terapia delle sindromi coronariche acute: stemi e nste-acs

Parte
quinta
Terapia delle sindromi coronariche acute:
STEMI e NSTE-ACS
Francesco Iachini-Bellisarii, Francesco Radico, Fabrizio Ricci e Raffaele De Caterina
Introduzione
In questo capitolo vengono delineati i principi attuali di terapia delle sindromi coronariche
acute (SCA, acute coronary sindromes, ACS), che
comprendono l’infarto con sopraslivellamento
del tratto ST (ST elevation myocardial infarction,
STEMI) e le sindromi coronariche acute senza ST
sopraslivellato (non-ST elevation acute coronary
sindrome, NSTE-ACS), a loro volta costituite da angina instabile e infarto senza sopraslivellamento
del tratto ST.
Verranno trattati i seguenti argomenti:
• Trattamento del dolore e misure generali
• Terapia antitrombotica
• Farmaci antiaggreganti piastrinici
• Farmaci anticoagulanti
• Profilassi dell’ischemia e limitazione del danno
ischemico
• Altri farmaci
• Rivascolarizzazione miocardica, che comprende aspetti specifici di trattamento dello STEMI
e delle NSTE-ACS
Trattamento del dolore e misure
generali
La morfina solfato costituisce il trattamento
di scelta del dolore toracico e dell’agitazione,
responsabili dell’aumento del tono adrenergico
con conseguente vasocostrizione ed aumento del
lavoro cardiaco: si comincia con una dose di 4-8
mg e.v. in 5 minuti che può essere aumentata di 2
mg ogni 5-15 minuti, fino a risoluzione del dolore.
Essa in particolare è raccomandata nei pazienti i
cui sintomi persistono dopo tre somministrazioni
di compresse sublinguali di nitroglicerina o recidi-
vano nonostante adeguata terapia antischemica.
Gli effetti collaterali possono essere nausea, vomito, ipotensione, bradicardia e depressione respiratoria, antagonizzabili con l’uso di antiemetici,
atropina, o naloxone. Se la morfina non dovesse
risultare efficace, possono essere utili beta-bloccanti o nitrati endovena. La supplementazione di
ossigeno a basso flusso (2-4 l/min) è raccomandata in tutti i pazienti con sospetto infarto miocardico durante le prime 24-48 ore, in particolare
quando i livelli di saturazione arteriosa di O2 scendono sotto il 90% o in caso di segni di scompenso
cardiaco o di shock (Tabelle 1 e 2).
Terapia antitrombotica
La rottura, fissurazione o erosione di una o più
placche ateromasiche giocano un ruolo cardine
nella fisiopatologia delle sindromi coronariche
acute. L’esposizione al torrente ematico di fattori
protrombotici, quali il fattore tissutale e il collagene sub-endoteliale, provoca da un lato adesione
e aggregazione piastrinica e dall’altro attivazione
della cascata emocoagulativa con produzione di
fibrina e stabilizzazione del trombo. Entrambi i
meccanismi rappresentano pertanto importanti
bersagli terapeutici, che possono essere efficacemente antagonizzati da una vasta gamma di
farmaci oggi disponibili in commercio (Tabelle 1
e 2). Per una trattazione più estesa dei farmaci
antitrombotici si rimanda al capitolo specifico.
Farmaci antiaggreganti piastrinici
Aspirina. L’effetto antitrombotico dell’aspirina
(acido acetil-salicilico) è dovuto all’inibizione della cicloossigenasi (COX)-1 piastrinica, che blocca
la produzione di trombossano (TX)A2, un poten-
405
Manuale
di cardiologia
Tabella 1. Trattamento farmacologico del paziente con sindromi coronariche acute senza sopraslivellamento del tratto ST
(NSTE-ACS)
Farmaco
Dose
4-8 mg e.v. in 5 minuti, eventualmente aumenMorfina
Dolore toracico e agitazione
tata di 2 mg ogni 5-15 minuti
0,4 mg subling. ogni 5 min fino ad un massimo
Pazienti sintomatici, con ischemia persistendi 3 dosi;
te, scompenso (Killip 2-3), o ipertensione
poi infusione e.v. dose iniz. 5-10 µg/min titolaNitroglicerina
arteriosa. Controindicata in caso di IMA inta fino a remissione sintomi o riduzione della
feriore o destro o di ipotensione
P.A. del 10-30%
Preferibilmente in pazienti con scompenso,
Ossigeno
2-4 l/min nelle prime 24-48 h
shock, o ↓SaO2
Infusione e.v. nei pazienti con segni di iperattività simpatica, poi al raggiungimento della
stabilità clinica proseguire con somministra- Da titolare in base a frequenza cardiaca (target
Betabloccanti
zione per os a vita in tutti i pazienti (salvo 50-60 bpm) e pressione arteriosa
controindicazioni) indipendentemente dalla
presenza o meno di scompenso
In tutti i pazienti con NSTE-ACS entro 24 ore Iniziare trattamento con basse dosi e aumentare
Ace-inibitori
indipendentemente da valori di P.A. salvo il dosaggio progressivamente monitorando presinstabilità emodinamica o intolleranza
sione arteriosa, creatininemia e potassiemia
Titolata al raggiungimento del valore target di
In tutti i pazienti con NSTE-ACS indipendenStatine
LDL (almeno <100 mg/dl preferibilmente <70
temente da valori di colesterolemia
mg/dl)
Il prima possibile in tutti i pz con sospetto Dose iniziale 160-325 mg;
Aspirina
NSTE-ACS
poi 75-100 mg/die a vita
In caso di strategia invasiva: Dose di carico di
300-600 mg ; poi 75 mg/die per almeno 12
Clopidogrel
In tutti i pazienti con NSTE-ACS
mesi
In caso di strategia conservativa: 75 mg/die
(senza dose di carico)
In pazienti a rischio elevato da sottoporre a Bolo di 0.25 mg/kg (in sala di emodinamica) +
Abciximab
PCI
0.125 mg/kg/min in infusione e.v. per 12 ore
In tutti i pazienti con NSTE-ACS la scelta diAnticoagulanti
pende dalla strategia:
Strategia invasiva d’urgenza
Bolo 100 U/kg (o 60 U/kg + inib. GpIIb/IIIa)
Eparina non frazionata
(poi infusione aggiustata sull’ ACT fino a fine
procedura)
Bolo 0,75 mg/kg poi infusione 1,75/kg fino a
Bivalirudina
Alternativa a UFH + inibitori GpIIb/IIIa
fine procedura
Bolo e.v. 3000 U + infusione di 100 U/kg ogni
12 h fino alla dimissione.
