ALIMENTARE LA PA E LA QUALITÀ

Poste Italiane s.p.a. – Spedizione in Abbonamento Postale – D.L. 353/2003 (conv. in L.27/02/2004 n°46) art.1 comma 1 – DCB Milano - Contiene I.P. - In caso di mancato recapito si prega inviare al CMP Roserio per la restituzione al mittente che si impegna a pagare il diritto fisso dovuto.
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Numero 1/2011
G e n n a i o / Fe b b r a i o
ALIMENTARE
GLI ENTI
LA SICUREZZA
IL BIOLOGICO
AGRICOLTURA SOCIALE
LA PA E LA QUALITÀ
NELLE
L'AVANZAMENTO
IL MODELLO CAF
CAMERE DI COMMERCIO
BENESSERE E LAVORO
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Associazione Italiana Cultura Qualità
FEDERAZIONE NAZIONALE
SETTORI TECNOLOGICI
20124 Milano - via Cornalia, 19
tel. 02 66712484 - fax 02 66712510
[email protected] - http://www.aicq.it
Presidente: Vincenzo Mazzaro
Vicepresidenti: Marco Gentilini, Giovanni Mattana
Assemblea: Giovanni Romano; Federica Galleano;
Santo Paternò; Antonio Lanzotti; Ettore La Volpe; Franco
Drusiani; Marco Gentilini; Alberto Bobbo; Giovanni Mattana
Giunta esecutiva: Giovanni Romano; Alessandro Manzoni;
Giovanni Mattana; Marco Gentilini; Walter Piacentini;
Santo Paternò; Ettore La Volpe; Alberto Bobbo
Segretario Generale: Giacomo Casarino
Segreteria Nazionale: Annalisa Rossi
Settore Alimentare
c/o Associazione Italia Centronord
Presidente: Claudio Mariani
Settore Autoveicoli
c/o Associazione Piemontese
Presidente: Stefano Monaco
Settore Costruzioni Civili
c/o Associazione Centro Insulare
Presidente: Pietro Fedele
Settore Elettronico ed Elettrotecnico
c/o Associazione Italia Centronord
Presidente: Giovanni Mattana
Settore Servizi per i Trasporti
c/o Associazione Centro Insulare
Presidente: Sergio Bini
Settore Turismo
c/o Associazione Piemontese
Presidente: Caterina Fioritti
Settore Trasporto su Rotaia
c/o AICQ Nazionale
Presidente: Gianfranco Saccione
Settore Scuola
c/o Associazione Italia Centronord
Presidente: Paolo Senni Guidotti Magnani
ASSOCIAZIONI TERRITORIALI DELLA FEDERAZIONE
AICQ - Associazione Italia Centronord
20124 Milano - via M. Macchi, 42 - tel. 02 67382158
fax 02 67382177 - [email protected]
Presidente: Giovanni Romano
AICQ - Associazione Piemontese
10128 Torino - via Genovesi, 19 - tel.011 5183220
fax 011 537964 - [email protected]
Presidente: Federica Galleano
AICQ - Associazione Tosco Ligure
c/o CIPAT Via dei Pilastri n°1/3 50121 Firenze
Tel. e fax 055 481524
Presidente: Ettore La Volpe
AICQ - Associazione Triveneta
30174 Mestre (VE) - Galleria Giacomuzzi, 6
tel. 041 951795 fax 041 940648 - [email protected]
Presidente: Alberto Bobbo
AICQ - Associazione Emilia Romagna
40129 Bologna - via Bassanelli, 9/11
tel. 3355745309 - fax 051 0544854 - [email protected]
Presidente: Franco Drusiani
AICQ - Associazione Centro Insulare
00185 Roma - via di San Vito, 17 - tel. 06 4464132
fax 06 4464145 - [email protected]
Presidente: Marco Gentilini
AICQ - Associazione Meridionale
80125 Napoli - via Giulio Cesare, 101 - tel. 081 2396503
fax 081 6174615 - [email protected]
Presidente: Antonio Lanzotti
AICQ - Associazione Sicilia
90139 Palermo - via F. Crispi 120,
c/o Ordine degli Ingegneri
della Provincia di Palermo
cell. 334. 95 49 274 - fax 091 9889355
- [email protected]
Presidente: Santo Paternò
COMITATI TECNICI
Comitato Ambiente
c/o Associazione Italia Centronord
Presidente: Claudio Rosso
Comitato Benchmarking/TQM
c/o Associazione Italia Centronord
Presidente: Romina Donazzi
Comitato Metodi Statistici
c/o Associazione Nazionale
Presidente: Egidio Cascini
Comitato Metodologie
di Assicurazione della Qualità
c/o Associazione Centro Insulare
Presidente: Francesco Carrozzini
Comitato Normativa e Certificazione
dei Sistemi Gestione Qualità
c/o Associazione Nazionale
Presidente: Cecilia de Palma
Comitato Qualità
del Software e dei servizi IT
c/o Associazione Italia Centronord
Presidente: Mario Cislaghi
Comitato Risorse Umane e Qualità del Lavoro
c/o Associazione Triveneta
Presidente: Piero Dettin
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sommario
L’agricoltura sociale
16
Alfonso Pascale
La certificazione di qualità
nel settore biologico
21
Federica Murmura, Alessandro Mengozzi
Sistema ristorazione
24
Enza Laretto
editoriale
tema 2
La rivista Qualità compie 40 anni
La PA e la Qualità
3
Qualità nella PA
Giovanni Mattana
26
Giovanni Mattana
attualità
Accredia – l’ente unico italiano
di accreditamento
PA: il modello Caf per l’autovalutazione
4
32
Italo Benedini
Federico Grazioli
tema 1
Alimentare
Il D.Lgs n°150/2009 nelle camere
di commercio
37
Antonio Biasi
Introduzione al tema agroalimentare
6
Benessere e lavoro nelle PA
Claudio Mariani
40
Paola Michelini
ICQRF - tutela qualità e repressione frodi
7
Elena Chiappara
Qualità ha 40 anni
43
Giovanni Mattana
Gli Istituti Zooprofilattici Sperimentali
9
Andrea Cereser
Qualità dal mondo
47
Giovanni Mattana
L’agenzia delle dogane e il controllo
degli alimenti
11
Silvia Fremiotti
Rubrica Certiquality
49
Armando Romaniello
Sicurezza alimentare e sostenibilità
13
Maria Chiara Ferrarese, Adriana Ramella
Corsi
51
Redazione
Si ringraziano tutti coloro che hanno contribuito ed in particolare il Settore Agroalimentare ed il suo Presidente
n. 1 gennaio/febbraio 2011
Edizione Nazionale AICQ
Autorizzazione del Trib. di Torino
n. 783 del Registro del 28/11/52
ISSN 2037-4186
Direttore responsabile
Giovanni Mattana
Redazione
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Composto da: Giovanni Mattana (coordinatore),
Presidente AICQ, Sergio Bini, Claudio Rosso,
Pietro Fedele, Egidio Cascini,
Mario Cislaghi, Cecilia de Palma, Piero Dettin,
Italo Benedini.
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Mediavalue srl
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3
Giovanni Mattana
Insegnamenti del passato per costruire il futuro
La rivista Qualità è nata nel 1971, come evoluzione di due notiziari informativi delle Sezioni di Milano e di Torino, attivati dieci anni prima. Nei suoi
40 anni di storia, insieme agli Atti dei 23 Convegni biennali, ha rappresentato un grande contributo alla diffusione della cultura della Qualità in Italia.
Per ricordare questo contributo, nel corso dell’anno, ripubblicheremo alcuni contributi significativi.
Ma vorremmo che la ricorrenza fosse un’occasione per renderci più consapevoli del percorso compiuto e anche dei perché dell’evoluzione, in
modo da essere più maturi nell’avventurarci verso le scelte del futuro.
Quali i mega trend degli ultimi 30 anni?
Nella nuova Rubrica dedicata a questa ricorrenza, pubblichiamo la prolusione del prof. Francesco Brambilla al Convegno Nazionale AICQ del
1980. È un contributo che ci sembra particolarmente significativo non solo per capire cosa caratterizzava la qualità degli anni ’60 e ’70 ma anche per i molti aspetti che evidenzia: humus culturale, consapevolezza del valore universale dei metodi statistici della qualità, impegno alla loro diffusione, orgoglio della professione. Emblematico di una cultura altamente specialistica, consapevole di possedere una competenza nuova
e forte, capace di risolvere in modo nuovo una intera classe di problemi, con un forte impegno costruttivo, non solo descrittivo. Leggerlo può essere una scoperta oltre che una emozione.
Ma, se cerchiamo di storicizzare il percorso della Qualità, appare chiaro che quel notevole livello aveva un limite, costituito dalla incidenza parziale sul complesso dell’organizzazione. C’era bisogno di allargare la disciplina della Qualità a tutta l’organizzazione.
E i successivi anni ’80 hanno segnato questo passaggio con risultati clamorosi:
• Il TQM ha introdotto nuovi valori e principi di management (processi, orientamento ai clienti, ruolo delle persone,..) che si sono dimostrati estremamente pervasivi nelle organizzazioni e che hanno costituito una svolta epocale sia nelle organizzazioni che nelle discipline di management
• Il miglioramento continuo ha introdotto una nuova dinamica nella gestione delle organizzazioni, basata su nuovi metodi e tecniche e ha dimostrato la possibilità di raggiungere risultati impensabili (miglioramenti anche di migliaia volte)
• Il concetto di Sistema ha portato a considerare le organizzazioni in modo molto più unitario, eliminando i compartimenti stagni e soprattutto
insegnando a gestire le interazioni e le interdipendenze tra i sottosistemi
• L’utilizzo sempre più esteso della logica PDCA ha ulteriormente aiutato a legare tra loro questi 4 elementi diacronici, ma soprattutto, di fatto,
a portare l’attenzione sul ruolo essenziale della pianificazione se si vuole guidare una organizzazione verso traguardi definiti
• L’avvio della pratica della certificazione che ha diffuso verifiche esterne di ottenimento di un pacchetto di requisiti minimi universali.
E poi? perché questo momento magico si è affievolito?
• a fronte di nuove priorità si è perso il passo di coinvolgimento e il momentum (quasi l’80% delle aziende nordamericane aveva introdotto il tqm!)
• non si è stati capaci di provocare una seconda ondata
• molte prassi acquisite, una volta assimilate, sono diventate normale modo di lavorare mentre altre sono state banalizzate o sono diventate di
facciata.
Nel contempo emergeva una esigenza nuova e più vasta, quella di conquistare nuovi ambiti di applicazione ai principi e ai metodi della Q: dopo le aziende, espandersi al mondo dei servizi, diventato ormai prevalente e anche a tutti gli ambiti privati (anche al proprio.. condominio o alle proprie associazioni e alle persone), utilizzare, cioè, i metodi della Qualità per risolvere i problemi correnti.
La risposta a questa nuova esigenza rappresenta una sfida tuttora quanto mai aperta: oggi si osserva una forbice amplissima e addirittura crescente
tra chi, per es. entro il sistema TL 9000, non può sfuggire ad un benchmarking mondiale, mensile, inesorabile, e chi si ritrova….quasi analfabeta dell’ABC della Qualità e immobile nel proprio livello.
Come ritrovare un passo più veloce? e come favorirlo?
Certamente questa è una sfida per l’oggi e per il domani; forse la più grande.
Un augurio di buon anno a tutti i lettori
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ed i to r i a l e
La rivista Qualità
compie 40 anni
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S Attualità S
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a tt u al i t à
>> Federico Grazioli
Presidente ACCREDIA
Accredia
l’ente unico italiano
di accreditamento
In Europa al servizio
del paese
Con la nascita di ACCREDIA a inizio 2010,
il sistema di accreditamento italiano ha
assunto una nuova veste europea, allineandosi a quello degli altri Paesi dell’Unione: supervisione, uniformità e omogeneità dei processi di accreditamento – prima comunque garantiti da EA – sono ora
disciplinati per legge e in capo a un unico soggetto.
La svolta lungamente attesa è avvenuta
con il riconoscimento di ACCREDIA da
parte del Governo come unico ente autorizzato a svolgere l’attività di accreditamento in Italia, con il compito di fornire
"un’attestazione dotata di autorità della
competenza tecnica degli organismi cui
spetta assicurare conformità alle norme
applicabili".
È quanto richiesto dal regolamento n.
765/2008 del Parlamento europeo e del
Consiglio del 9 luglio 2008 che ha posto
norme in materia di accreditamento e vigilanza del mercato per quanto riguarda
la commercializzazione dei prodotti, stabilendo regole uniche per l’Europa e definendo per la prima volta le caratteristiche dell’attività.
Con il decreto di riconoscimento del 22 dicembre 2009, emanato dal Ministero dello Sviluppo economico di concerto con
tutti gli altri Ministeri competenti, il Governo ha compiuto una scelta particolarmente significativa, incaricando ACCREDIA – un soggetto privato costituito in forma di associazione senza scopo di lucro
– di svolgere un ruolo “di pubblica autorità”, come è qualificata dal regolamento
l’attività di accreditamento.
L'accreditamento deve essere gestito nell'interesse pubblico, perché gli utenti business e i consumatori finali, ma anche la
Pubblica Amministrazione quando ricorre a fornitori esterni, possano fidarsi, fino
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all'ultimo anello della catena produttiva
e distributiva, della qualità e sicurezza dei
beni e dei servizi che circolano su un mercato sempre più globalizzato.
Alla base della fisionomia di ACCREDIA,
sta dunque la scelta di rafforzare l’elemento della sussidiarietà pubblico/privato – nella direzione della sinergia e non
della dialettica –, una scelta condivisa e sostenuta dagli altri Ministeri già soci dell’ente, dalle organizzazioni imprenditoriali, dal sistema camerale e da altri grandi enti pubblici nazionali, dagli enti di
normazione, dagli operatori del sistema
di valutazione della conformità e da tutti
gli altri soci di ACCREDIA, dai consumatori, al mondo della consulenza: 63 soggetti che garantiscono l’equilibrata rappresentanza degli interessi e l’integrazione delle rispettive conoscenze, esperienze e competenze.
ACCREDIA, nato dall’unione delle competenze di Sinal e Sincert e con il coinvolgimento di Sit e Orl, è strutturata oggi
in 4 dipartimenti, per l’accreditamento di:
- Organismi di certificazione e ispezione
- Laboratori di prova
- Laboratori di prova per la sicurezza degli alimenti
- Laboratori di taratura.
In Italia, è dunque ACCREDIA a garantire la competenza, l’imparzialità, l'indipendenza e la trasparenza del sistema per
tutte le tipologie di valutazione di conformità alle norme tecniche e alle regole obbligatorie, nazionali e internazionali: certificazioni (di sistema di gestione, prodotto, personale), ispezioni, prove di laboratorio, tarature di strumenti e di apparecchiature.
In particolare, la struttura operativa è articolata secondo cinque comitati settoriali di accreditamento, che attraverso la specializzazione delle professionalità messe
in campo garantiscono la tutela delle peculiarità degli schemi:
- Laboratori di prova (ISO/IEC 17025);
- Laboratori di prova per la sicurezza alimentare (ISO/IEC 17025);
- Laboratori di taratura (ISO/IEC 17025);
- Organismi di ispezione (ISO/IEC 17020)
e di certificazione: prodotto (EN 45011),
sistema (ISO/IEC 17021), personale
(ISO/IEC 17024);
- Organismi di controllo nel settore delle
produzioni agroalimentari di qualità biologico, doc, dop, ecc. (EN 45011);
Gli ispettori ACCREDIA svolgono più di
10.000 giornate di verifica all’anno, valutando la competenza dei soggetti che
presentano domanda di accreditamento,
in termini di rispetto delle regole e degli
standard di qualificazione: a fine 2009,
ACCREDIA aveva effettuato, attraverso i
propri ispettori ed esperti, un totale di 877
verifiche (+8,3% rispetto al 2008) equivalenti a 1.947 giorni uomo (+8%), per
quanto concerne il Dipartimento Certificazione e Ispezione, e un totale di 942 visite, equivalenti a 5.876 giorni uomo, per
quanto concerne il Dipartimento Laboratori di prova.
Per organismi e laboratori, l’accreditamento, da plus valoriale, è diventato capitale irrinunciabile, per farsi scegliere dalle aziende e organizzazioni pubbliche e
private che vogliono essere competitive
sui mercati nazionali ed esteri, offrendo
garanzie ai loro clienti.
La qualità e la sicurezza dei beni e servizi, ma anche la competenza delle figure
professionali, sono infatti discrimini fondamentali perché il cittadino e l’utente del
mercato in generale continuino ad acquistare un bene o scegliere un fornitore
con fiducia.
A tal fine, le certificazioni e i rapporti di
prova, di taratura e di ispezione emessi
dagli organismi e dai laboratori accreditati
offrono una valutazione indipendente e
oggettiva delle prestazioni di un'organizzazione o, nel caso, delle qualifiche di
una figura professionale.
Con ACCREDIA, un unico marchio contraddistingue oggi i certificati di accreditamento e i certificati e rapporti emessi da
i soggetti accreditati, che insieme ai loro
clienti possono fare affidamento su un servizio pienamente conforme alle norme e
guide internazionali e riconosciuto dagli
Stati nazionali come di esclusiva competenza dell’ente di accreditamento.
La riconoscibilità internazionale, alla base della mutua accettazione delle attestazioni di valutazione della conformità nei
vari Paesi, è garantita dalla partecipazio-
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S Attualità S
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natario di un servizio, è l’obiettivo da raggiungere per rendere più efficiente e sicuro un mercato sempre più globalizzato.
Dalla sua nascita, ACCREDIA sta facendo la propria parte in questo percorso;
l’impegno per il 2010 e gli anni futuri è
quello di rendere più tangibile tale contributo, coniugando l’efficienza operativa
con la garanzia del rispetto delle competenze istituzionali, per la qualità del sistema economico italiano.
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at tu a l i tà
ne di ACCREDIA al sistema degli Accordi internazionali di mutuo riconoscimento.
L’ente infatti è membro dei principali organismi di cooperazione tra gli enti di accreditamento a livello europeo e mondiale: EA (European Cooperation
for Accreditation),
IAF (International
Accreditation Forum) e ILAC (International Laboratory Accreditation
Cooperation); ed è
firmatario dei corrispondenti Accordi per gli schemi
SGQ (qualità),
SGA (ambiente),
PRS (personale),
PRD (prodotti e
servizi), ISP (ispezione) e LAP (laboratori di prova).
Accredia, i suoi
Soci, i componenti degli Organi e
tutte le persone
che in esso o per
esse lavorano, sono consapevoli
che l’accreditamento è un servizio svolto nell’interesse pubblico e
insieme per la
competitività del
mercato, affinché
le imprese, i consumatori e anche
la Pubblica Amministrazione possano confidare
sulla qualità e sicurezza dei beni e
dei servizi in circolazione.
