IL MONDO CHE NESSUNO RACCONTA area 51 La verità che non t’aspetti serbia Manuale per una rivoluzione polonia IRAN IA IR EaS ie t n o cc r iaze imon test e t t e dir Copia abbinata a Panorama non acquistabile singolarmente | anno I - n. 4 aprile 2014 | www.lookoutnews.it Lo scudo missilistico Per ricevere LA riviSTA direTTAmenTe A cASA Basta andare su www.lookoutnews.it alla voce AbbonAmenTi e seguire le istruzioni. Tre semplici passaggi per scegliere la modalità di pagamento preferita: PAYPAL, BONIFICO BANCARIO, CONTO CORRENTE POSTALE. Per LeggerLA Su Pc, TAbLeT e SmArTPhone La rivista è disponibile gratuitamente in versione digitale, per tutti gli abbonati di Panorama. Basta andare nell'area Premium del sito di Panorama (http://magazine.panorama.it) o dalla app iPanorama. | anno I - numero 4 - aprile 2014 28 Società 14 God save the Kingdom 18 La piazza e le costituzioni 20 Studiare da rivoluzionari la Sottile 22 Divide et impera linea ruSSa geopolitica Futuwwa al femminile le rubriche 26 Spy gameS AREA 51: un mito duro a morire 80 Vi racconto la mia Siria 50 a dire il Vero... Anche l’Islam deve arrivare alla sua“Pace di Westfalia” 78 do you Spread? Economia italiana, che macello! 90 90 l’araba Fenice Futuwwa al femminile 94 oSSerVatorio Sociale Gli indipendentisti della domenica 96 politicamente Scorretto Ciak, si taglia 97 un libro al meSe La casa di Via Garibaldi 28 La sottile linea RUSSA 34 Geopolitica di una possibile invasione 36 Uno scudo attira l’altro 38 Euro entusiasmo 41 Kaliningrad, avamposto russo nel cuore d’Europa 44 Il Medio Oriente c’est moi 46 Il mondo arabo è nostro 48 Le elezioni che non cambiano la storia economia 64 Il peso di Mosca 68 Non gasiamoci troppo 74 Con gli occhi dell’Oriente Sicurezza 80 Vi racconto la mia Siria 83 Libano, le mani su Tripoli 84 In fuga dall’Africa Seguici anche su: www.lookoutnews.it l’aggiornamento quotidiano dal mondo LOOKOUT 4 - aprile 2014 3 la Vignetta di “ TUR CH IA : Erd o gan ord in a l ’ osc ur amen to d ei soc ial n etwor k” Tutte le Russie portano a Mosca di mario mori A l’editoriale nche se i toni si sono fatti più cauti, il dibattito internazionale continua a rimanere centrato sulla crisi tra Russia e Ucraina. È una crisi che ha risvolti complessi di natura etnica, economica e militare. Mosca non intende abbandonare il suo ruolo storico di protettore degli ucraini dell’est e non vuole l’arrivo della NATO sui suoi confini. Kiev sembra insensibile alle esigenze di autotutela strategica della Russia e appare pericolosamente ottimista sui prossimi effetti economici di una rottura con Mosca. Dall’analisi della situazione nella ex Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche il grado di dipendenza dal Cremlino risulta ancora molto alto e continua a costituire un freno oggettivo alle istanze di autonomia di questi Stati. Mosca, in sostanza, resta il centro di tutte le Russie. Per questo motivo abbiamo dedicato una parte importante di questo numero agli eventi dell’Est. L’ambasciatore polacco a Roma, Wojciech Ponikiewski, visti gli storici legami tra il suo Paese e l’Ucraina occidentale, ci aiuta con molta profondità a inquadrare le questioni aperte dagli eventi di piazza Maidan alla secessione della Crimea, valutandone i profili economici, politici e militari. Tra questi ultimi si riesamina il delicato dossier sullo scudo missilistico nell’Europa Orientale: concepito dagli americani per difendere l’Europa dalla minaccia missilistica iraniana, si sta trasformando in un’arma di pressione contro Mosca. La secessione della Crimea sostenuta dai tank russi ma anche da un innegabile sostegno popolare manifestatosi attraverso un referendum - che secondo gli osservatori internazionali non è stato viziato da brogli - ci ha indotto non soltanto a una riflessione tecnico-giuridica sui cambiamenti politici imposti dalla piazza o sostenuti da richieste popolari, ma anche a uno sguardo di prospettiva sul prossimo appuntamento potenzialmente “secessionista” che attende il Regno Unito il prossimo 18 settembre, il referendum sull’indipendenza sulla Scozia. Non abbiamo trascurato il Medio Oriente, focalizzando l’obiettivo sul fattore religioso rispetto a quello politico. La “guerra civile” tra sciiti e sunniti in Iraq e Siria, le persecuzioni dei cristiani nel conflitto siriano e in Africa e la rottura tra Arabia Saudita e Qatar sono state oggetto di riflessioni approfondite anche con un ardito paragone storico con la Guerra dei Trent’anni che in Europa sancì non soltanto la nascita degli Stati Nazione ma anche e soprattutto il distacco totale tra politica e religione. inbox il direttore editoriale riSponde Meglio la Russia o l’Europa per l’Ucraina? Grecia: la cura della Troika non ha prodotto i risultati sperati Prima o poi l’Ucraina pagherà l’errore che ha commesso mettendosi contro Mosca e si renderà conto che è meglio la Russia della Troika. Concordo con la vostra analisi: “le conseguenze della politica di austerità hanno finito col sorprendere gli stessi ispiratori del Fondo Monetario Internazionale”. La recessione si è rivelata ben superiore alle attese. CARLO CAFFO ARA BABUKIAN Dall’esterno spesso è difficile giudicare la profondità degli odi interetnici che attraversano Stati disomogenei. L’Ucraina occidentale è popolata da persone che non amano i russi da secoli. Anche se è brutto ricordarlo, non possiamo trascurare un dato storicamente accertato: quando nel giugno del 1941 le truppe tedesche attraversarono il confine ucraino vennero accolte come liberatrici da gran parte della popolazione, in odio al comunismo e alla “Madre Russia”. La tensione latente tra ucraini dell’ovest e dell’est è esplosa in questi mesi ma ha, come abbiamo visto, radici antiche. Come può leggere nell’intervista all’ambasciatore polacco a pagina 38, è ora che in Ucraina torni a parlare la politica al posto della piazza e dei blindati. È presto per dire che il tentativo di associazione di Kiev all’Europa sia un errore, ma è un fatto certo che il conto da pagare a Mosca tra debiti e aumento delle tariffe energetiche per l’Ucraina sarà molto salato, tale da non consentirle, se non a prezzo di sacrifici enormi, di raggiungere quei parametri di Maastricht che tanto per fare un esempio hanno demolito l’economia greca. Scrivi a: [email protected] [email protected] facebook.com/LookoutNews twitter.com/lookoutnews La politica dell’austerità espansiva imposta dalla Troika ad Atene è paragonabile al coma farmacologico che viene indotto in alcuni pazienti traumatizzati per dare tempo all’organismo di riprendersi da solo. Se il coma è troppo profondo e dura troppo a lungo, si producono nella migliore delle ipotesi danni permanenti. L’atteggiamento della Troika nei confronti di Atene è apparso a tratti decisamente punitivo. Non bisogna inoltre trascurare che in Europa le banche tedesche erano quelle maggiormente esposte sul fronte del debito greco e che la Troika è molto sensibile alle esigenze di Berlino. Erdogan si conferma al potere Come mai nonostante le accuse di corruzione e i tentativi palesi di accentrare a sé il potere legislativo, giuridico e amministrativo, il popolo turco ha continuato a votare per Erdogan anche alle ultime elezioni amministrative? YUCE AGRIMAN Erdogan è il più islamista dei leader laici turchi. Forse il suo successo elettorale, nonostante scivoloni autoritari come la chiusura temporanea di Twitter e YouTube, dipende dal fatto che probabilmente una parte maggioritaria della società turca, nonostante quasi un secolo di governi secolari, sta riscoprendo la propria identità religiosa ed è disposta a passare sopra le accuse di corruzione nella speranza che il premier rafforzi la presenza dell’Islam nel Paese. Senza dimenticare il buon andamento dell’economia e il miglioramento del tenore di vita per la popolazione turca. Cosa c’è dietro l’intervento militare dell’UE in Repubblica Centrafricana? Non credo si tratti di una missione umanitaria. Oro, uranio, diamanti e forse anche petrolio: sono questi i reali motivi dell’intervento dell’Europa. MATTEO TARDINI Occorre essere realisti: in geopolitica l’intervento puramente umanitario non esiste. Checché ne dicano i governi, ogni intervento militare ha, tra le sue motivazioni, anche quelle economiche e di controllo di aree strategiche dal punto di vista delle risorse locali. Nel povero Rwanda, l’Occidente ha assistito senza battere ciglio al massacro di un milione di persone. Oggi evidentemente l’Unione Europea non può tollerare che le enormi ricchezze nascoste nel sottosuolo della Repubblica Centrafricana cadano nelle mani sbagliate. E quindi, per motivi “umanitari”, interviene. LOOKOUT 4 - aprile 2014 7 coSta rica braSile nigeria ungheria Ballottaggio surreale per le presidenziali. Il candidato dell’opposizione, Jhonny Araya, ha rinunciato alla candidatura. Vittoria di Luis Guillermo Solis, che è il primo presidente di centrosinistra del Paese. A poche settimane dall’inizio dei Mondiali di Calcio non tremano solo i ponteggi dei nuovi stadi ma anche il futuro di Dilma Rousseff: i consensi a suo favore sono scesi dal 44 al 38%. Economia nigeriana al primo posto in Africa. La situazione però resta complicata: corruzione endemica, furti di petrolio e decine di cristiani uccisi ogni giorno dagli islamisti di Boko Haram. Il partito Fidesz del premier Orban tiene a bada l’ultradestra Jobbik. Dopo l’endorsement di poche settimane fa, Putin sa di poter contare su un alleato affidabile nell’Europa dell’Est. rWanda giordania taiWan corea del Sud A vent’anni dal genocidio dei ruandesi di etnia Tutsi, cresce l’economia del Paese centrafricano: PIL in aumento per l’ottavo anno consecutivo e arrivo di investimenti e turisti dall’estero. Il governo di Amman potrebbe rivelarsi fondamentale per mediare nella crisi in corso tra i Paesi del Golfo. Re Abdullah II ha già preso contatti con il Qatar. Per Taipei, le cose si mettono male in Guatemala: l’ex presidente Portillo ha ammesso di aver ricevuto denaro in cambio del riconoscimento della Repubblica di Cina. Se Kim Jong-un abbia ma non morde il merito è di Seoul: la presidente Park Geun-hye risponde ai test missilistici di Pyongyang, confermandosi più affidabile di Shinzo Abe. Accadde oggi Chi è Yuri Gagarin Nome completo Yuri Alekseyevich Gagarin Occupazione Astronauta, pilota Data di nascita 9 marzo 1934 Data di morte 27 marzo 1968 Luogo di nascita Klushino, Russia Luogo di morte Kirsach, Russia 10 LOOKOUT 4 - aprile 2014 1961 2014 Aprile 1961: i sovietici conquistano lo spazio Un manifesto che celebra il progresso aerospaziale sovietico ruSSia | di Luciano Tirinnanzi Q uel pomeriggio a Roma, lo strillone di Piazza dei Cinquecento gridava a squarciagola: “È tornato Ignazio, l’uomo dello spazio”. Il riferimento del venditore di giornali era a Yuri Gagarin, il ventisettenne maggiore dell’aviazione dell’URSS, primo uomo nella storia dell’umanità a viaggiare nello spazio. L’eco dell’impresa fece in pochi minuti il giro del mondo. Anche perché, con sommo stupore di tutti - soprattutto del presidente USA Eisenhower - per la seconda volta in meno di vent’anni dopo l’ingresso delle truppe sovietiche a Berlino, i russi erano arrivati prima degli americani a un più che prestigioso traguardo. Sarebbe stata l’ultima volta che i russi avrebbero potuto vantare un simile primato, almeno per quanto riguarda la cosmonautica. Ma quel giorno, 12 aprile del 1961, resterà per sempre scolpito nella memoria collettiva come un trionfo di Mosca. Il giovane Gagarin sognava un viaggio nel cielo infinto sin dal lancio del primo sputnik russo nel 1957. “Quel pomeriggio - ricorderà più avanti il cosmonauta - io e i miei compagni tornavamo da un addestramento sugli aerei visto “né la luna né alcun Dio” lassù nello spazio, ma di aver goduto dello spettacolo della terra “blu, e il sole dieci volte più luminoso che sulla terra, e le stelle più lucenti e limpide che mai”. Affermò entusiasta che “tutto era diventato progressivamente più facile e leggero da fare” per l’assenza della forza di gravità. Tutto secondo i calcoli, insomma. A eccezione dell’atterraggio: previsto a sud della città di Engels (regione del Volga, Oblast di Saratov), il rientro di Gagarin avvenne invece in aperta campagna: il cosmonauta fu prima espulso dall’abitacolo e quindi paracadutato a terra, anche se nei resoconti ufficiali questa versione non compare. Yuri non fu il solo a ricordare quel momento. Riferirà, infatti: “Dopo l’atterraggio, incontrai due studentesse. Quando mi videro con la mia tuta spaziale che camminavo trascinandomi dietro il paracadute, iniziarono a indietreggiare impaurite. Dissi loro di non spaventarsi, che ero anch’io un sovietico come loro, tornato dallo spazio e che dovevo trovare un telefono per chiamare Mosca”. Se quest’ultima circostanza ha dell’incredibile, non lo è da meno la dipartita del primo uomo nello spazio. Dopo soli sette anni dalla passeggiata spaziale, durante un banale volo di addestramento, il MIG che pilotava si schiantò al suolo, mettendo fine alla sua vita e alimentando il mito di questo moderno Icaro. MIG e, quando ricevetti la notizia, capii che il giorno in cui l’uomo sarebbe andato nello spazio non era più così lontano”. Certo non immaginava che sarebbe stato proprio lui quell’uomo. I primi tentativi della corsa allo spazio tra Est e Ovest erano iniziati alla metà degli anni Cinquanta. Mosca aveva dalla sua l’eredità di Konstantin Ciolkovskij, pioniere dell’astronautica vissuto a cavallo tra la fine dell’Ottocento e il primo trentennio del Novecento e padre della teoria del volo spaziale umano. Le idee visionarie del geniale scienziato russo furono poi messe a frutto dall’industria aerospaziale sovietica, grazie al “miglior progettista”, come veniva soprannominato l’ingegnere Sergej Korolëv. Il quale, grazie alla considerazione che godeva all’interno del Politbjuro all’epoca di Kruschev, progettò e supervisionò le più importanti tappe del programma spaziale sovietico, dalla cagnetta Laika (1957) fino a Yuri Gagarin. Il maggiore venne lanciato nello spazio alle ore 09:07 del 12 aprile 1961, orbitando intorno alla Terra per 88 minuti a bordo DOVE TROVO UN TELEFONO della navicella Vostok 1 (che significa “Oriente”) e atterrò nuovamente alle 10:55 in Unione Sovietica. Cedro, il nome in codice che si era dato, raccontò di non aver PER CHIAMARE MOSCA? YURI GAGARIN LOOKOUT 4 - aprile 2014 11 Faces I volti più significativi del mese 12 LOOKOUT 4 - aprile 2014 ed miliband Classe 1969, il leader dei labursiti ha prima sconfitto il fratello maggiore David nella sfida per la guida del partito e ora guarda minaccioso a un altro David, il premier Cameron. Federica mogherini Classe 1973, il ministro degli Esteri è la terza donna alla Farnesina dopo Susanna Agnelli ed Emma Bonino, senz’altro la più giovane a essere arrivata sin qui. agatha Sangma Nata nel 1980 a New Delhi, è nel parlamento indiano già dal 2009 ed è stata il più giovane Ministro di Stato, nel secondo gabinetto del premier Singh. axel Kicillof Bisogna essere il più promettente quarantenne del Paese per smettere gli abiti del docente e andare a ricoprire la terribile carica di ministro delle Finanze d’Argentina. Sebastian Kurz L’enfant prodige austriaco è nato il 27 agosto 1986 e, non ancora ventottenne, è probabilmente il più piccolo ministro degli Esteri che si ricordi nelle Alpi. Kim jong un Classe 1983, il Supremo Leader della Repubblica Democratica Popolare di Corea ha da poco compiuto trent’anni. La giovinezza non gli manca, la saggezza invece... Società Scozia Referendum per l’indipendenza Serbia Pace e rivoluzione yemen La difficile federazione God save the Kingdom Tra cinque mesi il referendum per l’indipendenza della Scozia. Ma dopo tre secoli di matrimonio con Londra, a Edimburgo conviene davvero firmare le carte del divorzio? PER SAPERNE DI PIÙ WWW.LOOKOUTNEWS.IT/PAESE/SCOZIA 14 LOOKOUT 4 - aprile 2014 Scozia | di Dario Scittarelli I “ t’s Scotland’s oil”. Così partì negli anni ’70 la campagna in favore dell’indipendenza dello Scottish National Party (SNP). Perché, oltre al whisky, c’è anche - e soprattutto - il petrolio scozzese. Sottotitolo: volete dividerne i proventi con sessantaquattro milioni di persone o con cinque? Allora gli abitanti del Regno Unito erano una decina di milioni in meno, ma la proporzione è rimasta grosso modo la stessa. Venivano da poco alla luce i giacimenti di idrocarburi nel Mare del Nord, e il loro sfruttamento aveva dato nuovo vigore all’indipendentismo mai sopito della Scozia, annessa nel 1707 all’Inghilterra per formare il Regno di Gran Bretagna, cent’anni prima che si arrivasse allo United Kingdom con l’Irlanda, all’epoca tutta intera. Quarant’anni più tardi e 40 miliardi di barili di petrolio dopo, l’SNP conquista - siamo nel 2011 - la maggioranza a Holyrood, il parlamento scozzese nato nel 1999 con la devolution di Tony Blair. “It’s still Scotland’s oil”, continuano LOOKOUT 4 - aprile 2014 15 Società Il dizionario Lo Scottish National Party è il principale partito scozzese. Fondato nel 1934, nel 2007 ottiene il maggior numero di seggi a Holyrood (47 su 129), mettendo fine a otto anni di coalizione tra laburisti e liberal-democratici. Non avendo i 65 seggi necessari per la maggioranza, l’SNP Chi potrà votare il 18 settembre? “La Scozia deve essere una nazione indipendente?”. Ecco il quesito cui sono chiamati a rispondere il 18 settembre tutti i residenti in Scozia, di nazionalità britannica o europea: un secco “yes” o un “no”. Solo per questo referendum, l’età minima è stata abbassata a 16 anni. Su un totale di 5,3 milioni di abitanti, saranno dunque circa 4,3 mln gli aventi diritto. Non potranno votare, invece, le 800mila persone nate in Scozia ma residenti in altre parti del Regno. a rimarcare gli indipendentisti, che dopo due anni annunciano la data del referendum decisivo: 18 settembre 2014. Certo, non è solo una questione di petrolio (e di gas). La Braveheart generation, cresciuta proprio negli anni del decentramento amministrativo, si sente più nordeuropea che inglese, e prende a modello nazioni virtuose come la Norvegia, la Danimarca e la Svezia, all’avanguardia nel welfare e contraddistinte da grande autonomia rispetto alla politica monetaria dell’Unione Europea. E poi c’è il whisky, gioiellino da 5 miliardi di sterline l’anno, senza contare i servizi finanziari (circa 750 miliardi di pound, tra investimenti e pensioni) e i 40 milioni di conti correnti I numeri del petrolio scozzese D al 1975 a oggi sono stati estratti oltre 40 miliardi di barili, per un valore in tasse di circa 300 miliardi di pound, finiti nelle casse del governo di Londra. Dai giacimenti attualmente sfruttati nel Mare del Nord (che soddisfano, insieme a quelli di gas, metà del fabbisogno energetico britannico) potrebbero essere estratti ancora, nei prossimi trent’anni, 24 miliardi di barili, per un’entrata fiscale di 10 miliardi 16 LOOKOUT 4 - aprile 2014 forma quell’anno un governo di minoranza con il suo leader Alex Salmond (foto) nel ruolo di primo ministro. Nel 2011 arriva la consacrazione: con 69 seggi l’SNP diventa il primo partito a costituire, da solo, un governo di maggioranza nel di sterline all’anno. Un discreto tesoretto, che gli indipendentisti vorrebbero naturalmente tenere tutto per sé. Nei loro piani, basterebbe accantonare un miliardo all’anno per costituire nell’arco di una generazione un fondo pensione petrolifero da 30 miliardi di pound sul modello di quello norvegese (che già sfiora i 500 miliardi di sterline). Ma attenzione: la produzione di idrocarburi nel Mare del Nord è calata di quasi il 70% a partire dall’ultimo picco nel 1999. parlamento scozzese. La formazione politica si autopresenta così: “A left leaning nationalist party advocating secession from the United Kingdom”, “Un partito nazionalista di sinistra che sostiene la secessione dal Regno Unito”. bancari. Insomma, secondo il first minister e leader dell’SNP, Alex Salmond, i numeri ci sono tutti. E la Scozia, con la sua manciata di abitanti (solo l’8,3% di tutta la popolazione targata UK) potrebbe entrare facilmente nella top 20 mondiale per PIL pro-capite, diventando (come pubblicizzano adesso i manifesti della coalizione filo-indipendentista Yes Scotland) più ricca dello stesso Regno Unito. Ma non mancano le contraddizioni. La prima è il pound: indipendenti sì, ma con la sterlina, dicono da Edimburgo. Secca la risposta di Londra: nel caso di una vittoria del sì al referendum non sarebbe possibile un’unione monetaria tra la Scozia e il resto del Regno. Un’argomentazione, questa, che ha gelato i bollori degli indipendentisti. Contrattacca però Salmond: Società Regioni dove i partiti politici sostengono l’indipendenza Gli altri separatisti d’Europa Regioni con movimenti separatisti-autonomisti Scozia Spagna Pop. 5,3 mln La proposta del referendum indipendentista della Catalogna è stata bocciata dalla corte costituzionale il 25 marzo, dopo aver già bocciato nel 2008 il referendum per l’autodeterminazione dei Paesi Baschi. Fiandre Pop. 6,2 mln Regno Unito Belgio belgio Padania Pop. 33,3 mln L’indipendenza delle Fiandre, con Bruxelles capitale, è l’obiettivo della formazione di destra N-VA, Nuova Alleanza Fiamminga. Saranno decisive le elezioni di maggio. Paesi Baschi Francia Pop. 2,1 mln Corsica Francia Pop. 300.000 Nonostante la grande autonomia di cui gode la Corsica rispetto alle altre regioni francesi, i militanti del Fronte di Liberazione Nazionale Corso vorrebbero fare dell’isola una nazione indipendente. Italia Spagna Catalogna italia Pop. 7,5 mln La Lega Nord vorrebbe creare una nuova regione chiamata “Padania” per separare il nord industrializzato dal resto del Paese. Fonte: Eurostat se ciò dovesse accadere, la Scozia non sarà più disposta ad accollarsi la sua parte di debito pubblico, ovvero oltre 120 miliardi di sterline su un trilione e mezzo. Ancora sulle contraddizioni, bisognerà poi capire come farà Edimburgo a sbarazzarsi dei quattro sottomarini della Royal Navy ormeggiati nella base navale di Faslane (armati con missili a testata nucleare) e a rimanere all’interno della NATO, che proprio di quella base fa un punto cardine della sua alleanza. Parlando di un’altra importante membership che la nuova Scozia vorrebbe mantenere, c’è poi l’Unione Europea. Ma, anche qui, l’ingresso di Edimburgo non è affatto scontato e sarebbe subordinato all’accettazione da parte degli altri Stati-membri. Che agli scozzesi, dunque, convenga non firmare le carte del divorzio? Probabilmente è così. Ma anche soltanto aver messo quelle carte sul tavolo, Gli sfidanti potrebbe produrre i suoi effetti: ad esempio, il conferimento Yes Scotland vs Better Together di una piena autonomia fiscale Gli indipendentisti del gruppo Yes Scotland, alla Scozia, pur rimanendo alcapitanati da Alex Salmond, sono sostenuti, oltre l’interno del Regno. Un che dall’SNP, dai verdi dello Scottish Green compromesso cui Party. Entrambe le formazioni sono collocabili nell’area di centro-sinistra. stanno già lavoGli ultimi Il loro motto è “Scotland’s future in rando gli unionisondaggi danno il Scotland’s hands”, ovvero “Il futuro sti della coalidella Scozia nelle mani della Scozia”. zione Better Dall’altra parte, gli unionisti della Together e che coalizione Better Together: laburisti, persino i più conservatori e liberal-democratici, agguerriti indidei consensi agli guidati dal laburista Alistair Darling. pendentisti poIl loro slogan: “A stronger Scotland, indipendentisti trebbero trovare a United Kingdom”, “Una Scozia più forte, un Regno Unito”. Nel caso di interessante. Anche una vittoria del sì, la Scozia dichiarerà la sua se vincesse il fronte del indipendenza il 24 marzo 2016. La data coincide no, quindi, i braveheart ottercon la storica firma dell’Atto di Unione del 1707, rebbero comunque un gran quando il Kingdom of Scotland cessò di esistere. bel risultato. Del resto, si sa: per centrare il bersaglio, bisogna tirare sempre un po’ più in alto. 30% LOOKOUT 4 - aprile 2014 17 Società La piazza e le È possibile conciliare le ragioni della politica con quelle del diritto? Ragionamenti intorno alla crisi d’identità dell’Occidente costituzioni mondo | di Ciro Sbailò C i sono buone ragioni per sostenere la legittimità sia dell’elezione di Mohammed Morsi alla presidenza dell’Egitto sia della sua rimozione forzata. Analogo ragionamento può essere fatto mettendo a confronto la cacciata a furor di popolo del presidente ucraino Viktor Yanukovich, da una parte, e il referendum sull’autodeterminazione della Crimea, dall’altra. Ciclicamente, l’Occidente coltiva il sogno di una conciliazione tra le ragioni della politica e quelle del diritto. Altrettanto ciclicamente, si assiste poi a un brusco risveglio. La più recente e autorevole versione di questo sogno è 18 LOOKOUT 4 - aprile 2014 la dottrina del “Grande Medio Oriente” (introdotto nel G8 del 2004), che può essere sintetizzata così: la sicurezza e gli interessi dell’Occidente possono essere garantiti solo esportando o rafforzando il costituzionalismo democratico-liberale in un’area molto estesa, inscrivibile in una sorta di triangolo capovolto con ai vertici il Maghreb, il Kazakhstan e il Corno d’Africa. I presupposti di questa dottrina li troviamo in due concetti elaborati in Europa, rispettivamente nella filosofia del XIX secolo e nella scienza costituzionale del XX secolo: la “fine della storia” e l’“esaurimento del potere costituente”. Il secondo è, per certi versi, la versione giuridica aggiornata del primo (formulato ben prima che venisse pubblicato The End of History nel 1992). Per definizione, il potere costituente è un potere illimitato. Ma se la democrazia liberale rappresenta il culmine dell’evoluzione della civiltà, il potere costituente non ha più ragion d’essere. Non c’è volontà popolare o interesse geopolitico che tenga: i limiti di qualsiasi ordinamento (e di qualsiasi rivoluzione) sono fissati una volta per tutte e coincidono con i principi del costituzionalismo occidentale (separazione dei poteri, primato dei diritti individuali, laicità dello Stato, libertà economica, etc.). Il fallimento della dottrina del “Grande Medio Oriente” deriva, per l’appunto, dall’“esaurimento” di questi suoi presupposti. La storia ci dice che senza lo Stato di tipo occidentale, basato sulla “neutralizzazione” di ogni elemento identitario (religioso, etnico, comunitario, etc.) non c’è Società Pareri a confronto Michele Ainis Giurista e costituzionalista italiano democrazia costituzionale. Ma quel modello non può essere applicato su scala globale. Esso è in crisi ovunque, specialmente dove è stato adottato di recente. È il caso del Nord Africa, ad esempio, dove i soggetti politico-sociali cresciuti dentro la dimensione statuale devono confrontarsi con il fenomeno della “ri-espansione del principio ordinatore islamico”, talora razionalizzandolo - vedi la nuova Costituzione in Tunisia - e talaltra contrastandolo con violenza - vedi le turbolenze che persistono in Egitto - senza tuttavia poterlo cancellare. La crisi del modello occidentale è segnata, dunque, dall’emergere di prospettive geopolitiche trans-nazionali e trans-statuali, potenzialmente antagoniste nei confronti dell’Occidente, come potrebbero esserlo l’“agenda neo-ottomana” di Erdogan in Turchia o l’evoluzione euro-asiatistica dell’iniziale panslavismo di Putin per la Russia. A fronte di ciò, la democrazia costituzionale di stampo liberale, più che destino globale, appare come il sistema di una determinata “civiltà” (anche Huntington riprendeva teorie elaborate in Germania, a cavallo tra le due Guerre). Il costituzionalista occidentale può trovarsi, così, a doversi pronunciare sopra un ordinamento voluto dalla popolazione, ma in conflitto con i principi e gli interessi dell’Occidente. Ovvero, può trovarsi a dover scegliere tra gli interessi dell’Occidente e le ragioni del diritto. Ancora una volta, bisogna fare realisticamente i conti con una lotta tra opposti valori, in perenne e insanabile conflitto tra loro. L’unico punto su cui le ragioni di piazza e quelle del diritto possono convergere è il rispetto della Costituzione. Spesso si pongono questioni che chiamano in causa ora l’autodeterminazione dei popoli, ora la vecchia ragion di Stato, che a volte entra in conflitto con il diritto internazionale o con le norme che regolano gli ordinamenti costituzionali dei singoli Paesi. Se ogni minoranza all’interno di uno Stato potesse rivendicare la propria autonomia, si andrebbe però inevitabilmente verso scenari pericolosi. È bene dunque fare chiarezza e distinguere sempre tra referendum, ammesso e dunque legittimo, e plebiscito, che invece il più delle volte si traduce in una sostanziale manipolazione della volontà popolare. Giovanni Sartori Politologo tra i massimi esperti di scienze politiche In un sistema ideale gli Stati sono guidati dalla Costituzione ma in questo momento, purtroppo, in quasi tutti i Paesi del mondo la Magna Charta viene violata costantemente e prevalgono ora la forza ora la politica (un “piccolo” esempio è la Cina). Per quanto riguarda il nostro Paese, aggiungo che non solo l’Italia non segue la linea del costituzionalismo, ma il problema è che qui vige direttamente il caos, perché neanche la politica ha la forza per imporsi. Potremmo così affermare che l’Italia è uno Stato di “mezzo diritto”. LOOKOUT 4 - aprile 2014 19 Società Studiare da rivoluzionari L’attivismo politico e la teoria delle azioni non violente di CANVAS. Storia di docenti di rivoluzione sui generis attraverso le parole di Srdja Popovic Serbia | di Mariana Diaz I l Centro per l’applicazione Strategica di Azioni Non Violente CANVAS è un’associazione no-profit fondata nel 2004 a Belgrado, in Serbia, il cui scopo è la diffusione delle tecniche relative “all’arte della lotta pacifica”. Srdja Popovic, uno dei fondatori, spiega che “l’attivismo è cominciato negli anni Novanta, quando non eravamo altro che un gruppo di studenti impegnati nella lotta contro Slobodan Milosevic. Insieme al mio socio, Slobodan Djinovic, all’epoca facevamo parte dei giovani fondatori di Otpor!, il movimento che contribuì al rovesciamento di Milosevic nel 2000”. È stata proprio tale esperienza a convincere Popovic che la lotta non violenta può essere portata avanti in qualsiasi parte del mondo. Questa è la finalità di CANVAS, vero e proprio centro studi dove si tengono corsi e seminari su come organizzare una rivoluzione pacifica con “una dozzina di istruttori provenienti da tutto il mondo che insegnano le loro tecniche”. 