Enoxaparina
Pochi dati di efficacia
Pz >75 anni infusione 75 U/kg senza bolo iniziale
Strategia invasiva precoce o conservativa
2,5 mg sottocute una volta al giorno fino a
Prima scelta per miglior rapporto efficacia/ dimissione → in caso di PCI aggiungere dose
Fondaparinux
sicurezza
standard di eparina non fraz. (85 U/kg o 60 U/
kg + abciximab)
1 mg/kg s.c. 2 volte al giorno fino a dimissione
In caso di PCI nuovo bolo (0,30 mg/kg e.v.) di
Enoxaparina
Alternativa se rischio emorragico è basso
enoxaparina se ultima dose s.c. risale a più di
8-12 ore
406
Indicazioni
Parte
quinta
Tabella 2. Trattamento farmacologico del paziente con STEMI
Farmaco
Nitroglicerina
Morfina
Ossigeno
Betabloccanti
Ace-inibitori
Statine
Aspirina
Clopidogrel
Prasugrel
Abciximab
Anticoagulanti
Indicazioni
Dose
0,4 mg sublinguale ogni 5 min fino ad un
Pazienti sintomatici, con ischemia persistenmassimo di 3 dosi;
te, scompenso (Killip 2-3), o ipertensione
poi infusione e.v. dose iniz. 5-10 µg/min tiarteriosa. Controindicazioni in caso di IMA
tolata fino a remissione sintomi o ↓P.A. del
inferiore o destro o di ipotensione
10-30%
4-8 mg e.v. in 5 minuti che può essere auDolore toracico e agitazione
mentata di 2 mg ogni 5-15
Preferibilmente in pazienti conscompenso,
2-4 l/min nelle prime 24-48 h
shock, o ↓SaO2
Infusione e.v. nei pz con segni di iperattività
simpatica, poi al raggiungimento della stabilità clinica proseguire con somministrazione Da titolare in base a frequenza cardiaca (tarper os a vita in tutti i pazienti (salvo controin- get 50-60 bpm) e pressione arteriosa
dicazioni) indipendentemente dalla presenza
o meno di scompenso
Iniziare trattamento con basse dosi e aumenIn tutti i pazienti con NSTE-ACS entro 24 ore
tare il dosaggio progressivamente monitoindipendentemente da valori di P.A. salvo
rando pressione arteriosa, creatininemia e
instabilità emodinamica o intolleranza
potassiemia
Titolata al raggiungimento del valore target
In tutti i pazienti con NSTE-ACS indipendendi LDL (almeno <100 mg/dl preferibilmente
temente da valori di colesterolemia
<70 mg/dl)
Il prima possibile in tutti i pazienti con so- Dose iniziale 160-325 mg;
spetto STEMI
poi 75-100 mg/die a vita
Dipende dalla procedura:
- PCI: Dose di carico di 300-600 mg ; poi 75
mg/die per almeno 12 mesi
- FIBRINOLISI: Dose di carico 300 mg (se >
In tutti i pazienti con STEMI
75 anni 75 mg); poi 75 mg/die per almeno
12 mesi
- NO RIPERFUSIONE: 75 mg/die per almeno
12 mesi (senza dose di carico)
Preferibilmente in pazienti diabetici, di peso
Dose di carico:60 mg;
>60kg, di età <75 anni, in assenza di pregrespoi 10 mg/die per almeno 12 mesi
si eventi cerebrovascolari
In pazienti a rischio elevato da sottoporre a Bolo di 0.25 mg/kg + 0.125 mg/kg/min in
PCI
infusione e.v. per 12 ore
In tutti i pazienti con STEMI; la scelta dipen de dalla procedura:
Pci primaria Eparina non frazionata
Bivalirudina
Bolo 100 U/kg (o 60 U/kg + Abciximab) (poi
infusione aggiustata sull’ACT fino a fine procedura)
Bolo 0,75 mg/kg poi infusione 1,75/kg fino
a fine procedura
Fibrinolisi
Enoxaparina
Bolo e.v. 3000 U + infusione di 100 U/kg ogni
12 h fino alla dimissione.
Pz >75 anni infusione 75 U/kg senza bolo
iniziale
(segue Tabella 2)
407
Manuale
di cardiologia
(continua Tabella 2)
Farmaco
Indicazioni
Eparina non frazionata
Fondaparinux
Mancata rivascolarizzazione
Fondaparinux
Enoxaparina
Eparina non frazionata
te induttore di vasocostrizione e di aggregazione
piastrinica. L’aspirina deve essere somministrata
il più presto possibile ad ogni paziente con sospetta sindrome coronarica acuta a dosi iniziali
comprese tra 160 e 325 mg, al fine di accelerare
il processo di inibizione della COX-1. L’aspirina
per via endovenosa al dosaggio di 250-500 mg
rappresenta un’alternativa in caso di impossibilità
all’ingestione. Successivamente l’aspirina dovrà
essere somministrata indefinitamente alla dose
di 75-100 mg/die a tutti i pazienti, a meno di reazioni da ipersensibilità che possono richiedere
opportuna terapia desensibilizzante.
Bloccanti del recettore P2Y12.
Clopidogrel e ticlopidina. Il clopidogrel e la
ticlopidina appartengono alla famiglia delle tienopiridine, farmaci che bloccano l’aggregazione
piastrinica indotta dall’ADP attraverso l’antagonismo selettivo e irreversibile dei recettori piastrinici P2Y12. Il dosaggio della ticlopidina è di 250 mg
due volte al giorno, tuttavia il suo impiego clinico
è fortemente limitato dai potenziali gravi effetti
collaterali, quali agranulocitosi e sanguinamenti
gastrointestinali. Il clopidogrel, apprezzabilmente
privo di tali rischi, è attualmente la tienopiridina
di scelta nella pratica clinica. Nei pazienti affetti
da STEMI e NSTE-ACS da indirizzare a procedura
invasiva/PCI è raccomandata la somministrazione
orale di clopidogrel in singola dose di carico di
300-600 mg seguita dalla dose di mantenimento
di 75 mg/die per 12 mesi. Nei pazienti sottoposti
a fibrinolisi la dose di carico di clopidogrel raccomandata varia in funzione dell’età: 300 mg nei
pazienti al di sotto dei 75 anni e 75 mg in quelli
più anziani.
