N°8 Maggio Giugno 2014 Complesso monumentale di Santo Spirito in Sassia a Roma (foto di Paola Valli) WORKSHOP: IL SINDACATO NELL’ITALIA CHE CAMBIA ANNAMARIA FURLAN: LA CONTRATTAZIONE PER USCIRE DALLA CRISI Cina, la marcia infinita del Dragone rosso GIOVANI E ANZIANI: COLLOQUIO CON REMO BODEI FRANCESCO GUCCINI: “VI RACCONTO LE COSE CHE ABBIAMO PERDUTO” Sommario Gian Guido Folloni è un politico e giornalista italiano, già Ministro della Repubblica per i Rapporti con il Parlamento. E’ stato direttore del quotidiano cattolico Avvenire dal 1983 al 1990. Successivamente ha lavorato alla Rai. Dal 2008 è Presidente di Isiamed (Istituto Italiano per l’Asia e il Mediterraneo). memoria, attualità, futuro 2 3 Non basta il Pil (Attilio Rimoldi) 4 Hanno scritto per noi 5 La Lettera 6 La posta del direttore 8 Una fase sociale in bilico e senza rete (Giobbe) POLITICA 9 Le rendite elettorali non garantiscono più nessuno (Guido Bossa) 12 Il ruolo dell’Italia nell’Europa del dopo voto (Gianfranco Varvesi) 14 PA: in pensione e spazio ai giovani (Marco Iasevoli) 16 “Sindacati, l’innovazione si fa con le buone idee” (Stefano Della Casa) ATTUALITA’ E SOCIETA’ 18 Anteas, l’associazione di volontariato promossa dalla Fnp-Cisl, si rinnova (Luigi Cherubini) 20”Curare la cura”, un progetto del coordinamento donne Fnp Cisl (Maria Irene Trentin) 22 Storie di origami (Elettra) 24 Ripensare il sindacato (Stefano Della Casa) 23 Tornare allo Stato imprenditore (Gian Guido Folloni) 28 Portrait fotografico 30 Intervista ad Annamaria Furlan 34 Quando un giardino può curare (Cristina Petrachi) 36 Cina: la marcia infinita del Dragone rosso (Riccardo Sessa) 38 Così muta il rapporto tra le generazioni (Mimmo Sacco) SALUTE 40 Telemedicina, anche l’Italia ci crede (Marco Pederzoli) 41 Un tagliando prima delle vacanze (Alberto Costantini) CULTURA 42 Cosa non fare della pensione (Umberto Folena) 44 Capita che mi domandino: e Montanelli cosa direbbe dell’Italia d’oggi? (Giorgio Torelli) 46 “Vi racconto le cose che abbiamo perduto” (Marco Pederzoli) MAPPAMONDO 48 Quando la tv scopre gli anziani (Umberto Folena) 49 Libri e web (Marco Pederzoli) 51 Vagabolario (Dino Basili) In copertina: Complesso monumentale di Santo Spirito in Sassia a Roma (foto di Paola Valli) Postatarget Magazine - tariffa pagata -DCB Centrale/PT Magazine ed/ aut.n.50/2004 - valida dal 07/04/2004 Contromano Magazine N°8 Giugno 2014 Aut. Trib. Roma n 40 del 18/02/2013 Prezzo di copertina € 1,80 Abbonamento annuale € 9,048 Direttore responsabile: Gian Guido Folloni Proprietà: Federpensionati S.r.l. sede legale: Via Giovanni Nicotera 29 00195 Roma Editore delegato: Edizioni Della Casa S.r.l. Via Emilia Ovest 1014 41123 Modena Stampa: tipografia ARBE s.p.a Via Emilia Ovest 1014 Modena Redazione Coordinamento grafico: Edizioni Della Casa ArtWork: M. Barbieri Postproduzione immagini: Paolo Pignatti Comitato di redazione: Matteo De Gennaro Dino Della Casa Questo numero è stato chiuso il 15/06/2014 A norma dell’art.7 della legge n.196/2003 il destinatario può avere accesso ai suoi dati chiedendone la modifica o la cancellazione oppure opporsi al loro utilizzo scivendo a: Federpensionati S.r.l. sede amministrativa: Via Castelfidardo, 47 00185 Roma L’editore delegato è pronto a riconoscere eventuali diritti sul materiale fotografico di cui non è stato possibile risalire all’autore Nei giorni scorsi l’ISTAT ha annunciato che aggiungerà al calcolo del PIL alcune “attività e servizi”, concordati con gli altri paesi europei (Eurostat) che sorprenderanno molti nostri iscritti insieme a una buona fetta dei cittadini italiani. Le attività di cui tutti i paesi inseriranno infatti una stima nei conti (e quindi nel PIL) sono: “traffico di sostanze stupefacenti, servizi della prostituzione e contrabbando”. Questa notizia diffusa dalla stessa ISTAT dimostra chiaramente come il PIL sia un calcolo relativo al solo crudo dato produttivo, indifferente alle valutazioni etiche e civili. Già nel calcolo tradizionale erano inclusi eventi e attività che facevano del PIL un parametro non indicativo e attendibile in maniera ottimale per una valutazione del “benessere” di una società. Robert Kennedy il 18 marzo 1968, in un discorso alla Kansas University disse: “Non possiamo misurare lo spirito nazionale sulla base dell’indice Dow Jones né i successi del Paese sulla base del Prodotto Interno Lordo. Il PIL comprende l’inquinamento dell’aria, la pubblicità delle sigarette, le ambulanze per sgombrare le nostre autostrade dalle carneficine del fine settimana… Comprende programmi televisivi che valorizzano la violenza per vendere prodotti violenti ai bambini. Cresce con la produzione di napalm, missili e testate nucleari”. Dopo 42 anni la nota commissione “Stiglitz-Sen-Fitoussi”, nel suo rapporto al Governo Francese, di cui facevano parte 22 docenti universitari e scienziati sociali di tutto il mondo, ha ripetuto in termini più tecnici e specifici il medesimo giudizio ed ha aggiunto che una gran parte del calcolo del PIL è inevitabilmente impreciso, perché basato su stime oggettivamente prive di certezza. Un esempio, tra i tanti possibili, è il calcolo della produzione attribuita al settore pubblico che non può essere misurata con i prezzi di mercato. Tradizionalmente la misura è basata sui “fattori” utilizzati per la produzione di tali servizi pubblici. Gli effetti di un’erronea valutazione di questi fattori sarebbero veramente rilevanti, poiché la spesa pubblica nei paesi OCSE supera il 40% del PIL e per i servizi alla persona il 20. Il PIL quindi non comprende tutti gli aspetti che determinano il benessere complessivo della collettività, né la sua ottimale distribuzione tra le persone (equità) e tra le generazioni (sostenibilità). Ciò significa che il PIL serve solo a valutare, con dei limiti innegabili, l’andamento della sola produzione bruta (tutto compreso!) e a confrontarlo con gli altri paesi, ma non è utile a misurare/quantificare il “benessere” di una nazione. Negli ultimi anni, perciò, il dibattito sulla misurazione del “benessere” delle società è emerso prepotentemente all’attenzione dell’opinione pubblica mondiale. La crisi che stiamo attraversando ha reso urgente lo sviluppo di nuovi parametri oltre il PIL, in grado di guidare sia i decisori politici e sociali sia i comportamenti delle Editoriale imprese e delle persone. Ferma restando l’impossibilità di sostituire il PIL per la sua diffusione e comparabilità internazionale della quantità lorda della produzione dei singoli Paesi, si rende indispensabile integrare tale misura con indicatori di carattere economico, ambientale, sociale e qualitativo, che rendano esaustiva la valutazione sullo stato e sul progresso reale di una società. I tentativi finora messi in campo non hanno avuto successo. Una proposta, proveniente dal piccolo Stato del Burundi, ha raccolto un’attenzione mondiale e impegnato l’ONU a sostenerne le ricerche. E’ il calcolo dell’indice della “felicità lorda nazionale”, Gross National Happiness. Questo indice ha un difetto: è basato sulla metrica utilitaristica che può essere molto ingiusta nei confronti di chi ne è sistematicamente deprivato. Ad esempio, coloro che si trovano agli ultimi posti delle nostre società stratificate, i disoccupati e i precari che vivono in grandi incertezze, i lavoratori sfruttati in contesti industriali, ecc.. Le valutazioni della felicità sono, infatti, personali e soggettive e possono essere raccolte solo con interviste e sondaggi, ma sarebbero inevitabilmente soggette a effetti di “adattamento”. Le persone, infatti, si adattano a circostanze anche molto sfavorevoli, pur di sopravvivere. La capacità di adattamento delle persone può portare a trarre conclusioni “politiche, sociali ed economiche sbagliate”, come sostiene l’economista indiano Amartya Sen. Per queste ragioni, l’indice GNH non potrà avere il consenso di tutta la comunità internazionale. Anche altri indici sintetici che molti paesi, istituti, economisti, etc. hanno elaborato o stanno analizzando, rischiano una scarsa accoglienza, perché non è possibile sintetizzare, in un unico dato statistico quantitativo, informazioni certe sul livello e l’andamento del benessere dei cittadini di un paese. E’ allora doveroso riprendere il discorso di R. Kennedy. “Il PIL – disse - non tiene conto della salute delle nostre famiglie, della qualità della loro educazione e della gioia dei loro momenti di svago. Non comprende la bellezza della nostra poesia e la solidità dei valori familiari. Non tiene conto della giustizia dei nostri tribunali, né dell’equità dei rapporti fra noi. Non misura né la nostra arguzia, né il nostro coraggio, né la nostra saggezza, né la nostra conoscenza, né la nostra compassione. Misura tutto, eccetto ciò che rende la vita degna di essere vissuta”. Una soluzione per misurare “benessere” potrebbe quindi derivare dall’adozione di un certo numero di indici separati e scientificamente controllati, che si pongano al fianco del PIL su diverse materie esplicative e indicative del “benessere” autentico. Bisogna perciò andare oltre il PIL attraverso un ritorno all’attenzione e alla conoscenza delle comunità locali, delle loro condizioni di vita e della sostenibilità dello sviluppo, quali i Distret- Non basta il PIL Robert Kennedy, che il 18 marzo 1968 tenne un celebre discorso sul PIL ti, le Zone o i grandi Comuni. Quello di cui per ora possiamo avvalerci nei territori è in buona parte un patrimonio statistico di valore ma ancora da migliorare e completare, come risulta dal Rapporto ISTAT ANCI Urbes (Benessere Equo e Sostenibile Urbano). La contrattazione territoriale, sindacale, sociale che stiamo sviluppando può rappresentare uno stimolo al completamento di un valido sistema di rilevazione del “benessere” quale bussola per le necessarie decisioni politiche, sociali ed economiche nell’ambito territoriale, della quale ha sicuramente bisogno anche il sindacato. Attilio Rimoldi 3 Hanno scritto per noi 4 Attilio Rimoldi Segretario nazionale Fnp Cisl, Dipartimento politiche socio-sanitarie, famiglia, economia sociale, fisco, prezzi, tariffe e politiche migratorie Guido Bossa Giornalista professionista.Presidente dell’Unione nazionale giornalisti pensionati Gianfranco Varvesi Diplomatico, ha ricoperto incarichi in Italia e all’estero. Ha prestato servizio nell’ufficio stampa del Quirinale. Marco Iasevoli inviato del quotidiano L’Avvenire Stefano Della Casa Giornalista Freelance e Direttore della rivista Jag Generation Maria Irene Trentin Coordinatrice Donne della Fnp Cisl” Cristina Petrachi Giornalista-pubblicista. Public Relations Officer presso l’Istituto Italiano per l’Asia ed il Mediterraneo. Riccardo Sessa Ambasciatore, è stato Direttore Generale per il Mediterraneo e Medio Oriente e ha rappresentato l’Italia a Belgrado, Teheran, Pechino (2006-2010) e alla NATO a Bruxelles. Mimmo Sacco Giornalista RAI TV. Condirettore de Il Domani d’Italia, mensile di politica e cultura. Marco Pederzoli Giornalista e collaboratore di diverse testate. Scrive per La Gazzetta di Modena, Il Sole 24 ore. Alberto Costantini Cardiologo.Ex medico cardiologo della Camera dei Deputati. Umberto Folena Editorialista del quotidiano L’Avvenire. Consulente della CEI Giorgio Torelli per 40 anni inviato speciale dei più importanti quotidiani e settimanali italiani. Fondatore con Indro Montanelli de “Il Giornale” Dino Basili Giornalista e scrittore, Direttore di Rai 2 e Capo ufficio Stampa del Senato Retrogrado a chi? Gentile direttore, il giorno dopo il voto europeo, tra i commenti ascoltati mi ha colpito quello sprezzante con cui Beppe Grillo, per tentare di giustificare il fallimento del sorpasso al PD e l’arretramento in voti e percentuale del movimento Cinque Stelle, ha imputato ai pensionati di essere conservatori, di non volere il rinnovamento e di non pensare a figli e nipoti. Forse sa che dai pensionati non sono arrivati voti alla sua lista? In ogni caso, perché prendersela ancora una volta con chi è in pensione e ha lavorato una vita intera? Giuseppe Boschi Reggio Emilia Caro signor Boschi, la ringrazio per la cortese lettera. La sua è la giusta reazione a un ulteriore tentativo di colpevolizzare i pensionati, spesso imputati di colpe non vere e ai quali si tenta perfino di negare diritti legittimi e acquisiti. Quanto lei scrive mi offre l’occasione per ritornare, nello spazio di questa rubrica, sull’argomento del ruolo attivo, responsabile e positivo che i sempre più numerosi pensionati svolgono nella società italiana. Le amarezze post elettorali non possono giustificare quanto dichiarato dal leader extra parlamentare del movimento Cinque Stelle. Ma egli non è il solo a vedere nei pensionati la parte dei cittadini italiani sui quali è più facile giocare allo scarico per le difficoltà del tempo presente. Abbiamo sentito i “soloni” dediti a toglier soldi ai cittadini per lenire il disavanzo pubblico proporre, di volta in volta, l’eliminazione della reversibilità, della pensione sociale o, altrimenti, l’introduzione di tetti e mutilazioni varie a quel salario differito qual è la pensione. Come se l’aver vissuto, lavorato e accantonato con previdenza per l’età più avanzata parte del reddito fosse una colpa e non un merito. Come se la sudata e meritata pensione fosse una colpa e non a tutti gli effetti un vero e proprio ammortizzatore sociale nell’Italia in crisi. Come se l’essere in tal modo divenuti, appunto, pen- sionati, li rendesse retrogradi, insensibili, incapaci di guardare al futuro. Quest’idea regressiva dell’età senile è frutto della peggior declinazione della modernità: di chi pensa che solo quel che viene dopo è progresso. In altre società e in altri tempi, alla saggezza degli anziani erano riservati valore, ruolo e meriti che quelli attuali tendono a negare. Andiamo al soldo: da anni il pensionato è privato della legittima rivalutazione delle spettanze e non gli sono riconosciuti gli 80 euro di sostegno previsti dal Governo per i redditi più bassi. Si tratta di un vero e proprio atto di spoliazione a fronte del quale, peraltro, resta alto il suo senso di responsabilità. Con onestà si dovrebbe, infatti, ammettere che i pensionati svolgono tante, tantissime azioni di quello che potremmo chiamare un welfare di prossimità. Un soccorso tanto silenzioso e spesso pubblicamente misconosciuto quanto prezioso. Nella nuova concezione di famiglia, numerosi sono i compiti che essi svolgono, spesso sostituendosi in funzioni genitoriali. I nipoti da prendere a scuola sono solo una delle tante attività di cui si fanno carico quando padre e madre lavorano. Guardano avanti i pensionati. Fanno azioni di solidarietà pubblica: fanno da ausiliari per assistere all’uscita dalle scuole, si organizzano per il trasporto gratuito di ammalati, persone disabili, con difficoltà motorie e non autosufficienti. Li vedi attivi, a costo zero, in manifestazioni culturali pubbliche e private. Il privato sociale, al quale oggi lo Stato è in difficoltà a coprire servizi che altrimenti dovrebbe rendere ai cittadini, deve molto ai pensionati. Il pensionato è un bene comune utilizzabile a costo zero. Il commento di Beppe Grillo potrebbe essere definito uno strabismo, assioma senza fondamento: sono anziani, dunque retrogradi. Forse a Grillo spiace che abbiano votato per Renzi e non per Cinque Stelle o per la Lega di Salvini. Che abbiano scelto l’Europa e non l’antieuropeismo. Che credano nell’Euro e non abbiano le sue nostalgie per la Lira. Ma proprio questo ne fa degli accorti e solidali cittadini partecipi dei passi che guardano al futuro. Hanno più consapevolezza dell’Europa da costruire, anche perché hanno vissuto la stagione nativa dei primi Trattati. In questo sono progressisti, guardano avanti, pensano ai nipoti. E non ostanti le tante angherie, silenziosamente se ne fanno carico. Gian Guido Folloni la Lettera 5 la posta del Direttore Dalla trasparenza nelle bollette dell’energia elettrica al sondaggio di come sarebbe il mondo senza internet, dagli sbarchi di stranieri in Italia all’anniversario di piazza Tienanmen, anche per questo numero di Contromano sono arrivati diversi contributi da parte dei lettori per la consueta rubrica delle “Lettere al direttore”. A tale scopo, si ricorda che le proprie lettere, contenenti considerazioni su temi politici, di attualità, cultura, etc. possono essere inviate o via mail all’indirizzo info@ studiodellacasa.it, specificando nell’oggetto “Contromano lettere al direttore”, o via fax al numero 059 8396082, o per posta ordinaria all’indirizzo della casa editrice di Contromano: “Edizioni Della Casa, via Emilia Ovest 1014, 41123 Modena”. Si ricorda che, per esigenze di archiviazione, l’eventuale materiale inviato non sarà restituito. 6 ENEL, bollette complesse e numero verde impaziente Caro direttore, nelle bollette “maggior tutela e libero mercato” l’ENEL S.p.A. allega fogli interminabili in riferimento all’acquisto variabile dell’energia che risultano, con spreco di carta, poco trasparenti all’utenza inesperta delle tecniche attuali (di controllo del mercato, n.d.r.). Detto che l’aria, l’acqua e l’energia sono indispensabili per il vivere dell’umana gente, va da sé che questi servizi non possono subire una continua variazione di profitto e di rendimento azionario. L’uso incondizionato del computer (e della comunicazione digitale) da parte di ENEL non consente alla maggior parte dell’utenza di seguire la numerazione dettata da una voce dolce ma registrata. Provate a chiamare il numero 800.900.800 o il numero 800.900.950. Essi non solo chiedono il numero cliente e il codice fiscale ma, per ultimo, anche il codice POD che è fatto di lettere e numeri non leggibili nemmeno con la lente di ingrandimento. Allora la voce registrata si fa viva dicendo che la procedura informativa è chiusa perché quanto richiesto non è stato trasmesso nel tempo concesso. Armando Benvenuto Corigliano Calabro In una lunga lettera che abbiamo sintetizzato, il signor Armando pone due problemi. Il primo è la trasparenza tariffaria delle utenze. Spesso complicata, anziché risolta dagli allegati informativi allegati alla fattura. La trasparenza è una qualità che dovrebbe essere fiore all’occhiello delle utenze pubbliche. Lo Stato, che a fronte della raccolta fiscale deve ai cittadini che pagano un buon servizio, dovrebbe porsi tale obbiettivo come un imperativo. Questi rilievi li giriamo ad ENEL che nel suo portale più volte scrive le parole chiarezza e sempli- cità, le qualità che il signor Armando lamenta carenti. La seconda questione riguarda le informazioni e il colloquio digitalizzato tramite i centralini automatici dei numeri verdi. Questo problema, va da sé, non riguarda solo ENEL: è uno dei labirinti comunicativi nei quali aziende private e pubbliche finiscono per intrappolare i clienti. Signor Armando, condivido con lei l’esigenza che a fronte del risparmio di lavoro che i centralini automatici garantiscono alle aziende, i cittadini hanno il diritto a più pazienza e aiuto, specie quando è chiesto loro di qualificarsi con codici e numeri di non facile e immediato reperimento. E’ possibile vivere tre giorni senza internet? Egregio Direttore, le scrivo per un recente studio che mi ha molto colpito. E, volutamente, ho utilizzato le tradizionali “carta e penna” e la spedizione via posta, piuttosto che una e-mail scritta al computer. L’Istituto “Ixè” ha infatti presentato nei giorni scorsi una ricerca su cosa succederebbe agli italiani se fossero lasciati tre giorni senza una connessione a internet. Ripeto: tre giorni, mica un mese o un anno. Ebbene, dallo studio emerge che un italiano su tre non avrebbe problemi di alcun tipo se internet mancasse per tre giorni; di questo gruppo fanno parte persone di età compresa tra i 45 e i 54 anni. Circa un italiano su quattro, invece, sentirebbe la mancanza delle e-mail; al 12,7% della popolazione mancherebbero le notizie che si possono leggere sul web, mentre il popolare social network Facebook sarebbe rimpianto solamente dal 7,1% degli italiani. Sotto la soglia del 5% troviamo chi rimpiangerebbe servizi utili come la possibilità di