QUADERN / MARTEDÌ, 31 MARZO 2015 ILCASODELGIORNO PRIMOPIANO Imposizione del 5% anche agli utili distribuiti in natura Nello spesometro tutte le operazioni con obbligo di emissione della fattura / Marco MARANI Nell’ambito dei gruppi, si va diffondendo la pratica di distribuire utili in natura tramite l’assegnazione di azioni o quote. Lo schema classico vede strutture societarie a tre “holding - subholding - operativa”, dove la “subholding” delibera, a favore della “holding”, la distribuzione di un dividendo in natura rappresentato dai titoli detenuti nell’“operativa”. Le ragioni sono essenzialmente due: un momento di scarsa liquidità nonostante l’utile conseguito oppure l’esigenza di procedere a una riorganizzazione interna. Venendo ai risvolti fiscali, e ipotizzando un socio di spa o srl residente in Italia, nel sistema delle II.DD. gli utili percepiti da un soggetto IRES, se distribuiti da una partecipata fiscalmente residente in Italia o in Stati a fiscalità ordinaria, concorrono alla formazione del reddito imponibile del socio nell’esercizio in cui sono percepiti [...] La comunicazione è effettuata anche per le operazioni fatturate da parte dei commercianti al minuto e delle agenzie di viaggio / Emanuele GRECO Secondo quanto previsto dal provv. Agenzia delle Entrate 2 agosto 2013 n. 94908, entro il 10 aprile 2015 devono essere effettuate le comunicazioni relative allo spesometro riferite all’anno di imposta 2014, da parte dei soggetti con liquidazione IVA mensile. Per gli altri soggetti, il termine per effettuare la comunicazione è, invece, il 20 aprile 2015. Dal punto di vista soggettivo, sono tenuti alla comunicazione tutti i soggetti passivi IVA, compresi i soggetti in contabilità semplificata e i soggetti che hanno optato per la dispensa dagli adempimenti relativi alle operazioni esenti ai sensi dell’art. 36-bis del DPR 633/72. La comunicazione riguarda, altresì, gli enti non commerciali, per le operazioni effettuate nell’esercizio di attività commerciali o agricole ex art. 4 del DPR 633/72. Lo Stato, le Regioni, le Province, i Comuni e gli altri organismi di diritto pubblico (che erano esonerati dall’adempimento per gli anni di imposta 2012 e 2013) sono obbligati alla comunicazione delle operazioni rilevanti ai fini IVA, effettuate nel 2014, non documentate da fattura A PAGINA 2 A PAGINA 3 INEVIDENZA FISCO Altro stop alla “resurrezione retroattiva” delle società di capitali Società pubbliche, cessazione immediata delle partecipazioni vietate Voluntary disclosure “ampia” per i Paesi black list / Salvatore SANNA e Mario BONO Responsabile di dichiarazione fraudolenta anche chi non l’ha presentata Organismi di composizione della crisi, il CNDCEC ricorre al TAR ALTRENOTIZIE elettronica di cui all’art. 1 commi da 209 a 214, della L. 24 dicembre 2007 n. 244. Nei casi di operazioni straordinarie o di altre trasformazioni sostanziali soggettive, avvenute durante il 2014, è necessario distinguere le seguenti eventualità: - nell’ipotesi di operazione straordinaria o di trasformazione sostanziale soggettiva che comporti l’estinzione del dante causa, il soggetto avente causa ha l’obbligo di trasmettere la comunicazione contenente anche i dati delle operazioni effettuate dal soggetto estinto; - se il soggetto dante causa non si estingue, l’obbligo di comunicazione rimane a suo carico. Passando all’ambito oggettivo, ai sensi dell’art. 21 del DL 78/2010, la comunicazione riguarda tutte le operazioni attive e passive rilevanti ai fini IVA: - di qualsiasi importo, se soggette all’obbligo di emissione della fattura; - di importo non inferiore a 3.600 euro, al lordo dell’IVA, se non [...] / A PAGINA 9 La voluntary disclosure consente di regolarizzare gli investimenti illecitamente detenuti in Paesi c.d. black list, beneficiando di uno sconto sulle sanzioni relative alle violazioni in materia di monitoraggio fiscale. Allo stato attuale, le sanzioni relative al modulo RW vanno dal 3% al 15%, salvo che per gli investimenti detenuti in uno Stato a fiscalità privilegiata (ossia, gli Stati indicati all’interno dei DM 21 novembre 2011 e 4 maggio 1999). Per questi ultimi, invece, si [...] A PAGINA 5 ancora IL CASO DEL GIORNO Imposizione del 5% anche agli utili distribuiti in natura Imponibilità al 5% in capo al socio, poi, a prescindere dalla residenza o localizzazione dell’“operativa” i cui titoli sono oggetto di attribuzione al socio / Marco MARANI Nell’ambito dei gruppi, si va diffondendo la pratica di distribuire utili in natura tramite l’assegnazione di azioni o quote. Lo schema classico vede strutture societarie a tre “holding - subholding - operativa”, dove la “subholding” delibera, a favore della “holding”, la distribuzione di un dividendo in natura rappresentato dai titoli detenuti nell’“operativa”. Le ragioni sono essenzialmente due: un momento di scarsa liquidità nonostante l’utile conseguito oppure l’esigenza di procedere a una riorganizzazione interna. Venendo ai risvolti fiscali, e ipotizzando un socio di spa o srl residente in Italia, nel sistema delle II.DD. gli utili percepiti da un soggetto IRES, se distribuiti da una partecipata fiscalmente residente in Italia o in Stati a fiscalità ordinaria, concorrono alla formazione del reddito imponibile del socio nell’esercizio in cui sono percepiti limitatamente al 5% del loro ammontare (art. 89 comma 2 del TUIR). Tale previsione è applicabile anche nell’ipotesi in cui l’utile è distribuito in natura e non in denaro. Già in passato il Ministero delle Finanze, commentando la definizione di “utile distribuito”, ebbe modo di precisare che il concetto di utile distribuito comprende “qualunque attribuzione di utili ai soci, in denaro o in natura” (circ. nn. 110 del 2 aprile 1963 e 110 e 122 del 16 maggio 1978). Medesima conferma è arrivata dall’Agenzia delle Entrate (circ. 16 giugno 2004 n. 26) in occasione del commento al comma 2 citato, ove è testualmente previsto che l’imposizione del 5% è applicabile agli utili distribuiti “in qualsiasi forma e in qualsiasi denominazione”. Il regime fiscale dei dividendi in entrata prevede quindi l’imponibilità al 5% in capo al socio a prescindere dal fatto che si tratti di dividendi in denaro o in natura e