408
Dose
Bolo e.v. 60 U/kg (max 4000 U), seguito da
infusione di 12 U/kg/ora (max 1000 U ora).
Infusione e.v. per 48 ore nei casi non complicati o a basso rischio tromboembolico.
Bolo e.v. 2,5 mg poi 2,5 mg sottocute una
volta al giorno fino a dimissione (max per
8 giorni)
vedi fibrinolisi
vedi fibrinolisi
vedi fibrinolisi
Prasugrel. Il prasugrel, come il clopidogrel, è
un profarmaco che, una volta metabolizzato al farmaco attivo, opera un blocco recettoriale irreversibile del recettore piastrinico per l’ADP. Rispetto
al suo predecessore, il prasugrel induce un’inibizione dell’aggregazione piastrinica più rapida, più
potente e più prevedibile per minore dipendenza
dai polimorfismi genetici del citocromo P450, enzima responsabile della sua biotrasformazione in
metabolita attivo. Prasugrel, pur rivelandosi superiore a clopidogrel in pazienti diabetici e in quelli
con STEMI, sembra determinare un significativo
aumento dei sanguinamenti in pazienti anziani,
di peso inferiore a 60 kg e con anamnesi positiva per eventi cerebrovascolari. Nei pazienti con
NSTE-ACS persistono divergenze di opinione circa
l’efficacia di un suo impiego clinico sistematico.
Ticagrelor. È un bloccante reversibile non tienopiridinico del recettore piastrinico P2Y12 che
non necessita di attivazione metabolica. In virtù
della sua potente e rapida azione antiaggregante
si è dimostrato particolarmente adatto all’utilizzo
in fase acuta e si candida come futuro farmaco di
prima linea in associazione all’aspirina in pazienti
con sindromi coronariche acute.
Inibitori della glicoproteina IIb/IIIa
La glicoproteina (GP) IIb-IIIa è un recettore
per il fibrinogeno costitutivamente espresso sulla superficie piastrinica. A seguito dell’attivazione
piastrinica si assiste ad un aumento del numero di
tali recettori e ad una variazione conformazionale
che ne aumenta l’affinità di legame per il fibrinogeno, il fattore von Willebrand ed altri ligandi. Una molecola di fibrinogeno funziona così da
ponte tra due piastrine adiacenti, determinando
Parte
quinta
Tabella 3. Inibitori glicoproteici del recettore GpIIb/IIIa
Abciximab (Reopro®)
Tirofiban (Aggrastat®)
Eptifibatide (Integrilin®)
Bolo di 0.25 mg/kg + 0.125 mg/kg/min in infusione e.v. per 12 ore
Infusione di 0.4 mg/kg/min per 30 minuti + 0.1 mg/kg/min per 48-72 ore
Bolo di 180 mg/kg + 2.0 mg/kg/min in infusione e.v.
l’aggregazione piastrinica. Gli antagonisti della GP
IIb-IIIa occupano questo recettore impedendone
il legame con il fibrinogeno e di conseguenza l’aggregazione piastrinica.
Gli inibitori glicoproteici di comune uso clinico
sono:
• il derivato del frammento di anticorpo monoclonale 7E3, abciximab;
• il peptide ciclico eptifibatide;
• l’inibitore a basso peso molecolare non peptidico tirofiban.
Tutti e tre gli antagonisti del recettore GP IIb/
IIIa si sono rivelati efficaci nel ridurre gli eventi
clinici trombotici in pazienti con sindrome coronarica acuta trattati con procedure interventistiche. Per la sue caratteristiche farmacocinetiche
e farmacodinamice l’abciximab è impiegato in
via preferenziale in sala di emodinamica (“downstream”) per PCI ad alto rischio. Le modalità di
somministrazione degli inibitori glicoproteici sono
riportate in Tabella 3.
Farmaci anticoagulanti
I farmaci anticoagulanti indicati dalle attuali
linee guida europee sono eparina non frazionata,
eparina a basso peso molecolare, fondaparinux e
bivalirudina.
Eparina non frazionata (unfractionated heparin, UFH). L’effetto anticoagulante dell’UFH richiede la presenza dell’antitrombina (AT): quando
l’eparina si lega all’AT, ne determina un cambiamento conformazionale che trasforma l’AT in un
inibitore rapido e molto potente. Il complesso
eparina-AT inattiva la trombina ed i fattori della
coagulazione IXa, Xa, XIa e XIIa. L’inattivazione
della trombina previene la formazione di fibrina
ed inibisce anche l’attivazione del fattore V e del
fattore VIII. Le vie di somministrazione dell’UFH
sono l’infusione endovenosa continua (con eparina sodica), che determina un effetto anticoagulante immediato; e l’iniezione sottocutanea (con
eparina sodica o calcica), che determina un effetto
anticoagulante ritardato e prolungato. Una volta in circolo, l’UFH si lega a numerose proteine
plasmatiche, alle cellule endoteliali e ai macrofagi, che ne riducono l’attività anticoagulante. Si
rende pertanto indispensabile un monitoraggio di
laboratorio periodico per correggere il dosaggio di
farmaco da somministrare: il test comunemente
usato è il tempo di tromboplastina parziale attivata (activated partial thromboplastin time, aPTT).
L’obiettivo terapeutico è di mantenere l’aPTT (valore basale di circa 25-35 secondi) in un range tra
1.5 e 2 volte i valori di base. Una lieve trombocitopenia si verifica precocemente nel 10-20%
dei pazienti in terapia con eparina, mentre una
trombocitopenia grave e tardiva (5-15 giorni dopo
l’inizio della terapia), su base immunologica, è una
complicanza più rara (1-2% dei casi), ma estremamente pericolosa, che richiede l’immediata
sospensione della terapia eparinica. Il razionale
dell’impiego di UHF durante fibrinolisi risiede nel
controbilanciare l’effetto pro-coagulante degli
agenti litici come alteplase, reteplase e tenecteplase. In corso di fibrinolisi la dose standard di
eparina consiste in un bolo di 60 U/kg (max 4000
U), seguito da infusione continua di 12 U/kg/ora
(max 1000 U ora). La terapia con eparina e.v. viene
mantenuta per 48 ore nei casi non complicati o a
basso rischio di complicanze tromboemboliche.
In caso di angiografia coronarica/PCI la somministrazione di eparina e.v è limitata alla fase di
esecuzione della procedura.
