Rassegna Stampa dal 27 febbraio al 5 marzo 2014

Violenza sulle donne in Europa
Una ricerca dell'Agenzia dell'Unione Europea per i diritti fondamentali, presentata ieri al Parlamento di
Bruxelles che quest'anno dedica l'8 marzo alla prevenzione della violenza di genere. A sorpresa, record di
abusi nei paesi ad alto tasso occupazionale
Io Donna, 5 marzo
Sessantadue milioni di donne in Europa (il 33 per cento della popolazione femminile) hanno subìto violenza.
Oltre due terzi di loro non hanno denunciato l'aggressione più grave da parte del partner. E - sorpresa - il
record degli abusi va ai Paesi dove i tassi di occupazione femminile risultano più elevati, facendo dunque
immaginare una maggiore parità: Danimarca, Finlandia, Svezia e Olanda.
Sono i principali dati di una ricerca dell'Agenzia dell'Unione Europea per i diritti fondamentali, presentata
ieri al Parlamento di Bruxelles che quest'anno dedica l'8 marzo alla prevenzione della violenza di genere. E il
punto di partenza è proprio questa indagine a tutto campo durata tre anni, la più estesa mai condotta al
mondo sul tema: 42mila intervistate tra i 18 e i 74 anni, 1.500 per Paese, scelte su base volontaria e
sottoposte a colloqui privati faccia a faccia. La mole dei dati, sintetizzati in una mappa interattiva al
sito http://fra.europa.eu, servirà da base alle istituzioni europee per elaborare strategie più efficaci nella
protezione delle vittime e promuovere, per le 186 milioni e 600mila donne che attualmente vivono nella
Ue, un percorso di parità che non sia solo sulla carta.
La violenza domestica
Per il 33 per cento delle europee che ha subito violenza fisica, psicologica o sessuale almeno una volta nella
vita, nei due terzi dei casi l'aggressore era il partner. Scorrendo i dati dei singoli Paesi, scopriamo che la
media Ue della violenza s'impenna alle latitudini che meno ci aspetteremmo, quelle con i tassi di
occupazione femminile più alti e dove quindi verrebbe da pensare che la parità di genere poggi almeno su
solide basi di indipendenza economica. Invece in cima alla classifica dei soprusi c'è la Danimarca, con un
impressionante 52 per cento di vittime (e qui il 70 per cento delle donne lavora, contro il 58,5 per cento
della media europea). Seguono la Finlandia con il 47 per cento, la Svezia con il 46 (qui l'occupazione
femminile è al 71,8, la percentuale più alta d'Europa), l'Olanda con il 45, Francia e Regno Unito con il 44.
I dati italiani
L'Italia, dove meno della metà delle donne è coinvolta nella vita produttiva, sul versante della violenza di
genere fa meglio della media Ue, con un 27 per cento di vittime (l'ultima indagine Istat, nel 2006, diceva il
32) che la allinea con Bulgaria, Ungheria, Irlanda e Grecia. Gli Stati piu' “virtuosi” sono Polonia e Austria,
con il 19 e il 20 per cento. Ma perche' i Paesi nordici registrano statistiche tanto impressionanti? “Le
variabili sono molte” risponde Blanca Tapia, portavoce dell'Agenzia che ha condotto la ricerca. “In
Danimarca le donne vanno in pensione anche oltre i 70 anni, dunque sono esposte piu' a lungo agli abusi
sul posto di lavoro. Inoltre abbiamo constatato una correlazione tra il consumo di alcol da parte degli autori
della violenza e gli abusi subiti dalle donne, e sappiamo che in certi Paesi nordici gli uomini bevono molto.
Infine potrebbe essere una questione di consapevolezza della violenza, molto profonda tra le donne danesi
e svedesi, per esempio, e meno sviluppata in alcuni Stati del sud Europa”.
L'infanzia violata
E' un altro dato allarmante, quello sulla pedofilia: 21 milioni di donne europee, il 12 per cento, hanno subìto
un abuso sessuale da parte di un adulto prima dei 15 anni, e nella metà dei casi si trattava di amici di
famiglia o parenti. La pedofilia risulta più diffusa in Olanda e Francia (dove il 20 per cento delle intervistate
ha raccontato gli abusi), nel Regno Unito (18 per cento), in Svezia e Lussemburgo (15 per cento). L'Italia,
come Finlandia e Spagna, è all'11 per cento, mentre in fondo alla triste classifica ci sono Portogallo e
Bulgaria (3 per cento), Croazia (2) e Romania (1 per cento). Emerge infine che il 30 per cento di chi, da
adulta, ha patito qualche forma di vittimizzazione da un partner, attuale o precedente, è anche stata
sottoposta a molestie sessuali durante l'infanzia.
Le molestie sessuali e lo stupro
Baci forzati, abbracci-tenaglia, contatti fisici indesiderati: il 55 per cento delle europee ha dichiarato di aver
subito una forma di molestia sessuale. Per un terzo di loro, l'avance non gradita è avvenuta sul lavoro, da
parte di un superiore, di un collega o di un cliente. Ma il dato che più fa pensare è quello secondo cui la
molestia è più ricorrente per le donne che svolgono professioni qualificate o ad alti livelli manageriali: tra
loro, addirittura il 75 per cento si è trovato nella situazione di dover respingere un invito sessuale
insistente. Sono oltre 18 milioni le donne vittime di una qualsiasi forma di violenza sessuale (l'11 per cento
della popolazione femminile europea), mentre il 5 per cento ha patito un vero e proprio stupro: quando il
colpevole non era il partner, una su dieci ha rivelato che almeno in un caso si trattava di una violenza di
gruppo. Nel 27 per cento dei casi la violenza si è consumata a casa della vittima, nel 18 per cento in un
luogo pubblico come un parco, una piazza o un parcheggio, e nel 16 per cento a scuola o nel posto di
lavoro. Anche la diffusione della violenza sessuale vede al primo posto la Danimarca, ben oltre la media
europea con il suo 19 per cento; subito dopo Olanda, Svezia, Finlandia, Francia. L'Italia è al 9 per cento, al
pari di Repubblica Ceca, Malta, Ungheria, Austria. In coda, la Polonia con il 4 per cento.
Le conseguenze nel lungo periodo
L'inchiesta mostra con chiarezza che le ferite di un abuso restano indelebili nella vita di una donna, con
profonde conseguenze a lungo termine soprattutto quando l'aggressore è l'uomo che si ama. Il 21 per
cento delle vittime di violenza sessuale da parte del proprio compagno confida di aver sofferto di attacchi di
panico; il 35 per cento ha dovuto affrontare il buco nero della depressione; il 43 per cento ha faticato a
lungo a relazionarsi di nuovo con gli altri; il 41 per cento soffre di insonnia. Cicatrici che non si cancellano
anche quando a colpire non è il partner, ma in misura inferiore. E che inibiscono le donne da una
partecipazione piena alla vita economica, sociale e culturale.
Lo stalking
Il 18 per cento delle donne in Europa si sono trovate ad affrontare comportamenti persecutori: per una su
dieci, lo stalker era l'ex e, per una su cinque, l'ossessione si è protratta per oltre due anni, tanto che il 23
per cento delle vittime ha dovuto cambiare numero di telefono e indirizzo email. Eppure solo un quarto
delle vittime ha denunciato alla polizia perché “pensavo non avrebbero fatto nulla” risponde il 9 per cento;
“avevo paura della reazione del mio aggressore” dice il 5 per cento; “per vergogna e imbarazzo” per un
disarmante 3 per cento. A risultare più perseguitate sono le svedesi (33 per cento), lussemburghesi (30),
francesi (29) e maltesi (26). L'Italia, con il 18 per cento, è in linea con la media UE, mentre Lituania, Romania
(entrambi l'8 per cento), Repubblica Ceca, Polonia e Portogallo (al 9 per cento) stanno agli ultimi posti. Per
l'11 per cento delle intervistate, i pericoli e i messaggi a esplicito sfondo sessuale sono arrivati sulla bacheca
di Facebook, su Twitter o nella casella email. E il dato sul cyberstalking cresce al 20 per cento fra le giovani
di 18-29 anni.