20 LOOKOUT 4 - aprile 2014 Su cosa si basa il vostro metodo di non-violenza? Aiutiamo le persone a comprendere la natura del potere politico, quali sono le strutture attraverso cui il potere agisce e qual è il livello di sottomissione del popolo a tali strutture. Il seguente passo si basa sulla consapevolezza che se le persone non ubbidiscono, i governanti non possono governare. I gruppi che vengono da noi hanno bisogno di capire le motivazioni che portano le persone a ubbidire a una determinata struttura. Lo scopo è dunque diminuire tale sottomissione. I partecipanti ai nostri corsi prima apprendono i principi fondamentali della nonviolenza: strategia, pianificazione e disciplina. Solo dopo imparano le tattiche non violente. Sottolineo che CANVAS non offre idee rivoluzionarie. La rivoluzione arriva dalle persone che vivono in un determinato contesto e l’unica cosa che noi offriamo sono le risorse perché tali idee diventino azioni concrete. Avete promosso la vostra strategia pacifica in Ucraina? Abbiamo lavorato con diversi gruppi di cittadini ucraini prima della Rivoluzione Arancione (2003-2004) ma non siamo interessati a promuovere la nostra strategia, preferiamo aspettare che siano i cittadini a venire da noi per chiederci materiale informativo o per partecipare ai workshop. Società Foto piccole: una singolare somiglianza cromatica e geomorfica di Crimea (sopra) e Kosovo (sotto) Foto grandi: due momenti di Piazza Tahrir al Cairo, simbolo delle Primavere Arabe e teatro delle enormi proteste che hanno sconvolto l’Egitto dal 2011 a oggi (la piazza piena durante la contestazione a Mubarak e vuota dopo il coprifuoco imposto dai militari) Yanukovich, Yushchenko e Timoshenko, si sono divisi. Tuttavia, la rivoluzione del 2004 ha reso i cittadini consapevoli della loro responsabilità riguardo il futuro del Paese e quando hanno visto che l’Ucraina stava andando verso una direzione che non volevano, specie quando Yanukovich ha deciso di non firmare l’accordo di associazione con l’UE, i cittadini consapevoli del loro potere sono scesi in piazza per contestare questa decisione. Alcune persone pensano che dietro CANVAS si nasconda una base per le attività segrete degli Stati Uniti. Come risponde? In Egitto, il Movimento 6 aprile ha rovesciato uno dei migliori amici degli Stati Uniti, ovvero Hosni Mubarak e siamo stati proprio noi a insegnare loro le tecniche. Non è quindi possibile che dietro di noi si nasconda la Casa Bianca. Altri dicono che “la rivoluzione si può esportare”, che basta portare un gruppo di agenti qualificati in un determinato Paese per poi avere una piazza in rivoluzione, come in Venezuela o in Ucraina. Se tale “import-export” della rivoluzione fosse vero, io sarei la persona più felice del mondo. Ma la lotta non violenta ha bisogno di unità, coraggio e creatività. Queste tre cose non sono esportabili. Chi sono I sostenitori di CANVAS Avete anche insegnato ai protagonisti delle primavere arabe? Sì, abbiamo condiviso le nostre conoscenze con gruppi provenienti dalla Tunisia, dalla Siria e dall’Egitto. Per noi il Medio Oriente non è una regione diversa dalle altre. Come si vince una rivoluzione? Perché la rivoluzione pacifica abbia successo, occorre pianificare anche il dopo. Cosa succederà quando avremo raggiunto l’obiettivo? Pensare al processo di transizione è fondamentale. Molte volte, quando cala l’attenzione, anche l’unità del gruppo diminuisce e subentrano i problemi che adesso vediamo in Ucraina, dove si è persa l’unità della piazza. Nel 2004, una volta ottenuta la vittoria, i leader della rivoluzione ovvero CANVAS organizza eventi, conferenze e seminari in collaborazione con molte associazioni per i diritti umani, fra cui Amnesty International e Oslo Freedom Forum, oltre al Programma delle Nazioni Unite per lo Sviluppo e all’Albert Einstein Institution. Collabora anche con alcune università di Belgrado e con l’Università di Harvard negli Stati Uniti. Il finanziatore più importante è il co-fondatore e ora proprietario della seconda società più grande di telecomunicazioni in Serbia, Slobodan Djinovic. LOOKOUT 4 - aprile 2014 21 Società Divide et impera Nel Paese sconvolto dalla recessione e diviso dalle spinte separatiste, l’appello all’unità regge solo grazie alla promessa di una nuova Costituzione yemen | dalla corrispondente Laura Silvia Battaglia un governo regolarmente eletto; economiche, che riducano una crisi salita alle stelle; strategiche, per dare un segnale di stabilità nel Golfo di Aden ohammad A. Qubaty, membro della agli osservatori internazionali. Di fatConferenza per il Dialogo Nazionale, to, la fine della Conferenza ha sancito ritiene che la crisi potrà essere supeil prolungamento a un anno della prerata appena ci saranno le condizioni: sidenza formale di Mansour Hadi. In “Bisogna affrontare con priorità il questo lasso di tempo, il presidente ad problema delle amnistie per i vecchi leader politici e interim si impegnerà a redigere la l’annosa questione separatista. Prima si risolve, prima il nuova costituzione per poi, eventualPaese si rimette al passo”. Così ci diceva due mesi fa. mente, uscire di scena aprendo la staOggi non è più così fiducioso, nonostante il 28 gennagione delle elezioni. io, dopo 10 mesi di lavori, la Conferenza si sia chiusa Le misure più urgenti sono però lecon parole di speranza da parte del presidente ad integate all’economia e alla sicurezza. Dalrim Abdu Rabu Mansour Hadi: “Questo giorno è una la fine della rivoluzione nel febbraio pietra miliare dopo decenni di oppressione”. Il giorno 2011 - che si è conclusa con la destituche sarebbe dovuto diventare “la pietra miliare”, Ahzione del presidente storico Ali Abd med Sharaf al-Deen rappresentante della tribù Houti Allah Saleh, al potere da 33 anni in Conferenza, è stato freddato da un killer. L’attentato è l’economia è in caduta libera. Nel stato rivendicato dai leader tribali della sua stessa rapPaese, già prima delle presentanza: Saraf al-Deen sarebbe staproteste che hanno cauto accusato di tradimento per avere sato circa duemila morti scelto in Conferenza una linea di concie 10mila feriti tra civili e liazione e dialogo, tradizionalmente militari, la povertà era contraria alle spinte separatiste del dilagante: il 40% degli Nord e delle tribù sciite di Saada. yemeniti vive con due Lo Yemen si prepara a trovare le convive con meno dollari al giorno o andizioni migliori per andare a future eledi due dollari che meno e un terzo zioni ma deve prendere delle decisioni. deve fare i conti con la Politiche, che traghettino il Paese verso al giorno M il 40% degli yemeniti 22 LOOKOUT 4 - aprile 2014 Società fame cronica. Oggi il valore del rial yemenita è sempre più fluttuante. Per Faisal A. Darem, economista per il quotidiano Yemen Observer, “lo Yemen è un Paese che rischia di diventare sempre più povero: il deficit di bilancio attuale è di 600 miliardi di Yer, pari a 2,6 miliardi di dollari, circa il 50% in più di quel che i funzionari del ministero delle Finanze si aspettavano alla fine del marzo scorso”. Per arginare questa deriva economica e occupazionale e non arenare i risultati della Conferenza per il dialogo nazionale, il presidente ad interim Mansour Hadi ha appena incontrato gli ambasciatori dei Paesi del Golfo, per chiedere di tenere alto l’interesse sugli investimenti nel Paese. Ma è la questione sicurezza, quella che si impone con urgenza: il ministero della Difesa, con l’attacco dei miliziani di Al Qaeda, attuato in grande stile il 5 dicembre del 2013 (53 persone morte e 162 ferite) e reiterato con le due esplosioni successive dell’1 febbraio, è diventato un simbolo governativo da abbattere. Nonostante il dispiegamento di forze e i checkpoint a presidio di ministeri e ambasciate, l’organizzazione terroristica mira e colpisce. Sono sempre più frequenti, tra l’altro, gli attacchi alle reti informatiche e ai servizi di erogazione dell’elettricità intorno alla capitale, rivendicati da hacker qaedisti. Forti delle spinte separatiste, i jihadisti di Ansar al-Sharia e AQAP (Al Qaeda nella Penisola Araba) hanno mantenuto il controllo parziale nelle aree di Abyan, alBayda, nel Ma’rib, e nei governatorati di Shabwah e Lahij, con casi limite come quello di Jaar e Azzan, due città totalmente sotto il controllo dell’ala più intransigente degli jihadisti, un “governatorato qaedista”, simile a quello di Raqqa in Siria. Ad aumentare la rabbia dei separatisti verso il governo e l’adesione, soprattutto nel Sud, ad Al Qaeda, contribuiscono gli attacchi dei droni USA sulle aree tribali, soprattutto desertiche, confinanti con l’Arabia Saudita. Lo scorso 20 gennaio miliziani armati hanno attaccato i checkpoint governativi di Rada’a, un distretto del governatorato di al-Beida’a. Sono morti sei miliziani e sei soldati, e un ufficiale è stato rapito. Motivo della protesta: un drone americano, in un attacco dei primi di dicembre 2013 avrebbe ucciso 12 civili, vicino al villaggio di Qaifa. Il governatorato di al-Beida avrebbe chiesto il cessate il fuoco nell’area al governo centrale, ma sembra non sia stato ascoltato. Le regioni del nuovo Stato federativo Il presidente dello Yemen ha approvato il passaggio del Paese a una confederazione di 6 regioni, e concesso maggiore autonomia al sud Azal ARABIA SAUDITA Saba OMAN Tahama Janad Hadramout YEMEN Sanaa 100 miglia Aden 100 km ETIOPIA Fonte: Reuters Aden Golfo di Aden Socotra La questione meridionale In Yemen la cosiddetta “questione meridionale” assume sempre più peso per il futuro del Golfo di Aden. Il leader del consiglio supremo del Movimento dei Separatisti del Sud, Hassan Baoum, nell’ottobre 2013 è stato chiaro: “Gli yemeniti del Sud non hanno scelta e chiedono libertà e indipendenza: rifiutiamo totalmente una soluzione parziale”. La spinta separatista del Sud è infatti la vera patata bollente nelle mani della Conferenza per il Dialogo Nazionale. Una questione annosa, che risale al 1994, appena quattro anni dopo l’unificazione del Nord e del Sud in un unico Stato e che, fino a qualche mese fa, sembrava aprirsi alla conciliazione, grazie ai dialoghi di Sanaa. Adesso, dopo gli attacchi bomba nella capitale, che si aggiungono ai continui scontri a Sud con le truppe governative, non sembrano esserci molti dubbi. L’unico che permane è quanto sia intensa la pressione di Al Qaeda sui leader tribali che aderiscono al movimento separatista del Sud. Da sempre, i separatisti prendono formalmente le distanze dall’organizzazione terroristica e accusano il governo centrale e l’ex presidente, l’autocrate Ali Abdullah Saleh, di farsi scudo con il pericolo qaedista per combatterli e ottenere appoggi internazionali. LOOKOUT 4 - aprile 2014 23 Società l’opinione Referendum per l’indipendenza: esercizio di democrazia o propaganda? mikel etxebarria Giornalista di Radio Kultura, Paesi Baschi U n referendum è il miglior modo per ottenere l’indipendenza democraticamente. Paesi come il Canada e il Regno Unito hanno compreso che la voglia di autodeterminazione è un diritto che i cittadini del Quebec e della Scozia devono poter esprimere liberamente. L’altra faccia della medaglia è rappresentata dai casi di Spagna e Francia, che invece si rifiutano di accettare le rivendicazioni della Catalogna, dei Paesi Baschi e della Corsica. Nei Paesi Baschi vivono circa 3 milioni di persone, hanno una propria lingua, l’euskera, e un’identità ben definita. Il territorio basco attualmente è diviso in tre amministrazioni. Al sud, una parte importante della popolazione esige il riconoscimento del diritto all’autodeterminazione. I partiti politici nazionalisti rappresentano circa il 65% degli elettori, mentre l’ETA ormai da due anni ha deposto le armi. Ma il governo spagnolo sinora ha sempre risposto che la Spagna è indivisibile. Al nord, ovvero nell’aria sotto l’amministrazione francese, il numero di indipendentisti costituisce solo il 20% della popolazione, anche se la maggior parte dei partiti politici locali rivendica uno status autonomo. E anche qui la Francia, seguendo la linea della Spagna, non ascolta le richieste dei cittadini. In conclusione, possiamo dire che il desiderio di creare uno Stato indipendente per vie politiche appare sempre meno realizzabile. Ma i baschi non demordono, e osservano con interesse l’evoluzione della situazione in Scozia e nella Catalogna. 24 LOOKOUT 4 - aprile 2014 richard newbury corrispondente dal Regno Unito per Il Foglio e La Stampa I sondaggi sull’esito del referendum per l’indipendenza della Scozia dicono che il “no” è al 60% e il “sì” al 40%. C’è da credere che sarà questo il risultato del voto del 18 settembre. Il premier scozzese Alex Salmond, economista esperto con un passato nella Banca di Scozia, sa che non vincerà la sua battaglia, ma sa anche che questa campagna tornerà utile al suo partito, lo Scottish National Party, in vista delle prossime elezioni. D’altronde, la Scozia ha una struttura finanziaria che alla lunga distanza non reggerebbe l’allontanamento dal Regno Unito. I debiti contratti dalle sue banche pesano per il 15% sul PIL nazionale e la stessa British Petroleum ha espresso i propri timori circa una possibile “gestione separata” delle risorse energetiche scozzesi. Senza tralasciare il fatto che quasi tutti gli istituti finanziari del Paese hanno provveduto ad aprire delle sedi in Inghilterra, e sono dunque pronti a fare le valigie nel caso in cui dovesse vincere il “sì”. Insomma, per la Scozia si prospetterebbe un futuro economico molto limitato, sul modello islandese. A Londra, in pochi temono davvero l’esito di questo referendum, e lo stesso vale anche qualora fossero l’Irlanda del Nord o il Galles a chiedere l’indipendenza. Il problema, semmai, potrebbe ritorcersi contro Spagna e Francia. Se la Scozia diventasse indipendente e chiedesse l’annessione all’UE, lo stesso potrebbero voler fare anche la Catalogna, i Paesi Baschi o la Bretagna. E qui le conseguenze economiche sarebbero molto diverse. all neWS Società Sudan Salve le piramidi dell’UNESCO cuba Svelato il piano segreto del “Twitter cubano” Il Qatar investe 100 milioni di euro per preservare i beni archeologici del Sudan. Tra i pezzi pregiati del Paese africano i siti di Gebel Barkal e l’Isola di Meroe, riconosciuti patrimonio mondiale dell’umanità dall’UNESCO. L’ agenzia federale americana USAID (United States Agency for International Development) ha creato e diffuso a Cuba un servizio di messaggistica istantanea con l’obiettivo di fomentare una rivolta giovanile contro il governo di Raúl Castro. Lo svela un’inchiesta realizzata da Associated Press. L’applicazione si chiama “ZunZuneo”, è stata utilizzata da 40mila utenti tra il 2009 e il 2011 ma non ha innescato nessuna rivoluzione. tuniSia maldiVe Le vacanze d’oro del principe saudita N on devono averla presa bene i tanti turisti pronti a partire per le Maldive quando con pochissimo preavviso gli è stato comunicato che le loro prenotazioni erano state annullate. A rovinargli la vacanza è stato il principe ereditario dell’Arabia Saudita, Salman bin Abdulaziz al-Saud, che ha preteso solo per sé tre intere isole per quasi un mese di soggiorno. Francia La seconda vita del marchese De Sade Il ritorno in Algeria della Maschera della Gorgone I l governo tunisino ha annunciato la restituzione ad Algeri della Maschera della Gorgone, una preziosa scultura di epoca romana rubata nel 1990 dal sito archeologico di Hippo Regius, nel nord est dell’Algeria. Si tratta di uno dei 164 antichi reperti trovati nella casa del genero dell’ex presidente tunisino Ben Ali, deposto dopo la rivolta popolare del 2011. Stati uniti La Marina testa i robot antincendio Q uest’estate la Marina degli l rotolo di carta originale su cui il controverso Stati Uniti sperimenterà il roscrittore francese marchese Alphonse de Sade bot antincendio Saffir (Shipboard Autoscrisse il suo romanzo scabroso Le 120 giornate di nomous Fire-fighting Robot). I primi prototipi, Sodoma (composto nel 1785 mentre era imprigiocostruiti da ricercatori della Virginia Tech e nato nella Bastiglia) torna in Francia dopo una di1.000.000 dalle università della California e della Pensputa giudiziaria durata trent’anni. Acquistato da nsylvania, sono in grado di sopportare tempeI profughi siriani Gerard Lheritier per 7 milioni di euro, verrà rature più alte rispetto ai vigili del fuoco e posrifugiati in Libano esposto presso il Museo delle lettere e dei manoseggono un sistema visivo capace di rintracciascritti di Parigi da settembre, per celebrare il bicenre i sopravvissuti. tenario della morte dello scrittore. I LOOKOUT 4 - aprile 2014 25 Spy gameS Storie di Spionaggio e controSpionaggio AREA 51: un mito duro a morire Quando la suggestione (e Hollywood) si scontrano con i documenti ufficiali desecretati A F117 Cacciabombardiere a lungo raggio, è in grado di volare senza scalo per migliaia di chilometri. La sua caratteristica fondamentale è quella di essere “Stealth” cioè invisibile ai radar. Operativo nelle guerre del Golfo e in Serbia nel 1999, raggiunge una velocità massima subsonica di 1.037 km/h. 26 LOOKOUT 4 - aprile 2014 lzi la mano chi non ha per un momento creduto al fatto che nella mitica “Area 51” nel deserto del Nevada siano stati nascosti e studiati per decenni extraterrestri vivi o morti, dischi volanti più o meno funzionanti e altre diavolerie aliene. Che cos’è l’Area 51? È un enorme compound militare a soli 120 chilometri da Las Vegas, situato in una zona chiamata Groom Lake per la presenza di un grande lago salato, collegato al resto del mondo da un’autostrada super vigilata e da un piccolo aeroporto contenente da oltre quarant’anni installazioni super segrete. La segretezza, si sa, genera miti e mostri. Per questo motivo, quando nella seconda metà degli anni Cinquanta non solo gli abitanti del Nevada ma anche piloti di linea che solcavano i cieli di Las Vegas iniziarono spesso di notte ad avvistare strani “oggetti volanti” sconosciuti (gli UFO, appunto), luci misteriose saettanti sulla volta celeste e altri oggetti misteriosi, fu facile tirare delle somme affrettate: l’Area 51 doveva essere il posto nel quale venivano custoditi i segreti più impenetrabili della storia del mondo, quei segreti che secondo il mito venivano comunicati al presidente degli Stati Uniti nelle ore immediatamente successive al suo insediamento. Col passare degli anni il mito dell’Area 51 si è gonfiato a dismisura. Nel 2009 Gleen Cooper, prolifico scrittore americano, ha scritto una trilogia di grande successo mondiale nella quale l’Area 51 viene descritta con dovizia di particolari “scientifici” come la location segretissima di una misteriosa biblioteca compilata nel Medioevo in un’abbazia benedettina inglese, composta di centinaia di migliaia di volumi nei quali erano scritte le date di nascita e di morte di tutti gli abitanti della terra dal Medioevo all’anno 2027. Come si vede, la fantasia letteraria, giornalistica e popolare non ha avuto limiti e l’Area 51 per decenni è stata sinonimo di mistero e di intrigo. Anche l’amministrazione federale dello Stato del Nevada ha dato il suo contributo alla mitologia nominando la strada statale che costeggia Groom Lake “Extraterrestrial Highway”. Nell’era della grande comunicazione di massa anche i segreti custoditi più gelosamente possono però venire alla luce. Grazie all’incessante azione di ricerca della Fondazione della George Washington University “National Security Archive”, che da quasi trent’anni dedica le sue energie proprio alla desecretazione della documentazione governativa classificata, nell’agosto del 2013 è venuto alla luce un voluminoso dossier della CIA che ci racconta la verità sull’Area 51. Grazie a questo dossier apprendiamo che nel 1955 la CIA decise di progettare e di costruire uno straordinario aereo spia in grado di volare ad altezze doppie di quelle dei jet allora in attività e di sorvolare indisturbato per scopi di spionaggio il territorio dell’Unione Sovietica e dei Paesi del Patto di Varsavia. Il progetto di costruzione del nuovo aereo, che si sarebbe chiamato U2, venne affidato a Richard Bissell, capo delle operazioni clandestine della CIA, che solo pochi anni dopo sarebbe stato licenziato per la disastrosa tentata invasione di Cuba della Baia dei Porci. Bissell, sorvolando con un aereo da turismo il deserto del Nevada, vista l’area del lago salato, decise che sarebbe stata ideale per i suoi esperimenti. L’U2, operativo nell’arco di pochi anni, era un aereo superveloce che volava ad altezze inconcepibili per i suoi tempi ed era dotato di imponenti apparecchiature fotografiche. Per motivi di sicurezza, i voli sperimentali erano prevalentemente notturni e questo spiega i primi “avvistamenti di UFO”. Appena sulla terra del Nevada calava il buio della notte, l’U2 decollava e raggiungeva rapidamente i 18-20 chilometri di altezza, una quota alla quale poteva ancora essere colpito dai raggi del sole, che a quelle vette non erano ancora tramontati. Per questo sia piloti di aerei di linea che automobilisti segnalavano alle autorità l’avvistamento di luci altissime e velocissime nei cieli dello Stato. Dopo l’U2, nell’Area 51 vennero studiati, progettati e costruiti i primi droni e gli aerei Stealth, tutti di forme stravaganti costruiti per sfuggire all’osservazione dei radar. Insomma, per cinquant’anni l’Area 51 è stata un segreto ben custodito (una volta tanto) da un governo che, volendo mantenere segreti i propri più delicati progetti tecnologici e militari, non ha esitato con ambigui “no comment” e voci fatte filtrare ad arte a far sopravvivere il suo mito. Se si digita questo nome su Google, oggi si ottengono oltre 559 milioni di risultati, il 99% dei quali parla di autopsie di alieni, dischi volanti catturati e studiati a fondo e altre fantasie. Il restante 1% racconta invece la realtà di un’installazione segreta nella quale sono nati non solo l’U2 ma anche il cacciabombardiere invisibile F117, o elicotteri come il Black Hawk usato dai Navy Seal che hanno ucciso Bin Laden. Un’installazione segreta, dunque, ma non per questo misteriosa. E pure alzi la mano chi non continua a credere che la favolosa Area 51 racchiuda in sé i misteri più indicibili. Alfredo Mantici Capo del dipartimento analisi del Sisde fino al 2008, oggi è il direttore editoriale di LookOut News LOOKOUT 4 - aprile 2014 27 Analisi semiseria di una perdita di tempo e di gas. Dalla diplomazia di Vladimir Putin al ruolo di Stati Uniti ed Europa nella rischiosa querelle generatasi intorno all’Ucraina 28 LOOKOUT 4 - aprile 2014 geopolitica La sottile linea RUSSA la copertina LOOKOUT 4 - aprile 2014 29 geopolitica europa | di Giorgio Fanara* “ a seguire europa La strategia russa e la deterrenza NATO Scudi missilistici a confronto polonia L’opinione del governo ucraina Infiltrazioni e dietrologie * Ceo di FANARA - SPEI, Studio di Politica Economica Internazionale Il Segretario di Stato USA John Kerry 30 LOOKOUT 4 - aprile 2014 me, ama gli Stati Uniti d’America ne riconosce lo straordinario contributo rivet Barack, kak dela? Hello e il generoso sacrificio nel restituire Ivan, how are you?...”