Eparine a basso peso molecolare (low molecular weight heparins, LMWH). Le LMWH sono
frazioni della molecola di eparina con un peso molecolare medio di circa 5000 Dalton. Le LMWH determinano un’inibizione maggiore del fattore Xa
rispetto alla trombina, con un rapporto di attività
antiXa:anti-IIa che varia da 2:1 fino a 4:1. Il legame
con l’AT è essenziale affinché le LMWH abbiano
attività anticoagulante, così come la presenza di
una sequenza pentasaccaridica nella molecola.
Un’emivita più lunga, una migliore biodisponibilità
nella somministrazione sottocutanea e una maggiore prevedibilità della relazione dose-risposta
rispetto all’UFH rendono le LMWH più maneggevoli dell’UFH, in particolare perché non richiedono
monitoraggio dell’aPTT.
409
Manuale
di cardiologia
Nella gestione di un sanguinamento, l’effetto
anticoagulante dell’UFH viene efficacemente annullato dal solfato di protamina (1 mg di solfato di
protamina neutralizza 5000 UI di eparina), un antidoto che neutralizza efficacemente l’attività antifattore IIa, mentre l’attività anti-fattore Xa delle
LMWH non è significativamente antagonizzata.
L’enoxaparina presenta una maggiore efficacia rispetto all’UFH nel ridurre gli eventi vascolari maggiori in pazienti con STEMI trattati con trombolitici.
Nei pazienti di età <75 anni le ultime linee guida
dell’AHA/ACC raccomandano per il trattamento
dello STEMI l’uso di enoxaparina in dosi standard
(3000 U in bolo e.v. + infusione di 100 U (1 mg)/kg
ogni 12 h fino alla dimissione) associato a terapia
trombolitica. Nei pazienti di età >75 anni, in alternativa all’UFH, l’enoxaparina può essere utilizzata
in infusione e.v. di 75 U/kg senza necessità di bolo
iniziale. In caso di NSTE-ACS l’enoxaparina è da
preferire nei pazienti trattati conservativamente,
mentre in quelli sottoposti a procedure invasive
si raccomanda l’impiego di UFH.
Fondaparinux. Il fondaparinux è un pentasaccaride di sintesi che si lega selettivamente all’antitrombina ed inibisce rapidamente il fattore Xa.
Attualmente le linee guida ne consigliano l’uso in
pazienti affetti da STEMI trattati con fibrinolisi o
non riperfusi mediante PCI. In pazienti con NSTEACS trattati conservativamente fondaparinux può
essere considerato l’anticoagulante ideale. In caso
di indicazione ad esame coronarografico si raccomanda l’associazione con dosi standard di UFH (85
U/kg) in quanto il blocco selettivo del fattore Xa
non protegge dalla trombosi su catetere.
Bivalirudina. La bivalirudina, derivato sintetico
dell’irudina, è un antagonista diretto e reversibile
della trombina. Attualmente trova indicazione nei
pazienti con sindrome coronarica acuta sottoposti
a PCI elettiva o primaria in alternativa all’associazione di UFH e anti-GP IIb/IIIa. La bivalirudina ha in
questa situazione dimostrato una netta riduzione
dei sanguinamenti e anche della mortalità a lungo
termine (nello STEMI) rispetto a UFH + abciximab.
Lo schema terapeutico validato prevede 0.75 mg/
kg di bolo seguito da infusione a 1.75 mg/kg/h
limitatamente alla fase della procedura.
Profilassi dell’ischemia e limitazione del danno
ischemico
La terapia farmacologica anti-ischemica ha
come obiettivo principale la riduzione del consu-
410
mo miocardico di ossigeno e l’aumento del flusso sanguigno subendocardico. I nitrati e i betabloccanti rappresentano i farmaci di prima scelta
per il controllo della sintomatologia anginosa e la
profilassi delle recidive ischemiche. In soggetti con
storia di asma bronchiale (in assenza di disfunzione ventricolare sinistra) i calcio-antagonisti non
diidropiridinici (diltiazem o verapamil) rappresentano una valida alternativa ai beta-bloccanti
(Tabella 1 e 2).
Nitroderivati
I nitrati organici sono esteri dell’acido nitrico
(HNO3). Tra di essi quelli più comunemente usati nella pratica clinica sono oggi la nitroglicerina
(NTG), l’isosorbide dinitrato (ISDN) e l’isosorbide mononitrato (ISMN). Essi sono disponibili in
un’ampia varietà di formulazioni, con differenti vie
di somministrazione.
I benefici effetti dei nitrati nei pazienti con cardiopatia ischemica sono essenzialmente associati
alla vasodilatazione delle vene di capacitanza e
delle arterie di conduttanza. La dilatazione delle vene di capacitanza riduce il ritorno venoso,
il precarico e la tensione di parete ventricolare.
La dilatazione delle arterie sistemiche di conduttanza, al contrario riduce il postcarico, un altro
determinante del consumo miocardico di ossigeno. I nitrati dilatano anche le arterie coronarie
epicardiche e i vasi coronarici collaterali, aumentando ulteriormente l’apporto di ossigeno al miocardio. Inoltre, essi possono aumentare il flusso
sanguigno alle aree ischemiche, in particolare al
subendocardio, riducendo la pressione diastolica
ventricolare e quindi attenuando la compressione
del subendocardio.
In virtù di queste caratteristiche la nitroglicerina sublinguale è indicata come terapia iniziale
nella maggior parte dei pazienti sintomatici con
sindrome coronarica acuta al dosaggio di 0,4 mg
ripetibile ogni 5 min fino ad un massimo di 3 dosi,
dopo di che si dovrebbe passare alla somministrazione endovenosa. Attualmente gli unici gruppi di
pazienti con infarto miocardico in cui la nitroglicerina non deve essere somministrata sono quelli
con infarto miocardico inferiore o sospetto di infarto del ventricolo destro o con grave ipotensione
(pressione sistolica <90 mmHg), specialmente se
accompagnata da bradicardia (<50 bpm) e quelli
che hanno assunto inibitori delle fosfodiesterasi
per il trattamento della disfunzione erettile nelle
Parte
ultime 24 ore (48 ore nel caso di tadalafil). L’uso
della NTG o dell’ISDN e.v. nelle prime 48 ore dello
STEMI è indicato per il trattamento del dolore da
ischemia persistente, della congestione polmonare e dell’ipertensione arteriosa, ma la decisione
di somministrare questi farmaci e i dosaggi utilizzati non devono precludere la possibilità di somministrare altri farmaci di cui è stata dimostrata
l’efficacia nel ridurre la mortalità (beta-bloccanti
ed ACE-inibitori). A tal proposito si ricorda che in
trial clinici randomizzati non è mai stato dimostrato che l’uso sistematico di nitrati e.v. abbia alcun
effetto sulla mortalità. Pertanto non ne è raccomandato l’uso routinario.