effettuare prenotazioni online o svaghi come blog, forum, musica e video. Gli acquisti tramite siti online, infine, manche- rebbero solamente allo 0,2%. A questo punto, mi viene spontaneo esternare una riflessione: se davvero fosse utile “disintossicarci” per qualche giorno dal web? Se realmente fosse salutare recuperare rapporti umani reali piuttosto che amicizie virtuali? Se, per utilizzare un paragone evangelico, rendessimo davvero il sabato per l’uomo, e non l’uomo per il sabato? Da questo punto di vista, tra l’altro, noi anziani abbiamo un piccolo vantaggio in più: siamo vissuti anche nell’epoca pre-internet e abbiamo potuto constatare che si viveva ugualmente. Talvolta anche bene. Certo, la tecnologia è importante e guai se il progresso si arrestasse. Ma qualche volta, per tutti, sarebbe forse opportuno ritagliarci qualche ora senza il turbinio della rete. Guido Rubbiani Calcinato (BS) Emergenza sbarchi, è ora di farsi sentire in Europa Egregio direttore, Le scrivo per mettere in luce un’emergenza della quale non si parla mai abbastanza: gli sbarchi di stranieri in Italia. Da siciliano, conosco bene la situazione. Sebbene non risieda nei luoghi più soggetti agli sbarchi, la situazione mi preoccupa comunque molto e, anche per il 2014, prevedo un’estate molto calda da questo punto di vista. Ci sono appena state le elezioni europee. Mi auguro che l’Europa, ora, assuma realmente tra le sue priorità il problema dell’immigrazione. Mentre ancora non si è fatto nulla e mentre da anni i centri di prima accoglienza sono al collasso, spuntano nuove emergenze. Una delle ultime in ordine cronologico è la ripresa in grande stile degli scontri all’interno dell’Iraq. Intanto, qui in Sicilia, si cerca di fare come si può. Si aspettano risposte concrete dall’Europa che ancora non sono arrivate. Fatichiamo a comprendere, da siciliani, che davvero l’Europa consideri la questione dell’immigrazione un problema europeo. Altrimenti, perché questi silenzi? Perché i mancati interventi? Mi auguro che il problema, anche e soprattutto grazie alla politica internazionale dell’Italia, si riesca ad arginare al più presto. Al momento, tuttavia, rimango molto pessimista. Calogero Fumanò, Palermo Per non dimenticare piazza Tienanmen Gentile direttore ho sempre creduto, come amava ripetere il regista tedesco Rainer Werner Fassbinder, che ciò che non siamo in grado di cambiare, dobbiamo almeno descriverlo. Ebbene, nel mio piccolo posso fare ben poco, ma con la presente vorrei almeno ricordare brevemente il massacro di piazza Tienanmen, nel 25° anniversario dell’evento. Lo ricordo come se fosse ieri. Era la primavera inoltrata del 1989, un anno senz’altro non banale nella storia dell’ultimo secolo. Fu una rivoluzione che, a differenza di tante altre, non riuscì. O, almeno, non riuscì pienamente, nei modi e nei tempi che avrebbero voluto coloro che erano scesi in piazza. Quella rivoluzione si concluse con un grande massacro, ancora ignoto nei numeri e nella portata. Oggi, quest’argomento, nella Cina neo super potenza economica è ancora tabù. Come se non fosse mai esistito. In Europa se ne parla poco. L’Italia si è allineata. Ma credo sia giusto, in questo caso, continuare a non dimenticare. Roberto Cristaldi, Bologna 7 Una fase sociale in bilico e senza rete La recente vicenda elettorale europea ha fatto riemergere quella problematica relazionale che si riassume nell’esperienza della “capacità di parlare al popolo”. Rimane del resto la sensazione di aver assistito ad una campagna elettorale feroce, ricolma di epiteti, sgradevole nei giudizi, di infimo livello e, del resto, sostanzialmente priva di proposte, del tutto assenti sul vero tema della posta in gioco: il futuro dell’Europa. Nel confronto italiano gli esiti del voto (oltre il 40% rappresentano un “partito - nazione”) evidenziano che prevale chi dimostra la capacità di parlare al popolo, sulla base di un discorso che Mauro Magatti giudica di ispirazione “ neo-popolarista”, in grado di battere le pulsioni populistiche sprigionate dalla crisi economica e sociale. Nella circostanza il “neo-popolarismo”, che richiama l’esperienza di La Pira, di Dossetti, di Don Milani, rappresenta la ricerca di una posizione di equilibrio tra iniziativa personale e responsabilità sociale, tra compiti della politica e dello Stato e la valorizzazione delle forze intermedie diffuse nella società, tra l’obiettivo dell’integrazione sociale e la garanzia dell’efficienza sistemica. Parlare al popolo significa impegnarsi a ricostruire la deriva della frammentazione sociale, che tende a disgregare le istituzioni e l’economia, e a recuperare, attraverso il sostegno di prossimità, l’appartenenza alla propria comunità in sintonia con le esigenze concrete della popolazione, superando il vuoto marginale 8 espresso dalla solitudine individuale. In questo contesto, mentre il Premier si accinge a gestire il dividendo derivante dal successo elettorale, il sindacato, ormai deprivato della dimensione concertativa (almeno a livello centrale), dovrà attrezzarsi, nel necessario rinnovamento, a unificare e a modernizzare un’idea di futuro e a generare una tendenza integrativa della rappresentanza, lavorando sulle tutele ma ampliando la capacità di percepire i nuovi bisogni e l’attenzione al sommerso e alla marginalità. La valenza dell’indirizzo e della prospettiva di medio e lungo termine che il sindacato saprà esprimere rafforzerà la capacità di mediazione e il legame con il territorio, dando un rinnovato vigore al sistema delle relazioni sociali che resta alla base del meccanismo della riproduzione sociale e del più produttivo rapporto generazionale. Il modello di società neo-popolarista rappresenta una concezione politica né statalista, né liberista, né collettivista, né individualista, in grado però di porsi in sintonia con le esigenze concrete delle popolazioni, delle persone, delle aggregazioni naturali, mantenendo una spirale comunicativa coerente con le proposte e le aspettative rapportate all’attuale condizione di fragilità diffusa sia in campo economico, sia sociale e generazionale. Il rapporto diretto con il popolo conserva sempre un punto di tangenza con la possibile deriva populista, con le più varie forme di narcisismo quali espressione della ricerca del potere, declinando la democrazia verso la fragilità, l’arretratezza, la disuguaglianza. Con estremo realismo il sindacato potrà impegnarsi a rafforzare la società e la democrazia, vigilando sui rapporti sociali ed elaborando prospettive e indirizzi capaci di trasformare il risentimento diffuso in spinta per una nuova giustizia sociale, combinando le esigenze della crescita dell’economia con lo sviluppo della comunità e delle persone. Una nuova fase sociale dovrà soprattutto esprimere la capacità di avviare una vera stagione di innovazione economica, sociale e istituzionale. Giobbe LA VITTORIA DEL PARTITO DEMOCRATICO DI RENZI IN UN QUADRO POLITICO NON ANCORA STABILE. LE RENDITE ELETTORALI NON GARANTISCONO PIU’ NESSUNO di Guido Bossa Se è vero che le elezioni europee del 2014 hanno indicato nettamente un vincitore - il Partito Democratico di Matteo Renzi – non è altrettanto vero che abbiano fatto definitivamente chiarezza sul quadro politico italiano. Se è vero che le elezioni europee del 2014 hanno indicato nettamente un vincitore – il Partito Democratico di Matteo Renzi – non è altrettanto vero che abbiano fatto definitivamente chiarezza sul quadro politico italiano. Anzi, ora che il polverone elettorale si è dissolto, è possibile, a mente fredda, rilevare che alcuni degli interrogativi che rendevano confuso il quadro d’insieme restano irrisolti e pesano sul futuro delle forze politicoparlamentari. Il sistema si è dislocato su tre poli: un forte partito di centrosinistra non più ideologico, premiato dal voto oltre ogni previsione e speranza, che deve ora, con un’azione di governo coraggiosa e decisa, trasformare il successo in un consolidato insediamento sociale; due minoranze che restano forti nonostante siano incerte sulla strategia da seguire (i Cinque Stelle) e sulla guida cui affidarsi (Forza Italia). A destra non si è completato, anzi per il momento è fallito, il progetto di costruzione di un partito conservatore di tipo europeo, liberato una volta per tutte da tentazioni bonapartiste e plebiscitarie e dai conflitti d’interesse del suo leader. Prima Pierferdinando Casini, poi Gianfranco Fini, infine Mario Monti, pur così diversi l’uno dall’altro, ci hanno provato senza successo. Angelino Alfano ha avuto finora una sorte migliore, ma è riuscito a superare la soglia di sopravvivenza del quorum solo per un soffio, e rischia, la prossima volta, di fare la fine di Scelta Civica. Il travaso di voti nella destra verso il Pd (che ha prosciugato il partito montiano) e verso l’astensione, è un sintomo dell’insicurezza di un elettorato che non ha ancora trovato una sponda salda a cui ancorarsi. La stessa Forza Italia, che pure resta egemone in un’area moderata quantitativamente ridotta, non ha una strategia vincente. Un’eventuale alleanza con la Lega, che potrebbe anche compromettere i rapporti col Ppe, vedrebbe il partito berlusconiano 9 a rimorchio di Salvini su temi qualificanti, e non più in grado di proporre lo schema che si è rivelato vincente per quasi due decenni, perché gli consentiva, grazie alla forza dei numeri e allo stesso prestigio del Cavaliere, di rappresentare indiscutibilmente l’intera coalizione. Più a destra, poi, si fa sentire l’attrazione di Fratelli d’Italia di Giorgia Meloni, che tallona il Nuovo Centro Destra e insidia i consensi di tutti. Questo settore, che fino ad un anno fa rappresentava la metà dell’elettorato ed ora, diviso com’è, non raggiunge il 30%, è quello che più risente dell’incertezza e dell’assenza di una guida sicura. Fra un anno si torna a votare in diverse regioni, fra le quali il Veneto, dove il Pd ha avuto un successo lusinghiero che tenterà di consolidare attuando una politica di attenzione verso le esigenze della piccola e media industria, finora soffocata dalle tasse e da una burocrazia inefficiente, delusa dal leghismo e alla ricerca di una rappresentanza moderna ed “europea”. Il sistema elettorale delle regionali, a turno unico, impone le alleanze fra partiti omogenei. Chi sarà il candidato presidente della destra? L’uscente Zaia o un berlusconiano? E nelle altre regioni (Liguria, Campania, Puglia, Calabria…) riusciranno a mettersi d’accordo Fi e Ncd, o piuttosto esploderanno altre contraddizioni fra due partiti schierati su fronti opposti a Roma? E lo stesso Partito Democratico, avvantaggiato il 25 maggio scorso per essere riuscito a portare al voto la gran maggioranza dei suoi elettori a fronte di un astensionismo che ha penalizzato la destra, riuscirà a confermare il suo 41% con un’affluenza elettorale che sarà certamente maggiore? Quanto al Movimento 5 Stelle, il voto europeo non ha messo in discussione la leadership, che rimane saldamente nelle mani della coppia Grillo-Casaleggio, ma ha aperto non poche contraddizioni. Alle sceneggiate dei deputati grillini il Parlamento europeo offrirà una cassa di risonanza molto più 10 attenuata di quella italiana, mentre l’insofferenza per le manovre spregiudicate messe in atto a Bruxelles rischia di creare forti grattacapi a Roma. Oltre tutto, in Europa il Movimento 5 Stelle sarà a rimorchio di altri, esattamente come la Lega. Meglio non farlo sapere qui da noi. Insomma, per il Movimento 5 Stelle (non ancora partito) si pone anche un problema di indirizzo politico, che Grillo tenta ora di esorcizzare esaltando il successo al secondo turno delle amministrative di Livorno, dove però va registrato più il fallimento della sinistra (giunta all’appuntamento elettorale divisa e vittima delle sue certezze ideologiche) che il successo della proposta pentastellata. Ciò detto, le carte migliori restano nelle mani del presidente del Consiglio e segretario del Pd, cui gli elettori italiani hanno affidato un credito notevole ma non illimitato, e soggetto a verifica costante. Matteo Renzi ha trovato consensi in settori di opinione pubblica che non avevano mai votato a sinistra e che sono stati sedotti da una linea pragmatica, non ideologica, che ha infranto diversi tabù. Gli insuccessi amministrativi di Padova, Livorno e Perugia (ed altri qua e là), pur in un quadro in cui il Pd espande al massimo la sua presa (oggi governa nel 70% dei comuni oltre i 15000 abitanti in cui si è votato) non incrinano la soddisfazione, ma piuttosto confermano che in un quadro tripolare come quello oggi esistente, nulla si può dare per scontato. Il movimentismo finora ha pagato, ma il governo e il partito che ne è l’asse portante sono attesi alla prova delle riforme. Risultati votazioni in Europa PPE 29,43% Risultati votazioni in Italia Democratici Cristiani S&D 25,43% Socialisti Democratici ECR 9,05 Conservatori Riformisti ADLE 8,92 PD 40,8% GUE/NGL 6,92 MS 21,2% Sinistra Unitaria 17 seggi Verdi 6,66 FORZA ITALIA 16,8 Democratici Liberali Verdi Alleanza Europea EFD 6,39 Gruppo Europa Libertà e Democrazia NI 5,73 Non appartenenti a gruppi politici Altri 1,46 Neoeletti senza appartenenza ad un gruppo politico 31 seggi 13 srggi LEGA NORD 6,2 5 seggi NCD UDC 4,4 3 seggi LISTA TSIPRAS 4,0 3 seggi PPE 221 seggi S&D 191 seggi ECR 68 seggi ADLE 67 seggi GUE/NGL 52 seggi Verdi 50 seggi EFD 48 seggi NI 43 seggi Altri 11 seggi Composizione del parlamento europeo 11 Il ruolo dell’Italia nell’Europa del dopo voto di Gianfranco Varvesi I risultati delle elezioni per il Parlamento Europeo hanno cambiato la geografia politica dell’Unione. Quasi tutti i partiti al potere sono stati penalizzati, i francesi e gli inglesi in modo particolare. L’avanzata delle forze politiche che contestano l’euro avrà ripercussioni nei singoli Paesi, ma meno sui lavori del Parlamento Europeo, essendo molte di loro fortemente nazionalistiche e quindi poco disposte a collaborare fra loro. Concorderanno sul “no a tutto”, ma difficilmente riusciranno ad individuare linee convergenti costruttive. Per quanto concerne la nostra presidenza, va ricordato che, quando capita di doverla esercitare nel secondo semestre dell’anno, si usufruisce di tempi operativi più ristretti, perché limati dalle vacanze estive. Nel nostro caso, ancora maggiori sono gli ostacoli, dovendosi, all’inizio del nostro mandato, nominare una nuova Commissione, e formare i gruppi e i comitati del Parlamento neo eletto. In Europa, però, si è formato un nuovo equilibrio politico. I governi di Parigi e Londra sono notevolmente indeboliti per la sconfitta dei partiti al potere: quello del Presidente Hollande si è piazzato al terzo posto con un modesto 14%, i conservatori inglesi hanno subìto una forte sconfitta. In Germania il partito della signora Merkel ha avuto la maggioranza, ma ha perso consensi rispetto alle elezioni precedenti. Il governo di Berlino è ora costretto ad ammorbidire le sue posizioni sull’austerità per evitare che la crisi economica si propaghi in Germania ed è incoraggiato a cambiare rotta anche dalle pressioni americane. La vittoria di Renzi conferisce quindi all’Italia alcuni strumenti in più per affrontare il semestre di presidenza. Nelle elezioni del 25 maggio solo l’elettorato italiano ha rafforzato il partito al governo. I partiti euroscettici non hanno avuto grande successo, essendo uno intorno 12 al 20%, l’altro poco sopra il 6%; i rimanenti non hanno superato la fatidica soglia del 4%. Questo quadro di politica interna italiana si proietta sul piano comunitario, poiché il PD fornisce al gruppo del Parlamento Europeo del Partito Socialista la più forte delegazione. In sostanza, gli ostacoli alla presidenza sono divenuti opportunità da utilizzare. L’Italia, infatti, potrebbe trarre vantaggio dalla situazione che si è venuta a creare, tessendo una rete di rapporti preferenziali, in primo luogo con la Germania. L’asse Berlino – Parigi, perno del sistema comunitario, si è seriamente incrinato. Sarà certo interesse di queste due capitali salvare le apparenze e mantenere relazioni amichevoli, ma la realtà della politica spingerà la Cancelliera tedesca verso Roma. Gli Stati Uniti guardano con grande fiducia alle posizioni italiane contro l’austerità, perché vedono indebolirsi il mercato europeo come sbocco della loro produzione. I Paesi del sud dell’Europa, che hanno dovuto pagare un prezzo altissimo in termini sociali, con drammatiche percentuali di disoccupazione, considerano l’Italia portavoce delle loro esigenze. In conclusione, l’Italia del dopo-elezioni si presenta sulla scena europea più stabile e più coesa; potrà così avvalersi della presidenza per influire sulle politiche cui dovrà ispirarsi la nuova Commissione Europea. Inoltre, potrà impostare alcune riforme che gli equilibri comunitari esigono, quali la revisione del Trattato di Lisbona e dei vincoli di Maastricht, per favorire il superamento della crisi e la lotta alla disoccupazione (quella giovanile in particolare). Vi è poi il problema dell’immigrazione, che deve diventare questione comunitaria. Giocando su più scacchiere, modulando opportunamente le linee di azione e le priorità, Roma può conquistare un ruolo di grande rilievo in politica estera e recuperare posizioni dopo i tanti sacrifici sopportati in questi anni. 2° FESTIVAL DELLE GENERAZIONI NE` VECCHI NE` GIOVANI: CITTADINI Firenze, 2-4 ottobre 2014 www.festivaldellegenerazioni.it 13 La Pubblica amministrazione apre il fronte delle riforme sul lavoro PA: in pensione e spazio ai giovani di Marco Iasevoli Ruolo unico per la dirigenza, mobilità entro cinquanta chilometri, riduzione della spesa. Verso quindici mila assunzioni nei prossimi anni. Anche part time per favorire nuovi ingressi. Permessi sindacali ridotti e nessun cenno sui rinnovi contrattuali. Ma una parte dei provvedimenti sarà affidato a una legge delega. Prima dell’estate anche interventi sulla giustizia civile. Ancora silenzio sul rilancio dell’occupazione. 14 Il vero risvolto occupazionale nella riforma della Pubblica amministrazione (della quale si conoscono i contenuti, ma non ancora i testi legislativi) è la fine del trattenimento in servizio, che dovrebbe portare ad un ingresso di circa 15mila giovani nella PA nei prossimi anni. Dunque chi deve andare in pensione ci andrà, senza restare al proprio posto per un periodo aggiuntivo. L’altro sbocco lavorativo che si apre è l’allentamento del turn over nelle assunzioni da parte degli enti locali. Potrebbe avere un effetto di “apertura” ai giovani anche la possibilità di scegliere il parttime 5 anni prima della pensione, perdendoci in retribuzione ma non dal punto di vista dei contributi previdenziali. Per il resto, quanto contenuto nel decreto e nella legge-delega ha soprattutto una funzione di razionalizzazione e riduzione dei costi. Dal dimezzamento dei permessi sindacali alla mobilità obbligatoria entro i 50 chilometri – le due misure più simboliche – sino all’obbligo di ridurre i costi dell’1 per cento annuo. Nessun accenno al rinnovo dei contratti o allo sblocco dello stop agli aumenti deciso nelle ultime leggi di stabilità. Dal punto di vista della valenza politica, c’è la scelta dell’esecutivo di passare al ruolo unico della dirigenza (oggi ci sono due fasce), e soprattutto di rendere il top management della pubblica amministrazione “licenziabile” e pagato in base ai risultati e alla crescita complessiva del Paese. Una riforma che dovrebbe smobilizzare gli imbuti di potere che si creano negli enti locali e nei dicasteri, aprire un mercato più “smart” e dinamico della dirigenza pubblica. In attesa di capire cosa finirà in un decreto subito operativo, e cosa in un ddl-delega che avrà il suo lungo iter in Parlamento, si comprende bene che la riforma della PA è da considerare come l’infrastruttura per il rilancio del Paese, insieme agli annunciati interventi sulla giustizia civile che dovrebbero vedere la luce a fine giugno. Mentre gli interventi più direttamente finalizzati a rilanciare l’occupazione nel breve periodo ancora non vedono la luce. Si attende ancora il sì definitivo del Parlamento alla legge-delega sul mercato del lavoro, che dovrebbe condurre all’introduzione del contratto unico d’inserimento a tutele crescenti e alla rivisitazione completa degli ammortizzatori sociali all’insegna dell’universalità. Il ministro Poletti ha promesso che, dal momento del sì delle Aule, è pronto a varare i decreti attuativi entro la fine del 2014. In realtà, la strada per invertire davvero in pochi mesi i drammatici dati Istat sulla disoccupazione passa per l’Europa. La partita delle nomine ai vertici delle istituzioni comunitarie è legata a stretto filo ad un nuovo programma di politica economica dell’Unione su due assi: flessibilità sul deficit per i Paesi che stanno davvero facendo le riforme e grossi piani europei di investimenti pubblici, ad esempio su energia e reti digitali. Solo una sostanziosa politica di investimenti su scala continentale può rilanciare l’occupazione a stretto giro, ed è questa la priorità del semestre guidato dalla Presidenza del Consiglio italiana. 