La fiducia reciproca fra il produttore e l’acquirente di
un bene, o tra il
fornitore e il desti-
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S Alimentare S
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te m a
>> Dr. Claudio Mariani
Presidente settore alimentare Aicq
Introduzione
al tema agroalimentare
Questo numero della nostra rivista ospita
vari articoli riferibili al settore alimentare.
Un articolo è scritto dal Presidente di Accredia, cioè dell’organo riconosciuto dal
Governo come unico ente autorizzato a
svolgere l’attività di accreditamento in Italia, e altri tre articoli riguardano l’attività di
strutture di controllo ufficiale (Istituti Zooprofilattici, Ispettorato centrale della tutela
della qualità e repressione frodi dei prodotti alimentari, Laboratori merceologici
dell’Agenzia delle Dogane). Si riporta dunque da una parte la voce di enti appartenenti
al mondo delle autorità di controllo, che
valutano quindi il “cogente”, e dall’altra
dell’ente da cui si diparte tutto il mondo
degli accreditamenti e delle certificazioni
volontarie, ben noto ai nostri lettori.
Se può essere facile capire il collegamento tra qualità ed Accredia, più difficile può
risultare scoprire il nesso tra qualità ed enti di controllo ufficiali. Del pari può essere
lecito chiedersi quale sia la connessione
tra qualità degli alimenti ed organismi delle autorità competenti. E’, infatti, opinione
diffusa che la qualità degli alimenti si fa negli stabilimenti produttivi, dove attraverso un
uso logico e pianificato dell’autocontrollo
gli alimenti sono prodotti in condizioni controllate in modo tale da rispondere alle esigenze dei consumatori; in altre parole si
fabbricano alimenti di qualità!
E’ lecito però domandarsi cosa sia la qualità di un alimento. Ad una tale domanda
è possibile rispondere con una pluralità di
affermazioni, ma in definitiva la questione è risolvibile semplicemente pensando
che non esiste una “qualità” in generale
di un alimento, ma che viceversa tale “qualità” generale sia esplicitabile in più qualità: si parlerà allora di qualità nutrizionale (riferendosi alla composizione nutrizionale di un alimento), di qualità d’uso o di
servizio (riferendosi alle modalità d’uso
del prodotto alimentare: si pensi ai piatti
pronti, ai precotti, ai surgelati alimenti tut-
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ti che rispondono a peculiari esigenze dei
consumatori in relazione alla facilità di
preparazione per il consumo o alle caratteristiche di conservabilità), di qualità edonistica (riferendosi alle caratteristiche organolettiche del cibo), e di qualità igienico sanitaria (riferendosi alla salubrità di un
alimento).
Senza bisogno di ulteriori riflessioni è facile osservare che è proprio quest’ultima
qualità, ossia quella componente della
qualità che riguarda le caratteristiche di sicurezza alimentare, che, per quanto quasi mai esplicitata dalle richieste dei consumatori (che la ritengono una caratteristica implicita non derogabile), riveste la
maggiore importanza per chi consuma alimenti. In effetti, è questa componente della qualità che è tutelata dalle norme cogenti: a partire dalla ben nota legge 283
del 1962 ai regolamenti del “pacchetto
igiene” degli anni duemila.
Si comprende allora come la funzione degli enti di controllo sia fondamentale per
assicurare questa componente della qualità, la più importante. In effetti, è utile ricordare come il regolamento 852/2004 richiami e specifici il principio generale del
regolamento 178/2002 e cioè che “l’obiettivo fondamentale delle nuove norme
di igiene generali e specifiche è quello di
garantire un elevato livello di tutela dei
consumatori con riguardo alla sicurezza
degli alimenti” e come precisi inoltre, nel
considerando n. 12 che “ la sicurezza degli alimenti è il risultato di diversi fattori: la
legislazione dovrebbe stabilire requisiti d’igiene minimi; dovrebbero essere effettuati controlli ufficiali per verificarne l’osservanza da parte degli operatori del settore
alimentare e questi ultimi dovrebbero elaborare e realizzare programmi e procedure per la sicurezza degli alimenti basati sui
principi del sistema HACCP”.
Sarà allora interessante scoprire quali sono i compiti e le modalità di funziona-
mento degli organi deputati ad effettuare
appunto i controlli ufficiali, ossia da un lato gli Istituti Zooprofilattici e dall’altro i Laboratori dell’Ispettorato centrale della tutela della qualità e repressione frodi dei
prodotti agroalimentari, ossia quegli organi dipendenti dalle due fondamentali autorità italiane poste a tutela degli alimenti: rispettivamente il Ministero della salute ed il Ministero delle politiche agricole,
alimentari e forestali. Si tratta, in effetti, dei
due principali enti preposti alla garanzia
della tutela igienica degli alimenti prodotti
sul territorio nazionale. Ma non solo: in
un’epoca in cui gli alimenti si consumano sempre più lontano dai luoghi dove si
producono è necessario controllare anche
gli alimenti che entrano in Italia o meglio
nel territorio della comunità. A ciò sono
preposti i laboratori merceologici dell’Agenzia delle Dogane i cui compiti sono illustrati nell’articolo relativo.
Scorrendo gli articoli in questione il lettore non potrà non osservare che in tutti e
tre i casi si fa riferimento a laboratori accreditati: è ritenuto, infatti, fondamentale
da parte delle autorità di controllo, oltre
che obbligatorio in base alle norme cogenti, che le analisi ufficiali siano effettuate
in laboratori in grado di garantire i risultati ottenuti, in altre parole in laboratori accreditati.
Ecco allora l’articolo in cui il presidente di
Accredia spiega il funzionamento del nuovo organo di accreditamento: non potrà
sfuggire al lettore come un numero importante di attività sia svolto da Accredia
nel settore dei laboratori di prova, in particolare individuandosi una categoria di
laboratori specificatamente dedicati per la
sicurezza alimentare.
In definitiva il mondo del “volontario” si
sposa con quello del cogente per assicurare alimenti di qualità ai consumatori,
quali tutti noi siamo.
Buona lettura!
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S Alimentare S
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Min. delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali – Dip. dell’Ispettorato Centrale della Tutela della Qualità e Repressione Frodi dei Prodotti Agroalimentari
L’attività del Laboratorio
di Catania
ICQRF - tutela qualità
e repressione frodi
I
l
laboratorio
di
Catania fa parte del
Dipartimento
dell’Ispettorato c entrale della tutela
della qualità e re pressione frodi dei
prodotti agro-alimentari (ICQRF) del
Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali, riorganizzato da
ultimo dal D.P.R. 129/2009. L’ICQRF,
organo tecnico dello stato, ha competenze in materia di prevenzione e
repressione delle infrazioni nella preparazione e nel commercio dei prodotti
agroalimentari e dei mezzi tecnici di
produzione per il settore primario; vigilanza sulle produzioni di qualità registrata che discendono da normativa
comunitaria e nazionale; programmi di
controllo per contrastare l'irregolare
commercializzazione dei prodotti
agroalimentari introdotti da Stati membri o Paesi terzi e i fenomeni fraudolenti che generano situazioni di concorrenza sleale tra gli operatori a supporto
degli interventi a sostegno delle produzioni colpite da crisi di mercato (art. 4
D.P.R. 129/2009).
L’Ispettorato si articola, a livello di amministrazione centrale, in due Direzioni
Generali: Direzione generale della vigilanza per la qualità e la tutela del consumatore e Direzione generale della prevenzione e repressione frodi e, a livello
periferico, in dodici uffici ispettivi con
relative sedi distaccate opportunamente
www.aicq.it
dislocate sul territorio nazionale e cinque laboratori
situati a Catania, Salerno,
Perugia, Modena e Conegliano. Il sesto laboratorio (Laboratorio Centrale di Roma)
fa parte della struttura centrale ed è preposto alle analisi di revisione.
Il laboratorio di Catania, accreditato Accredia (ex SINAL) dal 2006, esplica la
propria attività di controllo nei seguenti
settori merceologici: vitivinicolo, oleario, conserve, succhi di frutta, additivi,
sostanze zuccherine, fitosanitari, sementi,
fertilizzanti, prodotti da agricoltura biologica. I settori evidenziati in grassetto
sono i settori specialistici ovvero i settori per i quali il laboratorio di Catania rappresenta il Laboratorio di riferimento per
l’ICQRF.
Il Laboratorio analizza soprattutto campioni ufficiali prelevati da funzionari ispettivi operanti presso i vari uffici periferici
dell’ICQRF ed inoltre, effettua analisi su
campioni per conto di Autorità Giudiziarie, NAS, ASL, Guardia di Finanza,
Corpo Forestale dello Stato ed eventuali
altri organi di controllo che ne facciano
esplicita richiesta.
Nel 2009 il Laboratorio di Catania ha effettuato circa 17400 determinazioni nei
vari settori di competenza, delle quali il
27% sono state effettuate nel settore vitivinicolo.
In tale settore, oltre alle tipiche determinazioni (grado alcolico, acidità volati-
le, anidride solforosa etc.), vengono eseguite le analisi isotopiche, applicando
tecniche all’avanguardia quali la spettrometria di massa isotopica (IRMS) e la
risonanza magnetica nucleare (NMR) per
la determinazione dei rapporti degli isotopi stabili di alcuni elementi quali:
13C/12C, 18O/16O, D/H. Tali determinazioni hanno la finalità di accertare la
veridicità dell’origine dichiarata e l’eventuale aggiunta di zuccheri esogeni
(zucchero di barbabietola o canna ) e/o
acqua, pratiche non consentite in Italia.
Tutti i campioni di prodotti da agricoltura
biologica prelevati sul territorio nazionale da funzionari ispettivi dell’ICQRF
vengono processati dal laboratorio di Catania in quanto, come già detto in precedenza, per tale settore merceologico
costituisce il laboratorio di riferimento.
Per l’analisi multiresiduale finalizzata a
svelare l’eventuale illecito impiego di fitofarmaci non consentiti, il laboratorio
impiega il metodo QuEChERS (Quick Easy Cheap Effective Rugged Safe), in
conformità alla norma UNI EN
15662:2009. Ovviamente il metodo viene applicato nell’ottica di dover rilevare
quantità di principi attivi maggiori o uguali a 0,010 ppm, cioè valori notevolmente inferiori agli LMR (Limiti Massimi Residui) previsti per i prodotti da agricoltura convenzionale che in genere sono di
due o tre ordini di grandezza superiori.
Per tali determinazioni viene impiegata
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>> Elena Chiappara
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S ICQRF strumentazione ad elevata sensibilità e
selettività quali GC-MS ed LC-MS. Questa tipologia di analisi, già attualmente
in accreditamento per le matrici ad elevato contenuto di acqua, è in continua
evoluzione perché il laboratorio ha l’obiettivo di applicarla in accreditamento
a quante più matrici e principi attivi. Nell’ambito del controllo del settore dei prodotti da agricoltura biologica il laboratorio di Catania effettua anche la ricerca
di eventuali additivi non consentiti (All.
VIII Reg. CE n. 889/2008) e verifica la
conformità dei mezzi tecnici impiegati
quali i fertilizzanti ed i fitofarmaci (All. I
Reg. CE n. 889/2008).
L’attività analitica svolta dal settore specialistico dei fertilizzanti è rivolta alla valutazione della loro conformità ai requisiti stabiliti dal Reg. CE 2003/2003 e dal
D.L.vo n. 217/2006.
A tal fine il Laboratorio esegue:
- Controllo della rispondenza dei titoli in
elementi fertilizzanti principali (N, P,
K), secondari (Ca, Mg, Na, S) e microelementi (B, Co, Cu, Fe, Mn, Mo,
Zn) ai valori dichiarati in etichetta per
tutti i concimi minerali CE e Nazionali ed i concimi organici ed organo-minerali;
- Conformità delle varie tipologie di prodotti previsti dal D.L.vo n. 217/2006,
quali: ammendanti , correttivi, prodotti ad attività speciale, ecc.
- Controllo del contenuto in metalli pesanti per tutte le tipologie di ammendanti e di concimi organici ed organominerali, prodotti a partire da rifiuti provenienti da attività agroindustriali o frazione organica di RSU provenienti da
raccolta differenziata;
- Controllo della eventuale illecita presenza di molecole di sintesi con attività
fitoiatrica (fitormoni) in prodotti commercializzati come concimi;
Il settore dei fitofarmaci viene monitorato con la finalità di accertare la conformità dei prodotti in base a quanto dichiarato in etichetta ed alla normativa di
riferimento (D.L.vo 17 marzo 1995 n.
194 e successive modifiche).
Nel settore sementi vengono sottoposti
a controllo campioni di sementi (cerea-
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tutela qualità e repressione frodi
li, foraggere, oleaginose e da fibra, ortive ornamentali e da fiore), appartenenti
alle categorie di base, certificate, commerciali.
Le determinazioni eseguite riguardano
principalmente l’analisi della purezza e
la determinazione del numero di semi
estranei, l’analisi della germinabilità, la
determinazione dell’umidità, il controllo della calibratura dei semi, l’identificazione varietale di frumento e orzo con
metodo elettroforetico.
Anche per i rimanenti settori (oleario,
conserve, succhi di frutta, additivi, sostanze zuccherine) l’accertamento analitico è rivolto alla verifica della conformità in riferimento alle varie norme che
ne regolano la produzione e commercializzazione.
Per lo svolgimento dell’attività sinteticamente illustrata, il Laboratorio dispone
di risorse strumentali all’avanguardia e
di risorse umane altamente specializzate (30 unità di cui 9 amministrativi e 21
tecnici). Un numero alquanto considerevole di personale tecnico è coinvolto
S
nelle attività espletate dalle sottocommissioni metodi ufficiali di analisi per
l’ufficializzazione di nuovi metodi di analisi nei settori di competenza dell’ICQRF.
Per tale motivo, oltre all’attività di controllo, il laboratorio è coinvolto continuamente nello sviluppo di tematiche di
ricerca finalizzate alla messa a punto e validazione di metodiche analitiche innovative al passo con l’evoluzione strumentale e tecnologica che vi è stata nell’ultimo ventennio nei settori di competenza. L’obiettivo della ricerca è quello
di sviluppare metodi che consentono di
innalzare il livello di efficienza ed efficacia del laboratorio, non trascurando la
individuazione di nuove frodi sempre più
sofisticate e la lotta all’agro pirateria a
difesa del Made in Italy. In tal senso, l’individuazione di markers che consentono la discriminazione in termini di origine geografica e/o di processi produttivi sviluppati grazie ai know how delle
aziende italiane, riveste un impegno alquanto considerevole nell’ambito dell’attività di ricerca del laboratorio.
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>> Dr. Andrea Cereser
Responsabile Qualità IZSVe
Un network di eccellenza
a tutela dei consumatori
e delle filiere agro-alimentari
Gli Istituti Zooprofilattici
Sperimentali
P
er comprendere natura e finalità
degli Istituti Zooprofilattici Sperimentali (IIZZSS) risulta utile rileggere quanto previsto dalla vigente legislazione (D.Lgs. 270/93), secondo cui
gli IIZZSS:
•sono enti dotati di autonomia amministrativa gestionale e tecnica che operano come strumenti tecnico-scientifici
dello Stato, delle regioni e provincie autonome;
•svolgono attività di ricerca scientifica
sperimentale e di accertamento dello
stato sanitario degli animali e di salubrità dei prodotti di origine animale;
•operano nell’ambito del Servizio Sanitario Nazionale garantendo ai Servizi
Veterinari territoriali le prestazioni e la
collaborazione tecnico-scientifica necessarie all’espletamento delle proprie
funzioni.
In Italia sono presenti 10 IIZZSS che coprono, per competenza territoriale, una
o più regioni.
Chi scrive, ad esempio, è in forza all’Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle
Venezie (IZSVe) che, come specifica il
nome, opera in Trentino-Alto Adige, Friuli-Venezia Giulia e Veneto.
La descrizione di questo Istituto, che ha
appena superato gli 80 anni di vita, può
essere presa come paradigma anche per
gli altri enti presenti nel territorio nazionale.
L’IZSVe consta di oltre 20 laboratori di
www.aicq.it
analisi ove operano circa 600 addetti. I
laboratori sono distribuiti tra la sede cen
trale di Legnaro (immediata periferia di
Padova) e tutte le provincie del Triveneto
con l’eccezione di Trieste e Gorizia.
Gli ambiti di attività sono principalmente due: prevenzione della salute e produzioni agro-alimentari. Come anticipato, lo scopo prioritario dell’attività d’Istituto è duplice:
1) tutelare ed incrementare il benessere
e la salute delle popolazioni animali;
2) innalzare il livello di sicurezza degli
alimenti ad uso umano e zootecnico.
Come è facile intuire, i due temi sono
strettamente legati tra loro; per questo
motivo gli IIZZSS costituiscono un osservatorio privilegiato per il presidio delle
filiere a servizio dei soggetti pubblici e di
quelli privati.
L’IZSVe e la sanità animale
La diagnosi e il monitoraggio delle malattie infettive degli animali rappresentano la mission “storica” dell’Istituto. In primis, tale compito comprende l’attività di
tipo analitico: tutte le sedi sono attrezzate per ricevere campioni e animali di ogni
specie ove poter eseguire attività diagnostica di base. Per quanto concerne le
ricerche specialistiche, invece, i campioni sono smistati tra i laboratori (anche di
altri IIZZSS) sulla base delle diverse competenze e dotazioni strumentali. Le discipline maggiormente coinvolte sono:
microbiologia (virologia e batteriologia),
parassitologia, immunologia, anatomiapatologica e istologia, biologia molecolare, chimica clinica.
Oltre a ciò, l’IZSVe svolge attività di ricerca che sempre più spesso coinvolge
autorevoli partner internazionali. Gli ambiti riguardano soprattutto la diagnosi,
sorveglianza epidemiologica e prevenzione delle malattie rilevanti per la salute umana (zoonosi) e animale, soprattutto quelle che negli ultimi tempi hanno
assunto particolare importanza (p.e. influenza aviaria, West-Nile Disease, rabbia…).
Altra attività di rilievo per l’IZSVe è quella legata all’assistenza e alla formazione
non solo degli operatori pubblici e privati (consulenza in campo, organizzazione ed erogazione di corsi, seminari,
aggiornamenti…) ma anche nei confronti del personale tecnico che proviene da
Paesi non appartenenti all’Unione Europea. Spesso a questi Paesi è chiesto di innalzare il livello di competenza delle strutture pubbliche per garantire un’affidabilità dei controlli ufficiali almeno pari a
quella dei Paesi UE. Queste iniziative di
cooperazione internazionale fanno dell’IZSVe un autorevole riferimento nel contesto mondiale.
L’IZSVe e la sicurezza
alimentare
Anche il capitolo legato alla sicurezza
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S Gli Istituti Zooprofilattici Sperimentali S
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alimentare vede l’IZSVe tra i soggetti protagonisti. Analogamente a quanto descritto
al punto precedente, anche nei confronti delle filiere produttive il ruolo dell’Istituto è quello di monitoraggio, ricerca, assistenza e formazione.