L’infusione ev di nitroglicerina dovrebbe essere
iniziata al dosaggio di 5-10 microg/min e titolata
in modo graduale fino ad ottenere la remissione
dei sintomi o la riduzione della pressione arteriosa
sistolica del 10-30%. La terapia infusiva dovrebbe
essere poi progressimante ridotta fino a sospenderla in 24-36 ore. Una limitazione all’uso continuo dei nitrati è il fenomeno della tolleranza, che
è correlato sia alla dose somministrata che alla
durata del trattamento. Ottenuta la remissione
dei sintomi, i nitrati in infusione possono essere
sostituiti dalla terapia orale o transdermica, con
opportune finestre di assunzione.
Beta-bloccanti
I beta-bloccanti inibiscono gli effetti delle
catecolamine circolanti mediante il blocco competitivo dei recettori beta-adrenergici. Tale inibizione determina una riduzione della contrattilità miocardica, della frequenza cardiaca, della
velocità di conduzione atrio-ventricolare e della
pressione arteriosa sistemica, con conseguente
riduzione del consumo miocardico di ossigeno.
I beta-bloccanti di prima generazione, come il
propranololo, bloccano i recettori beta in modo
non selettivo (sia β1 che β2); quelli di seconda
generazione come metoprololo, bisoprololo e atenololo sono relativamente selettivi per i recettori
β1, localizzati prevalentemente nel cuore; quelli
di terza generazione sono anche vasodilatatori
ad attività anti-α-adrenergica, come nel caso del
carvedilolo. La somministrazione e.v. precoce dei
beta-bloccanti è consigliabile in presenza di tachicardia, ipertensione arteriosa, dolore resistente
agli oppiacei, aritmie ventricolari e sopraventricolari e in genere quando siano presenti segni di
iperattività simpatica. Le principali controindica-
quinta
zioni sono la bradicardia marcata, il blocco A-V di
I grado con intervallo PR>0,24 secondi, il blocco
A-V di II o III grado, l’asma bronchiale, lo shock
cardiogeno e l’ipotensione arteriosa persistente.
In fase acuta le molecole di più comune utilizzo
sono il metoprololo (2.5-5 mg e.v. in due minuti
sino a tre volte) e l’atenololo (5-10 mg e.v. sino a
2 dosi). Superata la fase acuta si passa alla somministrazione orale, che tuttavia è da posticiparsi
qualora il paziente sia emodinamicamente instabile (classe Killip >2, frequenza cardiaca <55 bpm,
BAV di II o III grado). Nei pazienti con segni clinici
o strumentali di insufficienza ventricolare sinistra
acuta è consigliabile iniziare la terapia per os a
basso dosaggio, effettuando un attento monitoraggio dei parametri emodinamici. Nei pazienti
con funzione ventricolare sinistra conservata la
somministrazione orale inizia con 50 mg di metoprololo o atenololo due volte al dì.
Altri farmaci
Calcio-antagonisti
Attualmente non si raccomanda l’uso routinario dei calcio-antagonisti nei pazienti con STEMI.
Per quanto riguarda verapamil e diltiazem essi
possono essere utili come antiischemici nei pazienti in cui i beta-bloccanti siano inefficaci o controindicati, quando la componente vasospastica
coronarica sia prevalente o quando vi sia una concomitante tachiaritmia sopraventricolare. Verapamil e diltiazem devono essere evitati in pazienti
con alterazioni della conduzione atrio-ventricolare
e con segni clinici di scompenso cardiaco (classe
Killip ≥ 2). L’uso di calcio-antagonisti diidropiridinici a lunga durata d’azione (amlodipina) viene
preso in considerazione dopo le prime 48 ore nei
pazienti infartuati con insoddisfacente controllo
dei valori pressori in associazione a beta-bloccanti
e ACE-inibitori. Da evitare la somministrazione di
calcio-antagonisti diidropiridinici a breve durata
d’azione (nifedipina in gocce o compresse sublinguali) ad un paziente ischemico con alti valori pressori poiché la brusca caduta pressoria e
la tachicardia riflessa peggiorano ulteriormente
l’ischemia miocardica in corso.
ACE-inibitori e sartani
Gli inibitori dell’enzima di conversone dell’angiotensina (ACE) inibiscono la conversione dell’angiotensina I in angiotensina II, impedendo così
411
Manuale
di cardiologia
l’attività vasocostrittrice e sodio-ritenitiva dell’angiotensina II, ed inibiscono la degradazione delle
chinine, peptidi capaci di stimolare la sintesi di
prostaglandine e la liberazione del potente vasodilatatore nitrossido (NO). Pertanto, gli ACE-inibitori riducono le resistenze arteriolari sistemiche e
aumentano la distensibilità delle grosse arterie,
riducendo così la pressione arteriosa sia sistolica
che diastolica. Inoltre sono in grado d’interferire
con i processi di crescita e di rimodellamento delle
cellule muscolari lisce cardiache e vascolari stimolati dall’angiotensina II. Gli ACE-inibitori dovrebbero essere somministrati precocemente (entro
24 ore) in tutti i pazienti con STEMI in particolare
quelli con necrosi in sede anteriore, segni di insufficienza cardiaca congestizia e riduzione della
frazione di eiezione (<40%), indipendentemente
dai valori pressori a meno che non sia presente
un’instabilità emodinamica o un’intolleranza. Si
raccomanda di iniziare il trattamento con basse
dosi iniziali soprattutto in caso di valori pressori ai
limiti inferiori (es. ramipril 1,25-2,5 mg due volte
al dì, enalapril o lisinopril 2,5-5 mg due volte al
dì) e di aumentare il dosaggio facendo particolare
attenzione all’andamento pressorio e ai valori di
creatininemia e potassiemia. In caso di pazienti
intolleranti agli ACE-inibitori l’alternativa è costituita dagli inibitori dei recettori dell’angiotensina
II (angiotensin receptor blockers, ARB), farmaci comunemente detti sartani, quali valsartan e
candesartan.
