ESOFAGO DI BARRETT Criteri diagnostici e follow-up Renzo Cestari1-3, Vincenzo Villanacci2 con la collaborazione di Gianpaolo Cengia1, Marianna Salemme2 U.O. Chirurgia Endoscopica Digestiva, 2Anatomia Patologica, A.O. Spedali Civili Brescia 3 Corso Integrato di Malattie dell’Apparato Digerente, Università degli Studi di Brescia 1 Revisione a cura di J.Z.A Jankowski Queen Mary University of London, England, United Kingdom L’Esofago di Barrett (EB) è una complicanza cronica della Malattia da Reflusso Gastroesofageo (MRGE), con prevalenza variabile dall’1% al 3%, e rappresenta il principale fattore di rischio per adenocarcinoma esofageo (ACE), attraverso un processo multifasico, dalla metaplasia intestinale (MI) alla Displasia a Basso Grado (LGD) e Alto Grado (HGD), al cancro intramucoso (IMC). È pertanto cruciale la sinergia endoscopista-patologo, nell’individuare e confermare la presenza di EB e delle lesioni correlate. Endoscopicamente L’EB viene univocamente definito come la presenza, a livello esofageo, di epitelio colonnare che sostituisce il normale rivestimento squamoso esofageo. Per contro, la definizione istologica di EB è tuttora controversa; negli Stati Uniti e in Europa tale condizione viene definita come “la presenza di metaplasia intestinale a livello esofageo”, cioè il riconoscimento di cellule caliciformi mucipare all’interno della mucosa esofagea (Figura 1). In Giappone e nel Regno Unito tale condizione non presuppone la presenza di metaplasia intestinale, ma comprende qualsiasi modificazione metaplasica di tipo gastrico a carico dell’epitelio squamoso esofageo, anche in assenza di cellule caliciformi mucipare. anche in soggetti pauci- o asintomatici, in relazione ad una ridotta sensibilità viscerale all’insulto acido prolungato. L’EB presenta inoltre una maggiore incidenza in caso di familiarità (6% nei pazienti con familiari di I grado). I criteri anamnestici e clinici di rischio per EB sembrano essere: sesso maschile età > 50 anni storia di MRGE di lunga durata familiarità per cancro esofago-cardiale obesità viscerale. Come diagnosticare l’EB? L’indagine endoscopica rappresenta, a tutt’oggi, l’unica metodica in grado di sospettare, definire e confermare, insieme all’esame istologico, la presenza dell’EB, con una sensibilità fino al 90%. L’EB si caratterizza per la presenza di tessuto rossastro in netto contrasto con l’epitelio nativo esofageo biancastro, di morfologia ed estensione variabile, prossimalmente alla giunzione squamo-colonnare (Linea Z). Presupposto fondamentale, durante l’ispezione enQuali sono i fattori di rischio doscopica, è la precisa identificazione di alcuni reperi anatomici, quali la giunzione esofago-gastrica (EGJ per EB? Più frequentemente (60% circa) i soggetti con BE pre- Esophago Gastric Junction) e squamo-colonnare (SCJ sentano una storia clinica di MRGE di lunga durata e di - Squamo Columnar Junction - Linea Z). intensità medio-severa, anche se non è raro il riscontro L’EGJ viene identificata dal limite superiore delle pliche gastriche (in Occidente) o dalla presenza dei vasi “a palizzata” Figura 1: EB definito dalla presenza di metaplasia intestinale a carico iuxtacardiali (in Oriente) e dal dell’epitelio esofageo distale punto di passaggio fra una cavità tubulare (esofago) e una sacciforme (stomaco), differenziandola dallo jatus diaframmatico con lo “sniff test”. La Linea Z, in assenza di flogosi marcata, è facilmente identificabile per il netto contrasto cromatico tra epitelio bianco-perlaceo o roseo dell’epitelio squamoso e quello più rosso dell’epitelio colonnare. Va inoltre considerata la diretta correlazione esistente tra l’aspetto endoscopico della linea Z e la presenza di EB, secondo Ematossilina-eosina Colorazione istochimica Alcian-Pas la classificazione della morfologia Giorn Ital End Dig 2014;37:209-214 DEFINIZIONE 209 ESOFAGO DI BARRETT Criteri diagnostici e follow-up della linea Z stessa in quattro gradi (Z-Line Appearance - ZAP), che rappresenterebbe un criterio morfologico predittivo di BE. ZAP 0 Linea Z di aspetto regolare, senza digitazioni ZAP I Linea Z con lieve irregolarità senza