La percezione della violenza
Otto europee su dieci pensano che la violenza di genere sia comune, nel loro Paese. Il 39 per cento delle
intervistate ha incontrato altre donne che hanno vissuto un abuso tra le mura domestiche: il dato
complessivo è lo stesso in Italia, mentre in Finlandia addirittura il 56 per cento del campione ha incontrato
la violenza tra amiche e conoscenti, in Francia il 52 per cento, in Lituania il 49. Eppure c'è ancora un 19 per
cento di europee che non conosce i servizi di sostegno che esistono nel loro Paese. E le meno consapevoli,
dopo estoni e bulgare, sono proprio le italiane.
Come agire?
"L' entità enorme del problema evidenzia che la violenza contro le donne incide sulla società nel suo
complesso”, dice il direttore dell'Agenzia dell'Unione Europea per i diritti fondamentali, Morten Kjaerum. “I
responsabili politici, la società civile e gli operatori attivi in prima linea sono tenuti a rivedere le misure
volte a contrastare tutte le forme di violenza contro le donne, ovunque esse avvengano”. Le prime
proposte avanzate ieri riguardano ovviamente la ratifica della Convenzione di Istanbul, adottata dal
Consiglio d'Europa nel 2011 per la prevenzione e la lotta contro la violenza di genere (ratificata solo da
Austria, Italia e Portogallo e firmata da altri 17 Stati europei), oltre all'invito a tutte le istituzioni
comunitarie a considerare finalmente la violenza inflitta da un partner come una questione d'interesse
pubblico e non privato. “La legislazione di tutti gli Stati membri della Ue dovrebbe trattare lo stupro
all'interno del matrimonio allo stesso modo degli altri episodi di stupro” avvertono i curatori della ricerca “e
contrastare la violenza domestica tenendo conto che si tratta di una questione che preoccupa seriamente
l'opinione pubblica”. Necessaria, poi, la formazione di forze dell'ordine, operatori sanitari, datori di lavoro e
servizi specialistici di sostegno alle vittime, che devono essere adeguatamente finanziati.
Resta il quesito su quanta efficacia possano avere delle misure istituzionali nello sradicare un fenomeno che
è, prima di tutto, un grumo culturale da sciogliere. E, per lo stesso motivo, lascia dei dubbi anche questo
mastodontico tentativo di censire un universo tanto delicato e sfaccettato come la violenza di genere
utilizzando criteri identici dalla Svezia a Malta, dalla Polonia alla Grecia. Ma e' comunque un primo passo,
nell'Europa a 28, verso la comprensione del fenomeno.
--Italicum valido solo alla Camera, l'intesa Pd-Fi oggi alla prova dell'Aula
Sole 24 Ore, 5 marzo
Dopo il rinvio di ieri, è slittato alle 11 l'approdo in Aula alla Camera della legge elettorale. In seguito
all'accordo raggiunto da Pd e Forza Italia l'Italicum sarà applicato solo alla Camera. Mentre per palazzo
Madama si voterebbe (in attesa dell'abolizione del Senato elettivo) con il proporzionale puro uscito dalla
sentenza della Consulta. Da Tunisi, dove ieri era in visita, il premier Renzi ha parlato di «un importante
passo in avanti». E ha aggiunto: «Il fatto che il Senato abbia o non abbia una norma elettorale, nel
momento in cui si decide di superarlo, è secondario». Oggi, conversando con alcuni dei partecipanti
all'incontro in Municipio a Siracusa, è stato più cauto: «Ottimismo sulla legge elettorale? Vedremo...»
Stamattina torna a riunirsi il Comitato dei nove
Il Comitato dei nove, l'organismo ristretto che prepara i lavori dell'Aula della Camera, ha terminato ieri
notte l'esame degli emendamenti al primo articolo della riforma elettorale, quello che stabilisce le norme
sulla Camera. Il Comitato riprenderà i lavori stamattina per esaminare gli emendamenti al secondo articolo,
che riguarda le norme del Senato, nonché le proposte di modifica accantonate tra le quali una riguarda le
quote rosa.
I nodi aperti: dalle quote rosa alle candidature plurime
Al termine della seduta di ieri sono risultati accantonati 22 emendamenti, per la maggior parte presentati
da Ncd, sui quali non c'era il consenso di tutte le forze che hanno sottoscritto l'accordo. Tuttavia Ncd ha
chiesto un accantonamento per un approfondimento delle tematiche. La stessa sorte è toccata ad una serie
di proposte di modifica presentate da deputati di tutti i gruppi che riguarda la parità di genere nelle liste
elettorali. Le ultime trattative davano in uscita il cosiddetto salva-Lega presentato da Fi. Le candidature
multiple volute dagli alfaniani salirebbero invece da 8 a 10. Il presidente della Commissione Affari
costituzionali e relatori alla riforma, Francesco Paolo Sisto (Fi), ha detto di essere «moderatamente ma
convintamente ottimista sul buon esito dell'accordo». Il Comitato si riunisce oggi alle 10,15 per sciogliere gli
ultimi nodi prima dell'inizio dell'Aula previsto alle 10,30.
Boschi: accordo non traballa, certa ok venerdì
«L'accordo assolutamente non traballa. C'é la serietà di tutti i partiti. Ci sono questioni tecniche
accantonate, passeremo all'esame degli emendamenti sull'art. 2 dopo aver terminato tutte le questioni
sull'art. 1. L'accordo regge su tutto. Sono serena e fiduciosa e convinta che ci sarà il via libera della Camera
alla riforma elettorale entro questa settimana». Così il ministro delle Riforme, Maria Elena Boschi, al
termine del Comitato dei Nove, ha risposto ai giornalisti che le chiedevano se ci fossero problemi
sull'accordo siglato con FI e Ncd sull'Italicum.
L'accordo Pd-Forza Italia
In tarda mattinata ieri Silvio Berlusconi aveva riunito i suoi collaboratori nella residenza romana di Palazzo
Grazioli. Al termine dell'incontro, era arrivato il via libera allo "spacchettamento": Italicum per l'elezione dei
deputati (liste bloccate, circoscrizioni piccole e premio di maggioranza con soglia al 37% al primo turno),
proporzionale con una preferenza per l'elezione dei senatori (è il sistema sopravvissuto dopo l'intervento
della Consulta, che ha bocciato il Porcellum). Più tardi dall'assemblea dei deputati Pd, era uscita la
decisione di ritirare tutti gli emendamenti alla riforma elettorale (anche quello sulle preferenze) tranne
quello sulla parità di genere. E, ovviamente, gli emendamenti concordati, in particolare quello LauricellaD'Attorre su cui Pd e Fi hanno raggiunto oggi l'accordo che aggiorna il "patto" sull'Italicum.
Toti: modifica accordo non è sconfitta Fi
«La modifica all'accordo Renzi-Berlusconi sulla legge elettorale non è per noi una sconfitta. Abbiamo voluto
accettarla anche per dimostrare la nostra serietà nell'impegno sulle riforme». Lo ha detto Giovanni Toti a
Radio Anch'io. «Silvio Berlusconi - ha aggiunto il consigliere del Cavaliere - non ha nessun retropensiero
perché si tratta delle riforme che vuole da anni. È evidente che un cedimento al giorno da parte di Renzi
non è un buon viatico, ma Fi ci sarà sempre per difendere il Paese, ogni volta che c'è bisogno»
--Donne insieme per valorizzare l’imprenditoria femminile
Vicenzareport.it, 5 marzo
Si avvicina la data dell’8 marzo e, tra le decine di iniziative organizzate in città e provincia, ne segnaliamo
una che si distingue per originalità e attualità. Un calcio alla crisi, in passerella la scena è tutta per
l’imprenditoria femminile. Nasce così l’idea dell’Associazione Donne Vicentine di organizzare una sfilata
allestita con prodotti realizzati esclusivamente nel territorio vicentino. Numerose le ditte che hanno aderito
all’iniziativa in programma domenica 9 marzo a partire dalle ore 16 al ristorante Al Zocco di Grisignano con
ingresso libero e gratuito.
