IL MONDO CHE NESSUNO RACCONTA VENEZU ELA INTER VISTA ESCLUS IVA LIbIA al Ministr o degli Este ri Chi gestisce i traffici umani CILE La testimonianza degli orrori di Colonia Dignidad ARAbIA SAUdITA Anche Riad avrà la bomba? Mentre l’accordo sul nucleare prosegue, tra i due Paesi non c’è Copia abbinata a Panorama non acquistabile singolarmente | anno I - n. 5 maggio 2014 | www.lookoutnews.it IRAN-ISRAELE Per ricevere LA riviSTA direTTAmenTe A cASA Basta andare su www.lookoutnews.it alla voce AbbonAmenTi e seguire le istruzioni. Tre semplici passaggi per scegliere la modalità di pagamento preferita: PAYPAL, BONIFICO BANCARIO, CONTO CORRENTE POSTALE. Per LeggerLA Su Pc, TAbLeT e SmArTPhone La rivista è disponibile gratuitamente in versione digitale, per tutti gli abbonati di Panorama. Basta andare nell'area Premium del sito di Panorama (http://magazine.panorama.it) o dalla app iPanorama. | anno I - numero 5 - maggio 2014 ECoNomIA 18 mINT E adesso chi sarebbero questi? 22 mESSICo Duello in America Latina 24 INdoNESIA Luci e ombre su Kuala Lumpur 36 26 NIgERIA Un Paese da primo piano 28 TURChIA Ci vuole personalità ISRAELE LA dIfESA dELLo STATo LE RUbRIChE 32 do yoU SpREAd? Qual è il reale valore dello spread italiano 82 LA CASA dEgLI oRRoRI 34 A dIRE IL VERo... Turchia-Israele: musi duri, ma qualcosa si muove 52 L’ARAbA fENICE Photoshop e parlamentari 54 Spy gAmES L’uomo degli eucalipti gEopoLITICA 14 RIMA ANTEPVI STA INTER A ESCLUSIV al Ministro ri del degli Este ELA U EZ VEN 78 dURA LEx Il Frontex e la retorica dell’emergenza umanitaria 94 oSSERVAToRIo SoCIALE Una pericolosa vitalità 96 poLITICAmENTE SCoRRETTo Once was diplomacy 97 UN LIbRo AL mESE Killing Machine 36 ISRAELE La difesa dello Stato 42 ARAbIA SAUdITA La spada di Damocle e di Abdullah 43 IRAN Come ti spio un regime 44 ISRAELE La messa in sicurezza 46 gIoRdANIA L’ago della bilancia mediorientale 48 mEdITERRANEo L’arte della guerra 50 SIRIA La democrazia impossibile SoCIETà 68 LIbIA Biglietto di sola andata 72 ITALIA Problema “Nostrum” 74 hoNdURAS Bienvenidos negli States SICUREzzA Seguici anche su: www.lookoutnews.it l’aggiornamento quotidiano dal mondo 82 CILE La casa degli orrori 88 bRASILE Adesso i gringos siamo noi 90 UCRAINA I silenzi colpevoli LOOKOUT 5 - maggio 2014 3 LA VIgNETTA di “ SI RI A: al l a vi gili a d e ll e ele zion i, 1 50 mil a morti e 3 mil ion i d i s f oll ati” Il Medio Oriente torna in primo piano di mario mori N L’editoriale ella rubrica “Accadde Oggi” ricordiamo un momento fondamentale nel processo di pace tra israeliani e palestinesi: gli accordi di Oslo del 1993, quando sotto la supervisione di Bill Clinton il presidente israeliano Shimon Peres e il capo dell’OLP Yasser Arafat siglarono un trattato che, anche se non poteva definirsi di “pace”, rappresentava comunque un passo avanti verso una stabilizzazione delle tensioni regionali. Oggi quegli accordi sembrano volatilizzarsi di fronte al patto siglato tra i palestinesi di Hamas, che governano la Striscia di Gaza, e l’Autorità Nazionale Palestinese che controlla invece la Cisgiordania. Di colpo, la temperatura politica in tutta la regione è salita a livelli allarmanti. Ce ne parla in un’intervista esclusiva l’ambasciatore di Israele, Naor Gilon, il quale fornisce un’analisi che, anche se proveniente da una parte in causa, illumina il problema. Il Medio Oriente torna quindi al centro dell’attenzione e per questo abbiamo approfondito l’analisi di scenario estendendola ai rapporti tra Israele e Turchia, alla situazione in Giordania e agli altri punti nodali della regione. Vista l’importanza dell’argomento, nel prossimo numero proseguiremo l’approfondimento analizzando anche la figura di Marwan Barghouthi, membro del Consiglio Legislativo Palestinese, in prigione in Israele dal 2005, gravato da cinque condanne all’ergastolo per terrorismo. Barghouthi potrebbe essere l’unico interlocutore veramente serio in grado di riaprire il dialogo sulla pacificazione. Tenteremo di comprendere perché Israele, che sicuramente lo ha capito meglio di noi, preferisca tenerlo in prigione. Questo numero analizza anche altri focolai di interesse dello scenario internazionale e si completa con una riflessione approfondita e di estremo interesse sul fenomeno dell’immigrazione clandestina verso l’Italia, sulle rotte e sugli itinerari seguiti dai trafficanti di esseri umani e sulla capacità del nostro Paese e dell’Europa di governare la crisi migratoria senza continuare a subirla passivamente. INbox IL dIRETToRE EdIToRIALE RISpoNdE Cosa accadrebbe con l’abbandono dell’euro? Dubbi sulle elezioni presidenziali in Siria: sarà l’ennesima farsa? La vostra analisi assomiglia molto a una velina predisposta dal Minculpop o dal Dipartimento Disinformatsja. Eppure in Italia da anni la moneta unica è analizzata in tutti i suoi effetti perversi e distorsivi: è vero, l’inferno esiste e se non cambiamo continueremo a viverci dentro. Le perplessità di certo non mancano, considerato lo stato in cui versa la Siria. L’importante è che siano i siriani a poter decidere del destino del loro Paese. ELIO FRANCESCONI Caro Francesconi, intanto vorremmo tranquillizzarla: non abbiamo alcun Minculpop di riferimento e tutto quello che scriviamo è frutto dei nostri studi e delle nostre discussioni redazionali che, le assicuro, sono molto libere. Venendo alla sua osservazione sull’euro, checché se ne pensi, la fuoriuscita di qualsiasi Paese aderente all’eurozona dalla moneta, produrrebbe costi socialmente inaccettabili. Questo è un dato matematicamente irrefutabile, così come è matematicamente certo che chi dispone di 100mila euro e tenta di acquistare in contanti una casa da 1 milione di euro o è un truffatore o è matto. Detto questo, il discorso sull’euro è complesso e forse i nostri governanti avrebbero dovuto approfondire meglio le implicazioni della moneta unica prima di aderire al cambio di moneta. L’euro in quanto tale non è colpevole della crisi. È la mancanza di una politica economica comune in grado di governare una moneta comune il nostro problema. L’euro va governato. Abbandonarlo sarebbe facile, ma le conseguenze sarebbero disastrose. Scrivi a: [email protected] [email protected] facebook.com/LookoutNews twitter.com/lookoutnews PIERPAOLO POLDRUGO È certo che le elezioni presidenziali in una situazione di guerra civile sembrano irrealizzabili. Il precedente iracheno, tuttavia, ci autorizza a ben sperare. Nelle prime elezioni del dopo Saddam, nonostante la minaccia di attentati jihadisti, l’80% degli iracheni si è recato alle urne e finalmente la maggioranza sciita ha avuto un’adeguata rappresentanza politica. Forse se Assad gioca bene le sue carte, ammettendo la presenza di osservatori neutrali, le elezioni potrebbero costituire per lui un fattore positivo consentendogli di riaprire il dialogo con quei governi occidentali che forse un po’ troppo frettolosamente hanno sposato la causa dei ribelli, chiudendo gli occhi sullo strapotere al loro interno degli estremisti islamici. Chi c’è dietro l’operazione anti-terrorismo del governo di Kiev Si tratta di un’operazione guidata da terroristi nazisti contro il diritto di autonomia di inermi cittadini filo-russi. Evidentemente sfugge che l’attuale governo ucraino è illegittimo, non eletto da nessuno e nominato, come è accaduto in altre nazioni, dagli USA. GIAN FRANCO In effetti, la situazione in Ucraina non ha colori così marcati come il mainstream della stampa occidentale ce li sta presentando. L’Ucraina è diventata una polveriera per le troppe influenze e ingerenze esterne. Da un lato gli americani, come nel 2008 in Georgia, non hanno esitato a fomentare i disordini garantendo protezione e sostegno ai ribelli antigovernativi. Dall’altro Mosca si è comportata nello stesso modo con i “resistenti” filorussi. Forse sarebbe il caso che ambedue i “Grandi Fratelli” esterni facessero rapidamente un passo indietro lasciando agli ucraini dell’est e dell’ovest il compito di trovare una soluzione politica alla crisi. Crisi del Venezuela: riuscirà Maduro a far sopravvivere la rivoluzione bolivariana? Vorrei ricordare che quell’Henrique Capriles che voi presentate come la faccia pulita dell’opposizione democratica in realtà ha partecipato al golpe del 2002 assediando l’ambasciata cubana di Caracas. MATTEO TARDINI Noi non abbiamo mai preso posizione a favore o contro il legittimo governo di Caracas. Abbiamo tentato di documentare la profondità delle spaccature che attraversano la società venezuelana tentando di dare un quadro attendibile e aggiornato della situazione nel Paese, come potrà leggere anche in questo numero (pag. 14). Anche un governo democraticamente eletto si può criticare se nel tentare di contrastare le tensioni interne compie arbitri o violenze. LOOKOUT 5 - maggio 2014 7 gRoENLANdIA EL SALVAdoR TUNISIA Disoccupazione al 9,4%, aumento di suicidi e alcolismo, rischio di scioglimento dei ghiacci. Basteranno il petrolio e le terre rare per salvare l’isola più grande del pianeta? Traffico di armi e droga in aumento tra le maras, le gang criminali salvadoregne, e il cartello messicano dei Los Zetas. Ormai El Salvador è la nuova frontiera del narcotraffico. In controtendenza rispetto agli stati arabi, Tunisi offre una seconda chance ai terroristi pentiti. Fatta la nuova legge elettorale, adesso si attendono le elezioni entro la fine dell’anno. moLdAVIA A giugno la Moldavia firmerà l’accordo di associazione con l’Unione Europea. Ma sulla regione autonoma della Transnistria aleggia l’ombra della crisi ucraina. CIpRo SomALIA yEmEN hoNg KoNg Quest’anno Cipro sarà l’unico Paese a crescita negativa dell’Unione Europea (-4,8%) e il secondo per disoccupazione giovanile (43,2%) dietro alla sola Spagna. Nella roccaforte degli Al Shabaab crescere un figlio è a dir poco un’impresa. Un rapporto di Save the Children classifica all’ultimo posto la Somalia per ciò che concerne la sicurezza di madri e figli. A inizio maggio decine di morti negli scontri tra esercito e miliziani di AQAP. A rischio i flussi petroliferi verso il Mar Rosso. Intanto gli USA chiudono le ambasciate per motivi di sicurezza. Forte del suo statuto speciale, Hong Kong si permette qualche sgarbo nei confronti della Cina. L’ultimo è l’allestimento di un museo per il 25° anniversario della rivolta di piazza Tiananmen. Accadde oggi Cosa sono Gli accordi di Oslo Nel 1993, gli Accordi di Oslo, mediati dagli Stati Uniti di Bill Clinton, stabilirono le regole per l’autogoverno dei palestinesi nella West Bank (Cisgiordania) e nella striscia di Gaza. Protagonisti della stagione politica più speranzosa per la pace tra Israele e Palestina, furono il presidente israeliano Shimon Peres (a sinistra) e la guida palestinese Yasser Arafat (a destra), insieme al premier israeliano Yitzhak Rabin. I tre furono insigniti del premio Nobel per la pace nel 1994. 10 LOOKOUT 5 - maggio 2014 1964 2014 pALESTINA | di Luciano Tirinnanzi della Palestina - se necessario attraverso la lotta armata - creando non pochi equivoci circa il fine ultimo della lotta pluriennale che oppone arabi e israeliani in Medio Oriente. Fatah, traducibile come “gioventù” ma anche acronimo di “Movimento di Liberazione Palestinese” (FTH), fu fondata nel 1959 dal carismatico Yasser Arafat, leader della Palestina combattente che organizzò la guerriglia per la “resistenza” contro Israele, fino a controllare il potere esecutivo e legislativo nei Territori palestinesi. Solo a seguito dell’isolamento internazionale e della morte dello stesso Arafat (novembre 2004), Al Fatah perse progressivamente l’anima laico-socia“Egregio Lord Rothschild, lista e il consenso, in favoè mio piacere fornirle, in nome del governo di Sua Maestà, la seguente di- re della più aggressiva Hachiarazione di simpatia per le aspirazioni dell’ebraismo sionista che è stata mas, “Movimento della resistenza islamica” fondato presentata, e approvata, dal governo. ‘Il governo di Sua Maestà vede con nel 1987 da Ahmed Yasin, favore la costituzione in Palestina di un focolare nazionale per il popolo teorizzatore dell’istituzioebraico, e si adopererà per facilitare il raggiungimento di questo scopo, essendo ne di un vero e proprio Stato islamico. chiaro che nulla deve essere fatto che pregiudichi i diritti civili e religiosi delle La bilancia del potere comunità non ebraiche della Palestina, né i diritti e lo status politico degli tra Fatah e Hamas è dal ebrei nelle altre nazioni’. Le sarò grato se vorrà portare questa dichiarazione 1993 l’Autorità Nazionale Palestinese (ANP), istitua conoscenza della federazione sionista. zione politica e organo di Sinceramente, Arthur James Balfour” governo creato a seguito degli Accordi di pace di Oslo tra OLP e Israele. n questo documento ufficiale nizzazione per la Liberazione della Pa- Dal 2012, l’ANP gode anche dello del Foreign Office del 1917, si lestina, controverso organo politico e status di “osservatore non membro” discute della spartizione del- militare del popolo palestinese che - a presso le Nazioni Unite, condizione l’Impero Ottomano e del fu- seguito della discutibile ripartizione di che ha conferito all’ANP legittimità turo Mandato britannico che quel lembo di terra - si è dato una for- internazionale. governerà la Palestina sino alla fine ma parastatale attraverso questo moviSe dopo la vittoria alle elezioni del del 1948, prima che un vuoto incol- mento, l’OLP, poi ripartito in correnti 2006 Hamas aveva rotto i rapporti con mabile circondi la questione territo- che oggi si riconoscono sommaria- Fatah e progressivamente ottenuto il riale che ancora oggi affligge questa mente in Al Fatah e Hamas, l’una ani- pieno controllo della Striscia di Gaza parte di Medio Oriente. Questo per- ma moderata del partito di lotta e l’al- (a seguito di una lotta all’ultimo sanché mentre Israele è divenuto Stato il tra ala intransigente responsabile di gue proprio contro Fatah, che oggi ge14 maggio 1948, la Palestina non è azioni violente contro Israele, conside- stisce la sola West Bank, altrimenti nomai stata tale e, dunque, non ha mai rato senza mezzi termini il “nemico da ta come Cisgiordania), la riconciliaavuto né un capo di governo né un distruggere”. zione tra le due anime dell’OLP è inparlamento né pieno riconoscimento Se scopo dichiarato dell’OLP è la vece storia di questi ultimi giorni, internazionale. creazione di uno Stato palestinese, non- piombata improvvisamente sulla road Ciò nonostante, cinquant’anni fa, dimeno i suoi membri parlano anche map di un ennesimo tentativo di acnel maggio del 1964, nasceva l’Orga- di una vera e propria “liberazione” cordo israelo-palestinese. Maggio ’64: la Palestina si organizza per diventare Stato I LOOKOUT 5 - maggio 2014 11 Faces I volti più significativi del mese 12 LOOKOUT 5 - maggio 2014 Jimmie Akesson Il capofila di Svezia Democratica ha girato più di 80 città per promuovere il suo messaggio contro l’Europa, ma ha ricevuto anche qualche torta in faccia. geert Wilders L’olandese del PVV che definisce Bruxelles “un mostro” vola nei sondaggi. Ma è così islamofobo che la frase contro i marocchini “da cacciare via” potrebbe costargli cara. marine Le pen La leader euroscettica dell’estrema destra francese ha il vento in poppa e il suo Front National punta a un risultato storico. Ma non sarà anche “merito” di Hollande? bernd Lucke Anche in Germania c’è chi dice “no” all’euro e alla Merkel. Ad esempio, l’ambizioso leader di Alternativa per la Germania (AfD), noto anche come “partito dei professori”. heinz-Christian Strache L’Austria dell’ultradestra, orfana del carismatico Jorg Haider, ha trovato in Strache un erede per tentare l’impresa in Europa e portare l’FPÖ al 25%. Nigel farage L’icona del populismo inglese è un precursore dell’euroscetticismo. Con lui, lo United Kingdom Independence Party (Ukip) potrebbe piazzarsi al secondo posto alle Europee. A ANTEPVRIIM A T S INTER IVA S U ESCL al Ministro ri del degli Este A VENEZUEL Q di Mariana Diaz uarantatre morti, seicento feriti e duemilacinquecento detenuti*. Questo è il saldo dopo mesi di proteste in Venezuela. La situazione nel Paese è ormai insostenibile, nonostante lo scorso 11 aprile il governo e i rappresentanti dell’opposizione si siano riuniti per la prima volta nella cosiddetta Mesa di Diálogo, una tavola rotonda promossa dal presidente Nicolas Maduro e supportata dall’UNASUR (Unione delle Nazioni Sudamericane) per trovare una soluzione comune alla crisi sociale ed economica. Entrambi gli schieramenti non sembravano poi molto convinti, ma dopo diversi incontri l’atteggiamento è cambiato e importanti passi avanti sono stati compiuti. Così almeno spiega il ministro degli Esteri venezuelano, Elias Jaua, che abbiamo incontrato durante il suo soggiorno a Roma (in occasione della santificazione dei due Papi) per farci spiegare la delicata situazione da un punto di vista autorevole. *Secondo la BBC. Per il governo venezuelano invece, si tratta di 2.626 fermi e 180 detenuti. 14 PER SAPERNE DI PIÙ WWW.LOOKOUTNEWS.IT/PAESE/VENEZUELA LOOKOUT 5 - maggio 2014 Non siamo una dittatura e siamo orgogliosi di essere chavisti In esclusiva, il ministro degli Esteri venezuelano, Elias Jaua, racconta a Lookout News la visione del governo Maduro sui temi cruciali per uscire dalla crisi LOOKOUT 5 - maggio 2014 15 Quali risultati ha avuto finora la Mesa de Diálogo? Durante i primi incontri con l’opposizione, abbiamo elaborato un’agenda di priorità. Al primo punto c’è il riconoscimento da parte di tutti i settori politici della Costituzione della Repubblica Bolivariana come base della nostra società. In secondo luogo, pretendiamo che l’opposizione rifiuti pubblicamente la violenza come mezzo di pressione politica. Infine, abbiamo discusso delle politiche pubbliche da adottare in materia di sicurezza e sviluppo economico. L’opposizione ha sollecitato invece il riesame dei casi di cittadini processati o sentenziati a causa della loro partecipazione nei tentativi di colpo di Stato che hanno avuto luogo in Venezuela negli ultimi quindici anni. Esiste quindi la possibilità di liberare i detenuti politici? Intanto, in Venezuela non c’è questa classe di detenuti. Nessuno di loro è stato incarcerato per “reati di opinione”. I detenuti sono quelli che hanno commesso crimini, violato diritti umani e alcuni persino commesso omicidi. Dunque, sono stati giudicati a causa di delitti stabiliti dal nostro Codice penale. Qual è stato il delitto di Leopoldo López**? Promuovere le azioni violente. Le ricordo che López era già stato condannato per la sua partecipazione nel 2002 al colpo di Stato contro l’allora presidente Hugo Chávez. In quell’occasione, López stesso aveva approvato la detenzione di ministri e altri politici chavisti. Nel 2007, invece, il governo di Chavez varò un’amnistia grazie alla quale López e altri cospiratori furono perdonati. Ora è in carcere per quegli stessi delitti. 16 LOOKOUT 5 - maggio 2014 In questo dialogo, una delle parti dovrà scendere a compromessi. Quali sono i punti che siete disposti a rivedere? Siamo disposti ad avanzare delle misure per risolvere i problemi che interessano i venezuelani, ma prima l’opposizione deve dimostrare di voler tornare a lavorare entro i margini della Costituzione. Dobbiamo metterci d’accordo per far fronte alla delinquenza, il vero problema che interessa ai cittadini, mentre la liberazione o meno di una persona che ha violato i diritti umani non è nell’interesse dei venezuelani. Le società devono saper perdonare, come abbiamo fatto noi con l’amnistia. Ma la giustizia non è negoziabile. Di cosa invece il governo potrebbe chiedere “perdono”? Più che di perdono parlerei di riconoscimento. Umilmente, posso dire che non c’è nulla da perdonarci. Mentre l’opposizione non può non riconoscere la volontà espressa dal popolo venezuelano. Se non la riconoscerà, noi potremo anche perdonarli Chi è Elias Jaua Titolare degli Esteri e vicepresidente politico della Repubblica Bolivariana di Venezuela. Nel 1996 conobbe Hugo Chávez e insieme ad altri dirigenti fondarono il Movimento Quinta Repubblica. È stato uno dei membri dell’Assemblea Costituente per la stesura della Costituzione del 1999. Durante il periodo di Chávez assunse il controllo di diversi ministeri, tra cui Economia e Agricoltura. ANTEPR IMA INTER VISTA ESCLUS IVA in futuro, ma sarebbe un circolo vizioso: dopo ogni perdono, ci sarà una nuova cospirazione. Si pensi agli anni Sessanta, quando molti oppositori sparivano. La vera repressione è avvenuta allora, ben prima del nostro arrivo al governo. Oggi nessun oppositore è stato fatto sparire. Come valuta il primo anno di governo di Nicolas Maduro? È stato un anno complesso ma pieno di vittorie. Abbiamo perso il nostro leader Hugo Chávez, subìto un sabotaggio economico ma, dopo due mesi di tentativi di rovesciamento del governo, abbiamo comunque fatto dei passi avanti nello sviluppo delle politiche sociali. La povertà estrema è diminuita dal 7 al 5% e la FAO ha riconosciuto che il nostro Paese ha eliminato la fame. Nonostante la strategia per creare scarsità di beni primari, il governo è riuscito a incrementare la capacità di distribuzione degli alimenti. Inoltre, abbiamo portato avanti il programma per le abitazioni e ne abbiamo costruite 600mila di nuove. Il Venezuela, dunque, continua ad andare avanti nella lotta per la protezione sociale. Cosa ha causato la scarsità alimentare e l’inflazione? Dal 2012 è in corso un attacco alla nostra moneta. È stato fissato un valore infimo del bolivar rispetto al dollaro, da piattaforme digitali con base negli Stati Uniti. Inoltre, è stato avviato un traffico illecito di prodotti alimentari dal Venezuela verso la Colombia e il 30% dell’industria venezuelana ha subìto danni. Lo scopo era creare le condizioni sociali adatte per rovesciare questo governo. Ma abbiamo lottato e il nostro popolo non ha patito le conseguenze della scarsità di beni di prima necessità. Non è una strategia rischiosa attribuire i mali del Venezuela agli Stati Uniti? Il Venezuela non attribuisce i suoi “mali” agli Stati Uniti, parliamo piuttosto delle sfide che abbiamo di fronte. Ma gli Stati Uniti sono comunque responsabili di molte cose, ad esempio del colpo di Stato del 2002 e del finanziamento di gruppi violenti. Abbiamo le prove che Washington ha cercato di rovesciare il governo democratico venezuelano. Invece, che rapporto avete con il resto dei Paesi dell’America Latina? Abbiamo buone relazioni con tutti. Ad esempio, con la Colombia abbiamo un rapporto di grande rispetto e anche noi stiamo partecipando al processo di pace con le FARC (Forze Armate Rivoluzionarie della Colombia) che viene portato avanti insieme a Cuba. E con Cina e Russia? Loro fanno parte di quella visione geopolitica del mondo che appartiene anche a noi. Un mondo indipendente e multicentrico. Abbiamo incrementato le vendite di petrolio verso la Cina e ora vendiamo 600mila barili al giorno. Anche la cooperazione agricola e commerciale è buona. Con la Russia abbiamo una grande cooperazione soprattutto in materia industriale, finanziaria, e nei settori della difesa e della sicurezza. Abbiamo ottimi rapporti con tutti, l’unica cosa che chiediamo è il rispetto. al Ministr o degli Este ri del VENEZU ELA Qualcuno vi ha mancato di rispetto? Ci hanno provato molte volte attraverso l’ingerenza nei nostri affari interni, finanziando e addestrando i gruppi di opposizione. Vogliono farci passare per un Paese in conflitto, ma non lo siamo. L’80% dei venezuelani partecipa alle elezioni, nessun Paese può vantare livelli simili di partecipazione. Però ci mancano di rispetto quando dicono che viviamo in una dittatura senza libertà di espressione e quando dicono che c’è la fame e che ci distruggiamo tra di noi. Da più di centocinquant’anni non abbiamo una guerra civile e non sarà questa l’occasione. Alla luce di tutto questo, ha senso parlare ancora di chavismo e di rivoluzione bolivariana? Adesso più che mai. La rivoluzione è un progetto storico di Chávez, che ci ha lasciato obiettivi concreti per i prossimi trent’anni. Siamo molti orgogliosi di essere chavisti. **Leader del partito di opposizione Voluntad Popular, in carcere dal 18 febbraio 2014 (nella foto in basso) LOOKOUT 5 - maggio 2014 17 ECoNomIA ECoNomIA mESSICo Intervista all’ambasciatore in Italia INdoNESIA La sfida del presidente SBY NIgERIA Un Paese paradossale TURChIA Il premier tenta il colpaccio 18 LOOKOUT 5 - maggio 2014 E adesso chi sarebbero questi M.I.N.T.? Se l’inizio del nuovo millennio è stato caratterizzato dall’ascesa dei BRICS, la prossima decade potrebbe sancire l’irruzione sulla scena economica mondiale dei MINT. Ma attenzione alle semplificazioni ECoNomIA mESSICo | di B. Woods A cronimo di Messico, Indonesia, Nigeria e Turchia, la paternità del termine MINT è tuttora controversa: per alcuni questa nuova parola è dovuta a Fidelity, una delle maggiori conglomerate di asset management con sede a Boston (2011). Per altri, come il Financial Times, si deve invece alla Panasonic, che in un rapporto del 2010 individuava in quel gruppo di Paesi i mercati emergenti dove collocare i propri prodotti. Spetta comunque a Jim O’Neill - che già aveva coniato il fortunato termine “BRICS” - il merito di aver riportato nel novembre 2013 l’attenzione dei media su questo gruppo di Paesi, in rapida crescita economica. Banche e fondi d’investimento sono soliti raggruppare secondo acronimi un certo numero di Paesi che presentano alcune caratteristiche ritenute anticipatrici di una positiva performance economica futura: quelli che loro considerano e promuovono come meritevoli di ricevere investimenti, si ritroveranno tutti in un insieme o sottoinsieme. Anche perché non va mai dimenticato che le stesse banche e fondi sono i medesimi intermediari che gestiscono il risparmio, sia quello legato ai piani pensionistici sia quello precauzionale e speculativo, che quindi viene convogliato verso questi Paesi sotto forma di sottoscrizioni di bond e asset dei loro mercati finanziari o direttamente in investimenti reali. Come qualunque corso di marketing insegna, il primo passo per vendere un prodotto è assegnargli un nome accattivante, facile da ricordare ed evocativo delle qualità che rappresenta. Ma quali sono i criteri con cui vengono aggregati Paesi sostanzialmente diversi, ritenuti potenzialmente interessanti per la possibile crescita economica? I parametri sono diversi e rispondono alla necessità di individuare una caratteristica comune rilevante. LOOKOUT 5 - maggio 2014 19 ECoNomIA FOCUS BRICS BREAK? L’introduzione del termine BRIC acronimo di Brasile, Russia, India e Cina, poi divenuto BRICS con l’aggiunta del Sud Africa a partire dal 2010 - si deve all’economista inglese Jim O’Neill, al tempo senior economist della Goldman & Sachs. O’Neill intendeva porre all’attenzione degli investitori internazionali, la dirompente e incalzante crescita economica che si andava realizzando in Paesi che la fine della Guerra Fredda e la “fine della storia” teorizzata da Francis Fukuyama (La fine della storia e l’ultimo uomo, BUR 1992) avevano reso socialmente e politicamente accessibili. Sebbene segnati da un vasto ventaglio di criticità, quando non di vera e propria crisi dagli imponenti scioperi per le condizioni di lavoro nelle fabbriche cinesi di Yue Yuen, Shenzen e Focxoon, alla svalutazione della Rupia e del Rublo, dalle proteste per gli sprechi e la corruzione per il doppio appuntamento sportivo dei Mondiali di Calcio e delle Olimpiadi in Brasile, alla bolla del credito e del settore immobiliare in Sud Africa - i BRICS sono oggi membri del G-20 e si sono conquistata una certa rilevanza come potenze “glocal” ossia al contempo globali e locali. 