a prescindere, poi, nel caso in esame, dalla residenza o localizzazione dell’“operativa” i cui titoli sono oggetto di attribuzione al socio. I temi da porsi sono essenzialmente due. Il primo attiene alla valorizzazione del titolo distribuito al fine di determinarne l’ammontare imponibile. Il socio dovrà tassare il 5% del valore normale delle azioni/quote ricevute; ciò è disposto dall’art. 89 comma 4 del TUIR, che rende applicabile anche per il socio soggetto IRES il disposto di cui all’art. 47 comma 3 del TUIR che impone, “nel caso di distribuzione di utili in natura”, di determinare il valore imponibile “in relazione al valore normale degli stessi”. Occorrerà dunque rifarsi ai criteri dell’art. 9 del TUIR. Il secondo tema attiene all’individuazione del costo fiscalmente riconosciuto del titolo in capo al socio. / EUTEKNEINFO / MARTEDÌ, 31 MARZO 2015 Si è detto che la distribuzione di un dividendo in natura dà luogo, in capo alla “holding”, a una tassazione (del 5%) del valore normale dei titoli dell’“operativa” ricevuti. Il valore normale del dividendo in natura, poi, ne rappresenta il costo fiscalmente riconosciuto ai fini del calcolo di una successiva eventuale plusvalenza. Ma come coordinare il fatto che, in sede di distribuzione del dividendo, il valore normale del titolo assegnato è tassato solo al 5% e non per il suo intero valore? Il punto è stato chiarito dalla circ. 13 febbraio 2006 n. 6, che ha precisato che, in caso di attribuzione di utili in natura attraverso l’assegnazione di azioni o quote, il costo fiscalmente riconosciuto in capo al socio dei beni attribuiti è costituito dall’integrale valore normale degli stessi e non dalla sola parte (5%) che ha concorso a formare il reddito imponibile per il percipiente. Le Entrate hanno così rimarcato l’operatività del principio di continuità dei valori fiscali, secondo cui, se il valore normale dei titoli distribuiti rappresenta la base imponibile del dividendo tassato in capo al socio, questo rappresenta il costo d’acquisto dei titoli stessi, ai fini di una loro ipotetica rivendita, a prescindere dalle modalità di tassazione del dividendo da parte del socio. L’Agenzia conferma dunque che la simmetria è di valori e non di regimi tributari, come avviene nei conferimenti in natura, dove il riconoscimento del costo fiscale per la conferitaria non è mai vincolato dall’emersione di materia imponibile per il conferente. Si pensi ad esempio al conferimento di una partecipazione da parte di un soggetto IRES in regime di participation exemption. Nulla impedisce alla conferitaria di avere pieno riconoscimento fiscale delle partecipazioni ricevute sulla base dell’aumento di capitale effettuato. Si ipotizzi, ancora, il conferimento di un immobile ultraquinquennale da parte di una persona fisica, per tale motivo non imponibile in capo alla conferente: anche qui è indubbio che la conferitaria valorizzi l’immobile ricevuto a valori correnti. Venendo alla fiscalità della “subholding”, qualora il valore normale dei titoli dell’“operativa” assegnati alla “holding” sia superiore al relativo costo fiscale, la distribuzione genera un evento imponibile. La distribuzione di utili in natura presenta dunque carattere realizzativo per la “subholding”. La distribuzione è idonea a generare ricavi o plusvalenze tassabili, da assoggettare alla disciplina della pex laddove ne ricorrano i requisiti, da determinarsi in misura pari alla differenza tra il valore normale dei titoli distribuiti ed il loro costo fiscalmente riconosciuto. / 02 ancora FISCO Nello spesometro tutte le operazioni con obbligo di emissione della fattura La comunicazione è effettuata anche per le operazioni fatturate da parte dei commercianti al minuto e delle agenzie di viaggio / Emanuele GRECO Secondo quanto previsto dal provv. Agenzia delle Entrate 2 agosto 2013 n. 94908, entro il 10 aprile 2015 devono essere effettuate le comunicazioni relative allo spesometro riferite all’anno di imposta 2014, da parte dei soggetti con liquidazione IVA mensile. Per gli altri soggetti, il termine per effettuare la comunicazione è, invece, il 20 aprile 2015. Dal punto di vista soggettivo, sono tenuti alla comunicazione tutti i soggetti passivi IVA, compresi i soggetti in contabilità semplificata e i soggetti che hanno optato per la dispensa dagli adempimenti relativi alle operazioni esenti ai sensi dell’art. 36-bis del DPR 633/72. La comunicazione riguarda, altresì, gli enti non commerciali, per le operazioni effettuate nell’esercizio di attività commerciali o agricole ex art. 4 del DPR 633/72. Lo Stato, le Regioni, le Province, i Comuni e gli altri organismi di diritto pubblico (che erano esonerati dall’adempimento per gli anni di imposta 2012 e 2013) sono obbligati alla comunicazione delle operazioni rilevanti ai fini IVA, effettuate nel 2014, non documentate da fattura elettronica di cui all’art. 1 commi da 209 a 214, della L. 24 dicembre 2007 n. 244. Nei casi di operazioni straordinarie o di altre trasformazioni sostanziali soggettive, avvenute durante il 2014, è necessario distinguere le seguenti eventualità: - nell’ipotesi di operazione straordinaria o di trasformazione sostanziale soggettiva che comporti l’estinzione del dante causa, il soggetto avente causa ha l’obbligo di trasmettere la comunicazione contenente anche i dati delle operazioni effettuate dal soggetto estinto; - se il soggetto dante causa non si estingue, l’obbligo di comunicazione rimane a suo carico. Passando all’ambito oggettivo, ai sensi dell’art. 21 del DL 78/2010, la comunicazione riguarda tutte le operazioni attive e passive rilevanti ai fini IVA: - di qualsiasi importo, se soggette all’obbligo di emissione della fattura; - di importo non inferiore a 3.600 euro, al lordo dell’IVA, se non soggette all’obbligo di emissione della fattura. Per le operazioni per le quali è previsto l’esonero dalla fatturazione, il limite di 3.600 euro comunque non opera nel caso in cui sia stata emessa la fattura: / EUTEKNEINFO / MARTEDÌ, 31 MARZO 2015 - su base volontaria; - su richiesta del cliente, in luogo dello scontrino o della ricevuta fiscale ai sensi dell’art. 22 del DPR 633/72. A differenza di quanto previsto per gli anni di imposta 