L’attività viene svolta sia a vantaggio dell’Autorità Competente sia a favore delle
imprese private (allevatori, associazioni
di categoria, aziende di trasformazione…).
Storicamente l’ambito di competenza riguardava i prodotti di origine animale ma
negli ultimi anni sono state attribuite agli
IIZZSS competenze anche sulle filiere vegetali.
Nel contesto della sicurezza alimentare,
l’attenzione è posta principalmente sul
controllo e la prevenzione dei rischi biologici (batteri, virus, parassiti…) e chimici (metalli pesanti, contaminanti ambientali, residui di zoofarmaci e fitofarmaci…).
In questo settore, le discipline analitiche
coinvolte comprendono soprattutto la microbiologia, la chimica e la biologia molecolare. In particolare, quest’ultima rappresenta una delle prospettive di maggior
interesse, in riferimento alla possibilità di
aumentare la sensibilità analitica nei confronti di particolari microrganismi e diminuire i temi di risposta.
Per l’Autorità Competente, vale a dire i
Servizi Veterinari e la Regione, l’IZSVe si
occupa delle analisi di campioni prelevati in ambito di controllo ufficiale.
A favore degli operatori privati, invece,
sono offerte prestazioni di tipo analitico
soprattutto per quanto concerne la caratterizzazione dei prodotti alimentari (studi di shelf-life, sviluppo di prodotto, prevenzione delle contaminazioni…).
Per tutti gli operatori, sia pubblici sia privati, risulta significativa l’offerta formativa su molteplici argomenti che hanno a
che fare con la sicurezza alimentare: GHP,
HACCP, analisi del rischio, biosicurezza,
buone pratiche di allevamento…
Gli IIZZSS e la qualità
Nel corso dell’ultimo anno l’IZSVe ha eseguito nei diversi laboratori oltre 2 milioni di esami. Poiché sulla base degli esiti
di queste analisi sono spesso prese deci-
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sioni che hanno notevole rilevanza sia
sulla salute pubblica sia per l’economia,
è indispensabile assicurare risultati affidabili. Questa “affidabilità” non può essere il frutto del caso bensì è la conseguenza di regole organizzative che coinvolgono il personale e la sua competenza, attrezzature e reagenti, metodi di prova che devono risultare confrontabili con
quelli utilizzati in altre parti del mondo
ed essere opportunamente validati.
Per dotarsi di un sistema oggettivo di valutazione delle prestazioni, a partire dal
1997 l’IZSVe ha scelto di strutturare la
propria organizzazione in conformità a
quella che ora è la norma ISO 17025; a
fronte di questo standard tutte le sedi dell’IZSVe sono ora accreditate.
Oltre a ciò, da due anni anche alcune attività di produzione eseguite dall’Istituto
(reagenti e terreni) sono state certificate
a fronte della norma ISO 9001 mentre per
altre (vaccini) il procedimento è in corso. È obiettivo dell’IZSVe anche l’accreditamento secondo la norma ISO 17043
che riguarda l’organizzazione e gestione
di ring test, attività svolta da anni in IZSVe a vantaggio di numerosi laboratori
nazionali pubblici e privati.
Infine, la partecipazione di alcuni labo-
ratori dell’Istituto a network internazionali fa sì che sovente vi siano attività di audit condotti da altri enti: Food Veterinary
Office (UE), Food Safety and Inspection
Service (USA), FAO, OIE.
L’IZSVe e i centri di
eccellenza
All’interno dell’Istituto sono presenti centri di rilievo nazionale e internazionale
nei seguenti ambiti: apicoltura, influenza aviaria e malattia di Newcastle
(FAO/OIE), pet therapy, studio e diagnosi delle malattie dei pesci, molluschi e
crostacei, rabbia, ricerca scientifica sulle
malattie infettive nell’interfaccia uomo/animale, salmonellosi.
Tale situazione è spesso la conseguenza
del lavorare in qualità: l’impegno e la
competenza delle persone portano alla
creazione di una o più eccellenze e al loro riconoscimento pubblico.
Il fatto che questi risultati si siano succeduti nel tempo, poi, è la dimostrazione
che è possibile anche in Italia, anche nel
settore pubblico, innescare dei circoli virtuosi che determinano il miglioramento
delle persone, delle prestazioni, dei risultati, con soddisfazione di tutti i portatori di interesse.
www.aicq.it
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S Alimentare S
Dr.ssa Silvia Fremiotti
Agenzia delle Dogane, Direzione Centrale per l’Analisi Merceologica e per lo Sviluppo dei Laboratori
Chimici, Ufficio Metodologie e tecnologie chimiche e Garanzia della Qualità dei laboratori
L’agenzia delle dogane e il
controllo degli alimenti
I
Laboratori Chimici dell’Agenzia delle Dogane rappresentano un polo
tecnologicamente avanzato, una figura super partes caratterizzata da una
garanzia di legalità e imparzialità che
deriva dalla sua collocazione istituzionale.
Istituiti nel 1886 come organo consultivo
dell’Amministrazione finanziaria Italiana, con compiti di analisi merceologica
e di ricerca, in oltre un secolo di attività i
Laboratori Chimici dell’Agenzia delle
Dogane hanno sviluppato una notevole
ed unica esperienza in questo settore.
Istituzionalmente svolgono attività analitica sulle merci import/export ai fini della loro classificazione nella tariffa doganale e del relativo trattamento fiscale. Effettuano inoltre un controllo delle sostanze pericolose per l’uomo e l’ambiente, perizie tecniche e revisioni d’analisi
ed offrono i propri servizi analitici e di
consulenza ad aziende ed Enti pubblici
e privati, nonché ai consumatori.
I servizi chimici dell’Agenzia sono costituiti da una struttura centrale, che ha la
funzione di indirizzo, coordinamento e
monitoraggio delle attività dei 15 laboratori chimici distribuiti su tutto il territorio
nazionale. Il costante collegamento tra il
sistema centrale e i laboratori periferici è
garantito da strumenti informatici e audiovisivi, tra i quali spiccano i servizi di
videoconferenza ad alta definizione.
Tutti i laboratori dell’Agenzia delle Do-
www.aicq.it
gane sono centri di eccellenza specializzati in specifici settori merceologici e
complessivamente sono in grado di effettuare oltre 3500 determinazioni analitiche nei settori alimentare, petrolifero industriale e farmaceutico. Dispongono di
attrezzature tecnologicamente all’avanguardia e di personale con elevata professionalità e tutti i chimici che vi lavorano sono abilitati all’esercizio della professione.
L’immediatezza degli esiti analitici è garantita dalla rete dei punti di raccolta,
che permette una rapida distribuzione
logistica dei campioni ai laboratori specializzati tramite un corriere.
Le attività inerenti a prove e misure vengono svolte nel massimo rigore e nel rispetto delle normative nazionali, comunitarie e internazionali. Tutti i laboratori
sono accreditati da ACCREDIA (Ente Italiano di Accreditamento), nel rispetto
della norma ISO 17025, su circa 450 determinazioni.
L’uniformità dei risultati analitici ottenuti
dai 15 laboratori è garantita dalla costante partecipazione a ring test, ovvero circuiti di correlazione interlaboratorio, nazionali e internazionali in tutti i settori
analitici. L’Agenzia, a sua volta, organizza specifici ring test in settori altamente
strategici, cui prendono parte anche laboratori esterni. L’aggiornamento tecnico
del personale chimico viene garantito da
continui corsi di formazione e partecipa-
zione a congressi nazionali ed internazionali.
Le prove svolte dai Laboratori chimici
dell’Agenzia delle Dogane rappresentano uno strumento essenziale per valutare
in modo oggettivo le caratteristiche e le
prestazioni di materiali e di prodotti, per
verificarne e attestarne la rispondenza a
norme, specifiche tecniche, regole e prescrizioni in genere, al fine di facilitarne
la commercializzazione e di difendere e
accrescere l’immagine dei prodotti di
qualità. Le determinazioni analitiche effettuate dai laboratori chimici delle Dogane si traducono dunque in certificati
di analisi a garanzia dei prodotti dal
punto di vista sia della qualità, sia della
sicurezza.
Nei laboratori chimici dell’Agenzia delle
Dogane uno dei settori analitici di rilievo
è quello alimentare. I principali prodotti
esaminati sono: carne, prodotti da forno,
cereali, latte e derivati, caffè, vino e bevande alcoliche, olio e acque minerali.
Con le moderne tecnologie di cui sono
dotati, i Laboratori possono rilevare con
estrema accuratezza i quantitativi di
grassi, proteine, carboidrati e ricavarne
le relative tabelle nutrizionali.
Di particolare importanza, per la tutela
del consumatore, sono le analisi relative
all’individuazione delle micotossine e
aflatossine presenti in riso e caffè e dei
pesticidi nell’olio di oliva, nonché la ricerca di organismi geneticamente modi-
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La Norma
UNI CEI EN 16001
leva di sviluppo
e di sostenibilità
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S L’agenzia delle dogane e il controllo degli alimenti S
ficati sulle sementi.
In particolare, l’analisi degli OGM permette la rilevazione di prodotti transgenici presenti nel campione anche in minime quantità. La quantificazione viene
eseguita mediante la tecnica Real Time
Polymerase Chain Reaction (o PCR), in
grado di massimizzare la specificità della reazione e la sensibilità del sistema.
Mediante analisi del DNA con PCR affiancato all’elettroforesi viene inoltre individuata la specie animale con particolare riguardo al sesso bovino.
Analisi di particolare rilevanza su sostanze alimentari quali bevande alcoliche e
zuccheri sono quelle finalizzate alla ricerca dell’alcol di sintesi e all’individuazione dell’origine botanica per garantire
così la qualità della materia prima utilizzata tramite l’impiego di strumentazione
altamente sofisticata in grado di effettuare analisi isotopiche (scintillografo e
spettrometro di massa a rapporto isotopico o IRMS).
Le analisi dell’olio d’oliva sono effettuate
secondo quanto previsto dai regolamenti
comunitari. In particolare, le analisi organolettiche, panel test, sono effettuate
da comitati di assaggio riconosciuti sia a
livello nazionale che internazionale.
L’Agenzia delle Dogane è anche un polo formativo. Le porte dei Laboratori
sono aperte alle visite di studenti di
scuole e università. Inoltre, in convenzione con le università, offre la possibilità di effettuare stage formativi nei propri settori di punta.
Forti della notevole esperienza acquisita,
grazie alla moderna dotazione tecnicostrumentale, e dell’accreditamento sul sistema di qualità di tutte le sue sedi, i Laboratori chimici dell’Agenzia delle Dogane sono in grado di affrontare con
grande professionalità tutte le sfide che
vengono proposte.
Missione essenziale dei Laboratori Chimici è la caratterizzazione e la valorizzazione di materiali e prodotti, rassicurando gli operatori e i consumatori sulla
loro conformità alle norme vigenti.
L’alta professionalità ed esperienza in
tutti i settori merceologici viene messa a
disposizione anche del mercato privato.
L’attività dei Laboratori Chimici dell’Agenzia delle Dogane costituisce un valore aggiunto a tutela sia della qualità,
sia della sicurezza dei prodotti e, come
tale, costituisce una garanzia comune,
un punto d’incontro e di equilibrio delle esigenze degli operatori e dei consumatori.
MASTER TELEMATICO UNIVERSITARIO DI 1° LIVELLO
in
SISTEMI QUALITÀ E MODELLI DI ECCELLENZA
L’Università Telematica San Raffaele Roma ha attivato per l’anno accademico 2010/2011 il Master Universitario di 1° livello in Sistemi Qualità e modelli di Eccellenza.
Il Master universitario ha lo scopo di formare figure professionali nell’ambito dei Sistemi qualità e sui modelli di Eccellenza
portando ad acquisire le conoscenze, e la capacità di applicarle, specifiche di una figura professionale in grado di sviluppare, realizzare, mantenere e migliorare il Sistema di Gestione per la Qualità di un’organizzazione basato sulle norme della famiglia ISO 9000 o sui modelli di Eccellenza. L’insieme di tali conoscenze è in accordo con quanto definito dall’EOQ (European Organization for Quality) per la figura professionale dell’EOQ Quality System Manager.
Il master ha la durata di un anno accademico e una durata di studio di 1.500 ore, suddivise in didattica online, esercitazioni e studio, pari a 60 CFU. L’erogazione del master si svolgerà in modalità e-learning, con piattaforma accessibile 24h/24.
Per informazioni sul bando, l’iscrizione e le modalità del corso rivolgersi a:
Dott. Alessandro Melchionna - Coordinatore Area Master dell’Università Telematica San Raffaele Roma.
e-mail: [email protected]; cell. 335 6628416
Università Telematica San Raffaele | Roma via di Val Cannuta, 247 | 00166 Roma | Tel. 06 5225 2552 | www.unisanraffaele.com
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>> Maria Chiara Ferrarese e Adriana Ramella
CSQA Certificazioni
Il modello dei tre pilastri
della sostenibilità
Sicurezza alimentare
e sostenibilità
I
l tema della sostenibilità sta acquisendo sempre più spazio nel dibattito, oltre che ambientale, anche sociale ed economico: proliferano iniziative sul tema, i capitolati di fornitura e gli
standard aziendali si arricchiscono di requisiti sul tema della sostenibilità, si
stanno sviluppando sempre più vere e
proprie norme volontarie.
Sostenibilità per alcuni è solo una parola
di “moda” ma in realtà rappresenta un
insieme di concetti: un'idea, uno stile di
vita, un modo di produrre.
La definizione di sviluppo sostenibile come “uno sviluppo che soddisfa i bisogni
del presente senza compromettere la
possibilità delle generazioni future di
soddisfare i propri bisogni” data dalla
Commissione Brundtland è quella più
ampiamente condivisa, ciò nonostante è
spesso sottoposta a differenti interpretazioni che comunemente coincidono con
il concetto di sostenibilità.
Sostenibilità è un concetto sfaccettato,
difficilmente definibile a livello universale, legato ad un continuo dialogo fra valori; attiene in qualche modo alla totalità
delle attività umane compresa la sfera di
azione politica ed è incentrata sulla giustizia fra generazioni.
Con il Vertice di Copenhagen e il Trattato
di Amsterdam del 1997 l’Unione Europea fissa i tre pilastri della sostenibilità
nel cosiddetto “modello dei tre pilastri
della sostenibilità”: economico, ambien-
www.aicq.it
tale, sociale. La casa della sostenibilità
crolla inesorabilmente quando anche solo uno dei tre pilastri dovesse venire meno. Ad ogni modo resta ancora da definire quanto debbano interagire fra loro i
tre pilastri e come debbano avanzare l’uno rispetto all’altro. Negli ultimi anni è
l’interesse per le tematiche ambientali
fortemente aumentato, anche a causa
della progressiva riduzione delle risorse
naturali. L’ambiente ha fino ad oggi rappresentato il più importante dei tre pilastri della sostenibilità, pertanto si è ipotizzato di realizzare uno sviluppo economico e sociale solo decidendo di garantire i principi ecologici principali.
L’equilibrio fra i tre pilastri è in continua
evoluzione, mai statico e uguale a se
stesso, si tratta di una prestazione complessiva che considera il contesto economico, sociale e ambientale del momento, prestando anche attenzione ai bisogni delle generazioni future.
Con il Libro Verde della Commissione
Europea nel 2001 viene introdotto il
concetto di Responsabilità Sociale delle
Imprese, intesa come “l’integrazione su
base volontaria, da parte delle aziende,
delle preoccupazioni e visioni sociali ed
ecologiche nelle loro operazioni commerciali e nei loro rapporti con le parti
interessate”. Ancora un concetto che
porta in sé la sostenibilità e lo sviluppo
sostenibile, ma questa volta come appello della Commissione al ruolo sociale e
ai riflessi del mondo produttivo e delle
organizzazioni sulla società, e intesa ancora una volta sui tre pilastri sociale,
economico ed ambientale.
È chiaro a questo punto che il concetto
di sostenibilità non può ridursi ad una
buona prassi o ad un costo per le imprese, bensì individua un nuovo modo di
essere competitive, per operare sul mercato meglio degli altri.
Il pilastro sociale:
sicurezza alimentare e
tutela del consumatore
Sui temi della sostenibilità che riguardano i consumatori emergono: i rischi relativi all’utilizzo dei prodotti, la riduzione
del rischio attraverso la progettazione, la
produzione, la distribuzione e la fornitura controllata, le procedure di ritiro e richiamo del prodotto in caso di emergenze, l’adozione di sistemi per la stima e la
valutazione del rischio anche su utenti
identificati o gruppo di contatti tra cui ad
esempio le donne incinte, i nonvedenti,
e la progettazione di prodotti che possono ridurre il numero o la gravità degli incidenti.
Un aspetto importante riguarda la disponibilità delle informazioni al consumatore e la responsabilità nel proteggere i
suoi dati personali. Sostenibilità significa
anche informazione al consumatore, che
può così scegliere i prodotti secondo le
esigenze e i desideri senza il rischio di
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essere fuorviati dall’utilizzo ingannevole
di pubblicità ed etichettatura. L’educazione dei consumatori permette di operare scelte indipendenti sui prodotti e
servizi, perché più consapevoli dei propri diritti e responsabilità, in modo da
soddisfare le esigenze del presente con
consapevolezza degli impatti delle proprie scelte, utilizzando prodotti e servizi
in modi che siano economicamente, socialmente e ambientalmente sostenibili,
come lo smaltimento corretto del confezionamento e dei rifiuti prodotti.
In questo senso la norma ISO 26000 sulla responsabilità sociale, le linee guida
del Global Reporting Initiative e di AccountAbility 1000 propongono spazi dedicati al dialogo e al coinvolgimento dei
consumatori e della collettività a questo
scopo. La nuova norma internazionale
ISO 26000 sulla Responsabilità Sociale,
che vorrebbe promuovere tutti gli aspetti
dello sviluppo sostenibile e della sostenibilità, identifica nel pilastro sociale i diritti umani, le pratiche di lavoro, le pratiche operative leali, oltre alle questioni
che riguardano i consumatori e il coinvolgimento e lo sviluppo della comunità.
Il rispetto delle norme cogenti, la sicurezza alimentare e la corretta informazione al consumatore quindi non sono
"altro" rispetto al concetto di sostenibilità, ma rientrano a pieno diritto in questo tema nell'ambito del pilastro sociale.
La sicurezza alimentare è acquisita come diritto del consumatore e tutte le imprese alimentari sono obbligate a garantirla. Chiaramente i regolamenti comunitari, come tutti i regolamenti definiscono
obblighi di risultato e non stabiliscono le
modalità che le imprese devono adottare
per raggiungere l’obiettivo. In questo
contesto si inseriscono e possono rappresentare un valido supporto per le imprese ed uno strumento di trasparenza
verso il consumatore le norme tecniche,
norme ISO, UNI ecc. che definiscono
una metodologia operativa, una procedura o una sorta di linea guida specifica.