20 LOOKOUT 5 - maggio 2014 I BRICS assommavano oltre il 40% per il 39,4% e l’agricoltura per il 3%). della popolazione mondiale e un Tuttavia, il rallentamento delle esporquarto delle terre emerse globali. I tazioni ha determinato una crescita del 3,3% nel 2013, ma questo è avveMAVINS (vedi box per questo e gli altri acronimi) erano ritenuti capaci di rag- nuto grazie alle politiche monetarie giungere il 60% del PIL degli USA en- espansive della Banca Centrale, volte a tro il 2020 e oltre il 200% nel 2050. I CI- tenere basso il valore della moneta VETS avevano un’elevata quota di po- won e a stimolare l’inflazione, pratiche polazione giovane e in crescita. I che sono state prima denunciate e CARBS producevano una quota com- quindi censurate dal Fondo Monetapresa tra il 25% e il 50% di tutti i beni rio Internazionale (FMI). L’ingresso della Nigeria nel gruppo mondiali. I CASSH avevano una notevole stabilità dei conti pubblici e finan- MINT è stato determinato da una creziaria. I MIST, estratti dal fondo Gold- scita media del PIL del 7,1% nel perioman Sachs N-11 Equity Fund (GSYAX), do 2010-2013 e da una buona perforerano membri del G-20, avevano una mance dei settori produttivi non legati posizione geografica strategica, una alla produzione del petrolio. Nonoquota elevata e crescente di giovani e, stante le previsioni del FMI accreditiinfine, una classe media emergente no la Nigeria a un +7% del PIL (con un’inflazione stabile tra il 7% e l’8% e con solidi livelli di consumo. Cos’hanno invece in comune i un attivo della bilancia corrente del 3,7% del PIL nel 2014, nonché con MINT? Per essi vale quanto appena un debito estero di soli 6,5 detto per i MIST, ed è stata miliardi di dollari, che vale soltanto sostituita la Corea il 2,5% del PIL e un dedel Sud con la Nigeria, bito pubblico al 18%), che ha 170 milioni di La crescita il Paese continua ad abitanti (30% del toeconomica è molto essere una “energy tale dei Paesi MINT) economy” dove il pee un’età compresa trolio determina il tra i 15 e i 35 anni. La e quindi soggetta a 70% del PIL. La Nigeragione della sostituelevata volatilità ria presenta, inoltre: zione della Corea del un tasso di disoccupaSud è legata alle diffizione del 24% e una disoccoltà di Seoul: quarta ecocupazione giovanile del 54% nomia dell’Asia - un PIL di (come Spagna e Grecia); un indice 1.130 miliardi di dollari, 50 milioni di abitanti e un reddito pro-capite di di disuguaglianza del coefficiente di 22.670 dollari nel 2012 - la Corea ha Gini pari a 49; una popolazione al di sperimentato molto, essendo essen- sotto della soglia di povertà del 46% zialmente esportatore di beni finiti. La (secondo la proporione del Poverty Hesua crescita economica è stata impo- adcount Ratio); infine, un’aspettativa di nente, con un tasso medio annuo di ol- vita di 52 anni. Questi numeri danno un’idea di tre il 7%, fino allo scoppio della Grande Recessione, che è conseguenza del- quanto poco inclusiva sia stata la crela crisi dei mutui sub-prime americani. scita del Paese e possono, almeno in La crescita economica ha dunque tra- parte, dar conto dei gravi fenomeni di sformato un Paese paragonabile a mol- terrorismo che si verificano nel delta ti stati africani e asiatici di oggi, in del Niger (come i paramilitari del un’economia tra le più diversificate e MEND, Movimento per l’emancipatecnologicamente avanzate del mondo zione del Delta del Niger) e nel Nord(la composizione del PIL, pari al 2% Est (come i terroristi di Boko Haram). del PIL mondiale, rivela che i servizi Non va poi dimenticato che la Nigepesano per oltre il 57,6%, l’industria ria, pur avendo evitato il collasso RECENTE m.I.N.T. economico dovuto alla grave crisi bancaria del 2009, continua a presentare elevate criticità e debolezze nel sistema finanziario - corruzione, asseti proprietari non chiari, governance debole, eccetera - che necessitano di riforme profonde e durature, come richiede il FMI. Anche Messico, Indonesia e Turchia presentano luci e ombre: petrolio e manodopera per le imprese americane, ma anche corruzione e criminalità (è il caso del Messico); una popolazione di 250 milioni con un’età media di 25 anni, ma grandi problemi legati all’urbanizzazione (Indonesia); 74 milioni di abitanti con un’età media di 25 anni e posizione di cerniera tra Europa e Asia, ma un’elevata inflazione, una disoccupazione al 9,7% e un deficit della bilancia corrente del 7,5% del PIL (Turchia). Inoltre, occorre ricordare che stiamo parlando di Paesi la cui imponente crescita economica è un fenomeno molto recente, quindi soggetto a elevata volatilità, in dipendenza delle condizioni mondiali dei mercati. Non va inoltre dimenticato che, mentre un anno fa si esultava per i dati che mostravano il dimezzamento della popolazione mondiale che vive al di sotto della soglia di povertà (dal 38% al 19% del totale, pari a oltre un miliardo di individui), oggi molti analisti ritengono che un miliardo di individui, appena giunti a far parte della classe media (bassa) possano essere ricacciati indietro verso la sopravvivenza o peggio l’indigenza, per il perdurare della crisi economica e la crescita della disuguaglianza. Infatti, la stabilità economica di oltre 2,8 miliardi di persone (pari al 40% della popolazione mondiale) che vive con un reddito compreso tra 2 e 10 dollari al giorno e quella di un miliardo di individui con un reddito compreso tra 2 e 3 dollari al giorno, appare oltremodo fragile e precaria. Concludendo, come suggerisce lo stesso Bill O’Neill, andrebbe tenuto in conto che BRICS e MINT sono “concetti economici e non argomenti d’investimento [...] e non sono indipendenti dal ciclo economico ma vanno considerati nel breve periodo”. Infine, non è da trascurare il fatto che, in un investimento, il fattore tempo è essenziale (ad esempio, il Fondo Goldman BRICS ha perso valore negli ultimi tre anni, ma ha segnato un +3,26% annuo da quando fu lanciato). Quindi, come ricorda ancora O’Neill, “se uno ha investito nei BRICS per la prima volta nel 2008 non ha motivo di esserne felice, ma se ha investito alla loro collocazione, allora deve esserne molto contento”. Gli acronimi più o meno noti MINT non è che l’ultimo di una serie di acronimi usati per indicare gruppi di Paesi, e dal 2001 ha avuto altalenante fortuna sui media. Tra i vari gruppi di Paesi “vittime” delle abbreviazioni, si ricordano: i MAVINS (Messico, Australia, Vietnam, Indonesia, Nigeria e Sud Africa), introdotto dal sito web Business Insider nel 2010; i CIVETS (Columbia, Indonesia, Vietnam, Turchia e Sud Africa) coniato da HSBC Global Asset Management nel 2011; i CARBS (Canada, Australia, Russia, Brasile e Sud Africa) usato dalla Citigroup nel 2011; i CASSH (Canada, Australia, Singapore, Svizzera e Hong Kong) dovuto al fondo BlackRock nel 2011; per finire i MIKT o MIST (Messico, Indonesia, Sud Korea e Turchia), ancora opera di O’Neill e della Goldman & Sachs nel 2012. Com’è evidente, la paternità delle denominazioni appartiene alle grandi banche e ai grandi fondi d’investimento. L’ascesa dei MINT (trilioni di dollari) Prodotto Interno Lordo 2050 (stime) Prodotto Interno Lordo 2012 16,24 USA 8,23 Cina 5,96 Giappone 3,43 Germania 2,61 Francia 2,47 Regno Unito 2,25 Brasile 2,01 Russia 2,01 Italia 1,84 India 1,82 Canada 1,53 Australia 1,32 Spagna 1,18 Messico 1,13 Corea del Sud 0,88 Indonesia 0,79 Turchia 0,26 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 Nigeria 39 Cina USA India Eurozona Brasile Russia Giappone Messico Indonesia Regno Unito Francia Germania Nigeria Turchia Egitto Canada Italia 52,62 34,58 24,98 22,51 9,71 8,01 7,37 6,95 6,04 5,69 5,36 5,22 4,91 4,45 3,61 3,47 3,42 Fonte: World Bank, Goldman Sachs LOOKOUT 5 - maggio 2014 21 ECoNomIA Duello in America Latina Aumentano le quotazioni del Messico per la conquista della leadership economica in Centro e Sud America. L’intervista all’ambasciatore in Italia miguel Ruíz-Cabañas mESSICo | di Rocco Bellantone N ella sfida tra i capifila dei BRICS e dei MINT recentemente il Messico è apparso più in forma rispetto al Brasile. Parlare di sorpasso nella corsa alla leadership latinoamericana è azzardato. Nonostante qualche frenata entro la fine del 2014, l’economia messicana dovrebbe mantenere il segno positivo tra il 3 e il 3,5%, mentre stando alle previsioni di FMI ed Edymar projections nel 2050 sarà l’ottavo Paese più produttivo del pianeta. La stabilità del presente messicano si riflette nel pragmatismo del presidente Enrique Peña Nieto, il quale ha puntato su un’azione di contrasto al narcotraffico più mirata rispetto al suo predecessore Felipe Calderón. Il presidente inoltre ha varato una serie di riforme strutturali nei settori dell’energia, del fisco e delle telecomunicazioni. A raccontare il nuovo corso messicano è Miguel RuízCabañas, ambasciatore del Messico in Italia dal settembre 2011. Quali risultati potranno essere ottenuti con il cambio di passo voluto dal presidente Peña Nieto? 22 LOOKOUT 5 - maggio 2014 Chi è Miguel Ruiz-Cabañas Izquierdo Nato a Città del Messico il 12 gennaio 1957, è stato ambasciatore in Giappone dal 2004 al 2011, rappresentante permanente del Messico presso l’Organizzazione degli Stati Americani, responsabile dell’Ufficio Affari migratori e di frontiera dell’Ambasciata del Messico negli Stati Uniti, responsabile della Cooperazione contro il narcotraffico e degli Affari sociali e umanitari nella Missione permanente del Messico alle Nazioni Unite. Città del Messico Celebrazione del centenario della Rivoluzione Messicana (1910) m.I.N.T. Gli esperti economici internazionali prevedono una grande fase di crescita per il Messico per effetto delle 14 riforme costituzionali che verranno approvate entro il primo semestre di quest’anno. Il nostro Paese rappresenta una piattaforma ideale per la produzione e l’esportazione di prodotti di tutto il mondo verso i mercati del Nord, del Centro e del Sud America. Abbiamo accordi di libero scambio con 45 Paesi che rappresentano più del 60% del PIL globale. Siamo in ottimi rapporti con Stati Uniti e Canada ma anche con la Cina, che è il nostro secondo partner commerciale, e con i Paesi del Golfo e dell’est asiatico. Messico, in modo da essere più efficaci e arginare un altro fenomeno grave come quello della corruzione all’interno delle istituzioni. Inoltre, la gestione dei vigilantes (gruppi di autodifesa, ndr) nello stato di Michoacán è stata molto positiva, considerato che hanno contribuito a fermare l’avanzata del cartello dei Templari. Dopo il primo accordo tra il presidente Peña Nieto ed Enrico Letta, toccherà al premier italiano Matteo Renzi porterà avanti il processo di cooperazione tra Messico e Italia. È fiducioso? Abbiamo la piena certezza del fatto che i rapporti continueranno a essere positivi anche con Renzi. La sfida è trasformare la simpatia e la stima reciproca tra i due Paesi in un’alleanza strategica. Sul piano economico, i due Stati sono perfettamente complementari: noi possiamo fare da ponte per l’Italia in America Latina e l’Italia per noi in Europa. Qual è il rapporto tra Messico e Brasile in America Latina? Il Brasile è il primo socio commerciale del Messico in America Latina. Noi, insieme a Cile, Perù e Colombia, abbiamo formato l’Alleanza del Pacifico, un’unione tra Paesi che credono nell’importanza del libero scambio e di cui presto potrebbero entrare a far parte anche Panama e Costa Rica. Il Brasile fa parte del MERCOSUR (Mercato Comune del Sud America) e ha un maggiore controllo sul proprio mercato. Possiamo comunque incrementare il commercio e gli investimenti. Come valuta il piano d’azione del governo per contrastare i cartelli della droga? Il governo Peña Nieto ha deciso di colpire le organizzazioni criminali con colpi chirurgici e l’arresto del Chapo (Joaquín Guzmán, leader del cartello della droga dei Sinaloa, ndr) ne è una dimostrazione. Il problema è riuscire a coordinare i vari corpi di polizia federale dei 32 Stati del Dopo un monopolio di Stato che durava dal 1938, il governo permetterà ai privati e alle compagnie straniere di investire nel petrolio e nel gas messicano. Perché questa riforma? L’obiettivo è sviluppare anche il settore dello shale gas. Gli Stati Uniti sono certamente i pionieri, ma il Messico dispone di una grandissiEconomia messicana ma riserva e con questa riPIL trimestrale* Indice di fiducia dei consumatori forma potremo attrarre Percentuale anno per anno Percentuale mensile investitori esteri e disporre di nuove tecnologie. 7 Ma sono in crescita anche altri settori. Siamo gli otta- 6 vi produttori di auto al 5 Feb 86% mondo e il quarto esportatore dopo Germania, 4 Giappone e Corea del Sud. Con un’operazione da più 3 di un miliardo di dollari, 2 Fiat Chrysler ha dimostraIV** to quali opportunità può 1 0.7% offrire il nostro Paese. 0 PER SAPERNE DI PIÙ WWW.LOOKOUTNEWS.IT/PAESE/MESSICO 100 95 90 85 80 75 70 65 I II 2010 III IV I II 2011 III IV I II 2012 Fonte: Mexico’s national statistics agency INEGI III IV I II 2013 * Al prezzo di mercato III IV I 2014 ** Preliminare LOOKOUT 5 - maggio 2014 23 ECoNomIA Dopo un boom economico durato un decennio, l’economia indonesiana rallenta e cominciano a emergere elementi di criticità rilevanti. Se il futuro Presidente fallirà il programma di riforme strutturali, questo influirà pesantemente sull’andamento dei prossimi anni INdoNESIA | di Cristiana Era L’ Luci e ombre su KUALA LUMPUR 24 LOOKOUT 5 - maggio 2014 Indonesia è la maggiore economia del sudest asiatico. La crescita sostenuta degli ultimi anni - con una media superiore al 6% tra il 2008 e il 2012 e un non grave impatto della crisi del 2009 sull’economia rispetto al generale contesto internazionale - non è sfuggita all’attenzione di economisti e analisti, che ne hanno evidenziato le potenzialità di sviluppo e l’hanno prontamente inserita nel gruppo delle economie emergenti a forte crescita. Una discutibile pratica che periodicamente si ripete e che ci ha già presentato le Tigri asiatiche negli anni Novanta, poi i BRICS, seguiti dai CIVETS e adesso i MINT come ultima etichetta per il nuovo blocco di Paesi emergenti. Tra gli appartenenti a quest’ultima categoria, l’Indonesia presenta un quadro politico stabile, con un sistema democratico generalmente ritenuto consolidato dopo la caduta della dittatura di Suharto sedici anni fa. In dieci anni, il presidente Susilo Bambang Yudhoyono, più noto come SBY, ha messo in atto politiche di consolidamento della democrazia, di leadership regionale e di crescita economica, ma le elezioni parlamentari dello scorso 9 aprile hanno mostrato tutta la stanchezza dei cittadini nei confronti della vecchia classe politica e il desiderio di un rinnovamento che ad oggi è impersonato da una nuova figura politica, Joko Widodo, membro del Partito Democratico di lotta (PDI-P) e attuale popolarissimo m.I.N.T. governatore di Giacarta. in numerosi altri PaeE proprio su Widodo sosi, la contrapposiziono più alte le aspettative ne fra comunità sunChi è nazionali e internazionanite e sciite. li di vittoria alle prossime È probabile dunque Susilo Bambang ridurre presidenziali di luglio. che la nuova amminiYudhoyono la dipendenza Per poter mantenere strazione, che non Conosciuto anche con l’acronimo una crescita sostenibile dalle esportazioni s’insedierà prima di SBY, è l’attuale Presidente anche in futuro, il nuoottobre 2014, si condelle materie dell’Indonesia, il primo eletto vo presidente dovrà fare centri principalmente democraticamente dopo decenni prime i conti con alcune criticisulle questioni interdi dittatura militare. 64 anni, tà, sia a livello economine, accantonando i membro del Partito Democratico co che politico e sociale. Il Paese ha ur- grandi temi di politica estera e delu(PD, Partai Demokrat), è in carica dall’ottobre del 2004, gente necessità di migliorare le infra- dendo le aspettative di quanti invece avendo ottenuto il secondo mandato strutture e investire nel settore indu- vedono l’Indonesia quale prossimo atnel luglio 2009, con il 60,8% striale, nella formazione e nell’istruzione, tore globale che influirà sulle politidei voti al primo turno. per poter ridurre la dipendenza dalle che regionali come leader dei Paesi esportazioni di materie prime e dalla dell’ASEAN, l’Associazione delle Navolatilità del loro prezzo sui mercati in- zioni del Sudest asiatico su cui vengoternazionali. Il progressivo indeboli- no riposte molte speranze. mento della rupia (che nel solo 2012 ha perso il 6% del valore e nel 2013 non ha migliorato il trend al ribasso) L’Indonesia dei minerali ha aumentato i costi delle importazioni Esportazioni e generato pressioni inflazionistiche, CARBONE RAME BAUXITE E NICKEL Milioni di tonnellate Migliaia di tonnellate Milioni di tonnellate oltre ad aver provocato una fuoriuscita 40 200 20 di capitali. Ma i problemi maggiori soBauxite no derivati dal settore del petrolio e del Nickel gas. Pur essendo stato un Paese espor30 150 15 tatore di greggio e di gas naturale, la carenza degli impianti di raffinazione 20 100 10 ha costretto l’Indonesia a importare petrolio raffinato, e con la drastica riduzione nel 2013 della produzione sia 10 50 5 di greggio che di gas naturale si ritrova adesso in deficit energetico. 0 0 0 G F M A MG L A S O N D G F M A MG L A S O G F M A MG L A S O N D G F M A MG L A S O G F M A MG L A S O N D G F M A MG L A S O A livello sociale, poi, occorrerà com2012 2013 2012 2013 2012 2013 battere contro la corruzione e la povertà, entrambe ancora a livelli troppo Giacimenti Carbone Bacini di Carbone Vene d’oro (Epithermal) Oro Nickel Quarzo Rame Giacimenti VMS* alti, nonostante i passi in avanti degli ultimi anni. La nuova amministrazione THAILANDIA FILIPPINE 200 miglia BRUNEI dovrà inoltre preoccuparsi dei ripetuti 200 km MALESIA Oceano abusi da parte delle forze armate e delSUMATRA Pacifico SINGAPORE l’impunità dei loro vertici che, pur responsabili di violazioni dei diritti umaKALIMANTAN Padang ni, rivestono ancora ruoli di primo piaSULAWESI IRIAN no nella politica nazionale. Infine, il JAYA governo dovrà tenere d’occhio la crescita dell’intolleranza religiosa, che I N D O N E S I A Oceano Jakarta JAVA Indiano per il momento non si è rivelata un fattore destabilizzante ma lo potrebbe diKupang *VMS - Volcanogenic massive sulfide (soprattutto rame, zinco e piombo) ventare presto, in particolare se si accentuerà, come già vediamo accadere Fonti: Bank of Indonesia; Southern Arc; NuEnergy; Le Monde Diplomatique È UNA pRIoRITà LOOKOUT 5 - maggio 2014 25 ECoNomIA Un Paese da primo piano La Nigeria aggiorna il suo PIL e diventa la prima economia del continente africano: ma non è tutto oro quel che luccica NIgERIA | di Dario Scittarelli La Nigeria ne ha 177 milioni, il Sudafrica 48: alla partita del PIL pro capite, dunque, Città del Capo batte Abuja 7.300 a 2.800. Dollari, questi, che sepi chiama rebasing e indica la revisione del vapure non standardizzati in base al loro lore del PIL di una nazione ai prezzi di un effettivo potere d’acquisto, ridimennuovo anno di riferimento, definito, per l’apsionano molto il primato nigeriano. punto, base year. La Nigeria ha portato a terMa aggiornare il PIL - specie se, mine questo non semplicissimo esercizio stacome in questo caso, si colma dall’oggi tistico il mese scorso, aggiornando il suo prodotto inal domani un gap ventennale - signifiterno lordo dai prezzi del 1990 a quelli del 2010. Il 6 ca anche far entrare nel calcolo attiviaprile il National Bureau of Statistics nigeriano ha tà che prima non esistevano e per le quindi finalmente rivelato il numero magico che espriquali, quindi, i prezzi non c’erano. me il valore complessivo dei suoi beni e servizi nel Prima fra tutte, il settore della telefo2013. Ebbene, si tratta di ben 510 miliardi di dollari: nia mobile che, con oltre dieci operaprima della rettifica - ovvero ai prezzi del 1990 - il PIL tori e la cifra record di 129 milioni di della Nigeria era di circa 270 miliardi di dollari. L’aglinee attive, ha in Nigeria il suo più giornamento al 2010, in buona sostanza, ne ha quasi grande mercato d’Africa. Oppure anraddoppiato il valore, trasformando la patria dei terrocora Nollywood, la fiorente industria risti di Boko Haram nella prima economia del contidel cinema nigeriano, seconda solo a nente africano. Bollywood per numero di E così, in termini assoluti di PIL, Nigefilm prodotti. Due aree ria batte Sudafrica 510 a 350. Unico Paeche contribuiscono a inse africano a far parte del circolo elitario crementare notevoldei G20, il Sudafrica passa sorprendenmente il peso dei servizi temente dal vertice della classifica alla nella composizione del seconda posizione: un emergente dei i nigeriani che prodotto interno lordo BRICS scalzato da un ancor più giovane MINT. Ma le cose cambiano se si affianca vivono con meno di nigeriano. quindi, moal prodotto interno lordo delle due naun dollaro al giorno straIl rebasing, oggi una Nigeria zioni il rispettivo numero di abitanti. S 110 milioni Nella foto: un set cinematografico di Nollywood 26 LOOKOUT 5 - maggio 2014 m.I.N.T. che fonda quasi metà della sua economia sul terziario. La vecchia fotografia del Paese presentava invece - per lo stesso anno, e cioè il 2013 - una nazione in cui i servizi costituivano solo il 30% del PIL. Ma c’è dell’altro: all’espansione del terziario si è contrapposta una riduzione del settore industriale, che è passato dal 35% (base year 1990) al 25% (base year 2010). In questo 25% sono inclusi anche petrolio e gas, che oggi ammontano al 14% del PIL: nei precedenti calcoli le due voci superavano il 30%. L’economia nigeriana, dunque, nella sua versione riveduta e corretta, appare molto più diversificata rispetto al ritratto 2013 basato sui valori di vent’anni fa: ciò la rende più immune a eventuali shock esterni, quale potrebbe essere, ad esempio, un crollo dei prezzi del petrolio se il Paese fosse, come appariva prima, una oil-based economy. A conti fatti, però, con i continui attentati di Boko Haram, la corruzione ormai endemica e un indice di sviluppo umano tra i più bassi del pianeta, tutto questo fragore attorno al nuovo PIL della Nigeria appare un po’ velleitario. Come ha commentato Bismarck Rewane, noto analista finanziario nigeriano: “La popolazione del Paese non starà meglio domani grazie a questo annuncio. Non ci saranno più soldi sui loro conti correnti né più cibo nelle loro pance. È una notizia che non cambia niente”. E con oltre 110 milioni di persone che vivono al di sotto della soglia di povertà - ovvero con meno di 1 dollaro e 25 centesimi al giorno - non si può che dargli ragione. Una crescita imponente Attentati di Boko Haram Mappa degli attentati 2010-2014 10 Non è ancora chiaro se la crescita della popolazione nigeriana aumenterà le prosperità del Paese o ne determinerà una maggiore povertà. Chibok 14-4-2014 Uomini armati rapiscono nella notte oltre 200 studentesse di un istituto superiore 50 100 200 Ciascun punto giallo indica un attacco del gruppo islamista: più grande è l’area, maggiore il numero di vittime. Colori più scuri evidenziano attacchi multipli nella stessa zona. POPOLAZIONE DELLA NIGERIA 200 milioni di persone Aree in cui vige lo stato di emergenza 100 50 Percentuale under 15 (2012) Tasso medio di fertilità (2012) 44% 5,6 0 1960 ’70 ’80 ’90 ’00 ’10 PAESI PIÙ POPOLATI AL MONDO Popolazione in milioni (stime) 1.350 250 200 180 1.240 315 155 175 2012 2050 1.685 India 1.270 Cina 400 390 U.S.A. Nigeria Indonesia Fonte: The World Bank; Population Reference Bureau I militanti del movimento islamista Boko Haram (in italiano “la cultura occidentale è peccato”) lottano per instaurare uno Stato islamico nel nord della Nigeria. Si stima che il bilancio degli attentati da parte del gruppo terroristico raggiunga oggi le 6.000 vittime. Gli attacchi sono incrementati da quando il presidente Goodluck Jonathan ha dichiarato lo stato di emergenza nelle aree settentrionali del Paese, nel maggio 2013. 