Relazione introduttiva Angiola Tiboni – Segr. Gen. SPI

Relazione introduttiva
Angiola Tiboni – Segr. Gen. SPI Cgil Venezia
Ringrazio gli ospiti, gli invitati, gli interessati a questo nostro dibattito, auspicando di poter
avere, oltre questa scadenza, un rapporto sempre più forte e continuo, perché noi – lo SPI –
crediamo molto nella collaborazione con le associazioni e con altre forze sociali e attribuiamo
un importante ruolo alla politica, forti della nostra sperimentata autonomia, e consapevoli
che la volontà di ottenere risultati concreti e coerenti con la nostra strategia dipende, oltre
che da una generosa mobilitazione, dal rafforzamento delle alleanze e dalla qualità dell’unità
che sapremo mettere in campo.
Saluto soprattutto con affetto questa platea di delegati e delegate, veri protagonisti e
protagoniste del nostro Congresso, di tutti questi compagni e compagne che hanno lavorato,
partecipando, cercando la partecipazione, insistendo e telefonando ad ogni iscritto. Di questi
voti congressuali che spesso ci siamo andati a prendere anche uno per uno, di questo loro
impegno personale e politico, li ringrazio davvero.
L’esperienza, faticosa ma appassionante, ci dice che è stato giusto celebrare il Congresso,
farlo nei tempi statutariamente stabiliti, mantenere, anche attraverso procedure a volte un
po’ complicate, un grande impegno unitario.
I numeri ci dicono che la fase congressuale si è aperta a dicembre:
con 17 Direttivi di Lega SPI, in cui abbiamo anche potuto confrontare e valutare l’inefficacia e
l’ingiustizia della legge di stabilità rispetto al valore delle nostre proposte
è proseguita con 4 attivi zonali, in cui si sono potuti presentare e discutere in modo
articolato i documenti congressuali,
si è sviluppata in 76 assemblee territoriali, della durata sempre superiore alle 2 ore – non
intendo con questa osservazione misurare il tasso di democrazia con la clessidra, ma solo
sottolineare che nessun intervento è stato tagliato e che tutti coloro che hanno voluto
parlare per esprimere il loro giudizio e le loro proposte, hanno avuto l’occasione di farlo;
si è conclusa con 17 Congressi di Lega e con l’attuale Congresso e proseguirà fino al
Congresso della CGIL nei giorni 6, 7, 8 maggio 2014 a Rimini.
Dei 38.800 iscritti e iscritte allo SPI di Venezia, hanno partecipato al voto 3.579 compagni/e,
equivalenti al 10,43%, con un incremento di 392 voti rispetto ai 3.187 del 2010 equivalenti al
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9%, ma con piacere abbiamo spesso registrato anche la presenza di non iscritti interessati al
nostro dibattito.
Possiamo dire di averla avuta vinta sulla congiura degli elementi naturali e sul funzionamento
delle poste.
Il documento “Il lavoro decide il futuro” ha avuto 3.479 voti
il documento “Il Sindacato è un'altra cosa” ha avuto 60 voti
I numeri ci dicono anche:
che la forbice fra iscritti allo SPI e i partecipanti al Congresso è molto ampia, nonostante
l’indubbio miglioramento e tenuto conto della composizione anagrafica degli iscritti, così
come sono lontani i numeri di coloro che frequentano le nostre sedi e i nostri servizi e di
coloro che hanno partecipato alle assemblee.
L’obiettivo che ci dobbiamo porre con maggior forza è quello di lavorare sulla partecipazione
– tesseramento – militanza, e di migliorare la comunicazione, come ci è stato sollecitato,
perché la comunicazione è informazione, conoscenza e partecipazione continua, nonostante
l’apprezzamento espresso veramente da tutti per la creazione della newsletter a cura di Elio.
Non vogliamo perdere di vista nessuno di questi compagni e compagne e stiamo già
pensando di dar loro conto dell’intera stagione congressuale della CGIL quando sarà ultimata,
con un’iniziativa al Palaplip di Mestre, in una sorta di Ociociò Congresso.
Anche se credo che questa osservazione sia stata fatta da tutti i Segretari negli ultimi 10 anni
di congressi, senza poi provocare altro che qualche lieve modifica statutaria, la forma
congresso deve essere davvero cambiata. Pur senza incorrere nella mitizzazione un po’
fasulla dei rapporti esclusivi di rete che ti privano, tra l’altro, della importanza del guardarsi e
riconoscersi, e di un vero confronto dialettico, si potrebbe almeno ridurre decentemente
l’intervallo di tempo fra una “chiamata congressuale” e un’altra.
Ma i numeri sanno dire anche altro:
che, per la nostra quota parte abbiamo contrastato l’astensione che pare dominare e
aumentare nelle competizioni politiche,
abbiamo chiuso definitivamente la partita del precedente congresso e le ferite personali e
politiche che ne erano derivate, a conferma del fatto che in questi anni nel gruppo dirigente
delle categorie e della camera del lavoro veneziana è prevalsa la voglia di unità e il sostegno a
un progetto comune;
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che il clima congressuale è stato complessivamente sereno e corretto anche per
l’atteggiamento dei sostenitori del documento “Il sindacato è un’altra cosa”, che hanno
partecipato a una quindicina delle nostre assemblee.
Al netto del dissenso di merito, che qui ribadisco sulle proposte, i compagni hanno espresso
le loro posizioni in modo dialettico e senza forzare le critiche alla CGIL.
Ci tengo a sottolineare questo aspetto così lontano dagli inaccettabili comportamenti
riscontrati all’attivo di Milano dei giorni scorsi.
Abbiamo confermato il nostro essere un Sindacato solido e ben organizzato con le nostre 17
Leghe, in cui si sono efficacemente inserite le 2 nuove Leghe create nel congresso
precedente.
Con questo Congresso:
abbiamo rinnovato 6 Segretari di Lega su 17, 16 dei quali eletti (rigidamente a voto segreto),
all’unanimità,
e all’unanimità (sempre rigidamente a voto segreto), sono stati eletti quasi tutti i Direttivi che
hanno registrato importanti modifiche dovute soprattutto alla scelta della democrazia
paritaria che ha imposto il 50% per ogni genere che sarebbe banale ridurre a una tecnica
congressuale, oltretutto in un momento in cui abbiamo scoperto che la capacità di generare
reddito è di 342.000 euro per i maschi, e di 231.000 per le femmine (lavoro di cura a parte).
Non posso non riconoscere che alla tenacia delle compagne è corrisposto l’impegno dei
Segretari e delle Segreterie in tal senso, anche di quelli che all’inizio la consideravano quasi
un’impresa perduta.