“Vogliamo valorizzare il lavoro di tante donne artigiane, commercianti e imprenditrici che con coraggio e
determinazione quotidianamente affrontano le mille difficoltà provocate dalla forte crisi economica che sta
mettendo a rischio molte aziende e posti di lavoro anche nella nostra regione, quest’anno abbiamo pensato
di festeggiare in questo modo la festa della donna – spiega la presidente dell’associazione, Carla Gottardo
– L’obbiettivo è anche quello di valorizzare i prodotti interamente realizzati nel nostro territorio e la grande
professionalità non improvvisata delle imprenditrici, professionalità acquisita dopo lunghi anni di duro
lavoro. Per questi motivi crediamo di fare cosa gradita promuovendo questo evento”.
L’evento, presentato dalla giornalista Elisa Santucci, sarà introdotto dalla musica dell’Hang player Angelo
Gallocchio ed è previsto anche un intermezzo dedicato alla danza con protagoniste le associazioni Fuente
Flamenca di Vicenza e Silicon Kafe di Thiene, coreografia affidata a Elisabetta Mascitelli. Nel corso della
serata sono inoltre previsti gli interventi del sindaco di Grisignano di Zocco, Renzo Lotto, del presidente di
Apindustria Flavio Lorenzin e di quello di Confartigianato, Valter Casarotto.
L’Associazione, gtra le sue attività, ha organizzato anche il Punto Informazione Donna per dare supporto
alle donne e famiglie che vivono situazioni difficili riguardanti problemi di salute, questioni legali, mondo
del lavoro, tutela della propria sicurezza e della propria famiglia. Dei professionisti, scelti dall’associazione,
saranno a disposizione offrendo gratuitamente la loro esperienza e competenza.
Programma dettagliato di domenica 9 marzo:
Ore 16.00 inizio della manifestazione
apertura e chiusura con Angelo Gallocchio (Hang-Player). L’Hang è uno strumento ricercatissimo nato in
Svizzera ma di origine caraibiche interamente realizzato a mano. La professionalità di Angelo tra i primi
pochi esperti in Italia a dare vita attraverso le sue abili mani a questo strumento con suoni ancestrali che
sfiorano l’onirico.
Ore 16.30 inizio sfilata
intervento del Presidente di Apindustria della provincia di Vicenza Flavio Lorenzin
intermezzo di danza con le associazioni:
Fuente Flamenca di Vicenza – Silicon Kafe di Thiene -coreografa: Elisabetta Mascitelli. Le due associazioni
presenteranno dei brani dell’antica tradizione del flamenco che esprimono con prorompente femminilità
tutta l’energia solare di questa danza.
Proseguimento della sfilata
Iintervento del Presidente mandamentale di Confartigianato della provincia di Vicenza Valter Casarotto
Presentazione di tutte le titolari delle aziende che hanno partecipato
Intervento della Presidente Associazione Donne Vicentine Carla Gottardo
Al termine sarà offerto un aperitivo conviviale.
Per informazioni: 346/6401199.
Perché una donna a.d. di Finmeccanica, e nelle altre big pubbliche, cambierebbe l’economia e la politica
Corriere della Sera, 4 marzo
di Lella Golfo e Alessia Mosca
Abbiamo letto con interesse l’articolo di Sergio Rizzo pubblicato giovedì sul Corriere. Come più volte è stato
segnalato sul suo giornale, le prossime nomine delle società del Ministero dell’Economia e delle Finanze
sono un importante banco di prova per la politica, chiamata a dimostrare concretamente il proprio grado di
credibilità, trasparenza e responsabilità nei confronti dei cittadini. Quello che gli inglesi
chiamano accountability.
Valutazione delle competenze e criteri di reclutamento chiari non sono un “libro dei sogni”. Lo scorso
giugno, con il Governo Letta, una circolare ha stabilito che l’istruttoria sulle singole candidature sarà svolta
dal Dipartimento del Tesoro, supportato, nel processo di ricerca e valutazione dei candidati, da due società
di executive search e da un Comitato di garanzia. Sul sito del Ministero sono attualmente presenti tutte le
cariche in scadenza e da rinnovare. Non è solo burocrazia ma una prassi di trasparenza e meritocrazia che
apre le porte ai cittadini.
È un primo passo e crediamo che in questa direzione tanti meriti abbia la cosiddetta legge “Golfo-Mosca”
(n. 120/2011) che ha certamente aumentato la trasparenza nel percorso di analisi e scelta dei curricula.
Probabilmente, il ragionamento è stato: i «se proprio dobbiamo far entrare delle donne, almeno che siano
brave», ma poco importa. Il nostro obiettivo non era di portare al vertice le donne in quanto donne ma di
migliorare l’intero sistema, rimuovendo ostacoli e facendo sì che la selezione fosse trasparente e fondata
sul solo criterio del merito.
La legge ha dato, fino a questo momento, risultati importanti: nelle società quotate la rappresentanza
femminile è aumentata da circa il 6 al 18 per cento. Mentre nelle 9 società controllate direttamente dal
MEF che hanno rinnovato i propri organi sociali dopo l’entrata in vigore della legge la percentuale delle
donne è arrivata al 25,6 per cento. Non solo: ricerche ancora in corso documentano un generale
efficientamento dei Consigli di Amministrazione e una maggiore trasparenza nelle nomine.
Quella che abbiamo davanti, dunque, è un’occasione enorme: per le donne, che possono finalmente
mettere alla prova dei mercati le loro qualità – e magari, vincendo sui mercati, far vincere il Paese – , per la
politica, che può dimostrarsi all’altezza della fiducia dei cittadini, ma, in un senso più ampio, per l’intera
società che ha la speranza di cominciare a essere governata da princìpi auspicabili di competenza e
responsabilità. E ci auguriamo che, oltre a congruo numero stabilito dalla legge, nei CdA delle big pubbliche
in scadenza le donne abbiano anche ruoli di guida e siedano nei comitati più importanti. Avere una donna
Amministratore Delegato di Finmeccanica sarebbe un bel segnale e un innegabile passo avanti in una reale
cultura di parità.
È nostra convinzione che il dovere di un parlamentare non si limiti all’approvazione di una proposta di legge
(e dei suoi decreti attuativi!) ma consista soprattutto nel seguirne la vita e gli effetti nella società civile,
attraverso azioni di monitoraggio, controllo e, se necessario, intervento. Per questo motivo invitiamo tutti a
vigilare sulla corretta applicazione della legge, non solo per queste nomine ma anche per tutte quelle che
saranno decise nelle tantissime società partecipate dagli enti locali. Il decreto attuativo dà facoltà di
segnalazione di eventuali inadempienze a «chiunque ne abbia interesse». Oltre a una Commissione istituita
presso il Dipartimento delle Pari Opportunità, si sono mosse anche altre associazioni che stanno
promuovendo la legge e vigilando sulla sua corretta applicazione, tra cui la Fondazione Bellisario.
Questo significa credere nelle battaglie e portarle fino in fondo. Non tanto e non solo per le donne ma per il
Paese. Se vogliamo crescere dobbiamo aprire i cancelli ai più meritevoli, dobbiamo costruire una società in
cui tutti possano concorrere per il migliore dei posti e in cui il capitale umano di una donna non valga la
metà di un uomo.
--Una mamma su quattro non ha più lavoro quando il bimbo ha due anni
Romagnamamma.it, 4 marzo
La maternità come impedimento al lavoro e viceversa. Mentre il tasso di natalità italiano resta tra i più bassi
del mondo, il tasso di occupazione femminile – lo dicono i dati Istat – non cessa di scendere, attestandosi al
46,4%. Solo nelle Marche – questa volta è la Cgil a dirlo – sono 573 le mamme che lo scorso anno si sono
dimesse nel primo anno di vita del figlio, durante la gravidanza o dopo la nascita. A queste vanno aggiunti
70 padri. Il 18% di chi si dimette volontariamente (in base alla legge Fornero) trova un’altra occupazione.
Numeri bassi, ai quali vanno sommati quelli delle lavoratrici (e in misura minoritaria dei lavoratori) in
condizioni di precariato.