. È fi- democrazia e libertà ai popoli europei nita così, con una telefo- sottomessi al giogo del nazismo, con nata, questa nuova (ma l’altrettanto determinante contribunon inedita) puntata di to e sacrifício dell’Armata Rossa. Ne “Diplomacy Comedy Series”. Sceneg- apprezza, inoltre, lo sforzo continuo giatura e scenografia ci hanno mostra- di volersi costituire baluardo a difeto alcuni malinconici frame di flashback sa delle libertà individuali e degli della Guerra Fredda che hanno lascia- equilibri fra gli Stati, a tutti assicuto indifferenti pressoché tutti gli spet- rando indipendenza, sovranità e autatori. Prima increduli circa la sban- todeterminazione. Per chi, come me, proprio per tali dierata bellicosità dei rappresentanti degli USA e dell’Europa che, guidati motivi ultimamente è stato colto da dal governo del primo e da alcuni go- un senso di smarrimento e sorpresa, verni della seconda - ben inteso, solo proviamo a spiegare perché è accaduto tutto questo. Gli scienzati poquelli con la lettera “G” seguita da litici ci insegnano che le miun numero - si sono esibiti nacce devono essere in un liberatorio karaoke Nell’ottica commisurate alla effetdell’indimenticabile e tiva complessità e graamato Jannacci: Vendiplomatica, vità del supposto vulgo anch’io (al G8)! nus; che deterrenza No, tu no (siamo rie dissuasione devomasti solo in G7)! no essere percepite Spettatori increduandrebbero riletti dal destinatario come li all’inizio, dicevamo, credibili ed effettivasenza alcuna sorpresa e rivalutati mente attuabili; che non e con molto disincanto si devono mai perdere di sull’esito finale. Chi, come P carter e reagan geopolitica vista gli interessi economici strategici che assicurano stabilità, crescita e progressiva perequazione del benessere dei propri cittadini. Ogni iniziativa diplomatica, dall’abilità negoziale all’opzione militare, dev’essere formulata e perseguita per contemperare contenimento e distensione. Avviato ormai il Terzo Millennio, forse è il caso di rielaborare definitivamente la teoria di Kennan (deterrenza e contenimento), di ammirare le gesta di Ronald Reagan attraverso i libri di storia, di rivalutare Jimmy Carter, di rivisitare e rafforzare la dottrina Eisenhower (garantire l’integrità territoriale e l’indipendenza degli Stati, sopratutto del Medio Oriente, dalle aggressioni sovietiche). Purtroppo, di tutto questo travaglio intellettuale e diplomatico oggi non v’è più traccia. Il ricorso all’opzione militare, magari dall’alto e con i droni, s’invoca imediatamente all’insorgere di ogni problema e, a volte, si adopera con imprudente disinvoltura per schiacciare gli inermi, ultimamente sempre più numerosi. “Side effects”, si usa dire. Sembra, insomma, che ogni qual volta la situazione si faccia complessa e di difficile gestione o l’interpretazione dei nuovi contesti di un mondo non più bipolare richieda studio, pazienza, approfondimento e fatica negoziale, in tutti questi casi alla qualità del dialogo sul terreno si preferisca ormai la scorciatoia delle bombe dall’alto. Personalmente, provo un po’ di nostalgia e rammarico di fronte all’effimero mediatico, teso solo a conquistare con immediatezza l’audience: “Yes, we can”. In simili casi, verrebbe quasi voglia di replicare: “Meno male che Ivan c’è”. Mi spiego. Come Stato italiano, dobbiamo ovviamente continuare a credere nel ruolo guida del nostro alleato americano, ma non cessare di contribuire alla definizione congiunta degli indirizzi strategici e delle iniziative o (re)azioni di volta in volta da intraprendere, laddove è richiesto un intervento a tutela dei nostri interessi nazionali. Il ministro degli Esteri russo Sergei Lavrov (a destra), con il negoziatore siriano Walid al-Moualem Sessant’anni di NATO Stati membri NATO con la data d’ingresso Territorio dell’ex Patto di Varsavia Prossime adesioni possibili 1999 Ungheria Ingresso 1949 Islanda Rep. Ceca Lettonia Polonia Norvegia 2004 Estonia Lituania Danimarca Paesi Bassi Slovacchia Regno Unito Romania Belgio Slovenia Lussemburgo Bulgaria Ucraina Georgia Francia Italia Portogallo 2009 Croazia Albania 2009 Spagna 1982 Germania Ovest 1955 Macedonia Turchia 1952 Grecia 1952 Nota: Canada e Stati Uniti aderirono nel 1949 1949 - Il Trattato del Nord Atlantico viene firmato il 4 aprile a Washington DC, USA. L’Alleanza è costituita principalmente allo scopo di scoraggiare un attacco da parte dell’Unione Sovietica nei confronti delle nazioni non comuniste dell’Europa occidentale. 1966 - La Francia esce dalla NATO su indicazione del presidente Charles De Gaulle. Il quartier generale dell’Alleanza si sposta da Parigi a Bruxelles, in Belgio, l’anno successivo. 1999 - La NATO impegna le proprie truppe su vasta scala nella guerra del Kosovo, con una campagna di bombardamenti che dura 11 settimane. 1991 - Il Patto di Varsavia e l’Unione Sovietica si dissolvono. 1955 - L’Unione Sovietica e i Paesi comunisti dell’Europa orientale firmano un’alleanza denominata Patto di Varsavia, per opporsi alla NATO. 1994 - La NATO intraprende la sua prima azione militare contro le forze serbo-bosniache nella ex repubblica jugoslava di Bosnia-Erzegovina. 2003 - La NATO prende il comando dell’International Security Assistance Force (ISAF) in Afghanistan. 2009 - La Francia rientra nella NATO, su indicazione del presidente Nicolas Sarkozy, dopo 43 anni. Fonte: The Military Balance LOOKOUT 4 - aprile 2014 31 geopolitica Il dizionario All’indomani del referendum nel quale il 96,6% degli elettori di Crimea si è pronunciato a favore della secessione dall’Ucraina, il Parlamento locale ha votato formalmente per l’indipendenza (88 deputati favorevoli su 95), prima di essere annesso alla Russia. In quell’occasione, il Parlamento Certo, molti sono i quesiti da esaminare e altrettanto numerose le risposte da elaborare. Prendiamo appunto il recente caso Ucraina: le reiterate minacce di innalzamento delle sanzioni e delle possibili conseguenze - al di là del bloco di asset finanziari di alcuni potenti uomini d’affari russi avrebbero veramente provocato un crollo del governo Putin, anche solo in termini di credibilità o gradimento, e un cambiamento di rotta sulle decisioni assunte da Mosca? Veramente la NATO avrebbe scatenato la guerra al centro di un’area delicatissima per gli equilibri mondiali? E per conseguire cosa? E adesso, sul serio qualcuno crede che sarà Perché i Paesi europei dovrebbero abbandonare le relazioni economiche e strategiche con Mosca? ristabilito lo status quo ante, cioè che la Crimea sarà restituita all’Ucraina, perché abbiamo credibilmente preoccupato e intimorito la Federazione Russa? E i Paesi europei, che intrattengono relazioni economiche strategiche con Mosca, le abbandoneranno? E per quale motivo? Non possiamo aver creduto che in men che non si dica dagli USA arriverà lo shale gas, dopo che il Congresso sarà tornato sui suoi passi cancellando il suo precedente Act a tutela dei suoi interessi energetici. Nessuno ha mai calcolato quanto tempo ci vorrà? Per quanto riguarda l’Unione Europea, poi, possiamo affermare che ha avuto un ruolo determinante nel difendere gli interessi energetici dei suoi maggiori Stati membri, ma non certo per il solo fatto che Herman Van Rompuy (presidente del Consiglio Europeo) e Manuel Barroso (presidente della Commissione Europea) sono stati accolti al tavolo da pranzo G7 con tanto di foto opportunity. Siamo tutti convinti che Kennan e la strategia del contenimento el 1946, durante una missione in Unione Sovietica, il diplomatico americano, George Kennan, dall’ambasciata USA a Mosca inviò al presidente Harry Truman il “Long Telegram”, un telegramma di 5.000 battute nel quale il futuro capo del Policy Planning Staff del Dipartimento di Stato delineava quella “strategia del contenimento” che sarebbe diventata più avanti nota come “Dottrina Truman”. Di fronte all’evidente intenzione di Stalin di esportare il modello sovietico all’interno di tutti i Paesi che - secondo la dottrina di Yalta - si trovavano sul versante russo della Cortina di Ferro, Kennan con quel telegramma invitava l’Amministrazione americana a elaborare una strategia di lunga scadenza atta a “contenere” l’espansionismo sovietico in Oriente, nel Sud dell’Europa e in Africa. La strategia del contenimento non faceva tanto leva sulla deterrenza nucleare quanto sull’esigenza di contrastare sul terreno l’attività e le ramificazioni internazionali del comunismo. È dalla “Dottrina Kennan” che nacquero il Piano Marshall, l’appoggio alla Democrazia Cristiana in Italia contro il Partito Comunista Italiano e la risposta militare all’aggressione militare nordcoreana in Corea del Sud. N 32 LOOKOUT 4 - aprile 2014 di Simferopoli ha anche stabilito che la moneta ufficiale della Crimea è ora il rublo. Le forze dell’ordine e gli apparati dello Stato resteranno in carica fino all’adozione della nuova costituzione. Dal 30 marzo, inoltre, è cambiata anche l’ora legale: quella di Mosca è due ore avanti rispetto a quella di Kiev. G8 Ne fanno parte: Stati Uniti, Giappone, Germania, Francia, Regno Unito, Italia, Canada. La Russia è entrata nel 1998 Pagina seguente: il Consiglio di Sicurezza ONU Nella foto in basso: George Kennan geopolitica Timeline della crisi ucraina 21 novembre 2013 12 marzo G7 e UE annunciano Il presidente Viktor Yanukovich abbandona l’accordo di scambio commerciale con l’UE a favore di una più stretta cooperazione con la Russia. sanzioni contro la Russia. dicembre 2013 Manifestanti pro-Unione Europea occupano il Municipio e Piazza Maidan nella capitale Kiev. 20 Febbraio 2014 Almeno 88 persone restano uccise durante violenti scontri a Kiev. 21 Febbraio Il presidente Yanukovich firma un accordo di compromesso con i leader dell’opposizione. 22 Febbraio Il presidente Yanukovich fugge da Kiev. Il Parlamento vota la sua destituzione e fissa nuove elezioni al 25 maggio. 27-28 Febbraio Manifestanti armati pro-russi occupano edifici-chiave a Simferopoli, capoluogo della Crimea. 1 marzo Il Parlamento russo approva la richiesta del presidente Vladimir Putin di poter utilizzare forze armate in Ucraina. 6 marzo Il parlamento autonomo di Crimea fissa al 16 marzo un referendum per votare l’annessione alla Federazione Russa. 16 marzo La Repubblica autonoma di Crimea vota l’annessione alla Federazione Russa. 20 marzo I leader europei condannano l'annessione della Crimea. USA e UE estendono l’elenco delle persone soggette a sanzioni. 21 marzo A Mosca, Vladimir Putin firma per annettere formalmente la penisola. 22 marzo La Crimea festeggia l’annessione alla Russia. 23-24 marzo Il presidente USA Obama chiede una riunione d’emergenza del G7, che escluda la Russia. I leader del Sette nazioni concordano di non partecipare al G8 previsto a Sochi, in Russia, e di sospendere qualsiasi nuova partecipazione al G8 “finché la Russia non cambierà rotta”. 25 marzo Il governo dell’Ucraina ordina alle proprie truppe di ritirarsi dalla Crimea. 29 marzo Il presidente russo Vladimir Putin telefona al suo omologo Barack Obama per concordare una soluzione della crisi. per molto tempo ancora non si potrà parlare effettivamente di politica estera europea. Per lo meno fino a quando non si prenderà in seria considerazione una riforma del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite che accolga - con pari dignità di USA, Russia e Cina - anche il seggio dell’Unione Europea, con contemporaneo arretramento di Francia e Regno Unito. Non è fantapolitica, e prima o poi succederà. Ma, sic stantibus rebus, una comune politica estera europea rimane illusione velletaria e utilizzabile solo in occasioni elettorali. E l’Italia? Naturalmente, a pochi giorni dall’insediamento del nuovo Presidente del Consiglio e dei principali responsabili dei dicasteri coinvolti, il nostro Paese non era in grado di svolgere appieno quel ruolo di mediazione e interfaccia che, viste le ottime relazioni con Mosca, avrebbe potuto con profitto svolgere. Ciò nonostante, ha fatto almeno emergere una propria visione e ha fatto notare che il precipitare dell’inasprimento delle sanzioni e della bellicosità (teorica) doveva contemperarsi con l’effettiva capacità di agire sulla base delle nostre necessità e delle limitazioni dettate dal concreto livello di indipendenza energetica. Per una economia di trasformazione come la nostra, il tema è cruciale e non si può che darne atto al nuovo ministro degli Esteri Mogherini. Se USA e UE, invece di alimentare una specie di gara a invocare ognuno la minaccia maggiore - competizione incomprensibile nei risultati attesi e poco credibile nella effettiva attuazione - avessero da subito (qualche malizioso direbbe, da prima) accompagnato quelle dichiarazioni indignate con proposte concrete alla Russia per risolvere i problemi economici dell’Ucraina - perché, come sempre, di questo si tratta - USA e UE avrebbero raggiunto uno scopo e affermato un metodo che sarebbero rimasti da esempio e guida per le prevedibili crisi future. Meno male che un metodo l’ha proposto Putin, telefonando per primo a casa Obama. LOOKOUT 4 - aprile 2014 33 geopolitica 34 LOOKOUT 4 - aprile 2014 geopolitica Geopolitica di una possibile invasione Mentre Mosca ammassa truppe ai confini orientali, per il Segretario Generale della NATO Rasmussen “la difesa comincia con la deterrenza” uSa | di Vincenzo Perugia “ È mia opinione che i russi potrebbero invadere l’Ucraina in sole 12 ore, dopo aver ricevuto l’ordine” dice il generale Philip Breedlove, comandante supremo delle forze NATO in Europa. La dichiarazione non proprio rassicurante, resa dal comandante alla fuoriclasse della CNN Christiane Amanpour, è avvenuta dopo due soli giorni dalla telefonata che si voleva distensiva tra i presidenti Vladimir Putin, il primo ad alzare la cornetta dal Cremlino, e Barack Obama, che ha ascoltato per più di un’ora le ragioni dell’uomo del KGB (dall’Arabia Saudita, Fantapolitica? dove si trovava per una Se, come visita di Stato). Dopodisostengono ché la NATO ha an- i generali NATO, nunciato di aver interle truppe russe al confine rotto “ogni cooperazioorientale ne pratica, civile e milidovessero tare con la Russia”. invadere, Questo il clima nei potrebbero rapporti Est-Ovest raggiungere forse tocca rispolvefacilmente rare giornalistica- Kharviv, Luhansk mente proprio quee Donetsk, fino ad assestarsi ste terminologie che ritenevamo desuete - lungo il confine naturale del durante il periodo di fiume Dnepr. Quaresima. E, se il Conquistando diavolo è nei dettagli, Odessa, inoltre, l’annuncio della sochiuderebbero spensione della collalo sbocco al mare a Kiev borazione anche tra NASA e la controparte spaziale russa, racconta di quanto le relazioni tra Stati Uniti e Federazione Russa siano tese e alimenta le speculazioni sugli sviluppi possibili della crisi ucraina. Le deduzioni dell’intelligence USA circa le reali intenzioni di Mosca che hanno portato i vertici militari a simili dichiarazioni si basano sulle rilevazioni dei satelliti e sullo studio dei precedenti casi in cui Mosca si è dimostrata alquanto irrequieta (Cecenia e Georgia). Tali dati, secondo il Pentagono, dimostrano come i movimenti e i numeri delle truppe russe al confine siano “significativamente superiori” a quanti necessari per svolgere quelle esercitazioni di cui continua a parlare il Cremlino. Una gran parte delle forze russe - i cui numeri oscillano tra le 40mila secondo Washington e le 88mila secondo Kiev sarebbe concentrata intorno alle città russe di Rostov, Kursk e Belgorod: da lì il Pentagono ipotizza che l’esercito di Mosca potrebbe sconfinare con l’obiettivo di raggiungere Kharkiv, Luhansk e Donetsk (che già si dichiara russa), tutte città a buona percentuale di russofoni ma, soprattutto, geograficamente determinanti per annettere l’intera parte sudorientale dell’Ucraina e creare un cuscinetto alla Crimea (vedi cartina). Dall’altra parte, la Polonia ha chiesto l’invio di almeno 10mila truppe NATO per difendere il proprio territorio e in questi giorni sono andate in scena contemporaneamente esercitazioni navali NATO nel Mar Nero, pattugliamenti di aerei Awacs sopra i cieli degli Stati Baltici (Estonia, Lettonia e Lituania), della Polonia e della Romania. Se non c’è alcuna evidenza che le truppe russe stiano attuando manovre di pre-invasione, l’aumento delle attività NATO è allora preventivo nelle intenzioni dell’Alleanza Atlantica. Dato che, come sottolinea il Segretario Generale della NATO Rasmussen: “la difesa comincia con la deterrenza”. Avamposti russi Possibili obiettivi Movimenti truppe Rischio invasione 200 miglia 200 km BIELORUSSIA Kursk POLONIA Belgorod Kiev UCRAINA Kharkiv Luhansk Donetsk MOLDAVIA Rostov Odessa ROMANIA RUSSIA Sebastopoli LOOKOUT 4 - aprile 2014 35 geopolitica L Uno a European Phased Adaptive Approach (EPAA) venne annunciata da Barack Obama nel settembre del 2009, e segnò l’inizio di una risposta strategica alla minaccia missilistica proveniente da Iran, Pakistan e Corea del Nord verso la popolazione e il territorio europeo (e, indirettamente, americano) dell’Alleanza Atlantica. Con gli USA che offrivano il sistema di difesa e gli europei che avrebbero dovuto contribuire al finanziamento e alla logistica dei sistemi d’arma. Finora, solo Germania e Olanda hanno risposto positivamente alla richiesta di Washington sull’EPAA. L’ultimo step dell’operazione è stato sospeso da Obama. Ma le “fasi” attuali sono comunque quattro: la prima fase organizza una rete di radar (AN/TPY-2) collegata a un sistema di missili intercettori (SM-3 Block IA) su navi di classe Aegis. Questa fase è stata completata nel marzo 2011: la nave USA Monterey che opera tra il Mar Rosso e le basi spagnole, è il primo asset strategico di questa difesa antimissile, mentre il comando è a Ramstein, in Germania. Nella “fase due”, che cesserà nel 2015, avremo una seconda serie di intercettori SM-3 (IB) che saranno posti anche sul terreno, al Mosca vuole fine di proteggere l’area NAl’accesso alle TO anche dai missili a medio tecnologie e corto raggio (150-2400 km.), con una base in Romania, videgli Stati Uniti e cino a Costanza. dei suoi alleati Successivamente, nella “fase tre” avremo un modello di intercettori SM-3 (Block IIA) che saranno posti non solo in Romania ma anche in Polonia, e collegati al sito radar in Turchia che fa da intercettazione avanzata, e che sarà in rete con il radar USA-NATO attivo in Qatar e quello già posizionato in Israele (ci sarà anche un radar nella Repubblica Ceca). Tutto questo non basta, comunque. Anche se combiniamo queste reti con i 26 intercettori di Fort Greeley in Alaska e quelli della base Vandenberg in California (ben 4), non si riesce a mettere insieme abbastanza intercettori per contrastare completamente la minaccia russa. Le traiettorie del Mar Nero e del Mar di Norvegia sono tali da mettere in pericolo il territorio della Russia e, naturalmente, il comandante russo Makarov nel maggio 2012 ha minacciato SCUDO attira l’altro Se qualcuno lo avesse dimenticato, lo scudo antimissile della NATO in Europa è considerato sempre più un sistema di difesa irrinunciabile (per gli USA). Quale risposta sta progettando Mosca? europa | di Marco Giaconi 36 LOOKOUT 4 - aprile 2014 geopolitica LO SCUDO NATO Segnale inviato negli USA Che succede in caso di minaccia? Missile intercettore Satellite per le comunicazioni 1 Un missile balistico nemico viene lanciato 2 I radar e i satelliti di difesa di allarme istantaneo rilevano e tracciano la minaccia non appena il missile viene attivato. I dati vengono inviati negli USA 2 5 GERMANIA Comando Centrale di Ramstein 3 Il radar di terra ad alta risoluzione in banda X rileva il missile e i falsi bersagli 4 3 POLONIA 4 Uno o più intercettori vengono lanciati dalle basi terrestri 4 5 L’intercettore isola la testata nemica dai falsi bersagli e/o dai frammenti Radar terrestre a banda X ROMANIA SPAGNA Quattro navi di difesa equipaggiate con missili balistici di difesa 6 L’intercettore localizza la testata e la distrugge Satelliti di sorveglianza a infrarossi 6 2 TURCHIA 1 Radar di allarme istantaneo Fonte: Missile Defense Agency, FAS, U.S. Senate IL SISTEMA RUSSO Il sistema di Kaliningrad Voronezh-DM Per il controllo del settore Ovest VORONEZH RADAR SYSTEM Altri sistemi russi o associati alla Russia Distanze e date di sviluppo Dnieper: Murmansk, Irkutsk e Balkhash (Kazakhstan) Voronezh-М, Lehtusi Settore Nord-Ovest Voronezh-DM*, Armavir Settore Sud-Ovest Dnieper 2,500 km (anni '60) DTV: Pechora e Gabala (Azerbaijan) DTV 6,000 km (anni '70) Volga: nei pressi di Baranovichi (Bielorussia) Volga 5,000 km (anni '70) Voronezh 6,000 km (anni '90) Voronezh-VP*, near Irkutsk Per il controllo dell’Asia Dnieper: Mukachevo e Sebastopoli (Ucraina), sovrapposti al radar Voronezh *In fase di assemblaggio o di sviluppo SISTEMA MISSILISTICO ISKANDER-M Lanciamissili ad auto propulsione (Sistema NATO SS-26 classe Stone) RUSSIA Oceano Atlantico Veicolo lanciamissili Voronezh-DM Kaliningrad Personale stimato per il lancio 3 persone Stati membri NATO NORVEGIA SVEZIA ESTONIA LETTONIA Regione di Kaliningrad Redzikovo, Polonia Gli USA stanno sviluppando intercettori di terza generazione (di terra e di mare) RUSSIA LITUANIA 500 км BIELORUSSIA POLONIA GERMANIA REPUBBLICA CECA UCRAINA 200 km 500 km. Gittata massima per i missili Iskander da Kaliningrad I missili sono solitamente equipaggiati con testate convenzionali ma possono montare anche testate nucleari 2 missili Iskander 9M723K1 per veicolo Testata 480 кg Gittata 280-500 km Peso 3,8 ton. 7.3 m direttamente l’uso della forza contro gli obiettivi NATO più vicini al confine. Infatti, Mosca ha già disposto i suoi missili Iskander nella sua enclave di Kaliningrad, la vecchia patria del filosofo Kant, e poi in Transnistria e Belarus, con una ipotesi di ritorno della Moldavia dentro i confini post-sovietici. Evidentemente, dunque, la protezione missilistica sia pure non dichiaratamente indirizzata contro Iran, Pakistan e Corea del Nord, intende bloccare la minaccia non solo di Mosca ma anche dei suoi alleati essenziali, come appunto l’Iran, e dei suoi alleati necessari, come la Cina. Questo rende obbligate e non-egemoniche le scelte russe in Medio Oriente e in Asia Centrale. E, certamente, in questa chiave il Cremlino non avrà più l’interesse a limitare il programma nucleare iraniano. Il problema è che Mosca vuole troppo: ha sempre proposto una collaborazione sulla difesa antimissile con la NATO che riguardi anche la forma del sistema difensivo, e perfino l’ex presidente russo Dmitri Medvedev propose nel 2010 che alcune parti dell’area NATO entrassero nel settore di protezione antimissile russa. Perché? Mosca vuole, con ogni evidenza, avere accesso alle tecnologie americane e alleate. Mentre Washington non vuole dare garanzie legali al Cremlino circa il fatto che il nuovo sistema antimissile non sarà mai diretto contro la Russia. Quindi, detto in termini strategici classici, il nuovo sistema antimissile: rafforzerà il ruolo di Polonia e Romania nella NATO; farà avanzare il limes, il confine dell’Alleanza oltre la vecchia rete della “Guerra Fredda”; chiuderà la Russia in un’area che Mosca non ritiene consona al suo ruolo di nuova potenza globale; tenterà di rompere il linkage tra Russia e Iran e tra Asia Centrale e Medio Oriente, isolando relativamente la Cina. Mosca, naturalmente, da parte sua rafforzerà le proprie difese regionali sul confine e cercherà compensazioni strategiche altrove. Come sta avvenendo in Crimea e, prossimamente, anche in Siria. La tecnologia è progettata per ridurre la visibilità dei radar (stealth) Fonti: arms-expo.ru, www.rtisystems.ru, globalsecurity.org LOOKOUT 4 - aprile 2014 37 geopolitica Euro entusiasmo La Polonia, membro della NATO, confina sia con l’Ucraina che con la Russia attraverso Kaliningrad. Dei timori e delle certezze abbiamo parlato con l’Ambasciatore in Italia, Wojciech ponikiewski polonia | di Luciano Tirinnanzi Come giudica l’attuale divisione dell’Ucraina? Cosa si sarebbe dovuto fare in relazione alla crisi che ha destituito Yanukovich e cosa si dovrebbe fare adesso? Domanda difficile. E, del resto, sul passato ormai si può solo speculare, mentre la situazione che ci ritroviamo davanti va assolutamente risolta. Noi siamo molto preoccupati e il motivo principale è che si è un po’ tornati a leggere le relazioni internazionali secondo schemi che ormai speravamo appartenessero al passato. Non si vedevano simili situazioni da decenni, almeno non di questo rango. Mosca ha reagito in modo unilaterale, con argomenti che non possono convincere nessuno. Fra l’altro, la comunità internazionale ha condannato questa decisione con la risoluzione dell’Assemblea Generale dell’ONU. Le decisioni del parlamento russo o la concentrazione delle truppe russe ai confini orientali con l’Ucraina non danno molto ottimismo circa la de-escalation. Il Cremlino sembra determinato a concludere questo progetto geostrategico, anche se ancora non sappiamo quale sia e se tutto finisce qui. 38 LOOKOUT 4 - aprile 2014 Chi è Wojciech Ponikiewski Ambasciatore della Repubblica di Polonia presso la Repubblica Italiana, di Malta e San Marino, è nato nel 1963 a Rabat, in Marocco. Dopo aver studiato in Polonia, Francia e Belgio, è stato direttore del Dipartimento degli Affari Economici e poi del Dipartimento Americano presso il ministero degli esteri polacco. Già capo negoziatore polacco per il protocollo di Kyoto. Varsavia Lo skyline cittadino dominato dal celebre Palazzo della Cultura e della Scienza geopolitica Ma l’attuale governo è legale, a suo giudizio? Il governo in Ucraina è legale per noi, perché gode dell’appoggio del parlamento da cui è stato eletto, tra l’altro anche grazie al consenso del partito di Yanukovich. Dovremo avere una verifica democratica nel prossimo futuro, ovviamente. Ma non c’è nessun dubbio che lo sia e noi nutriamo molta stima per il premier Yatsenjuk. Del resto, Yanukovich si è dato alla fuga, fatto piuttosto inedito. Non credo fosse davvero minacciato. Immaginare il suo ritorno oggi è improbabile e sono convinto che neanche Putin lo ipotizzi. In passato abbiamo lavorato molto con Yanukovich, il quale manteneva ottimi rapporti con il nostro presidente per esempio. Improvvisamente, però, si è rivelato molto confuso e non più in grado di decidere. Ha iniziato a fare un passo avanti e due indietro. Si vedeva che soffriva nel dover prendere ogni decisione. È triste vedere un politico finire così. Come giudica una “guerra di sanzioni economiche” tra Russia e Unione Europea? È difficile immaginare una guerra di sanzioni economiche per via dell’interdipendenza tra Europa e Russia, mentre è più probabile che vengano rivisti i programmi di cooperazione e le esportazioni di hi-tech, soprattutto in campo militare. La cancellazione dei contratti sulla vendita delle portaerei Mistral sarebbe un colpo duro. È un importante messaggio. Europa e Stati Uniti potranno considerare l’introduzione della terza fase delle sanzioni se non ci sarà un vero progresso verso la de-escalation. Le sanzioni porteranno anche dei costi per i nostri Paesi. Dal punto di vista polacco, i rapporti con la Russia sono cruciali. Nel nostro bilancio del consumo di gas, le importazioni dalla Russia incidono per quasi due terzi del totale. Tradizionalmente, inoltre, siamo enormemente legati a Mosca per il settore agricolo e i nostri agricoltori patirebbero qualsiasi chiusura del mercato a est. Ciò detto, ora deve prevalere la politica. Noi vediamo i futuri rapporti in questa prospettiva, che deve imporsi sull’economia. Non si può limitare il rapporto con gli altri Paesi al solo livello economico. E il rapporto con l’enclave di Kaliningrad? Fino a qualche giorno fa - e forse ancora adesso - il rapporto era ottimo e noi eravamo molto contenti di ciò. Siamo fautori della politica amichevole del “piccolo movimento di persone”: ovvero una libertà di muoversi attraverso la frontiera senza visti, per facilitare gli scambi e il turismo. Del resto, c’è un grandissimo interesse nel mantenere forti relazioni con la Russia ed è anche un vantaggio economico per entrambi, visto che i russi di Kaliningrad vengono in Polonia anche per fare la spesa. PER SAPERNE DI PIÙ Elezioni in Ucraina: i canditati alla presidenza A meno di due mesi dalle elezioni politiche che decideranno il futuro politico-istituzionale dell’Ucraina, tre candidature spiccano già sulle altre. Si vota il 25 maggio 2014. Petro Poroshenko 48 anni, magnate del cioccolato, è il favorito. È stato al governo sia con la Tymoshenko che con Yanukovich. È il canditato del partito UDAR Yulia Tymoshenko L’ex primo ministro è la candidata forte del partito Patria Serghei Tighipko 54 anni, ex vicepremier di Yanukovich, non più sostenuto dal Partito delle Regioni filorusso, si candida come indipendente WWW.LOOKOUTNEWS.IT/PAESE/POLONIA LOOKOUT 4 - aprile 2014 39 geopolitica Sarebbe un peccato se cambiasse qualcosa. Non ne vedo la necessità. Purtroppo, però, le cose cambiano e non dobbiamo mai sottovalutare le emozioni. Che intende? Quello che vediamo in Russia e che preoccupa forse di più al momento, è la rinascita della fierezza per il potere. L’approccio “aggressivo” del Paese è un concetto che credevamo superato, invece si è risvegliato improvvisamente. Oggi i cittadini russi sembrano molto più nazionalisti di quanto non lo siano gli occidentali e appaiono felici di vivere in un Paese forte che interpreta un ruolo di prim’attore negli affari globali. Questa ragione non è da sottovalutare nell’ottica del consenso di Putin, il cui consolidamento del potere è fondamentale. USA e NATO parlano