Nell’ambito della sicurezza alimentare
gli standard maggiormente richiesti in
questo momento sono BRC, IFS, ISO
22000, FSSC. In particolare FSSC è la
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più recente di queste norme, è una norma ISO quindi riconosciuta a livello globale e rappresenta un sistema di gestione
della sicurezza alimentare. Questa norma accorpa la ISO 22000 e la PAS 220
relativa alle buone pratiche di fabbricazione.
A cavallo fra tematiche di tutela dell'ambiente (pilastro 1) e di tutela del consumatore (pilastro 2) si colloca l'agricoltura
integrata (che trova nella norma UNI
11233 e nel sistema nazionale di qualità
superiore allo studio al Ministero delle
politiche agricole e forestali una normazione) che garantisce l'applicazione di
tecniche colturali atte a ridurre l'utilizzo
di agrofarmaci e di concentrare il più
possibile l'attenzione verso quelli a basso impatto ambientale. Nella direzione
di favorire l'agricoltura sostenibile va anche il legislatore comunitario che con la
recente Direttiva CE 128/2009, uscita
quasi contestualmente al nuovo Regolamento che sostituisce la Direttiva 91/414
in materia di autorizzazione dei fitofarmaci, impone un’importante riflessione
sul futuro della Produzione Integrata e
che da qualche tempo stiamo declinando come Agricoltura integrata. La direttiva, incentrata sulla necessità di trovare
un ambito di utilizzo dei fitofarmaci
maggiormente ecosostenibile, impone a
partire dal 2014 alcuni obblighi in rela-
zione ai criteri generali della difesa integrata. Nello specifico, impone un monitoraggio dei dati meteorologici e delle
avversità delle colture, l’elaborazione
dei dati di monitoraggio per i servizi di
preavviso ed avvertimento, il coordinamento dell’assistenza tecnica ed il controllo sui criteri obbligatori. In buona sostanza impone una serie di obblighi che
costituiscono la base del processo di
produzione integrata.
Gli standard di prodotto
“sostenibili”
Poiché alcuni elementi di sostenibilità
vengono comunicati anche al consumatore direttamente nell'etichetta del prodotto finto si sono sviluppate anche norme di prodotto, certificabili.
Esistono diversi standard volontari che
nel tempo hanno inserito fra i requisiti
anche elementi di sostenibilità. L'allegato 1 alla norma ISO 26000 fornisce una
comparazione fra gli standard volontari e
requisiti di sostenibilità.
MSC (Marine stewardship council) e
Friend of the sea sono standard per la
pesca e l’allevamento sostenibili mentre
UTZ (applicabile a caffè, the e cacao)
definisce i criteri per un'agricoltura efficiente e responsabile orientata al mercato. Lo standard inglese Leaf Marque prevede requisiti relativi alle politiche, al
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dozione di criteri di parità etici, sociali, e
di genere, salute e sicurezza, nella sua
politiche di acquisto, distribuzione e nei
contratti, nonché monitorare le organizzazioni con cui ha rapporti per migliorare la coerenza tra i valori e gli obiettivi
come ad esempio prevede la norma internazionale SA8000. L’organizzazione
che a tal fine include nelle pratiche di
acquisto la garanzia di prezzi equi, rispettando tempi di consegna adeguati e
contratti stabili, contribuisce a creare un
processo proattivo su tutta la catena valore che va a beneficio della collettività
intesa sui tre pilastri della sostenibilità e
che in questi termini, vengono valorizzati dal punto di vista economico e negli
scambi commerciali. L’adesione a Codici di condotta volontari che intervengono sulla catena di fornitura come ad
esempio BSCI (Business Social Compliance Initiative) e il Fair Trade (Commercio Equo e Solidale), ha questo scopo: promuovere la giustizia sociale ed
economica, lo sviluppo sostenibile, il rispetto per le persone e per l’ambiente,
attraverso il commercio, la crescita della
consapevolezza dei consumatori, l’educazione, l’informazione e l’azione politica. Il Commercio Equo e Solidale è una
relazione paritaria fra tutti i soggetti coinvolti nella catena di commercializzazione: dai produttori ai consumatori. Tra gli
obiettivi sono: favorire l'incontro fra consumatori e produttori dei Paesi economicamente meno sviluppati, aumentare le
possibilità dei produttori di accedere al
mercato, concordare direttamente il
prezzo ed assicurare continuità nelle relazioni commerciali; proteggere i diritti
umani promuovendo giustizia sociale,
sostenibilità ambientale, sicurezza economica e quindi sostenere l'autosviluppo economico e sociale, promuovendo
al contempo un uso equo e sostenibile
delle risorse ambientali.
Anche le grandi multinazionali sono attente al tema della sostenibilità e, in 24,
hanno avviato il progetto AIM PROGRESS (AIM = Association des Industries de Marque, PROGRESS = PROGramme for RESponsible Sourcing), una
iniziativa per promuovere gli acquisti re-
sponsabili all’interno della catena di fornitura.
La finalità di questo progetto è di promuovere acquisti responsabili per migliorare efficienza ed efficacia della verifica dei fornitori e per ridurre il rischio di
duplicazione delle attività di valutazione.
Il Progetto AIM ha l’obiettivo di sviluppare la sostenibilità nell’intera catena di
fornitura e promuovere l’acquisto responsabile da fornitori qualificati per i
aspetti quali:
- Salute e Sicurezza sul Lavoro
- Tutela dei Lavoratori
- Gestione Ambientale
- Integrità e Continuità Operativa
L’idea alla base del progetto è di effettuare un unico audit di qualificazione riconosciuto da tutte le multinazionali aderenti, evitando così il rischio di duplicazione nelle verifiche.
I fornitori sono quindi incoraggiati a condividere i loro report di verifica direttamente con le Aziende partecipanti su
specifica richiesta, o a caricarli sul portale SEDEX (Supplier Ethical Data Exchange), che assicura uno scambio sicuro di
informazioni tra cliente e fornitore.
I temi della sostenibilità quindi rappresentano una grande opportunità per le imprese, non un vincolo, e poiché i temi della
sostenibilità e della responsabilità sociale
diventano comunicabili sul prodotto diventano anche strumento di marketing:
possono chiaramente rappresentare validi
strumenti di comunicazione verso il consumatore e quindi di competitività per le
imprese. Per questo è indispensabile comprendere il valore aggiunto che la certificazione volontaria è in grado di garantire
al prodotto, sia in termini di assicurazione
di qualità certificata, che in termini di valorizzazione di quegli aspetti immateriali,
riferiti alla credibilità e alla reputazione
aziendale, che possono essere veicolati
attraverso il prodotto stesso e che rivestono un’importanza sempre più strategica ai
fini della differenziazione. La certificazione, infatti, a sua volta può essere un elemento di sostenibilità che garantisce il
consumatore rispetto alle rispetto alle
informazioni che riceve.
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marketing, alla campagna, l’energia, i rifiuti, il bestiame, le colture, il suolo e il
management. Biodiversity friend è uno
standard italiano, privato, creato da una
Onlus (WBA) che affronta il tema della
tutela della biodiversità, imponendo l'adozione di tecniche volte al controllo
dei parassiti e delle infestanti, alla ricostituzione della fertilità dei suoli, alla garanzia di una presenza minima sul territorio di siepi e/o boschi, di specie vegetali nettarifere, alla conservazione della
biodiversità agraria, alla qualità dei suoli,
delle acque superficiali e dell’aria, all’utilizzo di fonti rinnovabili per l’approvvigionamento energetico e alle tecniche
produttive a basso impatto.
Altre azioni che possono avere effetti benefici sulla biodiversità sono poi ottenibili attraverso la certificazione a fronte
dello standard Global Gap, che da sempre affronta tematiche collegate non solo
alla sicurezza degli alimenti, ma anche
alla tutela dell’ambiente e dei lavoratori,
ed in particolare con la nuova versione
fruit & vegetables aumenta il peso di alcuni requisiti collegati ad elementi di sostenibilità dimostrando ancora una volta
la grande attenzione verso queste tematiche.
Oltre agli standard di prodotto citati ve
ne sono altri che impattano direttamente
sugli aspetti ambientali (pilastro ambientale), come il PEFC e l’FSC, che garantiscono la provenienza delle materie prime da aree forestali gestite in maniera
sostenibile
Ci sono poi standard basati sull’approccio LCA, come l’ECOLABEL (Solo UE,
non applicabile al settore agroalimentare) e l’EPD (uno schema di certificazione
volontaria di prodotto, nato in Svezia ma
di valenza internazionale, sviluppato in
applicazione della UNI ISO 14025:2006
- Etichettatura Ambientale di Tipo III),
che consiste in una dichiarazione ambientale di prodotto che pur non prescrivendo soglie prestazionali permette di
comunicare informazioni oggettive, confrontabili e credibili relative alla prestazione ambientale di prodotti e servizi.
Ulteriore elemento di sostenibilità riconducibile al pilastro sociale riguarda l'a-
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Alfonso Pascale
Presidente Rete Fattorie Sociali
Un percorso
di Responsabilità Sociale
d’Impresa
L’agricoltura
sociale
I percorsi di inclusione e i servizi terapeutico - riabilitativi in agricoltura
accrescono la competitività delle imprese se praticati mediante la RSI.
L
’agricoltura sociale è l’insieme di
pratiche in cui persone provate
da varie forme di svantaggio o disagio trovano nelle attività agricole una
chance per dare un significato alla propria vita e un senso alle proprie capacità.
Siffatte traiettorie si realizzano attraverso l’assunzione, in imprese agricole già
esistenti, di soggetti svantaggiati (invalidi fisici, psichici e sensoriali, ex degenti di istituti psichiatrici, soggetti in trattamento psichiatrico, tossicodipendenti, alcolisti, minori in età lavorativa in
situazioni di difficoltà familiare, condannati ammessi alle misure alternative
alla detenzione) oppure di lavoratori
svantaggiati (immigrati, donne che hanno lasciato il lavoro per la difficoltà di
conciliare tempi di vita lavorativa e
tempi di vita familiare, persone sole
con figli a carico, persone affette da dipendenze, disoccupati ultracinquantenni o di lungo periodo, ex detenuti).
Ad essi si aggiungono le donne che
hanno subito violenze e altri soggetti
provati da diverse forme di disagio.
Percorsi di agricoltura sociale sono anche quelli che vedono protagonisti sog-
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getti svantaggiati o con disagi nella
creazione di nuove aziende agricole in
forma singola o associata.
Pratiche di agricoltura sociale sono, infine, tutti gli altri servizi ricompresi nelle politiche sociali ed erogati da una
struttura agricola, come i servizi socioeducativi per la prima infanzia o le attività rivolte a minori in difficoltà o che
vedono protagonisti gli anziani o ancora che si attivano per accogliere e integrare gli immigrati nel tessuto civile del
Paese.
L’agricoltura sociale tra
centralità della persona e
protezione dell’ambiente
La peculiarità dell’agricoltura sociale
risiede nell’intimo intreccio tra il servizio sociale e l’esercizio dell’attività
agricola, poiché detto servizio esplica
la sua efficacia solo se la persona a cui
è diretto viene pienamente coinvolta in
un processo produttivo agricolo.
Inoltre, l’utilizzazione di sistemi di produzione ecocompatibili in grado di assicurare il coinvolgimento nell’attività
agricola di persone con bisogni speciali è una componente fondamentale della strategia messa in atto da una fattoria
sociale, che pone al centro lo stretto legame tra fattore umano e fattore ambientale.
Le pratiche di agricoltura sociale si accompagnano, infatti, in molti casi all’a-
dozione del metodo biologico, inteso
come pratica di produzione di beni alimentari che si ispira alla naturalità, al
minimo intervento sul suolo, sugli animali, sulle piante e sull’ambiente in generale. Tale coincidenza è dovuta al
fatto che l’agricoltura sociale si fonda
sul recupero e rivitalizzazione di modalità di produzione scartate con la
modernizzazione agricola, in quanto
ritenute inadeguate in una visione produttivistica dello sviluppo agricolo.
Dette modalità risultano, invece, del
tutto efficaci per consentire alle persone con determinati svantaggi o particolari disagi di svolgere meglio e pienamente le attività agricole e possono essere senz’altro compatibili con gestioni
imprenditoriali improntate ad una logica di efficienza economica.
L’agricoltura sociale si fonda sull’idea
che promuovere stili di vita e modelli
di produzione, di investimento e di
consumo compatibili con la protezione
dell’ambiente, delle risorse e del clima
fa bene alle persone perché il benessere umano coincide con il benessere
dell’ecosistema.
L’agricoltura sociale
produce beni relazionali
A differenza dei normali beni di mercato, siano essi privati o pubblici, dove la
produzione è tecnicamente e logicamente distinta dal consumo, i beni re-
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un miglioramento della qualità della
vita nelle aree rurali. Le reti orientate
all’ambito locale, mediante la produzione di beni quali la reciprocità, il
mutuo aiuto e il dono, non sono alternative ai mercati internazionali dei prodotti agricoli, ma permettono di rafforzare e allargare quel capitale sociale
che può dare autenticità ai valori che
sottendono la ruralità, scongiurando il
rischio di una loro banalizzazione e di
una sostanziale perdita di attrattività
dei territori rurali. Si può sostenere, in
definitiva, che l’agricoltura multifunzionale, producendo in modo congiunto beni alimentari e beni relazionali,
contribuisce in maniera determinante
allo sviluppo economico e sociale dei
territori rurali perché consente di accrescere la capacità dei territori stessi
di organizzarsi con strumenti associativi idonei a conquistare nuovi mercati
internazionali, sia per quanto riguarda i
prodotti tipici che i servizi legati alle
attività agricole.
L’agricoltura sociale come
percorso implicito di RSI
Se guardiamo attentamente ai comportamenti messi in atto da una fattoria sociale, ci rendiamo immediatamente
conto di trovarci dinanzi a percorsi impliciti di Responsabilità Sociale d’Impresa (RSI), così com’è stata definita
dalla Commissione Europea nel famoso
Libro Verde del 2001: “L’integrazione
volontaria delle preoccupazioni sociali
ed ambientali delle imprese nelle loro
operazioni commerciali e nei loro rapporti con le parti interessate”.
Le fattorie sociali adottano, infatti, vo-
lontariamente comportamenti che si
fanno carico delle preoccupazioni sociali e ambientali della collettività e
che si possono così sintetizzare: a) promuovere inclusione sociale e lavorativa
di persone con svantaggi o disagi; b)
organizzare servizi sociali per la comunità; c) salvaguardare la qualità ambientale e gli equilibri ecologici; d)
promuovere la salute e il benessere
animale; e) qualificare le produzioni
agricole; f) offrire fruizione e “godimento” dello spazio rurale.
Per fare in modo che tali comportamenti diano luogo a veri e propri percorsi di RSI è necessario che una fattoria sociale adotti gli strumenti previsti
per tale scopo scegliendoli tra quelli
maggiormente in uso in agricoltura e
nel sistema agroalimentare. Di seguito
se ne riportano alcuni: a) sistema di
controllo e certificazione delle produzioni da agricoltura biologica; b) sistemi di qualità e ambientali; c) etichette
sociali e marchi etico-sociali (SA
8000); d) marchi collettivi di natura
pubblica (c.d. marchi geografici) o di
natura privata (consorzi di imprese,
cooperative, associazioni); e) carte dei
valori; f) bilanci di sostenibilità; g) “fare
rete” (es. distretti rurali di economia solidale).
Se una fattoria sociale vuole perseguire
un percorso esplicito di RSI dovrà necessariamente adottare lo strumento
“fare rete” perché nell’agricoltura sociale opera sempre una pluralità di attori pubblici, privati, privato-sociali
(agricoltura, servizio sociale, ecc.). Si
tratta, infatti, di un percorso specifico
di sviluppo rurale e nel contempo di
welfare locale, che si realizza in una
logica distrettuale.
La fattoria sociale dovrà, pertanto, “fare
rete” coi soggetti che partecipano al
processo produttivo dell’azienda agricola (es. fornitori, destinatari, tecnici) o
all’organizzazione dei servizi alla persona (es.utenti, operatori sociali, educatori); con altre fattorie sociali che
eventualmente operano nei dintorni e
con altri soggetti del territorio (es. terzo
settore, agriturismo, turismo rurale, arti-
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lazionali (come molti servizi alla persona) si producono e si consumano simultaneamente; il bene viene co-prodotto e co-consumato al tempo stesso
dai soggetti coinvolti. Si tratta, inoltre,
di beni che non possono essere né prodotti né consumati da un solo individuo, perché dipendono dalle modalità
delle interazioni con altre persone e
possono essere goduti solo se condivisi
nella reciprocità. Sono, infine, beni diversi dalle merci perché il loro valore
consiste nel soddisfare un bisogno attraverso il dono.
Nelle aree rurali la produzione di beni
relazionali è indispensabile per favorire
lo sviluppo locale perché tali beni caratterizzano le specificità e i valori della ruralità ed evitano il loro appiattimento sui valori e sugli stili di vita diffusi nelle aree urbane. Del resto, gli
abitanti delle città cercano nelle aree
rurali ciò che sentono di aver perduto e
che invece ritengono essere ancora
presente nel modo di vivere delle campagne.
L’agricoltura può proporsi di produrre
beni relazionali se abbandona l’approccio tradizionale posto a base del
paradigma della modernizzazione, che
fondava i rapporti esterni alle aziende
esclusivamente sui legami con il mondo agroindustriale attraverso la produzione di materie prime, e amplia la
propria ottica verso una riconnessione
delle attività produttive alla località,
creando nuovi reticoli intorno alla fornitura di prodotti di qualità, servizi
agrituristici, servizi alle persone, attività culturali, iniziative di accoglienza
e integrazione di immigrati e favorendo
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gianato rurale, enti locali, enti parco,
ospedali, università, centri di ricerca).
“Fare rete” come
strumento della RSI
L’applicazione dello strumento “fare rete” nella progettazione di una o più fattorie sociali prevede una serie di azioni
che vanno adeguatamente pianificate.
Per definire l’idea progettuale, si dovrà
innanzitutto costituire un tavolo di confronto o un forum tra soggetti pubblici
e privati e si formalizzerà la proposta
mediante la stipula di un protocollo
d’intesa tra tutti coloro che si impegnano a partecipare all’attività di progettazione.
Tutti coloro che ritengono di poter trarre un beneficio da un progetto di agricoltura sociale potranno attivare un
processo partecipativo che condurrà alla definizione di un’idea progettuale,
alla creazione di un partenariato, alla
stipula di un protocollo d’intesa, all’elaborazione e alla realizzazione del
progetto.
Al partenariato potranno partecipare
non soltanto organizzazioni di rappresentanza ed enti pubblici ma anche
singole strutture (imprese, cooperative,
associazioni, ecc.) e singoli cittadini
(persone e gruppi familiari) in quanto
non si tratta di dar vita ad un’aggregazione di soggetti che mediano interessi,
ma alla tessitura continua di rapporti
tra soggetti che intendono fare un percorso condiviso di progettazione partecipativa.