290 Pakistan Brasile Bangladesh 275 220 190 Fonte: ACLED (Armed Conflict Location and Event Data), Raleigh, Clionadh, Andrew Linke, Havard Hegre and Joakim Karlsen; Reuters LOOKOUT 5 - maggio 2014 27 ECoNomIA Le candidature alle elezioni, le riforme del mercato del lavoro e del sistema fiscale, la nuova costituzione. Per realizzare queste sfide ci vuole personalità TURChIA | dal nostro corrispondente a Istanbul Giuseppe Mancini N onostante tutto, la Turchia continua a crescere: +4,4% nell’ultimo quarto del 2013, +4% su base annua; inoltre, la disoccupazione a gennaio è scesa al 9,1% e il deficit delle partite correnti esploso in passato - è stato sensibilmente ridotto. L’andamento soddisfacente dell’economia ha aiutato non poco il Partito della giustizia e dello sviluppo (Akp) e il suo leader Recep Tayyp Erdogan a vincere nettamente le elezioni amministrative del 30 marzo, con il 45% circa dei consensi. Ma lo “scandalo corruzione” del 17 dicembre, che ha travolto ben quattro ministri e coinvolto il gruppo di potere vicino al premier, ha avuto un impatto significativo: svalutazione della 28 LOOKOUT 5 - maggio 2014 lira turca e conseguente inagosto e per le successive flazione volata oltre l’8%, AbdULLAh politiche (previste per il gÜL hanno significato nelle urne 2015). Una strategia sudue milioni di voti in meno bordinata a un livello di è da per l’Akp, cioè un calo di voti - il 50% - simile a quasi il 6% rispetto alle poli- escludersi che quella del 2011: “Erdoil presidente gan nuovo presidente, tiche del giugno 2011. Ne è convinto anche Seyelezioni politiche anticipapossa fettin Gürsel, direttore del te, e ampia maggioranza proporsi Centro per le ricerche ecodi seggi per approvare la come rivale riforma in senso presidennomiche e sociali dell’Università Bahçe ehir (Betam) di Erdogan ziale, ancora osteggiata in ed editorialista di Today’s questa legislazione dalle Zaman: “Gli elettori guardaopposizioni”. no alla loro condizione personale più Erdogan resta comunque il grandische alle statistiche, e nell’ultimo de- simo favorito: “È da escludere che l’atcennio ad esempio c’è stato un gran- tuale presidente Abdullah Gül possa de miglioramento nelle condizioni proporsi come rivale e candidati delle delle fasce più deboli della popolazio- opposizioni di uguale carisma non ce ne, sia in termini di reddito pro capite ne sono, quindi in un eventuale secondo - che dal 2002 è triplicato - sia di servi- turno potrà beneficiare della desistenza zi pubblici”. Il risultato finale delle di almeno parte dell’elettorato curdo e amministrative, secondo il professor nazionalista”. Servirà un passaggio ulteGürsel, ha fatto però saltare la strate- riore per realizzare il piano: la riforma gia dell’Akp per le presidenziali del 10 della legge elettorale, uninominale m.I.N.T. ATATURK GÜL ERDOGAN Gli uomini-simbolo della Turchia contemporanea all’inglese o collegi ristretti a cinque deputati, così da dare all’Akp (basterebbero rispettivamente il 42% o il 45%) la maggioranza qualificata in seggi richiesta per approvare autonomamente una nuova costituzione. Gli scenari rimangono invece aperti su chi sostituirà Erdogan come primo ministro e come presidente del partito: verranno comunque scelte personalità in grado di lavorare con lui in armonia, così da preservare la stabilità. Superata questa fase delicata, con quattro anni senza elezioni dopo quelle del 2015, l’esecutivo si dedicherà con ogni probabilità a realizzare nuove riforme strutturali, quelle “necessarie a far ripartire definitivamente l’economia ma impopolari, già pronte ma bloccate dal premier”. Quali? Essenzialmente quelle del mercato del lavoro e del sistema fiscale, il primo “troppo rigido” e il secondo “sbilanciato verso le imposte indirette e incapace di combattere la diffusa evasione”. Per fare il definitivo salto di qualità e trasformarsi in economia pienamente sviluppata, la Turchia ha però bisogno anche di altro: “Investire con più convinzione nella ricerca e nell’innovazione, visto che al momento solo il 4% delle esportazioni sono ad alto contenuto tecnologico; riformare in modo radicale il sistema scolastico, che oggi forma le élite in modo eccellente ma è nel complesso molto indietro rispetto alla media Osce; colmare il gap di sviluppo tra regioni occidentali e orientali, grazie alla definitiva pacificazione del sud-est a maggioranza curda; ridurre la dipendenza energetica grazie al nucleare e alle altre fonti rinnovabili; insistere nei negoziati di adesione all’Unione Europea e tornare ad assumere un ruolo pienamente stabilizzatore nelle sue periferie”. Infatti, secondo i dati elaborati da Seyfettin Gürsel, “la crescita dell’economia turca è di bassa qualità”. Quella del 2013, ad esempio, è stata determinata quasi esclusivamente dalla domanda interna e dalla spesa pubblica, mentre solo in misura minima dagli investimenti privati e dalle esportazioni. Più in generale, “il mantenimento di alti livelli di occupazione comporta una produttività mediamente bassa” e la stessa “competizione sui mercati esteri è basata soprattutto sul prezzo, con conseguenze deleterie sull’inflazione”. Il 2015 sarà dunque un anno-chiave. Non solo per le riforme strutturali e per la nuova costituzione. Ankara, infatti, spera di ottenere un nuovo mandato per il biennio 2015-2016 al Consiglio di sicurezza dell’ONU e, in ogni caso, sarà presidente di turno del G20. Inoltre, è impegnata in un gruppo informale - il MIKTA, fondato nel 2013 - insieme a Messico, Indonesia, Corea del sud e Australia. Tre MINT su quattro, insomma. Democrazie ed economie aperte che puntano per la propria crescita sulla liberalizzazione degli scambi e sull’attrazione d’investimenti esteri, partner congeniali per la “nuova” ed emergente Turchia. LOOKOUT 5 - maggio 2014 29 ECoNomIA L’opINIoNE L’era dei MINT: e l’Italia che fa? Alan friedman Esperto di economia, autore del libro Ammazziamo il gattopardo (Rizzoli) D opo l’ascesa dei BRICS da qui ai prossimi cinquant’anni emergeranno nuovi mercati. Alcuni come quelli africani sono già in rapida crescita. Sono tutti mercati con cui l’Italia può e deve relazionarsi per garantire un alto livello di competitività alla propria economia. La domanda interna e le opportunità offerte dai Paesi dell’Asia, del Medio Oriente, del Sud America e del Nord Africa stanno infatti aumentando sensibilmente e noi per queste aree del mondo siamo garanzia di qualità. L’Italia d’altronde continua a essere un Paese importante. È la terza economia in Europa, seconda nel settore manifatturiero, ha un Made in Italy che fattura 400-500 miliardi di euro l’anno. Il problema è che rimane un Paese spaccato a metà tra conservatori e progressisti. Per cambiare servono le riforme, ci vuole un rinnovamento della classe dirigente, delle banche e delle imprese, occorre snellire il sistema burocratico e migliorare quello giudiziario, serve un elettroshock che vada oltre il job act proposto dal premier Renzi. Un’Italia ben governata, in maniera razionale e trasparente, può riemergere sicuramente e non essere più il fanalino di coda come è accaduto negli ultimi anni. 30 LOOKOUT 5 - maggio 2014 Elio pariota Direttore Generale della Università telematica Pegaso Q uando parliamo di macro-aree, dietro ogni sigla vi è sempre un fermento di economie, di idee e innovazioni che riconfigurano il posizionamento degli Stati su scala globale. I MINT sono soltanto una parte del grande processo di cambiamento che sta scuotendo molti mercati emergenti. Essi rappresentano delle aree connotate da un costo del lavoro estremamente contenuto rispetto agli standard europei e statunitensi, con un importante incremento del PIL pro-capite e una sorprendente pianificazione economica. C’è poco da meravigliarsi, dunque, che - mano a mano che il processo di globalizzazione si compie - si assista a un avvicendamento e a una sostituzione delle sigle che impongono nuovi attori sul proscenio internazionale, anche se è ancora presto per dire che i BRICS hanno terminato il loro percorso di crescita. In questo generale riposizionamento, l’Italia dal punto di vista strettamente economico resta una potenza globale: è la seconda potenza manifatturiera d’Europa, la terza economia dell’Eurozona, il settimo esportatore al mondo. Viceversa, sul piano politico non riesce a condizionare in alcun modo l’agenda internazionale: da un lato appare fragile all’interno della stessa Unione Europea, stretta dall’asse franco-tedesco; dall’altro è indirettamente risucchiata dalla perdita di quel potere economico - e in parte geopolitico che la stessa Europa sconta nei consessi di livello globale. ALL NEWS ECoNomIA REgNo UNITo CINA Pechino si prende il rame peruviano Storico anniversario anglo-francese Ventesimo compleanno per il tunnel della Manica. Nel maggio del 1994 il collegamento sottomarino tra Inghilterra e Francia venne inaugurato dalla regina Elisabetta II e dal presidente francese Francois Mitterrand. C on un investimento di 6 miliardi di dollari la Cina è diventato il primo Paese a sfruttare il rame peruviano. A partire dal 2015 le trivelle della compagnia di Stato China Minmetals entreranno in funzione nel giacimento “Las Bambas”, il più grande situato nel Paese sudamericano. L’obiettivo con questa operazione è coprire il 13% dell’intero fabbisogno nazionale cinese. pAESI bASSI Multa salatissima per aver eluso l’embargo fRANCIA Il primo aereo a energia elettrica L a compagnia aerea Carlson Wagonlit Travel (CWT), con sede in Olanda ma con soci di maggioranza americani, dovrà pagare quasi 6 milioni di dollari per aver eluso l’embargo in vigore su Cuba e aver venduto 44.400 biglietti da e verso L’Avana. È planato sopra Bordeaux, nel sud ovest della Francia, il primo aereo al mondo interamente alimentato da energia elettrica. Il velivolo si chiama E-Fan, è stato progettato da Airbu, è lungo poco più di 6 metri e può raggiungere una velocità massima di 220 km/h. Presto potrebbe offrire viaggi in aereo più silenziosi, poco costosi e soprattutto meno inquinanti. SINgApoRE STATI UNITI Patto con gli USA contro gli evasori fiscali Coca Cola elimina l’ingrediente incriminato E ntro la fine del 2014 Coca Cola eliminerà dai suoi ingredienti gli oli vegetali bromua Repubblica di Singapore condividerà rati (i cosiddetti BVO), utilizzati per le becon gli Stati Uniti le informazioni sui convande a base di frutta e sportive come Fanta e ti depositati dai cittadini americani presso Powerade. La decisione è stata annunciata a sele sue banche. L’accordo rientra nel nuovo pial’età minima per guito di una petizione on line che già lo scorso no per la lotta all’evasione fiscale dell’agenzia aprire un conto anno aveva costretto anche la Pepsi a rimuoveamericana FATCA (Foreign Account Tax Comin banca in re lo stesso elemento. pliance Act), che entrerà in vigore a partire dal India primo luglio. 10 anni L LOOKOUT 5 - maggio 2014 31 do yoU SpREAd? VoCI dAL mERCATo gLobALE Qual è il reale valore dello spread italiano di B. Woods M entre il Governo del premier Matteo Renzi approva il Decreto sul Credito per i lavoratori dipendenti con redditi compresi tra gli 8.000 e i 26.000 euro per un ammontare complessivo compreso tra 160 e 640 euro per il 2014, il differenziale di rendimento tra i BTP decennali italiani e il Bund decennale tedesco (spread) segna valori prossimi a 160 (3,12% contro 1,51%), con un trend inequivocabilmente decrescente. Lo spread, ovvero il differenziale di rendimento tra i Titoli di Stato, comunica quella che i mercati finanziari ritengono sia la rischiosità relativa di un investimento in titoli del debito sovrano italiano rispetto a un equivalente investimento in debito sovrano tedesco, il Paese ritenuto più affidabile nell’intera eurozona. La valutazione dello spread è sostanzialmente simile a quella che si ricava dall’analisi del costo di un Credit Default Swaps o CDS, ovvero quella sorta di polizza assicurativa che gli investitori possono stipulare sui mercati finanziari non regolamentati (Over The Counter, OTC), in genere con una banca di quelle troppo grandi per fallire, per coprirsi contro il rischio di fallimento di uno Stato. Un CDS sul debito sovrano italiano a cinque anni viene sottoscritto a un prezzo attorno a 116 punti base, mentre il corrispondente contratto sul debito sovrano tedesco è attorno a 22. Quello per gli 32 LOOKOUT 5 - maggio 2014 USA è a 17, quello francese a 48, quello giapponese a 46, quello spagnolo a 94, a ben 138 quello cinese, e infine a oltre 452 quello greco (quello dell’Argentina è invece a 1.724). A ciò si aggiunge l’indicazione immediata sulla rischiosità relativa: investire nel debito sovrano italiano è considerato dai mercati appena più rischioso che investire in Spagna, ma meno che in Cina, ed è possibile valutare anche a quanto ammonta la probabilità annuale di default (PrDef) del Paese. Assumendo una perdita del 60% (40%) di quanto investito in caso di default, A quando i se il valore dei titoli acquistati è di 10.000 euro e il CDS costa 116 punti base, allora con una semplice formula: 10.000 x 0,6 x PrDef=117 (valore facoltre i dieci ciale titoli x perdita x anni? PrDef = Costo CDS), si ricava che la probabilità annuale di default è uguale a 1,9, ovvero una PrDef=2,9 con una perdita del 40% del valore facciale dell’investimento. Pur essendo indicatori che appartengono a due mondi non comunicanti, lo spread è il frutto delle contrattazioni sui mercati finanziari regolamentati, mentre il costo del CDS è frutto di negoziazioni sui mercati OTC, per definizione poco trasparenti quando non opachi. Allo stato attuale, questi due prezzi comunicano in modo coerente che gli investimenti nel debito sovrano dei Paesi dell’eurozona sono ritenuti TIToLI dI STATo PER SAPERNE DI PIÙ DO YOU SPREAD? - WWW.LOOKOUTNEWS.IT molto poco rischiosi - almeno da qui a cinque anni - e che anche gravi crisi di brevissimo periodo sono al momento non probabili, vista l’assenza d’inversione nella curva del costo dei CDS. Per l’Italia, questo favorevole scenario si traduce nella possibilità di ridurre ulteriormente il costo delle emissioni dei Titoli di Stato, pur in presenza di un rendimento reale positivo rispetto al tasso d’inflazione atteso. L’Italia si candida quindi, almeno nel breve periodo, a rappresentare un competitor efficace verso quei Paesi, come la Germania in area euro o la Svizzera, che presentano ormai rendimenti reali negativi. L’Italia può allora raccogliere quell’ingente massa di liquidità creata dalle politiche monetarie espansive di USA e Giappone, nonché dagli smobilizzi nei BRICS, non ancora sostituiti dai cosiddetti MINT nei portafogli dei grandi investitori, e finanziare a basso costo un allungamento della durata del proprio debito pubblico, attualmente poco superiore ai sei anni. A questo proposito, poiché i tassi d’interesse reali mondiali si muovono da tempo su terreni negativi e nulla sembra far presagire un’inversione di tendenza (almeno secondo le stime di aprile 2014 del World Economic Outlook, Fondo Monetario Internazionale) e poichè alla caduta della profittabilità degli investimenti reali - in particolare nell’eurozona, Giappone e Regno Unito - si va sovrapponendo l’eventualità di una sempre più probabile deflazione, sarebbe opportuno che la strategia dell’allieva di Bruno De Finetti, la dottoressa Maria Cannata, responsabile del Tesoro e custode del debito pubblico italiano, virasse con più decisione verso scadenze più lunghe (a quando titoli oltre i dieci anni?) e rendimenti più bassi. Probabilità di rischio default (CDS) 21 18 15 (%) 12 9 6 3 Fonte: Deutsche Bank Argentina Francia Germania Italia LOOKOUT 5 - maggio 2014 Apr 14 Mar 14 Feb 14 Gen 14 Dic 13 Nov 13 Ott 13 Set 13 Ago 13 Lug 13 Giu 13 Mag 13 0 Spagna 33 A dIRE IL VERo... IL moNdo ChE NESSUNo RACCoNTA di Alfredo Mantici “ I l Medio Oriente è una regione dove la percezione produce fatti concreti”. Nella nostra conversazione con Maurizio Molinari, il corrispondente della Stampa da Gerusalemme dice una grande verità, anche se illumina un versante negativo dei rapporti tra Israele e i suoi vicini-nemici. Il tema è che la percezione di pericolo può produrre reazioni militari. Ma l’analisi può essere sviluppata anche in senso positivo. È il caso delle relazioni tra Turchia e Israele, che sono arrivate vicino al punto di rottura quando nel maggio del 2010 le forze speciali israeliane hanno attaccato una flotilla di sei navi che tentavano di forzare il blocco di Gaza. Una delle sei navi, la Mavi Marmara, batteva bandiera turca e nell’assalto dei commandos israeliani persero la vita otto cittadini turchi e un cittadino americano. Dopo l’incidente, Israele rifiutò di porgere scuse ufficiali al governo di Ankara e questo reagì richiamando l’ambasciatore e congelando le relazioni con Tel Aviv. In un solo giorno, Israele ha perso il sostegno di uno Stato laico ma a maggioranza musulmana, che non soltanto nel 1949 aveva allacciato rapporti diplomatici e commerciali con il nuovo Stato ebraico, ma che nei decenni successivi aveva intessuto una rete di relazioni di tutto rispetto anche nel campo della cooperazione militare e dell’intelligence. Turchia-Israele: musi duri, ma qualcosa si muove Un indicatore tra i tanti della “percezione che produce fatti concreti” è dato dal crollo del flusso di turisti da Israele verso la Turchia negli ultimi quattro anni. Un crollo che si è ribaltato di colpo durante le ultime festività pasquali, quando in una sola settimana 6.300 turisti israeliani hanno trascorso le ferie in Turchia. Non solo, ma secondo la Turkish Airlines - che nonostante la crisi ha mantenuto i suoi otto voli al giorno da e verso Israele - stando al trend delle prenotazioni, nella prossima estate la Turchia vedrà l’afflusso di circa 250mila turisti israeliani, diventando la seconda meta preferita dopo l’Italia. Questo dato, insieme all’annuncio di una prossima riapertura delle ambasciate, sta ad indicare che al di là delle dichiarazioni di facciata i rapporti tra Israele e Turchia potrebbero tornare alla normalità con grandi effetti positivi per gli equilibri dell’intero scacchiere mediorientale, ma anche - come vedremo - con potenziali effetti positivi per quanto riguarda i rapporti tra Turchia ed Europa, resi ancora difficili dalla mancata soluzione del problema cipriota. Il premier turco Erdogan, pressato dalle esigenze elettorali e forse sotto l’influsso di personalissimi sentimenti antisemiti, negli ultimi mesi ha mantenuto 34 LOOKOUT 5 - maggio 2014 PER SAPERNE DI PIÙ A DIRE IL VERO - WWW.LOOKOUTNEWS.IT Dopo cinque anni di gelo le relazioni tra Ankara e Gerusalemme stanno tornando alla normalità. Anche se gli attori principali delle due parti ostentano una intransigenza di facciata alto il livello della tensione dialettica Israele-Cipro per la raccolta e fornitucontinuando a chiedere le scuse forra di gas al governo turco potrebbe mali del governo di Israele per l’incirendere Ankara molto più indipendente della Mavi Marmara, il risarcidente sul piano dell’approvvigionamento alle famiglie delle vittime e l’almento energetico di quanto non lo sia lentamento del blocco israeliano nei oggi, rafforzandone l’influenza politiconfronti di Gaza. Finora ha ottenuto ca all’interno di tutti i giochi mediopiena soddisfazione per le prime due rientali. Un accordo sul gas potrebbe condizioni: oltre alle scuse del suo goanche aprire la strada alla soluzione verno, il premier israeliano Netanyadel problema delle relazioni tra hu ha offerto un risarcimento di 23 Turchia e Unione Europea, favomilioni di dollari per i familiari dei carendo l’avvicinamento di Anduti. Sul blocco di Gaza ha dovuto kara a Bruxelles. Insomma, mantenere una linea di fermezza ancome dice Eli Carmon e per che perché Hamas negli ultimi mesi capire quello che succederà, non ha smesso di lanciare missili sul bisogna “studiare il linguaggio sud del Paese per continuare a far sencorporeo” di Erdogan, che è tire la sua presenza “militare” sul terrimolto più moderato e conciliantorio ebraico. te delle sue parole. I turisti È presumibile che Erdogan mantenisraeliani che la prossiga un atteggiamento intransigente alma estate affollemeno fino alle elezioni presidenziali ranno le spiagge del 14 agosto prossimo, per continuare turche forse ce ad assicurarsi il consenso degli elettori ne daranno la musulmani. Ma stando alle valuconferma. tazioni di analisti israeliani come Eli Carmon e di poUn litologi turchi come accordo sul Ceylan Ozbudak, dietro le quinte le cose stanno andando molto meglio di quanto potrebbe portare non appaia sul palcoscenico. Anche il mialla soluzione nistro degli Esteri della del problema parte turco-cipriota di Cipro è convinto che le relazioni tra Ankara e Gerusalemme siano destinate a migliorare. Un ruolo importante lo potrebbero giocare i giacimenti di gas sottomarino scoperti al largo delle coste cipriote e di quelle israeliane. Un accordo Mavi Marmara Il “Casus belli” che provocò l’interruzione dei rapporti diplomatici tra i due Paesi (31 maggio 2010). gAS LOOKOUT 5 - maggio 2014 35 gEopoLITICA LA CopERTINA La difesa dello STATO ISRAELE | a cura di Alfredo Mantici e Luciano Tirinnanzi 36 LOOKOUT 5 - maggio 2014 In un incontro esclusivo con Lookout News, l’ambasciatore dello Stato d’Israele in Italia Naor gilon analizza senza reticenze tutti i più delicati dossier del Medio Oriente. Dalla Siria all’Iran, dalla Palestina alle “Primavere Arabe”. In Medio Oriente, dopo le Primavere Arabe e la crisi siriana e nonostante i movimenti popolari, Israele resta l’unica democrazia in tutto lo scacchiere. Islam e democrazia sono dunque inconciliabili? La questione non è necessariamente relativa all’Islam, ma certo la situazione che viviamo in Medio Oriente dimostra che questa regione non è ancora pronta alla democrazia. Del resto, in Europa ci sono voluti secoli prima di ottenerla. Per una democrazia stabile servono elementi certi, come una forte economia e una popolazione non ridotta alla fame. E ancora, istruzione, stampa libera, diritti forti per le donne. Serve una classe borghese robusta e acculturata. Tutto ciò ancora manca. Quindi, non si tratta di Islam o non Islam, anche perché ci sono esempi di Paesi islamici democratici. Piuttosto la questione è legata a quanto accade in Medio Oriente e dal fatto che, per moltissimi anni, numerosi Paesi hanno vissuto sotto dittature che non hanno permesso loro un adeguato sviluppo né la presenza di partiti, sistemi legali forti o una stampa libera. Penso che, col tempo, se si permetterà a questi elementi di svilupparsi, vedremo fiorire la democrazia anche in Medio Oriente. LOOKOUT 5 - maggio 2014 37 gEopoLITICA a seguire ARAbIA SAUdITA Riad, potenza nucleare? IRAN Un satellite spia per gli Ayatollah gIoRdANIA La difficile missione diplomatica mEdIo oRIENTE L’arte saccheggiata e distrutta Le Primavere e la guerra civile in Ritiene che, quando le armi taceranno Siria sembrano aver depotenziato i e le tensioni interne saranno ricompopeggiori nemici di Israele. Hamas ste, Israele avrà maggiori chance di ed Hezbollah in particolare. È così? dialogo con i suoi vicini-nemici? Alcuni nemici di Israele sono diretPer rispondere, dobbiamo tornare al tamente coinvolti in Siria, ma non si discorso che facevamo prima: dipende può dire che siano diventati più debo- da come il Medio Oriente uscirà dalla li. Per esempio, di Hezbollah potrei crisi. Se avrà ottenuto più libertà, ci sadire il contrario e cioè che è diventato rà una grande possibilità per la pace in più forte. Certamente, concordo che Medio Oriente. Se il popolo della renel breve termine Hezbollah gione avrà migliori condizioni avrebbe maggiori problemi economiche e più emancipaa intraprendere nuovi atzione, ci sarà meno desiti ostili o a creare proderio di combattere e Il nostro blemi a Israele. Ma almeno spazio per problema lo stesso tempo stanl’estremismo. Questa no crescendo, hanè la speranza che dobno fatto esperienza biamo coltivare. Rie stanno ricevendo cordiamoci di Anwar nuovi armamenti, soSadat* in Egitto, che oggi lidificandosi come non era certo un demoè l’Iran esercito ben più di pricratico ma era un grande ma. Le faccio un esempio. leader che inseguiva e creCon l’aiuto dell’Iran, Hamas deva nella pace ed è stato uccie Hezbollah stanno migliorando la ca- so proprio per questa ragione. Questo pacità balistica dei loro missili e otte- dimostra che, alla fine, serve una certa nendo risultati tali che oggi sono in stabilità per raggiungere la pace. grado di arrivare più lontano e di colpire con più accuratezza di prima. In La stampa israeliana ha parlato di Libano, Hezbollah ha qualcosa come un progressivo riavvicinamento tra centomila razzi di diverso tipo, e que- Israele e la Turchia dopo le tensiosto è molto allarmante, soprattutto ni conseguenti all’incidente della perché l’esperienza ci dice che loro Mavi Marmara del 2010. Ritiene che mirano direttamente alla popolazione il dialogo tra Gerusalemme e Ankacivile. Dunque, non sono sicuro che il ra stia registrando progressi signipericolo sia diminuito. ficativi? In quale ambito? NUmERo UNo Mahmoud Ahmadinejad PER SAPERNE DI PIÙ WWW.LOOKOUTNEWS.IT/PAESE/IRAN *Presidente della Repubblica d’Egitto dal 1970 al 1981 **Presidente dell’Iran dal 1989 al 1997 38 LOOKOUT 5 - maggio 2014 Hassan Rouhani gEopoLITICA Voglio credere che sia così, e che la Turchia stia andando nella direzione giusta, ma dipende. Le cosiddette primavere arabe hanno portato Israele e Turchia ad avvicinarsi, ma questo è avvenuto perché abbiamo gli stessi interessi e siamo entrambi coinvolti. Certamente, spero che potremo metterci alle spalle l’affaire Mavi Marmara, così come spero che la direzione intrapresa dalla Turchia verso un Paese pluralistico e secolare continui. Del resto, due Paesi forti che non hanno origini arabe, potrebbero cooperare benissimo. Quale scenario a breve termine teme di più il vostro governo? L’Iran è il problema numero uno. Anche perché per lungo tempo è stato una minaccia diretta alla nostra esistenza. Certo, siamo preoccupati per tutto ciò che sta accadendo nel resto del Medio Oriente ma, in questo caso, sappiamo che quello che possiamo fare è limitato e semplicemente cerchiamo di non essere coinvolti. Poi c’è la Palestina, anche se oggi non è più il principale problema per l’intero Medio Oriente, mentre lo sono piuttosto le differenze tra sunniti e sciiti e le relative mancanze di democrazia e di sviluppo economico. Le tensioni dialettiche e le minacce reciproche tra Israele e Iran sono diminuite dopo l’insediamento del nuovo governo di Teheran. Il pericolo nucleare iraniano va scomparendo? Chiaramente, c’è un nuovo volto in Iran. Ahmadinejad era un “cattivo ragazzo”, mentre oggi abbiamo persone che in qualche maniera dialogano. Ma fondamentalmente, da quanto abbiamo avuto modo di capire, l’approccio dell’Iran non è affatto cambiato. Il problema di Israele è con il regime iraniano, che non è certo cambiato. La sua struttura, così come i Guardiani della Rivoluzione, sono gli stessi di prima. La nostra paura è la combinazione di questo regime con le capacità nucleari dell’Iran. Ad esempio, Rafsanjani** non era certo una persona estremista, eppure in passato disse che, data la dimensione limitata del nostro Paese, una sola bomba poteva distruggere Israele. Tutto è ancora così. Eppure il presidente Rouhani ha assicurato di volere il dialogo… Le persone sono distratte dal fatto che nel nuovo regime c’è una persona piacevole e non così pessima come Ahmadinejad, che era facile da disprezzare. Ma l’obiettivo non è cambiato e il regime insiste nel voler dotarsi della capacità nucleare. L’Iran oggi è sul punto di realizzare ben cinque o sei bombe nucleari. L’accordo con le sei superpotenze non va nella direzione di un’inversione di rotta. Ha semplicemente congelato alcune capacità, ma gli iraniani possono continuare in altra maniera. Questa è la nostra preoccupazione. Chi è Naor Gilon Classe 1964, Gilon è nel Ministero degli Esteri dal 1989. Già Ministro Consigliere presso l’Ambasciata d’Israele a Washington DC (2002-2005), è stato capo di Gabinetto del Ministro degli Esteri nel 2009 e Vice Direttore Generale per gli Affari dell’Europa occidentale sino al 2011. Dal 1° febbraio 2012 è Ambasciatore presso la Repubblica Italiana e di San Marino. Programma iraniano di arricchimento dell’uranio Processo di centrifuga Impianti di trattamento/arricchimento dell’uranio L’arricchimento avviene tramite la separazione dell’Uranio-238 dall’Uranio-235 TURKMENISTAN 4 1 Qom (Fordow) Ramandeh Natanz Lashkar-Abad Isfahan IRAQ Darkhouin 5 5 Tehran Rivestimento AFGHANISTAN Cilindro 2 3 2 IRAN Motore 100 miglia 100 km ARABIA SAUDITA 1 Gas di esafluoruro di uranio immesso nel cilindro rotante e centrifugato ad alta velocità Numero di centrifuge in IRAN Già attive Aprile 2007 Nov. 2008 Ago. 2009 Ago. 2013 Installate ma non attive 1,300 Numero totale delle centrifughe installate a partire da agosto 2013 3,800 4,592 3,716 10,000 8,000* * Comprende mille nuove centrifughe IR-2m, più avanzate rispetto alle attuali centrifughe 18,000 2 Le molecole più pesanti di Uranio-238 si raccolgono all’esterno del cilindro 3 Le molecole più leggere di Uranio-235 si raccolgono al centro del cilindro 4 Il gas arricchito di U-235 è pronto per la fase successiva 5 Il gas impoverito di U-235 torna alla fase precedente Fonte: Reuters; International Atomic Energy Agenc LOOKOUT 5 - maggio 2014 39 gEopoLITICA Noi non abbiamo un problema con l’Iran, ma con il nucleare dell’Iran. Non vogliamo che diventi una potenza nucleare e speriamo che l’accordo finale renda certa l’impossibilità per l’Iran di produrre simili armi e che non possa ricominciare con l’arricchimento dell’uranio. Comunque, questo non è l’unico problema con l’Iran, ne abbiamo altri. Quali? L’Iran è il più grande sostenitore del terrorismo in Medio Oriente e questo non è cambiato neanche sotto la presidenza Rouhani. Si veda la Siria, dove l’Iran protegge il regime e supporta Hezbollah, che è coinvolta nel conflitto grazie a loro. Inoltre, supportano Hamas e le minoranze sciite nel Golfo, così come armano i ribelli in Yemen. Giusto un mese fa abbiamo fermato una nave piena di armi che andava a Gaza. E poi penso ai diritti Missile Lunghezza Carico utile civili e umani, se non sbaglio l’Iran è il Paese che compie più esecuzioni di morte al mondo dopo la Cina. È ottimista circa gli accordi tra USA e Iran? Siamo speranzosi che gli americani e le altre potenze trovino una soluzione. Ma non siamo gli unici ad essere nervosi sul tema. Penso all’Arabia Saudita. I sauditi sono abbastanza grandi e forti per dire quel che pensano. Comunque, l’obiettivo dev’essere chiaro, non permettere che l’Iran raggiunga la capacità nucleare. Spero che quel che sta succedendo in Ucraina non produca effetti collaterali, visto che USA e Russia stavano collaborando in questo e altri settori. n.d. Sopra i 170kg* Siria/Iran Fajr-5 648,5 cm 175kg Iran WS-1E 294 cm 18-22kg Cina Grad 283 cm 18kg Iran/ Russia Qassam-4 244 cm circa 10kg Gaza/ West Bank Circa il processo di pace israelo-palestinese, qual è la vostra opinione sull’accordo Hamas-Fatah? Abu Mazen ha formato un’alleanza con un’organizzazione che chiede ai musulmani di combattere e uccidere gli ebrei. Hamas ha lanciato oltre diecimila tra missili e razzi contro il Israele e non ha fermato le azioni terroristiche neanche una sola volta. L’accordo tra Abu Mazen e Hamas è stato firmato Possono il Qatar o l’Arabia Saudita essere la soluzione dei problemi del Medio Oriente? Origine M302 Il Qatar ha molte risorse e soldi ma la sua capacità di influenzare è limitata. L’Arabia Saudita è differente, si tratta di un grande Paese e certamente può essere parte della soluzione. Ma il punto è che entrambi sono coinvolti in Siria come in Iran. Alla fine, in Medio Oriente tutto è interconnesso. Gittata massima: 100 km Netanya 100-200 km* Distanza da Gaza 75 km Tel Aviv 75 km 34-45 km 18-20 km Ashdod 50 km 15-17 km Kiryat Malachi Gerusalemme Ashkelon Qassam-3 200 cm 10-20kg Gaza/ West Bank Qassam-2 180 cm 5-9 kg Gaza/ West Bank Qassam-1 80cm 0.5 kg Gaza/ West Bank I missili di Gaza Fonte: Global Security; IDF 40 10-12 km ISRAELE Sderot STRISCIA DI GAZA 8-9.5 km 10 km WEST BANK (Cisgiordania) 20 km Ofakim 3-4.5 km Beersheba Eshkol EGITTO *Dipende dal tipo di missile. L’illustrazione mostra un M302 come da foto delle Forze di Difesa Israeliane LOOKOUT 5 - maggio 2014 Setad È il colosso finanziario iraniano controllato direttamente dalla Guida Suprema, l’Ayatollah Ali Khamenei (foto). Il suo valore secondo Reuters è di 95 miliardi di dollari, pari al PIL di una nazione grande come il Marocco. Anche attraverso Setad, Khamenei controlla il Paese. gEopoLITICA A history of violence I colloqui di pace tra Israele e Palestina potrebbero metter fine a decenni di sangue. La TIMELINE degli episodi più violenti degli ultimi anni, dimostra però quanto la strada verso la pacificazione sia irta di ostacoli. 