Per il 22% di chi lascia il lavoro manca un familiare a cui affidare il bambino, il 18% non ha avuto l’iscrizione
al nido, l’8% si lamenta degli elevati costi dei servizi nido e baby sitter. Il 2% si dimette per mancata
concessione del part-time. I dati della Provincia di Ravenna (ma relativi al 2012) li avevamo invece
raccontati qui.
I rapporti tra maternità e lavoro li ha studiati nel dettaglio l’Istat. Nel 2010 erano occupate il 64,7% delle
donne incinta, che sono scese al 53,6% due anni dopo la nascita del bambino. Quelle che sono state
licenziate sono il 23,8%, quelle il cui contratto non è stato rinnovato o l’azienda ha chiuso sono il 15,6%,
quelle che dichiarano di essersi licenziate sono il 56,1%. In dieci anni, in pratica, le donne che hanno perso il
lavoro sono aumentate del 40%. Nel 2012 quasi una madre su quattro a distanza di due anni dalla nascita
del figlio non ha più un lavoro, un dato stabile nel tempo.
Come riporta La Stampa, secondo la direttrice del Dipartimento Statistiche Sociali dell’Istat Linda Laura
Sabbadini il vero nodo sta nella conciliazione dei tempi di vita delle persone: non solo congedi e scarsi
servizi frenano la realizzazione professionale delle mamme. Il problema sta anche nella rigidità dei ruoli in
famiglia: le donne sopportano ancora la maggior parte del carico del lavoro domestico e di cura dei figli.
Uomini, fatevi avanti.
--Lavoro: a Bologna la ripresa non si vede, in calo la ricerca di under 30 e donne
bolognatoday.it, 4 marzo
La ripresa dell'occupazione ancora non c'è a Bologna, anche se il "saldo" tra nuove assunzioni e
licenziamenti o contratti in scadenza è positivo.
Da un indagine del Il Sole 24 ore, le imprese bolognesi, entro la fine di marzo, avranno bisogno di quasi
3.400 addetti, per il 51% laureati o diplomati, ma è in calo la ricerca di giovani con meno di 30 anni (in
flessione dell'11%), a vantaggio dei senior che portano in dote l'esperienza, un requisito preferito dal 56%
delle aziende.
Secondo la Camera di Commercio di Bologna manifatturiero e soprattutto terziario continuano ad essere
dinamici, ma sono diminuite del 26%, rispetto ad un anno fa, le aziende con un piano di assunzioni.
PIU' CONTRATTI A TEMPO INDETERMINATO. I contratti "atipici" perdono terreno a favore dei contratti a
tempo indeterminato: questi ultimi sono pari al 71% dei nuovi ingressi. Il 77% dei reclutamenti saranno in
capo al settore del terziario, mentre le aziende che operano nel campo della meccanica e dell'elettronica
sono in cerca di 420 persone, impresa non facile per le imprese metalmeccaniche: a quanto pare tecnici e
operai specializzati sono difficilmente reperibili per ben il 42% delle aziende.
Purtroppo si assiste anche a un calo sul fronte dell'occupazione femminile. Perde 4 punti percentuali le
probabilità di trovare lavoro.
I SETTORI PIU' DINAMICI. Ristorazione, turismo, del commercio, dei servizi alle persone, delle pulizie, delle
attività immobiliari e di noleggio. Maggiormente richiesti sono i profili caratterizzati da esperienza e
competenze di alto livello. 800 le assunzioni previste per lavoratori che si collocano nella fascia medio alta
del mercato, tra dirigenti, specialisti e tecnici, con una quota pari al 23% delle assunzioni totali, percentuale
che supera la media nazionale pari al 21%.
COOPERATIVE. Livelli occupazionali, aumentati negli ultimi cinque anni del 3% soprattutto dalle cooperative
che operano nel settore dei servizi: assorbono il 77% del totale degli operatori, quasi 175mila. Tra questi
emergono sanità e assistenza sociale (con 28.600 addetti), trasporti e logistica (23.600), servizi di pulizia e
altri servizi operativi (22.500) e dal commercio (18.600). Le cooperative industriali occupano 27.700 addetti
e quelle agricole 10.800.
--Intervista al Vicepresidente Olivi: «La valorizzazione delle donne e del lavoro femminile tra le priorità
della nuova Giunta Provinciale»
La voce del Trentino, 4 marzo
Una lunga chiacchierata con Alessandro Olivi, vicepresidente della Provincia autonoma di Trento cui
competono le deleghe allo sviluppo economico e al lavoro, durante la quale si è parlato di lavoro,
di occupazione al femminile, di giovani, di "fare impresa".
Diverse le questioni affrontate, con un progetto innovativo "svelato" in fondo all'articolo, che prevede, per
le donne vittime di violenza, il reinserimento lavorativo presso le cooperative.
Un viaggio attorno ad un assessorato che sta mettendo in campo una serie di interventi e di iniziative
legislative per perseguire un obiettivo ritenuto prioritario nella XV legislatura: "la realizzazione delle pari
opportunità tra uomini e donne per garantire l’eguaglianza e la piena partecipazione di tutti e, in questo
contesto, valorizzare il lavoro femminile".
Vicepresidente Olivi, come ritiene di declinare questo obiettivo?
Si tratta certo di un obiettivo ambizioso, che richiede un impegno a fondo per sviluppare politiche di
sostegno verso il mondo femminile su più livelli e renderle concrete. E’ un obiettivo che richiede interventi
contrassegnati da politiche che toccano vari ambiti di competenza e tra questi il lavoro assume ovviamente
una valenza centrale.
In un’ottica strettamente economica perché la parità tra i generi nel lavoro è importante?
L’attenzione all’occupazione è una delle priorità dei sistemi economici più sviluppati soprattutto per una
questione di convenienza economica oltreché per evidenti ragioni di equità. Le politiche per l’occupazione
femminile rappresentano infatti un volano per lo sviluppo e per la crescita economica, garantendo la
possibilità di creare nuova domanda e quindi nuovi investimenti e nuova occupazione, non solo femminile.
Le donne che lavorano, oltre a generare valore attraverso il loro apporto lavorativo, a loro volta richiedono
servizi di cura per bambini ed anziani, servizi come quelli di pulizia, lavanderia, fast food, mense, bar senza
dimenticare come le donne che lavorano dispongono di una maggiore capacità economica che spendono
spesso in modo diverso, ad esempio privilegiando i consumi di tipo culturale.
E’ noto che le società più avanzate sono quelle dove è più alta la presenza femminile nel mondo del
lavoro: questi contesti consentono una miglior valorizzazione delle risorse potenziali.
Come può essere fotografata, dati alla mano, la presenza femminile nel mondo del lavoro?
Gli indicatori in Italia, ma anche in Trentino, segnalano ancora un non sufficiente utilizzo delle risorse
umane, in particolare di quelle femminili. Sebbene nel corso del 2012 si osservi un ruolo decisivo delle
donne, che più degli uomini hanno aumentato la loro componente attiva nella popolazione, permangono
ancora delle evidenti differenze tra i generi.
Nel 2012 il tasso di attività femminile a livello provinciale si è attestato sul 62,4% (vale a dire che poco più di
6 donne ogni 10 partecipano al mercato del lavoro), mentre la componente maschile si colloca su un più
elevato 77,2% (ovvero quasi 15 punti percentuali di differenza).
E’ poi altrettanto risaputo che il divario in termini di occupazione tra i due generi si conferma ancora
evidente: lavora il 58,1% delle donne a fronte di una quota ben più cospicua della popolazione maschile
(72,8%). Sebbene per questi aspetti il Trentino sia allineato al Nord-est, e quindi presenti degli esiti migliori
del dato nazionale, non riesce a raggiungere, nemmeno a fine 2012, l’obiettivo di Lisbona 2010
sull’occupazione femminile, vale a dire il 60%.
Questo mancato obiettivo genera certamente una perdita anche per il sistema locale. Basti ricordare che,
secondo uno studio della Banca d’Italia del 2011, se il tasso di occupazione femminile previsto dagli
obiettivi di Lisbona fosse davvero stato raggiunto in Italia, il prodotto interno lordo sarebbe potuto crescere
del 7%. La fotografia in termini di genere si conferma impari sia nell’occupazione alle dipendenze che
rispetto alla componente autonoma dove le donne sono metà dei colleghi maschi (14.700 a fronte di
33.700).