tuttavia digitazioni ZAP II Linea Z con digitazioni di estensione < 3 cm ZAP III Linea Z ampiamente digitata, con estensioni > 3 cm. Al fine di standardizzare la diagnosi endoscopica di EB, dal 2004 viene impiegata la Classificazione C&M di Praga (Figura 2) che considera sia l’estensione circolare che prossimale dell’EB, utilizzando reperti endoscopici facilmente riproducibili (C: distanza della giunzione squamo-colonnare da quella esofago-gastrica; M: estensione massima della metaplasia indipendentemente dalla sua morfologia). Un importante ausilio diagnostico è rappresentato dall’applicazione di tecniche di cromoendoscopia ottica, mediante impiego di acido acetico (0,5-1%) e di coloranti (blu di toluidina, blu di metilene, soluzione di Lugol, indaco carminio), associati all’uso di endoscopi ad alta definizione ed eventualmente con visione magnificata. Questa tecnica consente di classificare diversi tipi di pattern della mucosa, con caratteristiche predittive di anomalie architetturali e cellulari: tipo I: piccole cavità circolari di forma e dimensioni uniformi tipo II: cavità a fessura tipo III: strutture cerebriformi e villiformi tipo IV: strutture di dimensioni e disposizioni irregolari tipo V: pattern destrutturato. Renzo Cestari et al > Esofago di Barrett 210 1 Gli Autori Giapponesi hanno confermato come i pattern di tipo I, II e III non risultino associati istologicamente a cancro, mentre si riscontra cancro precoce nel 40% dei campioni bioptici con pattern di tipo IV e nel 40 % circa di quelli con pattern di tipo V, con sensibilità del 100% e specificità dell’90%. Pe incrementare l’accuratezza diagnostica dell’indagine, si possono impiegare tecniche di cromoendoscopia elettronica, quali Narrow-Band Imaging (NBI®), Hi-scan® e FICE® che amplificano la visualizzazione del dettaglio superficiale impiegando filtri luce selettivi accoppiati ad endoscopi ad alta definizione. L’NBI utilizza Figura 2: EB C2M7 secondo Praga (Hi-scan®) Giunzione esofago-gastrica Segmento C 2cm Segmento M 7cm sistemi ottici con lunghezza d’onda variabile (filtri per blu, rosso, verde), integrati con magnificazione e l’incremento visivo del dettaglio mucoso è fondato sull’elevata intensità della luce blu, che definisce al meglio le strutture superficiali grazie alla bassa profondità di penetrazione nel tessuto; inoltre, l’assorbimento della luce blu da parte dell’emoglobina consente un’accurata valutazione delle strutture vascolari della mucosa. Mediante studio NBI, si classificano tre pattern di superficie mucosa (rilevata/villosa, circolare o irregolare) e due di vascolarizzazione capillare (normale, anormale), per l’identificazione di metaplasia intestinale e displasia o neoplasia, con elevata sensibilità (86-100%) e specificità (77-90%). L’Endomicroscopia Confocale Laser (Confocal Laser Endomicroscopy - CLE) è una altra tecnica di visualizzazione dinamica della superficie mucosa, che consente scansioni tissutali a differenti profondità, offrendo il dettaglio delle cripte ghiandolari, del reticolo capillare e delle singole cellule epiteliali con il flusso ematico satellite. Questa metodica, eseguibile con endoscopi dedicati (eCLE- endoscope-based CLE), o con sonde flessibili (pCLE- probe-based CLE) in strumenti standard o ad alta risoluzione, fornisce scansioni della superficie mucosa variabili dai 55 μm ai 65 μm (e-CLE) fino a 250 μm (p-CLE). Già dai primi risultati (2006), l’accuratezza nella diagnosi di EB, displasia e cancro correlati è stata elevata (dal 92% al 97%), consentendo una standardizzazione dei reperti in sistemi classificativi ( ad esempio la Mainz Confocal Barrett’s Classification). Il maggior vantaggio di questa tecnica, potrebbe essere quello di consentire diagnosi istopatologiche in tempo reale e di ridurre la necessità di prelievo bioptico, ma la limitazione principale rimane la ridotta performance sull’intera superficie del tessuto patologico da analizzare, rendendo pertanto la sua applicazione complementare allo studio con altre metodiche; inoltre, l’acquisizione, l’interpretazione e la riproducibilità delle immagini richiedono particolare