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donnas: 16-17-18 gennaio rivive l’antico borgo
Il ritorno della Foire
Ritorna a metà gennaio
l’atteso appuntamento a
Donnas con l’artigianato tipico, la Foire della
Bassa Valle, autentico
fiore all’occhiello della tradizione legata al
territorio. Le manifestazioni collaterali della
Fiera iniziano il venerdì,
con la Veillà e Cantine
aperte un vero tour gastronomico nel borgo
con decine di proposte
culinarie che spaziano
dai salumi e formaggi,
alla polenta, sino ai dolci. Il giorno dopo sabato
apertura ufficiale con le
vie del borgo percorse
dalla suggestiva fiaccolata, quindi la Messa
per gli artigiani mentre
l‘esposizione degli oggetti realizzati dai circa
500 artigiani si effettua
nella giornata di domenica. Un tempo fiera per
la vendita degli attrezzi
agricoli costruiti durante l‘inverno, col tempo si
è trasformata in vetrina
dell‘artigianato tipico e
di tradizione della Valle d‘Aosta. Vi si possono
ancora trovare i rastrelli, le ceste, i cucchiai e i
mestoli, le botti, i sabot
e gli oggetti per la casa,
ma oggi vi si ammira
soprattutto la perizia
di veri e propri artisti
in sculture, bassorilievi,
intagli su legno.
Tra gli oggetti più ricercati ultimamente le
sculture in pietra ollare
tra cui spiccano alcuni artigiani della bassa Valle nonché oggetti
in rame e ferro battuto,
pizzi, tessuti in canapa o
lana, pantofole. Una parentesi a parte meritano
le scuole di scultura che
presentano sui loro banchi le opere realizzate
nel corso dell’anno tra le
quali si possono notare
alcune figure emergenti
di giovani avviati verso
lavorazioni di altro prestigio tecnico
A gestire la manifestazione il Comitato Foire,
un gruppo di volontari
rodato nel tempo, condotto dal Presidente
Graziano Comola, che
sa gestire al meglio con
esperienza e concretezza i mille problemi legati all’evento non ultimo
quelli possibili legati
alle condizioni atmosferiche.
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ORE 20.00 Tradizionale “Veillà”
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vecchio borgo, alla scoperta
di antichi mestieri e di sapori
tipici e genuini, antichi e contemporanei, allietati da gruppi corali e musicali
 sabato 17 gennaio
ORE 19.30 - Fiaccolata
lungo le vie del borgo
ORE 20.00 Santa Messa
nella cappella di Sant‘Orso
ORE 21.30 Serata presso
il salone “Bec Renon”
 domenica 18 gennaio
ORE 08.30 - Apertura ufficiale della Fiera Visita dei
banchi da parte della giuria
per l‘assegnazione dei premi
speciali
ORE 09.30 - Ricevimento
delle autorità ed esibizione
banda musicale di Donnas
ORE 17.00 - Premiazione degli
espositori artigiani e chiusura
della Fiera
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Esposizione dei lavori degli allievi dei corsi di
scultura, intaglio, tornitura, ecc. Piazza Chanoux
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medaglia commemorativa.
Lungo il percorso della fiera: Esposizione di 1.000
artigiani. Punti Rossoneri somministrazione di piatti della cucina regionale presso appositi padiglioni,
gestiti dalle Pro-Loco valdostane. Spettacoli d’intrattenimento, musica tradizionale e folkloristica.
 venerdì 30 gennaio
ore 18:00, Chiesa di Sant’Orso Messa dedicata agli artigiani ORE 19.00 circa Piazza Sant’Orso
Premiazione ufficiale premi speciali - Nel centro
storico della città Tradizionale “Veillà” grande
festa popolare con la partecipazione di gruppi folkloristici e con distribuzione gratuita di brodo e “vin
brûlé” (vino caldo)
Ogni anno, il 30 e 31 gennaio, artisti e artigiani valdostani espongono con orgoglio i frutti del proprio
lavoro lungo le vie del centro di
Aosta.