Le imprese femminili rappresentano grosso modo un quinto del totale, e sebbene abbiano avuto anche
nella recente crisi – non possiamo infatti dimenticare il contesto di perdurante difficoltà nella quale questi
dati vanno inseriti – risultati migliori della media, per loro è più difficile l’accesso al credito e tendono ad
essere meno coraggiose nelle fasi di avvio di un'impresa.
Le criticità per le imprese rosa riguardano in particolare i campi del reperimento delle risorse finanziarie (da
uno studio di Bankitalia si evince che alle donne sono richieste maggiori garanzie nell’accesso al credito
sebbene siano più affidabili), ma anche l’esercizio stesso dell’attività di impresa a causa degli oneri
di conciliazione famiglia lavoro che gravano sulle imprenditrici.
In generale - sia per le occupate alle dipendenze che per le autonome - il percorso lavorativo di molte
donne mostra delle fragilità essendo segnato da interruzioni legate alla maternità, o da riduzioni dell’orario
lavorativo, che precludono di fatto le possibilità di carriera e di guadagno, o da discriminazioni di
genere che derivano semplicemente da un’immagine stereotipata della figura femminile.
Anche sul versante della carriera lavorativa il quadro è oscurato da una situazione di svantaggio femminile,
poiché le posizioni apicali sono più spesso ad appannaggio della componente maschile.
Nel 2012 le donne con il ruolo di dirigente, nelle aziende con più di 100 dipendenti, sono 600 a fronte di
2.500 maschi. Meno netto, ma comunque significativo, anche il differenziale in relazione ai quadri direttivi
dove il rapporto donne uomini si attesta a 5.000 contro 6.700.
Quali politiche intende sviluppare per migliorare la presenza quantitativa e qualitativa delle donne nel
mondo del lavoro?
La Provincia autonoma di Trento ha dedicato uno spazio di particolare attenzione alla valorizzazione delle
donne nel mercato del lavoro, varando numerosi interventi sia sul versante della loro presenza
nell’occupazione sia su quello, altrettanto cruciale, della creazione di fattori, per così di dire, di contesto
legati ad una migliore conciliazione famiglia lavoro.
Vediamo nell’ordine i diversi tipi di proposte. Il contributo alla crescita dell’occupazione femminile, si
sostanzia in molti casi in misuredi sostegno alle assunzioni a categorie deboli di lavoratori, che diventano
più favorevoli nel caso della componente femminile, che nel mondo del lavoro tende purtroppo a scontare
condizioni peggiori rispetto a quella maschile.
In taluni casi è un generale disorientamento, talvolta associato ad un deficit formativo, a determinare la
condizione di disoccupazione delle ragazze che scelgono spesso indirizzi umanistici o comunque percorsi
non direttamente spendibili nel mondo del lavoro finendo con il subire lunghi periodi di disoccupazione.
L’aiuto previsto dal piano di politica del lavoro, in questi casi, riguarda l’offerta di un servizio di
orientamento e di successivo inserimento nel mondo dell’istruzione, della formazione o del lavoro al fine di
valorizzare al meglio le loro capacità e le loro attitudini. Percorsi di tirocini guidati e contributi
all’assunzione completano la strumentazione messa in atto allo scopo.
Le difficoltà di trovare un lavoro si accentuano per le donne con figli da crescere certamente anche per i
problemi di conciliazione del lavoro con quello della cura dei figli.
Per questa ragione l'Agenzia del lavoro sostiene le madri disoccupate attraverso un progetto del Piano di
politica del lavoro, offrendo loro un percorso per compiere un'analisi delle proprie competenze
professionali e formative per aggiornarle o adattarle alle esigenze di un mercato del lavoro in continuo
cambiamento.
Le partecipanti rifletteranno sulle necessità conciliative che limitano le loro opportunità lavorative per
poter delineare un progetto professionale che medi tra lavoro e vincoli familiari. A seguito del percorso di
orientamento sarà possibile seguire un tirocinio funzionale ad un futuro ingresso nel mondo del lavoro.
Come si può arrivare a costruire un contesto più favorevole alle necessità di conciliazione, che promuova
anche un più equo coinvolgimento tra i due generi nel mondo del lavoro?
Gli orari di lavoro, in presenza di carichi di cura familiari, talvolta pregiudicano la permanenza stessa della
donna dentro il lavoro. L’Agenzia del lavoro, oltre a concedere contributi per la concessione di part-time a
lavoratrici con carichi di cura, offre uncontributo fino a 25 mila euro alle organizzazioni private che si
impegnino nell’attuazione di progetti che promuovano innovazioni organizzative e nei regimi di orari in
relazione agli impegni di familiari dei lavoratori.
Il piano di politica del lavoro si propone anche di favorire una maggiore partecipazione dei padri nelle
attività di cura grazie ad un più diffuso utilizzo del congedo parentale.
Per sviluppare una maggior corresponsabilità tra i generi nella crescita dei figli e sostenere l’occupazione
femminile, si concede uncontributo ai padri che siano occupati con un contratto di lavoro di diritto privato
e che chiedono almeno un mese di congedo parentale in alternativa alla madre lavoratrice subordinata.
Il contributo si aggiunge a quello riconosciuto dall’Inps ed è pari al 30% della retribuzione o al 40%, a
seconda del periodo in cui lo utilizza. Per ogni figlio è concesso per un massimo di 4 mesi nel limite di 900
euro.
Ci sono delle risposte anche sul versante delle imprese femminili?
Una risposta al mondo imprenditoriale arriva dall’Apiae, l’Agenzia provinciale per l’incentivazione delle
attività economiche, che offreincentivi per il sostegno della nascita e per il consolidamento di nuove
imprese femminili.
Si tratta di contributi una tantum concessi sui costi di avvio dell’attività ed in particolare per le spese legali,
amministrative e di consulenza per la costituzione delle imprese nonché per i costi di energia, acqua,
riscaldamento e per gli interessi su finanziamenti bancari per i primi 5 anni di attività.
Il contributo nei primi due anni può arrivare al 50% dei costi per poi scalare nei successivi anni fino al
quinto.
Alle imprese femminili che hanno anche il requisito di imprese giovanili è riconosciuta sempre la
percentuale massima del 50% per tutti i 5 anni. Inoltre in relazione agli investimenti fissi sostenuti nei primi
due anni di attività le imprese femminili possono ottenere la percentuale massima prevista per tale
tipologia di contributo ossia il 30% delle spese previste.
L'Agenzia del lavoro di Trento, nel pacchetto di misure a sostegno dell'occupazione femminile, ha pensato
invece a sostenere tutte le lavoratrici non dipendenti con necessità familiari offrendo contributi da
impiegare per la loro temporanea sostituzione in azienda.
Uno dei progetti a finalità conciliativa del Piano di politica del lavoro è infatti dedicato alle lavoratrici
autonome /imprenditrici che devono accudire figli minori conviventi, familiari anziani.
Grazie all'affiancamento o alla sostituzione temporanea con una persona esperta in gestione aziendale,
detta Co-manager,l'imprenditrice si può assentare con maggiore serenità dalla propria attività.
Le due parti devono sottoscrivere un contratto e il programma di lavoro, i settori dell'azienda interessati e
che quantifica l'apporto lavorativo necessario. Dopo la stipula di questo contratto, l'imprenditrice inoltra la
domanda ad Agenzia lavoro che può stanziare un contributo fino a 25 mila euro.
E, quindi, come ritiene di promuovere la progressione di carriera delle donne?
Per perseguire equità e migliore allocazione del potenziale, l’intervento dell’Agenzia del Lavoro punta a
promuovere percorsi di carriera o assunzioni in mansioni di elevato livello o contenuto di responsabilità
dove le donne risultano sotto rappresentate. Anche in questo caso l’eventuale finanziamento per percorsi
di formazione funzionali all’inserimento in azienda si associano a contributi biennali ai datori di lavoro.