Oltre alla presenza delle compagne, nei Direttivi ci sono tutti i collaboratori con un evidente
beneficio doppio, una maggiore competenza tecnica verso tutti i compagni, un maggior
impegno politico generale dei collaboratori: i recapitisti un po’ più sindacalisti e i sindacalisti
un po’ più recapitisti.
Abbiamo poi tenuto fede, con l’accordo dei compagni che non sono stati ricandidati e con
l’utilizzo doveroso degli inviti permanenti, all’impegno di sostituire con nuovi pensionati il
25% dei componenti i Direttivi. Talvolta sono state operazioni dolorose proprio per le storie
di questi compagni, e voglio approfittare anche di questa occasione per ringraziarli della loro
generosità.
Ci pare di poter dire che i nostri Dirigenti, Segretari generali + Segreterie + Direttivi
rappresentano una forza che può contare sulla attività militante di circa 400 compagni e
compagne, forza che mettiamo a disposizione dei cittadini, delle cittadine, dei lavoratori,
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delle lavoratrici, dei più poveri, dei più soli, ma anche dei più giovani, soprattutto a
disposizione della CGIL e della sinistra se solo capisse di quale capitale si tratta.
In questa occasione voglio anche ricordare, ma le fotografie che scorrono alle nostre spalle lo
documentano benissimo, le migliaia di compagni che hanno reso forti e visibili tutte le
manifestazioni della CGIL, dello SPI e di tutte le Categorie a cui abbiamo dato e intendiamo
continuare a dare il nostro sostegno e voglio dar loro oggi stesso un appuntamento a presto,
perché questo vorrebbe dire che la CGIL e lo SPI hanno già proclamato, a sostegno degli
obiettivi di giustizia ed equità, nuove lotte.
Da quelle foto emergono le nostre tenaci richieste di un fisco giusto, di una medicina efficace,
di una previdenza equa e di un’assistenza dignitosa, che sono le stesse richieste che da giorni
i sindacati nazionali unitari dei pensionati SPI FNP UILP avanzano dalle pagine dei giornali, per
dire che ci siamo, che non ci siamo dimenticati dei nostri obiettivi e contemporaneamente far
sapere ai nostri iscritti e alle nostre iscritte che noi non stiamo in silenzio, come altri
vorrebbero.
Ma oltre i numeri, dai congressi, sono arrivati anche altri messaggi, il primo e il più
importante dei quali è che i nostri iscritti “ci hanno trattato bene”, smentendo anche alcune
nostre paure di essere, nella sfiducia e nel rancore nei confronti della politica, individuati
come un pezzo di quel gruppo dirigente privilegiato e inefficiente che viene con disprezzo
chiamato casta, paure alimentate anche da alcune statistiche che vedono il Sindacato
stabilmente agli ultimi posti e dopo i Carabinieri, e i politici, individuati fra i maggiori nemici
della popolazione con il loro 32% dopo evasori al 47% e mafiosi al 46% dell’ultimo sondaggio
SWG.
I compagni e le compagne non hanno nascosto la delusione per i mancati risultati di questi
anni, la preoccupazione per gli effetti disastrosi della crisi, la rabbia per l’inadeguatezza della
classe dirigente politica e imprenditoriale, anche se ci hanno riconosciuto come coloro a cui
possono rivolgersi nei momenti di bisogno e di solitudine per avere un consiglio, un ascolto,
una tutela individuale e collettiva.
Per loro, il Sindacato ha soprattutto il volto dei nostri 81 collaboratori SPI radicati nel
territorio, dei nostri Segretari di Lega conosciuti nelle molte iniziative dalla sanità alle
pensioni, dei nostri e delle nostre iscritte presenti settimanalmente nei mercati con i
volantini che pretendono equità, giustizia sociale, salute e assistenza, delle nostre donne che
tenacemente difendono anche per le giovani il diritto a consultori efficienti, e, tra l’altro, per
tutte, il riconoscimento al e del lavoro di cura.
Siamo stati “trattati bene”, anche se è forte la distanza nei confronti della classe dirigente
politica, istituzionale, avvertita come un “loro” contrapposta a un “noi”. Noi e loro
(definizione di Barca), non indica solo una contrapposizione di idee ma si è appesantita di
inimicizie e ostilità. Questa distanza si chiama sfiducia, sfiducia che priva i “noi” della
possibilità di partecipare e di decidere, ma impoverisce “loro” di una conoscenza e del saper
fare di noi. Nessuna idea di larga intesa, ma colmare questa distanza, ridare fiducia è un
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nostro obiettivo, una fiducia che non è superficiale ottimismo ma l’assunzione della
responsabilità di sostenere un nuovo slancio.
Spesso nelle assemblee congressuali ci è stato chiesto cosa ha fatto il sindacato?
Su di noi pesano ancora le ferite di una inadeguata risposta di lotta alla manovra Fornero
sulle pensioni, autentica sciagura che sta devastando il reddito dei pensionati, la vita dei
lavoratori e la possibilità di un futuro previdenziale per i giovani: anche per questo abbiamo
presentato un emendamento al documento nazionale sulle pensioni che completi le nostre
richieste in modo più articolato.
Siamo consapevoli di aver ottenuto scarsi risultati e di essere anche arretrati sotto
l’aggressione del liberismo, del mercato e del tentativo di isolarci. Vi chiedo tuttavia,
guardando le immagini di cui Vi parlavo, anche di pensare che il sindacato ha fatto proposte,
ha lottato, ha mobilitato, ha resistito, ha reso collettivo il dolore, la sconfitta, il bisogno di
ognuno,
ha difeso gli interessi generali contro la frantumazione dei privilegi e degli egoismi;
il valore del pubblico contro privatizzazioni insensate di aziende, di diritti, di valori;
lo stato sociale universale;
in nome delle persone più fragili e contro una società i cui finti valori di individualismo,
successo, egoismo hanno messo ai margini migliaia di persone;
in nome del diritto alla rappresentanza dei lavoratori e dei cittadini;
in nome della Costituzione.
In un paese dominato, come dice Zagrebelsky, “dalla solitudine dell’art. 1”, quello che pone a
fondamento della Repubblica il lavoro, difendere la Costituzione, dalle manomissioni,
applicarla in ogni sua parte, raccontarla, insegnarla è fare sindacato.
Il lavoro sulla Costituzione è poi parte della nostra anima: il progetto “Adottiamo la
Costituzione” che ha visto ogni Lega scegliere, approfondire e discutere un articolo anche fra
i meno noti e tutte le altre iniziative che organizziamo soprattutto con le scuole, sono un
investimento sui giovani ai quali raccontiamo la loro storia che troppo spesso non
conoscono, i loro diritti che troppo spesso non sanno di avere e col diritto al lavoro, il diritto
allo studio, alla salute e all’uguaglianza, rafforziamo quella catena intergenerazionale fatta di
valori e di affetti e speriamo loro di indicare la via maestra.