15 “Sindacati, l’innovazione si fa con le buone idee” di Stefano Della Casa L’attuale situazione politica italiana impone una profonda riflessione sul tema della concertazione Governo – Sindacati e sul futuro stesso dell’istituzione – sindacato. La Fnp Cisl ne parla con il prof. Aldo Carera, professore ordinario di Storia economica presso la Facoltà Economia dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano. Si è concluso, da poco, il Congresso della CGIL, con lo scontro fra Camusso e Landini. Ritiene che sia un problema a livello personale o riguarda l’assetto del sindacato? È vero, il problema si pone: le grandi aggregazioni collettive sono per loro natura terra di confronto di personalità protese verso il rafforzamento della propria leadership. Ne abbiamo conferma dal mondo della politica, sempre più influenzato dai protagonismi. Meglio per il sindacato tenersi fuori da simili entusiasmi. Oggi le confederazioni maggiori sono come grandi navi, costruzioni complesse, diversificate. Serve un bravo comandante e serve un equipaggio coeso, convinto che la rotta è stata tracciata in piena autonomia, che chi tiene la barra meriti fiducia. Al congresso della Cgil, più Aldo Carera, professore ordinario di storia ecomica all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano che le torsioni della democrazia denunciate da Camusso, erano in gioco le torsioni della sinistra dalla sconfitta elettorale di Bersani in poi. Questioni di autonomia, dunque, da risolvere prima ancora di tracciare la rotta. Della Casa: La rielezione della Camusso ha risolto il problema? O la CGIL rischia una scissione interna? Carera: Le scissioni sensate e durature sono quelle che si fondano su differenze culturali e su spinte veramente innovative. Landini è un bravo tattico con grande presenza scenica. Al momento non sembra indicare strade alternative a meno che decida di forzare ulteriormente il mutamento geSusanna Camusso, segretaria generale della CGIL 16 netico della Fiom portandola del tutto fuori dagli schemi della rappresentanza sindacale per navigare verso improbabili terre incognite. Più che la scissione, il pericolo per la Cgil (come per tutto il sindacato) è navigare a vista, senza la forza necessaria per contrastare le correnti della crisi. Il grande consenso di Renzi alle urne ha rafforzato l’idea che sia finita l’epoca della concertazione. Governo e Sindacati si avviano ad una nuova era di dialogo, dove le decisioni in materia di lavoro e welfare spettano solo al Governo? La concertazione non è finita perché Renzi ha vinto le elezioni o per l’atteggiamento dei governi, da Monti in poi. Era già finita da tempo, nonostante il tentativo di rammendo del governo Prodi nel 2007. La sua stagione era segnata dalla progressiva perdita della forza contrattuale scontata dalla capacità di tutela dei lavoratori e delle classi popolari, a partire dalla difesa dei salari reali in ragione degli scostamenti della produttività. Prima di mettere a punto nuove modalità di relazioni triangolari occorre che imprese, sindacati e governo definiscano, innanzitutto al proprio interno, strategie di medio-lungo periodo. Cosa che al momento sembra difficile per tutti e tre. Preso atto che l’età delle co-decisioni è finita, non mancano strumenti per sviluppare un atteggiamento collaborativo da parte del sindacato a partire dagli ambiti propri (e in quando tale autonomi) dell’azione sindacale. A partire, soprattutto, dalla contrattazione e dalla rete di relazioni economiche e sociali sul territorio cui si accede tramite l’espansione di quel patrimonio inesausto che è insito nella cultura contrattuale. Se la concertazione è tramontata, le organizzazioni sindacali in Italia sono pronte ad affrontare questo nuovo corso? Pronte o no che siano, la crisi sta segnando profonde discontinuità cui nessuno si può sottrarre. Men che meno il sindacato, i cui terminali nella vita reale sono il vero parametro di valutazione di quel che fanno. Territori e imprese, imprese e territori pongono domande quotidiane. Quello che interessa studenti, lavoratori, pensionati. Le nostre famiglie, insomma. Meglio mettersi in apnea per un breve momento, poi ossigenarsi senza perdere tempo respirando l’aria buona che viene dalla base e filtrarla con quella tensione all’innovazione che, se pensiamo alla Cisl, è ancora inscritta nel suo patrimonio genetico. Buone idee, nuove proposte e coraggio di portarle avanti. Gli altri ti seguiranno. Il Premier Renzi ha accusato i sindacati di immobilismo durante la fase acuta della crisi economica; è stato realmente così? E se sì, quale ruolo dovrebbero avere in questa fase? Renzi è certamente abile nel mettersi in sintonia con il sentire comune, in buona parte avverso al sindacato, e utilizzarne strumentalmente le difficoltà. Ma il presidente del consiglio, passati i primi cento giorni, affrontati a twitter battente, dovrà mettere in fila azioni in grado di durare nel tempo fosse pure per garantire la durata del governo, cui non può bastare un abile populismo per reggere le responsabilità operative di cui si deve far carico. Alle accelerazioni renziane il sindacato non può rispondere rispolverando antiche liturgie, ostentando rituali polverosi. Ma neppure fermandosi alla superficie delle questioni. Cosa che sanno bene i tanti bravi sindacalisti che non si perdono nei giochi del potere e della politica e sanno reggere impegni di media e lunga portata. Basta aiutarli a fare ancora meglio quel che già sanno fare. 17 Anteas, l’Associazione di volontariato promossa dalla Fnp-cisl si rinnova Il 21 e 22 maggio 2014 a Riccione, all’Hotel Mediterraneo, si è tenuta l’Assemblea Nazionale che ha votato i bilanci, le modifiche allo statuto e il rinnovo delle cariche sociali dell’Anteas Nazionale, l’Associazione di volontariato promossa dalla Fnp Cisl. Anteas, presente nelle organizzazioni di volontariato a tutti i livelli, eletta tra l’altro nel Coordinamento nazionale del Forum del III Settore, è diventata una realtà importante del volontariato italiano. E’ composta da circa 650 associazioni di volontariato e di promozione sociale con oltre 100.000 associati, quasi 20.000 volontari e moltissimi destinatari che usufruiscono dei servizi Anteas soprattutto nell’ambito socioassistenziale e sanitario. Il volume delle attività svolte è importante: i volontari delle Anteas fanno il trasporto sociale con oltre 300 automezzi (molti dei quali attrezzati per i disabili), gestiscono 35 ambulatori (l’ultimo in ordine di tempo, realizzato a Roma, a Centocelle) nei quali vengono erogate 18 gratuitamente prestazioni infermieristiche e medicazioni di primo soccorso. Ma le attività di volontariato effettuate spaziano in altri settori: dalla vigilanza presso le scuole e nei parchi cittadini, ai centri di ascolto, al “banco alimentare” (raccolta e distribuzione di derrate alimentari per famiglie disagiate) alla formazione di giovani esclusi da scuola e lavoro, dalle attività artistiche e culturali, ai laboratori artigiani per prendersi una pausa da Tv, computer e telefonino e sviluppare la creatività, fino al ballo e alle gite fuoriporta. Per avere un’idea di tutte queste attività basterebbe consultare Panoramanteas, la newsletter mensile visibile sul sito dell’Associazione (www.anteasnazionale.it). Tra le ultime iniziative intraprese con successo come consuntivo di questi quattro anni, c’è “Anteas in piazza”, che vuole far conoscere l’associazione alla gente, visto che è presente in tutte le province d’Italia, portando avanti tanti progetti e l’iniziativa contro la violenza di genere, per arginare il triste fenomeno del femminicidio. Tutti questi progetti riconducono all’impegno principale di Anteas, riaffermato con forza da Arnaldo Chianese nella sua relazione, la lotta all’emarginazione e alla solitudine dell’anziano e in generale di tutti i soggetti deboli, il valore del dono e della gratuità. Gli stessi valori espressi da monsignor Giovanni Nervo fondatore della Caritas e da Enzo Bianchi, priore della Comunità di Bose. Il presidente uscente, ha poi rivolto un caloroso ringraziamento a tutti i volontari dell’Anteas, che sono poi coloro che portano avanti concretamente l’Associazione, in silenzio e con grande coraggio. Anteas, associazione di tutte le età attive per la solidarietà, vuole valorizzare anche i giovani, far scoprire loro il valore del volontariato. Un’associazione in salute, come confermano i numeri, che esce rafforzata e unita da Riccione. Ha portato un saluto il portavoce del Forum del III Set- tore Barbieri, era presente tutta la Segreteria della Federazione Nazionale Pensionati guidata da Gigi Bonfanti ed inoltre Pietro Cerrito della segreteria confederale Cisl. In particolare Cerrito ha affermato la necessità di trovare un nuovo modello di sindacato, la Cisl deve proiettarsi all’ esterno. In quest’ambito Anteas rappresenta il futuro, in modo da captare e interpretare la parte più profonda dei bisogni della gente. Il Segretario generale della Fnp Cisl Ermenegildo Bonfanti ha invitato a fare un bilancio certificato e consolidato, quale metodo valido per tutta la Cisl. Inoltre ha sottolineato in particolare una gestione mirata del 5 x mille e ha invitato a dare concreta applicazione al protocollo d’intesa Fnp-Cisl-Anteas sottoscritto nel 2010. L’Assemblea ha quindi proceduto alla votazione per il rinnovo della Presidenza, del Direttivo, del Collegio dei Sindaci e dei Probiviri. Alla guida di Anteas ci sarà per la prima volta una donna, Sofia Rosso, proveniente dalla Fnp della Lombardia, da sempre impegnata nel sociale e nel volontariato. Come vicepresidenti sono stati scelti Amerigo Lissandron del Veneto, già presidente di Anteas Padova e Raffaele Caprio, presidente di Anteas Puglia. Nel suo intervento Sofia Rosso ha sostenuto che sarà la presidente di tutti e, tra le altre cose, ha richiamato l’importanza dell’Expo (che si svolgerà a Milano nel 2015) in cui il volontariato e in particolare l’Anteas ha l’opportunità di giocare un ruolo importante. Luigi Cherubini VIENI, GIOCA E VINCI Gioca con Creditis e il Festival delle Generazionii In e per i pesclusiva ns FNP CISionati L Dal 3 Giugno fino al 4 Ottobre con Dammi il 5 potrai vincere ogni giorno fantastici premi e partecipare all’estrazione di 4 superpremi mi finali! COME SI GIOCA Partecipare è semplicissimo! Basta solo: La cessione del quinto della pensione di nuova generazione. Dedicata a tutti i pensionati INPS e INPDAP iscritti al sindacato 1 REGISTRARSI sul sito www.vienigiocaevinci.it, inserendo i propri dati anagrafici nel form di registrazione. 2 GIOCARE, scegliendo 3 carte tra quelle proposte nella pagina di gioco. 3 VINCERE: chi trova la carta vincente tra una delle tre scelte, vince subito uno degli utili e preziosi premi in palio nel corso della settimana. In più, tutti i partecipanti, prendono parte all’estrazione finale dei fantastici superpremi. Richiedi subito un preventivo gratuito al tuo consulente. Chiama il numero verde o vai sul sito www.dammil5.com In col collaborazione con: Il prestito personale intelligente. E ogni problema va in pensione Concorso a premi riservato ai pensionati iscritti alla FNP CISL, valido dal 3 giugno 2014 al 4 ottobre 2014. Montepremi pari a € 22.862,20 inclusa IVA. È possibile giocare solo una volta nell’arco delle 18 settimane di durata del concorso. Il regolamento dell’iniziativa è disponibile sul sito www.vienigiocaevinci.it. Per info: numero verde 800 01 09 09. 19 in Messaggio pubblicitario con finalità promozionale. Per le condizioni economiche e le principali clausole contrattuali il documento “informazioni europee di base sul credito ai consumatori” è ottenibile presso le filiali delle Banche del Gruppo Carige e presso gli Agenti attività finanziaria iscritti al relativo Albo tenuto dall'OAM e alla sezione E del RUI, mandatari di Creditis Servizi Finanziari S.p.A. Le Banche del Gruppo Carige, iscritte all’Albo delle Banche, promuovono e collocano il prodotto in forza di convenzione con Creditis Servizi Finanziari S.p.A, società appartenente al medesimo Gruppo. Salvo approvazione di Creditis Servizi Finanziari S.p.A. “CURARE LA CURA”, UN PROGETTO DEL COORDINAMENTO DONNE FNP CISL Mariase Irene 2.438.000 individui (+4,3%), dianche in Trentin alcune regioni come Liguria, Molise, Basilicata e Calabria si registra nello stesso periodo una flessione della popolazione (rispettivamente -0,1%; -2,2%; -3,3% e -2,6%). Per quanto riguarda la classe d’età degli “over 65” si assiste in tutte le regioni ad un significativo incremento (media Italia +16,3%) con punte sopra il 20% per Lombardia, Trentino Alto Adige, Veneto, Lazio, Puglia e Sardegna. Un ulteriore dato che rifletto il processo di invecchiamento della popolazione si ricava considerando l’incidenza degli ultra 65enni sul totale della popolazione residente: si passa dal 18,7% del 2001 al 20,8% del 2011 (nel 1971 era pari all’11,3%). L’aumento è stato significativo anche per le età più avanzate: l’incidenza della popolazione di 75 anni e più è passata, infatti, dall’8,4% del 2001 (4.762.414 persone) al 10,4% del 2011 (6.152.411 persone) Persone con 65 anni e più. Censimenti dal 1971 al 2011 Incidenza % sul totale della popolazione residente Indicatori strutturali della popolazione residente. Censimenti dal 1971 al 2011 Il progetto “Curare la cura” promosso dal Coordinamento Donne del FNP Cisl nazionale si caratterizza per un metodo di indagine fortemente collegato all’azione e alla presenza sul territorio. L’idea è quella di vedere la connessione tra il cambiamento demografico e il mutamento della domanda di salute, con specifico riguardo alla diffusione di patologie croniche, collegate ad eventi invalidanti generatori di non autosufficienza. Incrociando le istituzioni con il ruolo della famiglia, il mercato del lavoro e il mutualismo privato-sociale si vede chiaramente che nella risposta alla domanda di salute l’elemento di genere è uno snodo strategico: per il fatto che la donna vive più a lungo, più a lun- 20 go in salute, più spesso si fa carico di famigliari non autosufficienti e con più frequenza è impegnata nei lavori di cura, sia in famiglia, sia come collaboratrice famigliare, o badante, sia come lavoratrice di cura a livello ospedaliero o residenziale. L’8 aprile scorso è stato presentato il quadro conoscitivo del progetto, curato da Local Area network, di cui di seguito pubblichiamo un estratto dei passaggi più significativi. L’evoluzione demografica in Italia Rispetto al 14° Censimento, quando la popolazione residente censita in Italia era pari a 56.995.744, si rileva nel 2011 un incremento complessivo di Anziani per bambino Evoluzione della popolazione residente Incremento demografico nei comuni Var. % 2001 / 2011 Il progressivo invecchiamento che caratterizza la popolazione italiana risulta ancora più evidente attraverso l’analisi di alcuni indicatori demografici. Dal 1971 al 2011 il numero di anziani (pop. 65 anni e più) rispetto ai bambini (meno di 6 anni) passa dall’ 1,14 a 3,75. L’indice di vecchiaia, invece, che mette in relazione la popolazione con 65 anni e più con quella che ha meno di 15 anni è notevolmente aumentato negli ultimi 40 anni passando dal 46,1% del 1971 al 148,7% del 2011. Indicatori strutturali della popolazione residente. Censimenti dal 1971 al 2011 Indice vecchiaia Le condizioni di salute Le ultime dinamiche demografiche evidenziano un allungamento dell’aspettativa di vita, ma come si evolve lo stato di salute delle persone? È questo l’interrogativo a cui si è cercato di rispondere nella seconda parte dello studio. In base alle variabili utilizzate si rileva un progressivo incremento degli anziani trattati in ADI (Assistenza Domiciliare Integrata) con una percentuale sulla popolazione “over 65” che è raddoppiata negli ultimi dieci anni ed una tendenza al rialzo anche per le persone affette da almeno una malattia cronica. A livello territoriale si evidenziano per alcune regioni significative differenziazioni rispetto al trend generale. Tale difformità si riscontra considerando anche il numero di beneficiari di pensioni o assegni di accompagnamento. I differenti criteri di valutazione che vengono utilizzati non consentono di operare un’analisi omogenea sul territorio nazionale: da una parte si registra una leggera contrazione per le pensioni di invalidità tra il 2008 e il 2011 con tendenze in rialzo però in Lazio e Sicilia, mentre considerando le indennità di accompagnamento si rileva tra il 2005 ed il 2010 un incremento medio del +1,7% con aumenti superiori alla media soprattutto nelle regioni del Sud. Var.% <0% 0%< Var.%Media Italia (69,2%) Var.%>Media Italia (69,2%) Var.% <0% 0%< Var.%<5% 0%< Var.