Nonostante questi interventi, però, lei stesso ammette che si debba fare di più, dove pensa di intervenire in
questa legislatura?
Abbiamo visto come la situazione trentina sia sicuramente migliore di quella nazionale, ma non ancora in
linea con i paesi del nord Europa, soprattutto per i tassi di attività e di occupazione. Intendo, quindi,
proporre un ulteriore pacchetto di misure che, da un lato, favorisca l’ingresso nel mondo del lavoro delle
donne, dall’altro, eviti che la maternità ponga le donne di fronte alla scelta tra famiglia e lavoro ed, infine,
credo che si debba lavorare per migliorare la qualità del lavoro di tutti, uomini e donne.
Per quanto riguarda la fase di ingresso, si deve operare in stretta correlazione con il sistema di
orientamento scolastico per favorirel’accesso delle donne ai percorsi scolastici ed universitari che
richiedono competenze tecniche e scientifiche.
In questo senso l’idea di creare una città dei mestieri, che, ovviamente, è rivolta a tutti, uomini e donne,
disoccupati e lavoratori, giovani ed adulti, costituisce un importante passo verso la cultura
dell’orientamento, l’orientamento come diritto.
In fondo la maggior parte delle nostre scelte professionali derivano da decisioni che abbiamo preso da
giovani, scegliendo la scuola o l’università. Per le donne queste scelte sono ancora più impattanti, perché
esiste un collegamento molto stretto tra tasso di occupazione femminile e titolo di studio.
Quindi le famiglie ed i ragazzi devono essere consapevoli che la scelta dei percorsi scolastici è molto
importante e devono essere supportati con lo strumento dell’orientamento. Intendo poi portare a regime e
dare nuovo impulso agli strumenti già esistenti per favorire l’ingresso nel mercato del lavoro delle donne
con titoli di studio deboli o di quelle che vogliono rientrare dopo lunghi periodi di assenza.
Per quanto riguarda la necessità di creare le condizioni affinché anche le mamme non debbano scegliere tra
famiglia e lavoro, intendosostenere tutti gli strumenti di conciliazione, siano essi i voucher di servizio, che la
diffusione del part time, ma soprattutto, voglio cercare di favorire gli adeguamenti organizzativi che
permettano a tutti, uomini e donne, di poter conciliare i tempi di vita e quelli di lavoro.
Non dimentichiamo che il fenomeno della valutazione del personale sulla base della permanenza in ufficio
piuttosto che dei risultati ottenuti costituisce un modello di organizzazione tipicamente italiano e che va
superato per il bene di tutti, uomini e donne.
Migliorare la qualità del lavoro è una sfida culturale certo non facile, che passa attraverso strumenti più
tradizionali, ma non per questo poco efficaci, come la formazione per tutto l’arco della vita, strumenti di
conciliazione e, come dicevo prima un nuovo modello di organizzazione del lavoro.
Infine, vorrei ricordare che il lavoro è anche un fattore decisivo per la realizzazione della persona e della
propria autonomia. Spesso, la dipendenza economica delle donne porta alla dipendenza psicologica ed
all’isolamento, tutti elementi che costituiscono purtroppo il perfetto habitat per situazioni di sopraffazione
che possono sfociare nella violenza.
Sono perfettamente consapevole del fatto che la mancanza di lavoro non è la causa della violenza sulle
donne, e che un lavoro non costituisce la soluzione di tutti i mali, credo però che sia importante cercare di
aiutare le donne vittime di violenza a raggiungere un’autonomia economica ed a reinserirsi nella società, e
che questo avvenga soprattutto attraverso il lavoro.
Per questo motivo voglio proporre un progetto specifico in tal senso, prevedendo che le donne vittime di
violenza, segnalate dai servizi sociali, possano essere destinatarie di progetti di reinserimento lavorativo
presso le cooperative sulla base dell’intervento 18 del piano di politica del lavoro.
--Start up. La Fidapa aiuta l’imprenditoria femminile con un bando per 5mila euro
ImperiaPost.it, 4 marzo
La F.I.D.A.P.A. (Federazione Italiana Donne Arti Professioni Affari) sempre attenta alle problematiche socioeconomiche della nostra società, ha deciso di lanciare un’iniziativa di grande interesse, naturalmente rivolta
alle donne. Si tratta di un consistente aiuto per l’avvio di nuove attività. In sostanza, la FIDAPA ha deciso di
premiare le donne che creeranno nuove imprese di tipo innovativo e per questo ha bandito un concorso il
cui titolo “Start Up” è indicativo della volontà di stimolare una crescita dell’imprenditoria femminile
fornendo supporto alle donne che intendano intraprendere tale cammino e che per propria formazione o
esperienza professionale si trovino in condizione di “svantaggio” nella creazione e nell’avvio di un’attività.
La FIDAPA si propone dunque di sostenere la diffusione di cultura imprenditoriale e la creazione di nuove
imprese e attività di lavoro autonomo in ambito femminile per combattere la disoccupazione favorendo la
nascita di nuovi posti di lavoro in particolare per i giovani. Come? Ogni distretto della FIDAPA BPW- Italy
erogherà un contributo di 5.000 euro alla vincitrice del bando.
Ma non solo: assicurerà alla vincitrice e anche ad altre candidate selezionate:
1. Corsi di formazione volti a fornire le conoscenze di base in materia di costruzione di società, con
particolare riferimento a tutte le questioni inerenti al finanziamento di una start up;
2. Assistenza nel perfezionamento della stesura dei progetto d’impresa;
3. Assistenza nella ricerca di potenziali investitori o partner.
La FIDAPA si avvarrà della collaborazione di docenti universitari, Camere di Commercio, Assessorati,
Confindustria, Fondazioni bancarie e di altri Enti, Istituzioni, Associazioni di categoria che possano
contribuire a vario titolo alla realizzazione del progetto.
Il bando è aperto a tutte le donne che vogliano intraprendere una nuova impresa, che ha come scopo lo
sviluppo, la produzione e la commercializzazione di un bene o di un servizio basato sulla valorizzazione
economica dei risultati della ricerca o che impiega nella propria attività un forte tasso d’innovazione.
Per ogni ulteriore informazione e per conoscere le modalità di partecipazione, rivolgersi a:
[email protected]
--Elezioni amministrative, al via le quote rosa
Ntr 24 TV, 4 marzo
La spending review si abbatte sulla politica locale e mostrerà i suoi effetti sulle elezioni amministrative di
Maggio, quando in provincia di Benevento, saranno chiamati al voto i cittadini di 28 comuni. Gli effetti più
visibili saranno sicuramente i tagli al numero dei consiglieri comunali e, di conseguenza, i costi. Con il
rinnovo della Giunta e dei Consigli comunali si applicheranno infatti le norme in materia di contenimento
delle spese degli enti locali che prevedono la riduzione di circa il 20% del numero di consiglieri e degli
assessori comunali.
Nei Comuni che hanno fino a mille abitanti, verranno eletti sei consiglieri (non più nove) e il sindaco,
mentre non è più prevista la figura degli assessori: tutte le competenze della giunta comunale verranno
attribuite esclusivamente al primo cittadino. Al Sindaco spetterà anche il compito di nominare il suo vice tra
i consiglieri.
Nei Comuni con popolazione da 1.001 a 3 mila abitanti, il numero dei consiglieri passerà da nove a sei,
mentre gli assessori saranno al massimo due. I municipi con residenti tra i 3.001 e i 5 mila, avranno 7
consiglieri (non più 12) e la giunta sarà composta al massimo da tre persone. Per i Comuni che hanno tra i
5.001 e i 10 mila abitanti, il numero dei consiglieri scende da 12 a 10, mentre quello degli assessori resta
fermo a quattro.
Per i comuni al voto è considerata popolazione legale quella risultante dal Censimento 2011.
Le sorprese per chi in primavera si recherà alle urne non finiscono qui. Al voto i cittadini troveranno anche
la novità sull’alternanza di genere. Perché le liste che si presenteranno alle amministrative nel 2014
dovranno, secondo una legge introdotta alla fine del 2012, rappresentare in modo equilibrato uomini e
donne. La legge 23 novembre 2012, n. 215 reca infatti disposizioni volte a promuovere il riequilibrio delle
rappresentanze di genere, modificando la legge per l’elezione dei Consigli comunali con l’introduzione di
misure volte a rafforzare la presenza delle donne.