Nel Medio Evo la fiera si svolgeva
nel Borgo di Aosta, in quell‘area
circostante la Collegiata che porta il nome di Sant‘Orso. Racconti
leggendari narrano che tutto ha
avuto inizio proprio di fronte la
chiesa dove il Santo, vissuto anteriormente al IX secolo, sarebbe stato solito distribuire ai poveri indumenti e “sabot“, tipiche calzature
in legno ancor‘oggi presentate alla
fiera. Adesso è tutto il centro citta-
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dino ad essere coinvolto nella
manifestazione, all‘interno e
a fianco della cinta muraria
romana. In fiera sono presenti
tutte le attività tradizionali:
scultura e intaglio su legno,
lavorazione della pietra ollare,
del ferro battuto e del cuoio,
tessitura del “drap” (stoffa in
lana lavorata su antichi telai
in legno), merletti, vimini, oggetti per la casa, scale in legno,
botti…
La fiera di Sant‘Orso è dunque un celebrazione della
creatività e dell‘industriosità
delle genti di montagna, ma
è anche un grande evento po- hanno radici secolari. Allo
polare in cui si manifestano le stesso modo, chi visita la fiera
caratteristiche peculiari dell‘i- non lo fa solo alla ricerca di un
dentità valdostana. La visita buon acquisto, magari utile
alla fiera di Sant‘Orso è perciò nella pratica quotidiana, o di
un‘esperienza straordinaria e un oggetto di qualità per abindimenticabile, da vivere con bellire la casa, ma anche per
intensa partecipazione emoti- “respirare” un‘atmosfera unica.
va. Infatti, non è tanto l‘aspet- La fiera è anche musica e folkto commerciale che spinge gli lore, e l‘occasione per degustaespositori a partecipare alla re vini e prodotti tipici della
fiera, quanto il desiderio di Valle d‘Aosta. La festa popouscire dal proprio laboratorio lare culmina nella “Veillà“, la
per cercare il contatto con un veglia nella notte fra il 30 e
pubblico che sa apprezzare il 31 gennaio, che vede le vie del
lavoro di qualità e la creati- centro cittadino illuminate e
vità, frutto di tradizioni che piene di gente fino all‘alba.
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una vita arcaica in pace con dio e con la natura
Il Santo Irlandese
e la Foire
Sul santo più popolare della i poveri, consolando gli afflitti
Val d’Aosta, protettore contro e aiutando oppressi, vedove e
le calamità naturali e molte orfani; dedito al lavoro del suo
malattie, tra cui i reumatismi e campicello per procurarsi il cibo
il mal di schiena, si posa nell’i- necessario, Orso, di quanto riuconografia, un uccellino, a ricor- sciva a raccogliere dalla coltivadare che destinava una parte zione, ne faceva tra parti, per
del raccolto del suo campo ai sé, per i poveri, per gli uccellini,
i quali dice la leggenda, ricopasseri.
Le notizie pervenutaci sulla noscenti si posavano affettuovita di sant’Orso, sono desunte samente sulla sua testa, sulle
oltre che dalle tradizioni orali, spalle, sulle mani; inoltre curaanche da una “Vita Beati Ursi” va una piccola vigna, il cui vino
di autore sconosciuto, della aveva la virtù di guarire i maquale esistono due redazioni, lati. Non si conosce l’anno della
una più antica e breve, della sua morte, ma alcuni studiosi la
fine dell’VIII secolo o inizio del pongono nell’anno 529, mentre
IX e la seconda più ampia ed è sicuro il giorno della morte, il
elaborata, della seconda metà 1° febbraio, divenuto poi il giordel XIII secolo. Così sappiamo no della sua festa liturgica.
che quasi certamente era un Orso è un santo, che molti vorpresbitero aostano, vissuto rebbero imitare, la sua vita rifra il V e l’VIII secolo; aveva il chiama alla mente, un’esistencompito di custodire e celebrare, za arcaica, pastorale, agreste,
nella chiesa cimiteriale di San in pace con Dio, con la natura,
Pietro. Questa figura di custode con sé stesso e di riflesso con gli
e celebrante di una determina- altri, senza nemici da combatteta cappella o chiesa cimiteriale, re, ma aiutando il prossimo nei
era molto diffusa nei secoli pas- bisogni sia materiali, sia fisici,
sati e a volte, quando questi edi- sia spirituali. Sant’Orso non
fici si trovavano in zone più iso- si distinse per azioni eclatanti,
late, questi custodi-celebranti perché la sua santità scaturiva
prendevano il nome di eremiti, dalla carità per il prossimo, la
ai quali si rivolgevano i fedeli semplicità e l’umiltà, l’adempimento fedele del suo compito di
per le loro necessità spirituali.