di truppe nei Baltici e di scudo missilistico. Quale la posizione del governo polacco? Allo scudo missilistico non si è mai rinunciato, è un progetto che è sempre stato valido e che si farà. Si può forse pensare a un’accelerazione della sua operatività - se non sbaglio, la prima fase operativa è prevista per il 2018 - ma non dimentichiamo che non ha niente a che fare con Mosca, nonostante l’isteria propagandistica. Lo scudo non è stato concepito contro la Russia, che non è considerata un nemico della NATO, ma piuttosto contro l’Iran. Ovviamente è logico che la Polonia, vicina a Russia e Ucraina tanto quanto i Paesi Baltici, chieda alla NATO rassicurazioni della sua presenza e garanzie circa la capacità di proteggere i propri membri da qualsiasi attacco esterno. Quando e perché la Polonia farà il suo ingresso nell’Euro? 40 LOOKOUT 4 - aprile 2014 Varsavia, 18 marzo 2014 Il vice presidente USA Joe Biden parla con il presidente polacco Bronislaw Komorowski al palazzo presidenziale Partiamo da una premessa. Noi crediamo nell’UE e pensiamo che dobbiamo essere dentro a tutti i settori chiave, per non venire esclusi dai processi decisionali. Su questo non c’è dubbio e la linea è molto netta. Il governo, in particolare, è assolutamente d’accordo che non abbiamo altra scelta: il nostro futuro è legato alla moneta unica. Per due motivi, uno politico e uno economico. Il primo: in futuro la pressione sarà ancora più forte per creare un nucleo duro attorno all’euro. E noi, ripeto, a differenza di Paesi come il Regno Unito, non possiamo permetterci di restare ai margini. Quanto al fattore economico, secondo tutte le analisi il nostro ingresso nella zona euro sarebbe vantaggioso per le imprese, dal momento che i cambi, il costo del denaro e del credito sono sempre più alti in Polonia. Questo è il quadro generale. Non rilevate nessun problema? Certamente sì, anzitutto le tempistiche. Oggi si parla molto male della zona euro e della sua crisi. Questo spaventa l’opinione pubblica che, se da un lato è entusiasta dell’Europa (il consenso è quasi all’80%), dall’altro lato teme la moneta unica, il cui consenso è molto più basso. Dobbiamo dunque prepararci per tempo a incontrare i criteri di Maastricht allargati, ma siamo sulla buona strada. E, una volta superata la crisi, anche l’opinione pubblica si convincerà. Pensate a un referendum? Secondo la Costituzione, la moneta polacca è lo Zloty. Dunque, si dovrà cambiare la parola nella Carta, ma per adesso non c’è una sufficiente maggioranza nel parlamento per una riforma costituzionale. Il referendum servirebbe ad avere la chiarezza su che cosa vuole il popolo polacco. geopolitica KALININGRAD, avamposto russo nel cuore d’Europa ruSSia | di Rocco Bellantone I ncastonata tra la Polonia e la Lituania, dalle coste del Mar Baltico l’exclave di Kaliningrad torna a ritagliarsi sprazzi di notorietà, ora che lo scontro tra il blocco occidentale e la Russia si infiamma e ora che Mosca ha bisogno più che mai di un avamposto per marcare la propria presenza in Europa. Costruita sulle macerie dell’antica Königsberg, dal 1457 capoluogo della Prussia orientale, nel 1724 la città dà i natali al filosofo Immanuel Kant. Ma è nel 1945 che la sua storia cambia per sempre quando, al termine della seconda guerra, mondiale viene scippata alla Germania dall’Unione Sovietica, che ordina l’immediata espulsione della popolazione tedesca residente e il cambio di nome in Kaliningrad. L’Oblast (regione) di Kaliningrad diventa così una delle aree più militarizzate dell’URSS. Ma quando crolla il Muro di Berlino, ancora una volta la città deve inventarsi una nuova identità. Più di 200mila soldati si ritrovano per strada, e povertà e criminalità iniziano a dilagare. Da baluardo sovietico Kaliningrad si trasforma in un’area franca, un meticciato di etnie e nazionalità (circa 430mila abitanti, russi principalmente, ma anche bielorussi, ucraini, lituani, armeni, tedeschi e polacchi) che rischia di implodere. Per salvarla dal collasso, nel 1996 la Federazione Russa le concede lo status di Zona Economica Speciale. Vengono introdotti una serie di vantaggi fiscali che permettono alla regione di attrarre acquirenti e investitori esteri e intensificare gli scambi commerciali soprattutto con gli ex Paesi satellite dell’URSS entrati nell’Unione Europea, facilitati anche da uno speciale regime di transito transfrontaliero (Local Border Traffic), introdotto nel luglio del 2012 dopo che Mosca e Bruxelles hanno concordato una revisione del Trattato di Schengen. Il sogno di Boris Eltsin di fare di Kaliningrad una “Hong Kong russa” non si è mai realizzato. Nonostante ciò Putin sa bene quale sia il suo vero valore. Nel porto di Baltiysk, l’unico libero dai ghiacci, è infatti attraccata la Flotta russa del Baltico. Da qui il presidente russo nel 2008 ha minacciato di dispiegare missili a corto raggio in risposta al piano degli Stati Uniti di costruire basi di difesa missilistica in Polonia e Repubblica Ceca. E qui è in programma la costruzione di una nuova centrale nucleare, un progetto a cui intende partecipare anche l’Italia. Tutti elementi che dimostrano quanto sia strategica questa città: qualcosa di ben più rilevante oltre le sigarette, la vodka e la benzina a basso costo e le centinaia di traffici sommersi che ogni giorno passano per questa terra di mezzo tra l’Europa e l’Asia. Anders Fogh Rasmussen Il Segretario Generale NATO lascerà a ottobre Cambio al vertice della NATO N on si è trattato di un “pesce d’aprile”. Il primo del mese il Consiglio del Nord Atlantico ha davvero deciso di nominare Jens Stoltenberg (nella foto a figura intera) nuovo Segretario generale della NATO e Presidente del Consiglio Nord Atlantico. Stoltenberg assumerà le funzioni di Segretario Generale dal 1 ottobre 2014, succedendo ad Anders Fogh Rasmussen, che ha guidato l’Alleanza per 5 anni e 2 mesi. Jens Stoltenberg è nato a Oslo il 16 marzo 1959 ma ha trascorso l’infanzia all’estero, per via del padre diplomatico. Dopo la laurea in Economia conseguita nel 1987 presso l’Università di Oslo, ha iniziato i lavori nell’istituto Statistics Norway. Nel 1990 fu chiamato dal primo ministro Gro Harlem Brundtland come Segretario di Stato per l’ambiente, per poi divenire nel 1993 membro del Parlamento, quindi ministro del Commercio e dell’Energia e ministro delle Finanze nel biennio 1996-1997. Stoltenberg è stato nominato primo ministro per la prima volta nel 2000, all'età di 40 anni. Capo dell’opposizione dal 2001 al 2005 è stato nuovamente primo ministro nel governo di coalizione, fino a ottobre 2013. Attualmente è leader del partito laburista norvegese e inviato speciale delle Nazioni Unite per i cambiamenti climatici. Durante il suo premierato, le spese per la difesa della Norvegia sono aumentate costantemente, con il risultato che il Paese è oggi uno degli alleati NATO con la più alta spesa pro capite per la difesa. Stoltenberg ha anche contribuito a trasformare le forze armate norvegesi e, sotto la sua guida, il governo ha impegnato le forze militari in varie operazioni della NATO. LOOKOUT 4 - aprile 2014 41 geopolitica La telefonata Nuland-Pyatt I punti salienti della conversazione telefonica tra il vice-Segretario di Stato, Victoria Nuland, e l’ambasciatore degli Stati Uniti in Ucraina, Geoffrey Pyatt, ormai nota come “Fuck the ue conversation” P er i dietrologi, la telefonata tra il vicesegretario Victoria Nuland e l’ambasciatore USA in Ucraina Geoffrey Pyatt che si scambiano riflessioni su come gestire i leader dell’opposizione locale, è la “pistola fumante” delle ingerenze USA nella rivolta di Kiev, che ha portato al rovesciamento del potere in Ucraina. Vere o meno che siano queste ricostruzioni, restano le loro parole (registrate chissà da chi e chissà come) caricate su Youtube il 6 febbraio 2014. La telefonata è del 5 febbraio, poco prima che la rivolta di Kiev s’inasprisca. Da lì in poi scoppieranno violenti scontri a piazza Maidan e, dal 18 febbraio, compariranno anche piSvoboda stole, fucili e mitragliette (alla fine Il Partito Nazionalista di si conteranno quasi 100 morti). Il estrema destra 21 febbraio arriva un accordo tra fondato nel 1991 Yanukovich e i partiti d’opposiziosostiene la NATO ne, sotto l’egida dei ministri degli Esteri di Francia, Polonia e Germania. Ma il giorno successivo i miliziani occupano parlamento e governo e Yanukovich è costretto alla fuga. La città cade in mano alle milizie e il potere passa all’opposizione, che forma un governo apparentemente coerente con le volontà espresse da Pyatt e Nuland nella telefonata incriminata. Arseniy Yatseniuk, ex ministro al tempo del premierato della Tymoschenko, diviene primo ministro e numerosi neonazisti entrano nel governo. Tra questi: il vice primo ministro, Aleksandr Sych, membro del Partito per la Libertà, Svoboda, e il ministro della Difesa, Igor Tenjukh, laureato negli Stati Uniti e organizzatore dell’assedio di Sebastopoli durante la guerra in Georgia del 2008, poi nominato viceammiraglio. Mentre Vitalij Klitscko, ex pugile e grande animatore della rivolta - inizialmente proposto anche come nuovo premier - e Oleh Tyahnybok, politico e leader del partito neonazista Svoboda, sono rimasti dietro le quinte. 42 LOOKOUT 4 - aprile 2014 L’ambasciatore chiede alla Nuland un commento su Klitscko al governo: “Che ne pensi?” chiede Pyatt. “Non sarebbe una buona idea” risponde. Secondo lei, l’ex pugile deve restare fuori a fare pressione e “roba del genere”. La Nuland dice che farà una telefonata per mettere Klitscko “nel posto dove lui si adatti meglio allo scenario”. Pyatt sembra contento: “È esattamente quello che hai fatto con Yats”, cioè il neo premier Arseniy Yatseniuk. “Il problema saranno Tyahnybok e i suoi ragazzi”, dice Pyatt riferendosi al leader degli estremisti di Svoboda. I “suoi ragazzi”, infatti, sembra stiano facendo da raccordo tra i gruppi neonazi riuniti sotto la sigla Praviy Sektor, e spingano per trasformare la protesta pro-EU in una vera guerra contro Yanukovich. La Nuland pensa che sia Yatseniuk l’uomo giusto per il governo e che “quello di cui lui ha bisogno sono Klitsch e Tyahnybok all’esterno...”. Sull’inviato speciale ONU, Robert Serry, la Nuland osserva: “Sarebbe bello se contribuisse a incollare questa cosa e ad avere il supporto delle Nazioni Unite. E poi... fanculo l’Unione Europea”. La telefonata TymoshenkoShufrych In vista delle elezioni di maggio della “Nuova Ucraina”, Yulia Tymoshenko ha annunciato la propria candidatura a presidente. Questo è avvenuto due giorni dopo la scioccante telefonata intercettata (e poi pubblicata su YouTube) tra la leader della Rivoluzione Arancione ed ex premier dell’Ucraina, e Nestor Shufrych, membro del parlamento ed ex segretario del National Security and Defense Council ucraino, organo consultivo della Difesa al servizio del presidente. Nella conversazione rubata, la Tymoshenko si rivolge a Shufrych dicendo - tra le altre cose - di voler “sollevare il mondo per ridurre in cenere la Russia” e che “è arrivato il momento di prendere le pistole e andare a uccidere quei maledetti russi insieme al loro leader”. L’ingerenza straniera ucraina | di Tersite L’ Ucraina è storicamente divisa in due. Diceva Henry Kissinger, segretario di Stato Usa negli anni Settanta, che quel Paese doveva rimanere un Paese-ponte. Ma un Paese-ponte è anche punto di frizione. E regola della politica di potenza è conoscere i punti di frizione avversari, per poterli sfruttare a proprio vantaggio. Se l’aut-aut della UE ha portato alla crisi dei nostri giorni, la “questione Crimea” non è causa ma effetto. È un problema semmai maggiore - per la rottura dell’intelaiatura democratica - il governo di piazza instauratosi a Kiev con decisivi ministri filonazisti, dopo la fuga del presidente. La spaccatura tra le regioni che, per etnia e storia, possono preferire un maggior interscambio con l’Europa Occidentale o con quella Orientale, è oggi il punto nodale su cui si gioca il futuro ucraino. Ma qualsiasi piano per concludere la coabitazione - oggi divenuta esplosiva - presuppone una spartizione. Ma a chi può interessare una partizione risolutoria dell’Ucraina? La cooperazione russo-europea in tal senso sarebbe un pericolo per gli USA, il cui interesse primario nel Vecchio Continente è proprio rompere la collaborazione russo-tedesca, preludio a una temibilissima partnership continentale europea, che vedrebbe enormi risorse energetiche russe e una forte moneta alternativa al dollaro unite e concorrenti agli Stati Uniti. Si può così comprendere l’aperta sfida in atto in Ucraina, giunta fino all’instaurazione di un governo sorretto dai neonazisti della Grande Ucraina, che rifiuta ogni idea di divisione. E dietro cui avanza l’Enlargement (allargamento) della NATO, triplicato da quando il presidente americano George Bush senior garantì a Mikhail Gorbaciov il contrario. Ma fin dove si può spingere la NATO? Può davvero portare il “Grande Gioco” geopolitico nel cortile di casa della Russia? E troncare poi le forniture di gas, base della cooperazione russo-europea? Fino a dove potrebbero arrischiarsi gli USA per ricacciare indietro la minaccia alla loro supremazia che soffia dal Cremlino? Per rinsaldare l’Alleanza Atlantica e distogliere l’Europa da tentazioni autonomistiche, si può davvero rischiare di sconquassare un Paese e forse un continente intero? In Paesi ex comunisti, già numerosi volontari chiedono di arruolarsi “per soccorrere i fratelli russi”, mentre a sud arrivano i mercenari filo-americani della Blackwater (vedi box) e negli Oblast orientali (regioni) si formano milizie popolari, contrapposte a quelle neonaziste di Kiev. Insomma, il rischio della Guerra Fredda avviata da Truman per rafforzare la supremazia USA ha già funzionato. Può funzionare ancora. Ma se il gioco a far compiere la prima mossa all’avversario può durare a lungo, può anche far precipitare tutto all’improvviso. il punto di vista Mercenari in Ucraina? Fonti d’intelligence e funzionari russi rivelano che agli inizi di marzo, centinaia di contractor sarebbero sbarcati all’aeroporto internazionale Boryspil di Kiev, con tanto di “bagaglio pesante”. Una di queste fonti individua tali soggetti nei dipendenti della Greystone Limited. Greystone è una società di contractor collegata ad ACADEMI, società privata di sicurezza e risk management - conosciuta fino al 2011 con il nome di Blackwater - che recluta ex militari, poliziotti e professionisti, specializzati in operazioni sensibili. ACADEMI oggi gestisce migliaia di uomini e ha già operato in contesti quali Afghanistan e Iraq. Con sede a Moyock, in North Carolina, è ritenuta molto vicina all’Amministrazione USA. PER SAPERNE DI PIÙ WWW.LOOKOUTNEWS.IT/PAESE/UCRAINA LOOKOUT 4 - aprile 2014 43 geopolitica I DUE VOLTI DEL GOLFO Il Medio Oriente c’est moi Nella lotta per la supremazia sulla Penisola Araba, i sauditi temono soltanto la concorrenza spietata del Qatar arabia Saudita | di Marta Pranzetti Q Abdullah bin Abdulaziz Al Saud Secondo il Re saudita, il Qatar non è un vero e proprio Stato ma poco più che “una protuberanza dell’Arabia Saudita” 44 LOOKOUT 4 - aprile 2014 uando, nel gennaio 2011, l’Arabia Saudita accoglieva il presidente tunisino Ben Ali - il primo sconfitto della grande casta degli intoccabili arabi Riad non sapeva ancora a cosa stava andando incontro. Di lì a poco, infatti, anche l’Egitto destituiva il suo “faraone” mentre contemporaneamente insorgevano i vicini Yemen e Bahrain. La velocità con cui Washington aveva accomiatato l’ex presidente egiziano Hosni Mubarak, mostrando ben poca premura per il grande alleato in Medio Oriente, aveva spiazzato gli ambienti reali di Casa Saud. Da allora, tutta la politica estera saudita è andata muovendosi nel tentativo di mantenere inalterata la supremazia regionale (oltre che la stabilità interna), conscia di essere in sostanza isolata e di non poter contare più su nessun alleato. Infatti, è stata travolta dall’impeto rivoluzionario, quando i cari vecchi equilibri macro-regionali di cui si era fatta garante dagli anni Novanta in poi, sono stati definitivamente ribaltati con le rivoluzioni arabe del 2011, il cui esito resta tuttora un’incognita (quantomeno finché durerà la crisi in Siria). geopolitica Da allora, le sfide affrontate sono state e sono tuttora molteplici. Il Regno ha dovuto infatti: tener testa alle ambizioni egemoniche del Qatar; decidere mosse e alleanze in terra siriana; affrontare il revival islamista post-rivoluzionario, tenendo a bada i pericolosi jihadisti sauditi attivi all’estero; contrastare l’eterno rivale iraniano (ora più forte sulla scena internazionale dopo l’elezione a presidente del moderato Hassan Rouhani, gradito all’Occidente); infine, mantenere salda la sua presa sulle redini del Consiglio di Cooperazione del Golfo, che invece sembra sfuggirli. Il tutto, mentre Re Abdullah ha visto scemare la storica alleanza con gli USA. Pur avendo ripristinato l’alleanza con l’Egitto - dopo la parentesi islamista di Morsi - il potente colosso saudita non vanta altre importanti amicizie regionali, tanto che si è sentito costretto a chiamare i rinforzi ammettendo le monarchie di Marocco e Giordania a membri osservatori del GCC. E proprio all’interno del Consiglio di Cooperazione del Golfo si palesano significativi disaccordi (la creazione della moneta unica osteggiata dagli Emirati Arabi, la creazione di un’Unione del Golfo osteggiata dall’Oman, e il recente trattato comune sulla sicurezza che ha provocato la rottura diplomatica con il Qatar), che potrebbero incidere ulteriormente sul farsi e disfarsi di nuove alleanze. Comunque la pur incerta politica estera statunitense in Medio Oriente, che ha sensibilmente raffreddato la vecchia amicizia con casa Saud (l’apertura verso Teheran che la Casa Bianca ha dimostrato nei recenti colloqui internazionali, ha alimentato i contrasti tra Riad e Washington già tesi circa la politica di intervento da assumere in Siria) tornerà forse con maggiore veemenza a premere sul suo imprescindibile alleato regionale. Soprattutto adesso che la prospettiva del nuovo confronto bipolare apertosi con la crisi in Ucraina lascia supporre il rinnovo di storici allineamenti. Così, se l’asse russo-iraniano si confermerà anche in questo scenario, è certo che il Regno saudita avrà il suo ruolo centrale al fianco di Washington. O almeno questo è ciò che Obama ha tentato di assicurarsi con la sua recente visita a Riad. Il ritorno di Bandar Smentito il cambio al vertice dell’intelligence saudita: il Principe Bandar bin Sultan riassume l’incarico dopo una pausa in Marocco dovuta a ragioni mediche LA FAMIGLIA REALE SAUDITA RE ABDULAZIZ IBN SAUD In carica (1876-1953) Creatore del moderno Regno dell’Arabia Saudita nel 1932 Linea di successione RE SAUD RE FAISAL RE KHALED RE FAHD (1902-1969) Deposto dalla famiglia nel 1964 (1904-1975) Costruttore del moderno Stato arabo, assassinato nel 1975 (1912-1982) Ha dato ai conservatori religiosi maggior controllo sull’istruzione PRINCIPE KHALED (1940 - ) Ex governatore della provincia della Mecca, è ministro dell’Istruzione (1922-2005) Ha gestito strette relazioni con gli USA e guidato il Paese durante il crollo del prezzo del petrolio (anni ’80) e durante la prima Guerra del Golfo (1990-91) RE ABDULLAH (1923 - ) Ha introdotto più riforme di qualsiasi predecessore e ha aperto il Regno all’economia di mercato PRINCIPE EREDITARIO SULTAN PRINCIPE EREDITARIO NAYEF PRINCIPE EREDITARIO SALMAN (1926-2011) Ha gestito un massiccio programma di armamenti come ministro della Difesa (1933-2012) È stato ministro dell’Interno dal 1975 fino alla morte, avvenuta a giugno 2012 (1936 - ) Ministro della Difesa dal 2011, dopo 50 anni da governatore di Riad altri 31 figli PRINCIPE AHMED PRINCIPE MUQRIN (1941 - ) Ministro dell’Interno da giugno 2012, è stato sollevato dall’incarico dopo pochi mesi per sua richiesta (1945 - ) Capo della Direzione Generale dell’Intelligence, è stato sollevato dal suo incarico a luglio 2012 PRINCIPE SAUD PRINCIPE MOHAMMED PRINCIPE MITEB PRINCIPE KHALED PRINCIPE BANDAR PRINCIPE MOHAMMED PRINCIPE SULTAN (1941 - ) Il più longevo ministro degli Esteri al mondo, in carica dal 1975 (1951 - ) Ex governatore della provincia Orientale, dove sono situati la maggior parte dei giacimenti di petrolio (1953 - ) A capo della Guardia Nazionale Saudita, unità militare chiave oggi divenuta ministero (1949- ) Comandante delle forze saudite durante la Prima Guerra del Golfo e uno degli ufficiali di primo piano (1949- ) Ambasciatore a Washington per oltre vent’anni, è a capo dell’intelligence dal luglio del 2012 (1959- ) Ministro degli Interni da novembre 2012, ha guadagnato consensi per la gestione di Al Qaeda nel Regno quand’era ministro della Difesa (1959- ) Ministro del Turismo saudita, è stato il primo astronauta arabo nel 1985 Fonti: Reuters, Saudi Press Agency LOOKOUT 4 - aprile 2014 45 geopolitica Bab al-Azizia, quartier generale del Colonnello Gheddafi I DUE VOLTI DEL GOLFO Il mondo arabo è nostro La competizione di Doha con l’Arabia Saudita è al limite della spregiudicatezza. Ma l’astro nascente della penisola non intende rinunciare al dominio regionale qatar | di Marta Pranzetti N egli anni Novanta la micro monarchia del Qatar faceva il suo ingresso sulla scena internazionale con la fondazione del canale televisivo satellitare Al Jazeera, che rappresenta oggi lo strumento più prezioso del soft power di cui dispone la dinastia al-Thani. Ma il salto di qualità che ha conferito al Qatar quel tanto ambito ruolo di attore regionale chiave è giunto solo con le rivoluzioni arabe. Cioè quando, scalzando l’egemonia saudita, si è elevato ad alleato delle forze rivoluzionarie, appoggiando i movimenti islamisti che dal 2011 si sono imposti sulla scena politica nazionale dei vari Paesi. Economia del Qatar È stata proprio la tracotanza qatarina a scatenare la reazione di Arabia Saudita, Emirati Arabi e Bahrain, che a inizio marzo hanno interrotto i rapporti diplomatici con il piccolo Stato, criticandone l’atteggiamento non conforme ai principi stabiliti in sede di Consiglio di Cooperazione del Golfo (GCC). Non a caso, all’episodio è seguita anche la messa al bando ufficiale dal Regno saudita della Fratellanza Musulmana, segnale di un palese riavvicinamento con l’Egitto del generale Al Sisi, dove il Movimento è stato dichiarato “organizzazione terroristica” a dicembre 2013. La frattura interna agli Stati del Golfo è sintomatica di un ben più ampio mutamento delle alleanze nello scacchiere mediorientale. In particolare, con l’Arabia Saudita lo Stato del Qatar aveva già diversi conti in sospeso: il CRESCITA DEL PIL Per PIL pro capite, in dollari 25 miglia 10 0 Svezia ARABIA SAUDITA -10 UAE 46 Qatar Svizzera Australia Emirati Arabi QATAR 25 km LOOKOUT 4 - aprile 2014 Fonte: International Monetary Fund (IMF) World Economic Outlook Database -20 1980 112.135 105.478 98.737 Lussemburgo Norvegia 20 Doha La risoluzione 1973 del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, fu una misura relativa al conflitto in Libia, adottata il 17 marzo 2011 su proposta di Stati Uniti, Francia, Regno Unito e Libano. La risoluzione stabiliva “un immediato cessate il fuoco” e autorizzava la comunità internazionale a istituire una no-fly zone sopra i cieli della Libia e a utilizzare “tutti i mezzi necessari” per imporre un cessate il fuoco a salvaguardia della popolazione. In seguito a tale risoluzione, Francia e Regno Unito poterono intervenire (dal 19 marzo) con attacchi aerei e gli Stati Uniti con bombardamenti dal mare. TOP 10 ECONOMIE 30 Golfo Persico BAHRAIN Risoluzione ONU 1973 Danimarca 1990 2000 2010 Canada Singapore 80.473 68.939 64.780 60.020 58.668 52.364 52.179 geopolitica suo sostegno all’invasione irachena del Kuwait (1990-1991) aveva costituito la prima grande rottura con il vicino sauI Fratelli Musulmani, o Fratellanza, è il movimento islamista più antico e diffuso in tutto il mondo arabo. Fondato in Egitto nel 1928 da Hassan dita. Che per tutta risposta aveva sosteAl Banna, segue rigorosamente la legge islamica e persegue la sua nuto i membri deposti della famiglia piena applicazione, in contrapposizione alla secolarizzazione e reale qatarina per indebolire il potere all’Occidente corrotto. Al Banna viene assassinato nel 1948, due mesi di Sheikh Hamad bin Khalifa al-Thani dopo la morte del premier egiziano Mahmud Fahmi Nokrashi, che aveva (alla guida del Paese dal 1995). Nonoordinato lo scioglimento del movimento. I Fratelli Musulmani divengono stante la comune appartenenza al GCC illegali in Egitto nel 1954, in seguito all’accusa di aver assassinato Nasser. e dietro un’apparente riconciliazione, Da allora, sono considerati illegittimi: nel 1966 l’ideologo del movimento la competizione tra i due Paesi è andaSayyid Qutb è impiccato e i Fratelli perseguitati. Ma già dagli anni ta crescendo per poi palesarsi del tutto Settanta entrano in politica sotto diversi simboli. Dopo la parentesi della presidenza Morsi in Egitto (rappresentante dei Fratelli) il Movimento è con lo scoppio delle primavere arabe tornato in clandestinità. Oggi il leader è considerato Muhammad Badie, ed è oggi sempre più evidente nel conottava Guida della Fratellanza, in carcere al Cairo da agosto 2013. testo del conflitto siriano. L’interventismo del Qatar, che aspira a conquistare un ruolo di primo piano ai danni del colosso saudita, ha preso forma distintamente con la rivoluzione in Libia. Il primo ministro qatarino Hamad bin Jassim al-Thani è stato, infatti, uno dei sostenitori più accaniti della Risoluzione 1973 del Consiglio di Sicurezza per l’intervento NATO in Libia e le “truppe” di Al Jazeera (che hanno dato la loro versione del conflitto, sostenendo le mosse dell’Emirato) sono state le prime a sbarcare a Bengasi, testa di ponte della sollevazione libica. In Siria, il Qatar ha spinto per la militarizzazione della sommossa, ed è poi intervenuto rifornendo di armi le forze ribelli, attraverso la Turchia. L’apice dell’affermazione geopolitica del Qatar è l’estate del 2012, con l’elezione dell’islamista Mohammed Morsi alla presidenza egiziana. Il suo breve “regno” - cui i Sheikh militari hanno posto fine nel luHamad glio 2013 - ha segnato anche il debin Khalifa clino dell’influenza qatarina in al-Thani Medio Oriente e la concomitante Se il presunto riaffermazione dell’alleanza tra complotto Riad e Il Cairo. tra Gheddafi e l’Emiro Dalla nuova inimicizia nel Golfo per uccidere discende così una polarizzazione l’attuale Re delle forze in Medio Oriente: alla saudita fosse tradizionale opposizione tra l’asse riuscito, oggi irano-sciita e quello saudi-sunnita, il Qatar si frappone adesso l’asse Qatar-Frasi spartirebbe tellanza, che sembra destinato a l’Arabia dominare la scena regionale nel prossimo futuro a scapito dei sauditi. La Fratellanza LOOKOUT 4 - aprile 2014 47 geopolitica aFghaniStan | di Cristiana Era D iciamo le cose come stanno: il futuro dell’Afghanistan rimane incerto anche dopo il voto del 5 aprile. Un voto certamente importante, ma più dal punto di vista simbolico che pratico, indipendentemente dal risultato. Di fatto, poco cambierà in un cammino di cui si poteva intravedere la direzione già durante (per non dire prima) la campagna elettorale. A dispetto della propaganda governativa, il Paese è tutt’altro che pacificato e l’insicurezza è tornata ad essere cronica ben prima dell’inizio dei comizi elettorali, con un’escalation di violenza direttamente proporzionale al progressivo disimpegno delle forze della coalizione e all’assunzione di responsabilità da parte dell’ANSF (Forze di Sicurezza Nazionali Afghane) che hanno dimostrato di non essere in grado di garantire gli standard minimi di sicurezza. Mentre si