%<10% Var. %>10% Evoluzione della popolazione residente Decremento demografico nei comuni Var. % 2001 / 2011 < 2,50 2,50 - 4,99 5,00 - 7,49 7,50 - 9,99 >= 10,00 < 2,50 2,50 - 4,99 5,00 - 7,49 7,50 - 9,99 >= 10,00 21 ANTEAS e la tecnologia sostenibile Per rappresentare degnamente una parte tanto viva del Paese, bisogna conoscere i problemi di cui ci si occupa, bisogna saperli interpretare e confrontare con le risorse esistenti, per sollecitarne l’aumento o il miglioramento qualitativo. I volontari dell’Anteas hanno saputo tradurre le conoscenze dei bisogni e l’analisi delle risorse in progetti organici in grado di soddisfare i bisogni emergenti. Per fare questo, il volontariato è chiamato ad attrezzarsi culturalmente. L’analisi dei bisogni e l’individuazione delle risorse richiedono una capacità di leggere il territorio e la realtà che ci circonda, nella consapevolezza che in ogni luogo gli stessi bisogni si presentano in modo diverso. Anziani e tecnologia, un incontro possibile L’uso degli strumenti tecnologici disorienta le persone anziane. Gli ultra 65enni continuano a preferire la tv, da cui attingono la maggior parte delle informazioni, usano poco bancomat e carte di credito. Qualche dato: l’Istat rivela che le famiglie con almeno un minorenne sono più “tecnologiche”, mentre tra quelle composte da soli over 65 è poco diffuso il computer (13,9%) e solo l’11,8% può navigare in internet. Il cellulare è il mezzo tecnologico più diffuso tra gli anziani, anche se in misura molto inferiore alla media nazionale. Ma le barriere dell’analfabetismo digitale non significano che gli anziani non siano capaci di imparare a utilizzare le nuove tecnologie. Dai territori arrivano esempi virtuosi, che forniscono segnali confortanti sulla propensione degli anziani all’utilizzo delle nuove tecnologie, mettendo in discussione uno dei 22 pregiudizi più consolidati che dipinge l’Italia come un Paese arretrato ed impermeabile alla diffusione delle moderne tecnologie. Anteas Avezzano: gli “Anziani Digitali” Il progetto “Anziani Digitali” è nato nel 2012 da un’idea del Presidente dell’ANTEAS Avezzano Marsica, Mario Gatti. L’idea era quella di proporre dei corsi gratuiti di Informatica di base per favorire l’alfabetizzazione informatica nel territorio, curando allo stesso tempo l’aspetto relazionale per offrire ai partecipanti piacevoli momenti di socializzazione. Il progetto è partito nel 2013 e, già dopo pochi giorni dalla pubblicizzazione, più di 70 anziani desideravano partecipare al corso. L’elevato numero di richieste degli anziani del territorio, unito all’entusiasmo mostrato da coloro che hanno partecipato alla prima edizione, ha spinto a lavorare per organizzare una nuova edizione nel 2014. Per rendere il servizio costante nel tempo e per permettere anche ad altri volontari di partecipare attivamente, è stata attrezzata un’aula nella sede dell’ANTEAS di Avezzano. Ovviamente, trovare i fondi per comprare computer e videoproiettore non è stato semplice, ma un’importante multinazionale, data la natura solidaristica e sociale dell’iniziativa, ha ceduto 20 notebook ad un prezzo simbolico. All’inizio del 2014, in collaborazione con la Fnp Cisl territoriale di Avezzano, è stato inaugurato il “Centro di alfabetizzazione informatica ANZIANI DIGITALI”, costituito da un’aula con 12 postazioni, 20 notebook, un proiettore e una lavagna multimediale. L’obiettivo è quello di trasformare l’aula in un Internet Point a disposizione degli anziani che, per situazioni socio-economiche sfavorevoli, non hanno possibilità di avere a casa strumenti informatici e una connessione ad Internet. I corsi sono stati dei veri e propri momenti di incontro tra generazioni. Infatti, accanto ai partecipanti, tutti ultra-sessantacinquenni, hanno lavorato i giovani dell’ANTEAS Avezzano Marsica. La docenza è stata affidata a Laura Gatti (31 anni), docente di Informatica di base e di Comunicazione, mentre Maria Laura Ricci (24 anni), Manuela Giannantoni (24 anni) e Miriana Cipol- lone (22 anni) hanno svolto il ruolo di tutor aiutando, durante le lezioni, chi ne aveva bisogno. Il corso, proponendosi come una vera e propria alfabetizzazione informatica, è stato incentrato sulle funzioni e le nozioni base del computer, in modo da permettere agli anziani di iniziare ad utilizzare lo strumento in autonomia. Sono stati approfonditi i programmi più importanti come Word e Internet, che possono risultare particolarmente utili nell’utilizzo quotidiano del computer sia per hobby sia per l’organizzazione familiare. Le lezioni, teoriche e pratiche, sono state arricchite da giochi didattici di socializzazione e lavori di gruppo, che hanno permesso agli anziani di condividere pensieri e perplessità e di sentirsi compresi nella loro difficoltà di approccio agli strumenti informatici. Oltre al mero apprendimento dei concetti e all’acquisizione delle competenze informatiche, quindi, in entrambe le edizioni il valore aggiunto è stata l’amicizia che si è creata tra le volontarie e gli anziani. Un’amicizia nata grazie al clima di serenità e di condivisione instaurato durante le lezioni, che ha permesso di costruire legami tra i partecipanti attraverso la cooperazione e l’aiuto reciproco e che è stato di grande utilità nell’apprendimento. “Con molti di loro questa amicizia ancora oggi va avanti e ci rende davvero orgogliosi del nostro lavoro”, afferma Laura Gatti, docente dei corsi e volontaria Anteas. “Universal Design”, concetto cardine a livello europeo per l’accessibilità, e “Life” come stile di vita. Tra i tre progetti finalisti, “U-Life” è stato ritenuto il più meritevole per aver saputo rispondere in maniera innovativa e concreta a una delle sfide chiave del futuro: vivere meglio e più a lungo, proponendo idee e soluzioni sostenibili per trasformare il cambiamento in opportunità. “Attualmente solo l’11% viaggia - spiega Anna Riva, responsabile del progetto - soprattutto per problemi di salute o esigenze speciali che rendono impossibile una vacanza ordinaria”. “U-Life” vuole dare un contributo al turismo italiano ampliando i servizi offerti in termini di accessibilità - aggiunge - con l’obiettivo di offrire alla terza età nuove modalità di viaggio, superando offerte di turismo di sollievo e sociali”. Il gruppo di lavoro di U-Life è formato da Anna Riva (project manager), Federico Magnone (It engeneer), Luigi Bandera (sales manager) e Gabriele Favagrossa (accessibility advisor). Elettra Turismo accessibile: premiata la start-up di Anteas Lombardia U-Life è una piattaforma on line e su canali tradizionali per la vendita di pacchetti ed itinerari turistici ad anziani e persone con esigenze speciali. Per questo progetto, Anteas Lombardia ha vinto il “Fellowship for Longer Lives”, programma internazionale rivolto ad iniziative imprenditoriali sui temi della longevità, istituito da Axa in Italia e Swiss Re Foundation, insieme a Impact Hub Milano (primo centro in Italia dedicato all’innovazione e all’imprenditoria sociale, nonché alle persone che la promuovono). “U-Life”, realizzato in collaborazione con Ledha (Lega per i diritti delle persone con disabilità) e Cts (Centro Turistico Studentesco), nasce dalla volontà di coniugare 23 Workshop della FNP per politiche e ruoli post crisi Ripensare il sindacato di Stefano Della Casa I lavori aperti dal Segretario Generale Ermenegildo Bonfanti. Le relazioni di Sapelli, Bartolini, Pandolfo. Gli obiettivi:crescita, equità e riproduzione sociale. Le esperienze di organizzazioni estere. L’attuale situazione socio-economica in Italia, la crisi dei sistemi capitalistici ed il fallimento del welfare come lo abbiamo conosciuto fino ad oggi, ha indotto la FNP CISL a promuovere due giornate di workshop a Roma il 19 e 20 maggio scorsi. I lavori, riservati ai dirigenti della Federazione, si sono svolti nello storico complesso dell’Ospedale di Borgo Santo Spirito e hanno avuto come finalità l’ascolto di voci diverse, sia di organizzazioni sindacali di altre nazioni sia di autorevoli persone che operano al di fuori delle organizzazioni sindacali. Il fine: dare vita ad un momento di riflessione dal quale far nascere nuove idee e proposte. I lavori sono stati aperti dal Segretario Generale Ermenegildo Bonfanti la cui relazione ha avviato un vivace dibattito che ha avuto come protagonisti personaggi di spicco del panorama universitario, giornalistico ed economico, guidati dal giornalista Andrea Pancani. I temi dei due giorni di convegno, crescita, equità e riproduzione sociale sono stati presentati dal Prof. Giulio Sapelli, Professore Ordinario di Storie Economica ed Economia Politica dell’Università di Milano ed editorialista del Messaggero. sabile ritenere possibile il mantenimento di un welfare come quello che conosciamo e il disgregamento di quei valori di relazioni personali, sia nel pubblico che nel privato, che ha causato il crollo del fenomeno della Riproduzione Sociale. Insieme al Prof. Stefano Bartolini, dell’Università di Siena e al Prof. Angelo Pandolfo della Sapienza di Roma, Sapelli ha ripercorso la storia politica ed economica in Italia dal dopoguerra, dimostrando come i modelli ai quali ci siamo ispirati, primo fra tutti quello americano, non solo si sono dimostrati fallimentari, ma sono stati la causa principale della stagnazione economica nella quale versiamo, creando una situazione sociale di individualismo e solitudine, con la grande perdita di valori come il mutualismo e le relazioni sociali che sono state sostituiti da una corsa al consumismo ed una conseguente necessità di maggiori risorse economiche e, quindi, maggiore richiesta di lavoro. Quello che ieri era un lusso oggi è diventata una necessità e lo Stato, se non ha la capacità di riaffidarsi alla mutualità sociale, è destinato ad andare verso quel fallimento che i modelli economici basati esclusivamente sul capitale hanno già prodotto nei paesi d’origine. Alla radice della stagnazione I valori perduti Quale ruolo per il Sindacato Sapelli ha esposto la situazione attuale confrontandola con il passato, ponendo l’accento su come sia impenErmenegildo Bonfanti, segretario generale della Fnp Cisl 24 L’analisi è proseguita valutando il ruolo che deve avere il Sindacato in questa fase, dove le imprese dovranno uscire dal sistema capitalistico con i minori danni pos- sibili e l’organizzazione sindacale dovrà tornare ad un ruolo di aggregatore fra mutualità e cooperazione, concentrando i propri sforzi a riallacciare quello strappo generazionale che si è creato oggi fra giovani ed anziani. Il secondo giorno di workshop ha visto, fra gli altri, l’intervento del Prof. Peter Sheldon, dell’Università di Management and Economy of New South Walles e Grace Grace, direttrice della Queensland Nurses’ Union, entrambi di Sydney, che hanno portato l’esperienza dei sindacati anglosassoni e delle loro battaglie per migliorare la condizione sociale delle fasce più povere di lavoratori, in maniera principale quella degli immigrati, una situazione che anche l’Italia si trova ad affrontare a causa dei flussi migratori in costante aumento. Dal Welfare di Stato a quello sociale A colloquio con Giulio Sapelli Tornare allo Stato imprenditore Serve più spesa pubblica. Se il privato non investe creiamo aziende statali. Le scelte di interesse nazionale passano sopra le resistenze locali. Sindacato: meno leggi e più contrattazione. Partiti veri, non virtuali. Politica: è la crisi degli apostoli. Senza la famiglia saremmo già morti. Strasburgo dopo Renzi. Troppo allargamento ci ha fatto male. Alla Russia dovevamo stringere la mano, non litigarci le terre di mezzo. L’Europa va dall’Atlantico agli Urali. di Gian Guido Folloni I lavori sono proseguiti con gli interventi di Cesare Pacioni, in rappresentanza delle Banche Popolari e Cooperative e del Prof. Salvatore Natoli, Professore dell’Università Bicocca di Milano, che hanno sviluppato il tema del welfare sociale e della necessità di una radicale modifica di distribuzione delle ricchezze, con la Società e non più lo Stato che deve farsi carico del Welfare. Quest’ultimo deve trasformarsi in un Welfare solidale nel quale devono essere premiati i meriti e devono essere incentivate le capacità dell’individuo, sempre sotto l’attenta vigilanza del sindacato che ha lo scopo di continuare a difendere e tutelare il lavoratore il quale, e questa è la grande sfida dei prossimi anni, non potrà essere protetto indiscriminatamente ma aiutato nella propria valorizzazione e nello sviluppo delle sue capacità. I due giorni di workshop sono stati chiusi dall’intervento del Segretario CISL, Raffaele Bonanni che, dopo aver elogiato i temi e le discussioni presentate ha ribadito la necessità di attivare il confronto fra organizzazioni sindacali, istituzioni e soggetti terzi per riavviare il processo di crescita sociale nel nostro Paese. Giulio Sapelli, ordinario di storia economica all’Università degli studi di Milano Giulio Sapelli: un curriculum accademico sterminato, che copre tutti i continenti. E’ certamente uno che definiresti fuori dal coro. Certo non in sintonia con la retorica della crisi oggi imperante. A 67 anni trotta da una vita tra università (ordinario di Storia economica a Milano) e consigli di amministrazione di aziende pubbliche e private. Ora i consigli li ha abbandonati. Nei suoi giudizi, come nei libri della sua vastissima bibliografia, non usa parafrasi e va diritto al cuore del problema. Mastica numeri, ma non disdegna l’etica. Parliamo con lui di crisi, di lavoro, di partiti e sindacati, d’Europa e di Cina, di famiglia, di giovani, di pensioni, di investimenti, senza alcun tabù. Folloni: Partiamo dal voto europeo. La Merkel e Renzi: sparito Hollande, l’asse si sposta verso Roma? Sapelli: Non darei per finito Hollande: la Francia è un fiume carsico. Del resto, a ben guardare, nel voto di maggio c’è da registrare l’impetuosa avanzata della Le Pen, ma i gollisti tengono. Anche sull’indebolimento dell’asse franco tedesco andrei cauto. Francesi e tedeschi ne stanno costruendo uno in Africa, dove i primi mantengono una visione che potremmo anche chiamare imperialista e i tedeschi forniscono le armi impiegate 25 nelle aree turbolente. Come in Mali. E’ un’azione che mira a contenere l’avanzata della Cina. La vera novità sta nel fatto che la vittoria di Renzi ha portato i cattolici nel PSE. Le tradizioni del riformismo cattolico e di quello socialista cominciano a fondersi. Prendiamo i 150 miliardi di euro d’investimenti pubblici proposti dal boy scout. Segmenti di PPE e PSE cominceranno a parlarne. Il vero problema è cosa farà il PSE. Che cosa cambia? L’Euro avrà mai un potere politico alle spalle? Si avanza piano piano. Sempre che si smetta di pensare all’Europa federale. L’Europa può essere confederale. O sarà un’alleanza di Stati o non sarà. In cinque anni di crisi quasi 100 mila aziende hanno chiuso i battenti. Oggi, ogni ora ne chiudono altre due. Nel frattempo, la Cina ha scalato tutte le classifiche e quest’anno supererà gli USA come PIL. Come si recupera il lavoro perduto? Ma la Cina sale in vetta grazie al lavoro forzato a basso costo. Questa è la sua forza. Poi il PIL non è tutto. Se guardiamo al prodotto pro capite l’immagine è diversa. E se si svegliano gli operai cinesi che oggi lavorano come schiavi…In ogni caso il recupero passa attraverso una nuova ondata d’investimenti. Se non lo fanno i privati, dovrà farlo lo Stato. Bisogna abbassare i tassi. Non male l’idea del ministro francese Arnaud Montebourg di portare sul mercato le terre rare a basso costo. Può essere un’idea giusta quella di tornare allo Stato imprenditore? Sì. Ma non come l’IRI che faceva l’infermiere. Piuttosto come l’ENI. Senza cda lottizzati politicamente. Un solo amministratore. E poi decidiamoci a fare questa benedetta banda larga. Senza di essa non si può nemmeno parlare di politica industriale. 26 Meno di un mese fa è comparsa la notizia che la Cina sta studiando una ferrovia superveloce che colleghi Pechino a New York. Noi siamo fermi alla Valle di Susa. E’ finito il nostro spazio di crescita? La Cina ha una politica economica espansiva e aggressiva. In ogni caso non paragoniamo il miliardo e mezzo di cinesi con i 60 milioni d’italiani. Però è vero: nelle decisioni siamo lenti e la lentezza è la crisi della democrazia. Ci sono decisioni che vanno sottratte al principio di maggioranza. I valsusini? Hanno una tradizione combattiva. Nella guerra tra la Francia e la dinastia sabauda tagliavano a fette i soldati d’Oltralpe. Convincere i sindaci con promesse di soldi è solo perdere tempo. Se il Parlamento prende una decisione d’interesse nazionale, poi i cittadini non devono più dire nulla. Facciamo un passo indietro. Qual è la natura della crisi? E’ solo economia mal governata o ha radici culturali? Certo che ha radici culturali: quelle tipiche dell’economia capitalista. Si è formata un’intera classe dirigente completamente separata da ogni idea morale. Al contra- rio, l’economia è una scienza morale. La ricchezza deve essere in funzione del lavoro, non della voracità degli stakeholder. Se la radice è culturale, la battaglia per vincerla e superarla è culturale. Cosa che i sindacati non hanno ancora capito. C’è una loro responsabilità. L’uscita dalla crisi? L’economia va governata. Come? In ordine: cultura, politica e poi economia. Spending review, sobrietà; meno welfare, meno benessere? E’ questo che dobbiamo imparare? Ne siamo capaci? Sono tutte stupidaggini che mi ricordano la storiella dell’asino di Buridano. Certo, abbiamo bisogno di meno sprechi. Ma soprattutto abbiamo bisogno di più spesa pubblica. Se la Regione Lombardia ha 270 dipendenti e la regione Sicilia ne ha 9000 è evidente che ci sono sprechi che vanno corretti. E questo è anche un problema del sindacato. Quando hanno fatto tutte quelle assunzioni, mica ha protestato. Che cos’è il benessere? E’ affrontare l’allungamento della vita umana senza la sofferenza che oggi comporta. Si vive più a lungo, ma spesso a prezzo di grande sofferenza. Ora, fare questo costa tanto. Allora: più beni pubblici e meno beni privati. E più giovani che possano condividere. Che sappiano vivere insieme a questa società fatta di molti anziani. Questa storia del conflitto tra anziani e giovani? La borghesia non smette mai di raspare in casa altrui. Il passaggio al sistema contributivo è stato un errore. Con esso si è persa per strada la battaglia per la solidarietà sociale e per quella intergenerazionale. I miei contributi versati da giovane studente lavoratore hanno finanziato la cassa integrazione. Oggi vogliono mettere le mani sulle pensioni. Ma hanno già usato i miei contributi versati tanti anni fa. La crisi ha messo alle corde la rappresentanza. I politici, in primis, ma anche tutte le organizzazioni di massa. Il consenso è divenuto volatile. Il voto fluttua, l’astensione cresce. Come rinasce la politica e da dove riparte? In primo luogo cominciamo a rafforzare quello che c’è. I sindacati hanno resistito e vanno rafforzati. Quando i sindacalisti vanno in pensione non devono passare alla politica. Secondo me è un errore. Restino, gratis, a fare il sindacato. La crisi dei partiti è la crisi degli apostoli. Gesù, ma anche Budda, avevano i loro discepoli. Li hanno radunati e formati, anche trattandoli con maniere forti. Basta leggere il Vangelo. I partiti, o sono questo o non sono niente. Oggi va di moda il partito leggero, virtuale, addirittura quello 2.0… Stupidaggini. Obama ha unito la rete con i valori. Mentre qui si farnetica, là stanno ricostruendo un partito di militanti. Il modello apostolico, appunto. La concertazione è morta. Anche la rappresentanza sindacale ha bisogno di una rotta nuova. Qual è la rotta? Una rappresentanza legata alla contrattazione. Io sono per la “delegificazione” delle leggi sul lavoro. Meno leggi significa più spazio alla contrattazione, sia aziendale sia territoriale, ovviamente. Un grande ruolo devono pretenderlo anche i pensionati. Vengono da tutte le categorie: non sono una federazione ma una grande forza confederale. Parliamo di Europa. Gli USA ci pungolano verso politiche meno rigoriste. Ma stanno lavorando a chiudere lo spazio di espansione verso est del nostro continente. L’asse si sposta dall’Atlantico al Pacifico. Non rischiamo di diventare la debole frontiera di una nuova guerra fredda? L’Europa fa fatica perché ha allargato troppo. Non condivido l’entusiasmo di Prodi. Alla caduta del Muro di Berlino non è seguita, come avrebbe dovuto, una nuova Yalta. Bisognava incontrare Gorbaciov, stringergli la mano e dichiarare che nessuno dei paesi che si rendevano indipendenti dalla Russia sarebbe entrato nell’UE. Non più con la Russia e non con noi. Invece… La conseguenza? Abbiamo accettato di mettere i missili in Polonia. Un pessimo segnale mandato a Mosca. Come avrebbero dovuto prenderlo? Lo stesso vale per l’Ucraina e la Crimea. In Crimea la Russia ha la base navale di Sebastopoli. Forse questo è l’interesse americano… Non è certo interesse europeo, ma nemmeno americano. L’Ucraina non deve essere di Putin, ma nemmeno dell’Europa. Anzi di Europa si parli solo se va dall’Atlantico agli Urali, da Lisbona a Vladivostok. Nei suoi scritti economici lei fa spesso riferimento alla famiglia, un nucleo relazionale sempre più evanescente. Basta vedere le icone dello star system e il messaggio dell’intrattenimento mediatico. Ma lei ne parla come di una risorsa. Perché? Lo star system è fatto di gente effimera e bacata. Per fortuna la gente normale non è così, il popolo è sano. Nella stragrande maggioranza la famiglia ha sfatato tutte le “profezie” dei sociologi. E questo perché la famiglia è una società naturale. E’ una “società” che promana dalla stessa natura umana, e in primo luogo dai rapporti parentali, di sangue. Famiglia uguale cattolica? Prendiamo l’ebraismo. E’ fondato sulla famiglia. La vicenda attuale dimostra che la famiglia c’è e ha tenuto. Senza i nonni saremmo tutti morti. La famiglia, quella di Levi Strauss, in carne e ossa, non quella dei codici. Senza questa famiglia saremmo lupi contro lupi. Agli economisti servirebbe una formazione teologica. Dovrebbero leggere di più Ratzinger. 