14-23 Agosto 2005 Israele si ritira dalla Striscia di Gaza e da quattro insediamenti nel nord della Cisgiordania sgombrando tutte le colonie. 25 giugno 2006 27 dicembre 2008 Aerei da guerra israeliani bombardano la Striscia di Gaza uccidendo 315 persone in uno dei più sanguinosi episodi degli ultimi sessant’anni. 27 dicembre 2008 18 gennaio 2009 Conosciuta anche come operazione “Piombo fuso”, la guerra di Gaza uccide 1.371 palestinesi con attacchi aerei e invasione di terra da parte di Israele. I militanti di Hamas lanciano un raid contro Israele da Gaza uccidendo due soldati e catturandone uno, Gilad Shalit. 9-12 marzo 2012 28 giugno 26 Novembre 2006 14-21 Novembre 2012 L’operazione “Pioggia d’estate” fallisce dopo cinque mesi di bombardamenti e incursioni per liberare Shalit. Viene concordato un cessate il fuoco. 29 febbraio 3 marzo 2008 L’esercito israeliano lancia una vasta operazione contro i militanti di Hamas nella Striscia inviando un folto contingente. L’operazione prende il nome di “Inverno caldo”. Fonte: United Nations Office for Coordination of Humanitarian Affairs in the occupied Palestinian territory; Reuters (aggiornata al settembre 2013) Quattro giorni di violenze tra Israele e i militanti di Gaza provocano 24 morti. L’operazione “Pilastri della Difesa” è un’offensiva aerea e d’artiglieria. Secondo il governo israeliano, l’operazione inizia in risposta ai lanci di razzi palestinesi. Vittime della guerra (da gennaio 2005) 3.724 3.066 Palestinesi Adulti 143 Israeliani nonostante Israele stia compiendo sforzi per far progredire i negoziati con i palestinesi. È la conseguenza diretta del rifiuto dei palestinesi di far progredire i negoziati. Solo il mese scorso Abu Mazen aveva respinto i principi-quadro proposti dagli Stati Uniti, ha poi rifiutato di discutere il riconoscimento di Israele come StatoNazione del popolo ebraico e adesso si è alleato con Hamas. Ma la Carta di Hamas (Il "Patto del Movimento di Resistenza Islamico” del 1988, ndr) rifiuta tutti i colloqui di pace con lo Stato di Israele, e sottolinea l'impegno dell'organizzazione terroristica nel distruggere Israele attraverso una guerra santa (jihad, ndr). Quella Carta è un documento apertamente antisemita e antioccidentale, che esprime la prospettiva islamica radicale di Hamas. Ma soprattutto il punto è che resta ancora valida. La posizione estremista della Carta esprime la totale opposizione a qualsiasi accordo o intesa che riconosca il diritto di Israele a esistere. E cosa può dirci dei rapporti tra Israele e Italia e del ruolo di Roma nel Mediterraneo? Le relazioni con l’Italia sono eccellenti in tutti i settori. Solo in campo economico, lo scorso anno abbiamo avuto oltre quattro miliardi di dollari in scambi commerciali e abbiamo siglato importanti accordi militari, per oltre due miliardi. Voi siete il nostro secondo o terzo partner in ricerca e sviluppo e le nostre collaborazioni non si limitano a questo. Si veda il turismo. Solo nel 2013 ben il 5% di cittadini israeliani ha visitato l’Italia, è un numero altissimo. Insomma, la cooperazione è davvero ottima. Circa il ruolo dell’Italia nel Mediterraneo, il vostro Paese è molto rispettato da tutti e può avere un ruolo importante, anche se oggi è più difficile per la crisi europea. Il problema del vostro Paese è aumentare la competitività e l’innovazione per e con i giovani. 755 Bambini LOOKOUT 5 - maggio 2014 41 gEopoLITICA La spada di Damocle e di ABDULLAH ARAbIA SAUdITA | di Ottorino Restelli T ra la fine degli anni Ottanta e gli inizi dei Novanta, la CIA e Israele rimasero sbigottiti nello scoprire che l’Arabia Saudita stava contrattando con i cinesi l’acquisto di missili a capacità balistica nucleare che potevano raggiungere i 3.500 chilometri di gittata. Grazie alle attività d’intelligence, si scoprì poi che la petro-monarchia ne aveva acquistati 120, più una dozzina di lanciamissili Le cifre furono poi ridotte a 50 missili e 9 lanciamissili. Il nome tecnico di questi vettori era DF3, che sta per DongFeng-3 (“Vento dell’Est” in cinese), noti come CSS-2 secondo la catalogazione NATO. Quell’ingente acquisto, avvenuto all’oscuro degli Stati Uniti, era uno smacco non da poco per Washington, che dovette fare buon viso a cattivo gioco ed entrare nella corsa agli armamenti saudita, aiutando Riad a costruire basi militari segrete nel mezzo del deserto, dove sarebbero poi stati stivati i preziosi missili balistici e le altre attrezzature da guerra acquistate dalla famiglia Saud. In ogni caso, fu forse la prima volta che l’Arabia Saudita gestiva completamente da sola contratti militari di tale portata. Per l’intelligence USA doveva essere il segnale che prima o poi anche i sauditi avrebbero potuto costituire una minaccia alla sicurezza, ma forse non fu recepito a fondo. A distanza di oltre vent’anni, quei missili fanno ancora discutere: durante la parata militare del 29 aprile scorso, denominata “Spada di Abdullah”, per la prima volta le Forze Armate saudite hanno mostrato in pubblico i missili balistici DF-3, acquistati dalla Cina ben 27 anni fa. 42 LOOKOUT 5 - maggio 2014 Secondo fonti israeliane, l’Arabia Saudita - oltre ad essere la prima nazione del Medio Oriente ad esporre pubblicamente i suoi missili con capacità nucleare - con questo gesto ha inteso lanciare una serie di messaggi provocatori diretti sia agli Stati Uniti che all’Iran, nell’avvicinarsi dell’accordo sul nucleare. Riad avrebbe cioè voluto significare che condivide con Israele la preoccupazione per un’intesa che sancirà l’elevazione della Repubblica Islamica allo status di potenza pre-nucleare e che è pronta a rispondere “a tono”. Non solo, la presenza alla parata del Generale Raheel Sharif, Capo di Stato Maggiore pakistano, certifica il livello raggiunto dai sauditi in materia di nucleare grazie all’esperienza e alla tecnologia fornita da Islamabad (il Pakistan possiede la bomba dalla fine degli anni Novanta grazie proprio ai petroldollari del Regno saudita, in joint venture con Libia e Iran). Inoltre, secondo fonti attendibili, poco tempo fa funzionari sauditi sono stati intercettati in Cina durante i negoziati finali per l’acquisto dei nuovi missili DongFeng-21 (DF-21), il cui raggio d’azione è inferiore ai DF-3, ma la cui traiettoria è molto più precisa e letale (le stesse fonti non riferiscono se e quando i nuovi missili cinesi sono poi arrivati in Arabia Saudita). In conclusione, il pericolo di un’ulteriore escalation nucleare non è lontana. Sicuri che i sauditi si basino ancora sull’ombrello nucleare americano e non si siano dotati di un’arma di distruzione di massa? Spada di Abdullah Il nome in codice dell’esercitazione militare dell’esercito saudita dello scorso aprile (foto) SICUREzzA IRAN | di Marco Giaconi I l 9 Aprile 2014 alle 20:15 ora di Greenwich, Israele ha lanciato dalla base militare di Palmachim il satellite-spia Ofek-10. È stato lanciato dal razzo a tre stadi Shavit, una rielaborazione israeliana di un vecchio modulo francese. Ofek o Ofeq, che significa “orizzonte”, è un satellite che utilizza tecnologia SAR (Syntetic Aperture Radar) e opererà notte e giorno, indipendentemente dalle condizioni atmosferiche. Lo scopo? Lo chiariremo più avanti. Oggi lo Stato Ebraico ha tre satelliti attivi per l’imaging in orbite eliosincrone (orbite che, combinando altezza e inclinazione, permettono un’illuminazione solare costante) a bassa altezza: Ofeq-7, Ofeq-9 e Tecsar I. Tutti satelliti radar per l’elaborazione-spedizione a terra in tempo reale di immagini ad alta risoluzione. Inoltre, c’è la rete di SIGINT (SIGnal INTelligence) gestita tramite il satellite Amos 4, lanciato nel settembre 2013, che fornisce dati che vengono poi integrati nel più ampio sistema ECHELON, il noto strumento di raccolta dati britannico-americano di cui Israele è un “membro di fatto”. Le immagini (e non i segnali elettronici) sono quindi elaborate dalla “Unità 9900” dell’intelligence militare israeliana, che si occupa specificamente dell’analisi IMINT (Imagery-INTelligence), al fine di verificare i minimi spostamenti, le modifiche e le deformazioni di ogni genere che risultino dalle immagini satellitari. È del tutto intuitivo che queste reti satellitari siano dirette, soprattutto, all’osservazione fine dei siti nucleari iraniani. Ma c’è un ulteriore scopo: Tel Aviv percepisce sempre di più l’importanza strategica della protezione marittima della EEZ (Exclusive Economic Zone), ossia le acque antistanti la Striscia di Gaza di sua spettanza, nella quale si stima che si trovino oltre 990 trilioni di litri di gas naturale che - insieme ai giacimenti marini di Cipro e Grecia - potrebbero soddisfare Come ti spio un regime Per monitorare le attività nucleari della Repubblica Islamica, Tel Aviv ha mandato in orbita il satellite spia ofek-10. L’Iran però non resta a guardare l’intero consumo di gas dell’Europa per i prossimi vent’anni. Ne consegue che Israele sarà un efficace player mediterraneo per la tutela dei suoi mari e per la gestione delle strutture di difesa nucleare contro eventuali attacchi dall’Iran o da altri Paesi dell’area. L’esigenza per Israele ad agire da soli nasce dalla guerra del Kippur del 1973 quando la dirigenza politico-strategica militare del Paese, dovendo richiedere IMINT satellitare agli USA, si sentì rispondere: “avrete le foto quando la guerra sarà finita”. Stansfield Turner, infatti, capo della CIA dal 1977, inviava a Israele solo le descrizioni delle foto satellitari USA, ma non le foto stesse. Quindi, dal 1983 in poi le strutture scientifico-militari dello Stato ebraico crearono con alterne fortune le condizioni per una totale autonomia IMINT, in evidente connessione con la minaccia convenzionale panaraba e il sorgere della minaccia nucleare sciita-iraniana nonché di quella chimico-batteriologica. Del resto, è oggi evidente che gli Stati Uniti in Medio Oriente abbiano interessi non del tutto coincidenti con quelli di Gerusalemme e, infatti, stiamo assistendo nell’area a un decoupling, un disaccoppiamento della strategia di Washington da quella israeliana, con gli USA che vogliono ridurre al minimo la presenza nel Mediterraneo per spostarsi verso il Pacifico e i bordi della Cina, al fine di regionalizzare Pechino e circondare, di fatto, la Federazione Russa. In tutto ciò, l’Iran non sta certo a guardare: la Repubblica islamica ha lanciato a sua volta satelliti IMINT capaci di “accecare” le piattaforme spaziali della CIA, e dispone di satellitispia che volteggiano sopra Israele da almeno il 2009. La capacità di Teheran di “mascherare” i siti nucleari è dunque ben nota ai tecnici dell’Agenzia internazionale per l’energia atomica (IAEA). Pertanto, i giochi restano aperti e l’equilibrio strategico non è ancora deciso. Teheran ha lanciato a sua volta SATELLITI ImINT capaci di accecare le piattaforme spaziali della CIA LOOKOUT 5 - maggio 2014 43 gEopoLITICA ISRAELE | una conversazione con Maurizio Molinari* “ I l Medio Oriente è una regione dove la percezione produce frutti concreti, si trasforma in realtà. Se Teheran sarà in grado di mantenere l’arricchimento dell’uranio al termine di un braccio di ferro con la comunità internazionale in corso da oltre dieci anni, sarà percepita come una potenza nucleare, a prescindere se ha o meno l’atomica. Israele, come anche l’Arabia Saudita, le monarchie del Golfo e l’Egitto, temono tale scenario perché implica la trasformazione dell’Iran nel Paese più temuto, e dunque influente, dell’intero Medio Oriente. Con conseguenze a pioggia a favore dei suoi alleati: Hezbollah, Hamas, i Fratelli Musulmani e le minoranze sciite, dallo Yemen all’Arabia Saudita. È questo smottamento strategico l’incubo peggiore di israeliani e sunniti, sul quale s’inseriscono le informazioni, contenute negli ultimi rapporti dell’Agenzia atomica dell’ONU, che riguardano i possibili aspetti nucleari del programma iraniano. In particolare, il reattore ad acqua pesante di Arak e i test sui detonatori svolti a Parchin vengono indicati, da tali documenti, come gli interrogativi a cui Teheran deve dare più urgentemente risposta”. Maurizio Molinari, da Gerusalemme, La messa in sicurezza descrive così i timori di Israele, il cui governo ritiene di non poter avere reali garanzie dai negoziati sul nucleare in corso a Vienna tra Teheran e il Gruppo 5+1. Riconoscimento della Palestina “Israele non è parte di29 novembre 2012: l’Assemblea generale dell’ONU retta nei negoziati del approva il riconoscimento dello Stato sovrano Gruppo 5+1 con l’Iran sul programma nucleare Come hanno votato i 193 Stati membri ma gli Stati Uniti hanno scelto di coinvolgerla e 138 SI informarla sugli svilup9 NO pi - ricorda il corriCanada spondente per La Rep. Ceca Israele Stampa - La tesi del goIsole Marshall verno di Gerusalemme è Micronesia che per avere successo taNauru Palau li negoziati devono porPanama tare alla fine dell’arricStati Uniti chimento dell’uranio da parte dell’Iran. Il motivo 41 ASTENUTI è che l’Iran, per Israele, è 5 ASSENTI oramai in possesso del know-how per realizzare Fonte: United Nations 44 LOOKOUT 5 - maggio 2014 un ordigno e l’unica maniera per impedirglielo è smantellare le 19mila centrifughe che possiede. Per l’Iran l’arricchimento dell’uranio invece è un diritto acquisito che punta a vedere sancito dalla comunità internazionale, proprio grazie ai negoziati. Non credo che Israele o Iran modificheranno le rispettive posizioni, in lampante contrasto”. Ciò nonostante, la vita va avanti e sul Paese non grava lo spettro della crisi europea. “Israele attraversa una forte fase di espansione economica, dovuta al boom dell’hi-tech, a un mercato immobiliare in costante crescita e agli investimenti in arrivo sul fronte dell’energia, dal Texas all’Australia fino alla Russia”. Insomma, i consumi crescono e il benessere è visibile. “Ma ciò non toglie che resta una nazione la cui spina dorsale sono le forze armate. Dunque, la percezione di ogni possibile minaccia è immediata. Si diffonde in un attimo, ovunque. Sono i due volti della società israeliana”. gEopoLITICA E non si tratta solo di minaccia nucleare: “Iran a parte, la maggiore minaccia per Israele viene dalle aree lungo i propri confini dove vi sono gli ‘Stati falliti’ come la Siria, i gruppi militari apertamente ostili, Hezbollah nel Libano del Sud e Hamas a Gaza. Oppure, situazioni di forte instabilità, come nel Sinai egiziano. In concreto, ciò significa che su cinque confini terrestri, Israele ne ha ben quattro ad alto rischio, ovvero da dove possono arrivare attacchi militari diretti. Per proteggersi da tale minaccia, Israele si è dato una strategia”. Quale? “È quella che alcuni esperti militari hanno denominato ‘strategia del castello’. Essa ha tre componenti: barriere fisiche difensive rafforzate, minuziosa raccolta d’intelligence su cosa avviene nel territorio a ridosso del confine, blitz oltrefrontiera per colpire e neutralizzare la minaccia prima che si concretizzi. Tale strategia ‘del castello’ spiega l’intensificazione degli attacchi israeliani in territorio siriano”. Ma quanto consenso politico ha il governo di Benjamin Netanyahu per portare avanti tale strategia? “Nell’opposizione al nucleare iraniano, il premier può contare su un governo compatto, una maggioranza in Parlamento più larga rispetto a quella che sostiene l’esecutivo e un vasto sostegno popolare. La grande maggioranza degli israeliani ritiene che se Teheran arriverà all’atomica tenterà di usarla contro Israele, lanciandola con un missile a lungo raggio o affidandola ad un gruppo terroristico. Questo è il motivo per cui Netanyahu è esplicito nella minaccia del ricorso alla forza per bloccare il programma nucleare di Teheran. Quando si parla di ‘forza’ bisogna immaginare più opzioni e scenari: ad esempio, da tempo le unità cibernetiche dell’esercito israeliano bersagliano gli impianti iraniani e, dunque, non si può escludere che l’eventuale decisione di colpire possa concretizzarsi con mezzi finora mai adoperati. Fermo restando l’ipotesi di un blitz tradizionale che potrebbe avere il consenso, e dunque il sostegno logistico, di molti Paesi sunniti”. Lo scudo “Iron Dome” Il sistema missilistico di difesa dello Stato ebraico sta giocando un ruolo sempre più importante nell’escalation del conflitto con i militanti della Striscia di Gaza Come funziona 1 2 Radar per il rilevamento e monitoraggio Rileva missili o colpi di artiglieria controllandone la traiettoria 3 Missile intercettore Tamir Unità di gestione e controllo Analizza la traiettoria e determina il punto d’impatto previsto Intercettori Il radar guida il missile fino al bersaglio 70 km Razzi Pezzi a corto d’artiglieria raggio da 155mm Lanciamissili Sviluppo del sistema 2011 Iron Dome Sistema di difesa contro razzi a corto raggio e colpi d’artiglieria 2013 David’s Sling - Sistema d’intercettazione di razzi a medio e lungo raggio e missili da crociera (raggio tra i 40 e i 300 Km) 2014-2015 Arrow III - L’evoluzione della famiglia di missili Arrow neutralizzarebbe obiettivi fino a oltre 100 km Fonte: Rafael, Israeli Defence Forces, media reports Quali sono le posizioni assunte dai vari partiti in merito a questo scenario? “I partiti della coalizione, dal Likud a Bait HaYehudì, hanno posizioni più dure del governo. Anche Yesh Atid, del leader laico Yair Lapid, è su posizioni dure al riguardo. Mentre, tra le forze di opposizione, sono i partiti arabi gli unici ad opporsi allo scenario di un ricorso alla forza. Il leader più in difficoltà è Isaac Herzog, capo dei laburisti, perché consapevole che la cartaIran gioca comunque a favore di Netanyahu. A dimostrarlo è anche la convergenza di approccio sull’Iran tra Netanyahu e il leader politico più in grado di rivaleggiare con lui, il novantenne presidente Shimon Peres”. Resta aperta la questione Palestina. “I negoziati sono in una fase di impasse che si spiega non solo con i disaccordi contingenti sul prolungamento delle trattative oltre la scadenza del 29 aprile, stabilita dai mediatori Usa, ma con l’affermarsi, in entrambi i campi, di un forte scetticismo sulla possibilità di arrivare a un accordo finale basato sulla formula dei ‘Due Stati’. Tanto fra gli israeliani come tra i palestinesi sta maturando la convinzione di dover esplorare vie alternative. Questa è la maggiore novità all’orizzonte”. * Corrispondente per La Stampa da Gerusalemme LOOKOUT 5 - maggio 2014 45 gEopoLITICA L’ago della bilancia mediorientale gIoRdANIA | di M. Pranzetti A Amman gioca su più tavoli: sostiene l’asse moderato di Arabia ed Egitto, media tra Hamas e Fatah, ospita i rifugiati siriani e dialoga con Iran e Stati Uniti ISRAELE fine aprile, la Giordania ha varato un emendamento della legge antiterrorismo che impone sanzioni più severe e un’estensione della definizione stessa di terrorismo, in risposta al crescente estremismo nella vicina Siria che minaccia direttamente la sicurezza del Regno. La mossa avrà evidenti riper- che il Regno di Giordania fungesse da cussioni sulla politica interna - con i mediatore nella recente disputa emerFratelli Musulmani che già criticano gli sa all’interno del Consiglio di Coopeemendamenti, considerandoli uno razione del Golfo (GCC) tra Arabia strumento in più per fiaccare l’opposi- Saudita e Qatar, come pure si era penzione - ma ne avrà altrettante circa sato a fine marzo dopo l’incontro laml’equilibrio regionale. A inizio febbraio, po tra l’Emiro del Qatar e Re Abdullah infatti, era stata l’Arabia Saudita a rinvi- II di Giordania. Piuttosto, quell’incongorire le leggi anti-terrorismo, metten- tro era legato alla questione palestinedo direttamente fuori legge la Fratel- se, con cui la Giordania ha sempre dolanza. Inquadrata in quest’ottica, la vuto fare i conti visto l’ingente numero di profughi e sfollati mossa giordana assume LIBANO che sono giunti dai Tergrande valenza, consiSIRIA ritori e considerato derato il legame tra il che, fino alla fine degli Regno hascemita e i Amman anni Novanta, Amman Paesi del Golfo (e in ARABIA ha ospitato la dirigenza particolare la storica alSAUDITA di Hamas (finanziarialeanza con Casa Saud), mente e politicamente ma anche considerato il 150 miglia sostenuta dal Qatar, il fatto che Amman sostie150 km che spiega l’interessane l’asse moderato tra mento dell’Emiro). Arabia Saudita ed Egitto È, infatti, emerso sucche si contrappone all’as- gIoRdANIA cessivamente che prose tra Qatar e Turchia, i La sua posizione quali invece sostengono geografica esprime prio la Giordania si era proposta come medial’Islam radicale. bene il concetto tore nei colloqui tra Visto il coinvolgimenstesso di centralità Hamas e Fatah - le due to, era poco probabile 46 LOOKOUT 5 - maggio 2014 RE ABDULLAH II È in carica dal febbraio 1999, quando è subentrato al padre Hussein. La sua dinastia degli Hascemiti, vanta discendenza diretta da Maometto, in quanto membro del clan dei Banu Hashim all’interno della più ampia tribù dei Quraysh. anime, una intransigente e l’altra moderata, del popolo palestinese - che di recente e dopo anni di contrasti hanno dato i propri frutti, portando all’accordo di riconciliazione nazionale che Israele temeva e che infatti ha pesantemente condannato. Ora, tenuto conto del fatto che la Giordania è uno dei pochissimi Paesi arabi che s’impegna nella politica di normalizzazione delle relazioni con Israele (dopo la firma di un accordo di Pace nel 1994), chissà che Amman adesso non possa fungere da mediatore anche nei colloqui stessi tra Palestina e Israele, come d’altronde aveva auspicato lo scorso marzo anche John Kerry, Segretario di Stato americano, nell’incontro con Re Abdullah II. Certo, la monarchia hascemita ha sempre curato i propri interessi e le sue buone relazioni amicali con diversi Stati, vantando una neutralità estremamente difficoltosa, considerata la Sempre più profughi sua scomoda posizione stretta tra l’odierna crisi siriana e l’intramontabile questione israelo-palestinese, tra i sunniti di Arabia e gli sciiti iracheni. Forse è per questo che non ha mai visibilmente aspirato a un ruolo di primo piano nello scacchiere mediorientale, conducendo piuttosto le proprie politiche relazionali lontano dai riflettori. Tuttavia, è interessante osservare che Amman - a parte forse l’unica occasione in cui si schierò dalla “parte sbagliata della storia” (durante la prima Guerra del Golfo, quando sostenne l’invasione irachena del Kuwait) più di recente ha sempre cercato di ponderare i propri interessi, le amicizie personali e il volere della comunità internazionale, agendo come fosse investita del ruolo di ago della bilancia regionale. In tal senso, è da intendersi anche la mossa dello scorso gennaio di Re Abdullah II, che ha ricevuto ad Amman il ministro degli Esteri iraniano, Javad Zarif, dopo il primo round di negoziati con Teheran (P5+1) a novembre 2013. In seguito, diversi Paesi arabi oltre alla Giordania, di concerto con la comunità internazionale hanno normalizzato le relazioni diplomatiche con l’Iran, congelate da anni. Adesso resta l’incognita siriana: sebbene oggi sia il Paese che in Medio Oriente sostiene in maniera più esplicita la politica estera americana, la Giordania ha evitato accuratamente di prendere posizione contro il regime di Damasco, con il quale mantiene rapporti sia diplomatici che economici, insistendo per la ricerca di una soluzione politica al conflitto. In questa decisione, forse, si cela il futuro politico e diplomatico di Amman. Al Azraq è il nuovo campo profughi sorto in Giordania per far fronte alla crisi umanitaria siriana. Inaugurato a inizio maggio dal ministro degli Esteri giordano Nasser Judeh, il campo è stato costruito grazie a un finanziamento di 45 milioni di dollari, e a breve potrà ospitare fino a 130.000 persone. Eretto a cento chilometri a est di Amman, è dotato di alloggi prefabbricati, roulotte, due scuole che possono contenere un massimo di 10.000 studenti, e un ospedale con 130 posti letto. Parte dell’energia sarà prodotta con pannelli solari. Nella pianificazione della struttura - ha spiegato il direttore del campo, Atef al Omoush - si è cercato di trarre insegnamento dai problemi sorti nel più grande dei cinque campi già esistenti, quello di Al Zaatari (foto), dove violente proteste dovute alle terribili condizioni di vita hanno portato a scontri e incendi. Secondo le stime ufficiali, sono 600.000 i profughi siriani attualmente in Giordania, ma per il governo il numero reale è molto superiore, dal momento che numerosi profughi non sono mai stati registrati dall’Alto commissariato dell’Onu per i rifugiati (UNHCR). Fonte: ANSA Med LOOKOUT 5 - maggio 2014 47 gEopoLITICA L’arte della guerra I colpi