2012 e 2013, sono soggette all’obbligo di comunicazione anche le operazioni documentate da fattura, di importo inferiore a 3.600 euro, effettuate nel 2014 da parte dei commercianti al minuto e soggetti equiparati ex art. 22 del DPR 633/72 e delle agenzie di viaggio ex art. 74-ter del DPR 633/72. Per le suddette due categorie di soggetti passivi, infatti, era stato previsto, in via transitoria, l’esonero dalla comunicazione per le operazioni di importo non inferiore a 3.600 euro poste in essere nel 2012 e 2013 (comunicate, rispettivamente, nel novembre 2013 e nell’aprile 2014). Aspetti da chiarire sulle operazioni territorialmente non rilevanti Tra gli aspetti ancora non del tutto chiariti relativi al cosiddetto “spesometro”, vi è anche il fatto se l’obbligo di comunicazione riguardi o meno le operazioni territorialmente non rilevanti ai fini IVA per carenza del requisito territoriale dell’imposta, di cui agli articoli da 7 a 7-septies del DPR 633/72, per le quali, tuttavia, è previsto l’obbligo di emissione della fattura ai sensi dell’art. 21 comma 6-bis del DPR 633/72. Stando alla formulazione letterale della norma (art. 21 del DL 78/2010) che ha introdotto la comunicazione, l’obbligo in questione dovrebbe essere limitato alle sole operazioni “rilevanti ai fini IVA”, con esclusione di quelle che non integrano i presupposti del tributo (tra cui quello territoriale), a prescindere dall’obbligo di fatturazione. Questa interpretazione è stata fatta propria anche da Assonime, nella circolare n. 35 del 6 novembre 2013. Diversa impostazione sembrerebbe quella fornita dal provvedimento attuativo dell’Agenzia delle Entrate del 2 agosto 2013, il quale indica tra le operazioni oggetto di comunicazione le “cessioni di beni e prestazioni di servizi rese e ricevute per le quali sussiste l’obbligo di emissione della fattura”. / 03 ancora FISCO Altro stop alla “resurrezione retroattiva” delle società di capitali La Provinciale di Chieti afferma espressamente che il DLgs. 175/2014 opera solo a decorrere dalla sua entrata in vigore / Alfio CISSELLO Per effetto dell’art. 28 comma quarto del DLgs. 175/2014, “ai soli fini della validità e dell’efficacia degli atti di liquidazione, accertamento, contenzioso e riscossione dei tributi e contributi, sanzioni e interessi, l’estinzione della società di cui all’art. 2495 del codice civile ha effetto trascorsi cinque anni dalla richiesta di cancellazione dal Registro imprese”. Siamo chiaramente in presenza di una norma strumentale ad evitare che gli atti impositivi e contributivi perdano di efficacia in quanto intestati ad un soggetto non più esistente. Infatti, a seguito della riforma del diritto societario del 2003, la cancellazione di una società dal Registro delle imprese è condizione sia sufficiente sia necessaria per l’estinzione dell’ente, per cui ogni atto impositivo intestato alla società estinta è inesistente. Il DLgs. 175/2014 ha introdotto un lasso temporale di cinque anni entro cui, nei confronti degli enti impositori, degli enti di previdenza e di assistenza e dei contribuenti sono validi gli atti di liquidazione, di accertamento, di riscossione e di contenzioso formati nei confronti del soggetto estinto o da questo proposti. L’Agenzia delle Entrate, come intuibile, ha da subito evidenziato che la norma, essendo a suo avviso procedurale, è retroattiva (circolare n. 6/2015, § 13.1). La Commissione tributaria provinciale di Chieti, con la sentenza n. 155 dello scorso 9 marzo, ha, sulla scia di quanto già evidenziato dalla Provinciale di Reggio Emilia (si veda “Prima sentenza sulla resurrezione delle spa, cassata la tesi della retroattività” del 29 gennaio 2015), confermato che la norma contenuta nell’art. 28 comma 4 del DLgs. 175/2014 non può essere retroattiva. Sembra quindi che la giurisprudenza stia nettamente prendendo le distanze dall’orientamento dell’Agenzia, e ciò appare condivisibile, posto che la disposizione in oggetto ha natura sostanziale, incidendo, direttamente, sulla validità degli atti di accertamento emessi dagli enti impositori. Evidenziamo che pure il Consiglio Nazionale forense ha / EUTEKNEINFO / MARTEDÌ, 31 MARZO 2015 preso le distanze dalla sostenuta irretroattività (cfr. il documento dell’11 marzo 2015), richiamando l’art. 10 della L. 212/2000, sulla buona fede e leale collaborazione tra le parti. In ragione di ciò, è bene che i contribuenti, nei processi pendenti, contestino prontamente la tesi della retroattività, sollecitando il giudice, ad esempio e se il contenzioso è in appello, a confermare la dichiarazione di nullità dell’atto in quanto intestato al soggetto estinto. Imminente il rimando alla Corte Costituzionale Lo stesso dicasi se il giudice di primo grado avesse dichiarato inammissibile il ricorso proposto dal liquidatore del soggetto estinto, sulla base del fatto che, essendo la società cancellata dal Registro delle imprese, difettava la legittimazione ad agire. A ben vedere, si verte in una fattispecie in cui la pretesa non potrebbe comunque essere fatta valere, per cui l’inammissibilità non rende definitivo alcun atto, ma conferma semplicemente l’inazionabilità della pretesa. Meglio evidenziare che, in quest’ultimo caso, la situazione sarebbe “coperta” dall’eventuale giudicato, per cui ogni atto di riscossione basato sull’accertamento oggetto della precedente dichiarazione di inammissibilità del ricorso sarebbe di per sé illegittimo. Se l’ente impositore avesse voluto, avrebbe dovuto appellare la sentenza, chiedendo alla Regionale la conferma dell’accertamento, e ciò a prescindere dal discorso sulla retroattività (cosa che, a ben vedere, magari l’ente impositore non ha fatto, non potendo sapere che sarebbe stato approvato il DLgs. 175/2014). Nel menzionato documento del Consiglio Nazionale forense, tra l’altro, si mette in evidenza, come fatto da più parti, che la norma è sospettata di incostituzionalità, alla luce della circostanza che nella L. 23/2014 non si rinviene alcun criterio direttivo idoneo a “coprire” una disposizione di tal tenore. / 04 ancora FISCO Voluntary disclosure “ampia” per i Paesi black list Un conto a Panama dal 2004 obbliga ad aderire da tale annualità, anche se poi lo si trasferisce in