I nostri iscritti ci hanno anche chiesto di spazzare via corruzione e immoralità, in nome della
loro dignità prima ancora che della giustizia.
Non si può proprio sentire che siamo al 72° posto nella graduatoria dei corrotti e il paese che
rappresenta il 50% della corruzione europea; non si può più tollerare che nelle nostre prigioni
super affollate ci siano solo 11 persone condannate per corruzione (grazie alle prescrizioni, e
168 persone per frode fiscale contro gli 8.600 della Germania, e non si può vivere leggendo
ogni giorno sui giornali lo stillicidio di inchieste, tangenti e malcostume).
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Ma i nostri compagni denunciano anche l’insopportabilità del mantenimento di privilegi
protetti da insane connivenze, che non sono reati, ma che feriscono e offendono chi ogni
giorno deve regolare la sua vita sulla ristrettezza, sulla mancanza di risorse, su scarsi aiuti.
Forse anche questo è frutto della crisi che attraverso la amoralità economica ha distrutto
fiducia e merito a vantaggio di una cultura della furbizia senza rimorso, e deve proprio finire
perché anche questo è uno degli elementi che ostruisce il canale della speranza.
Ma davvero ci voleva proprio l’indagine all’Ospedale Israelitico di Roma per mettere in
discussione i 25 incarichi dell’ex Presidente dell’INPS Mastrapasqua?
E perché le nostre segnalazioni di disfunzioni quando non di autentiche angherie nei
confronti dell’utenza da parte dell’INPS sono state sottovalutate?
Oggi chi tardivamente e ipocritamente si è reso conto che un Ente così importante per la vita
di tante persone deve essere diretto da persone capaci e trasparenti, deve continuare in
un’opera di rinnovamento e di chiarezza nei confronti di tutti i presidenti disseminati nei
numerosi enti pubblici e dei loro milionari compensi.
Come dice Carla Cantone “non sono mostri, ma sono simboli di una società che rende
possibile tutto questo: ministri costretti a dimettersi, amministratori colti con le mani nella
marmellata dei rimborsi più variopinti”.
Ma la fiducia non ci può essere senza un cambiamento, senza un rinnovamento che derivi da
un agire collettivo che superi le convenienze dietro cui molti si sono barricati in questi anni.
Fin qui la valutazione del Congresso: ora le regole mi chiamano a un bilancio di attività di
questi 4 anni, ma coi compagni abbiamo deciso di evitare il lungo elenco delle molte cose
fatte e invece di tradurlo in immagini che scorreranno durante questo Congresso, dietro di
me e anche nell’atrio oggi e domani, nel tentativo di evitare appunto l’aridità degli elenchi e
nella speranza di rivivere con Voi quei momenti belli ed emozionanti.
Tanti momenti insieme,
tanti momenti SPI.
Di essi e dell’organizzazione complessiva ringrazio tutti i compagni e le compagne, e in
particolare Barbara e Enzo che hanno dominato la mia ansia e la mia preoccupazione.
Lo stato di salute dello SPI di Venezia sarà oggetto di uno specifico intervento di Pier Giorgio
Carrer con l’intento di offrire non un semplice rendiconto, ma la concretizzazione, della
nostra forza, del nostro radicamento e della nostra buona amministrazione.
La mia relazione, che contiene alcuni dei temi più importanti sottolineati nelle discussioni
congressuali, ricomprende le belle relazioni che i Segretari e le Segretarie hanno presentato
ai Congressi di Lega, molto curate e che verranno stampate con la documentazione
congressuale; esse ci raccontano la rete di iniziative con cui gli SPI territoriali hanno
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animato, avvolto e protetto il loro territorio e rappresentano il vero bilancio di attività di un
gruppo dirigente che in questi anni ha lavorato in modo unito e solidale e ha attraversato
momenti difficili e gli scontri della politica, impedendo interferenze, mantenendo una grande
autonomia e un orgoglioso sostegno al proprio sindacato e a questo Segretario: un gruppo
dirigente impegnativo ma generoso e capace.
Seguendo un po’ l’ordine delle azioni congressuali, ma anche l’importanza dei temi e
l’imminenza di alcune scadenze, vorrei proprio partire dall’Europa per affrontare il problema
della crisi nel suo farsi, nelle sue cause, nelle sue conseguenze.
Il 2014 è l’anno dell’Europa:
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il 25 maggio ci saranno le elezioni del nuovo Parlamento di Strasburgo;
-
il Semestre italiano di Presidenza dell’Unione Europea.
Avremmo difficoltà a intendere quello che capita al nostro paese, se non tenessimo presente
che sulle nostre politiche esercitano un pesante condizionamento la Commissione Europea,
la BCE e il Consiglio Europeo, istituzioni dell’Unione che nessun cittadino ha mai eletto o
concorso a scegliere, e d’altronde il Parlamento Europeo è un organismo privo di poteri reali,
che si limita in definitiva alla concessione del gradimento al Presidente della Commissione, a
blandi controlli sull’operato della stessa.
Dunque, possiamo dire di vivere in un’Europa sprovvista di un Parlamento sovrano,
democratico e rappresentativo e ciò è frutto dell’egoismo di alcuni grandi Stati dell’Unione
che, di fatto, le impediscono di uscire dalla dimensione di pura area economica e monetaria,
per assumere la sostanza di un’entità statale unitaria e ne orientano pesantemente, a fini
propri, le politiche.
La “finanziarizzazione” dell’economia ha condizionato anche l’approccio della Commissione e
dei governi nella formulazione delle politiche, fino al punto di far divenire il criterio del
pareggio di bilancio un principio costituzionale, con una insopportabile manomissione della
nostra Costituzione.
Illuminanti ancora una volta le parole di Zagrebelsky, quando dice che “la finanza che arriva a
imporsi in questo modo è nemica della Costituzione, oltre che dei popoli su cui si abbatte, è
un’economia fittizia, che non produce né lavoro né stabilità sociale e favorisce i pochi
signori della finanza, fino a quando non saranno anch’essi travolti, e noi con loro ma prima di
loro”.
I risultati disastrosi delle politiche fondate sul pareggio di bilancio, che saranno ancora più
drammatici se dal 2015 entrerà in vigore il fiscal compact (che ci impone di rientrare dal
debito con un prelievo di 40 mld in ragione d’anno, per i prossimi 20 anni), sono sotto gli
occhi di tutti anche nel nostro Paese, e ogni giorno gli indicatori economici sono più crudeli.
