Parte quinta Terapia delle sindromi coronariche acute: STEMI e NSTE-ACS Francesco Iachini-Bellisarii, Francesco Radico, Fabrizio Ricci e Raffaele De Caterina Introduzione In questo capitolo vengono delineati i principi attuali di terapia delle sindromi coronariche acute (SCA, acute coronary sindromes, ACS), che comprendono l’infarto con sopraslivellamento del tratto ST (ST elevation myocardial infarction, STEMI) e le sindromi coronariche acute senza ST sopraslivellato (non-ST elevation acute coronary sindrome, NSTE-ACS), a loro volta costituite da angina instabile e infarto senza sopraslivellamento del tratto ST. Verranno trattati i seguenti argomenti: • Trattamento del dolore e misure generali • Terapia antitrombotica • Farmaci antiaggreganti piastrinici • Farmaci anticoagulanti • Profilassi dell’ischemia e limitazione del danno ischemico • Altri farmaci • Rivascolarizzazione miocardica, che comprende aspetti specifici di trattamento dello STEMI e delle NSTE-ACS Trattamento del dolore e misure generali La morfina solfato costituisce il trattamento di scelta del dolore toracico e dell’agitazione, responsabili dell’aumento del tono adrenergico con conseguente vasocostrizione ed aumento del lavoro cardiaco: si comincia con una dose di 4-8 mg e.v. in 5 minuti che può essere aumentata di 2 mg ogni 5-15 minuti, fino a risoluzione del dolore. Essa in particolare è raccomandata nei pazienti i cui sintomi persistono dopo tre somministrazioni di compresse sublinguali di nitroglicerina o recidi- vano nonostante adeguata terapia antischemica. Gli effetti collaterali possono essere nausea, vomito, ipotensione, bradicardia e depressione respiratoria, antagonizzabili con l’uso di antiemetici, atropina, o naloxone. Se la morfina non dovesse risultare efficace, possono essere utili beta-bloccanti o nitrati endovena. La supplementazione di ossigeno a basso flusso (2-4 l/min) è raccomandata in tutti i pazienti con sospetto infarto miocardico durante le prime 24-48 ore, in particolare quando i livelli di saturazione arteriosa di O2 scendono sotto il 90% o in caso di segni di scompenso cardiaco o di shock (Tabelle 1 e 2). Terapia antitrombotica La rottura, fissurazione o erosione di una o più placche ateromasiche giocano un ruolo cardine nella fisiopatologia delle sindromi coronariche acute. L’esposizione al torrente ematico di fattori protrombotici, quali il fattore tissutale e il collagene sub-endoteliale, provoca da un lato adesione e aggregazione piastrinica e dall’altro attivazione della cascata emocoagulativa con produzione di fibrina e stabilizzazione del trombo. Entrambi i meccanismi rappresentano pertanto importanti bersagli terapeutici, che possono essere efficacemente antagonizzati da una vasta gamma di farmaci oggi disponibili in commercio (Tabelle 1 e 2). Per una trattazione più estesa dei farmaci antitrombotici si rimanda al capitolo specifico. Farmaci antiaggreganti piastrinici Aspirina. L’effetto antitrombotico dell’aspirina (acido acetil-salicilico) è dovuto all’inibizione della cicloossigenasi (COX)-1 piastrinica, che blocca la produzione di trombossano (TX)A2, un poten- 405 Manuale di cardiologia Tabella 1. Trattamento farmacologico del paziente con sindromi coronariche acute senza sopraslivellamento del tratto ST (NSTE-ACS) Farmaco Dose 4-8 mg e.v. in 5 minuti, eventualmente aumenMorfina Dolore toracico e agitazione tata di 2 mg ogni 5-15 minuti 0,4 mg subling. ogni 5 min fino ad un massimo Pazienti sintomatici, con ischemia persistendi 3 dosi; te, scompenso (Killip 2-3), o ipertensione poi infusione e.v. dose iniz. 5-10 µg/min titolaNitroglicerina arteriosa. Controindicata in caso di IMA inta fino a remissione sintomi o riduzione della feriore o destro o di ipotensione P.A. del 10-30% Preferibilmente in pazienti con scompenso, Ossigeno 2-4 l/min nelle prime 24-48 h shock, o ↓SaO2 Infusione e.v. nei pazienti con segni di iperattività simpatica, poi al raggiungimento della stabilità clinica proseguire con somministra- Da titolare in base a frequenza cardiaca (target Betabloccanti zione per os a vita in tutti i pazienti (salvo 50-60 bpm) e pressione arteriosa controindicazioni) indipendentemente dalla presenza o meno di scompenso In tutti i pazienti con NSTE-ACS entro 24 ore Iniziare trattamento con basse dosi e aumentare Ace-inibitori indipendentemente da valori di P.A. salvo il dosaggio progressivamente monitorando presinstabilità emodinamica o intolleranza sione arteriosa, creatininemia e potassiemia Titolata al raggiungimento del valore target di In tutti i pazienti con NSTE-ACS indipendenStatine LDL (almeno <100 mg/dl preferibilmente <70 temente da valori di colesterolemia mg/dl) Il prima possibile in tutti i pz con sospetto Dose iniziale 160-325 mg; Aspirina NSTE-ACS poi 75-100 mg/die a vita In caso di strategia invasiva: Dose di carico di 300-600 mg ; poi 75 mg/die per almeno 12 Clopidogrel In tutti i pazienti con NSTE-ACS mesi In caso di strategia conservativa: 75 mg/die (senza dose di carico) In pazienti a