e`, infatti, gia` detto che
tanto la legge quanto il relativo regolamento di attuazione – mirando a far emergere una serie di
spese che, ancorche´ di assai probabile sostenimento, non sono di fatto immediatamente intercettabili dall’Amministrazione finanziaria – attri-
19
Cosı`, testualmente, il punto E.1.3. del gia` citato provvedimento del 21 novembre 2013.
20
Ancora, in questi termini, il provvedimento del 21 novembre
2013 (punto G.3., in particolare).
21
Per una chiara conferma in questo senso, basta leggere la relazione di accompagnamento al D.L. n. 78/2010, ove, in particolare, si precisa che alla presunzione secondo cui la spesa
sostenuta nel periodo d’imposta viene finanziata con redditi
posseduti nel medesimo periodo ‘‘si affianca, con pari efficacia, quella basata sul contenuto induttivo di elementi indicativi di capacita` contributiva individuato mediante l’analisi di
campioni significativi di contribuenti, differenziati anche in
funzione del nucleo familiare e dell’area territoriale di appartenenza’’.
22
Assai critico sul punto e` il giudizio di A. Giovannini, Note
20/2014
buiscono rilievo al ‘‘contenuto induttivo di elementi indicativi di capacita` contributiva individuati mediante l’analisi di campioni significativi
di contribuenti’’ 21.
Ebbene, ferma restando la necessita` di intendersi
sul contenuto induttivo degli elementi indicativi
di capacita` contributiva e sulle modalita` di reperimento ed elaborazione dei dati che devono essere
posti a base dell’accertamento sintetico di tipo
redditometrico, non sembra esistano spazi per
mettere in discussione quella che, legge alla mano, appare essere una vera e propria opzione di sistema.
Di qui una specie di tilt sistemico che, tra l’altro,
ha indotto l’Agenzia delle Entrate ad una sorta
di abdicazione rispetto ai poteri accertativi che
le sono conferiti dalla legge 22.
A questo punto, le alternative sul tappeto non
sembrano essere molte.
O si torna a mettere mano all’art. 38 del D.P.R. n.
600/1973 escludendo in radice la rilevanza delle
spese di non certo apprezzamento oppure si ridefiniscono i contenuti del decreto di attuazione
cercando di individuare voci di spesa che, ancorche´ stimate, presentino un adeguato tasso
di verosimiglianza, tasso che, in ogni caso, deve
poi essere verificato in sede di contraddittorio
con il contribuente.
In questo secondo caso occorre tuttavia uno sforzo notevole giacche´, messi da parte i dati rilevati
dall’Istat, appare assai improbabile riuscire a reperire fonti statistiche che per qualita` e quantita`
riescano nell’impresa di conciliare le esigenze di
tutela della riservatezza, da una parte, e quelle
di adeguata individuazione del lifestage del contribuente, dall’altra.
controcorrente su accertamento sintetico, indici Istat e diritto
alla riservatezza, cit., pag. 1322, il quale non manca di osservare che ‘‘in questa vicenda si e` realizzato un singolare cortocircuito, per il quale il soggetto deputato a fare applicazione di una normativa primaria in materia d’accertamento,
ovvero l’Agenzia, ha ritenuto o si e` trovata costretta ad
auto-determinarsi ed auto-limitarsi, dando corso alla disapplicazione, proprio, di quella normativa, sulla sola scorta di
un provvedimento amministrativo. Provvedimento che, per
un verso, ha asserito come esistente un conflitto tra interessi
e dunque un conflitto tra norme di rango primario o tra norme primarie e norme regolamentari; per un altro verso, ha
preteso di risolvere questo conflitto con ambizioni di vincolativita` su questioni, invece, riservate dalla Costituzione alla
cognizione di altri soggetti’’.
1943
APPROFONDIMENTO
La diabolica prova contraria
alla presunta distribuzione di utili
nelle societa` a ristretta base sociale
di Luigi Lovecchio (*)
L’avallo giurisprudenziale della prassi in base alla
quale gli Uffici presumono la distribuzione di utili
ai soci, quando sono accertati maggiori redditi in
capo alle societa` di capitali a ristretta base sociale, costituisce l’esito di numerose forzature interpretative. Partendo dal maggior reddito determinato nei confronti della societa` (fatto noto), se ne
assume l’integrale distribuzione tra i soci, secondo le medesime percentuali di riparto delle quote
sociali, nel corso dello stesso anno ‘‘di competenza’’ (pluralita` di fatti ignoti). L’obiezione ovvia e`
che un simile ragionamento rende molto difficile,
se non talvolta impossibile, la prova contraria del
contribuente. Pare dunque auspicabile una evoluzione nell’orientamento della Corte di Cassazione.
1
Senza alcuna pretesa di esaustivita`, si vedano Cass., Sez. I
civ., sentenze n. 5729 del 1995 e n. 6225 del 1995, e Cass.,
Sez. trib., sentenze n. 2606 del 2000, n. 4695 del 2002, n.
7174 del 2002, n. 10951 del 2002, n. 11239 del 2002, n.
6780 del 2003, n. 7564 del 2003, n. 16885 del 2003, n.
19803 del 2003, n. 2861 del 2007, n. 6751 del 2007, n.
21415 del 2007, n. 2453 del 2007, n. 448 del 2008, n.
24938 del 2011. In dottrina, tra i numerosi autori che si sono
occupati dell’argomento, si vedano F. Paparella, La presunzione di distribuzione degli utili nelle societa` di capitali e ristretta base sociale, in ‘‘Dir. prat. trib.’’, 1995, II, pagg. 435
e segg.; P. Boria, Il principio di trasparenza nella imposizione
delle societa` di persone, Milano, 1996, pagg. 369-372; F. Napolitano, Presunzione di distribuzione di utili a soci di societa`
di capitali, in ‘‘Le Societa`’’ n. 7/1996, pagg. 761 e segg.; A. Voglino, Appunti critici sulla presunzione di distribuzione ai soci dei maggiori utili accertati a carico delle societa` a ristretta
base familiare o azionaria, in ‘‘Boll. Trib.’’ n. 6/1996, pagg.
1. Premessa
Le problematiche fiscali degli accertamenti relativi alle societa` di capitali a ristretta base sociale
continuano a sollevare delicate questioni interpretative, nonostante il tema sia dibattuto da decenni ed abbia trovato, almeno apparentemente,
una consolidata soluzione nella giurisprudenza
di vertice 1. Il motivo del perdurante interesse degli operatori risiede nella necessita`, ancora fortemente avvertita, di trovare un punto di equilibrio
tra le ragioni del Fisco, sinora nettamente prevalenti, e la tutela del contribuente, talvolta irragionevolmente pretermessa. Di cio`, e` testimone la
giurisprudenza delle Commissioni di merito,
476 e segg.; Id., Ancora in tema di societa` di capitali a ristretta
base azionaria o familiare e presunzione di distribuzione ai
soci dei maggiori utili accertati a carico della societa`, ivi n.
8/1997, pagg. 631 e segg.; T. Marino, Le societa` di capitali
a base azionaria ristretta o familiare e la presunzione di distribuzione ai soci dei maggiori ricavi accertati, ivi n. 7/1998,
pagg. 623 e segg.; A. Benazzi, Sulla attribuzione ai soci di societa` di capitali a ristretta base azionaria del maggior reddito
accertato nei confronti della societa`, nota a sentenza, in
‘‘GT - Riv. giur. trib.’’ n. 4/2001, pagg. 325 e segg.; Id., Giudici
di merito in contrasto con la Cassazione sulla presunzione di
distribuzione ai soci del maggior reddito di societa` a ristretta
base azionaria, nota a sentenza, ivi n. 10/2007, pagg. 893 e
segg.; Id., La ristrettezza della base sociale legittima l’accertamento basato su criteri presuntivi, nota a sentenza, in ‘‘Corr.
Trib.’’ n. 3/2008, pagg. 212 e segg.; D. Stevanato, La presunzione di distribuzione ai soci del maggior reddito societario,
nota a sentenza, in ‘‘Corr. Trib.’’ n. 13/2004, pagg. 1011 e
20/2014
1944
APPROFONDIMENTO – Accertamento
spesso consapevolmente, e comprensibilmente, in
disaccordo con i giudici di legittimita` 2.
2. Le ‘‘forzature’’ della Cassazione
Il problema, come e` noto, riguarda l’accertamento eseguito ai fini delle imposte sui redditi in capo ad una societa` di capitali avente una limitata
compagine sociale. In tale ipotesi, la prassi degli
Uffici, ampiamente legittimata dalla Suprema
Corte, e` quella di ribaltare sui soci il maggior
reddito d’impresa accertato in testa alla societa`, pur in assenza di qualsiasi prova in ordine
alla effettiva distribuzione dell’utile stesso. Lo
scopo finale di tale procedura e` ovviamente quello di superare lo ‘‘schermo’’ societario, rappresentato dalla autonoma personalita` giuridica
della stessa, soprattutto in presenza di societa`
scarsamente capitalizzate e dunque difficilmente solvibili agli occhi del Fisco. L’avallo giurisprudenziale di questa prassi accertativa costituisce l’esito di numerose forzature interpretative, che restano tali anche a cospetto dei massicci
precedenti in termini. La prima forzatura risiede
proprio nel procedimento logico posto a fondamento del particolare meccanismo di accertamento. Ed invero, partendo dal maggior reddito
determinato nei confronti della societa` (fatto noto), se ne assume: a) l’integrale distribuzione tra i
soci, b) secondo le medesime percentuali di riparto delle quote sociali, c) nel corso dello stesso
anno ‘‘di competenza’’ (pluralita` di fatti ignoti).
L’obiezione ovvia e` che un simile ragionamento
segg.; M. Beghin, L’occulta distribuzione dei dividendi nell’ambito delle societa` di capitali a ristretta base tra automatismi argomentativi e prova per presunzioni, nota a sentenza,
in ‘‘GT - Riv. giur. trib.’’ n. 5/2004, pagg. 433 e segg.; F. Rasi,
La trasparenza per presunzione delle societa` a ristretta base
proprietaria: l’attendibilita` della presunzione ed il problema
della qualificazione del reddito, in ‘‘Riv. Trim. Dir. Trib.’’ n.
1/2013, pagg. 119 e segg.
2
3
Si vedano, ad esempio, Comm. trib. centr., Sez. VII, 19 marzo 1996, n. 1239; Comm. trib. prov. di Reggio Emilia, sez.
VII, 1º dicembre 1997, n. 284; Comm. trib. prov. di Milano,
Sez. XXVIII, 24 giugno 1998, n. 199; Comm. trib. reg. Puglia, Sez. VIII, 11 aprile 2005, n. 16/8/05; Comm. trib. reg.
Puglia, Sez. I, 27 dicembre 2006, n. 116/1/06; Comm. trib.
reg. Puglia, Sez. n. XXIII, 13 aprile 2007, n. 66. In termini,
si rinvia altresı` alla rassegna ragionata delle discordanti pronunce delle Commissioni di merito svolta da ultimo da G. Di
Gennaro, L’onere della prova contraria alla presunta distribuzione degli utili extracontabili, in ‘‘il fisco’’ n. 17/2014, pag.
1620.
Tra le piu` recenti, si vedano Cass. n. 29605 del 2011, n.
20/2014
si risolve in una pluralita` di presunzioni, in
quanto tale inidonea a generare una valida motivazione e ad assolvere l’onere della prova. La
Cassazione si e` sbrigativamente liberata dell’eccezione, osservando come nella specie il fatto
noto sia rappresentato dalla ristretta base sociale, di per se´ espressiva di una complicita` tra soci
che legittima pertanto la presunzione dell’avvenuta spartizione tra i soci dei maggiori utili extra
contabili 3. Senonche` e` evidente come anche nell’ambito di tale sillogismo non si sfugga all’obiezione secondo cui ‘‘la complicita`’’ tra soci puo` al
limite giustificare la distribuzione occulta degli utili extra-bilancio, ma da sola non spiega
perche´ detta distribuzione debba avere ad oggetto l’intero utile ‘‘in nero’’, secondo le medesime
quote sociali e sia avvenuta nello stesso esercizio
di conseguimento dei proventi 4.
L’altra forzatura consiste nell’equiparazione indotta dall’automatismo accertativo in esame
tra societa` di capitali a ristretta base e societa`
di persone, e quindi tra reddito di capitale 5 e
reddito di partecipazione, poiche´ in punto di fatto
in entrambi i casi l’imputazione del reddito ai soci
avviene secondo regole del tutto analoghe. La
Corte ha tuttavia rigettato anche questo rilievo,
sulla scorta dell’osservazione che mentre l’imputazione per trasparenza costituisce un indefettibile criterio di legge, nel caso delle societa` a ristretta base si sarebbe a cospetto di una mera presunzione semplice 6. Nemmeno questa osservazione
appare tuttavia insuperabile, posto che, se si rende molto difficile la prova contraria alla presunzione suddetta 7, il risultato finale non e` comun24938 del 2011, n. 20870 del 2010 e n. 1906 del 2008.
4
Si tratta invero di fatti presunti che non esprimono le ipotesi
dotate di maggiore probabilita` rispetto ad altre, poiche´ e` di
tutta evidenza che, con altrettanta probabilita`, e` possibile
dedurre che una parte degli utili in nero sia rimasta in azienda o che la spartizione degli stessi sia avvenuta tenendo conto del diverso apporto gestionale dato dai singoli soci.
5
Teoricamente tassabile secondo il criterio di cassa.
6
Cass. n. 29605 del 2011: ‘‘nel caso di una societa` di capitali,
pur non sussistendo, a differenza di quanto previsto per le
societa` di persone, una presunzione legale di distribuzione
dell’utile ai soci, l’appartenenza della societa` ad una ristretta
cerchia familiare puo` costituire, sul piano degli indizi, elemento di prova dell’avvenuta distribuzione degli utili in questione’’. Negli stessi termini, si veda anche Cass. n. 19803 del
2003.
7
Ed e` quello che per l’appunto e` avvenuto nella vicenda in
esame, come piu` oltre dimostrato.
1945
Accertamento – APPROFONDIMENTO
que distante dall’applicazione di un criterio legale
di imputazione del reddito.
Ma a ben vedere una delle maggiori criticita` dell’avallo dei giudici di legittimita` consiste proprio
nell’assunzione di base, rappresentata dal modello della societa` di capitali a ristretta base sociale, che non trova alcun riferimento normativo 8. Il punto e` che, nel tempo, si e` passati da
una nozione di societa` a ristretta base familiare 9 ad una nozione di societa` a ristretta base
tout court. A riprova, inoltre, della elasticita` di
tale concezione, si evidenzia come nella sentenza 29 dicembre 2003, n. 19803, la Suprema Corte abbia avallato una rettifica relativa ad una societa` la cui compagine era sostanzialmente riconducibile ‘‘a tre soli nuclei familiari’’. Ora e`
evidente, anche alla luce del tradizionale canone
dell’id quod plerumque accidit, che tre diversi
nuclei familiari, normalmente, non danno luogo
ad alcuna ‘‘complicita`’’ d’intenti e dunque non
giustificano nessun automatismo accertativo 10.
In altra occasione, lo stesso Consesso ha addirittura ritenuto sussistente la qualificazione in esame in una societa` strutturata in quattro gruppi
azionari 11. Sul piano strettamente probatorio,
in un caso specifico non e` stata ritenuta sufficiente ad escludere la presunzione di colpevolezza neppure la giovane eta` di un socio 12. E ancora, sebbene la nozione di complicita` richiami
indubbiamente un atteggiamento tipico dei
comportamenti umani, la Corte ha ravvisato comunque la sussistenza della condizione di ‘‘societa` a ristretta base’’ in una societa` di capitali
controllata da altra societa` di capitali la cui
compagine sociale era costituita da due soci, appartenenti al medesimo nucleo familiare 13. Nel-
la specie, si era in presenza di un ribaltamento
del reddito accertato in capo alla societa` A (societa` figlia), sotto forma di presunzione di distribuzione in nero dei maggiori utili, nei confronti
delle persone fisiche socie della societa` B (societa` madre), che deteneva il 90% del capitale sociale della societa` A. Dall’esame della giurisprudenza di legittimita`, peraltro, emerge non solo
l’indeterminatezza dei confini del concetto di ristrettezza della base sociale ma altresı`, cosa assai piu` grave, la portata risolutiva di tale nozione, ai fini della legittimita` dell’accertamento dell’Ufficio. Si legge infatti che ‘‘la situazione giuridica oggettiva in cui si trova il socio di una societa` a ristretta compagine sociale giustifica la
sua conoscibilita` dell’attivita` della societa` e
gli consente di tutelare i suoi interessi relativi alla quota di partecipazione, anche eventualmente
agendo per far valere la responsabilita` dei soci
gestori e dando dimostrazione dei propri comportamenti dissenzienti’’ 14. Nell’ottica dell’‘‘oggettivo’’ coinvolgimento del socio nella gestione di una societa` a ristretta base, quantomeno
per le s.r.l., la questione appare aggravata dalla
riforma del diritto societario che ha introdotto,
nell’art. 2476 c.c., un nuovo penetrante potere
di controllo del socio non amministratore, che
puo` spingersi sino a pretendere la consultazione, in genere, di qualsiasi documento sociale 15.
Ecco allora che il mancato esercizio di tali facolta` potrebbe essere interpretato, con un pericoloso e inaccettabile rovesciamento di prospettiva,
come il segno della temuta ‘‘complicita`’’ o ‘‘solidarieta`’’ tra soci. Una tesi sicuramente piu` equilibrata risiede nel pretendere da parte dell’Ufficio non solo la dimostrazione della esiguita` della compagine sociale, ma anche una adeguata
attivita` istruttoria volta a ricostruire la posizione ricoperta dai singoli soci all’interno della societa` 16. Cosı`, ad esempio, i soci che non parteci-
8
14
Cass. n. 1906 del 2008.
15
Si veda l’ampia letteratura sul tema, tra cui N. Abriani, Decisioni dei soci. Amministrazione e controlli, in Diritto delle
societa` (manuale breve), AA. VV., Milano, 2004, pag. 319;
F. Pasquariello, commento all’articolo 2476 c.c., in Il nuovo
diritto delle societa`, a cura di A. Maffei Alberti, Padova, 2005,
pagg. 1973 e segg.; R. Grasso, Documenti relativi all’amministrazione e diritto di consultazione del socio di s.r.l. non amministratore, nota a sentenza, in ‘‘Giurisprudenza commerciale’’ n. 34.4/2007, II, pagg. 922 e segg.
16
D’altro canto, trattandosi di pochi soci, la ricostruzione non
dovrebbe essere particolarmente complessa!
3. La nozione di societa` a ristretta base
Quantomeno sino a tutto il 2003, prima dell’entrata in vigore dell’attuale art. 116 del Tuir, ma, si ritiene, anche dopo la
riforma del D.Lgs. n. 344/2003.
9
Che potrebbe avere, in effetti, una reale portata suggestiva a
supporto della presunzione in oggetto.
10
Al riguardo si vedano le annotazioni critiche di M. Beghin,
op. loc. cit., pagg. 434-435.
11
Cass. n. 21573 del 2005.
12
Cass. n. 1906 del 2008.
13
Cass. n. 13338 del 2009 che ha ritenuto altresı` di giustificare
la legittimita` dell’accertamento operato dall’ufficio anche
con il richiamo all’onnipresente principio dell’abuso del diritto.
20/2014
1946
APPROFONDIMENTO – Accertamento
pano alla vita sociale e che magari hanno altre
attivita` lavorative dovrebbero, a priori, essere
esclusi dalla presunzione di riscossione dei proventi evasi. L’operare di automatismi potrebbe
rendere, invece, in taluni casi estremamente difficile, se non impossibile, l’attivita` difensiva del
contribuente 17. Questo e` proprio cio` che accade
allorche`, una volta ravvisata, anche in termini
sostanzialmente apodittici, la sussistenza del
suddetto fatto noto, la Cassazione pretende che
il socio dimostri ‘‘che i maggiori ricavi non siano
stati fatti oggetto di distribuzione, ma siano, invece, accantonati dalla societa`, ovvero da essi
reinvestiti, non risultando a tal fine sufficiente
nemmeno la eventuale deduzione del profilo
per l’esercizio sociale ufficiale si sia concluso
con perdite contabili’’ 18, il che si risolve in pratica in una prova negativa 19, per sua natura diabolica.
Un punto di riferimento naturale per tentare di
disegnare il perimetro della societa` di capitale
con numero di soci non elevato e` ovviamente
rappresentato dall’art. 116 del Tuir che disciplina la cosiddetta ‘‘piccola trasparenza fiscale’’, riferita alle s.r.l. aventi determinati requisiti sia
nella compagine sociale sia nel volume di ricavi 20. Il collegamento tra la prassi accertativa
suddetta e l’istituto della trasparenza potrebbe
in effetti risiedere nel criterio di delegazione,
contenuto nell’art. 4, comma 1, lett. h), della L.
n. 80/2003, cui si e` dato attuazione con l’art.
116 del Tuir, che menziona espressamente le societa` a responsabilita` limitata ‘‘a ristretta base
proprietaria’’ 21. E tuttavia l’analogia con questo
istituto dimostra immediatamente limiti forti
ed evidenti. In primo luogo, e` palese la differenza concettuale tra un regime facoltativo e una
metodologia di accertamento fondata su presunzioni. Detta differenza e` inoltre esaltata dalla
funzione della piccola trasparenza che trova causa nella volonta` del legislatore di evitare che la
forma giuridica adottata dalle piccole imprese
si riveli penalizzante in conseguenza del regime
fiscale ad essa destinato. Il riferimento e` evidentemente alla doppia tassazione che si realizza nel
passaggio degli utili dalla societa` di capitali al
socio, rispetto alla situazione analoga che si verifica nelle societa` personali. In questo senso deve
quindi apprezzarsi la circostanza che l’art. 116
citato e` rivolto esclusivamente alle s.r.l. con ricavi inferiori a quelli previsti per l’applicazione degli studi di settore, poiche´ si trattava di individuare un modello di riferimento comparabile
con quello tipico delle societa` di persone. Il limite dei dieci soci e` infine ascrivibile, con ogni probabilita`, ad esigenze di semplificazione nella gestione del nuovo regime 22. In buona sostanza, si
e` in presenza di elementi che delineano uno specifico criterio di imputazione del reddito, destinato a fare stabilmente parte dell’attuale, mutato, sistema di imposizione. Non sembra quindi
che l’art. 116 possa fornire elementi interpretativi utili a meglio precisare il modello societario
cui riferire lo schema concettuale adottato dalla
Corte di Cassazione.
17
Questo rischio e` costantemente segnalato negli scritti di A.
Voglino, sopra citati. In senso garantista, per vero, si veda
la pronuncia n. 20870 del 2010 della Cassazione, a mente
della quale ‘‘affinche´ tale presunzione possa operare occorre, pur sempre, che la ristretta base sociale e/o familiare cioe` il fatto noto della presunzione - abbia formato oggetto
di specifico accertamento probatorio’’
21
Rileva l’assonanza tra la piccola trasparenza e l’orientamento giurisprudenziale in materia di accertamento delle societa` a ristretta base S. De Marco, Considerazioni teorico – ricostruttive sul regime di tassazione per trasparenza nelle societa`
a ristretta base sociale, in ‘‘Riv. Trim. Dir. Trib.’’ n. 4/2013,
pag. 824.
22
18
Ord. n. 1867 del 2012.
19
Ovverosia la mancata percezione di utili: Cass. n. 19803 del
2003.
20
Soci solo persone fisiche in numero massimo di 10 ovvero
per le cooperative di 20 e ricavi non superiori all’ammontare
previsto ai fini dell’applicazione degli studi di settore. Sull’argomento, sia consentito rinviare a L. Lovecchio, Il decreto ministeriale sulla trasparenza fiscale nelle societa` di capitali, in ‘‘Boll. Trib.’’ n. 10/2004, pagg. 725 e segg.; E. Marello, Il
regime di trasparenza, in Imposta sul reddito delle societa`, diretta da F. Tesauro, Bologna, 2007, pagg. 517 e segg.
Sarebbe d’altro canto difficilmente compatibile con i canoni
dell’id quod plerumque accidit ammettere la coincidenza,
sotto l’aspetto meramente definitorio, della societa` a ristretta base con la s.r.l. della piccola trasparenza, poiche´ non e`
davvero ipotizzabile il permanere della ‘‘complicita` tra soci’’
in una societa` composta da dieci soci, estranei tra loro. Il diverso profilo funzionale della piccola trasparenza, dunque,
appare confermato anche dalla individuazione del parametro quantitativo stabilito nell’art. 116 del Tuir. Senza trascurare la circostanza che, secondo l’orientamento di Cassazione prima richiamato, la presenza di societa` di capitale nella
compagine sociale non e` di ostacolo all’adozione della specifica tecnica di accertamento.
4. I rapporti con la ‘‘piccola trasparenza
fiscale’’
20/2014
1947
Accertamento – APPROFONDIMENTO
5. La tipologia del reddito
accertato in capo al socio
Si e` gia` visto come la principale criticita` difensiva per il contribuente risieda proprio nella confutazione della presunzione della solidarieta` o
complicita` tra soci, che si traduce nella dimostrazione della inesistenza della condizione di
societa` a ristretta base, alternativamente, vuoi
sotto il profilo della obiettiva non ristrettezza
della base sociale 25, che renderebbe superflua
qualsiasi ulteriore allegazione oppositiva, vuoi
sotto il profilo della acclarata estraneita` del socio ai profili gestionali ascrivibili ad altri 26.
Ugualmente complesso, se non pressocche` impossibile nella normalita` dei casi, e` il compito
di attestare la mancata percezione degli utili
extra-bilancio, in tutto o in parte, poiche´ cio` richiederebbe la precisa indicazione delle attivita`
sociali nelle quali gli stessi sono stati reinvestiti,
tenuto anche conto che la presenza di perdite
contabili, come evidenziato in precedenza, non
sarebbe di alcun aiuto allo scopo. Dovrebbe essere invece indubbiamente rilevante la natura e ti-
pologia del maggior reddito accertato in capo alla societa`. In primo luogo, occorre infatti che si
tratti di proventi suscettibili di tradursi in flussi
monetari disponibili per il socio. Questo accade
in presenza di ricavi non contabilizzati o di costi
fittizi 27, ma non certo in presenza di costi effettivi ma indeducibili oppure di accantonamenti
non deducibili o ancora di recuperi afferenti a
poste di origine valutativa 28. Secondo un orientamento garantista della Cassazione, inoltre, il
reddito accertato in capo alla societa` deve essere
connotato da certezza, nel senso che occorre
‘‘che sussista un valido accertamento a carico
della societa` in ordine ai ricavi non contabilizzati, il quale costituisce il presupposto per l’accertamento a carico dei soci in ordine ai dividendi. Nel caso di specie, ..., manca altresı` un accertamento definitivo sul dato presupposto’’ 29. Non
e` chiaro tuttavia quali siano le conseguenze dell’avvenuto ribaltamento sul socio di utili accertati solo presuntivamente in capo alla societa` 30. A
stretto rigore, l’atto spiccato nei confronti del socio dovrebbe essere annullato, poiche´ non risulterebbe legittimato il meccanismo presuntivo
che postula necessariamente l’esistenza di utili
non dichiarati. In tale ottica, dunque, l’Amministrazione finanziaria potrebbe agire nei riguardi
dei soci solo dopo l’avvenuta definizione del reddito in capo alla societa`. Ma potrebbe anche sostenersi che il giudizio attivato da parte del socio
debba essere sospeso, in attesa della definizione
della posizione della societa` 31. Sebbene in linea
di principio la soluzione piu` corretta sembra essere la prima 32, e` verosimile ritenere che posizione della Cassazione sia piu` vicina alla seconda 33.
23
29
Cass. n. 20870 del 2010. In termini, si vedano anche Cass., n.
9849 del 2011, n. 8207/2011 e n. 441/2013.
30
` il caso ad esempio di un accertamento fondato sugli studi
E
di settore.
31
Sul punto, si veda infra.
32
Atteso che al momento della notifica dell’accertamento del
reddito dei soci non sarebbero, in ipotesi, maturate le condizioni che consentono di ricorrere alla specifica prassi accertativa.
33
In questo senso, si veda ad esempio Cass. n. 2214 del 2011.
Non vi possono essere dubbi sul fatto che il reddito accertato nei confronti del socio appartenga alla categoria dei redditi di capitale e non certo ai
redditi d’impresa, sub specie di redditi imputati
per trasparenza 23. In questo senso, depongono
le sentenze della Suprema Corte citate in precedenza. Ne deriva che gli stessi devono essere sempre determinati tenendo conto della quota esente
da Irpef 24.
6. La difesa del contribuente
Per una critica alla qualificazione come imputazione per
trasparenza del ribaltamento ai soci degli utili in nero accertati in capo alla societa` di capitali si veda F. Rasi, op. loc. cit.,
pagg. 132-136.
24
Pari al 50,28% per gli utili da partecipazioni qualificate.
25
Dimostrazione resa complessa dall’indefinito perimetro della nozione offerta dalla giurisprudenza.
26
E in questo caso, se si segue l’orientamento piu` rigoroso della Suprema Corte, occorrerebbe dare contezza, ad esempio,
di puntuali contestazioni mosse dal socio dissenziente in sede di approvazione del bilancio d’esercizio.
27
Cass. n. 1906 del 2008.
28
Si pensi ad esempio ai criteri di valutazione delle rimanenze
o anche alla svalutazione di immobilizzazioni.
20/2014
1948
APPROFONDIMENTO – Accertamento
Ulteriori spunti di riflessione derivano dai nuovi
scenari aperti dalle conseguenze delle vicende
estintive delle societa` di capitali. Senza volere
in questa sede approfondire i termini della questione 36, e` sufficiente ricordare come, alla luce
del novellato disposto dell’art. 2495 c.c., la cancellazione delle societa` dal registro delle imprese produce effetti costitutivi dell’estinzione dell’ente collettivo. La giurisprudenza delle Sezioni
Unite della Corte di Cassazione 37 ha in proposito ravvisato non gia` il venir meno delle obbligazioni sociali bensı` un evento di tipo successorio
in forza del quale le stesse obbligazioni si trasmettono ai soci della societa` estinta, nei limiti
dell’importo delle somme da questi riscosse in
esito al bilancio finale di liquidazione. Ci si chiede pertanto con quali modalita` possa svolgersi la
dinamica dell’accertamento in esame in tale evenienza. Al riguardo, va innanzitutto evidenziato
come non possano in alcun modo trovare ingresso ‘‘scorciatoie’’ consistenti nell’emissione
dell’avviso intestato alla societa` estinta secondo le ordinarie formalita` procedurali 38, al solo
scopo strumentale di precostituirsi il titolo per
poi procedere contro i soci. Vale in proposito ribadire, infatti, che elemento indefettibile della
legittimita` e fondatezza dell’accertamento spiccato a carico dei soci degli enti a ristretta base
e` la presenza di un valido accertamento definito nei confronti della societa`. Ne deriva che il Fisco non puo` precostituirsi tale titolo purchessia
ma deve necessariamente seguire le indicazioni
fornite dalla citata giurisprudenza di vertice ai
fini della corretta contestazione di violazioni fiscali ascrivibili al soggetto estinto. Da cio` consegue ulteriormente che l’atto dovra` essere intestato ai singoli soci, nella loro qualita` di ‘‘successori’’ della societa` cancellata dal registro delle imprese, e notificato ad essi, qualora l’emissione avvenga oltre l’anno dalla cancellazione 39.
Una volta cosı` perfezionata la procedura accertativa relativa alla societa`, e` evidente che l’interesse dei soci a impugnare l’atto in questione 40
non sara` solo determinato dalla circostanza di
essere o meno beneficiari di somme attribuite
in sede di bilancio finale di liquidazione, poiche´
dall’eventuale definizione anche per inerzia del
provvedimento impositivo in origine ascrivibile
al soggetto estinto potranno derivare conse-
34
In quanto dotati di piena e distinta soggettivita` giuridica.
37
Sent. n. 4060, 4061 e 4062 del 2010 e n. 6070 del 2013.
35
Nel senso della inapplicabilita` del litisconsorzio necessario
negli accertamenti delle societa` a ristretta base, si veda
Cass., n. 441/2013, nel senso invece della applicabilita` della
sospensione necessaria del processo, ex art. 295, c.p.c., si vedano Cass., ord. n. 1867 del 2012 e sent. n. 2214 del 2011.
38
Cioe`, come se la societa` fosse ancora esistente.
39
L.P. Murciano, op. loc. cit., pagg. 898-899, ravvisa una obbligazione solidale tra i soci, in analogia con quanto previsto
nell’art. 65 del D.P.R. n. 600/1973, nel caso del decesso del
contribuente, e conseguentemente, in ipotesi di impugnazione dell’atto, una fattispecie di litisconsorzio necessario
tra gli stessi.
40
Nella loro veste, per l’appunto, di successori dell’ente collettivo.
7. Gli aspetti procedurali e processuali
Sotto il profilo delle modalita` di confezione dell’atto di rettifica del reddito dei soci, non dovrebbero esservi dubbi di sorta in ordine alla necessita`
che lo stesso riporti in allegato ovvero riproduca
gli elementi essenziali (del)l’accertamento
emesso a carico della societa` di capitali. Tanto,
in ragione del chiaro disposto dell’art. 7 della L. n.
212/2000, e dell’art. 42 del D.P.R. n. 600/1973, che
non consente di presumere la conoscenza integrale dei rilievi mossi alla societa` da parte del socio,
trattandosi di soggetti per i quali non puo` operare
l’immedesimazione tipica delle societa` di persone 34. Sotto il profilo processuale, dovendo senza
dubbio escludersi l’ipotesi del litisconsorzio necessario, applicabile nel solo contesto della trasparenza fiscale, tanto nelle societa` di persone
che nelle fattispecie regolate negli artt. 115 e
116 del Tuir, il problema della coeva pendenza
delle controversie attivate dai soci e dalla societa`
e del conseguente rischio del contrasto tra giudicati deve essere risolto attraverso l’istituto della
sospensione necessaria del giudizio relativo ai soci, ai sensi dell’art. 295, c.p.c., pacificamente applicabile nel processo tributario secondo l’ormai
consolidata giurisprudenza di Cassazione 35.
8. L’estinzione della societa` di capitali
36
Sui quali, si rinvia tra gli altri a C. Glendi, Cancellazione della
societa`, attivita` impositiva e processo tributario, in ‘‘GT - Riv.
giur. trib.’’ n. 9/2010, pagg. 749 e segg.; T. Tassani, La responsabilita` di soci, amministratori e liquidatori per i debiti sociali
della societa`, in Rassegna Tributaria, 2012, pagg. 359 e segg.;
L.P. Murciano, La responsabilita` dei soci per l’obbligazione
d’imposta della societa` estinta, in ‘‘Riv. Trim. Dir. Trib.’’ n.
4/2013, pagg. 891 e segg.
20/2014
1949
Accertamento – APPROFONDIMENTO
guenze in termini di reddito di capitale omesso
da parte dei soci medesimi. Da qui, l’esigenza
di valutare con attenzione l’opportunita` di coltivare il contenzioso originato dai comportamenti
41
L.P. Murciano, op. loc. cit., propone una prospettiva interpretativa diversa da quella offerta dalle Sezioni Unite della
Cassazione che presenta interessanti punti di contatto con
la fattispecie esaminata nel presente scritto. Si sostiene, invero, che il coinvolgimento dei soci non dovrebbe derivare
dall’effetto automatico della vicenda successoria delineata
dalla Corte bensı` da ipotesi di abuso della personalita` giuridica che abbiano determinato un ‘‘beneficio indebitamente
conseguito dai soci a danno dell’Amministrazione finanziaria’’. In tale ottica, il titolo e il limite quantitativo del coinvolgimento dei soci sarebbe per l’appunto rappresentato dal beneficio indebito, costituito, nell’ipotesi del riparto di ricavi
della societa` cancellata, al di la` dei limiti quantitativi opponibili alla pretesa erariale, rivenienti dal disposto del solo art. 2495 c.c. 41.
` peraltro eviin nero, dall’intera ricchezza cosı` acquisita. E
dente che, vertendosi in questo caso di una obbligazione
propria originaria dei soci, non troverebbe applicazione il limite quantitativo della responsabilita` patrimoniale, derivante dal citato art. 2495 c.c. Se non ci inganniamo, tuttavia, la
tesi qui rassegnata e` comunque suscettibile di confluire nella dinamica accertativa delle societa` a ristretta base, poiche´
il reddito imputabile al socio non potrebbe che essere qualificato come reddito di capitale e giammai come reddito
d’impresa, con l’effetto che il doppio livello di accertamento
(in capo alla societa`, prima, e ai soci, poi) resterebbe sempre
ineludibile.
20/2014
1950
APPROFONDIMENTO
Cooperative compliance,
governance aziendale e tutoraggio
di Bruno Ferroni (*)
La legge delega per la revisione del sistema fiscale
prevede un assetto innovativo del rapporto tra imprese e Amministrazione finanziaria, improntato
alla trasparenza e alla cooperazione preventiva rispetto alle scadenze fiscali: l’attuazione di queste
disposizioni sara` un’occasione importante di cambiamento culturale sia per i contribuenti che per
l’Amministrazione finanziaria e potra` contribuire
a migliorare la competitivita` del sistema Paese.
1. Gli obiettivi della delega
Il 27 marzo e` entrata in vigore la legge che delega
il Governo per la riforma fiscale 1 e che da` un anno di tempo per emettere i relativi decreti finalizzati alla revisione del sistema fiscale. La legge,
tra l’altro, introduce istituti che andranno a regolare il rapporto tra le imprese e l’Amministrazione finanziaria in modo innovativo, attraverso
forme di ‘‘comunicazione e cooperazione rafforzata, anche in termini preventivi rispetto alle
(*)
Direttore Affari Fiscali e Societari Ferrero S.p.A.
1
Legge 11 marzo 2014, n. 23, pubblicata sulla G.U. n. 59 del
12 marzo 2014, dal titolo: ‘‘Delega al Governo recante disposizioni per un sistema fiscale piu` equo, trasparente e orientato alla crescita’’.
2
Sulla gestione del rischio fiscale cfr. A. Nuzzolo e P. Valente,
Tax governance e cooperazione rafforzata con il Fisco, in ‘‘il fisco’’ n. 19/2014, pag. 1853, nonche´ B. Santacroce e L. Fruscione, La gestione del rischio fiscale: il nuovo rapporto Fisco-Impresa, in questo numero della Rivista, pag. 1957.
3
Va rilevato che alcuni provvedimenti sono gia` in parte pre-
20/2014
scadenze fiscali’’. Infatti, all’art. 6, commi da 1 a
4, vengono affrontate le questioni della gestione
del rischio fiscale, della governance aziendale e
del tutoraggio 2. In particolare, i primi due commi riguardano l’introduzione di norme che prevedano forme di adempimento collaborativo tra
le imprese e l’Amministrazione finanziaria e,
per i soggetti di maggiori dimensioni, ‘‘la previsione di sistemi aziendali strutturati di gestione
e di controllo del rischio fiscale’’. L’obiettivo fondamentale dunque, attraverso l’introduzione di
incentivi alle imprese piu` disponibili alla trasparenza, e` quello di costruire un migliore rapporto
col Fisco basato su dialogo, collaborazione e fiducia reciproca, piuttosto che sul confronto conflittuale. L’importanza di tale obiettivo strategico e` addirittura epocale: vuoi perche´ e` rivolto alla generalita` delle imprese, anche se nelle modalita` attuative distingue tra i soggetti di maggiori
dimensioni e quelli minori, vuoi perche´ identifica come via preferenziale l’azione e la collaborazione preventiva rispetto alla scadenza degli
adempimenti fiscali 3. Le esperienze di altri Paecursori di tale previsione: il decreto-legge ‘‘salva Italia’’
(D.L. n. 201/2011, art. 10, commi 1-13) introduce dal 2013
il nuovo regime della trasparenza rivolto ai soggetti che svolgono attivita` artistica, professionale o di impresa, in forma
individuale o associata (escluse le societa` di capitali); l’art.
50-bis del D.L. n. 69/2013 prevede un regime facoltativo in
base al quale dal 1º gennaio 2015 i soggetti titolari di partita
Iva possono, a fronte di una serie di benefici in termini di
minori adempimenti fiscali, comunicare giornalmente in
via telematica all’Agenzia delle Entrate i dati analitici delle
fatture di acquisto e cessione di beni e servizi.
1951
Controlli fiscali – APPROFONDIMENTO
si, infatti, dimostrano che un migliore rapporto
tra le parti contribuisce alla creazione di un quadro ordinamentale piu` affidabile, in grado di favorire gli investimenti delle imprese.
2. Progetto pilota dell’Agenzia delle
Entrate
Nelle more dell’approvazione della legge (ricordiamo che un analogo provvedimento proposto
nel 2012 non giunse alla conclusione dell’iter legislativo) l’Agenzia delle Entrate il 25 giugno
2013 lancio` via web un invito pubblico a partecipare ad un progetto pilota denominato ‘‘Regime di adempimento collaborativo’’, rivolto ai
cosiddetti grandi contribuenti, cioe` ai contribuenti soggetti al ‘‘tutoraggio’’ da parte della
stessa Agenzia ai fini dell’attivita` di accertamento 4. L’obiettivo del progetto e` quello di individuare e definire, in collaborazione con i contribuenti, un nuovo modello di rapporto che consenta un’evoluzione dell’attuale attivita` di tutoraggio, nell’ambito di un programma piu`
avanzato ed in coerenza con le recenti indicazioni dell’OCSE. Il nuovo modello prevede un
impegno del contribuente alla compliance ed alla disclosure delle transazioni che presentano
maggiori rischi fiscali o che possano dare adito
a potenziali divergenze interpretative. A fronte
di tale trasparenza, l’Agenzia si impegna a rispondere alle esigenze del contribuente e a consentire la risoluzione delle questioni fiscali di
piu` ampio rilievo in maniera tempestiva ed
equilibrata. In generale, una volta attivato, il
nuovo regime dovrebbe consentire all’impresa
di ridurre e semplificare gli adempimenti, di ottenere una serie di benefici e, soprattutto, di
pervenire, per quanto possibile, a forme di certezza preventiva in merito alla conformita` delle
scelte effettuate alle norme tributarie applicabili in concreto. L’idea dell’Agenzia, si legge nel
bando, e` anche quella ‘‘fornire elementi utili
per introdurre appositi provvedimenti attuativi
del regime’’. Va ricordato altresı` che, per candidarsi alla sperimentazione, le imprese dovevano
possedere vari requisiti. Alcuni necessari: rientrare nella qualifica di ‘‘grande contribuente’’ e
aver adottato modelli di organizzazione e di gestione di cui all’art. 6 del D.Lgs. n. 231/2001 o
4
Attivita` prevista dall’art. 27, commi da 9 a 12, del D.L. n.
185/2008, convertito dall’art. 1 della L. n. 2/2009 per il suddetto segmento di contribuenti (i quali hanno conseguito,
aver adottato un sistema di gestione e controllo del rischio fiscale (cd. Tax Control Framework). Altri solo preferenziali: essere parte di
un gruppo multinazionale; aver aderito in altri
ordinamenti giuridici a forme di cooperative
compliance; aver attivato ruling di standard internazionale o aver aderito al regime degli oneri
documentali in materia di prezzi di trasferimento. Delle 84 candidature pervenute (riconducibili a 55 gruppi societari, per il 53% italiani, il
32% europei e la restante parte, extra europei),
l’Agenzia delle Entrate ha selezionato 14 soggetti, con i quali ha avviato dallo scorso autunno
l’attivita` di confronto sulle caratteristiche del sistema di controllo interno e/o di gestione del rischio fiscale. Da queste premesse, subito appaiono evidenti alcune caratteristiche sia dell’iniziativa dell’Agenzia che del nuovo istituto previsto dal comma 1 dell’art. 6 della legge delega:
la continuita` con il ‘‘tutoraggio’’ e la valorizzazione di strumenti di adempimento collaborativo quali il ruling e la TP documentation. Dunque, il nuovo istituto e gli strumenti che saranno predisposti per la sua applicazione rientrano
chiaramente nella strategia di accertamento basata su forme evolute di analisi della situazione
di rischio fiscale dei contribuenti, che l’Agenzia
persegue da molti anni in conformita` alle indicazioni emerse sulla base delle esperienze e della prassi internazionale.
3. Contesto internazionale
Infatti, nell’ambito del Forum on Tax Administration istituito nel luglio 2002 dal Comitato
Affari Fiscali dell’OCSE, gia` dal 2004 il documento ‘‘Managing and Improving Tax Compliance’’ enfatizzava l’importanza di applicare i moderni principi del risk management nel gestire
la compliance fiscale ed a questo si affianco`,
nel 2010, anche la nota informativa Understanding and Influencing Taxpayer Compliance Behaviour. Ma un passaggio fondamentale si ebbe
nel 2008, allorquando fu pubblicato lo studio,
relativo alla cd. pianificazione fiscale aggressiva, che incoraggiava le autorita` fiscali e i grandi contribuenti (e i consulenti fiscali) ad instaurare un rapporto basato sulla cooperazione e
sulla fiducia, coniando l’espressione the enhanper l’anno d’imposta 2011, un volume d’affari o ricavi non
inferiore a 100 milioni di euro).
20/2014
1952
APPROFONDIMENTO – Controlli fiscali
ced relationship 5. Finalmente nel 2013, trascorso un lustro da quello Studio, viene pubblicata un’ampia trattazione di carattere tecnico
interamente focalizzata sull’adempimento collaborativo, che costituisce oggi il punto di riferimento sulla cd. cooperative compliance a cui
si ispirano le autorita` fiscali con le iniziative pilota come quella in esame e di cui, in senso lato,
dovra` tener conto anche il Governo nell’esercizio della delega di cui al piu` volte citato comma
1 dell’art. 6 6. Il rapporto dell’OCSE delinea le
caratteristiche fondamentali del nuovo modello
di cooperazione tra contribuenti e autorita` fiscali, distillando l’esperienza concreta di 24 importanti Paesi che hanno dato il loro contributo:
Australia, Austria, Canada, Danimarca, Finlandia, Francia, Germania, Hong Kong, Ungheria,
Irlanda, Italia, Giappone, Nuova Zelanda, Norvegia, Paesi Bassi, Portogallo, Russia, Singapore, Slovenia, Sud Africa, Spagna, Svezia, UK e
USA. Rispetto allo Studio del 2008, vengono ribaditi i presupposti fondamentali richiesti alle
Autorita` fiscali, cioe`: conoscenza del business,
imparzialita`, proporzionalita`, apertura/trasparenza e disponibilita`; a fronte di quelli richiesti
ai contribuenti, cioe`: fornire le informazioni rilevanti e la trasparenza. Ma viene anche evidenziata l’importanza di un buon sistema di corporate governance che supporti la disclosure e la
transparency e che, auspicabilmente, identifichi
nell’ambito del sistema di controllo interno uno
specifico tax control framework. Di conseguenza, l’adozione della definizione di cooperative
compliance appare molto piu` idonea ad identificare il concetto di fondo sotteso al rapporto, infatti non descrive solo il processo di cooperazione, ma dimostra che l’obiettivo stesso e` parte integrante della strategia di compliance risk management delle autorita` fiscali, in quanto conduce
il contribuente a ‘‘pagare il giusto ammontare di
imposte nel giusto momento’’. Orbene, se pure e`
vero che il modello di adempimento collaborativo e` parte di una piu` ampia strategia di tutoraggio da parte del Fisco, va anche detto che con
esso si afferma il principio della ‘‘trasparenza
in cambio della certezza’’. Nelle Conclusioni il
rapporto ribadisce la validita` dei concetti gia`
5
Study into the Role of Tax Intermediaries - OECD - 2008.