un Paese che ha firmato l’Accordo con l’Italia / Salvatore SANNA e Mario BONO La voluntary disclosure consente di regolarizzare gli investimenti illecitamente detenuti in Paesi c.d. black list, beneficiando di uno sconto sulle sanzioni relative alle violazioni in materia di monitoraggio fiscale. Allo stato attuale, le sanzioni relative al modulo RW vanno dal 3% al 15%, salvo che per gli investimenti detenuti in uno Stato a fiscalità privilegiata (ossia, gli Stati indicati all’interno dei DM 21 novembre 2011 e 4 maggio 1999). Per questi ultimi, invece, si applicano il raddoppio dei termini di accertamento e: - una sanzione dal 5% al 25% per gli importi non dichiarati, per gli anni dal 2004 al 2007; - una sanzione dal 6% al 30% per gli importi non dichiarati dal 2008 al 2013. Ad ogni modo, per coloro che decidono di aderire alla procedura, non si applica il raddoppio dei termini se: - il Paese black list in cui erano o sono detenuti investimenti e attività estere oggetto della collaborazione volontaria abbia stipulato con l’Italia un accordo che consente un effettivo scambio di informazioni conforme all’art. 26 del modello OCSE. Attualmente, si tratta di Svizzera, Liechtenstein, Principato di Monaco e Singapore; - il contribuente che ha attivato la procedura e che vuole mantenere le attività oggetto di collaborazione volontaria nel Paese black list ove già le deteneva deve rilasciare all’intermediario finanziario estero presso cui le attività erano o sono detenute l’autorizzazione a trasmettere alle Autorità finanziarie italiane richiedenti tutti i dati concernenti le attività oggetto di procedura (c.d. waiver) e allegare copia di tale autorizzazione, controfirmata dall’intermediario finanziario estero, alla richiesta di collaborazione volontaria. In alternativa all’acquisizione del c.d. waiver, è possibile procedere al trasferimento delle attività in Italia oppure in altri Paesi membri dell’Ue appartenenti alla white list di cui al DM 4 settembre 1996. Inoltre, per gli investimenti situati nei Paesi che hanno firmato l’accordo, l’adesione alla voluntary disclosure prevede l’applicazione sanzione minima del 3% (invece che il 6%) in relazione alle violazioni concernenti il modulo RW. Sul tema, la circolare dell’Agenzia delle Entrate n. 10/2015 ha ipotizzato il caso di un contribuente che, nel corso del 2004, ha costituito delle attività finanziarie a Panama depositandole presso un intermediario locale e che, nel 2008, ha trasferito dette attività presso un intermediario svizzero. Viene chiarito che, dal momento che per le annualità dal 2004 al 2007 le attività sono state illecitamente detenute in / EUTEKNEINFO / MARTEDÌ, 31 MARZO 2015 un Paese black list che non ha firmato l’Accordo, per tali periodi d’imposta le violazioni in materia di monitoraggio fiscale potranno essere sanzionate e, quindi, dovranno essere oggetto della procedura, se il contribuente intende regolarizzare la propria posizione. Questo perché, al termine dei periodi d’imposta dal 2004 al 2007, le attività finanziarie oggetto di emersione erano localizzate in un Paese black list che non ha stipulato un accordo con l’Italia nei termini sopra richiamati, e non si verifica una delle condizioni per evitare l’operatività del raddoppio dei termini previsto dall’art. 12, comma 2-ter del DL 78/2009. Muovendo da quanto chiarito dalla circ. n. 10/2015, la possibilità che il raddoppio dei termini per l’irrogazione delle sanzioni da RW possa scattare anche se dopo il 2007 le attività finanziarie sono state trasferite in un Paese non black list o in un Paese che ha firmato l’Accordo porta a dover analizzare la posizione del contribuente dal 31 dicembre 2004. Tuttavia, se non opera il suddetto raddoppio dei termini, la documentazione che dovrà essere prodotta con riferimento alle violazioni da RW riguarderà le attività possedute nei periodi d’imposta dal 2009 al 2013. Premesso questo, sarà poi necessario verificare quando si applicherà la sanzione minima base del 5%, quella del 6% oppure quella più favorevole del 3%. Nel caso suggerito dall’Agenzia delle Entrate, infatti: - la sanzione minima base sarà pari al 5% dal 2004 al 2007; - l’anno 2008 (nel quale le attività sono trasferite in Svizzera) non è più accertabile; - per il periodo che va dal 2009 al 2013 si applicherà il 3% per ogni annualità. Ipotizzando, invece, un contribuente che possieda delle attività finanziarie depositate in Svizzera dal 2004 e che nel 2012 abbia trasferito le medesime a Panama, in caso di adesione alla voluntary disclosure: - le annualità dal 2004 al 2008 non possono essere oggetto di provvedimenti sanzionatori da RW; - le annualità dal 2009 al 2011 prevedono l’applicazione della sanzione base del 3% per ogni annualità; - le annualità 2012 e 2013 prevedono l’applicazione della sanzione base minima del 6% per ogni annualità. Inoltre, se si decidesse di non aderire alla voluntary disclosure, occorre tenere presente che le sanzioni per violazioni da RW potranno essere irrogate rispettivamente fino al 2022 e fino al 2023. / 05 ancora IMPRESA Società pubbliche, cessazione immediata delle partecipazioni vietate La società deve procedere alla liquidazione entro il 31 dicembre, ma non è chiaro con quali modalità / Davide DI RUSSO, Gabriella NARDELLI e Antonio MIELE Il combinato disposto degli artt. 3, comma 27 e ss. della Finanziaria 2008 (L. n. 244/2007) e 1, comma 569 della legge di stabilità 2014 (L. n. 147/2013), come modificato dall’art. 2, comma 1, lett. b) del DL n. 16/2014 convertito, ha imposto alle amministrazioni di cui all’art. 1, comma 2 della L. 165/2001 di cedere a terzi, entro il 31 dicembre 2014, nel rispetto di procedure di evidenza pubblica, le partecipazioni detenute in società contra legem, ossia quelle aventi a oggetto attività di produzione di beni e servizi non strettamente necessarie al perseguimento delle finalità istituzionali delle amministrazioni socie e che non producono servizi di interesse generale. Il citato comma 569 stabilisce che, decorso il termine, “la partecipazione non alienata mediante evidenza pubblica cessa ad ogni effetto; entro dodici mesi successivi alla cessazione la società liquida in denaro il valore della