rischio elevato da sottoporre a Bolo di 0.25 mg/kg (in sala di emodinamica) + Abciximab PCI 0.125 mg/kg/min in infusione e.v. per 12 ore In tutti i pazienti con NSTE-ACS la scelta diAnticoagulanti pende dalla strategia: Strategia invasiva d’urgenza Bolo 100 U/kg (o 60 U/kg + inib. GpIIb/IIIa) Eparina non frazionata (poi infusione aggiustata sull’ ACT fino a fine procedura) Bolo 0,75 mg/kg poi infusione 1,75/kg fino a Bivalirudina Alternativa a UFH + inibitori GpIIb/IIIa fine procedura Bolo e.v. 3000 U + infusione di 100 U/kg ogni 12 h fino alla dimissione. Enoxaparina Pochi dati di efficacia Pz >75 anni infusione 75 U/kg senza bolo iniziale Strategia invasiva precoce o conservativa 2,5 mg sottocute una volta al giorno fino a Prima scelta per miglior rapporto efficacia/ dimissione → in caso di PCI aggiungere dose Fondaparinux sicurezza standard di eparina non fraz. (85 U/kg o 60 U/ kg + abciximab) 1 mg/kg s.c. 2 volte al giorno fino a dimissione In caso di PCI nuovo bolo (0,30 mg/kg e.v.) di Enoxaparina Alternativa se rischio emorragico è basso enoxaparina se ultima dose s.c. risale a più di 8-12 ore 406 Indicazioni Parte quinta Tabella 2. Trattamento farmacologico del paziente con STEMI Farmaco Nitroglicerina Morfina Ossigeno Betabloccanti Ace-inibitori Statine Aspirina Clopidogrel Prasugrel Abciximab Anticoagulanti Indicazioni Dose 0,4 mg sublinguale ogni 5 min fino ad un Pazienti sintomatici, con ischemia persistenmassimo di 3 dosi; te, scompenso (Killip 2-3), o ipertensione poi infusione e.v. dose iniz. 5-10 µg/min tiarteriosa. Controindicazioni in caso di IMA tolata fino a remissione sintomi o ↓P.A. del inferiore o destro o di ipotensione 10-30% 4-8 mg e.v. in 5 minuti che può essere auDolore toracico e agitazione mentata di 2 mg ogni 5-15 Preferibilmente in pazienti conscompenso, 2-4 l/min nelle prime 24-48 h shock, o ↓SaO2 Infusione e.v. nei pz con segni di iperattività simpatica, poi al raggiungimento della stabilità clinica proseguire con somministrazione Da titolare in base a frequenza cardiaca (tarper os a vita in tutti i pazienti (salvo controin- get 50-60 bpm) e pressione arteriosa dicazioni) indipendentemente dalla presenza o meno di scompenso Iniziare trattamento con basse dosi e aumenIn tutti i pazienti con NSTE-ACS entro 24 ore tare il dosaggio progressivamente monitoindipendentemente da valori di P.A. salvo rando pressione arteriosa, creatininemia e instabilità emodinamica o intolleranza potassiemia Titolata al raggiungimento del valore target In tutti i pazienti con NSTE-ACS indipendendi LDL (almeno <100 mg/dl preferibilmente temente da valori di colesterolemia <70 mg/dl) Il prima possibile in tutti i pazienti con so- Dose iniziale 160-325 mg; spetto STEMI poi 75-100 mg/die a vita Dipende dalla procedura: - PCI: Dose di carico di 300-600 mg ; poi 75 mg/die per almeno 12 mesi - FIBRINOLISI: Dose di carico 300 mg (se > In tutti i pazienti con STEMI 75 anni 75 mg); poi 75 mg/die per almeno 12 mesi - NO RIPERFUSIONE: 75 mg/die per almeno 12 mesi (senza dose di carico) Preferibilmente in pazienti diabetici, di peso Dose di carico:60 mg; >60kg, di età <75 anni, in assenza di pregrespoi 10 mg/die per almeno 12 mesi si eventi cerebrovascolari In pazienti a rischio elevato da sottoporre a Bolo di 0.25 mg/kg + 0.125 mg/kg/min in PCI infusione e.v. per 12 ore In tutti i pazienti con STEMI; la scelta dipen de dalla procedura: Pci primaria Eparina non frazionata Bivalirudina Bolo 100 U/kg (o 60 U/kg + Abciximab) (poi infusione aggiustata sull’ACT fino a fine procedura) Bolo 0,75 mg/kg poi infusione 1,75/kg fino a fine procedura Fibrinolisi Enoxaparina Bolo e.v. 3000 U + infusione di 100 U/kg ogni 12 h fino alla dimissione. Pz >75 anni infusione 75 U/kg senza bolo iniziale (segue Tabella 2) 407 Manuale di cardiologia (continua Tabella 2) Farmaco Indicazioni Eparina non frazionata Fondaparinux Mancata rivascolarizzazione Fondaparinux Enoxaparina Eparina non frazionata te induttore di vasocostrizione e di aggregazione piastrinica. L’aspirina deve essere somministrata il più presto possibile ad ogni paziente con sospetta sindrome coronarica acuta a dosi iniziali comprese tra 160 e 325 mg, al fine di accelerare il processo di inibizione della COX-1. L’aspirina per via endovenosa al dosaggio di 250-500 mg rappresenta un’alternativa in caso di impossibilità all’ingestione. Successivamente l’aspirina dovrà essere somministrata indefinitamente alla dose di 75-100 mg/die a tutti i pazienti, a meno di reazioni da ipersensibilità che possono richiedere opportuna terapia desensibilizzante. Bloccanti del recettore P2Y12. Clopidogrel e ticlopidina. Il clopidogrel e la ticlopidina appartengono alla famiglia delle tienopiridine, farmaci che bloccano l’aggregazione piastrinica indotta dall’ADP attraverso l’antagonismo selettivo e irreversibile dei recettori piastrinici P2Y12. Il dosaggio della ticlopidina è di 250 mg due volte al giorno, tuttavia il suo impiego clinico è fortemente limitato dai potenziali gravi effetti collaterali, quali agranulocitosi e sanguinamenti gastrointestinali. Il clopidogrel, apprezzabilmente privo di tali rischi, è attualmente la tienopiridina di scelta nella pratica clinica. Nei pazienti affetti da STEMI e NSTE-ACS da indirizzare a procedura invasiva/PCI è raccomandata la somministrazione orale di clopidogrel in singola dose di carico di 300-600 mg seguita dalla dose di mantenimento di 75 mg/die per 12 mesi. Nei pazienti sottoposti a fibrinolisi la dose di carico di clopidogrel raccomandata varia in funzione dell’età: 300 mg nei pazienti al di sotto dei 75 anni e 75 mg in quelli più anziani. 