6
Co-operative compliance: a framework (from enhanced relationship to co-operative compliance) - OECD Report - 2013.
7
Cfr. Enterprise Risk Management – Integrated Framework COSO Report (Committee of Sponsoring Organisations of
the Treadway Commission) - 2004. In estrema sintesi, il mo-
20/2014
tracciati nel 2008, anche se meglio identificati
dalla nuova definizione, attesta che un cooperative compliance model e` del tutto coerente con le
strategie di risk management delle autorita`, non
contrasta con il principio dell’eguaglianza dei
contribuenti davanti alla legge, non elimina i
conflitti tra Autorita` e contribuente ma ne riduce l’incidenza o li risolve piu` rapidamente; infine, sottolinea l’importanza cruciale, interno all’impresa, di un tax control framework (TCF).
Nel capitolo del rapporto dedicato al TCF, peraltro, ben si evidenzia come tale strumento non
puo` non essere parte di un piu` vasto e strutturato sistema di controllo interno, il quale prenda
le mosse dall’affermazione dei valori etici dell’impresa (Codici Etici, Codici di condotta,
ecc.) e poi, tramite l’adozione di un enterprise
risk management model (ERM) ispirato alla
best practice internazionale, si doti di policy e
procedure idonee a garantire un’azione di controllo e la cui efficacia sia monitorata con regolare frequenza 7: insomma, uno strumento necessario, nel suo complesso, per conseguire gli
obiettivi di corporate social responsability
(CSR) propri dell’impresa.
4. Imprese di grandi dimensioni
L’applicazione concreta di tali linee guida implica
che le imprese, per aderire al modello che sara` definito dall’Agenzia e disciplinato dai decreti delegati, dovranno costruire una mappa dei rischi fiscali, approntare meccanismi di gestione e controllo degli stessi rischi e definire una chiara attribuzione delle responsabilita`, nel quadro del complessivo sistema dei controlli interni e della governance aziendale. E questo rischia di aumentare la ‘‘pressione’’ di auto/etero regolamentazione
che le imprese subiscono in misura sempre piu`
elevata. Basti pensare, ad esempio, a quanti e
quali modelli organizzativi e di gestione sono normalmente gia` implementati da un’impresa manifatturiera: dalla qualita` (ISO 9001) all’ambiente
(ISO 14001/EMAS), dall’efficienza energetica
(ISO 50001) alla sicurezza informatica (ISO
27001), dalla sicurezza sul lavoro (UNI-INAIL/
dello ERM e` finalizzato al conseguimento degli obiettivi
aziendali di natura strategica, operativa, di reporting e di
conformita` e presuppone che ogni componente dell’organizzazione aziendale ne abbia una responsabilita` fino al piu` alto livello manageriale, laddove il CdA assolve alla supervisione e contribuisce a determinare il livello di ‘‘rischio accettabile’’.
1953
Controlli fiscali – APPROFONDIMENTO
BS OHSAS 18001) al risk management (D.Lgs. n.
231/2001). Esistono gia`, peraltro, anche modelli
relativi alla gestione del rischio con finalita` fiscale
come le certificazioni AEO 8 che attestano l’affidabilita` comunitaria e lo status di Operatore Economico Autorizzato doganale e sono riconosciuti,
a seguito di apposito accertamento dell’Autorita`
doganale nazionale (per l’Italia l’Agenzia delle Dogane), a chi comprova il rispetto degli obblighi
doganali, il rispetto dei criteri previsti per il sistema contabile e la solvibilita` finanziaria. Per il riconoscimento dello status di AEO/sicurezza, inoltre, si deve dimostrare la rispondenza ad adeguate
norme di sicurezza. Il riconoscimento di ambedue i predetti status costituisce l’AEO/Full, il quale consente di ottenere tutti i benefici previsti dalla normativa, quali ad esempio: il piu` agevole accesso alle procedure semplificate e di domiciliazione, la semplificazione dei controlli di sicurezza, la priorita` di verifica in caso di controllo (e
in ogni caso piu` rapide operazioni doganali), la riduzione della quantita` di dati da fornire per la dichiarazione sommaria, ecc.
A fronte di tale complesso assetto regolamentare, sia nazionale che internazionale 9, i gruppi
d’impresa hanno attivato specifiche funzioni
aziendali con lo scopo di integrare i predetti
molteplici protocolli nell’ambito di un sistema
di controllo interno strutturato, moderno e costantemente monitorato, tale da fornire garanzie
sotto il profilo del risk management ma anche tale da costituire un asset fondamentale di competenze a sostegno della gestione operativa e del
perseguimento degli obiettivi di business, nel rispetto della mission aziendale e dei valori alla
stessa sottesi. In tal senso, si spiega come il noto
Modello ex D.Lgs. n. 231/2001, stante la sua pervasivita` in tutti i processi aziendali, rappresenta
un modello di organizzazione e di gestione che
puo` elevarsi sugli altri specifici ‘‘modelli’’ proponendosi quale collante naturale degli stessi, nonche´ strumento di controllo e di supervisione, cosı` da essere stato richiamato tra i requisiti necessari per aderire al progetto pilota dalla stessa
Agenzia delle Entrate.
8
Certificazioni introdotte dai Regolamenti (CE) n. 648/2005 e
n. 1875/2006, che modificano il Codice Doganale Comunitario (Reg. 2913/92) e le relative Disposizioni di Applicazione
(Reg. 2454/93).
9
Quale noto paradigma, basti solo citare il Sarbanes-Oxley
Act, la legge federale, conosciuta anche con il nome di Public Company Accounting Reform and Investor Protection
Act, emanata il 24 luglio 2002 dal governo USA, a seguito
di diversi scandali contabili che avevano coinvolto impor-
L’auspicio delle imprese, pertanto, e` che la emananda disciplina sulla gestione del rischio fiscale
sia abbastanza equilibrata e flessibile, in modo
da valorizzare gli sforzi eventualmente gia` fatti
in azienda per implementare un sistema di controllo interno moderno ed integrato e consentire
alle stesse di adeguarsi agevolmente alle nuove
regole, evitando di creare meccanismi che appaiano troppo complessi e costosi e favorendo
cosı` la piu` ampia adesione da parte dei contribuenti.
5. Esperienze degli altri Paesi
D’altra parte la prassi internazionale, da cui mutuare le risultanze delle esperienze piu` convincenti ed idonee per il nostro sistema fiscale, e`
molto vasta, infatti dal citato report OCSE del
2013 si evince che numerosi Paesi hanno gia`
adottato un modello formale di cooperative compliance 10 o lo stanno implementando, come la
Francia che nel novembre 2012 annuncio` un
programma pilota denominato La relation de
confiance entre l’administration fiscale et les entreprises da avviare nel marzo del 2013 e che,
tra le 27 imprese candidate, ha permesso di selezionare 11 societa` e dal mese di ottobre 2013 sono stati siglati i primi protocolli di sperimentazione. Il modello francese e` basato su forme
snelle di controllo preventivo alla dichiarazione dei redditi, a seguito del quale sussistono
quattro possibilita`: 1) non vi sono punti controversi e l’Amministrazione finanziaria si impegna
a non avviare verifiche; 2) alcuni elementi della
dichiarazione sono corretti e non si rendono applicabili sanzioni e interessi; 3) il contribuente e
l’Amministrazione hanno delle divergenze sull’interpretazione di norme del diritto tributario
e, in tal caso, puo` essere richiesto un ulteriore
esame, infine, persistendo il disaccordo e rendendosi necessari le normali verifiche, le due
parti si impegnano a risolvere tali questioni il
piu` rapidamente possibile nella reciproca trasparenza; 4) il contribuente e l’Amministrazione
tanti aziende. La legge che, garantisce una migliore corporate governance, la trasparenza delle scritture contabili e istituisce il consiglio di vigilanza sui bilanci delle aziende quotate, e`, secondo alcuni studiosi, uno degli atti governativi
piu` significativi in campo economico dai tempi del New
Deal.
10
Australia, Danimarca, Irlanda, Giappone, Nuova Zelanda,
Paesi Bassi, Singapore, Slovenia, Sud Africa, Spagna, Svezia, UK e USA.
20/2014
1954
APPROFONDIMENTO – Controlli fiscali
constatano che sussistono divergenze insanabili
e, pertanto, i loro rapporti vengono di nuovo ad
essere retti dalle normali procedure di controllo
e di contenzioso.
Anche altri Paesi, che non hanno ancora adottato formali modelli, stanno tuttavia da anni sperimentando altre modalita` di cooperazione, e` il caso della Germania in cui vari Lander hanno introdotto misure volte ad accrescere la compliance. Tra gli altri, il Land dell’Assia offre la possibilita` di definire, tramite un accordo tra contribuente e Amministrazione che tiene conto delle
caratteristiche strutturali dell’impresa, varie
modalita` di adempimento collaborativo: ad
esempio, ‘‘veloci’’ verifiche annuali con l’obiettivo di identificare le eventuali divergenze e, possibilmente, comporle prima della dichiarazione
dei redditi attraverso una sorta di interpello contestuale al controllo, in modo da fugare all’origine l’applicazione di sanzioni ed interessi. Questo
modello si basa sui seguenti principi: 1) accesso
preventivo ai dati (in accordo con l’Autorita` fiscale) e fornitura di tutte le informazioni utili
ai fini fiscali all’avvio del controllo; 2) accordo
preventivo sulla realizzazione e sulla tempistica
del controllo e identificazione di key contact
aziendali, prevedendosi anche incontri intermedi con i business managers. I vantaggi principali
per il contribuente sono: l’individuazione anticipata delle criticita` fiscali; la certezza legale in
merito alle questioni di imposte sui redditi; la ottimale previsione dell’onere fiscale; nessuna riapertura delle verifiche relative agli esercizi precedenti; la rapida risposta dell’autorita` su dubbi
e quesiti fiscali della societa` e la possibilita` di discutere progetti aventi rilevanza fiscale (ad es. ristrutturazioni aziendali). I vantaggi per l’Autorita` fiscale sono: l’individuazione anticipata delle
criticita` fiscali; la riduzione del lavoro amministrativo e un risparmio di tempo; il miglioramento delle relazioni con il contribuente in sede di
controllo; la riconciliazione anticipata delle questioni valutative, in particolare in tema di prezzi
di trasferimento; infine, la maggiore affidabilita`
del budget statale.
11
La questione e` molto rilevante se solo si considera la tematica del raddoppio dei termini di accertamento prevista dal
terzo comma dell’art. 57 del D.P.R. n. 633/1972, aggiunto,
con decorrenza dal 4 luglio 2006, dall’art. 37, comma 25,
del D.L. n. 223/2006, convertito dalla L. n. 248/2006, in caso
20/2014
6. Caratteristiche del nuovo modello
e aspettative delle imprese
Sulla base delle esperienze estere, pertanto, si puo`
ritenere che l’introduzione di un modello formale
in Italia debba prevedere alcuni punti essenziali
per configurare l’esistenza di un tax control framework nell’impresa, quali: il Codice Etico aziendale; la presenza di una figura responsabile per la
tax governance; l’implementazione di idonee policy e procedure al fine di regolare, nell’ottica del
tax risk management, i processi che influenzano
le scelte fiscali e lo stesso processo di gestione degli adempimenti fiscali, nonche´ per tracciare e
rendere trasparente il processo decisionale sugli
aspetti fiscali delle operazioni piu` significative e
la relativa attivita` di assessment interno. A fronte
di cio`, l’Agenzia delle Entrate potrebbe avviare
forme semplificate di controllo ex ante approfittando anche dell’attivita` svolta dai vari organi
di controllo statutario o legale sulla gestione e sulla documentazione finanziaria delle societa`. Alcuni accorgimenti tecnologici potrebbero, al riguardo, essere sperimentati per agevolare la messa a
disposizione delle informazioni da parte delle imprese: in ipotesi, tutta la documentazione aziendale rilevante, come quella di supporto ai prezzi
di trasferimento (masterfile, documentazione nazionale) o quella ad essa sottostante (contratti, delibere, valutazioni, ecc.), potrebbe essere resa disponibile all’Agenzia delle Entrate tramite siti
web dedicati o altri strumenti di accessibilita` in
connessione remota. Le aspettative delle imprese
che volessero aderire al nuovo modello di relazione con l’Amministrazione finanziaria, di contro,
presumibilmente verteranno su: la valorizzazione
del proprio sistema di controllo interno; l’accrescimento delle competenze interne; la maggiore
standardizzazione dei meccanismi di presidio
della compliance; la concreta riduzione dei costi
complessivi della compliance fiscale; l’esecuzione
tempestiva dei rimborsi di imposte (dirette o indirette); la eliminazione dell’incertezza sui tempi di
decadenza dell’azione accertatrice ed il loro accorciamento 11; infine, la disapplicazione delle
sanzioni amministrative estesa a fattispecie ulteriori rispetto a quelle dei prezzi di trasferimento
e, soprattutto, la disponibilita` e l’accesso a nuovi
di violazione che comporta l’obbligo di denuncia ai sensi
dell’art. 331 c.p.p., quindi nel caso in cui sia riscontrato
uno dei reati tributari previsti dal D.Lgs. 10 marzo 2000,
n. 74.
1955
Controlli fiscali – APPROFONDIMENTO
e piu` snelli strumenti di ‘‘certezza preventiva’’
per rappresentare e validare le operazioni, gli accordi ed i flussi intercompany piu` rilevanti 12.
Quest’ultimo aspetto, in particolare, risultera` decisivo ai fini dell’accoglimento del nuovo modello
da parte delle imprese e, quindi, del successo sia
della sperimentazione in corso che della nuova disciplina nel suo complesso. Infatti, stanti le condizioni di permanente trasparenza e di costante disclosure che il nuovo modello richiede, non possono non essere garantite alle imprese aderenti
procedure facilitate e preferenziali sia di ‘‘interpello’’ che di ruling di standard internazionale. In tal senso, infatti, il comma 2 della legge
delega si esprime chiaramente, laddove prevede
per i contribuenti la riduzione delle eventuali
sanzioni, nonche´ forme specifiche di interpello
preventivo con procedura abbreviata. La norma delegante fa, altresı`, un interessante richiamo
ai criteri di limitazione della responsabilita` dell’impresa previsti dal decreto legislativo sulla responsabilita` degli enti, il n. 231/2001, in base ai
quali non e` sanzionabile l’ente che preventivamente abbia adottato ed efficacemente attuato
un modello di organizzazione, gestione e controllo idoneo a prevenire i reati commessi dai suoi
esponenti e che, nel caso di soggetti apicali, sia
stato fraudolentemente aggirato. Se ne deduce
che, per garantire una valida esimente dalle sanzioni, il sistema di gestione del rischio fiscale debba essere ispirato (in senso lato) a criteri analoghi, cioe` contempli un risk assessment per identificare le aree di rischio nei processi aziendali, preveda specifici controlli e adotti sanzioni disciplinari per il mancato rispetto delle misure indicate
dal modello medesimo: ovviamente, tale condizione e` di per se´ realizzata allorquando il sistema
di controllo interno aziendale integri efficacemente sia un Modello 231 che un tax control framework.
La delega tuttavia, nei commi 3 e 4, va oltre la
prospettiva relativa ai cd. grandi contribuenti, oggetto del progetto pilota dell’Agenzia delle Entrate, e prevede la revisione e l’ampliamento del sistema di tutoraggio anche per le imprese di minori dimensioni, al fine di garantire l’assistenza per
l’assolvimento degli adempimenti e la riduzione
degli adempimenti stessi, quale incentivo ‘‘premiale’’ ai soggetti che aderiranno a tale tutoraggio 13. Queste ultime norme introducono un elemento di novita` che si prospetta di grande portata
innovativa: infatti, la stragrande maggioranza delle imprese e` costituita da soggetti non ‘‘grandi’’ e
percio` il nuovo sistema deve rendersi applicabile
con riguardo particolare ai soggetti di ‘‘minori dimensioni’’ ed anche alle ditte individuali, cioe`
proprio quei soggetti per i quali la compliance fiscale risulta, di fatto, molto complicata e troppo
costosa. A differenza dell’attuale tutoraggio sui
grandi contribuenti, il nuovo meccanismo operera` su base volontaria e per questo viene introdotto l’elemento ‘‘premiale’’ della riduzione degli
adempimenti 14, oltre a dover garantire l’obiettivo
principale della delega che e` rappresentato dal fine di garantire ‘‘assistenza’’ ai contribuenti. Si vede bene come, a differenza dei modelli di gestione
del rischio fiscale previsti per i grandi contribuenti, in questo caso la prospettiva e` giustamente rovesciata: sara` l’Amministrazione finanziaria a fare il primo passo, ad attuare uno sforzo organizzativo importante per offrire un servizio ad una
platea di imprese potenzialmente molto vasta;
giustappunto la delega, tra le varie possibilita`, indica espressamente l’invio ai contribuenti di modelli precompilati della dichiarazione dei redditi. In realta`, la finalita` perseguita dalla norma e`
ancora piu` ambiziosa, nel senso che l’assistenza
ai contribuenti e` finalizzata nel breve periodo a
far loro meglio assolvere gli adempimenti, ma anche nel lungo periodo ad assisterli per consolidare
i processi di gestione fiscale in funzione della crescita dell’impresa, tenendo conto delle sue caratteristiche strutturali. Quindi, il nuovo tutoraggio
si pone l’obiettivo di accompagnare l’impresa di
minori dimensioni nel suo auspicato percorso di
sviluppo dando un contributo non facilmente
quantificabile in termini economici, ma imme-
12
L’esigenza di introdurre misure fiscali che possano garantire ‘‘certezza preventiva’’ alle scelte delle imprese era stata,
peraltro, ben evidenziata e fatta propria gia` nel Piano Destinazione Italia, presentato dal Governo nel settembre 2013.
14
13
Cfr. le modalita` di assistenza gratuita e di monitoraggio previste dal regime fiscale agevolato opzionale istituito a favore
delle nuove iniziative produttive dall’art. 13 della L. n. 388/
2000 (c.d. forfettino).
7. Soggetti di minori dimensioni
E non anche, come i soggetti di grandi dimensioni, la riduzione delle sanzioni e forme specifiche di interpello, stante
la differenza di struttura tra i modelli di governance fiscale
richiesti a quei soggetti rispetto al nuovo sistema di tutoraggio allargato.
20/2014
1956
APPROFONDIMENTO – Controlli fiscali
diatamente percepibile dal punto di vista dello
sviluppo delle competenze professionali e dell’organizzazione aziendale. Le prime osservazioni
critiche che si possono formulare su questi aspetti
della delega sono almeno due: la prima e` che l’Agenzia delle Entrate dovra` dare prova di grande
capacita` organizzativa e la seconda e` che i contribuenti che aderiranno, al di la` di godere di semplificazioni negli adempimenti, saranno comunque impegnati ad attuare processi aziendali che
assicurino l’accessibilita` delle informazioni e
la trasparenza ai fini fiscali. A margine della prima osservazione, invero, va segnalato che una
prima valutazione sugli impatti organizzativi
sembra sottesa alla delega laddove, nel comma
1, si prevede un rafforzamento delle strutture dell’Amministrazione finanziaria facendo ricorso alle risorse disponibili nelle altre Pubbliche amministrazioni.
8. Conclusioni
La previsione di un nuovo modello di relazione
tra Fisco e contribuenti emerge come uno degli
obiettivi piu` importanti della legge delega; obiettivo che, come abbiamo visto, e` perseguito con modalita` analoghe e spesso convergenti dai piu` importanti Paesi industrializzati. Infatti, la cooperazione tra Amministrazione finanziaria e contribuente e il volontario adempimento da parte di
quest’ultimo rivestono un ruolo fondamentale
nella strategie delle Autorita` fiscali. Si noti, al ri15
Si veda, ad esempio, P. Valente, I. Hayes e D. Barmentlo, Il
Model Taxpayer Charter: Statuto dei Diritti e dei Doveri del
20/2014
guardo, come il rapporto sulla Co-operative compliance: a framework sia stato diffuso nel 2013, allorquando lo stesso OCSE, nel contesto degli interventi finalizzati a contrastare i fenomeni di
erosione della base imponibile, a febbraio 2013
aveva pubblicato il Rapporto BEPS, seguito dal
relativo Action Plan nel mese di luglio. Peraltro,
la maggiore consapevolezza dell’importanza di
gestire in modo strutturato il rischio fiscale da
parte delle imprese e il crescente supporto della
prassi professionale hanno alimentato il dibattito
internazionale e favorito anche l’avvio di interessanti iniziative 15.
In questo contesto, e` evidente quanto lo sviluppo
di un nuovo modello di relazione tra contribuenti
e Amministrazione finanziaria sia oggigiorno una
necessita` di sistema che, quindi, va affrontata
avendo riguardo alle esigenze di rafforzamento
e di crescita delle imprese italiane. Queste ultime, da una parte, devono rafforzare le proprie capacita` di risk management e devono poter disporre di adeguati modelli di governance anche in
ambito fiscale, d’altra parte, devono poter fare affidamento su un sistema fiscale efficiente che
contenga allo stretto necessario i costi della compliance. Per questo, e` fortemente auspicabile l’attuazione dei meccanismi previsti della delega in
tempi solleciti, ma piu` ancora un’ampia e convinta adesione da parte delle imprese: sara` un processo impegnativo di cambiamento culturale, comunque utile nell’ottica della maggiore competitivita` del Paese.
Contribuente, Cooperazione con il Fisco tra Tax Governance
e Tax Compliance, in ‘‘il fisco’’ n. 36/2013, pag. 5570.
1957
APPROFONDIMENTO
La gestione del rischio fiscale:
il nuovo rapporto Fisco-Impresa
di Benedetto Santacroce (*) e Luigi Fruscione (*)
Con l’approvazione della legge n. 23/2014 il legislatore intende attrarre l’attenzione delle imprese sullo sviluppo effettivo di sistemi attraverso i
quali realizzare un nuovo rapporto di collaborazione con l’Amministrazione finanziaria il cui fulcro sara` rappresentato dallo strumento della gestione del rischio fiscale. La disposizione avra` un
impatto rilevante per le imprese in considerazione degli aspetti premiali che essa contiene e che
rappresentano un incentivo di sicuro interesse.
A cio` si aggiunga che essa puo` diventare anche
uno strumento di concorrenza tra imprese in
quanto il soggetto collettivo che avra` ben strutturato il proprio sistema di gestione del rischio fiscale e, quindi, avra` instaurato un rapporto cooperativo con l’Amministrazione finanziaria, si
porra` anche all’esterno quale impresa profondamente affidabile.
(*)
Avvocato in Roma e Milano.
1
Relazione al disegno di legge concernente delega la governo
recante disposizioni per un sistema fiscale piu` equo, trasparente e orientato alla crescita - http://www.governo.it/backoffice/allegati/67637-7791.pdf ‘‘Un primo punto importante
e` quello di dare maggior certezza al nostro sistema tributario. Mutamenti frequenti e incisivi nel sistema tributario
non solo generano costi aggiuntivi di adempimento (connessi con l’apprendimento delle nuove norme, l’instaurazione
delle nuove procedure, gli inevitabili dubbi interpretativi
iniziali, l’insorgere di qualche contenzioso, ecc.) ma modificano anche le convenienze relative su cui erano basate le decisioni prese in passato, e soprattutto generano incertezza.
Troppo spesso, nel recente passato, si sono avuti cambiamenti piuttosto radicali su aspetti strutturali del nostro sistema fiscale, con effetti negativi sulla credibilita` e sulla stabilita` di medio-lungo periodo della politica tributaria’’.
1. Premessa
L’approvazione della L. n. 23/2014, in tema di delega al Governo per un sistema fiscale piu` equo,
trasparente ed orientato alla crescita, rappresenta, senza alcun dubbio, uno di quei provvedimenti
normativi di profonda trasformazione del sistema
amministrativo italiano; infatti cio` che si prevede
di realizzare non e` solo la certezza del nostro sistema tributario 1, ma anche un nuovo rapporto
tra Fisco ed impresa-contribuente improntato
non al controllo finalizzato ad una eventuale contestazione ma, bensı`, volto ad instaurare una collaborazione, attiva e trasparente, tra le parti 2-3.
I predetti obiettivi sono ritenuti di natura strategica per il Paese infatti, nella relazione al disegno di
legge approvato, si evidenzia come ‘‘L’incertezza
in campo fiscale, come l’incertezza in altri campi,
e` deleteria per le decisioni di investimento e quin2
Tale nuovo rapporto, con il passare del tempo, ha trovato applicazione, ad esempio, con il cd. provvedimento cd. Destinazione Italia che, alla Misura 1 - Collaborazione piu` stretta tra
fisco ed investitori. Accordi fiscali (Tax agreements) e desk dedicato -, prevede: ‘‘Problema/opportunita`: Chi investe ha bisogno di un sistema certo e prevedibile. Occorre favorire un’interlocuzione rapida e in grado di garantire certezze agli investitori interessati al nostro Paese, basata su accordi ex ante.
Soluzione: introdurre, nel rispetto della disciplina dell’Unione europea in materia di pari trattamento degli investitori
nazionali ed esteri e di aiuti di Stato, una pratica di accordi
fiscali (tax agreements) per investimenti superiori a una certa soglia, con cui l’impresa e l’Agenzia delle Entrate concordano in via preventiva e non modificabile le modalita` fiscali
per un periodo definito (ad esempio, i primi cinque anni dall’investimento), dando certezza sugli oneri tributari in capo
agli investitori. Il nuovo regime sara` definito anche a partire
dal progetto pilota del ‘‘Regime di adempimento collaborati-
20/2014
1958
APPROFONDIMENTO – Controlli fiscali
di per la crescita. Il rischio e` in qualche modo misurabile, e in fondo la gestione del rischio e` al
cuore dell’attivita` dell’imprenditore, fa parte del
suo ‘‘mestiere’’. L’incertezza, invece, e` l’ignoto, e`
qualcosa da cui rifuggire: si rimanda l’investimento, o lo si localizza altrove. Stabilita` e certezza
nell’ordinamento fiscale, ivi inclusa l’interpretazione delle norme e l’attivita` giurisdizionale, sono
fattori importanti nella competizione fiscale tra
Stati, almeno quanto il livello effettivo di tassazione’’ 4.
La legge approvata stabilisce che, nella definizione del nuovo rapporto che dovra` instaurarsi tra
Fisco ed impresa, il Governo dovra` dare attuazione al principio della cosiddetta enhanced relationship gia` enunciato dall’OCSE.
Sulla necessita` di procedere su questa linea da
parte degli Stati si era gia` soffermata l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE) che, anche da ultimo, con il Framework from Enhanced Relationship to Co-Operative
Compliance del 2013, pone l’accento sulla rilevanza della compliance fiscale cooperativa.
La relazione al disegno di legge, ora legge, fa propria la necessita` di un radicale cambio di approccio ai rapporti tra Fisco ed impresa cosı`
come, ormai, sta avvenendo in diversi Paesi del
mondo (tra cui Inghilterra, Olanda, Norvegia,
vo per i grandi contribuenti’’ (cooperative compliance) avviato dall’Agenzia delle Entrate’’.
3
In Italia la volonta` di modificare il rapporto tra Fisco ed imprese ha ricevuto una importante accelerazione nel 2013
con il progetto pilota predisposto dall’Agenzia delle Entrate
e diretto ai grandi contribuenti: ‘‘Il nuovo regime dovra` prevedere un impegno effettivo del contribuente ad assumere
comportamenti orientati alla compliance e a fornire volontariamente, o a richiesta, informazioni complete e tempestive
sulle transazioni che presentano maggiori rischi fiscali o che
possano suscitare potenziali divergenze interpretative. A
fronte di un incremento di trasparenza, l’Agenzia, di contro,
dovra` assumere un concreto impegno a rispondere alle esigenze del contribuente e a consentire la risoluzione delle
questioni fiscali di piu` ampio rilievo in maniera tempestiva
ed equilibrata. In estrema sintesi, l’idea che sorregge l’adozione del progetto e` quella di verificare la possibilita` di introdurre un approccio al controllo ex ante, rispetto al tradizionale intervento ex post, con positivi impatti sul livello di
compliance del contribuente e sulle sue esigenze di certezza
e stabilita`, nonche´ a fornire elementi utili per introdurre appositi provvedimenti attuativi del regime’’.
La L. n. 2/2009 la quale prevede che ‘‘Si considerano imprese
di piu` rilevante dimensione quelle che conseguono un volume d’affari o ricavi non inferiori a trecento milioni di euro.
Tale importo e` gradualmente diminuito fino a cento milioni
di euro entro il 31 dicembre 2011. Le modalita` della riduzione sono stabilite con provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle entrate, tenuto conto delle esigenze organizzative
20/2014
Russia, Spagna, Svezia, Stati Uniti) 5-6; non e`
quindi un caso che il nostro legislatore evidenzi
come ‘‘Le esperienze di altri Paesi dimostrano la
validita` di relazioni collaborative tra fisco e contribuenti, nonche´ con i consulenti fiscali, atteso
il ruolo di intermediazione da essi svolto. La costruzione di un migliore rapporto tra le parti contribuisce alla creazione di un quadro ordinamentale piu` affidabile, in grado di favorire gli investimenti delle imprese’’ 7.
Da qui risultano chiare, ferme e decise le indicazioni fornite dal legislatore in base alle quali ‘‘In
questo contesto, diventa cruciale la costruzione
di un migliore rapporto fisco-contribuenti (‘‘enhanced relationship’’), basato su dialogo, fiducia
reciproca, collaborazione, piuttosto che sul confronto conflittuale’’ 8.
Ma quali sono le imprese soggette al sistema di
controllo del rischio fiscale?
La norma di cui all’art. 6, comma 1, fa riferimento
ai ‘‘soggetti di maggiori dimensioni’’ che potrebbero, ma andra` verificato, coincidere con il concetto
di ‘‘grande contribuente’’ (criterio indicato dall’Agenzia delle Entrate nell’ambito del Progetto
pilota) 9 oppure si potrebbe ampliare l’ambito
dei destinatari indicando un indice diverso da
quello di cui alla L. n. 2/2009.
Posto tale quadro generale, particolarmente rileconnesse all’attuazione del comma 9’’.
4
Relazione al disegno di legge concernente delega al governo
recante disposizioni per un sistema fiscale piu` equo, trasparente e orientato alla crescita http://www.governo.it/backoffice/allegati/67637-7791.pdf.
5
Sul punto si veda OCDE, Framework from Enhanced Relationship to Co-Operative Compliance, 2013, pagg. 21-22.
6
Per un approfondimento sulla compliance fiscale negli altri
Paesi si rinvia a B. Ferroni, Cooperative compliance, governance aziendale e tutoraggio, in questo numero della Rivista,
pag. 1950.
7
Relazione al disegno di legge concernente delega la governo
recante disposizioni per un sistema fiscale piu` equo, trasparente e orientato alla crescita - http://www.governo.it/backoffice/allegati/67637-7791.pdf.
8
Relazione al disegno di legge concernente delega la governo
recante disposizioni per un sistema fiscale piu` equo, trasparente e orientato alla crescita - http://www.governo.it/backoffice/allegati/67637-7791.pdf
9
http://www.agenziaentrate.gov.it/wps/content/nsilib/nsi/documentazione/regime+di+adempimento+collaborativo++grandi+contribuenti: ‘‘Rientra nella qualifica di <grande
contribuente> l’impresa che ha conseguito, per l’anno d’imposta 2011, un volume d’affari o ricavi non inferiore a 100
milioni di euro’’.
1959
Controlli fiscali – APPROFONDIMENTO
vante e` la disposizione contenuta nell’art. 6 della
L. n. 23/2014 avente ad oggetto la ‘‘Gestione del rischio fiscale, governance aziendale e tutoraggio’’.
Le linee di intervento fissate nel provvedimento che da un lato fissano la necessita` di procedere all’instaurazione di un nuovo rapporto tra Amministrazione finanziaria ed impresa-contribuente e,
dall’altro, pongono il tema della gestione del rischio fiscale 10 - non rappresentano linee parallele
che, per definizione, non si incroceranno mai, ma
viceversa, sono linee che partono gia` intrecciate
tra loro; infatti la richiesta all’impresa di gestire
il proprio rischio fiscale rappresenta la base per
poter creare quel nuovo rapporto tra soggetto collettivo e Fisco ‘‘basato su dialogo, fiducia reciproca, collaborazione’’ 11.
2. Effettivita` del sistema
di controllo del rischio fiscale
Quindi, sul versante impresa, al fine di poter instaurare con l’Amministrazione finanziaria quel
rapporto collaborativo (rectius cooperativo) di
cui alla normativa, e` necessario che si predisponga, o si rafforzi, un sistema di controllo interno
del rischio fiscale.
Una prima riflessione, volta a sgombrare immediatamente il campo da ogni possibile equivoco,
e` relativa alla effettivita` che il sistema di controllo
dovra` avere.
Nel nostro Paese veniamo da esperienze sui sistemi di gestione del rischio che, molto faticosamente, si stanno applicando nelle imprese come nel
caso del modello organizzativo previsto dal
D.Lgs. n. 231/2001.
10
L. n. 23/2014, art. 6, comma 1 ‘‘Il Governo e` delegato ad introdurre, con i decreti legislativi di cui all’articolo 1, norme
che prevedano forme di comunicazione e di cooperazione
rafforzata, anche in termini preventivi rispetto alle scadenze
fiscali, tra le imprese e l’amministrazione finanziaria, nonche´, per i soggetti di maggiori dimensioni, la previsione di
sistemi aziendali strutturati di gestione e di controllo del rischio fiscale, con una chiara attribuzione di responsabilita`
nel quadro del complessivo sistema dei controlli interni,
prevedendo a tali fini l’organizzazione di adeguate strutture
dell’amministrazione finanziaria dedicate alle predette attivita` di comunicazione e cooperazione, facendo ricorso alle
strutture e alle professionalita` gia` esistenti nell’ambito delle
amministrazioni pubbliche’’.
11
Per un approfondimento sulle aspettative delle imprese si
rinvia a B. Ferroni, Cooperative compliance, governance
aziendale e tutoraggio, in questo numero della Rivista, pag.
1950.
12
Servizio Studi - Dipartimento finanze - Delega al Governo
L’obiettivo perseguito dal legislatore, con il varo
della normativa sulla responsabilita` amministrativa delle societa`, era quello di far sı` che i
soggetti collettivi si dotassero di strumenti di controllo (protocolli, organismo di vigilanza, flussi
informativi, ecc.) effettivamente idonei a prevenire la commissione di determinati reati e non di
documenti formali e non attuati all’interno dell’impresa 12.
Preme questa valutazione in quanto l’approccio
con il sistema di gestione del rischio fiscale non
potra` assolutamente essere gestito con dinamiche
formali e non finalizzate, quindi, ad ottenere dei
benefici di natura gestionale e strategica; infatti
la differenza tra il sistema di controllo di cui al
D.Lgs. n. 231/2001 e quello tratteggiato nella L.
n. 23/2014 risiede in una rilevantissima circostanza operativa: mentre il primo e` oggetto di valutazione da parte dell’Autorita` giudiziaria esclusivamente in caso in cui si verifichi uno dei reati indicati nel decreto, il sistema di controllo sul rischio
fiscale, invece, si basa sul principio esattamente
opposto: la continua relazione tra i servizi specificatamente preposti dall’Agenzia delle Entrate 13 a
tale nuovo rapporto con il contribuente e i responsabili del predetto sistema di controllo all’interno dell’impresa.
Per far comprendere in maniera ancora piu` chiara l’assunto, e per continuare un parallelo tra il
D.Lgs. n. 231/2001 e la L. n. 23/2014, e` come se
per il primo fosse stato previsto un continuo raffronto tra l’OdV con appositi servizi dell’Autorita`
giudiziaria circa il funzionamento, l’affidabilita`
e la trasparenza del modello organizzativo.
Su questo punto, infatti, occorre essere chiari fin
da queste prime disposizioni normative sul rirecante disposizioni per un sistema fiscale piu` equo, trasparente e orientato alla crescita A.C. 5291 - http://documenti.camera.it/leg16/dossier/testi/FI0698.htm: ‘‘In dottrina e` stato
osservato che la necessita` di creare modelli organizzativi per
evitare l’applicazione di sanzioni in relazione a comportamenti illeciti sempre piu` comuni (quali i reati connessi
con la sicurezza del lavoro) e` stata interpretata dalle imprese e dagli enti interessati prevalentemente in modo negativo,
quale ulteriore adempimento generatore di costi e responsabilita` di cui se ne poteva fare certamente a meno. Questo
modo di interpretare la normativa ha portato le stesse a
creare modelli organizzativi ‘‘di facciata’’ senza vedere in
questi alcuna utilita` diretta sul piano gestionale e strategico.
La giurisprudenza, con sanzioni gravi, ha punito questo tipo
di approccio disattendendo il modello, in quanto non creato
a misura sull’impresa, ma copiato da un prototipo soggettivamente inefficace’’.
13
Si veda L. n. 23/2014, art. 6, comma 1, riportato nella nota n.
10.
20/2014
1960
APPROFONDIMENTO – Controlli fiscali
schio fiscale: non sara` assolutamente possibile
predisporre un sistema di controllo di facciata o
non effettivamente finalizzato alla gestione efficace del rischio fiscale.
3. Definizione del rischio fiscale
Ma cosa si intende per ‘‘rischio fiscale’’?
Una esatta definizione e` evidenziata dallo stesso
legislatore che, nella relazione al disegno di legge
- ora L. n. 23/2014 lo individua quale rischio di
‘‘assolvimento degli obblighi fiscali’’.
Tale definizione ci chiarisce l’ambito di applicazione del sistema di controllo che, quindi, dovra`
avere quale proprio obiettivo quello di far sı` che
tutti gli obblighi fiscali gravanti sull’impresa siano assolti in conformita` alle disposizioni che li
prevedono.
Riflesso operativo di tale impostazione e` che occorrera` predisporre, da parte dell’impresa, quale
primo adempimento, procedure di gestione dei
processi di individuazione, predisposizione ed
adempimento degli obblighi tributari, in tema di
imposte dirette ed indirette, per poi determinare,
quale secondo step, le relative procedure di controllo sullo stile di quelle previste per i protocolli
ex Modello organizzativo previsto dal D.Lgs. n.
231/2001 14.
Considerando che andra` sottoposto a procedure
(gestionali e di controllo) anche il processo di elaborazione e di tenuta della contabilita`, appare evidente un ulteriore dato: il sistema di gestione del
rischio fiscale non riguarda esclusivamente la
funzione fiscale ma ogni funzione aziendale che
possa originare un dato rilevante ai fini dell’assolvimento degli obblighi fiscali.
A cio` si aggiunga che sarebbe auspicabile, per determinare il livello di importanza del sistema per
l’impresa, che il vertice aziendale elaborasse ed
approvasse sia un codice etico per la gestione
del rischio fiscale che una sorta di documento
di politica fiscale con regole ed obiettivi da perseguire nel corso dell’anno.
Su tale sistema si dovrebbe andare ad innestare la
14
Per un approfondimento sulle caratteristiche del nuovo modello si rinvia a B. Ferroni, Cooperative compliance, governance aziendale e tutoraggio, in questo numero della Rivista,
pag. 1950.
15
Obiettivo del progetto e` l’individuazione, ‘‘in collaborazione
con i contribuenti, [di] elementi utili alla successiva definizione delle caratteristiche che dovranno ispirare il nuovo
rapporto e che consenta un’evoluzione dell’attuale attivita`
di tutoraggio, prevista per il suddetto segmento di contri-
20/2014
parte di Co-Operative Compliance elaborato dall’Amministrazione finanziaria (in base alle linee
elaborate in sede di progetto pilota attualmente
in atto).
In tale ottica l’importanza del modello organizzativo, previsto nel D.Lgs. n. 231/2001, anche in
un’ottica di gestione del rischio fiscale, appare
evidente anche se solo si considera che, quale
condizione di accesso al progetto pilota 15 previsto dall’Agenzia delle Entrate per le imprese grandi contribuenti, si prevedeva proprio l’aver adottato tale sistema di gestione del rischio o, in alternativa, un sistema di gestione e controllo del rischio fiscale (cd. Tax Control Framework).
A quanto evidenziato si aggiungano le osservazioni elaborate dal Servizio Studi - Dipartimento finanze - della Camera dei Deputati nel dossier di
documentazione proprio sul disegno di legge relativo alla delega fiscale ‘‘I modelli organizzativi di
cui alla citata normativa [D.Lgs. n. 231/2001 N.d.A.] possono essere inquadrati a fondamento
di un sistema integrato di controlli che consentano di gestire in modo efficiente e puntuale qualsiasi forma di rischio (compreso quello fiscale),
offrendo all’imprenditore, ai soci e alla governance aziendale un vero e proprio sistema capace di
monitorare l’attivita` dell’impresa’’ 16.
In considerazione della volonta` espressa dal legislatore di modificare in maniera sensibile il rapporto tra Amministrazione finanziaria ed impresa-contribuente, la L. n. 23/2014, che ricordiamo
e` di delega al Governo, individua con carattere
di novita`, tra gli elementi su cui intervenire, la definizione di un ampio sistema premiale per
quelle imprese che adotteranno sistemi di gestione e controllo del rischio fiscale basati su minori
adempimenti da un lato e minori sanzioni dall’altro; infatti se l’art. 6, comma 1, stabilisce che
‘‘il Governo e` altresı` delegato a prevedere, nell’introduzione delle norme di cui al comma 1, incentivi sotto forma di minori adempimenti per i contribuenti e di riduzioni delle eventuali sanzioni,
anche in relazione alla disciplina da introdurre
ai sensi dell’articolo 8 e ai criteri di limitazione
e di esclusione della responsabilita` previsti dal debuenti (art. 27, commi da 9 a 12, del D.L. n. 185/2008 convertito dall’art. 1 della L. n. 2/2009), in un programma piu`
avanzato e coerente con le recenti indicazioni fornite in sede
OCSE’’ (http://www.agenziaentrate.gov.it).
16
Servizio Studi - Dipartimento finanze - Delega al Governo
recante disposizioni per un sistema fiscale piu` equo, trasparente e orientato alla crescita A.C. 5291 - http://documenti.camera.it/leg16/dossier/testi/FI0698.htm.
1961
Controlli fiscali – APPROFONDIMENTO
creto legislativo 8 giugno 2001, n. 231, nonche´
forme specifiche di interpello preventivo con procedura abbreviata’’, l’art. 8, relativo alla ridefinizione del sistema sanzionatorio, invece stabilisce
che ‘‘il Governo e` delegato a procedere, con i decreti legislativi di cui all’articolo 1, alla revisione
del sistema sanzionatorio penale tributario secondo criteri di predeterminazione e di proporzionalita` rispetto alla gravita` dei comportamenti, prevedendo: ... l’efficacia attenuante o esimente dell’adesione alle forme di comunicazione e di cooperazione rafforzata di cui all’articolo 6, comma
1’’.
L’introduzione di tali disposizioni e` sicuramente
di notevole interesse in quanto attraverso di esse
il legislatore intende attrarre l’attenzione delle im-
prese allo sviluppo effettivo di sistemi attraverso i
quali realizzare il nuovo rapporto con l’Amministrazione finanziaria.
Il provvedimento avra` un impatto sicuramente rilevante per le imprese in considerazione degli
aspetti premiali che esso contiene e che rappresentano senza ombra dubbio un incentivo di sicuro interesse.
A cio` si aggiunga che esso puo` diventare anche
uno strumento di concorrenza tra imprese in
quanto il soggetto collettivo che avra` ben strutturato il proprio sistema di gestione del rischio fiscale e, quindi, avra` instaurato un rapporto cooperativo con l’Amministrazione finanziaria, si
porra` anche all’esterno quale impresa profondamente affidabile.
20/2014
1962
APPROFONDIMENTO
Aumento dell’aliquota
delle rendite finanziarie:
effetti e regime transitorio
di Marco Piazza (*) e Marcella Valsecchi (**)
Dal 1º luglio 2014, l’aliquota ‘‘normale’’ delle ritenute e delle imposte sostitutive sui redditi di natura finanziaria passa dal 20% al 26%. Restano invariate le aliquote speciali, come quella del
12,5% sui titoli pubblici italiani ed esteri white list,
che – con l’occasione - viene estesa a quelli degli
enti territoriali esteri white list. Il passaggio di regime avverra` con meccanismi simili a quelli sperimentati in occasione dell’unificazione delle aliquote avvenuta il 1º gennaio 2012. E` prevista la
possibilita` di affrancare le plusvalenze e le minusvalenze non realizzate alla data del 30 giugno
2014.
aliquote (unificazione al 20% delle aliquote del
12,5% e del 27%) 2. Valgono, quindi, i chiarimenti
di prassi e dottrina forniti in quell’occasione (in
particolare con la circolare n. 11/E del 28 marzo
2012).
Inoltre, l’art. 4 del Decreto prevede che si applicano, in quanto compatibili, i decreti attuativi del
MEF del 13 dicembre 2011, nonche´ le eventuali
integrazioni che venissero apportate agli stessi.
2. Modifica aliquote
Il D.L. 24 aprile 2014, n. 66, ‘‘Spending review’’
(‘‘Decreto’’), aumenta, dal 1º luglio 2014, al 26%
l’aliquota dell’imposta sostitutiva e delle ritenute
sui redditi di natura finanziaria attualmente fissata al 20% e corregge alcuni difetti di coordinamento contenuti nella norma vigente 1.
Il Decreto ripropone, con poche varianti, il testo
della precedente legge di modifica del livello delle
La regola generale, stabilita dall’art. 3, comma 1
del Decreto, e` che per le ritenute, le imposte sostitutive sugli interessi, i premi e ogni altro provento
di cui all’art. 44 del Tuir (redditi di capitale) e
sui redditi diversi di cui all’art. 67, comma 1, lett.
da c-bis) a c-quinquies del Tuir si applichera` l’aliquota del 26%.
Restano soggetti alle imposte sostitutive del
12,5%:
gli interessi ed altri proventi, nonche´ le plusvalenze e minusvalenze di cui all’art. 67, comma
1, lett. c-ter) del Tuir derivanti dalla cessione o
rimborso dei titoli pubblici di cui all’art. 31
del D.P.R. n. 601/1973 ed equiparati,
(*)
1
Si vedano gli artt. 3 e 4 del Decreto n. 66/2014.
2
Art. 2, commi da 6 a 34, del D.L. n. 138 del 13 agosto 2011.
1. Premessa
Professore di Economia e tecnica degli scambi internazionali – Universita` Cattolica del Sacro Cuore di Milano.
(**)
Dottore commercialista in Milano – Studio Associato Piazza.
20/2014
1963
Rendite finanziarie – APPROFONDIMENTO
le obbligazioni emesse dagli Stati cd. ‘‘white
list’’.
In proposito si ricorda che la circolare 11/E del
2012 ha fornito un elenco, da considerarsi non
esaustivo, dei titoli equiparati ai titoli pubblici
(Tavola n. 1) e un elenco degli Stati white list specificando che occorre fare riferimento al D.M. 4
settembre 1996 e successive modifiche (Tavola
n. 2).
Per quanto riguarda il secondo elenco, si ricorda
che e` stato recentemente integrato con l’aggiunta
dell’Islanda e che l’Agenzia delle Entrate nella risoluzione n. 99/E del 2013 ha precisato che anche
se nel D.M. 4 settembre 1996 e` indicata la ex Jugoslavia, e non la Serbia e il Montenegro, tali Paesi
devono considerarsi compresi nella white list di
cui al D.M. 4 settembre 1996, dato che hanno dichiarato espressamente di voler succedere alla Jugoslavia nell’applicazione dei trattati a suo tempo
stipulati.
Tavola n. 1 - Elenco dei titoli equiparati ai titoli pubblici
20/2014
1964
APPROFONDIMENTO – Rendite finanziarie
Tavola n. 2 - Elenco degli Stati white list
Un problema che non pare riesca a trovare soluzione e` quello del mancato tempestivo aggiornamento del D.M. 4 settembre 1996, quando entrano in vigore nuove convenzioni che consentono
lo scambio d’informazioni.