di stato e le guerre civili che negli ultimi anni hanno interessato le coste meridionali del Mediterraneo hanno danneggiato gravemente i patrimoni archeologici dell’intera area. L’intervista al critico d’arte philippe daverio AFGHANISTAN Nel 2001 distrutti dai talebani i Buddha di Bamiyan III secolo d.C. 48 LOOKOUT 5 - maggio 2014 gEopoLITICA mEdITERRANEo | di Rocco Bellantone T ra le rovine dei governi caduti in Nord Africa e Medio Oriente non giace solo il tradimento delle velleità di democrazia alla base delle prime rivolte del 2011. Oltre ai rais e ai dittatori, spodestati dopo decenni di potere, le vittime eccellenti di queste guerre sono le centinaia di beni archeologici e artistici devastati da bombardamenti e saccheggi o, nel migliore dei casi, alla mercé di trafficanti d’arte. A lanciare l’ultimo appello è stata pochi mesi fa l’UNESCO, che per tamponare quest’emorragia sempre più profonda (soprattutto in Egitto, Siria e Libia), ha proposto interventi di vigilanza coordinati tra le organizzazioni internazionali specializzate nella conservazione dei siti e dei reperti storici. “Il problema però - spiega il critico d’arte Philippe Daverio - è che questi gridi d’allarme serviranno a ben poco fino a quando i conflitti in corso non permetteranno di accedere a queste aree”. Qual è l’entità dei danni nel Mediterraneo? È una crisi trasversale che interessa un’area estesissima, che va dall’Algeria all’Iraq alla Siria, passando anche per l’Africa subsahariana. Qui il disordine politico e sociale ha ormai preso il sopravvento, i patrimoni artistici sono rimasti incustoditi subendo inevitabilmente danni e perdite gravissime. I reperti archeologici in ALGERIA TUNISIA Siria sono stati massacrati, soprattutto gli scavi di Ebla. Aleppo, un tempo la città più bella del Mediterraneo dove era rappresentata tutta l’era della prima cristianità, di fatto oggi non esiste più. Per non parlare dei bellissimi edifici storici di Baghdad, o di quella meraviglia di Timbuctù in Mali, dove gli estremisti islamici hanno fatto saltare in aria tombe antichissime. Anche se il caso più emblematico rimane certamente la distruzione dei Buddha di Bamiyan, in Afghanistan, distrutti dai talebani nel 2001. Guai però a credere che si tratti solo di un fenomeno che riguarda i Paesi arabi. Vale anche per l’Occidente? In passato gli europei non sono stati di certo meno “criminali”. In epoca calvinista e luterana, gran parte dell’iconografia religiosa è stata data alle fiamme. Nella rivoluzione francese la stessa sorte è toccata dai decori delle chiese gotiche, mentre gli unici ritratti di pregio di Napoleone Bonaparte sono stati confinati al Museo del Risorgimento di Milano. Nelle fasi conclusive della seconda guerra mondiale gli americani potevano evitare di bombardare Montecassino o radere al suo la cattedrale di Brandeburgo, ma non lo hanno fatto. L’umanità è fatta così. Le società si riconoscono sempre in grandi immagini, e se ci sono conflitti sono queste a essere distrutte per prime. Dietro saccheggi e razzie opera una rete internazionale del mercato nero? Contesa sulla Maschera della Gorgone Quello a cui abbiamo assistito di recente ha poco a che fare con i trafficanti d’arte. Una cosa è derubare un sito archeologico, un’altra è devastarlo. Chi è entrato in azione a Baghdad, in Afghanistan o in Siria non ha avuto nessuna sensibilità per ciò si è trovato di fronte. C’è poi da tenere conto delle eccentricità dei dittatori. In Tunisia, Ben Ali considerava ogni cosa di sua proprietà, basti pensare al furto della Maschera della Gorgone che appartiene all’Algeria. I Paesi del Golfo più ricchi, come il Qatar ad esempio, stanno investendo per la conservazione di alcuni patrimoni come è accaduto per le piramidi in Sudan. Ma da altre parti, come a Gerico in Cisgiordania, la situazione è preoccupante. Per non parlare del Tibet, altra questione tabù per via degli interessi della Cina. L’Italia può avere un ruolo nella tutela di questi beni? L’Italia ha sempre avuto più che altro un ruolo diplomatico. Ha mai sentito parlare di una proposta di intervento da parte del nostro ministero degli Esteri o dell’organizzazione di missioni congiunte con i ministeri della Difesa e della Cultura in queste aree di crisi? Eppure abbiamo le conoscenze e le competenze per essere in prima linea. D’altronde, in queste aree di conflitto a contare sono altri aspetti, quello umanitario in primis ma anche quello commerciale ed energetico. E mettere il bene dell’archeologia sullo stesso piano di questi interessi allo stato attuale è praticamente impossibile. SIRIA AFGHANISTAN Rubata nel 1996 MALI Distrutti i mausolei di Timbuctù XIV secolo d.C. A rischio gli scavi archeologici di Ebla 3.000 a.C. LOOKOUT 5 - maggio 2014 49 gEopoLITICA SIRIA | di Vincenzo Perugia U ltimamente, l’istituto democratico delle elezioni appare in seria difficoltà un po’ in tutto il mondo, a causa delle critiche severe che sempre più spesso si accompagnano a molte occasioni di voto alle urne. Così, ad esempio, è accaduto nei confronti del referendum popolare di marzo con il quale la Federazione Russa ha annesso il territorio della Crimea, fatto che ha generato disconoscimenti da parte dell’intero Occidente e le crescenti tensioni che stanno provocando un terremoto in Ucraina. E, andando a ritroso, giudizi severi hanno riguardato il rovesciamento del presidente Mohammed Morsi eletto in Egitto nel 2012, mentre è del tutto superfluo parlare del plebiscito in Corea del Nord di appena due mesi fa. Ma, forse, tutto questo è niente in confronto alle elezioni presidenziali che si terranno in Siria il 3 giugno prossimo (28 maggio per i cittadini residenti all’estero). Appuntamento al quale Bashar Al Assad, presidente in carica, non mancherà di ricandidarsi alla guida di un “failed state”, una nazione non più tale da quando la guerra ha distrutto ogni residuo di territorialità e civiltà. Così, gli Stati Uniti hanno gioco facile nel parlare di “parodia della democrazia”. Eppure, nonostante le armi, si va avanti e non sono pochi i candidati presidenziali che hanno annunciato l’intenzione di scendere in campo. Ad ogni modo, nel caos siriano un risultato forse storico, di certo positivo, è stato raggiunto: si tratta della candidatura di Sawsan Haddad, ingegnere della città costiera di Latakia e prima figura femminile a correre per le presidenziali in Siria. Haddad ha depositato la propria candidatura alla Corte Costituzionale Suprema a fine aprile e parteciperà come indipendente. Oltre a lei, si sono presentati Samir Maala, 50 LOOKOUT 5 - maggio 2014 La democrazia impossibile L’annuncio ufficiale del presidente del Parlamento siriano, Mohammad al Laham, circa le elezioni presidenziali in Siria, sarebbe da prendere sul serio, se questo non fosse uno “Stato fallito” un professore di diritto di Quneitra; Mohammed Firas Rajjuh, residente a Damasco; Abdel-Salam Salameh, rappresentante della provincia di Homs; l’imprenditore ed ex ministro Hassan Abdullah al-Nuri e, infine, Maher al-Hajjar, il “comunista” di Aleppo. Ciò detto, va tenuto conto del fatto che a marzo il parlamento siriano ha approvato una legge che impone a tutti i candidati di raccogliere almeno 35 firme su 250 del totale dei membri del parlamento, senza le quali non è possibile partecipare ufficialmente alla corsa presidenziale. Inoltre, secondo la legge elettorale vigente, tutti i candidati devono aver vissuto in Siria per dieci anni consecutivi precedenti alla nomina, condizione che di fatto impedisce la partecipazione alle elezioni ai membri dell’opposizione, molti dei quali hanno vissuto in esilio per anni. “Se le nazioni occidentali chiedono democrazia e libertà, allora dovrebbero ascoltare le opinioni dei siriani che scelgono attraverso le urne” ha tuonato la televisione di Stato siriana citando il governo di Damasco, aggiungendo che “è necessario rispettare la volontà di una nazione e la sua sovranità”. Giusto. Ma di quale sovranità stiamo parlando esattamente? COME SI VOTA IN SIRIA La Siria ha un sistema monocamerale. Nel Consiglio del Popolo (Majlis al-Shaab ) siedono 250 membri. Secondo la nuova Costituzione, i candidati per esser tali devono avere il supporto con tanto di firma da parte di almeno 35 membri del Consiglio. Secondo il sistema elettorale vigente, il Presidente è eletto dal voto popolare per un periodo di 7 anni mentre il primo ministro è nominato dal Presidente. I membri del Consiglio del Popolo sono eletti per 4 anni con sistema proporzionale a liste bloccate. ALL NEWS gEopoLITICA ALgERIA SIRIA Superata deadline per la distruzione armi chimiche Via al Bouteflika IV Con la mano destra sul Corano e seduto sulla sedia a rotelle, Abdelaziz Bouteflika ha giurato di fronte al popolo algerino, inaugurando ufficialmente il suo quarto mandato presidenziale. S econdo Sigrid Kaag, capo della missione ONU per la verifica della distruzione delle armi chimiche siriane, Damasco ha distrutto oltre il 92% del proprio arsenale, ma ha oltrepassato la scadenza che si era autoimposto per espellere tutte le armi chimiche entro il 27 aprile. EgITTo LIbIA La Fratellanza “è finita” Maetiq è nuovo premier I l candidato presidente Abdel Fattah Al Sisi, reggente de facto del governo in Egitto, ha proclamato lapidario che il movimento dei Fratelli Musulmani “è finito” e che il movimento di opposizione del deposto presidente Mohammed Morsi “cesserà di esistere” se lui sarà eletto. “Non sono stato io a porre fine alla Fratellanza, ma voi popolo egiziano” ha sentenziato. D opo la sfiducia a Zeidan, le dimissioni di Al Thinni e le scorribande di squadracce dentro la sede del Congresso Generale Nazionale, finalmente il governo della Libia ha nominato il nuovo primo ministro: Ahmed Maetiq Al-Hassi, 42 anni, islamista e imprenditore. Quanto durerà stavolta? VIETNAm Pechino spadroneggia nelle acque di Hanoi mALESIA Tutti a casa, resta il mistero sul volo MH370 L I a Malaysia Airlines ha comunicato alle famiglie dei passeggeri del volo MH370 scomparso, di lasciare gli hotel dove erano state sistemate e attendere eventuali notizie e aggiormiliardi di dollari namenti da casa propria. Il caso resta aperto. il budget ucraino per la difesa 4,88 l governo vietnamita ha aspramente criticato la Cina per aver “illegalmente installato una piattaforma per la perforazione in acque profonde” nel Mar Cinese Meridionale, asserendo che la zona è di competenza esclusiva di Hanoi. LOOKOUT 5 - maggio 2014 51 L’ARAbA fENICE doNNE, SoCIETà E I TANTI VoLTI dELL’ISLAm Photoshop e parlamentari Speranze e pettegolezzi accompagnano l’emergere delle donne nella campagna elettorale irachena ta sulla scena politica nazionale. La presenza femminile in queste ultime elezioni contava 2.607 candidate su un e elezioni parlamentari totale di 9.032 e questo, a prescindere irachene dello scorso 30 dal nuovo governo iracheno, avrà sicuaprile hanno registrato un ra influenza sull’operato dell’apparato netto incremento della legislativo. Anche solo per il fatto che partecipazione femminile. diverse liste religiose hanno incluso Benché non siano stati introdotti cam- numerose donne moderate, tolleranti biamenti a livello legislativo rispetto al e politicamente più consapevoli. precedente scrutinio, sembra che l’apNon si dimentichi che l’Iraq, coproccio alla gestione pubblica me diversi altri Paesi araboe la mentalità collettiva musulmani, ha attraversaPersino stiano dando frutti di to una fase di significatiil dittatore maggiore apertura deva apertura nei conmocratica, pur tratfronti delle donne: il tandosi dell’inferno partito Ba’ath, salito iracheno. al potere nel 1968 In base alla legge con il colpo di Stato varò riforme elettorale, rimane in a cui partecipò lo per l’uguaglianza stesso Saddam Husvigore la quota partecipativa femminile del sein, aveva un programuomo-donna 25% secondo cui ogni tre ma progressista, socialista candidati uomo il partito dee panarabo che puntava alla ve includere una donna. Ma quelmodernizzazione e alla secolarizlo che diversi osservatori riconoscono zazione del Paese e quello che si rivelò all’attuale scrutinio è che, diversamen- poi essere un feroce dittatore apportò te dalle elezioni del 2005 e del 2010 - comunque riforme fondamentali per le quali i vari blocchi politici han- quanto a uguaglianza uomo-donna. no dovuto andare a pescare a caso Ad esempio, con l’introduzione di un donne semisconosciute e non istruite codice civile modellato su quelli dei pur di coprire la quota imposta dalla Paesi occidentali e la creazione di un legge - oggi la libera e sentita parteci- apparato giudiziario laico, che sostituì pazione di giornaliste, accademiche e le corti islamiche. Tutto ciò, prima attiviste della società civile si è afferma- che l’ex regime di Saddam aggredisse di Marta Pranzetti L SAddAm hUSSEIN 52 LOOKOUT 5 - maggio 2014 Candidate che passione! il pluralismo politico e, in particolare, leadership e basi popolari dei partiti religiosi e di sinistra, arginando pesantemente l’attività femminile civile e politica, messa poi anche a dura prova dal mutato contesto economico (seguito alle sanzioni imposte dal Consiglio di Sicurezza dell’ONU nel 1990 dopo l’invasione irachena del Kuwait) che costrinse molte donne ai lavori domestici. La successiva re-islamizzazione montante, dopo il crollo del regime, ha fatto il resto. Da questo quadro, che ha fortemente indebolito la presenza femminile sulla scena pubblica, discende la sorpresa di osservatori e analisti che hanno commentato in questi giorni le parlamentari irachene notando l’inattesa crescente presenza femminile. Ma il timore è che prevalga comunque il settarismo religioso e che la percezione popolare del ruolo della donna non sia ancora sufficientemente mutata. Dall’inizio della campagna elettorale, infatti, le città irachene sono state invase da manifesti e la stampa nazionale e regionale ha messo in evidenza diversi casi che hanno suscitato chiacchiere e controversie. Una miriade di nuovi poster elettorali, in particolare, ritraeva attraenti deputate parlamentari che, per il look o gli slogan, avevano acceso dibattiti infuocati sui social media. Ma l’oggetto del dibattito, spesso e volentieri, si è limitato agli interventi chirurgici delle candidate o al fatto che avessero usato o meno photoshop per ritocchi vari, con il risultato che il programma elettorale di molte è passato del tutto inosservato. In altri casi, poi, è stato riscontrato che alcune candidate si sono presentate velate sui manifesti diffusi nelle aree musulmane del Paese, e non velate su quelli affissi nei quartieri cristiani. O, ancora, che permane l’abitudine per le candidate più conservatrici di non diffondere sui manifesti elettorali la loro immagine bensì quella di mariti, fratelli o parenti maschi più prossimi, segno di una crisi - come sottolinea Omar al-Jaffal, autore e giornalista iracheno - che “attanaglia la coscienza nazionale e che deriva da fatwa religiose avvelenate, norme sociali obsolete e irrisolte tensioni interreligiose”. L’unica speranza del Paese, comunque, sta forse nella generazione giovanile che è emersa di recente insieme alle tante donne di queste parlamentari. Una generazione di giovani socialmente attivi e consapevoli - innocenti da tutte le colpe del passato che, vuoi per la spontaneità e dirompenza, vuoi per la voglia di pace, stabilità e democrazia - ha dato del filo da torcere ai conservatori nell’ultimo confronto elettorale. L a nuova “mania del bacio” imperversa e fa discutere l’Iraq (foto). Per tutto aprile, siti web e social network iracheni hanno diffuso immagini e videoclip di aitanti ometti immortalati mentre baciano le gigantografie delle nuove candidate parlamentari, dimostrando così il loro apprezzamento per la loro bella presenza (più che per i loro slogan). Davanti al fenomeno tutto nuovo che ha fatto impazzire il web nel pre-elezioni, il Ministero degli Affari Femminili è intervenuto affinché le autorità competenti ponessero fine a quella che dalle stesse candidate è stata giudicata come una mancanza di rispetto della persona e della carica politica, oltre che un atteggiamento indecente che si ripercuote negativamente sulla reputazione dell’Iraq. Per alcuni, è sintomo di un Paese non ancora pronto alla democrazia. Altri invece hanno limitato il problema al look “libertino” delle candidate. (M.P.) LOOKOUT 5 - maggio 2014 53 Spy gAmES SToRIE dI SpIoNAggIo E CoNTRoSpIoNAggIo L’uomo degli eucalipti Eli Cohen, l’ebreo di origine siriana che stava per diventare viceministro della difesa di Baghdad N ELICOHEN.ORG Per anni gli israeliani hanno tentato invano di rintracciare la tomba di Eli Cohen per trasportare il suo cadavere in Israele. Sul sito web pubblicato dalla famiglia, fino a qualche tempo fa era presente una petizione al presidente siriano “Dott. Bashar Al Assad”, per la restituzione delle sue spoglie. La petizione recava la firma di più di 8.000 persone. 54 LOOKOUT 5 - maggio 2014 onostante i racconti dei romanzieri e le finzioni cinematografiche, la professione dell’agente segreto in Occidente non è particolarmente pericolosa e lo è certamente meno di quella del poliziotto. Generalmente il funzionario operativo dell’intelligence recluta e gestisce fonti che danno informazioni e individui che accettano di infiltrarsi nel campo avversario per finalità di spionaggio. Solo questi ultimi, quando vengono scoperti, rischiano la vita. Normalmente l’agente segreto occidentale quando opera all’estero è protetto dall’immunità diplomatica e quindi se viene scoperto rischia al massimo l’espulsione. La musica cambia quando un funzionario di intelligence viene destinato non alla gestione di fonti ma infiltrato direttamente in organizzazioni o istituzioni del “nemico”. In questi casi, se viene scoperto, l’agente anche se è un pubblico funzionario dello Stato può essere condannato a morte o a lunghe pene detentive. Il ser vizio segreto israeliano è quello maggiormente specializzato nell’infiltrazione diretta di suoi uomini nelle società, nelle organizzazioni e nelle strutture governative del “nemico”, siano essi un’organizzazione palestinese, un governo arabo o una controparte iraniana. Il Mossad, infatti, a differenza dei servizi occidentali, dispone di un ampio bacino multietnico di reclutamento grazie alla presenza in Israele di comunità di immigrati provenienti da tutto il mondo, all’interno delle quali può selezionare agenti operativi che per cultura, lingua e costumi, possono operare sotto copertura nei Paesi o nelle organizzazioni bersaglio. È il caso di Eli Cohen, uno dei più grandi agenti segreti del Mossad. Nato nel 1924 ad Alessandria d’Egitto da una famiglia di ebrei siriani emigrati da Aleppo in Egitto nel 1914, cresce con una conoscenza perfetta della lingua araba e dei suoi dialetti siriano ed egiziano e dei costumi dei grandi nemici di Israele. Negli anni Cinquanta, mentre frequenta la scuola di elettronica, Eli inizia ad aiutare clandestinamente delle organizzazioni sioniste impegnate per ordine di Israele a creare problemi in Egitto. Dopo essere stato scoperto, mentre due membri del suo gruppo venivano messi a morte, il giovane Cohen viene espulso dall’Egitto e si trasferisce in Israele nel 1957. Viene immediatamente assunto come traduttore dall’esercito di Israele e in breve tempo attira l’attenzione del Mossad. Di carnagione olivastra, con due baffoni nerissimi come gli occhi, viene messo sotto addestramento intensivo per costruire una minuziosa storia di copertura (una “leggenda”) che sarà in grado di trasformarlo in Kamal Amin Ta’abet, membro di un clan di emigrati siriani in Argentina. Sotto la nuova copertura di ricco uomo d’affari di origini siriane, nel 1961 Cohen venne trasferito a Buenos Aires dove spende un anno intero per coltivare amicizie influenti all’interno della comunità siriana emigrata. Grazie a questi contatti, fornito di ottime credenziali, nel 1962 “torna” a Damasco dove diviene un membro influente e accreditato della comunità degli affari e costruisce una eccellente rete di relazioni con esponenti del partito Ba’ath del quale diviene membro con la promessa di diventare un esempio vivente della lotta della nazione araba. L’influenza di Cohen cresce quando nel febbraio del 1961 il partito Ba’ath va al potere dopo un colpo di Stato. Grazie alla sua affiliazione, nel 1963 Cohen viene invitato a partecipare ai lavori del sesto congresso del partito anche perché membro del “Commando Rivoluzionario Nazionale Siriano”. La sua capacità informativa diventa strabiliante ma, come tutte le spie di successo, Cohen comincia a sentirsi invincibile e imprendibile e a mancare di prudenza nelle comunicazioni. Uno dei suoi capi a Tel Aviv, Aaron Yariv, disse in seguito: “Era un agente troppo in gamba… e come tale troppo esposto”. Secondo un altro dei suoi colleghi, altro veterano storico del Mossad, Rafi Eitan, invece era un vero e proprio “incosciente… gli facevamo una richiesta al mattino e nel pomeriggio avevamo già la risposta via radio”. Tra il 1962 e il 1965 Cohen riesce nell’azione più sofisticata per un agente infiltrato. Non solo carpire notizie segrete ma soprattutto influenzare il processo decisionale dell’avversario. Durante alcune visite sulle alture del Golan, alla frontiera con Israele, suggerisce ai responsabili del ministero della Difesa siriana di piantare su tutto l’altopiano in postazioni strategiche dei boschetti di eucalipti, che sul fertile terreno vulcanico sarebbero cresciuti in pochissimi anni e avrebbero permesso alle brigate corazzate siriane di potersi mimetizzare in caso di attacco di Israele. Alla fine del 1964 Cohen inizia a diventare imprudente. Trasmette via radio decine di messaggi alla settimana, talvolta sin troppo lunghi. Anche se nessuno sospettava di lui, i controlli di routine compiuti dal servizio di sicurezza siriano con le nuove apparecchiature fornite dai sovietici consentono la localizzazione della sua radio e portano al suo arresto quasi casuale all’alba del 18 gennaio del 1965. Il 18 maggio 1965 Eli Cohen, dopo un processo spettacolare, viene impiccato al centro di Damasco davanti a una folla di 10mila persone. L’uomo degli eucalipti tuttavia si prenderà la sua vendetta postuma, quando, due anni dopo l’impiccagione, durante la Guerra dei Sei Giorni Israele infliggerà una sconfitta storica alla Siria e ai suoi alleati egiziani e giordani. La mattina dell’8 giugno del 1967, prima di lanciare un’offensiva contro le linee difensive siriane sull’altipiano del Golan, per quattro ore l’aviazione israeliana bombarderà tutti i boschetti di eucalipti dell’area distruggendo l’80% delle forze corazzate siriane e spianando la strada alla sconfitta di Damasco. Il corpo di Eli Cohen non è mai stato trovato. Alfredo Mantici Capo del dipartimento analisi del Sisde fino al 2008, oggi è il direttore editoriale di LookOut News LOOKOUT 5 - maggio 2014 55 RASSEgNA STAmpA INTERNAzIoNALE EURopA mEdIA WATCh Swedes to give six-hour workday a go Gli svedesi provano la giornata lavorativa di sei ore di Oliver Gee, giornalista di The Local L’ Dall’articolo apparso suThe Local l’8 aprile 2014 esperimento avverrà a Goteborg, il secondo maggiore centro urbano della Svezia dopo la capitale Stoccolma. A far da cavie saranno i dipendenti del comune. Sarà un test in piena regola, con un gruppo sperimentale e un gruppo di controllo, ciascuno costituito da una diverso dipartimento della pubblica amministrazione. Il primo avrà una giornata lavorativa ridotta a sei ore, il secondo proseguirà con le tradizionali otto ore giornaliere. Il trattamento economico non subirà variazioni: entrambi i gruppi riceveranno lo stesso stipendio che percepivano prima dell’esperimento, solo che uno dei due lavorerà di meno. “Confronteremo i due gruppi alla fine del test e vedremo come differiscono: ci auguriamo che i dipendenti che lavorano sei ore chiedano meno giorni di malattia e vivano in condizioni di maggior benessere psicofisico”, ha dichiarato il vice sindaco di goteborg mats pilhem (nella foto) in un’intervista al quotidiano svedese The Local. In ultima analisi, l’operazione aumenterebbe la produttività e lascerebbe più soldi nelle casse dello Stato svedese. “Crediamo sia giunta l’ora di provarci sul serio”, ha proseguito Pilhem, riferendosi a un analogo esperimento condotto in passato nella remota cittadina settentrionale di Kiruna, ma mai trasformatosi in realtà. Il nuovo modello che la sinistra sta cercando di introdurre a Goteborg si basa su alcuni dati empirici secondo cui giornate lavorative di otto o più ore diminuirebbero l’efficienza delle attività svolte. Con le elezioni alle porte, i moderati all’opposizione hanno naturalmente definito la proposta “disonesta e populista”, ma, sicuro di sé, Pilhem ha ribadito che si tratta di un progetto su cui la sinistra lavora ormai da tempo. “Tutto questo non ha nulla a che fare con le elezioni”, ha concluso il vice sindaco di Goteborg. LOOKOUT 5 - maggio 2014 57 RASSEgNA STAmpA INTERNAzIoNALE AfRICA E mEdIo oRIENTE mEdIA WATCh Page is turned in the Gulf I Paesi del Golfo voltano pagina di Hussein Haridy, ex assistente del Ministro degli Esteri egiziano “ Dall’articolo apparso su Al-Ahram Weekly nell’edizione del 1 maggio 2014 I Paesi del Golfo voltano pagina e l’Egitto tira un sospiro di sollievo”. Questo inciso per dar conto dell’opinione del politico egiziano Hussein Haridy su quanto sta accadendo all’interno del Consiglio di Cooperazione del Golfo (GCC). Dopo la crisi degli ultimi mesi, che ha visto richiamati da Doha gli ambasciatori di Arabia Saudita, Bahrain e Emirati Arabi con tutte le conseguenze regionali del caso, l’ultimo summit consultivo tra i ministri degli Esteri del GCC (Riad, 17 aprile) sembra aver appianato almeno in parte le divergenze. Il “Documento di Riad” - com’è stato definito l’accordo secondo cui le politiche di ogni Stato membro non devono interferire con la sicurezza generale e la stabilità della regione - è stato ottenuto grazie alla mediazione del Kuwait (che quest’anno detiene la presidenza del Consiglio) ma anche e soprattutto, sostiene Haridy, in seguito all’incontro di fine marzo tra il Presidente americano e il Re saudita, “che indirettamente ha spinto il Qatar verso un nuovo approccio conciliatorio nei confronti dei Paesi del Golfo”. E non solo del Golfo, aggiunge Haridy, notando un mutato atteggiamento anche nei confronti del governo egiziano che il Qatar, dalla deposizione dell’islamista Morsi, non ha mai appoggiato a differenza degli altri Stati del GCC, facendosi anzi sostenitore del radicalismo della Fratellanza (accogliendo i fuggitivi egiziani e soprattutto trasformando Al Jazeera in “portavoce” dell’Organizzazione). Commenta Haridy: “La recente campagna mediatica egiziana contro il Qatar non aiuta il processo riconciliatorio, ma al Cairo hanno ben chiaro che la stabilità del Paese passa anche da una più ampia stabilità regionale e che eventuali inimicizie nel Golfo potrebbero non giovare alla politica egiziana sul medio e lungo periodo”. Nella foto: il politico egiziano hussein haridy LOOKOUT 5 - maggio 2014 59 RASSEgNA STAmpA INTERNAzIoNALE ASIA mEdIA WATCh Military waits as political ways out near dead end I militari nella crisi politica senza vie d’uscita di Wassana Nanuam, giornalista del Bangkok Post “ Dall’articolo apparso su The Bangkok Post l’8 maggio 2014 L a prospettiva di un colpo di Stato appare sempre più attraente poiché le soluzioni politiche avanzate dai vari gruppi appaiono futili”. Con questa apertura, l’articolo di Wassana Nanuam dà l’idea della gravità della crisi in cui la Thailandia sta sprofondando sempre di più e con il primo ministro yingluck Shinawatra (nella foto) costretta alle dimissioni da una sentenza della Corte Costituzionale emessa il 7 maggio. In un Paese spaccato a metà e con le elezioni del 20 luglio - che con tutta probabilità faranno la fine di quelle del 2 febbraio, annullate a seguito del boicottaggio delle forze di opposizione - viene da molti ventilata l’ipotesi di un intervento militare. In tale vuoto politico, un colpo di Stato potrebbe concretamente verificarsi. “I thailandesi sono abituati - argomenta Nanuam - dopotutto se ne sono avuti 18 dall’instaurazione della monarchia costituzionale. Ma questa crisi è diversa”. I militari questa volta si sono voluti tenere in disparte, memori dei risultati dell’ultimo golpe che ha deposto Thaksin Shinawatra (fratello di Yingluck e al tempo primo ministro), inizialmente appoggiato dalla popolazione ma con esiti successivi negativi. Nanuam attribuisce l’inattività dei generali in parte al vicino pensionamento di molti di essi, che non vorrebbero a quel punto essere coinvolti in un conflitto interno, e in parte al fatto che le “camicie rosse”, sostenitori del partito di maggioranza Pheu Thai, potrebbero dare il via a una rivolta popolare dagli esiti incerti e dal sicuro spargimento di sangue. L’articolo conclude riportando le dichiarazioni del più diretto interessato, il capo delle Forze Armate, Generale Prayuth Chan-ocha: “I militari non chiudono né aprono la porta a un colpo di Stato, ma una decisione nell’uno o nell’altro senso dipenderà dalla situazione”. LOOKOUT 5 - maggio 2014 61 Tu gestisci il core business, noi pensiamo al resto. Specializzata nella progettazione e gestione di servizi di Facility Management per la conduzione delle attività no core delle aziende, MANITAL è in grado di operare su tutta la penisola con la forza di centinaia di aziende specializzate per settore di attività e per aree di intervento. Si rivolge alla Pubblica Amministrazione, ai Gruppi Industriali, alle medie imprese appartenenti ai diversi settori di attività. Un mix di professionalità e flessibilità al servizio del cliente. Il vosTro Facility Partner RASSEgNA STAmpA INTERNAzIoNALE AmERIChE mEdIA WATCh Calle 13 pide cuidar la selva de la región L’appello rap di Calle 13: “proteggiamo la nostra foresta” dalla Redazione di El Commercio D Dall’articolo apparso su El Commercio il 5 maggio 2014 opo l’attrice Sharon Stone, anche la nota band portoricana Calle 13 ha deciso di sostenere la campagna dell’Ecuador contro la multinazionale statunitense del petrolio Chevron. “René Pérez, frontman del gruppo, ha fatto un appello all’unità dei popoli contro le compagnie energetiche internazionali come Chevron che invadono i nostri territori e contaminano la nostra natura” scrive il quotidiano ecuadoregno El Commercio. Il presidente Rafael Correa è impegnato in una complicata lotta contro l’azienda petrolifera americana, colpevole secondo il governo di Quito del danno ambientale provocato nella provincia di Sucumbios, nel nordest del Paese, bacino dell’Amazzonia. “Calle 13 - continua El Comercio - è arrivata nella regione dell’Amazzonia per unirsi alla campagna internazionale La mano sucia de Chevron. L’azienda è stata condannata dalla giustizia ecuadoregna a versare 9,5 miliardi di dollari per i danni causati all’ambiente dai suoi impianti per l’estrazione di petrolio tra il 1964 e il 1992”. Danni che si sarebbero riversati anche sulla popolazione locale provocando malformazioni, malattie della pelle e casi di cancro. “La multinazionale americana ha però sinora sempre respinto le accuse - conclude El Comercio - definendo momento di puro spettacolo l’arrivo del gruppo latinoamericano in Ecuador”. Nella foto: il cantante della band hip hop Rene perez LOOKOUT 5 - maggio 2014 63 RASSEgNA STAmpA INTERNAzIoNALE oCEANIA mEdIA WATCh Brunei’s Sharia mixed news for countries with muslim communities La radicalizzazione islamica del Brunei di Siddartha Sarma, giornalista per Malaysia Today “ Dall’articolo apparso su Malaysia Today 2 maggio 2014 D opo anni di strisciante fondamentalismo Hassanal Bolkiah ha deciso di uscire allo scoperto annunciando la piena applicazione della Sharia nel sistema legislativo del Brunei. Una decisione che può avere un impatto immediato soprattutto nel mondo dell’Islam più moderato”. Dalle colonne di Malaysia Today, Siddartha Sarma commenta così la scelta del sultano del Brunei di estendere la legge islamica al codice penale e civile nell’arco dei prossimi tre anni. La prima fase consisterà nell’aggiornamento delle multe e delle condanne a pene detentive, la seconda prevederà l’amputazione di arti in caso di furto e la fustigazione per chi consuma alcolici, mentre la terza la lapidazione qualora i reati commessi siano l’adulterio o atti omosessuali. “Il passaggio definitivo al nuovo sistema non sarà dunque immediato, quindi ci saranno delle differenze rispetto a Paesi radicali come l’Arabia Saudita e l’Iran - spiega l’autrice dell’articolo - Ciò che è certo è che in questo processo il Brunei è stato molto influenzato da ciò che è accaduto in Malesia negli ultimi vent’anni”. “La cattiva notizia - conclude - è che si conferma la tendenza all’estremizzazione di questo modello e il conseguente respingimento di sistemi giuridici secolari più moderni, che invece garantirebbero processi equi, la parità di trattamento tra uomini e donne e punizioni esclusivamente detentive”. Nella foto: il sultano del Brunei hassanal bolkiah LOOKOUT 5 - maggio 2014 65 Places Immagini dai luoghi meno conosciuti al mondo 66 LOOKOUT 5 - maggio 2014 djoubissi, Rep. Centrafricana Cercatori d’oro al lavoro presso la miniera a cielo aperto di Djoubissi, situata a circa 50 km a nord di Bambari, vicino al fiume Ouaka. Cappy, francia Un sub dell’unità bombe di Amiens recupera un proiettile inesploso della I Guerra Mondiale. Ogni anno, l’unità rimuove diverse tonnellate di “engins de mort”. guangzhou, Cina Una singolare abitazione “green”, eccessiva secondo gli standard cinesi. Le autorità vorrebbero demolire la costruzione illegale, ma il proprietario non si trova. panjshir, Afghanistan Un asino trasporta le urne con le schede di voto, raccolte nei villaggi afghani della provincia di Panjshir (a nord di Kabul) irraggiungibili dai mezzi di trasporto. Rio de Janeiro, brasile Il cavalcavia Perimetral dopo la sua demolizione, parte del progetto Rio Porto Maravilha per la riqualificazione della città in vista dei Giochi Olimpici del 2016. bangkok, Thailandia Un monaco buddista cammina di fronte alla statua del Buddha danneggiata dal terremoto presso il Tempio di Udomwaree a Chiang Rai, nel Nord del Paese (6 maggio). SoCIETà LIbIA I luoghi di partenza dell’immigrazione africana in Europa ITALIA Operazione “Mare Nostrum”: il reportage hoNdURAS Gli “Sherpa” che accompagnano i clandestini negli Stati Uniti Biglietto di sola anda 68 LOOKOUT 5 - maggio 2014 SoCIETà Con l’approssimarsi della stagione estiva, torna purtroppo di moda raccontare il dramma dell’immigrazione verso l’Europa. Proviamo almeno a tracciare le rotte e identificare chi gestisce questo esodo inarrestabile ta LIbIA | di Cristiano Tinazzi D ue sono le principali rotte che portano i migranti dall’Africa subsahariana verso Libia e Tunisia. La prima è quella Agadez-Dirkou-Sebha. Una rotta migratoria che attraverso il Niger congiunge Africa Occidentale e Centrale e si snoda lungo l’antica via carovaniera per entrare nel Paese nordafricano dal posto di frontiera di Toumu. Dirkou, a circa 550 chilometri a sud del confine con la Libia e a 650 da Agadez, è il punto di raccolta dei migranti che si apprestano a dirigersi a nord e, viceversa, per tutti coloro che sono stati respinti alla frontiera. Con una esigua popolazione che si attesta sulle 14mila unità, la cittadina ha avuto enormi flussi di passaggio negli anni passati, con picchi di transiti che nel 2011 hanno oltrepassato 60mila unità (la quasi totalità in fuga dalla Libia in guerra). A partire dal 2012, i flussi hanno ripreso la normale direzione sud-nord. Nella cittadina è presente dal 2009 l’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (OIM), che gestisce un centro di transito con una capienza massima di 250 persone. Le dispute tribali La rete di trafficanti che gestisce sin dagli anni Novanta il passaggio di migranti verso Libia e Algeria è gestita da una decina di “agenzie di viaggi” semiclandestine, con ramificazioni e uffici ad Agadez. Dirkou ha una popolazione mista, composta da Toubu, Tuareg e Kanuru, ma sono le prime due etnie a gestire il traffico dei migranti. Come popolazioni seminomadi e transfrontaliere risiedono, infatti, in una vasta area che si estende su diversi Stati. La maggioranza dei Toubou vive tra le montagne del Tibesti sul confine libico-ciadiano. I trafficanti, chiamati “Tchagga”, organizzano il viaggio con l’assenso della polizia nigerina e in LOOKOUT 5 - maggio 2014 69 SoCIETà Le rotte delle migrazioni afro-mediterranee Malaga Ceuta Rotte principali Casablanca Tunisi TUNISIA Lampedusa Melilla Magniyya Rabat Wagda Sfax MAURITANIA Il Cairo Ghamades LIBIA EGITTO NIGER BURKINA FASO Ouagadougou Conakry Freetown Accra Monrovia GHANA Dirkou Agadez Niamey Porto Novo Atbara Asmara Khartum N’Djamena Kano SUDAN ETIOPIA NIGERIA Addis Abeba Lagos CAMERUN Yaounde cambio di soldi, per chiudere un oc- controllare un’area vasta quanto Texas chio su documenti e certificazioni fal- e Oklahoma e soggetta a scontri armase. Da Dirkou, lungo la strada si rag- ti tra l’etnia Toubu e la tribù araba degiunge Madama, un ex avamposto mi- gli Awlad Suleiman. Scontro dovuto litare francese e da lì si arriva al posto non solo a rivendicazioni etnico-politidi frontiera libico di Toumu. Da Tou- che, ma anche e soprattutto alla gestione del controllo della frontiera mu il secondo punto di raccolta sud. La città di Sebha è svidei migranti è l’oasi di Seluppata su tre oasi (Jebha, nel Fezzan, punto La Libia did, Quatar e Hejer) e dal quale poi si arriva ha soltanto rappresenta la città dopo un lungo viagmadre degli Awlad gio sulla costa libica. Suleiman e della sua famiglia più imporIl fezzan uomini per un’area tante, quella del clan Da sempre crocevia di traffici umani, vasta quanto Texas Saif al Nasr, alleata armi e droga, il Fezzan con gli Abu Saif. Uno e Oklahoma è la regione semidesertidei quartieri della città, ca nel sud della Libia. DalTajuri, è principalmente l’inizio del conflitto del 2011, abitato da Toubu e Tuareg. che ha portato alla caduta del regime di Gheddafi e alle prime libere elezioni dal Corno d’Africa all’Italia nella storia del Paese, il Fezzan contiLa seconda rotta è quella dei flussi nua a vivere un’emergenza (collegata e migratori originari del consequenziale agli innumerevoli pro- Corno d’Africa che blemi di stabilità statuale) relativa ai parte dallo snodo di flussi migratori verso l’Italia e l’Europa. Khartoum, in Sudan, e Qui circa 6mila uomini del Comando segue la strada per militare della Libia del sud devono l’oasi libica di Kufra, 6.000 LOOKOUT 5 - maggio 2014 ERITREA CIAD BENIN LIBERIA Port Sudan Selima MALI Nouakchott Bamako Kufra Toumu GUINEA 70 Alessandria Sebha Tamanrasset SIERRA LEONE Bengasi Adjabiya ALGERIA El Ajum Dakar Tripoli MAROCCO Wargla SENEGAL Malta Fonte: Frontex, Reuters, Limes Fonte: Reuters; i-Map; International Organization for Migration Agadir Almaria Le vittime del 2013 Numero di migranti morti in mare o mentre attraversavano il deserto Caraibi Nord Africa Pacifico del Sud Stati Uniti/ Confine messicano 99 129 214 444 Mediterraneo 707 Golfo del Bengala 785 Africa/ Medio Oriente 2.000-5.000 (stime) SoCIETà Il dizionario La rivolta contro il regime libico del 2011, porta a una guerra civile che oppone le forze fedeli a Gheddafi agli insorti del Consiglio Nazionale Libico. A seguito della risoluzione 1973, la NATO interviene militarmente. Rovesciato il regime, il potere va alla nuova Assemblea Congressuale. Tuttavia la crisi politica non accenna a risolversi. Dopo il difficile premierato di Ali Zeidan, e di Al Thinni, oggi il Paese è in mano al giovane imprenditore Ahmed Maetiq. PER SAPERNE DI PIÙ WWW.LOOKOUTNEWS.IT/PAESE/LIBIA fino ad arrivare ad Ajdabiya-Bengasi. La rotta è praticata in particolare da profughi sudanesi, somali, etiopi ed eritrei. L’entrata in Libia spesso avviene dal deserto egiziano. Anche a Kufra si scontrano i Toubu con la tribù araba dominante, gli Sway, per il controllo del potere. Il leader Toubu, Issa Abdul Majid Mansour, nel 2011 è stato designato dal Consiglio Nazionale di Transizione - ovvero l’organo che controlla la fase transitoria delle nuove istituzioni libiche - come supervisore per la frontiera meridionale. Nel febbraio 2012, però, la cooperazione tra Sway e Toubu, rafforzatasi con la comune avversione al Colonnello Gheddafi, cessa e i susseguenti combattimenti tra i due gruppi causano centinaia di morti da ambo le parti. In ogni caso, questo non ha impedito il traffico di esseri umani, né di armi (o altro) e il punto d’arrivo finale sulla costa è ancora Tripoli, da dove poi altri trafficanti organizzano i ben noti viaggi in mare verso l’Italia. Terrorismo e traffici illegali in Nord Africa Il vuoto di potere che è andato creandosi in Nord Africa nel post-rivoluzioni - complice l’assenza di una risposta forte da parte dei governi centrali, se non il crollo stesso dell’apparato statuale - ha permesso il consolidarsi di un sostrato jihadista sahelo-sahariano che sfrutta la porosità delle frontiere per i suoi traffici e per la sua stessa sopravvivenza e organizzazione logistica. L’incapacità dei governi centrali di controllare porzioni sconfinate di aree desertiche ha concesso ai gruppi militanti emergenti di trovare terreno fertile per radicarsi e portare avanti azioni congiunte su base regionale, pur mantenendo basi distinte e direttive separate per ogni Paese. Restando fermi i legami con Al Qaeda nel Maghreb Islamico (AQIM), che detiene tuttora la leadership qaedista in questa parte di Africa, i vari gruppi si sono organizzati più o meno su base nazionale, ognuno “specializzandosi” in un determinato tipo di traffico illecito o azione armata. ALGERIA La Brigata “Firmatari col sangue”, di Mokhtar Belmokhtar, responsabile della strage di Tiguentourine-In Amenas, nasce alla fine del 2012 dalla scissione diretta di AQIM guidato da Abdelmalek Droukdel. Secondo fonti di intelligence, dal gennaio 2014, avrebbe unito le forze con le organizzazioni di Ansar al-Sharia in Libia e Tunisia. Più di recente, inoltre, ha preso posizione nel nord del Mali e si starebbe specializzando nel sequestro di personale occidentale. Il gruppo di Belmokhtar, tra l’altro avrebbe legami con i “Figli del Sahara per la giustizia islamica” il cui ex leader, Liamine Boucheneb, contrabbandiere e saharawi arruolato nella milizia armata del Polisario, è stato ucciso durante l’attacco a In Amenas. Il jihadismo algerino, benché tenuto a bada dalle forze di sicurezza centrali, si alimenta dei commerci illeciti con la Libia, in particolare armi e droga. LIBIA Il gruppo islamista militante di Ansar al-Sharia (di cui esistono rami separati almeno a Bengasi e Derna) compare ufficialmente sulla lista delle organizzazioni terroristiche del Dipartimento di Stato americano. Ma l’azione armata e i traffici di contrabbando (in particolare, armi e esseri umani) sono gestiti altrettanto fruttuosamente dalle migliaia di milizie armate presenti sul territorio. Alcune di queste, come la “Brigata dei Martiri di Abu Salim” diretta da Salem Derbi, un veterano dell’Afghanistan, sposano il connubio militanza-islamismo. Si è diffusa di recente l’esistenza (non confermata) di un gruppo radicale libico-tunisino, Shabab Al-Tawhid, specializzato nel rapimento di ostaggi in Libia e con apparenti legami con il gruppo jihadista dello Stato islamico dell’Iraq e del Levante, attivo in Siria (ISIL). TUNISIA Il governo tunisino ha ufficialmente dichiarato Ansar al-Sharia organizzazione terroristica nell’agosto 2013. Dopo una prima fase di azioni armate e attentati che hanno colpito turisti e obiettivi politici, destabilizzando il Paese, l’attività dei terroristi tunisini è stata circoscritta all’area del Monte Chaambi (sopra Kasserine, al confine con l’Algeria) che rimane altamente pericolosa nonostante la crescente risposta militare. L’area è fortemente soggetta al contrabbando di droga e armi. EGITTO Il jihadismo egiziano è diretta espressione dei Fratelli Musulmani, il cui movimento è stato dichiarato organizzazione terroristica dal governo del Cairo nel dicembre 2013. Dopo la destituzione del presidente islamista, Mohammed Morsi, la situazione è particolarmente degenerata nel Sinai, dove il gruppo di Ansar Beyt al-Maqdis, affiliato di AQIM, ha raccolto decine di migliaia di beduini fondamentalisti prendendo di mira militari e turisti. Ulteriori gruppi jihadisti (“Ansar al-Shari’a nella Terra di Kinana” e Ajnad Misr), emersi più di recente, hanno esteso la loro attività anche ai centri abitati, colpendo sia università sia sedi e personale della polizia. LOOKOUT 5 - maggio 2014 71 SoCIETà Problema “Nostrum” La missione del governo “operazione mare Nostrum” è poco più che un deterrente al fenomeno migratorio. Per capirne i meccanismi, siamo saliti a bordo della San Giusto ITALIA | Reportage di Francesco Militello Mirto D opo le due tragedie di Lampedusa e visto l’eccezionale afflusso di migranti provenienti dalle coste africane, al fine di fronteggiare lo stato di emergenza nello Stretto di Sicilia, il governo italiano ha disposto il rafforzamento delle attività correlate con il controllo del flusso migratorio attivando l’Operazione Mare Nostrum. Questa missione ha potenziato un dispositivo già esistente impegnato nell’Operazione Constant Vigilance (OCV), iniziata nel 2004. La missione italiana è stata avviata per tentare di arginare una situazione di crisi umanitaria. Quindi è un’operazione militare, gestita e condotta dai militari, ma dal carattere prettamente umanitario. La Mare Nostrum ha anche una funzione di deterrenza e di contrasto del traffico illegale di migranti. Contemporaneamente all’azione di soccorso in mare, c’è dunque un’azione di lotta 72 LOOKOUT 5 - maggio 2014 ai trafficanti di esseri umani. Ma è sufficiente questo sforzo? Durante questi mesi la Marina Militare, nell’ambito delle sue funzioni di polizia marittima, è riuscita a catturare due navi madre, che venivano impiegate dai trafficanti per abbandonare in mezzo al mare, su barconi fatiscenti, parecchie centinaia di migranti. Gli equipaggi di queste imbarcazioni sono stati arrestati e tra i migranti salvati sono stati identificati alcuni scafisti che tentavano di mischiarsi alle persone salvate grazie alle indagini a bordo, condotte con il concorso dei mediatori culturali, della Polizia scientifica e della task force della Polizia di Stato. “La funzione di deterrenza dell’operazione è stata sino ad ora efficace - dice il Contrammiraglio Giuseppe Rando, Comandante del dispositivo aeronavale* - ma si tratta di un fenomeno molto ampio sia per le dimensioni sia per la spinta verso il continente europeo. La Marina svolge molto bene la *fino al 24 marzo 2014 SoCIETà I mezzi messi in campo dalla Marina • 1 Nave Anfibia tipo LPD; • 1-2 fregate Classe Maestrale, equipaggiate con elicotteri AB-212; • 1-2 pattugliatori, Classe Costellazioni/Comandanti; • 2 elicotteri pesanti tipo EH-101 (MPH); • 1 velivolo P180, con capacità dispositivi ottici a infrarosso (FLIR); • Rete radar costiera della M.M. con capacità di ricezione dei Sistemi Automatici di Identificazioni della Navi Mercantili (AIS). • 1 Nave mototrasporto costiero per supporto logistico. finirà, perché non è una decisione al nostro livello, ma spetta al governo. Quindi noi continuiamo a operare, finché ci verrà chiesto di farlo. Noi facciamo la nostra parte per mare. Ma la soluzione del problema dell’immigrazione illegale ovviamente non siamo noi - sottolinea il Contrammiraglio Anche se contribuire ad aumentare la sicurezza e salvare migliaia di vite è per noi una grande soddisfazione, ovviamente il traffico illegale dei migranti ha bisogno di una regia a livello internazionale. Il problema dell’immigrazione e della sicurezza dei migranti non si risolve certo con la Marina Militare”. Da quando è cominciata la missione italiana, sono state salvate più di 10mila persone, cifra destinata ad aumentare, se non vengono studiate altre strategie. Senza il contributo delle altre marine europee come Francia, Germania, Spagna e Inghilterra, per citarne alcune, sarà impossibile un controllo dei flussi migratori e un contrasto dei traffici illegali perpetrati via mare. Cos’è Operazione Mare Nostrum sua missione, ma il compito della gestione dell’immigrazione è assai più complesso”. Ogni giorno, da quando è iniziata l’Operazione Mare Nostrum, i mezzi e il personale delle Marina Militare (così come quello delle altre organizzazioni come la Guardia Costiera) sono costantemente impegnati nel pattugliamento dello stretto di Sicilia e nelle operazioni di soccorso di quelle centinaia di anime che affrontano il mare a bordo di precarie imbarcazioni. Il lavoro della Marina Militare non finisce con il soccorso, la distribuzione di acqua, cibo e giocattoli ai bambini. E neanche quando vengono sbarcati i migranti nei porti siciliani. Ma continua non appena si riprende il mare. “Non sappiamo quando la missione Oltre 20mila migranti soccorsi dal 18 ottobre 2013 a oggi e un costo mensile calcolato tra i 6 e i 9 milioni di euro con personale e mezzi di: Marina Militare, Aeronautica Militare, Carabinieri, Guardia di Finanza, Guardia Costiera, Ministero dell’Interno (Polizia) e altri Corpi dello Stato che partecipano, a vario titolo, al controllo dei flussi migratori nel Mar Mediterraneo meridionale. LOOKOUT 5 - maggio 2014 73 SoCIETà Bienvenidos negli States Nel mondo attualmente ci sono 214 milioni di migranti, ovvero il 3% dell’intera popolazione. Dietro ogni migrazione illegale vi è una guida incaricata di organizzare la traversata. In America Centrale, dove il viaggio si fa in macchina, in treno e a piedi, avere una guida esperta fa la differenza tra la vita o la morte 74 LOOKOUT 5 - maggio 2014 Mexico USA SoCIETà hoNdURAS | di Mariana Diaz L per la riuscita della traversata, ma lo so- violentate lungo la strada. Negli ultimi no anche le relazioni che il coyote riesce quindici anni, si stima che siano state a istaurare con gli agenti di polizia e di trovate morte 5.513 persone lungo i frontiera. In molti casi, per oltrepassare 3.145 km di frontiera fra il Messico e gli un controllo basta qualche centinaio di Stati Uniti. Secondo le cifre emanate dollari. Nel complesso, un viaggio negli dall’Organizzazione Internazionale Stati Uniti costa intorno ai settemila dol- per le Migrazioni, dopo il Golfo del Bengala e il Mediterraneo, la fronlari se la partenza è l’Honduras, ma tiera nord del Messico è la può scendere a duemila se il più pericolosa al mondo. viaggio comincia in MessiLa maggior parte dei co. Alcuni coyotes incluMolte migranti proviene da dono nel prezzo sia il donne usano Honduras, Guatemacosto del carburante sia vitto e alloggio, per CoNTRACCETTIVI la e Messico, e negli ultimi anni i messicauna traversata che nell’eventualità di ni non rappresentapuò durare dai 6 ai 12 essere violentate no più il principale giorni. Prima di perdelungo la gruppo migratorio re il denaro, il “pollo” (anzi, il Paese degli Azpuò tentare il viaggio fistrada techi è persino diventato no a tre volte. una meta per molti centroaLa traversata non è esente mericani). Secondo fonti locali, oggi da rischi e per un migrante senza documenti tutto è una minaccia: dal negli Stati Uniti ci sarebbero circa 1,2 deserto ai fiumi, dai sequestri di per- milioni di honduregni, i quali inviano sona agli attacchi dei cartelli della dro- in Honduras qualcosa come 3 milioni ga rivali. Le più vulnerabili sono le don- di dollari l’anno in rimesse o denaro. ne, che rischiano di finire nelle reti del Tali cifre dimostrano che molte volte il traffico di esseri umani o nella prostitu- viaggio si conclude con un successo. zione. Molte donne prima della partenza Così, il coyote dopo aver salutato i suoi si sommettono persino a trattamenti an- clienti ritorna nel proprio Paese, pronticoncezionali, nell’eventualità di essere to per un nuovo viaggio. i chiamano “coyotes” perché lavorano nel deserto. Ma sono conosciuti anche come “polleros”, perché i loro clienti sono i “polli”, ovvero i migranti. I coyotes sono vere e proprie guide per i viaggiatori che operano con chi vuole attraversare il confine fra il Messico e gli Stati Uniti. Paradossalmente, la loro presenza è aumentata man mano che si estendevano regole e controlli per impedire l’immigrazione illegale sul suolo statunitense. Telecamere, posti di blocco, polizia, agenti di frontiera: il coyote sa bene quand’è il momento di attraversare e, più controllate saranno le frontiere, più costoso sarà il biglietto verso il sogno americano. Esistono diverse tipologie di coyotes, ma la caratteristica principale che deve avere un coyote è la credibilità. Il suo lavoro, infatti, non comincia con il viaggio, bensì con una forte opera di motivazione verso i suoi possibili clienti. Il coyote è una persona di fiducia e nota nella comunità per aver già realizzato molti viaggi di successo. In alcuni casi lavora da solo, e lui stesso accompa1.600* gna i “polli” durante rapimenti al mese tutto il tragitto, altre volte è affiliato a un 94,2% circuito locale dedito rapimenti da bande al trasporto di miorganizzate granti illegale. Negli ultimi anni, però, si è affermata anche una 2.500 dollari taglia media per vittima tendenza che li vede appartenere a reti criminali internazionali. 45 milioni Non è un caso: per i di dollari cartelli della droga quanto arrivano queste traversate soa guadagnare i rapitori no sempre più spesso in un anno una delle fonti d’ingresso degli stupefa*Dati basati sui risultati della relazione speciale della Commissione centi negli USA. Nazionale dei Diritti Umani (CNDH) La conoscenza del Fonte: Amnesty International, CNDH luogo è fondamentale Rotte dell’immigrazione messicana Tijuana Nogales U.S.A. Ciudad Juarez Nuevo Laredo Torreon Oceano Pacifico Saltillo Golfo del Messico Reynosa TAMAULIPAS Tampico Mazatlan Guadalajara VERACRUZ TABASCO Veracruz Mexico City Percorsi principali (non confermati) Maggior numero di migranti sequestrati Tenosique MESSICO Tapachula 500 km GUAT. HON. EL SALVADOR LOOKOUT 5 - maggio 2014 75 SoCIETà L’opINIoNE Cosa fare per contenere i flussi migratori? Khalid Chaouki Deputato del Partito Democratico, Membro Commissione Affari Esteri e Comunitari I l governo Renzi sta puntando molto sulla presidenza del semestre europeo per riaffermare con forza la necessità di coinvolgere tutta l’Europa nella gestione dei flussi migratori dal Nord Africa e dal Medio Oriente. L’operazione “Mare Nostrum” sta contribuendo a salvare molte vite, ma la cosa fondamentale da fare è andare alla fonte del problema. Per dotarsi di una vera strategia nazionale, l’Italia deve rendersi più protagonista attraverso tre azioni. Intervenire in Libia, che come noto è il Paese di maggiore transito dei migranti, chiedendo alle autorità libiche l’agibilità dell’UNHCR (Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati), la realizzazione di campi di accoglienza e la valutazione delle richieste di asilo presentate dai migranti. Pretendere l’applicazione di una specifica del protocollo di Dublino in base alla quale in caso di flussi migratori eccezionali le coste italiane, come quelle maltesi o greche, vengano considerate frontiere europee e non solo nazionali. Istituire un tavolo nazionale a cui partecipino le regioni e i comuni affinché sia l’intero Paese ad accogliere queste persone. Serve poi il coinvolgimento anche di quelle regioni come Piemonte e Lombardia che in questi anni hanno confuso la propaganda contro l’immigrazione con quello che è il diritto internazionale all’accoglienza per chi scappa da guerre e violenze e che oggi rappresenta oltre il 90% di chi sbarca sulle nostre coste. 