408 Dose Bolo e.v. 60 U/kg (max 4000 U), seguito da infusione di 12 U/kg/ora (max 1000 U ora). Infusione e.v. per 48 ore nei casi non complicati o a basso rischio tromboembolico. Bolo e.v. 2,5 mg poi 2,5 mg sottocute una volta al giorno fino a dimissione (max per 8 giorni) vedi fibrinolisi vedi fibrinolisi vedi fibrinolisi Prasugrel. Il prasugrel, come il clopidogrel, è un profarmaco che, una volta metabolizzato al farmaco attivo, opera un blocco recettoriale irreversibile del recettore piastrinico per l’ADP. Rispetto al suo predecessore, il prasugrel induce un’inibizione dell’aggregazione piastrinica più rapida, più potente e più prevedibile per minore dipendenza dai polimorfismi genetici del citocromo P450, enzima responsabile della sua biotrasformazione in metabolita attivo. Prasugrel, pur rivelandosi superiore a clopidogrel in pazienti diabetici e in quelli con STEMI, sembra determinare un significativo aumento dei sanguinamenti in pazienti anziani, di peso inferiore a 60 kg e con anamnesi positiva per eventi cerebrovascolari. Nei pazienti con NSTE-ACS persistono divergenze di opinione circa l’efficacia di un suo impiego clinico sistematico. Ticagrelor. È un bloccante reversibile non tienopiridinico del recettore piastrinico P2Y12 che non necessita di attivazione metabolica. In virtù della sua potente e rapida azione antiaggregante si è dimostrato particolarmente adatto all’utilizzo in fase acuta e si candida come futuro farmaco di prima linea in associazione all’aspirina in pazienti con sindromi coronariche acute. Inibitori della glicoproteina IIb/IIIa La glicoproteina (GP) IIb-IIIa è un recettore per il fibrinogeno costitutivamente espresso sulla superficie piastrinica. A seguito dell’attivazione piastrinica si assiste ad un aumento del numero di tali recettori e ad una variazione conformazionale che ne aumenta l’affinità di legame per il fibrinogeno, il fattore von Willebrand ed altri ligandi. Una molecola di fibrinogeno funziona così da ponte tra due piastrine adiacenti, determinando Parte quinta Tabella 3. Inibitori glicoproteici del recettore GpIIb/IIIa Abciximab (Reopro®) Tirofiban (Aggrastat®) Eptifibatide (Integrilin®) Bolo di 0.25 mg/kg + 0.125 mg/kg/min in infusione e.v. per 12 ore Infusione di 0.4 mg/kg/min per 30 minuti + 0.1 mg/kg/min per 48-72 ore Bolo di 180 mg/kg + 2.0 mg/kg/min in infusione e.v. l’aggregazione piastrinica. Gli antagonisti della GP IIb-IIIa occupano questo recettore impedendone il legame con il fibrinogeno e di conseguenza l’aggregazione piastrinica. Gli inibitori glicoproteici di comune uso clinico sono: • il derivato del frammento di anticorpo monoclonale 7E3, abciximab; • il peptide ciclico eptifibatide; • l’inibitore a basso peso molecolare non peptidico tirofiban. Tutti e tre gli antagonisti del recettore GP IIb/ IIIa si sono rivelati efficaci nel ridurre gli eventi clinici trombotici in pazienti con sindrome coronarica acuta trattati con procedure interventistiche. Per la sue caratteristiche farmacocinetiche e farmacodinamice l’abciximab è impiegato in via preferenziale in sala di emodinamica (“downstream”) per PCI ad alto rischio. Le modalità di somministrazione degli inibitori glicoproteici sono riportate in Tabella 3. Farmaci anticoagulanti I farmaci anticoagulanti indicati dalle attuali linee guida europee sono eparina non frazionata, eparina a basso peso molecolare, fondaparinux e bivalirudina. Eparina non frazionata (unfractionated heparin, UFH). L’effetto anticoagulante dell’UFH richiede la presenza dell’antitrombina (AT): quando l’eparina si lega all’AT, ne determina un cambiamento conformazionale che trasforma l’AT in un inibitore rapido e molto potente. Il complesso eparina-AT inattiva la trombina ed i fattori della coagulazione IXa, Xa, XIa e XIIa. L’inattivazione della trombina previene la formazione di fibrina ed inibisce anche l’attivazione del fattore V e del fattore VIII. Le vie di somministrazione dell’UFH sono l’infusione endovenosa continua (con eparina sodica), che determina un effetto anticoagulante immediato; e l’iniezione sottocutanea (con eparina sodica o calcica), che determina un effetto anticoagulante ritardato e prolungato. Una volta in circolo, l’UFH si lega a numerose proteine plasmatiche, alle cellule endoteliali e ai macrofagi, che ne riducono l’attività anticoagulante. Si rende pertanto indispensabile un monitoraggio di laboratorio periodico per