Lo sconosciuto autore della custode, la testimonianza del
‘Vita’, lo descrive come uomo suo ministero sacerdotale.
semplice, dolce, umile, pacifico Anche gli stessi prodigi, che gli
ed altruista; un “uomo di Dio” sono stati attribuiti, sia dalla
che coniugava la preghiera “Vitae Beati Ursi”, sia dalla tracontinua alle opere di carità, dizione, sono atti semplici, ma
visitando i malati, sfamando sufficienti a capire la grandezza
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della sua intercessione, a favore dei singoli e delle popolazioni,
segnatamente della Val d’Aosta, dove visse ed operò. Ne riportiamo qualcuno dei tanti che
la tradizione gli attribuisce; per
mesi e mesi non aveva piovuto,
la siccità devastava i campi, ma
cominciava anche a scarseggiare l’acqua necessaria per i
bisogni dei suoi fedeli; allora il
santo preoccupato per loro, fece
scaturire colpendo una roccia
col suo bastone, una sorgente a
Busséyaz; la sorgente, chiamata “Fontana di Sant’Orso”, continua ancora oggi ad offrire la
sua acqua, una volta considerata miracolosa, sotto la cappella
costruita nel 1649 e restaurata
nell’Ottocento. Un’altra volta,
mentre dava da mangiare ai
suoi uccellini, passò davanti
alla chiesa di s. Pietro, un giova-
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ne cavaliere in atteggiamento
disperato, si trattava di un palafreniere, che gli disse di aver
smarrito il miglior cavallo del
suo nobile padrone; preso dalla
compassione, il santo sacerdote
lo fece entrare in chiesa a pregare, poi gli disse di guardare
meglio il cavallo che montava,
sorprendentemente era quello
che cercava, senza più riuscire
a riconoscerlo.
La città di Aosta poté vedere
la potenza della preghiera di s.
Orso, quando fu minacciata da
una terribile inondazione per
lo straripamento del torrente
Buthier; già le acque si erano
innalzate lungo le mura, dopo
aver alluvionata tutta la zona
circostante, quando Orso dopo
aver pregato, tracciò sulle acque un segno di croce e queste
si fermarono risparmiando la
città. Ma non solo prodigi operò,
ebbe anche il dono della profezia e seppe anche infuriarsi a
difesa degli oppressi; un servo
del vescovo-signore del tempo,
Plocéan, si era comportato male
nei suoi confronti; temendo un
terribile castigo dal suo signore,
che era un uomo crudele, sebbene fosse uomo di chiesa, il servo
pentito si rivolse al santo chiedendogli di intercedere per lui.
Recatosi s. Orso dal vescovo
Plocéan (Ploziano), ottenne da
questi il perdono per il servo; in
realtà era una finta, e quando
il poveraccio uscì dalla chiesa,
dove si era rifugiato, lo fece
prendere dai suoi sgherri, poi
flagellare, rasare a zero, infine
gli fece versare sulla testa della pece bollente. Più morto che
vivo, il servo barcollando si recò
dal sacerdote, rimproverandolo
di averlo consegnato al vescovo.
Orso indignato, rimandò il servo dal suo padrone, per riferire
che sarebbe presto morto, prima dell’infelice servo.
La leggenda narra, che quella
notte stessa, Plocéan fu strangolato nel suo letto da due diavoli; la scena è rappresentata
scolpita su un capitello del chiostro della Collegiata, dov’è narrata la vita di sant’Orso.
Per tutti questi leggendari prodigi, sant’Orso è considerato
protettore contro la siccità, le
malattie del bestiame, le intemperie, le alluvioni, i soprusi dei
potenti, i parti difficili, i reumatismi e il mal di schiena, per
queste due malattie, i fedeli che
ne erano afflitti o volevano essere preservati, si recavano nella
cripta della Collegiata e camminando carponi attraversavano
il “musset”, un breve cunicolo
aperto nel basamento dell’altare, dove una volta vi erano
deposte le reliquie di s. Orso e
passavano da un lato all’altro.
Generalmente viene raffigurato
con il bastone dei priori in mano,
perché secondo la tradizione
(non confermata), egli sarebbe
stato il fondatore della Collegiata che porta il suo nome; infatti
su un capitello è scolpito s. Orso
che presenta a s. Agostino, il
primo priore della nuova comunità, Arnolfo.