76 LOOKOUT 5 - maggio 2014 fabrizio Cicchitto Senatore del Nuovo Centrodestra, Presidente Commissione Affari Esteri e Comunitari P aradossalmente il picco dei flussi migratori dal Nord Africa e dal Medio Oriente si è avuto nel 2011 con il governo Berlusconi nonostante il buon lavoro svolto dal ministro degli Interni Maroni con i Paesi dirimpettai. All’epoca ci furono 61mila ingressi mentre oggi siamo a quota 41mila. Allora l’errore fu di appoggiare un dissennato intervento operato su spinta americana e francese per abbattere Gheddafi senza avere un’alternativa. Il risultato è che oggi abbiamo di fronte una Libia che non ha un governo stabile e che di fatto non è uno Stato. Una situazione ben diversa rispetto alla Spagna, che invece ha davanti a sé il Marocco che è uno dei Paesi sulla sponda africana del Mediterraneo in migliori condizioni dal punto di vista democratico ed economico, capace di esercitare un filtro molto forte sui flussi migratori. Al momento, l’operazione Mare Nostrum sta evitando un numero spropositato di vittime, ma ciò non toglie che l’Italia è chiaramente arrivata al limite delle proprie possibilità. Qualora gli sbarchi dovessero continuare, è chiaro che non siamo nelle condizioni di reggere da soli questa emergenza. C’è un limite determinato dalla situazione economica e sociale e dalla tenuta del tessuto collettivo del nostro Paese. Per questo motivo il problema va posto a tutta l’Europa. Noi rappresentiamo l’avamposto del Continente nel Mediterraneo e sinora abbiamo dato una prova di massima affidabilità sul piano umanitario e dell’accoglienza, ma adesso è necessario un impegno europeo perché quel limite è stato superato. ALL NEWS SoCIETà ARAbIA SAUdITA A Gedda il grattacielo più alto del mondo EmIRATI ARAbI Presentato il “Louvre del deserto” A prirà le porte al pubblico il 2 dicembre del 2015 il “Louvre del deserto” di Abu Dhabi. Il museo è stato costruito in un edificio futuristico progettato dall’architetto francese Jean Nouvel. Tra le opere che verranno esposte: una Torah yemenita del 19° secolo, una Bibbia gotica del 13° secolo e una serie di capolavori rinascimentali e moderni di artisti come Yves Klein, René Magritte e Pablo Picasso. Anteprima in mostra al Louvre di Parigi (quello vero) fino al 28 luglio. È iniziata ad aprile a Gedda la costruzione della Kingdom Tower. Una volta terminato l’edificio sarà alto circa un chilometro, dunque 170 metri in più rispetto al Burj Khalifa di Dubai che al momento detiene questo primato. bRASILE fALKLANd/ mALVINAS Prezzi delle case alle stelle Polemiche per le guide turistiche della YPF S econdo l’indice FipeZap, da quando il Brasile si è assicurato i Mondiali di Calcio di questa estate e le Olimpiadi del 2016, il costo degli immobili è aumentato del 250% a Rio de Janeiro e del 200% a San Paolo. Nonostante la crescita economica a rilento e le continue proteste, c’è chi è disposto a spendere 15mila dollari al mese per prendere in affitto un appartamento a pochi passi dalla famosa spiaggia di Ipanema. N uovi guai in vista tra il governo argentino e il colosso energetico spagnolo Repsol. A far discutere sono adesso le guide turistiche pubblicate sul sito della YPF (Yacimentos Petroliferos Fiscales), recentemente nazionalizzata dal governo di Buenos Aires. Sul sito della compagnia le isole Malvinas, al centro della decennale disputa con il Regno Unito, sono nominate in inglese (Falkland), così come il capoluogo Stanley (e non Puerto Argentino) e le West Falkland (piuttosto che Isla Gran Malvina). LIbANo All’asta l’hotel storico della capitale gIAppoNE In calo la popolazione infantile P resto potrebbe conoscere una nuova vita il vecchio hotel Holiday Inn di Beirut. Simbolo dell’età d’oro ontinua a diminuire la popolazione infandel Libano, ma anche della sanguinaria guerra tile del Giappone. Ad oggi i bambini al di civile del 1975-1990, l’edificio che domina il sotto dei 15 anni rappresentano solo il lungomare della capitale nei prossimi mesi fii cimeli di Napoleone 12,8% della popolazione totale, la percentuale nirà forse all’asta. Nonostante riversi in condirubati dalla residenzapiù bassa tra le 30 nazioni al mondo con una zioni fatiscenti e sia sorvegliato all’ingresso museo a Mount popolazione di almeno 40 milioni di abitanti. dai blindati dell’esercito, rappresenta un moMartha in Tra le cause principali una generale mancanza numento importante del patrimonio moderno Australia di interesse per il sesso da parte dei giovani. della città. C 10 LOOKOUT 5 - maggio 2014 77 dURA LEx SoTTo LA LENTE dEL dIRITTo di Giusi Landi e Giuseppe Saccone A nziché i mari, dominano i media le ondate d’imbarcazioni clandestine che dal lembo settentrionale d’Africa hanno ripreso a solcare il Mediterraneo. Le tragiche cifre delle morti in mare e le infauste previsioni sui prossimi transiti non allargano certo i cuori. Circa 20mila gli stranieri arrivati via mare in Italia dall’inizio del 2014 e oltre 23mila le morti a partire dal 2000. Il vorticoso flusso migratorio - pari al 3% della popolazione planetaria rappresenta in realtà la cifra della nostra contemporaneità. L’immigrazione ottici e aerei equipaggiati per la sorveglianza notturna. E grazie al neo istituito Eurosur, attraverso un sofisticato sistema di monitoraggio, consente alle autorità nazionali preposte alla sorveglianza delle frontiere di condividere informazioni operative. Così muri, recinzioni, radar mobili, video termici, sonde per il rilevamento di gas carbonico, detector del battito del cuore e, adesso, anche droni controllano le frontiere a sud del Mediterraneo. Pare, però, che la gestione concertata dei massicci flussi stagionali non abbia inciso nella misura sperata, malgrado i costi sostenuti in burocrazia, assistenza, sistemi di sorveglianza e di identificazione, controlli alle frontiere, gestione dei centri di accoglienza, espulsioni e rimpatri. Il punto è che il numero dei boat people tempestivamente monitorati rimane piuttosto scarso, per la semplice ragione che i soccorsi scattano quasi sempre dopo una richiesta di aiuto lanciata dagli stessi naufraghi. Questo perché gli Stati membri sono, il più delle volte, riluttanti a partecipare alle operazioni di ricerca e salvataggio, temendo di essere Il Frontex e la retorica dell’emergenza umanitaria è definita dagli studiosi il “sesto continente”. Una specie di pianeta in costante e perpetuo moto. “Incrociato eterogeneo e incontrollabile perché nessuna forza al mondo sembra capace di fermare questa macchina della vita” scriveva qualche anno fa Giorgio Bocca. E l’UE come fa fronte a questa marea montante? L’Europa ha esternalizzato i propri confini, subappaltando il controllo dei flussi migratori all’Agenzia europea per le frontiere esterne. Il Frontex persegue l’obiettivo di prevenire le migrazioni, gestendole dal Paese d’origine fino al Paese d’accoglienza, passando per la frontiera e il Paese di transito. All’occorrenza, dispiega, in meno di dieci giorni, squadre comuni d’intervento. Schiera fregate, pattugliatori, elicotteri dotati di strumenti 78 LOOKOUT 5 - maggio 2014 costretti a trasferire le persone soccorse nei loro territori. Il regolamento, infatti, qualora lo sbarco in un Paese terzo non sia possibile, prevede che esso debba aver luogo nello Stato membro che gestisce l’operazione. Ma l’emigrazione ha semi profondi e, quando pare sfrondata, rifiorisce. Così, mentre i Paesi coinvolti si palleggiano accuse l’un l’altro, i mass media e l’opinione pubblica chiamano in causa le guardie europee di frontiera. Il Frontex è come un’agenzia di supporto, preordinata a funzioni di cooperazione intergovernativa. Organismo che interviene solo su richiesta di uno Stato membro, o magari di propria iniziativa, ma sempre di comune accordo con gli Stati membri in cui prende avvio l’operazione e quelli ospitanti. La disciplina in vigore, in ogni caso, fa salva la competenza degli Stati membri in materia di controllo e sorveglianza delle frontiere esterne. Insomma, il Frontex zoppica, perché ognuno regna pro domo sua. Non occorre grande acume diagnostico per intuire che il più della colpa risieda nella disomogeneità dei quadri normativi degli Stati e nella mancanza di una politica migratoria comune. L’Europolizia di frontiera propaganda i successi non solo in termini d’intercettazione ma di salvataggio di vite in mare (solo nel 2013 ne ha ripescate 16mila). Eppure, pattugliare le frontiere con spirito umanitario suona come un autentico paradosso. Diciamola tutta: concepire la politica migratoria in chiave virtuosa è affare arduo. Gli osservatori attenti denunciano, infatti, uno scarto profondo tra i principi entrati a far parte del nucleo genetico delle Carte europee e gli obiettivi politici di sicurezza comune. Tant’è che la politica di esternalizzazione dei confini europei viola sia il diritto di asilo che il principio di “nonrefoulement” (non-repressione) sancito dalla Convenzione di Ginevra. Sì, perché il Frontex confina i migranti senza preoccuparsi di sapere se i Paesi ospitanti hanno volontà e strumenti per tutelarne i diritti fondamentali e, dunque, se i clandestini potranno considerarsi al riparo da trattamenti non consoni o, peggio, inumani. Nel frattempo, però, le istituzioni europee ripetutamente sollecitano gli Stati membri ad accogliere il maggior numero di rifugiati attraverso operazioni di reinstallazione di campi profughi nei Paesi vicini oppure mediante la concessione di sistemi d’ingresso protetti. In mancanza di una completa armonizzazione tra le normative dei Paesi di approdo e quelli di transito e di una solida politica estera europea, non pare tattica credibile quella di appellarsi all’esprit humanitaire degli Stati membri. Non fosse altro perché tornerebbe difficile credere che gli Stati membri, impegnati da più di dieci anni a programmare le politiche d’asilo come strategie di esclusione dei rifugiati, cingano le braccia al collo di soggetti che poi si affrettano, senza tanti riguardi, ad accompagnare all’uscio. Si vede che l’UE ha preso Marx alla lettera: La strada per l’inferno è lastricata di buone intenzioni. LOOKOUT 5 - maggio 2014 79 oUTLooK A CURA dI LoRIEN CoNSULTINg La ripresa della fiducia nel futuro dell’Italia C ontinua a crescere la fiducia nel futuro, segno importante di un rinnovato ottimismo per la ripresa economica del Paese. Questo nuovo clima e trend crescente coinvolge senza dubbio il giudizio sull’operato del governo che si porta al 60%, il massimo livello mai raggiunto dal premier Renzi. Tuttavia la curva di crescita sembra essere destinata a rallentare nel breve periodo. Sui provvedimenti, il 52% ritiene che il governo Renzi manterrà le promesse fatte agli italiani (con un calo di 5 punti solo nell’ultima settimana) ma solo il 36% sostiene che riuscirà a farlo nei tempi promessi (-7%). Sui provvedimenti annunciati dal governo le priorità assolute, secondo gli italiani, sono rappresentate in primo luogo, dall’annuncio degli ormai famosi 80 euro al mese per gli stipendi della PA e la nuova legge elettorale. sotto i 1.500 euro e, in secondo luogo, C’è da considerare inoltre che oggi dagli investimenti (3,5 miliardi) per la partita elettorale delle Europee si va l’edilizia scolastica e per la tutela del dunque a definire soprattutto come territorio (1,5 miliardi); legittimazione del Governo Renzi: Ma quali sono i provvedisecondo il 64% degli italiani, menti ritenuti più crediinfatti, le europee rappreSecondo il bili? Innnanzitutto la senteranno principalpromessa di 80 euro mente un test sull’esein busta paga e la cutivo e ben il 39% vendita online di degli italiani si atten100 auto blu. Inolde esplicitamente una degli italiani, tre la maggioranza vittoria del PD. le Europee sono degli italiani ritiene Allo stato attuale ci un test sul che il governo riusciattendiamo una parterà ad approvare: gli cipazione nettamente al governo investimenti per le scuoribasso, le stime attuali di le e la tutela del territorio, Lorien si aggirano attorno al la riduzione del costo dell’ener58-60% di affluenza. Molti sono i gia per le imprese, le semplificazio- fattori che potranno influire sulla parni in materia fiscale, l’abolizione tecipazione: il polarizzarsi dello scondelle provincie, lo sblocco dei debiti tro (pro o contro Renzi, pro o contro 64% Ripresa della FIDUCIA nel futuro 52 47 46 46 18 feb 18 mar 15 apr 50 51 49 53 51 56 58 54 55 49 50 48 46 40 Indice di fiducia nel futuro 13 mag 2013 10 giu 8 lug 5 ago 2 set 30 set 28 ott 25 nov 1 ANNO 80 ................................................ 56 GOVERNO RENZI .................................................. GOVERNO LETTA LOOKOUT 5 - maggio 2014 23 dic 20 gen 17 feb 17 mar 14 apr 12 mag 2014 PER SAPERNE DI PIÙ WWW.LORIENCONSULTING.IT Promesse che il Governo riuscirà a mantenere «QUALI DI QUESTI PROVVEDIMENTI RITIENE PRIORITARI PER IL PAESE?» 80 euro in più al mese per chi ne guadagna meno di 1.500 44% Investimenti: 3,5 miliardi per rendere le scuole più sicure e 1,5 miliardi per la tutela del territorio 43% 27% Tetto agli stipendi dei manager pubblici Nuova legge elettorale - ITALICUM Sblocco del pagamento dei debiti della Pubblica Amministrazione Riduzione dell’Irap per le aziende del 10% Sblocco di 3 miliardi dai fondi europei Semplificazioni fiscali (dichiarazione precompilata e fatturazione elettronica) Jobs Act (semplificazione dell’apprendistato) Rimodulazione della tassazione sulle rendite finanziarie l’UE), il “traino” da parte delle elezioni amministrative in oltre 4mila comuni (effetto che si stima tuttavia come estremamente debole), eventuali fatti che potrebbero accelerare o infiammare la campagna elettorale a pochi giorni dal voto. L’esito delle Europee è ancora molto incerto. Data la bassissima propensione al voto, i risultati migliori saranno raggiunti dalle forze politiche che sapranno mobilitare meglio i propri elettori, un’operazione molto difficile quando in gioco non c’è il governo del Paese. 13% Sblocco di 3 miliardi dai fondi europei 51% 52% Abolizione delle province 49% Jobs Act (semplificazione dell’apprendistato) 43% Riforma costituzionale del Senato e del Titolo V (poteri legislativi delle regioni) 45% -10% del costo dell’energia per le imprese 47% Rimodulazione della tassazione sulle rendite finanziarie 7% 51% 45% 5% 3% 50% 48% Semplificazioni fiscali (dichiarazione precompilata e fatturazione elettronica) Asta online per 100 auto blu 60% Eliminazione del CNEL (Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro) 34% Le riforme del Governo Renzi «CON CHE PROBABILITÀ RIUSCIRÀ AD APPROVARE TUTTi I PROVVEDIMENTI CHE HA PROMESSO?» 52% degli italiani pensa che il governo riuscirà a mantenere le PROMESSE ....................................................................................... NON SA/NESSUNO 14% Riduzione dell’Irap per le aziende del 10% Inizio iter parlamentare per l’Autorità sulla Corruzione Eliminazione del CNEL (Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro) 58% 54% 6% Asta online per 100 auto blu 62% 51% Sblocco del pagamento dei debiti della Pubblica Amministrazione 7% Inizio iter parlamentare per l’Autorità sulla Corruzione Tetto agli stipendi dei manager pubblici 14% 8% 7% -10% del costo dell’energia per le imprese Investimenti: 3,5 miliardi per rendere le scuole più sicure e 1,5 miliardi per la tutela del territorio 17% 9% Riforma costituzionale del Senato e del Titolo V (poteri legislativi delle regioni) 80 euro in più al mese per chi ne guadagna meno di 1.500 Nuova legge elettorale - ITALICUM 13% 11% Abolizione delle province «QUALI DI QUESTI PROVVEDIMENTI RIUSCIRÀ A REALIZZARE?» «CON CHE PROBABILITÀ RIUSCIRÀ AD APPROVARE LE RIFORME NEI TEMPI PROMESSI?» 36% degli italiani pensa che il governo riuscirà a farlo nei tempi ANNUNCIATI LOOKOUT 5 - maggio 2014 81 Istituto: Lorien Consulting - Public Affairs - Criteri seguiti per la formazione del campione: campione rappresentativo per sesso, età e area geografica della popolazione italiana maggiorenne - Metodo di raccolta delle informazioni: questionario telefonico (CATI, Computer Assisted Telephone Interview) - Numero delle persone interpellate ed universo di riferimento: 1.000 cittadini italiani maggiorenni; campione rappresentativo per sesso, età e area geografica - Data in cui è stato realizzato il sondaggio: 2-4 maggio 2014 - Metodo di elaborazione: SPSS - Direttore di ricerca: Antonio Valente Gli interventi prioritari SICUREzzA CILE L’eredità del nazismo in Sudamerica bRASILE Come aiutare l’export italiano UCRAINA Odessa: le verità scomode della strage 82 LOOKOUT 5 - maggio 2014 SICUREzzA CILE | di Mariana Diaz A LA VERA SToRIA dI CoLoNIA dIgNIdAd Il raccrapicciante caso degli abusi su minori perpetrati da ex nazisti nella comunità di Parral, in Cile con la complicità della dittatura di Pinochet. La testimonianza di Winfried hempel, protagonista e vittima nche se in passato qualcuno ha pagato a caro prezzo il soggiorno, oggi una stanza a Villa Baviera, complesso turistico di Parral, nella regione cilena del Maule, costa soltanto 70 euro a notte. Gestito da immigrati tedeschi, il personale assicura relax e divertimento. A poco più di 300 km a sud di Santiago, capitale del Cile, Villa Baviera offre escursioni e cucina tradizionale tedesca, ma nessuna brochure ricorda che fino a una decina di anni fa questo posto si chiamava Colonia Dignidad. Villa Baviera appartiene a un conglomerato di aziende guidate dai discendenti di quei tedeschi che emigrarono in Cile negli anni Sessanta. Molti di loro fuggivano dalle catastrofi della Seconda Guerra Mondiale, altri invece facevano parte di un gruppo il cui leader era l’ex membro della Gioventù Hitleriana e infermiere dell’esercito tedesco, Paul Schäfer. Ex soldati, vedove, dirigenti del Terzo Reich e bambini: tutti costoro cercavano rifugio in Sudamerica ed erano talmente affascinati dalla personalità di Schäfer, al punto da mettere nelle sue mani la vita dei propri figli. I nodi che legano Schäfer a questa storia cilena cominciano con la fondazione di Colonia Dignidad nel 1961. Sotto la copertura di una fondazione benefica, fu invece il triste scenario di torture, maltrattamenti, abusi sessuali e collaborazionismo con la dittatura di Augusto Pinochet. Schäfer fondò la Colonia insieme a un gruppo di 200 tedeschi a lui fedeli, che facevano parte della Sociedad Benefactora, una sorta di setta di fanatici religiosi, formatasi dopo la fuga dalla Germania (fuga dovuta a numerose denunce per abuso sessuale contro i minori). Colonia Dignidad ha funzionato per quasi cinquant’anni e durante l’apogeo LOOKOUT 5 - maggio 2014 83 SICUREzzA arrivò a contenere circa duemila bambini, la maggior parte nati dentro le mura circondate da filo spinato che segnavano il limite oltre il quale nessuno poteva andare. Alcuni erano tedeschi, altri cileni che arrivavano nelle mani di Schäfer tramite adozioni illegali o l’affidamento delle madri. In quegli anni, infatti, la Sociedad Benefactora era nota come l’unica istituzione in grado di proteggere i minori e dare loro istruzione, vitto e alloggio. Ma la realtà era diversa. La Colonia era un vero e proprio Stato nello Stato, al cui interno si parlava solo tedesco e l’unica legge che valeva era la parola di Schäfer. I bambini crescevano lontani dai genitori, molti neanche sapevano di avere una famiglia e nessuno poteva uscire dalla Colonia. Una volta dentro, ogni spazio della loro vita era controllato da Schäfer. La scuola era praticamente inesistente e l’unico sistema educativo consisteva in premi sessuali o punizioni fisiche. Da un giorno all’altro, si poteva passare dall’essere il preferito di Schäfer al ricevere calci e pugni dagli stessi compagni incaricati di effettuare le punizioni. Lui era “lo zio Paul” e le sue prediche con la Bibbia in mano scandivano le giornate dei coloni. La Sociedad si autofinanziava con il lavoro degli stessi bambini. Uno di loro è Winfried Hempel, nato e cresciuto dentro Colonia Dignidad: “Sono rimasto lì dentro fino ai vent’anni”. Winfried adesso ne ha 36, fa l’avvocato e ha dedicato la sua carriera ad aiutare chi, come lui, ancora tenta di difendersi dagli artigli della Colonia. “Solo dopo esserne uscito, ho compreso la realtà. Non riesco a spiegare cosa significhi crescere in una situazione del genere. Ho cominciato a lavorare a sette anni, da lunedì a domenica, dalle sei del mattino fino a sera. Ma per me era normale, quando si cresce senza punti di riferimento non si distingue il bene dal male”. Maschi e femmine separati, i bambini crescevano sotto una serrata sorveglianza: “Non eravamo mai soli e io 84 LOOKOUT 5 - maggio 2014 SICUREzzA COLONIA DIGNIDAD 1961 Fondazione della “Sociedad Benefactora y Educacional Dignidad”. Nasce per accogliere i minori rimasti orfani dopo il terremoto che colpì il sud del Cile nel 1960. 1966 Il giovane Wolfgang Müller fugge da Colonia Dignidad e denuncia per la prima volta gli abusi e le torture subite. 1968-1997 Si susseguono una serie di rapporti di diverse istituzioni che denunciano gli abusi commessi da Schäfer. Anche la Camera dei Deputati elabora cinque rapporti, ma non saranno mai presi in seria considerazione. 1991 Il presidente Patricio Aylwin cancella la personalità giuridica della Colonia, con l’obiettivo di espropriarne i beni e tagliare i finanziamenti statali. 1997 Paul Schäfer scompare. Durante le ricerche, la polizia scopre i tunnel sotterranei e l’arsenale bellico nascosto nella Colonia. 2005 Schäfer viene trovato in Argentina, vicino a Buenos Aires e condannato a 33 anni. 2010 Paul Schäfer muore nell’ospedale del carcere di Santiago il 24 aprile. In alto, i bambini inconsapevoli della Colonia inscenano una protesta in difesa del loro carnefice, appena tratto in arresto. In basso, alcuni degli adepti della setta di Schäfer ero lo schiavo perfetto, perché in me non c’era il gene della libertà” spiega Winfried. Colonia Dignidad arrivò ad avere a disposizione ben 16mila ettari, spazio in cui si costruirono fabbriche, tunnel, strade e persino una pista di atterraggio. La Colonia cominciò a produrre alimenti tipici della Germania destinati ai supermercati della zona, e a coltivare frutta e verdura. Il lavoro di migliaia di bimbi produceva un giro d’affari di oltre 20 milioni di dollari. Schäfer, inoltre, era esentato dal pagamento delle imposte ed era libero di importare macchinari e attrezzature senza dazi doganali. Com’è possibile che una comunità di questo tipo funzionasse indisturbata? La risposta si trova nella rete di contatti fra l’élite nazista e alcuni membri delle autorità cilene. Secondo la testimonianza di Hempel, Schäfer arrivò in Cile grazie all’invito dell’allora ambasciatore cileno in Germania, Arturo Maschke, e alla complicità del presidente della Repubblica, Jorge Alessandri: “Maschke era un fervente ammiratore dell’ideologia nazista, e come Schäfer era omosessuale. Fra di loro era scattato un feeling speciale, inoltre era stato presidente della Banca Centrale cilena e ministro dell’Economia, quindi aveva conoscenze importanti. Una volta in Cile, Schäfer entrò in contatto col presidente Alessandri, il quale lo aiutò a fondare Colonia Dignidad”. Se fino alla dittatura non ci furono troppe complicazioni per Schäfer, la collaborazione con Pinochet fu il colpo da maestro: “La Colonia è sempre sembrata un reggimento. C’erano militari, elicotteri e macchine blindate, ma per noi faceva parte del paesaggio” ricorda Winfried. Scambio di favori, soldi o sesso facevano parte delle trattative attraverso cui Schäfer si garantiva la più totale impunità. Inoltre, disponeva di una potente rete in Germania. Secondo il giornalista cileno Carlos Basso Prieto, fino agli anni Ottanta la Chi è Paul Schäfer Nasce nel 1921 a Siegburg, in Germania, e sin da bambino ha un occhio di vetro, essendosi ferito con una forchetta mentre giocava. Ancora giovanissimo, entra a far parte della Gioventù Hitleriana e durante la Seconda Guerra Mondiale lavora come assistente medico nell’esercito tedesco della Wehrmacht. Per diverso tempo, approfittando del suo carisma, finge di essere un pastore luterano e riceve in gestione un orfanotrofio. Nel 1959 crea la “Missione Sociale Privata” per gli orfani, una sorta di setta religiosa che alcuni sociologi cileni definiranno di matrice “semi-religiosa e paramilitare”. Lo stesso anno viene accusato di abusi sessuali e fugge in Germania Ovest. Nel 1961 si rifugia in Cile, sostenuto da una rete nazista clandestina sudamericana e da alcuni politici cileni. Qui fonderà la Colonia Dignidad. LOOKOUT 5 - maggio 2014 85 SICUREzzA Il dizionario Grazie all’associazione Londres 38, che ha ottenuto l’archivio documentale con le schede dei detenuti della Colonia (rese pubbliche dal giudice cileno Jorge Zepeda), è emersa la complicità fra i dirigenti di Colonia Dignidad e la DINA (Direzione d’Intelligence Nazionale), ovvero la polizia segreta Colonia contava sul sostegno della diplomazia tedesca. “Alcuni ragazzi scappavano - racconta Winfried - ma quando arrivavano all’ambasciata tedesca a Santiago, trovavano i capi della Colonia che li riportavano indietro”. Dal 1973 al 1990, sotto la dittatura del generale Pinochet, la Colonia funzionò anche come sede operativa e d’intelligence, e come centro di detenzione e tortura. Grazie all’aiuto di Pinochet e del generale Manuel Contreras, Paul Schäfer aveva qui un sofisticato arsenale. Nascosti a quattro metri di profondità, negli anni sono stati trovati armamenti di cui neanche la polizia cilena era mai stata in possesso, come sensori di movimento e microfoni spie. “Delle zone erano vietate, nessuno conosceva la Colonia per intero e se andavi oltre i limiti stabiliti, si azionavano gli allar- 86 LOOKOUT 5 - maggio 2014 mi e dai muri uscivano sbarre di metallo” hanno raccontato i testimoni. Solo nel 1991, grazie al senatore e futuro presidente del Cile post dittatura, Patricio Aylwin, si poté avviare una potente offensiva legale contro Schäfer: “Non ce l’ho fatta da senatore, ma da presidente non fallirò”, disse Aylwin in proposito. Alla Colonia venne così tolta la personalità giuridica per impedire che lo Stato continuasse a finanziarla, e cominciò un lungo periodo di perquisizioni, sequestri e processi che culminarono con la fuga di Schäfer nel 1997. I coloni furono liberati a poco a poco e anche Winfried uscì da Colonia Dignidad. “L’isolamento in cui vivevamo era talmente grande che quando sono uscito non sapevo nemmeno come attraversare la strada e non capivo il significato del semaforo”. della dittatura di Pinochet. Nei faldoni ritrovati, infatti, non comparivano solo informazioni sui detenuti, ma un ricco registro - elaborato fra il 1974 e il 1992 sulla base di fonti giornalistiche e d’intelligence - con i nomi e i profili degli oppositori alla dittatura, di sospetti fiancheggiatori e di possibili “amici” o “conniventi”. L’archivio di Colonia Dignidad, però, non è risultato utile al ritrovamento dei corpi dei desaparecidos di quegli anni, anche se vi sono indizi dell’esistenza di superstiti. Come la maggior parte dei coloni, Winfried è cresciuto senza la famiglia: “I miei genitori biologici adesso li conosco, abbiamo ripreso i contatti. Ma è tutto qui”. In quegli stessi anni, la Corte Suprema del Cile giudicò colpevoli di abusi, traffico di armi ed evasione fiscale diversi dirigenti della Colonia, fra cui Hartmut Hopp (medico fuggito in Germania) e Gerd Seewald (arrestato nel 2013). A fianco, Winfried Hempel In basso, come si presenta oggi l’ex Colonia Dignidad, ribattezzata Villa Baviera SICUREzzA La dittatura in Cile Schäfer invece venne dato per morto con un certificato firmato da Hopp, ma continuò a vivere nascosto in una piccola località nei pressi di Buenos Aires fino al 2005, quando fu arrestato e condannato per vari reati: omicidio, violazione della legge sugli armamenti, tortura e abuso sessuale contro minori. Morì nel 2010, all’età di 88 anni. “La giustizia tedesca è stata assente - dice amareggiato Winfried - e ha trattato la questione come se fosse un problema soltanto cileno”. Lo scorso aprile, su pressione dall’associazione per i diritti umani Londres 38 - che aveva promosso la campagna “Niente più archivi segreti” il giudice Jorge Zepeda, incaricato delle indagini sui crimini commessi a Colonia Dignidad, ha desecretato parte delle 39mila schede relative ai desaparecidos sequestrate durante le perquisizioni del 2005, consegnandole all’Istituto per i Diritti Umani (INDH) e al Consiglio per la Difesa dello Stato. Finora sono state rese pubbliche 47 schede contenenti informazioni d’intelligence sulle persone che sono state detenute all’interno della Colonia e su altri dissidenti incarcerati in diversi centri di detenzione sparsi per il Cile. Colonia Dignidad adesso si chiama Villa Baviera e riceve centinaia di turisti ogni anno, ma non riesce a scrollarsi di dosso l’ombra di Paul Schäfer. “Molti dei coloni vittime di abusi sono andati a vivere in Germania. In Cile siamo rimaste circa 30 persone e cerchiamo di ricostruire la nostra vita” conclude Winfried Hempel. 