correggere il dosaggio di farmaco da somministrare: il test comunemente usato è il tempo di tromboplastina parziale attivata (activated partial thromboplastin time, aPTT). L’obiettivo terapeutico è di mantenere l’aPTT (valore basale di circa 25-35 secondi) in un range tra 1.5 e 2 volte i valori di base. Una lieve trombocitopenia si verifica precocemente nel 10-20% dei pazienti in terapia con eparina, mentre una trombocitopenia grave e tardiva (5-15 giorni dopo l’inizio della terapia), su base immunologica, è una complicanza più rara (1-2% dei casi), ma estremamente pericolosa, che richiede l’immediata sospensione della terapia eparinica. Il razionale dell’impiego di UHF durante fibrinolisi risiede nel controbilanciare l’effetto pro-coagulante degli agenti litici come alteplase, reteplase e tenecteplase. In corso di fibrinolisi la dose standard di eparina consiste in un bolo di 60 U/kg (max 4000 U), seguito da infusione continua di 12 U/kg/ora (max 1000 U ora). La terapia con eparina e.v. viene mantenuta per 48 ore nei casi non complicati o a basso rischio di complicanze tromboemboliche. In caso di angiografia coronarica/PCI la somministrazione di eparina e.v è limitata alla fase di esecuzione della procedura. Eparine a basso peso molecolare (low molecular weight heparins, LMWH). Le LMWH sono frazioni della molecola di eparina con un peso molecolare medio di circa 5000 Dalton. Le LMWH determinano un’inibizione maggiore del fattore Xa rispetto alla trombina, con un rapporto di attività antiXa:anti-IIa che varia da 2:1 fino a 4:1. Il legame con l’AT è essenziale affinché le LMWH abbiano attività anticoagulante, così come la presenza di una sequenza pentasaccaridica nella molecola. Un’emivita più lunga, una migliore biodisponibilità nella somministrazione sottocutanea e una maggiore prevedibilità della relazione dose-risposta rispetto all’UFH rendono le LMWH più maneggevoli dell’UFH, in particolare perché non richiedono monitoraggio dell’aPTT. 409 Manuale di cardiologia Nella gestione di un sanguinamento, l’effetto anticoagulante dell’UFH viene efficacemente annullato dal solfato di protamina (1 mg di solfato di protamina neutralizza 5000 UI di eparina), un antidoto che neutralizza efficacemente l’attività antifattore IIa, mentre l’attività anti-fattore Xa delle LMWH non è significativamente antagonizzata. L’enoxaparina presenta una maggiore efficacia rispetto all’UFH nel ridurre gli eventi vascolari maggiori in pazienti con STEMI trattati con trombolitici. Nei pazienti di età <75 anni le ultime linee guida dell’AHA/ACC raccomandano per il trattamento dello STEMI l’uso di enoxaparina in dosi standard (3000 U in bolo e.v. + infusione di 100 U (1 mg)/kg ogni 12 h fino alla dimissione) associato a terapia trombolitica. Nei pazienti di età >75 anni, in alternativa all’UFH, l’enoxaparina può essere utilizzata in infusione e.v. di 75 U/kg senza necessità di bolo iniziale. In caso di NSTE-ACS l’enoxaparina è da preferire nei pazienti trattati conservativamente, mentre in quelli sottoposti a procedure invasive si raccomanda l’impiego di UFH. Fondaparinux. Il fondaparinux è un pentasaccaride di sintesi che si lega selettivamente all’antitrombina ed inibisce rapidamente il fattore Xa. Attualmente le linee guida ne consigliano l’uso in pazienti affetti da STEMI trattati con fibrinolisi o non riperfusi mediante PCI. In pazienti con NSTEACS trattati conservativamente fondaparinux può essere considerato l’anticoagulante ideale. In caso di indicazione ad esame coronarografico si raccomanda l’associazione con dosi standard di UFH (85 U/kg) in quanto il blocco selettivo del fattore Xa non protegge dalla trombosi su catetere. Bivalirudina. La bivalirudina, derivato sintetico dell’irudina, è un antagonista diretto e reversibile della trombina. Attualmente trova indicazione nei pazienti con sindrome coronarica acuta sottoposti a PCI elettiva o primaria in alternativa all’associazione di UFH e anti-GP IIb/IIIa. La bivalirudina ha in questa situazione dimostrato una netta riduzione dei sanguinamenti e anche della mortalità a lungo termine (nello STEMI) rispetto a UFH + abciximab. Lo schema terapeutico validato prevede 0.75 mg/ kg di bolo seguito da infusione a 1.75 mg/kg/h limitatamente alla fase della procedura. Profilassi dell’ischemia e limitazione del danno ischemico La terapia farmacologica anti-ischemica ha come obiettivo principale la riduzione del consu- 410 mo miocardico di ossigeno e l’aumento del flusso sanguigno subendocardico. I nitrati e i betabloccanti rappresentano i farmaci di prima scelta per il controllo della sintomatologia anginosa e la profilassi delle recidive ischemiche. In soggetti con storia di asma bronchiale (in assenza di disfunzione ventricolare sinistra) i calcio-antagonisti non diidropiridinici (diltiazem o verapamil) rappresentano una valida alternativa ai beta-bloccanti (Tabella 1 e 2). Nitroderivati I nitrati organici sono esteri dell’acido nitrico (HNO3). Tra di essi quelli più comunemente usati nella