Le proporzioni da rispettare non sono però le stesse in tutti i Comuni, variano in base a tre fasce
demografiche.
Per i Comuni con meno di 5 mila abitanti, vale il principio secondo cui “nelle liste dei candidati deve essere
assicurata la rappresentanza di entrambi i sessi”. E solo in questi piccoli enti non sono previste sanzioni per
le liste che non assicurano la rappresentanza di entrambi i sessi.
Per i Comuni che hanno un numero di abitanti compreso tra 5 mila e 15 mila, la normativa è più puntuale:
viene definita una quota massima di candidati del genere più rappresentato in ciascuna lista, che
dev’essere pari a due terzi dei candidati (ammessi) della stessa lista. Nei municipi con più di 15 mila
abitanti, la legge stabilisce che nessuno dei due sessi possa essere rappresentato in ciascuna lista in misura
superiore a due terzi dei candidati (ammessi).
Nissan nominata "Nadeshiko Brand" dalla Borsa di Tokyo, un'azienda che sostiene le donne
GreenBiz.it, 4 marzo
Nissan ha ricevuto il titolo di "Brand Nadeshiko" dalla Borsa di Tokyo (TSE) per aver saputo costruire un
ambiente di lavoro favorevole alla presenza delle donne.
Il titolo "Nadeshiko" è l'emblema di un'iniziativa congiunta, lanciata dalla Borsa di Tokyo e dal Ministero
dell'Economia, Commercio e Industria giapponese, che premia le aziende quotate in prima sezione della
TSE che si impegnano a promuovere l'occupazione femminile. Il progetto Nadeshiko è stato lanciato nel
2012 ed è la seconda volta che Nissan ottiene questo riconoscimento. In giapponese nadeshiko è un fiore
rosa, che simboleggia la forza e la spinta all'autonomia delle donne.
La Borsa di Tokyo ha scelto Nissan con questa motivazione:
"Nissan Motor Co., Ltd. pone la diversità al centro della propria strategia di management. Sostiene la
diversità di genere e la partecipazione attiva delle donne in azienda, favorendo la carriera professionale, lo
sviluppo e l'aggiornamento delle competenze, e valorizzando la diversità di genere nella formazione dei
nuovi manager. Non a caso, nell'aprile del 2013, la quota di donne manager in organico è aumentata al
6,8% e quella relativa al livello dai direttori in su ha raggiunto il 4,7%. Per incoraggiare una gestione
equilibrata del rapporto casa-lavoro per i propri dipendenti, Nissan ha varato diversi programmi di
supporto, tra cui un efficiente sistema di work-at-home nel 2013, che promuove i concetti di efficienza e
flessibilità nelle dinamiche lavorative". (Estratto tradotto dal comunicato stampa emesso dalla Borsa di
Tokyo)
Nissan promuove attivamente la diversità come punto di forza del marchio. Le donne hanno la
responsabilità decisionale di oltre il 60% degli acquisti di nuove auto ed è quindi essenziale sviluppare
prodotti e servizi che tengano conto del punto di vista femminile. Per rispondere alle esigenze di mercato,
Nissan sta creando un ambiente di lavoro dove le donne possano ricoprire una parte attiva nella gestione
dei progetti e delle attività aziendali.
--Il mappamondo del lavoro femminile (e la scorpacciata di statistiche per l'8 marzo)
Sole 24 Ore, 3 marzo
Lavoro vuol dire indipendenza economica. Indipendenza economica vuol dire indipendenza di scelte.
Indipendenza di scelte vuol dire poter esercitare i propri diritti. Ecco perché diventa centrale la lotta alla
disoccupazione femminile. Senza contare poi i risvolti macro: un Paese dove le donne non lavorano è un
Paese dove metà del potenziale economico non viene sfruttato. Questo, come scrive Max Fisher sul
Washington Post, rende tutti più poveri.
Per questo Fischer si è dedicato alla mappatura mondiale dell'occupazione femminile in base ai dati dei
World Development Indicators della Banca Mondiale. In rosso i Paesi in cui l'occupazione femminile è sotto
il 25% e via via verso il blu quelli in cui l'occupazione femminile è più alta. L'americano Fisher spiega il color
violetto dell'Europa con l'impegno di molti Paesi europei ad attuare politiche di "ripopolamento". In
soldoni, le donne starebbero lavorando poco perché sono impegnate a far figli. Non è proprio così, caro
Fisher. Le europee faticano a trovare lavoro a causa della crisi e come abbiamo scritto più volte, quando
non lo trovano si reinventano come imprenditrici pur di lavorare.
Il tema è un po' più complesso. Il timore è che con l'occasione dela festa della donna il prossimo 8 marzo si
faccia la solita scorpacciata di numeri e di statistiche, che lasciano un po' il tempo che trovano. Tanto più
che in Italia è completamente scomparsa la delega per le Pari Opportunità. Forse che il premier Matteo
Renzi ritenga sufficiente la parità numerica fra i ministri per dare all'Italia la disgnità di un Paese senza gap
di genere?
--“La vie en rose”, mercoledì a Modena una giornata per il lavoro
Sassuolo2000.it, 3 marzo
Imparare a compilare un curriculum vitae e a leggere una busta paga; orientarsi tra le tante tipologie di
contratto e conoscere incentivi e opportunità per l’occupazione femminile e giovanile e per ricollocarsi
professionalmente; riconoscere le discriminazioni salariali e di genere. Sono alcune delle possibilità offerte
da “La vie en rose”, una giornata di orientamento al lavoro attraverso workshop e incontri con esperti che
si svolgerà mercoledì 5 marzo, dalle 9,30 alle 12,30, alla Facoltà di Giurisprudenza di Modena (in via San
Geminiano 3). L’iniziativa, di ambito nazionale, programmata contemporaneamente anche a Roma e Bari, è
proposta dalla Consigliera di parità nazionale, dal ministero del Lavoro e dall’Ordine dei consulenti del
lavoro in collaborazione con la Provincia di Modena e l’Università degli studi di Modena e Reggio Emilia.
«La scelta del mese di marzo, mese tradizionalmente dedicato alle donne, non è casuale – spiega Barbara
Maiani, consigliera provinciale di parità – noi però abbiamo scelto di non fare una giornata celebrativa ma
di proporre un sostegno concreto alle donne e ai giovani per aiutarli a capire quali sono gli strumenti a
disposizione per entrare e muoversi con maggior sicurezza e consapevolezza nel mondo del lavoro».
La giornata è organizzata in tanti workshop tenuti da esperti della Direzione territoriale del lavoro e dei
Centri per l’impiego, dalla stessa consigliera di parità e da consulenti del lavoro e docenti universitari che
saranno a disposizione del pubblico per dare indicazioni concrete, rispondere a domande e risolvere dubbi.
«L’assessorato alle Pari opportunità ha aderito da subito all’iniziativa – commenta l’assessore provinciale
Marcella Valentini – dal momento che per noi la conoscenza è lo strumento prioritario per orientare le
donne nella scelta del proprio lavoro, autonomo o dipendente che sia. E sappiamo bene che per il nostro
territorio il lavoro ha sempre rappresentato per le donne la principale via di un’emancipazione che è stata
determinante per la crescita del nostro tessuto economico e culturale». «La disoccupazione giovanile
femminile in provincia – aggiunge Cristina Ceretti, assessore provinciale al Lavoro – è al 33 per cento,
rispetto al 15 di quella giovanile maschile. Mostrando sempre il dato accorpato si fa un torto alla realtà: le
giovani donne sono le più esposte alla fragilità del nostro tempo, nonostante abbiano un’istruzione più
elevata e sia dimostrato che sono ormai indispensabili per il mercato del lavoro».