Attualmente, infatti, lo scambio d’informazioni
opera anche con Arabia Saudita, Armenia, Azerbaijan, Etiopia, Georgia, Ghana, Giordania, Moldova, Mozambico Oman, Quatar, San Marino,
Senegal, Siria, Uganda, Uzbekistan, ma questi
Stati non sono inclusi nella white list 3.
Passa dal 20% al 12,5% la ritenuta sugli interessi
e altri proventi e sui redditi diversi di natura finanziaria dei titoli emessi dagli enti territoriali
di Stati white list. Il trattamento dei titoli emessi
dagli enti territoriali esteri era infatti discriminatorio rispetto a quello dei titoli emessi dagli en` auspicabile che l’elenco
ti territoriali italiani 4. E
dei titoli assimilati ai titoli pubblici italiani sia
prontamente integrato dall’Agenzia delle Entrate
con l’inclusione degli enti territoriali esteri che
beneficiano dell’imposta ridotta al 12,5%.
Restano soggetti all’imposta sostitutiva del 5% gli
interessi ed altri proventi, dei titoli di risparmio
per l’economia meridionale di cui al D.L. n. 70/
2011, detenuti da persone fisiche non esercenti attivita` d’impresa. Invece, i redditi diversi di natura
3
Vedi anche la circolare n. 38/E del 2013 nella quale, peraltro, non e` incluso il Libano il cui trattato e` entrato in vigore
il 21 novembre 2011.
4
In un caso simile, la procedura aperta dalla Commissione
europea contro la Bulgaria si e` chiusa il 28 gennaio 2010 a
seguito del cambio della legislazione locale.
5
La circolare n. 10/E del 2013 precisa che per i titoli immessi
in gestioni individuali di portafoglio per le quali operi il regime del risparmio gestito previsto dall’art. 7 del D.Lgs. 21
novembre 1997, n. 461, trova applicazione la speciale deroga prevista dall’art. 8, comma 4, terzo periodo della lett. c),
20/2014
finanziaria derivanti dalla cessione o rimborso di
questa tipologia di titoli saranno soggetti all’imposta del 26%, in quanto l’aliquota agevolata del
5% si applica ai soli ‘‘redditi di capitale’’ (si veda
la circolare n. 11/E del 2012, pagg. 20 e 21 e la circolare n. 10/E del 2013 5).
Gli utili distribuiti a societa` residenti in Stati
UE o SEE white list (salva l’esenzione per quelli
distribuiti a ‘‘madri comunitarie’’) continuano ad
essere soggetti alla ritenuta dell’1,375% di cui all’art. 27, comma 3-ter, del D.P.R. n. 600/1973.
Inoltre:
gli interessi corrisposti a veicoli non residenti
per l’emissione di obbligazioni sui mercati
internazionali (art. 26-quater, comma 8-bis,
del D.P.R. n. 600/1973), continuano ad essere
soggetti alla ritenuta del 5%;
gli utili corrisposti a fondi pensione europei e
di Stati SEE white list restano soggetti alla ritenta dell’11%;
il risultato di gestione dei fondi di previdenza
complementare italiani restano assoggettati
all’imposta sostitutiva dell’11%.
Continuano inoltre essere esenti da ritenuta imposta sostitutiva:
gli interessi corrisposti a societa` residenti nella UE che controllino direttamente una percendel D.L. n. 70/2011, secondo cui "gli interessi e gli altri proventi" dei titoli in questione non concorrono alla determinazione del risultato di gestione. Si fa presente che, in generale, la non concorrenza dei redditi in questione alla determinazione del risultato di gestione implica che ai redditi di capitale derivanti dai suddetti titoli sia applicabile l’imposta
sostitutiva nella misura del 5 per cento, ricorrendone i requisiti soggettivi richiesti dalla norma. Invece, i redditi diversi di natura finanziaria concorrono ordinariamente alla
formazione del risultato di gestione ora soggetto all’imposta
sostitutiva del 26%(si veda al riguardo quanto chiarito nel
paragrafo 2.3 della circolare n. 11/E del 28 marzo 2012).
1965
Rendite finanziarie – APPROFONDIMENTO
tuale non inferiore al 25% dei diritti di voto
nella societa` italiana oppure siano direttamente controllate, nello stesso modo dalla societa`
italiana o siano soggette a comune controllo,
nel rispetto degli altri requisiti di cui all’art.
26-quater del D.P.R. n. 600/1973, di recepimento della ‘‘Direttiva interessi e royalties’’;
gli utili corrisposti alle societa` madri o figlie
comunitarie di cui all’art. 27-bis del D.P.R. n.
600/1973;
i redditi di natura finanziaria percepiti da non
residenti, privi dei requisiti di territorialita` di
cui all’art. 23, comma 1, lett. f) del Testo unico
o non tassabili per effetto dell’art. 26-bis del
D.P.R. n. 600/1973 o dell’art. 5, comma 5, del
D.Lgs. n. 461/1997.
Il D.L. n. 138/2011 inseriva fra i titoli ‘‘privilegiati’’
(soggetti ad imposizione nella misura del 12,5%) i
piani di risparmio a lungo termine; tale eccezione non e` invece mantenuta in sede di aumento
dell’aliquota al 26%.
Nell’art. 27, comma 3, ultimo periodo, del D.P.R.
n. 600/1973, laddove e` previsto il diritto per i soggetti non residenti (diversi dai fondi pensione e
dalle societa` ed enti) al rimborso della ritenuta
sui dividendi di fonte italiana, la misura del rimborso sara` determinato anziche´ nella misura di
un quarto, nella misura di ‘‘undici ventiseiesimi’’ 6.
3. Regime dichiarativo, amministrato
e gestito
Il cambio di aliquota e l’ammissione dei titoli
emessi dagli enti territoriali white list al privilegio
dell’aliquota del 12,5% comporta esigenze di
coordinamento degli artt. 5, 6 e 7 del D.Lgs. n.
461/1997 nei quali viene stabilito che la parte di
redditi di capitale e diversi derivanti da tali titoli
concorrono all’imponibile soggetto all’imposta
del 26% nella misura del 48,08% (12,5%/26%).
4. Titoli pubblici immessi nel patrimonio
di fondi comuni d’investimento
La circolare n. 11/E del 2012, con riferimento all’aumento delle aliquote sul risultato dei fondi comuni d’investimento dal 12,5% al 20% ha precisa6
Tale rapporto consentirebbe, infatti, di mantenere il diritto
del rimborso limitato alla ritenuta che eccede la misura
del 15%. Applicando la ritenuta del 20%, era prevista la possibilita` di richiedere a rimborso fino a un quarto della rite-
to che, per effetto di quanto stabilito dal D.M. 13
dicembre 2011, art. 1, comma 5 la ritenuta del
20% si applica, in pratica, sui proventi derivanti
dalla partecipazione agli organismi di investimento in commento, al netto del 37,50% dei proventi riferibili alle obbligazioni e agli altri titoli
pubblici italiani ed esteri. Le perdite riferibili ai
titoli pubblici italiani ed esteri possono essere
portate in deduzione dalle plusvalenze e dagli altri redditi diversi per un importo ridotto del
37,50% del loro ammontare.
La percentuale di esenzione, nel regime attuale
dovrebbe essere fissata nel 51,92% (=1-12,5%/
26%).
Non dovrebbe essere piu` attuale l’ulteriore precisazione contenuta nella circolare n. 11/E del
2012 secondo cui le plusvalenze e le minusvalenze derivanti dalla cessione o il rimborso (o liquidazione) delle quote o azioni acquistate e/o cedute a prezzi diversi da quelli risultanti dai prospetti periodici rilevano per il loro intero ammontare, anche se il fondo e` investito in titoli
pubblici ed assimilati. Infatti, poiche´ per effetto
del D.Lgs. n. 44/2014 le differenze fra i prezzi
d’acquisto o cessione e i rispettivi NAV (Net Asset
Value) sono assorbite nei redditi di capitale (nel
caso di cessione in utile) e nei redditi diversi,
nel caso di cessioni in perdita, questa distinzione
non dovrebbe piu` assumere rilievo.
5. Decorrenza
5.1. Criterio generale
L’art. 3, comma 6 del Decreto prevede quale data
di decorrenza dell’aumento di aliquota il 1º luglio
2014, con le seguenti regole:
per i redditi di capitale di cui all’art. 44 del
Tuir, secondo il criterio dell’esigibilita` (la circolare n. 11/E del 2012 ha precisato che il requisito di esigibilita` si deve ritenere sussistere
nel momento in cui sorge per il contribuente
il diritto a percepire il reddito);
per i redditi diversi di cui all’art. 67 del Tuir,
secondo il criterio di ‘‘realizzo’’, laddove per
momento di realizzo si intende (circolare 11/
E del 2012) il momento in cui si perfeziona la
cessione a titolo oneroso delle partecipazioni
titoli e diritti ovvero l’eventuale diverso monuta subita (15% = 20% - 20%*1/4): con l’aliquota al 26%
il rapporto dovra` essere aumentato a undici ventiseiesimi
(15% = 26% - 26%*11/26).
20/2014
1966
APPROFONDIMENTO – Rendite finanziarie
mento in cui viene liquidato il corrispettivo
della cessione.
5.2. Deroghe
Alla generale decorrenza sopra esaminata, si affiancano alcune eccezioni:
per i titoli di cui al D.Lgs. n. 239/1996 e` previsto il criterio di ‘‘maturazione’’. In particolare
gli intermediari saranno tenuti al 30 giugno
2014 ad effettuare addebiti e accrediti del conto unico per le obbligazioni e titoli similari (i)
senza cedola o (ii) con cedola non inferiore a
un anno dalla data del 30 giugno 2014 ovvero
(iii) per gli altri titoli in occasione della scadenza della cedola o della cessione o rimborso del
titolo. Il D.M. 13 dicembre 2011 ha individuato
le ‘‘modalita` di svolgimento delle operazioni di
addebito e accredito del conto unico’’;
per i dividendi e i proventi assimilati, la nuova
aliquota si applica con riferimento al momento
in cui sono percepiti;
per i pronti contro termine (redditi di cui all’art. 44, comma 1, lett. g-bis) del Tuir) se di durata non superiore a dodici mesi e conclusi prima della data di ‘‘cambio aliquota’’ (che sara` il
30 giugno 2014), su obbligazioni e titoli similari soggetti all’imposta sostitutiva di cui al
D.Lgs. n. 239/1996, l’applicazione dell’aliquota
del 26% decorrera` dal giorno successivo a
quello di scadenza di tali contratti, tanto per
gli eventuali differenziali positivi di cui alla
lett. g-bis) dell’art. 44, comma 1, del Tuir, quanto per gli interessi e gli altri proventi derivanti
dalle obbligazioni e titoli similari sottostanti
soggetti all’imposta sostitutiva di cui al D.Lgs.
n. 239/1996. Di conseguenza, i differenziali positivi relativi ai contratti di questo tipo in corso
al 1º luglio 2014 continueranno ad essere soggetti a ritenuta con l’aliquota del 20%, o alla
minore ritenuta prevista per i titoli pubblici
italiani ed esteri e assimilati (12,5%) e per quelli di risparmio dell’economia meridionale
(5%). La ritenuta del 12,5% sui differenziali
dei pronti contro termine con sottostanti titoli
emessi da enti territoriali esteri white list si applichera` solo ai contratti stipulati dal 1º luglio
2014 o a quelli in corso a tale data, ma di durata superiore a 12 mesi;
per i redditi di cui all’art. 44, comma 1, lett. gquater del Tuir (compresi nei capitali corrisposti in dipendenza di contratti di assicurazione sulla vita e di capitalizzazione) e g-quinquies (derivanti dai rendimenti delle prestazioni pensionistiche di cui alla lett. h-bis)
20/2014
del comma 1, dell’art. 50, erogate in forma periodica e delle rendite vitalizie aventi funzione
previdenziale) e` previsto che il 26% trovera` applicazione sulla parte dei redditi maturati dal
1º luglio 2014;
per gli interessi e gli altri proventi derivanti da
conti correnti e depositi bancari e postali,
anche se rappresentati da certificati, e` previsto
il criterio di maturazione (e non quello di esigibilita`).
6. Fondi comuni di investimento
6.1. Regime del fondo
La circolare n. 11/E del 2012 ha riepilogato il trattamento fiscale riservato ai fondi comuni di investimento istituiti in Italia (diversi dai fondi immobiliari) e ai fondi lussemburghesi storici, di
cui all’art. 73, comma 5-quinquies del Tuir, elencando (par. 8.2) le ritenute non applicabili nei
confronti dei predetti fondi.
Nel par. 8.3 sono invece elencate le ritenute che
risultano applicabili (a titolo di imposta ai sensi
dell’art. 73) nei confronti degli OICR italiani, vale
a dire:
i) la ritenuta sugli interessi e altri proventi delle
obbligazioni e titoli similari emessi da soggetti
diversi dai cosiddetti ‘‘grandi emittenti’’ (art.
26, comma 1, del D.P.R. n. 600/1973);
ii) la ritenuta sui proventi delle accettazioni bancarie (art. 1 del D.L. n. 546/1981);
iii) la ritenuta sui proventi delle cambiali finanziarie (art. 26, comma 1, del D.P.R. n. 600/
1973);
iv) la ritenuta sui proventi dei titoli atipici nei casi
previsti dagli artt. 5 e 8 del D.L. n. 512/1983.
Con riguardo alle predette ritenute la circolare n.
11/E ha chiarito, in tema di decorrenza, che:
per la ritenuta di cui al punto i) si applica il criterio della maturazione (la nuova aliquota del
26% sara` applicata, nella nostra ipotesi, sui
proventi maturati dal 1º luglio 2014);
per quanto riguarda le accettazioni bancarie di
cui al punto ii), si applica il criterio dell’esigibilita` (la nuova aliquota del 26% si applica sui proventi divenuti esigibili dal 1º luglio prossimo);
per i proventi delle cambiali finanziarie la nuova aliquota si applica con criterio della maturazione (quindi, nel nostro caso, sui proventi maturati dal 1º luglio 2014);
per i proventi dei titoli atipici si applica il criterio della esigibilita`.
1967
Rendite finanziarie – APPROFONDIMENTO
6.2. Regime dei partecipanti
L’aliquota del 26% sara` prevista anche per i redditi di cui all’art. 26-quinquies del D.P.R. n. 600/
1973 (derivanti dalla partecipazione in OICR italiani diversi dai fondi immobiliari e nei fondi lussemburghesi storici) e quella prevista dall’art. 10ter della L. n. 77/1983 (derivanti dalla partecipazione ad OICVM di diritto estero) e sui redditi diversi derivanti dalla partecipazione ai fondi.
L’art. 4 del Decreto ha peraltro introdotto una
modifica di carattere sostanziale avendo previsto
che i proventi degli OICR non immobiliari italiani
e quelli esteri istituiti nella UE o in Stati SEE white list con gestore vigilato, spettanti alle imprese
di assicurazione e relativi a quote o azioni comprese negli attivi posti a copertura delle riserve
matematiche dei rami vita, non siano soggetti alle
ritenute di cui all’art. 26-quinquies e di cui all’art.
10-ter, commi 1 e 2 della L. n. 77 del 1983.
Sul tema del regime transitorio, in considerazione delle modifiche apportate dal D.Lgs. n. 44/
2014, e` previsto un diverso meccanismo rispetto
alla precedente modifica normativa di cui al
D.L. n. 138/2011.
Proventi periodici
Per quanto riguarda i proventi periodici distribuiti in costanza di partecipazione al fondo di investimento dovrebbe mantenersi applicabile il principio generale della esigibilita`, come sancito dalla
circolare n. 11/E del 2012.
Cessione, rimborso (o liquidazione) di quote o
azioni di organismi di investimento
Fino all’entrata in vigore del D.Lgs. n. 44/2014
dalle operazioni di cessione, rimborso (o liquidazione) di quote o azioni di organismi di investimento potevano essere conseguiti sia redditi di
capitale (che per natura possono essere solo positivi) di cui all’art. 44, comma 1, lett. g), del Tuir,
vale a dire i redditi compresi nella differenza tra
il valore di riscatto, di liquidazione o di cessione
delle quote o azioni e il costo medio ponderato
di sottoscrizione o acquisto delle quote o azioni
medesime, come risultante dai prospetti periodici
(cioe` nel cd. ‘‘delta NAV’’), sia redditi diversi di natura finanziaria ai sensi dell’art. 67, comma 1, lett.
c-ter e comma 1-quater del Tuir (derivanti dalla
differenza tra il corrispettivo percepito ed il costo
od il valore di acquisto, al netto del delta NAV).
A seguito dell’entrata in vigore del D.Lgs. n. 44/
2014, invece, in caso di risultato positivo, inteso
come differenza fra il valore di riscatto, liquida-
zione o cessione e il costo medio ponderato di acquisto o sottoscrizione, lo stesso costituisce solo
reddito di capitale, anche nel caso in cui le quote di partecipazione all’OICR siano negoziate in
mercati regolamentati e il prezzo di cessione o
d’acquisto si discosti dal valore della quota
(NAV) alla data di cessione o acquisto, in quanto
nel comma 3 dell’art. 26-quinquies del D.P.R. n.
600/1973 e` stato eliminato il riferimento ai ‘‘prospetti periodici’’.
In caso di differenza negativa, invece, non puo`
che verificarsi una minusvalenza (reddito diverso
di cui all’art. 67, comma 1, lett. c-ter del Tuir).
Nell’intervento legislativo che ha portato l’aliquota sulle rendite finanziarie al 20%, il legislatore
aveva previsto che il cambio di aliquota avesse efficacia per i proventi derivanti dalla cessione o dai
rimborsi delle quote o delle azioni, dalla data di
regolamento delle operazioni. Per evitare effetti
penalizzanti per gli investitori era stata prevista
la possibilita` di esercitare l’opzione per l’affrancamento, oltre che per i redditi diversi, anche per i
redditi di capitale di cui all’art. 44, comma 1, lett.
g) del Tuir.
Il nuovo regime transitorio (art. 3, comma 12 del
Decreto), invece, prevede che per la decorrenza
della nuova aliquota del 26%, sia per i redditi di
capitale, sia per i redditi diversi (le minusvalenze)
realizzati in sede di rimborso, cessione o liquidazione delle quote o azioni derivanti dalla partecipazione ad organismi di investimento collettivo
del risparmio si applica il principio del realizzo.
Tuttavia, il secondo periodo del comma 12 stabilisce che sui proventi realizzati a decorrere dal 1º
luglio 2014 e riferibili ad importi maturati al 30
giugno 2014, si deve applicare la precedente aliquota.
Il criterio di maturazione dei proventi non comporta, a differenza di quanto accade per i titoli
di cui al D.Lgs. n. 239/1996, che l’intermediario
debba addebitare all’investitore l’imposta del
20% e contemporaneamente accreditare quella
del 26% con riferimento alla data del 30 giugno
2014. Il calcolo dell’imposta dovuta – con le due
aliquote – sara` fatto al momento della cessione, liquidazione o rimborso delle azioni o quote.
In buona sostanza, al 30 giugno 2014 occorrera`
effettuare un calcolo dei proventi ‘‘maturati’’ a tale
data da assoggettare ad aliquota del 20%: tali proventi concorreranno, in pratica, alla determinazione dell’imposta dovuta in sede di realizzo nella
misura del 76,92% (20%/26%).
Per quanto riguarda il caso in cui, alla data della
cessione, liquidazione o rimborso della quota sia
20/2014
1968
APPROFONDIMENTO – Rendite finanziarie
realizzata una perdita anziche´ un provento (valore delle quote o azioni dell’OICR inferiore al costo
medio d’acquisto o sottoscrizione), il criterio di
maturazione non pare trovare applicazione. Infat-
ti il secondo periodo del comma 12 parla solo di
‘‘proventi’’ maturati e non anche di redditi diversi.
Stando a questa interpretazione possono verificarsi i seguenti casi:
Determinati i proventi maturati prima della data
del cambio d’aliquota e a partire da tale data, si deve scorporare la parte di tali proventi corrispondente ai titoli pubblici italiani ed esteri ed assimilati, i quali devono concorrere all’imponibile in misura ridotta. I commi 1 e 2 dell’art. 1 del D.M. 13
dicembre 2011 stabiliscono che tali proventi sono
determinati in proporzione alla percentuale media
dell’attivo dei fondi investita direttamente, o indirettamente in titoli pubblici italiani ed esteri ed assimilati. Il successivo comma 3 stabilisce che la
percentuale e` rilevata sulla base degli ultimi due
prospetti, semestrali o annuali, redatti entro il semestre solare anteriore alla data di distribuzione
dei proventi, di riscatto, cessione o liquidazione
delle quote o azioni, ovvero, nel caso in cui entro
il predetto semestre ne sia stato redatto uno solo,
sulla base di tale prospetto. Quindi, nel regime
transitorio si dovrebbe fare riferimento agli ultimi
due prospetti redatti alla data del realizzo e non alla data del 30 giugno 2014. Infine si determinera`
l’imponibile dei proventi corrispondenti ai titoli
pubblici applicando la percentuale del 62,5% a
quelli maturati fino al 30 giugno e del 48,08% a
quelli maturati dopo. Inoltre i proventi maturati fino al 30 giugno 2014 sui titoli diversi da quelli pubblici, concorreranno a formare il reddito nella misura del 76,92% e quelli maturati a partire da tale
data, in misura integrale.
Ove invece l’interpretazione da dare al secondo
periodo del comma 12 fosse nel senso che il criterio di maturazione riguarda anche i redditi diversi e quindi anche il caso in cui alla cessione, rimborso o liquidazione della quota sia realizzata
una perdita, i casi possibili sarebbero quelli di seguito illustrati.
7. Gestioni individuali di portafoglio
con opzione per il risparmio gestito
dovranno essere computati nel calcolo del risultato di gestione della misura del 48,08% (salvo adeguamento di aliquota).
L’Agenzia ha precisato a riguardo che ‘‘sebbene la
norma faccia riferimento ai redditi ‘realizzati’,
considerate le modalita` di determinazione del risultato della gestione, dovranno essere presi a riferimento, non solo i redditi effettivamente realizzati, ma anche i proventi medio tempore maturati
e le plusvalenze (o minusvalenze) da valutazione’’.
Dai risultati di gestione maturati a decorrere dal
Come chiarito dalla circolare n. 11/E del 2012, ai
sensi dell’art. 2, comma 12, del D.L. n. 138/2011, il
regime transitorio previsto nel caso del cd. risparmio gestito prevede il criterio di maturazione: la
nuova aliquota del 26% dovra` quindi applicarsi
sui risultati maturati dal 1º luglio prossimo.
Da tale data, inoltre, i redditi dei titoli pubblici
italiani ed esteri (soggetti all’aliquota del 12,5%)
20/2014
1969
Rendite finanziarie – APPROFONDIMENTO
1º luglio 2014 sono portati in deduzione i risultati
negativi di gestione:
rilevati alla data del 31 dicembre 2011 e non
compensati alla data del 30 giugno 2014, nella
misura del 48,08% (12,5/26%);
rilevati nel periodo compreso fra il 1º gennaio
2012 e il 30 giugno 2014, nella misura del
76,92% (20/26%).
La nuova aliquota del 26% sara` applicata sul risultato maturato dal 1º luglio 2014: pertanto nel caso
in cui il risultato di gestione al 30 giugno 2014 sia
negativo, la minusvalenza sara` riportabile nella
misura del 76,92% del suo ammontare; laddove invece questo fosse positivo sara` da assoggettare al
20%. L’imposta sostitutiva sul risultato maturato
al 30 giugno 2014 e` comunque da versarsi nel termine ordinario previsto dall’art. 7, comma 11, del
D.Lgs. n. 461/1997 (16 febbraio 2015).
8. Minusvalenze realizzate nei periodi
d’imposta precedenti
Con riferimento alle minusvalenze realizzate in
periodi di imposta precedenti, l’art. 3, comma 13
del Decreto stabilisce che sono portati in deduzione dalle plusvalenze e dagli altri redditi diversi di
cui all’art. 67, comma 1, lett. da c-bis) a c-quinquies) del Tuir realizzati successivamente alla data del 30 giugno 2014, con le seguenti modalita`:
a) per una quota pari al 48,08%, se sono realizzati
fino alla data del 31 dicembre 2011;
b) per una quota pari al 76,92%, se sono realizzati
dal 1º gennaio 2012 al 30 giugno 2014. Restano
fermi i limiti temporali di deduzione previsti
dagli artt. 68, comma 5, del medesimo testo
unico e dall’art. 6, comma 5, del D.Lgs. 21 novembre 1997, n. 461.
(art. 14, commi 6 e seguenti, del D.Lgs. n. 461/
1997) dei titoli, quote, diritti, valute estere, metalli
preziosi allo stato grezzo o monetato, strumenti finanziari, rapporti e crediti posseduti al di fuori dell’esercizio di un’impresa commerciale.
L’opzione e` preclusa per i redditi diversi derivanti
dall’investimento in organismi di gestione collettiva del risparmio per cui, come visto sopra, e` previsto un regime transitorio specifico.
La possibilita` sara` prevista per i titoli posseduti al
30 giugno 2014.
L’affrancamento dell’imposta prevedra` il versamento dell’imposta sostitutiva al 20% (attuale aliquota di cui all’art. 5 del D.Lgs. n. 461/1997).
A seguito della modifica, a decorrere dal 1º luglio
2014, agli effetti della determinazione delle plusvalenze e minusvalenze di cui all’art. 67, comma 1,
lett. da c-bis) a c-quinquies), del Tuir, ‘‘in luogo del
costo o valore di acquisto, o del valore determinato
ai sensi dell’art.14, commi 6 e seguenti, del D.Lgs. 21
novembre 1997, n. 461, puo` essere assunto il valore
dei titoli, quote, diritti, valute estere, metalli preziosi
allo stato grezzo o monetario, strumenti finanziari,
rapporti e crediti, alla data del 30 giugno 2014’’.
Restano esclusi dall’affrancamento i titoli di Stato
italiani, di Paesi white list e i titoli pubblici ed
equiparati a cui continua ad applicarsi l’aliquota
del 12,5%.
a) Esercizio dell’opzione
Il regime dell’affrancamento e` opzionale: il contribuente per usufruirne deve esercitare l’opzione
e sono previste diverse modalita` a seconda del
regime scelto dal contribuente ai fini dell’applicazione dell’imposta sostitutiva sui redditi diversi
di natura finanziaria (regime dichiarativo o regime del risparmio amministrato).
b) Affrancamento nel regime dichiarativo
9. Opzione per l’affrancamento
Poiche´, come gia` detto, la nuova aliquota sui redditi diversi di cui all’art. 67 Tuir si applica secondo un principio di realizzo, il D.L. n. 138/2011 ha
previsto un regime transitorio (commi da 29 a 32
dell’art. 2) al fine di evitare che l’aumento dell’aliquota incida sui redditi maturati antecedentemente alla data di entrata in vigore.
Il legislatore mantiene tale previsione anche in sede
di aumento dell’aliquota al 26%: di seguito si esaminano i principali aspetti relativi a tale opzione.
In particolare, con riferimento ai redditi diversi di
natura finanziaria, e` prevista la possibilita` di affrancare il costo o il valore di acquisto, ovvero il
valore gia` affrancato alla data del 1º luglio 1998
Nel caso del regime dichiarativo l’opzione e` esercitata in sede di dichiarazione dei redditi (con la
modifica del 1º luglio prossimo, l’opzione dovra`
risultare quindi nel modello UNICO 2015 relativo
ai redditi 2014).
Si ricorda che l’opzione, una volta esercitata, deve
riguardare tutte le attivita` finanziarie.
Il versamento e` a carico del contribuente ed sara`
dovuto entro il 16 novembre 2014.
c) Affrancamento in presenza di opzione
per il ‘‘regime amministrato’’
Nel caso invece dei contribuenti che hanno optato
per il regime del risparmio amministrato, l’opzione
deve essere riferita obbligatoriamente a tutte le at20/2014
1970
APPROFONDIMENTO – Rendite finanziarie
tivita` finanziarie incluse nel rapporto di custodia e
amministrazione, possedute sia alla data del 30
giugno 2014 sia alla data di esercizio dell’opzione,
mediante comunicazione scritta, in forma libera,
resa all’intermediario abilitato con cui e` intrattenuto tale rapporto, entro il 30 settembre 2014.
Nell’ipotesi in cui presso il medesimo intermediario
siano intrattenuti piu` rapporti, l’opzione deve essere
esercitata con riferimento a ciascun rapporto intrattenuto con l’intermediario per i quali si intende
beneficiare della disciplina dell’affrancamento.
La circolare n. 11/E del 2012 dell’Agenzia delle
Entrate ha precisato che, ai soli fini del pagamento dell’imposta sostitutiva per l’affrancamento,
qualora il contribuente detenga piu` rapporti ad
esso intestati con il medesimo intermediario,
puo` portare in diminuzione dalle plusvalenze derivanti dall’affrancamento delle attivita` finanziarie detenute in un rapporto le eventuali minusvalenze derivanti dall’affrancamento delle attivita` finanziarie detenute in un altro rapporto.
Applicando la circolare n. 11/E del 2012, l’opzione
riguarda le sole attivita` finanziarie risultanti alla
data di esercizio della stessa, sempreche´ riferibili ad attivita` possedute alla data del 30 giugno
2014. Cio`, in considerazione del fatto che l’opzione puo` essere esercitata dal contribuente fino al
30 settembre 2014 e che nel periodo intercorrente
tra il 1º luglio 2014 e la predetta data potrebbero
essere effettuate operazioni di acquisto, sottoscrizione, cessione o rimborso di attivita` finanziarie.
Pertanto, le plusvalenze maturati al 30 giugno
2014 potranno essere affrancati a condizione
che esistano nel rapporto alla data dell’opzione altrettanti titoli appartenenti alla medesima categoria omogenea, ancorche´ rivenienti da eventuali
alienazioni o riacquisti intervenuti fra il 1º luglio
2014 e la data di esercizio dell’opzione; in difetto,
la plusvalenza o il reddito affrancabile devono essere proporzionalmente diminuiti. In altri termini, il plafond di plusvalore massimo affrancabile
deve essere imputato, integralmente ovvero nella
minor misura derivante da riduzioni della quantita` posseduta alla data dell’esercizio dell’opzione,
ad aumento del costo fiscalmente riconosciuto alla medesima data dell’opzione’’.
d) Affrancamento in presenza di opzione per il
‘‘regime gestito’’
Nel caso del risparmio gestito non dovrebbero
7
Cfr. R. Parisotto, Le modifiche ai regimi di tassazione dichiarativo, amministrato e gestito, in ‘‘Corr. Trib’’. n. 20/2012.
20/2014
porsi problemi di affrancamento dei valori, posto
che il sistema di tassazione sul maturato (come
sopra visto) gia` porta ad allineare i valori e la relativa fiscalita` a tale data 7.
e) Determinazione del costo
In merito alla determinazione del costo, il D.M.
13 dicembre 2011 ha stabilito che, ai fini dell’esercizio dell’opzione, in luogo del costo o valore di
acquisto, deve essere assunto:
nel caso di titoli, quote e diritti negoziati in
mercati regolamentati, l’ultimo valore disponibile alla data del 30 giugno 2014 rilevato presso
i medesimi mercati;
nel caso di titoli, quote e diritti non negoziati
in mercati regolamentati, il valore alla data del
30 giugno 2014 della frazione del patrimonio
netto della societa`, associazione o ente rappresentata da tali attivita` finanziarie, determinato
sulla base delle risultanze dell’ultimo bilancio
approvato anteriormente alla medesima data
oppure sulla base di un’apposita relazione giurata di stima (il costo della perizia incrementa
il valore affrancato della partecipazione ai fini
della determinazione del reddito diverso);
nel caso di strumenti finanziari, rapporti, diritti, valute estere, metalli preziosi allo stato grezzo o monetato negoziati in mercati regolamentati, l’ultimo valore disponibile alla data del 30
giugno 2014 rilevato presso i medesimi mercati;
nel caso di strumenti finanziari, rapporti, diritti, valute estere, metalli preziosi allo stato grezzo
o monetato non negoziati, nonche´ per i crediti,
il valore alla data del 30 giugno 2014 risultante
da apposita relazione di stima (che puo` essere
redatta anche da banche, SIM, societa` fiduciarie,
Poste Italiane S.p.A., agenti di cambio e SGR).
` stato inoltre chiarito che:
E
se il contribuente al 30 giugno 2014 detiene
obbligazioni convertibili in azioni e alla data
dell’esercizio dell’opzione e` gia` avvenuta la
conversione, affranca il valore delle obbligazioni e tale costo e` quello fiscalmente riconosciuto per le azioni ora detenute;
per le polizze assicurative aventi contenuto finanziario, il valore della polizza al 30 giugno
2014 e` determinato tenendo conto dei rendimenti maturati e non tassati. Tuttavia, il valore
affrancato non puo` essere utilizzato per la determinazione dei redditi di capitale.
1971
APPROFONDIMENTO
La base imponibile Iva
dei distacchi di personale:
questione veramente chiusa?
di Francesco delli Falconi (*) e Pierpaolo Maspes (*)
Secondo un’interpretazione ‘‘tradizionale’’, autorevolmente avallata dalle Sezioni Unite della Corte di
Cassazione, la base imponibile dei distacchi di personale sarebbe pari all’intero importo dell’addebito
operato dal soggetto distaccante ove questo sia superiore o inferiore al costo del personale sostenuto
da quest’ultimo. Alla luce di tale lettura, il distacco
sarebbe estraneo a Iva solo in presenza di un addebito pari al mero costo del personale. Siffatta interpretazione, per quanto autorevole, non appare in
grado di dare una definitiva soluzione alla questione, in quanto sottovaluta l’impatto sulla L. n. 67/
1988 di provvedimenti successivi - in particolare
della Riforma Biagi - e conduce comunque a conclusioni inaccettabili sotto il profilo del rispetto
del principio costituzionale di uguaglianza.
duzione dell’imposta, sembra non aver ancora
trovato una sua definitiva sistemazione. Ma una
soluzione appagante, come appresso si vedra`,
non e` stata neppure fornita dall’intervento in materia delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione 1.
2. Disciplina giuslavoristica
del distacco
Il tema della rilevanza ai fini Iva dei prestiti o distacchi di personale, che si e` posto sin dall’intro-
Come noto, il distacco di personale dipendente
nell’ambito del settore privato 2, pur avendo trovato espressa regolamentazione soltanto in un periodo relativamente recente 3, era fenomeno ben
conosciuto del quale tanto la giurisprudenza
quanto qualificata dottrina avevano, negli anni,
cercato di individuare - o, piu` propriamente, di
definire - i caratteri essenziali, al fine di poterne
ammettere il legittimo ricorso nell’ambito di un
assetto normativo informato al divieto assoluto,
per i soggetti privati, di svolgere qualsiasi attivita`
di intermediazione ovvero di interposizione nelle
prestazioni di lavoro 4.
(*)
Dottore commercialista - SCGT - Studio di Consulenza Giuridico-Tributaria.
3
La fattispecie del distacco e` disciplinata dall’art. 30 del
D.Lgs. 10 settembre 2003, n. 276.
1
Cass., 7 novembre 2011, n. 23021.
4
2
Nel settore pubblico, gia` il D.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3, prevedeva, all’art. 56, la possibilita` di ‘‘comandare’’ l’impiegato
di ruolo a prestare servizio presso altra Amministrazione
statale o presso enti pubblici.
Nell’ambito del diritto del lavoro, l’intermediazione e` volta a
favorire l’incontro fra domanda e offerta di lavoro e tale attivita` e` stata per molto tempo condotta, in via esclusiva, dallo Stato per il tramite degli uffici di collocamento; l’interposizione, invece, si sostanzia in una mera attivita` di fornitura
di manodopera da parte di un soggetto che rimane il titolare
1. Premessa
20/2014
1972
APPROFONDIMENTO – Imposta sul valore aggiunto (IVA)
Piu` specificamente, fino alla data di entrata in vigore del D.Lgs. n. 276/2003 (cd. ‘‘Riforma Biagi’’)
la materia in oggetto era disciplinata dalla L. n.
1369/1960, che espressamente vietava agli imprenditori di affidare in appalto ‘‘l’esecuzione di
mere prestazioni di lavoro mediante impiego di
manodopera assunta e retribuita dall’appaltatore
o dall’intermediario’’ 5.
In tale contesto normativo - volto a contrastare
l’illecita pratica con cui colui che beneficia delle
prestazioni di un lavoratore e` un soggetto diverso
da colui che ha la titolarita` del rapporto lavorativo e che ottiene un guadagno soltanto dall’aver
messo a disposizione del primo un proprio lavoratore dipendente - trovavano pero` riscontro anche quelle ipotesi in cui il prestito di personale
dipendente aveva a fondamento reali e genuine
esigenze aziendali, sostanziandosi cosı` in un legittimo esercizio del potere direttivo da parte del
datore di lavoro. Proprio al fine di tracciare una
netta linea di demarcazione fra cio` che poteva essere considerato lecito (i.e. il distacco) e cio` che
non lo era (i.e. l’interposizione di manodopera),
la giurisprudenza - principalmente di legittimita` 6
- formatasi in quegli anni aveva ritenuto di poter
rinvenire la legittimita` del distacco nella compresenza di tre requisiti: l’esistenza di un interesse
del datore di lavoro, la temporaneita` del distacco
e, infine, il mantenimento in capo al soggetto distaccante del rapporto lavorativo e dei relativi obblighi economici e normativi.
Con l’emanazione della L. 24 giugno 1997, n. 196, e`
stata poi introdotta una ulteriore modalita` di prestito di personale ritenuta legittima dal legislatore
del lavoro e rappresentata dal contratto di ‘‘fornitura di lavoro temporaneo’’, in virtu` del quale
un’impresa fornitrice, iscritta ad un apposito albo,
pone uno o piu` lavoratori a disposizione di un’impresa che ne utilizzi la prestazione lavorativa per il
soddisfacimento di esigenze di carattere temporaneo tassativamente individuate dalla norma. Ai
sensi dell’art. 10 della richiamata disposizione normativa, era quindi escluso che il predetto divieto di
interposizione potesse trovare applicazione per i
contratti di fornitura di lavoro temporaneo conclusi nel rispetto della legge stessa.
del rapporto con il dipendente, pur non beneficiando della
relativa prestazione lavorativa.
5
Cfr. l’art. 1 della L. 23 ottobre 1960, n. 1369.
6
Cfr., ex multis, le sentenze della Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, 2 novembre 1999, n. 12224, e 26 maggio 1993, n.
5907.
7
Cfr. l’art. 1, comma 2, lett. m), della L. 14 febbraio 2003, n. 30.
20/2014
A distanza di alcuni anni, e` intervenuta la cosiddetta ‘‘legge Biagi’’, che ha conferito delega al Governo di chiarire i criteri di distinzione tra appalto e interposizione, ‘‘ridefinendo contestualmente
i casi di comando e distacco, nonche´ di interposizione illecita laddove manchi una ragione tecnica, organizzativa o produttiva ovvero si verifichi
o possa verificarsi la lesione di diritti inderogabili
di legge o di contratto collettivo applicato al prestatore di lavoro’’ 7.
A tale provvedimento, ha quindi fatto seguito il richiamato D.Lgs. n. 276/2003 che, abrogando sia
la L. n. 1369/1960 che le disposizioni di cui alla
L. n. 196/1997, ha introdotto l’istituto della ‘‘somministrazione di lavoro’’, vale a dire la fornitura
professionale di manodopera, a tempo indeterminato o a termine, ad opera di soggetti espressamente autorizzati a tale scopo e nel rispetto di determinati limiti e condizioni tassativamente individuati dalla norma.
Nell’ambito della disciplina della somministrazione di lavoro e` stata altresı` disciplinata – sulla falsariga delle indicazioni provenienti dai ricordati
chiarimenti giurisprudenziali – anche la particolare tipologia di somministrazione di lavoro costituita dal distacco, rinvenibile oggi in tute le ipotesi in cui ‘‘un datore di lavoro, per soddisfare un
proprio interesse, pone temporaneamente uno o
piu` lavoratori a disposizione di altro soggetto
per l’esecuzione di una determinata attivita` lavorativa’’ 8.
Nella peculiare ipotesi del distacco, diversamente
da quanto avviene di regola nella somministrazione di lavoro, non e` richiesto, ai fini della liceita` dell’operazione, che il somministrante sia un’impresa
autorizzata. L’autorizzazione non e` necessaria ove
si consideri quella che e` la peculiarita` del distacco
rispetto alle altre somministrazioni, ben evidenziata dal Ministero del Lavoro: ‘‘Cio` che differenzia il
distacco dalla somministrazione, infatti, e` solo l’interesse del distaccante. Mentre il somministratore
realizza il solo interesse produttivo della somministrazione a fini di lucro, il distaccante soddisfa un
interesse produttivo diversamente qualificato, come l’interesse al buon andamento della societa`
controllata o partecipata’’ 9.
8
Cfr. il comma 1 dell’art. 30 del D.Lgs. n. 276/2003. Ai sensi,
poi, del successivo comma 2, ‘‘in caso di distacco il datore di
lavoro rimane responsabile del trattamento economico e
normativo a favore del lavoratore’’.
9
Cfr. la circolare del Ministero del Lavoro 15 gennaio 2004, n.
3.
1973
Imposta sul valore aggiunto (IVA) – APPROFONDIMENTO
In definitiva, detto in termini di matematica insiemistica, in seguito alla sistemazione operata dalla
riforma Biagi il distacco costituisce un sottoinsieme del piu` vasto insieme costituito dalla somministrazione di lavoro.
3. Prime interpretazioni
dell’Amministrazione finanziaria
Nel testo originario del D.P.R. n. 633/1972 la disciplina Iva dei distacchi di personale non era
espressamente regolamentata. Fin dal 1973, peraltro, l’Amministrazione finanziaria si era costantemente orientata nel senso di ritenere estranei all’ambito impositivo i distacchi quando ‘‘le
somme pagate dalla societa` utilizzatrice ... siano
esattamente corrispondenti alla retribuzione
spettante al dipendente prestato ed ai relativi oneri previdenziali ed assistenziali’’ 10.
Tale orientamento, riproposto in piu` chiarimenti
successivi, e` sembrato posto in discussione in
un intervento interpretativo del 1986, in cui pareva darsi per scontata la riconducibilita` nel campo
di applicazione dell’Iva dei prestiti o distacchi di
personale 11.
4. Regime Iva del distacco
Per superare le incertezze sorte in seguito a tale
ultimo chiarimento, che veniva a sovvertire una
consolidata prassi, con l’art. 8, comma 35, della
L. 11 marzo 1988, n. 67, e` stata adottata una disposizione di carattere interpretativo in base alla
10
Cfr. la risoluzione del Ministero delle Finanze 5 luglio 1973,
n. 502712.
11
Cfr. la risoluzione del Ministero delle Finanze 31 ottobre
1986, n. 363853, in cui si affermava che ‘‘anche quando
nel caso di specie fosse ravvisabile una prestazione autonoma riconducibile nella previsione del «prestito di personale», la medesima sarebbe da assoggettare al tributo ai sensi
dell’art. 3 del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, a nulla rilevando la circostanza che il relativo corrispettivo corrisponda
esattamente al rimborso del costo’’.
12
Cfr. la risoluzione dell’Agenzia delle Entrate 5 novembre
2002, n. 346/E, che richiama, oltre alla citata risoluzione
n. 502712 del 1973, le risoluzioni del Ministero delle Finanze 19 febbraio 1974, n. 500160, e 20 marzo 1981, n. 411847.
13
A tal riguardo e` importante notare come due ulteriori problematiche siano strettamente connesse al tema in esame.
La prima riguarda l’irrilevanza della normativa sull’imposizione diretta ai fini della determinazione del ‘‘mero costo’’,
nel senso che l’ammontare da prendere in considerazione,
quale ‘‘non sono da intendere rilevanti ai fini dell’imposta sul valore aggiunto i prestiti o i distacchi di personale a fronte dei quali e` versato solo
il rimborso del relativo costo’’.
La locuzione ‘‘rimborso del relativo costo’’ e` volta a ricomprendere qualsiasi costo sostenuto per
il personale. L’Amministrazione finanziaria 12 ha
in particolare ritenuto inclusi in questo costo ‘‘retribuzione, oneri previdenziali e contrattuali’’
13
.
Merita osservare come la corrispondenza dell’importo addebitato al distaccatario dal distaccante
al costo sostenuto da quest’ultimo apparisse decisiva ai fini dell’applicabilita` della norma di cui all’art. 8, comma 35, della L. n. 67/1988, che sembrava escludere l’operativita` della previsione di irrilevanza ai fini Iva in caso di addebito non solo
superiore, ma anche inferiore al mero costo. In
tal senso, si e` espressamente pronunciata l’Amministrazione finanziaria 14.
5. Regime Iva delle prestazioni
dei fornitori di lavoro temporaneo
Con la L. n. 196/1997, nell’escludersi che il predetto divieto di intermediazione nelle prestazioni lavorative potesse trovare applicazione anche per i
contratti di fornitura di lavoro temporaneo conclusi nel rispetto della legge stessa, si e` disciplinata la base imponibile ai fini Iva delle prestazioni
dipendenti da tali contratti. Questa e` stata individuata dall’art. 26-bis di tale legge sostanzialmente
nella differenza tra il corrispettivo praticato
dall’impresa fornitrice delle prestazioni di lavoro
ai fini di cui si discute, e`, ad avviso di chi scrive, rappresentato dall’onere effettivamente sostenuto dal datore e non
dall’importo che ha concorso alla formazione della base imponibile del lavoratore ne´ tantomeno da quello ammesso in
deduzione ai fini della determinazione del reddito di impresa. La seconda problematica attiene invece alle voci di costo
che dovrebbero essere prese in considerazione; ci si chiede,
in particolare, se l’indicazione della retribuzione, degli oneri
previdenziali e contrattuali, cosı` come fornita dall’Amministrazione finanziaria, possa essere considerata esaustiva o
se, invece, non sia piu` corretto includere elementi di spesa
- indubbiamente di piu` difficile individuazione - quali, ad
esempio, i costi di consulenza eventualmente sostenuti a
motivo del distacco, quelli relativi all’elaborazione di buste
paga ed altri adempimenti ove affidati a soggetti terzi, ecc.
14
Cfr. segnatamente la citata risoluzione dell’Agenzia delle
Entrate n. 346/E del 2002: ‘‘Se, al contrario, le somme rimborsate sono superiori (o anche inferiori) al costo, l’intero
importo e` imponibile ai fini Iva’’.
20/2014
1974
APPROFONDIMENTO – Imposta sul valore aggiunto (IVA)
temporaneo e gli oneri retributivi e previdenziali 15.
6. Regime Iva
delle somministrazioni di lavoro
Come sopra rilevato, la riforma Biagi ha abrogato
sia la L. n. 1369/1960 che le disposizioni di cui alla L. n. 196/1997 contenenti la disciplina dei contratti di fornitura di lavoro temporaneo e ha introdotto la somministrazione di lavoro.
L’art. 86, comma 4, della riforma Biagi, con un
rinvio all’art. 26-bis della L. n. 196/1997, stabilisce
che la base imponibile delle somministrazioni di
lavoro - come prima quella delle prestazioni di
fornitura di lavoro temporaneo - deve individuarsi nel margine tra corrispettivo richiesto e oneri retributivi e previdenziali 16.
Tale regola appare applicabile, dunque, tanto ai
casi di somministrazione di lavoro, per cosı` dire,
‘‘autorizzata’’ - ossia svolta da soggetti allo scopo
autorizzati - quanto a quelli di somministrazione
di lavoro, altrettanto legittima, resa da soggetti
non autorizzati ma nel rispetto delle previsioni
di cui all’art. 30 della riforma Biagi - ossia, nel caso di distacco.