pratica clinica sono oggi la nitroglicerina (NTG), l’isosorbide dinitrato (ISDN) e l’isosorbide mononitrato (ISMN). Essi sono disponibili in un’ampia varietà di formulazioni, con differenti vie di somministrazione. I benefici effetti dei nitrati nei pazienti con cardiopatia ischemica sono essenzialmente associati alla vasodilatazione delle vene di capacitanza e delle arterie di conduttanza. La dilatazione delle vene di capacitanza riduce il ritorno venoso, il precarico e la tensione di parete ventricolare. La dilatazione delle arterie sistemiche di conduttanza, al contrario riduce il postcarico, un altro determinante del consumo miocardico di ossigeno. I nitrati dilatano anche le arterie coronarie epicardiche e i vasi coronarici collaterali, aumentando ulteriormente l’apporto di ossigeno al miocardio. Inoltre, essi possono aumentare il flusso sanguigno alle aree ischemiche, in particolare al subendocardio, riducendo la pressione diastolica ventricolare e quindi attenuando la compressione del subendocardio. In virtù di queste caratteristiche la nitroglicerina sublinguale è indicata come terapia iniziale nella maggior parte dei pazienti sintomatici con sindrome coronarica acuta al dosaggio di 0,4 mg ripetibile ogni 5 min fino ad un massimo di 3 dosi, dopo di che si dovrebbe passare alla somministrazione endovenosa. Attualmente gli unici gruppi di pazienti con infarto miocardico in cui la nitroglicerina non deve essere somministrata sono quelli con infarto miocardico inferiore o sospetto di infarto del ventricolo destro o con grave ipotensione (pressione sistolica <90 mmHg), specialmente se accompagnata da bradicardia (<50 bpm) e quelli che hanno assunto inibitori delle fosfodiesterasi per il trattamento della disfunzione erettile nelle Parte ultime 24 ore (48 ore nel caso di tadalafil). L’uso della NTG o dell’ISDN e.v. nelle prime 48 ore dello STEMI è indicato per il trattamento del dolore da ischemia persistente, della congestione polmonare e dell’ipertensione arteriosa, ma la decisione di somministrare questi farmaci e i dosaggi utilizzati non devono precludere la possibilità di somministrare altri farmaci di cui è stata dimostrata l’efficacia nel ridurre la mortalità (beta-bloccanti ed ACE-inibitori). A tal proposito si ricorda che in trial clinici randomizzati non è mai stato dimostrato che l’uso sistematico di nitrati e.v. abbia alcun effetto sulla mortalità. Pertanto non ne è raccomandato l’uso routinario. L’infusione ev di nitroglicerina dovrebbe essere iniziata al dosaggio di 5-10 microg/min e titolata in modo graduale fino ad ottenere la remissione dei sintomi o la riduzione della pressione arteriosa sistolica del 10-30%. La terapia infusiva dovrebbe essere poi progressimante ridotta fino a sospenderla in 24-36 ore. Una limitazione all’uso continuo dei nitrati è il fenomeno della tolleranza, che è correlato sia alla dose somministrata che alla durata del trattamento. Ottenuta la remissione dei sintomi, i nitrati in infusione possono essere sostituiti dalla terapia orale o transdermica, con opportune finestre di assunzione. Beta-bloccanti I beta-bloccanti inibiscono gli effetti delle catecolamine circolanti mediante il blocco competitivo dei recettori beta-adrenergici. Tale inibizione determina una riduzione della contrattilità miocardica, della frequenza cardiaca, della velocità di conduzione atrio-ventricolare e della pressione arteriosa sistemica, con conseguente riduzione del consumo miocardico di ossigeno. I beta-bloccanti di prima generazione, come il propranololo, bloccano i recettori beta in modo non selettivo (sia β1 che β2); quelli di seconda generazione come metoprololo, bisoprololo e atenololo sono relativamente selettivi per i recettori β1, localizzati prevalentemente nel cuore; quelli di terza generazione sono anche vasodilatatori ad attività anti-α-adrenergica, come nel caso del carvedilolo. La somministrazione e.v. precoce dei beta-bloccanti è consigliabile in presenza di tachicardia, ipertensione arteriosa, dolore resistente agli oppiacei, aritmie ventricolari e sopraventricolari e in genere quando siano presenti segni di iperattività simpatica. Le principali controindica- quinta zioni sono la bradicardia marcata, il blocco A-V di I grado con intervallo PR>0,24 secondi, il blocco A-V di II o III grado, l’asma bronchiale, lo shock cardiogeno e l’ipotensione arteriosa persistente. In fase acuta le molecole di più comune utilizzo sono il metoprololo (2.5-5 mg e.v. in due minuti sino a tre volte) e l’atenololo (5-10 mg e.v. sino a 2 dosi). Superata la fase acuta si passa alla somministrazione orale, che tuttavia è da posticiparsi qualora il paziente sia emodinamicamente instabile (classe Killip >2, frequenza cardiaca <55 bpm, BAV di II o III grado). Nei pazienti con segni clinici o strumentali di insufficienza ventricolare sinistra acuta è consigliabile iniziare la terapia per os a basso dosaggio, effettuando un attento monitoraggio dei parametri emodinamici. Nei pazienti con funzione ventricolare