27 28 Era qui il convegno 19/20 Maggio 2014 Santo Spirito in Sassia, Roma 29 “Solo la contrattazione farà uscire l’Italia dalla crisi economica e sociale” Annamaria Furlan, neo Segretario generale aggiunto della Cisl, detta l’“agenda” del sindacato per i prossimi mesi Annamaria Furlan, neo segretario generale aggiunto della CISL 30 Il Consiglio generale della Cisl ha eletto nei giorni scorsi Annamaria Furlan nuovo Segretario generale aggiunto della Cisl. Genovese di origine, 56 anni, la Furlan è impegnata nella Cisl dal 1980, quale delegata dell’allora Federazione dei lavoratori postali, il Silulap (oggi SLP) di cui ha percorso tutto il tragitto dirigenziale fino a diventarne Segretaria regionale. Successivamente è stata ai vertici della Cisl di Genova e della Liguria. Da dodici anni è Segretario confederale della Cisl dove si occupa del settore terziario e servizi. E’ la prima donna ad assumere l’incarico di “Aggiunto”. In prima battuta la Fnp - Cisl esprime la propria soddisfazione per la reintroduzione della figura del “Segretario generale aggiunto” e per il fatto che la scelta abbia premiato una donna, sia per l’excursus sindacale, sia come simbolo di un rinnovamento che dovrà continuare in futuro. “Contromano” ha intervistato il neo Segretario aggiunto a pochi giorni dalla sua elezione. La scelta fatta dal Consiglio Generale impegna il Segretario Generale Aggiunto ad incidere sulle modalità di dialogo della Cisl, a rafforzare le presenze di genere nella dirigenza e nella militanza, a concorrere ad elaborare proposte innovative per innovare il processo decisionale. Crede che si potranno allargare le basi della rappresentanza e del pluralismo? Non solo credo, ma ritengo indispensabile che la Cisl si debba impegnare con sempre maggiore energia per comprendere meglio e interpretare le nuove complessità che si stanno rapidamente affermando, sia nello scenario interno al sindacato, sia nell’evoluzione della società italiana. Oggi il movimento sindacale è in una fase che vorrei definire epocale. Tutte le certezze e gli ambiti in cui ha operato dal secolo scorso sono ora messe in discussione dai cambiamenti culturali, economici, tecnologici che stanno caratterizzando questo primo ventennio del 2000. Certamente la crisi ha posto nuove sfide e ha messo la politica, l’economia e i soggetti intermedi di fronte a nuove responsabilità. Anche per questo dobbiamo avere la capacità di proseguire con decisione il percorso di cambiamento organizzativo e politico che la nostra organizzazione con coraggio ha intrapreso. Dobbiamo sfidare i nostri detrattori sul piano delle proposte e della capacità di innovarci e trovare nuove forme di rappresentanza, dove devono trovare ancor più diritto di cittadinanza i giovani, le donne, gli anziani. Una cosa però è certa: dove esiste il lavoro, dove esistono i bisogni della persona, dove c’è società sempre ci sarà necessità di tutele e di difesa dei diritti, soprattutto dei più deboli. Qualsiasi forma assumerà la produzione, qualsiasi modello economico adotteremo, i corpi intermedi saranno il collante in grado di garantire, come è stato finora, la coesione e la pace sociale. La forma più civile che la storia dell’uomo ha espresso è quella della rappresentanza democratica degli interessi e dei diritti. Nessun vento nuovo può o potrà negare questo, senza negare i principi cardine della democrazia. Ormai si parla di esigenza di un sindacato nuovo. Cosa si intende con questa formula e come si potrà lavorare per ampliare la rappresentanza verso i non protetti, i precari, i marginali? Penso che si stia affermando una sorta di ambiguità quando si parla di nuovo e di cambiamento. Traghettare una società verso il futuro non significa rinnegare quanto di buono è stato fatto o, peggio, confondere la giusta richiesta da parte dei cittadini e dei lavoratori e delle lavoratrici, come dei pensionati e delle pensionate, di fare pulizia contro la corruzione, la cattiva politica e la cattiva finanza, con soluzioni che fanno di tutt’erba un fascio. Mi spiego meglio: l’approccio al cambiamento non sempre richiede l’accetta, magari usata con più facilità sui più deboli. È sicuramente più difficoltoso e impegnativo, ma la cosa migliore è usare il bisturi per conservare quanto di buono è stato fatto. Noi stiamo cambiando i nostri assetti organizzativi per rendere più efficace la nostra azione e la nostra presenza, soprattutto nei territori e nei posti di lavoro, per affermare una nuova dimensione della rappresentanza che si estenda ai tanti aspetti esistenziali della persona. Sul fronte dei non protetti, dei precari, di chi è marginale siamo impegnati in una forte campagna di denuncia intitolata, appunto, “Basta Omertà sui Veri Precari”. La Cisl vuole sollevare il velo d’indifferenza verso le forme di lavoro in cui si annida la precarietà, facendo finalmente luce su chi oggi non trova adeguate tutele. Basti pensare alle cosiddette false partite Iva, o ai collaboratori a progetto. Un altro tema su cui dobbiamo sviluppare la nostra azione con più determinazione è quello dei giovani. Aumenta sempre più il numero di sfidu31 ciati che non studiano e non cercano neanche il lavoro. Se non scongiuriamo in fretta derive come questa attraverso, secondo noi, l’unica strada percorribile che è quella del confronto e della contrattazione a tutti i livelli, con Governo, enti locali, parti datoriali, in un sforzo comune e complessivo, l’Italia non ce la farà ad uscire dalla crisi, non solo dal punto di vista economico, ma anche sociale. Crede che oltre a svolgere nel mondo del lavoro le funzioni di indirizzo e di tutela, la Cisl dovrà anche acquisire nel tempo la percezione sociale verso i nuovi bisogni che emergono dai contraccolpi della crisi politica, economica e sociale che continua a mordere lavoratori, pensionati e famiglie? È chiaro che la società non è più quella di 60 anni fa, quando è nata la Cisl. La nostra mission non 32 può rimanere relegata solo nei tradizionali confini del “posto di lavoro”. Gli effetti dei nuovi modi di produrre e lavorare, la globalizzazione, i flussi migratori, la velocità delle comunicazioni, le innovazioni tecnologiche, stanno disegnando nuovi scenari che investono, in tutte le sue dimensioni, la persona e i suoi bisogni. Tutto ciò impone al sindacato non solo di acquisire una generica sensibilità verso i nuovi bisogni, ma di uscire concretamente dai luoghi classici del lavoro, intercettando e rappresentando le nuove esigenze anche laddove si stanno affermando. L’area degli anziani e dei pensionati si estende per ragioni demografiche e sociali. Come potrà integrarsi il crescente sviluppo di questa dimensione sociale con il ruolo e le prospettive future del sindacato confederale? Non vi è dubbio che gli anziani e i pensionati rappresentino, non solo numericamente, una realtà di fondamentale importanza per la Cisl e per il sindacato Confederale in generale, una realtà che va tutelata e presidiata mettendo ancora di più in primo piano nell’agenda della Cisl temi quali il potere di acquisto delle pensioni o della non autosufficienza. Ma l’elemento su cui occorre puntare è una forte integrazione tra generazioni. Mettere insieme giovani e anziani, lavoratrici e pensionate, confrontarne i bisogni, le esperienze, le aspettative sono, per noi, elementi fondamentali per traghettare i nostri valori anche nel sindacato del futuro. Il patrimonio di conoscenza ed esperienza di cui sono portatori gli anziani e i pensionati va messo a disposizione delle nuove generazioni, integrandolo con le loro specificità in un quadro di sinergia solidale che favorisca i processi di inclusione. 33 Quando un giardino può curare Prosegue l’inchiesta sulle aree verdi destinate alla terza età. Dagli USA arrivano gli “healing gardens”, i giardini che curano. Intervista all’Arch. Monica Botta, tra i primi ad aver introdotto in Italia i “giardini terapeutici”. di Cristina Petrachi I giardini possono curare. La natura può guarire. Il verde aiuta l’uomo a vivere meglio. Quante volte abbiamo sentito o abbiamo detto frasi di questo tipo? Probabilmente innumerevoli. Ebbene, è ormai conclamato che in realtà esse non sono solo frutto dell’immaginazione, dell’istinto o della saggezza tradizionale. Numerosi studi hanno dimostrato la stretta interrelazione tra la natura, il benessere psico-fisico, finanche la cura e la guarigione medica. Per questo anche in Italia, con circa vent’anni di ritardo rispetto ad altre aree quali il Nord Europa o gli Stati Uniti, si sta recentemente affermando una nuova sensibilità nella organizzazione e progettazione di spazi verdi posti sia all’interno di strutture socio-sanitarie (quali ospedali o case di cura) sia in parchi e giardini pubblici. Monica Botta, architetto, editor e blogger, è stata una delle prime in Italia ad occuparsi degli “healing gardens”, i giardini terapeutici, luoghi “in cui è dominante la presenza di piante, fiori, acqua e di diversi aspetti della natura”. Posti generalmente in ambienti sanitari, un giardino terapeutico è un luogo “accessibile a tutti”, spiega, “progettato per avere effetti benefici sulla maggior parte degli utenti che lo fruiscono: può essere anche rifugio e luogo di sosta per i parenti, i visitatori, il personale medico-sanitario delle strutture di cura”. Con progetti curati sia per il pubblico che per il privato, Botta ha contribuito al diffondersi di questa nuova (almeno per l’Italia) tipologia di architettura del verde. 34 Basandosi sulle ventennali esperienze estere, uno dei principali obiettivi presi in considerazione nel progettare un giardino terapeutico è quello, dice, di “creare sinergie tra diverse utenze”. “Stimolare cioè – prosegue Botta - una fruizione allargata: anziano - bambino, adulto - disabile, bambino - disabile”. Un approccio che “permette l’ampliamento dei ritorni in termini di beneficio. Realizzare spazi in cui stimolare la socializzazione, dare distrazioni positive, divertire, far rilassare e creare benessere sono gli obiettivi generali di tutti i giardini terapeutici”. Ed infatti un giardino può avere una doppia fruizione: attiva e/o passiva. “Attiva, vuol dire fare attività come la fisioterapia, il gardening, l’orticoltura o l’ortoterapia. Passiva, nel senso che un giardino, per le sue componenti specifiche (vegetazione, stimoli, etc.) può dare del benessere anche solo godendolo attraverso una passeggiata, una sosta”. Come sottolineato dallo stesso architetto, emerge forte il richiamo alla teoria di Roger Ulrich, professore di architettura presso il Centro per la ricerca sull’edilizia sanitaria della Chalmers University of Technology in Svezia e consulente del servizio sanitario inglese. Per Ulrich, infatti, la natura contribuisce a mitigare lo stress, favorendo la guarigione e riducendo i costi economici del servizio sanitario in termini sia di minor consumo di farmaci, sia di riduzione del tempo della degenza. Botta spiega che, secondo il professore svedese, i giardini aiutano il paziente/fruitore nella misura in cui “creano opportunità per il movimento e l’esercizio fisico; offrono la possibilità di fare delle scelte, cercare la privacy e sperimentare un senso di controllo; forniscono le situazioni che incoraggiano la gente a riunirsi e l’esperienza sociale di sostegno; forniscono l’accesso alla natura e ad altre distrazioni positive”. Molteplici obiettivi che si realizzano mediante attività e strumenti diversi ma complementari l’uno all’altro. Sensazioni tattili, olfattive, visive, uditive e del gusto (profumi, colori, suoni, tessiture, frutti dell’orto e delle piante) contribuiscono tutte a portare sollievo e distrazione nella persona. Premesso che ciascun giardino terapeutico è appositamente progettato per una categoria specifica di fruitori, infatti, i principali benefici per gli anziani sono, tra gli altri, una maggiore autonomia così come il ritrovamento di uno spazio di privacy. La riduzione dello stress, un miglioramento psico-fisico e quindi un incremento della qualità della vita. Obiettivi e risultati che dovrebbero essere presi seriamente in considerazione da parte delle amministrazioni sanitarie. Ambienti interni ed esterni non solo confortevoli ma anche caratterizzati dal verde e della presenza della natura, infatti, possono “contribuire in maniera significativa alla qualità della vita, alla terapia, alle dinamiche sociali tra personale – pazienti - parenti, migliorando la qualità di gestione della struttura sanitaria, riducendo i costi di ospedalizzazione e facendo sentire l’individuo al centro della cura”. Linee di indirizzo che progressivamente si stanno affermando anche in Italia, a giudicare dai numerosi progetti realizzati dalla sola Botta. Tra questi c’è l’healing garden nella RSA (residenza sanitaria assistita) della Casa di Riposo di Bellinzago Novarese (realizzato nel 2008-2011) e quello in fase di realizzazione in provincia di Cremona presso la Fondazione Elisabetta Germani Onlus. Ma se i “giardini terapeutici” nascono originariamente nell’ambito di strutture socio-sanitarie, essi stanno progressivamente comparendo anche all’interno di aree verdi pubbliche (parchi o giardini urbani). Tra i progetti più interessanti figura il “Giardino Sensoriale al Parco delle Rupicole” a Roma, attrezzato con una serie di spazi destinati a fare attività di diverso tipo, aree con stimoli sensoriali e ausili per le persone non vedenti. È stato realizzato dall’Orto Botanico (Dipartimento di Biologia dell’Università di Roma “Tor Vergata”) in collaborazione con lo studio di architettura MTstudio e prevede “l’integrazione di aspetti ludico-ricreativi con attività di formazione e riabilitazione per persone con disabilità motoria, sensoriale, psichica e cognitiva”. Altro esempio di parco pubblico strutturato secondo le logiche sopra esposte è quello relativo al Parco del Monte Subasio in Umbria e firmato dall’arch. Monica Botta. Si tratta di un progetto pilota che mira a mettere a sistema le pregevoli caratteristiche già presenti all’interno del parco (quali luoghi di culto patrimonio UNESCO e bellezze naturali) con servizi innovativi indirizzati ad utenze fragili ma non solo. Per far ciò, la Regione Umbria metterà a disposizione immobili destinati ad ospitare un Centro diurno leggero, una Fattoria terapeutica ed un Centro Polifunzionale. Le strutture saranno realizzate in collaborazione con le ASL locali e permetteranno lo svolgimento di diverse attività sia terapeutiche che ludiche. Come illustrato nel numero precedente di “Contromano”, ad oggi manca ancora una mappatura delle aree verdi destinate ad utenze specifiche, e questo accade in realtà in tutta Europa. Il progressivo invecchiamento della popolazione, però, impone che le amministrazioni pubbliche implementino sempre più servizi a sostegno di questa fascia d’età, in modo da garantire un invecchiamento attivo delle persone. “Qualificare il verde dandogli una connotazione terapeutica – conclude l’arch. Botta - può essere un reale ausilio alle persone fragili verso le quali dovrebbe esserci una doverosa attenzione. Realizzare giardini terapeutici vuol dire dare supporto all’ambito sociale, sanitario, e non solo al verde”, contribuendo ad una società più equa e che miri a diventare, nei limiti del possibile, una comunità. 35 CINA La marcia infinita del Dragone rosso di Riccardo Sessa E’ la prima economia mondiale. Controlla 1152 miliardi del debito USA. Il PIL rimane sopra il 7%. Ma restano ampie zone di povertà. 36 Sulla Cina è stato scritto e si scrive tutto e il contrario di tutto, ed è stato detto e viene detto tutto e di più. Non esiste un altro Paese al mondo che susciti da alcuni anni la stessa attenzione, curiosità ed interesse, non disgiunte, peraltro, da una certa diffidenza, da sentimenti di inquietudine e di minaccia, se non di vera e propria paura. Come conseguenza inevitabile di questa complessa sensazione, che è poi un misto di stereotipi, di banalità e di pregiudizi frutto in buona parte di una non corretta conoscenza della Cina, c’è stata una proliferazione di esperti, o pseudo-tali, di una realtà che in tanti credono di aver capito e, soprattutto, di aver trovato le chiavi per entrarvi, mentre rimane circondata da una lunghissima Grande Muraglia di mille misteri tuttora impenetrabili per gli occidentali, che ad essa si avvicinano con fretta e superficialità. E, aggiungo, i cinesi in tutti questi anni hanno fatto poco per far conoscere il loro paese, anche perchè ciò alla fine è in contrasto con la loro cultura, fondata su un’estrema riservatezza, e di fatto solo in vista dei Giochi Olimpici del 2008 e dell’Esposizione Universale di Shanghai del 2010 hanno cominciato – direi che sono stati costretti - ad aprirsi e a comunicare, con tutto ciò che una simile scelta ha inevitabilmente comportato. Dal 1967, dopo il noto film di Marco Bellocchio (“La Cina è vicina”, n.d.r.), per anni si è detto che la Cina era vicina, mentre in realtà era lontanissima, quasi isolata, rinchiusa in se stessa e praticamente sconosciuta in Occidente. Poi è arrivato nel 1972 “Chung Kuo (Cina)”, lo straordinario documentario di Michelangelo Antonioni realizzato su invito del governo cinese, subito boicottato e ritirato per propaganda anti-cinese, proiettato per la prima volta in Cina solo nel 2002 e di nuovo nel 2010 – segno dei cambiamenti in corso - che mostra il paese in tutte le sue disparità e difficoltà. Vederlo 40 anni dopo è quasi uno choc, mostrando una realtà che non esiste più. Oggi la Cina, che ormai è più che “vicina”, talmente è presente e attiva praticamente dovunque ed in tutti i campi, è in realtà lontana, anzi, sempre più lontana perchè le parti ora si sono rovesciate, e la forchetta con il mondo occidentale sembra destinata ad aumentare, invece che ridursi. E la spiegazione di questo fenomeno, pur con tutte le domande che sorgono spontanee sulla solidità del modello cinese di sviluppo politico, economico e sociale, la troviamo nella constatazione che se oggi guardiamo alla Cina dal nostro osservatorio da questa parte del mondo, essa ci appare lontana decenni da un’Europa esausta, sfinita, priva di una progettualità e di una visione di lungo periodo, che arranca in piena crisi di identità, oltre che economica, sociale, culturale e di modelli di riferimento. Basta che un europeo trascorra qualche settimana in Cina per provare abbastanza rapidamente questa impressione, ed il passo successivo è rendersi conto che, mentre quasi ovunque regnano la recessione e una crisi pesante, prima di tutto di identità, la Lunga Marcia del Dragone Rosso – che comunque non fu mai una passeggiata - prosegue ancora. Se poi si vive qualche anno nell’Impero di Mezzo, nel ritornare nella vecchia Europa – detentrice di modelli di vita che tutti vogliono imitare, e che purtroppo noi invece non siamo capaci di ammodernare - si ha pienamente la sensazione di arrivare da un altro pianeta lontano anni luce, da un febbrile laboratorio permanente dove tutto muta rapidamente, dove tutto e tutti corrono ad una velocità impressionante con un disegno di lungo termine e ad ampio respiro e con un obiettivo da perseguire con entusiasmo e con uno sforzo comune. Per capire questa immagine e queste differenze è chiaro che occorre visitare la Cina, sia a fini turistici (la Cina - al secondo posto, dopo l’Italia, per siti UNESCO patrimonio dell’Umanità - conosce in questi ultimi anni un incremento notevole del turismo occidentale), sia per interessi economici e commerciali. E allora, sbarcandovi e pensando istintivamente di essere arrivati nel paese del Futuro, ci vuole poco a realizzare che la Cina da anni è già il Presente, mentre noi occidentali, e noi europei in particolare, purtroppo siamo il Passato. Intendiamoci: non è tutto oro quello che luccica, e obiettivamente non potrebbe essere diversamente in un continente (chiamare la Cina “Paese” è francamente riduttivo) poco più piccolo dell’Europa, circa 32 volte più grande dell’Italia, pieno di differenze e di contraddizioni, con un miliardo e 400 milioni di abitanti (quasi un quinto dell’umanità), tra i quali c’è la più numerosa concentrazione al mondo di ricchezza e di benessere individuali e, al tempo stesso, strati importanti che invece ancora vivono in condizioni economiche modeste ed alcuni addirittura anche sotto la soglia della povertà. Non mancano i “gufi” che, ingigantendo queste disparità e le difficoltà economiche e sociali, si chiedono se la Cina, superato il periodo d’oro tra la fine del secolo scorso ed primi