Terapia ipocolesterolemizzante
L’impiego di farmaci, quali le statine in grado di
ridurre i livelli di colesterolemia attraverso l’inibizione dell’enzima coinvolto nella sintesi epatica di
colesterolo il 3-idrossi-3-metil-glutaril-coenzima-A
reduttasi, migliora la sopravvivenza nei pazienti
con malattia coronarica indipendentemente dai
livelli di colesterolo sierico. Studi di confronto
hanno documentato che la somministrazione di
statine in pazienti con SCA-NSTE ne migliora la
prognosi riducendo in maniera significativa l’incidenza combinata di morte, IMA o nuovi episodi di
ischemia miocardica. A lungo termine con tale terapia è anche possibile minimizzare la progressione delle lesioni aterosclerotiche nei distretti coronarici non direttamente responsabili dell’ischemia
acuta. Per ottenere tali benefici è tuttavia necessario somministrare le statine in modo precoce,
ovvero entro le 96 ore dal ricovero per la SCA,
412
ed in modo “aggressivo”, ovvero con l’obiettivo
terapeutico di ridurre il colesterolo LDL a livelli
<70 mg/dl. I benefici della terapia ipocolesterolemizzante in fase acuta dell’infarto miocardico
potrebbero in linea teorica essere estesi anche a
pazienti con STEMI, anche se a tutt’oggi non esiste
documentazione scientifica al riguardo.
Controllo glicemico
Esiste una letteratura relativamente ampia che
dimostra l’importanza prognostica dell’alterata regolazione del glucosio nelle SCA e dell’accurato
controllo glico-metabolico nei pazienti trattati in
Unità di Terapia Intensiva, indipendentemente
dalla patologia d’ingresso. Un controllo accurato della glicemia in tali pazienti sembra determinare un beneficio in termini di sopravvivenza.
Tuttavia la terapia con insulina e.v. è gravata da
un’incidenza non trascurabile di ipoglicemie, con
valenza prognostica negativa simile alle iperglicemie all’ingresso. Pertanto la terapia infusionale
con insulina andrebbe intrapresa solo se l’Unità
di Terapia Intensiva Coronarica è in condizioni di
poter assicurare un controllo glicemico frequente. Non appare invece di alcuna utilità l’uso indiscriminato di glucosio-insulina-potassio (GIK,
soluzioni “polarizzanti”) in assenza di controllo
glico-metabolico.
Rivascolarizzazione miocardica
I pazienti affetti da sindrome coronarica acuta
con evidenza di sopraslivellamento del tratto ST
(STEMI) dovrebbero essere valutati per una terapia riperfusiva immediata mediante fibrinolisi
o intervento coronarico percutaneo (PCI). Nei
pazienti affetti da NSTE-ACS la terapia riperfusiva
mediante fibrinolisi è controindicata. Tali pazienti
meritano invece una stratificazione prognostica al
fine di stabilire la migliore strategia terapeutica.
STEMI
Lo STEMI è causato nella maggior parte dei
casi dall’occlusione trombotica di una coronaria
epicardica da parte di un trombo ricco di fibrina superimposto su una complicazione locale
dell’aterosclerosi. Almeno la metà dei decessi per
infarto miocardico si verifica entro un’ora dall’inizio dei sintomi e prima di raggiungere un ospedale. È quindi fondamentale intraprendere il prima
possibile (entro 12 ore) una terapia che riapra la
Parte
coronaria occlusa e permetta la riperfusione del
miocardio ischemico per limitare la dimensione
dell’infarto e prevenirne l’estensione. La riperfusione miocardica precoce, farmacologica o meccanica, deve essere tentata in tutti i pazienti con
una presentazione clinica di STEMI (con persistente
sopraslivellamento del tratto ST o blocco di branca
sinistra di nuova insorgenza), salvo controindicazioni. Con un’ampia applicazione della terapia riperfusiva i tassi di mortalità a 30 giorni dovuti a STEMI si
sono progressivamente ridotti (dal 20-30% di circa
20 anni fa al 5-10% attuale). La riperfusione farmacologica viene effettuata con farmaci fibrinolitici,
quella meccanica mediante angioplastica (percutaneous coronary interventions, PCI).
Fibrinolisi
La fibrinolisi ricanalizza l’occlusione trombotica
che si verifica in corso di STEMI e, attraverso il ripristino del flusso coronarico e la riduzione delle dimensioni dell’infarto e della disfunzione miocardica,
migliora la sopravvivenza sia a breve che a lungo termine. La fibrinolisi rappresenta l’alternativa principale all’angioplastica primaria non eseguibile entro 90
minuti dal primo contatto medico (preferibilmente
entro 3 ore dall’insorgenza dei sintomi) (Figura 1). È
necessario valutare l’efficacia della fibrinolisi attraverso il monitoraggio di parametri clinico-strumentali di avvenuta riperfusione, al fine di poter ricorrere
in tempo utile alla “PCI di salvataggio”. Secondo le
linee guida europee la fibrinolisi non dev’essere considerata la terapia definitiva per lo STEMI:
• nei pazienti in cui la fibrinolisi fosse risultata
inefficace si raccomanda il trasferimento per
“PCI di salvataggio”;
quinta
• nei pazienti in cui la fibrinolisi sia risultata
efficace si raccomanda comunque lo studio
coronarografico e l’eventuale procedura interventistica entro le 24 ore;
• nei pazienti in cui non sia possibile eseguire la
coronarografia entro le 24 ore si raccomanda
di effettuare stratificazione prognostica mediante test di valutazione dell’ischemia residua.
I farmaci fibrinolitici attualmente disponibili
sono:
• Streptochinasi (SK, 1.500.000 U in 60’)
• Alteplase (r-PA, 10 +10 U in due boli a distanza
di 30 minuti l’uno dall’altro)
• Reteplase (r-tPA, bolo 15 mg + 0,75 mg/Kg in
30’ + 0,3 mg/Kg in 60’)
• Tenecteplase (TNK-tPA, 0,5 mg/kg in singolo
bolo)
Essi in generale catalizzano la trasformazione
del plasminogeno in plasmina, enzima che provvede alla degradazione della fibrina con conseguente dissoluzione del coagulo.
Le controindicazioni assolute e relative alla terapia fibrinolitica sono riportate in Tabella 4.