In definitiva, nelle prestazioni di messa a disposizione del personale, la circostanza che l’Iva si renda applicabile soltanto all’eventuale mark-up
rispetto al costo del personale distaccato, non cosı`
evidente in base all’art. 8, comma 35, della L. n.
67/1988, pare emergere ora chiaramente dalle disposizioni di cui all’art. 26-bis della L. n. 196/1997
e all’art. 86, comma 4, della riforma Biagi, che
chiariscono la portata della prima disposizione.
Se a qualche dubbio, circa l’applicazione dell’Iva
all’intero importo addebitato dall’impresa distaccante all’impresa distaccataria, avrebbe potuto invero condurre il dato testuale dell’art. 8, comma
35, della L. n. 67/1988 - che, letteralmente, pareva
effettivamente circoscrivere l’irrilevanza ai fini
15
16
L’art. 26-bis della L. n. 196/1997 stabilisce che ‘‘i rimborsi degli oneri retributivi e previdenziali che il soggetto utilizzatore di prestatori di lavoro temporaneo e` tenuto a corrispondere ai sensi dell’art. 1, comma 5, lettera f), all’impresa fornitrice degli stessi, da quest’ultima effettivamente sostenuti
in favore del prestatore di lavoro temporaneo, devono intendersi non compresi nella base imponibile dell’Iva di cui all’art. 13 del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633’’.
In base all’art. 86, comma 4, della riforma Biagi ‘‘Le disposizioni di cui all’art. 26-bis della legge 24 giugno 1997, n. 196,
e di cui al n. 5-ter dell’art. 2751-bis del codice civile si inten-
20/2014
Iva dei distacchi di personale solo all’ipotesi in
cui fosse rimborsato il mero costo e assoggettare
integralmente a tassazione il rimborso nei casi in
cui questo fosse stato superiore (ma anche inferiore!) al mero costo - con l’art. 26-bis della L. n.
196/1997 e con l’art. 86, comma 4, della riforma
Biagi tali dubbi sembrerebbero (il condizionale
e` d’obbligo) superati.
D’altra parte, la stessa Agenzia delle Entrate ha riconosciuto, che le disposizioni di cui all’art. 26bis della L. n. 196/1997 e all’art. 86, comma 4, della riforma Biagi non sono ontologicamente disomogenee da quella di cui all’art. 8, comma 35, della L. n. 67/1988, giacche´ il ‘‘medesimo principio’’
contenuto in questa disposizione ‘‘e` stato trasfuso’’ con quelle disposizioni ‘‘nell’ambito della disciplina del contratto di fornitura di lavoro e, successivamente, in quella della somministrazione di
lavoro’’ 17.
7. Giurisprudenza
della Corte di Cassazione
Nel senso della individuazione della base imponibile Iva dei distacchi di personale nel margine si e`
pronunciata del resto anche la Corte di Cassazione in numerose sentenze 18.
` interessante notare che, negli accertamenti che
E
avevano dato adito al contenzioso deciso dalla
Corte, gli uffici locali dell’Agenzia delle Entrate
si erano discostati dall’interpretazione ‘‘tradizionale’’ accolta dalla Direzione Centrale - in base alla quale se le somme rimborsate sono superiori (o
anche inferiori) al costo, l’intero importo e` imponibile ai fini Iva 19 - ritenendo che in caso di addebito di un corrispettivo superiore al costo fosse
ravvisabile nel distacco un’operazione avente base imponibile pari alla differenza, con conseguente indetraibilita` in capo al distaccatario della
maggiore Iva addebitata 20. In tali sentenze - accogliendosi l’interpretazione degli uffici locali deldono riferiti alla disciplina della somministrazione prevista
dal presente decreto’’.
17
Cfr. la risoluzione dell’Agenzia delle Entrate, 3 luglio 2008,
n. 275/E.
18
Cfr., in particolare le sentenze della Corte di Cassazione, Sezione Tributaria, 7 settembre 2010, numeri 19129, 19130,
19131 e 19132.
19
Cfr. la precedente nota 10.
20
Il contenzioso riguardava, appunto, il distaccatario e la legittimita` della detrazione dallo stesso operata dell’Iva calco-
1975
Imposta sul valore aggiunto (IVA) – APPROFONDIMENTO
l’Agenzia delle Entrate e dandosi implicitamente ingresso alla disposizione di cui all’art. 26-bis
della L. n. 196/1997 anche per la disciplina Iva
dei distacchi di personale - e` stato affermato
che:
nei casi di rimborso pari o inferiore rispetto
al mero costo del personale distaccato, il distacco non assume rilevanza agli effetti dell’Iva, mentre
nei casi di rimborso superiore rispetto al mero costo del personale, il distacco assume rilevanza agli effetti dell’Iva limitatamente alla
parte eccedente il predetto costo.
Tale conclusione, peraltro, non e` stata condivisa
dalla sentenza 7 novembre 2011, n. 23021, in
cui - di nuovo pronunciandosi su un caso in cui
gli Uffici locali dell’Agenzia delle Entrate si erano
discostati dall’interpretazione ‘‘tradizionale’’ accolta dalla Direzione Centrale 21 - le Sezioni Unite
della Corte di Cassazione propendono per l’interpretazione ‘‘tradizionale’’, secondo cui il riconoscimento di un corrispettivo maggiore o minore da parte del distaccatario, rispetto al costo
della retribuzione sostenuto dal distaccante, comporta l’assoggettamento a Iva dell’intero importo. Tale interpretazione e` stata confermata
da successive pronunce della Suprema Corte sul
punto 22.
8. Limiti delle conclusioni delle Sezioni
Unite
Tuttavia neppure tale pronuncia - per quanto significativa, dato che trattasi di pronuncia a Sezioni Unite e per quanto salutata con favore dalla
lata sull’intero corrispettivo e non gia` sul mero margine tra
corrispettivo dovuto al distaccante e costo del personale in
capo al distaccante. La contestazione mossa dagli uffici locali dell’Agenzia delle Entrate appare invero particolarmente censurabile, stante l’evidente violazione del principio del
legittimo affidamento - essendosi i contribuenti attenuti all’orientamento ‘‘tradizionale’’ dell’Amministrazione finanziaria, esplicitato ufficialmente in piu` occasioni - e considerato altresı` che, con l’applicazione dell’Iva sull’intero corrispettivo, i contribuenti hanno scelto l’interpretazione potenzialmente piu` favorevole al Fisco (in caso di distaccatario
con diritto alla detrazione limitato). Sulle conseguenze del
legittimo affidamento, si rinvia alla parte conclusiva dell’articolo.
21
Sulla violazione del legittimo affidamento dei contribuenti
da parte degli Uffici locali dell’Agenzia delle entrate, si rinvia
alle considerazioni svolte nella nota precedente.
dottrina tributaria 23 - appare definitivamente dirimere la questione.
Deve infatti in primo luogo notarsi che la sentenza non prende approfonditamente in considerazione la reale natura del distacco, come chiarita
dalla riforma Biagi: per quanto sopra osservato, il
distacco rappresenta un sottoinsieme del piu`
ampio insieme rappresentato dalla somministrazione di lavoro.
Incentrando la propria analisi sulla disposizione
di cui all’art. 8, comma 35, della L. n. 67/1988,
la sentenza in sostanza giunge a confermare l’interpretazione ‘‘tradizionale’’ in base ai seguenti
motivi:
1) la riforma Biagi contiene, all’art. 30, solo una
disciplina degli aspetti civilistici del distacco,
ma non ne regola la disciplina agli effetti dell’Iva;
2) l’introduzione della disposizione di cui all’art.
26-bis della L. n. 196/1997 ‘‘ha da un lato smentito l’ipotesi della identita` fra il trattamento Iva
dei distacchi di personale e quello dei contratti
di somministrazione di lavoro e, dall’altro,
chiarito che la diversa regola per questi valevole non era piu` fondata sulla possibile irrilevanza dell’operazione, ma sulla esenzione sempre
e comunque dei rimborsi che, pertanto, non
dovevano scontare l’imposta nemmeno nel caso in cui il corrispettivo globale avesse superato l’ammontare dei costi dei lavoratori’’;
3) la suddivisione del corrispettivo in una parte
rilevante ai fini Iva (il margine) e in una parte
non rilevante (il costo del personale) perverrebbe ‘‘addirittura a scomporre artificiosamente la controprestazione del distaccatario, attribuendole due diverse funzioni e nature malgrado l’indubbia unitarieta` economica e funzionale del servizio’’.
22
Cfr. la sentenza della Corte di Cassazione 3 agosto 2012, n.
14053.
23
Cfr. G. Marini, Disciplina dell’IVA e distacchi di personale: a
proposito di una recente sentenza, in ‘‘Dir. Prat. Trib.’’ n. 3/
2011, pag. 557; F. Capello, Il regime iva del prestito di personale, ivi n. 5/2011, pag. 991; P. Centore, Il distacco di personale fra norma nazionale e comunitaria, in ‘‘GT – Riv. giur.
trib.’’ n. 2/2012, pag. 97; G. Marini, Le Sezioni Unite mettono
ordine in tema di disciplina dell’Iva nel distacco di personale,
in ‘‘Rassegna Tributaria’’ n. 2/2012, pag. 477; R. Fanelli, Le
sezioni unite mettono fine al dibattito sull’esclusione da IVA
per il distacco di personale, in ‘‘Corr. Trib.’’ n. 4/2012, pag.
267; G. Paudice, Profili IVA del prestito di personale, in ‘‘L’IVA’’ n. 1/2012, pag. 12; F. Capello, Il distacco di personale secondo le sezioni unite e la compatibilita` con le Direttive IVA,
in ‘‘Dir. Prat. Trib.’’ n. 2/2013, pag. 272.
20/2014
1976
APPROFONDIMENTO – Imposta sul valore aggiunto (IVA)
Con riferimento al primo punto, e` peraltro da notare che la sentenza muove da un assunto non
corretto, incorrendo in una grave omissione la`
dove trascura di considerare la disposizione di
cui all’art. 86, comma 4, della riforma Biagi, neppure menzionata nella sentenza stessa. Da tale disposizione in realta` si ricava che - almeno in seguito all’introduzione della stessa - non e` corretto
affermare che la riforma Biagi non reca la disciplina Iva del distacco, giacche´ la previsione di
cui all’art. 26-bis della L. n. 196/1997 si applica
a tutte le somministrazioni di lavoro. Tra queste,
per quanto sopra detto, sono riconducibili anche i
distacchi, con la conseguenza che - almeno in seguito alla riforma Biagi - il trattamento ai fini
Iva di tutte le tipologie di somministrazione
dallo stesso disciplinate e` equiparato.
Con riferimento al secondo punto e` da osservare
che, anche ad accedere all’interpretazione delle
Sezioni Unite in ordine alla ratio dell’art. 8, comma 35, della L. n. 67/1988, per quanto sopra osservato l’art. 26-bis della L. n. 196/1997 - specie se letto insieme all’art. 86, comma 4, della riforma Biagi - non vale certo a smentire, ma al contrario a
confermare, per quanto sopra detto, che ai distacchi si applichi la stessa disciplina prevista
prima per le prestazioni rese dalle imprese di lavoro temporaneo e ora per le somministrazioni
di lavoro. La stessa Agenzia delle Entrate, del resto, come ricordato, ha affermato che con le disposizioni di cui all’art. 26-bis della L. n. 196/
1997 e all’art. 86, comma 4, della riforma Biagi
il ‘‘medesimo principio’’ contenuto nell’art. 8,
comma 35, della L. n. 67/1988 ‘‘e` stato trasfuso
nell’ambito della disciplina del contratto di fornitura di lavoro e, successivamente, in quella della
somministrazione di lavoro’’ 24.
Con riferimento al terzo punto, relativo alla asserita scomposizione artificiosa del corrispettivo
che si avrebbe individuando la base imponibile
del distacco solo nel margine, questa e` il risultato
della scelta legislativa operata con l’art. 26-bis della L. n. 196/1997, confermata dall’art. 86, comma
4, della riforma Biagi. Nella stessa sentenza delle
Sezioni Unite, del resto, non ci si ‘‘scandalizza’’
per l’applicabilita` di tale criterio alle somministrazioni di lavoro diverse dal distacco, che si da`
evidentemente per pacifico.
24
Cfr. la citata risoluzione n. 275/E del 2008.
25
Cfr., fra le altre, le sentenze della Corte di Giustizia 5 giugno
1997, C-2/95, e 4 maggio 2006, C-169/04.
26
Cfr. le risoluzioni dell’Agenzia delle Entrate 20 aprile 2007,
20/2014
9. Profili di non conformita`
all’ordinamento costituzionale
e all’ordinamento comunitario
La sentenza delle Sezioni Unite, inoltre, non tiene
conto dei profili di non conformita` all’ordinamento costituzionale e all’ordinamento comunitario
che si pongono limitando l’applicabilita` della predetta norma di cui all’art. 26-bis della L. n. 196/
1997 alle somministrazioni di lavoro svolte da imprese autorizzate.
Ove si accedesse all’interpretazione proposta nella sentenza, si perverrebbe alla singolare soluzione interpretativa di applicare alla particolare categoria delle prestazioni di distacco di personale
un trattamento deteriore ai fini Iva rispetto a
quello ordinariamente previsto per le prestazioni
di somministrazione di lavoro svolte da imprese
autorizzate. In caso di un corrispettivo eccedente
il mero costo del personale, infatti, la somministrazione svolta da imprese autorizzate e il distacco avrebbero - del tutto irragionevolmente - due
basi imponibili fortemente divergenti: il distacco,
infatti, avrebbe come base imponibile l’intero corrispettivo, mentre la somministrazione avrebbe
come base imponibile il solo margine.
Cio` appare inaccettabile sotto il profilo costituzionale, in quanto trattasi di fattispecie invero
equiparabili ai fini impositivi che qui interessano
e considerando il fatto che e` ben noto come la disciplina Iva di una data operazione debba essere
determinata in termini oggettivi, in dipendenza
delle caratteristiche di questa e non di quelle del
cedente o prestatore, come in piu` occasioni chiarito dalla Corte di Giustizia 25 e dalla stessa Agenzia delle Entrate 26.
Ritenere privilegiata, ai fini Iva in considerazione, la somministrazione di lavoro svolta da imprese autorizzate rispetto al distacco di personale
apparirebbe del resto vieppiu` paradossale ove si
consideri la genesi normativa prima ricordata.
Come chiarito dalla Corte di Cassazione nelle ricordate sentenze in materia giuslavoristica, nell’ordinamento nazionale il distacco non si e` mai
posto in conflitto con il divieto di intermediazione nelle prestazioni lavorative, mentre solo in seguito alla L. n. 196/1997 e alla riforma Biagi analoga valutazione e` stata operata con riferimento
n. 75/E, e 29 novembre 2011, n. 114/E, e, con specifico riferimento al tema delle prestazioni consistenti nella messa a
disposizione di personale, la citata risoluzione n. 275/E del
2008.
1977
Imposta sul valore aggiunto (IVA) – APPROFONDIMENTO
ai contratti di fornitura di lavoro temporaneo, prima, e alla somministrazione di lavoro da parte di
imprese autorizzate, poi.
Applicare ai distacchi una disciplina Iva deteriore
rispetto a quella delle somministrazioni di lavoro
effettuate da imprese autorizzate si porrebbe
quindi in palese violazione del principio costituzionale di uguaglianza di cui all’art. 3 della Costituzione.
Sotto tale profilo, non puo` che propendersi per la
tesi esegetica che renda la disciplina Iva compatibile con le previsioni costituzionali 27.
Senza alcuna pretesa di esaustivita` sul tema, poi,
l’interpretazione delle Sezioni Unite presterebbe
il fianco anche a censure sotto il versante comunitario, in termini di violazione del principio di
neutralita` 28. In forza di tale basilare principio,
gli operatori devono poter scegliere il modello organizzativo piu` conveniente e confacente dal punto di vista strettamente economico, senza correre
il rischio di vedere le loro operazioni trattate in
modo difforme sotto il profilo dell’Iva. Tale orientamento e` stato in piu` occasioni esplicitato dalla
Corte di Giustizia 29. Questo principio in particolare osta a che merci o prestazioni di servizi di
uno stesso tipo, che si trovano quindi in concorrenza tra di loro, siano trattate in maniera diversa
sotto il profilo dell’Iva, con la conseguenza che le
dette merci o le dette prestazioni devono essere
assoggettate a una disciplina Iva uniforme 30:
cosa che non avverrebbe, accedendo all’interpretazione delle Sezioni Unite, per il distacco e per
le altre tipologie di somministrazione di lavoro.
Si ricorda che il tema delle norme interne incompatibili con l’ordinamento comunitario e` stato in
piu` occasioni esaminato dalla Corte di Giustizia,
27
In ordine alla necessita` di privilegiare l’interpretazione costituzionalmente orientata, cfr. tra le tante, la sentenza della
Corte di Cassazione 27 giugno 2003, n. 10213.
28
Cfr. F. Ricca, Prestito o distacco di personale: l’IVA solo sull’extra costo, in ‘‘L’IVA’’ n. 11/2010, pag. 11.
29
Cfr. le sentenze della Corte di Giustizia: 4 maggio 2006, C169/04; 21 giugno 2007, C-453/05; 3 aprile 2008, C-124/07.
30
In proposito, la Corte di Giustizia ha precisato che il principio della neutralita` fiscale ‘‘non consente, in materia di riscossione dell’Iva, una distinzione generale fra le operazioni
lecite e le operazioni illecite’’ (cfr. la sentenza 11 giugno
1998, C-283/95) e, in particolare, osta ‘‘a che operatori economici che effettuano le stesse operazioni subiscano un trattamento differenziato in materia di riscossione dell’Iva’’ (cfr.
la sentenza 7 settembre 1999, C-216/97). Sempre sul punto,
cfr., tra le altre, le sentenze 23 ottobre 2003, C-109/02, e 28
giugno 2007, C-363/05.
31
In questo senso si e` pronunciata, tra le altre, la sentenza del-
che ha costantemente ribadito come, in tal caso,
non si renda di norma necessario rimettere la
questione alla Corte stessa, mediante l’istituto
del rinvio pregiudiziale di cui all’art. 267 del
TFUE, potendo il giudice nazionale direttamente
disapplicare le norme interne incompatibili 31.
10. Legittimo affidamento
Ove, per le ragioni sopra esposte, la giurisprudenza e l’Amministrazione finanziaria ritenessero di
superare l’orientamento ‘‘tradizionale’’, dovrebbe
comunque riconoscersi l’operativita` del mutamento di indirizzo solo per i comportamenti
successivi - escludendola per i comportamenti
pregressi - sulla base del principio del legittimo
affidamento, come applicato dalla Corte di Giustizia UE alla disciplina dell’Iva 32.
Secondo quanto chiarito dalla Corte di Giustizia,
il principio del legittimo affidamento non consente, in particolare, alle Amministrazioni finanziarie degli Stati membri di esigere, a posteriori, il
pagamento dell’Iva per la quale il soggetto passivo
di imposta non ha esercitato il diritto di rivalsa
sulla sua controparte contrattuale e non ha versato all’Amministrazione tributaria, nelle ipotesi in
cui il comportamento della stessa Amministrazione finanziaria sia stato tale da far sorgere nel soggetto passivo il legittimo convincimento di non
essere effettivamente tenuto ad applicare tale imposta al proprio cliente 33.
` da notare come le conclusioni cui e` pervenuta
E
la Corte di Giustizia, in merito all’applicabilita`
del principio del legittimo affidamento anche
con riferimento all’imposta, siano state poi recela Corte di Giustizia 19 luglio 2012, C-591/10, in cui si ricorda che ‘‘Secondo costante giurisprudenza, a fronte di una
norma di diritto incompatibile con il diritto dell’Unione direttamente applicabile, il giudice nazionale e` tenuto a disapplicare la norma nazionale’’.
32
Cfr. la sentenza della Corte di Giustizia 14 settembre 2006,
cause riunite da C-181/04 a C-183/04.
33
` appena il caso di osservare che la predetta sentenza supeE
ra espressamente, sul punto, la posizione sostenuta dal Governo italiano intervenuto nella causa, secondo cui ‘‘il giusto
equilibrio tra la salvaguardia dei principi di certezza del diritto e di tutela del legittimo affidamento, da un lato, e l’esigenza di rispettare la normativa comunitaria in materia di
Iva, dall’altro, deve avere come conseguenza che, nelle cause
principali, lo Stato ellenico possa certamente procedere al
recupero dell’imposta, ma non infliggere una multa o esigere il pagamento di interessi’’. Cfr. la citata sentenza cause
riunite da C-181/04 a C-183/04, punto 29.
20/2014
1978
APPROFONDIMENTO – Imposta sul valore aggiunto (IVA)
pite anche dall’Agenzia delle Entrate, con riferimento a ipotesi in cui la stessa ha mutato la propria interpretazione sulla disciplina tributaria di
determinate fattispecie 34.
Per i comportamenti pregressi, quindi, ove in
presenza di un corrispettivo eccedente o infe34
Cfr., sul punto, le circolari dell’Agenzia delle Entrate 4 aprile
2007, n. 19/E, par. 2, e 19 dicembre 2013, n. 36/E, par. 3.
35
Ovviamente l’importo detraibile e` ridotto in presenza delle
20/2014
riore il mero costo il distaccante abbia addebitato
l’Iva sull’intero corrispettivo, resta confermata
la correttezza della detrazione di tale imposta
operata dal distaccatario che agisce nell’esercizio
di impresa 35.
limitazioni all’esercizio del diritto alla detrazione di cui all’art. 19, commi 2, 4 e 5, del D.P.R. n. 633/1972.
1979
APPROFONDIMENTO
Contenzioso tributario:
dalla delega fiscale una timida
e alquanto vaga proposta di riforma
di Massimo Conigliaro (*)
Rafforzamento della tutela giurisdizionale e terzieta` dell’organo giudicante sono alla base della
mini riforma del contenzioso tributario prevista
dalla delega fiscale di recente approvata. Entro
dodici mesi, il Governo e` chiamato a rafforzare
la conciliazione giudiziale e la sospensione cautelare, prevedendone l’applicabilita` anche in grado
di appello. Giudice monocratico per le liti minori,
estensione della platea dei difensori, esecutorieta`
delle sentenze, diffusa applicazione del principio
della soccombenza e maggiore qualificazione e
preparazione del giudice tributario sono gli altri
principi cui si dovra` attenere il legislatore delegato.
1. Premessa
Dopo 18 anni di onorata carriera il D.Lgs. n. 546/
1992 che disciplina il contenzioso tributario sara`
sottoposto ad un’opera di ‘‘revisione’’ da parte del
Governo, che sulla scorta della delega fiscale approvata con la L. 11 marzo 2014, n. 23 e` chiamato
ad introdurre, ai sensi dell’art. 10, comma 1, lettere a) e b), norme per il rafforzamento della tute(*)
la giurisdizionale del contribuente, assicurando
la terzieta` dell’organo giudicante.
La legge prevede quindi il rafforzamento e la razionalizzazione dell’istituto della conciliazione
nel processo tributario, anche a fini di deflazione
del contenzioso e di coordinamento con la disciplina del contraddittorio fra il contribuente
e l’Amministrazione nelle fasi amministrative di
accertamento del tributo, con particolare riguardo ai contribuenti nei confronti dei quali sono
configurate violazioni di minore entita`.
La delega dovra` altresı` assicurare un incremento
della funzionalita` della giurisdizione tributaria
prevedendo:
un giudice monocratico per le liti di minore entita`;
la revisione delle soglie previste per l’assistenza
tecnica obbligatoria e l’eventuale ampliamento
della platea dei difensori;
la tutela cautelare oltre il primo grado di giudizio;
l’esecutorieta` delle sentenze;
il rafforzamento della qualificazione professionale dei giudici tributari;
un maggior rigore nell’applicazione del principio della soccombenza.
Il tutto - come specificato nell’art. 1 della L. n. 23/
2014 - nel rispetto dei principi costituzionali, in
Dottore commercialista in Siracusa, Professore incaricato di
diritto tributario della Scuola Superiore dell’Economia e
delle Finanze e della Link Campus University di Catania.
20/2014
1980
APPROFONDIMENTO – Processo tributario
particolare di quelli di cui agli artt. 3 e 53 della
Costituzione, nonche´ del diritto dell’Unione europea, e di quelli dello Statuto dei diritti del contribuente di cui alla L. 27 luglio 2000, n. 212.
La legge delega - frutto della sintesi di quattro diverse proposte di legge 1 - recepisce alcuni dei
principi indicati dal CNEL, formalizzati nel parere reso in ottemperanza all’art. 99 della Costituzione sul disegno di legge del 20 marzo 2013.
2. Terzieta` del giudice
La legge delega fissa tra gli obiettivi di fondo della
riforma del processo tributario il rafforzamento
della tutela giurisdizionale del contribuente assicurando la terzieta` del giudice. L’intendimento e`
degno di nota e mira a risolvere la querelle mai sopita relativa al fatto che la giustizia tributaria e`
amministrata e gestita dall’Amministrazione finanziaria, che oltre ad essere parte del processo
tributario tramite le Agenzie fiscali e` anche ‘‘datore di lavoro’’ lato sensu dei giudici ai quali corrisponde la remunerazione per l’attivita` svolta.
Si e` osservato da piu` parti 2 che si tratta di un problema piu` di forma che di sostanza, non potendo
(o forse non dovendo) dubitare della obiettivita`
` pur vero, pero`, che l’indidei giudici tributari. E
pendenza alla quale gli stessi devono ricondurre
la propria attivita` e` un requisito non soltanto di
sostanza ma anche di forma.
Appare pertanto necessario che la terzieta` del giudice venga assicurata con il passaggio delle
competenze ad un dicastero diverso da quello
dell’Economia e delle Finanze. Il naturale approdo potrebbe essere quello della Giustizia, ma
non sono mancate in passato ipotesi di una gestione affidata alla Presidenza del Consiglio dei
Ministri.
In ogni caso, il legislatore delegato dovra` affron1
Atti camera C.282, C.950, C.1122 e C.1339, approvati in testo
unificato.
2
La terzieta` si riferisce al profilo istituzionale ed ordinamentale e l’imparzialita` al modo concreto di esercizio della giurisdizione (cfr. P. Ferrua, Il "giusto processo" in Costituzione.
Rischio contraddizione sul neo-contraddittorio, in ‘‘Diritto e
giustizia’’, n. 1/2000, pag. 78). Si veda anche P. Russo, Il giusto processo tributario, in ‘‘Rassegna Tributaria’’ n. 1/2004,
pag. 233.
3
Con un comunicato stampa del 13 marzo 2014, l’Agenzia
delle Entrate ha diffuso i primi dati relativi all’istituto della
mediazione tributaria, segnalando che nel periodo 2 aprile
2012 - 2 ottobre 2013 sono state ‘‘attivate’’ 125 mila mediazioni e se ne sono chiuse positivamente quasi 72 mila, con
20/2014
tare la questione al fine di eliminare un vulnus
del sistema che va a ledere i diritti di una delle
parti del processo.
3. Conciliazione giudiziale
L’accertamento con adesione costituisce oggi una
solida realta` verso la quale tendono sia i contribuenti che gli Uffici impositori. Di converso la
conciliazione giudiziale non e` ancora realmente
‘‘decollata’’ 3.
Dopo l’intervento legislativo in tema di mediazione tributaria per le liti di valore inferiore ai 20 mila euro, e` previsto adesso un rafforzamento della
conciliazione giudiziale, nell’ottica del generale
ampliamento e potenziamento degli istituti deflattivi del contenzioso tributario ai quali e` ispirata ormai da tempo l’azione sia del legislatore che
dell’Amministrazione finanziaria (con un processo di osmosi che non desta piu` nemmeno sorpresa).
La Corte di Cassazione ha avuto modo di ribadire 4 che il canone ermeneutico della ragionevole
durata dei processi impone di favorire gli istituti
deflativo-conciliativi.
In tale ottica, la conciliazione giudiziale potra` essere estesa anche ai gradi successivi al primo,
non ravvisandosi peraltro ragioni ostative ad un
utilizzo diffuso ed eliminando il limite della prima udienza di trattazione previsto dall’art. 48
del D.Lgs. n. 546/1992 oggi vigente.
A parere di chi scrive, sara` utile ripensare integralmente la struttura di tale norma atteso che
la formulazione attuale non trova pieno riscontro
nella prassi operativa.
L’art. 48 prevede due ipotesi: la conciliazione in
udienza e quella fuori udienza. La prima risulta
pressoche´ inesplorata per una serie di ragioni,
tra le quali la concreta impossibilita` di redigere
una percentuale di definizione del 57%. ‘‘La diminuzione
considerevole del contenzioso - si legge nel comunicato
stampa - si registra soprattutto sulle liti fino ai 20 mila euro
cioe` quelle interessate dalla mediazione. Nei primi nove mesi del 2013, infatti, le mini controversie scendono del 25%
rispetto allo stesso periodo del 2012, passando da 59mila a
44.229. Si attesta intorno a 31 mila il numero di ricorsi di
importo superiore ai 20 mila euro, segnando una lieve variazione dello 0,5% tra il periodo di riferimento del 2013 e lo
stesso periodo del 2012.’’ Il comunicato stampa illustra altresı` il dato delle conciliazioni giudiziali che nel 2013 sono state 4.720 pari a circa il 5% del totale delle controversie incardinate nell’anno.
4
Cass. n. 9223 del 2007.
1981
Processo tributario – APPROFONDIMENTO
in udienza un verbale di conciliazione (con adeguata motivazione e corretta quantificazione di
imposte, interessi e sanzioni) e la carenza di poteri decisori in capo al funzionario tributario presente in udienza, che solitamente non dispone
della necessaria autorizzazione in tal senso. In tali casi, nella prassi, il giudice rinvia la trattazione
della controversia al fine di consentire alle parti di
redigere l’accordo conciliativo.
` sicuramente piu` diffusa l’ipotesi della conciliaE
zione fuori udienza. In tali casi la procedura prevede che fino alla trattazione della controversia
puo` essere depositata una proposta di conciliazione purche´ sia gia` stata approvata dall’altra parte.
Se l’istanza e` prodotta prima della fissazione della
data di trattazione, il Presidente della Sezione della Commissione Tributaria Provinciale, una volta
accertata la sussistenza dei presupposti e delle
condizioni per dar corso alla procedura, decreta
l’estinzione del giudizio.
Il decreto, unitamente alla proposta preconcordata, sostituisce il processo verbale di conciliazione;
esso deve essere comunicato alle parti, e il versamento dell’importo dovuto, ovvero della prima rata, va effettuato entro i successivi venti giorni.
L’elemento distintivo tra la conciliazione ‘‘in’’ e
‘‘fuori’’ udienza risiede nell’esistenza o meno di
un processo verbale di conciliazione, che, nel primo caso, sostituisce gli eventuali atti dell’Amministrazione contestati dal ricorrente e contiene
la formulazione dell’accordo conciliativo.
Nel caso della conciliazione fuori udienza, al Giudice spetta invece di esercitare un controllo di legittimita`, nonche´ l’emanazione del decreto di
estinzione del giudizio.
Nella conciliazione fuori udienza, l’estinzione del
giudizio e` pronunciata con decreto presidenziale;
in tale situazione la circolare n. 297/E del 1997
precisa che ‘‘potrebbe configurarsi la necessita`
di riattivare il processo nei casi di mancato perfezionamento della conciliazione. Pertanto, gli uffici dovranno porre la massima cura nell’accertare
il regolare assolvimento degli adempimenti descritti, proponendo, in difetto, tempestivo reclamo avverso il decreto presidenziale di estinzione,
ai sensi dell’art. 28 del D.Lgs. n. 546 del 1992’’.
Circostanza quest’ultima alla quale devono porre
attenzione gli Uffici finanziari, atteso che il termine del pagamento e` di venti giorni dalla data
dell’udienza o dal deposito del decreto presidenziale mentre quello del reclamo e` di trenta giorni,
decorrenti dalle medesime date. Cio` comporta la
conseguenza - assai scomoda per l’ente imposito-
re - di un termine compresso a soli dieci giorni
per predisporre e notificare l’eventuale reclamo.
Cosa succede nella prassi della conciliazione?
Nella maggior parte dei casi, in pendenza di giudizio, una parte (quasi sempre il contribuente)
propone all’altra (l’ente impositore) la conciliazione totale o parziale della controversia con un’istanza che viene depositata presso l’Ufficio competente.
L’Ufficio impositore, una volta valutata la proposta, contatta il professionista che assiste la parte,
al quale formula in genere una controproposta, rideterminando l’imponibile e, di conseguenza, le
somme dovute a titolo di imposta, interessi e sanzioni (ridotte oggi al 40%).
Proposta e controproposta devono essere adeguatamente motivate e corredate dai supporti documentali e probatori necessari a convincere la controparte della necessita` di transigere la lite; andranno quindi riportati fatti oggettivi, prassi e
giurisprudenza inerenti alla fattispecie trattata
nella controversia, al fine di giustificare la conciliazione e fornire al funzionario tributario (e dunque all’Amministrazione) gli elementi utili per ritenere accettabile la proposta.
La conciliazione prevede quindi la sottoscrizione
del verbale, anche in questo caso adeguatamente
redatto e motivato, verificando che la delega conferita al difensore contenga l’espressa autorizzazione a conciliare, cosı` come prevede la norma.
A questo punto, a mente dell’art. 48 del D.Lgs. n.
546/1992, l’Amministrazione finanziaria deposita
in Commissione tributaria la proposta di conciliazione alla quale la parte contribuente ha previamente aderito. In tale circostanza, il Giudice dovrebbe procedere alla valutazione della proposta
di conciliazione e pronunciarsi, senza fissare ulteriori udienze. Molto spesso accade, invece, che
la proposta di conciliazione venga depositata ad
udienza gia` fissata. Tale ipotesi incardina una
sorta di procedimento ‘‘misto’’: la conciliazione
risulta infatti sottoscritta dalle parti fuori udienza, ma l’udienza si celebra comunque e la Commissione prende atto dell’intervenuta conciliazione. Si pone pertanto il problema di comprendere
se in tali circostanze ci si trovi nel caso della conciliazione ‘‘in udienza’’ o meno. Tale valutazione
riverbera effetti sul termine per il versamento delle somme dovute ed in particolare sulla decorrenza dello stesso: dalla data di udienza - nella quale
viene redatto il verbale - ovvero da quella successiva del decreto presidenziale?
Al fine di evitare dubbi interpretativi sul punto, sara` bene chiarire nei decreti delegati le conseguen20/2014
1982
APPROFONDIMENTO – Processo tributario
ze del mancato pagamento: in particolare, in caso di conciliazione in udienza (ovvero nell’ipotesi
di quel procedimento che abbiamo definito ‘‘misto’’) sara` utile prevedere un rinvio della causa a
data successiva alla scadenza dei venti giorni concessi per il versamento, cosı` da consentire alla
Commissione di verificare l’avvenuto versamento
delle somme dovute, prendere atto del venir meno
dell’obbligazione tributaria e, per l’effetto, dichiarare estinto il giudizio per cessazione della materia
del contendere. Altrimenti il processo prosegue.
dio della quale sono istituiti gli Albi. Anche in tale
circostanza la legge delega utilizza il termine
‘‘eventuale’’ con cio` lasciando al legislatore delegato la decisione finale.
5. Tutela cautelare, esecutorieta`
delle sentenze e spese di giudizio
La legge delega prevede ‘‘l’eventuale composizione monocratica dell’organo giudicante in relazione a controversie di modica entita` e comunque
non attinenti a fattispecie connotate da particolari complessita` o rilevanza economico-sociale’’. Si
tratta di un’ipotesi, gia` proposta piu` volte nel passato, rimessa alla volonta` del legislatore delegato
e che assolve alla finalita` di snellire l’attivita` delle
Commissioni tributarie, affidando ad un singolo
giudice le controversie minori e consentendo la
trattazione delle vertenze di maggior valore (o impegno) al giudizio del collegio.
In merito all’entita` della lite, sara` il legislatore
delegato ad individuare la soglia ma si potrebbe
far riferimento al limite previsto dall’art. 12 del
D.Lgs. n. 546/1992 per l’assistenza tecnica obbli` da rilevare la
gatoria, pari oggi a 2.582,28 euro. E
previsione di una ‘‘revisione’’ di tale soglia, che
potrebbe pertanto essere elevata ad un importo
che potrebbe individuarsi in 5.000 euro.
Parimenti e` previsto ‘‘l’eventuale ampliamento dei
soggetti abilitati a rappresentare i contribuenti dinanzi alle commissioni tributarie’’, con cio` lasciando intendere che oltre ai professionisti attualmente titolati alla difesa (principalmente dottori commercialisti, avvocati, consulenti del lavoro, ragionieri) potrebbero rientrare anche i professionisti non iscritti in albi, circostanza che
ha gia` sollevato piu` di una perplessita` nel mondo
` noto infatti il diverso percorso forordinistico. E
mativo che caratterizza le tradizionali professioni
regolamentate, con un ciclo di studi universitari,
un tirocinio ed un esame di Stato; tutti elementi
volti a garantire quella qualita` della prestazione
che realizza la tutela della fede pubblica a presi-
La possibilita` della sospensione cautelare in appello ovvero in pendenza del ricorso per cassazione, in
assenza di un’espressa norma in tal senso, interessa
da tempo la giurisprudenza delle Commissioni tributarie con esiti ormai consolidati, sia nella valutazione delle corti di merito che della Cassazione,
nella direzione auspicata dalla parte contribuente.
L’art. 10, comma 1, lett. b), n. 9 della legge delega
intende porre fine a qualsiasi querelle giurisprudenziale sul punto con l’uniformazione e generalizzazione degli strumenti di tutela cautelare nel
processo tributario, cosı` da superare la singolare
situazione vissuta fino ad oggi nella quale taluno
non riteneva possibile per il giudice di appello
concedere tutela cautelare piena al contribuente,
limitandola alle sole sanzioni tributarie ai sensi
dell’art. 19 del D.Lgs. n. 472/1997.
L’intervento normativo, quantunque le nubi del
passato appaiano diradate, appare pertanto necessario.
` da rilevare - come affermato gia` in epoca risaE
lente 5 e confermato di recente dalla giurisprudenza 6 - che la struttura del D.Lgs. n. 546/1992
non attribuisce al giudice d’appello poteri menomati rispetto a quelli di primo grado. A norma
dell’art. 61 del D.Lgs. n. 546/1992, nel procedimento di appello si osservano le medesime norme
dettate per il procedimento di primo grado; l’art.
61 non richiama specificamente le norme del Capo I del titolo II del D.Lgs. n. 546/92 (artt. da 18 a
46), ma richiama, in generale, tutte le norme ‘‘dettate per il procedimento di primo grado’’. E tale
dizione comprende quindi il titolo II e, dunque,
anche l’art. 47.
Le norme in tema di tutela cautelare appaiono
quindi applicabili anche in appello, con riferimento alla sospensione della sentenza di primo
grado; naturalmente i riferimenti contenuti nell’art. 47 alla Commissione tributaria provinciale
e alla pubblicazione della sentenza di primo grado sono da intendere, applicando tale normativa
al secondo grado, come riferimenti alla Commis-
5
6
4. Giudice monocratico e ampliamento
della platea dei difensori
Cfr. M. Conigliaro, Processo tributario: la tutela cautelare in
fase di impugnazione, in ‘‘il fisco’’ n. 12/2004, pag. 1-1821.
20/2014
Cfr. Corte Cost., 17 giugno 2010 n. 217; Id., 26 aprile 2012, n.
109; Cass., 24 febbraio 2012, n. 2845.
1983
Processo tributario – APPROFONDIMENTO
sione tributaria regionale e alla pubblicazione
della sentenza di appello.
Occorre sottolineare inoltre che il generale rinvio
contenuto nell’art. 1, comma 2, del D.Lgs. n. 546/
1992 alle norme contenute nel codice di procedura civile porterebbe a ritenere applicabile al processo tributario anche l’art. 283 c.p.c., il quale dispone che il giudice d’appello su istanza di parte,
proposta con l’impugnazione principale o con
quella incidentale, quando ricorrono gravi motivi,
sospende in tutto o in parte l’efficacia esecutiva o
l’esecuzione della sentenza impugnata.
La legge delega prevede inoltre l’immediata esecutorieta`, estesa a tutte le parti in causa, delle
sentenze delle Commissioni tributarie, con
cio` colmando una disparita` di trattamento delle
parti in causa. Attualmente l’ente impositore, in
base alle norme in tema di riscossione frazionata
in pendenza di giudizio previste dall’art. 68 del
D.Lgs. n. 546/1992, puo` agire nei confronti del
contribuente, intimando il pagamento di imposte, interessi, sanzioni e spese di giudizio dovute
in base alla sentenza di primo grado, anche nel
caso che la stessa sia stata impugnata. Analoga
possibilita` non e` consentita alla parte privata,
che si vede invece costretta ad attendere il passaggio in cosa giudicata della pronuncia favorevole per ottenere, ad esempio, il rimborso dovuto
ovvero le spese di giudizio eventualmente liquidate.
La legge delega contiene inoltre un richiamo alla puntuale applicazione del principio della soc` noto che dopo la mini riforma del
combenza. E
codice di procedura civile, il giudice puo` disporre la compensazione delle spese soltanto in
casi eccezionali, indicandone le specifiche ragioni in sentenza 7. Non e` possibile quindi utilizzare formule di stile per giustificare la compensazione delle spese (del tenore ‘‘sussistono ragioni di sostanziale equita` per compensare le spese
di giudizio’’) ovvero - come ancora accade sovente - ignorare de plano qualsiasi motivazione,
indicando semplicemente ‘‘spese compensate’’.
Piuttosto, e` da ricordare come la giurisprudenza
abbia valorizzato il principio della soccombenza
virtuale, che prevede la condanna della parte
che si rifugia nella richiesta di cessazione della
materia del contendere nelle ipotesi in cui, nelle
more del giudizio, ha disposto l’annullamento in
autotutela dell’atto impositivo ed il conseguente
7
sgravio del carico iscritto a ruolo. Il maggior rigore auspicato dalla legge delega dovrebbe evitare
che tali situazioni si verifichino ancora in futuro.
6. Rafforzamento della qualificazione
professionale dei giudici tributari
L’art. 10 della legge delega, in tema di riforma del
contenzioso tributario, e` dedicato anche all’organizzazione della giustizia tributaria ed al rafforzamento della qualificazione professionale dei giudici.
In particolare, e` prevista:
la possibilita` di una distribuzione territoriale
dei componenti delle Commissioni tributarie;
l’attribuzione e la durata, anche temporanea e
rinnovabile, degli incarichi direttivi;
una revisione dei criteri di determinazione del
trattamento economico spettante ai componenti delle Commissioni tributarie;
la semplificazione e razionalizzazione della disciplina relativa al meccanismo di elezione del
Consiglio di presidenza della giustizia tributaria;
il rafforzamento della qualificazione professionale dei componenti delle Commissioni tributarie, al fine di assicurarne l’adeguata preparazione specialistica.
` noto quanto sia delicata la funzione del giudice
E
tributario ed in tale contesto la qualificazione
professionale e la preparazione costituiscono variabili strategiche irrinunciabili. Non e` dato comprendere, pero`, sulla scorta di quali linee guida
cio` avverra`, cosı` come risulta da decifrare la ‘‘possibilita` di distribuzione territoriale dei componenti delle commissioni tributarie’’. Di converso,
la revisione del trattamento economico dei giudici appare improcrastinabile, atteso che la dignita`,
il decoro e l’indipendenza della funzione devono
` da ricordare
trovare adeguata remunerazione. E
infatti che, anche dopo l’introduzione del contributo unificato, il compenso dei giudici tributari
e` rimasto immutato, ancorato a parametri onestamente anacronistici che rischiano di relegare l’attivita` svolta ad una sorta di volontariato giudiziario.
In tal senso l’art. 92, comma 2, c.p.c., nella formulazione novellata dall’art. 45, comma 11, della L. 18 giugno 2009, n. 69,
applicabile con decorrenza dal 4 luglio 2009.
20/2014
1984
APPROFONDIMENTO – Processo tributario
7. Conclusioni
Pur partendo da intenzioni lodevoli - rafforzamento della tutela giurisdizionale del contribuente e terzieta` del giudice - la legge delega opera un
intervento di ‘‘revisione’’ del sistema piuttosto timido ed in molti punti davvero vago. La ragione
della timidezza potrebbe consistere nel fatto che
l’impianto del D.Lgs. n. 546/1992, per quanto migliorabile, ha assolto dignitosamente alla propria
funzione e dunque puo` ritenersi sufficiente una
semplice revisione piuttosto che una vera e propria rimodulazione. Comprendiamo anche che la
politica dei piccoli passi e` forse l’unica che puo`
portare risultati in Parlamento. Pur tuttavia ci saremmo aspettati piu` coraggio.
Occorre poi aggiungere che una legge delega do-
vrebbe fissare in modo puntuale i principi ai quali
si dovra` attenere il legislatore delegato: anche qui,
pero`, l’intervento legislativo appare privo di incisivita`, tralasciando di tracciare la strada sulla
quale dovra` muoversi l’annunciata revisione.
Peraltro non mancano i progetti di riforma organica del contenzioso tributario e, da ultimo, e` stata presentata in Senato una proposta di legge 8
con un articolato completo, redatto con il contributo del prof. Cesare Glendi, che poteva costituire
una solida base per una modifica strutturale 9.
Il Governo adesso avra` dodici mesi per esercitare
la delega fiscale. Vedremo se verranno emanati gli
attesi decreti legislativi oppure se scadranno i termini senza giungere al risultato ipotizzato. Non
sarebbe la prima volta nella storia del nostro tormentato legislatore.
8
9
Atto S. 988, primo firmatario Sen. Giorgio Pagliari, presentato in data 1º agosto 2013, Assegnato alle commissioni riunite 2a (Giustizia) e 6a (Finanze e Tesoro) in sede referente il
22 gennaio 2014.
20/2014
Proposta che potrebbe tornare di attualita` nel caso di mancato esercizio della delega nel termine previsto di dodici mesi.
1985
APPROFONDIMENTO
Conseguenze penal-tributarie
del cambio di amministratore
di Antonio Iorio e Sara Mecca
Le violazioni penali tributarie si consumano in
coincidenza di determinate scadenze fiscali, con
la conseguenza che, in caso di societa`, diventa rilevante l’individuazione, a tale data, del rappresentante legale/amministratore. Non di rado, avvicinandosi detti adempimenti e nella consapevolezza di poter commettere un reato tributario,
l’amministratore in carica viene sostituito con
uno nuovo, spesso mero prestanome. Da evidenziare poi che talvolta nella gestione societaria il
(nuovo) amministratore di diritto e` affiancato
da quello di fatto che materialmente assume tutte le decisioni. Si esaminano le piu` recenti interpretazioni dei giudici di legittimita` al fine di individuare il soggetto cui sia ascrivibile la responsabilita` del delitto tributario in presenza di cambio
di amministratore in prossimita` delle scadenze fiscali o di rappresentanti di fatto.
1. Premessa
La maggior parte delle vigenti fattispecie penal
tributarie (D.Lgs. n. 74/2000) e` riconducibile alla
categoria dei reati propri 1. Si tratta di condotte
1
A seconda della figura soggettiva di chi lo commette, il reato
puo` essere distinto in proprio o comune:
– il reato comune puo` essere commesso da chiunque, indipendentemente dal possesso di determinate qualifiche;
– il reato proprio puo` invece essere commesso soltanto da
colui che rivesta una determinata qualifica o abbia uno
che possono essere realizzate solo da determinate
categorie di soggetti, specificamente individuati
dal legislatore in base al ruolo e/o alla carica rivestita.