dieci anni di questo, non sia divenuto oggi un colosso dai piedi di argilla avendo subito negli ultimissimi anni un rallentamento della crescita economica, fenomeni di proteste sociali, aumento del costo della vita, crescita dell’inquinamento, terrorismo interno, proteste, rivendicazioni. Gli analisti stranieri sono in realtà concordi nel valutare che il paese ha le potenzialità per mantenere quest’anno una crescita annua del PIL non inferiore al 7,5%, (cifra più o meno registrata nel primo trimestre dell’anno), con un rallentamento, rispetto a dati precedenti, dovuto ad una congiuntura economica mondiale non certo favorevole e ad una crisi che non poteva non colpire anche la Cina e che si è tradotta, tra l’altro, in una diminuzione nei paesi americani ed europei della domanda di prodotti cinesi. L’agenzia Moody’s, comunque, sostiene che fino al 2017 la Cina registrerà una crescita economica annua stabile pari al 7 - 8%. Risultati positivi, se li compariamo a quelli europei, ma meno per la Cina, dove fino a quattro - cinque anni fa solo una crescita annua del PIL a due cifre veniva accettata e ritenuta positiva! Sul piano interno la Cina, malgrado progressi realizzati da una dirigenza che ha saputo gradualmente aprirsi e coniugare l’esigenza della stabilità interna con un forte programma di crescita e di sviluppo, continua ad essere un paese dalle tantissime e profonde contraddizioni, dai grandi contrasti, dalle altrettante disparità ed anche dai tanti misteri. Una concentrazione di patrimoni finanziari importanti in circa cento milioni di persone, una classe media in crescita di oltre 400 milioni di persone, ed ancora fasce elevate di popolazione nelle aree rurali con redditi bassi. Da un lato, c’e un paese ancora in via di sviluppo, povero. Dall’altro, c’è un paese – che ha il compito di fare da locomotiva - all’avanguardia nello sviluppo e nella crescita economica, scientifica e tecnologica (è diventata la prima economia mondiale e, insieme all’India, sforna ogni anno il numero più elevato di laureati in informatica), industriale (da cinque anni è il primo mercato al mondo dell’automobile), finanziaria (le sue banche sono ormai tra le prime al mondo, detiene buona parte del debito pubblico americano, ha investito ed investe in tutto il mondo), ma anche nei modelli urbanistici (chi ha visto i profondi cambiamenti intervenuti negli ultimi sei-sette anni nelle maggiori città cinesi trova New York vecchia dal punto di vista architettonico e delle scelte urbanistiche!). Eh già, Pechino detiene una quota pari a 1.152 miliardi di dollari del debito pubblico di Washington (ai quali si aggiungono 112 miliardi in mano a Hong Kong e una piccola quota a Macao) e possiede anche, rispetto ad altri paesi, in primis Stati Uniti e Regno Unito, il maggior numero di titoli di stato giapponesi. Ma non è tutto. Giusto per aggiungere un ulteriore piccolo esempio, su un’agenzia italiana molto ben fatta, “Visto dalla Cina” (servizi-italiani.net), ho letto che il quotidiano di Pechino in inglese “China Daily” ha scritto recentemente che il 18% degli acquirenti di un immobile negli Stati Uniti sono cinesi, ed il 70% di questi acquisti – a dimostrazione che tutto il mondo è paese - avviene in contanti. Non è un segreto che le autorità finanziarie statunitensi sono da anni in costante contatto con quelle cinesi e che il Segretario al Tesoro USA in persona compie frequenti viaggi in Cina. Tutto questo dimostra quanto sia vera quella nota storia secondo la quale se uno ha un’esposizione con la propria banca di 200/300 mila euro è un suo problema, ma se l’esposizione è di un milione di euro o più, allora è un problema della banca! E gli americani, anche questo non è un segreto, stanno già vivendo da alcuni anni con sentimenti diversi, in realtà con una certa angoscia, il loro rapporto con la Cina. C’è chi si è rassegnato al “sorpasso” e c’è chi invece non l’accetta e vive male il continuo confronto e l’inarrestabile avanzare del Dragone. All’inizio del 2010 un mio collaboratore mi portò dagli Stati Uniti un libro appena uscito di due economisti dell’Università di California, Stephen S. Cohen e J. Bradford DeLong, dall’eloquente titolo: “The end of influence – What happens when other countries have the money”. La crisi - culturale e psicologica innanzitutto - degli Stati Uniti, ma anche più in generale dell’Occidente e dell’Europa, nei confronti della Cina e di alcuni grandi paesi emergenti, sta tutta in quella pesante domanda che sorge spontanea quando finisce un periodo di influenza e si modificano gli equilibri che avevano retto il mondo: cosa succede quando i soldi sono nelle mani di altri paesi? Bella domanda! Per rispondere occorrerà guardare più in profondità cosa si muove nel “Celeste impero”. 37 “Così muta il rapporto tra le generazioni” Intervista al professore e filosofo Remo Bodei Sacco: Professore, noi tutti sappiamo, per esperienza e constatazione, che il rapporto tra generazioni è dialettico e spesso conflittuale. Ma la crisi economica non ha esasperato le distanze tra anziani e giovani o, se vuole, tra genitori e figli? Bodei: Il rapporto tra le generazioni muta nel tempo e, quindi, è più o meno conflittuale. Ci sono periodi teatro di scontri ed altri in cui c’è spirito di collaborazione. Nella fase economica attuale abbiamo prodotto effetti diversi: intanto si è prodotta una guerra ideologica tra giovani e vecchi, una polemica a base di rottamazioni e di accuse alle generazioni più anziane di rubare il lavoro ai giovani. Dall’altro però la famiglia è diventata un rifugio accogliente per giovani che non trovano lavoro. Al tempo stesso, si ha la sensazione che la differenza generazionale porti quasi a vivere in mondi chiusi. In che modo ci si può adoperare per incrinare o abbattere, se è possibile, queste barriere? Le nostre società si evolvono rapidamente, generando esperienze di diversa velocità tra appartenenti a generazioni abituate appunto a ritmi diversi. I giovani che non hanno un futuro programmabile e condividono pertanto tra loro esperienze estranee alle generazioni mature o anziane. Per incrinare queste barriere (direi infatti che non potranno mai essere abbattute e che in una certa misura sono fisiologiche), bisognerebbe coinvolgere tutti in progetti comuni, costruire una speranza di cambiamento in meglio, rendere la società più giusta. Soprattutto, se possibile, produrre un travaso di ricchezza e di opportunità dalle persone più anziane a quelle più giovani, diffondendo un sentimento di generosità sociale e non familiare. Ritengo sia giusto chiedere agli adulti di sforzarsi di comprendere la realtà giovanile (molto spesso di non facile lettura). Ma anche ai giova38 Il professore e filosofo Remo Bodei di Mimmo Sacco ni, provvisti di freschezza e di elasticità mentale, non andrebbe chiesto di venire incontro alle esigenze del complesso mondo degli anziani, provando a valorizzare appunto le loro esperienze? Certamente i giovani che hanno una capacità di capire meglio dovrebbero fare questo sforzo. Soltanto che in loro è venuto meno, ma non si sa di chi sia la colpa, il senso della storia, il senso della continuità tra le generazioni e sono soprattutto bloccati nel loro slancio verso il futuro, per cui tendono a vivere in un presente tale che ogni occasione che si presenta va colta. Sostanzialmente dovrebbero fare, diciamo, un passo indietro, ma vedo che non possono nemmeno fare un passo avanti. Dalla parte delle generazioni più anziane bisognerebbe riannodare questi rapporti che sono diventati laschi perché anche c’è un tentativo, in una società come la nostra, di far vivere ciascuno sulla base di interessi immediati. Un allargamento dell’orizzonte sarebbe necessario. La tendenza al giovanilismo da parte di molti adulti, il voler essere considerati padri-fratelli o padri-amici per avvicinarsi alle nuove generazioni non rischia di confondere i ruoli? Certo, il problema è che in effetti la figura paterna è declinata nel momento in cui ha perso autorità e questa autorità gli derivava dall’essere l’unico sostegno economico della famiglia, e soprattutto l’unico mediatore tra Chi è Remo Bodei Remo Bodei (Cagliari, 3 agosto 1938) è un filosofo italiano. Attualmente lavora sulla storia e sulle teorie della memoria. I suoi libri sono stati tradotti in diverse lingue. Nel 1992 ha vinto il Premio Nazionale Letterario Pisa per la sezione “Saggistica”. il mondo domestico e quello esterno, ossia il mondo della politica, della cultura. Da quando le madri lavorano, e da quando la scuola, e direi più recentemente i mezzi di comunicazione di massa, i social network, Facebook, Twitter, hanno sostituito le principali fonti di socializzazione, i giovani hanno sostituito l’autorità verticale paterna con l’autorità orizzontale dei coetanei. Quindi le conseguenze principali mi pare che siano quelle per cui i modelli di comportamento non portano più l’impronta determinata della figura paterna; e per questo probabilmente anche la psicoanalisi freudiana basata sul conflitto di Edipo dovrebbe essere oggi rivista. La famiglia – come Lei dice nel suo saggio – ed è vero, è ormai diventata più porosa e permeabile ai mutamenti. Il termine stesso di famiglia tende a non avere più un senso univoco: quali le conseguenze per la nostra società? Il problema è che di famiglie ormai ce ne sono molte. C’è la famiglia tradizionale, basata sul matrimonio, sul rapporto tra genitori e figli, che sostituisce questa famiglia nucleare, come viene chiamata, la famiglia allargata in cui convivevano più generazioni: si stava con i nonni, con i padri e con i nipoti. Oggi ci sono le famiglie di fatto, ci sono famiglie omosessuali, e quindi nuovi fenomeni vanno studiati con molta attenzione. In quest’ottica credo sia opportuno spendere ancora (Lei lo ha già accennato) una parola sul “declino della figura paterna”? (Ne parlano molti sociologi, filosofi e psicologi). Quali le conseguenze per l’istituto familiare? Le conseguenze sono che la comunicazione tra generazioni diventa più difficile e, soprattutto, c’è da constatare che si verifica con molta frequenza i giovani guardino fuori della famiglia per avere dei modelli. Mi limito, per essere estremamente concisi, a far notare che, per esempio, negli anni Trenta, e cioè fra le due Guerre, il virus del totalitarismo, ed esplicitamente un Hitler e uno Stalin (che fra l’altro veniva chiamato “il piccolo padre”), è dipeso proprio dal fatto che si cercano autorità al di fuori. Soffermandoci ancora sui giovani, il ruolo di supplenza economico-finanziaria, in famiglia, da parte di nonni e genitori verso i figli, che conseguenze può avere nel loro processo di maturazione e di autonomia? Dipende. Può avere un valore negativo nel senso che li deresponsabilizza e quindi li induce a vivere sostanzialmente senza una propria attività lavorativa, a godere di frutti del lavoro altrui. Dall’altro può generare l’orgoglio, invece, di creare una nuova forma di attività e di tendere all’autonomia. Come suona amara, oggi, l’affermazione del grande filosofo tedesco George Hans Gadamer “I giovani sono la speranza del domani”? Si tratta di un’affermazione che oggi ha il sapore di ironia tragica. A restare sul piano filosofico, prima di Gadamer, già Aristotele sosteneva (più di 1300 anni fa) che i giovani sono caratterizzati dalla speranza ed è stato vero quasi fino ad oggi. Ma attualmente, perlomeno in questa parte di mondo, sono caratterizzati da sentimenti negativi quali la disperazione, la rassegnazione e l’indifferenza. Ma fortunatamente non è dappertutto così nel nostro pianeta: nelle nazioni emergenti, penso tra l’altro all’India, alla Cina e non solo, la speranza di una vita migliore è ancora presente e attiva nelle nuove generazioni. Avviandoci alla conclusione diamo un attimo uno sguardo d’insieme: Lei lo ha già accennato parlando dei grandi Paesi Emergenti. Si ha l’impressione che la nostra società occidentale, così come è strutturata – mancanza di solidarietà ed egoismo individualista (mi riferisco anche all’America che lei conosce molto bene) – renda difficile riannodare i fili di un rapporto tra anziani e giovani. Condivide questa osservazione ? Senz’altro, anche perché noi non dobbiamo guardare alla famiglia isolatamente. Dobbiamo guardare alla famiglia all’interno del nostro tipo di società in cui lo sviluppo dell’economia di mercato e la natura di una crisi in cui ci troviamo (quella finanziaria che risale al 2008) spinge ciascuno a cercare di salvarsi isolatamente ed erode i vincoli di solidarietà. Quello che sta prevalendo è una logica di mercato del do ut des, che si attenua generalmente solo all’interno di certe famiglie, a chi sembra valere sempre meno all’esterno, cioè sul piano sociale, specie a causa del declino del Welfare State. Cioè prima, negli anni Venti, diciamo così, al sostentamento dell’individuo e della famiglia, provvedeva lo Stato: dalle assicurazioni di malattia, alle pensioni di vecchiaia, insomma si diceva che lo Stato accompagna il singolo, in certi Paesi, dalla culla alla bara (usando un’espressione inglese). Oggi queste prestazioni si stanno erodendo e questo porta una maggiore elemento di crisi all’interno anche delle famiglie. Professore, nel concludere questa nostra conversazione credo opportuno ritornare esplicitamente al suo saggio Generazioni: Lei suggerisce chiaramente l’opportunità, o meglio ancora, il bisogno di un patto intergenerazionale, ma su quali basi può essere possibile una ritrovata fiducia, direi una sperabile ritrovata fiducia ? L’esigenza di una patto generazionale è sentita perché è ineludibile. Non si può andare avanti così con il sacrificio di intere generazioni e la desertificazione del futuro. Tuttavia quali mezzi si debbano cercare non è ancora chiaro. Certo, si può fare appello alla generosità dei più anziani che hanno ricevuto dalla storia maggior sicurezza con il posto fisso o pensioni relativamente più cospicue di quelle che toccheranno ai giovani di oggi. Ma questo invito morale non basta. Sarebbe necessario un piano politico di investimenti, di spostamenti di risorse che stabilisca forme di equità. Il problema che è alla base di tutto è la giustizia sociale, il fatto che si hanno iniquità non soltanto tra quelli che posseggono di più e quelli che posseggono di meno, ma anche degli squilibri tra generazioni che vanno in certo modo aggiustati. 39 Telemedicina, anche l’Italia ci crede di Marco Pederzoli Mentre la tecnologia delle telecomunicazioni si migliora sempre di più, la Conferenza Stato – Regioni pensa alla possibilità di offrire visite mediche a distanza per alcune patologie. Nell’epoca delle applicazioni e dei telefonini sempre connessi a internet, sarà possibile anche usufruire di visite mediche a distanza, magari direttamente dalla propria poltrona di casa? La risposta è sì, almeno per alcune patologie. E a dirlo non sono soltanto esperti di telecomunicazioni o “malati” di tecnologia, ma si tratta già di promesse scritte nero su bianco all’interno delle linee d’indirizzo nazionali approvate dalla Conferenza Stato- 40 Regioni. In un recente servizio a riguardo pubblicato sul Corriere della Sera, si legge: “Il documento affronta tutti gli aspetti della telemedicina: dall’organizzazione del servizio alla sua integrazione nel Servizio sanitario nazionale, fino agli aspetti etici e regolatori, inclusa la privacy. L’intesa definisce i criteri di autorizzazione e accreditamento da parte delle strutture sanitarie per l’erogazione di prestazioni in telemedicina. Prevede l’istituzione di una commissione tecnica formata da sei componenti, di cui tre designati dal Ministero della Salute e tre dalle Regioni, con il compito di monitorare eventuali criticità. L’operazione dovrebbe avvenire a costo zero. «All’attivazione delle presenti linee guida - recita l’articolo 4 - si provvederà nei limiti delle risorse umane, strumentali e finanziarie previste dalla legislazione vigente e comunque senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica»”. In ogni caso, per chi non volesse in ogni caso e per qualsiasi patologia rinunciare al contatto fisico e diretto col proprio medico curante, è subito da precisare che non cambierà nulla. Quello della medicina, nelle intenzioni della Conferenza Stato – Regioni, intende infatti porsi sostanzialmente come un plus di servizio, per aiutare in prospettiva chi ha difficoltà a muoversi dalla propria abitazione e, al contempo, necessita di un contatto frequente con il proprio medico o con uno specialista. “La telemedicina – recitano infatti le linee d’indirizzo nazionali della Conferenza Stato Regioni - non sostituisce la prestazione sanitaria tradizionale nel rapporto personale medico-paziente, ma la integra per migliorare efficacia, efficienza e appropriatezza”. In ogni caso, è sempre bene tenere in considerazione che la medicina sottintende sempre anche un rapporto diretto medico – paziente, nel senso di una comunicazione diretta, facilitata dalle attuali tecnologie (ad esempio, una comunicazione al computer o al telefonino via Skype, solo per fare qualche esempio). Totalmen- te esclusi, sono i portali di informazioni sanitarie, per quanto attendibili possano essere, i gruppi di discussione sui social network e altre simili iniziative. “Non rientrano nella telemedicina – spiegano ancora le linee d’indirizzo - portali di informazioni sanitarie, social network, newsgroup, posta elettronica o altro”. Ecco quindi che la “telemedicina”, in termini pratici, potrà diventare una “televisita”, oppure un “teleconsulto”, sempre naturalmente per le patologie che possono essere seguite in questo modo. A beneficiare dell’assistenza di nuova generazione saranno insomma e soprattutto i malati cronici, come diabetici o cardiopatici che, pur conducendo una vita normale, devono sottoporsi a un costante monitoraggio di alcuni parametri vitali, come il tasso di glicemia per il paziente con diabete. Scrive ancora il Corriere: “Per far funzionare il servizio sono indispensabili strumenti come apparati biomedicali, sistemi hardware e software, dispositivi mobili (smartphone, tablet), applicazioni web. Le informazioni sanitarie trasmesse possono essere di vario tipo: video (endoscopia, ecografia), audio (suoni stetoscopio), cartaceo (storia clinica del paziente, dati anagrafici)”. Ultimo ma non per importanza, nelle linee guida della Conferenza Stato Regioni inerenti la telemedicina, un capitolo è riservato anche alla formazione dei pazienti, i quali dovranno non soltanto essere “alfabetizzati” dal punto di vista tecnologico (cioè dovranno sapere utilizzare alcune funzioni fondamentali di un computer o di un telefonino), ma anche essere formati sugli aspetti sociali che la medicina comporta. In altri termini, il paziente dovrà essere cosciente che, pure a distanza, gli saranno comunque garantite un’assistenza e una cura adeguate. Il movimento è salutare per tutti, specie per gli obesi, i cardiopatici e gli ipertesi, ma lo è ancor di più per i diabetici, i quali sanno bene che gli zuccheri del sangue vengono “bruciati” per il 70% da muscoli in movimento. A chi va in montagna oltre i 1.000 metri è consigliabile iniziare l’attività fisica molto gradualmente affinché l’organismo si possa adattare all’altitudine. Questo soprattutto vale per chi soffre di bronchite cronica ed enfisema polmonare. Se infatti è vero che con l’altitudine aumenta la concentrazione di ossigeno, è anche vero che la pressione atmosferica diminuisce e quindi l’apparato respiratorio ha bisogno di tempo per adattarsi (e non sempre ci riesce). Un’altra bella opportunità che l’estate spesso ci regala è quella di fare nuove conoscenze e nuove amicizie e, a volte, addirittura incontrare vecchi compagni di lavoro. Così si ripristinano i contatti di un tempo, sorgono nuovi progetti e nuove iniziative (non c’è cosa più bella per chi ha un’età matura). Purtroppo, però, c’è anche chi in estate rimane solo, ed è proprio questo il momento in cui la mancanza di affetti si fa sentire più acuta. Sarebbe auspicabile che le varie associazioni e categorie di lavoratori prendessero a cuore questo problema e cercassero di integrare queste persone in un tessuto sociale che le possa coinvolgere in attività adatte al loro carattere e alle loro esigenze. Infine, ricordiamoci che le vacanze non ci dispensano dal seguire le normali regole di precauzione e di cura riguardanti la nostra salute, quindi rispettiamo scrupolosamente le prescrizioni e la terapia che il nostro medico ci ha consigliato tutto l’anno e prima della villeggiatura. Un tagliando prima delle vacanze di Alberto Costantini Sta per iniziare gradualmente l’esodo dalle città verso le zone di villeggiatura: mare, collina, montagna. Dopo mesi di freddo, pioggia, cielo grigio, finalmente sole, libertà, aria ossigenata, lontani dallo smog e dall’inquinamento. Ora armiamoci di buona volontà: tutte le mattine facciamo una lunga passeggiata, camminando per almeno un’ora, un’ora e mezza in modo continuativo, oppure facciamo una lunga pedalata in bicicletta. In alternativa, se siamo al mare, una bella nuotata (ricordiamoci sempre di farlo con gradualità e tenendo conto del nostro allenamento e delle nostre condizioni di salute). 