sinistra conservata la somministrazione orale inizia con 50 mg di metoprololo o atenololo due volte al dì. Altri farmaci Calcio-antagonisti Attualmente non si raccomanda l’uso routinario dei calcio-antagonisti nei pazienti con STEMI. Per quanto riguarda verapamil e diltiazem essi possono essere utili come antiischemici nei pazienti in cui i beta-bloccanti siano inefficaci o controindicati, quando la componente vasospastica coronarica sia prevalente o quando vi sia una concomitante tachiaritmia sopraventricolare. Verapamil e diltiazem devono essere evitati in pazienti con alterazioni della conduzione atrio-ventricolare e con segni clinici di scompenso cardiaco (classe Killip ≥ 2). L’uso di calcio-antagonisti diidropiridinici a lunga durata d’azione (amlodipina) viene preso in considerazione dopo le prime 48 ore nei pazienti infartuati con insoddisfacente controllo dei valori pressori in associazione a beta-bloccanti e ACE-inibitori. Da evitare la somministrazione di calcio-antagonisti diidropiridinici a breve durata d’azione (nifedipina in gocce o compresse sublinguali) ad un paziente ischemico con alti valori pressori poiché la brusca caduta pressoria e la tachicardia riflessa peggiorano ulteriormente l’ischemia miocardica in corso. ACE-inibitori e sartani Gli inibitori dell’enzima di conversone dell’angiotensina (ACE) inibiscono la conversione dell’angiotensina I in angiotensina II, impedendo così 411 Manuale di cardiologia l’attività vasocostrittrice e sodio-ritenitiva dell’angiotensina II, ed inibiscono la degradazione delle chinine, peptidi capaci di stimolare la sintesi di prostaglandine e la liberazione del potente vasodilatatore nitrossido (NO). Pertanto, gli ACE-inibitori riducono le resistenze arteriolari sistemiche e aumentano la distensibilità delle grosse arterie, riducendo così la pressione arteriosa sia sistolica che diastolica. Inoltre sono in grado d’interferire con i processi di crescita e di rimodellamento delle cellule muscolari lisce cardiache e vascolari stimolati dall’angiotensina II. Gli ACE-inibitori dovrebbero essere somministrati precocemente (entro 24 ore) in tutti i pazienti con STEMI in particolare quelli con necrosi in sede anteriore, segni di insufficienza cardiaca congestizia e riduzione della frazione di eiezione (<40%), indipendentemente dai valori pressori a meno che non sia presente un’instabilità emodinamica o un’intolleranza. Si raccomanda di iniziare il trattamento con basse dosi iniziali soprattutto in caso di valori pressori ai limiti inferiori (es. ramipril 1,25-2,5 mg due volte al dì, enalapril o lisinopril 2,5-5 mg due volte al dì) e di aumentare il dosaggio facendo particolare attenzione all’andamento pressorio e ai valori di creatininemia e potassiemia. In caso di pazienti intolleranti agli ACE-inibitori l’alternativa è costituita dagli inibitori dei recettori dell’angiotensina II (angiotensin receptor blockers, ARB), farmaci comunemente detti sartani, quali valsartan e candesartan. Terapia ipocolesterolemizzante L’impiego di farmaci, quali le statine in grado di ridurre i livelli di colesterolemia attraverso l’inibizione dell’enzima coinvolto nella sintesi epatica di colesterolo il 3-idrossi-3-metil-glutaril-coenzima-A reduttasi, migliora la sopravvivenza nei pazienti con malattia coronarica indipendentemente dai livelli di colesterolo sierico. Studi di confronto hanno documentato che la somministrazione di statine in pazienti con SCA-NSTE ne migliora la prognosi riducendo in maniera significativa l’incidenza combinata di morte, IMA o nuovi episodi di ischemia miocardica. A lungo termine con tale terapia è anche possibile minimizzare la progressione delle lesioni aterosclerotiche nei distretti coronarici non direttamente responsabili dell’ischemia acuta. Per ottenere tali benefici è tuttavia necessario somministrare le statine in modo precoce, ovvero entro le 96 ore dal ricovero per la SCA, 412 ed in modo “aggressivo”, ovvero con l’obiettivo terapeutico di ridurre il colesterolo LDL a livelli <70 mg/dl. I benefici della terapia ipocolesterolemizzante in fase acuta dell’infarto miocardico potrebbero in linea teorica essere estesi anche a pazienti con STEMI, anche se a tutt’oggi non esiste documentazione scientifica al riguardo. Controllo glicemico Esiste una letteratura relativamente ampia che dimostra l’importanza prognostica dell’alterata regolazione del glucosio nelle SCA e dell’accurato controllo glico-metabolico nei pazienti trattati in Unità di Terapia Intensiva, indipendentemente dalla patologia d’ingresso. Un controllo accurato della glicemia in tali pazienti sembra determinare un beneficio in termini di sopravvivenza. Tuttavia la terapia con insulina e.v. è gravata da un’incidenza non trascurabile di ipoglicemie, con valenza prognostica negativa simile alle iperglicemie all’ingresso. Pertanto la terapia infusionale con insulina andrebbe intrapresa solo se l’Unità di Terapia Intensiva Coronarica è in condizioni di poter assicurare un controllo glicemico