portano avanti i negoziati di pace, i talebani hanno boicottato le elezioni e costretto gli osservatori elettorali dell’NDI (National Democratic Institute) a lasciare il Paese dopo l’attentato all’Hotel Serena nel giorno del Nowruz (il capodanno afghano che coincide con l’inizio della primavera). Il fatto che, secondo le fonti governative, la violenza sia stata limitata non dimostra - come sostenuto da alcuni - la debolezza dei talebani. Al contrario, occorre tenere a mente due cose: in primo luogo, campagna elettorale e votazioni non si sono concluse il 5 aprile. Il risultato preliminare verrà annunciato non prima del 24 aprile, mentre la Commissione Elettorale renderà noto quello definitivo solo il 14 maggio. Le previsioni generali indicano un probabile ballottaggio (nessuno crede che uno dei tre candidati favoriti, Abdullah Abdullah, Ashraf Ghani e Zalmai Rasoul, possa superare il primo turno con il 50%+1 dei voti). Non è dato conoscere la strategia dei talebani, ma già in 48 LOOKOUT 4 - aprile 2014 Le elezioni che non cambiano la storia Doveva essere uno spartiacque, ma le elezioni afghane hanno mascherato solo il fallimento della comunità internazionale e non hanno portato grandi novità passato questi hanno alternato periodi di attacchi quotidiani con pause di relativa calma, per poi riprendere gli attentati subito dopo. Per boicottare le elezioni, dunque, c’è ancora tempo. Secondariamente, in alcune aree rurali come le province meridionali a dominanza pashtun, dove è maggiormente radicata la presenza talebana, la minaccia di uccisioni e amputazioni delle mani o delle dita per coloro che si recavano a votare, ha giocato un ruolo ben maggiore dell’atto concreto dell’attentato, soprattutto con una presenza insufficiente dell’ANSF a protezione dei villaggi. Un esempio è la provincia di Logar, dove l’affluenza è stata tra lo scarso e lo zero assoluto. Che a Kabul, Herat e Kandahar (quest’ultima, santuario talebano) vi siano stati pochi attentati e un’alta affluenza di votanti, è un fatto meno rappresentativo della realtà afghana di quello che viene propagandato. Fa comodo a tutti mostrare la parte (minoritaria) di un Paese che volta pagina andando a votare sfidando l’ira talebana, ma non è la realtà. Certo serve al governo per sbarazzarsi dell’ingombrante presenza straniera, e alle cancellerie occidentali per invocare “missione compiuta” senza mostrare il fallimento che si lasciano dietro. Fallimento che pagheranno gli afghani, indipendentemente da chi sarà il successore del presidente Hamid Karzai. COME SI VOTA IN AFGHANISTAN Il 5 aprile si è votato per eleggere sia il nuovo presidente sia i consiglieri delle 34 Province. Alle elezioni presidenziali, per essere eletto al primo turno, il candidato deve ottenere il 50% +1 dei voti validi (sistema uninominale a doppio turno). In caso contrario è previsto il ballottaggio al secondo turno, tra i due candidati che hanno ottenuto il maggior numero di voti. all neWS geopolitica Stati uniti giappone Scontro spaziale tra Washington e Mosca Il riarmo giapponese I La crisi ucraina si fa sentire anche oltre i confini terrestri. La NASA, l’Agenzia Spaziale Statunitense, ha infatti comunicato di aver interrotto in via “indefinita” i progetti in corso con Mosca. l governo giapponese si appresta ad allentare il divieto in vigore sull’esportazione di armi introdotto dopo la seconda guerra mondiale. Il premier Shinzo Abe assicura che verranno effettuati rigorosi controlli su produttori e acquirenti. La mossa però preoccupa Pechino e agita ancor di più le acque nel Mar Cinese. egitto La corsa solitaria del generale Al Sisi moldaVia Porte aperte per l’area Schengen A fine marzo Abdel Fattah Al Sisi si è dimesso da capo delle Forze Armate, annunciando la candidatura alle elezioni presidenziali del 26 e 27 maggio. Il generale può ora gareggiare senza validi avversari: la magistratura ha infatti avviato un’indagine per appropriazione indebita di soldi pubblici nei confronti di Hamdeen Sabbahi, l’unico sfidante credibile. D al 28 aprile i cittadini moldavi potranno viaggiare liberamente nei 26 Paesi dell’area Schengen e in altri quattro Stati UE non facenti parte dell’accordo (Romania, Bulgaria, Croazia e Cipro). Tra il 2010 e il 2013 il tasso di visti rifiutati ai moldavi dagli Stati dell’Unione è sceso dall’11,4% al 4,8%. Venezuela Caracas salda il debito con le compagnie aeree libia Al-Thinni il negoziatore D opo dieci giorni di sciopero, a fine marzo Air Canada l premier ad interim Abdullah al-Thinni, suha riattivato i voli verso il Venebentrato allo sfiduciato Ali Zeidan, conferma zuela. Il servizio non era stato bloccato per via la nomea di esperto negoziatore. Il nuovo delle tensioni diplomatiche tra Washington e primo ministro ha trovato un accordo con i seCaracas, ma a causa di un debito di circa 3 mii milioni di indiani paratisti di Ibrahim al-Jadran, riprendendo il che voteranno fino liardi di euro che il governo venezuelano aveva controllo dei terminal petroliferi della Cirenaial 12 maggio per accumulato nei confronti della compagnia caca e allungando ancora per qualche tempo il suo le politiche nadese e di altre 23 società tra cui Air Europe, Tap mandato. Portugal e l’ecuadoriana Tame. I 810 LOOKOUT 4 - aprile 2014 49 a dire il Vero... il mondo che neSSuno racconta di Alfredo Mantici N ella ricostruzione e nell’analisi degli eventi della Storia dell’umanità è sempre azzardato proporre paragoni tra fatti, episodi e fenomeni verificatisi e sviluppatisi in epoche diverse. Con il continuo mutare delle condizioni politiche, sociali e ambientali del mondo, è difficile sovrapporre meccanicamente - ricercando analogie e similitudini - problemi e fenomeni di epoche nel 1600 a uno scontro epocale tra cattolici e protestanti nella Guerra dei Trent’anni in Europa, per tentare di ricavarne elementi utili all’analisi del grande disordine che attraversa l’Islam contemporaneo nella sua contraddittoria e a tratti violenta ricerca di percorsi di sviluppo, che vanno dalla conservazione alla modernizzazione. Nel 1618 il Re Spagnolo Ferdinando II, destinato dal Papa a cingere la corona di capo del Sacro Romano Impero, tentò di imporre a tutti i suoi domini europei l’obbligo della religione cattolica e il rifiuto dell’eresia protestante. La reazione di tutta l’aristocrazia protestante di Austria, Boemia, Olanda, Danimarca e di parte dei principati tedeschi, dette il via a trent’anni di guerra che sconvolsero tutto il Vecchio Continente e devastarono molti Paesi, prima fra tutti la Germania, principale campo di battaglia del conflitto tra luterani, calvinisti e cattolici. Anche l’Islam deve arrivare alla sua “Pace di Westfalia” diverse. Tuttavia, l’uomo è sempre lo stesso e tende a ripetere le Il risultato fu proprie azioni e specialmente i prol’esclusione della pri errori. Per questo, evitando di cadere nella trappola dalle cose dei “corsi e ricorsi” della politica della Storia, è forse possibile tentare di studiare eventi contemporanei anche con la comparazione con eventi strutturalmente simili accaduti nel passato. Senza cadere nel determinismo più ottuso, può essere utile il raffronto tra epoche diverse per tentare di capire attraverso l’analisi di ciò che è accaduto nel passato cosa potrebbe accadere nel futuro. Per questo vogliamo provare a rileggere le dinamiche storiche che portarono religione 50 LOOKOUT 4 - aprile 2014 La guerra, nata per motivi religiosi, sconvolse l’intero assetto politico e istituzionale del Vecchio Continente, e si concluse con la vittoria della politica sulla religione portando alla nascita degli Stati Nazione. Con il Trattato di Westfalia che nel 1648 pose fine a trent’anni di guerra, vennero ridisegnati la nuova carta geopolitica europea e i principi fondamentali di un nuovo ordine continentale destinato a durare fino ai giorni nostri. Ma il risultato più importante della Grande Guerra di religione fu l’esclusione formale della religione dalle cose della politica. Il Papa, per primo, perse il potere vincolante di incoronazione dei re cristiani, mentre al clero protestante venne lasciato solo il privilegio di dettare i fondamenti etici della politica. Se proviamo allora a guardare a cosa sta avvenendo nel mondo islamico in questa fase della storia contemporanea, non possiamo non notare molte analogie con quello che accadde nell’Europa del Seicento. In tutto l’Islam, dal Libano alla Siria, dall’Iraq alla Striscia di Gaza, dall’Algeria al Libano, negli ultimi anni le tensioni e le insanabili contrapposizioni dottrinarie tra sciiti e sunniti si sono trasformate in una vera e propria guerra di religione sempre più feroce e sanguinosa. PER SAPERNE DI PIÙ A DIRE IL VERO - WWW.LOOKOUTNEWS.IT Il confronto tra sciiti e sunniti: una versione aggiornata della Guerra dei Trent’Anni In Iraq, dove la minoranza sunnita non vuole cedere quel potere che gli veniva garantito da Saddam Hussein a una maggioranza sciita uscita vincente dalle ultime elezioni, solo nel 2013 sono morte in combattimento oltre 9mila persone. In Siria la guerra è tra sciiti-alawiti, minoranza e classe dirigente per decenni, e una maggioranza sunnita che si riconosce in gran parte nell’ISIS (Stato Islamico in Iraq e nel Levante) e nell’armata Naqshbandi, le due principali formazioni di guerriglia che vogliono abbattere il regime di Assad. Come durante la guerra europea del Seicento, quando nobili e condottieri cattolici non esitarono in odio agli spagnoli - a schierarsi con i protestanti, oggi nel vicino Oriente il fronte sunnita è diviso tra estremisti disposti a tutto e pragmatici che cercano di trovare una via d’uscita da una crisi devastante. I primi si riconoscono nell’Emirato del Qatar e nelle organizzazioni dei Fratelli Musulmani, che hanno tentato senza successo di assumere il controllo delle Primavere Arabe. Sull’altro fronte sono schierati l’Egitto con i suoi generali, l’Arabia Saudita, gli Stati del Golfo e i palestinesi di Abu Mazen. Il blocco sciita sotto le ali della teocrazia iraniana fronteggia i sunniti con i palestinesi di Hamas, gli Hezbollah libanesi e la grande massa sciita irachena. Tre protagonisti come lo erano le confessioni cristiane della Guerra dei Trent’anni, tre modelli religiosi che vogliono piegare e dominare la politica. Uno scontro violento che dura da quasi un decennio, uno scontro che ha fatto passare in secondo piano il nemico storico dell’Islam contemporaneo, l’Entità Sionista Israeliana. Uno scontro dagli esiti ancora non prevedibili, ma che potrebbe segnare, come accaduto a Westfalia, la nascita di Stati Nazione arabo-musulmani nei quali si spera che sarà la politica, e non più la religione, a dettare legge. 1648 Osnabrück, sede delle delegazioni protestanti, e Münster, sede delle delegazioni cattoliche, furono protagoniste della pace che mise fine alla Guerra trentennale LOOKOUT 4 - aprile 2014 51 raSSegna Stampa internazionale europa media Watch Manuel Valls y Anne Hidalgo, dos españoles en la cúspide del poder en Francia Due spagnoli ai vertici del potere francese dalla redazione dell’Huffington Post, edizione spagnola L’ Dall’articolo apparso sull’Huffington Post il primo aprile 2014 elezione di Anne Hidalgo a sindaco di Parigi e la nomina, ventiquattr’ore dopo, di Manuel Valls a primo ministro nel rimpasto voluto dal presidente Hollande per arginare l’avanzata della destra alle municipali del 23 e 30 marzo hanno avuto grande risonanza sulla stampa iberica. Con un certo senso di compiacimento e un incipit che ricorda vagamente i romanzi di formazione dell’Ottocento, l’edizione spagnola dell’Huffington Post così celebra il successo dei due politici francesi nati dall’altra parte dei Pirenei: “Sono figli di immigrati spagnoli giunti in un Paese che non era il loro, in cerca di un futuro migliore. Ora dirigono la Francia e la sua città più importante, Parigi. Si tratta di Manuel Valls, nato a Barcellona e da ieri nuovo primo ministro, e di Anne Hidalgo, venuta al mondo a San Fernando (Cadice) e adesso sindaco della capitale francese”. “Primo sindaco donna”, precisa poco dopo il quotidiano, che prosegue narrando l’epopea di nonno Hidalgo, socialista, il quale era già emigrato in Francia ai tempi della guerra civile spagnola. Il suo ritorno in Andalusia non mette fine, però, alla diaspora della famiglia, che questa volta per problemi economici - si stabilisce a Lione nel 1961, quando Anne (in realtà Ana) aveva due anni: entrerà in politica nel 1997, nei socialisti, per ricoprire la carica di vicesindaco di Parigi dal 2001 a oggi. Altrettanto brillante la carriera del catalano Manuel Valls, che nel 2001 diventa sindaco di Évry, nei sobborghi di Parigi. Rieletto nel 2008, deve lasciare l’incarico nel 2012 quando, a cinquant’anni, entra a far parte come ministro dell’Interno nella squadra di Jean-Marc Ayrault, che adesso sostituisce. “De alma culé”, ovvero tifoso del Barcellona, nonché di animo (e partito) socialista, il neopremier si considera tuttavia un social-liberale, “mantenendo sull’immigrazione una della posizioni più dure nell’ambito del progressismo francese, il che gli ha fatto guadagnare l’appellativo di Sarkozy di sinistra”. Nella foto: il nuovo sindaco di Parigi anne hidalgo LOOKOUT 4 - aprile 2014 53 raSSegna Stampa internazionale aFrica e medio oriente media Watch Can Africa leapfrog the carbon energy age? Africa: tramonta l’era dei combustibili fossili di Julian Popov, giornalista, consulente ed ex ministro dell’Ambiente del governo bulgaro L’ Dall’articolo apparso su Al Jazeera il primo aprile 2014 Africa è l’ultimo continente a cui si guarda quando si impongono politiche ambientali per contrastare l’effetto serra. Ma l’impennata economica del continente africano richiede sempre più energia e - tradotto in termini di risorse locali - questo implica uno sfruttamento crescente di carbone, gas e petrolio. “La comunità internazionale e i governi africani dovrebbero consentire a questa terra di abbandonare la dipendenza energetica dalle energie convenzionali e dai grandi impianti centralizzati - argomenta Julian Popov - aiutandola a sfruttare le sue vaste potenzialità idroelettriche, eoliche e solari”. Su una popolazione di oltre un miliardo di persone, quasi 600 milioni non hanno accesso alla rete elettrica, fatto comprensibile se si tiene conto della scarsa densità di popolazione e delle remote località abitate, condizioni che rendono impraticabile qualsiasi investimento interconnettivo. Negli ultimi anni, scrive Popov, già sette milioni di africani hanno rimpiazzato le vecchie lampade al cherosene con luci alimentate a energia solare, che consentono di risparmiare un dollaro a settimana (non poco per chi vive con meno di 1,25 dollari al giorno, ovvero il 48% delle popolazioni sub-sahariane). Oltre al vantaggio economico, la fornitura di energia solare può essere espansa o lottizzata in base alle necessità, senza contare che le tecnologie moderne si trovano oggi sul mercato a prezzi accessibili. L’Africa, inoltre, non ha mai costruito una rete telefonica continentale “e mai ne avrà bisogno” dice Popov, se si considera che l’uso del cellulare batte la linea fissa in 500 milioni di utenti contro 12. Lo stesso, nella prospettiva dell’autore, potrebbe verificarsi a livello energetico. LOOKOUT 4 - aprile 2014 55 raSSegna Stampa internazionale aSia media Watch A Diversified Muslim Identity La diversità dell’identità musulmana di Hilal Ahmed, professore del Centre for the Study of Developing Society (CSDS) A Dall’articolo apparso su The Hindu il 31 marzo 2014 lla vigilia del voto parlamentare in programma in India a partire dal 7 maggio - le elezioni più imponenti a livello mondiale con 810 milioni di cittadini chiamati alle urne - alcuni analisti si sono interrogati sull’orientamento della comunità islamica. Dalle colonne del quotidiano The Hindu, il professor Hilal Ahmed mette in discussione gli stereotipi che circolano su questo gruppo sociale, considerato generalmente chiuso e coeso, motivo per cui nella scelta elettorale agirebbe secondo principi religiosi e di casta. Ahmed sottolinea invece che gli indiani musulmani seguono diverse correnti e interpretazioni religiose, il che “rende l’Islam indiano un fenomeno estremamente diversificato. Le preferenze di voto dei musulmani - spiega - non sono poi tanto diverse da quelle degli Hindu. Dunque, i partiti politici emergono come il fattore primario che determina il voto”. A livello nazionale, gli ultimi sondaggi indicano una generale preferenza della comunità musulmana per il Congresso Nazionale Indiano. Mentre a livello locale le preferenze potrebbero variare sensibilmente, dimostrando che non esiste una strategia elettorale omogenea. Anche il fattore “casta” è un elemento da tenere in considerazione, ma sempre nell’ottica delle specificità regionali dei singoli Stati. “Per comprendere questo fenomeno - conclude Ahmed - occorre perciò abbandonare l’approccio ‘dall’alto verso il basso’. Bisogna invece prestare maggior attenzione alla loro partecipazione alla vita politica locale per poter conoscere il peso reale dei voti dei musulmani alle elezioni del 2014”. LOOKOUT 4 - aprile 2014 57 Tu gestisci il core business, noi pensiamo al resto. Specializzata nella progettazione e gestione di servizi di Facility Management per la conduzione delle attività no core delle aziende, MANITAL è in grado di operare su tutta la penisola con la forza di centinaia di aziende specializzate per settore di attività e per aree di intervento. Si rivolge alla Pubblica Amministrazione, ai Gruppi Industriali, alle medie imprese appartenenti ai diversi settori di attività. Un mix di professionalità e flessibilità al servizio del cliente. Il vosTro Facility Partner raSSegna Stampa internazionale americhe media Watch La inseguridad genera el desplazamiento forzado en cinco departamentos Migrazioni forzate in Centro America di Rosa Morazán, giornalista di Departamento 19 I Dall’articolo apparso su Departamento 19 il 31 marzo 2014 l narcotraffico, la criminalità organizzata e le maras (gang) sono all’origine della scelta di molti cittadini dei Paesi centroamericani di emigrare in Nord America. La giornalista Rosa Morazán del quotidiano on line honduregno Departamento 19, afferma che “negli ultimi tre anni c’è stato un aumento di richiedenti asilo negli Stati Uniti e in Canada da parte di rifugiati che arrivano soprattutto da El Salvador, Guatemala e Honduras”. Gli ultimi dati indicano che “8.153 rifugiati sono salvadoregni di origine, 5.369 provengono dal Guatemala e 2.607 da Honduras”. Ad oggi gli USA hanno accolto il 65% delle richieste, mentre il Canada il 17%. “L’UNHCR (Agenzia delle Nazioni Unite per i Rifugiati) e altre istituzioni - spiega l’autrice dell’articolo - studiano le cause e gli effetti di queste migrazioni forzate, che però, nonostante questi numeri, non sono ancora diventate una priorità da affrontare per i governi del Centro America”. Paola Bolognesi, ricercatrice dell’UNHCR in Honduras intervistata sul tema, afferma che “ci sono casi di agricoltori costretti ad abbandonare il Paese a causa dei crimini e delle pressioni esercitate dai narcos, i quali spesso costringono con la forza i contadini a consegnare le loro terre per utilizzarle talvolta come piste di atterraggio clandestine”. Tra i Paesi interessati da questo fenomeno, l’Honduras è l’unico ad aver creato una commissione ad hoc, la Comisión Interinstitucional para la Protección de las Personas Desplazadas por la Violencia (CICEST). LOOKOUT 4 - aprile 2014 59 raSSegna Stampa internazionale oceania media Watch Finding just one bit is vital clue Volo 370 Malaysia Airlines: indizi cercasi di Geoffrey Thomas, Aviation Editor per The West Australian “ Dall’articolo apparso su The West Australian il 2 aprile 2014 I n un mondo ipertecnologico, in cui ogni nostra mossa sembra poter essere rintracciata, è impossibile credere al fatto che un aereo possa semplicemente sparire”. A parlare è Tony Tyler, direttore generale della International Air Transport Association (IATA), organizzazione internazionale che conta oggi l’adesione di 240 compagnie aeree di ogni parte del mondo. La sua dichiarazione è ripresa sul West Australian del 2 aprile in un articolo firmato dall’esperto di aviazione Geoffrey Thomas. Si parla, ovviamente, del volo fantasma 370 della Malaysia Airlines, partito da Kuala Lumpur l’8 marzo con 239 persone a bordo e sparito dai radar poco prima di entrare nello spazio aereo del Vietnam. In queste settimane sono state effettuate indagini su tutte le persone a bordo, compresi i 12 membri dell’equipaggio, il personale di terra e gli ingegneri di volo. Si è parlato di dirottamento, di sabotaggio dell’aereo, di possibili colluttazioni durante il volo, è stato anche ispezionato il cibo servito a bordo. L’Australian Maritime Safety Authority - spiega Thomas - ha spostato le ricerche 1.500 chilometri a nordovest di Perth. Nell’area ci sono nove navi, dieci aerei e un sottomarino britannico. “Ma secondo Charitha Pattiaratchi, uno dei più autorevoli oceanografi a livello mondiale - spiega Thomas - basterebbe anche solo un pezzo di detrito dell’aereo per permettere alle squadre di ricercatori di arrivare al punto di impatto. Il problema però è che il professore dice anche che conosciamo più della superficie della Luna che dei fondali di questo tratto di oceano”. LOOKOUT 4 - aprile 2014 61 Places Immagini dai luoghi meno conosciuti al mondo 62 LOOKOUT 4 - aprile 2014 ablain-Saint-nazaire, Francia Veduta aerea di Notre Dame de Lorette, Cimitero Militare francese dei caduti della Prima Guerra Mondiale. charlestown, Stati uniti La turbina eolica del Massachusetts Water Resources Authority genera fino a 1.951 megawatt di energia da combustibili fossili vegetali. brasilia, brasile Il Planalto Palace è la sede ufficiale della Presidenza della Repubblica, costruito nel 1960 da Oscar Niemeyer. hanoi, Vietnam Operaie lavorano fili elettrici nel villaggio di Quan Do. Tutta la zona è nota per il riciclo di numerosi materiali scartati dal resto del mondo. odisha, india Devoti Hindu si ammassano l’uno sull’altro per celebrare il “Danda” festival nel villaggio di Kulagarh, distretto di Ganjam. caracas, Venezuela Una famiglia osserva il panorama dal 30esimo piano della “Torre di David”, costruzione abbandonata dopo la morte del suo promotore, David Brillembourg. economia ruSSia Il peso dell’economia di Mosca euraSia Tutte le economie ai confini della Russia iran L’emergenza di un Paese ancora troppo isolato Il peso di Mosca 64 LOOKOUT 4 - aprile 2014 economia Quanto, come e perché l’economia della Federazione Russa cresce e domina i mercati eurasiatici, e come mai Mosca non tende alla diversificazione del mercato ruSSia | di Ottorino Restelli N el 2012, mentre l’Europa pativa i rovesci provocati dalle politiche economiche prodotte dalle tesi dell’austerità espansiva e il PIL segnava in media -0,9% nell’area euro (ben 17 Paesi) e -0,6% nell’Unione Europea (28 Paesi), la Russia vedeva crescere il proprio PIL del 3,4%, mentre l’inflazione si attestava al 5,1%. Nel 2013 il PIL russo cresceva invece dell’1,5%, in conseguenza del permanere della scarsa domanda dall’UE - rilevante partner commerciale della Federazione Russa - e della caduta della domanda e del prezzo del petrolio (il prezzo del greggio degli Urali ha segnato -3% in un anno). La domanda interna, investimenti e consumi, rimaneva moderata e solo nel 2012 tornava ai livelli precedenti la crisi dei mutui sub-prime (2009). La causa della modesta crescita del PIL russo, dopo anni di vero e proprio boom, è da imputare alla caduta degli investimenti, che nel primo trimestre 2013 ammontavano allo 0,1% a fronte di un +15,5% dello stesso trimestre 2012 (con un contributo alla crescita nullo, rispetto al +2,1% del 2012), in conseguenza del completamento dei programmi per la costruzione delle grandi infrastrutture e degli impianti per le Olimpiadi invernali di Sochi. Va comunque registrato che, nonostante la bassa domanda interna, le imprese producono circa l’80% della propria capacità, mentre il tasso di disoccupazione è al 5,4%. In queste condizioni, afferma la Banca Mondiale, interventi di politica economica volti a stimolare la crescita potrebbero scontrarsi con strozzature dal lato dell’offerta e quindi accrescere le tensioni inflazionistiche e spingere l’aumento dei prezzi oltre il 5% atteso dalla Banca Centrale Russa per il 2014 (il tasso d’inflazione è stato del 6,8% nel 2013). Le tensioni inflazionistiche potrebbero, LOOKOUT 4 - aprile 2014 65 economia FOCUS Italia e Russia, partner ideali L’Italia, come detto più volte, presenta un livello di outsourcing e di offshoring nell’industria manifatturiera simile a quello della Germania. Tuttavia le catene della formazione del valore mostrano che la Germania commercia beni con oltre il 30% del valore aggiunto prodotto all’estero, mentre per l’Italia la quota scende al 20%. Ciò ha fatto sì che nel periodo 1999-2012 il valore aggiunto della produzione manifatturiera rispetto al totale dell’economia sia sceso del 6,3% per l’Italia, ma sia cresciuto dello 0,7% per la Germania. Rispetto all’utilizzo tedesco dei Paesi con lavoro a basso costo dell’area mitteleuropea per la sua catena del valore, l’Italia ha risposto con delocalizzazioni (Romania, Albania, etc.) che non hanno saputo reggere il confronto. Dall’analisi delle sue caratteristiche produttive, la Russia si candida dunque a partner complementare ideale per le piccole e medie imprese italiane (PMI). La grande capacità d’innovazione delle imprese di casa nostra troverebbe il giusto complemento (energia, infrastrutture, manodopera, etc.) in Russia e le PMI potrebbero rappresentare il grimaldello con cui forzare le barriere che impediscono lo sviluppo moderno e diversificato dell’economia russa. La Russia potrebbe rappresentare per le PMI anche un formidabile hub da cui accedere non solo al mercato della Federazione, ma a tutti i mercati asiatici e dell’est Europa, in condizione di vantaggio comparato, questa volta rispetto alle imprese tedesche e polacche. 