quota del socio cessato in base ai criteri stabiliti all’articolo 2437-ter, secondo comma, del codice civile”. Non è chiaro però con quali modalità la società possa addivenire, in concreto, alla relativa liquidazione: la norma si limita infatti a fissare un termine finale (“dodici mesi successivi”, ossia il 31 dicembre 2015), mentre la magistratura contabile (Corte dei Conti Marche, delibera 25/2014/PAR) ha negato ricorra nella specie un’ipotesi di recesso, precisando che il richiamo testuale all’art. 2437-ter, comma 2 c.c. vale unicamente a stabilire i criteri per determinare il valore della quota del socio pubblico cessato (quindi in funzione della consistenza patrimoniale della società e delle sue prospettive reddituali nonché dell’eventuale valore di mercato). Peraltro, la norma dispone che, spirato il termine previsto, “la partecipazione non alienata cessa ad ogni effetto”, vale a dire che il rapporto sociale si estingue immediatamente e l’amministrazione pubblica cessa di essere socia già al 31 dicembre 2014. Non dovrebbe quindi esservi spazio per i meccanismi intermedi approntati dagli artt. 2437-quater e 2473, comma 4 c.c. (rispettivamente per spa ed srl) al fine di reperire le risorse necessarie a liquidare la partecipazione del socio receduto: stante la lettera del comma 569, infatti, la partecipazione pubblica contra legem non esiste più, quindi Non sono configurabili atti traslativi da parte dell’(ex) socio pubblico / EUTEKNEINFO / MARTEDÌ, 31 MARZO 2015 aventi a oggetto tale (ex) partecipazione, la quale pertanto Non può essere offerta a (e acquistata da) soci o terzi. Non resta dunque che la riduzione di capitale in misura corrispondente alla partecipazione pubblica cessata (salva la facoltà di intaccare eventuali riserve disponibili per il contestuale ripristino del capitale con aumento pro quota della partecipazione dei soci superstiti) e, in caso di riduzione al di sotto del minimo legale, lo scioglimento della società (o, in caso di spa, la trasformazione in srl). Per mettersi al riparo da responsabilità, allora, gli amministratori (o, in difetto, i sindaci) sono tenuti a convocare senza indugio l’assemblea per l’assunzione dei relativi provvedimenti e a provvedere subito agli adempimenti pubblicitari che caratterizzano le variazioni della compagine societaria (annotazione a libro soci, nelle spa, e iscrizione nel Registro delle imprese, nelle srl, della cessazione della partecipazione ex art. 1, comma 569 della L. 147/2013). A bilancio, occorrerà rilevare un debito verso il socio pubblico, per il valore nominale della partecipazione cessata, in attesa della definitiva determinazione all’esito della liquidazione, che dovrà avvenire entro un anno dalla cessazione (cioè entro il 31 dicembre 2015), con applicazione dei criteri fissati dall’art. 2437-ter, comma 2 c.c., nella specie operanti – stabilisce il comma 569 – sia alle spa che alle srl (e l’eventuale differenza del valore così determinato inciderà sul Conto economico). Auspicabile un intervento legislativo per dissipare i dubbi Si tratta di una soluzione che, per quanto aderente al dettato normativo, Non incontra l’unanimità dei consensi da parte degli interpreti, lasciando spazio a tensioni e contrasti nell’ambito delle società interessate, che vedono contrapposti gli interessi dei soci superstiti (costretti a liquidare la quota cessata intaccando il capitale o a sciogliere la società) a quelli dei soci “cessati”, tenuti ad adempiere alla rigorosa prescrizione di legge per non incorrere in responsabilità. Appare quindi quantomai auspicabile un intervento legislativo in grado di sgombrare il campo dagli attuali dubbi interpretativi. / 06 ancora IMPRESA Responsabile di dichiarazione fraudolenta anche chi non l’ha presentata Al precedente amministratore sono applicabili gli istituti di concorso di persone nel reato e autore mediato con induzione in errore / Vincenzo PACILEO I delitti tributari dichiarativi si consumano nel momento in cui viene presentata la dichiarazione. Di regola, dunque, l’autore del reato è colui che l’ha sottoscritta. Viceversa, sulla sola base della norma speciale (per esempio l’art. 2 del DLgs. 74/2000) il fatto non potrebbe essere ascritto al precedente amministratore della società, il quale non abbia, perciò, né sottoscritto né presentato la dichiarazione. D’altra parte, se il nuovo amministratore è inconsapevole della falsità delle fatture il cui costo viene riportato in dichiarazione, nessuna responsabilità gli può essere addebitata. Stando così le cose, si arriverebbe al paradosso che nessuno sarebbe punibile, pur essendo stato commesso il reato. È proprio di un caso del genere che si occupa la sentenza n. 3931/2015 della Cassazione. In riforma della sentenza del giudice di primo grado, che lo aveva condannato, la Corte d’Appello assolveva l’ex amministratore di una società dal reato di cui all’art. 2 del DLgs. 74/2000 per non avere egli presentato la dichiarazione IVA, trasmessa invece dal liquidatore, ignaro però della falsità. A seguito del ricorso del Procuratore generale la Cassazione ha ricordato che il reato in oggetto si perfeziona istantaneamente con la presentazione della dichiarazione. D’altra parte, la riforma dei reati tributari ha rafforzato l’irrilevanza delle condotte pregresse, escludendo che le stesse possano essere valutate anche solo a titolo di tentativo. Ne consegue, secondo la Corte, che la responsabilità di soggetti diversi da coloro che hanno presentato la dichiarazione non può essere affermata sulla base della sola normativa speciale. Restano, però, applicabili gli istituti generali del concorso di persone nel reato (art. 110 c.p.) e dell’autore mediato con induzione in errore (art. 48 c.p.). La Cassazione ha osservato che nella specie l’imputato come amministratore aveva annotato le fatture false in contabilità, consegnando poi quest’ultima al liquidatore, senza palesargliene il vizio. Inoltre, receduto dalla carica, era rimasto socio e continuava, perciò, ad avere un interesse diretto alla presentazione di una dichiarazione fiscale falsa. La Corte d’Appello si era posta il problema della eventuale applicabilità degli artt. 110 o 48 c.p., ma lo aveva risolto