La Fiera di S. Orso, presenta i
prodotti artigianali della regione Valle d’Aosta, soprattutto
quelli in legno, come le grolle, le
coppe da vino valdostano, le culle, le posate, i mobili, gli attrezzi
agricoli, ecc. Il culto di sant’Orso, assai diffuso nella Vallée già
attorno all’anno Mille, dal XII
secolo raggiunse anche le vicine
diocesi di Torino, Vercelli, Novara, Ivrea (dove sorse poi l’ospizio
che porta il suo nome); il culto si
diffuse poi anche in Savoia, ad
Annecy e nel Vallese.
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menziona il defunto con l’espressione Anselmus Episcopus Augustiensis qui nostram
construxit ecclesiam. Per sua
iniziativa l’intera chiesa venne ristrutturata nelle forme
tipiche dell’architettura romanica, come edificio basilicale, diviso in tre navate con
copertura a capriate lignee
chiuse ad oriente da altrettante absidi semicircolari. Il
coro, sopraelevato rispetto al
piano delle navate, sovrastava
(come avviene ancor oggi) una
cripta formata da due vani:
quella occidentale conteneva
alcune importanti sepolture,
quella orientale - destinata a
cerimonie di culto- era divisa
in cinque navatelle con tre absidiole semicircolari disposte
a raggiera. Del “periodo anselmiano” rimangono oltre alle
mura e ai pilastri, la cripta
(non più separata in due vani)
e gli affreschi, esempi importanti di arte ottoniana, posti
nella parte superiore della navata, tra il tetto e la copertura
con volte a crociera realizzata
a fine Quattrocento.
L’imponente campanile romanico, alto 44 metri, che sorge
sul sagrato della chiesa in posizione da essa isolata, fu eretto nel XII secolo come parte di
un sistema difensivo costituito da una cinta muraria e da
una seconda torre di grandi
dimensioni. La parte inferiore
è quella originaria, formata
da enormi massi squadrati,
tolti forse ai vicini monumenti
romani; la parte superiore è
probabilmente del XIII secolo,
mentre l’orologio esisteva già
nel 1642.
La costruzione del chiostro romanico, istoriato dai suggestivi capitelli per i quali la colle-
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giata di Sant’Orso va celebre, più bassa copertura realizzata
si colloca negli anni immedia- con volte a crociera di gusto
tamente successivi al 1133 tardogotico. Un atelier di pit(1132 secondo il calendario at- tori comprendente il Maestro
tuale), come attesta l’iscrizio- Colin (attivo in quegli anni
ne di uno dei capitelli: “ANNO anche nel castello di Issogne),
AB INCARNATIO (N) E DO- realizzò verso il 1499 la decoMINI MC XXX III IN HOC razione a fresco dei sottarchi,
CLAUSTRO REGULAR (I) S conferendo in tal modo alla
VITA INCEPTA EST”, che in- chiesa l’aspetto che ha poi sodica l’inizio effettivo della vita stanzialmente mantenuto nel
comunitaria. In quell’anno tempo.
aveva ottenuto risposta posi- Lo stesso Challant tra il 1494
tiva la richiesta avanzata al ed il 1503 fece realizzare le
papa Innocenzo II dal vescovo cinque vetrate dell’abside, aldi Aosta Eriberto (già canoni- logando l’opera ai magistri
co regolare di Sant’Agostino verreriarum Jean Baudichon
del Capitolo di Abondance e Pietro Vaser.
nel Chiablese in Alta Savoia), Tra gli interventi voluti dallo
finalizzata ad avere, per la Challant per aumentare il decongregazione di Sant’Orso, la coro ed il prestigio della chiesa
possibilità di fondare una co- va ricordata anche la realizzamunità di agostiniani.
zione di un nuovo altare magGli archi e le volte attuali del giore, oggi non più presente.
chiostro sono frutto di un ri- Per realizzare quest’opera egli
maneggiamento posteriore, coinvolse il principale artista
avvenuto all’epoca Giorgio di allora attivo presso la corte
Challant (1468-1509), salvo sabauda, il borgognone Antoiuno dei lati minori che fu ri- ne de Lonhy.
fatto nel secolo XVIII.