Inoltre, l’attività di progettazione andrebbe programmata sulla base di
un’accurata analisi delle caratteristiche
del territorio in cui si opera sotto il profilo produttivo, sociale, demografico,
ambientale e degli stessi modelli di regolazione locale. Senza questa specifica capacità di lettura, la pratica sociale
non raggiungerà risultati apprezzabili.
In sostanza, l’attività di progettazione
va intesa come un processo di crescita
e di sviluppo comune di tutti i soggetti
che intendono partecipare all’iniziativa. Se, ad esempio, si coinvolgono tutti
gli attori nell’analisi dei bisogni e nell’individuazione delle strategie di sviluppo, si compie un cammino condiviso nella lettura di un territorio. E gli
obiettivi, così definiti, saranno percepiti
come impegno comune che andrà a
rafforzare ulteriormente i legami sociali
e i vincoli identitari del territorio medesimo.
Praticando la partecipazione come auto-apprendimento, i diversi soggetti
rafforzeranno la capacità di leggere i
bisogni; di influenzare più efficacemente le decisioni che riguardano la
formulazione degli obiettivi; di maneggiare meglio gli strumenti della progettazione.
Si tratta di adottare il modello della ricerca-azione, multi-obiettivo e multidisciplinare, vale a dire una procedura
d’analisi che conduca, nelle sue conclusioni, a pianificare le azioni del progetto che si intende realizzare, da fondare sulle informazioni provenienti
dalla ricerca, sulle relazioni che si svilupperanno e sulle potenzialità che da
essa emergeranno.
Un’analisi dei bisogni e delle risorse
territoriali che sia in grado di suggerire,
strada facendo, quei cambiamenti che
si dovessero rendere necessari al mutare delle esigenze deve accompagnarsi
ad un’azione di verifica, monitoraggio
e valutazione.
A tal fine, un disegno di valutazione
sarà predisposto nella fase iniziale della ricerca, in cui verranno definite metodologie e strutture teoriche di riferimento.
La centralità della valutazione in tale
processo sarà determinante per monitorare l’andamento dell’analisi e per replicare tra gli attori della ricerca un
metodo partecipativo di auto-verifica
che si intende diffondere nella comunità oggetto di studio e soggetto d’azione.
Le reti nazionali e territoriali dell’agricoltura sociale, in collaborazione con
la Rete Rurale Nazionale, le Agenzie di
Sviluppo Agricolo delle Regioni e le
strutture di ricerca e di alta formazione
che abbiano una propensione alla multidisciplinarietà, potranno svolgere
un’azione di supporto alla progettazione, favorire lo scambio di esperienze,
agevolare la fluidità dei processi amministrativi e acquisire dalle azioni di
analisi, monitoraggio e valutazione dei
progetti gli elementi utili per l’individuazione più puntuale delle ricadute
delle politiche pubbliche.
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La certificazione di qualità
nel settore biologico
Premessa
Nel settore agro-alimentare, le esigenze di qualità rientrano nella categoria
dei bisogni primari e sono contraddistinte da una forte valenza sociale.
Inoltre sono tutelate da apposita legislazione nazionale e/o sovranazionale.
Come per altri beni di consumo, la qualità dei prodotti alimentari è la risultante di un insieme di fattori fra i quali l’igiene e la salubrità, le caratteristiche organolettiche e nutrizionali quali il sapore, l’odore, gli elementi di utilizzazione
come la conservabilità e la facilità d’uso, fattori culturali e fattori etico - sociali. A ciascuna di tali esigenze occorre
dare risposta tramite l’individuazione
dei requisiti che ne garantiscono il soddisfacimento e la verifica e l’attestazione della conformità a tali requisiti.
Se la sicurezza alimentare costituisce il
requisito di base che deve essere sempre soddisfatto, costituendo, come tale,
un fattore pre-competitivo per gli operatori del settore, la produzione biologica, definita dai Regolamenti comunitari, risponde alle esigenze di genuinità, di tutela dell’ambiente e di sviluppo sostenibile proveniente dal mercato.
La certificazione di qualità
nel settore biologico
Nel 1991 la Comunità Europea approva il regolamento 2092, che definisce
per la prima volta nella storia dell’agri-
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coltura, un metodo di produzione agricolo e cioè quello biologico, stabilendo regole comuni per tutti gli operatori
europei del settore. In una fase iniziale
tali regole rimangono circoscritte alla
produzione agricola e solo negli anni
successivi, vengono estese anche ad altre pratiche come la trasformazione ed
il commercio. Nel 2007, il Consiglio
dell’Unione Europea emana il regolamento CE 834/2007 a cui fa seguito,
nel 2008, il regolamento CE 889/08. Si
rinnova una legislazione vecchia ormai
di quasi venti anni, ponendo l’accento
sul mercato e sul consumatore.
L’obiettivo è quello di garantire un incremento qualitativo di tutti quei prodotti che si trovano a competere sul
mercato con attori rivali che possono
vantare maggior competitività per
quanto riguarda costi e prezzi. Basti
pensare ai prodotti agricoli che vengono dall’est Europa e dal nord Africa o
ai prodotti trasformati provenienti dalla
Cina che hanno messo in serio pericolo alcune produzioni, come il pomodoro da industria, per il cui sostentamento la Comunità Europea ha dovuto agire attraverso il metodo di incentivi economici ai produttori che lamentavano
incassi sempre più bassi a causa dei
prodotti a prezzi inferiori che arrivano
dall’est.
Nel regolamento CE 834/07 l’Unione
Europea fornisce una definizione ben
precisa della produzione biologica, includendo anche aspetti non puramente
agricoli ed affermando che: “La produzione biologica è un sistema globale di
gestione dell’azienda agricola e di produzione agroalimentare basata sull’interazione tra le migliori pratiche ambientali, un alto livello di biodiversità,
la salvaguardia delle risorse naturali,
l’applicazione di criteri rigorosi in materia di benessere degli animali ed una
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Garanzia
per lo sviluppo
del mercato
Federica Murmura
ricercatore confermato, Univ. degli Studi di Urbino “Carlo Bo”, Dip. Studi Aziendali e Giuridici
Alessandro Mengozzi
cultore della materia, Univ. degli Studi di Urbino “Carlo Bo”, Dip. Studi Aziendali e Giuridici
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produzione confacente alle preferenze
di taluni consumatori per prodotti ottenuti con sostanze e procedimenti naturali. Il metodo di produzione biologico
esplica pertanto una duplice funzione
sociale, provvedendo da un lato a un
mercato specifico che risponde alla domanda di prodotti biologici dei consumatori e, dall’altro, fornendo beni pubblici che contribuiscono alla tutela dell’ambiente, al benessere degli animali
e allo sviluppo rurale”.
Questa definizione inserendo le parole
“… e di produzione agroalimentare …”
amplia lo scenario a tutti gli attori della
filiera, escludendo solamente chi si occupa della vendita del prodotto confezionato. Con il nuovo regolamento
cambia anche la dicitura da apporre
nelle etichette. Se prima, infatti, nei
prodotti biologici si poteva utilizzare la
scritta “ da agricoltura biologica” ora
diventa obbligatoria la scritta “prodotto
biologico” riconoscendo valore anche
ai passaggi artigianali ed industriali di
trasformazione.
Grazie a questo cambiamento il consumatore sa che non solo la base del prodotto finale che acquista è stata coltivata secondo metodi biologici ma che
anche le fasi di lavorazione e trasformazione vengono eseguite nel rispetto
degli standard di produzione biologica.
Ad esempio, viene vietato il trattamento post raccolta su frutta e verdura con
agenti chimici fungicidi, al fine di evitare il marciume del prodotto stoccato
nelle celle frigorifere. Il nuovo logo,
che registra innovazioni non solo nei
regolamenti ma anche nella grafica, è
entrato ufficialmente in commercio dal
primo luglio 2010 e l’apposizione è
possibile solo sui prodotti destinati all’alimentazione umana, mentre ne è
vietato l’utilizzo per indumenti ottenuti
da fibre di origine biologica ed il pet
food. Al momento non è possibile utilizzarlo per la ristorazione collettiva e
per altri prodotti quali preparati alimentari che in ricetta contengano meno del 95% di ingredienti biologici, i
prodotti derivati da pesca e caccia ed il
vino, per cui era atteso un regolamento
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ad hoc per la tarda primavera del
2010. A causa dell’impossibilità di trovare un accordo fra gli stati membri
sulle quantità di solfiti da introdurre nei
vini, tale regolamento è stato rimandato a quando le tecnologie permetteranno analisi e studi più approfonditi.
Il mercato
dei prodotti
biologici
Oggi, per quanto riguarda l’offerta di
prodotti biologici, grazie a tecniche naturali e meccaniche è possibile avere
produzioni migliori sia da un punto di
vista qualitativo sia quantitativo, anche
se non si può ottenere un prodotto biologico con gli stessi costi di un prodotto convenzionale. Il prezzo più alto di
un prodotto biologico è determinato
dai maggiori costi di produzione per
l’agricoltore. Infatti, non potendo intervenire con agenti chimici, queste produzioni sono esposte a rischi maggiori
rispetto alle convenzionali, sia per
quanto riguarda la difesa da parassiti
fungini e da insetti infestanti, sia per
quanto riguarda la difesa da agenti atmosferici avversi. Si deve poi tenere
conto che anche nella fase di trasformazione i costi aumentano, in quanto i
prodotti biologici devono esser lavorati
con macchinari diversi e stoccati in locali separati da quelli adibiti per i prodotti convenzionali, con un innalzamento considerevole dei costi fissi di
produzione.
Invece, per quanto riguarda la domanda, la mancanza di un’adeguata informazione da parte dei consumatori rappresenta una caratteristica del mercato
dei prodotti biologici. Da un’indagine
effettuate su un campione di 114 consumatori tra i 18 e i 60 anni residenti
nelle provincie di Ravenna, Forlì e Cesena, dove l’unico criterio di scelta è
stato quello del responsabile di famiglia per gli acquisti (un gruppo altamente eterogeneo), sono emerse una
serie di indicazioni molto importanti.
Il primo dato riguarda i consumatori di
prodotti biologici che possono esser divisi in diverse categorie. Una in cui si
collocano coloro che consumano con
convinzione i prodotti bio, una fascia
che acquista per effetto moda, in quanto vede il prodotto bio come un prodotto “alternativo”, che lo possa collocare in un ceto sociale più elevato, e
chi invece esplora il settore ma nutre
dubbi riguardo alla sua veridicità e credibilità.
Altro dato emerso è che non pochi
clienti si rendono conto di quella che
sia la reale differenza reale di prezzo fra
le due tipologie di prodotti, biologico e
convenzionale. Infatti, analizzando dati
reali raccolti in supermercati e indagando fra i consumatori è emerso che i consumatori ritengono la maggiorazione di
prezzo minore di quella effettivamente
registrata nella GDO (Grande Distribuzione Organizzata). Nonostante questa
percezione in negativo della differenza
di prezzo la maggior parte dei consumatori contesta i prezzi maggiori ritenendoli non giustificati.
Altro segnale che dimostra quanto le
informazioni siano scarse sia in quantità sia in qualità, è il fatto che ben il
52% di coloro i quali affermano di acquistare prodotti biologici non conosce
il logo ufficiale europeo che identifica i
prodotti certificati secondo i regolamenti. Ricordiamo che in Italia l’operato dei soggetti coinvolti nelle produzioni biologiche è controllato da organismi accreditati il cui elenco è pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea, serie C, della norma europea 45011. Tali enti sono sottoposti a
controlli da parte di ACCREDIA, delle
amministrazioni regionali e da parte di
corpi speciali dello stato al fine di garantire la massima trasparenza e protezione per i consumatori.
Interessante poi notare che in questo
mercato la GDO accoglie circa il 47%
dei consensi per gli acquisti, grazie soprattutto alla facilità e comodità di acquisto. I piccoli negozi specializzati in
prodotti bio e gli agricoltori riscontrano
percentuali simili, rispettivamente del
45% e 44% circa. Gli agricoltori vengono considerati anche i venditori più
affidabili per la raccolta di informazio-
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S La certificazione di qualità nel settore biologico S
te m a
ni riguardo alle caratteristiche dei prodotti, evidenziando quindi una sostanziale parità di importanza fra filiera
corta e filiera lunga nel commercio di
tali beni.
La filiera corta
e la filiera lunga:
un’analisi
Negli ultimi anni la filiera corta ha acquisito sempre più importanza. Grazie
al lavoro di associazioni quali Aiab e
Federbio, fenomeni come i GAS (Gruppi di Acquisto Solidale), i mercatini
contadini e la vendita diretta nelle
aziende agricole non son più così rari
come qualche anno fa. Sempre più
consumatori di prodotti biologici si affidano a questo tipo di offerta, in quanto è possibile acquistare prodotti sempre freschi a prezzi più convenienti rispetto alla grande distribuzione. Così
facendo il consumatore non aiuta solamente il proprio portafoglio ma anche
quello dell’agricoltore, che può vendere direttamente al consumatore saltando i passaggi intermedi ed avere una
buona competitività di prezzo. L’acquisto presso la filiera corta comporta il rispetto dei principali valori del biologico, ovvero il rispetto ambientale ottenuto tramite l’abbattimento delle distanze, il cosiddetto commercio a “ km
zero”. Come esempio contrario, si può
pensare al caffè che proviene dall’Africa, alle banane del Sud America o
semplicemente agli agrumi che dalla
Sicilia vengono trasportati in Europa. E’
ovvio che, al momento, il commercio a
“km zero” non possa essere l’unico.
Prendiamo ad esempio le pesche della
Romagna, una delle zone più produttive in Europa per questi frutti. Sarebbe
impossibile che la popolazione dell’area assorbisse tutta la produzione ed
anche per il sostentamento degli agricoltori è necessario il commercio su
lunghe distanze. La filiera lunga è
quindi ancora molto utilizzata per gli
acquisti, in primo luogo per la facilità
di acquisto. I consumatori possono
avere a disposizione nei punti vendita
una gamma molto ampia di prodotti,
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cosa che spesso è impossibile presso
un agricoltore. Inoltre, possono trovarli
in ogni periodo dell’anno, destagionalizzando, di fatto, prodotti che normalmente sono fortemente legati alla stagionalità.
La nuova frontiera, comunque, sembra
essere quella della filiera corta su misura temporale invece che spaziale.
Conclusioni
Il settore biologico negli ultimi anni ha
vissuto un periodo di crisi, specialmente per quel che riguarda le produzioni.
L’Italia, sempre in prima posizione in
Europa per l’estensione di superfici coltivate a metodo biologico, ha subito
una flessione, lasciando il primato alla
Spagna. Questa fase è coincisa con la
diminuzione o, in alcuni casi, la cancellazione degli aiuti economici da
parte delle regioni. Appare quindi necessario ristabilire questi aiuti monetari
al fine di non vedere queste produzioni
di eccellenza scomparire. Infatti, nonostante quanto affermato dalla stessa UE
e cioè che l’agricoltura biologica abbia
il ruolo di abbattere i costi di produzione, al momento le tecnologie non lo
permettono e al contrario, i costi ed i
rischi di produzione, sono molto più
elevati rispetto a quelli dell’agricoltura
convenzionale. Inoltre sarà necessario
portare avanti una politica che incrementi e migliori la comunicazione e
l’informazione, al fine di eliminare la
confusione che regna fra i consumatori
meno esperti del settore e rendere così
il consumo di prodotti biologici un
consumo “logico” ovvero comune. Perché tutto questo è così importante? Lo
è in quanto l’agricoltura biologica è
una, anzi è la prima leva da utilizzare
per raggiungere quello scopo di cui
tanto si parla, ovvero la salvaguardia
del pianeta, la salvaguardia delle specie animali attraverso la diminuzione
dagli agenti chimici infestanti e la diminuzione dell’inquinamento dell’aria
in generale.
I BIBLIOGRAFIA
Antonelli G., Marketing Agroalimentare, Ed.
Franco Angeli, 2004;
Cicia G., De Stefano F., Prospettive dell’agri-
coltura biologica in Italia, Edizioni Scientifiche Italiane, 2007;
Regolamento CE 834/07;
Regolamento CE 889/08;
Regolamento 271/2010;
Viganò E., Rete rurale, nazionale e agricol-
tura biologica: primi risultati e attività in
corso, Congresso conclusivo “Stati generali
per il biologico”, 2009.
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S Alimentare S
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Enza Laretto
Responsabile Area Sociale e Sviluppo Sostenibile, ICIM S.p.A.
Come Sistema Gestionale
tra Responsabilità Sociale
e Sviluppo Sostenibile
Sistema
ristorazione
Introduzione
La ristorazione collettiva è un sistema
complesso e articolato, che deve tenere
conto di elementi e fattori di tipo economico, ambientale e sociale.
Solo l’approfondimento, l’analisi equilibrata di tutti gli aspetti, e la conseguente applicazione del concetto di sistema,
può permettere alle aziende di impostare un percorso di sviluppo sostenibile,
generando valore per le imprese e per
le parti interessate.
In questo contesto, ICIM intende porsi
come partner di riferimento per le organizzazioni che credono nella sostenibilità, quale reale e consapevole opportunità di sviluppo per il proprio business,
e che desiderano dare la giusta visibilità
di tali valori, mediante l'intervento
obiettivo e imparziale di un ente di terza parte.
La ristorazione collettiva oggetto di interesse di diversi gruppi di lavoro, sia a
livello nazionale che europeo, deve rispondere ai requisiti del committente e
non trascurare altri aspetti di tipo:
economico, per i profondi cambiamenti
dello stile di vita che hanno determinato, per un numero sempre crescente di individui, la necessità di consumare almeno un pasto al giorno fuori
casa;
ambientale, per gli effetti negativi che
il nostro pianeta deve sopportare, come i cambiamenti climatici, l’eccessi-
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vo consumo di energia e di acqua, l’aumento dei rifiuti;
sociale, per l’aumento di patologie cronico-degenerative come il diabete, le
malattie cardiovascolari, l’obesità, l’osteoporosi, ecc.
Il progetto di norma UNI, “Servizi di ristorazione fuori casa”, al punto 3.1.2.,
definisce il termine ristorazione collettiva come la “ristorazione fuori casa definita da un contratto tra committente e
fornitore, che si rivolge a comunità delimitate e definite. Il committente determina i requisiti del servizio di ristorazione”.
Da qui si evince come anche quest’ultimo sia coinvolto nel ciclo di vita del
processo di ristorazione.
Spesso il committente è la Pubblica
Amministrazione (Regioni, Province,
Comuni), che dovrebbe assumere la responsabilità di:
gestire il territorio sul quale sono allevate o coltivate le materie prime;
valorizzare l’economia attraverso la
promozione di un lavoro in rete tra i
vari produttori;
sensibilizzare i cittadini/utenti sull’importanza di una sana e corretta alimentazione e adozione di comportamenti sostenibili.
In generale, tutti i componenti di una
Comunità hanno specifici ruoli, competenze e responsabilità. Dalla loro integrazione deriva un’evoluzione dell’o-
biettivo di sviluppo sostenibile, che
consiste nel raggiungimento di una migliore qualità di vita.