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Noi sappiamo che molti fra gli anziani vivono la disperazione e la vergogna della povertà:
talvolta non mancano più solo i soldi, ma anche il cibo, le medicine e il riscaldamento per chi
è precipitato nella fascia di povertà e ci pare davvero arrivata l’ora di finire le sperimentazioni
sui sussidi per arrivare a un vero reddito di cittadinanza che consenta una vita dignitosa.
Del resto nell’Unione Europea questo strumento di tutela universale, pur con accenti e
modalità differenziati, lo prevedono tutte le legislazioni dei Paesi membri, tranne la Croazia e
appunto l’Italia.
Non possiamo poi non pensare alla Grecia e alla sua situazione disperata, con un incremento
del numero di morti soprattutto fra gli anziani e i bambini, soprattutto nelle zone rurali. Per
la mancanza di adeguata assistenza sanitaria, le morti bianche dei lattanti sono aumentate
tra il 2008 e il 2010 del 43%, del 20% i bimbi nati morti e sono ricomparse malattie estinte
come la TBC e la malaria.
Come dice Barbara Spinelli, nel cuore dell’Europa si aggira la Morte e qualcuno la chiama
“dolore produttivo” e usa il risanamento come fattore di disciplinamento sociale.
Moralmente la colpa è anche di tutti quelli, anche fra noi, che dicevano sprezzantemente che
“noi non siamo la Grecia” e oggi assistono con la chiusura dell’Università di Atene, alla
negazione di quella possibilità di futuro.
Welfare, lavoro, salute, istruzione, individuati come una delle cause della crisi, risultano
ridimensionati drasticamente. Nella popolazione vengono meno, sotto i colpi di austerità e
sacrifici, spesso, i vincoli di solidarietà che sono a fondamento della storia comune e della
coesione sociale, senza che i bilanci pubblici migliorino. L’austerità espansiva ha mostrato
tutti i suoi errori e la sua inefficacia.
Noi crediamo, al contrario, che sia da rifondare il processo di unità politica dell’Europa
concepito dai padri fondatori, che nell’unione economica vedevano la premessa della futura
Unione federale. In questo quadro un nuovo ruolo deve essere assunto dalla BCE per togliere
le armi alla speculazione e generare un clima di solidarietà ma anche di controllo reale tra i
paesi membri della comunità.
L’Unione politica dovrà dotarsi di una Costituzione, di un Parlamento rappresentativo e di un
Governo che ne sia l’espressione.
Questo rinnovato progetto potrà riprendere slancio se esso sarà anche attivamente
perseguito con tutte le energie dai popoli europei.
La democrazia è condizione imprescindibile di ogni successo anche sul piano economico,
perché solo in un quadro di responsabilità comuni si possono valorizzare i patrimoni di
conoscenza, di saperi e di intraprendenza di cui è ricca la nostra storia, ma soprattutto si
possono armonizzare i diversi sistemi fiscali, i salari, le regole e i diritti del lavoro e rilanciare
la domanda, attraverso anche la creazione di un vero e proprio spazio contrattuale europeo
nel quale abbiano così cittadinanza i diritti sociali, a partire dalla carta dei diritti degli anziani
e delle anziane e attraverso un ruolo più forte e incisivo della CES e della nostra Ferpa a
proposito della quale si deve realizzare la proposta di una sede unitaria a Bruxelles.
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Non si deve dimenticare che delle 180 violazioni della Carta sociale europea, 7 sono attribuite
all’Italia e 2 in particolare riguardano la condizione delle persone anziane:
l’inadeguatezza dell’ammontare delle pensioni minime e l’assenza di un reddito minimo
garantito per tutti come misura di inclusione sociale e lotta contro la povertà (l’ottima azione
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Per riprendere la via dell’Europa, non basta però “ridemocratizzare” le sue Istituzioni, come
dice Habermas ma è indispensabile “rilegittimare” l’Unione attraverso un recupero della
fiducia dei cittadini che passi attraverso il riconoscimento dei diritti negati in questi ultimi
anni.
Basta con la politica a servizio del sistema finanziario,
basta col continuo restringimento degli spazi democratici
basta con l’egemonia culturale neoliberista
e soprattutto basta con quelli che ci spiegano che abbiamo vissuto al di sopra dei nostri
mezzi, che sono le pensioni a provocare i buchi nel bilancio che agevolare i finanziamenti crea
occupazione e che il privato è più efficiente del pubblico.
Se la parola Azioni ha un significato, per le consultazioni del 25 maggio lo SPI metterà in
campo una grande mobilitazione, per poter essere, attraverso le elezioni europee anche
cittadini italiani più liberi, meno poveri, meno diseguali.
L’Europa non deve comunque essere alibi di quanto si deve fare in Italia.
Quattro anni fa il Congresso della CGIL si svolgeva sullo sfondo delle politiche del governo
Berlusconi, caratterizzato da tagli alla spesa pubblica, attacco ai diritti del lavoro, tentativo di
isolare la CGIL, un governo poi caduto sotto l’imperversare di una crisi economica negata e
sottovalutata, a cui sono succeduti governi tecnici e di larghe intese.
Le elezioni del febbraio 2013, avvenute con una legge elettorale, riconosciuta, seppur con
qualche ritardo e qualche elezione di troppo, incostituzionale in alcune sue parti, hanno
comunque registrato la solidità di un blocco sociale di destra, la scarsa attrattività di un
centrosinistra visto anche come corresponsabile dei durissimi provvedimenti del governo
Monti, l’affermazione del Movimento 5 Stelle all’insegna del “tutti a casa” e un aumento
consistente dell’astensione.
La riconferma del mandato di Presidente della Repubblica a Giorgio Napolitano, la divisione
del centrodestra, la costituzione di una nuova maggioranza, un cambio di dirigenza all’interno
del PD, ci hanno consegnato ancora un governo di larghe intese sul quale il giudizio espresso
dalla CGIL e dallo SPI è stato e continua a essere critico.
Tuttavia, il nostro è stato e sarà sempre un giudizio di merito sui provvedimenti che verranno
presi e da essi valuteremo la credibilità del Governo a partire da quella che è per noi la
priorità assoluta, e cioè il lavoro: lavoro come elemento essenziale di identità, di
cittadinanza, di appartenenza, di autonomia, di realizzazione di sé.
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Non avere lavoro significa essere escluso, precario nel reddito, nella posizione sociale perfino
negli affetti.