In caso di violazioni fiscali commesse da una societa`, dunque, la responsabilita` penale non puo`
manifestarsi in capo a chiunque operi od agisca
all’interno dell’azienda, ma solamente a chi venga
attribuito specificamente un incarico. Tale impostazione e` legata, evidentemente, alla necessita` di
individuare e punire chi, per un comportamento
omissivo o commissivo, possa compromettere o
ledere l’interesse della societa`.
Pertanto, appare rilevante il dato formale della
titolarita` dei poteri di gestione del soggetto
giuridico, con la conseguenza che la responsabilita` penale risulta legata ai compiti ed agli incarichi di chi opera in posizione di vertice e/o di rappresentanza della societa`.
` lecito a questo punto chiedersi se tale impostaE
zione sia univoca ovvero vi siano talune circostanze in cui il dato formale viene, per cosı` dire,
messo in ombra da quello sostanziale.
Cosa accade, cioe`, se un soggetto che ha la formale rappresentanza della societa` (amministratore
di diritto) operi in realta` guidato da altri (amministratore di fatto), oppure se, in caso di cambio
di amministrazione, il reato si consumi al momento in cui e` in carica il nuovo rappresentante
status precisato dalla norma, o possieda un requisito necessario per la commissione dell’illecito (sono reati propri, ad esempio, il peculato e la concussione, che possono essere commessi solo da un pubblico ufficiale o da un
incaricato di pubblico servizio).
20/2014
1986
APPROFONDIMENTO – Reati tributari
ma la sua commissione sia stata in realta` legata al
comportamento dell’amministratore precedente?
Se, infatti, si prescindesse da queste considerazioni si dovrebbe giungere alla conclusione per cui
l’imprenditore o l’amministratore risponderebbero penalmente (esclusivamente) in virtu` della posizione di diritto che rivestono, trascurando di
operare una valutazione sul loro effettivo e concreto operato.
La giurisprudenza di legittimita` e` intervenuta varie volte sulla questione: in sostanza, ci si chiede:
a) a chi vada ascritta l’eventuale responsabilita`
penale in caso di cambio di amministrazione
societaria in prossimita` delle scadenze fiscali,
rilevanti anche dal punto di vista penale;
b) se, nel caso di presenza di un amministratore
di fatto e di uno di diritto, il primo sia comunque responsabile della gestione societaria fittiziamente intestata ad altri e, quindi, degli
eventuali illeciti tributari commessi.
Non di rado, infatti, in prossimita` di scadenze
fiscali significative anche ai fini penali (valga
per tutti il caso dell’omesso versamento dell’Iva
per importi superiori a 50.000 euro entro il 27 dicembre dell’anno successivo a quello in cui si riferiscono le omissioni), si assiste al cambio di amministratore/rappresentante legale della societa`.
Cio` in molti casi perche´, nella consapevolezza
della possibile commissione del reato tributario,
si decide di intestare la rappresentanza della impresa (e con essa la responsabilita`) ad un nuovo
amministratore (generalmente una ‘‘testa di legno’’ accondiscendente).
Si puo` ancora verificare che la societa` nel frattempo sia soggetta a procedure di liquidazione,
di ristrutturazione, prefallimentari o fallimentari
e, quindi, comunque la rappresentanza di diritto
della societa` passi ad un nuovo soggetto (curatore, liquidatore, commissario, ecc.).
In tutte queste ipotesi occorre chiedersi, dunque,
se sia responsabile del reato tributario successivamente consumato il vecchio o il nuovo rappresentante.
2. Omesso versamento dell’Iva:
l’interpretazione della giurisprudenza
di legittimita`
Una delle scadenze in prossimita` della quale, ne2
Cass., 15 marzo 2013, n. 12268.
20/2014
gli ultimi tempi, si verifica piu` di frequente la sostituzione del rappresentante e` l’acconto Iva (27
dicembre) che, come noto, determina anche la
commissione del reato di omesso versamento dell’Iva dell’anno precedente.
Infatti l’art. 10-ter del D.Lgs. n. 74/2000 punisce
chiunque non versi l’Iva, dovuta in base alla dichiarazione annuale, entro il termine per il versamento dell’acconto relativo al periodo d’imposta
successivo (in genere 27 dicembre), per importi
superiori a 50.000 euro (soglia di punibilita`).
Ne consegue, ad esempio, che lo scorso 27 dicembre 2013 si e` consumato il reato in capo a quei
contribuenti i quali hanno dichiarato per l’anno
2012 (ma non versato) imposta superiore a tale
soglia.
La Corte di Cassazione, con una sentenza del
2013 2, ha affermato che non puo` ritenersi estraneo, in caso di successione tra amministratori di
una societa`, colui che la rappresentava nel periodo antecedente alla scadenza del termine per il
versamento, poiche´ la sua condotta potrebbe aver
fornito un contributo causale alla commissione
del fatto, creando materialmente i presupposti
per il successivo omesso versamento.
Infatti, le somme incassate a titolo di Iva sono destinate ad essere versate all’Erario e non sono nella libera disponibilita` del contribuente che dovrebbe, invece, accantonarle, se non provvede al
versamento periodico mensile o trimestrale.
Per di piu`, i Giudici ritengono che la fattispecie di
omesso versamento dell’Iva sia una fattispecie a
‘‘consumazione differita’’: il momento consumativo, corrispondente al tempo in cui scade il termine previsto dalla legge per il versamento dell’acconto relativo al periodo di imposta successivo, non corrisponde al momento in cui si concretizza la condotta sanzionata e, cioe`, con l’omesso
versamento dell’imposta alle periodiche scadenze.
Il mancato accantonamento delle somme incassate a titolo di Iva da parte del precedente amministratore, dunque, ha sicuramente una efficienza causale diretta sulla commissione del reato e
ne comporta la responsabilita`, quantomeno a titolo di concorso.
3. Interpretazione differente
Di avviso parzialmente diverso appare, invece, la
sentenza della Suprema Corte n. 12248 depositata
1987
Reati tributari – APPROFONDIMENTO
il 14 marzo 2014, secondo cui l’ex amministratore
puo` essere condannato per l’omesso versamento
dell’Iva solo con la prova che si e` dimesso proprio
per non saldare il debito col Fisco.
La Corte, in particolare, ha statuito la non configurabilita` della responsabilita` penale a carico di
cinque ex amministratori di una societa` che non
aveva versato l’Iva, i quali alla data di scadenza
dell’acconto non erano piu` in carica perche´ l’azienda era stata commissariata.
I giudici hanno ritenuto che il reato di omesso
versamento Iva - diversamente da quanto stabilito
nella sentenza 12268 del 2013 - abbia natura
istantanea, consumandosi nel momento in cui
scade il termine previsto dalla legge per il versamento dell’acconto relativo al periodo di imposta
successivo. Tale natura non consente di attribuire
agli indagati la responsabilita` penale posto che alla data del 27 dicembre 2010, ossia alla data in cui
si era consumato il reato, la societa` non era piu`
amministrata dagli stessi ma era stata affidata alla gestione del commissario giudiziale. Ne consegue che - scrivono i giudici - la punibilita` e` esclusa nel caso in cui il soggetto tenuto all’adempimento fiscale penalmente rilevante (cioe`, a versare l’Iva dichiarata) sia un soggetto diverso da
quello che aveva presentato la dichiarazione, salvo che la Pubblica Accusa non dimostri che l’ex
amministratore si e` dimesso proprio per non saldare il debito con il Fisco.
A conferma di tale interpretazione si segnala anche la sentenza n. 39082 del 2013, la quale ribadisce che il reato di omesso versamento dell’Iva e`
un illecito omissivo istantaneo sottoposto all’adempimento di un obbligo entro un termine ed
e` a tale momento che deve aversi riferimento
per determinare il fatto consumativo. Pertanto,
non essendo a tale data l’imputato amministratore della societa`, egli non avrebbe potuto adempiere a tale obbligo. Per di piu` non erano stati evidenziati specifici elementi probatori da cui desumere che la pregressa gestione fosse stata volta all’evasione dell’Iva.
Il principio per cui l’ex manager risponda del reato solo con specifici elementi probatori e` stato
confermato anche dalla sentenza n. 15119 depositata il 2 aprile 2014. La Corte ha precisato che, in
caso di omesso versamento Iva da parte di una societa` in concordato, la responsabilita` penale del
precedente amministratore non in carica alla scadenza dell’adempimento e` subordinata all’esistenza di specifici elementi probatori da cui desumere
che la pregressa gestione fosse destinata all’evasione Iva.
La pronuncia riguarda una casistica che, in questo periodo di crisi finanziaria delle imprese,
puo` verificarsi di sovente. Nella specie, una societa` era stata posta in concordato preventivo il 28
aprile 2011 e il concordato era stato omologato
il 19 ottobre successivo, con la nomina di un commissario giudiziale. Poi, il 27 dicembre, veniva
omesso il versamento Iva relativo al periodo di
imposta 2010, per un importo superiore alla soglia penale.
Su richiesta del Pm, il Gip disponeva il sequestro
dei beni del precedente amministratore, responsabile, secondo la tesi accusatoria, dell’omesso accantonamento dell’imposta che non aveva consentito al subentrato commissario il versamento
Iva.
Il Tribunale del riesame, cui si rivolgeva l’indagato, confermava la legittimita` della misura cautelare. I giudici, pur dando atto del concordato preventivo e della nomina di un commissario (cui
incombeva materialmente l’adempimento Iva in
questione), ritenevano il precedente amministratore non estraneo a tale incombenza, in
quanto le somme incassate a titolo di Iva e destinate ad essere versate all’Erario non erano nella
sua libera disponibilita` ma dovevano essere accantonate. In sostanza, il precedente rappresentante legale aveva fornito un contributo causale
alla commissione del fatto, creando materialmente i presupposti per il successivo versamento.
Ricorreva per cassazione l’ex amministratore, lamentando tra l’altro che, con il concordato preventivo e la nomina del commissario giudiziale,
egli non aveva piu` la disponibilita` delle somme
per versare l’imposta dovuta e, pertanto, era del
tutto estraneo al fatto penalmente rilevante. Peraltro, non era stato dimostrato che la sua gestione ante concordato fosse stata volta all’evasione
dell’Iva.
La Corte di cassazione ha ritenuto fondato questo
motivo di ricorso. In particolare, secondo la sentenza, che richiama le predette pronunce nn.
12268 del 2013 e 39082 del 2013, per il soggetto
non piu` formalmente in condizioni di poter
adempiere, bisogna accertare l’esistenza di specifici elementi probatori da cui desumere che la
pregressa gestione fosse stata volta all’evasione
dell’Iva ed a tale scopo fossero destinati i mancati
accantonamenti dell’imposta.
Nella specie, la sentenza impugnata in Cassazione
non argomentava nulla al riguardo. Tantomeno
faceva riferimento all’eventuale residuo di cassa
trovato dal commissario e, ancora, se la somma
fosse stata, o meno, sufficiente, per procedere al20/2014
1988
APPROFONDIMENTO – Reati tributari
l’adempimento, al fine di comprendere cosı` se l’omissione fosse riconducibile al precedente amministratore o al commissario.
In conclusione, dunque, secondo le richiamate
sentenze, deve essere esclusa una generalizzata
responsabilita` penale dell’ex amministratore per
i reati tributari commessi quando non era piu` in
carica. Una tale responsabilita` penale potra` essere
affermata solo dimostrando che la precedente gestione societaria fosse volta all’evasione dell’imposta e che l’ex amministratore si e` dimesso proprio per non incorrere in responsabilita` penale.
4. Responsabilita` del nuovo
amministratore
Per quanto riguarda, invece, la responsabilita` penale del nuovo amministratore, subentrato proprio in prossimita` della scadenza fiscale (rectius:
della commissione del reato), la Cassazione 3 ha
ritenuto irrilevante l’omessa rappresentazione
della reale situazione debitoria della societa` da
parte dei precedenti amministratori.
Infatti, l’assunzione della carica di amministratore comporta, per comune esperienza, una minima
verifica della contabilita`, dei bilanci e delle ultime dichiarazioni dei redditi. Ove cio` non avvenga, e` evidente che colui che subentri nelle quote (come nel caso della pronuncia citata) e assuma la carica si espone volontariamente a tutte le
conseguenze che possono derivare da pregresse
inadempienze. Pertanto, la Corte ha confermato
la responsabilita` penale per omesso versamento
Iva di un soggetto subentrato nella gestione societaria circa venti giorni prima della scadenza
del termine.
Allo stesso modo si e` espressa la Cassazione nella
sentenza n. 15660 dell’8 aprile 2014.
Un’imprenditrice, in qualita` di legale rappresentante di una srl, veniva condannata per omesso
versamento Iva 2005, nonostante si fosse difesa
innanzi ai giudici del merito affermando di essere
subentrata al precedente amministratore solo ad
aprile del 2006.
L’imputata presentava ricorso in Cassazione, sostenendo che, al momento del subentro come amministratrice, non aveva trovato nelle casse dell’azienda alcuna liquidita` da destinare al pagamento
3
Cass., 27 gennaio 2014, n. 3636.
4
L’orientamento e` conforme a quello di Cass. 15 marzo 2013,
n. 12268 in tema di omesso versamento dell’Iva.
20/2014
dell’Iva. La sua responsabilita` per l’omesso versamento dell’imposta dovuta per il precedente anno
di esercizio poteva essere affermata solo ove vi
fosse stata la prova positiva che al momento del
suo subentro nella gestione della societa` vi era
nelle casse della stessa il denaro da versare all’Erario.
La Cassazione ha respinto il ricorso rilevando che
il nuovo amministratore di una societa` si espone
a tutte le conseguenze derivanti da pregresse
inadempienze.
Secondo i giudici di legittimita`, l’imprenditrice
avrebbe potuto e dovuto effettuare, in primo luogo, una minima preventiva verifica della contabilita`, dei bilanci e delle dichiarazioni dei redditi.
In secondo luogo, avrebbe dovuto raccogliere dal
momento del subentro (aprile 2006) in poi le liquidita` occorrenti per il pagamento a fine dicembre dell’Iva. Pertanto, la scelta della nuova amministratrice di destinare i proventi del 2006 al pagamento di debiti diversi da quelli verso l’Erario
si risolve automaticamente nell’accettazione del
rischio di non poter versare l’Iva nel termine penalmente rilevante.
Ne deriva che il nuovo amministratore sara` sempre responsabile del reato tributario commesso al
momento in cui detiene la carica.
5. Omessa presentazione
della dichiarazione
Altra questione interessante affrontata dalla giurisprudenza di legittimita` relativa alla successione
dei rappresentanti legali in presenza di un reato
tributario (sentenza n. 13322 del 21 marzo
2014) concerne l’ipotesi delittuosa dell’omessa
presentazione della dichiarazione.
Secondo i giudici e` irrilevante chi fosse formalmente il legale rappresentante al momento della consumazione della violazione fiscale e del
conseguente reato. Se, infatti, il precedente amministratore risulta aver continuato di fatto a
partecipare alla gestione aziendale, o comunque
se la condotta illecita si dimostra correlata alle
precedenti attivita` svolte, anche lui rispondera`
del reato, quantomeno in concorso con il nuovo
rappresentante legale 4.
Nella specie, il legale rappresentante di una socie-
1989
Reati tributari – APPROFONDIMENTO
ta` era imputato del reato di omessa dichiarazione 5, per aver omesso la presentazione della dichiarazione fiscale per l’anno 2004.
L’imprenditore veniva condannato sia in primo,
che in secondo grado. Avverso la sentenza della
Corte di Appello era presentato ricorso per Cassazione, con cui la difesa lamentava che l’imputato
non poteva essere ritenuto responsabile perche´,
alla data di commissione dell’illecito, non aveva
piu` la carica di amministratore della societa`.
La Corte di Cassazione, con la sentenza in commento, respinge il ricorso dell’imprenditore, confermando la condanna a suo carico. I Supremi giudici, pur confermando che alla data di consumazione dell’illecito l’imputato non era piu` il legale
rappresentante della societa` (perche´ al suo posto
era subentrato un liquidatore), evidenziano come
cio` rappresentasse un espediente per dismettere
la qualifica formale di amministratore e liberarsi
della responsabilita` penale. Lo stesso Tribunale
aveva rilevato che l’imputato era rimasto pienamente coinvolto nelle attivita` della societa` anche
successivamente alla formale perdita della carica
di amministratore. Quindi, egli doveva rispondere
del reato contestato, quantomeno a titolo di concorso, con il nuovo legale rappresentante.
La giurisprudenza di legittimita` 6 pare sostenere il
principio per cui l’amministratore di fatto ha gli
stessi identici doveri del rappresentante legale e
quindi risponde di tutte le condotte penalmente
rilevanti. Al contrario, per la punibilita` della ‘‘testa
di legno’’ (l’amministratore meramente di diritto),
occorre dimostrare la partecipazione alla gestione societaria illecita.
In particolare, con la sentenza n. 11649 del 27
marzo 2012, la Corte ha affermato che l’amministratore ‘‘di fatto’’, in base alla disciplina dettata
dal novellato art. 2639 c.c. 7, e` da ritenere gravato
dell’intera gamma dei doveri cui e` soggetto l’amministratore ‘‘di diritto’’, per cui, ove concorrano
le altre condizioni di ordine oggettivo e soggettivo, egli assume la penale responsabilita` per tutti
i comportamenti penalmente rilevanti a lui addebitabili.
Di segno parzialmente diverso risulta essere, invece, la sentenza n. 47110 del 2013, con cui la Corte
conferma la responsabilita` dell’amministratore
di fatto, ma equipara allo stesso il mero prestanome, non subordinando la responsabilita` di
quest’ultimo alla dimostrazione della sua partecipazione alla gestione societaria illecita.
In sostanza, i giudici hanno statuito che, in caso
di reato tributario, non e` responsabile solo l’amministratore di fatto della societa` che effettivamente ha la gestione della stessa, ma anche il prestanome. Quest’ultimo, infatti, risponde a titolo di
dolo eventuale 8 perche´, accettando la carica sociale, assume anche i rischi connessi.
Nella specie, l’Amministratore di diritto di una so-
5
7
‘‘Per i reati previsti dal presente titolo al soggetto formalmente investito della qualifica o titolare della funzione prevista dalla legge civile e` equiparato sia chi e` tenuto a svolgere la stessa funzione, diversamente qualificata, sia chi esercita in modo continuativo e significativo i poteri tipici inerenti alla qualifica o alla funzione.
Fuori dei casi di applicazione delle norme riguardanti i delitti dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione, le disposizioni sanzionatorie relative agli amministratori
si applicano anche a coloro che sono legalmente incaricati
dall’autorita` giudiziaria o dall’autorita` pubblica di vigilanza
di amministrare la societa` o i beni dalla stessa posseduti o
gestiti per conto di terzi’’.
8
Si ricorda che la volonta` dolosa, a seconda dei vari livelli di
intensita` dai quali puo` essere caratterizzata, puo` dar luogo
alla configurabilita` del dolo intenzionale (allorche´ si persegue l’evento come scopo finale della condotta); del dolo diretto (quando l’evento non costituisce l’obiettivo principale
della condotta ma l’agente lo prevede e lo accetta come risultato certo o altamente probabile di quella condotta); del dolo eventuale (connotato dall’accettazione del rischio di verificazione dell’evento visto come una delle possibili conseguenze della condotta).
6. Amministratore di fatto e di diritto:
chi risponde del reato?
6
L’art. 5 del D.Lgs. n. 74/2000 punisce chiunque, al fine di
evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, non presenta, essendovi obbligato, una delle dichiarazioni annuali
relative a dette imposte. Per far scattare la violazione penale
e` necessario che l’imposta evasa sia superiore ad euro
30.000 (per le violazioni commesse fino al 17 settembre
2011 doveva essere superiore ad euro 77.468,53).
Ai sensi del secondo comma, non si considera omessa la dichiarazione presentata entro novanta giorni dalla scadenza
del termine o non sottoscritta o non redatta su uno stampato conforme al modello prescritto. Si tratta di prescrizione
volta, chiaramente, ad incentivare un possibile ravvedimento del contribuente, concedendogli, per la presentazione della dichiarazione, una ‘‘finestra’’ di novanta giorni successiva
allo scadere del termine ultimo previsto dalla legge per l’invio della stessa, a prescindere dalla modalita` prescelta. Nel
caso in cui la dichiarazione sia stata presentata con ritardo
superiore ai novanta giorni in base alle norme fiscali si ritiene sia comunque integrata la violazione penale ancorche´ in
concreto l’imposta evasa potrebbe in realta` non sussistere
stante la dichiarazione (anche se tardiva) presentata dal
contribuente.
Si vedano a tal proposito le pronunce nn. 7203 del 2008 e
19049 del 2010.
20/2014
1990
APPROFONDIMENTO – Reati tributari
cieta` - c.d. ‘‘prestanome’’ - veniva processato, in
concorso con l’amministratore di fatto, per i reati
di dichiarazione infedele ed emissione di fatture
relative ad operazioni inesistenti, previsti rispettivamente dagli artt. 4 ed 8 del D.Lgs. n. 74/2000. In
primo grado, tuttavia, veniva assolto per non aver
commesso il fatto. Il giudice del merito, infatti,
osservava che, pur avendo assunto formalmente
la carica di amministratore della societa`, egli
era in realta` un mero prestanome, estraneo alla
vita economica dell’impresa, mentre era l’amministratore di fatto a gestire realmente le vicende
societarie.
Il Procuratore generale ricorreva in Cassazione,
sostenendo che l’amministratore di diritto e` titolare di una posizione di garanzia, per cui risponde
a titolo di responsabilita` omissiva per le violazioni della legge tributaria, avendo l’obbligo di
impedire l’evento. Cio` anche se egli sia un mero
prestanome ed esista un amministratore di fatto
della societa`.
La Cassazione ha accolto il ricorso della pubblica
accusa. I Supremi giudici ricordano che l’equiparazione degli amministratori di fatto a quelli di diritto e` stata affermata sia in materia civile che penale. Il soggetto attivo del reato, il vero soggetto
qualificato, e` l’amministratore di fatto che effettivamente gestisce la societa`. Tuttavia, il prestanome risponde a titolo di concorso sulla base della posizione di garanzia di cui all’art. 2392 c.c., in
forza della quale l’amministratore deve conservare il patrimonio sociale ed impedire che si verifichino danni per la societa` e per i terzi. In realta`,
sottolinea la Corte, proprio perche´ il piu` delle volte il prestanome non ha alcun potere d’ingerenza
nella gestione della societa` per poter addebitargli
il concorso, la giurisprudenza ha fatto ricorso alla
figura del dolo eventuale: il prestanome, cioe`, accettando la carica ha anche accettato i rischi connessi alla stessa.
La pronuncia appare particolarmente rigorosa.
Gli stessi giudici, consapevoli del fatto che non
possa essere addebitato al prestanome ‘‘ignaro’’
il reato a titolo di concorso, fanno riferimento alla
figura del dolo eventuale, di per se´, estremamente
labile e difficilmente accertabile. Inoltre, il dolo
eventuale presuppone l’accettazione del rischio
di verificazione dell’evento illecito visto come
una delle possibili conseguenze della condotta e
non si configura semplicemente accettando i rischi connessi ad una carica, spesso meramente
apparente.
9
Conf. Cass., 6 aprile 2006, n. 22019.
20/2014
Vi e` da sperare, quindi, che si torni all’orientamento espresso nella sentenza del 2012, per cui
il prestanome sia considerato responsabile solo
quando non risulta estraneo alla gestione societaria.
7. Il caso della delega della gestione
societaria a terzi
Occorre, da ultimo, soffermarsi sulla tematica
della delega a terzi della gestione societaria.
Nelle imprese di maggiori dimensioni, caratterizzate da una gestione articolata dell’attivita` sociale, e` frequente infatti che il rappresentante legale deleghi a soggetti esterni all’azienda competenze e responsabilita` nella gestione, mantenendo
tuttavia formalmente la direzione e il controllo
della societa`. La delega puo` avere ad oggetto anche le incombenze fiscali.
Ci si chiede, quindi, se tale delega esoneri l’amministratore da responsabilita` penali eventualmente
scaturenti da comportamenti del delegato.
La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 14432
del 2014 9, ha affermato che la delega non e` sufficiente affinche´ l’amministratore di diritto possa
essere esentato da responsabilita` penale, essendo
necessaria, a tal fine, l’esclusione della titolarita`
dei poteri in senso formale.
Nella specie l’amministratrice di una societa` in
crisi economica aveva delegato la gestione della
stessa ad un avvocato. Quest’ultimo ometteva di
versare all’INPS le ritenute effettuate sulle retribuzioni dei dipendenti.
L’amministratrice veniva, quindi, processata per
il reato di omesso versamento delle ritenute previdenziali (art. 2 del D.Lgs. n. 463/1983).
Condannata sia in primo che in secondo grado,
l’imputata proponeva ricorso in Cassazione lamentando, in particolare, l’assenza del dolo del
reato, proprio perche´ vi era stata una delega della
gestione societaria ad un soggetto terzo: non poteva quindi avere cognizione dell’omissione del
versamento delle ritenute.
La Corte di Cassazione ha respinto il ricorso, stabilendo che non e` sufficiente che un imprenditore
decida di delegare ad un terzo la gestione di fatto
della societa` per andare esente da responsabilita`
in caso di condotte omissive in qualche modo legate al ruolo imprenditoriale.
Incombe sull’amministratore di diritto, infatti,
1991
Reati tributari – APPROFONDIMENTO
un obbligo specifico di vigilanza sull’operato del
terzo che, se non osservato, mantiene ferma la responsabilita` penale. La delega, anche di fatto, della gestione societaria, in assenza di un comportamento manifesto da parte dell’amministratore di
diritto di spogliarsi giuridicamente e formalmente della rappresentanza legale della societa`, non
vale quale condotta volta a scriminare il delegante.
Secondo i giudici di legittimita`, l’amministratore
di diritto, rispetto a quello di fatto, e` chiamato a
rispondere del reato omissivo contestato, quale
diretto destinatario degli obblighi di legge, in
quanto il fatto stesso della accettazione (o del
mantenimento) della carica attribuisce anche
specifici doveri.
Tra questi la vigilanza e il controllo, la cui violazione comporta una responsabilita` penale diretta,
che si concretizza sulla base della sola consapevolezza che da quella condotta emissiva possano
scaturire gli eventi tipici del reato (dolo generico),
ovvero l’accettazione del rischio che questi si verifichino (dolo eventuale).
L’amministratore di diritto puo` andare esente da
responsabilita`, solo se viene esclusa in capo a
quest’ultimo la titolarita` dei poteri da intendersi
in senso formale.
8. Considerazioni conclusive
In relazione alla disamina appena svolta, si ritiene di poter cosı` sintetizzare l’orientamento della
Suprema Corte sulla tematica:
in presenza di cambio di amministratore in
prossimita` delle scadenze fiscali aventi rilevanza penale, una parte della giurisprudenza, che
appare minoritaria (n. 12268 del 2013), sostiene che il precedente risponde in ogni caso del
reato (almeno in concorso col nuovo);
secondo la giurisprudenza maggioritaria, l’ex
amministratore puo` rispondere del reato tributario commesso quando non era piu` in carica,
solo dimostrando che la precedente gestione
fosse volta all’evasione dell’imposta e che quindi le sue dimissioni fossero finalizzate ad eludere la responsabilita` penale (n. 39082 del
2013; n. 12248/2014; n. 15119 del 2014);
il nuovo amministratore, invece, e` sempre responsabile del reato tributario commesso al
momento in cui e` in carica;
l’amministratore di fatto ha gli stessi identici
doveri del rappresentante legale e quindi risponde di tutte le condotte penalmente rilevanti;
per la responsabilita` penale dell’amministratore di diritto, una parte della giurisprudenza (n.
11649 del 2012) ritiene necessaria la prova della sua partecipazione alla gestione societaria illecita, mentre secondo un orientamento piu` recente (n. 47110 del 2013) egli risponde del reato tributario a prescindere dalla consapevolezza o meno dell’illecito in quanto, accettando la
carica sociale, si espone a tutti i rischi che ne
derivano;
infine, la delega a terzi della gestione societaria
non e` sufficiente, di norma, ad escludere la responsabilita` penale del rappresentante legale/
amministratore.
20/2014
1992
APPROFONDIMENTO
Il trattamento del credito per rivalsa
Iva nel concordato preventivo
di Giulio Andreani (*) e Angelo Tubelli (**)
Secondo la Corte di Cassazione, nel concordato
preventivo i crediti per rivalsa Iva, in quanto muniti di privilegio speciale, devono essere trattati
come crediti privilegiati a prescindere dalla verifica relativa alla presenza o meno, nel patrimonio
dell’impresa debitrice, dei beni su cui insiste la
causa di prelazione, potendo il pagamento parziale degli stessi considerarsi legittimo solo in caso di
incapienza di attivo attestata ai sensi dell’art. 160,
comma 2, l.f. Tuttavia, indipendentemente dalla
attestazione giurata di cui alla citata norma, il privilegio speciale non dovrebbe comunque sussistere in assenza del bene su cui esso insiste; cio` perche` in caso contrario verrebbero destinate al soddisfacimento di crediti assistiti da tale privilegio
risorse che, nell’alternativo fallimento, verrebbero utilizzate per il pagamento dei creditori chirografari, il che renderebbe, per questi ultimi, la
procedura fallimentare piu` conveniente del concordato preventivo.
1. Premessa
Con la sentenza n. 12064 del 17 maggio 2013, la
Corte di Cassazione ha affermato - con riguardo
alla disciplina vigente anteriormente alla riforma
(*)
Professore di diritto tributario presso la Scuola Superiore
dell’Economia e delle Finanze - Dottore commercialista.
(**)
Dottore commercialista.
1
In questo contesto i giudici di legittimita` avevano altresı`
20/2014
recata dal D.Lgs. 12 settembre 2007, n. 169 - il seguente principio di diritto: ‘‘la mancanza nel compendio patrimoniale del debitore del bene gravato
da privilegio non impedisce, a differenza che nel
fallimento, l’esercizio del privilegio stesso, con la
conseguenza che il credito va soddisfatto integralmente (e, correlativamente, il creditore non
e` ammesso al voto sulla proposta di concordato)’’.
I giudici di legittimita` hanno altresı` rilevato che
questa regola assume valenza generale e si applica a prescindere dalle modalita` di attuazione del
concordato preventivo (dunque, anche a quello liquidatorio e con cessione dei beni); essa puo` tuttavia essere derogata – per effetto della riforma
intervenuta con il citato D.Lgs. n. 169/2007 – attraverso la previsione di un ‘‘patto concordatario’’
in base al quale, ai sensi dell’art. 160, comma 2,
l.f., a taluni creditori privilegiati venga offerto
soddisfacimento unicamente per la parte del loro
credito che, in caso di liquidazione dell’impresa,
troverebbe capienza in virtu` del realizzo del bene
gravato dal privilegio speciale.
Con la sentenza n. 8683 del 10 aprile 2013 la Corte di Cassazione aveva invece affermato che, se
viene provata la inesistenza del bene oggetto del
privilegio, il relativo credito deve essere degradato a chirografario, posto che il privilegio speciale
puo` fungere in concreto da causa legittima di prelazione solo se insiste su un bene esistente 1.
Tuttavia, con la pronuncia n. 24970 del 6 novemchiarito che l’applicazione del privilegio ricorre tanto per i
beni infungibili quanto per i beni fungibili (come nel caso
dei carburanti utilizzati nella produzione).
1993
Diritto fallimentare – APPROFONDIMENTO
bre 2013 i giudici di legittimita` si sono nuovamente espressi sulla questione e, rilevando che
la stessa non era stata affrontata ex professo nell’ambito della sentenza n. 8683/2013 (in quanto
la relativa controversia verteva soltanto sulla avvenuta dimostrazione o meno della presenza dei
beni oggetto del privilegio speciale nel patrimonio
del debitore concordatario), hanno confermato
l’orientamento espresso in maniera compiuta
con la sentenza n. 12064/2013.
Tutte e tre le pronunce citate si riferiscono al trattamento da riservare al credito per rivalsa Iva che,
ai sensi dell’art. 2758, comma 2, c.c., e` assistito da
un privilegio speciale sui beni che hanno formato oggetto della cessione o ai quali si riferisce la
prestazione di servizio effettuata dal creditore 2,
posto che costituisce prassi diffusa esporre - nell’elenco dei creditori che accompagna la domanda di concordato preventivo - l’ammontare complessivo del credito, senza distinguere la parte di
esso riferito alla rivalsa Iva 3. Tuttavia, le conclusioni cui sono pervenuti i giudici di legittimita`
possono essere estese a tutti i crediti muniti di
privilegio speciale, il cui esercizio concreto richiede l’esistenza (nel patrimonio del debitore) dei beni cui si riferisce la suddetta causa di prelazione.
2. La disciplina ante riforma 2007:
le due tesi contrapposte
In relazione al regime previgente alla riforma recata dal D.Lgs. n. 169/2007, una corrente di pen2
Il privilegio speciale che assiste il credito per rivalsa Iva non
si estende alla prestazione principale cui attiene, ne´ al credito per rivalsa accede il privilegio che assiste la prestazione
principale, stante la sua natura autonoma. In particolare,
con la sentenza n. 25 dell’8 febbraio 1984, la Corte Costituzionale ha rilevato che ‘‘il privilegio generale sui mobili che
assiste il credito per prestazione professionale, ex art. 2751bis c.c., non puo` essere esteso al credito di rivalsa, che non
potrebbe essere considerato un accessorio del credito per
prestazione professionale e quindi collocabile in privilegio
dello stesso grado’’. Invero, la citata pronuncia concerneva
l’art. 5 della legge 29 luglio 1975, n. 426, di cui si lamentava
il contrasto con l’art. 3 della Costituzione in quanto tale disposizione, nel ‘‘trasformare’’ (attraverso la modifica del
comma 2 dell’art. 2758 c.c.) il privilegio generale che inizialmente assisteva il credito per rivalsa Iva in privilegio speciale, limitando la garanzia ai soli ‘‘beni che hanno formato oggetto della cessione o ai quali si riferisce il servizio’’, avrebbe
comportato un’ingiustificata disparita` di trattamento per i
creditori per rivalsa Iva che cedono beni consumabili rispetto a quelli che cedono beni inconsumabili (considerata la
non esercitabilita` concreta del privilegio in relazione a quei
beni che non avrebbero potuto essere mai rintracciati nel
siero riteneva sussistente, nel concordato preventivo, il privilegio speciale a prescindere dalla effettiva esistenza (nel patrimonio del debitore)
del bene cui si riferisce, stante il mancato richiamo, da parte dell’art. 169 l.f., delle disposizioni
contenute nell’art. 54 l.f.
Con riguardo al fallimento, infatti, la norma da
ultimo citata stabiliva (e tuttora stabilisce) che i
creditori garantiti da privilegio (nonche´ da ipoteca o pegno) ‘‘fanno valere il loro diritto di prelazione sul prezzo dei beni vincolati per il capitale,
gli interessi e le spese; se non sono soddisfatti integralmente, concorrono, per quanto e` ancora loro dovuto, con i creditori chirografari nelle ripartizioni del resto dell’attivo’’. Questa disposizione
non e` richiamata dall’art. 169 l.f., in base al quale
alla disciplina del concordato preventivo si applicano, con riferimento alla data di presentazione
della relativa domanda, alcune disposizioni disciplinanti il fallimento.
Il mancato richiamo dell’art. 54 veniva giustificato, sotto il profilo sistematico, dalla considerazione che, mentre il pegno e l’ipoteca volontaria sorgono in forza della volonta` delle parti, ai sensi dell’art. 2745 c.c. il privilegio speciale (cosı` come
quello generale) e` stabilito direttamente dalla legge in considerazione della causa del credito e,
pertanto, la mancanza del bene cui il privilegio
speciale si riferisce non determina ‘‘un’automatica estinzione della prelazione, ma semplicemente un impedimento di fatto al suo concreto
esercizio che puo` verificarsi solo nella fase esecutiva della realizzazione del credito, senza assumere alcuna valenza costitutiva’’, posto che ‘‘il crepatrimonio del debitore perche´ consumati o trasformati).
La questione di legittimita` costituzionale fu tuttavia ritenuta
inammissibile, in quanto la disposizione impugnata non costituiva ostacolo all’applicazione di un determinato trattamento ad una categoria di situazioni omogenee a quelle oggetto del trattamento stesso, ma era il risultato di una puntuale scelta legislativa.
3
Nel concordato preventivo manca una fase di accertamento
dello stato passivo, sicche´ l’indicazione di un credito come
chirografario (ovvero come privilegiato) nel piano concordatario, comunque, non assume rilevanza costitutiva ai fini
del riconoscimento o meno della causa di prelazione, ma solo ai fini del voto. Cfr. A. Patti, I Privilegi, 2003, pag. 128; G.
Lo Cascio, Il concordato preventivo, 2008, pag. 663; in giurisprudenza si veda Cass., sentenza n. 6859 del 17 giugno
1995. Poiche´ l’elenco dei creditori (a differenza dell’ammissione al passivo) non assume efficacia costitutiva, in sede di
votazione i creditori mantengono il diritto di tenere distinto
il credito di rivalsa Iva dal credito per la prestazione principale. Sul punto si veda V. Vitalone, Il concordato preventivo,
in Fallimento e altre procedure concorsuali (diretto da G.
Fauceglia e L. Panzani), 3, 2009, pag. 1723.
20/2014
1994
APPROFONDIMENTO – Diritto fallimentare
dito privilegiato sorge unicamente in funzione
della particolare tipologia che la legge gli attribuisce, senza che la mancanza del bene o dell’intero
patrimonio attivo (in caso di privilegio generale)
possano rilevare sulla sua natura’’ 4.
E tale effetto era stato definitivamente chiarito,
con riguardo al fallimento, dalle Sezioni Unite
della Corte di Cassazione con la sentenza n.
16060 del 20 dicembre 2001, in base alla quale
la verifica della sussistenza o meno dei beni gravati da privilegio speciale, da cui dipende l’effettiva realizzazione del privilegio, deve essere demandata alla fase di riparto dell’attivo, mentre
l’ammissione al passivo fallimentare, quale credito privilegiato, di un credito assistito da privilegio
speciale non presuppone che i relativi beni siano
presenti nella massa (non potendosi escludere la
loro successiva acquisizione nell’attivo fallimentare).
In sede di verifica, dunque, il giudice delegato deve limitarsi ad accertare la sussistenza del collegamento tra la causa del credito e la norma che
lo prevede, senza svolgere alcuna indagine sull’esistenza del bene vincolato al soddisfacimento
dell’obbligazione vantata, atteso che tale indagine
e` volta unicamente ad accertare la possibilita` di
ottenere il concreto riconoscimento della prelazione in sede di riparto dell’attivo, ma non ad accertare l’esistenza della causa di prelazione. Del
resto, l’esclusione del privilegio speciale in sede
di accertamento del passivo impedirebbe al creditore di far valere successivamente il diritto di prelazione anche nel caso in cui il relativo bene fosse
acquisito dalla procedura fallimentare per effetto
di azioni di rivendica, revocatorie, ecc.
` stato altresı` rilevato che, fatta salva l’ipotesi del
E
concordato con cessione dei beni, nel concordato
preventivo (oltre a una vera e propria fase di accertamento giurisdizionale dei crediti) puo` venire
a mancare la stessa possibilita` di esercitare in
concreto il privilegio speciale quando non e` previsto il realizzo dei beni del debitore 5. Anche questa circostanza e` utilizzata per rappresentare la
necessita` di prevedere nel piano concordatario
4
Cosı` G. Lo Cascio, Il concordato preventivo, cit., pag. 672 e
ss. In senso analogo A. Bonsignori, Il concordato preventivo,
in Commentario Scialoja-Branca, 1979, pag. 254.
5
Cfr. A. Patti, I privilegi, cit., pag. 129, secondo cui la conclusione di prevedere l’integrale soddisfazione anche dei crediti
assistiti da privilegio speciale, a prescindere dalla verifica
concernente la concreta esistenza del bene vincolato nel patrimonio del debitore, e` quella piu` corretta e aderente con la
natura dell’istituto concordatario, pur dovendosi rilevare
che tale verifica, finalizzata all’accertamento della natura
20/2014
la soddisfazione integrale di tutti i crediti privilegiati, compresi quelli muniti di privilegio speciale 6, indipendentemente dall’eventuale incapienza
del bene oggetto di prelazione.
Secondo un diverso indirizzo, invece, le disposizioni previste dall’art. 54 l.f., benche´ non espressamente richiamate dall’art. 169 l.f., per ragioni
sistematiche si sarebbero rese comunque applicabili anche alla procedura di concordato preventivo.
Questa tesi rimarcava come nell’ambito del fallimento spettasse sempre al creditore (che volesse
esercitare il diritto di prelazione) provare l’esistenza, nel patrimonio del debitore, dei beni gravati da privilegio speciale, in occasione della verifica dello stato passivo (cosiddetto ‘‘onere di specificazione’’) e che, in caso di esito positivo, il credito fosse da considerare privilegiato sia se il bene
gravato da privilegio speciale fosse stato alienato
nel corso del fallimento (degradando a chirografo
per l’ammontare eventualmente rimasto insoddisfatto), sia in caso di successiva proposta di concordato fallimentare.
Atteso che la disciplina del concordato preventivo
non contempla deroghe espresse alle norme dettate dal codice civile sulle cause legittime di prelazione, per rispettare le regole del concorso tra creditori prelatizi e creditori chirografari la medesima procedura avrebbe dovuto essere eseguita anche in caso di concordato preventivo, affinche´ le
garanzie offerte potessero assicurare il pagamento dei creditori privilegiati nei limiti in cui tali
crediti avessero trovato copertura nella garanzia
che li assisteva.
Pertanto, in base a questo indirizzo:
(i) se nel patrimonio del debitore era presente il
bene gravato da privilegio speciale, il relativo
credito era da considerare privilegiato fino al
momento di alienazione dello stesso e nel limite del suo valore, degradando a chirografo
per la parte incapiente;
(ii) se invece al momento della presentazione della domanda di concordato preventivo il bene
privilegiata o meno del credito, potrebbe essere sempre richiesta in via ordinaria con effetto sull’esecuzione del concordato.
6
In questo senso si esprimeva gia` A. Bonsignori, Il concordato
preventivo, cit., pagg. 530 e 531, secondo cui – nel regime
previgente – costituiva causa di risoluzione del concordato
preventivo con cessione dei beni l’ipotesi di non soddisfacimento integrale dei crediti garanti da privilegio speciale (o
da ipoteca e pegno).
1995
Diritto fallimentare – APPROFONDIMENTO
gravato da privilegio non era presente, il credito munito da privilegio speciale doveva essere considerato chirografario 7.
Lungo questa linea interpretativa sembra muoversi anche chi riteneva – con riferimento al regime previgente – che il creditore ipotecario, pignoratizio o privilegiato, il cui credito fosse rimasto
solo parzialmente soddisfatto a seguito della vendita del bene oggetto della garanzia, sarebbe stato
ritenuto creditore chirografario per la quota del
credito rimasta insoddisfatta, non potendo questa
circostanza costituire causa di risoluzione del
concordato preventivo con cessione dei beni 8.
Era stato altresı` rilevato che il riconoscimento della
natura privilegiata del credito assistito da privilegio
speciale, in assenza della concreta esistenza del bene gravato nel patrimonio del debitore ovvero in
caso di sua incapienza, avrebbe implicato la violazione del principio della par condicio creditorum,
in quanto l’ampliamento del campo di applicazione
di un diritto di prelazione corrisponderebbe alla
compressione di quello assegnato ad altri diritti.
Una proposta di concordato preventivo, quindi,
non avrebbe potuto prevedere l’offerta ai creditori
assistiti da privilegio speciale di un pagamento integrale in assenza del bene oggetto di tale garanzia,
perche´ una tale previsione avrebbe implicato un
danno ai creditori chirografari, non giustificabile
alla luce della peculiare finalita` esdebitatoria caratterizzante il concordato preventivo; ne´, d’altro canto, sarebbe stato ammissibile che i creditori prelatizi potessero ottenere da tale procedura una soddisfazione maggiore rispetto a quella che conseguirebbero attraverso un’azione individuale.
Pertanto, con riferimento ai crediti muniti di prelazione su uno specifico bene (mobile o immobile) la soddisfazione prelatizia sarebbe stata consentita solo nei limiti della capienza del bene oggetto della prelazione stessa, vale a dire, con riguardo al privilegio speciale che assiste il credito
di rivalsa Iva, entro i limiti posti dall’art. 2758,
comma 2, c.c. 9; per il che l’integrale soddisfazio7
8
Cfr. G. De Ferra, Sulla risoluzione del concordato preventivo
con cessione dei beni ai creditori, in ‘‘Rivista di diritto civile’’,
II, 1969, pag. 515; F. Mariani, Creditori privilegiati e risoluzione del concordato preventivo per cessio bonorum, in ‘‘Diritto fallimentare’’, II, 1963, pag. 366.
Secondo A. Bonsignori, Il concordato preventivo, in Commentario Scialoja-Branca, 1979, pagg. 254, 255, 530 e 531,
invece, il diritto di prelazione dei creditori garantiti da ipoteca, pegno o privilegio speciale sul prezzo dei beni vincolati
non sarebbe venuto meno a seguito della presentazione della proposta concordataria, costituendo motivo di risoluzione del concordato preventivo con cessione dei beni l’ipotesi
ne dei crediti privilegiati avrebbe dovuto essere
comunque intesa non in maniera assoluta, ma
sempre nei limiti dell’importo realizzabile con la
vendita del bene oggetto di prelazione, ovverosia
negli stessi limiti che tale causa di prelazione incontrerebbe in caso di azione individuale o in sede fallimentare.
Infine, quanto al mancato richiamo dell’art. 54 l.f.
da parte del successivo art. 169, esso era ritenuto
non necessario alla luce dei principi generali che
informano l’ordinamento giuridico e, in particolare, dei principi civilistici che regolano la responsabilita` patrimoniale, che necessariamente operano – in assenza di deroghe espresse – anche nell’ambito del concordato preventivo 10.
Da questo indirizzo interpretativo discendeva che,
se all’atto della presentazione di domanda di concordato preventivo nel patrimonio del debitore
non era presente il bene cui si riferisce il privilegio
speciale di cui all’art. 2758, comma 2, c.c., la causa
di prelazione non poteva essere fatta valere ab origine e, dunque, il credito per rivalsa Iva avrebbe
dovuto essere trattato quale credito chirografario.
3. La disciplina ante riforma 2007
secondo la Corte di Cassazione
Con la sentenza n. 12064 del 2013, la Corte di Cassazione ha ritenuto di condividere la prima delle
tesi teste´ enunciate, vale a dire quella che giudica
sussistente, nel concordato preventivo, il privilegio speciale a prescindere dalla effettiva esistenza (nel patrimonio del debitore) del bene cui si riferisce.
I giudici di legittimita`, infatti, hanno rilevato che
la disciplina previgente era improntata sulla regola che imponeva (senza possibilita` di deroghe)
l’integrale pagamento dei crediti privilegiati, in
virtu` della quale sarebbe stato incoerente il richiamo dell’art. 54 l.f. da parte del successivo
art. 169. Pertanto, atteso che ‘‘il privilegio assume
di non soddisfacimento integrale dei crediti garanti da privilegio speciale (o da ipoteca e pegno).
9
Cfr. B. Inzitari, Il soddisfacimento dei creditori muniti di prelazione e risoluzione del concordato preventivo con cessione di
beni, in ‘‘Giurisprudenza commerciale’’, I, 1990, pagg. 394 e
395. Sul punto si veda anche C.E. Balbi, I creditori con diritto di prelazione nel concordato preventivo con cessione dei beni, in ‘‘Rivista di procedura civile’’, 1989, pag. 428.