I processi di “ristorazione sostenibile”
dovrebbero essere gestiti in modo che le
varie parti interessate (ente committente,
gestore del servizio, ASL, utenti, istituzioni, etc.), abbiano chiare le responsabilità, i ruoli e le competenze. Le informazioni sulle attività di ognuno e sui relativi
risultati dovrebbero essere comunicati in
modo chiaro e trasparente, in modo che
i requisiti, che regolano i contratti e i
rapporti tra i vari soggetti coinvolti, siano
misurabili e confrontabili.
Le “Linee di indirizzo nazionale per la
ristorazione scolastica”, recentemente
pubblicate ed elaborate da un gruppo
tecnico appositamente istituito presso la
Direzione Generale Sicurezza degli Alimenti e Nutrizione del Ministero del
Lavoro, della Salute e delle Politiche
Sociali, presentano i criteri e le indicazioni per la definizione del capitolato,
documento nel quale vengono espressi
i vincoli contrattuali tra fornitore e committente.
Le linee ministeriali indicano che il capitolato deve riportare:
criteri ispirati alla promozione della salute e a esigenze sociali che contribuiscono alla tutela della salute dell’utente e alla salvaguardia dell’ambiente;
requisiti oggettivi e misurabili nel-
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S Sistema ristorazione S
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produzione degli alimenti e delle be-
vande (definisce % di peso di prodotti provenienti da agricoltura biologica,
integrata, o materie prime DOP, IGP);
requisiti dei prodotti in carta-tessuto;
trasporti con mezzi a basso impatto
ambientale;
consumi energetici (apparecchiature a
basso consumo);
pulizie dei locali (detergenti a basso
impatto ambientale, Ecolabel);
formazione del personale (piano formativo con indicazione del personale
coinvolto, docenti, tempistiche, etc.);
requisiti degli imballaggi (riduzione degli imballaggi);
gestione dei rifiuti (raccolta differenziata);
informazione agli utenti (piano di informazione agli utenti su argomenti specifici)
Le specifiche tecniche premianti contemplano criteri più restrittivi (es. più alte percentuali in peso di materie prime
biologiche, DOP, IGP; riduzione dei
passaggi dal produttore al consumatore), e criteri più specifici ad esempio:
materie prime provenienti dal commercio equosolidale, rintracciabilità di filiera certificata ai sensi della norma ISO
22005:07; provenienza di materie prime da terreni sequestrati o confiscati,
recupero del cibo non somministrato,
secondo la legge 155/2003 (del Buon
Samaritano), che prevede la destinazione a organizzazioni non lucrative di utilità sociale, che effettuano a fini di beneficienza la distribuzione gratuita agli
indigenti di prodotti alimentari.
Il servizio di ristorazione per poter
competere sul mercato deve sapere
soddisfare i bisogni e le attese degli
utenti (i bambini nelle scuole, i pazienti
negli ospedali, ecc.), sulla base di:
requisiti nutrizionali, sensoriali e igienici del pasto.
condizioni organizzative: igiene, tempi e modi, incluse le attività pre- e post-pasto;
condizioni logistiche, ambientali e strutturali che hanno impatti sull’efficienza produttiva, sugli aspetti ambientali
(produzione dei rifiuti, consumo di
energia e di acqua, etc.);
ruolo educativo degli utenti, in tutte
le fasce di età, circa il rapporto con il
cibo, rispettando le esigenze di salute (allergie, celiachia), culturali e religiose;
gestione dei rapporti con le varie parti interessate (utenti, familiari, istituzioni, aziende, fornitori, etc.).
Lo scenario fin qui descritto delinea per
le aziende di ristorazione collettiva, la
necessità di ripensare all’intero processo produttivo per arrivare a un concetto
di sostenibilità e di responsabilità sociale del processo di ristorazione e del pasto che prenda in considerazione l’intero ciclo di vita (dalla terra al cassonetto).
Per questo motivo, dal confronto con
gli altri schemi di certificazione internazionali e dall’analisi delle linee di riferimento nazionale, ICIM ha creato una
serie di strumenti di valutazione per
permettere alle aziende di effettuare
una valutazione della sostenibilità utile
al proprio interno, per un coinvolgimento attivo di tutti i collaboratori, e da
utilizzare come dimostrazione non autoreferenziale con vantaggi nella partecipazione a gare/appalti.
I BIBLIOGRAFIA
- Linee di indirizzo nazionale per la ristorazione scolastica del Ministero della Salute –
Maggio 2010.
- Piano d'azione per la sostenibilità ambientale dei consumi della pubblica amministrazione (PAN GPP) adottato con il Decreto Interministeriale n. 135 dell'11 Aprile 2008
(G.U. n. 107 dell'8 maggio 2008).
- Criteri Ambientali Minimi per la Ristorazione e le derrate alimentari” (in via di definizione)
- Decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163
Codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture in attuazione delle direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE e successive modifiche ed integrazioni.
- Progetto di norma UNI “Servizi di ristorazione fuori casa” Requisiti minimi per la stesura di capitolato di appalto, bando e disciplinare. Attualmente sottoposto alla fase di inchiesta
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te m a
l’ambito di principi definiti di qualità,
economicità, efficacia, trasparenza e
correttezza.
Precisa inoltre che nella formulazione
del capitolato è necessario porre l’attenzione, oltre alla corretta gestione del
servizio, anche alla qualità dei prodotti.
A parità di requisiti di qualità e di coerenza con modelli di promozione della
salute, bisogna porre attenzione a una
sostenibile valorizzazione di politiche
alimentari, quali agricoltura sostenibile,
sicurezza del lavoratore, benessere animale, tradizioni locali e tipicità, coesione sociale e commercio equo-solidale.
L’obiettivo è quello di avere un rapporto
organico tra qualità e prezzo, nel sistema complessivo dei requisiti di qualità
totale del pasto e del servizio.
L’individuazione dei requisiti è anche il
compito del documento in via di definizione “Criteri ambientali minimi per
l’affidamento del servizio di ristorazione – servizio mensa e fornitura di alimenti”, parte integrante del piano di
azione nazionale per la sostenibilità
ambientale dei consumi della pubblica
amministrazione (di seguito PAN GPP)
che propone l’obiettivo di raggiungere
entro il 2010, la quota del 50% di appalti verdi sul totale degli appalti.
In questo documento sono indicati i
criteri ambientali minimi del servizio di
ristorazione, suddivisi in criteri ambientali “di base” e “premianti”. Per
ogni criterio sono indicate le “verifiche”, ovvero:
la documentazione che l’offerente o il
fornitore è tenuto a presentare per comprovare la conformità del prodotto o
del servizio a cui si riferisce;
ove esistenti, i mezzi di presunzione
di conformità che la stazione appaltante può accettare al posto delle prove dirette.
Un appalto è “verde” se integra tutti i
criteri “di base”. Le stazioni appaltanti
sono comunque invitate a utilizzare anche quelli “premianti” quando aggiudica la gara d’appalto all’offerta economicamente più vantaggiosa.
In generale le specifiche tecniche di base riguardano:
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S La PA e la Qualità S
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>> Giovanni Mattana
e delibere CIVIT
(n. 88, 89 e 104 del 2010)
Qualità
nella PA
Introduzione
Nel numero 1-2010 di Qualità, sia nell’editoriale che in Q dal Mondo, avevamo riferito sul DECRETO LEGISLATIVO
27 ottobre 2009, n. 150, ottimizzazione della produttività del lavoro pubblico ed efficienza e trasparenza delle PA,
di Attuazione della legge 4 marzo
2009, n. 15.
Nei principi generali (art. 3, comma 2)
si stabilisce che
“Ogni amministrazione pubblica è tenuta a misurare e a valutare la performance con riferimento all’amministrazione nel suo complesso, alle unità
organizzative o aree di responsabilità
in cui si articola e ai singoli dipendenti”.
Il modello su cui si basa la valutazione viene definito, nel decreto legislativo, Sistema di misurazione e valutazione della performance.
Tale Sistema deve essere stabilito da
ciascuna amministrazione in accordo
alle linee guida fornite dalla CIVIT
Commissione Indipendente per la Valutazione, la Trasparenza e l’Integrità
delle amministrazioni pubbliche.
In sede di prima attuazione spetta agli
OIV, Organismi Indipendenti di Valutazione di ciascuna amministrazione
pubblica definire il Sistema di misurazione e valutazione della performance (D.lgs 150, art. 30).
In attuazione di quel decreto è stato costituito l’organismo CiVIT - Commis-
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sione per la Valutazione, la Trasparenza
e l’Integrità delle amministrazioni pubbliche, che ha già emesso varie delibere.
Nel seguito presentiamo e sintetizziamo
alcuni contenuti delle delibere 88/2010
e 89/2010 e 104/2010.
1. La riforma della Pubblica
amministrazione:
una sfida epocale
Negli ultimi 20-30 anni quasi tutti i Paesi si sono dovuti misurare con la necessità di una trasformazione radicale della
propria PA: quella di passare da una logica degli adempimenti ad una logica
dell’efficacia, congiunta ad una logica
di priorità delle risorse (divenute, nel
contempo sempre più limitate e controllate).
Si può citare, negli Usa, l’uscita del volume D. Osborne e T. Gaebler ‘Reinventing Government’, 1992, o quello di
H. Guillome et Al. ‘Gestion PubliqueL’Etat et la performance’, 2002 che considera anche l’evoluzione in vari Paesi.
La seguente figura A2 mostra il percorso
della Gran Bretagna con riferimento alla misurazione delle performance; la
Tab. A1 mostra, per vari Paesi, le peculiarità degli organismi incaricati delle
valutazioni; la fig. A1 un esempio (Francia) di catena logica del sistema di misurazione delle performance.
La sfida/Gli obiettivi/Gli strumenti
2. Italia - Le prescrizioni del
Decreto Legislativo 27
ottobre 2009, n. 150
Scadenze temporali
30 settembre 2010 per la definizione
del Sistema di misurazione e valutazione della performance da parte degli OIV
e trasmissione alla CiVIT e
1° gennaio 2011 per l’adozione formale dello stesso sistema da parte degli organi di indirizzo politico-amministrativo.
Entro dicembre 2010 gli Organi individuino le linee strategiche ed operative,
in coerenza con i documenti della programmazione finanziaria e di bilancio;
entro gennaio 2011 gli Organi di indirizzo presentino alla CIVIT il cosiddetto “Piano della performance 20112013”, un documento programmatico
triennale che individua indirizzi, obiettivi strategici e operativi e definisce, con
riferimento agli obiettivi finali e intermedi e alle risorse, gli indicatori per la
misurazione e la valutazione della
performance dell’amministrazione e gli
obiettivi assegnati al personale dirigenziale ed i relativi indicatori (art. 10 del
D.lgs 150/09);
a cascata gli Organi assegnino gli obiettivi strategici a ciascuna struttura, corredati dei valori attesi di risultato e dei
rispettivi indicatori (individuali e organizzativi);
durante l’anno gli Organi di indirizzo,
con il supporto dei dirigenti, monitori-
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S Qualità nella PA S
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Modalità raccordo e integrazione con
Le funzioni di misurazione e valutazio-
i documenti di programmazione e di
bilancio
Processo
La definizione del processo dovrà contenere:
Fasi (da inquadrare nel ciclo di gestione della performance indicato dall’art.
4 del D.lgs 150/09)
Tempi (la programmazione delle tempistiche dovrà garantire il rispetto delle
scadenze imposte per legge e l’ottimizzazione dei tempi interni)
Modalità di attuazione del processo (con
particolare importanza alla integrazione delle risorse umane e strumentali)
Ambiti a cui si dovrà fare riferimento
(art. 8 del D.lgs 150/09 e delibera CIVIT
n. 104/2010):
l’impatto delle politiche attivate sulla
soddisfazione finale dei bisogni della
collettività;
l’attuazione di piani e programmi, ovvero la misurazione dell’effettivo grado
di attuazione dei medesimi, nel rispetto delle fasi e dei tempi previsti, degli
standard qualitativi e quantitativi definiti, del livello previsto di assorbimento delle risorse;
la rilevazione del grado di soddisfazione
dei destinatari delle attività e dei servizi
anche attraverso modalità interattive;
la modernizzazione e il miglioramento
qualitativo dell’organizzazione e delle
competenze professionali e la capacità
di attuazione di piani e programmi;
lo sviluppo qualitativo e quantitativo
delle relazioni con i cittadini, i soggetti interessati, gli utenti e i destinatari dei
servizi, anche attraverso lo sviluppo di
forme di partecipazione e collaborazione;
l’efficienza nell’impiego delle risorse,
con particolare riferimento al contenimento ed alla riduzione dei costi, nonché all’ottimizzazione dei tempi dei procedimenti amministrativi;
la qualità e la quantità delle prestazioni e dei servizi erogati;
il raggiungimento degli obiettivi di promozione delle pari opportunità.
La misurazione della performance: attori coinvolti (art. 7 del d.lgs 150/09)
ne della performance sono svolte, con
il coordinamento della CIVIT, da:
OIV: a regime agli OIV spettano il controllo sul funzionamento complessivo
del Sistema e la valutazione della performance complessiva (dell’ente nel suo
complesso). In sede di prima attuazione del decreto agli stessi OIV è demandata anche la definizione del Sistema di misurazione e valutazione della performance (art. 30 del D.lgs 150/09).
Dirigenti: cui compete la misurazione
e valutazione della performance individuale del personale dipendente assegnato alla propria struttura, nel rispetto
del principio di merito, ai fini della progressione economica e tra le aree, nonché della corresponsione di indennità
e premi incentivanti;
Organi di indirizzo politico-amministrativo: cui compete il monitoraggio in
corso d’anno
3. Delibera n. 88/2010:
“Linee guida per la
definizione degli standard
di qualità
Definizione e adozione:
a) del “Sistema di misurazione e valutazione della performance”: è il documento dove le amministrazioni pubbliche esplicitano le caratteristiche
del modello complessivo di funzionamento alla base dei sistemi di misurazione e valutazione;
b) del “Piano della Performance”: è
l’ambito in cui le amministrazioni
pubbliche esplicitano gli indirizzi e gli
obiettivi strategici ed operativi e, quindi, i relativi indicatori e valori programmati per la misurazione e la valutazione dei risultati da conseguire.
c) della “Relazione sulla performance”,
in cui le amministrazioni pubbliche
evidenziano i risultati organizzativi
ed individuali raggiunti rispetto ai target attesi, definiti ed esplicitati nel
Piano della Performance.
d) delle misure in materia di “Trasparenza e Rendicontazione della Performance”, ossia l’attivazione di tutte
quelle azioni e strumenti che consen-
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te m a
no l’andamento della performance rispetto agli obiettivi programmati e propongano eventuali interventi correttivi.
I requisiti minimi del Sistema debbono
contenere:
chiara definizione degli obiettivi
presenza di indicatori di output e di outcome (impatto e risultato ultimo sugli
stakeholder)
specificazione dei legami tra obiettivi, indicatori e target
caratterizzazione degli indicatori secondo il formato proposto dalla CiVIT
rilevazione effettiva della performance,
secondo la frequenza e le modalità definite nello schema di caratterizzazione degli indicatori. (delibera CIVIT n.
89/2010).
Elementi indispensabili sono costituiti da
(delibere CIVIT n. 88, 89 e 104 del
2010):
Descrizione del Sistema
– Descrizione delle caratteristiche distintive dell’organizzazione
– Metodologia adottata per la misurazione e la valutazione della performance complessiva
– Metodologia adottata per la misurazione e valutazione della performance individuale
– Modalità con cui verrà garantita la
trasparenza totale del Sistema e della sua applicazione
– Modalità con cui si intendono realizzare indagini sul personale dipendente (benessere organizzativo, grado di condivisione del Sistema e valutazione del proprio superiore)
– Modalità con cui l’amministrazione
intende promuovere progressivamente il miglioramento del Sistema
Processo. La definizione del processo
dovrà contenere: Fasi, Tempi, Modalità
di attuazione (con particolare importanza all’integrazione delle risorse umane e strumentali)
Soggetti e responsabilità: soggetti chiamati a svolgere la funzione e soggetti
consultati come stakeholder esterni ed
interni
Procedure di conciliazione (in caso di
conflitti nell’ambito della valutazione
della performance individuale)
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S La PA e la Qualità S
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> Fig. A.2 – cronologia evolutiva dei Sistemi di misurazione e gestione della performance nel Regni Unito
1 La definizione della mappa dei servizi
2 Le dimensioni della qualità
Nella presente delibera ne sono individuate quattro, il cui peso specifico deve
essere valutato in relazione alla tipologia
del servizio: l’accessibilità, la tempestività, la trasparenza e l’efficacia.
……
3 Le modalità di individuazione ed elaborazione degli indicatori di qualità
Per aversi indicatori appropriati, si deve
tenere conto di sei requisiti che gli indicatori sulla qualità dei servizi devono
soddisfare: 1. Rilevanza: 2. Accuratezza:
3. Temporalità 4. Fruibilità: 5. Interpretabilità: 6. Coerenza
4 Le modalità di definizione degli standard
Il passaggio successivo consiste nella definizione degli standard di qualità del
servizio erogato, ossia il livello di qualità
che l’amministrazione si impegna a
mantenere.
……….
5 La pubblicizzazione degli standard
della qualità dei servizi
Gli standard della qualità dei servizi devono essere agevolmente accessibili agli
utenti. In tal senso le amministrazioni
devono pubblicare i dati sul sito istituzionale, nonché attivare tutte le altre
azioni idonee a garantire la trasparenza.
> Tabella A.1 – generalità degli Stati considerati
cesso di miglioramento continuo
delle performance.
Questo sistema
deve assicurare,
in prospettiva :
il miglioramento della qualità dei
servizi pubblici, attraverso una revisione periodica e,
> Fig. A.1 – catena logica del Sistema di misurazione della performance - Francia
quindi, un innalzamento progressivo
tono ai cittadini di accedere agevoldegli standard di qualità;
mente alle informazioni circa il funzionamento dell’ente e i risultati rag l’ottimizzazione dei costi dei servizi erogiunti.
gati, da operare attraverso il progressiLa finalità
vo miglioramento degli standard ecoLa finalità dell’intero impianto è di dotanomici.
re le amministrazioni pubbliche di un siIl percorso metodologico per l’indivistema attraverso il quale attivare un produazione degli standard di qualita’
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4. Delibera n. 89/2010 Indirizzi in materia di
parametri e modelli di
riferimento del Sistema di
misurazione e valutazione
della performance
Tre elementi fondamentali del Sistema
di misurazione della performance
Un Sistema di misurazione della performance si compone di tre elementi fondamentali:
1. indicatori
2. target
3. infrastruttura di supporto e processi.
Un indicatore di performance è lo strumento che rende possibile l’attività di
acquisizione di informazioni.
Un target è il risultato che un soggetto si
prefigge di ottenere, ovvero il valore desiderato in corrispondenza di un’attività
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S Qualità nella PA S
o processo.