negativamente con una mera petizione di principio, che ha condotto la Cassazione ad annullare la sentenza con rinvio per una nuova valutazione in fatto. Ed è allora probabile che venga riconosciuta la responsabilità dell’ex amministratore per il / EUTEKNEINFO / MARTEDÌ, 31 MARZO 2015 reato contestato. Egli, infatti, ebbe a fornire un contributo causale determinante alla successiva dichiarazione fraudolenta, inserendo in contabilità le fatture per operazioni inesistenti e omettendo di stornarle. Di modo che il liquidatore si trovò, per causa di altri, nella ignara condizione di presentare una dichiarazione fiscale falsa per effetto dell’errore in cui l’imputato lo aveva fatto cadere. Quanto all’elemento psicologico del reato in capo all’ex amministratore, egli dovette rappresentarsi che il liquidatore avrebbe presentato a tempo debito la dichiarazione e che questa avrebbe necessariamente tenuto conto dell’IVA portata dalle fatture false. Qualora, invece, il liquidatore avesse saputo della falsità delle fatture, l’ex amministratore dovrebbe rispondere per concorso nel reato. Analogo problema di imputabilità dell’omesso versamento di ritenute Sempre in tema di reati fiscali, ma in relazione agli artt. 10bis e 10-ter del DLgs. 74/2000, si pone un analogo problema di imputabilità dell’omesso versamento delle ritenute o dell’IVA quando, alla scadenza ultima per il pagamento (oltre la quale scatta il reato), il legale rappresentante della società non è più colui che avrebbe dovuto effettuare i periodici versamenti alle scadenze fiscali, ma altro soggetto, magari nominato a ridosso della deadline penalmente rilevante e di fatto impossibilitato ad adempiere per il mancato accantonamento dei fondi necessari, imputabile al precedente amministratore. Proprio un caso del genere è stato analizzato dalla sentenza n. 6203/2015 della Cassazione in relazione all’art. 10-ter. La Corte ha affermato che è possibile ravvisare la responsabilità del precedente amministratore, ma a condizioni stringenti (che nella specie non erano state provate). Il giudizio di colpevolezza può essere formulato solo se vi sia stata una inequivoca preordinazione soggettiva della sua condotta alla successiva omissione, come nel caso di dimissioni artatamente rassegnate per sottrarsi alla responsabilità. Oppure quando, avendo sottoscritto la dichiarazione, abbia fornito un contributo causale – materiale o morale – alla condotta omissiva del soggetto in carica alla scadenza. Ciò potrebbe accadere quando l’IVA riscossa non sia stata né versata a tempo debito né accantonata, in modo da rendere inevitabile la commissione del reato. / 07 ancora PROFESSIONI Organismi di composizione della crisi, il CNDCEC ricorre al TAR Il Consiglio nazionale di categoria chiede l’annullamento del decreto che esclude i Ragionieri dal Registro istituito presso il Ministero della Giustizia / Savino GALLO Circa un mese e mezzo dopo aver lanciato l’allarme a mezzo stampa (si veda “Ragionieri «fuori» dal registro degli Organismi di composizione della crisi” del 6 febbraio), il Consiglio nazionale dei dottori commercialisti ed esperti contabili passa alle vie di fatto e impugna, dinanzi al TAR del Lazio, il DM n. 202/2014 (pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 27 gennaio), che definisce i requisiti per l’iscrizione nel registro degli Organismi di composizione della crisi da sovraindebitamento. Stando a tale regolamento (emanato ai sensi dell’art. 15 della L. 3/2012), il registro istituito presso il Ministero della Giustizia è articolato in due sezioni, dedicate rispettivamente agli “Organismi iscritti di diritto” (Sezione A) e agli “altri Organismi” (Sezione B). Per ciascuna sezione si prevede la redazione di un “Elenco dei gestori della crisi”, nel quale verranno iscritte le persone fisiche che, individualmente o collegialmente, si occuperanno delle procedure di composizione della crisi. Per poter far parte dell’elenco, però, il decreto stabilisce che bisognerà essere in possesso, tra l’altro, di una laurea magistrale o di un titolo equipollente in materie economiche e giuridiche. Una disposizione che, in pratica, taglia fuori tutti i Ragionieri, creando, si legge nel ricorso, “un regime manifestamente irragionevole e palesemente discriminatorio rispetto ad una delle categorie dei commercialisti iscritti nella sezione A dell’Albo”. “Come denunciamo da settimane – spiegano in una nota stampa diffusa ieri Felice Ruscetta e Maria Rachele Vigani, Consiglieri nazionali con delega alle procedure concorsuali – questa norma rende impossibile ai 35 mila Ragionieri privi di laurea magistrale iscritti all’Albo dei dottori commercialisti e degli esperti contabili di accedere al registro e di svolgere un’attività professionale per la quale sono sia abilitati che preparati”. / EUTEKNEINFO / MARTEDÌ, 31 MARZO 2015 Nello specifico, secondo il CNDCEC, la disposizione si porrebbe in contrasto sia con la L. 3/2012 che con il DLgs. 139/2005. La prima, nell’introdurre il registro degli Organismi di composizione della crisi, chiarisce, in via generale, che l’incarico di gestore può essere ricoperto dai professionisti in possesso dei requisiti di cui all’art. 28 della legge fallimentare (secondo cui anche i Ragionieri possono essere nominati curatori, liquidatori o commissari giudiziali). Il DLgs. istitutivo dell’Ordine dei dottori commercialisti ed esperti contabili, invece, conteneva delle disposizioni transitorie (art. 61, comma 6), che hanno permesso agli iscritti all’Albo dei Ragionieri e periti commerciali alla data del 31 dicembre 2007 di passare di diritto alla Sezione A del nuovo Albo unico. A tali soggetti, dunque, non era richiesto il possesso della laurea magistrale per poter accedere alla Sezione che garantisce la qualifica professionale necessaria per essere gestore della crisi. Una distinzione, sottolinea il CNDCEC nel ricorso depositato presso il TAR del Lazio, di cui si sarebbe dovuto tener conto, magari dettando “un regime derogatorio per i Ragionieri commercialisti iscritti alla Sezione A dell’Albo”, anche perché entrambe le norme hanno un “rango superiore”, nella gerarchia delle fonti, rispetto al decreto ministeriale. Di qui, la richiesta