PCI primaria
Per PCI primaria si intende un’angioplastica
con o senza l’impianto di stent senza precedente
o concomitante terapia fibrinolitica, e costituisce
l’opzione terapeutica di scelta quando possa essere eseguita entro le 12 ore dall’insorgenza di
sintomi e segni di STEMI. È invece preferibile il
trattamento fibrinolitico quando la sintomatologia è insorta da meno di 3 ore e l’angioplastica
primaria non è eseguibile entro 90 minuti dal pri-
Figura 1. Algoritmo di scelta della strategia riperfusiva in corso di
STEMI
413
Manuale
di cardiologia
Tabella 4. Controindicazioni alla terapia fibrinolitica
Controindicazioni assolute
Ictus emorragico o ictus ad eziologia ignota in qualsiasi momento
Ictus ischemico nei 6 mesi precedenti
Patologia o neoplasia del sistema nervoso centrale
Recenti traumi maggiori/chirurgia/traumi cranici (nelle 3 settimane precedenti)
Sanguinamenti gastrointestinali nell’ultimo mese
Alterazioni della coagulazione note
Dissezione aortica
Punture in sede non comprimibile (ad es. biopsia epatica, puntura lombare)
Controindicazioni relative
Attacco ischemico transitorio nei 6 mesi precedenti
Terapia anticoagulante orale
Gravidanza o parto nell’ultima settimana
Ipertensione refrattaria (pressione arteriosa sistolica >180mmHg e/o pressione arteriosa diastolica >110 mmHg)
Patologia epatica avanzata
Endocardite infettiva
Ulcera peptica attiva
Rianimazione refrattaria
mo contatto medico (Figura 1). La PCI primaria,
inoltre, è il trattamento di scelta nei pazienti con
controindicazioni alla terapia trombolitica e nei
pazienti in stato di shock. Rispetto alla trombolisi,
la PCI primaria fornisce una maggior probabilità di
ripristinare il flusso ematico e di stabilizzare l’arteria occlusa. L’originale procedura di angioplastica
coronarica attraverso dilatazione con palloncino
ha subito un sostanziale miglioramento tecnico
con l’introduzione degli stent coronarici. Lo stent è
un dispositivo di forma cilindrica costituito da una
rete a maglie metalliche che viene posizionato a
livello della lesione “colpevole” (culprit) (responsabile dell’infarto) in seguito alla dilatazione con
palloncino. L’impianto di stent riduce l’incidenza
di ristenosi del vaso trattato, ma non si associa ad
una riduzione della mortalità o dell’incidenza di
reinfarto rispetto alla sola angioplastica. La ricanalizzazione meccanica può determinare embolizzazione di materiale trombotico con conseguente
ostruzione del microcircolo coronarico. Il cosiddetto “no-reflow” definisce la mancata riperfusione
miocardica nonostante il ripristino della pervietà
del vaso e si associa ad una prognosi peggiore.
Tale fenomeno è dovuto a disfunzione endoteliale, danno microvascolare, micro-embolizzazione
di materiale aterotrombotico, edema miocardico
e liberazione di radicali liberi dell’ossigeno. Vari
sistemi sono stati pertanto proposti per ridurre il
“carico” trombotico o impedire la sua embolizza414
zione a valle, tra cui sistemi di protezione distale
e di trombo aspirazione. Questi ultimi in particolare hanno dimostrato recentemente una buona
efficacia.
PCI facilitata
La PCI facilitata si definisce come intervento
coronarico percutaneo programmato entro 12 ore
dall’insorgenza dei sintomi, dopo la somministrazione di farmaci trombolitici o inibitori della GP
IIb/IIIa, che fanno da “ponte” tra il primo contatto
medico e la PCI primaria.
Tale procedura non è attualmente raccomandata dalle linee guida in quanto a tassi aumentati di pervietà vasale post-PCI non corrisponde
alcun vantaggio in termini di sopravvivenza del
paziente, in parte da attribuirsi all’aumento delle
complicanze emorragiche.
PCI di salvataggio (rescue)
La PCI di salvataggio si esegue per disostruire
l’arteria coronaria responsabile dello STEMI, che
rimane occlusa nonostante la terapia trombolitica.
L’identificazione dei candidati a PCI di salvataggio
deve essere precoce (entro le 2 ore dall’inizio della trombolisi), con il monitoraggio dell’ECG e degli
indici biochimici di necrosi miocardica. La finestra
ottimale per tale procedura è compresa tra le 2 e
le 12 ore dalla somministrazione del trombolitico, poiché la PCI immediata (entro due ore dalla
Parte
quinta
Figura 2. Stratificazione del rischio in pazienti con NSTE-ACS e scelta della strategia terapeutica.
fibrinolisi) è già stata dimostrata inefficace oltre
che dannosa.
Bypass aorto-coronarico
Il bypass aortocoronarico (coronary artery
bypass graft, CABG) nella fase acuta dello STEMI
ha oggi un’indicazione limitata: può essere utile
quando la PCI non ha avuto un risultato favorevole, quando si osserva l’improvvisa occlusione
di una coronaria durante il cateterismo, quando
la PCI non è fattibile, oppure in pazienti con shock
cardiogeno, rottura del setto interventricolare o
disfunzione/rottura di muscoli papillari. La mortalità del CABG è estremamente elevata nei 3-7
giorni immediatamente seguenti lo STEMI, e il beneficio derivante dalla rivascolarizzazione deve essere dunque confrontato con l’aumento di rischio
derivante dall’intervento. Nei casi con anatomia
coronarica critica è consigliabile pertanto dilazionare il CABG nel tentativo di ottenere una stabilizzazione clinica ed emodinamica del paziente.
NSTEMI
Nei pazienti affetti da sindrome coronarica acuta senza sopraslivellamento del tratto ST
(NSTE-ACS) l’indicazione e il timing della coronarografia sono guidati da una valutazione combinata del rischio derivante dall’integrazione di dati
clinici, elettrocardiografici e biochimici (Figura 2).
A tal scopo sono stati recentemente introdotti
due importanti modelli di stratificazione prognostica: il “TIMI risk score” e il “GRACE risk score”.
Il punteggio di rischio calcolato in fase acuta, ci
consente di classificare il paziente come a basso,
intermedio o ad alto rischio. Nel caso di pazienti
a basso rischio si preferisce un approccio conservativo, posticipando l’esecuzione dell’esame
coronarografico in fase di stabilità clinica (coronarografia elettiva). Nei pazienti a rischio moderato
si pone indicazione all’esecuzione di esame coronarografico precoce, entro 72 ore dall’insorgenza
dei sintomi. Infine, i pazienti a rischio più elevato
(angina refrattaria, instabilità emodinamica, TV e
FV) devono essere indirizzati a strategia invasiva
d’urgenza (entro 2 ore).