frequente. Non appare invece di alcuna utilità l’uso indiscriminato di glucosio-insulina-potassio (GIK, soluzioni “polarizzanti”) in assenza di controllo glico-metabolico. Rivascolarizzazione miocardica I pazienti affetti da sindrome coronarica acuta con evidenza di sopraslivellamento del tratto ST (STEMI) dovrebbero essere valutati per una terapia riperfusiva immediata mediante fibrinolisi o intervento coronarico percutaneo (PCI). Nei pazienti affetti da NSTE-ACS la terapia riperfusiva mediante fibrinolisi è controindicata. Tali pazienti meritano invece una stratificazione prognostica al fine di stabilire la migliore strategia terapeutica. STEMI Lo STEMI è causato nella maggior parte dei casi dall’occlusione trombotica di una coronaria epicardica da parte di un trombo ricco di fibrina superimposto su una complicazione locale dell’aterosclerosi. Almeno la metà dei decessi per infarto miocardico si verifica entro un’ora dall’inizio dei sintomi e prima di raggiungere un ospedale. È quindi fondamentale intraprendere il prima possibile (entro 12 ore) una terapia che riapra la Parte coronaria occlusa e permetta la riperfusione del miocardio ischemico per limitare la dimensione dell’infarto e prevenirne l’estensione. La riperfusione miocardica precoce, farmacologica o meccanica, deve essere tentata in tutti i pazienti con una presentazione clinica di STEMI (con persistente sopraslivellamento del tratto ST o blocco di branca sinistra di nuova insorgenza), salvo controindicazioni. Con un’ampia applicazione della terapia riperfusiva i tassi di mortalità a 30 giorni dovuti a STEMI si sono progressivamente ridotti (dal 20-30% di circa 20 anni fa al 5-10% attuale). La riperfusione farmacologica viene effettuata con farmaci fibrinolitici, quella meccanica mediante angioplastica (percutaneous coronary interventions, PCI). Fibrinolisi La fibrinolisi ricanalizza l’occlusione trombotica che si verifica in corso di STEMI e, attraverso il ripristino del flusso coronarico e la riduzione delle dimensioni dell’infarto e della disfunzione miocardica, migliora la sopravvivenza sia a breve che a lungo termine. La fibrinolisi rappresenta l’alternativa principale all’angioplastica primaria non eseguibile entro 90 minuti dal primo contatto medico (preferibilmente entro 3 ore dall’insorgenza dei sintomi) (Figura 1). È necessario valutare l’efficacia della fibrinolisi attraverso il monitoraggio di parametri clinico-strumentali di avvenuta riperfusione, al fine di poter ricorrere in tempo utile alla “PCI di salvataggio”. Secondo le linee guida europee la fibrinolisi non dev’essere considerata la terapia definitiva per lo STEMI: • nei pazienti in cui la fibrinolisi fosse risultata inefficace si raccomanda il trasferimento per “PCI di salvataggio”; quinta • nei pazienti in cui la fibrinolisi sia risultata efficace si raccomanda comunque lo studio coronarografico e l’eventuale procedura interventistica entro le 24 ore; • nei pazienti in cui non sia possibile eseguire la coronarografia entro le 24 ore si raccomanda di effettuare stratificazione prognostica mediante test di valutazione dell’ischemia residua. I farmaci fibrinolitici attualmente disponibili sono: • Streptochinasi (SK, 1.500.000 U in 60’) • Alteplase (r-PA, 10 +10 U in due boli a distanza di 30 minuti l’uno dall’altro) • Reteplase (r-tPA, bolo 15 mg + 0,75 mg/Kg in 30’ + 0,3 mg/Kg in 60’) • Tenecteplase (TNK-tPA, 0,5 mg/kg in singolo bolo) Essi in generale catalizzano la trasformazione del plasminogeno in plasmina, enzima che provvede alla degradazione della fibrina con conseguente dissoluzione del coagulo. Le controindicazioni assolute e relative alla terapia fibrinolitica sono riportate in Tabella 4. PCI primaria Per PCI primaria si intende un’angioplastica con o senza l’impianto di stent senza precedente o concomitante terapia fibrinolitica, e costituisce l’opzione terapeutica di scelta quando possa essere eseguita entro le 12 ore dall’insorgenza di sintomi e segni di STEMI. È invece preferibile il trattamento fibrinolitico quando la sintomatologia è insorta da meno di 3 ore e l’angioplastica primaria non è eseguibile entro 90 minuti dal pri- Figura 1. Algoritmo di scelta della strategia riperfusiva in corso di STEMI 413 Manuale di cardiologia Tabella 4. Controindicazioni alla terapia fibrinolitica Controindicazioni assolute Ictus emorragico o ictus ad eziologia ignota in qualsiasi momento Ictus ischemico nei 6 mesi precedenti Patologia o neoplasia del sistema nervoso centrale Recenti traumi maggiori/chirurgia/traumi cranici (nelle 3 settimane precedenti) Sanguinamenti gastrointestinali nell’ultimo mese Alterazioni della coagulazione note Dissezione aortica Punture in sede non comprimibile (ad es. biopsia epatica, puntura lombare) Controindicazioni relative Attacco ischemico transitorio nei 6 mesi precedenti Terapia anticoagulante orale Gravidanza o parto nell’ultima settimana Ipertensione refrattaria (pressione arteriosa sistolica >180mmHg e/o pressione arteriosa diastolica >110 mmHg) Patologia