66 LOOKOUT 4 - aprile 2014 inoltre, essere ulteriormente alimen- delle imprese straniere in settori mertate anche dalla svalutazione del rublo ceologici rilevanti (auto, alimentare, in conseguenza della crisi ucraina (-10% assicurazioni), l’economia russa contirispetto a dollaro ed euro nei primi nua a essere dominata dalle grandi imprese e da veri e propri monopoli tre mesi e mezzo del 2014). La Russia presenta una forte fuoriu- grandi e vecchie imprese che produscita di capitali che, seppure a livelli cono in settori maturi e impiegano inferiori rispetto agli 81 miliardi di molti lavoratori - tanto che il 25% delle dollari del 2011, si è attestata a 63 mi- imprese produce il 94,7% del totale. Il liardi di dollari del 2013. Il deficit fe- tasso d’ingresso di nuove imprese, che derale è stato -0,5% del PIL nel 2013, testimonia il grado d’innovazione, si è ma le previsioni indicano un pareggio contratto nell’ultimo decennio e si coldi bilancio già nel 2014. La bilancia loca al 50% di quello osservato nel biencorrente pur in surplus, registra un nio 1998-1999. Le barriere all’entrata trend decrescente: 97 miliardi nel 2011 (5,1% del PIL), 75 miliardi di dollari nel 2012 (3,7% del PIL) e, si stima, 33 miliardi di dollari nel 2013. La Russia, come noto, è un’economia che dipende in modo determiRegioni diversificate tra loro nante dalle risorse naturali, in partico(Tula, Kaluga, Leningrad, Vladimir lare idrocarburi. Nonostante i massice Tver) convivono con regioni ci investimenti nello sviluppo delle inpiù specializzate come Tyva, dustrie high-tech, oggi solo il 20% dei Ingushetia, Daghestan e il distretto manufatti esportati ha un alto conteautonomo di Yamalo-Nenets. nuto tecnologico. L’econoRecenti indagini mostrano che mia della Federazione a livello generale (83 regioni), Russa nel terzo manuna maggiore Le piccole diversificazione nella dato del presidente e medie imprese produzione tende ad Vladimir Putin è contribuiscono per il accrescere la produzione ancor meno divere l’occupazione. sificata di quanto L’innovazione non lo fosse l’ecotecnologica è nomia dell’Unione concentrata nella Silicon Sovietica. La dipendel totale del PIL Taiga (la regione siberiana denza dal petrolio e di Novosibirsk con il centro nazionale dal gas è progressivaAkademgorok e della State University) e nei 64 parchi mente cresciuta fino a ragtecnologici (in 35 regioni), giungere, nel 2012, il 70% del che il governo ha sovvenzionato valore delle esportazioni (vedi figure 1 a partire dal 2007. In strutture e 2). Il petrolio e il gas contribuiscono come lo Skolkovo Hub, sono al 50% del bilancio federale, tanto che apparse numerose imprese ad il deficit del bilancio federale al netto alta tecnologia: IT, bioingegneria, del contributo degli idrocarburi è tecnologie laser, strumenti di dell’11%, mentre il prezzo minimo a precisione, tecnologie medicali, nuovi materiali, software, cui dovrebbe essere venduto un barile tecnologie nucleari e spaziali, di petrolio per garantire il pareggio etc. Tuttavia, la Russia continua del bilancio statale è pari a 115 dollari a essere un Paese in cui (Banca Europea Ricostruzione e Svil’innovazione tende a essere luppo, 2012). scarsa (71 posto su 142 nel mondo, Nonostante l’ingresso nell’Organizsecondo il World Economic Forum), zazione Mondiale del Commercio a fronte di una spesa in Ricerca (WTO) nell’agosto del 2012 e l’arrivo e Sviluppo dell’1% del PIL. I grandi distretti tecnologici russi 17% economia Percentuale di tutte le esportazioni russe Altre esportazioni 80% 60% Gas 50% 40% 30% Petrolio 20% 10% 2012 2011 2010 2009 2008 2007 2004 2003 2002 2001 2000 1999 0 Fonte: United Mation, Comtrade Struttura delle esportazioni dollari americani per barile 100% 120 90% Minerali Chimici 100 80% 70% 80 60% 50% 60 Metalli e pietre preziose Legno, cellulosa e carta Tessili e cuoio 40% 30% 20% 40 Macchinari e attrezzature 20 Prezzo medio del petrolio 0 Cibo 10% 0 1995 1996 1997 1998 1999 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008 2009 2010 2011 (amministrative, economiche etc.) rendono, infatti, molto difficile la creazione di piccole e medie imprese, limitando così al 17% il loro contributo al PIL nazionale. Un elevato livello di dipendenza dall’esportazione di risorse naturali e una scarsa diversificazione produttiva accrescono la volatilità della produzione ben oltre la naturale ciclicità economica e ciò scoraggia gli investimenti privati. Inoltre, la crescita del valore del rublo e della domanda nei settori non di mercato (servizi e costruzioni), hanno determinato negli scorsi anni rilevanti distorsioni nel mercato del lavoro e perdita di competitività nei settori di mercato, che hanno ulteriormente depresso la diversificazione produttiva (il fenomeno è conosciuto come Dutch Disease o Male Olandese). Tutto ciò fa sì che nel 2010 la Russia abbia avuto un vantaggio comparato in soli 103 prodotti, sui 1.242 individuati dalla Standard International Trade Classification, in flessione rispetto ai 143 del 1996 (nello stesso anno la Cina aveva un vantaggio competitivo in 513 prodotti, rispetto ai 479 del 1996) e facendo sì che solo il 3% delle imprese russe esportasse, contro il 15% delle imprese americane e il 17% di quelle francesi (World Bank, 2012). Il “Male Olandese” 70% 2006 Oggi l’economia russa è meno diversificata che in epoca sovietica 90% 2005 urSS 100% Altro Fonte: Rosstat and IMF, International Financial Statistics Prodotti esportati dalla Russia CEREALI PETROLIO Esportazioni mensili Principali destinazioni di esportazione di greggio russo nel 2012 Milioni di tonnellate Barili al giorno 4.0 Germania 680,000 3.5 3.0 Paesi Bassi 550,000 2.5 2.0 Cina 480,000 Polonia 470,000 1.5 1.0 0.5 Bielorussia 0.0 2011 2012 420,000 Dutch Disease o Male Olandese, è un nome coniato dall’Economist nel 1977 per rappresentare il processo di de-industrializzazione che ha colpito l’Olanda dopo la scoperta e messa a coltivazione dei giacimenti di gas di Slochteren (Mare del Nord). Per “male olandese” s’intende l’impatto negativo che l’ingente afflusso di moneta estera, conseguente alla scoperta d’ingenti giacimenti di risorse naturali, provoca sulla moneta nazionale (rivalutazione). La rivalutazione produce un aumento dei prezzi e dei salari e, quindi, una perdita di competitività dei beni prodotti e una caduta delle esportazioni. Negli anni Settanta, la scoperta del petrolio nel Mare del Nord al largo delle coste scozzesi fece sì che la sterlina si rivalutasse, i salari crescessero, le esportazioni si riducessero e il Regno Unito precipitasse in una recessione di lunga durata. 2013 Fonte: Thomson Reuters Datastream; Agrokhleb; U.S. Energy Information Administration LOOKOUT 4 - aprile 2014 67 economia Non gasiamoci troppo euraSia | zerbaijan, Bielorussia, Cecenia, Georgia, Turkmenistan, Kazakhstan, Mongolia, Uzbekistan. Sono solo alcuni dei pezzi che vanno a comporre l’agitato puzzle dell’immenso spazio post-sovietico ai A 68 LOOKOUT 4 - aprile 2014 bordi della grande madre Russia. Un mix di etnie, culture e religioni, in molti casi ancora in cerca di stabile collocazione a poco più di vent’anni dalla disgregazione dell’URSS. Ai margini di questo scenario continuano ad ardere sentimenti separatisti, specie nel Caucaso, dove si gioca una delle più importanti partite energetiche del pianeta. economia azerbaiJan L’ Azerbaijan oggi è forse lo Stato geo-strategicamente più rilevante del Caucaso, anche grazie ai cambiamenti politici ed economici in atto in Europa e Asia. La presenza di grandi giacimenti petroliferi ha garantito una crescita costante che ha sostenuto il governo autoritario e quasi “dinastico” della famiglia Aliyev, con Heydar prima e il figlio Ilham poi, succeduto al padre nel 2003 e oggi al suo terzo mandato. Corruzione, brogli elettorali e repressione non hanno impedito ai governi occidentali di mantenere buone relazioni diplomatiche con Baku: in previsione di un declino della produzione e dell’esportazione di petrolio, il Paese ha recentemente concentrato la propria politica economica sullo sfruttamento degli enormi giacimenti di gas del Mar Caspio, dei quali il più noto per dimensioni e potenziale (le ultime stime parlano di 1,7 trilioni di metri cubi) è quello di Shah Deniz. Di quel consorzio fanno parte società britanniche, iraniane norvegesi, francesi, russe e turche, oltre alla compagnia di Stato SOCAR. Inoltre, il consorzio di Shah Deniz è da poco entrato a far parte del progetto di rete di gasdotti, denominato “Corridoio Meridionale”, fortemente voluto dall’Unione Europea per porre un freno alla dipendenza energetica dalla Russia. I giacimenti e il possesso di una quota della rete viaria del gas, che un giorno potrebbe connettere l’Europa all’Asia arrivando fino al Turkmenistan, consentiranno all’Azerbaijan di godere ancora di un tasso di crescita sostenuto per molto tempo, ma anche di incrementare la propria influenza negli equilibri politici regionali. Azerbaijan pipelines Mar Nero Batumi GEORGIA TURKEY Erzurum Gasdotti Oleodotti Tbilisi ARMENIA Yerevan turKmeniStan C on il 4,3% delle risorse mondiali di gas situate sul suo territorio, tra cui il secondo giacimento Nagorno più vasto del pianeta, il Karabakh Turkmenistan è lo Stato più corteggiaGoverno autonomo to dell’Asia nell’era della corsa all’oro autoproclamatosi blu. Russia e Cina sono tra i maggiori rivendicato partner commerciali, ma anche Iran e dall’Azerbaigian Stati Uniti sono presenti con varie attività. Inoltre, in fila per la conclusione di accordi con Ašgabat ci sono: Unione Europea, Ucraina, Giappone, Pakistan e India. Ucraina e UE, in particolare, stanno cercando di affrancarsi dal gas russo della Gazprom e dal regime di monopolio dei prezzi che la compagnia moscovita è in grado di imporre al continente grazie al controllo della rete di gasdotti che dall’Asia arriva all’Europa. Il gas turkmeno, molto meno costoTurkmenistan Gurbanguly so di quello russo, attualmente transiBerdimuhammedow ta solo attraverso la rete di gasdotti governa controllata da Mosca. Per questo motiuna Repubblica vo, l’UE sta spingendo per una ripresa Presidenziale del gasdotto Trans-Caspio, un progetmonopartitica to del 1999 che dal Turkmenistan (e forse Kazakhstan) doveva portare il gas in Europa centrale, bypassando Russia e Iran. L’opposizione di questi ultimi e l’influenza di Mosca su Ašgabat e Astana (capitale kazaka) ha imMar Caspio RUSSIA pedito fino ad ora un impegno reale sul progetto da parte delle autorità turkmene, ma i recenti sviluppi dei gasdotti Trans-Anatolico e Trans-AdriatiBaku co, inducono molti a ritenere che in futuro le resistenze del Turkmenistan possano essere superate e che una raAZERBAIJAN mificazione del cosiddetto “Corridoio Meridionale” possa collegare anche Nagornoquesto Paese. Karabakh Tabriz IRAN 100 km PER SAPERNE DI PIÙ WWW.LOOKOUTNEWS.IT/PAESE/TURKMENISTAN Fonte: World Energy Atlas LOOKOUT 4 - aprile 2014 69 economia Il più fedele degli alleati Paesi Baltici I bieloruSSia I n piena crisi ucraina, non sorprendono i movimenti di arsenale militare russo a mo’ di avvertimento in territorio bielorusso, ultimo vero e proprio satellite dell’ex impero sovietico nell’Europa dell’Est (a un passo da Kiev). Questo territorio, il cui processo di russificazione risale al XVIII secolo, è assente da ogni traiettoria comunitaria dell’Unione Europea, è immune dalle spinte europeiste che invece pervadono alcuni suoi vicini ed è sempre rimasto strettamente ancorato alla grande Madre Russia. Convinzione ideologica o mero calcolo economico? Piuttosto, una necessità strutturale. Di certo, il suo uomo forte, Aleksandr Lukašenko, presidente bielorusso dal 1994, ci ha messo del suo: schiacciando sul nascere ogni dissenso con un governo autoritario e centralizzato, uniformando l’economia nell’immediato post-Unione Sovietica, osteggiando qualsiasi privatizzazione d’imprese statali e tenendo lontani i grandi investitori stranieri. Per via dell’eredità industriale sovietica, la Bielorussia è rimasta fortemente dipendente dalle altre economie della Comunità degli Stati indipendenti (CSI), Russia in primis, che resta il suo maggior partner commerciale. Con un apparato industriale ormai datato, incapace di provvedere alle necessità energetiche interne con le sue modeste riserve di greggio, la capitale Minks resta dipendente dai sussidi energetici di 70 LOOKOUT 4 - aprile 2014 Gazprom (il colosso russo degli idrocarburi) e dall’accesso preferenziale a quel mercato. Durante la crisi finanziaria del 2011, che ha portato a una svalutazione senza precedenti del rublo bielorusso, Minsk è stata costretta a vendere le sue quote di proprietà della Beltransgaz a Gazprom, in cambio di prestiti e sussidi energetici per risollevarsi dalla crisi. A cementare i già stretti rapporti, nel 1999 Mosca e Minsk hanno dato vita all’Unione Russia-Bielorussia, un’entità sovranazionale e intergovernativa di integrazione politica ed economica che, con il tempo e diversi trattati, si è estesa anche alla cooperazione militare: a gennaio 2014, tanto per dire, il budget allocato dall’Unione per esercitazioni militari congiunte, industria bellica e progetti di sicurezza, è stato pari a 91,5 milioni di dollari. Pur non immune da saltuarie crisi diplomatiche nel 2010 e 2013 Gazprom ha sospeso temporaneamente i sussidi a Minsk l’intesa è andata ulteriormente rinsaldandosi, grazie alla creazione di un’unione doganale tra Russia, Bielorussia e Kazakhstan (2010), che Putin vorrebbe adesso estendere a “Unione Eurasiatica” con l’inclusione di Armenia, Kyrgyzstan e Tajikistan. Crisi ucraina permettendo. (M.P.) Il dolce paesaggio pianeggiante delle repubbliche che affacciano sul Mar baltico - Lituania, Lettonia e Estonia - è abitato in totale da meno di 7 milioni di abitanti, di cui la metà risiede in Lituania. Ricche realtà durante l’URSS, la flessione economica ha colpito le cosiddette “Tigri del Baltico” nella seconda metà degli anni zero, per poi risollevarsi grazie al recente boom edilizio e bancario, seguito a un periodo di severa austerity. Le stime per le tre Tigri - che sono nell’UE dal 2004 - indicano un Pil atteso intorno al 3%. L’Estonia è oggi il Paese più performante dei tre, dopo l’ingresso nell’area euro del 2011. Dal 1 gennaio 2014, anche la Lettonia è entrata nel club della moneta unica, mentre la Lituania dovrebbe fare il suo ingresso tra il 2015 e il 2017. Alexander Lukashenko È in carica come presidente dal 20 luglio 1994 I due presidenti Aleksandr Lukashenko e Vladimir Putin fanno “gioco di squadra” economia KazaKhStan I “stan” Il suffisso in lingua persiana significa “luogo di” l Kazakhstan gode di una crescita sostenuta che ha registrato un +6% nel 2013, ma la sua economia è fortemente dipendente dall’industria estrattiva e dal petrolio, del quale è uno dei maggiori esportatori in Asia e nel resto del mondo. Nonostante le autorità di Astana abbiano messo a punto una politica di diversificazione delle risorse e una modernizzazione delle infrastrutture, di cui il Paese ha urgentemente bisogno, la crescita continua a essere sostenuta quasi esclusivamente dallo sfruttamento delle risorse energetiche. Del resto, il Kazakhstan dispone del più grande giacimento di petrolio scoperto negli ultimi trent’anni, quello di Kashagan, nel Mar Caspio settentrionale, del cui consorzio fa parte anche l’ENI (con una quota del 16,81%). Tuttavia, le sue potenzialità non sono ancora state sviluppate a causa delle difficili condizioni ambientali e il progetto, che prevedeva l’inizio della produzione lo scorso settembre, ha subìto una serie di interruzioni per problemi tecnici. I continui ritardi e incidenti hanno così fatto lievitare i costi del progetto con ingenti perdite sia per le compagnie petrolifere coinvolte sia per il Kazakhstan stesso, sul quale adesso pesano i mancati introiti. Una ricchezza a portata di mano, dunque, ma ancora irraggiungibile. uzbeKiStan S ono gas, cotone e oro il patrimonio personale del settantaseienne presidente Islom Karimov, a capo dell’Uzbekistan dal 1990, prima ancora che diventasse una repubblica indipendente nel 1991. Il sistema produttivo del Paese risente infatti dell’eredità sovietica ed è ancora fortemente statalizzato. E, come spesso avviene, al controllo in campo economico corrisponde una più ampia repressione in ambito politico, motivo per cui l’Uzbekistan condivide regolarmente con la Corea del Nord gli ultimi posti delle classifiche mondiali per quanto riguarda democrazia e libertà di stampa (mentre è al top per corruzione). Ma Greggio russo in Cina c’è l’altra faccia della medaglia: un PIL in crescita a un ritmo del 7% l’anDopo aver introdotto il greggio siberiano nel mercato asiatico alcuni anni fa attraverso la mega pipeline diretta verso est, la Russia si sta impossessando di una grossa fetta no, cui contribuiscono principalmendel mercato energetico e sta vendendo direttamente alla Cina te le esportazioni di gas naturale, di cui bpd = barrel per day Giacimenti petroliferi siberiani l’Uzbekistan è il se(barili di greggio al giorno) RUSSIA condo produttore dell’area centro-asiatica, Gasdotto ESPO Fase1 Gasdotto Russia-Kazakhstan dopo la Russia, con 1 milione bpd 140.000 bpd circa 60 miliardi di Giacimento Gasdotto ESPO Fase 2 metri cubi l’anno. Di Omsk petrolifero 600.000 bpd Taishet questi, 15 miliardi arSkovorodino di Aktobe rivano sul mercato Pavlodar Komsomolsk Gasdotto Russia-Cina degli “stan” limitrofi e Astana Giacimento petrolifero 300.000 bpd soprattutto della Cidi Kumkol (600.000 bpd nel 2018) na, segno che dalla Atasu Atyrau Daqing Alashankou bottom ten alla top twenKhabarovsk MONGOLIA Giacimento K A Z A K H S T A N ty mondiale il passo petrolifero Shymkent può essere molto, Kozmino di Kashagan molto breve. (D.S.) Pechino Giacimenti petroliferi Tianjin Mar Caspio 500 miles 500 km Fonte: World Energy Atlas; Reuters Gasdotto Kazakhstan-Cina 400.000 bpd Seoul GIAPPONE COREA DEL SUD Tokyo CINA Gasdotto petrolifero PER SAPERNE DI PIÙ WWW.LOOKOUTNEWS.IT/PAESE/UZBEKISTAN LOOKOUT 4 - aprile 2014 71 economia Un’economia che fila Tra i Paesi a più alto tasso di crescita al mondo, potrebbe raddoppiare il PIL nazionale nel medio-lungo periodo. Ma dipende ancora moltissimo da Mosca mongolia Cashmere Oltre alla Mongolia, i produttori più importanti sono Iran, Tibet e Afghanistan 72 I n seguito alla caduta del Muro di Berlino, la Mongolia è passata da un’economia pianificata sotto il regime comunista a un’economia improntata al libero mercato. Tale cambiamento non è avvenuto senza criticità e, negli anni Novanta, la povertà è aumentata esponenzialmente a causa della cessazione degli aiuti statali e dell’accesso gratuito a diversi servizi, tra cui l’istruzione. Oggi l’economia mongola si regge su due pilastri: le attività agricolo-pastorali, che rappresentano il 15% del PIL e di cui si curano per lo più i nomadi (che costituiscono il 40% della popolazione); e l’industria estrattiva, che si è sviluppata soprattutto negli ultimi anni. La Mongolia, infatti, oltre al petrolio (ancora scarsamente sfruttato) possiede non trascurabili risorse minerali: carbone, rame, oro, argento, ferro e uranio, cui la Russia è particolarmente interessata. Se questo settore ha garantito una crescita economica pari al 17% negli ultimi due anni, anche l’industria tessile ha contribuito alla crescita dell’economia: la Mongolia è diventata così il terzo produttore di cashmere al mondo, con una quota sul totale mondiale del 30% (non è un caso che l’Italia stia incrementando le relazioni commerciali tra i due Paesi proprio in questo settore). LOOKOUT 4 - aprile 2014 Incuneata tra Cina e Russia, è proprio grazie a questi due partner commerciali giganti che la Mongolia è oggi tra i Paesi a più alto tasso di crescita al mondo e con la prospettiva di un raddoppio del PIL nel lungo periodo (oggi pari a 10,26 miliardi di euro). Di converso, il punto di debolezza del Paese è proprio l’eccessiva dipendenza energetica dalla Russia, il che la rende vulnerabile alle variazioni del prezzo degli idrocarburi. Provenendo il 95% dei ricavati dal petrolio di Mosca, i rapporti bilaterali dei due Paesi e, inevitabilmente, la dipendenza mongola - sconfinano anche negli altri settori. In primis quello estrattivo, dove negli ultimi anni Ulan Bator ha siglato con Mosca accordi per oltre 7 miliardi di dollari. Mosca si è offerta anche di espandere la rete ferroviaria (la famosa Transiberiana) in cambio delle licenze per lo sfruttamento delle miniere di rame e carbone. Ciò nonostante, la Mongolia ha tentato di diversificare la propria economia e non si è fermata ai confini, consolidando i rapporti commerciali anche con Giappone, Canada, Australia e Stati Uniti. Allo scopo di aumentare gli investimenti esteri, ad esempio, il Parlamento mongolo ha oggi una legge che regola i diritti degli investitori stranieri e li vincola a investire in qualsiasi settore dove non sia vietato dalla legislazione, a registrare imprese e a rimpatriare gli utili degli investimenti, equiparando tutto ciò alla tutela giuridica dei cittadini mongoli. Inoltre, secondo tale legislazione, gli investimenti non possono essere oggetto di espropriazione o nazionalizzazione. economia cecenia Il nuovo corso georgiano georgia D Guerra alla dichiarazione di indipendenza dalla Russia nel 1991, la Repubblica di Cecenia continua a essere ostaggio delle spinte separatiste dei gruppi islamisti del Caucaso settentrionale e dei traffici illeciti dei signori della guerra locali. Dal 2007 al potere c’è il primo ministro Ramzan Kadyrov: un passato da leader paramilitare, un presente da dittatore e una passione per il calcio (è presidente della squadra Terek Groznyj). Il tesoro che possiede si chiama petrolio. I giacimenti sono concentrati principalmente nel distretto della capitale Grozny e producono giornalmente circa 4mila tonnellate di greggio. Ciò che però interessa di più a Mosca, che di fatto controlla militarmente buona parte del territorio ceceno, è tutelare due dei suoi oleodotti più strategici, quelli che collegano le riserve del Mar Caspio al terminal di Novorossisk sul Mar Nero. Senza dimenticare le importanti linee stradali e ferroviarie che attraversano la Cecenia e che permettono al commercio russo di raggiungere i mercati dell’Europa dell’Est. C’è poi il sogno del premier Kadyrov, che vuole fare di Grozny una moderna metropoli. Il boom edilizio degli ultimi anni ha prodotto un grande impianto sciistico e una schiera di alberghi a cinque stelle. Difficile però che nel breve periodo il turismo possa diventare una nuova risorsa per l’economia del Paese. Nell’agosto del el 2006 viene inaugurato l’oleodotto Baku-Tbi2008 le truppe lisi-Ceyhan: otto pipeline che si diramano per russe hanno quasi 1.800 chilometri trasportando fino a un invaso la città milione di barili di petrolio al giorno dal terdi Gori, a 90 km minal azero di Sangachal, sul Mar Caspio, alle dalla capitale Tblisi coste mediterranee della Turchia. È lungo queste tubature che si è giocata una delle sfide energetiche più importanti degli ultimi anni. Da una parte il blocco occidentale, titolare dell’oleodotto con in testa la britannica Sono ben British Petroleum. Dall’altra Mosca, che per scongiurare il sorpasso sul suo oleodotto, il BakuNovorossijsk, nell’agosto del 2008 ha approfittato dell’ennesimo scontro tra il governo georgiano, allora guidato dal presidente filoccidentale Mikheil Saakashvili, e la regione secessionista dell’Ossezia del Sud. In cinque giorni, le imprese attive le truppe russe hanno così occupato la città di nel Paese Gori, a soli 90 chilometri dalla capitale Tblisi, tracciando una linea rossa oltre la quale gli interessi strategici occidentali non si sarebbero più potuti spingere. A sei anni di distanza, la Georgia prova a mettersi alle spalle quel disastroso conflitto, che ha lasciato in eredità un elevato tasso di disoccupazione, un disagio sociale diffu1991-1996 so e un sistema politico in larga parte corrotto, senza peral1999-2009 tro riuscire a contenere le spinte secessioniste non solo delLe due guerre l’Ossezia del Sud ma anche dell’Abkhazia. di Cecenia Eppure negli ultimi anni la ripresa economica c’è stata. Le aziende attive nel Paese sono circa 60mila (per lo più piccole e medie imprese), anche se per molte di esse rimangono difficoltà ad accedere al credito, a reperire professionalità specializzate e a superare i vincoli del regime fiscale in vigore. Chi era Le elezioni dell’ottobre 2013 sono state vinte dalla coalizioDoku Umarov ne Georgian Dreams, di cui fanno parte il presidente Giorgi Il 18 marzo Kavkaz Center, il sito di Margvelashvili e il premier Irakli Garibashvili, anche se in realriferimento dei militanti islamisti della Russia, tà la regia del nuovo corso georgiano è diretta dal potente miha lanciato la notizia della morte di Doku Umarov, liardario Bidzina Ivanishvili. L’obiettivo è stringere i tempi per leader del gruppo terroristico Emirato del Caucaso, firmare al più presto l’accordo di associazione con l’Unione ricercato anche da Stati Uniti e ONU. Europea, che porterebbe nel lungo periodo a un aumento di A ucciderlo sono stati i servizi segreti russi: PIL (+4,3%), esportazioni (+12,4%) e importazioni (+7,5%) e l’FSB ha infatti resi noti i risultati di 33 operazioni a una diminuzione dei prezzi al consumo (0,6%). Badando ovdi controterrorismo, che hanno portato viamente a migliorare i rapporti con Mosca: un vicino troppo all’eliminazione di 13 signori della guerra e 65 terroristi, tra cui appunto il “Bin Laden di Russia” ingombrante di cui Tblisi non può non tenere conto. (R.B.) N 60 mila LOOKOUT 4 - aprile 2014 73 economia Con gli occhi dell’Oriente 74 LOOKOUT 4 - aprile 2014 economia Senza un accordo con uSa e unione europea, il destino del Paese è segnato: le crescenti difficoltà economiche non consentono più neanche l’accesso alle cure sanitarie iran | di Ottorino Restelli L’ elezione di Hassan Rouhani a settimo presidente dell’Iran nel giugno 2013 ha coinciso con un’evoluzione della strategia della Repubblica Islamica. Da una parte, sono proseguite le esecuzioni degli oppositori (come nel caso del poeta pacifista Hashem Sabaani, arabo-iraniano di Ahwaz e veterano della guerra contro l’Iraq), la condanna degli intellettuali e riformisti (come l’attrice e blogger Pegah Ahangarani, condannata a 18 mesi di reclusione), gli arresti domiciliari (come per Hussein Moussavi e Mehdi Kharroubi) e la chiusura di giornali (come il Bahar daily). Dall’altra, si è avviato un rilancio dei negoziati sul nucleare (Joint Plan Act, novembre 2013), culminati nell’accordo quadro annunciato a Vienna lo scorso febbraio tra il gruppo P5+1 - dove siedono Cina, Gran Bretagna, Francia, Russia, Stati Uniti e Germania - e il ministro degli Esteri iraniano, Javad Zarif, che prevede controlli in cambio di allentamento e revoca delle sanzioni. I commentatori attribuiscono questo cambio di strategia all’azione delle sanzioni economiche che stanno stritolando l’economia di Teheran. Ma quali sono state le conseguenze economiche rial La moneta iraniana ha perso il 50% del proprio valore solo nel 2013 dell’embargo sull’economia iraniana? Nel 2013 l’allora ministro dell’Economia, Shamseddin Hussein, affermava che le entrate petrolifere della Repubblica Islamica erano diminuite del 50%, portando a 77 miliardi di dollari tale quota per il 2012. In una energy-economy dove il petrolio costituisce l’80% delle esportazioni e il 60% delle entrate statali, la caduta delle esportazioni scese a 1 milione di barili al giorno, soprattutto verso Cina e India - ha avuto effetti devastanti sull’occupazione e sui prezzi. Così, il rial nel 2013 ha perso il 50% del proprio valore (37% il tasso d’inflazione ufficiale), mentre la disoccupazione generale ha superato il 12% e quella giovanile il 26%. A ciò si aggiunga che, durante le due presidenze Ahmadinejiad, il valore delle aree urbane era cresciuto di oltre l’80%, mentre quello delle abitazioni nelle aree medesime si era più che raddoppiato (+220%) e ancor di più era cresciuto il costo degli affitti (+250%), provocando nel settore delle costruzioni una vera e propria bolla dei prezzi, che si è poi tradotta in una scarsità di abitazioni accessibili. Nel 2007, il presidente stesso aveva lanciato il “Mehr Housing Plan”: un piano di edilizia popolare rivolto ai ceti meno abbienti, tradizionale serbatoio di consensi per la teocrazia sciita, che puntava alla costruzione di 1,5 milioni di abitazioni in 17 città iraniane e che aveva lo scopo di calmierare i prezzi e risolvere le tensioni abitative (per inciso, il governo voluto dal presidente Rouhani ha poi bloccato il conferimento di appartamenti a pasdaran e amministratori vicini ad Ahmadinejiad). In realtà, secondo il nuovo ministro dell’economia Ali Tayebnia, il “Mehr Housing Plan” è responsabile di aver alimentato le tensioni inflazionistiche e i gravi problemi di bilancio per la Repubblica. Secondo il rapporto Iran Sanctions pubblicato a gennaio 2014 dal Congressional Research Service degli Stati Uniti, le sanzioni hanno ridotto del 60% le vendite di petrolio, facendo scendere a 35 miliardi di dollari i ricavi da esportazioni di greggio nell’ultimo anno, rispetto ai 100 miliardi del 2011. Il PIL si è così ridotto del 5% nel 2013. La produzione auto, tanto per fare un esempio, si è ridotta del 40% rispetto al 2011: le imprese manifatturiere, quando non chiudono, hanno una larga sottoutilizzazione degli impianti e sono costrette a impiegare prodotti cinesi, spesso di mediocre qualità (come freni per le auto in amianto e vernici Il dizionario Nonostante le buone prospettive circa il dialogo avviato dalla Repubblica Islamica con gli USA e l’Occidente, Teheran non resiste alla tentazione di provocare il “Grande Satana”. Il presidente Rouhani ha infatti scelto come rappresentante iraniano al Palazzo di Vetro dell’ONU Hamid Aboutalebi, accusato di aver partecipato all’assalto del 4 novembre 1979 all’ambasciata Usa a Teheran, durante il quale furono tenuti prigionieri 52 diplomatici e funzionari americani per ben 444 giorni. LOOKOUT 4 - aprile 2014 75 economia tossiche), in base all’accordo del 2011 tale per cui il 40% del petrolio esportato in Cina viene pagato in yuan e speso in gran parte per l’acquisto di questi prodotti provenienti da Pechino. Inoltre, la crescente difficolta di assicurare i pagamenti cash degli stipendi ai dipendenti dello Stato e l’esplosione dell’inflazione (stimata tra il 50% e il 70%) hanno indotto il nuovo governo a rivedere il sistema di sussidi definito da Ahmadinejiad e a distribuire direttamente beni alimentari ai cittadini. Il programma di aiuti alimentari ha dapprima riguardato i cittadini con un reddito inferiore a 5 milioni di rial al mese (pari a 170 dollari), che ha interessato 4 milioni di persone su una popolazione di 77. Quindi, è stato esteso a oltre 17 milioni di iraniani. Per ricostituire le riserve della Banca Centrale dissanguate dall’embargo, l’Iran ha iniziato a rastrellare oro sui mercati e a esigere in oro anche il pagamento delle esportazioni, come nel caso del gas alla Turchia. Infine, per quanto riguarda il sistema sanitario nazionale, il rapporto pubblicato dal Global Research del Centre for Research Globalization (ottobre 2013) testimonia il verificarsi di un vero e proprio disastro sanitario. Non solo l’accesso ai più diffusi sistemi diagnostici - come radiografie, TAC, RM - risulta spesso compromesso, ma anche l’uso di esami di laboratorio e di anestetici si rivela quasi impossibile: basti pensare che l’assenza di kit di laboratorio costringe a inviare i campioni di sangue o urine in Turchia. La situazione è ancora peggiore per quanto riguarda i farmaci per la cura di patologie più complesse, come le malattie cardiovascolari e il cancro (ogni anno 85mila nuovi casi di cui 30mila mortali, in crescita per l’impossibilità di accedere a medicine e trattamenti adeguati e con un’età d’incidenza inferiore ai 30 anni). Il 20 marzo scorso, gli iraniani hanno festeggiato Nowruz (capodanno) in un clima di ristrettezze e disagio, quando non di vera e propria emergenza economica, con bazar semivuoti e vacanze rigorosamente in casa, nella speranza però che il nuovo corso delle relazioni internazionali, testimoniate dalla recenti visite a Teheran di parlamentari e ministri dell’Unione Europea, ripristini al più presto le condizioni di normalità e riavvii la crescita economica del Paese, stimata nelle attuali condizioni dalla Banca Mondiale in un insufficiente +1% nel 2014, +1,8% nel 2015 e +2% nel 2016. L’opinione degli americani Le relazioni diplomatiche tra gli Stati Uniti e l’Iran sono migliorate. Qual’è il suo giudizio? Gli USA fanno bene a promuovere le relazioni diplomatiche con l’Iran Gli USA dovrebbero essere più duri e aumentare le sanzioni 36% Non sa 28 37 A proposito del programma nucleare iraniano, pensa che lo scopo sia... 6 Pacifico (energetico) Militare (bombe nucleari) 63 Non sa 31 Per impedire all’Iran di sviluppare la bomba atomica, gli USA dovrebbero.... 