Eppure la situazione del nostro territorio, la cura delle opere d’arte, l’assistenza alle persone,
la sicurezza delle scuole sono alcuni dei grandi settori di possibile e qualificato lavoro, di
sicuro incentivo allo sviluppo e di benessere per le persone.
Noi siamo stati lavoratori e lavoratrici e dalla qualità del nostro lavoro precedente dipende
anche la qualità della nostra vita attuale, del nostro reddito, della nostra serenità, della
nostra capacità di affrontare le avversità.
Noi vediamo gli effetti della crisi e della mancanza del lavoro sui nostri figli e sui nostri nipoti
e ci colpisce particolarmente la crisi vista dai minori, quelli che non vengono più accolti con
gli affidi per la difficoltà delle famiglie, quelli in aumento ospitati nelle comunità, quelli che
abbandonano la scuola e (questo primo loro insuccesso segnerà la loro vita), quelli che non
hanno più insegnanti di sostegno, quelli che devono stare nelle aule sporche per i tagli alle
poche risorse agli appalti per le pulizie e quelli che fanno i disegni per il padre licenziato con
scritto “papà non piangere di nascosto”.
Per tutti questi motivi siamo presenti in ogni manifestazione regionale, nazionale, locale, non
esclusivamente come presenze solidali nei confronti di chi perde o di chi non ha il lavoro. E
vorremmo esserlo anche di più, quando si consumano le chiusure delle fabbriche
nell’isolamento di questa o quella categoria, di questo o quel territorio, di questi o quei
lavoratori.
Vorremmo e dovremmo essere tutti lì.
I vincoli posti ai governi nazionali dalle autorità economiche europee rendono ancora più
necessario ristabilire le condizioni per sanare la crisi della rappresentanza: la riforma della
legge elettorale, la moralizzazione della politica e il ripristino del principio costituzionale della
sovranità popolare.
Dobbiamo impegnarci a sostenere alcune riforme essenziali per liberare il percorso della
democrazia e non lasciare a qualche convenzione di saggi la decisione di un ridisegno
istituzionale democratico.
Come dice il saggio Iori, che spesso interviene alle nostre iniziative, mutuando la frase da
Luther King, “l’urgenza dell’adesso” ci impone una vera riforma istituzionale e bene ha fatto
la CGIL a dedicare l’azione n. 5 all’assetto istituzionale e a farla precedere dal richiamo alla
Costituzione e dal rifiuto alla modifica dell’art. 138.
Bisogna restituire centralità al Parlamento, istituire la Camera delle regioni e delle autonomie
locali, ripensare severamente il titolo V con una riduzione delle materie concorrenti per
trovare un punto di equilibrio fra i livelli e un efficace definizione dei livelli essenziali delle
prestazioni, che ci tocca particolarmente da vicino come anziani perchè è una delle nostre
richieste più forti legati all’assistenza; costruire un sistema integrato delle autonomie che
regoli le funzioni di province, comuni, città metropolitana e favorisca la gestione associata dei
servizi.
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Le regioni tornino a essere organi di programmazione, di legislazione non di gestione.
Si promuova la democrazia partecipata anche attraverso una legge nazionale e si metta
mano seriamente al finanziamento della politica accompagnandolo con una nuova legge sul
conflitto di interessi, l’incandidabilità e l’incompatibilità.
Si approvi infine una legge elettorale che non può servire solo a ridefinire le convenienze di
pezzi di ceto politico nello stare insieme o nel dividersi ma che assieme a una legge sulla
rappresentanza sia linea di congiunzione verso la democrazia.
Il problema della rappresentanza è sostanzialmente il problema della democrazia e si realizza
nell’affidamento e nella validazione degli obiettivi contrattuali ai lavoratori, alle lavoratrici e
ai cittadini e soprattutto nel diritto di decidere su risultati che toccano le loro condizioni di
vita e di lavoro.
Come sostiene il documento congressuale il pieno esercizio delle libertà, della democrazia
sindacale e della rappresentanza è stato messo in difficoltà da accordi separati e
dall’intervento di controparti e governo: ma una nuova fase di rapporti fra Organizzazioni
sindacali e nuovi accordi hanno prodotto un miglioramento che noi comunque riteniamo
debba essere consolidato in una legge.
Anche se in modo un po’ schematico, non posso però tacere sulla frattura che si sta
verificando dentro la CGIL su questo problema: Milano è solo un’occasione per dire che
questa Organizzazione non deve e non può, prima di tutto per rispetto dei suoi iscritti e delle
sue iscritte, finire sulle pagine dei giornali, che neanche una riga dedicano all’intelligenza
delle nostre proposte, perchè non è stata data la parola a un suo dirigente e perché si sono
alzate le mani.
La CGIL non esclude, perchè è una forza che rispetta il dissenso, cerca la sintesi e lavora
sempre per unire.
È vero però che il Sindacato vive un momento di grande difficoltà e lo sforzo unitario con cui
è stato affrontato questo congresso sta subendo un brusco arresto a causa dello scontro tra
la Confederazione e la FIOM degli ultimi mesi, che lascia gli iscritti dispiaciuti e perplessi.
Eppure è proprio sulla capacità di dare risposte unitarie che noi dobbiamo costruire una
proposta credibile e capace di rimotivare i lavoratori a un progetto altro di società, in grado
di affrontare le sfide che ci stanno di fronte e realizzare un modello di democrazia che tenga
conto dei valori espressi dalla Costituzione e dalla recenti sentenze della Corte costituzionale
a proposito della FIAT dovute, come recita il documento congressuale, alla resistenza di tanti
delegati e lavoratori della CGIL.
Tra l’altro, per l’eterogenesi dei fini, ho piacere di ricordare che il Professor Ichino, in virtù di
quella sentenza, ha fatto vincere la medesima causa ai medici dell’Ospedale Sant’Orsola di
Brescia.
Siamo sicuri che il nostro sindacato, che nella sua lunga storia ha conosciuto altri momenti
difficili, saprà ricorrere ai valori che l’hanno sempre accompagnato per ritrovare unità di
intenti e prospettive percorribili a questo paese.
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Per quanto riguarda la consultazione unitaria sull’accordo sulla rappresentanza firmato da
CGIL, CISL, UIL che si terrà a marzo, considero positiva la decisione della Segretaria generale
dello SPI Carla Cantone di non far partecipare i pensionati alla consultazione. È una decisione
che non va letta come una forma di estraneità al problema, né come una riduzione del peso
politico generale della categoria, ma come riconoscimento della titolarità di decisione ai
lavoratori e alle lavoratrici interessate, come volontà di non far pesare la forza dei nostri
numeri, ma soprattutto come opportunità e aiuto alla ricomposizione.