“La vie en rose” prenderà il via alle 9,30 con la presentazione della giornata. Dalle 10,15 si apriranno i
workshop tematici che tratteranno di ruolo e funzioni della Consigliera di parità; lavoro irregolare e
discriminazioni salariali; lavoro flessibile e principali tipologie contrattuali; incentivi per l’occupazione
femminile e giovanile; servizi di inserimento lavorativo e ricollocazione professionale; agevolazioni per la
start up e creazione di nuove imprese; la ricerca del lavoro nell’era digitale; istruzioni per affrontare un
colloquio di lavoro e scrivere un curriculum vitae vincente; tirocini curricolari e di orientamento.
--Dramma Sud, il 50 per cento dei giovani è senza lavoro. Ecco i dati
RestoalSud.it, 3 marzo
Quasi mezzo milione di occupati in meno nel 2013, 3,1 milioni di disoccupati in media d’anno e una
disoccupazione giovanile al Sud che supera il 50%: i dati sul mercato del lavoro diffusi oggi dall’Istat non
segnalano un’inversione di tendenza nel 2014 con il tasso di disoccupazione a gennaio che vola al 12,9% e
quasi 3,3 milioni di persone alla ricerca di impiego.
Ecco in sintesi i numeri della crisi per il mercato del lavoro: TASSO DISOCCUPAZIONE GENNAIO RECORD A
12,9%: il tasso dei senza lavoro è il più alto dall’inizio delle serie storiche mensili (2004) ma anche dalle
trimestrali (1977). Cresce di 0,2 punti su dicembre e di 1,1 punti su gennaio 2013. I disoccupati registrati nel
mese sono 3.293.000, più che raddoppiati rispetto a gennaio 2007 (1.513.000). Il tasso di occupazione
scende al 55,3%. I posti persi rispetto a gennaio 2012 sono 330.000.
Per i giovani la disoccupazione vola al 42,4%. 2013 ANNO PEGGIORE CRISI: nell’anno gli occupati sono
diminuiti di 487.000 unità rispetto al 2012 (-2,1%), dato peggiore anche del 2009. Cala soprattutto
l’occupazione maschile (-350.000) mentre l’occupazione femminile scende dell’1,4% (-128.000 unità). Tra il
2008 e il 2013, in media annua, si sono persi quasi un milione di posti di lavoro (984.000).
CRESCE DISOCCUPAZIONE GIOVANI, AL LAVORO SEMPRE PIÙ ‘VECCHI’: nel 2013 il calo degli occupati
(478.000) è il risultato soprattutto del crollo dell’occupazione giovanile (482.000 occupati in meno tra i 15 e
i 34 anni) e della fascia centrale (-235.000 unità tra i 35 e i 49 anni) mentre la fascia più anziana guadagna
terreno (+239.000 over 50). Il tasso di disoccupazione giovanile tra i 15 e i 24 anni arriva al 40% con un
picco del 51,6% nel Sud (53,7% le giovani donne nel Sud).
SOFFRONO INDUSTRIA E COSTRUZIONI: Nel 2012 l’occupazione nell’industria in senso stretto diminuisce di
89.000 unità (-1,9%) concentrandosi nelle imprese medie e grandi. Si accentua la flessione nelle costruzioni
(-163.000 unità pari a un -9,3%). L’occupazione si riduce anche nel terziario (-1,2% pari a 191.000 unità in
meno) con cali soprattutto nella pubblica amministrazione e nel commercio.
AUMENTANO SCORAGGIAMENTO A DISOCCUPAZIONE LUNGA DURATA: Crescono in maniera
sostenuta(+11,6%) coloro che rinunciano a cercare lavoro perchè pensano di non trovarlo (i cosiddetti
scoraggiati) arrivati a quota 1.790.000. L’incidenza della disoccupazione di lunga durata (12 mesi) sale dal
52,5% al 56,4% nel 2013.
DRAMMA SUD: nella media 2013 il tasso di disoccupazione è stato pari al 12,2% ma nel Sud ha raggiunto il
19,7% mentre nel Nord è all’8,4% (10,9% al Centro). Il tasso di disoccupazione ha ampiamente sforato il
20% in Calabria (22,2%), Campania (21,5%) e Sicilia (21%) mentre è al 5,5% in Trentino e all’8,1% in
Lombardia. In Campania nel 2013 lavoravano meno di 4 persone su 10 tra i 15 e i 64 anni (39,8%), un dato
appena superiore al tasso di occupazione in Calabria (39%) e Sicilia (39,3%).
--Occupazione ai minimi storici in Fvg, sotto la soglia dei 500 mila
Non accadeva da tredici anni. Un dato allarmante quello diffuso dall'Istat: nel 2012 persi quasi
settemila occupati (-1,3%)
Il Messaggero Veneto, 28 febbraio
UDINE. Il 2013 segna il livello più basso di occupati in Friuli Venezia Giulia, al di sotto della soglia di 500 mila
persone. Non accadeva da tredici anni. Un dato allarmante quello diffuso ieri dall’Istat, anche perché, se
confrontato con il 2012, fa emergere una diminuzione di occupati in regione di quasi 7 mila unità (6 mila
700, meno 1,3%).
Numeri a cui Alessandro Russo, ricercatore di Ires Fvg, tenta di dare una spiegazione. «L’ultimo anno –
afferma Russo – si conferma come il punto più basso finora toccato dall’economia regionale dall’inizio della
crisi, almeno per quanto riguarda i drammatici effetti sull’occupazione. Il numero di occupati si attesta a
499 mila 800, scendendo per la prima volta dal 2000 sotto le 500 mila unità (nel 2007 erano 522 mila)».
Sconfortante anche il dato relativo a chi un lavoro lo sta cercando: nel 2013 sono state 41 mila 800
persone, in crescita del 12,9% rispetto all’anno precedente (nel 2007 erano appena 18 mila 500). «Si tratta
– ricorda Russo – del valore più elevato registrato negli ultimi vent’anni, ossia dal 1993, primo anno in cui
esistono delle serie storiche confrontabili a livello regionale».
A preoccupare il ricercatore dell’Ires è soprattutto l’aumento esponenziale di disoccupati di sesso maschile.
«Il numero di disoccupati maschi è quasi triplicato rispetto ai livelli pre-crisi, passando dai 7 mila 600 del
2007 ai 20 mila 200 del 2013 – evidenzia –. La difficoltà della nostra regione si rileva anche da questo dato,
in quanto elevati livelli di disoccupazione non sono una novità per la componente femminile neanche in
Friuli Venezia Giulia. Lo sono, però, per quella maschile: la crisi, com’è noto, ha colpito soprattutto i settori
a più alta intensità di lavoro maschile, ossial’industria e l’edilizia».
In un tale contesto, il tasso di disoccupazione relativo al 2013 è cresciuto di un punto percentuale rispetto
all’anno precedente, risultando pari al 7,7%. Il tasso di disoccupazione femminile ha raggiunto un valore
piuttosto alto, pari al 9,1% (quello maschile è fermo al 6,6%). «Un altro elemento decisamente allarmante –
continua nella sua analisi Alessandro Russo – è costituito dall’andamento negativo che si riscontra nei
servizi: è la prima volta dall’inizio della crisi che diminuiscono gli occupati nel terziario, passati nell’ultimo
anno da 237 mila 300 a 234 mila 500. Si tratta dell’unico comparto che aveva mostrato una tenuta nel
recente passato, in particolare sul fronte dell’occupazione femminile». Dopo i servizi, a soffrire di più sono
le categorie commercio, alberghi e ristoranti (meno 2,8%), costruzioni (meno 3,5%) e industria (meno
0,5%).
A livello territoriale, il calo dell’occupazione si concentra nelle province di Gorizia e Pordenone.
«L’epicentro della crisi, in Friuli Venezia Giulia – chiarisce Russo – sembra ormai essersi spostato proprio
nella provincia di Pordenone, che presenta una situazione particolarmente difficile con lecrisi aziendali di
Electrolux e Ideal Standard».
Un’ulteriore conferma di questa difficile situazione nella Destra Tagliamento arriva dal dato relativo alle ore
di cassa integrazione straordinaria (+28% nel 2013, in contrapposizione alle diminuzioni registrate nelle
province di Udine e Gorizia) e in deroga (+37% in un anno) nel Friuli occidentale.