32 Usare i canali diplomatici 6 Usare la forza militare 39 Entrambe 4 Né l’una né l’altra 18 Non sa Gli USA e altre potenze mondiali hanno raggiunto un accordo di massima con l’Iran per congelare il programma nazionale sul nucleare in cambio dell’alleggerimento delle sanzioni. È favorevole? Favorevole 44 Contrario 22 Non sa 34 Se l’accordo fallisce, gli USA dovrebbero... Continuare la via diplomatica 31 Incrementare le sanzioni 49 Usare la forza militare 20 Non sa 25 Sondaggio realizzato tra il 24 e il 26 novembre 2013 su un campione di 591 soggetti. Intervallo di credibilità 4,9 punti percentuale. Fonte: Reuters/Ipsos 50% Traffico d’armi nel Mar Rosso inizio marzo al largo delle coste sudanesi la marina israeliana ha sequestrato la nave “Klos-C” battente bandiera panamense, che nascondeva nelle stive 40 missili M-302, 181 colpi di mortaio e 400 mila proiettili per armi automatiche. Il primo ministro israeliano, Benjamin Netanyahu, ha subito puntato il dito contro Teheran, definendo la spedizione nel Mar Rosso un’operazione clandestina organizzata dal governo iraniano per armare Gaza e colpire così Tel Aviv. Arrivato da Damasco al porto meridionale iraniano di Bandar Abbas, il carico ha sostato inizialmente nel porto iracheno di Umm Qasr, dove sarebbe stato mimetizzato tra sacchi di cemento. Da qui ha ripreso il mare circumnavigando la penisola arabica, fino al fermo avvenuto al confine marittimo tra Eritrea e Sudan. A 76 LOOKOUT 4 - aprile 2014 all neWS economia emirati arabi Gli Stati della Federazione sono davvero uniti iraq Petrolio: USA e Russia mettono da parte la Guerra Fredda Per sostenere la ripresa economica di Dubai, Abu Dhabi ha deciso di estendere il suo prestito di 20 miliardi di dollari, in scadenza a fine 2014, per altri cinque anni al tasso di interesse dell’1% N uove joint venture in vista tra la compagnia americana ExxonMobil e la società russa Rosneft. I due colossi stanno esercitando pressioni su Baghdad per entrare direttamente in affari con il governo cudo di Erbil e sfruttare i ricchi giacimenti di gas e petrolio del Kurdistan iracheno. Altra partnership è in corso anche nell’impianto di Arkutun-Dagi, nell’isola di Sakhalin, al largo delle coste russe del Pacifico. auStralia cuba L’Avana apre ai mercati esteri La crisi delle raffinerie australiane I l 29 marzo il parlamento cubano ha approvato una nuova legge che regolerà la partecipazione dei capitali esteri in tutti i settori dell’economia nazionale, escluse la sanità e l’istruzione. Per le aziende straniere è prevista l’esenzione delle imposte e l’adozione di misure protettive ad hoc. Il primo Stato a beneficiarne sarà il Brasile, che ha già avviato una serie di partnership con Cuba. Il fatturato bilaterale nel 2013 ha raggiunto quota 624 milioni di dollari. N el 2015 British Petroleum chiuderà i battenti nella raffineria di Bulwe, situata nell’isola di Brisbane, in Australia. Lo stabilimento, attivo dal 1960 e in grado di produrre più di 100mila barili di carburante al giorno, paga la concorrenza dei grandi impianti asiatici. Oltre BP, anche Royal Dutch Shell e Caltex Australia sono pronte a lasciare le raffinerie australiane, che per il futuro potrebbero essere convertite in terminal petroliferi. portogallo cina Pechino aumenta la spesa pubblica La ripresa portoghese E D ntro il 2014 Pechino investirà 150 miliardi di yuan (24 mld di dollari) in obbligazioni, per ammodernare la rete ferroviaria nelle regioni centrali e occidentali e istituirà un fondo di cireuro all’ora: ca 300 miliardi per la realizzazione di altri 6.600 il salario minimo chilometri di binari nelle aree meno sviluppate. approvato Un altro miliardo di yuan sarà utilizzato per la codal governo struzione di nuovi alloggi. tedesco 8,5 opo anni di austerity, il Portogallo torna a respirare. Nell’ultimo trimestre del 2013, grazie alle esportazioni l’economia è cresciuta dell’1,6% rispetto allo stesso periodo del 2012, dato più alto della zona euro. La prova della verità sarà però a giugno, quando terminerà il piano di aiuti varato dalla Troika nel 2011. LOOKOUT 4 - aprile 2014 77 do you Spread? Voci dal mercato globale Economia italiana, che macello! di B. Woods L a Federal Reserve degli Stati Uniti (FED) ha bocciato, sulla base del programma di verifica della solidità del sistema finanziario nazionale (stress test), il piano di dividendi e di riacquisto di azioni proprie proposto da cinque delle maggiori banche americane, tra cui Citigroup, e quello di alcune filiali americane di grandi banche europee, tra cui HSCB, RBS, Santander, mentre ha approvato quello di Goldman & Sachs e Bank of America solo dopo un notevole ridimensionamento. Barclays e Deutsche Bank non sono nell’elenco solo perché quest’anno non sono state prese in esame, ma sulla loro sottocapitalizzazione la FED si è già pronunciata nei mesi scorsi. A tutt’oggi le banche americane e le loro omologhe estere (parliamo delle banche “Too Big To Fail”) hanno sborsato 100 miliardi di dollari al governo degli Stati Uniti, secondo gli accordi, per evitare di esser incriminate per vari reati (frode, insider trading, etc.) commessi ai danni dei risparmiatori durante la crisi dei mutui sub-prime (2008-2009). Nonostante ciò, nel 2013 le sei maggiori banche americane hanno fatto registrare profitti pari a 76 miliardi di dollari, seconde solo al top registrato prima della crisi finanziaria del 2006 (82 miliardi). Ma allora si era nel mezzo della bolla sugli immobili e all’interno di una prolungata espansione economica, e non invece 78 LOOKOUT 4 - aprile 2014 durante la cosiddetta “Depressione Minore” quale viviamo adesso. Per il 2014, le previsioni dicono che i profitti dovrebbero crescere ancora, ma se l’applicazione anche parziale della “Volcker rule” (la legge che limita il trading proprietario) fa dipendere le banche dagli ordini dei clienti e se i mutui immobiliari sono ai minimi e il resto del mercato del reddito fisso segna un meno 25% nei ricavi nel primo trimestre del 2014, da dove verranno i profitti? Il rapporto per il terzo trimestre del 2013 dell’OCC (Office of the Comptroller of the Currency) degli Stati Uniti, l’ultimo disponibile, riporta che il valore nozionale dei contratti derivati detenuti da banche e assicurazioni è cresciuto del 3%, raggiungendo i 240mila miliardi di dollari (di cui 223mila concentrati nelle mani di JP Morgan, Citigroup, G&S e Bank of America), a fronte di un valore nozionale globale di 693mila miliardi di dollari (PIL mondiale di circa 70mila miliardi di dollari a valori correnti). Quindi, come prima e più di prima, siamo seduti su una bomba a orologeria. Come se non bastasse, l’effetto collaterale combinato della Grande Recessione, della Depressione Minore e delle politiche monetarie espansive, che hanno fatto esplodere gli indici azionari e i mercati delle obbligazioni, è stato quello di accrescere le disuguaglianze sociali facendo sì che - come sottolinea anche Paul Krugman, premio Nobel per l’economia e columnist del New York Times - la ricchezza PER SAPERNE DI PIÙ DO YOU SPREAD? - WWW.LOOKOUTNEWS.IT dello 0,1% dei più ricchi degli USA sia toccato il 12,9%, quella giovanile ha cresciuta dal 7% del 1977 fin oltre il superato il 42%, e le previsioni di cre21% del 2013, mentre la quota di ric- scita indicano uno striminzito +0,6% chezza detenuta dal ceto medio sia del PIL per il 2014. Quindi, nonostanscesa dal 47% del 1959 al 35% del te l’avanzo primario e l’attivo delle 2012, in ulteriore riduzione. partite correnti di 18 miliardi (0,5% Nell’eurozona continua la pratica del PIL), l’economia non dà segni di suicida dell’austerità, che ormai ha ripresa e si avvia a scontrarsi contro scambiato definitivamente l’aggettivo gli ulteriori vincoli imposti dal ri“espansiva” con quello più corretto di spetto del Fiscal Compact, ovvero ri“deflattiva”. Se mai ce ne fosse stato bi- duzione del debito a un ammontare sogno, si è trovata conferma che le po- pari al 60% del PIL in 20 anni e oblitiche pro-cicliche risultano devastan- bligo del pareggio del bilancio pubti per le economie. Mentre lo blico dal 2016. spread sui titoli di Stato Quest’ultimo errore si decennali italiani e il deve alla scorsa legislatuSe non Bund tedesco è sceso ra che, tra aprile e lucresceremo al a 174 punti, i BTp glio 2012, ha approvadecennali sono stati to a larga maggiorancollocati all’asta di za bipartisan queste marzo al 3,29% (miimposizioni, trasforoccorrerà trovare tra mandole nimo dal 2005), in principi i 40 e i 50 miliardi costituzionali (vedi mentre i BTp quinquennali all’1,88%. La articoli 81, 97, 117 e ogni anno spiegazione è abbastanza 119 della Costituzione). semplice: data l’abbondanIl Governatore della Banza di liquidità presente nei merca d’Italia, Ignazio Visco, ha afcati finanziari e il crollo generalizzato fermato che o si cresce alla media del delle economie e valute dei cosiddetti 3% annuo oppure occorre trovare dai Paesi emergenti (non se n’è salvato 40 ai 50 miliardi ogni anno. Consideuno), gli investitori hanno riscoper- rando che la spesa pubblica dell’Italia, to il Vecchio Continente, dopo aver al netto del rifinanziamento del debisottoscritto qualunque cosa nel mer- to e dei relativi interessi, ammonterà a cato USA. E chi meglio della vecchia 404 miliardi nel 2016 (a fronte di un e generosa Italia, che paga sempre debito pari a 2.089 miliardi a marzo diligentemente? 2014) e che le tasse continueranno ad Nel frattempo, l’economia reale del- aumentare, in queste condizioni si l’Italia sta collassando. Come noto, il può ancora parlare di un futuro che rapporto debito pubblico/PIL ha rag- non ci sta rapidamente precipitando giunto il 133%, la disoccupazione ha in un Nuovo Medioevo? 3% LOOKOUT 4 - aprile 2014 79 Sicurezza Siria Una testimonianza da Aleppo libano Tripoli, chi comanda in città repubblica centraFricana Guerra e religione 80 LOOKOUT 4 - aprile 2014 Sicurezza Mentre il presidente Bashar Al Assad da Damasco sostiene di essere vicino alla vittoria e di non voler fare “la fine di Yanukovich”, in tutto il territorio siriano la popolazione è stremata dalla guerra e dalla fame. Ecco una testimonianza diretta Vi racconto la mia Siria Siria | di Mariana Diaz L a guerra in Siria non dà segnali di miglioramento. Mentre l’attenzione della stampa occidentale si concentra sulla questione delle armi chimiche, chi vive (o sopravvive) ancora nel Paese subisce le conseguenze dell’embargo internazionale ed è alle prese con la violenza quotidiana, dove cristiani e musulmani corrono la stessa sorte. Naman Tarcha, giornalista siriano, svela uno dei tanti volti della guerra e ci proietta nella realtà di un Paese a metà. Com’era la Siria prima della guerra? Era un paese equilibrato in cui convivevano diverse etnie e religioni. Eravamo rappresentati da un governo guidato insieme ad altre minoranze senza oltraggiare nessuno. Economicamente, non era un Paese molto ricco ma disponeva di risorse proprie e non aveva debiti. Al contrario di ciò che crede l’Occidente, la libertà sociale era garantita e l’istruzione era gratuita per tutti. A livello politico, non eravamo una democrazia in stile occidentale, certo, ma oggi abbiamo perso tutto. Qual è la situazione dei cristiani che vivono ancora in Siria? Soffrono, ma non sono gli unici. I cristiani siriani appartengono al ceto medio alto e molti sono fuggiti. Mia madre, purtroppo, vive ancora ad Aleppo, e nonostante veda che al posto della croce adesso nelle chiese sventola la bandiera di Al Qaeda, continua ad andare a messa. In questo momento, la Chiesa e le parrocchie sono un punto di riferimento che, insieme alla Caritas, aiutano tutti. Anche i musulmani. LOOKOUT 4 - aprile 2014 81 Sicurezza I bambini siriani e la guerra civile Il numero di bambini colpiti dalla guerra civile in Siria è più che raddoppiato nel corso dell'ultimo anno, secondo il rapporto dell’UNICEF. 500.000 Marzo 2012 2,3 milioni Marzo 2013 5,5 milioni Marzo 2014 Rifugiati Bisognosi di assistenza umanitaria 4.300.000 Siria 491.717 in Libano 325.239 301.729 75.007 59.681 Turchia Giordania Iraq Egitto Numero di bambini a cui è negata l’istruzione Totale 2,7 milioni 2.300.000 Siria Rifugiati 186.276 92.598 77.770 Libano Giordania Turchia 25.519 3.911 Iraq Egitto Fonte: Unicef Quale ruolo ha assunto lo Stato nei confronti dei cittadini? Malgrado la guerra, il governo continua a dar lavoro e a pagare gli impiegati, ha cercato di intensificare gli aiuti e il nostro è tuttora uno Stato che funziona. Quello che l’Occidente non capisce è che la Siria è un Paese con delle istituzioni e un Parlamento che svolge ancora le sue funzioni. Come giudichi l’operato della comunità internazionale? È terribile vedere come l’Occidente ci dichiara guerra. L’Unione Europea ha mantenuto una politica ambigua e ipocrita: mentre piange i rifugiati, al tempo stesso vieta il rilascio di visti d’ingresso e porta avanti un embargo che colpisce soltanto i cittadini. Infatti, mancano gli alimenti, il gas e le medicine, e gli ospedali non riescono a erogare i servizi come vorrebbero. La corrente 82 LOOKOUT 4 - aprile 2014 funziona solo per qualche ora al giorno, l’inflazione è alle stelle e oltre il 60% delle persone è senza lavoro. Così, in Siria oggi ognuno cerca di sopravvivere come può. Si ritiene che gli Stati Uniti, indirettamente, stiano armando i ribelli. È vero? Nessuno dubita di questo in Siria. Gli Stati Uniti non hanno mai smesso di armare i ribelli e il traffico di armamenti è una realtà. Le armi vendute ai Paesi del Golfo finiscono nelle mani della stessa Al Qaeda e gli aiuti europei e statunitensi arrivano, volenti o nolenti, ai ribelli. Da giornalista, i media occidentali come stanno raccontando quel che accade? I giornalisti non sanno più che dire. Fino a ieri erano dalla parte dei ribelli e parlavano di una “primavera siriana” e di un popolo che si ribellava per la democrazia. Ora non sanno più spiegare come mai, dopo tre anni di conflitto, la gente viene sgozzata dai ribelli e la Sharia si è imposta in molte regioni. A maggio sono previste le elezioni. Come viene vissuto questo processo elettorale? Anche se all’Occidente non piace, il nostro è un Paese che ha un sistema politico e una Costituzione, al contrario di molti Paesi arabi che non prevedono nemmeno il voto. Le elezioni sono state annunciate ma la campagna elettorale non mi pare sia stata ancora avviata. In questi giorni il Parlamento ha approvato la legge elettorale siriana e probabilmente Assad otterrà la maggioranza dei consensi. Questo spaventa l’opposizione che non ha né le basi né la credibilità per vincere le elezioni. Lakhdar Brahimi, negoziatore ONU per la Siria “Se e quando il presidente Bashar Assad si candiderà, allora sarà molto difficile portare avanti il processo di pace in Siria” Sicurezza Libano, le mani su Tripoli A fine marzo il centro Aishah Media Center ha pubblicato l’annuncio attraverso cui lo sceicco Abi Saad AlAmili, teologo molto autorevole in Libano, si è rivolto a tutti i sunniti libanesi invocando la lotta per la jihad. Si tratta di una mossa che rischia di avere delle conseguenze preoccupanti per la stabilità del Paese dei Cedri. Un clima di tensione di cui potrebbe approfittare il regime siriano. Da settimane, infatti, le truppe di Bashar Assad stanno portando avanti una manovra ben precisa, mirata a spingere oltre le frontiere libanesi i combattenti jihadisti asserragliati nelle roccaforti ribelli nel triangolo di Al-Zabadani, al confine tra i due Paesi. L’obiettivo di Damasco è provocare uno scontro tra queste milizie e i gruppi sunniti libanesi, che dal Libano sostengono le offensive dei ribelli siriani. Già centinaia di jihadisti sono penetrati in Libano, principalmente nella Valle della Beqaa. Una delle aree più a rischio è Tripoli: una città sempre più fuori dal controllo del governo libanese, i cui quartieri sono in mano a leader salafiti che dispongono di milizie formate in media da 30-50 combattenti. Insomma, una polveriera che rischia di esplodere al primo contatto con l’ondata di miliziani jihadisti in arrivo dalla Siria. Amer Arij (60 combattenti) MALLOULEH BAAL EL DARWISH Saad Al-Masri, vicino all’ex primo ministro Mikati (100 combattenti) Alleato a Jolan Tabouch e Mohammed Al-Jandah (25 combattenti) Fonte: OGMO Osservatorio Geopolitico Medio Orientale MANKUBIN Chadi Jabara, leader salafita, in passato arrestato e successivamente scagionato (40 combattenti) RIVA STARCO Ziad Saleh, detto “Ziad Al-Alouki”, vicino al Ministro della Giustizia Rifi (150 combattenti) ESCLUSIVO Chi sono i gruppi armati salafiti che controllano i quartieri della città Husam al-Sabagh, emiro dei salafiti (300 combattenti) Jihad Al-Dandachi “Abou Taymour” AL OUMARI AL SAYDEH BAQQAR BERRANIYEH QUBBEH Samir Al-Masri Rione Al-Chaarani 1: Ahamad Al-Masri “Habibo” Rione Al-Chaarani 2: Abou Abed Al-Kader, Abou Hzeiki, Abou Ali “Al-Ciciani” (200 combattenti) LOOKOUT 4 - aprile 2014 83 Sicurezza In fuga dall’Africa Dove sino a pochi anni fa i cristiani vivevano nel rispetto delle comunità locali, oggi divampano violenze e scontri. Non si tratta però solo di guerre per la fede repubblica centraFricana | di Rocco Bellantone M entre i Paesi del Maghreb guardano al futuro dopo la fallimentare stagione delle primavere arabe, più a sud oltre il deserto del Sahara si allunga la lista dei cosiddetti “Failing State”, ovvero Stati sull’orlo di crisi politiche, economiche e sociali senza ritorno. Il mainstream occidentale spesso si limita a individuarne le cause in elementi di carattere etnico-religioso, quando invece sono anche altri i fattori in gioco: le infiltrazioni terroristiche di matrice islamista, i traffiNegli ci dei potenti signori della guerra, oltre agli scontri almeno interessi economici ed energetici delle potenze occidentali che dalla Nigeria al Mali, passando per il Sud Sudan e la Repubblica Centrafricana, hanno fatto valere il loro pemorti e oltre so nella destituzione di governi e nel passag2 milioni di gio del potere a nuove leadership. È pertanto difficile stabilire quanto il fattore sfollati religioso conti effettivamente in queste instabilità latenti, e il caso della Repubblica Centrafricana ne è forse la dimostrazione più emblematica. In questo Paese, grande il doppio dell’Italia e abitato da poco più di 5 milioni di persone, la situazione è esplosa nel marzo del 2013, quando i miliziani di Seleka, alleanza di gruppi ribelli musulmani, hanno destituito François Bozizé e consegnato il governo a Michel Djotodia. È qui che ha avuto inizio il caos con razzie, 2.000 84 LOOKOUT 4 - aprile 2014 stupri e omicidi di massa perpetrati dai guerriglieri Seleka nei villaggi a maggioranza cristiana e, successivamente, con la risposta sempre più violenta da parte degli anti-balaka (“balaka” significa machete nelle lingue locali Mandja e Sango). Il bilancio ad oggi è terribile: circa un milione di sfollati (rifugiatisi principalmente nei vicini Ciad, Camerun, Congo e Repubblica Democratica del Congo) e almeno 2mila morti, nonostante il dispiegamento di migliaia di soldati da parte dell’Unione Africana e del governo francese e l’arrivo dei caschi blu ONU. C’è chi in questi mesi ha provato a collegare questa mattanza al genocidio che, tra l’aprile e il luglio del 1994, portò al massacro di circa un milione di persone di etnia Tutsi in Rwanda da parte delle frange estremiste della minoranza Hutu. Il parallelo però è azzardato, come spiega padre Aurelio Boscaini, dagli anni Settanta in missione in Rwanda, Burundi e Togo, nonché firma storica di Nigrizia, la rivista dei missionari comboniani. Sicurezza i maggiori ricercati al mondo Dove i cristiani sono più a rischio Rep. Centrafricana Nigeria Tanzania Algeria Mali Niger Ciad Camerun Egitto Joseph Kony 5,000,000 $ nazionalità Ugandese (Odek, 1961) gruppo di appartenenza Lord’s Resistance Army “In Repubblica Centrafricana - spiega non siamo di fronte a un mero tribalismo né a una guerra di fede, ma a una guerra civile come quelle in corso in Somalia e Sud Sudan”. Dopo la destituzione di Djotodia, da fine gennaio il nuovo presidente è Catherine Samba-Panza, cattolica, ex sindaco di Bangui, sostenuta dal governo francese. Ma dal suo insediamento le cose non sono migliorate. “Qualcuno - precisa padre Boscaini - ha voluto far passare gli anti-balaka come milizie cristiane. Essi sono in maggior parte animisti e per certi aspetti incarnano un’espressione ancestrale della cultura africana. Mi ricordano i ribelli africani Simba (“leoni”), dell’attuale Repubblica Democratica del Congo, che usavano erbe e prodotti particolari per tingere i loro corpi, il che secondo loro gli permetteva di non essere uccisi dalle pallottole. I Seleka, invece, sono dei criminali, sbandati del Darfur, del Sudan e del Ciad, musulmani di origine straniera che vogliono imporre uno Stato islamico in un Paese a maggioranza cristiana”. Resta da decifrare, infine, quanto Al Qaeda sia riuscita sinora a penetrare questo come altri conflitti dell’Africa Centrale. “In Centrafrica - conclude padre Boscaini - l’arrivo di Al Qaeda è stato una novità. Lungo il versante occidentale del Continente, in Paesi come Senegal, Ghana, Costa d’Avorio e Camerun, il rispetto per la confessione cattolica si è ormai consolidato. Da qualche anno, però, sempre più giovani di questi Paesi vanno a frequentare le università islamiche come quella del Cairo, dove vengono istruiti a pensare che l’istituzione di governi islamisti potrà essere l’unica soluzione ai tanti problemi dell’Africa”. Sinora ha però prevalso l’estremizzazione di questi insegnamenti. Accade da tempo in Nigeria, con la campagna del terrore di Boko Haram (“La cultura occidentale è peccato”, ndr). E sta accadendo adesso in Repubblica Centrafricana, dove il caos ha ormai spazzato via qualsiasi forma di rivendicazione confessionale. capo di imputazione Crimini contro l’umanità: omicidi, stupri, sfruttamento della prostituzione minorile e arruolamento di bambini soldato note Leader dell’Esercito di Resistenza del Signore, gruppo ribelle che dal 1987 combatte tra il nord dell’Uganda, il Sud Sudan, la Repubblica Democratica del Congo e la Repubblica Centrafricana, punta alla formazione di un governo autonomo basato sui Dieci comandamenti della Bibbia. Dal 2011 gli dà la caccia anche il governo americano, che recentemente ha inviato a sostegno delle truppe dell’Unione Africana aerei CV-22 Ospreys e militari delle forze speciali. Attualmente sarebbero circa 250 gli uomini agli ordini di Kony. LOOKOUT 4 - aprile 2014 85 outlooK a cura di lorien conSulting Verso le elezioni europee C ome abbiamo già avuto modo di sottolineare, assistiamo a una crisi profonda delle principali istituzioni democratiche: alla crisi inesorabile dei partiti e del sistema di rappresentanza ha fatto seguito una critica sempre più serrata ai sistemi della rappresentanza democratica. In questo quadro non fa certo eccezione l’Unione Europea, pur mantenendo tuttora livelli di fiducia più alti rispetto alle principali istituzioni nazionali (ad eccezione del Presidente della Repubblica). Emerge soprattutto un clima di profonda delusione nei confronti dell’Unione Europea, che rappresenta per molti un sogno inGli italiani considerano l’Unione: franto, anche se allo stato attuale resta un mercato comune e una moneta unica (30%), un peso econoun’opportunità per il nostro mico per l’Italia (29%), Paese e uscirne avrebbe conseguenze negative, seconuna fonte di finanziado la maggioranza degli menti (27%), un moIn Italia italiani. Essa, infatti, do per competere nelle economie glorappresenta un’opporbali (25%), uno spretunità secondo il 49% euroscettici co di risorse (19%). e un sogno mai realizLa crisi di consenzato secondo il 47% so è alimentata so(erano possibili più rieuropeisti prattutto dall’impressposte). Delusione e spesione di un’Europa lonranza, dunque, contando tanissima dai cittadini e anche che il 67% degli internondimeno un certo sentimenvistati ritiene comunque utile to di euroscetticismo e di convinzione per l’Italia far parte dell’UE. 41% 67% La crisi delle istituzioni L’UE secondo gli italiani 2013 Presidenza della