10
Cfr. B. Inzitari, Il soddisfacimento dei creditori muniti di prelazione e risoluzione del concordato preventivo con cessione di
beni, cit., pag. 396.
20/2014
1996
APPROFONDIMENTO – Diritto fallimentare
rilevanza esclusivamente come qualita` del credito, che a norma dell’art. 2745 c.c. sorge privilegiato in ragione della sua causa secondo le disposizioni di legge e tale qualita` conserva in tutta la
procedura di concordato preventivo’’ 11, agli effetti della domanda di concordato preventivo il credito assistito da privilegio speciale costituirebbe
sempre un credito privilegiato, a prescindere dalla presenza o meno del bene vincolato nel patrimonio del debitore. Del resto nel concordato preventivo manca una vera e propria attivita` di verifica dell’attivo (‘‘inventario’’), invece appositamente prevista nel fallimento.
Come osservato in dottrina, questo assetto era dovuto anche alla finalita` che contraddistingueva il
concordato preventivo nella disciplina previgente
al D.Lgs. n. 169/2007, la quale costituiva una sorta
di procedura ‘‘premiale’’ per il debitore, che, se intendeva beneficiarne, doveva sostenere il prezzo
di soddisfare integralmente i crediti muniti di
una causa di prelazione.
4. La disciplina post riforma 2007
secondo la Corte di Cassazione
Con le citate sentenze. 12064/2013 e n. 24970/
2013 la Corte di Cassazione ha altresı` statuito
che l’assetto normativo previsto prima della riforma recata dal D.Lgs. n. 169/2007 e` stato fatto salvo, in linea di principio, anche sulla base della disciplina discendente da tale riforma, la quale continua ad essere caratterizzata dall’obbligo generale (stabilito dal comma 1 dell’art. 160 l.f.) di prevedere l’integrale pagamento dei crediti assisti da
una causa di prelazione. In forza di tale regola,
dunque, agli effetti della domanda di concordato
preventivo il credito assistito da privilegio speciale costituisce sempre un credito privilegiato, a
prescindere dalla presenza o meno del bene vincolato nel patrimonio del debitore.
Tuttavia, gli Ermellini hanno evidenziato che, a
differenza della disciplina previgente al D.Lgs. n.
169/2007, a questa regola e` ora possibile sottrarsi
facendo ricorso al citato comma 2 dell’art. 160
l.f., in forza del quale la proposta concordataria
puo` contenere un ‘‘patto’’ in base al quale relativa11
Cosı` la sentenza n. 12064 del 17 maggio 2013.
12
In dottrina si vedano G.B. Nardecchia, L’art. 169 l.fall. dopo
la riforma del concordato preventivo, in ‘‘il Fallimento’’, pag.
637; P. Catallozzi, La formazione delle classi tra autonomia
del proponente e tutela dei creditori, in ‘‘il Fallimento’’,
2009, pag. 587.
20/2014
mente a uno o piu` creditori muniti di un diritto di
prelazione non sia previsto un soddisfacimento
integrale, purche´ non inferiore a quello realizzabile in caso di liquidazione, tenuto conto del valore
di realizzo attribuibile al relativo cespite indicato
sulla base di un’apposita relazione di stima 12.
La deroga prevista da questa disposizione viene
giustificata con la mutata finalita` perseguita dal
concordato preventivo che, a differenza del passato, non costituisce piu` un beneficio per l’imprenditore (per usufruire del quale gli era quindi imposto l’adempimento di tutte le obbligazioni privilegiate), ma uno strumento per addivenire alla
soluzione negoziale della crisi d’impresa 13.
La conclusione cui e` pervenuta la Corte di Cassazione collima con le considerazioni espresse nella
relazione illustrativa al D.Lgs. n. 169/2007, nel cui
ambito, a commento della disposizione inserita
nel comma 2 dell’art. 160 l.f., si osservava che,
analogamente a quanto previsto dall’art. 124,
comma 3, l.f. in tema di concordato fallimentare,
ora ‘‘il debitore ha la possibilita` di offrire un pagamento in percentuale non solo ai creditori
muniti di un privilegio speciale, nella parte in
cui il credito sia incapiente, ma anche a quelli
muniti di un privilegio generale, sempre nella misura in cui tale credito non risulti capiente’’, imponendosi per converso una modifica dell’art.
177, comma 3, l.f. (attraverso l’attribuzione del diritto di voto per i creditori privilegiati per la parte
del credito destinata a non trovare soddisfazione
sui beni oggetto del diritto di prelazione).
5. Considerazioni critiche
L’elemento centrale della tesi espressa dalla Corte
di Cassazione con le sentenze n. 12064/2013 e n.
24970/2013 risiede nel fatto che la natura di credito privilegiato, cosı` come accade nel fallimento,
sussiste all’inizio e nel corso della procedura
concordataria, e dunque la presenza o meno nell’attivo da destinare alla soddisfazione dei creditori non incide sulla costituzione del privilegio, la
cui causa prescinde da tale presenza.
Sulla base dell’indirizzo affermato in dette sentenze, a questa regola e` possibile sottrarsi solo at13
Cfr. G. Lo Cascio, Classi di creditori e principio di maggioranza nel concordato preventivo, in ‘‘il Fallimento’’, 2010, pag.
386; S. Pacchi, Il concordato preventivo, in ‘‘Le riforme della
legge fallimentare’’ (a cura di A. Didone), 2009, pag. 1793 e
ss.
1997
Diritto fallimentare – APPROFONDIMENTO
traverso il richiamo all’art. 160, comma 2, l.f., vale
a dire prevedendo espressamente nella proposta
concordataria il mancato pagamento dei crediti
per rivalsa di Iva sul presupposto che essi possano
essere soddisfatti solo parzialmente o anche in
nessuna misura, a causa dell’assenza (nel patrimonio del debitore) dei beni su cui insistono; in
entrambi i casi, il richiamo all’art. 160, comma
2, l.f. operato dalla Cassazione sembra richiedere
la redazione della relazione giurata prevista dalla
norma teste´ citata, da cui emerga l’assenza (o l’incapienza) dei beni gravati dal vincolo.
Le conclusioni cui sono giunti i giudici di legittimita` con le due pronunce teste´ citate si prestano,
tuttavia, ad alcune considerazioni critiche.
` stato infatti evidenziato che ‘‘il credito e` o meno
E
garantito, ed e` o meno privilegiato, non in quanto
tale, ma in relazione al patrimonio del debitore’’ 14
e, dunque, non si puo` qualificare come privilegiato il credito per rivalsa Iva se riferito a beni non
piu` presenti nel patrimonio del debitore, dal momento che in questo caso tale diritto di prelazione
non e` in concreto esercitabile; se l’inesistenza dei
beni ‘‘vincolati’’ nel patrimonio del debitore costituisce circostanza accertata in occasione della
predisposizione della proposta concordataria, la
causa di privilegio, ancorche´ prevista dalla legge,
dovrebbe dunque considerarsi inesistente, ancor
prima che non riconoscibile ai sensi dell’art.
160, comma 1, l.f. Muovendo da questa premessa,
il ‘‘patto concordatario’’, che prevedesse il pagamento integrale dei crediti assistiti da privilegio speciale in assenza dei beni sui quali insiste
detta causa di prelazione, sarebbe viziato anche
se approvato dalla maggioranza dei creditori
aventi diritto al voto: il legislatore, infatti, non
ha attribuito a tale maggioranza il potere di decidere la riduzione del soddisfacimento dei crediti
chirografari e di quelli assistiti da privilegio generale destinando le risorse cosı` ricuperate al ‘‘soddisfacimento da riservare a determinati creditori
garantiti, i quali non avrebbero diritto a tale migliore trattamento nell’ambito di una procedura
fallimentare’’ 15. La proposta concordataria, che
preveda l’integrale pagamento del credito assistito da privilegio speciale insistente su beni non
piu` presenti nel patrimonio del debitore (ne´ recuperabili), potrebbe allora considerarsi legittima
solo se il medesimo trattamento fosse offerto an-
che alle altre posizioni creditorie con cui, in caso
di fallimento, detto credito dovrebbe concorrere.
Per altro verso, ci sembra che con la disposizione
inserita nel comma 2 dell’art. 160 il legislatore abbia voluto sancire il principio secondo cui, al pari
di quanto accade nel fallimento e nel concordato
fallimentare, anche nel concordato preventivo il
privilegio speciale puo` trovare legittimo riconoscimento ex art. 2741 c.c. solo se esercitabile in
concreto e, quindi, solo se nel patrimonio del debitore sono ancora presenti i beni cui esso si riferisce (e, in tal caso, nel limite del loro valore).
In questo contesto, la relazione giurata prescritta
dal medesimo art. 160, comma 2, costituirebbe solo lo strumento, previsto dalla legge stessa, per fornire prova della ricorrenza di presupposti necessari per l’applicazione di tale principio; il che, da un
punto di vista pratico, consente certamente di superare i dubbi interpretativi che poneva la normativa vigente prima del D.Lgs. n. 169/2007.
Tuttavia, se e` vero che la relazione giurata prevista dalla norma da ultimo citata svolge (anche)
la funzione di attestare l’assenza, nel patrimonio
del debitore, dei beni su cui insiste il privilegio
speciale e, dunque, di rendere legittima la proposta concordataria nella parte in cui prevede di degradare a chirografo i crediti muniti di detto titolo prelatizio, e` altrettanto vero che puo` dubitarsi
della legittimita` (e dunque anche dell’ammissibilita`) di una proposta concordataria che, prevedendo il pagamento integrale del credito per rivalsa
Iva in assenza dei beni oggetto di garanzia, si pone in contrasto con le regole del concorso, penalizzando altri creditori.
Vi e` da considerare al riguardo che la proposta
concordataria, che stabilisse per il pagamento
dei crediti assistiti da privilegio speciale l’utilizzo
di risorse che – nell’eventuale e alternativo fallimento dell’impresa debitrice – verrebbero certamente dirette al soddisfacimento di altri creditori
(quali quelli chirografari cui non compete l’esercizio della rivalsa per Iva, come le banche, e quelli
titolari di privilegio generale), trovando applicazione l’art. 54 l.f., risulterebbe destinata nella
maggior parte dei casi a non essere approvata;
in tale ipotesi, infatti, i creditori penalizzati
avrebbero interesse, coeteris paribus 16, a non approvare la proposta concordataria promuovendo
il fallimento dell’impresa debitrice.
14
Cfr. F. Di Marzio, Credito assistito da privilegio speciale nel
concordato preventivo, in ‘‘il fallimentarista’’ del 2 aprile
2014.
16
15
Cfr. F. Di Marzio, op. loc. ult. cit.
Vale a dire in assenza di fattori che rendano comunque conveniente il concordato preventivo.
20/2014
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GIURISPRUDENZA
Preclusioni probatorie
solo con rifiuto di esibizione doloso
Accertamento - Poteri degli Uffici - Richiesta di documenti al contribuente - Indisponibilita` dei
documenti imputabile a colpa - Preclusioni probatorie - Esclusione
Non integrano i presupposti applicativi delle preclusioni probatorie previste dall’art. 52, comma 5, del
D.P.R. n. 633/1972 e dell’art. 32, comma 4, del D.P.R. n. 600/1973 le dichiarazioni del contribuente (il
cui contenuto corrisponda al vero) dell’indisponibilita` del documento, non solo se l’indisponibilita` sia
ascrivibile a forza maggiore o a caso fortuito (ad esempio, documentazione rubata, smarrita o temporaneamente dispersa per calamita` naturali e poi rinvenuta, sequestrata e rimessa nella disponibilita` del contribuente), ma anche se imputabile a colpa, quale, ad esempio, la negligenza e l’imperizia nella custodia e
conservazione dei documenti richiesti e non esibiti (n.d.r.).
(Oggetto della controversia: avviso di accertamento Irpeg ed Irap, anno 2000)
(CASSAZIONE, Sez. trib., Pres. Adamo, Est. Iofrida - Sent. n. 8539, del 31 gennaio 2014, dep. l’11 aprile
2014)
Svolgimento del processo
La I. P. spa, esercente attivita` di vendita di accessori per
computer ed articoli per ufficio, ha proposto ricorso per
cassazione, affidato a sette motivi, nei confronti dell’Agenzia delle Entrate, avverso la sentenza della Commissione
Tributaria Regionale della Lombardia n. 41/04/2008, depositata in data 12/06/2008, con la quale – in una controversia concernente l’impugnazione di un avviso di accertamento, emesso sulla base di un processo verbale di constatazione redatto dalla Guardia di Finanza di Lecco, notificato il 20/05/2002, in relazione alle maggiori imposte, IRPEG ed IRAP – avendo l’Amministrazione finanziaria annullato, nel corso del giudizio di merito, in autotutela, altre
contestazioni concernenti l’IVA – dovute, per effetto della
rettifica del reddito imponibile della societa`, in riferimento
all’esercizio 01-07-2000/31-12-2000 – e` stata parzialmente
riformata (con abbattimento della percentuale di redditivita` media, dal 2% all’1%, dei ricavi e rideterminazione delle
imposte IRPEG ed IRAP) la decisione di primo grado, che
aveva respinto il ricorso della societa` contribuente.
In particolare, i giudici tributari, pur valutando legittimo
l’accertamento induttivo operato dall’Ufficio erariale, a
fronte ‘‘della mancata completa esibizione da parte della
contribuente dei documenti contabili nei tempi, luoghi e
modi richiesti in sede di verifica e redazione del verbale
di constatazione, ma anche successivamente’’, hanno,
non ritenendo ‘‘documentata una redditivita` minima nella
misura del 2% dei ricavi, indicata dall’Ufficio come media
delle industrie del settore, operanti nel territorio’’, rideter-
minato l’imponibile ai fini IRPEG ed IRAP, per l’esercizio
2000, applicando una percentuale di redditivita` pari all’1%
dei ricavi, ritenuta piu` equa, anche tenuto conto delle richieste delle due parti, nella prospettiva di una conciliazione della lite.
In data 26/11/2013, il Fallimento della I. P. spa (dichiarato
con sentenza n. 21 del 30/04/2012 del Tribunale di Lecco)
ha depositato una comparsa di costituzione, contenente in
calce la procura speciale al difensore conferita dal Curatore, previa autorizzazione del giudice delegato, chiedendo
la trattazione congiunta o la riunione con altri ricorsi, pure
riguardanti la I. P. spa in liquidazione, in quanto aventi ad
oggetto l’impugnazione di avvisi di accertamento relativi
ad annualita` contigue, notificati all’esito di un unico processo verbale di constatazione.
Motivi della decisione
1. Preliminarmente, in relazione al Fallimento della I.S.P.,
intervenuto nel corso del presente giudizio di legittimita`,
deve ribadirsi che, nel giudizio di cassazione, dominato
dall’impulso di ufficio, non sono applicabili le comuni cause di interruzione del processo previste dalla legge in generale (ex multis, Cass. S.U. 14385/2007; Cass. 21153/2010;
Cass. 14786/2011; Cass. 8685/2012) e dalla L. Fall., art.
43, quale modificato dal D.Lgs. n. 5 del 2006, in particolare
(Cass. 21153/2010).
Neppure e` rituale la costituzione, nel presente giudizio, del
suddetto Fallimento, essendo avvenuta senza il rispetto,
20/2014
2000
GIURISPRUDENZA
quanto alla procura speciale, dell’art. 83 c.p.c., comma 2,
nel testo vigente ante 1.69/2009 (cfr. Cass. 7241/2010).
2. La ricorrente I.S.P. lamenta nel ricorso: 1) con il primo
motivo, la violazione e/o falsa applicazione, ex art. 360
c.p.c., n. 3, del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 52, e D.P.R. n.
600 del 1973, art. 39, comma 2, lett. c), per avere i giudici
tributari ritenuto legittimi gli accertamenti volti alla rettifica induttiva del reddito sull’unico presupposto del rifiuto
della contribuente di esibizione di documenti contabili
(schede clienti e fornitori), presupposto inesistente anche
per assenza del necessario dolo; 2) con il secondo motivo,
l’omessa o insufficiente motivazione in punto di doloso rifiuto di esibizione D.P.R. n. 633 del 1972, ex art. 52; 3) con
il terzo motivo, la violazione e/o falsa applicazione, ex art.
360 c.p.c., n. 3, del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma
2, lett. c), per avere i giudici d’appello ritenuto legittimo
l’accertamento induttivo, pur in assenza di rifiuto doloso
di ISP all’esibizione; 4) con il quarto motivo, la violazione
e/o falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3, del D.P.R. n.
600 del 1973, art. 39, comma 2, lett. c), D.P.R. n. 633 del
1972, art. 52, D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 7, 32, 58 e 59,
avendo la C.T.R. omesso di esaminare il merito della pretesa tributaria, tralasciando di valutare gli elementi documentali prodotti, in appello, dalla societa`; 5) nel quinto
motivo, la violazione e/o falsa applicazione del D.P.R. n.
600 del 1973, artt. 39, 40 e 42, essendosi i giudici tributari
limitati a rideterminare, sulla base dell’equita`, la percentuale di redditivita`, senza vagliare, nel merito, la correttezza della ricostruzione del reddito operata dall’Ufficio; 6)
con il sesto motivo, la violazione e/o falsa applicazione,
ex art. 360 c.p.c., n. 3, della L. n. 212 del 2000, artt. 1, 10
e 12, avendo i giudici erroneamente ritenuto legittimo il
comportamento dei verificatori, senza considerare ritardi,
omissioni errori compiuti dall’Amministrazione; 7) con il
settimo motivo, un vizio, ex art. 360 c.p.c., n. 5, di carente,
contraddittoria ed insufficiente motivazione in punto di legittimita` delle condotte degli accertatori.
3. I motivi primo, secondo, terzo, quarto, sesto e settimo,
da trattarsi congiuntamente, in quanto involgenti tutti la
valutazione della legittimita` o meno dell’attivita` ispettiva
degli accertatori e della sussistenza o meno di una condotta della societa` contribuente di rifiuto all’esibizione della
documentazione, richiestale in fase di controllo amministrativo, con le conseguenze sul piano delle preclusioni
istruttorie nel processo, sono infondati.
4. Recita il D.P.R. n. 633 del 1972, art. 52, commi 5 e 10,
nel testo vigente ratione temporis, disposizione espressamente operante, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art.
33, anche per l’esecuzione di accessi, ispezioni e verifiche
in materia di accertamento delle imposte sui redditi: ‘‘I libri, registri, scritture e documenti di cui e` rifiutata l’esibizione non possono essere presi in considerazione a favore
del contribuente ai fini dell’accertamento in sede amministrativa o contenziosa. Per rifiuto di esibizione si intendono anche la dichiarazione di non possedere i libri, registri,
documenti e scritture e la sottrazione di essi alla ispezione
... Se il contribuente dichiara che le scritture contabili o alcune di esse si trovano presso altri soggetti deve esibire
una attestazione dei soggetti stessi recante la specificazione delle scritture in loro possesso. Se l’attestazione non e`
esibita e se il soggetto che l’ha rilasciata si oppone all’accesso o non esibisce in tutto o in parte le scritture si applicano le disposizioni del comma 5’’.
20/2014
Secondo poi il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, commi 3 e 4,
nel testo vigente ratione temporis, ‘‘Le notizie ed i dati non
addotti e gli atti, i documenti, i libri ed i registri non esibiti
o non trasmessi in risposta agli inviti dell’ufficio non possono essere presi in considerazione a favore del contribuente, ai fini dell’accertamento in sede amministrativa e
contenziosa. Di cio` l’ufficio deve informare il contribuente
contestualmente alla richiesta. Le cause di inutilizzabilita`
previste dal terzo comma non operano nei confronti del
contribuente che depositi in allegato all’atto introduttivo
del giudizio di primo grado in sede contenziosa le notizie,
i dati, i documenti, i libri ed i registri, dichiarando comunque contestualmente di non aver potuto adempiere alle richieste degli uffici per causa a lui non imputabile’’.
Infine, il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, al secondo comma,
nel testo vigente ratione temporis (norma applicabile anche
alla rettifica delle dichiarazioni presentate dai soggetti all’imposta sul reddito delle persone giuridiche, ai sensi del
successivo art. 40), stabilisce che: ‘‘In deroga alle disposizioni del comma precedente l’ufficio delle imposte determina il reddito d’impresa sulla base dei dati e delle notizie
comunque raccolti o venuti a sua conoscenza, con facolta`
di prescindere in tutto o in parte dalle risultanze del bilancio e dalle scritture contabili in quanto esistenti e di avvalersi anche di presunzioni prive dei requisiti di cui alla lettera d) del precedente comma: ... c) quando dal verbale di
ispezione redatto ai sensi dell’art. 33 risulta che il contribuente non ha tenuto o ha comunque sottratto all’ispezione una o piu` delle scritture contabili prescritte dall’art. 14
ovvero quando le scritture medesime non sono disponibili
per causa di forza maggiore’’.
5. In tale quadro normativo, e` insorto un contrasto nella
Suprema Corte in ordine alla configurazione degli elementi integrativi della fattispecie di cui al D.P.R. n. 633 del
1972, art. 52, ed, in particolare, dell’elemento soggettivo.
Mentre, infatti, alcune pronunce (Cass., 3 agosto 1990, n.
7804; Cass., 17 gennaio 1995, n. 480; Cass., 9 maggio
1997, n. 4058) hanno ritenuto che la sanzione di cui alla
norma citata ‘‘postula l’intenzionalita` del comportamento
del contribuente, non essendo sufficiente, a tal fine, neppure la sua dichiarazione, dovuta a mera negligenza, di
non essere in grado di reperire, al momento, i documenti
stessi’’, con la sentenza 24 giugno 1995, n. 7161, se ne e` ritenuta l’operativita` ‘‘non solo nell’ipotesi di rifiuto (per definizione ‘‘doloso’’) dell’esibizione, ma anche nei casi in cui
il contribuente dichiari, contrariamente al vero, di non
possedere o sottragga all’ispezione i documenti in suo possesso, ancorche´ non al deliberato scopo di impedirne la verifica, ma per errore non scusabile, di diritto o di fatto (dimenticanza, disattenzione, carenze amministrative, ecc.)
e, quindi, per colpa’’.
Sono quindi intervenute le Sezioni Unite di questa Corte,
con la sentenza n. 45 del 25/02/2000, enunciando, con riferimento alla specifica ipotesi della ‘‘dichiarazione di non
possedere i libri, registri, documenti, scritture’’ ed al richiesto elemento psicologico di supporto, il seguente principio
di diritto: ‘‘A norma del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 52,
comma 5, perche´ la dichiarazione, resa dal contribuente
nel corso di un accesso, di non possedere libri, registri,
scritture e documenti (compresi quelli la cui tenuta e conservazione non sia obbligatoria), richiestigli in esibizione,
determini la preclusione a che gli stessi possano essere
presi in considerazione a suo favore ai fini dell’accerta-
2001
GIURISPRUDENZA
mento in sede amministrativa o contenziosa, occorre: a) la
sua non veridicita` o, piu` in generale, il suo concretarsi – in
quanto diretta ad impedire l’ispezione del documento – in
un sostanziale rifiuto di esibizione, accertabile con qualunque mezzo di prova e anche attraverso presunzioni;
b) la coscienza e la volonta` della dichiarazione stessa; c)
il dolo, costituito dalla volonta` del contribuente di impedire che, nel corso dell’accesso, possa essere effettuata l’ispezione del documento. Pertanto non integrano i presupposti
applicativi della preclusione le dichiarazioni (il cui contenuto corrisponda al vero) dell’indisponibilita` del documento, non solo se la questa sia ascrivibile a caso fortuito o forza maggiore, ma anche se imputabile a colpa, quale ad
esempio la negligenza e imperizia nella custodia e conservazione’’ (sulla scia di tale pronuncia cfr. Cass. 4821/2002;
Cass. 14339/2011; Cass. 18921/2011; Cass. 415/2013).
Le Sezioni Unite hanno, anzitutto, chiarito che la fattispecie astratta descritta dalla norma prevede ‘‘quale sua componente oggettiva’’, in luogo di tre comportamenti materiali del contribuente intrinsecamente ed ontologicamente distinti tra loro (il rifiuto di esibire i documenti richiesti, la
dichiarazione di non possederli, la loro sottrazione all’ispezione), un solo comportamento, il rifiuto di esibizione, del
quale la dichiarazione di non possedere e la sottrazione sono soltanto ‘‘forme sintomatiche per legge’’. Si e` quindi
escluso che, nell’ipotesi di ‘‘dichiarazione di non possedere’’, l’elemento oggettivo della fattispecie sia costituito dal
solo mancato possesso del documento, dovendosi fare richiamo alla disposizione di cui al successivo comma 10,
nella quale si ricollega l’effetto preclusivo, non gia` al mancato possesso del documento (cagionato, in modo determinante o concorrente, dalla colpa del contribuente), in se´ e
per se´ considerato, sebbene ‘‘alla circostanza che il contribuente non ha dimostrato attraverso la prescritta attestazione e la successiva produzione del documento la veridicita` della sua dichiarazione di non poter esibire il documento perche´ posseduto da un terzo’’, concretizzandosi
la fattispecie ‘‘in una situazione obiettiva che, stante la
mancata dimostrazione della veridicita` della dichiarazione
attraverso le prescritte modalita`, si risolve, per presunzione di legge, in un rifiuto di esibizione’’.
Non e` sufficiente la colpa per fare scattare la preclusione,
operando la stessa anche ove la dichiarazione di non possedere riguardi documenti ‘‘la cui tenuta e conservazione
non sono obbligatorie’’, o che del tutto legittimamente possono essere tenuti in luoghi diversi da quelli indicati nelle
dichiarazioni D.P.R. n. 633 del 1972, ex art. 35, con la conseguenza che, rispetto a questi documenti, la fattispecie
non puo` che essere dolosa e che parimenti deve concludersi, per i documenti contabili la cui tenuta sia obbligatoria,
in quanto ‘‘nessun dato testuale legittima una differenziazione del regime dell’elemento psicologico a seconda della
tipologia del documenti’’.
In conclusione, la Corte, stante la natura dolosa dell’ipotesi
del ‘‘rifiuto dell’esibizione’’ e di quella di ‘‘sottrazione della
documentazione’’ – ‘‘di modo che, ai fini della sua perfezione e dell’applicabilita` della sanzione esige, oltre che la coscienza e la volonta` del rifiuto, l’intenzione del contribuente di impedire che l’accertatore proceda, in sede e nel corso
dell’accesso, all’ispezione del documento’’ – e ribadita
‘‘l’immedesimazione essenziale tra le ipotesi del rifiuto di
esibizione e della dichiarazione non veritiera di non possedere (nel senso, appunto, che questa dichiarazione altro
non e` che, per presunzione di legge, un diniego di esibizione)’’, ha affermato che anche questa particolare ipotesi di
rifiuto e` necessariamente ‘‘dolosa’’, occorrendo la sua non
corrispondenza al vero e che sia diretta ad impedire l’ispezione del documento, accertabile con qualsiasi mezzo di
prova, anche di natura meramente indiziaria.
Pertanto, non integrano i presupposti applicativi della preclusione, ‘‘le dichiarazioni (il cui contenuto corrisponda al
vero) dell’indisponibilita` del documento, non solo se l’indisponibilita` sia ascrivibile a forza maggiore o a caso fortuito (ad esempio, documentazione rubata, smarrita o temporaneamente dispersa per calamita` naturali e poi rinvenuta,
sequestrata e poi rimessa nella disponibilita` del contribuente), ma anche se imputabile a colpa, quale, ad esempio, la negligenza e l’imperizia nella custodia e conservazione’’.
Per vero, in virtu` di questo dato e` indubbio, per un verso,
che la preclusione non e` intrinsecamente collegata al dovere di diligente conservazione della documentazione.
Ne´, d’altronde, potrebbe essere diversamente sol che si
consideri che, come risulta dal necessario collegamento
dei precetti di cui ai comma quattro e cinque, l’effetto preclusivo si estende anche a registri, documenti e scritture
‘‘la cui tenuta e conservazione non sono obbligatorie’’, e
che, correlativamente, non devono essere tenuti nel luogo
indicato nelle dichiarazioni di cui al D.P.R. n. 633 del
1972, art. 35. Pertanto, quanto meno in relazione a questi
documenti, al contribuente non si puo` fare carico del loro
mancato possesso, quand’anche volontario; inoltre, e conseguentemente, che, sempre in relazione a questi documenti, la fattispecie oggettiva non puo` che essere costituita
dalla non veridicita` della dichiarazione di non possesso e
dal sostanziale rifiuto della loro esibizione.
La portata della norma e` stata ulteriormente chiarita nelle
pronunce di questa Corte n. 16536 del 14/07/2010 e n. 1344
del 25/01/2010, sempre in linea con l’orientamento espresso dalle Sezioni Unite nella sopra citata pronuncia.
Con la prima sentenza si e` dato rilievo alla natura eccezionale della disposizione, ‘‘che non puo` essere applicata oltre
i casi ed i tempi da essa considerati e deve essere interpretata, in coerenza ed alla luce dei principi affermati dagli
artt. 24 e 53 Cost., in modo da non comprimere il diritto
alla difesa e di obbligare il contribuente alla effettuazione
di pagamenti non dovuti e, quindi, nel senso che, per essere sanzionato con la perdita della facolta` di produrre i libri
e le altre scritture, il contribuente stesso deve aver tenuto
un comportamento diretto a sottrarsi alla prova e, dunque,
capace di far fondatamente dubitare della genuinita` di documenti che affiorino soltanto in seguito nel corso di giudizio’’.
Nella ordinanza n. 1344 del 2010, e` stato poi ribadito che
la norma ‘‘trova applicazione soltanto in presenza di una
specifica richiesta o ricerca da parte dell’Amministrazione
e di un rifiuto o di un occultamento da parte del contribuente, non essendo sufficiente che quest’ultimo non abbia esibito ai verbalizzanti i documenti successivamente
prodotti in sede giudiziaria’’, con la conseguenza che parte
ricorrente avrebbe dovuto, nella specie, allegare che vi era
stata una specifica richiesta dell’amministrazione in ordine alla documentazione de qua e che ‘‘il contribuente ne
aveva rifiutato l’esibizione dichiarando di non possederla
o comunque sottraendola al controllo, con uno specifico
comportamento volto a sottrarsi alla prova’’.
20/2014
2002
GIURISPRUDENZA
In ultimo, giova rammentare che il divieto di utilizzazione
dei documenti non prodotti va letto alla luce del principio
di collaborazione e buona fede (in senso oggettivo), espressamente enunciato nell’art. 10 dello Statuto del Contribuente, 1.212/2000, gravante su entrambe le parti, nel corso del procedimento amministrativo: se, da un lato, come
gia` sopra esposto, l’Amministrazione procedente deve formulare una richiesta di informazioni e documenti specifica ed adeguata al caso concreto, dall’altro lato, il contribuente deve assumere un comportamento collaborativo e
trasparente, anch’esso rispettoso dei canoni di correttezza
e diligenza.
6. Fermo pertanto l’orientamento espresso dalle pronunce
sopra richiamate, in primis delle Sezioni Unite di questa
Corte, ritiene il Collegio che l’accertamento induttivo sia
stato, nella fattispecie, effettuato legittimamente dall’Amministrazione finanziaria, in quanto ricorreva l’ipotesi di
cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 2, lett. c), vale
a dire la ‘‘sottrazione all’ispezione di alcune scritture contabili obbligatorie’’ (tra le quali rientrano anche le ‘‘schede
contabili clienti e fornitori’’, quali scritture ausiliarie di cui
al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 14, lett. c)) o comunque la
‘‘loro mancata disponibilita`’’ (anche per causa di forza
maggiore), in sede di ispezione ai sensi dell’art. 33.
Vi e` stata, come correttamente evidenziato dai giudici tributari, una condotta della societa` intenzionalmente rivolta
a sottrarre parte della documentazione specificamente richiesta in sede ispettiva all’esame immediato degli accertatori. Invero, stante il rifiuto del terzo, la P. srl, indicato dalla stessa contribuente in fase di primo accesso, di esibizione della suddetta documentazione e la mancata produzione dell’attestazione prescritta dall’art. 52, comma 10, citato, operava pienamente la presunzione assoluta di non veridicita` della dichiarazione della societa` contribuente che
le scritture in questione si trovavano presso un terzo, equiparabile a sostanziale rifiuto di esibizione (Cass. S.U. n. 45/
2000).
Peraltro, come evidenziato dai giudici tributari, neppure
successivamente, nell’intervallo temporale, del tutto congruo, intercorso tra il 12/02/2002 ed il 20/05/2002, le scrit-
ture sono state messe, concretamente, a disposizione dell’Amministrazione finanziaria.
La preclusione istruttoria all’acquisizione dei documenti
non esibiti in sede di accesso e` derivata pertanto, nella fattispecie, dall’art. 52, comma 10, implicante, in via presuntiva ex lege, la non veridicita` della dichiarazione di non
possedere e quindi il diniego di esibizione. Alcuna violazione di norme di diritto ovvero vizio motivazionale, quale
denunciato nei motivi in esame, si rinviene nella sentenza
impugnata.
7. Va poi respinto il quinto motivo, inerente la parte della
sentenza nella quale i giudici tributari hanno ridotto la
percentuale di redditivita` utilizzata dall’Ufficio (dal 2%
all’1%), prescindendo peraltro dalle risultanze delle scritture contabili della societa`.
Invero, il motivo e` infondato in quanto non e` rinvenibile,
nel ragionamento espresso dai giudici di merito, la lamentata violazione di diritto, essendo stato comunque effettuato il necessario controllo di logicita` sulla scelta ed applicazione del criterio di calcolo da parte dell’Amministrazione,
nella quantificazione del maggior reddito imponibile. Il
motivo e` peraltro inammissibile, in quanto difetta di autosufficienza, limitandosi la ricorrente a lamentare l’omessa
valorizzazione, da parte dei giudici tributari, delle dichiarazioni dei redditi presentate per gli anni di imposta precedenti.
8. In conclusione, il ricorso va respinto. Le spese processuali del presente giudizio di legittimita`, liquidate come
in dispositivo, in conformita` del D.M. n. 140 del 2012, attuativo della prescrizione contenuta nel D.L. n. 1 del
2012, art. 9, comma 2, convertito dalla L. n. 271 del 2012
(Cass. S.U. 17405/2012), seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente al
rimborso delle spese processuali del presente giudizio di
legittimita`, liquidate in complessivi Euro 12.000,00, a titolo di compensi, otre eventuali spese prenotate a debito.
Commento
Con la sentenza n. 8539 del 2014 la Cassazione torna ad occuparsi del rifiuto di esibizione della documentazione richiesta in sede di verifica o a seguito
di questionario notificato al contribuente, nonche´
delle conseguenti preclusioni probatorie previste
dall’art. 52, comma 5, del D.P.R. n. 633/1972 e dall’art. 32, commi 3 e 4, del D.P.R. n. 600/1973.
La pronuncia appare molto interessante perche´,
ripercorrendo l’evoluzione giurisprudenziale,
giunge a conclusioni non esattamente in linea
con l’orientamento piu` recente della Suprema
Corte, recuperando invece un filone piu` datato
che si riteneva ormai superato e che e` decisamente piu` favorevole al contribuente.
20/2014
In particolare, il riferimento e` alla sentenza n. 45
del 2000, con cui le Sezioni Unite avevano stabilito che, per il verificarsi dell’effetto di sterilizzazione del materiale probatorio non addotto dal contribuente dietro richiesta dei verificatori o dell’Ufficio, occorre il rifiuto di esibizione dei documenti ovvero la dichiarazione non veritiera di non
possederli, nonche´ la volonta` e la coscienza della
dichiarazione stessa, ma soprattutto e` necessaria
la sussistenza del requisito del dolo, che si concretizza nella volonta` del contribuente di sottrarre all’ispezione fiscale tali documenti non prodotti. In
sostanza, per le Sezioni Unite, le preclusioni probatorie di cui trattasi non possono trovare appli-
2003
GIURISPRUDENZA
cazione nell’ipotesi di caso fortuito o forza maggiore, ma anche ogniqualvolta la richiesta di esibizione non possa essere soddisfatta per colpa imputabile al contribuente stesso, come nell’ipotesi
di sua negligenza o imperizia nella custodia e
conservazione di tale documentazione 1.
A supporto di tale interpretazione, nella parte motiva della pronuncia odierna sono richiamate altre due importanti sentenze.
Con la prima 2 la Cassazione ha stabilito che le disposizioni in oggetto hanno carattere eccezionale
e, pertanto, devono trovare applicazione soltanto
quando il contribuente ha tenuto un comportamento diretto a sottrarsi all’onere probatorio, tale, quindi, da far dubitare della genuinita` dei documenti esibiti soltanto in un secondo momento,
in sede contenziosa.
Con la seconda sentenza citata 3 la Suprema Corte
ha deciso, in sostanza, che, ai fini dell’operativita`
delle preclusioni probatorie in oggetto, occorre a
monte una specifica richiesta da parte del Fisco,
e non un generico invito ad esibire la documentazione, ed occorre altresı` un espresso rifiuto o un
occultamento da parte del contribuente.
` stato ricordato, quindi, nella parte motiva della
E
pronuncia odierna che, ai sensi dell’art. 10 dello
Statuto del Contribuente 4, il quale impone un obbligo di collaborazione e buona fede tra Fisco e
contribuenti, e` ben vero che il primo deve formulare specifiche richieste documentali, avvisando
circa le conseguenze della mancata esibizione,
ma e` altresı` vero che i contribuenti devono comportarsi in modo collaborativo e trasparente, secondo canoni di correttezza e diligenza.
Per completezza d’analisi occorre aggiungere, come gia` anticipato in precedenza, che, invero, l’orientamento piu` recente della Cassazione tende
verso un’altra declinazione della questione. Piu`
precisamente, gli Ermellini, soltanto l’anno scorso, avevano stabilito che la sanzione della inutilizzabilita` dei documenti di cui sia stata rifiutata l’esibizione non presuppone necessariamente che il
rifiuto di esibizione sia stato doloso, ossia finalizzato ad impedire l’attivita` di accertamento, ben
potendo tale sanzione applicarsi anche quando
detto rifiuto sia dipeso da errore non scusabile,
di diritto o di fatto, dovuto a dimenticanza, disattenzione, carenze amministrative o altro 5.
Stante l’incertezza della giurisprudenza di legittimita`, allora, appaiono ormai maturi i tempi per
un intervento del legislatore, volto a dirimere, magari con una norma di interpretazione autentica, i
contrasti ermeneutici sorti sulle disposizioni in
oggetto.
1
4
L. n. 212/2000.
5
Cass. n. 27595 del 2013; nello stesso senso, Cass. n. 14027
del 2011; Id. n. 7269 del 2009.
Nello stesso senso: Cass. n. 415/2013; Id. n. 18921/2011; Id.
n. 14339/2011.
2
Cass. n. 16536 del 2010.
3
Cass. n. 1344 del 2010.
Alessandro Borgoglio
20/2014
2004
GIURISPRUDENZA
Inammissibile l’impugnazione
che non investa la totalita`
dei capi autonomi della sentenza
Processo tributario - Impugnazioni - Ricorso per cassazione - Sentenza del giudice di merito fondata su piu` ragioni autonome - Omessa impugnazione di una delle diverse ragioni - Ricorso Inammissibilita`
Qualora la sentenza del giudice di merito si fondi su piu` ragioni autonome, ciascuna delle quali logicamente e giuridicamente idonea a sorreggere la decisione, l’omessa impugnazione, con ricorso per cassazione, anche di una sola di tali ragioni, determina l’inammissibilita`, per difetto d’interesse, del gravame proposto avverso le altre. E` di tutta evidenza, infatti, che l’eventuale accoglimento del ricorso, con riferimento
agli altri motivi, non inciderebbe sulla ratio decidendi non censurata, per cui l’impugnata sentenza resterebbe pur sempre fondata, del tutto legittimamente, su di essa (n.d.r.).
(Oggetto della controversia: avviso di accertamento Irpeg, Ilor, anno 1994-1995)
(CASSAZIONE, Sez. trib., Pres. Cirillo, Est. Valitutti - Sent. n. 8847, del 25 febbraio 2014, dep. il 16
aprile 2014)
Ritenuto in fatto
1. In data 7.12.01 veniva emesso dall’Agenzia delle Entrate
di Pinerolo, nei confronti della TNT AUTOMOTIVE LOGISTICS s.p.a. (in prosieguo TAL), un avviso di accertamento, ai fini IRPEG ed ILOR per il periodo 1.7.94 - 30.6.95,
con il quale l’Amministrazione finanziaria recuperava a
tassazione - per quel che rileva in questa sede - il costo
per prestazioni di consulenza di cui alla fattura n. 181
del 31.7.95, emessa dalla consociata TNT CONTRACT LOGISTICS EUROPE LTD (in prosieguo CLE), ed alla conseguente autofattura n. 16 del 28.8.95. Tali fatture venivano,
invero, ritenute dall’Ufficio irregolari, attesa l’estrema genericita` dell’indicazione delle prestazioni effettuate, individuate con la formula ‘‘consulenza come da contratto’’, e per
l’assenza di idonea documentazione fiscale a riscontro.
1.1. Con avviso di rettifica del 10.12.01, emesso ai fini IVA
per l’anno 1996, l’Amministrazione finanziaria recuperava
a tassazione l’IVA indebitamente detratta dalla TAL in relazione alla fattura della CLE n. 256 del 29.7.96 ed alla
conseguente autofattura n. 290 del 26.8.96. Anche in tal caso, infatti, l’Ufficio riscontrava l’estrema genericita` dell’indicazione delle prestazioni effettuate, individuate - anche
in siffatta ipotesi -con la formula ‘‘consulenza come da
contratto’’, nonche` l’assenza di idonea documentazione fiscale a riscontro.
2. Gli atti impositivi venivano impugnati dai contribuenti,
con distinti ricorsi, dinanzi alla CTP di Torino, che li accoglieva con sentenze nn. 1/28/05 e 2/28/05.
3. Gli appelli avverso tali pronunce proposti dall’Agenzia
delle Entrate, previa riunione, venivano rigettati dalla
CTR del Piemonte, con sentenza n. 1/30/07, depositata il
6.2.07.
3.1. Con tale pronuncia il giudice di appello - confermando
il percorso argomentativo seguito dai giudici di prime cure
- escludeva anzitutto che il contratto di consulenza, stipu-
20/2014
lato dalle parti in data 1.4.94, fosse finalizzato a scopi elusivi, e che, anzi, l’esistenza di tale contratto tra le societa`
consociate fosse idoneo a dimostrare l’esistenza delle prestazioni rese dalla CLE in favore della TAL.
3.2. In relazione alle fatture in contestazione, poi, la CTR
riteneva che la descrizione e documentazione analitica
delle prestazioni di consulenza fosse, per un verso, impossibile, attesa la loro molteplicita` e complessita`, per altro
verso inutile, considerato che il compenso per tale attivita`
era stato determinato dalle parti in misura forfettaria.
4. Per la cassazione della sentenza n. 1/30/07 ha proposto,
quindi, ricorso l’Agenzia delle Entrate affidato a due motivi. Ha replicato con controricorso e con memoria ex art.
378 c.p.c., la CEVA Automotive Logistics Italia s.r.l., gia`
TNT AUTOMOTIVE LOGISTICS s.p.a..
Considerato in diritto
1. Con i due motivi di ricorso - che, riproponendo questioni sostanzialmente identiche, vanno esaminati congiuntamente - l’Agenzia delle Entrate denuncia la violazione del
D.P.R. n. 633 del 1972, artt. 19 e 21, D.P.R. n. 917 del
1986, artt. 75 e 76, (nel testo applicabile ratione temporis),
in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.
1.1. Si duole, invero, la ricorrente del fatto che la CTR abbia ritenuto sufficienti, ai fini del riscontro dell’esistenza e
dell’inerenza dei costi per i servizi asseritamente resi dalla
CLE a favore della TAL, considerati dalla CTR deducibili
dal reddito di impresa, nonche` ai fini della detraibilita` dell’IVA asseritamente assolta in relazione a dette operazioni,
una fattura recante la generica indicazione ‘‘consulenza
come da contratto’’, un contratto che individua l’oggetto
di tali prestazioni esclusivamente con la vaga dizione ‘‘consulenza e assistenza’’, nonche` materiale vario, del tutto privo di attinenza con i servizi in questione.
2005
GIURISPRUDENZA
1.2. In assenza di fatture particolareggiate, ovvero di qualsiasi altro documento idoneo ad indicare con precisione la
natura, qualita` ed entita` dei servizi resi dalla CLE a favore
della TAL, invero, il giudice di appello non avrebbe dovuto
considerare tali costi deducibili, ai fini delle imposte dirette e detraibili ai fini IVA, ostandovi il disposto del D.P.R. n.
633 del 1972, artt. 19 e 21, D.P.R. n. 917 del 1986, artt. 75 e
76.
2. I motivi suesposti sono inammissibili.
2.1. Va, difatti, premesso - in proposito - che l’impugnata
sentenza ricostruisce, in fatto, con estrema precisione ed
in maniera analitica, le complesse vicende che avevano
portato all’acquisizione, da parte della TAL, di un ramo
di azienda della Fiat s.p.a., relativo alla gestione dei servizi
logistici. A seguito di tale cessione, la TAL rilevava, invero,
la gestione della logistica automotiva della Fiat s.p.a. la
quale, peraltro, imponeva alla TAL - condizionandone la
prosecuzione del rapporto - di avvalersi, nella prestazione
di tale servizio, del know how posseduto, in materia, dal
gruppo inglese TNT, nel quale la TAL avrebbe dovuto rimanere inserita, ai fini della migliore gestione del servizio
acquisito.
2.2. In forza del contratto in data 1.4.1994, pertanto, la
consociata inglese CLE forniva alla TAL la consulenza relativa all’organizzazione e alla messa a punto del sistema
per l’approvvigionamento e la movimentazione dei materiali (ricambi auto, componenti varie, ecc.), all’aggiornamento del personale dipendente, ed all’intera organizzazione contabile, compresi i rapporti con il sistema assicurativo, inerente al ramo di attivita` della Fiat s.p.a. acquisito
dalla TAL.
2.3. A fronte di tale complessa operazione, l’Ufficio - muovendo dalla pretesa genericita` delle indicazioni risultanti
dalle fatture suindicate, e reputando generica anche l’indicazione dell’oggetto del contratto dell’1.4.1994, quanto ai
servizi asseritamente resi dalla CLE a favore della TAL fin dal primo grado del giudizio inquadrava il rapporto
tra le due societa` nella tematica del transfer pricing, che
consente, nei rapporti tra societa` infragruppo, di trasferire
- mediante la fissazione di prezzi inferiori o superiori al valore dei beni o servizi ricevuti dalla societa` italiana da parte della consociata estera - gli utili societari in altri Paesi,
onde sottrarli all’imposizione fiscale in Italia a favore di
tassazioni estere inferiori. Per tale ragione - rilevava l’Amministrazione finanziaria - il D.P.R. n. 917 del 1986, art.
76, comma 5 (ora art. 110, comma 7), nel prevedere che
i componenti derivanti da operazioni con societa` non residenti nel territorio dello Stato, le quali direttamente o indirettamente controllano l’impresa o ne sono controllate o
sono controllate dalla stessa societa` controllante l’impresa
nazionale, sono valutati in base al ‘‘valore normale’’ dei beni ceduti, dei servizi prestati e dei beni ricevuti, determinato ai sensi dell’art. 9, del medesimo D.P.R., fissa una clausola antielusiva, finalizzata proprio ad evitare siffatte operazioni poste in essere nei rapporti tra societa` appartenenti
allo stesso gruppo, ai fini di elusione di imposta.