Sempre a Giorgio di Challant
Oltre a quelli eseguiti nel chio- si deve la costruzione, nei
stro e nei locali del monastero pressi della chiesa, del Piorato
altri interventi promossi alla di Sant’Orso, formato da tre
fine del XV secolo da Giorgio corpi di fabbrica in stile rinadi Challant, priore della col- scimentale, riuniti ad angolo
legiata di Sant’Orso e grande e sormontati da una torretta
artefice del rinnovamento cul- ottagonale; il tutto imprezioturale ed artistico valdostano, sito da decorazioni in cotto
comportarono il rifacimento (esempio alquanto raro in Valdella facciata (1492 – 94) e le d’Aosta).
la sostituzione della vecchia Il coro Il mosaico pavimencopertura a capriate con una tale un tramezzo barocco in
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La chiesa collegiata dei Santi Pietro e Orso (in francese,
collégiale des Saints Pierre et
Ours), situata ad Aosta, costituisce, assieme alla cattedrale
di Aosta, la testimonianza di
maggior rilievo della storia
dell’arte sacra in Valle d’Aosta. Uno specifico interesse
rivestono gli antichi affreschi
ottoniani conservati tra il tetto e la copertura della navata
centrale, ed il chiostro con i
suoi magnifici capitelli medievali.
La storia Il campanile
in inverno tra i rami del tiglio
secolare
Gli scavi archeologici hanno messo in evidenza come,
nell’area oggi occupata dalla
chiesa, fosse presente un’ampia necropoli extraurbana,
sulla quale nel V secolo fu
edificata un complesso paleocristiano comprendente, oltre
alla nostra chiesa, anche quella cruciforme di San Lorenzo
(che si trova sotto l’attuale
omonima chiesa sconsacrata). La chiesa primitiva era
ad aula unica delimitata da
un’abside semicircolare; essa
venne interamente ricostruita
ed ingrandita nel IX secolo, in
epoca carolingia.
Nel 989 si aggiunse alla chiesa esistente un campanile (i
cui resti sono ancora visibili
incorporati nella facciata attuale della chiesa)
Un ulteriore intervento costruttivo fu quello promosso dal vescovo Anselmo che
tenne la cattedra vescovile in
Aosta tra il 994 e il 1026 (da
non confondersi con Anselmo
di Aosta, filosofo e santo, nato
nel 1033) Tale intervento è testimoniato in un passo del Necrologium della collegiata che
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marmi policromi con tre archi
sormontato da una balaustra
traforata - costruito nel 1768
in sostituzione del jubè medievale, di cui mantiene in qualche modo la fisionomia - separa la navata centrale dal coro
(lo spazio riservato ai presbiteri); al centro di esso poggia
un Crocifisso con la Maddalena inginocchiata ai suoi piedi
opera lignea del Settecento.
Trovano posto nel coro importanti testimonianze artistiche
di epoche diverse.
Più in basso rispetto al pavimento, sotto un vetro che lo
protegge, si osserva un mosaico a tessere bianche e nere
con alcuni inserti di tessere di
colore marrone chiaro riportato alla luce durante gli scavi
del 1999. Il tappeto musivo
che risale al XII secolo – verosimilmente agli anni della
costruzione del chiostro - ha
forma quadrata, di lato pari a
3 metri, con gli spigoli disposti
secondo i quattro punti cardinali; nel medaglione posto al
centro di sei diverse cornici è
raffigurata la scena di Sansone che uccide il leone La
cornice più esterna contiene
un’iscrizione composta da due
versi “Interius Domini Domus hec ornata decenter”
“Querit eos qui semper ei
psallant reverenter”. Dopo
un’ampia fascia con un intreccio a nodi alternati, è posta
una seconda iscrizione nella
quale si leggono in cerchio le
parole “Rotas opera tenet
arepo sator” Una lettura in
senso inverso ci mostra che si
tratta di una frase palindroma; le parole che la formano
sono le stesse del cosiddetto
Quadrato del Sator che com-
pare in iscrizioni antiche ed il cui senso è
alquanto controverso. Nei quattro spazi
angolari, tra i bordi
del quadrato e ed il
cerchio della prima
cornice trovano posto le raffigurazioni
di un leoncino, di un
uomo-pesce che sorregge un serpente,
di un drago e infine
di un’aquila con due
corpi congiunti in
una sola testa.