Il terzo elemento di un Sistema di misurazione è rappresentato dall’infrastruttura
di supporto e dai soggetti responsabili
dei processi di acquisizione, confronto,
selezione, analisi, interpretazione e diffusione dei dati, garantendone la tracciabilità. Un’infrastruttura di supporto può
variare da semplici metodi manuali per
la raccolta dati a sofisticati sistemi informativi, sistemi di gestione della conoscenza e procedure codificate per l’analisi e rappresentazione dei dati.
Sviluppo di indicatori e target
Un indicatore di performance è lo strumento che rende possibile l’attività di
acquisizione di informazioni.
Affinché il processo di misurazione sia
rilevante, gli indicatori devono essere
collegati ad obiettivi e devono puntare
a generare risultati adeguati a questi
obiettivi e non valori ‘ideali’ o a valori
‘veri’ [1].
Allo stesso tempo, il processo di misurazione deve essere trasparente e tendenzialmente replicabile;
per questo gli indicatori devono essere
strutturati considerando varie dimensioni [33, 34].
Un test dei target
Per ciascun target è altresì importante
condurre un test che, al pari di ciascun
indicatore, ne misuri la solidità dal punto di vista qualitativo. Il test sulla qualità
può basarsi sulle variabili indicate nella
tabella 4.4.
Scopi del Sistema di misurazione
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Questo Sistema di misurazione renderà
le organizzazioni capaci di [12]:
acquisire informazioni relative agli obiettivi e monitorare i progressi ottenuti rispetto ai target individuati;
legare le fasi di pianificazione, formulazione e implementazione della strategia allo svolgimento dei piani d’azione;
comunicare obiettivi e risultati all’interno e all’esterno dell’organizzazione,
nonché confrontare la propria performance in un’ottica di benchmarking nel
caso in cui alcuni indicatori siano comuni a più organizzazioni;
influenzare i comportamenti organizzativi;
generare cicli di apprendimento [14].
Fasi
Il sistema si inserisce nell’ambito del ciclo di gestione della performance, articolato secondo l’articolo 4, comma 2, del
decreto, nelle seguenti fasi:
a) definizione e assegnazione degli
obiettivi che si intendono raggiungere, dei valori attesi di risultato e dei rispettivi indicatori;
b) collegamento tra gli obiettivi e l’allocazione delle risorse;
c) monitoraggio in corso di esercizio e
attivazione di eventuali interventi correttivi;
d) misurazione e valutazione della performance, organizzativa e individuale;
e) utilizzo dei sistemi premianti, secondo criteri di valorizzazione del merito;
f) rendicontazione dei risultati agli orga-
ni di indirizzo politico-amministrativo, ai vertici delle amministrazioni,
nonché ai competenti organi esterni,
ai cittadini, ai soggetti interessati, agli
utenti e ai destinatari dei servizi.
Esempi di modelli di misurazione esistenti
La finalità di questa sezione non è suggerire l’implementazione di uno specifico modello di misurazione ma, attraverso un confronto tra alcuni di essi, indirizzare verso una scelta che rifletta le esigenze specifiche di ogni organizzazione.
Si tratta di modelli multidimensionali
che hanno trovato sovente applicazione
nel settore pubblico anche in Italia. I
modelli più diffusi sono:
1 Balanced Scorecard (BSC) – probabilmente più noto, caratterizzato da
un forte legame sia tra risultati, processi e risorse, nonché tra obiettivi,
indicatori ed azioni [15];
2 Performance Prism - meno conosciuto della BSC, ma interessante per la
prospettiva incentrata sugli stakeholder [16];
3 Common Assessment Framework
(CAF) - utilizzato anche in alcune
pubbliche amministrazioni italiane
(principalmente negli enti locali) e
ispirato ai sistemi di qualità (EFQM,
European Foundation for Quality Management), si fonda sull’autovalutazione e utilizza una larga gamma di
indicatori [17].
Confronto tra alcuni aspetti del CAF e
della BALANCED SCORECARD
Alcuni frequenti errori da non commettere
Genericità nella definizione degli obiettivi: un obiettivo deve essere chiaramente identificato, presentare una propria specificità e non essere sovrapposto ad altri obiettivi;
scarso orientamento strategico degli obiettivi: la qualificazione di obiettivo strategico deve essere assegnata ad obiettivi
che hanno una rilevanza elevata rispetto ai bisogni della collettività che l’amministrazione è chiamata a soddisfare;
assenza di indicatori associati agli obiettivi o indicatori poco chiari e attinenti:
ad ogni obiettivo deve essere associato
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> Tabella 4.3: test di validazione della qualità dell’indicatore
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S La PA e la Qualità S
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> Tabella 4.4: test della qualità del target
almeno un indicatore la cui scelta sia
chiarita da un razionale di riferimento;
mancata copertura di tutti gli ambiti rilevanti da parte degli indicatori di performance: l’insieme degli indicatori deve
coprire tutti gli ambiti di misurazione e
valutazione di cui all’articolo 8 del decreto e, in particolare, le dimensioni dell’outcome e della soddisfazione dell’utenza;
eccessivo utilizzo di indicatori binari o
di stato di avanzamento del piano di
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azione: questa tipologia di indicatori non deve essere quella prevalente nel sistema e, in
ogni caso, va accompagnata con
altre tipologie di
indicatori (tenendo
conto degli ambiti
di cui all’articolo 8
del decreto);
assenza di target
associati agli indicatori o target poco
sfidanti: ad ogni indicatore deve sempre associarsi un
target (al limite anche riferito ad un
intervallo temporale pluriennale).
Target che siano sistematicamente fissati al 100% possono essere sintomo di
obiettivi poco sfidanti ed autoreferenziali. La fissazione dei target deve essere frutto di un processo di coinvolgimento interno ed esterno (stakeholder);
scarsa trasparenza ed accessibilità dei
documenti contenenti gli obiettivi e gli
indicatori (ex ante ed ex post): l’accessibilità e la conoscenza interna ed esterna di questi elementi non è solo un fattore di trasparenza, ma è una leva per il
miglioramento del Sistema di misurazione ed in generale della performance;
scarso utilizzo del capitale informativo
esistente: i Sistemi di misurazione della performance devono essere progettati in maniera tale da ottimizzare l’acquisizione dei dati dai sistemi informativi interni esistenti. È necessario che la
definizione degli obiettivi e degli indicatori sia frutto di un processo di coinvolgimento interno ed esterno finalizzato alla messa in comune delle informazioni disponibili;
assenza o carenza nell’attività di monitoraggio: i Sistemi di misurazione devono prevedere periodi di monitoraggio la
cui cadenza consenta l’adozione tempestiva di eventuali azioni correttive;
scarsa integrazione dei processi di misurazione, controllo e valutazione: il Sistema di misurazione deve contenere
una descrizione del collegamento con
i sistemi di controllo di gestione, mantenendo però chiare le differenze tra
controllo strategico e controllo di gestione (articolo 7, comma 3, lettera c),
del decreto);
scarsa o non coerente esplicitazione
delle finalità del Sistema di misurazione della performance: deve essere chiaramente esplicitato che la finalità del Sistema di misurazione è di supporto ai
processi decisionali al fine di promuovere un miglioramento della qualità dei
servizi offerti dalle amministrazioni pubbliche (articolo 3, comma 1, del decreto) ed ha uno scopo di favorire la trasparenza e l’accountability;
scarso legame tra risorse impiegate e risultati ottenuti: il legame tra risorse e risultati (input attività output) deve essere chiaramente evidenziato nel Sistema di misurazione della performance.
A tal fine è necessario creare un Sistema di misurazione coerente con le finalità del decreto e con il ciclo della
programmazione finanziaria e di bilancio [33];
scarsa considerazione delle risultanze
dei Sistemi di misurazione ai fini dell’attivazione di logiche di gestione del
cambiamento: le risultanze dei Sistemi
di misurazione (ad esempio performance
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S Qualità nella PA S
La tabella 4.1 costituisce il riferimento
metodologico per caratterizzare correttamente gli indicatori di performance,
contestualizzandoli all’interno del modello proposto in questo documento. Tale riferimento costituisce uno schema per
ragionare sui requisiti fondamentali di un
indicatore sia per quanto riguarda le sue
componenti anagrafiche, sia per le componenti di carattere organizzativo (da inserire opportunamente nei Sistemi di gestione della performance da parte di ciascuna amministrazione). Si raccomanda
alle amministrazioni di seguire questo
formato per la definizione degli indicatori principali di performance.
Per ciascun indicatore, inoltre, è importante condurre un test che ne misuri la fattibilità dal punto di vista informativo e uno che ne verifichi la solidità
dal punto di vista qualitativo. Il test sulla fattibilità è articolato nelle variabili
indicate nella tabella 4.2.
- Fasi di maturità dei Sistemi di misurazione
Questo percorso vuole non solo contribuire alla strutturazione di Sistemi di misurazione più “robusti”, ma soprattutto
favorire la trasparenza, l’accountability e
la qualità dei servizi erogati dalle amministrazioni.
La prima fase in questo percorso è costituita dai requisiti minimi previsti dalla
Commissione; questi corrispondono essenzialmente alle condizioni necessarie
per l’esistenza di un Sistema di misurazione [12], coniugate a indicazioni specifiche per lo sviluppo di indicatori di
outcome.
La seconda fase di maturità presenta un
Sistema di misurazione strutturato attorno
a tutti gli obiettivi strategici e di outcome
previsti. Inoltre, viene specificata una
traiettoria di miglioramento per ogni
obiettivo e la mappatura di processi e attività chiarisce come gli input e i processi
di trasformazione contribuiscano al rag-
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giungimento di output e outcome. Il sistema è strutturato su diversi livelli e le informazioni sono trasmesse efficacemente
all’interno dell’organizzazione e dall’organizzazione ai suoi stakeholder principali. I dati in possesso dell’organizzazione sono di alta qualità nel senso di accuratezza, validità e affidabilità. Il vertice
politico-amministrativo riceve questi dati
e controlla l’andamento dell’organizzazione rispetto ai suoi obiettivi strategici.
La terza fase include l’utilizzo di una
mappa strategica a livello di vertice. Questa mappa consente di comprendere più a
fondo i fattori di successo dell’organizzazione e le modalità di raggiungimento degli obiettivi. Le responsabilità associate a
target e indicatori sono trasparenti all’interno e all’esterno dell’organizzazione. I
report pubblicati con cadenza semestrale
o annuale sono di facile fruizione per un
pubblico non specializzato, anche attraverso l’utilizzo di diversi sistemi di rappresentazione [21]. L’organo di indirizzo politico-amministrativo è coinvolto nel processo di valutazione della performance,
di revisione e adeguamento periodico del
Sistema di misurazione.
La quarta fase comprende ulteriori elementi rilevanti, in particolare la piena
condivisione a tutti i livelli gerarchici degli obiettivi strategici e delle motivazioni
sottostanti (razionale) all’utilizzo di target
e indicatori. Attraverso mappe strategiche sviluppate a cascata, l’organizzazione riesce a legare processi e attività a livello di vertice, dipartimento, servizio,
gruppo e individuo. Grazie a indicatori
standardizzati è possibile confrontare la
performance all’interno e all’esterno dell’organizzazione secondo una logica di
benchmarking. I risultati ottenuti a livello
di output, outcome e soddisfazione degli
utenti sono collegati a dati economicofinanziari. Tutto questo è reso possibile
da un appropriato sistema informativo.
Nella quinta fase di maturità i legami tra
i fattori di successo e gli indicatori di
performance sono validati e, quindi, l’organizzazione è in possesso di veri indicatori predittivi. La revisione del Sistema
di misurazione perciò rafforza l’effettiva
rilevanza degli indicatori e ne valuta il
contributo informativo verso il raggiungimento dell’outcome. Questi aspetti sono
efficacemente comunicati all’interno
dell’organizzazione attraverso l’utilizzo
di sistemi informativi sufficientemente
sofisticati. La cultura organizzativa supporta appieno l’utilizzo dei Sistemi di
misurazione e risulta presente una cultura della performance [23].
L'impegno organizzativo
La traiettoria di miglioramento sottesa a
queste fasi di maturità presuppone uno
sforzo organizzativo che dipende solo in
parte da aspetti di natura tecnica. Per
un’efficace misurazione e gestione della
performance devono essere considerate
le seguenti dimensioni:
tecnica - raccolta dati, sviluppo di obiettivi, target e indicatori, utilizzo di sistemi informativi, strumenti e tecniche di
miglioramento, sviluppo di capacità,
competenze e abilità del personale, etc.;
manageriale - formulazione ed esecuzione della strategia, gestione dei processi,
cambiamenti nella struttura organizzativa, allocazione delle risorse, promozione
di un orientamento ai risultati, etc.;
culturale - condivisione di valori comuni, allineamento di comportamenti e
attitudini, sviluppo di pratiche condivise e routine, etc.;
leadership - formulazione e comunicazione di una visione condivisa, supporto
manageriale, coinvolgimento e crescita professionale dei dipendenti all’interno della struttura gerarchica, creazione di un ambiente di lavoro favorevole, orientamento all’innovazione, etc.;
comunicazione – comunicazione sia
all’interno che all’esterno dell’organizzazione, utilizzo di sistemi di gestione
della conoscenza, etc.
Oltre a considerare tali elementi, è importante ricordare come i ruoli degli
stakeholder interni (vertice politico e amministrativo, dirigenza e dipendenti) devono mutare nel tempo, in relazione ai
cambiamenti di sistema [14, 25, 26]. La
tabella 5.1 riporta in modo sintetico tali
ruoli. Gli OIV sono chiamati a interagire
con questi soggetti, nelle modalità previste dal decreto (si veda la sezione 1 di
questo documento).
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te m a
insufficienti) devono essere utilizzate effettivamente per intraprendere dei processi di cambiamento organizzativo, anche attraverso il corretto uso della leva
della formazione.
Schemi di sviluppo di indicatori e target
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S La PA e la Qualità S
te m a
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Si estende l’applicazione
della Griglia Comune di
Autovalutazione a vari settori
della PA: Scuola, Giustizia,
Università, Comuni,..
>> Italo Benedini
responabile area EFQM di Aicq
PA: il modello caf
per l’autovalutazione
Il Modello CAF:
le origini e lo sviluppo
Nel maggio 2000, in occasione del
Convegno UE di Lisbona, nasce il Modello CAF (Common Assessment Framework), come risultato della cooperazione tra i Ministeri della Funzione
Pubblica dei principali paesi della
Unione Europea, e grazie alla collaborazione della European Foundation for
Quality Management (EFQM) e della
Speyer School.
Ci sono alcuni elementi fondamentali
alla base di questa iniziativa. Tutte le
organizzazioni, a cominciare dal settore privato, avvertono un urgente bisogno di miglioramento. I modelli giapponesi (Juran) hanno destabilizzato il
mondo industriale basato fino agli anni ’80 su paradigmi che non ne sollecitavano adeguatamente la dinamica e
l’innovazione. Nascono di conseguenza nella seconda metà degli anni ’80
nuovi modelli organizzativo/gestionali
indirizzati in primo luogo all’industria
(Malcolm Baldrige, poi il modello europeo EFQM). Si capisce che la competizione va combattuta sulla attenzione al cliente, sulla continua spinta al
cambiamento e sul miglioramento
continuo, sull’efficace impiego delle
risorse e sulla guida chiara e coerente
da parte del Management.
Ma qualcosa, dagli anni ’90 cambia
anche nel mondo della Pubblica Am-
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ministrazione. Comincia ad essere
chiaro che tutte le organizzazioni, anche e forse ancora di più quelle pubbliche, hanno bisogno di rinnovarsi:
si capisce che il passo del cambiamento organizzativo è stato molto inferiore
del passo del cambiamento tecnologico e sociale, e questo ancora di più
nel settore della PA. Ci si rende conto
di come un sistema pubblico inefficiente condizioni in modo determinante lo sviluppo del sistema economico – sociale dei paesi. In particolare per l’Italia, le analisi dell’World
Economic Forum evidenziano fra i fattori più problematici per la competitività l’inefficienza della burocrazia di
governo centrale e periferico:vedi il
grafico seguente.
È necessaria una strategia che permetta di recuperare il gap tra tecnologia
ed organizzazione, tra privato e pubblico, garantendo di mantenere il passo con le esigenze continue di innovazione e di cambiamento e mirando al
miglioramento continuo delle organizzazioni.
Per perseguire il percorso delle organizzazioni verso questo adeguamento
si richiedono alcuni elementi chiave:
L’adeguatezza ai fini (fare bene le cose), che non può prescindere dalla
adeguatezza dei fini (fare le cose giuste)
Il miglioramento continuo deve essere guidato da un processo che diriga
le organizzazioni verso obiettivi sfidanti, ma indiche anche la necessità
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S PA: il modello caf per l’autovalutazione S
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di verificare e correggere costantemente l’indirizzo: il ciclo PDCA di
Deming è in questo senso lo strumento
Occorre fornire alle organizzazioni
un “modello” organizzativo e di gestione che operi come una bussola
che aiuti a individuare i fini di maggior
valore per i clienti e gli stakeholder e
a dirigere l’organizzazione verso di
essi
È l’assieme dei due elementi “logica”
del miglioramemto continuo e “modello” che deve costituire per le organizzazioni, pubbliche o private, la “strada” per adeguare e mantenere adeguati i propri fini e le proprie modalità
operative. Ed è la necessità di questi
elementi che, continuando l’esperienza del Modello EFQM, e con la finalità
di estendere al massimo la presa di coscienza e l’applicazione di appropriate
“linee guida”, determinano la nascita
del Modello CAF.
Il titolo del modello CAF (acronimo di
Common Assessment Framework ) si
può tradurre in “Griglia Comune di
Autovalutazione” per la qualità delle
Pubbliche Amministrazioni. “Griglia”
per le sue caratteristiche di guida composta da vari elementi interagenti tra di
loro, “comune” perché definita per
una applicazione da parte di tutte le
amministrazioni pubbliche europee,
“di autovalutazione” perché ha come
indirizzo quello di spingere le organizazzioni al miglioramento attraverso
l’auto-valutazione ed il confronto. Modello CAF come strumento elaborato
per sostenere gli interventi di miglioramento nelle organizzazioni pubbliche
attraverso l’applicazione dei principi
delTotal Quality Management. “Modello” come metro per misurare e confrontare le organizzazioni, strumento
campione con cui ogni organizzazione può tarare i propri strumenti gestionali, individuare i propri punti di forza
e di debolezza, assicurare un fondamento razionale ai programmi strategici di miglioramento. “Modello” come un insieme di best practice di alto
livello tra le quali ogni organizzazione
può individuare le proprie risposte.
33
Il modello CAF non vuole mettersi in
contrapposizione con altri modelli (in
particolare EFQM) e strumenti , ma si
propone come una “guida” per la Pubblica Amministrazione, relativamente
semplice per indirizzare le organizzazioni in particolare nella difficile fase
inziale del percorso del miglioramento
continuo. Ed in questo senso, suggerisce anche come avviare e proseguire il
percorso.