2.3. Alle deduzioni suesposte, la CTR ha dato ampia ed articolata risposta, escludendo che la mera, pretesa, genericita` dei
dati risultanti dalle fatture in contestazione, tenuto conto del
fatto che le relative operazioni traevano origine dalle pattuizioni negoziali intercorse a monte tra la TAL e la CLE, potesse
evidenziare la dedotta natura elusiva di tali operazioni, nonche`
dello stesso contratto dell’1.4.1994. E cio` per diversi ordini di
ragioni, puntualmente esposte nell’impugnata sentenza (v. in
particolare le pp. 12-14).
2.3.1. Ed invero, osserva la CTR che la natura elusiva di tale contratto sarebbe esclusa dalla considerazione che esso
trae la propria ragione giustificativa dalla pretesa della
Fiat s.p.a. - soggetto terzo rispetto al gruppo TNT, cui appartiene la CLE e, pertanto, del tutto estraneo agli interessi
fiscali dello stesso gruppo - che la societa` italiana si avvalesse dell’esperienza e del know how, acquisiti dal gruppo
inglese. Il che varrebbe inequivocabilmente ad escludere
che la pattuizione di prestazioni di servizi, di cui al contratto dell’1.4.1994, sia stata posta in essere per finalita`
di elusione fiscale.
2.3.2. D’altro canto, rileva la CTR, la pratica del ‘‘cost sharing agreement’’, cui le multinazionali hanno, ormai da
tempo, dato corso - e che si fonda sulla ripartizione proporzionale dei costi dell’attivita` posta in essere da una delle societa` del gruppo, relativa ad assistenza tecnica, ricerca, ed altro, tra tutte le altre societa` che, a vario titolo, beneficiano dei servizi connessi a tali funzioni - sarebbe stata
ritenuta ammissibile, e non in contrasto con la normativa
fiscale italiana, anche dalla stessa Amministrazione finanziaria, con la circolare del 22.9.1989.
2.3.3. Inoltre, a parere del giudice di appello, neppure la
determinazione del corrispettivo del servizio di consulenza, stabilito in una percentuale dei ricavi annualmente
conseguiti dalla TAL, potrebbe, di per se`, essere considerata improntata a finalita` elusive, posto che una analitica determinazione di tale corrispettivo sarebbe stata oltremodo
difficile, attesa la varieta` e molteplicita` delle prestazioni
rese dalla CLE nei confronti della TAL. E per tale ragione,
ad avviso della CTR, la descrizione e documentazione analitica delle prestazioni di consulenza - richiesta dall’Ufficio
- sarebbe stata, per un verso, impossibile, attesa la loro
molteplicita` e complessita`, per altro verso, inutile, considerato che il compenso per tale attivita` era stato determinato
dalle parti in misura forfettaria.
2.3.4. A tutte le ragioni suindicate, andrebbe - dipoi - soggiunta, a parere della CTR, la considerazione dell’assoluta
verosimiglianza, sul piano logico prima ancora che giuridico, della circostanza che una societa` appena costituita,
come la TAL, sia stata nell’impossibilita` di organizzare
ex novo un efficiente servizio di logistica, a seguito dell’acquisizione del relativo ramo di azienda Fiat, senza ricorrere al know how di altre societa` del gruppo, le quali avevano
gia` avuto modo di realizzare la stessa esperienza aziendale
in altri Paesi. Sicche` l’operazione negoziale posta in essere
dai contraenti, nella pattuizione dell’1.4.1994, troverebbe
giustificazione in una specifica strategia imprenditoriale,
diversa dalla mera finalita` di elusione fiscale (abuso del diritto).
2.4. Orbene, da tutto quanto suesposto, risulta del tutto
evidente che l’impugnata sentenza di appello fonda la decisione di conferma della sentenza di prime cure, reiettiva
delle ragioni poste dall’Ufficio a fondamento degli atti impositivi, su una pluralita` di ragioni: 1) esistenza e carattere
non elusivo del contratto di consulenza in data 1.4.1994; 2)
compatibilita` dell’operazione posta in essere con la normativa fiscale italiana, desunta anche da una risoluzione della
stessa Amministrazione finanziaria; 3) carattere non elusivo del corrispettivo, cosı` come determinato dalle parti; 4)
logicita` e finalizzazione dell’operazione negoziale ad una
precisa strategia aziendale, che ne esclude la finalizzazio-
20/2014
2006
GIURISPRUDENZA
ne ad un intento elusivo; 5) impossibilita` ed inutilita` di una
analitica documentazione dei costi connessi a tale operazione.
2.5. Ebbene, a fronte del complesso impianto motivazionale della decisione impugnata, fondata su una pluralita` di
rationes decidendi, il ricorso per cassazione si incentra
esclusivamente sulle dedotte mancanze formali delle fatture in contestazione, e sulla pretesa insufficienza della documentazione posta a fondamento dei costi per i servizi
in questione, ai fini delle imposte dirette, e della detraibilita` dell’IVA versata in relazione alle stesse operazioni. Il ricorso, pertanto, non incide in alcun modo sulla piu` ampia
e decisiva problematica, involgente, tra l’altro, le complesse tematiche - peraltro, introdotte dallo stesso Ufficio fin
dal giudizio di primo grado - relative alla dedotta sussistenza del c.d. transfer pricing e del c.d. abuso del diritto,
la cui risoluzione in senso sfavorevole alle tesi dell’Amministrazione - sulla scorta delle diffuse argomentazioni
suindicate - ha comportato il rigetto dell’appello da quest’ultima proposto.
2.6. Orbene, secondo il costante insegnamento di questa
Corte, qualora la sentenza del giudice di merito si fondi
su piu` ragioni autonome, ciascuna delle quali logicamente
e giuridicamente idonea a sorreggere la decisione, l’omessa impugnazione, con ricorso per cassazione, anche di una
sola di tali ragioni, determina l’inammissibilita`, per difetto
`
di interesse, anche del gravame proposto avverso le altre. E
di tutta evidenza, infatti, che l’eventuale accoglimento del
ricorso, con riferimento agli altri motivi, non inciderebbe
sulla ratio decidendi non censurata, per cui l’impugnata
sentenza resterebbe pur sempre fondata, del tutto legittimamente, su di essa (cfr., in tal senso, Cass. S.U. 16602/
05; Cass.S.U. 7931/13; Cass. 21431/07; 3386/11; 22753/11).
2.7. Da tutto quanto suesposte discende, pertanto, che, non
avendo l’Agenzia delle Entrate impugnato proprio le ragioni
decisive poste a fondamento della decisione di appello, le
censure suesposte devono essere dichiarate inammissibili.
3. Il ricorso per cassazione dell’Agenzia delle Entrate non
puo`, di conseguenza, che essere rigettato, con conseguente
condanna della ricorrente al pagamento delle spese del
giudizio di legittimita`, nella misura di cui in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte Suprema di Cassazione;
rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, che liquida in Euro
18.000,00, oltre ad Euro 200,00 per esborsi ed accessori
di legge.
Commento
Nella pronuncia in rassegna i Giudici di legittimita` hanno ribadito alcuni principi della materia
processuale in tema di impugnazioni. Particolarmente, l’attenzione della Suprema Corte e` stata rivolta alla determinazione dei vizi della sentenza
in conformita` alla motivazione ed ai capi che possono rappresentare autonome rationes decidendi
da parte del giudice del merito. Nel caso di specie,
il ricorrente ha, ad avviso dei Supremi Giudici,
omesso di contestare la pluralita` di situazioni ed
elementi che la Commissione tributaria regionale
ha evocato per costituire il percorso logico-giuridico sul quale poggia la decisione gravata.
` ben noto che, attesa anche la complessita` delE
l’ordinamento tributario, una determinata sentenza abbia a proprio fondamento differenti argomentazioni fattuali e giuridiche le quali possono
avere l’attitudine di rappresentare una base autonoma e distinta di regolamentazione del rapporto
giuridico d’imposta dedotto nel giudizio. In questa ottica l’impugnazione ‘‘di una sentenza, ancorata ad una motivazione articolata in piu` rationes
decidendi distinte, reciprocamente autonome l’una dall’altra, e ciascuna da sola sufficiente a sorreggere il dictum relativo deve risultare, a pena
di inammissibilita`, strutturata in uno spettro di
censure tale da investire fondatamente tutte que-
20/2014
ste rationes’’ (Cass., sent. n. 15531 del 2002). Corollario di detto principio e` che laddove ‘‘la sentenza di merito poggi su piu` ragioni a autonome,
ciascuna delle quali logicamente e giuridicamente idonea a sorreggere la decisione, l’omessa impugnazione, con ricorso per cassazione, anche
di una soltanto di tali ragioni, determina l’inammissibilita`, per difetto di interesse, del gravame
proposto contro le altre, in quanto l’eventuale accoglimento del ricorso medesimo non inciderebbe sulla ratio decidendi non censurata, con la conseguenza che la sentenza impugnata resterebbe
sempre fondata, del tutto legittimamente, su di
essa’’ (Cass., sent. n. 15040 del 2002).
Il diritto onorario stabilisce dunque, da un lato, l’onere per la parte impugnante di analizzare la pronuncia gravata sı` da verificare non solo i vizi ma
anche l’iter logico-giuridico seguito dal giudice
per raggiungere l’esito ermeneutico; dall’altro, la
necessita`, qualora sia ravvisata una pluralita` di
motivi suscettibili ed idonei, in via autonoma, di
sorreggere il decisum, di contestare in modo puntuale ed articolato l’intero provvedimento avendo
cura di formulare le censure a tutte le rationes atte
a mantenere inalterata la lex specialis cosı` formata.
Pierfranco Turis
2007
GIURISPRUDENZA
Applicabilita`
del transfer pricing interno
Imposte sui redditi - Valutazioni - Operazioni infragruppo tra societa` residenti - Riferimento al
normale valore di mercato ex art. 9 del Tuir - Applicabilita` - Prova contraria a carico del contribuente - Ammissibilita`
Nella valutazione a fini fiscali delle manovre sul trasferimento dei prezzi tra societa` facenti parte di uno
stesso gruppo ed aventi tutte sede in Italia (‘‘transfer pricing’’ c.d. ‘‘domestico’’ o ‘‘interno’’), va applicato
il principio, avente valore generale, e dunque non circoscritto ai soli rapporti internazionali di controllo,
stabilito dall’art. 9 del Tuir, che non ha mera portata contabile e che impone il riferimento al normale valore di mercato per corrispettivi e altri proventi presi in considerazione dal contribuente. Si tratta di una
clausola antielusiva, costituente esplicazione del generale divieto di abuso del diritto in materia tributaria,
essendo precluso al contribuente conseguire vantaggi fiscali – come lo spostamento dell’imponibile presso
le imprese associate che, nel territorio, godano di esenzioni o minor tassazione – mediante l’uso distorto,
pur se non contrastante con alcuna specifica disposizione di legge, di strumenti giuridici idonei ad ottenere
vantaggi in difetto di ragioni diverse dalla mera aspettativa di quei benefici. Grava sul contribuente, secondo le regole ordinarie ex art. 2697 c.c., l’onere di dimostrare che le transazioni sono intervenute per valori di
mercato da considerarsi normali alla stregua dell’art. 9, comma 3, del Tuir, sicche` l’operazione non possa
considerarsi ispirata dalla finalita` di evasione delle imposte dovute (n.d.r.).
(Oggetto della controversia: avviso di accertamento Irpeg, Irap ed Iva, anno 2002)
(CASSAZIONE, Sez. trib., Pres. Cirillo, Est. Valitutti - Sent. n. 8849, del 25 febbraio 2014, dep. il 16
aprile 2014)
Ritenuto in fatto
1. A seguito di processo verbale di constatazione in data
23.7.04, veniva notificato alla C.E.M. Service s.r.l. un avviso di accertamento, emesso ai fini IRPEG, IRAP ed IVA
per l’anno 2002, con il quale l’Ufficio recuperava a tassazione costi indeducibili a fronte di operazioni di transfer
pricing, conseguenti al trasferimento di utili a favore dell’impresa controllante C.E.M. Cooperativa Esercenti Macellai a r.l.
1.1. Con il medesimo avviso di accertamento, l’Amministrazione recuperava, altresı`, a tassazione i costi relativi
a perdite su crediti ed a spese di pubblicita`, ritenuti non interamente deducibili, nonche` l’IVA indebitamente detratta
in relazione a tutte le operazioni in contestazione.
2. L’atto impositivo veniva impugnato dal contribuente dinanzi alla CTP di Forlı`, che accoglieva parzialmente il ricorso, ossia limitatamente alle due riprese a tassazione minori, concernenti le deduzioni delle perdite su crediti e delle spese di pubblicita`, confermando, invece, la legittimita`
della tassazione attinente alle operazioni di transfer pricing.
3. L’appello principale avverso tale pronuncia, proposto
dalla C.E.M. Service s.r.l., veniva, peraltro, accolto dalla
CTR dell’Emilia Romagna, con sentenza n. 123/17/07, depositata il 12.11.07 con la quale il giudice di seconde cure,
al contrario di quello di prima istanza, riteneva non configurabile, nella specie, un’operazione di c.d. transfer pricing
‘‘interno’’, e riteneva non applicabile neppure il disposto
del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 37, comma 3, posto, invece,
a fondamento della decisione di primo grado.
4. Per la cassazione della sentenza n. 123/17/07 ha proposto, quindi, ricorso l’Agenzia delle Entrate affidato a tre
motivi. L’intimata non ha svolto attivita` difensiva.
Considerato in diritto
1. Con i tre motivi di diritto - che, per la loro evidente connessione, vanno esaminati congiuntamente – l’Agenzia delle Entrate denuncia la violazione del D.P.R. n. 600 del
1973, art. 37, comma 3, art. 1344 c.c., e D.P.R. n. 917 del
1986, art. 76, comma 5, (nel testo applicabile ratione temporis), in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, nonche` l’omessa motivazione su un fatto decisivo della controversia, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5.
1.1. Avrebbe, invero, errato la CTR - ad avviso della ricorrente - nel ritenere, peraltro con motivazione del tutto incongrua, valida ed opponibile all’Amministrazione finanziaria la pattuizione con la quale le parti avevano concordato l’applicazione, alle vendite effettuate dalla C.E.M.
Cooperativa Esercenti Macellai a r.l. a favore della
C.E.M. Service s.r.l., controllata al 100% da detta cooperativa, di una maggiorazione dell’1,2% rispetto al prezzo di
vendita praticato dalla cooperativa medesima ai propri soci. Siffatta pattuizione, a parere dell’Ufficio, non avrebbe,
difatti, nessun’altra finalita`, se non quella di assicurare,
mediante un trasferimento di utili infragruppo, un vantaggio fiscale per il gruppo stesso, considerata la piu` favorevo-
20/2014
2008
GIURISPRUDENZA
le legislazione speciale sulla fiscalita` delle societa` cooperative.
1.2. Sarebbe, pertanto, evidente - contrariamente a quanto
ritenuto dal giudice di appello - che l’operazione in parola
debba ritenersi connotata da una finalita` chiaramente elusiva (c.d. abuso del diritto), assimilabile a quella posta a
fondamento della disposizione di cui al D.P.R. n. 917 del
1986, art. 76, comma 5 (ora art. 110, comma 7), ancorche`
detta disposizione si applichi testualmente alle transazioni
infragruppo tra societa` non appartenenti tutte allo stesso
Paese.
2. Le censure sono fondate.
2.1. Questa Corte ha - per vero - gia` affermato (cfr. Cass.
17955/13), ed a tale indirizzo si ritiene di dare continuita`
in questa sede, che nella valutazione a fini fiscali delle manovre sul trasferimento dei prezzi tra societa` facenti parte
di uno stesso gruppo ed aventi tutte sede in Italia (‘‘transfer
pricing’’ c.d. ‘‘domestico’’ o ‘‘interno’’), va applicato il principio, avente valore generale, e dunque non circoscritto ai
soli rapporti internazionali di controllo, stabilito dal
D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 9, che non ha mera
portata contabile e che impone il riferimento al normale
valore di mercato per corrispettivi e altri proventi presi
in considerazione dal contribuente. Si tratta, invero, di
una clausola antielusiva, costituente esplicazione del generale divieto di abuso del diritto in materia tributaria, essendo precluso al contribuente conseguire vantaggi fiscali come lo spostamento dell’imponibile presso le imprese associate che, nel territorio, godano di esenzioni o minor tassazione - mediante l’uso distorto, pur se non contrastante
con alcuna specifica disposizione di legge, di strumenti
giuridici idonei ad ottenere vantaggi in difetto di ragioni
diverse dalla mera aspettativa di quei benefici.
2.2. D’altro canto, che la succitata disposizione del D.P.R.
n. 917 del 1986, art. 9, non sia una norma dettata per le sole transazioni tra una societa` nazionale ed una estera, lo si
evince - in maniera inequivocabile - dalla stessa collocazione della norma tra le ‘‘disposizioni generali’’ applicabili in
materia di imposte sui redditi, di cui al titolo I, capo I
del D.P.R. n. 917 del 1986. E, non a caso, la disposizione
dell’art. 76, commi 2 e 5 (come, ora l’art. 110, commi 2 e
7) del decreto cit. rinvia al precedente art. 9, - secondo la
tecnica normativa del rinvio recettizio ad una disposizione
di carattere generale, da parte di una norma speciale che
non prevede una disciplina specifica della fattispecie da regolare (Cass. 914/68) - ai fini della determinazione del valore normale dei beni ceduti, dei servizi prestati e dei beni
e servizi ricevuti, con riferimento alle transazioni commerciali effettuate tra societa` dello stesso gruppo; e cio`, sia pure con riferimento specifico all’ipotesi in cui alcune di tali
societa` siano italiane, altre straniere.
2.3. Orbene, nel caso di specie, la maggiorazione del prezzo praticato dalla C.E.M. Cooperativa Esercenti Macellai a
r.l. a favore della C.E.M. Service s.r.l., controllata al 100%
dalla prima, nelle cessioni di carne operate negli anni in
contestazione, non trova alcun altro fondamento, se non
nello scopo di aumentare i costi per la controllata, determinando - al contempo - per quest’ultima una diminuzione
dell’utile imponibile, trasferito, di fatto, - attraverso un aumento dei corrispettivi - alla cooperativa controllante, ottenendo, in tal modo, un’indebita esenzione da imposta. Siffatta operazione si e` - per vero - tradotta in un sicuro vantaggio fiscale per il gruppo, atteso che, in forza della previsione di cui alla L. n. 449 del 1997, art. 21, comma 10, le
imposte sui redditi relative al maggior utile conseguito
per effetto delle variazioni reddituali prodottesi a chiusura
dell’esercizio, non concorrono a formare il reddito imponibile della cooperativa, ma sono destinate alle riserve indivisibili; sicche` le imposte sui redditi versate possono essere
dedotte come costo dalla stessa societa` cooperativa.
2.4. Ne` puo` revocarsi in dubbio che gravi sul contribuente,
secondo le regole ordinarie di vicinanza della prova ex art.
2697 c.c., l’onere di dimostrare che tali transazioni sono
intervenute per valori di mercato da considerarsi normali
alla stregua dell’art. 9, comma 3, del menzionato decreto
(Cass. 11949/12; 10742/13), sicche` l’operazione non possa
considerarsi ispirata dalla finalita` di evasione delle imposte dovute. Ma tale dimostrazione e` del tutto mancata
nel caso di specie.
3. In accoglimento del ricorso, pertanto, la sentenza impugnata va cassata con rinvio ad altra sezione della CTR dell’Emilia Romagna, che procedera` a nuovo esame della
controversia, attenendosi al seguente principio di diritto:
‘‘nella valutazione a fini fiscali delle manovre sul trasferimento dei prezzi tra societa` facenti parte di uno stesso
gruppo, ed aventi tutte sede in Italia (transfer pricing c.d.
domestico o interno), va applicato il principio, avente valore generale e dunque non circoscritto ai soli rapporti internazionali di controllo, stabilito dal D.P.R. 22 dicembre
1986, n. 917, art. 9’’.
4. Il giudice di rinvio provvedera`, altresı`, alla liquidazione
delle spese del presente giudizio di legittimita`.
P.Q.M.
La Corte Suprema di Cassazione;
accoglie il ricorso; cassa l’impugnata sentenza, con rinvio
ad altra sezione della Commissione Tributaria Regionale
dell’Emilia Romagna, che provvedera` anche alla liquidazione delle spese del presente giudizio.
Commento
Ai fini del controllo dei prezzi di trasferimento intercompany deve essere applicato il valore normale, che costituisce un criterio generale antielusivo
utilizzabile anche nelle transazioni tra societa` re20/2014
` quanto stabilito dalla Corte di Cassaziosidenti. E
ne, con la sentenza n. 8849 del 2014.
Il transfer pricing, come noto, e` un metodo di controllo fiscale dei prezzi di trasferimento di beni e
2009
GIURISPRUDENZA
servizi nell’ambito di soggetti appartenenti ad
uno stesso gruppo, tipicamente societa` che fanno
capo ad una medesima holding. In particolare,
l’art. 110, comma 7, del Tuir dispone che i componenti del reddito derivanti da operazioni con societa` non residenti nel territorio dello Stato, che
direttamente o indirettamente controllano l’impresa, ne sono controllate o sono controllate dalla
stessa societa` che controlla l’impresa, sono valutati in base al valore normale dei beni ceduti,
dei servizi prestati e dei beni e servizi ricevuti, determinato in base al valore normale di cui all’art.
9 del Tuir.
L’utilizzabilita` del criterio del valore normale nelle transazioni intercompany, per quanto poc’anzi
riportato, tuttavia, richiede espressamente che si
tratti di operazioni poste in essere da soggetti italiani con soggetti non residenti. Non esistono, invece, nel Tuir specifiche disposizioni di analogo
tenore volte a prevenire manovre elusive sui prezzi nell’ambito di transazioni nazionali, ovvero effettuate tra soggetti tutti residenti nel territorio
dello Stato. Non e` rinvenibile nell’ordinamento,
quindi, una specifica normativa che potremmo
definire di transfer pricing interno, analoga a quella recata dall’art. 110, comma 7, del Tuir, ma destinata soltanto alle transazioni intercorrenti tra
operatori nazionali.
Nonostante tale carenza sotto il profilo normativo, la giurisprudenza di legittimita`, gia` in passato 1, aveva ammesso la possibilita` di utilizzare il
criterio del valore normale per il controllo dei
prezzi di trasferimento di beni e servizi nell’ambito dei rapporti tra soggetti residenti ed appartenenti ad un medesimo gruppo societario. In particolare, la questione era sorta in relazione a vendite effettuate da una societa` del centro-nord ad
una controllata con sede nel Mezzogiorno, che
per tale ubicazione geografica godeva di un particolare regime impositivo di favore 2. Gli Ermellini, dopo aver confermato che l’art. 110, comma
7, del Tuir non e` applicabile per il transfer pricing
interno, avevano stabilito che, tuttavia, tale disciplina che regola il transfer pricing internazionale
(basata sul valore normale di cui all’art. 9 del
Tuir) costituisce una clausola antielusiva che,
non solo trova radici nei principi comunitari in
tema di abuso di diritto 3, ma anche immanenza
in settori del diritto tributario nazionale (come
l’art. 37-bis del D.P.R. n. 600/1973 relativo a talune fattispecie elusive).
Con la pronuncia odierna, la Cassazione ha stabilito che, invero, il criterio del valore normale assume una funzione antielusiva, che costituisce
espressione del piu` generale principio del divieto
di abuso di diritto (cfr. SS.UU. n. 30055 del 2008),
in base al quale deve desumersi che non e` consentito al contribuente di conseguire indebiti vantaggi fiscali mediante manovre elusive sui prezzi di
trasferimento nell’ambito di operazioni intercorrenti tra soggetti residenti che appartengono ad
un medesimo gruppo, ed uno di tali soggetti
puo` usufruire di un regime impositivo piu` vantaggioso.
Del resto - hanno sottolineato i Supremi Giudici l’art. 110, comma 7, del Tuir, che disciplina il
transfer pricing, rinvia espressamente al criterio
del valore normale di cui all’art. 9 dello stesso
Tuir, che, appunto, e` collocato tra le norme di carattere generale in materia di imposte sui redditi.
Cio` conferma la tesi per cui il criterio del valore
normale non sia una norma dettata per le sole
transazioni internazionali, ma, avendo una portata piu` ampia e generale, torna applicabile anche
in ipotesi di transfer pricing domestico o interno.
Nel caso di specie, era evidente, secondo i Giudici
di piazza Cavour, che i prezzi di vendita ‘‘maggiorati’’ applicati dalla cooperativa nei confronti della srl controllata erano volti a trasferire materia
imponibile da un soggetto all’altro, atteso che cosı`
operando si generava un maggior reddito per la
cooperativa (venditrice) ed uno minore per la srl
(acquirente). Ma le cooperative godono di un regime impositivo di favore (cfr. art. 21 della L. n.
449/1997) e, quindi, aumentando il reddito di detta coop e diminuendo quello della srl, soggetta invece all’ordinario regime di tassazione, era stato
conseguito un indebito risparmio d’imposta a livello di gruppo.
La Cassazione, infine, non ha mancato di osservare che al contribuente e` sempre comunque concessa la possibilita` di fornire la prova contraria,
mediante la dimostrazione dell’esistenza di altre
valide ragioni economiche per i prezzi ‘‘fuori mercato’’ cosı` determinati. Nel caso di specie, tuttavia, il contribuente non aveva allegato alcuna valida argomentazione.
1
Cass. n. 17955 del 2013.
3
2
Sul punto si veda la circolare n. 53/E del 1999.
Alessandro Borgoglio
Cfr. sentenza Halifax, causa C-10257/08.
20/2014
2010
GIURISPRUDENZA
Legittimita`
della motivazione per relationem
Processo tributario - Impugnazioni - Ricorso per cassazione - Vizio di omessa motivazione - Elementi a base del convincimento del giudice - Indicazione omessa o priva di approfondita disamina logica e giuridica - Difetto assoluto o motivazione apparente - Sussistenza
Processo tributario - Impugnazioni - Motivazione per relationem - Legittimita` - Limiti
Ricorre il vizio di omessa motivazione della sentenza, denunziabile in sede di legittimita` ai sensi dell’art.
360 c.p.c., comma 1, n. 5, nella specie del difetto assoluto o di motivazione apparente, quando il giudice di
merito ometta di indicare, nella sentenza, gli elementi da cui ha tratto il proprio convincimento, ovvero
quando indichi tali elementi senza una approfondita disamina logica e giuridica, rendendo in tal modo
impossibile ogni controllo sull’esattezza e sulla logicita` del suo ragionamento.
Deve reputarsi legittima la motivazione ‘‘per relationem’’ della sentenza pronunciata in sede di gravame,
purche` il giudice d’appello, facendo proprie le argomentazioni del primo giudice, esprima, sia pure in modo
sintetico, le ragioni della conferma della pronuncia in relazione ai motivi di impugnazione proposti, in
modo che il percorso argomentativo desumibile attraverso la parte motiva delle due sentenze risulti appagante e corretto (n.d.r.).
(Oggetto della controversia: avvisi di accertamento Irpeg, Ilor, Irap ed Iva, anni 1997, 1998 e 1999)
(CASSAZIONE, Sez. trib., Pres. Cirillo, Est. Valitutti - Sent. n. 8850, del 25 febbraio 2014, dep. il 16
aprile 2014)
Ritenuto in fatto
1. A seguito di processo verbale di constatazione in data
23.5.02, redatto dalla Guardia di Finanza di Bologna, venivano notificati alla Asian Byte s.p.a. cinque avvisi di accertamento, emessi dall’Ufficio ai fini IRPEG, ILOR, IRAP ed
IVA per gli anni 1997, 1998 e 1999, con i quali l’Amministrazione finanziaria recuperava a tassazione costi ritenuti
indeducibili, poiche` riconducibili ad operazioni oggettivamente e soggettivamente inesistenti, nonche` l’IVA non versata su operazioni ritenute dall’Ufficio imponibili, o indebitamente detratta in relazione ad operazioni reputate, invece, oggettivamente o soggettivamente inesistenti.
2. Gli atti impositivi venivano impugnati dalla contribuente, con distinti ricorsi, dinanzi alla CTP di Bologna, che,
dopo averli riuniti, li rigettava.
3. L’appello avverso tale pronuncia, proposto dalla Asian
Byte s.r.l. in liquidazione, gia` Asian Byte s.p.a., veniva,
del pari, rigettato dalla CTR dell’Emilia Romagna, con sentenza n. 192/8/06, depositata il 15.2.07, con la quale il giudice di seconde cure riteneva condivisibile il percorso argomentativo seguito dal giudice di prima istanza, e, pertanto, legittimo l’atto impositivo impugnato.
4. Per la cassazione della sentenza n. 192/8/06 ha proposto,
quindi, ricorso la Asian Byte s.r.l. in liquidazione, affidato
a quattro motivi, illustrati, altresı`, con memoria ex art. 378
c.p.c.
L’amministrazione resistente ha replicato con controricorso.
Considerato in diritto
1. Con il primo motivo di ricorso, la Asian Byte s.r.l. de-
20/2014
nuncia l’omessa e contraddittoria motivazione su un fatto
decisivo del giudizio, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5.
1.1. L’impugnata sentenza sarebbe, invero, del tutto carente dell’indicazione delle ragioni sulle quali la CTR abbia inteso fondare la decisione, resa dall’organo giudicante di secondo grado senza un’idonea valutazione delle deduzioni
difensive della contribuente e del copioso materiale probatorio documentale allegato agli atti del giudizio, bensı` unicamente mediante una acritica adesione alle argomentazioni del giudice di prima istanza.
1.2. Sotto un ulteriore profilo, poi, la decisione di appello
sarebbe affetta - a parere della ricorrente - da una palese
contraddittorieta`, avendo la CTR ritenuto, per un verso,
di aderire al ragionamento dei primi giudici, che avevano
ritenuto la legittimita` dell’atto impositivo, per altro verso,
affermato che la sentenza di primo grado conterrebbe un
esame ‘‘analitico’’, ma svolto ‘‘sommariamente ed a campione’’ del rapporto in contestazione, nonche` delle diverse
doglianze avanzate in giudizio dalla Asian Byte s.r.l.
2. Il motivo e` fondato, per un duplice ordine di ragioni.
2.1. In primo luogo, va osservato, infatti, che - secondo il
costante insegnamento di questa Corte - ricorre il vizio
di omessa motivazione della sentenza, denunziabile in sede di legittimita` ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5,
sub specie di difetto assoluto o di motivazione apparente,
quando il giudice di merito ometta di indicare, nella sentenza, gli elementi da cui ha tratto il proprio convincimento, ovvero quando indichi tali elementi senza una approfondita disamina logica e giuridica, rendendo in tal modo
impossibile ogni controllo sull’esattezza e sulla logicita` del
suo ragionamento (cfr., ex plurimis, Cass. 2067/98; 1756/
06; 9113/12).
2011
GIURISPRUDENZA
2.1.1. Ebbene - considerato che, nel caso concreto, la quaestio facti controversa e decisiva per il giudizio era rappresentata dalla sussistenza, o meno, di operazioni oggettivamente e soggettivamente inesistenti, delle quali la contribuente avrebbe beneficiato, ai fini dell’evasione delle imposte dovute - va rilevato che la sentenza di appello non
contiene affatto l’indicazione delle ragioni logiche e giuridiche, che hanno indotto l’organo giudicante a disattendere il gravame proposto dalla Asian Byte s.r.l. Ed invero,
l’impugnata pronuncia non va oltre un generico riferimento all’effettuata lettura del processo verbale di constatazione, che darebbe ‘‘piena ed indubitabile sostanza probatoria
agli assunti’’, senza, tuttavia, precisare in alcun modo gli
elementi desunti da tale verbale, o dalle dichiarazioni di
terzi ad esso allegate ‘‘che pure appaiono’’, che abbiano potuto attribuire fondamento a tale convincimento del giudicante.
2.1.2. La motivazione della sentenza della CTR si risolve,
in buona sostanza, in una acritica ed entusiastica, ma del pari - immotivata, adesione alle ragioni giustificative
della pronuncia di prime cure, che ‘‘avrebbe dato costrutto
ad evidenze che non lasciano dubbi di sorta sulla sostanza
che deve essere indagata allo scopo di formulare un giudizio’’.
2.1.2.1. Ebbene, questa Corte ha piu` volte precisato, al riguardo, che deve reputarsi legittima la motivazione per relationem della sentenza pronunciata in sede di gravame,
purche` il giudice d’appello, facendo proprie le argomentazioni del primo giudice, esprima, sia pure in modo sintetico, le ragioni della conferma della pronuncia in relazione
ai motivi di impugnazione proposti, in modo che il percorso argomentativo desumibile attraverso la parte motiva
delle due sentenze risulti appagante e corretto. Per converso, non puo` che essere cassata la sentenza d’appello allorquando la laconicita` della motivazione adottata, formulata
in termini di mera adesione, non consenta in alcun modo
di ritenere che all’affermazione di condivisione del giudizio di primo grado il giudice di appello sia pervenuto attraverso l’esame e la valutazione di infondatezza dei motivi di
gravame (cfr. Cass. 2268/06; 15483/08; 7347/12).
2.1.2.2. Cio` posto, e` indubitabile che - nel caso concreto - la
CTR sia pervenuta alla conclusione dell’infondatezza del
gravame proposto dalla Asian Byte s.r.l., non sulla base
di un attento esame dei numerosi motivi di gravame (‘‘poco importa a questo punto valutare se...’’) - fondati sui risultati delle indagini penali, sulla irrilevanza ed inammissibilita` nel processo tributario delle dichiarazioni rese da
terzi in sede penale, sull’estraneita` della societa` alla presunta ‘‘frode carosello’’ posta in essere da altri soggetti e
sulla conseguente detraibilita` dell’IVA assolta sulle fatture
in contestazione, sull’illegittima ricostruzione del reddito
della Asian Byte, e sulla illegittimita` degli atti di irrogazione delle sanzioni - peraltro, indicati dallo stesso giudice di
appello nella motivazione della decisione emessa (p. 6). A
siffatta conclusione, invero, la CTR e` pervenuta - come
dianzi detto - esclusivamente a seguito di una supina adesione alle argomentazioni svolte dalla Commissione di primo grado.
2.1.2.3. Gia` sotto tale profilo, dunque, l’impugnata sentenza si palesa affetta dal dedotto vizio motivazionale.
2.2. Ma non basta. In taluni passaggi dell’iter logico seguito
dal giudice di appello, la pronuncia in esame appare, altresı`, fondata su argomentazioni in palese contrasto logico
tra loro, sı` da evidenziare la sussistenza anche del denunciato vizio di contraddittorieta` della motivazione. Il vizio
in parola ricorre - per vero - ogni qual volta si sia in presenza di argomentazioni contrastanti e, quindi, tali da non
permettere di comprendere la ratio decidendi che sorregge
il decisum adottato (Cass. S.U. 25984/10).
2.2.1. Orbene nel caso di specie, la CTR, per un verso, aderisce risolutivamente al decisum dei primi giudici, definendo ‘‘analitico’’ l’esame dagli stessi compiuto del rapporto in
contestazione, poiche` idoneo ‘‘ad inquadrare in chiave definitiva e ripetitiva la fattispecie in esame sulla scorta dei
vari, enunciati criteri di giudizio applicati’’ (p. 4). Per altro
verso, pero`, nello stesso contesto, e addirittura nel medesimo periodo, il collegio giudicante definisce lo stesso accertamento del rapporto controverso come ‘‘svolto (...) sommariamente ed a campione’’.
2.2.2. Ebbene, non si vede come - senza incorrere in un palese ed insanabile contrasto logico - si possa considerare
l’accertamento di un rapporto controverso come ‘‘analitico’’ e ‘‘definitivo’’, e dunque attendibile, ed – al contempo
- come ‘‘sommario ed a campione’’, e percio` del tutto approssimativo e parziale.
2.2.3. Anche sotto tale il profilo, pertanto, la motivazione
dell’impugnata decisione appare meritevole di censura.
2.3. Il motivo in esame non puo`, pertanto, che essere accolto.
3. Con il secondo motivo di ricorso, la Asian Byte s.r.l. denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 111 Cost.,
comma 6, e art. 24 Cost., art. 132 c.p.c., D.Lgs. n. 546 del
1992, art. 36, comma 2, n. 4, in relazione all’art. 360
c.p.c., comma 1, n. 3.
3.1. La totale mancanza di un percorso motivazionale idoneo a rendere ostensive le ragioni su cui si fonda la decisione di appello, invero, e la scarsa intellegibilita` dello stesso
iter logico seguito dal giudice di seconde cure, comporta,
altresı`, - a parere della ricorrente - la sussistenza anche della violazione delle disposizioni succitate, ed - in primis dell’art. 111 Cost., comma 6, che impone l’obbligo della
motivazione per tutti i provvedimenti giurisdizionali.
3.2. Il motivo e` e` fondato.
3.2.1. Il difetto di motivazione su questioni di fatto rientra
- per vero - nella violazione di legge, che legittima la proposizione del ricorso per cassazione ex art. 111 Cost., comma
6, quando si traduca nella radicale carenza della motivazione, ovvero del suo estrinsecarsi in argomentazioni
non idonee a rivelare la ratio decidendi (motivazione apparente), o fra di loro logicamente inconciliabili, o comunque perplesse od obiettivamente incomprensibili, e sempre
che i relativi vizi emergano dal provvedimento stesso
(Cass. S.U. 5888/92; S.U. 319/99; Cass. 26426/08). Ne` puo`
sottacersi l’incidenza che siffatta carenza motivazionale
dispiega, altresı`, sulla concreta possibilita` di un pieno e
consapevole esercizio del diritto di difesa (art. 24 Cost.),
nei diversi gradi nei quali si articola il giudizio, essendo
di tutta evidenza che una motivazione poco chiara rende
ardua anche la possibilita` di proporre un gravame adeguato alla tutela dei diritti della parte rimasta soccombente.
3.2.1. Orbene, nel caso concreto, non puo` revocarsi in dubbio - a giudizio della Corte - che la totale carenza di un coerente ed autonomo iter motivazionale, che tenga conto,
nella decisione di rigetto del gravame, delle allegazioni difensive, degli elementi di prova e dei motivi di appello proposti dalla contribuente, e che si risolva unicamente in una
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GIURISPRUDENZA
acritica adesione al decisum dei giudici di prime cure, non
puo` che integrare una radicale carenza di motivazione,
censurabile anche sotto il profilo della violazione delle disposizioni normative succitate.
3.2.2. Senza dire che taluni passaggi dell’impugnata sentenza si risolvono in espressioni tautologiche, o in perifrasi
enfatiche, che producono l’effetto di rendere scarsamente
intellegibile il costrutto logico sul quale il giudicante ha inteso fondare la pronuncia emessa; come quando la CTR (a
p. 6) sembra voler considerare corretta la metodologia seguita dall’Ufficio, affidandosi, tuttavia, a ‘‘giri di parole’’
che non riescono a tradurre in termini chiari le ragioni
di tale convincimento.
3.3. Per le considerazioni suesposte, pertanto, anche il motivo
in esame deve essere accolto.
4. Con il terzo motivo di ricorso, la Asian Byte s.r.l. denuncia la violazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360
c.p.c., comma 1, n. 4.
4.1. Si duole, invero, la ricorrente del fatto che la CTR non
si sia pronunciata su tutte le ragioni fatte valere dalla contribuente, con l’atto di appello proposto nei confronti della
decisione di prime cure.
4.2. Il motivo e` infondato.
4.2.1. Osserva, invero, la Corte che il rapporto tra le istanze
delle parti e la pronuncia del giudice, agli effetti dell’art.
112 c.p.c., puo` dare luogo a due diversi tipi di vizi: se il giudice omette del tutto di pronunciarsi su una domanda od
un’eccezione, ricorrera` un vizio di nullita` della sentenza
per error in procedendo, censurabile in Cassazione ai sensi
dell’art. 360 c.p.c., n. 4, se, invece, il giudice si pronuncia
sulla domanda o sull’eccezione, ma senza prendere in esame una o piu` delle questioni giuridiche sottoposte al suo
esame nell’ambito di quella domanda o di quell’eccezione,
ricorrera` un vizio di motivazione, censurabile in Cassazio-
ne ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, (cfr. Cass. 15882/07;
7258/12, e molte altre).
4.2.2. Nel caso di specie, la sentenza di appello - come
dianzi detto - ha, in realta`, preso in esame i diversi motivi
di gravame proposti dalla societa` contribuente, ritenendoli
irrilevanti (‘‘poco importa a questo punto valutare se’’),
senza considerare le ragioni giuridiche sottoposte a sostegno di ciascuno di essi. La sentenza si palesa, pertanto, affetta dal dedotto vizio motivazionale, il cui accoglimento
esclude, sul piano logico e giuridico, la possibilita` di considerare la pronuncia affetta anche dal vizio di omessa
pronuncia.
4.3. Il motivo va, pertanto, disatteso.
5. L’accoglimento del primo e secondo motivo, comporta
la cassazione dell’impugnata sentenza - restandone, pertanto, assorbito il quarto motivo, con il quale e` stata censurata la compensazione delle spese di appello - con rinvio
ad altra sezione della CTR dell’Emilia Romagna, che procedera` a nuovo esame della controversia, alla luce dei principi di diritto suesposti, e motivando adeguatamente in ordine a tutti i motivi di appello proposti dalla Asian s.r.l. in
liquidazione.
6. Il giudice di rinvio provvedera`, altresı`, alla liquidazione
delle spese del giudizio di cassazione.
P.Q.M.
La Corte Suprema di Cassazione;
accoglie il primo e secondo motivo di ricorso, rigetta il terzo e dichiara assorbito il quarto; cassa l’impugnata sentenza in relazione ai motivi accolti, con rinvio ad altra sezione
della Commissione Tributaria Regionale dell’Emilia Romagna, che provvedera` alla liquidazione anche delle spese
del giudizio di cassazione.
Commento
La tematica della motivazione per relationem dei
provvedimenti giurisdizionali che definiscono il
processo suscita sempre un vivace dibattito. La Suprema Corte ha espresso la propria posizione in sede nomofilattica affermando che la ‘‘motivazione
di una sentenza puo` essere redatta per relationem
rispetto ad altra sentenza, purche´ la motivazione
stessa non si limiti alla mera indicazione della fonte di riferimento: occorre che vengano riprodotti i
contenuti mutuati, e che questi diventino oggetto
di autonoma valutazione critica nel contesto della
diversa (anche se connessa) causa sub iudice, in
maniera da consentire anche la verifica della compatibilita` logico-giuridica dell’innesto’’ (Cass., sent.
n. 14814 del 2008). I Giudici di legittimita`, in termini generali, riconoscono come legittima l’attivita`
di ius dicere ‘‘con adesione’’ tuttavia sottolineando
l’inammissibilita` di una semplice riproduzione
del precedente provvedimento. In ogni caso l’orga20/2014
no giudicante, pur intendendo fare proprio il contenuto di altro atto, deve manifestare un corretto
esercizio della funzione giurisdizionale in ossequio
all’obbligo di pronunciare compiutamente sulla
domanda (art. 112 c.p.c.).
Ne consegue che la discrezionalita` accordata al
giudice in ordine alla formazione del convincimento contempla altresı` la possibilita` di condividere le
valutazioni e gli elementi posti a base dall’altro giudice. Peraltro la motivazione deve consentire, particolarmente in sede di giudizio di legittimita`, di
verificare l’effettivita` dell’esercizio del potere magistratuale. In altri termini, non sono ammesse pronunce ‘‘apparenti’’ o ‘‘parziali’’. D’altra parte tale
principio e` coerente con la pacifica circostanza
giusta la quale la sentenza del giudice rappresenta
la lex specialis, la ‘‘norma del caso concreto’’ che si
sostituisce sia al provvedimento tributario (impositivo o della riscossione) quanto alla norma posi-
2013
GIURISPRUDENZA
tiva generale ed astratta. Pertanto ‘‘la mancata
esposizione dello svolgimento del processo e dei
fatti rilevanti della causa e l’estrema concisione
della motivazione in diritto determinano la nullita`
della sentenza, allorquando rendono impossibile
l’individuazione del thema decidendi e delle ragioni
che stanno a fondamento del dispositivo; e`, altresı`,
nulla la sentenza del gravame in cui il giudice, che
fa riferimento per relationem alla sentenza di primo grado, di cui condivide le conclusioni, non da`
conto di aver valutato criticamente sia il provvedimento censurato, sia le censure proposte’’ (Cass.,
sent. n. 3547 del 2002).
In questa ottica, secondo l’insegnamento della Suprema Corte, deve ‘‘essere cassata la sentenza
d’appello allorquando la laconicita` della motivazione adottata, formulata in termini di mera adesione, non consenta in alcun modo di ritenere che
alla affermazione di condivisione del giudizio di
primo grado il giudice di appello sia pervenuto attraverso l’esame e la valutazione di infondatezza
dei motivi di gravame’’ (Cass. n. 9537 del 2011,
n. 20441 del 2011, n. 2778 del 2013, n. 21556
del 2013, ord. n. 28113 del 2013).
Pierfranco Turis
Escluso l’obbligo di motivazione
del diniego di rimborso Iva
per mancanza dei presupposti
Imposta sul valore aggiunto (IVA) - Rimborso - Istanza - Provvedimento di diniego - Natura impositiva - Esclusione - Indicazione delle ragioni di fatto e di diritto - Irrilevanza
Non avendo natura impositiva, il provvedimento dell’Amministrazione finanziaria che nega il rimborso
dell’Iva in assenza del presupposto di cui all’art. 30, comma 3, lett. c), del D.P.R. n. 633/1972 non deve
indicare le ragioni di fatto e di diritto che hanno determinato la decisione dell’Amministrazione (n.d.r.).
(Oggetto della controversia: istanza di rimborso di credito Iva, anno 2000)
(CASSAZIONE, Sez. trib., Pres. Adamo, Est. Valitutti - Sent. n. 8998, del 21 gennaio 2014, dep. il 18
aprile 2014)
Ritenuto in fatto
1. In data 26.2.01, la societa` Immobiliare Renier s.r.l. proponeva istanza di rimborso, ai sensi del D.P.R. n. 633 del 1972,
art. 30, comma 3, lett. c), del credito IVA per l’anno 2000, relativo a spese per lavori su beni di terzi, che la contribuente
riteneva assimilabili alle spese per l’acquisto di beni ammortizzabili, ai sensi della disposizione succitata. Con provvedimento del 18.8.04, l’Amministrazione finanziaria - dopo che
il Concessionario della riscossione aveva gia` erogato la somma richiesta in conto fiscale, ai sensi del D.P.R. n. 633 del
1972, art. 38-bis - dichiarava non sussistenti i presupposti
per il diritto al rimborso, che - pertanto - denegava, pur
non contestando l’esistenza dell’eccedenza detraibile.
1.1. L’Ufficio notificava, quindi, alla predetta societa`, un
successivo atto di contestazione con il quale applicava le
sanzioni conseguenti al diniego del diritto al rimborso, ai
sensi del D.Lgs. n. 471 del 1997, art. 13.
2. Entrambi i provvedimenti venivano impugnato dalla
contribuente dinanzi alla CTP di Treviso, che accoglieva
il ricorso.
3. L’appello avverso detta sentenza, proposto dall’Agenzia
delle Entrate veniva, del pari, rigettato dalla CTR del Veneto, con sentenza n. 21/33/07, depositata il 28.9.07, con la
quale il giudice di seconde cure riteneva che il diniego di
rimborso, in quanto privo di adeguata motivazione, fosse
da reputarsi illegittimo, con conseguente nullita` anche
del successivo atto di contestazione.
4. Per la cassazione della sentenza n. 21/33/07 ha, pertanto,
proposto ricorso l’Agenzia delle Entrate affidato a due motivi. La contribuente non ha svolto attivita` difensiva.