Gli stalli
del coro
Meritano particolare
attenzione gli stalli
lignei posti sui due
lati del coro realizzati verso il 1487. Si
tratta di un lavoro di
notevolissimo livello,
sia per l’architettura complessiva nello
stile gotico d’Oltralpe detto “flamboyant”, sia per il dettaglio micircolari disposte a raggie- città nel XII secolo subito a dostana di Aymavilles, molto
degli intagli lignei; l’autore è ra. Le volte ogivali segnate da ridosso della cinta muraria, a utilizzato in epoca imperiale
un ignoto artista di cultura marcati costoloni sono rette contatto dell’antica via Fran- romana per la copertura degli
svizzero-renana (che doveva da pilastrini a sezione quadra- cigena, l’arteria principale di imponenti monumenti. Ai caessere, in quegli anni, suben- ta od ottagonale rozzamente passaggio di migliaia di pelle- pitelli, per impermeabilizzarli,
trato con la sua bottega in Ao- lavorati, e da colonne prive grini indirizzati verso i grandi venne data una mano di un
sta all’atelier di Jean Vion de di capitello, provenienti pro- e prestigiosi centri di culto cri- composto colloso trasparente
Samoëns e di Jean de Chetro babilmente da edifici antichi. stiano europei. La struttura, misto a cenere, già presente
che, una ventina di anni pri- Se la soluzione delle tre absi- con le sue arcate a tutto sesto, agli inizi del XVII secolo, che
ma, aveva realizzato gli stalli diole rivolte ad oriente ricorda le sue eleganti colonnine e, so- ossidandosi con il tempo li
della Cattedrale).
esempi del territorio francese, prattutto, i suoi capitelli isto- ha definitivamente scuriti.
La cripta Al termine le la struttura architettonica riati, costituisce uno splendi- Essi costituiscono, con la loro
navate laterali, una scala con- che vede le imposte degli ar- do esempio di arte romanica espressività, un raro esempio
sente di scendere nella cripta: chi poggiare direttamente sui lombardo-catalana-provenza- di “poema marmoreo” fatto di
è questa la parte più antica pilastrini richiama alla mente le. Rimaneggiato nel XV e nel scene diverse tratte dall’Andella cattedrale, testimonian- la cripta della San Michele ad XVIII secolo, conserva 37 (altri tico Testamento, dalla vita di
za della “basilica anselmiana” Oleggio
3 sono del XVIII secolo) degli Gesù e da quella degli Apostoche si è quasi integralmente Il chiostro Il chiostro è originali 52 capitelli in marmo li, ma anche episodi della vita
conservata, con la sua aula parte integrante di un com- bianco, che poggiano su colon- di sant’Orso uniti a soggetti
sotterranea divisa in cinque plesso monastico agostiniano, ne di scuro marmo bardiglio moraleggianti anche di cultunavatelle con tre absidiole se- insediatosi nella piana della proveniente dalla località val- ra pagana (favole di Esopo).
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Il priorato
di Sant’Orso
Fa parte del “Complesso di
S. Orso” – oltre alla chiesa
collegiata, il campanile, ed il
chiostro - anche il Priorato di
S. Orso. Si tratta di un’ampia
costruzione posta a destra
della chiesa, formata da tre
corpi di fabbrica con cinque
arcate; presenta in facciata
suggestive decorazioni in cotto che incorniciano le eleganti
finestre crociate e sottolineano, con ampi cornicioni, le
separazioni tra i diversi piani.
L’edificio è sovrastato da una
torre a pianta ottagonale culminante in una cuspide aguzza. L’edificio fu fatto erigere
intorno al 1468 come sede del
priorato da Giorgio di Challant, ispirandosi ai modelli
dell’architettura civile francese; le decorazioni in cotto si
ispirano invece ad un gusto
piemontese e lombardo alquanto in voga nel XV secolo.
Preesistevano al priorato, forse sin dall’epoca della prima
basilica, edifici di carattere
religioso e, tra essi, il vecchio
battistero (cosa che spiegherebbe la struttura ottagonale scelta per la torre). In
facciata, in apposite nicchie
rettangolari, troviamo alcuni
stemmi nobiliari: oltre a quelli dei Savoia e degli Challant,
si riconosce anche lo stemma
del priore Hubert Angley che
precedette Giorgio di Challant nel ruolo di priore. All’interno dell’edificio (attualmente non visitabile) una scala a
chiocciola, ricavata nella torre, conduce alla sala priorale
ed alla cappella affrescata da
artisti franco-valdostani della fine del XV secolo.
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