Si sente dire spesso che lo sviluppo potrà ripartire dai territori e noi che siamo davvero il
sindacato del territorio vogliamo accettare questa sfida soprattutto per quanto riguarda la
contrattazione sociale, la legalità e il riassetto istituzionale.
Le nostre Leghe non sono delle semplici articolazioni organizzative, ma sono Organizzazioni
forti perché più vicine ai bisogni, alle persone, alle possibili soluzioni, le nostre Leghe sono
forti, a volte però si sentono un po’ sole nel territorio. Per questo anche in questo Congresso
lo SPI ha deciso di eleggere i delegati ai Consigli di Zona, per sottolineare la necessità di
collaborazione fra loro, l’importanza di una delegazione trattante con alcune controparti
zonali, ma anche per stimolare nelle altre categorie e nella confederazione la creazione degli
altri delegati che possano davvero presidiare e contrattare il territorio.
Contrattazione sociale.
Nella crisi economica si è rafforzato il ruolo sociale degli anziani che hanno sostenuto un
ruolo di ammortizzatori della crisi e hanno rappresentato un forte elemento di tenuta per la
coesione sociale. Ed è proprio per rafforzare e promuovere la coesione sociale che si è
sviluppata la contrattazione con le Amministrazioni comunali e le Istituzioni sociosanitarie.
A Venezia, su 44 Comuni, con la recente “capitolazione” di alcuni Comuni di centrodestra,
possiamo dire di aver sottoscritto con il 70% di loro un protocollo di relazioni che impegna a
una pratica permanente di concertazione con le Organizzazioni Sindacali:
sulle politiche generali di bilancio,
sui temi della fiscalità locale,
le politiche sociali,
le politiche di sviluppo,
la lotta agli sprechi e alle irregolarità amministrative,
l’eventuale compartecipazione al costi dei servizi,
le misure di sostegno ai redditi.
Alcuni protocolli sono stati firmati dal sindaco, altri approvati dalla giunta e/o dal consiglio
comunale, così come alcuni sono stati modificati e resi più aderenti alle dinamiche del
territorio, come per esempio a Cavarzere.
In alcuni territori si è poi sviluppata una intensa e regolare attività contrattuale estesa a tutte
le problematiche del territorio e riconosciuta dall’Amministrazione locale come supporto
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prezioso e stimolo per la sua attività, come a Marcon e a Quarto d’Altino e a Campolongo
Maggiore.
Del resto, la presenza stessa di molti amministratori ai nostri congressi di lega, sta a
testimoniare la solidità di queste relazioni.
Anche nel settore socio-sanitario si sta recuperando un ritardo e una minore attività del
passato, anche attraverso forme di mobilitazione “competente”, come nel Veneto Orientale
e a Venezia Centro Storico a difesa di strutture e tutele che le schede ospedaliere e le
delibere regionali mettono in grave pericolo. Valga per tutti l’impegno sui distretti, sulla loro
dislocazione e la loro costruzione e qualificazione, per renderli luoghi dignitosi e funzionali, e
la mobilitazione per realizzare davvero la medicina territoriale, preventiva, riabilitativa,
assistenziale, umana e h24.
Il bilancio è però articolato e l’occasione congressuale deve essere anche momento di
autocritica.
Risultati positivi sono sicuramente:
- l’estensione dei rapporti contrattuali con molte più amministrazioni che nel passato;
- gli impegni sul piano della lotta all’evasione fiscale con la sottoscrizione dei patti;
- il mantenimento, pur in bilanci sacrificati, delle stesse coperture dei servizi sociali;
- il controllo e contenimento di prezzi, tariffe e un’equa compartecipazione;
- il consolidamento del ruolo di contrattatori dei rappresentanti del territorio;
- la presenza unitaria costante dei Sindacati dei Pensionati e delle confederazioni di CISL e
UIL, anche in momenti di tensione fra le Organizzazioni Nazionali.
Fra le conseguenze positive dell’attività di contrattazione, inoltre, ascrivo anche un
atteggiamento collaborativo che ne è derivato nei confronti di altre iniziative sindacali.
Parecchi amministratori, a partire dai sindaci, hanno partecipato a iniziative sulla
Costituzione, sulla memoria, sulla legalità, sulla previdenza, ecc.
Ho lasciato per ultima un’attività che io considero particolarmente importante e che riguarda
l’ambiente: se è vero che (come ha detto Pedretti nel volume sulla contrattazione) che
contrattare socialmente è appropriarsi del territorio e porre alla base delle scelte criteri di
eguaglianza e giustizia, è vero anche che i luoghi vanno protetti perché l’ambiente non è uno
sfondo alla vita ma si intreccia con la vita sociale e determina qualità, bellezza e sicurezza di
quel luogo.
Per questo lo SPI è per il risanamento del territorio, per la salvaguardia dei beni storici,
artistici, ambientali, per la vivibilità dei centri urbani, spesso anche assieme ai movimenti di
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lotta contro le speculazioni, la riduzione del paesaggio a superstrade, crocicchi, rotonde,
ipermercati e villette/vendesi.
Un ambiente curato è un ambiente più sereno e in esso si promuovono più facilmente la
solidarietà, l’amicizia, il vicinato di continuità che sono il miglior antidoto alla solitudine e
all’insicurezza soprattutto per gli anziani.
Ci sono ovviamente delle criticità che ci impegniamo a trasformare positivamente in
obiettivi:
1. la necessità di un piano organico di formazione per dotare i contrattatori di maggiori e
aggiornate competenze,
2. la semplificazione della ritualità e della sovrabbondanza di presenze e di interventi della
delegazione,
3. la generalizzazione di una contrattazione di genere,
4. la costruzione di piattaforme basate su un mandato, come strumenti di una pratica
democratica di validazione della rappresentanza, ma anche come possibilità di avere un
consenso che spinga in avanti il rapporto di forza;
5. l’utilizzo degli osservatori sui bilanci comunali e sulle politiche di contrattazione.
Territorialità e confederalità sono il nesso fondamentale per la riunificazione delle pratiche
contrattuali e per l’efficacia di una pratica inclusiva anche di soggetti che spesso vivono ai
margini sociali e non hanno rappresentanza. Non va sottovalutata la grande funzione della
tutela individuale esercitata dai nostri compagni nel territorio, io ne difendo la qualità,
perché fra le competenze io colloco anche l’umanità, la pazienza e qualche minuto in più per
chi chiede aiuto. All’interno della buona collaborazione politica di questi anni con la camera
del lavoro, il rapporto con i servizi, che sarebbe sbagliato ridurre solo a un elemento
organizzativo, rappresenta ancora un punto di discussione aperta soprattutto nei territori.