41 Cosa non fare della pensione di Umberto Folena La fortuna. Che, come tutti dovrebbero sapere, premia sempre e comunque il banco. Puoi fare un colpo fortunato, provando un brivido di piacere, sentendo l’adrenalina scorrere nelle vene. Ma alla fine perderai. Altrimenti il gioco d’azzardo non sarebbe quell’immenso affare che è. Non per i giocatori, ma per chi lo organizza. E sono in gran parte anziani. Donne. Casalinghe. Si divorano la pensione, misera, sperando nel colpo di fortuna. Maria Grazia Guida, vicesindaco di Milano, presentando il 14 gennaio 2013 il “Manifesto dei sindaci contro il gioco d’azzardo”, avvertiva: «Nei bar di periferia, le giocatrici più accanite sono ormai le anziane, anche straniere, che cercano di “recuperare” qualche risorsa affidandosi alla fortuna. Loro, le donne, sentono la crisi in maniera più drammatica, perché sono loro a dover far quadrare i conti in famiglia». Slot machine, dunque. Ma anche i gratta e vinci. L’apparenza inoffensiva non deve ingannare. Daniela Capitanucci, psicologa e psicoterapeuta, presidente dell’And (Associazione azzardo e nuove dipendenze), spiega che il gratta e vinci fa presa sugli umani utilizzando un meccanismo ben noto agli sperimentatori, per condizionare il comportamento dei topolini cavia. Se il topino, schiacciando una levetta con la zampina, ottiene un premio 42 sempre o mai, non ripetono il gesto. Ma se ottengono il premio ogni tanto, imprevedibilmente, allora il gioco della coazione a ripetere è fatto. Il gratta e vinci, spiega Capitanucci, all’apparenza è innocuo. Eppure ci sono persone che si sono rovinate, a dimostrazione che si tratta di azzardo. «Comprano pacchi da cento, a volte anche più biglietti per volta. C’è chi giunge a spendere 20 o 30 mila euro in un’ora soltanto di grattate, se si comprano i biglietti più costosi, quelli che offrono i premi più allettanti. D’altronde il metodo del grattare è immediato e divertente. Non richiede alcuna abilità né conoscenza, quindi è alla portata assolutamente di tutti. Non a caso le vittime delle lotterie istantanee sono soprattutto anziani, adolescenti e persone semplici, con un livello culturale basso». Anche se quella sulle cifre è una vera e propria battaglia, in Italia i giocatori patologici, o comunque fortemente problematici, sono 800 mila, di cui appena poche migliaia in cura presso i centri specializzati. Una cifra ragionevole, purtroppo. Negli Usa i ricercatori hanno stabilito che gli affetti da Gap (gioco d’azzardo patologico) sono tra il 2 e il 5% del totale. In Italia i giocatori – saltuari, tranquilli e “sociali”, accaniti, problematici e patologici – sono 35 milioni, quindi quegli 800 mila ammalati sono una cifra ragionevole. Ma abbastanza per affermare che si tratta di una vera e propria epidemia, che ha già rovinato moltissime famiglie. L’affetto da Gap, come un tossicomane o un alcolista, dal mattino alla sera ha un solo pensiero in testa: giocare. Tutto il resto, famiglia lavoro amici…, passa in secondo piano. E attenzione: gli anziani, in genere con reddito basso che si giocano l’intera pensione, sono tanti. Lo Stato fa pochissimo, perché l’azzardo è una fonte facile di guadagno e la forma più agevole di riciclare denaro sporco per le mafie, che sanno come blandire chi conta nelle istituzioni. I mass media ne parlano poco e malvolentieri perché le società di scommesse e di gioco on line acquistano tanta pubblicità. E allora? Allora si salvi chi può. O meglio difendiamoci tutti, alleandoci tra di noi. Gli anziani affetti da Gap, ad esempio, hanno i loro migliori salvatori negli amici e parenti anziani. Che fare? Intanto parlarne, togliere questa epidemia mortifera dall’ombra, organizzare incontri, sensibilizzare baristi e tabaccai. Da un anno in Italia si organizzano gli slot mob, raduni presso i bar che rinunciano alle macchinette e introducono calciobalilla, biliardi e altri giochi sociali. Un barista che toglie una macchinetta perde anche 500 euro al mese, quindi va premiato frequentando il suo bar. E poi occorre trovare il modo per avvicinare gli anziani e le anziane sole che passano la giornata a farsi mangiare i soldi dalle macchinette; fare amicizia; sottrarli al vizio proponendo alternative che diano almeno altrettanto piacere. Spesso basta un amico. Capace di parlare, ma prima di tutto di ascoltare. I giocatori per i quali l’azzardo è ormai una vera malattia sono sempre di più. A cadere nella dipendenza sono spesso i poveri, le donne, gli anziani. Chi è in cura presso i Sert, i gruppi di mutuo aiuto e le comunità di recupero, è appena la punta dell’iceberg. Eppure gli inviti a giocare d’azzardo sono sempre più pressanti, nuove sale aprono ogni giorno, la pubblicità incalza promettendo facili vincite e una vita felice. Lo Stato non reagisce, anche se i costi sociali superano di gran lunga gli incassi per l’erario. Sul ricco bottino allungano le mani le mafie. È un’emergenza sociale senza soluzione? No. C’è un’Italia che reagisce. È l’Italia dei volontari, dei medici coraggiosi, degli esercenti di bar e tabaccherie, di sindaci e Regioni che non chiudono gli occhi e resistono all’aggressione dell’azzardo. Non vanno lasciati soli. Occorre sostenerli. Il primo passo è conoscere il fenomeno: il Gap, gioco d’azzardo patologico. E Azzardopoli, il sistema di connivenze e furbizie che lo alimenta. Umberto Folena “L’illusione di vincere. Il gioco d’azzardo emergenza sociale” 2014, Àncora editrice, collana Focus. 43 Capita che mi domandino: e Montanelli cosa direbbe dell’Italia d’oggi? Ne cercherebbe gli antidoti - provo a dire io come sempre gli accadde. E qui viene raccontato. Indro Montanelli 44 di Giorgio Torelli Succede quasi d’abitudine che qualcuno, stralunato dal sormontarsi delle cronache italiane del peggio a puntate, mi domandi quasi provocatoriamente: “Tu che hai lavorato con Montanelli, cosa pensi che direbbe – l’Indro tanto rimpianto - di quest’Italia arrembata dai saccheggiatori, spinta a fondo da chi ha recitato le litanie del bene comune e dello spirito di servizio per poi arraffare ‘pro domo sua’ e garantirsi case, carrozze e cavalli?”. Come inviato e columnist del Giornale, ho vissuto con Montanelli quattordici anni. E il suo permanere a laico bagnomaria nel pessimismo congenito, ma anche nutrito senza mai tregua dai sintomi esclamativi della decadenza civile, l’ho riscontrato ogni mattina di persona. Lo salutavo alla voce, mentre - al Giornale- s’infervorava a due dita sui tasti della Lettera 22 per esercitare il mandato morale dello scudisciatore a man salva e del suscitatore di coscienze assopite. Era bellissimo osservarlo dal vero. Batteva a raffica una proposizione che aveva in mente. Poi, allentava qualche attimo la tempesta sonora sui tasti, per parlare con se stesso a voce appena percepibile e porre Indro al cospetto di Indro. Se intanto, per urgente comunicazione di servizio, entrava qualcuno nella stanza dove stava indossando non i galloni di direttore, ma lo spazio riservato al suo quotidiano sperimentarsi nelle filippiche e mai nelle omelie, forniva la risposta al quesito. Ma seguitava a muovere le labbra e a rincorrere il filo di quanto si proponeva di aggiungere alle frasi già precisate. Al massimo, sempre col foglio inastato nel carrello, poteva dar fiamma a una siga- retta svizzera di marca quasi estinta, praticamente uno zampironcino di paglia bionda. Dunque, tornando alla domanda di giro: “Cosa direbbe Indro dell’oggi come oggi?”. Il responso lo garantisco io, che ho servito nel suo reggimento di giornalisti a cavallo. Continuerebbe a marchiare a fuoco quel che mai smise di accorarlo: il tradimento dei tanti dottor Dulcamara, sospinti dalla malignità del Caso fin dentro le centrali dei bottoni e subito candidati ad arruolarsi nel tornaconto. A sdegnare il prosciugato Montanelli era la diserzione costante di chi avrebbe dovuto stremarsi di vita politica, vivere con poco, morire povero e spendere i giorni nel rammendo degli sbreghi inferti al peplo dell’Italia turrita (proprio la bella Signora delle immagini da cartoline tricolori). Non se ne dava pace. E a provocarlo era l’ignavia dei reggitori che, avendo indossato il compito del fare, poi scantonavano. Ogni tradimento al dovere di servire la comunità lo feriva intimamente. Capitava allora che, alla tavola di una irrinunciabile trattoria toscana, il disincanto gli venisse lenito da due dita di Chianti, da un piatto di fagioli all’uccelletto, da un cantuccio di pane contadino che esigeva quasi raffermo, ma anche da qualche apporto di buona notizia. Sedevo spesso alla sua tavola serale. Gli piaceva ascoltare da me, ritenendomi specialista in buona fede dell’argomento, ogni racconto di quell’Italia riservata che frequentavo non solo per mandato di cronista, ma per affinità e circostanze. Voglio dire che Indro si mostrava avido di storie insospettate, quelle della gente senza diritto di cronaca, risoluta nel rafforzare i fondamenti della famiglia e magistrale nella coerenza del lavoro ben fatto e ben pensato. Lo seduceva ogni evidenza dell’Italia estraniata dai titoli dei giornali e sempre intenta a tirare il carretto delle incombenze: crescere figli e nipoti, dando esempio di costanza nel tessere fraternità con i soccombenti; e offrire amicizia a chi mai avrebbe potuto contare su alleanze di spicco o fruire di favori accordati. Insomma, accadeva che Indro esigesse, da me e dal mio personale giornalismo di fatti e di opinioni, ripetute salve di controbatteria. Sul Giornale di allora, avevo in dote una rubrica tre volte a settimana - un appezzamento tutto mio, lo chiamavo - con foto segnaletica quasi a dire: costui, dai baffi emiliani, ha una personale visione del mondo. Ma bisognava vedere quanto Indro si ristorasse - almeno qualche attimo - nel sentire chi davvero avevo incontrato o stanato dal riserbo di una vita esemplare e dedicata al prossimo, mentre ogni giorno il fatalismo ispirava il coro dei tanti e dei troppi, recidivi nel ripetere: “Tutto è mondezza. Il nichilismo è moneta corrente. Ci perderemo. Nessuno potrà salvarci”. L’ascolto di un’Italia niente affatto minore, ma tutt’affatto diversa dallo specchio deforme delle cronache, lo appassionava come una favola vera. Forse, contribuiva a lenirgli il magone cronico. E per questo m’incalzava, perché i suoi e nostri lettori venissero a conoscenza che, oltre il disastrato ménage del malfatto, del mal condotto, del mal pensato e del mal gestito, c’era infinitamente dell’altro. L’opportunità morale prescriveva in assoluto che quest’altra Italia venisse notificata a mezzo stampa. E che s’imponesse il risalto di quanti - cittadini concreti - stessero bonificando con l’impegno civile le paludi della rassegnazione agli andazzi. Mi chiamava Giorgino. Chiamava tutti a modo suo, rimpicciolendo affettuosamente i nomi di battesimo. “Giorgino”, diceva, dopo aver sentito e poi letto i miei racconti sulla brava gente al lavoro, simbolicamente ed evangelicamente dedita all’aratro, senza mai voltarsi a fissare le macerie e le corruzioni del paesaggio umano. “Giorgino, tu ci porti sempre buone notizie”. Dico la verità. Non è che io dovessi impiegare la lente d’ingrandimento per incontrare e mettere in parola Italiani di gran lena, cittadini di intraprese fraterne, personaggi con l’ansia e la determinazione di far bene il bene. Bastava davvero guardarsi intorno, invece che becerare in redazione. E scoprire di fatto che l’Italia era ancora abitata da protagonisti del risanare, da tenaci costruttori di futuro e da samaritani intenti al recupero degli afflitti, sovrastati e presi a gabbo più dalle istituzioni che dal destino. e voglio affermare che il Giorgino di oggi, coerente con il Giorgino di allora, rimane convinto che - mancando comunque a noi tutti le requisitorie di riprovazione, ma anche di invito al cimento firmate Montanelli – l’Italia resta pur sempre ad alti contenuti. C’è l’Italia che onora la condizione umana anche e, al contempo, persiste l’Italia deteriore, quella che umilia e calpesta i doveri del vivere. E’ l’eterno discorso del grano e della zizzania, destinati a convivere fino alle trombe del Giudizio. Ma il grano buono e i seminatori, pur sempre nell’ombra, esistono e lavorano, anche se così raramente messi in bellavista sulle gazzette e i telegiornali. E’ dunque compito di ognuno - per rinnovarsi e darsi animo - scovarli e farne oggetto di narrazione di bocca in bocca. Si deve sapere che chi milita nei ranghi, niente affatto sparuti, della scelta di spendersi perché il futuro non nasca già sfregiato, è più che mai Italia d’oggi. Il vederlo e il risaperlo stemperava in Montanelli lo scetticismo di cui si riteneva obbligato alfiere. Era consolante vedere quanto le storie inedite della brava gente confortassero, almeno per qualche momento, l’amarezza civile che gl’imponeva di denunciare, svergognare, staffilare, insolentire e mettere alla gogna i reprobi, vivendo in accensione fin dal primo mattino un nuovo giorno da Indro. 45 Francesco Guccini svela a “Contromano” il suo secondo Dizionario “Vi racconto le cose che abbiamo perduto” (foto esclusive di Paolo Pignatti) di Marco Pederzoli 46 La cerbottana, il “prete” per scaldare il letto, il chioccaballe di sambuco e tante altre parole. E poi: l’osteria di una volta, la severità dei padri, la cultura del rispetto. “Però tanto abbiamo anche guadagnato: il computer mi ha costretto ad essere ordinato”. Ci sono letture che, nell’atto stesso di decifrare i caratteri scritti sulla pagina, diventano esperienza di vita. Ricordi. Sensazioni. Immagini. Emozioni. Tutto questo e molto altro ancora è il “Nuovo dizionario delle cose perdute”, l’ultima fatica letteraria in ordine cronologico (anche se un’altra è in procinto di pubblicazione) uscita dalla genialità del cantautore e scrittore Francesco Guccini per i tipi di Mondadori. Questo libro, che segue di due anni il “Dizionario delle cose perdute”, edito nel 2012, è un viaggio nel passato recente della società italiana, quella del secondo dopoguerra. Nel volume, dominano le cose e le situazioni. Quelle cose e situazioni che oggi, per diversi motivi, ma soprattutto per il progresso, per il “nuovo che avanza”, sono andate perdute. Eppure, per chi ha qualche capello bianco in testa, la memoria di quelle cose e quelle situazioni è ancora ben viva e presente. Chi non ricorda ad esempio il “flit” contro le mosche e le zanzare? O la “banana” che si soleva ricavare nei capelli dei bambini? O ancora il prete per scaldare il letto nelle gelide notte invernali? Ebbene, sia il Dizionario, sia il Nuovo dizionario delle cose perdute, raccontano di questi oggetti di un passato recente eppure irrecuperabile, quasi sospeso in una dimensione che oggi, nell’epoca di internet e delle playstation, si fatica persino ad immaginare. “Contromano” è andato a incontrare l’autore proprio a Pavana (PT), nell’appennino tosco-emiliano, dove Guccini vive ormai stabilmente dal 2001, per parlare del libro e del rapporto tra questo grande cantautore, le cose di oggi e le cose di ieri. Maestro, innanzitutto da cosa è scaturita l’idea di raccogliere in un “dizionario” le “cose perdute”? L’idea di fondo non è stata mia, ma di un editor della Mondadori. Il progetto, tuttavia, mi ha affascinato fin da subito. Si trattava di andare a cercare cose di un passato che sembrano appartenere a un tempo remotissimo, invece sono di cinquant’anni fa o anche meno, ma oggi sono scomparse dall’uso quotidiano, portate via dall’innovazione e dal progresso. Nelle sue canzoni e nei suoi libri, lei ha dimostrato di essere tra l’altro anche un grande paroliere. Sulla base della sua esperienza, cosa ne pensa quindi di come è cambiato negli ultimi anni il vocabolario dell’italiano? Il “dizionario” oggi si è arricchito e impoverito allo stesso tempo. Da un lato le scuole sono più leggere e non si invogliano più i giovani alla lettura come a un tempo. Dall’altro, il vocabolario si è arricchito di molte parole straniere. E ciò produce quindi fattori sia positivi sia negativi. Di cosa si racconta nel Nuovo Dizionario delle cose perdute? Compaiono soprattutto oggetti, assieme ad alcune situazioni. Può citare qualche esempio di cose che ci siamo lasciati alle spalle nel recente passato? Le osterie. Oggi ci sono ugualmente, ma sono cambiate molto rispetto a un tempo. Così come è cambiata la tipologia di gente che le frequenta. I vecchi osti sono in pensione oppure morti, i giovani hanno bisogno di innovare. E assieme alle osterie sono cambiati naturalmente anche i vini, che una volta al loro interno erano solo di due tipi: bianco o rosso. La modernità nel suo libro viene percepita come un elemento negativo? Tutt’altro. Certe cose sono state senz’altro guadagnate. Il miracolo che non era da tutti, ad esempio, era avere due rubinetti in casa, di cui uno per l’acqua calda. Solitamente, si andava a prendere l’acqua alla fontana. In casa non c’era il riscaldamento, le stanze erano gelide e l’acqua contenuta nelle brocche a volte gelava. D’inverno, sotto al letto si metteva il prete, che in certe regioni veniva chiamato suora. Poi, ovviamente, i ragazzi erano abituati a fare giochi diversi rispetto a quelli di oggi... Ci divertivamo ad esempio con il “chioccaballe”, uno strumento che sparava proiettili di stoppa. Si ricavava da un legno di sambuco, piuttosto tenero e lavorabile, che veniva svuotato del midollo. Con una bacchetta si inserivano quindi due proiettili di stoppa alle due estremità e, per effetto dell’aria compressa all’interno del legno di sambuco, uno dei due proiettili partiva producendo anche il rumore di un piccolo scoppio. Poi c’era la cerbottana. Si facevano battaglie tra bande di amici. C’era chi l’aveva più perfezionata chi meno. D’estate, inoltre, giocavamo anche con i tappini delle bibite dell’aranciata. Il suo “dizionario” è stato scritto velocemente? In effetti è stato un libro scritto abbastanza di getto. Nel giro di un anno ho raccolto tutti gli oggetti di cui parlare. L’80 – 90% li ho richiamati personalmente alla memoria, poi sono arrivati anche suggerimenti da parte di amici che avevano letto il primo Dizionario. Oggi come comunica Francesco Guccini? Non ho il cellulare. Utilizzo ancora con un telefono fisso. Non ho una casella e-mail ma scrivo con il computer. Che benedico, da un certo punto di vista. Mi ha infatti costretto a tenere in ordine le cose. L’ho utilizzato anche nel 1989, per scrivere il mio primo romanzo. Sono stato uno dei primi in Italia ad acquistare il pc, già alla metà degli Anni Ottanta. Tuttavia, le canzoni le ho scritte sempre a mano. Lei dal 2001 vive stabilmente a Pàvana, in questo piccolo paese dell’appennino tosco emiliano. Per lei Pàvana cosa rappresenta? E’ un luogo dell’anima. Sono nato a Modena, però per ragioni belliche mi sono trasferito presto a Pàvana, il paese di cui mio padre era originario. I primi 4 anni li ho passati qui, poi ci ho trascorso tutte le estati. Ho evitato così le colonie che andavano di moda a quel tempo. Io stavo meglio a Pavana, dai miei nonni. Nel 1998 ho scritto anche il vocabolario del dialetto di Pavana, che è molto particolare. Si discosta dal toscano e ha un accento emiliano. Ma ormai non lo parla più nessuno. La sua attività di scrittore continuerà anche dopo questo Dizionario? Certo. Del resto, da bambino volevo fare lo scrittore. Ho scritto assieme a Loriano Macchiavelli gialli a quattro mani, i primi 5 con il maresciallo Santovito e 2 con un ispettore della forestale, di cui il primo si intitola Malastagione e l’altro, con titolo ancora da definire, uscirà a dicembre 2014. Una curiosità: qual è un elemento che è molto cambiato nella società rispetto a qualche decina di anni fa? Senza dubbio il rapporto tra genitori e figli. C’era più severità. I genitori non erano biondi subito; io stesso ho preso diverse sculacciate. In alcune situazioni i bambini non potevano parlare. C’era insomma più cultura del rispetto. Una volta in casa di un collega di mio padre sentii odore di brodo e dissi che c’erano i tortellini. L’amico di mio padre mi rispose che non erano tortellini, ma era solo una minestra in brodo. Mio padre allora mi sgridò severamente perché con la mia esternazione avevo messo in imbarazzo il suo amico. E poi, quando andavi male a scuola, a casa poi prendevi il resto. C’è qualche artista che oggi sente abbastanza spesso? Con Ligabue e Zucchero sono molto in contatto; a volte vengono a trovarmi qui per prendere il fresco. Cosa ama leggere Francesco Guccini? Sono abbastanza onnivoro. Leggo di tutto, dai classici ai moderni. 