epatica avanzata Endocardite infettiva Ulcera peptica attiva Rianimazione refrattaria mo contatto medico (Figura 1). La PCI primaria, inoltre, è il trattamento di scelta nei pazienti con controindicazioni alla terapia trombolitica e nei pazienti in stato di shock. Rispetto alla trombolisi, la PCI primaria fornisce una maggior probabilità di ripristinare il flusso ematico e di stabilizzare l’arteria occlusa. L’originale procedura di angioplastica coronarica attraverso dilatazione con palloncino ha subito un sostanziale miglioramento tecnico con l’introduzione degli stent coronarici. Lo stent è un dispositivo di forma cilindrica costituito da una rete a maglie metalliche che viene posizionato a livello della lesione “colpevole” (culprit) (responsabile dell’infarto) in seguito alla dilatazione con palloncino. L’impianto di stent riduce l’incidenza di ristenosi del vaso trattato, ma non si associa ad una riduzione della mortalità o dell’incidenza di reinfarto rispetto alla sola angioplastica. La ricanalizzazione meccanica può determinare embolizzazione di materiale trombotico con conseguente ostruzione del microcircolo coronarico. Il cosiddetto “no-reflow” definisce la mancata riperfusione miocardica nonostante il ripristino della pervietà del vaso e si associa ad una prognosi peggiore. Tale fenomeno è dovuto a disfunzione endoteliale, danno microvascolare, micro-embolizzazione di materiale aterotrombotico, edema miocardico e liberazione di radicali liberi dell’ossigeno. Vari sistemi sono stati pertanto proposti per ridurre il “carico” trombotico o impedire la sua embolizza414 zione a valle, tra cui sistemi di protezione distale e di trombo aspirazione. Questi ultimi in particolare hanno dimostrato recentemente una buona efficacia. PCI facilitata La PCI facilitata si definisce come intervento coronarico percutaneo programmato entro 12 ore dall’insorgenza dei sintomi, dopo la somministrazione di farmaci trombolitici o inibitori della GP IIb/IIIa, che fanno da “ponte” tra il primo contatto medico e la PCI primaria. Tale procedura non è attualmente raccomandata dalle linee guida in quanto a tassi aumentati di pervietà vasale post-PCI non corrisponde alcun vantaggio in termini di sopravvivenza del paziente, in parte da attribuirsi all’aumento delle complicanze emorragiche. PCI di salvataggio (rescue) La PCI di salvataggio si esegue per disostruire l’arteria coronaria responsabile dello STEMI, che rimane occlusa nonostante la terapia trombolitica. L’identificazione dei candidati a PCI di salvataggio deve essere precoce (entro le 2 ore dall’inizio della trombolisi), con il monitoraggio dell’ECG e degli indici biochimici di necrosi miocardica. La finestra ottimale per tale procedura è compresa tra le 2 e le 12 ore dalla somministrazione del trombolitico, poiché la PCI immediata (entro due ore dalla Parte quinta Figura 2. Stratificazione del rischio in pazienti con NSTE-ACS e scelta della strategia terapeutica. fibrinolisi) è già stata dimostrata inefficace oltre che dannosa. Bypass aorto-coronarico Il bypass aortocoronarico (coronary artery bypass graft, CABG) nella fase acuta dello STEMI ha oggi un’indicazione limitata: può essere utile quando la PCI non ha avuto un risultato favorevole, quando si osserva l’improvvisa occlusione di una coronaria durante il cateterismo, quando la PCI non è fattibile, oppure in pazienti con shock cardiogeno, rottura del setto interventricolare o disfunzione/rottura di muscoli papillari. La mortalità del CABG è estremamente elevata nei 3-7 giorni immediatamente seguenti lo STEMI, e il beneficio derivante dalla rivascolarizzazione deve essere dunque confrontato con l’aumento di rischio derivante dall’intervento. Nei casi con anatomia coronarica critica è consigliabile pertanto dilazionare il CABG nel tentativo di ottenere una stabilizzazione clinica ed emodinamica del paziente. NSTEMI Nei pazienti affetti da sindrome coronarica acuta senza sopraslivellamento del tratto ST (NSTE-ACS) l’indicazione e il timing della coronarografia sono guidati da una valutazione combinata del rischio derivante dall’integrazione di dati clinici, elettrocardiografici e biochimici (Figura 2). A tal scopo sono stati recentemente introdotti due importanti modelli di stratificazione prognostica: il “TIMI risk score” e il “GRACE risk score”. Il punteggio di rischio calcolato in fase acuta, ci consente di classificare il paziente come a basso, intermedio o ad alto rischio. Nel caso di pazienti a basso rischio si preferisce un approccio conservativo, posticipando l’esecuzione dell’esame coronarografico in fase di stabilità clinica (coronarografia elettiva). Nei pazienti a rischio moderato si pone indicazione all’esecuzione di esame coronarografico precoce, entro 72 ore dall’insorgenza dei sintomi. Infine, i pazienti a rischio più elevato (angina refrattaria, instabilità emodinamica, TV e FV) devono essere indirizzati a strategia invasiva d’urgenza (entro 2 ore). 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