Ugo Ascoli sostiene che per custodire il diamante del welfare bisogna proprio ripartire
dall’idea di creare una rete mutualistica solidale con una forte regia confederale, altrimenti
si corre il rischio di cadere nell’aziendalismo dei fondi pensione e dei fondi aziendali.
La contrattazione sociale quindi suscita altre domande fondamentali per il sindacato anche se
questo non è il luogo esaustivo delle risposte.
- Quale rapporto con la contrattazione territoriale?
- Quale rapporto con la contrattazione aziendale?
- Quale stato sociale emerge dalla bilateralità e dalla contrattazione aziendale?
Se siamo tutti d’accordo che la riunificazione dei bisogno dei soggetti delle rappresentanze
deve avvenire sotto la bandiera dell’universalismo e dell’equità, credo che qualche
perplessità possa sorgere di fronte a una contrattazione aziendale non più integrativa ma
sostitutiva di pezzi importanti di sanità.
Non solo la crescita di forme di welfare privato nell’ambito della sanità ha alimentato circuiti
assicurativi che a loro volta hanno contribuito alla nascita di importanti cliniche private ma,
non posso non rilevare come le tutele che noi definiamo universali in realtà varino a seconda
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del luogo di lavoro, della categoria, delle dimensioni dell’impresa, accentuando così un
dualismo fra chi è dentro la rete di protezione e chi è fuori e forse su questa segmentazione
sociale vale la pena di riflettere di più.
Un discorso a parte merita il nostro rapporto con il Comune di Venezia: se l’Amministrazione
esprime un livello di protezione sociale elevatissimo e articolato, con una particolare
attenzione per tutti i settori del bisogno e del disagio, anche in forme assolutamente
innovatrici, e, anche se a livello personale non possiamo che riconoscere la disponibilità
personale e politica sicuramente degli Assessori presenti, a livello più generale non possiamo
dire che, nonostante gli impegni, si sia sviluppata una contrattazione sociale vera e propria,
soprattutto per quanto riguarda i pensionati e la popolazione anziana, e una capacità di
confronto continuativo e non limitato alle emergenze, (oltre quello che fanno le
confederazioni sindacali, il sindaco e la giunta).
Governare Venezia è impresa difficilissima, ed è questa consapevolezza che ci fa dichiarare
la nostra volontà di collaborazione, ma anche vivere a Venezia sta diventando impresa
difficilissima soprattutto da anziani: e allora vorremmo, come hanno ben sottolineato le
Leghe del Comune nei loro Congressi, poter parlare dei trasporti, dell’accessibilità ai servizi,
del degrado di alcune parti di Mestre, dei problemi che esso provoca ma anche della
solitudine che provoca un turismo incontrollato nel centro storico; vorremo parlare di casa,
di sanità e offrirci a sostegno di battaglie spesso realmente persecutorie, che la Regione
Veneto e altre autorità istituzionali intraprendono contro Venezia, ma anche delle prossime
competizioni amministrative. Vorremmo condividere progetti di città sicura, come di vivibilità
dell’arte della cultura per gli anziani, di rispetto per la città e la sua laguna che è
contemporaneamente rispetto dei cittadini e delle cittadine.
Per provare a fare tutto questo, dobbiamo essere riconosciuti come interlocutori utili e
qualificati: non io, ma questo Congresso lo richiede.
Per quanto riguarda il riassetto degli Enti Locali, siamo particolarmente interessati al
processo di aggregazione e alla discussione sull’area metropolitana, che altri livelli stanno
affrontando con competenza, a partire dal Congresso della Camera del Lavoro. Per il nostro
lavoro contrattuale, abbiamo bisogno di Comuni riorganizzati, ma quando parliamo di
territorio non intendiamo riferirci a nuovi perimetri, quanto piuttosto a nuove comunità a cui
offrire servizi efficienti e attraverso essi poter ottenere più equità e più solidarietà.
Il terzo elemento è rappresentato dall’impegno per la legalità e vorrei prima di tutto
ricordare come lo SPI di Venezia consideri la battaglia per la legalità una priorità assoluta. Per
questo abbiamo raccolto a Venezia 2.752 firme, il maggior numero dell’intero Veneto, per
presentare la proposta di legge di iniziativa popolare per l’emersione alla legalità e la tutela
dei lavoratori delle aziende sequestrate e confiscate alla criminalità organizzata. Il Veneto
non è terra di mafia ma certamente interessa alle mafie italiane e straniere per farvi affari,
riciclare denaro sporco, trafficare in droga e in armi. Come qualcuno ha detto in maniera
efficace, il nord si è dimostrato il retrobottega di un sistema mafioso che si sta insinuando
soprattutto in un periodo di crisi offrendo denaro e innescando il perverso meccanismo di
richiesta usura-estorsione.
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Quando un territorio è indebolito dall’assenza di regole e dall’allentamento delle leggi e
quando si allarga l’area grigia per mancanza di controlli e l’effetto di condoni, i confini tra
economie legali e illegali sono più labili e l’azione criminale si afferma con più facilità. Nel
nostro paese le disgrazie naturali sono diventate le occasioni più ricche e più facili di
malaffare, clientela e corruzione. Per questo oltre a prenderci cura del territorio con la
contrattazione sociale, dobbiamo combattere la sottocultura permissiva, omertosa e
complice e dobbiamo creare una cultura della legalità “come dice il Giudice Caponnetto la
mafia teme di più la scuola che la giustizia, perché è il luogo dove il seme della legalità può
crescere e germinare”.
La proposta di legge che abbiamo presentato è frutto di una volontà comune con Libera,
Legambiente, Lega Coop, ARCI, Avviso Pubblico, Affari Puliti e sempre su questa
collaborazione abbiamo tenuto l’anno scorso, e contiamo di ripetere quest’anno, la
meravigliosa esperienza del laboratorio della legalità a Campolongo Maggiore, direttamente
nella casa del Boss della Riviera del Brenta. Ragazzi di ogni parte d’Italia hanno partecipato,
lavorato, discusso con magistrati, sindacalisti, forze di polizia, del grande valore del rispetto
delle leggi, che poi si traduce in rispetto delle persone. Tutto il Veneto, ad opera dello SPI è
stato coperto da iniziative sulla legalità e devo dire che la grande partecipazione che abbiamo
trovato ovunque ci ha reso un po’ più forti e fiduciosi.
Sicuramente questa è una delle strade sulla quale continuiamo a marciare.
Adesso parliamo di noi: la nostra identità politica e sindacale sta nelle molte iniziative che
facciamo, ma ora ho voglia di parlare di noi, di chi siamo noi dello SPI.