Bibliografia
Antman EM, Hand M, Armstrong PW et al. 2007 Focused Update of the ACC/AHA 2004 Guidelines for the
Management of Patients With ST-Elevation Myocardial Infarction: a report of the American College of
Cardiology/American Heart Association Task Force
on Practice Guidelines: developed in collaboration
With the Canadian Cardiovascular Society endorsed
by the American Academy of Family Physicians: 2007
Writing Group to Review New Evidence and Update
the ACC/AHA 2004 Guidelines for the Management
415
Manuale
di cardiologia
of Patients With ST-Elevation Myocardial Infarction,
Writing on Behalf of the 2004 Writing Committee.
Circulation 2008; 117: 296-329
Antman EM, Morrow DA, McCabe CH et al. Enoxaparin versus unfractionated heparin with fibrinolysis
for ST-elevation myocardial infarction. N EngJ Med
2006; 354: 1477-88
Antman EM, Anbe DT, Armstrong PW et al. ACC/
AHA guidelines for the management of patients
with ST-elevation myocardial infarction: a report
of the American College of Cardiology/American
Heart Association Task Force on Practice Guidelines (Committee to Revise the 1999 Guidelines for
the Management of Patients with Acute Myocardial Infarction). Circulation. 2004;110:e82-292
Bassand JP, Hamm CW, Ardissino D et al.Guidelines for
the diagnosis and treatment of non-ST-segment
elevation acute coronary syndromes: The Task
Force for the Diagnosis and Treatment of Non-STSegment Elevation Acute Coronary Syndromes of
the European Society of Cardiology. Eur Heart J
2007; 28, 1598-660
Cannon CP, Braunwald E, McCabe CH et al. Intensive versus moderate lipid lowering with statins
after acute coronary syndromes. N Engl J Med.
2004;350:1495-504
De Caterina R, Husted S, Wallentin L et al. Anticoagulants in heart disease: current status and perspectives. Eur Heart J 2007; 28:880-913
De Caterina R et al. Malattie del cuore e dei vasi. 2010
Edizioni Piccin
De Luca G, Suryapranata H, Stone G W et al. Abciximab as adjunctive therapy to reperfusion in acute ST-segment elevation myocardial infarction: a
meta-analysis of randomized trials. JAMA. 2005;
293:1759-65
Efficacy and safety of tenecteplase in combination with
enoxaparin, abciximab, or unfractionated heparin:
the ASSENT-3 randomised trial in acute myocardial
infarction. Lancet. 2001;358:605-13
Fibrinolytic Therapy Trialists’ (FTT) Collaborative
Group. Indications for fibrinolytic therapy in suspected acute myocardial infarction: collaborative
overview of early mortality and major morbidity
results from all randomised trials of more than
1000 patients. Lancet. 1994;343:311-22
ISIS-2 (Second International Study of Infarct Survival)
Collaborative Group. Randomised trial of intravenous streptokinase, oral aspirin, both, or neither
among 17,187 cases of suspected acute myocardial
infarction: ISIS-2. Lancet. 1988;2:349-60
Keeley EC, Boura JA & Grines, CL Comparison of primary and facilitated percutaneous coronary interventions for ST-elevation myocardial infarction:
quantitative review of randomised trials. Lancet
2006; 367, 579-88
416
King SB 3rd, Smith SC Jr, Hirshfeld JW Jr et al. 2007
Focused Update of the ACC/AHA/SCAI 2005 Guideline Update for Percutaneous Coronary Intervention: a report of the American College of Cardiology/American Heart Association Task Force
on Practice Guidelines: 2007 Writing Group to
Review New Evidence and Update the ACC/AHA/
SCAI 2005 Guideline Update for Percutaneous
Coronary Intervention, Writing on Behalf of the
2005 Writing Committee. Circulation 2008; 117:
261-95.
LaRosa JC, Grundy SM, Waters DD et al. Intensive lipid
lowering with atorvastatin in patients with stable
coronary disease. N Engl J Med. 2005;352:142535
Maggioni AP, Franzosi MG, Santoro E et al. The risk
of stroke in patients with acute myocardial infarction after thrombolytic and antithrombotic
treatment. Gruppo Italiano per lo Studio della
Sopravvivenza nell’Infarto Miocardico II (GISSI-2),
and The International Study Group. N Engl J Med.
1992;327:1-6
Patrono C, Bachmann F, Baigent C et al. Expert consensus document on the use of antiplatelet agents.
The task force on the use of antiplatelet agents
in patients with atherosclerotic cardiovascular disease of the European Society of Cardiology. Eur
Heart J. 2004;25:166-81
Petersen JL, Mahaffey KW, Hasselblad V et al. Efficacy
and bleeding complications among patients randomized to enoxaparin or unfractionated heparin
for antithrombin therapy in non-ST-Segment elevation acute coronary syndromes: a systematic
overview. JAMA. 2004;292:89-96
The GUSTO investigators. An international randomized trial comparing four thrombolytic strategies
for acute myocardial infarction. N Engl J Med.
1993;329:673-82
Thygesen K, Alpert J S, White H D et al. Universal definition of myocardial infarction. Circulation 2007;
116, 2634-53
Van de Werf F, Ardissino D, Betriu A et al. Management
of acute myocardial infarction in patients presenting with ST-segment elevation. The Task Force on
the Management of Acute Myocardial Infarction
of the European Society of Cardiology. Eur Heart
J. 2003;24:28-66
Wijns W, Kohl P, Danchin N et al. Guidelines on myocardial revascularization: The Task Force on Myocardial Revasularization of the European Society of
Cardiology (ESC) and the European Association for
Cardio-Thoracic Surgery (EACTS). Eur Heart J 2010:
31:2501-55
Yusuf S, Mehta S R, Chrolavicius S et al. Comparison
of fondaparinux and enoxaparin in acute coronary
syndromes. N Engl J Med 2006; 354, 1464-76
Parte
Zimarino M, Sacchetta D, Renda G et al. Facilitated PCI: Rationale, Current Evidence, Open Questions, and Future Directions. J Cardiovasc Pharmacol 2008; 51: 3-10
Zimarino M, De Caterina R. Glycoprotein IIb-IIIa antagonists in non-ST elevation acute coronary syndro-
quinta
mes and percutaneous interventions: from pharmacology to individual patient’s therapy. Part 1:
The evidence of benefit. Part 2: When and how to
use various agents. J Cardiovasc Pharmacol 2004;
43: 325-32 and 477-84
417