di annullamento del decreto ministeriale, accompagnata da apposita istanza cautelare, in modo da poter accelerare i tempi del giudizio di merito. Nel frattempo, però, i commercialisti, ricordano Ruscetta e Vigani, continuano “a tenere aperto un canale di comunicazione con il Ministero”, nella speranza che si possa arrivare ad una “modifica del DM”. Una soluzione auspicata anche nel ricorso presentato al TAR, nel quale si chiarisce che, qualora venisse fornita una diversa interpretazione del decreto, “verrebbe meno l’interesse alla coltivazione del presente giudizio”. / 08 ancora FISCO Il 13 aprile “scatta” la fatturazione gratuita verso la P.A. per i commercialisti Da tale data sarà attivo il servizio che comprende 12 fatture/parcelle gratuite e un prezzo contenuto oltre le 12 parcelle e per fatture dei clienti dello studio / REDAZIONE Dal prossimo 13 aprile, i commercialisti potranno usufruire gratuitamente del servizio per emettere fatture in formato elettronico verso la P.A. Lo ha reso noto ieri con un comunicato stampa il Gruppo Bluenext, grazie all’accordo siglato con il CNDCEC. In merito, si ricorda che, con l’informativa n. 19/2015, il Consiglio nazionale, oltre a mettere gratuitamente a disposizione degli Ordini territoriali un portale per gestire automaticamente il processo di fatturazione elettronica, per ciò che concerne il ciclo passivo delle fatture ricevute in formato elettronico (.xml) e, nel contempo, il ciclo attivo che, all’occorrenza, potrebbe essere generato verso altri Enti pubblici, ha ufficializzato l’accordo siglato per offrire gratuitamente a tutti gli iscritti l’emissione di 12 fatture elettroniche verso la P.A. in vista della generalizzata entrata in vigore dell’obbligo, prevista per oggi, 31 marzo 2015 (si veda “Dal CNDCEC le istruzioni per la fatturazione gratuita verso la P.A.” del 25 marzo). Nel dettaglio, sul sito del CNDCEC è disponibile un apposito portale per la fatturazione elettronica (www.commercialisti.it/fatturapa.aspx), che comprende la gestione del ciclo passivo, riservato agli Ordini, e la gestione del ciclo attivo, riservato agli iscritti al CNDCEC. Come spiega il comunicato, ieri sono state inviate le credenziali a tutti gli iscritti al Consiglio nazionale per accedere al portale Espando e gestire automaticamente il ciclo attivo di fatturazione elettronica verso la P.A. Il portale Espando – spiega ancora il Gruppo Bluenext, che lo ha realizzato – si avvale dell’infrastruttura tecnologica di SIA spa ed è nativamente integrato con SDI-Sogei, consentendo elevati standard di sicurezza, affidabilità e continuità di servizio. / EUTEKNEINFO / MARTEDÌ, 31 MARZO 2015 Gli iscritti potranno accedere a Espando in due modi: tramite collegamento al servizio dal sito del CNDCEC (www.commercialisti.it/fatturapa.aspx) oppure accedendo direttamente all’indirizzo www.espando.it. Il servizio di fatturazione elettronica consente a tutti gli iscritti l’emissione di 12 fatture/parcelle elettroniche gratuite verso la Pubblica Amministrazione. Oltre le 12 parcelle e per le fatture dei clienti dello studio sarà applicato un prezzo contenuto, con la possibilità di provvedere al pagamento direttamente sul portale. Diverse le funzionalità del portale Espando Le principali funzionalità di Espando – prosegue il comunicato – sono le seguenti: - compilazione di fatture e parcelle mediante digitazione manuale, assistita da automatismi di calcolo e controllo; - acquisizione file XML della fattura, se prodotto dal gestionale del professionista; - acquisizione automatica codici identificativi IPA e anagrafiche degli uffici di fatturazione delle P.A.; - firma digitale massiva delegata al certificato del sistema, o tramite la propria smartcard; - invio al sistema di interscambio SDI-Sogei; - gestione del proprio archivio sul portale; - monitoraggio dello stato dei documenti trasmessi e archiviazione automatica delle ricevute; - disputa on line con la P.A. delle fatture non accettate; - conservazione digitale sostitutiva automatizzata con firma digitale e delega della responsabilità a SIA spa della fatture trasmesse, per dieci anni; - accesso all’archivio sostitutivo. / 09 ancora FISCO Da domani portale MOSS operativo per le dichiarazioni IVA L’adempimento del primo trimestre 2015, con il versamento dell’imposta dovuta in base alla dichiarazione, deve essere eseguito entro il 20 aprile / REDAZIONE Dal 1° aprile 2015 saranno disponibili, per gli operatori nazionali e quelli extra Ue registrati al portale MOSS, le funzionalità operative per la trasmissione della dichiarazione IVA. Con un comunicato stampa diffuso ieri, l’Agenzia delle Entrate ha spiegato che da domani le aziende potranno dichiarare e versare l’IVA dovuta sui servizi di telecomunicazione, teleradiodiffusione ed elettronici prestati a persone che non sono soggetti passivi IVA (B2C) stabiliti in altri Stati membri servendosi dell’apposito sito internet. Tale dichiarazione deve essere eseguita a partire dal 1° giorno successivo alla chiusura del trimestre precedente e fino al giorno 20 dello stesso mese. Pertanto, con riferimento al primo trimestre 2015, l’adempimento va eseguito dal 1° al 20 aprile. Nei medesimi termini, dovrà essere eseguito il versamento dell’imposta dovuta in base alla dichiarazione. Si ricorda che il MOSS è il regime facoltativo adottato in seguito alla modifica delle norme sull’IVA relative al luogo della prestazione, per i servizi B2C di telecomunicazione, teleradiodiffusione ed elettronici, prestati in altri Stati membri ed è in vigore dal 1° gennaio 2015 (si veda “Nuova disciplina IVA per e-commerce e telecomunicazioni ai blocchi di partenza” del 19 dicembre 2014). Tale regime facoltativo e rappresenta una misura di semplificazione: con la nuova disciplina, questi servizi si considerano effettuati nel Paese Ue del destinatario e non in quello del prestatore. Il MOSS evita al fornitore di doversi registrare presso ogni Stato membro di consumo. Il portale aveva già “aperto” le registrazioni dal 1° ottobre 2014 (si veda “Dal 1° ottobre, al via le registrazioni per il MOSS” del 18 giugno 2014) mentre con il provvedimento n. 122854 del 30 settembre 2014, l’Agenzia delle Entrate aveva definito