esperienza e addestramento. Queste tecniche forniscono maggiore accuratezza diagnostica anche nel guidare il campionamento bioptico standard, con evidenza di aree patologiche, di tipo focale, diffuso o associate a nodularità, aree depresse, discromie o ulcerazioni (“lesioni visibili”), alterazioni morfologiche che presentano un rischio di cancerizzazione 2.5 volte superiore. La maggior parte di tale lesioni su EB sono classificabili come di tipo II secondo la Classificazione di Parigi (Figura 3), in particolare IIa + IIc o IIa + IIb, con diretta correlazione alla profondità di infiltrazione, indicativa del rischio di invasione sottomucosa e, quindi, di metastasi linfonodali. In assenza di lesioni visibili, l’EB viene classificato come “piatto” Figura 3: lesione visibile tipo Iia-IIc su EB C3M5 (Hi-scan®) o “flat” e tale distinzione, oltre a differenziare la malattia secondo la Classificazione di Praga, condiziona l’orientamento della sorveglianza e la modalità di trattamento (resettivo vs ablativo). Qual è il numero e la sede di biopsie che il patologo deve ricevere? La diagnosi di EB necessita di un campionamento bioptico sistematico e accurato della giunzione squamo-colonnare (Linea Z), e di ogni area con apparenza metaplastica in esofago, indipendentemente dall’estensione nonché di biopsie in stomaco e su mucosa esofagea apparentemente normale. Le più recenti linee guida nell’ambito dell’EB prevedono un ampio campionamento bioptico, con biopsie eseguite nei 4 quadranti dell’esofago distale (al di sopra della linea Z, nella c.d. “area del Barrett”) ogni 2 cm e ogni 1 cm se è stata diagnosticata una displasia in precedenza. In particolare le biopsie devono essere mantenute separate in modo da permettere una precisa identificazione topografica da parte del patologo (Figura 4). Come devono essere trattate le biopsie? È auspicabile che le biopsie eseguite e mappate con precisione siano correttamente orientate su filtri di acetato di cellulosa e poste in adeguati contenitori contenenti formalina (Figura 5). Quali sono gli elementi istopatologici fondamentali per la diagnosi di EB? Poiché l’EB rappresenta il principale fattore di rischio per adenocarcinoma esofageo (ACE), è pressante la necessità di una chiara e precisa definizione di questa condizione paFigura 6A: displasia di basso grado insorta in EB Figura 5: filtri di acetato di cellulosa già tagliati per il posizionamento delle biopsie tologica, al fine di pianificare un programma di sorveglianza adeguato al singolo paziente. Nonostante ciò il ruolo della metaplasia intestinale nella definizione di EB è ancora oggi dibattuto; recentemente, alcuni Autori hanno sottolineato come un ruolo importante in quest’ambito sia dovuto alla fase pre-analitica e quindi ad un adeguato campionamento bioptico; secondo questi studi la metaplasia intestinale è una caratteristica quasi sempre presente nella condizione di EB e molto spesso non viene riscontrata a causa di un insufficiente numero di biopsie effettuate. Sulla scorta di queste evidenze, numerosi studi hanno valutato il rischio di sviluppo di displasia e/o cancro in relazione alla presenza o meno di metaplasia intestinale nell’epitelio esofageo; nella nostra esperienza l’analisi di diverse serie di casi diagnosticati come EB e valutati nel follow-up (da 4 a 12 anni), ha permesso di dedurre come la presenza di metaplasia intestinale sia un importante fattore di rischio per la progressione maligna dell’EB verso displasia e cancro, la cui corretta definizione istologica si basa quindi sulla identificazione di questa caratteristica morfologica. La progressione istologica dell’EB: la displasia Il principale marcatore di progressione nel BE è rappresentato dalla displasia, trasformazione inequivocabilmente neoplastica dell’epitelio, espressione di un danno del DNA che non può regredire e rappresenta un passo importante nella progressione verso il cancro; da un punto di vista morfologico viene classificata in basso grado (Low Grade Dysplasia - LGD) e alto grado (High Grade Dysplasia HGD) sulla base di precise caratteristiche istologiche. Nella LGD (Figura 6A) le