1970 Il socialista Salvador Allende è eletto Presidente. 1973 Il Generale Augusto Pinochet spodesta Allende con un colpo di stato sostenuto dalla CIA e instaura una dittatura. 1974 Il governo attua misure severe contro gli avversari politici (indagini posteriori indicheranno che tra le 1.200 e le 3.200 persone furono uccise, circa 80.000 internate). 1980 Grazie a un plebiscito, il regime di Pinochet approva una nuova Costituzione in suo favore. 1988 Pinochet perde il referendum per la sua permanenza al potere. Il Cile va a nuove elezioni democratiche. 1989-1990 Patricio Aylwin vince le presidenziali. Pinochet si dimette, ma resta a capo dell’esercito. 1994-1995 Eduardo Frei succede ad Aylwin come presidente e ridimensiona l’influenza dei militari sul governo. 1998 Pinochet si ritira dall’esercito e viene nominato senatore a vita, ma è arrestato nel Regno Unito su richiesta della Spagna con l’accusa di omicidio. 2000 Il generale torna in Cile, dove i giudici gli tolgono l’immunità, ma i tentativi di portarlo a processo per presunti reati contro i diritti umani falliscono per problemi di salute. 2006 Pinochet muore con circa 300 denunce penali in corso contro di lui. LOOKOUT 5 - maggio 2014 87 SICUREzzA Adesso i gringos siamo noi Sempre più aziende italiane attraversano l’Atlantico per fare impresa. Puntare sui mercati in crescita dell’America Latina conviene, ma solo se si conoscono bene i contesti in cui si va a investire. L’intervista al general manager di IBS Italia Alessio gambino bRASILE | di Manuel Godano I n un’economia sempre più globalizzata pensare di fare affari all’estero per gli imprenditori italiani non è solo un’aspirazione legittima ma un traguardo concreto da poter raggiungere. A prescindere dall’area geografica su cui si intende puntare, l’importante è pianificare nei minimi dettagli i propri investimenti e lavorare per tempo sulla prevenzione dei possibili rischi, come spiega Alessio Gambino, general manager di IBS Italia. Tra le nuove frontiere dei mercati internazionali sta emergendo sempre di più l’America Latina. Quali sono le opportunità offerte da questa regione? Quello dell’America Latina è un mercato vastissimo con quasi 600 milioni di consumatori, per molti versi vicino al nostro per cultura, lingue e tradizioni, come dimostra d’altronde l’altissima presenza di abitanti di origine italiana. L’intera area attraversa una fase di sviluppo da oltre un decennio: nel 2013 il tasso di crescita del PIL si è attestato attorno al 3,9%, mentre nel 2014 si stima un aumento del 4%. Tra molti Paesi dell’area, e tra questi e l’Unione Europea, sono in vigore accordi e partenariati volti a ridurre le barriere tariffarie e non. Basti pensare per esempio al MERCOSUR, ossia il più grande mercato comune dell’America Latina di cui fanno parte il Brasile, l’Argentina, l’Uruguay e il Venezuela. Oppure all’Accordo di Associazione tra l’Unione Europea e i Paesi dell’America Centrale (Costa Rica, El Salvador, Guatemala, Honduras, Nicaragua e Panama). Perché IBS ha deciso di puntare su quest’area? Nel gennaio del 2013 abbiamo creduto che i processi d’internazionalizzazione dei nostri clienti dovessero essere 88 LOOKOUT 5 - maggio 2014 IBS ITALIA È una società di consulenza specializzata nell’offerta di servizi all’internazionalizzazione d’impresa: studi di mercato, tax planning, ricerca partner, assistenza operativa in loco, organizzazione eventi, redazione pratiche per finanziamenti agevolati. seguiti da vicino, motivo per cui abbiamo deciso di aprire un ufficio a Rio de Janeiro e uno di rappresentanza a San Paolo. Per il futuro ci interessa moltissimo la Colombia, un Paese che ha saputo rinnovarsi con successo negli ultimi anni. Ma non tralasciamo Cile e Perù, con un occhio sempre rivolto a ciò che accade in Venezuela e Argentina. Quali sono gli ostacoli che possono creare difficoltà agli investitori italiani? Le difficoltà per gli imprenditori italiani sono diverse e non tutti riescono a “tropicalizzarsi” in tempi brevi e con successo. La corruzione, la criminalità, l’istruzione e il caro vita di molte città (come San Paolo ad esempio) complicano non poco la vita a coloro che decidono di vivere oltre che lavorare in quest’area. Il nostro obiettivo è accompagnarli nelle fasi di approccio ai mercati sudamericani e in particolare a quello brasiliano, aiutandoli operativamente dal punto di vista amministrativo, finanziario, SICUREzzA Dobbiamo colmare il contrattuale, commerciale, contabile e fiscale. RITARdo CULTURALE EXPORTIAMO.IT È una piattaforma web che consente di fare impresa nel mondo. Un canale attraverso cui si favorisce la diffusione di informazioni, news, eventi, fiere, reportage e approfondimenti su uno dei temi caldi dell’attualità come internazionalizzare le imprese. Attraverso il portale è possibile interagire con un team di esperti a cui chiedere informazioni e consigli utili per fare affari nel mondo. In generale, il mondo negli ultimi anni è nel più breve diventato “Asiacentrico”. Purtroppo, però, tempo molti Paesi dell’ASEAN Quali sono gli “erropossibile (Associazione delle Nari” in cui s’inciampa più zioni del Sud Est Asiatico, di frequente? Molto spesso si sbagliano le strandr), tra cui Thailandia, Indonesia, tegie d’ingresso, a volte si cercano ri- Malesia, Filippine e Singapore, sono sultati in tempi rapidi o non si hanno proprio quelli in cui le nostre imprese le spalle sufficientemente larghe per sono peggio posizionate. Un ritardo supportare il carico finanziario e orga- culturale, oltre che di posizionamento nizzativo che un processo di interna- logistico, che dovrà necessariamente zionalizzazione comporta. A volte è essere colmato in tempi brevi. I settori un mix di tutto ciò a determinare il su cui puntare sono quelli delle infrafallimento di un’operazione. Ma strutture, dei servizi avanzati ad alto l’aspetto che non bisogna tralasciare è valore, delle produzioni di massa e soprattutto quello culturale: siamo noi dell’export del Made in Italy. Non dii “gringos” che devono adattarsi al mentichiamo però anche i Paesi del contesto locale, non possiamo pensa- Golfo e il Qatar, in cui noi siamo prere di imporre cambiamenti e modi di senti. Come anche Singapore, dove lavorare da neo-colonialisti. abbiamo avviato un progetto di rete d’impresa per aprire dei nuovi uffici. Quali sono le altre frontiere dei E poi c’è l’Africa: Angola e Ghana in mercati internazionali più interes- questo momento sono sicuramente i Paesi più interessanti. santi in questo momento? I mAggIoRI RICERCATI AL moNdo Isnilon Totoni hapilon 5,000,000 $ NAzIoNALITà Filippina (Latawan, 1966) gRUppo dI AppARTENENzA Abu Sayyaf CApo dI ImpUTAzIoNE Atti terroristici contro cittadini americani e stranieri in territorio filippino. NoTE Conosciuto come “Il Vicario”, è stato vice comandante dell’organizzazione fondamentalista islamica Abu Sayyaf. Inserito nel febbraio del 2006 nella lista dei terroristi più ricercati dall’FBI, è accusato di aver partecipato nel 2000 al rapimento di venti stranieri nelle Filippine e di aver decapitato un cittadino americano. Sfuggito a un raid dell’esercito filippino nel 2013, recentemente sarebbe stato colpito da un ictus, il che avrebbe limitato la sua attività all’interno del gruppo terroristico. LOOKOUT 5 - maggio 2014 89 Il punto di vista I silenzi colpevoli UCRAINA | di L. Tirinnanzi N on si specula sui morti di una guerra civile, perché in ogni conflitto gli orrori e le barbarie avvengono sempre da entrambe le parti. Ma, disquisendo sulla crisi in Ucraina, non si può non osservare come la diplomazia occidentale si mostri strabica e taccia, sotto una pressione mediatica unidirezionale e superficiale (“russi cattivi, ucraini buoni”), su alcuni fatti gravissimi che, inseriti in altri contesti, avrebbero suscitato indignazione generale e biasimo planetario. Stiamo parlando del cosiddetto “rogo” alla Casa dei Sindacati di Odessa del 2 maggio 2014, dove quasi una cinquantina di sostenitori filorussi barricati nell’edificio hanno perso la vita. La stampa occidentale ha derubricato la questione alla voce “incidente” e poche timide voci fuori dal coro non sono servite ad aprire gli occhi su una realtà che appare ben diversa. Quella cioè che racconta come invece estremisti e neonazisti abbiano PER SAPERNE DI PIÙ WWW.LOOKOUTNEWS.IT/PAESE/UCRAINA 90 LOOKOUT 5 - maggio 2014 fatto irruzione nell’edificio e dato sfogo a tutta la ferocia e barbarie di cui è capace l’uomo. Delitti così efferati e odiosi che non si possono tacere: donne stuprate e arse vive, una giovane incinta strangolata con il filo del telefono, uomini giustiziati con un colpo alla testa ai quali poi è stato bruciato il volto perché non venissero riconosciuti, incendi posticci per dissimulare il massacro. Che senso ha tacere queste notizie? Perché ci indigniamo per i crimini di guerra siriani, maliani, nigeriani, centrafricani, sud sudanesi, somali, yemeniti, iracheni e non vogliamo parlare anche di quanto sta accadendo in Europa, in quell’Ucraina che molti di noi ben conoscono e che poteva essere parte dell’Europa Unita? Che forse raccontare un episodio simile cambierebbe la nostra opinione sulla popolazione ucraina? Ammettere la violazione dei diritti umani in una situazione di guerra ferirebbe la nostra coscienza collettiva? O qualcuno teme che ci farebbe diventare automaticamente troppo amici della Russia? Il Libro Bianco Dopo la Siria il nuovo scenario della guerra mediatica tra Mosca e Washington è l’Ucraina. Il 5 maggio il ministro degli Esteri russo Sergej Lavrov ha presentato il “Libro Bianco” sulla crisi ucraina. All’interno del rapporto, realizzato da un’équipe di osservatori e giornalisti ucraini e russi e da alcune organizzazioni no profit, sono contenute prove e testimonianze delle violazioni dei diritti umani, degli abusi e delle torture commesse dai rivoltosi di piazza Maidan dal novembre 2013 al marzo 2014. Tra i reati elencati, comportamenti xenofobi e nazisti, uso di armi e di tecniche paramilitari e di guerriglia, istigazione all’odio razziale e all’intolleranza religiosa, restrizioni alle libertà individuali e censure mediatiche. Nel mirino ovviamente anche gli USA, colpevoli di aver interferito nelle vicende del Paese contribuendo allo scoppio del conflitto. ALL NEWS SICUREzzA VENEzUELA Ucciso l’ex capo dell’intelligence di Caracas Il 27 aprile è stato trovato morto vicino a Caracas Eliécer Otaiza, ex direttore dell’intelligence venezuelana. Uomo chiave del chavismo, ha coniato il termine “Repubblica Bolivariana del Venezuela”. LIbANo Riad finanzia il riarmo libanese L’ Arabia Saudita finanzia il riarmo del Libano aprendo una linea di credito da 3 miliardi di dollari. A beneficiarne saranno soprattutto alcune società francesi. Nella lista degli acquisti stilata dal governo di Beirut vi sono infatti elicotteri Gazelle, Dauphin e Panthere, fregate Adroit, veicoli blindati e corazzati leggeri e un sofisticato sistema per le intercettazioni. STATI UNITI gUINEA bISSAU Gli USA vendono droni in Medio Oriente Smantellato traffico di cocaina tra Africa e Sud America P rove di disgelo tra Riad e Washington dopo il licenziamento dal ruolo di capo dell’intelligence saudita di Bandar bin Sultan, poco gradito al presidente americano Barack Obama. La società californiana Aerovironment, socia del gigante Lockheed Martin e produttrice del drone Switchblade, è in trattativa per avviare una joint venture con la compagnia Maidan, guidata da Khaled Al Ruwais, uomo d’affari vicino al ministero della Difesa saudita. L a DEA, l’agenzia federale antidroga statunitense, ha smantellato un maxi traffico di cocaina tra la Guinea Bissau e la Colombia. Nel giro d’affari, coinvolti il capo di stato maggiore dell’esercito Antonio Indjai e l’ex capo della marina Bubo Na Tchuto, in prima linea nel golpe militare dell’aprile 2012, oltre ad alcuni membri delle FARC (Forze Armate Rivoluzionarie della Colombia). NoRVEgIA CoREA dEL NoRd Videogame per i militari norvegesi Licenziato il numero due di Pyongyang L’ esercito norvegese ha inil leader nordcoreano Kim Jong-Un si sbarazza ziato a testare sui propri soldi un altro alto funzionario del regime. Si tratta dati l’Oculus Rift, visore a realtà di Choe Ryong-hae, vice presidente della comvirtuale utilizzato per i videogame. L’utilizzo del missione di difesa nazionale, considerato il numero dispositivo consente ai militari di vedere all’esterdue del governo nordcoreano. Nonostante il deno dei carri armati senza doversi esporre al nemiclassamento a semplice segretario del Partito dei co, con l’ausilio di quattro telecamere e un pc. Lavoratori, Ryong-hae può tirare un sospiro di i milioni di abitanti sollievo: molto peggio era andata al potente del Sud Sudan Jang Song-thaek, zio del giovane leader, giustiziafuggiti dalla to nel dicembre 2013 con l’accusa di complotto guerra contro lo Stato. I 1,3 LOOKOUT 5 - maggio 2014 91 Rages Le principali manifestazioni di rabbia e dissenso in giro per il mondo 92 LOOKOUT 5 - maggio 2014 baghdad, Iraq Un uomo ferito dopo l’esplosione di tre autobombe, durante un raduno politico sciita del gruppo militante Asaib Ahl Haq (Lega dei Giusti) a fine aprile. Colombo, Sri Lanka Membri del partito di opposizione Fronte di Liberazione del Popolo indossano abiti tradizionali contadini, durante la protesta del Primo Maggio. odessa, Ucraina L’incendio alla Casa dei Sindacati, dove sono morti almeno 40 filorussi. Una mattanza per mano dei nazisti e delle frange più radicali ucraine. homs, Siria Dopo l’evacuazione concordata dei ribelli dalla città, restano i segni evidenti della furia e della rabbia con cui si è combattuto (8 maggio). bogotà, Colombia Scontri durante una protesta a sostegno di un vasto sciopero nazionale del settore agricolo (28 aprile). Atene, grecia Poliziotti allo stadio Olimpico di Atene schierati di fronte ai tifosi del PAOK di Salonicco, prima della finale di Coppa di Grecia contro il Panathinaikos. oSSERVAToRIo SoCIALE moNIToRAggIo dEI pRINCIpALI EVENTI E fENomENI RIbELLISTICI Ed EVERSIVI NEL NoSTRo pAESE Una pericolosa vitalità A ggressioni, scontri, minacce di morte, attentati dinamitardi. L’antagonismo italiano conferma mese dopo mese la sua pericolosa vitalità, senza mai abbandonare il filone della lotta all’Alta Velocità. Agli ormai consueti attacchi alle sedi del PD, considerato sostenitore del progetto TAV, questa volta si sono affiancati gli assalti al cantiere di Chiomonte e le intimidazioni al sindaco e all’assessore ai Trasporti di Susa, ai quali sono state spedite buste con proiettili accompagnate da espliciti messaggi minatori. Altre iniziative eversive hanno avuto origine dalla manifestazione avvenuta a Roma il 12 aprile contro le politiche economiche e sociali del governo. Nel corso della protesta nuclei di antagonisti si sono staccati dal corteo per tentare un assalto al Ministero del Lavoro, scontrandosi con la polizia. Da sottolineare la grande organizzazione dei gruppi, che prima dell’assalto indossavano giacche a vento blu per meglio riconoscersi in mezzo alla confusione e - una volta colpito il loro obiettivo sono rientrati nel corteo abbandonando in strada le “divise”. Anche la “lotta contro la repressione” ha fatto i suoi proseliti, a Torino e a Genova. Nel capoluogo piemontese un gruppo di incappucciati ha pestato a sangue l’autista del sostituito procuratore Antonio Rinaudo, protagonista della lotta all’eversione. Mentre si allontanavano, gli aggressori hanno urlato all’autista ferito: “Questa è la fine che fanno i servi dei servi”. L’aggressione non è stata rivendicata pubblicamente, ma gli inquirenti sono certi che sia riconducibile alle frange più violente del movimento anti-TAV. A Genova, invece, è stato dato alle fiamme lo scooter di un agente della DIGOS, Giovanni Pantanella. Nel messaggio di rivendicazione apparso in seguito sul web si legge: “Solidarietà a tutti coloro indagati, denunciati, identificati, arrestati da questo infame durante la sua miserabile esistenza”. Pochi giorni dopo, ancora nel capoluogo ligure, un ordigno esplosivo attivato a distanza è stato fatto deflagrare nei pressi di un commissariato di polizia. Roma, scontri durante la manifestazione del 12 aprile 2014 94 LOOKOUT 5 - maggio 2014 TImELINE dEgLI EVENTI 11 aprile Torino Aggredito Giuseppe Caggiano, carabiniere e autista del sostituto procuratore Antonio Rinaudo. 12 aprile Roma Tentato assalto al Ministero del Lavoro durante una manifestazione indetta dai Movimenti Sociali contro la Precarietà e l’Austerity. 16 aprile Roma Bombe carta al carcere di Regina Coeli contro gli arresti seguiti agli scontri del 12 aprile nella capitale. 17 aprile bussoleno (To) Buste con pallottole dirette al sindaco e all’assessore ai Trasporti di Susa, entrambi favorevoli al progetto TAV. 25 aprile genova Incendiato lo scooter di un agente della DIGOS. Azione rivendicata sui siti dell’antagonismo radicale. 28 aprile genova Esploso un potente ordigno nascosto in un cassonetto nei pressi del commissariato di polizia di Principe. 3 maggio Chiomonte (To) Lanciati razzi e petardi contro il cantiere TAV utilizzando mortai artigianali. 3 maggio Cuneo Assaltata sede PD: vetrine rotte e scritte anarchiche. 4 maggio Torino Imbrattata sede PD con slogan anti-TAV. ApR-mAg 2014 Aggiornato al 9 maggio 2014 BUSSOLENO TORINO CHIOMONTE CHIOMO OMONTE CUNEO GENOVA ROMA ATTENTATI LETTERE o pACChI bombA INCIdENTI dI pIAzzA RApINE o AggRESSIoNI RISChI o mINACCE ARRESTI poLITICAmENTE SCoRRETTo SToRIE dI UN moNdo AL RoVESCIo Once was diplomacy di Tersite D ice Ray McGovern - ex funzionario CIA con Intelligence Commendation Medal, alto riconoscimento per gli impiegati dell’Agenzia - che l’ambasciatore americano a Kiev, Geoffrey Pyatt, è “uno di quegli alti funzionari del Dipartimento di Stato che vede se stesso come una sorta di operatore CIA, perché ora la CIA non combina più molto, così lo deve fare il Dipartimento”. Anche un altro ex agente, Ralph McGehee - in rotta con la CIA sin dai tempi delle attività di terrorismo e tortura anti-vietcong del Phoenix Program (programma di eliminazione mirata dei quadri vietcong nelle campagne vietnamite) - sostiene che l’Agenzia non fa più “intelligence”. Ma, secondo McGhee, il motivo sta nel fatto che la CIA agisce da braccio armato nelle operazioni clandestine dei Consiglieri di politica estera della presidenza. Le due affermazioni potrebbero sembrare in contrasto, eppure così non è. La CIA, in effetti, ha ridotto drasticamente l’attività d’intelligence, finalizzata soprattutto alle uccisioni extragiudiziali con i droni. Dopo il periodo buio per le indagini congressuali sulle attività omicide e clandestine, l’Agenzia tornò di nuovo verso il suo campo 96 LOOKOUT 5 - maggio 2014 PER SAPERNE DI PIÙ DIETRO LO SPECCHIO - WWW.LOOKOUTNEWS.IT preferito (e fondativo, con l’OSS) delle attività paramilitari nel 1980, con l’Intelligence Reform Act patrocinato dal presidente Reagan, da cui poi derivarono: Afghanistan, Angola, Nicaragua. Dall’attacco alle Torri Gemelle, la CIA ha avuto mano libera nell’antiterrorismo e ha abdicato invece all’intelligence globale, in parte “appaltata” all’alta tecnologia dell’NSA. In funzione degli obiettivi di politica estera, è il Dipartimento di Stato a coordinare le varie Agenzie, dotato peraltro di un efficientissimo ufficio, il Bureau of Intelligence and Research. È quindi vero che oggi è il Dipartimento di Stato a guidare il lavoro di spionaggio, così com’è vero che la politica estera USA non è fatta tanto dal Segretario di Stato che è piuttosto un frontman politico - ma dal team dei potentissimi consiglieri del presidente alla Casa Bianca. Verificata l’insostenibilità finanziaria, la scarsa resa e la limitatezza di campo d’azione degli interventi militari su vasta scala, l’attuale Amministrazione democratica ha inteso applicare la dottrina USA dell’intervento indiretto, quel “leading from behind” sfuggito a un Consigliere del governo nel commentare il ruolo USA nella destabilizzazione della Libia. Una dottrina estesa sia ai Paesi non allineati/ostili sia ad aree d’influenza dei competitor globali: Europa, Russia, Cina. La destabilizzazione rientra nelle attività di PSYOP - ovvero le “operazioni di guerra psicologica” che vanno dalla propaganda alle insurrezioni, alle azioni false flag - dove diviene evidente la preminenza del Dipartimento di Stato (cioè i consiglieri presidenziali) nella catena di comando circa l’indirizzo e il coordinamento sia militari sia delle agenzie governative, CIA compresa. E, in effetti, gli scoperchiamenti di attività clandestine illecite, dal Watergate a Iran-Contras, rimandano sempre alla Casa Bianca. In conclusione, hanno ragione sia McGovern sia McGehee. E si capisce quindi il perché della descrizione dell’ambasciatore Geoffrey Pyatt come una sorta di “operatore CIA”. Non per suo vezzo, ma per sua funzione. Tocca, infatti, all’ambasciatore in qualità di braccio esecutivo locale, la responsabilità operativa dall’intelligence alle attività paramilitari. Cioè il coordinamento di tutte le attività PSYOP, nel quadro degli obiettivi di politica estera. Questo comporta un radicale spostamento di funzioni nei Paesi che per gli USA rappresentano la “frontiera”: se classicamente l’ambasciatore svolgeva un ruolo diplomatico e copriva le attività spionistiche che facevano capo alla CIA, ora è l’ambasciatore stesso a essere il “capo delle spie”, in una catena di comando che rimanda direttamente allo staff della Casa Bianca. Dunque, in questi Paesi non sono necessari ambasciatori di provate capacità diplomatiche, ma funzionari di provate capacità esecutive nel variegato, e assai poco diplomatico, ambito di attività PSYOP. UN LIbRo AL mESE ELEzIoNI ImmINENTI DANIMARCA Killing Machine di Mark Mazzetti Feltrinelli 2014 pp. 352 19,00 euro D a quando, il giorno dopo l’attacco all’America dell’11 settembre 2001, George W. Bush richiamò in servizio la CIA dandole carta bianca nella lotta ad Al Qaeda e al terrorismo internazionale, le cose per la sicurezza e per la politica estera americana non sono state più le stesse. E chi credeva che con il passaggio del testimone a Barack Obama ci sarebbero stati meno morti e più obiettivi colpiti si è sbagliato. A raccontare questa e altre pagine grigie della storia recente degli Stati Uniti è il reporter del New York Times Mark Mazzetti, premio Pulitzer per i suoi reportage dal Pakistan e dall’Afghanistan, autore del libro Killing Machine. Come gli Usa combattono le loro guerre segrete. L’America che descrive, servendosi soprattutto di fonti riservate prima che scoppiasse il Datagate, è uno Stato che “in nome della giustizia e della pace tra i popoli continua a seminare guerre e rivolte”. Lo fa con i droni, telecomandati dal quartier generale di Langley per compiere omicidi tra talebani e civili in Pakistan, Afghanistan e Yemen; e lo fa con i contractor e gli agenti infiltrati, inviati a fomentare sommosse e rovesciare governi dove ce n’è bisogno (la Libia di Gheddafi e l’Ucraina di Yanukovich ne sanno qualcosa). Sullo sfondo campeggia onnipresente l’ombra della CIA, “promossa” ormai a pieni voti da servizio di intelligence a braccio operativo con licenza di uccidere. UCRAINA BELGIO COLOMBIA EGITTO MAURITANIA 25 Colombia 25 Ucraina 25 Belgio 26 Egitto 25 Danimarca 21 Mauritania mAg Presidenziali mAg Parlamento mAg Referendum mAg Presidenziali mAg Presidenziali gIU Presidenziali RISULTATI dALLE URNE 47,6% Macedonia 846.823 astenuti Presidenziali - 27 aprile 2014 Affluenza alle urne 52,4% 932.749 1.779.572 votanti Gjorgje IVANOV 55,27% Robert FICO 41,14% voti validi Guinea Bissau Presidenziali 13 aprile 2014 800.000 votanti @Roccobellantone José Mario VAZ 40,98% Nuno Gomes NABIAM 25,14% 23% 184.346 astenuti Affluenza alle urne 77% 615.654 voti validi LOOKOUT 5 - maggio 2014 97 NEWS anno I - numero 5 - maggio 2014 EDITORE G-Risk - Via Tagliamento, 25 00198 Roma Tel. +39 06 8549343 - Fax +39 06 85344635 [email protected] - www.grisk.it In collaborazione con Giapeto srl DIRETTORE SCIENTIFICO Mario Mori DIRETTORE EDITORIALE Alfredo Mantici [email protected] DIRETTORE RESPONSABILE Luciano Tirinnanzi @luciotirinnanzi [email protected] CAPOREDATTORE Rocco Bellantone @RoccoBellantone REDAZIONE Dario Scittarelli Cristiana Era Marta Pranzetti Mariana Diaz Vasquez Brian Woods Hugo HANNO COLLABORATO Giorgio R. 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