47 Quando la tv scopre gli anziani di Umberto Folena Due mesi fa abbiamo fondato i Gac, i gruppi di ascolto critico per non cadere nelle trappole della televisione furbastra e scarsa e premiare invece la televisione che stuzzica l’intelligenza e fa divertire senza essere volgare o banale. Bene, i Gac – direbbero quelli della tv – sono formati da vecchietti terribili (Vt), e pazienza se magari proprio stravecchi non sono, ma pensionati in perfetta forma. E la tv è piena di Vt, segno che i Vt piacciono e fanno audience, ossia alti ascolti, altrimenti sparirebbero, perché nessuno li lascerebbe dentro il video solo per cortesia. Eppure è proprio di cortesia che vorremmo parlarvi. Perché, al contrario di quanto spesso (e non sempre a torto) si sente dire, che «non c’è più rispetto verso gli anziani» e frasi simili, la cortesia è ancora assai diffusa, e soprattutto tra i giovani, come presto dimostreremo. Intanto sgombriamo il terreno dagli equivoci. Dei vecchietti quasi tutti finti, mediocri attori improvvisati, di “Uomini e donne” di Maria De Filippi preferiamo tacere. Patetici. Messi lì apposta per far ridere il pubblico con i loro comportamenti goffi e ridicoli. Ma oggi, pur di stare in tv, farsi vedere e poterne parlare con amici e parenti, alcuni italiani sono disposti a tutto, pure a ricoprirsi di 48 ridicolo. Vorremmo invece cominciare dalle fulminee candid camera di “Vecchietti bastardi” (pomeriggio di Italia 1), in gran parte girate negli Usa, e in buona parte pure a Roma. “Bastardi” in senso affettuoso, ovviamente. Vecchietti che organizzano scherzi grotteschi ai danni dei giovani, ripresi da una telecamera nascosta. Alcuni esempi. Una signora al volante chiede a un giovane: «Ha visto mio marito? Ha una camicia rossa». Il marito è aggrappato al tetto dell’auto e fa cenno al ragazzo di tacere. E lui tace, stupefatto. Un vecchietto mette in mano a un ragazzo la dentiera dicendogli: devo fotografarla per il dottore. E il giovanotto, sbigottito, non protesta, limitandosi a proteggere le dita con un fazzoletto di carta. Una vecchina si avvicina a due ragazze su una panchina: «Fa caldo, vero?», le spruzza con l’acqua e se ne va. A Roma, un vecchietto acciaccato e con il bastone da non vedente chiede aiuto nei pressi di Castel Sant’Angelo. Domanda a due ragazzi di essere indirizzato verso il Palazzaccio. Fatti due passi, con il bastone trova una carrozzella a motore: «Finalmente!» esclama, getta il bastone e parte a razzo. Scherzi del tutto innocui. Ai quali però i giovani non reagiscono mai male, ma mostrano sempre comprensione. Ora, pensate se in un negozio d’abbigliamento entrasse un signore di 40 anni, domandasse dove sono i camerini, e ne uscisse in costume da bagno chiedendo dove sia la piscina, o almeno il bagno turco… Il commesso chiamerebbe la guardia, o forse un infermiere. Ma se il signore di anni ne ha 70, beh, non succede niente. Si sorride. La consuetudine è questa. I vecchietti in tv, salvo eccezioni, o fanno ridere con i loro comportamenti anacronistici, o si rivelano abili investigatori evergreen. È il caso dei “Delitti del BarLume”, i due film per la tv tratti dai romanzi di Marco Malvaldi e andati in onda l’anno scorso su Sky, in attesa di approdare su La7. Il protagonista è un barista laureato in matematica, divorziato e scombinato, Massimo; ma i comprimari che spesso gli rubano la scena sono quattro vecchietti frequentatori del suo bar, Aldo, Gino, Pilade e Ampelio, con il pallino della briscola e degli intrighi gialli. Ficcanaso non altrettanto provvisti di fiuto, i quattro. Ma capaci di smuovere le acque e contribuire a far galleggiare, alla fine, la verità, che non è mai “bella”. Investigatori ben più dotati e stagionati sono i vecchietti della serie ormai decennale della Bbc, “New Tricks”. Le due parole richiamano la frase: «You can’t teach an old dog new tricks”, ossia “non puoi insegnare a un vecchio cane nuovi trucchi”. Dopo Fox Crime e La7, la serie inglese va in onda sul canale digitale terrestre Giallo. Gli ex detective in pensione vengono chiamati a risolvere i casi irrisolvibili, perché soltanto i “vecchi cani” come loro conoscono tutti, ma proprio tutti i trucchi del mestiere. E poi? Scovateli voi, gli altri vecchietti scherzosi o indagatori, capaci di farsi rispettare anche quando provocano, facendosi birichini peggio d’un bambino, ma facendo comunque sempre un’ottima figura, non comprimari ma protagonisti, in grado di risollevare l’autostima degli anziani telespettatori che malauguratamente l’avessero smarrita. Giocano, alla “piccola peste” o al “detective”, forse perché soltanto quando non vien loro chiesto di essere responsabili, responsabilissimi e seri, serissimi possono spalancare la porta al bambino che durante l’età adulta era stato costretto a dormire. Prosegue anche in questo numero l’ormai consueta rubrica “Liberi e web”, in cui si segnalano alcune novità provenienti sia dall’editoria tradizionale, sia dalla rete. Hillary Rodham Clinton “Scelte difficili” 2014, Sperling & Kupfer editore. È stata alla Casa Bianca come First Lady, a fianco del marito Bill. Ci tornerà come primo presidente donna degli Stati Uniti? L’opinione pubblica scommette che sarà così, soprattutto dopo averla vista all’opera come ministro degli Esteri al dipartimento di Stato durante il primo mandato del presidente Obama. In questo libro ripercorre gli episodi più drammatici degli ultimi anni, le decisioni chiave che si è trovata a prendere e le sue idee per affrontare le nuove sfide globali di domani. In un mondo che cambia rapidamente, in cui l’America e l’Occidente stanno perdendo il loro ruolo centrale, Hillary Rodham Clinton offre un racconto sul passato e disegna gli scenari del futuro, arricchendo la narrazione con ricordi personali, aneddoti e rivelazioni inedite. Joël Dicker “La verità sul caso Harry Quebert” 2014, Bompiani editore. Marcus Goldman ha conosciuto la gloria letteraria, ma da qualche tempo è in piena crisi di ispirazione; per questo si rivolge a Harry Quebert, il suo anziano professore di letteratura che già anni prima l’aveva salvato da un percorso pericoloso, per chiedergli aiuto. Harry gli offre subito uno spunto narrativo: gli racconta infatti di una ragazza, Nola, con cui oltre trent’anni prima ebbe una storia tormentata (segnata dalla grande differenza d’età), che a un certo punto - era il 1975 - sparì all’improvviso. Pochi giorni dopo essere rientrato a New York, Marcus viene però a sapere che il cadavere della ragazzina è stato ritrovato proprio nel giardino di Harry e che quest’ultimo, accusato dell’omicidio, rischia ora la pena di morte. Ma Marcus non può credere a questa ipotesi e decide di indagare per scoprire la verità e scagionare il suo amico. Sergio Romano “Il declino dell’impero americano” 2014, Longanesi editore Nel 2003, con “Il rischio americano”, Sergio Romano affermava, nella nuova fase politica internazionale iniziata dopo gli attentati dell’11 settembre 2001, che gli Stati Uniti, unica superpotenza mondiale, avevano agito con arroganza anche perché l’Europa era stata assente o insignificante. Poco più di dieci anni dopo, in un contesto di continua fibrillazione acuita dalla perdurante crisi economica apertasi nel 2007/2008, la domanda di fondo è sempre la stessa: cosa vuol fare l’Europa da grande? Se il declino degli Stati Uniti come impero mondiale sembra evidente, non altrettanto chiaro è il modo in cui gli americani sapranno attraversare questa fase della loro storia. La condizione imperiale è una droga da cui non è facile disintossicarsi. La parabola del declino americano sarà tanto meno rischiosa quanto più sarà accompagnata dalle scelte ragionevoli di Cina, Russia, Brasile, Iran e di altri paesi. Ma la responsabilità maggiore è dell’Unione Europea, che non può assecondare l’America in ciò che rimane della sua politica imperiale, e le sarà tanto più utile quanto più diverrà, in una realtà multipolare, una sorta di Svizzera continentale. Per gli americani che ancora credono nella vocazione imperiale del loro Paese, un’Europa divisa è il migliore degli alleati possibili. E l’unità europea si farà soltanto a dispetto dell’America: per garantire un ruolo all’Europa in un mondo in cui lo spazio creato dal declino americano verrebbe riempito da potenze extraeuropee. Cass R. Sunstein “Semplice. L’arte del governo nel terzo millennio” 2014, Feltrinelli editore. Le regole non sono sempre un intralcio. Possono aiutarci a risparmiare soldi nella gestione della cosa pubblica. A migliorare la qualità del cibo nelle mense in cui mangiano i nostri figli. A rendere più sicure le fabbriche e gli uffici in cui lavoriamo. Regole nuove, più duttili, più intelligenti, possono mettere d’accordo potenzialità individuali e collettive. Possono consentirci di agire in maniera più libera, efficace, creativa. Possono aiutare a 49 vivere meglio. Cass R. Sunstein non è solo il maggior teorico di questo nuovo modello di governance. È “lo zar della regolazione”, com’è stato ribattezzato. È l’uomo che Obama ha voluto a capo di uno dei dipartimenti più influenti della Casa Bianca, l’Office of Information and Regulatory Affairs (Oira), per ripensare radicalmente il modello di governance su cui si reggono gli Stati Uniti d’America. L’idea di partenza di Sunstein è semplice: dalla qualità dell’aria, agli standard di efficienza delle automobili, ai tempi di attesa agli sportelli degli uffici pubblici, tutto può essere misurato, monitorato, ottimizzato. Lo scopo di Sunstein è altrettanto semplice: che la società americana diventi più armonica, più efficiente, più sostenibile. E il metodo di Sunstein è uno solo: una regolamentazione intelligente che renda la vita della società, dei cittadini, delle imprese, sempre più semplice. José E. Pacheco “Il vento distante” 2014, Sur editore. Quattordici racconti sempre agitati dal vento. È una brezza marina che rinfresca la notte, un soffio che accarezza le fronde in un bosco o le spighe di un campo di grano, disperde pezzi di banconote stracciate per disperazione, reca gocce di pioggia sul tavolino di un bar, è carico di pugnali durante una battaglia. Nostalgia e ironia sono le chiavi di lettura di queste storie, che hanno per protagonisti adolescenti timidi e innamorati, grasse ragazze solitarie, rivoluzionari perseguitati dall’orrore del sangue, abili truffatori seriali, un padre e una figlia che attraversano un parco, un uomo e una donna che non s’incontreranno mai. 50 Davide Schiffer “Il crepuscolo degli idoli” 2014, Golem editore. “Siamo tutti in attesa, per qualcuno presumibilmente più lunga, per altri più breve... ma non voglio viverla come un periodo della mia vita diverso da come è stata finora, anche se il mio ruolo è scaduto o è diverso da prima. Penso anche di essere fortunato in confronto a chi trascorre l’attesa in condizioni psichiche o fisiche menomate. In fondo, vivo l’esperienza della vecchiaia con consapevolezza e con gli strumenti per analizzarla. Il tornaconto sta nel poterlo fare e non nella gioia che dà. Chi dice che la vecchiaia è bella? Non lo è. Lo può essere solo nella misura in cui uno invecchia mantenendo caratteristiche del non-vecchio. Quindi la nonvecchiaia è bella”. I viaggi in treno di Davide Schiffer diventano pretesto e momento di riflessione profonda, di analisi introspettiva, di aggiornamento scientifico e di immersione nei ricordi di una vita votata alla conoscenza dell’uomo in tutti i suoi aspetti. Neuroscienze e idealismo tedesco, memoria collettiva e ricordi personali, tutto raccontato con delicatezza sapiente. cambiamenti, ma sa fare tesoro dei valori acquisiti; alla donna che, sempre più attenta ai temi della salute e del benessere, ha bisogno di soluzioni veloci e di informazioni pratiche, ma di alto contenuto scientifico. Tante rubriche, la consulenza di medici ed esperti per articoli e approfondimenti, aggiornamenti quotidiani e tante news, infografiche, un ricco glossario e anche una televisione tematica: tutto questo per venire incontro alle esigenze di tutte – ma proprio tutte – le donne. www.comefare.it Guide e tutorial su come fare quasi tutto. Una raccolta diversificata di guide e consigli per tutti i gusti riguardanti più o meno la casa, la persona e le cose di tutti i giorni. Oltre ad offrire guide gratuite, il servizio si rivolge anche agli autori e a tutti coloro che sono interessati a fornire materiale. Tutti gli utenti iscritti a ComeFare.it possono scrivere e pubblicare articoli su un argomento di loro scelta. Registrazione gratui http://blog.mostralfonso.com www.esseredonnaonline.it L’appuntamento con l’informazione in tema di salute e benessere è su EssereDonnaonline: un viaggio attraverso l’universo femminile (e non solo) in tutta la sua complessità. Esseredonnaonline non è solo un magazine. E’ un luogo virtuale dedicato alla donna che guarda “avanti” ed è al passo con i tempi, che non ha paura dei Dalla penna di Romano Garofalo nasce Italian Comics, Quotidiano Multimediale Interattivo di approfondimento, in chiave umoristico-satirica, delle notizie di cronaca politica e di costume. Un progetto editoriale ideato per raccontare e commentare la politica italiana, gli avvenimenti di politica e costume nazionali ed internazionali e le abitudini degli italiani attraverso la formula della satira e della riflessione. contropelo alle parole di “moda” di Dino Basili . o asciutto in un discors re a p lasciava p a , vino che re il lemdunque l il A . le a ta im pera . Era Lacr omparso ante recu cabolo sc ’ di deposito. Eleg sorprese finali. e pogo rr V o . cc o o s n o o voli n po ma n Matr re ottiglia u in antepri ux nei film western. on sgrade un-due-t ascoltarli ndo alla b ntare situazioni c io er fo S P i e i. c m Altro che mbettano n co u , ”. o ! e c ie h c g ta in u Ann ra ro A m r . e o e a ll lle n , sg ma p hio su -annunci valzer de ; in pista giare l’orecc ato da petulanti pre inviato il , rock durissimo e antintt “R lc le . o so e b è m in o re alco sta b L’ete Nom ne scomode. lta…sul p ortata di te ll’accezio Tenere a p de improvvise quanto on giravo abile. c . lo e p igliori ne miche inia m c ll n a i a b , m Bru ti o im ca d l’ e ra le ttim po epe” pure spegner che gli o isti nelle ire sale e p cendio per no a diven 0, “bisogna avere n quadra adrone dei pessim a o ci N in . m o co im squ Ott uando del ’90 un doguidino lo Capelli. “Q ciano Folgore, poeta arte”. Dai, appena cerca d’in classica, i rari ottimisti. p u a L d a d e n stro eroe ni ultravea ep o p o n c il com Il te i. re u ia te g q ce gag ecisio da met e che nas ta delle d tanto sale r Bloch, o. Termin oli, punti di cadu ra) u g h lo rt A io a c . zi s o u c nten sta soffi Pre rem iale iettorie, o n idiota” se tanto, umo ia, forte p el proverb vinare tra no volgare press “Mai con u hy (bestseller, mica be notare . e r te u infilato n c ti rp o eb la u Dis rl l tr e M o a v i p a d (d n i i i loc ad Legg te no lti. etto prim ei piani a autore delle é il divieto? “La gen a Se vien d no. Soprattutto n ch . er o P r ). siero sull tt o a ic rist Qu n cicali retta le di pen ncor più u o u ea a c n ”. s n li o za u a le en s n a, a do, a u sacco, la differ vrastato d grossomo ’essere curatissim ole un finato. Poco no due, v u o Il punto so come segno di affet e v S d . , , . e o c a v o ce e z ti is m v a n n ri ’500 nda, in Roma Esclam er la p tti lo defi a. La seco vedersi nel clusiva. P ri. Ugo Oje frase con , magari pedagogic morente. comincia a n odiato dagli scritto na pulce”. u o it te bizze e dall’incip cchi, naturalmen amato, se n mocle sospesa sopra rovocano ri p a ll te a su z z a o to o a sb rriva le senza fi “spada di D inize appen bozze. o “ismo” a aghe boz o per fare buone o penultim egno di qualsivoglia V o . a al im u lt g U n . n lla coda, Scioglili ersi di buzzo buo Faccismo : dire e ridire, a sost rmarsi su chio. e ff tt o ca s e ti li a M o z c n ccia”. bozzi. balta p santo. Se sia spaura malare: etterci la fa rli è sacro olo: bubù. Ovvero , fanno am rovora so e ziativa di “m es p u sp Al conS i, . d st p Tabù oppian fortevoli. no ingiu re volte d n lt so d o A c o ra . d ti te n ri a a n e a u e zz g m “bù”, ma Giudizi. Q nziosamente somati ragli. Sono giudizi ch sono rara le i d’aspetto le a s e ano L vengono si i inconsulte, orrend . indossav on Varianti on del sospetto. ’America dere e glod cano reazi . i lo è a n : s ti ia i n d , a o gl’in crocc no pren trari somarizza ianca che nza da ri te, dorate e ellate e un carciofo”. L’ignorava Cintura b i intertribali. Usa . st a m p u im p e li m adel Fog ord Wa di degli acc Historia. greto della “politica o sabaudo Carlo Em presenza garanzia el se n n a il ra i, v to n so it o fr si il fastidiosa , es el n n re la n to ? a a en re ic le v a d z co in z pic suo co in bali perfino il on la strategia delle del regno. refisso gre i C rso. Il p n o I. fi c n II is co e ieno d’ai el -d o u o n Xil gnosi. o sacco p anti al o al Ticin u v le n s a fi ti d l ò a a ” rt ffl t. o ie a p z et , “sp gra 1748 parole e umento, misfatti. abbreviare i malpengreste str ntalizzare fatti e nsigliato po di crisi, ’a co L m S ro . te a i. te z In n in . iz g e ci o , uffi Indir ere per strum Zamp ende, ditte uale”. Scriv abile per nome di azi bero leggere “spettr , accenni di bile, cad , è impag a ri ità eb santi potr senza pretese di abil “spettabile” ri. la te spettaco 51 è la soluzione! La cessione del quinto della pensione di nuova generazione. Semplice. . Responsabile Dedicata a tutti i pensionati INPS e INPDAP iscritti al sindacato Richiedi subito un preventivo gratuito al tuo consulente. Chiama il numero verde o vai sul sito www.dammil5.com Facile. Sereno. Comodo. ARREDO ARRRE R DO DO CASA CAASA SA vacanze vaaccaan nzze estive essti tive tive ve NUOVA NUOOVVA NU NUOV AUTO AUUTO Il prestito personale intelligente. Inquadra il QR code e portaci sul tuo smartphone! Messaggio pubblicitario con finalità promozionale. Per le condizioni economiche e le principali clausole contrattuali il documento “informazioni europee di base sul credito ai consumatori” è ottenibile presso le filiali delle Banche del Gruppo Carige e presso gli Agenti in attività finanziaria iscritti al relativo Albo tenuto dall'OAM e alla sezione E del RUI, mandatari di Creditis Servizi Finanziari S.p.A. Le Banche del Gruppo Carige, iscritte all’Albo delle Banche, promuovono e collocano il prodotto in forza di convenzione con Creditis Servizi Finanziari S.p.A, società appartenente al medesimo Gruppo. Salvo approvazione di Creditis Servizi Finanziari S.p.A.
© Copyright 2024 Paperzz