Considerato in diritto
1. Con i due motivi di ricorso - che, per la loro palese connessione, vanno esaminati congiuntamente - l’Agenzia delle Entrate denuncia la violazione e falsa applicazione della
L. n. 212 del 2000, art. 7, art. 2697 c.c., e D.P.R. n. 633 del
1972, art. 38 bis, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, nonche´
l’insufficiente motivazione su un punto decisivo della controversia, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5.
1.1. Avrebbe, invero, errato la CTR - a parere della ricor-
20/2014
2014
GIURISPRUDENZA
rente - nel ritenere carente di motivazione, e percio` illegittimo, il provvedimento di diniego di rimborso, atto prodromico al successivo provvedimento di contestazione delle
sanzioni, nonche´ gravata l’Amministrazione finanziaria
dell’onere di provare i fatti da cui risulta la pretesa di
non effettuare il rimborso richiesto.
Per contro, ad avviso dell’Agenzia delle Entrate, l’obbligo di
motivazione previsto per gli atti dell’Amministrazione finanziaria dalla L. n. 212 del 2000, art. 7, comma 1, sussisterebbe
per quei soli provvedimenti con i quali l’Amministrazione
medesima eserciti una pretesa impositiva, e non anche per
gli atti con i quali l’Ufficio disconosca un diritto al rimborso
prospettato dal contribuente. In tale ultimo caso, infatti, ad
avviso della ricorrente, il provvedimento negativo non potrebbe essere annullato per vizi di forma, dal momento
che il giudizio che consegue alla sua impugnativa avrebbe
sempre e solo ad oggetto, non gia` l’atto, bensı` il rapporto,
ovverosia l’esistenza o meno, del diritto al rimborso.
1.2. La CTR, inoltre, secondo l’Agenzia delle Entrate, non
avrebbe in alcun modo esposto - di qui la censura di insufficiente motivazione - le ragioni per le quali non abbia ritenuto sufficiente, nella specie, la motivazione del diniego
di rimborso, effettuata dall’Ufficio mediante l’indicazione
della carenza dei presupposti di legge per l’operativita` del
diritto al rimborso azionato dalla contribuente.
2. Le censure sono fondate.
2.1. Va - per vero - osservato al riguardo che, in via generale, la L. n. 212 del 2000, art. 7, che - non a caso richiama il
disposto dell’art. 241/90 sulla motivazione dei provvedimenti amministrativi, costituenti, in quanto tali, esercizio
di una potesta` - sancisce l’obbligo di motivazione per tutti
gli atti dell’Amministrazione finanziaria costituenti esercizio della potesta` impositiva. E siffatto obbligo viene ribadito in sede di disciplina delle singole imposte, in relazione
alle quali l’insussistenza di una motivazione, che evidenzi
le ragioni della pretesa avanzata dall’Amministrazione finanziaria nei confronti del contribuente, viene sanzionata
dal legislatore con la nullita` dell’atto (cfr. D.P.R. n. 600 del
1973, art. 42, e D.P.R. n. 633 del 1972, art. 56, rispettivamente in materia di imposte dirette e di IVA).
2.2. In tali provvedimenti, costituenti esplicazione del potere
impositivo, l’indicazione delle ragioni di fatto e di diritto,
con la quale si attua l’obbligo di motivazione, risponde, in
verita`, ad una duplice finalita`. La prima - ancorata al principio di legalita` dell’azione amministrativa autoritativa,
espresso dall’art. 97 Cost. - e´ quella di assicurare il rispetto
delle regole sulla formazione del convincimento dell’Ufficio,
in relazione all’acquisizione e alla valutazione degli elementi
che giustifichino l’emissione dell’atto impositivo. La seconda - che risponde alle esigenze piu` specificamente garantistiche a favore del contribuente, desumibili dal combinato
disposto degli artt. 3, 23 e 53 Cost. - e` incentrata sulla possibilita` per il contribuente di valutare la fondatezza delle ragioni dell’Amministrazione e, quindi, di sindacarne la legittimita` attraverso una motivata impugnazione dell’atto.
2.3. La pregnanza dell’obbligo di motivazione, in relazione
agli atti impositivi, si giustifica, peraltro, - com’e` del tutto
evidente - con la natura di atti di esercizio di una pretesa
autoritativa dell’Amministrazione finanziaria, che li contraddistingue.
Ne deriva un duplice corollario. Il primo, e` che l’obbligo di
indicare rigorosamente nell’atto, a pena di nullita`, i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che hanno determinato
20/2014
la decisione dell’Ufficio, esclude che si possa differire ad una
fase successiva l’esplicitazione delle ragioni della pretesa tributaria (Cass. 14027/12). Il secondo, e` che incombe sull’Amministrazione finanziaria - come questa Corte ha piu` volte
affermato (cfr. ex plurimis, Cass. 14027/12; 8136/12; 2908/
13) - l’onere di provare in giudizio la fondatezza della pretesa tributaria azionata; per il che, se l’Ufficio non adempie tale onere probatorio, l’accertamento, seppure motivato nell’ambito del procedimento amministrativo, sara` considerato
infondato nella sede processuale.
2.4. Il problema dell’obbligo di motivazione si pone, per
converso, in maniera del tutto diversa per quanto concerne
l’esercizio, da parte del contribuente, del diritto alla restituzione dell’importo relativo ad un’imposta che assume indebitamente versata. Il rimborso di imposta da, invero,
origine ad un rapporto giuridico nel quale - con una netta
inversione dei ruoli rispetto allo schema para-digmatico
del rapporto tributario - e` il contribuente a rivestire il ruolo attivo, assumendo nei confronti dell’Erario la posizione
di creditore di una determinata somma di denaro, per il
fatto di avergliela in precedenza versata.
Nelle ipotesi in cui - come nel caso concreto - detto credito
nasca per effetto di un pagamento non dovuto, dunque, il divieto di arricchirsi indebitamente in danno di altri - costituente un principio generale dell’ordinamento, compreso il
diritto tributario, e pure a prescindere dall’esistenza in esso
di una norma specifica come quella dell’art. 2033 c.c. - comporta, infatti, un obbligo di restituzione a carico dell’Ufficio.
Quest’ultimo viene, di conseguenza a rivestire nel rapporto al contrario di quanto accade in quello impositivo, o in sede
di riscossione, o nel rapporto sanzionatorio - il ruolo passivo
che pertiene al debitore nel rapporto giuridico ordinario.
2.5. Se ne deve necessariamente inferire che, al pari del c.d.
silenzio rifiuto, il provvedimento espresso reiettivo dell’istanza di rimborso del contribuente - non a caso accomunato al primo in sede di disciplina degli atti impugnabili in giudizio (D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 19, comma, lett. g) - non
puo` in alcun modo rivestire la valenza, sia sul piano formale
che su quello sostanziale, di un provvedimento impositivo.
E cio` non puo` non avere rilevanti ricadute anche sul tema
- in discussione in questa sede - dell’obbligo di motivazione
del provvedimento di diniego di restituzione dell’imposta,
che il contribuente assuma indebitamente versata.
2.6. Solo nei provvedimenti costituenti esercizio della potesta` impositiva (o di quella di riscossione o sanzionatoria),
invero, la motivazione dell’atto - come previsto da espresse
disposizioni di legge (L. n. 212 del 2000, art. 7, D.P.R. n.
600 del 1973, art. 42, D.P.R. n. 633 del 1972, art. 56) - non
puo` che essere esaustiva, essendo l’Amministrazione, parte
attiva del rapporto in qualita` di creditore, tenuta ad esplicitare le ragioni in fatto ed in diritto della pretesa azionata,
anche in vista di una possibile impugnativa giurisdizionale
dell’atto da parte del contribuente. E difatti - come dianzi
detto - anche in sede giurisdizionale l’Ufficio assume il ruolo
di attore in senso formale e sostanziale, ed e` tenuto ad
adempiere il relativo onere probatorio.
2.7. Per converso, nel rapporto - a ruoli invertiti - che si instaura tra Amministrazione e contribuente per effetto della
domanda di rimborso da questi proposta, alla motivazione
del provvedimento di rigetto non puo` attribuirsi siffatto
carattere di esaustivita`, giacche` in tale rapporto l’Ufficio
assume il ruolo passivo di colui che ‘‘resiste’’ alla pretesa
creditoria del contribuente, e non e` - pertanto - gravato
2015
GIURISPRUDENZA
dall’onere di motivare compiutamente le proprie ragioni.
Per il che, e` evidente che in siffatta ipotesi deve ritenersi
sufficiente ed adeguata una motivazione del diniego di
rimborso che delinei gli aspetti essenziali delle ragioni
del provvedimento, anche limitandosi ad affermare l’insussistenza dei presupposti di legge per operare il rimborso richiesto (cfr., in termini, Cass. 10797/10).
2.8. Questa Corte ha, di conseguenza, piu` volte avuto modo di precisare, al riguardo, che ove nella controversia instaurata dal contribuente si discuta del rigetto di un’istanza di rimborso di un tributo, l’Amministrazione finanziaria
ben puo` prospettare argomentazioni giuridiche ulteriori
rispetto a quelle che hanno formato la motivazione di rigetto della istanza in sede amministrativa. La posizione
dell’Ufficio, che si difende rispetto all’impugnazione del rigetto di una istanza di rimborso, e` - difatti - diversa rispetto a quella dell’Ufficio che abbia esplicitato una pretesa
impugnata dal contribuente, come un avviso di accertamento o di liquidazione o il provvedimento d’irrogazione
di una sanzione, nel quale ultimo caso l’oggetto del contendere e` delimitato in via assoluta dall’atto impugnato. Nel
caso dell’istanza di rimborso reietta, invece, e` il contribuente ad essere attore sostanziale nel giudizio di rimborso e, pertanto, l’Amministrazione ha la facolta` di controdeduzione in giudizio, di cui al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 23,
purche` nell’ambito oggettivo della controversia (cfr. Cass.
13056/04; 225677/04; 10797/10; 29613/11).
E tale onere probatorio incombente sul contribuente non
puo` - di certo - essere adempiuto, come e` accaduto nel caso
concreto, con la mera esposizione della propria pretesa restitutoria nella dichiarazione presentata in relazione alle
imposte dirette o all’IVA, giacche` il credito fiscale non nasce da questa, bensı` dal meccanismo fisiologico di applicazione del tributo previsto dalla legge (Cass. 18427/12).
2.9. Orbene, con specifico riferimento al caso - ricorrente
nella specie - della richiesta di rimborso proposta dal contribuente, ai sensi del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 30, questa
Corte ha gia` avuto modo di affermare che il provvedimento con cui l’amministrazione finanziaria neghi il diritto del
contribuente al rimborso dell’eccedenza detraibile, regolato dalla disposizione suindicata, per insussistenza dei fatti
costitutivi del diritto indicati nella norma stessa, senza
contestare l’esistenza di un’eccedenza d’imposta dovuta,
non ha, neppure sostanzialmente, natura di avviso di accertamento, che presuppone necessariamente una pretesa
tributaria nuova dell’Ufficio (Cass. 194/04). Ne consegue
che l’atto non deve avere una motivazione simile a quella
prevista, dalle specifiche disposizioni di legge suesposte,
per gli atti costituenti esercizio della potesta` impositiva.
2.10. Nel caso di specie, il diniego - trascritto nel ricorso dall’Agenzia delle Entrate - reca la seguente dicitura: ‘‘dall’esame della dichiarazione non risulta la sussistenza del presupposto indicato per la facolta` di richiedere il rimborso cosı`
come stabilito dal D.P.R. 633, art. 30, commi 2 e 3’’. Per
cui l’indicazione espressa nell’atto della carenza dei presupposti di legge per l’esercizio del diritto di rimborso, senza
che, peraltro, sia stata contestata l’esistenza dell’eccedenza
detraibile, per le ragioni in precedenza svolte vale, senz’altro, ad escludere, al contrario di quanto - peraltro immotivatamente - opinato dal giudice di seconde cure, la nullita` dell’atto in parola, e - di conseguenza - la nullita` del successivo
ed accessorio atto di contestazione delle sanzioni.
3. Per tali motivi, pertanto, le censure in esame devono essere accolte.
4. L’accoglimento del ricorso comporta la cassazione della
sentenza impugnata. Non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto la Corte, nell’esercizio del potere di decisione nel merito di cui all’art. 384 c.p.c., comma 2, rigetta
il ricorso introduttivo della societa` contribuente.
5. Le spese del presente grado del giudizio vanno poste a
carico dell’intimata soccombente, nella misura di cui in dispositivo. Concorrono giusti motivi per dichiarare interamente compensate fra le parti le spese dei gradi di merito.
P.Q.M.
La Corte Suprema di Cassazione;
accoglie il ricorso; cassa l’impugnata sentenza e, decidendo nel merito, rigetta il ricorso introduttivo della contribuente; condanna l’intimata al rimborso delle spese del
presente giudizio, che liquida in Euro 5.000,00, oltre alle
spese prenotate a debito; dichiara compensate tra le parti
le spese dei giudizi di merito.
Commento
La pronuncia in commento mette in luce il diverso
contenuto del provvedimento con il quale l’Agenzia delle Entrate nega il diritto di rimborso dell’Iva
chiesto dal soggetto passivo, a seconda che il diniego sia dovuto all’insussistenza del presupposto del
rimborso o all’esistenza stessa dell’eccedenza detraibile risultante dalla dichiarazione annuale.
Solo in quest’ultima ipotesi il provvedimento dell’Amministrazione finanziaria, costituendo esercizio della potesta` impositiva, deve - a pena di nullita`
- indicare le ragioni di fatto e di diritto che hanno
determinato la decisione dell’Amministrazione.
Tale principio, sancito dall’art. 7, comma 1, della
L. n. 212/2000 (Statuto del contribuente), e` confermato - sempre sul piano normativo - dall’art. 42 del
D.P.R. n. 600/1973 e dall’art. 56 del D.P.R. n. 633/
1972, ai fini dell’accertamento, rispettivamente,
in materia di imposte sui redditi e di Iva.
Nel caso di specie, il provvedimento di diniego si
limita ad indicare che ‘‘dall’esame della dichiarazione non risulta la sussistenza del presupposto indicato per la facolta` di richiedere il rimborso cosı`
come stabilito dal 2º e 3º comma dell’art. 30 del
D.P.R. n. 633/1972’’. Con la conseguenza, secondo
la Suprema Corte, che ‘‘l’indicazione espressa nell’atto della carenza dei presupposti di legge per l’e20/2014
2016
GIURISPRUDENZA
sercizio del diritto di rimborso, senza che, peraltro,
sia stata contestata l’esistenza dell’eccedenza detraibile, per le ragioni in precedenza svolte vale,
senz’altro, ad escludere, al contrario di quanto - peraltro immotivatamente - operato dal giudice di seconde cure, la nullita` dell’atto in parola, e - di conseguenza - la nullita` del successivo ed accessorio
atto di contestazione delle sanzioni’’.
Si tratta di una conclusione allineata alle precedenti pronunce dei giudici di legittimita` (cfr. per
tutte, Cass., 10 gennaio 2004, n. 194, secondo la
quale ‘‘(l)a contestazione circa la sussistenza dei
fatti costitutivi del diritto al rimborso indicati dalla norma - quante volte non investa l’esistenza
stessa di una eccedenza di imposta in favore del
contribuente ma sia limitata, come nel caso, all’esistenza degli altri fatti costitutivi - non influisce
assolutamente sull’entita` dell’imposta dovuta
(che resta, quindi, fuori dalla discussione nella
sua determinazione quantitativa) e, pertanto,
non attiene assolutamente a profili accertativi
dell’imposta stessa (che rimangono immutati e
non discussi tra le parti) per cui la contestazione
in parola non puo` ritenersi soggetta al termine decandenziale previsto dalla legge per tutt’altra fattispecie ma deve ritenersi sempre opponibile al
contribuente finche` questi abbia il diritto di ottenere il rimborso delle eccedenze’’).
Nella fattispecie in esame, il rimborso e` stato negato dal momento che l’art. 30, comma 3, lett. c), del
D.P.R. n. 633/1972, nel fare riferimento ‘‘all’imposta relativa all’acquisto o all’importazione di beni
ammortizzabili’’, non contempla anche l’eccedenza
detraibile relativa alle spese per lavori su beni di
terzi, che il soggetto passivo ha ritenuto assimilabili alle spese per l’acquisto di beni ammortizzabili.
Sul punto, puo` richiamarsi la risoluzione dell’Agenzia delle Entrate 27 dicembre 2005, n. 179/E,
secondo la quale le spese di miglioramento, trasformazione ed ampliamento di beni di terzi, concessi in uso o in comodato, ove si estrinsechino in
opere non suscettibili di autonoma utilizzabilita`,
non possono essere iscritte tra le immobilizzazioni materiali; trattandosi, infatti, di opere inseparabili dal bene cui accedono, le stesse non sono
di proprieta` del soggetto che le ha realizzate,
per cui non possono essere iscritte in bilancio come beni ammortizzabili e non danno conseguentemente diritto al rimborso della relativa Iva.
Diversamente, ai fini della detrazione, la citata risoluzione ha correttamente precisato che occorre
prescindere dalla natura ammortizzabile del bene
in capo al soggetto che ha sostenuto le spese. In
linea, infatti, con l’art. 168, par. 1, lett. a), della Direttiva n. 2006/112/CE, cio` che conta, per il recupero in detrazione dell’imposta, e` la destinazione
prospettica del bene, ossia - secondo l’Agenzia - la
circostanza che ‘‘l’imposta e` afferente a beni destinati ad essere utilizzati per operazioni - rientranti
nell’oggetto dell’attivita` propria dell’impresa - che
conferiscono il diritto alla detrazione’’.
Marco Peirolo
Il contribuente puo` fare valere
il giudicato favorevole al coobbligato
Processo tributario - Efficacia del giudicato esterno - Giudicato favorevole al contribuente relativo ad altro soggetto coobbligato d’imposta - Efficacia - Ammissibilita`
In tema di solidarieta` tributaria, la facolta` per il coobbligato d’imposta di avvalersi del giudicato favorevole
emesso in un giudizio promosso da un altro coobbligato, secondo la regola generale stabilita dall’art. 1306
c.c., opera, come riflesso dell’unicita` dell’accertamento e della citata estensibilita` del giudicato, sempre che
non si sia gia` formato un giudicato contrario sul medesimo punto. Pertanto, il coobbligato non puo` invocare a proprio vantaggio la diversa successiva pronuncia emessa nei riguardi di altro debitore in solido, nel
caso in cui egli non sia rimasto inerte, ma abbia a propria volta promosso un giudizio gia` conclusosi (in
modo a lui sfavorevole) con una decisione avente autonoma efficacia nei suoi confronti (n.d.r.).
(Oggetto della controversia: avviso di liquidazione Invim)
(CASSAZIONE, Sez. trib., Pres. Di Blasi, Est. Bruschetta - Sent. n. 9156, del 18 marzo 2014, dep. il 23
aprile 2014)
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2017
GIURISPRUDENZA
Fatto
Con l’impugnata sentenza n. 10/02/09, depositata il 20 gennaio 2009, la Commissione Tributaria Regionale del Lazio,
rigettato l’appello dell’Ufficio, confermava la decisione n.
405/56/06 della Commissione Tributaria Provinciale di Roma che aveva accolto il ricorso del contribuente D. avverso
l’avviso di liquidazione n. ... col quale era richiesto il pagamento della maggior INVIM e che era stato emesso a seguito di una precedente sentenza in giudicato che aveva dichiarato inammissibile il ricorso del medesimo contribuente avverso il prodromico avviso di rettifica del valore
di un complesso immobiliare oggetto di vendita.
Nel confermare la prima decisione la CTR giudicava che ai
sensi dell’art. 1306, comma 2, c.c. il contribuente potesse
avvalersi del giudicato favorevole nelle more intervenuto
nei confronti del compratore circa la rettifica del valore
del complesso immobiliare, perche` ‘‘sotto la spinta dei
principi di uguaglianza e di capacita` contributiva, la giurisprudenza tenta di unificare la tassazione; di guisa che
soggetti coinvolti in una vicenda sostanzialmente unitaria
abbiano il medesimo trattamento e una fattispecie unitaria
subisca un unico trattamento impositivo’’.
Contro la sentenza della CTR, l’Agenzia delle Entrate proponeva ricorso per cassazione affidato a unico motivo.
Il contribuente non si costituiva.
Diritto
l. L’Agenzia delle Entrate censurava la sentenza ai sensi
dell’art. 360, comma l, n. 3, c.p.c. denunciando, in rubrica,
‘‘Violazione e falsa applicazione dell’art. 1306 c.c. nonche`
dell’art. 2909 c.c.’’; e, in particolare, deducendo nella concreta fattispecie l’inapplicabilita` dell’istituto dell’estensione del giudicato piu` favorevole, che nelle more si era formato nei confronti di altro debitore solidale, essendo quest’ultimo in contrasto col giudicato sfavorevole ai contribuenti formatosi sull’atto prodromico. Il quesito era: ‘‘se,
nel caso in cui il ricorso avverso l’avviso di accertamento
di maggior valore di un immobile compravenduto, proposto da uno degli alienanti condebitori solidali ai fini dell’INVIM, sia stato definito con sentenza d’inammissibilita`
passata in giudicato, sia possibile per lo stesso contribuente opporsi al conseguente ‘‘avviso di liquidazione dell’INVIM’’ invocando ex art. 1306 c.c. il giudicato contrario all’Amministrazione successivamente formatosi nei con-
fronti degli altri alienanti, condebitori solidali, in esito a
separato ricorso dai medesimi proposto avverso l’avviso
di ‘‘accertamento di maggior valore’’, e se violi il citato
art. 1306 c.c. dandone falsa applicazione la sentenza della
CTR che nella delineata situazione ritenga utilmente invocabile dal contribuente il giudicato indiretto successivamente formatosi nei confronti del contribuente in questione, mentre la norma anzidetta, rettamente intesa, va ritenuta applicabile soltanto nei confronti del coobbligato
che, in relazione alla pretesa impositiva, non abbia direttamente attivato un giudizio precedentemente conclusosi
con giudicato a lui sfavorevole’’.
Il motivo e` fondato alla luce della consolidata giurisprudenza di questa Corte, per cui ‘‘In tema di solidarieta` tributaria, la facolta` per il coobbligato d’imposta di avvalersi del
giudicato favorevole emesso in un giudizio promosso da
un altro coobbligato, secondo la regola generale stabilita
dall’art. 1306 c.c., opera, come riflesso dell’unicita` dell’accertamento e della citata estensibilita` del giudicato, sempre che non si sia gia` formato un giudicato contrario sul
medesimo punto. Pertanto, il coobbligato non puo` invocare a proprio vantaggio la diversa successiva pronuncia
emessa nei riguardi di altro debitore in solido, nel caso
in cui egli non sia rimasto inerte, ma abbia a propria volta
promosso un giudizio gia` conclusosi (in modo a lui sfavorevole) con una decisione avente autonoma efficacia nei
suoi confronti (Cass. sez. trib. n. 14814 del 2011; Cass.
sez. trib. n. 28881 del 2008).
2. Non essendo necessario accertare ulteriori fatti, ai sensi
dell’art. 384, comma 2, c.p.c. questa Corte deve decidere il
merito della controversia col rigetto del ricorso del contribuente.
3. Sussistono giuste ragioni per compensare le spese dei
gradi di merito; le spese del presente seguono invece la
soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa l’impugnata sentenza e,
decidendo nel merito, respinge il ricorso del contribuente
avverso l’avviso di liquidazione n. ...; compensa le spese
del merito; condanna il contribuente a rimborsare le spese
del presente, che si liquidano in E 1.500,00 a titolo di compenso, oltre a spese prenotate a debito.
Commento
La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 9156
del 23 aprile 2014, e` tornata a focalizzare la propria attenzione sulla rilevantissima tematica dell’efficacia del giudicato favorevole al coobbligato,
giungendo ad ammetterne, tendenzialmente, l’estensione al contribuente che intenda avvalersene.
L’art. 2909 c.c. dispone che la sentenza passata in
giudicato, ovvero quella che non e` piu` soggetta ai
mezzi di impugnazione (cfr., sul piano generale
ricostruttivo, il concetto di cosa giudicata formale
di cui all’art. 324 c.p.c., da intendersi richiamato,
in sede processuale tributaria, dall’art. 49 del
D.Lgs. n. 546/1992 e da leggere unitamente all’art.
50 del medesimo decreto) ‘‘fa stato a ogni effetto
tra le parti, i loro eredi e aventi causa’’. Tale enunciazione fissa il concetto di cosa giudicata in senso sostanziale, sebbene con particolare riguardo
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2018
GIURISPRUDENZA
ai limiti soggettivi, non ravvisandosi, invece, validi spunti per i limiti oggettivi e cronologici, sicuramente da considerare intorno alla pronuncia
giudiziaria definitiva.
Pur nella possibilita` di sviluppare, in chiave ampliativa, varie argomentazioni circostanziali intorno a quanto espresso nella disposizione civilistica (in ordine alla quale si ipotizza l’assenza
di tassativita`), appare chiaro come il coinvolgimento processuale diretto segni sicuramente il
confine entro cui fare operare le conseguenze
del dictum. Sennonche`, al di la` delle ricostruzioni interpretative da condurre sulla norma richiamata, e` indubbio come i limiti soggettivi della
res iudicata (e, in specie, la riconduzione alle
parti in lite) vadano valutati, in ottica derogatoria, alla luce della possibilita` di rendere ammissibile l’estensione della decisione definitiva nei
confronti di contribuenti pur formalmente
estranei alla lite.
Centrale, sotto questo profilo, appare l’art. 1306
c.c., il cui accostamento all’ambito fiscale appare
ormai avallato tanto dalla giurisprudenza, quanto
dalla dottrina. La disposizione da ultimo richiamata, da correlare all’art. 1292 c.c. delineante la
nozione di solidarieta` attiva e passiva, permette
di cogliere, dal primo comma contenente un principio generale strettamente riferibile al menzionato art. 2909 c.c., come la sentenza pronunciata
tra il creditore (nella specie, l’Amministrazione finanziaria) e uno dei debitori in solido non abbia
effetto contro gli ulteriori debitori (legati dal vincolo di solidarieta` nei confronti del Fisco); tuttavia - si legge nel secondo comma dello stesso
art. 1306 c.c. – ‘‘gli altri debitori possono opporla
al creditore, salvo che sia fondata sopra ragioni
personali al condebitore’’. Per l’anzidetto, nel caso
di solidarieta` passiva (riconducibile, come detto,
all’art. 1292 c.c.), il coobbligato non subisce gli effetti negativi della pronuncia resa nella lite tra
l’ente impositore e un altro contribuente laddove,
ove sussista una sentenza a questi favorevole, potrebbe avvalersi di detta decisione, ancorche` non
abbia partecipato alla causa cui il provvedimento
giudiziale di epilogo si riferisce.
L’opponibilita` prevista ex lege non e` incondizio-
nata. Infatti, onde potersi concretizzare quella
che e` definita come efficacia di giudicato esterno
o ‘‘giudicato riflesso’’ (denominazione in uso
presso la Corte di Cassazione), si richiedono determinati presupposti opportunamente sottolineati, nel tempo, dal Collegio di nomofilachia.
Sebbene di tale pre-condizione nulla si legge
chiaramente nell’art. 1306 c.c., e` pacifico come
la sentenza debba essere definitiva 1. Occorre,
inoltre, che il contribuente solidale che intenderebbe avvalersi della decisione favorevole non
sia stato destinatario di una sentenza diretta 2.
Pertanto, il coobbligato non puo` invocare a proprio vantaggio la pronuncia riguardante altro debitore in solido, allorquando il primo abbia, separatamente, agito direttamente in giudizio e abbia conseguentemente visto una sentenza sfavorevole - cioe` contraria - avente autonoma efficacia nei suoi confronti. Peraltro, come osservato
recentemente dalla Cassazione 3, rientrano nell’alveo delle decisioni non favorevoli - preclusive
della facolta` di opporre la sentenza concernente
l’altro obbligato - anche quelle recanti una quantificazione dei tributi piu` gravosa. Giova evidenziare, poi, che anche una pronuncia avente contenuto meramente rituale sembra possa impedire di invocare il giudicato riflesso 4 mentre alquanto controverso e` se l’avvenuto pagamento
del debito erariale possa ostacolare il beneficio
dell’estensione della sentenza, stante il riconoscimento della natura di rinuncia ad avvalersi
di esso 5.
La sentenza, resa da ultimo dalla Corte di Cassazione, risalta nettamente nel suo ruolo di ulteriore conferma di un indirizzo che gli stessi giudici
definiscono frutto di ‘‘consolidata giurisprudenza’’, peraltro solo sommariamente citata nel testo.
Certo, qualche perplessita` puo` sempre essere
mossa, nella ordinaria dinamica delle tesi contrapposte, ma, al momento, non sembra prospettabile un revirement del massimo grado di vaglio.
Pur se non oggetto di argomentazione, vale ricordare che, a supporto dalla linea della prevalenza,
al sussistere di specifiche condizioni, dell’art.
1306, comma 2, c.c., giova sicuramente l’idea di
una unificazione della imposizione, tale da rende-
1
Cfr., tra le altre, Cass. n. 9577 del 2013, n. 8816 del 2012, n.
14814 del 2011 e n. 18493 del 2010.
4
Cfr. Cass. n. 18025 del 2004, n. 12401 del 2003 e n. 13997 del
2002.
2
Cfr., ex multis, Cass. n. 22953 del 2013, n. 9577 del 2013, n.
14814 del 2011, n. 8169 del 2011, n. 28881 del 2008, n. 1589
del 2006, n. 20065 del 2005, n. 3306 del 2003, n. 2536 del
2003, n. 13997 del 2002.
5
In tal senso, cfr. Cass. n. 15826 del 2006, n. 19850 del 2005,
n. 16332 del 2005 e n. 6332 del 2005; contra, Id. n. 4855 del
2001.
3
Cfr. Cass. n. 22953 del 2013.
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2019
GIURISPRUDENZA
re uniformi le posizioni dei codebitori, sotto la
spinta dei principi di uguaglianza e di capacita`
contributiva, riconducibili alla Costituzione (art.
3 e art. 53), affinche` soggetti coinvolti in una vi-
cenda sostanzialmente unitaria abbiano il medesimo trattamento fiscale.
Camillo Beccalli
Esenzione Iva per le cessioni
di terreni pertinenti a fabbricati
gia` venduti in regime di esenzione
Imposta sul valore aggiunto (IVA) - Operazioni esenti - Cessione di fabbricato in regime di esenzione - Successiva cessione del terreno sottostante - Esenzione - Ammissibilita`
Ai fini Iva, tra fabbricato e terreno di pertinenza, opera un principio di indissociabilita`, per cui non sono
soggetti a Iva i terreni gia` edificati, ove ceduti successivamente al fabbricato soprastante, fatturato in esenzione da imposta (n.d.r.).
(Oggetto della controversia: avvisi di accertamento Iva, anni 2006 e 2007)
(COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE di Firenze, Sez. XXX, Pres. Franco, Est. Di Rollo - Sent.
n. 422, del 19 settembre 2013, dep. il 24 febbraio 2014)
Fatto
Con atto di appello depositato in data 27 maggio 2011 l’Agenzia delle Entrate di Lucca impugnava la sentenza n. 97/
02/10 con la quale la CTP di Lucca aveva accolto i ricorsi
proposti dalla s.r.l. Viareggio Patrimonio avverso gli avvisi
di accertamento n. ... per l’anno 2006, con cui viene recuperata l’IVA per euro ... oltre interessi e sanzioni, e n. ... per
l’anno 2007 con cui viene accertata l’IVA per euro ... oltre
interessi e sanzioni; avvisi entrambi notificati in data 21
dicembre 2009.
Gli avvisi traevano origine da atti di vendita concernenti la
proprieta` di terreni su cui insistono fabbricati di proprieta`
privata, ad uso abitazione, posti lungo la passeggiata a mare di Viareggio.
Il Comune di Viareggio, avendo stabilito ‘‘di mettere in
vendita i terreni del Demanio comunale della Passeggiata
sopra i quali insistono, tra l’altro, le molte abitazioni di
proprieta` di cittadini’’, con delibera n. 40 del 28 giugno
2006, aveva conferito alla Viareggio Patrimonio s.r.l. - societa` in house del Comune - alcuni beni immobili con l’autorizzazione a stipulare gli atti di vendita dei beni. Sui relativi contratti era stata applicata l’imposta di registro proporzionale.
A seguito di verifica fiscale a carico della societa`, la Guardia di Finanza aveva contestato sia il valore di vendita dichiarato che l’applicazione dell’imposta di registro invece
dell’IVA. L’Agenzia delle Entrate faceva propria solo la
contestazione relativa all’IVA e invitava la parte all’adesione; si instaurava dunque il contraddittorio, alla cui conclusione negativa faceva seguito l’emissione degli avvisi di ac-
certamento tempestivamente impugnati dalla societa` contribuente.
A motivo di entrambi i gravami la parte eccepiva pregiudizialmente violazione e falsa applicazione dell’art. 12, comma 5, della L. n. 312/2000 con riferimento agli artt. 39,
comma 1, del D.P.R. n. 600/1973, 25, comma 1, del
D.Lgs. n. 446/1997 e D.P.R. n. 633/1972; illegittimita` della
pretesa imponibilita` ai fini IVA delle cessioni effettuate;
supremazia della norma comunitaria rispetto alla disposizione nazionale. In via graduata eccepiva l’illegittimita` della pretesa per insussistenza del requisito della tassazione.
Quanto alle sanzioni, ne chiedeva l’annullamento a motivo
della illegittimita` della pretesa impositiva dell’ufficio.
L’Agenzia, costituitasi nel giudizio, chiedeva il rigetto dei
ricorsi proposti ribadendo la circostanza che i terreni ceduti dalla Viareggio Patrimonio sono da qualificare come
edificabili, per cui la loro cessione e` soggetta ad IVA e
non rientra tra le operazioni esenti sia sulla base della normativa nazionale che di quella comunitaria. La CTP di
Lucca, previa riunione dei due procedimenti pendenti,
con la sentenza n. 97/02/10 accoglieva i ricorsi compensando le spese. Riteneva il giudice, sulla base della normativa
in materia, pienamente legittima l’esenzione da IVA della
cessione di un terreno gia` edificato al proprietario dell’abitazione soprastante.
Avverso la sentenza l’Agenzia delle Entrate ha proposto il
presente appello con cui contesta la decisione, ritenendola
fondata su una errata valutazione del presupposto di fatto
e conseguente violazione e falsa applicazione dell’art. 10
del D.P.R. n. 633/1972.
Sostiene l’ufficio, dopo aver ampiamente esaminato le va-
20/2014
2020
GIURISPRUDENZA
rie deliberazioni del Comune di Viareggio e tutta l’attivita`
connessa alla questione della vendita dei terreni oggetto
del contenzioso che, dai risultati emersi, ‘‘oggetto delle vicende successorie e possessorie e` stato soltanto il fabbricato insistente sull’area’’; l’area, invece, e` sempre risultata di
proprieta` del Comune di Viareggio. Avendo il Comune deciso di vendere i terreni di proprieta` comunale, rendendoli
alienabili, ha ceduto ai proprietari delle abitazioni l’area
sulla quale si trovano ‘‘dissociando’’ in pratica la cessione
dell’area da quella del fabbricato sopra insistente. In sostanza, sostiene l’ufficio, oggetto della cessione e` soltanto
il terreno sottostante l’abitazione, laddove il fabbricato e`
stato autonomo oggetto di contratto di vendita, successione, donazione. Contesta dunque la sentenza per non aver il
giudice preso in considerazione la cessione dissociata di
suolo e fabbricato, ritenendo fattispecie diverse ‘‘terreno
edificabile e terreno edificato’’.
In conclusione, ritiene l’ufficio che le porzioni di terreno di
proprieta` della Viareggio Patrimonio s.r.l. insistono su
un’area edificata e dunque, contrariamente a quanto stabilito dalla CTP, il terreno oggetto della vendita deve essere
considerato come area fabbricabile, con tutte le conseguenze di legge.
Dette considerazioni sono integralmente contestate da
parte appellata che si costituisce in giudizio con controdeduzioni e appello incidentale.
A parere della societa` nell’atto di appello non vengono proposte specifiche censure volte a confutare la motivazione
della decisione dei primi giudici. L’ufficio si e` limitato a
contrastare in modo superficiale le ragioni affrontate dalla
sentenza impugnata riproponendo per il resto la motivazione degli atti di accertamento.
La Viareggio Patrimonio ribadisce quindi le proprie argomentazioni relativamente alla qualificazione delle cessioni
effettuate: non si tratta della cessione di terreno edificabile, ma della cessione a favore di soggetti, gia` proprietari
dell’immobile, del terreno gia` edificato costituente pertinenza dell’immobile che grava su di esso e come tale esente da IVA ai sensi dell’art. 135, par. 1, lett. j della Direttiva
2006/112 CE.
In conclusione chiede in via pregiudiziale che l’appello
venga dichiarato inammissibile e comunque che venga rigettato con conferma della sentenza impugnata. In via incidentale, in ordine alle spese di lite, chiede la condanna
dell’ufficio alla rifusione delle spese dei due gradi di giudizio.
Motivi della decisione
La Commissione, esaminata la documentazione prodotta e
le argomentazioni addotte dalle parti, ritiene che l’appello
proposto dalla Agenzia delle Entrate di Lucca non sia meritevole di accoglimento.
La questione sostanzialmente si fonda sulla qualificazione
dei terreni, che la societa` Viareggio Patrimonio ha venduto
ai proprietari delle costruzioni che su detti terreni insistono e cio` al fine di correttamente assoggettare l’atto di compravendita alla corrispondente imposta.
La Viareggio Patrimonio, societa` in house providing del
Comune di Viareggio, ha ricevuto dal Comune l’incarico
di procedere alla vendita di alcuni beni immobili che facevano parte in precedenza del patrimonio indisponibile del
comune medesimo. In particolare la vendita riguardava al-
20/2014
cuni terreni sui quali erano state edificate civili abitazioni,
che venivano ceduti ai proprietari delle relative abitazioni.
La vendita procedeva secondo le disposizioni previste dal
Comune e veniva assoggettata all’imposta di registro proporzionale ritenendosi le transazioni non soggette ad IVA
ai sensi dell’art. 10 del D.P.R. n. 633/1972.
L’ufficio contestava l’imposta di registro applicata ritenendo sussistere nel caso l’assoggettamento ad IVA della cessione effettuata. A parere dell’ufficio, nel caso in esame
non e` applicabile l’esclusione dall’IVA di cui all’art. 2, comma 3, lett. c), del D.P.R. n. 633/1972, che prevede tale
esclusione per le ‘‘cessioni che hanno per oggetto terreni
non suscettibili di utilizzazione edificatoria’’ in quanto le
porzioni di terreno di proprieta` della Viareggio Patrimonio
insistono su un’area gia` edificata e tale circostanza e` sufficiente a qualificare il terreno oggetto della vendita come
‘‘area edificabile’’ per la quale non puo` operare l’esclusione
dall’IVA di cui al citato art. 2.
La CTP di Lucca con la sentenza impugnata ha statuito
che ‘‘il fondo, nel caso di edificazione, perde ogni sua autonoma soggettivita` divenendo parte integrante del fabbricato, talche´ il prezzo di cessione dell’abitazione (esente da
IVA) contiene in se´ anche il prezzo della cessione del terreno (anch’esso esente da IVA quale necessaria pertinenza
del fabbricato )’’.
Nella fattispecie in esame la cessione attiene al solo fondo
edificato e non anche al fabbricato sovrastante, a motivo
del vincolo di demanialita` del terreno al momento della
cessione del fabbricato. Avendo il Comune successivamente eliminato tale vincolo, si e` reso possibile il ricongiungimento e completamento della proprieta` immobiliare. Tale
circostanza ha indotto l’ufficio a censurare la sentenza,
che avrebbe a suo avviso ritenuto ‘‘terreno edificabile’’ e
‘‘terreno edificato’’ fattispecie diverse, ponendo in essere
una classificazione - terreno edificato - non prevista dalla
norma. In realta`, sostiene l’ufficio, i terreni di proprieta`
della Viareggio Patrimonio ‘‘insistono su un’area edificata’’
e ‘‘dunque devono essere considerati ‘‘come area fabbricabile con tutte le conseguenze di legge’’.
Tali argomentazioni non sono condivise da questa Commissione. Ritiene il Collegio che le cessioni di che trattasi
non possono essere considerate come cessioni di terreno
‘‘edificabile’’ alla stregua di qualsiasi terreno privo di costruzioni; si verte piuttosto sulla cessione di un terreno
gia` edificato al proprietario dell’edificio soprastante. La
circostanza che il terreno venga ceduto in un periodo temporale diverso rispetto alla cessione dell’edificio soprastante non puo` indurre ad attribuire una qualificazione diversa
al terreno, definendolo come area fabbricabile, perche´ tale
qualificazione non puo` essere oggettivamente possibile.
Al riguardo la prima sentenza, che appare alla Commissione immune da censure e dunque da confermare, ha spiegato molto chiaramente i motivi che hanno portato all’accoglimento del ricorso introduttivo. La CTP ha ampiamente
ed esaurientemente esaminato la normativa in materia,
sia nazionale che comunitaria, rilevando che sul punto
non sussiste alcuna discrasia tra le due legislazioni: il
D.P.R. n. 633/1972 ‘‘non fa alcun specifico riferimento alla
cessione di terreni gia` edificati’’; l’art. 135, 1º par. della Direttiva 2006/112/CE dispone che ‘‘gli Stati Membri esentano ... le cessioni di fabbricati ... e del suolo ad essi pertinente’’. La circostanza che la censura riguardi soltanto il fondo
edificato e non anche il fabbricato soprastante non fa venir
2021
GIURISPRUDENZA
meno la condizione oggettiva del fondo e cioe` la sua qualifica di terreno non edificabile.
Dice ancora la CTP con riferimento alla Direttiva CE citata, ‘‘la disposizione ... non pone un obbligo di contestualita`
della cessione. Essa afferma al contrario un principio di
carattere generale e cioe` che la cessione di un fabbricato
cosı` come la cessione del suolo pertinente sono esenti da
IVA. Normalmente le due cessioni sono contestuali e la
cessione del fabbricato ricomprende la cessione anche
del fondo. Ove ... la cessione attenga al solo terreno edificato e sia effettuata a favore del proprietario del fabbricato, non viene meno il principio di carattere generale affermato nella Direttiva e si afferma concretamente il principio di indissociabilita` contenuto nella sentenza della Corte
di Giustizia Europea 8 giugno 2000 ( Causa C-400/98 Breitsohl )’’.
La questione appare chiara e priva di equivoci: i terreni oggetto della vendita, non suscettibili di utilizzazione edificatoria, non possono essere assoggettati ad IVA.
In conclusione questa Commissione, pienamente condividendo la decisione espressa dal primo giudice, ritiene
che le doglianze dell’ufficio vadano disattese e che l’appello proposto sia da rigettare con conferma della sentenza
impugnata.
In ordine poi alla questione pregiudiziale sollevata dalla
societa` appellata nel primo grado di giudizio e riproposta
in questa sede relativa ad illegittimita` degli avvisi derivante
dalla durata della verifica fiscale, asseritamente protratta
oltre i termini, rileva il Collegio che l’appellante ufficio oppone tale censura con specifici riferimenti alle prescrizioni
di cui al comma 5 art. 12 della L. n. 212/2000 (la durata e`
espressa in giornate lavorative) e a circolari ministeriali,
che si condividono. Va comunque osservato che la norma
in parola non prevede una espressa declaratoria di nullita`
in caso di violazione.
Va infine respinta la richiesta oggetto dell’appello incidentale in materia di spese, che si ritiene comunque dover
compensare anche in questo grado di giudizio in considerazione della complessita` e particolarita` delle questioni
trattate che inducono il Collegio a ritenere giustificati i
motivi della compensazione, la cui valutazione discrezionale e` rimessa dalla legge a questo giudice.
In forza delle esposte considerazioni, la Commissione
P.Q.M.
Respinge l’appello dell’ufficio. Spese compensate.
Commento
I giudici d’appello, confermando la decisione di
primo grado, hanno respinto la pretesa dell’Amministrazione finanziaria, volta ad assoggettare
ad Iva, anziche´ ad imposta proporzionale di registro, la cessione di terreni gia` edificati.
Nel caso di specie, una societa` in house del Comune di Viareggio ha ceduto, ai soggetti gia` proprietari degli immobili di civile abitazione, i terreni
sui quali questi ultimi erano stati costruiti.
Tali terreni facevano precedentemente parte del
patrimonio indisponibile del Comune, sicche´ i
giudici territoriali - a fronte della contestazione
dell’Ufficio - hanno dovuto stabilire se la cessione
‘‘dissociata’’ dell’area da quella del fabbricato che
sulla medesima insiste rientri o meno nella previsione dell’art. 2, comma 3, lett. c), del D.P.R. n.
633/1972, che non considera ‘‘cessioni di beni’’,
escludendole pertanto dal campo di applicazione
dell’imposta, ‘‘le cessioni che hanno per oggetto
terreni non suscettibili di utilizzazione edificatoria a norma delle vigenti disposizioni’’.
L’Ufficio, in altri termini, ha ritenuto che la nozione di ‘‘terreno edificabile’’, cui fa riferimento
la citata disposizione, non sia diversa dalla nozione di ‘‘terreno edificato’’, dal momento che i terreni di proprieta` della societa` in house insistono su
un’area edificata e, dunque, gli stessi vanno considerati alla stregua di un’area fabbricabile, la cui
cessione - in base al principio di alternativita` di
cui all’art. 40, comma 1, del D.P.R. n. 131/1986 e` soggetta a Iva e non ad imposta proporzionale
di registro.
La conclusione dei giudici d’appello, adesiva a
quella di prime cure, e` che l’area, a seguito di edificazione, diventa parte integrante del fabbricato
che sulla medesima e` stato eretto, perdendo pertanto ogni autonoma soggettivita`. Ai fini impositivi, cio` significa che il prezzo di cessione dell’abitazione fatturato in regime di esenzione da Iva
si riferisce anche al prezzo di cessione del terreno
sottostante, ugualmente esente da imposta trattandosi di pertinenza del fabbricato, come si desume dall’art. 135, par. 1, lett. j), della Direttiva
n. 2006/112/CE, che qualifica come esenti ‘‘le cessioni di fabbricato o di una frazione di fabbricato
e del suolo ad essi pertinente’’.
A tale qualificazione deve essere attribuita una
portata oggettiva, prescindendosi cioe` dalla circostanza che, sul piano temporale, il terreno sia ceduto successivamente al fabbricato soprastante.
Del resto, puntualizza la Commissione, la norma
comunitaria richiamata non prevede alcun obbligo di contestualita` delle due cessioni, stabilendo,
al contrario e come principio di carattere generale, che tanto la cessione del fabbricato, quanto
quella del relativo terreno, sono esenti da Iva.
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2022
GIURISPRUDENZA
La conclusione raggiunta dai giudici di merito
trova conferma nell’orientamento della giurisprudenza comunitaria.
La Corte di Giustizia, nella sentenza 8 giugno
2000, causa C-400/98, ha infatti affermato che,
‘‘ai fini dell’Iva, i fabbricati o frazione di fabbricati
e del suolo attiguo non possono essere dissociati’’
(punto 50), con la conseguenza che ‘‘l’esenzione e
il diritto di opzione (...) devono riguardare, in ma-
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niera indissociabile, i fabbricati o frazioni di fabbricato ed il suolo attiguo’’ (punto 51). In definitiva, ‘‘un soggetto che cede fabbricati ed il suolo attiguo puo` o avvalersi dell’esenzione dell’Iva per
fabbricati ed il suolo attiguo considerati globalmente oppure optare per l’imposizione del tutto’’
(punto 52).
Marco Peirolo