cripte ghiandolari presentano un’architettura relativamente conservata con atipie citocariologiche (nuclei ipercromici, con contorno irregolare e cromatina densa) limitate alla porzione basale delle stesse; nella HGD (Figura 6B) il grado di atipia citologica e archiFigura 6B: displasia di alto grado insorta in EB Giorn Ital2 OTTOBRE End Dig 2014;37:209-214 LUNEDì - I SESSIONE Figura 4: schema del corretto campionamento bioptico nell’ambito di EB 211 15 ESOFAGO DI BARRETT Criteri diagnostici e follow-up tetturale è maggiore, con cripte ghiandolari ramificate e nuclei marcatamente pleomorfi e vescicolosi, con numerose mitosi atipiche. La displasia insorta in EB ha molto spesso una distribuzione focale; per questo è fondamentale eseguire un ampio campionamento bioptico per la sua corretta identificazione. Nonostante questo, dal punto di vista istopatologico vi è un elevato grado di soggettività nell’interpretazione della displasia con uno scarso “inter-observer agreement” riportato in diversi lavori in letteratura e per la quale è stata creata la categoria “indefinita per displasia” in cui l’incertezza diagnostica impone la ripetizione delle biopsie oppure più semplicemente un secondo parere da parte di un patologo dedicato. L’assenza di displasia nell’EB (NDBE) condiziona le probabilità di evoluzione sia verso HGD (0,5% circa) che ad ACE (0,3-0,6%), anche se alcuni Autori, per contro, riportano progressione a LGD nel16,1%, ad HGD nel 3,2% ed a IMC nel 2%. Anche la propensione della LGD a progredire ad ACE risulta estremamente variabile, in relazione alla bassa concordanza nella diagnosi istologica, con rischio dello 0,77% annuo, mentre in caso di conferma da parte di due patologi dedicati, tale evento può variare dal 3 al 15%. Univocamente riconosciuta è, invece, l’incidenza di cancro in portatori di HGD, compresa tra il 15 e il 60%. Dall’esperienza personale appare non condivisibile, allo stato attuale, il concetto di “regressione” della displasia, peraltro riportato in letteratura e verosimilmente da attribuire ad un insufficiente campionamento o ad una errata valutazione da parte del patologo. FOLLOW UP Il rischio neoplastico dell’EB giustifica l’applicazione di programmi di sorveglianza, con lo scopo di selezionare i pazienti maggiormente predisposti all’insorgenza di modificazioni displastiche, così da effettuare in fase precoce un trattamento curativo, eventualmente conservativo, anche se, ad oggi, nessun parametro clinico né endoscopico (età, sesso, obesità, fumo, dieta, lunghezza dell’BE, presenza di ernia jatale) sembrerebbe predirne l’evoluzione; analogamente il ruolo dei biomarkers, pur studiato, non è ancora validato su larga scala da analisi prospettiche e randomizzate. Attualmente la strategia di sorveglianza endoscopica più condivisa è quella proposta e rivalutata recentemente dall’American College of Gastroenterology, come segue: Renzo Cestari et al > Esofago di Barrett 212 1 Displasia Diagnosi Follow up Assente 2 EGD con biopsie entro 1 anno EGD ogni 3 anni Lesione visibile Resezione endoscopica Conferma EGD+biopsie entro 6 mesi EGD ogni anno fino alla scomparsa (x2) LGD II consulto patologo esperto Lesione visibile HGD Ripetizione EGD+biopsie entro 3 mesi per esclusione CA Resezione endoscopica (EMR/ESD) EGD + biopsie ogni 3 mesi o Chirurgia II consulto patologo esperto In caso di primo riscontro di displasia, risulta opportuna una successiva conferma ad opera di un patologo di riferimento, in quanto proprio a causa dell’elevato grado di soggettività nell’interpretazione della condizione displastica (fino al 70%), è importante affidarsi ad un patologo “dedicato”, che identifichi correttamente la displasia, differenziandola da condizioni reattive (esofagite concomitante). La c.d. “displasia non confermata” è infatti presente in percentuali elevate (dal 28 al 61%) nei pazienti con EB sottoposti a programmi di sorveglianza endoscopica. In presenza di HGD, per il riscontro nel 50% dei casi di cancro iniziale e/o invasivo all’esame del pezzo chirurgico in relazione all’estrema frequenza di multifocalità dell’adenocarcinoma su BE (45%), deve essere considerata la scarsa capacità di stadiazione dei protocolli bioptici standard. Ciò presuppone l’impiego di tecniche diagnostiche che consentano l’asportazione “en bloc” del tessuto patologico per confermare e definire la displasia e per stadiare una neoplasia intra-epiteliale associata. Tecniche diagnostiche complementari: Resezione Endoscopica Come ampiamente dimostrato dall’esperienza clinica e dagli studi di follow up, il riscontro di “lesioni visibili” (ulcere, nodulazioni, discromie depresse, rilievi polipoidi) o di HGD su mucosa piatta rappresenta un reale fattore di rischio per l’insorgenza di cancro su EB. Al fine di ottenere una stadiazione accurata della lesione è possibile utilizzare metodiche endoscopiche resettive (Mucosectomia- EMR, Dissezione Sottomucosa- ESD) che consentano, oltre all’asportazione del tessuto patologico, un’adeguata stadiazione in toto della lesione e delle tonache superficiali esofagee, con variazioni diagnostiche dal 25 al 40% e il riconoscimento di lesioni ad interessamento sottomucoso (SM), ad alto rischio di localizzazioni linfonodali (15-30%) che necessitano pertanto di trattamento chirurgico. La Resezione Mucosa Endoscopica o Mucosectomia (EMR), a fronte di una relativa semplicità d’esecuzione e di una scarsa incidenza di complicanze, consente l’asportazione completa di mucosa displastica o neoplastica e della sottomucosa, associata agli strati più superficiali della muscolare propria. La EMR può essere eseguita con le seguenti metodiche: “Lift-and-snare” iniezione e taglio EMR “cap” assisted (EMR-C) cappuccio di plastica ed ansa diatermica dedicata “Multi Band Technique” (MBT) legatura elastica e resezione con ansa diatermica. Il vantaggio di tale tecnica è rappresentato dalla radicalità di resezione, con conseguente possibilità di stadiazione di neoplasie superficiali secondo la classificazione di Kudo (Tabella 1). Questa prevede in caso di diffusione neoplastica limitata alla sola tonaca mucosa (m1-m2) una bassa percentuale di metastasi linfonodali; in caso, invece, di estensione alla muscolaris mucosae (m3) o alla sottomucosa (sm1-sm2) le localizzazioni linfonodali si riscontrano nello 0-6% e nel 1653% rispettivamente, con sopravvivenze globali a 5 anni dopo chirurgia radicale rispettivamente del 64-100% e del 48-90%. Le principali limitazioni all’impiego di EMR riguardano l’estensione delle lesioni (> 2cm) e la multifocalità, con tassi di recidiva fino al 30%, anche in relazione alla persistenza di anomalie genetiche cellulari nel tessuto rigenerato e/o alla persistenza di foci cellulari metaplastici o neoplastici sottomucosi (“buried glands”); inoltre l’utilizzo di EMR nell’ablazione di estese aree esofagee, mediante esecuzione di do quindi la radicalità dell’intervento eseguito. In particolare per una completa valutazione dei margini laterali viene sfruttato un particolare accorgimento da parte del patologo: in laboratorio le sezioni relative ai margini laterali vengono, dopo essere state ottenute sezioni istologiche verso la porzione interna, ruotate di 180° e reincluse con sezioni sul margine esterno in modo che a livello istologico ci sia una più adeguata visualizzazione di tali aree. L’eventuale recidiva o lesione residua potrà poi beneficiare di un trattamento ablativo termico che attualmente viene condotto mediante Radiofrequenza (RFA), o Coagulazione con Argon Plasma (APC), con l’obiettivo primario di giungere all’eradicazione completa dell’EB, secondo quella che viene definita “Terapia Multimodale”. In Figura 8 viene riportato l’algoritmo più frequentemente applicato e applicabile nella pratica clinica per la diagnosi e la gestione del paziente con EB. Tabella 1: classificazione di Kudo delle neoplasie precoci gastrointestinali m1 intraepiteliale m2 lamina propria m3 muscolaris mucosae Infiltrazione sottomucosa (sm) m sm sm1 terzo superiore a 1/4 b 1/4 - 1/2 c >1/2 sm2 terzo medio sm3 terzo inferiore mucosectomie circonferenziali (Widespread Mucosectomy) espone al rischio di complicanze stenotiche (per resezioni estese oltre 1/3 della circonferenza, dal 48% al 49,7%) e perforative (4%) Con tali presupposti è stata introdotta anche la Dissezione Endoscopica Sottomucosa (Endoscopic Submucosal Dissection) che prevede l’asportazione del tessuto patologico mediante tecnica di resezione “piano per piano” attraverso l’impiego di accessori dedicati (Knife). Si tratta di una metodica che richiede esperienza e che, pur consentendo in mani esperte la resezione “en-bloc” di ampie lesioni, espone ad un maggior rischio perforativo viscerale (variabile dal 2 al 30%) e a sanguinamento peri e post procedurale (10-30%). Dal punto di vista istologico è fondamentale che il tessuto asportato venga posizionato attraverso l’utilizzo di supporti in speciali bio-cassette (Figura 7) le quali vengono poste in adeguati contenitori contenenti formalina; in questo modo si evita l’utilizzo di aghi che, posti ai margini della lesione, alterano il tessuto e portano ad artefatti che pregiudicano la corretta valutazione morfologica da parte del patologo, con particolare riferimento all’analisi dei margini del pezzo operatorio. Di fondamentale importanza è infatti la corretta valutazione dei margini della lesione asportata, al fine di escludere la presenza di processo displastico, conferman- CONCLUSIONI L’EB è una condizione patologica che espone al rischio di cancro, in relazione alla comparsa di anomalie displastiche. Il riconoscimento di tali lesioni non può prescindere pertanto dalla più accurata diagnosi endoscopica e dall’esclusione della displasia, in rapporto ad una adeguata analisi istopatologica; ciò richiede una completa sinergia tra endoscopista e patologo, entrambi “dedicati” ed esperti, nella valutazione e condivisione dei reperti. La diagnosi endoscopica si fonda sull’impiego di tecniche complementari di visione ad alta definizione, necessarie per l’adeguata classificazione morfologica del BE e per il riconoscimento di “lesioni visibili”, che influenzano la prognosi. Nell’ambito della popolazione con EB è altresì fondamentale l’applicazione di programmi di sorveglianza in relazione ai principali fattori di rischio, strategia che consente di identificare precocemente le lesioni displastiche e/o neoplastiche e orientarne il trattamento più adeguato. La stretta collaborazione tra endoscopista e patologo, nell’ambito di un vero e proprio “multidisciplinary team” dedicato al singolo paziente, è quindi il prerequisito primario affinchè tale percorso diagnostico-terapeutico sia efficace e razionale. Figura 7: biocassetta per mucosectomia con supporto specifico e mucosectomia posizonata Giorn Ital2 OTTOBRE End Dig 2014;37:209-214 LUNEDì - I SESSIONE Infiltrazione mucosa (m) 213 15 ESOFAGO DI BARRETT Criteri diagnostici e follow-up Figura 8: algoritmo per la gestione dell’EB Diagnosi endoscopica di EB Ispezione accurata Cromoendoscopia - Alta Definizione Classificazione sec. Praga Biopsie (su 4 quadranti e mirate) EB non Displastico Terapia con IPP Displasia e/o Cancro II Consulto Patologo Sorveglianza Endoscopica 2 volte/primo anno poi annuale HGD LGD Sorveglianza Endoscopica a 3 anni Cancro early Stadiazione EMR HGD Cancro intramucoso Terapia Endoscopica (EMR/ablazione) Corrispondenza Renzo Cestari U.O. Chirurgia Endoscopica Digestiva Azienda Ospedaliera Spedali Civili Piazza Spedali Civili, 1 - 25100 Brescia Corso Integrato di Malattie dell’Apparato Digerente Università degli Studi di Brescia Tel. + 39 030 3995539 Fax + 39 030 398276 e-mail: [email protected] Renzo Cestari et al > Esofago di Barrett 214 1 Vincenzo Villanacci Anatomia Patologica Azienda Ospedaliera Spedali Civili Piazza Spedali Civili, 1 - 25100 Brescia Tel. + 39 030 3995479 Fax + 39 030 3995 053 e-mail: [email protected] Bibliografia 1.Sharma P, Dent J, Armstrong D et al. The development and validation of an endoscopic grading system for Barrett’s esophagus: the PragueC&Mcriteria. Gastroenterology 2006;131:1392-99. 2.Spechler SJ et al. American Gastroenterological Association Medical Position Statement on the Management of Barrett’s Esophagus. Gastroenterology 2011;140:1084-91. 3.Bennett C, Vakil, Cestari R, Cengia G et al. 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