Repubblica Unione Europea Comune Regione Parlamento Sindacati Partiti 86 67% 55% 45% 34% 25% 17% 16% LOOKOUT 4 - aprile 2014 .................................................................................................................................................... «QUANTO HA FIDUCIA NELLE PRINCIPALI ISTITUZIONI?» «COSA RAPPRESENTA L’UNIONE EUROPEA?» Un’opportunità per l’Italia 2014 Presidenza della Repubblica Unione Europea Un sogno mai realizzato Un mercato comune e una moneta unica 65% 48% Un peso economico per l’Italia Una fonte di finanziamento per progetti validi Un modo per competere meglio nelle economie globali Comune Regione Parlamento 44% 35% 20% Uno spreco di risorse Il primo passo verso il progetto di uno stato federale europeo Una limitazione della sovranità nazionale L’origine di numerosi obblighi e vincoli per i Paesi membri Un organismo poco democratico Sindacati Partiti 23% 15% L’unione delle banche Non sa 49% 47% 30% 29% 27% 25% 19% 18% 18% 18% 16% 14% 3% PER SAPERNE DI PIÙ WWW.LORIENCONSULTING.IT Trend storico del calo dell’affluenza (Politiche VS Europee) Affluenza elezioni politiche Affluenza elezioni europea 92,2 93,8 93,8 92,9 92,8 93,2 93,4 90,6 88,8 88,0 87,3 86,1 83,0 86,1 83,6 82,9 81,7 81,4 80,5 75,2 74,7 73,1 70,8 65,1 60,0 1958 1963 1968 1972 1976 1979 che l’UE, così com’è, rappresenti un peso: oggi ben il 41% degli italiani si autodefinirebbe euroscettico. Il tema dell’euroscetticismo sta tenendo banco e preoccupando molto il dibattito internazionale: avanza l’ipotesi di una grande coalizione in salsa europea ed europeista per cercare di arginare il potere crescente di numerose formazioni critiche verso l’UE, che potrebbero eleggere numerosi candidati al Parlamento. Il 50% sarebbe favorevole a una grande coalizione europeista per arginare le forze anti europee o euroscettiche. Cosa si aspettano gli italiani dalle prossime elezioni per l’Europarlamento? Sul piano elettorale solo il 29% (contro il 58%) crede nel successo annunciato da molti dell’ultra-destra sull’onda dei risultati delle amministrative francesi. Dal lato più strettamente nazionale, il 53% degli italiani ritiene che le prossime elezioni rappresenteranno un test e una sorta di referendum sul governo (come spesso è accaduto in passato). Ma il vero elemento critico sarà rappresentato da calo atteso della partecipazione elettorale; non tanto come disinteresse verso la politica in sé, quanto proprio come rifiuto dei meccanismi e reazione alla frustrazione di percepire 1983 1984 1987 1989 1992 1994 1996 1999 continuamente l’intero mondo politico troppo lontano dai propri problemi. Il trend storico dell’affluenza alle elezioni è impressionante: all’astensione, che potremmo definire fisiologica (circa il 20%), nelle ultime elezioni si è ormai aggiunta una fascia ulteriore che porta gli astensionisti delle elezioni politiche a superare il 25% e quelli delle amministrative ben oltre il 35%. Anche per le 2001 2004 2006 2008 2010 2013 2014 europee si assiste allo stesso trend e oggi Lorien prevede che l’astensione potrebbe anche superare il 40% (nonostante l’election-day unico con l’appuntamento per le amministrative). L’identità dei nuovi probabili astensionisti potrebbe diventare determinante per l’esito elettorale: prevarranno le forze politiche in grado di mobilitare maggiormente il proprio elettorato. Non vinceranno le destre, ma sarà necessaria una “grande coalizione” «L’IPOTESI DI UN SUCCESSO PER L’ULTRA-DESTRA» 29% 58% CREDONO che l’estrema destra avrà un successo straordinario alle Europee NON CREDONO che avranno un successo sorprendente «L’IPOTESI DI “GRANDE COALIZIONE” EUROPEISTA» 50% 36% FAVOREVOLI alla GRANDE COALIZIONE in funzione antieuroscettici CONTRARI alla GRANDE COALIZIONE LOOKOUT 4 - aprile 2014 87 Istituto: Lorien Consulting - Public Affairs - Criteri seguiti per la formazione del campione: campione rappresentativo per sesso, età e area geografica della popolazione italiana maggiorenne - Metodo di raccolta delle informazioni: questionario telefonico (CATI, Computer Assisted Telephone Interview) - Numero delle persone interpellate ed universo di riferimento: 1.000 cittadini italiani maggiorenni; campione rappresentativo per sesso, età e area geografica - Data in cui è stato realizzato il sondaggio: 28 Marzo 2014 - Metodo di elaborazione: SPSS - Direttore di ricerca: Antonio Valente 1953 ..................................................................................................................... 1948 Sicurezza l’opinione Che direzione ha preso il conflitto in Siria? roger bou chahine Direttore OGMO - Osservatorio Geopolitico Medio Orientale C hi crede che ormai il regime di Bashar Assad sia destinato ad arrendersi si sbaglia. E lo stesso vale per chi sostiene che la Siria sarà in grado di trovare una soluzione democratica a questo conflitto, nominando un nuovo governo attraverso regolari elezioni. Il fronte dei sostenitori di Damasco non è mai stato così compatto. Mentre fino a poco tempo fa Assad poteva contare solo sull’alleanza della Russia (e dell’Iran), adesso non è più così. In Medio Oriente si sta infatti assistendo a una vera e propria corsa verso Mosca, con la maggior parte dei Paesi del Golfo orientati in questa direzione. Il governo russo sta sfruttando al massimo l’assenza totale dell’Amministrazione Obama in questo scacchiere. Questo nuovo scenario è dimostrato dalla recente rottura dei rapporti tra gli USA e l’Arabia Saudita, con Riad che ha preferito fare affari con Teheran, ovviamente con il benestare dei russi. Con gli USA praticamente fuori dai giochi in Medio Oriente, la situazione si complica drammaticamente per l’opposizione siriana. E a subirne le conseguenze presto potrebbero essere anche gli altri Paesi filo-occidentali dell’area. 88 LOOKOUT 4 - aprile 2014 daniele donati Chief Emergency Operations for Asia, Middle East, North Africa, Europe and Special Operations - FAO D all’inizio del conflitto in Siria, ogni giorno 120 persone perdono la vita e migliaia devono abbandonare le loro case. In totale, oltre due milioni e mezzo di individui ha cercato rifugio nei Paesi vicini. La produzione alimentare è in continuo declino. Le stime della FAO la collocano al 40% sotto la media. Dalle recenti negoziazioni della Conferenza di pace Ginevra 2 si attendeva un piano di tregua e l’istituzione di corridoi umanitari. Invece, in tutto il nord est del Paese e nelle aree rurali attorno a Damasco, nella città vecchia di Homs e ad Aleppo, il collegamento con le popolazioni rimane molto irregolare e incerto. La situazione è ancora peggiore a Daara, Raqqa, Deir Ez Zor e Hassaqeh. L’accesso ai mercati è continuamente interrotto dalle azioni di guerriglia, l’inibizione dei commerci riduce l’offerta di cibo e fa impennare i prezzi proprio mentre cresce la disoccupazione e diminuiscono i salari. I risparmi di milioni di persone si sono volatilizzati. A febbraio, solo 3,7 milioni di siriani hanno ricevuto aiuti alimentari dal Programma Alimentare Mondiale. L’obiettivo di arrivare a quota 4,5 milioni non è stato raggiunto, ma sono comunque state distribuite le sementi per la stagione a 12mila famiglie: un aiuto importante per coprire i bisogni alimentari di un anno. Tutto questo è però ancora insufficiente per scongiurare il rischio di nuovi esodi di popolazione. all neWS Sicurezza Filippine iraq Gli estremisti fuori dagli accordi di pace Un esercito di telecamere per fermare le violenze I l governo iracheno punta sulla videosorveglianza per contrastare l’ondata di violenze degli ultimi mesi. La prima città a sperimentare il sistema è stata la capitale Baghdad, che nel 2012 ha acquistato 13mila telecamere di fabbricazione cinese. Investimenti sono stati effettuati di recente anche dal governatorato di Bassora e da diverse compagnie energetiche estere (tra cui la russa Lukoil) per la protezione dei giacimenti petroliferi. Svolta nei negoziati tra il governo di Manila e il Fronte di Liberazione Islamico Moro dopo l’approvazione di una legge che prevede la creazione della regione autonoma di Bangsamoro. Restano però fuori dall’accordo i gruppi estremisti Combattenti Islamici per la Libertà e Abu Sayyaf. maleSia qatar Volo 370: fallita l’operazione disinformazione della Cina Doha in cerca di nuovi alleati P er fronteggiare le ostilità delle monarchie del Golfo, il Qatar pensa a un riavvicinamento all’Iran. Fondamentale in questa strategia la collaborazione tra il capo dei servizi segreti del Qatar Ghanim Al Qubaisi e il ministro dell’Intelligence iraniano Mahmud Alavi. A Beirut in parallelo intensificati i contatti con il segretario generale di Hezbollah Hassan Nasrallah. I servizi segreti di Pechino avrebbero tentato di depistare i media internazionali addossando agli Uiguri (cinesi musulmani) la responsabilità della scomparsa del volo 370 della Malaysian Airlines. Per farlo la Wu Chuan Teke, il reparto disinformazione dell’intelligence cinese, ha inviato una serie di mail ai giornalisti di mezzo mondo, fornendo “prove” sul coinvolgimento dei separatisti islamici rivelatesi poi false. coSta rica Sgominata la PayPal del crimine Siria Il ceceno Al Dulaimi non perde il vizio N uovo caso diplomatico tra Washington e Mosca per a liberazione del gruppo di suore siriane, avl’estradizione negli Stati Uniti venuto il 9 marzo dopo tre mesi di prigionia di Maxim Chukharev, considerato la mente infornella città di Yabrud, è frutto di uno scambio matica di Liberty Riserve, la piattaforma digitale concordato con l’esercito siriano per il rilascio del che in pochi anni ha guadagnato circa 6 miliarmiliziano ceceno Saja Hamid al-Dulaimi. Questi di di dollari tra frodi on line e clonazioni di caruna volta liberato si è prontamente unito alla l’incremento delle te di credito. Il giovane è stato consegnato agli Brigata libica Al Saikha. Lo scambio è stato ne- importazioni di armi USA dal governo del Costa Rica, dove aveva sein Asia nell’ultimo goziato da Abbas Ibrahim, capo della sicurezza lide la società. quinquennio banese. L 34% LOOKOUT 4 - aprile 2014 89 l’araba Fenice donne, Società e i tanti Volti dell’iSlam Futuwwa al femminile I campi di addestramento militari di Hamas aprono alle donne addestramento militari per giovani reclute, che vengono indottrinate secondo i valori dell’Islam radicale a coml termine futuwwa nella dottri- battere il nemico crociato/sionista, na sufi indica una commistio- come vuole la dottrina jihadista. Le ne di virtù che unisce la lealtà, futuwwa di oggi in Palestina poco hanl’altruismo, l’umiltà e la gene- no a che vedere con quell’ideale carosità. In sostanza, è ciò che valleresco di umiltà e altruismo. Ma è con retaggio medievale potremmo de- comprensibile che, nell’ottica di chi finire “cavalleria” e ha un richiamo difende il diritto a lottare contro implicito alla gioventù (dal radicale F“l’occupante israeliano”, tali campi T-Y, fatiyan “ragazzi”, fatayat di addestramento trasponga“ragazze”). Tale nobiltà no tutti i principi di leald’animo, che secondo tà e dedizione che traSono la stessa ideologia sufi dizionalmente vengoalmeno indica anche l’essere no associati al termiuniti nell’amore verne nell’impegno di so Allah, protende formare le giovani all’affermazione del reclute alla lotta arle reclute vero e del giusto. mata, al fine di libepronte Storicamente querare la Palestina e la al martirio sto concetto è stato comunità islamica daespanso tanto da trovare gli usurpatori. applicazione diretta anche Un video, pubblicato negli ambienti militari: si ritiene dall’Istituto di Ricerca mediatica che la formazione dei giannizzeri (dal sul Medio Oriente (MEMRI) e andato turco Yeniçeri) dell’Impero ottomano in onda su Al-Aqsa TV di Gaza lo scorsia stata improntata proprio a tali valo- so gennaio, mostra le performance ri di cavalleria islamica, nell’ottica di militari di giovani reclute durante la una comunione di intenti che la for- cerimonia conclusiva della fase di admazione militare condivideva, in op- destramento presso il campo scuola posizione agli eserciti crociati. di Hamas: la futuwwa “Talai’ Al-TaIn tempi moderni, l’estensione hrir”. Esaltazione delle capacità militalinguistica ha portato ad assegnare ri e glorificazione degli atti suicidi doquesto termine anche ai campi di minano il discorso d’indottrinamento di Marta Pranzetti I 13mila 90 LOOKOUT 4 - aprile 2014 Mamme e kamikaze ideologico pronunciato dalle autorità di Hamas (Movimento della Resistenza Islamica, che da marzo è stato dichiarato organizzazione terroristica anche in Egitto) che hanno presenziato alla cerimonia. Discorso che, come presumibile, è stato talmente amplificato al punto che Israele ha lanciato l’ennesimo allarme terrorismo. Ma la nostra attenzione non si concentra tanto sui proclami che incitano alla liberazione di Gerusalemme, o sulla tetra prospettiva che dei 13mila giovani cadetti usciti dall’addestramento nella futuwwa di Hamas molti di essi diverranno potenziali “martiri” (terroristi). La nostra attenzione riguarda un annuncio fatto nella stessa occasione niente meno che dal leader di Hamas ed ex primo ministro dell’Autorità Nazionale Palestinese, Ismail Haniyeh, tuttora facente funzioni di primo ministro nella Striscia di Gaza, di fatto sotto il controllo di Hamas. Nell’esaltare l’educazione alla jihad che deve essere impartita a tutte le future generazioni, egli invoca - rivolgendosi al ministro dell’Istruzione e dell’Interno, alle agenzie di sicurezza nazionale e alle Brigate di Al Qassam (braccio armato di Hamas) - l’apertura delle futuwwa anche alle donne. Ora, tenuto conto che queste costituiscono il 3% delle forze di polizia palestinesi, nonché solo il 17,3% della forza lavoro palestinese (rispetto al 69,3% maschile), la notizia risulta alquanto singolare. Vero è che le donne sono sempre state un elemento attivo nella jihad islamica, seppur non impegnate direttamente in battaglia (tranne nel caso del terrorismo ceceno e in parte di quello palestinese, nel quale proprio una fatwa di Sheikh Ahmed Yassin, fondatore e capo spirituale di Hamas, ammetteva le donne a compiere attacchi suicidi, in aperta controtendenza rispetto alle usanze del Movimento). Ma aprire l’addestramento militare jihadista alle donne suona come un effimero e poco ragguardevole traguardo. E, seppur corretto nell’ottica della parità di genere, la mossa certo non rende entusiasti. Così, mentre nella Scuola di Polizia di Gerico leggiamo in questi giorni che le nuove reclute donna si preparano alle arti marziali e all’autodifesa - all’interno di un progetto che prevede l’istituzione di una squadra antisommossa al femminile che sarà presto operativa tra le strade della Cisgiordania - a Gaza si saluta con entusiasmo la proposta del primo ministro, almeno stando agli applausi e ai fischi di approvazione lanciati dalla fomentata platea, che risuonano come sottofondo nel video del MEMRI. E ra mamma di due bambini piccoli, ma imbracciava kalashnikov invece che abbracciare i suoi figli: è passata alla storia per essersi fatta esplodere in un checkpoint di Erez, in un attentato rivendicato da Hamas e dalle Brigate dei Martiri di Al Aqsa. Giovane ventiduenne originaria di Gaza, Reem al-Riyashi è la prima donna palestinese a essere stata addestrata al martirio e che ha dato la vita per la sua causa quella mattina del 2004, accompagnata al suo funesto altare dal marito (perché le donne devono essere autorizzate alla jihad da un familiare maschio). È lei “l’eroina” esaltata da Haniyeh nel suo discorso alla futuwwa “Talai’ Al-Tahrir” all’interno del video del MEMRI. Un modello per le nuove generazioni palestinesi che lo stesso leader definisce riferendosi all’Intifada palestinese “generazioni della pietra, dei tunnel e delle operazioni suicidio”. (M.P.) Chi è Reem al-Riyashi La mamma kamikaze palestinese LOOKOUT 4 - aprile 2014 91 Rages Le principali manifestazioni di rabbia e dissenso in giro per il mondo 92 LOOKOUT 4 - aprile 2014 caracas, Venezuela Un manifestante cerca di respingere i lacrimogeni come fosse un battitore di baseball. Le proteste nella capitale vanno avanti ormai da tre mesi. bruxelles, belgio Un pompiere con la maschera di Guy Fawkes e colleghi, di fronte ai fuochi di protesta accesi per chiedere al governo migliori condizioni di lavoro (4 aprile). taipei, taiwan Dimostrando in sostegno al controverso accordo commerciale con la Cina continentale, i cittadini di Taipei sperano di aumentare le opportunità di lavoro (5 aprile). Sanaa, yemen Ufficiali dell’esercito e della polizia marciano insieme agli anti-governativi durante una manifestazione per chiedere le dimissioni del governo yemenita (2 aprile). maoming, cina Attivisti mettono a ferro e fuoco le strade della provincia del Guangdong, per contestare il progetto di un nuovo impianto chimico nella loro terra (1 aprile). melilla, Spagna Un immigrato africano viene tirato giù dalla Guardia Civil mentre tenta di scavalcare il muro di recinzione al confine tra il Marocco e l’enclave spagnola (3 aprile). oSSerVatorio Sociale monitoraggio dei principali eVenti e Fenomeni ribelliStici ed eVerSiVi nel noStro paeSe 8 marzo genova Sfondata la vetrata di una sede della Lega Nord. Azione compiuta in solidarietà con i reclusi nei Centri di Identificazione ed Espulsione. Gli indipendentisti della domenica L’ eversione italiana continua a mobilitarsi sul fronte No-TAV: oltre ai consueti attacchi alle sedi del Partito Democratico, considerato un sostenitore del progetto, sono entrati in azione anche gli hacker del gruppo Anonymous, che hanno colpito il sito web del Tribunale di Torino. Sulla homepage degli uffici giudiziari sono comparsi slogan anti-TAV e insulti contro i Pubblici Ministeri Andrea Padalino e Antonio Rinaudo, titolari delle inchieste sulle violenze e gli attentati in Val di Susa. Sul versante più bellicoso della lotta all’Alta Velocità, si è verificato, in provincia di Rovigo, un attentato incendiario presso il deposito di un’azienda di perforazioni impegnata in Val di Susa. A segno anche un attentato dinamitardo compiuto contro la sede dell’organizzazione neofascista Casapound di Trento, città che insieme a Torino è una delle capitali dell’anarco-insurrezionalismo italiano. Qui, a fine gennaio, era esploso un potente dispositivo improvvisato davanti agli uffici del Tribunale di Sorveglianza. L’azione fu rivendicata dagli anarchici di Trento e di Rovereto in solidarietà con i compagni No-TAV in carcere, il che fa ritenere che anche il recente attacco a Casapound sia legato ai movimenti contro l’Alta Velocità. Sottoposto a una diversa pressione eversiva, di matrice indipendentista, c’è poi il Veneto. Qui, all’inizio di aprile - tra le province di Rovigo, Padova, Verona, Treviso e Vicenza - i carabinieri del ROS di Brescia hanno arrestato 24 militanti afferenti a diverse organizzazioni secessioniste. Nel corso delle perquisizioni, sono state sequestrate armi e un carrarmato di fabbricazione rudimentale che, nei piani degli indipendentisti, doveva essere utilizzato per compiere un’azione in piazza San Marco a Venezia. Indagate in tutto 51 persone, con l’accusa di associazione con finalità di terrorismo e detenzione di armi da guerra. Il rudimentale carro armato soprannominato “Tanko” 94 LOOKOUT 4 - aprile 2014 timeline degli eVenti 14 marzo occhiobello (ro) Incendiato il deposito della ditta “Pato”, impegnata nei lavori dell’Alta Velocità in Val di Susa. Distrutti due escavatori e tre trattori agricoli. 17 marzo torino Attacco hacker al sito web del tribunale in solidarietà con i prigionieri No-TAV. 17 marzo roma Sigillati gli ingressi di una macelleria. Azione rivendicata dall’Animal Liberation Front. 22 marzo Forlì Imbrattata una sede del PD con slogan anti-TAV. 26 marzo trento Colpita con un potente ordigno esplosivo una sede di Casapound. 2 aprile torino Atto vandalico contro una sede del PD: scritte No-TAV e vetrine spaccate. 2 aprile casale di Scodosia (pd) Sequestrato un carro armato rudimentale in un blitz dei carabinieri del ROS. Nel corso dell’operazione sono stati arrestati 24 soggetti per associazione con finalità di terrorismo e detenzione di armi da guerra. mar-apr 2014 Aggiornato al 9 aprile 2014 TRENTO OCCHIOBELLO (RO) CASALE DI CASALE SCODOSIA SCODOS SCO DOSIA (PD) (PD TORINO GENOVA FORLÌ ROMA attentati lettere o pacchi bomba incidenti di piazza rapine o aggreSSioni riSchi o minacce arreSti politicamente Scorretto Storie da un mondo al roVeScio Ciak, si taglia di Tersite P ur bandendo il complottismo, ci sono film americani che hanno diffuso false visioni della realtà. Il Truman show (1998) mostra, come futuro della televisione, un serial in cui tutto è artefatto tranne il protagonista che, seguito dalla nascita da telecamere nascoste, crede giustamente di essere nella realtà. Non era difficile già allora intuire per la televisione una strada opposta. Cioè utilizzare la realtà e gli stessi spettatori per lo spettacolo stesso. La televisione non ne crea una finta, ma ingloba la vita reale e la conforma ai propri canoni, facendoli divenire costume. Reality TV. In Sesso & Potere (1997) vi è lo stesso ingannevole rovesciamento. Per dirottare l’attenzione da uno scandalo sessuale della Presidenza, gli assistant della Casa Bianca realizzano una guerra cinematografica da far passare per vera sui media. 96 LOOKOUT 4 - aprile 2014 PER SAPERNE DI PIÙ DIETRO LO SPECCHIO - WWW.LOOKOUTNEWS.IT Anche qui era già facile intendere il senso opposto delle cose. Il mussoliniano “La cinematografia è l’arma più forte” era già nel solco di quell’inganno. L’attenzione sulla politicizzazione dello spettacolo distoglieva dalla spettacolarizzazione della politica. Cinema & Politica sono entrambi fondati sulla finzione. Il Cinema è promessa di una storia agli spettatori, la Politica è promessa di una Storia a un popolo. Non è la banalità dei pallidi faraoni Tolomei che si pittavano la faccia di scuro, non è solo il lavoro degli image consultant per la presa sulle masse. La fiction non è oggi un corroborante della politica ma la sua impalcatura. Fin nell’intima tecnica di creazione di personaggi, spalle, modulazione di tempi, pathos, intreccio. Al contrario del film non si tiene il Potere con la fiction della guerra, ma si fa la guerra con la fiction del Potere. Il passaggio decisivo è a metà degli anni Settanta, nella risposta finanziaria al calo dei profitti. La ricchezza viene artefatta dalle magie finanziarie, ogni bolla a rilancio dei buchi precedenti. Con abbondante fiction, sia nel dramma di ogni crollo della borsa sia nella promessa che mai più avverrà. Ma il punto è un altro. Se è l’economia a creare valore c’è ancora bisogno di uno Stato, cioè della Politica. Se invece a creare (pseudo) valore è la finanza, lo Stato deve annullarsi assieme alle regole sul movimento dei capitali. Se alle merci servono autostrade, i capitali però non sopportano i caselli. Così, al movimento globale di capitali corrispondono strutture non più politiche ma finanziarie. Non legate a nazioni, uomini, idealità sociali ma defilate e de-responsabilizzate. Né programma, né responsabilità, né altro obiettivo che la crescita dei capitali. In due parole, la fine della Politica. Costretta così a fingere se stessa ogni giorno. Tagliare i vincoli alla speculazione finanziaria, tagliare quelli allo sfruttamento del lavoro, tagliare la spesa sociale. Questi i limitati compiti della Politica. Occorre un bel po’ di fiction per nasconderli, e ancora di più per occultarne la residualità da manovalanza. Così, più le azioni vanno in senso contrario alla dichiarata salvezza e più va drammatizzato il ruolo primario della Politica quale unico scudo, inventandosi il quotidiano coup de theatre con il supporto della TV che, specchio della realtà, rende vera la pantomima. Tutto al contrario di quello che si vuol far credere: la televisione non vive una sua realtà, ma crea la realtà. Come la Fiction non è uno strumento della Politica, perché la Politica è Fiction. un libro al meSe elezioni imminenti LITUANIA La casa di Via Garibaldi di Isser Harel Castelvecchi 2012 pp. 274 16,50 euro Q “ uesta operazione è diversa da qualsiasi altra nostra azione. Questa volta non è semplicemente una missione eseguita per incarico di qualcuno. Questa volta l’ordine viene anche, e soprattutto, dalla coscienza ebraica”. Isser Harel si affidò ai migliori uomini per portare a compimento l’operazione di intelligence più importante compiuta nella storia dei servizi segreti israeliani: la cattura di Adolf Eichemann, l’ex colonnello delle SS responsabile dello sterminio di milioni di ebrei. In prima linea nella lotta contro i nazisti, dopo la costituzione dello Stato di Israele Harel fu uno degli uomini di punta del sistema di sicurezza e di controspionaggio israeliano. La casa di via Garibaldi è il diario della missione che egli stesso coordinò e che portò nel 1960 al rapimento e al trasferimento segreto di Eichmann in Israele, dove in seguito sarebbe stato sottoposto a processo per i crimini commessi durante la guerra. Riuscire nell’impresa non fu affatto semplice. Dopo aver identificato Eichmann, per mesi gli agenti israeliani dovettero lavorare nell’ombra per eludere i controlli del governo argentino, il cui sistema giuridico non prevedeva l’estradizione. Imbarcato su un volo diplomatico travestito da meccanico, Eichmann fu strappato per sempre dalla sua seconda vita, che aveva trascorso con la sua famiglia in una modesta abitazione alla periferia di Buenos Aires: il metodico e insospettabile Ricardo Klement, la falsa identità dietro cui per anni era riuscito a nascondere gli orrori compiuti durante il nazismo, sarebbe stato impiccato il 31 maggio del 1962. REPUBBLICA DOMINICANA UNIONE EUROPEA PANAMA MALAWI SUDAFRICA 04 Panama mag Presidenziali Assemblea Nazionale 07 Sudafrica mag Assemblea Nazionale 11 Lituania mag Presidenziali 16 Rep. Dominicana mag Camera dei deputati Senato 20 Malawi mag Presidenziali Assemblea Nazionale 22 Unione Europea mag Parlamento Europeo riSultati dalle urne Serbia Assemblea Nazionale - 16 marzo 2014 48,6% 6.765.998 3.289.282 astenuti votanti Affluenza alle urne 51,4% 3.476.716 voti validi Aleksandar Vucic A Future We Believe In 48,35% Ivica Dacic Coaltion 13,49% With the Democratic Party for a Democratic Serbia 6,03% Slovacchia Presidenziali - 29 marzo 2014 4.406.261 votanti Andrej KISKA 59,38% Robert FICO 40,61% 50,1% 2.205.355 astenuti Affluenza alle urne 49,9% 2.200.906 voti validi @roccobellantone LOOKOUT 4 - aprile 2014 97 NEWS anno I - numero 4 - aprile 2014 EDITORE G-Risk - Via Tagliamento, 25 00198 Roma Tel. +39 06 8549343 - Fax +39 06 85344635 [email protected] - www.grisk.it In collaborazione con Giapeto srl DIRETTORE SCIENTIFICO Mario Mori DIRETTORE EDITORIALE Alfredo Mantici [email protected] DIRETTORE RESPONSABILE Luciano Tirinnanzi @luciotirinnanzi [email protected] CAPOREDATTORE Rocco Bellantone @RoccoBellantone REDAZIONE Dario Scittarelli Cristiana Era Marta Pranzetti Mariana Diaz Vasquez Brian Woods Hugo HANNO COLLABORATO Giorgio R. Fanara Marco Giaconi Ciro Sbailò Michele Ainis Giovanni Sartori Laura Silvia Battaglia Mikel Etxbarria Richard Newbury Daniele Donati Roger Bou Chahine Manuel Godano Sara Gelao Vincenzo Perugia Ottorino Restelli Giuseppe Saccone Tersite Lorien Consulting ART DIRECTION Francesco Verduci FOTOGRAFIE Agenzia Contrasto - Reuters Pictures Archivio Lookout News ILLUSTRAZIONI Tommaso Eppesteingher STAMPATORE ELCOGRAF SpA Via Mondadori, 15 - 37131 Verona Registrata presso il Tribunale di Roma n. 4/2014 del 21/01/2014 R.O.C. n. 24365 del 18/03/2014 È un prodotto Questo numero è stato chiuso il 9 aprile 2014 Copia abbinata a Panorama non acquistabile singolarmente
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