le istruzioni operative del portale (si veda “Pronto il portale per l’IVA europea sui servizi di e-commerce” del 1° ottobre 2014). L’Agenzia delle Entrate, con il comunicato di ieri, riepiloga le modalità di compilazione e trasmissione della dichiarazione. Il soggetto registrato, accedendo alla propria area ri- / EUTEKNEINFO / MARTEDÌ, 31 MARZO 2015 servata e seguendo le istruzioni fornite presenta, anche in mancanza di operazioni, la dichiarazione IVA MOSS compilando l’apposito schema on line e confermando l’invio. La dichiarazione deve contenere l’indicazione del numero identificativo IVA, del periodo di riferimento, della valuta utilizzata e delle prestazioni effettuate, suddivise per ciascuno Stato membro del consumatore. Per quanto riguarda, invece, il versamento dell’imposta risultante dalla dichiarazione, sono distinte due diverse modalità: - per i soggetti registrati al regime Ue, accedendo alla propria area riservata e seguendo le istruzioni fornite, con addebito sul proprio conto corrente postale o bancario; - per i soggetti registrati al regime non Ue e per quelli che non sono in possesso di conto bancario o postale in Italia, mediante bonifico su un conto aperto presso la Banca d’Italia, il cui codice IBAN è disponibile sul portale MOSS. Niente credito d’imposta in compensazione In ogni caso il versamento dovrà recare nella causale il numero di riferimento della dichiarazione cui si riferisce. Non è prevista la possibilità di effettuare il pagamento tramite modello F24 e di utilizzare eventuali crediti d’imposta in compensazione. L’Agenzia delle Entrate ricorda infine che il DLgs. che introduce il regime MOSS, dando attuazione della Direttiva 2008/8/CE, è stato approvato in via definitiva dal Consiglio dei Ministri lo scorso 27 marzo (si veda “Approvato il decreto per l’IVA sui servizi di telecomunicazione e di e-commerce” del 28 marzo 2015). La norma arriva dunque a distanza di quasi tre mesi dall’entrata in vigore delle nuove regole di territorialità ai fini IVA per le prestazioni di servizi di telecomunicazione, di teleradiodiffusione e di e-commerce rese nei confronti di privati domiciliati o residenti nell’Unione europea. / 10 ancora LAVORO & PREVIDENZA Fissati i valori 2015 per ANF e assegno di maternità dal Comune Con la circ. n. 64, l’INPS ha pubblicato gli importi delle prestazioni sociali e dei limiti di reddito ai fini ISEE validi per quest’anno / Luca MAMONE Facendo seguito alla circ. n. 48/2015 (si veda “Rivalutati i valori ISEE per ANF e assegno di maternità dal Comune” del 21 febbraio 2015), l’INPS è intervenuto nuovamente in materia di assegno per il nucleo familiare (ANF) e assegno di maternità concessi dai Comuni, indicando, con la circ. n. 64 di ieri, i nuovi importi delle prestazioni sociali e i valori dei limiti di reddito validi ai fini ISEE per il 2015. In relazione a ciò, ricordiamo che per quanto riguarda le domande presentate dopo il 1° gennaio 2015, ma riferite al 2014, i valori ISEE di cui tener conto sono quelli relativi allo scorso anno, elencati nella circ. n. 48/2015. Come precisato nell’intervento di prassi pubblicato ieri dall’INPS, il calcolo degli importi riferiti a quest’anno è stato effettuato prendendo a riferimento l’incremento dell’indice ISTAT dei prezzi al consumo per le famiglie di operai ed impiegati, pari allo 0,2%. Pertanto, per quanto riguarda l’assegno per il nucleo familiare, l’importo da corrispondere agli aventi diritto sale dai 141,02 euro dello scorso anno ai 141,30 per il 2015, mentre per le domande relative a quest’anno, il valore ISEE è ora di 8.555,99 euro (erano 8.538,91 per il 2014). Sul punto, lo stesso INPS ricorda che per quanto riguarda l’importo dell’ANF erogato con riferimento al 2014, per i procedimenti in corso continuano ad applicarsi i valori previsti per lo scorso anno. Ricordiamo che ai sensi dell’art. 65 della L. 448/98, l’ANF viene concesso dai Comuni, ed erogato dall’INPS, in favore dei nuclei familiari con tre o più figli tutti con età inferiore ai 18 anni, che risultino in possesso di risorse economiche non superiori al valore dell’indicatore della situazione economica equivalente. Sempre ai sensi della citata norma, possono beneficiarne i nuclei familiari composti da cittadini italiani e comunitari residenti nel nostro Paese, nonché da cittadini di paesi terzi che siano soggiornanti di lungo periodo o, ancora, dai familiari non aventi la cittadinanza di uno Stato membro che siano titolari del diritto di soggiorno o del diritto di soggiorno permanente. Come accennato in precedenza, con la circ. n. 64/2015 vengono riportati anche gli importi riferiti al 2015 che riguardano l’assegno di maternità concesso dal Comune ex art. 74 del DLgs. 151/2001, sempre rivalutati secondo l’incremento dell’indice ISTAT, pari allo 0,2%. Assegno di maternità erogato per 5 mensilità In sintesi, per quest’anno l’importo mensile dell’assegno in argomento è pari a 338,89 euro per 5 mensilità (il valore riferito allo scorso anno era pari a 338,21 euro), per un totale di 1.694,45 euro, mentre il valore dell’ISEE è incrementato fino a 16.954,95 euro (con riferimento al 2014, l’importo era di 16.921,11 euro). In relazione a quest’ultimo strumento di sostegno al reddito, si segnala che il beneficio spetta nella misura intera, per le nascite, gli affidamenti preadottivi e le adozioni senza affidamento avvenute nel periodo di tempo compreso tra il 1° gennaio e il 31 dicembre 2015. Possono richiedere l’assegno di maternità in argomento, che non è cumulabile con altri trattamenti previdenziali, le cittadine italiane o comunitarie, oppure le cittadine extracomunitarie in possesso del permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo purché residenti in Italia. Infine, ricordiamo che la relativa domanda deve essere presentata al Comune di residenza entro 6 mesi dalla nascita del bambino o dall’effettivo ingresso del minore in famiglia nel caso di adozione o affidamento. Direttore Responsabile: Michela DAMASCO EUTEKNE.INFO È UNA TESTATA REGISTRATA AL TRIBUNALE DI TORINO REG. N. 2/2010 DELL'8 FEBBRAIO 2010 Copyright 2015 © EUTEKNE SpA - Via San Pio V 27 - 10125 TORINO
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