Molti di noi hanno potuto avere una storia lavorativa e contributiva regolare, siamo l’ultima
generazione che ha potuto andare in pensione con il sistema retributivo, e in qualche modo
abbiamo “partecipato” ad una economia in crescita; ma ora dobbiamo fronteggiare fenomeni
inediti ed in aumento:
-
il bisogno di cure dei grandi anziani;
-
la richiesta di aiuto dei figli;
-
la protezione dei nipoti, se hanno la fortuna di avere la mamma occupata.
Qualcuno ha definito la terza età l’età della libertà, e c’è del vero nel non essere più legati ad
una prestazione lavorativa, nel poter scegliere nel tempo libero di risolvere vecchie curiosità
o scoprire anche nuovi talenti.
Ma c’è, oltre all’invecchiamento attivo, un ruolo nuovo e fondamentale, che è quello di
provvedere al welfare familiare, al welfare di comunità, che è sostenuto prevalentemente
dalla solidarietà dei cittadini.
I compagni dell’Auser, a cui ci lega una sempre maggiore collaborazione e integrazione nel
lavoro, potrebbero parlarci a lungo di cosa significa proteggere gli elementi più deboli di una
comunità.
Siamo orgogliosi di essere un baluardo dello stato sociale, ma non vorremmo essere
l’ultimo.
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La stessa contrattazione sociale, dalla più impegnativa sui regimi fiscali a quella più umana su
“al mare con 3 euro”, alla difesa dei centri di prelievo, alla costruzione di luoghi di socialità, al
lavoro fisico nei campi della legalità, dà questa idea di noi, e ne siamo lieti.
Presto però i grandi anziani saranno in numero sempre maggiore, e non è giusto pensare di
consegnarli alla solidarietà privata o al mercato.
La presa in carico deve certamente contare su leggi, strutture, sentimenti, risorse che
assicurino dignità e rispetto per gli anziani, ma va comunque rafforzato il legame di
comunità: va sostenuta la domiciliarità, e gli anziani trattenuti nei luoghi a loro cari, e va
potenziato il rapporto con i giovani, attraverso legami culturali ed affettivi.
La comunità è questo, la coesione sociale è la base per l’uguaglianza, che è quello per cui si
lotta in CGIL.
Il senso della nostra militanza allora non è rivolto solo alla condizione dei pensionati, ma
acquista maggior senso e valore se si rivolge ai giovani, ricucendo la frattura generazionale
che troppi strumentalmente vorrebbero approfondire.
Per questo nel nostro documento congressuale di categoria proponiamo di essere anche un
sindacato per i giovani che possa essere:
•
punto di permanente incontro intergenerazionale con le associazioni degli studenti;
•
una consulta tra attivisti SPI e giovani del posto di lavoro;
•
corsi di formazione tra SPI e attivi sull’esperienza contrattuale a tutti i livelli;
•
un’assemblea annuale confederale tra anziani e giovani;
•
un luogo di incontro tra donne giovani e anziane.
E a questi giovani vogliamo fare dono della memoria, del racconto della storia che spesso
manca loro, del ricordo e delle ricorrenze che spesso segnano momenti terribili da non
potere e dovere dimenticare, della costruzione della democrazia dopo il fascismo,
democrazia in cui vivono grazie alle lotte anche se è un po’ malandata.
Questo congresso si è aperto con un omaggio ad alcuni compagni e compagne delle nostre
Leghe che hanno raccontato le loro storie e i loro affetti e le loro storie private sono
diventate un po’ di tutti noi.
La memoria che gli anziani difendono è il principale terreno di scorreria piratesca dei nostri
avversari che periodicamente propongono impossibili pacificazioni e così “è più facile
dimenticare l’eguaglianza e la fratellanza e permettere che la libertà prenda la via dei centri
commerciali”.
Vogliamo indicare ai giovani come ritrovare il senso della collettività, come coltivare il
progetto di un mondo migliore, più giusto, più pulito, più solidale, come nutrirsi del passato
per lavorare per il futuro e tocca a noi montare la guardia.
Per sostenere questo impegno oltre le iniziative sulla Costituzione, la Resistenza, abbiamo
ricordato e siamo stati nei campi di concentramento delle donne, dei bambini, degli ebrei, di
tutti coloro che sono stati perseguitati come Auschwitz, Buchenwald, San Sabba, Birkenau, la
fobia di Basovizza e in tanti altri luoghi del dolore.
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Ma la cura della memoria è anche cura di noi e delle nostre storie, dei nostri eroi come
Placido Rizzotto, come i morti di Portella della Ginestra, ma anche di tutti quei compagni e
compagne che hanno reso nel tempo forte questo sindacato.
Nei prossimi giorni riusciremo a pubblicare un libro sulla storia del sindacato nella Riviera del
Brenta e a ricostruire attraverso le testimonianze di lavoratori, imprenditori, amministratori
la storia di una zona sindacalmente ribelle.
Vogliamo infine col nostro impegno rendere universali i diritti individuali e di cittadinanza, e
coniugare la libertà di tutti con la libertà di ognuno, per cui diritto al lavoro, alla casa, alla
salute, all’educazione scolastica, al salario, ma anche diritto e libertà di scelta su come
nascere, come e con chi vivere, come morire e questo impegno lo devo personalmente a
una gentile signora del Lido che al Congresso ci ha chiesto esplicitamente che ci occupiamo
del fine vita.
E ci sentiamo rappresentati dagli striscioni appesi alle finestre di Ca’ Farsetti a fianco dei
giudici minacciati dalle mafie così come in questi giorni contro ogni forma di omofobia e
vogliamo per noi e per tutti un mondo di possibilità e di opportunità, un mondo arcobaleno.
Alcuni giorni fa, la Cassazione ha riaperto il processo per la strage di Brescia di 40 anni fa,
l’unica che ebbe come obiettivo una manifestazione sindacale unitaria e vittime quasi tutte
fra i sindacalisti della CGIL Scuola.
Nel 2012, lo SPI di Venezia con il concorso privato di alcuni compagni e compagne del
Direttivo, ha acquistato una formella di quelle che segnano a Brescia il percorso delle stragi.
Ci piace pensare che con questo gesto abbiamo dato un piccolo contributo a tener accesa la
ricerca della verità. Adesso i compagni di Brescia possono togliere da Piazza della Loggia il
manifesto che avevano fatto affiggere e che amaramente diceva “in questo luogo non è
successo niente”.
Infine dobbiamo lasciarci questa notte alle spalle, ma “lottare testardamente per le grandi
conquiste, non deve impedire il diritto a quella felicità che nasce dai gesti quotidiani, dalle
piccole azioni e dalle piccole mete”.
Anche questo è SPI.
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