Il CAF come “struttura” che sviluppa i
Concetti Fondamentali dell’Eccellenza
(orientamento ai risultati, focalizzazione sul cliente, leadership e fermezza
di propositi, gestione per processi e
obiettivi, coinvolgimento del personale, miglioramento continuo e innovazione, partnership e responsabilità sociale) in definizioni generali, componenti concettuali e componenti operative per fornire alle organizzazioni i
concetti e gli esempi pratici, il metro
di misura e il metodo. Llo schema qui
di fianco indica come il modello si sviluppa in questo senso, attraverso i suoi
criteri, sottocriteri ed elementi da considerare (esempi)
Il Modello CAF:
il percorso
La strada iniziata nell’ormai lontano
2000 è proseguita a livello europeo,
ed in particolare in Italia, con nuovi
sviluppi ed aggiornalemti del Modello,
con progetti ed iniziative per favorirne
una ampia applicazione. Lo schema
che segue indica i passi principali del
percorso, e riporta anche le importanti
iniziative condotte negli anni dal Dipartimento della Funzione Pubblica,
iniziative che pongono l’Italia al primo
posto per ampiezza dei progetti e numero di organizzazioni che applicano
il Modello.
Riportiamo nel seguito alcune informazioni relative alle tappe principali di
questo percorso, per quanto riguarda
in particolare la realtà italiana.
Anno 2002: viene rilasciata la prima
versione ufficiale del Modello.
Anno 2005 e successivi: Laboratori –
Percorsi della Qualità organizzati dal
Formez.
Attraverso gruppi di lavoro guidati da
esperti di Modelli d’Eccellenza e di sistemi di Total Quality Management,
viene studiata l’applicazione del modello CAF a numerosi settori della
Pubblica Amministrazione, guidando i
partecipanti alla interpretazione del
modello nelle singole realtà ed supportando nelle organizzazioni partecipanti l’autovalutazione e la definizione di
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specifici piani di miglioramento. Si citano in particolare i seguenti laboratori: Amministrazioni centrali e periferiche dello Stato, Aziende sanitarie,
aziende ospedaliere ed altre amministrazioni che operano nel campo sanitario, Istituzioni Scolastiche, Comuni
Unioni di Comuni comunità montane
e altre forme associative comunali, Enti Pubblici non economici e CCIAA,
Regioni Province e Città Metropolitane, Università. Dall’esperienza di questi laboratori si è dato vita al successivo Premio Pubblica Amministrazione.
Va citato anche il successivo laboratorio, avviato nel 2008 e concluso l’anno successivo, relativo al Settore Giustizia, che ha permesso tra l’altro di
consolidare ed ufficializzare il Modello “Caf Giustizia – Il modello europeo
di autovalutazione delle performance
pe gli uffici giudiziari”.
Anno 2006: Il Premio Qualità per la
pubblica Amministrazione.
Il Formez con il supporto dell’Associazione Premio Qualità Italia (APQI) e
con la partecipazione di AICQ (che
cura la formazione sul modello e partecipa al Comitato Tecnico scientifico
per il premio) lancia la prima edizione
del Premio Qualità Pubblica Amministrazione, basato sul modello CAF, iniziativa ancora oggi unica a livello europeo.
Il premio si propone di contribuire a
diffondere una cultura della qualità
basata sui principi della misurazione,
valutazione e miglioramento continuo
delle performance e di dare visibilità
alle amministrazioni che si sono impegnate con successo nel miglioramento
continuo delle proprie performance.
Il premio, che si sviluppa in 7 categorie (Amministrazioni centrali e periferiche dello Stato, Aziende sanitarie,
aziende ospedaliere ed altre amministrazioni che operano nel campo sanitario, Istituzioni Scolastiche, Comuni
Unioni di Comuni comunità montane
e altre forme associative comunali, Enti Pubblici non economici e CCIAA,
Regioni Province e Città Metropolitane, Università) ottiene grande eviden-
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za e raccoglie numerose partecipazioni. Oltre che strumento che permette
di dare evidenza alle migliori organizzazioni del settore Pubblico (che vengono simbolicamente premiate nell’ambito del Forum PA), si dimostra
uno strumento di grande importanza
per la diffusione del Modello, per la
raccolta e divulgazione di buone pratiche e lo stimolo di meccanismi di confronto tra le organizazzioni, fondamentali per la crescita del sistema
pubblico complessivo.
anno 2006: Seconda versione ufficiale del Modello CAF
Il contributo dell’Italia è sostanziale
nello sviluppo del nuovo CAF. Senza
modifiche stravolgenti, il nuovo modello completa alcuni elementi (in particolare relativi all’innovazione e al
cambiamento) e migliora l’allineamento con il Modello EFQM.
anno 2007: Seconda edizione del Premio Qualità per la Pubblica Amministrazione
La partecipazione è molto ampia, tra
la prima e seconda edizione vengono
raccolte 483 partecipazioni. Una particolare sezione del Premio valuta il
“miglioramento”, per le sole organizzazioni vincitrici della edizione precedente, come stimolo per le organizzazioni a continuare il percorso avviato.
In occasione di questa edizione del
premio, non solo vengono premiate le
vincitrici nell’ambito del Forum PA,
ma vengono anche premiate dal Presidente Napolitano le organizzazioni
che si sono particolarmente distinte,
nell’ambito del Premio Nazionale per
l’Innovazione. La crescita complessiva
del sistema pubblico è resa evidente
dalla crescita della media dei punteggi
ottenuti dai partecipanti e dalla maggiore omogeneità dei risultati ottenuti
nei diversi criteri del modello
anno 2008 e successivi: i Modelli
adattati ai settori della PA
iniziano a livello nazionale e/o europeo le attività di adattamento del Modello ai principali settori della PA: la
Scuola (attività conclusa nel 2010 con
la pubblicazione del Modello europeo
“education”, la Giustizia (attività conclusa nel 2009 con la pubblicazione
del Modello CAF Giustizia). È attualmente in corso l’adattamento del Modello CAF all’Università, sono in valutazione i modelli Caf adattati al settore
sanitario e ai Comuni, ulteriori attività
potrebbero svilupparsi prossimamente.
L’obiettivo non è quello di creare nuovi modelli, ma di avere modelli CAF
che parlino con il linguaggio specifico
delle organizzazioni, rispettando completamente i contenuti del modello base: è un altro concreto modo per favorire e rendere più agevole la diffusione
del CAF.
anno 2008 – 2010: La Procedure for
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> I profili di valutazione e i requisiti minimi
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> La procedure for External Feedback: i Pilastri
> Pilastro 1: Griglie di valutazione - Un esempio
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zione e definizione di questo processo, e l’Italia sta per prima avviando
una fase di applicazione estesa della
procedura: della Procedure for External Feedback e dei possibili percorsi
che vengono indicati alla PA si parlerà
più diffusamente nel paragrafo successivo
anno 2010: Terza edizione del Premio Qualità Pubblica Amministrazione
La struttura ripete quella delle precedenti edizioni. Con le organizzazioni
iscritte in questa terza edizione, il totale delle organizzazioni partecipanti alle tre edizioni del premio sale a oltre
700, numero ancora piccolo se si considera il numero totale di organizzazioni dei diversi settori della PA, ma
grande se consideriamo che questo è
un modo importante di disseminare la
cultura dei Modelli di Total Quality
Management
infine, si prevede negli anni 20112012 l’emissione della terza edizio-
ne del Modello Caf, che presumibilmente recepirà i cambiamenti nel frattempo attuati nel modello “padre” EFQM, con l’emissione del Modello EFQM 2010.
I riconoscimenti per le organizzazioni
basati sul Modello CAF e Modello EFQM: un percorso integrato
Le motivazioni che hanno spinto EIPA
(European Institute for Public Administration) ad impostare il già citato processo della Procedure For External
Feedback sono legate alla necessità di
offrire alle organizzazioni un check
che permettesse di verificare e guidare
il loro percorso iniziale verso l’applicazione dei principi del TQM. Alla
messa a punto della procedura ha dato un contributo determinante l’Italia,
con l’impegno del Dipartimento della
Funzione Pubblica e con il contributo
del Formez e di esperti messi a disposizione da AICQ ed APQI.
Con la procedura si introduce una
nuova prospettiva permettendo di:
verificare se l’organizzazione sta applicando correttamente i principi del
Total Quality Management;
supportare il livello di motivazione e
rafforzare l’entusiasmo verso le azioni di miglioramento;
promuovere la valutazione tra pari e
il benchlearning.
La procedura è strutturata in 3 “pilastri”
che valutano rispettivamente la conduzione del processo di autovalutazione,
la qualità della pianificazione del miglioramento e il livello di implementazione degli 8 Concetti Fondamentali (o
principi) di eccellenza nell’organizzazione
(l’innovazione e
il miglioramento
continuo, la gestione dei processi, la gestione
delle partnership,
il coinvolgimento
del personale, la
gestione della
leadership, l’orientamento ai ri-
External Feedback
Viene impostata e ufficializzata la procedura per riconoscere e premiare le
organizzazioni che dimostrano la capacità di utilizzare efficacemente il
modello CAF per l’autovalutazione e il
miglioramento; il processo descritto
dalla “Procedure for External Feedback”, con validità europea, porta all’ottenimento della “ECU Label”, riconoscimento simbolico per le organizzazioni che dimostrano un efficace impiego del Modello. Il contributo italiano è stato fondamentale nella prepara-
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sultati, il focus sul cittadino/cliente, la
responsabilità sociale).
Il processo di valutazione prevede che
due o più valutatori appositamente formati verifichino i vari passi (step) seguiti dall’amministrazione, secondo
una “griglia” sulla base della quale
viene assegnato un punteggio su una
scala da 1 a 5 ad ognuno dei 9 step
previsti dal CAF sul processo di autovalutazione – miglioramento. Inoltre,
su una scala a 4 elementi (nessuna evidenza, stato iniziale, stato di realizzazione e stato di maturità) vene valutata
l’organizzazione in termini di attuazione degli 8 Concetti Fondamentali. Con
il profilo di valutazione che ne risulta
(qui sotto è riportato quello per i primi
2 pilastri) viene verificato in che misura l’amministrazione sta attuando un
processo coerente con il modello CAF
e sta ottenendo risultati in termini di
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attuazione dei Principi dell’Eccellenza.
Se il profilo di punteggio supera il livello minimo previsto dal processo,
viene rilasciato all’organizzazione l’attestato “Ecu Label” come riconoscimento della organizzazione come “Effective CAF User”.
Modello CAF e Modello EFQM: un
percorso integrato
Come noto, i Modelli d’Eccellenza si
propongono la crescita delle organizzazioni attraverso un processo di miglioramento continuo realizzato con
una sequenza senza fine di fasi miglioramento, di consolidamento e verifica,
rappresentato dal ciclo PDCA di Deming. Per favorire e rendere effettivo
questo processo è necessario che sia
definito un sistema di linee guida (i
Modelli) e di un approccio euristico in
grado di verificare e indirizzare costantemente le organizzazioni. Ele-
mento fondamentale in questo senso è
che sia definito un sistema di “verifiche di maturità” per le organizzazioni
che permetta da un lato di evitare il rischio di autoreferenzialità (attraverso
la valutazione esterna) e dall’altro di
proporre delle mete da raggiungere in
un percorso di crescita continua verso
l’eccellenza.
In questo senso è stato realizzato un
accordo tra EIPA ed EFQM per poter
offrire alle organizzazioni una strada
coerente, che integrasse l’obiettivo EIPA di spingere il maggior numero di
organizzazioni verso l’impiego di modelli organizzativo-gestionali con l’obiettivo dell’EFQM di riconoscere le
organizzazioni migliori. Il percorso
proposto indica l’”ECU Label” come
prima possibile tappa di questo percorso; per le organizzazioni che hanno la
necessaria capacità e determinazione
può seguire il 1° livello di Eccellenza
EFQM (Committed to Excellence), per
il quale il modello di riferimento può
rimanere il CAF. I successivi livelli sono quelli proposti dall’EFQM come indicato dallo schema riportato qui di
fianco, a cominciare dal 2° Livello EFQM (Recognized for Excellence), che
a differenza di ECU Label e Committed to Excellence ha già il più ampio
obiettivo di verificare un adeguato grado di maturità complessiva dell’organizzazione. Ma la strada, per i migliori, non deve fermarsi qui, perché con i
livelli successivi indicati dallo schema
le organizzazioni possono proporsi di
dimostrare la loro eccellenza a livello
nazionale e internazionale.
Lo schema sotto riportato dettaglia il
percorso consigliato da EFQM: formazione delle organizzazioni su strumenti,
approcci e processi sempre più impegnativi e completi, valutazioni di ampiezza e contenuti crescenti, riconoscimenti di livello crescente. Non è una
strada riservata a pochi: ogni organizazzione può percorrere questa strada, i
cui requisiti fondamentali sono la determinazione, la convinzione delle proprie capacità, la volontà di superare traguardi sempre nuovi e più ambiziosi.
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>> Antonio Biasi
Camera di Commercio Treviso
Il D.Lgs n°150/2009
nelle camere di commercio
Attuali funzioni delle
Camere di Commercio
La legge fondamentale che regola il sistema camerale nazionale è la n° 580
del 29.12.1993, che è stata riformata di
recente con il D. Lgs n° 23 del
15.2.2010.
Le modifiche più salienti sono contenute nell’art. 1, commi 1 e 2 del D. Lgs
sopra indicato, che hanno novellato rispettivamente gli articoli 1 e 2 della legge 580/1993, concernenti rispettivamente la natura i compiti e le funzioni
delle Camere di Commercio.
In particolare al comma 1 della legge
riformata si riconosce alle Camere di
Commercio lo status di enti pubblici
dotati di autonomia funzionale, che
svolgono, nell'ambito della circoscrizione territoriale di competenza, sulla
base del principio di sussidiarietà di cui
all’articolo 118 della Costituzione, funzioni di interesse generale per il sistema
delle imprese, curandone lo sviluppo
nell'ambito delle economie locali.
Si definisce con chiarezza altresì il concetto di “sistema camerale italiano” di
cui fanno parte le Camere di Commercio, le unioni regionali, l’Unione nazionale, le strutture di sistema e le Camere
di Commercio italiane all’estero e estere in Italia legalmente riconosciute dallo Stato italiano.
Poiché le Camere di Commercio hanno
sede in ogni capoluogo di provincia e
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la loro circoscrizione territoriale coincide, di regola, con quella della provincia, si stabilisce con la nuova normativa
che ove nascano nuove Province, l’istituzione di nuove Camere di Commercio può avvenire solo se nel Registro
delle Imprese delle Camere coinvolte
siano iscritte o annotate almeno 40.000
imprese, al fine di garantire un sufficiente equilibrio economico.
In generale le funzioni che le Camere
di Commercio svolgono, nell’ambito
della circoscrizione territoriale di competenza, si possono connotare come
funzioni di supporto e di promozione
degli interessi generali delle imprese e
delle economie locali, nonché, fatte
salve le competenze attribuite dalla Costituzione e dalle leggi dello Stato alle
amministrazioni statali, alle regioni, e
agli enti locali, funzioni nelle materie
amministrative ed economiche relative
al sistema delle imprese. Inoltre, le Camere di Commercio, considerate singolarmente o in forma associata, esercitano le funzioni ad esse delegate dallo
Stato e dalle regioni, nonché i compiti
derivanti da accordi o convenzioni internazionali, informando la loro azione
al principio di sussidiarietà.
In particolare, così come elencato nel
secondo comma dell’art. 2 della citata
legge, le Camere di Commercio, singolarmente o in forma associata, svolgono
le funzioni e i compiti relativi a:
a) tenuta del registro delle imprese, del
Repertorio Economico Amministrativo, e degli altri registri ed albi attribuiti alle Camere di Commercio dalla legge;
b) promozione della semplificazione
delle procedure per l’avvio e lo svolgimento di attività economiche;
c) promozione del territorio e delle economie locali al fine di accrescerne la
competitività, favorendo l’accesso al
credito per le PMI anche attraverso il
supporto ai consorzi fidi;
d) realizzazione di osservatori dell’economia locale e diffusione di informazione economica;
e) supporto all’internazionalizzazione
per la promozione del sistema italiano delle imprese all’estero, raccordandosi, tra l’altro, con i programmi
del Ministero dello sviluppo economico;
f) promozione dell’innovazione e del
trasferimento tecnologico per le imprese, anche attraverso la realizzazione di servizi e infrastrutture informatiche e telematiche;
g) costituzione di commissioni arbitrali
e conciliative per la risoluzione delle
controversie tra imprese e tra imprese e consumatori e utenti;
h) predisposizione di contratti-tipo tra
imprese, loro associazioni e associazioni di tutela degli interessi dei consumatori e degli utenti;
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i) promozione di forme di controllo sulla presenza di clausole inique inserite nei contratti;
l) vigilanza e controllo sui prodotti e
per la metrologia legale e rilascio dei
certificati d’origine delle merci;
m) raccolta degli usi e delle consuetudini;
n) cooperazione con le istituzioni scolastiche e universitarie, in materia di
alternanza scuola-lavoro e per l’orientamento al lavoro e alle professioni.
Va tuttavia precisato che le Camere di
Commercio, nei cui Registri delle imprese siano iscritte o annotate meno di
40.000 imprese, sono tenute obbligatoriamente ad esercitare le funzioni di cui
alle lett. g), h), i) e l) in forma associata.
Per il raggiungimento dei propri scopi,
le Camere di Commercio promuovono,
realizzano e gestiscono strutture ed infrastrutture di interesse economico generale a livello locale, regionale e nazionale, direttamente o mediante la partecipazione, secondo le norme del codice civile, con altri soggetti pubblici e
privati, ad organismi anche associativi,
ad enti, a consorzi e a società.
In questo contesto le Camere di Commercio italiane sono chiamate ad applicare, come per tutta la Pubblica Amministrazione italiana, i principi di riforma
previsti dal D. Lgs n° 150/2009.
Applicazione dei principi
del D. Lgs 150/2009:
principali adempimenti
previsti
Il 4.2.2010 a Roma è stato sottoscritto
tra Unioncamere e il Ministero della
Pubblica amministrazione e l’innovazione, il Protocollo d’intesa per l’attuazione del cosiddetto Decreto Brunetta.
Il Protocollo siglato stabilisce che l’intero sistema camerale, con il supporto di
Unioncamere, proceda nel “cammino”
verso l’attuazione di quanto disposto
dal D. Lgs n° 150/2009 recante la Delega al Governo per la promozione di politiche di innovazione dirette al miglioramento della qualità dei servizi pubblici, dell’efficacia, efficienza ed econo-
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micità delle pubbliche amministrazioni.
L’applicazione della normativa rende indispensabile nelle pubbliche amministrazioni un complesso processo di revisione del sistema dei controlli interni,
dei sistemi di valutazione e misurazione
delle performance nonché l’introduzione di strumenti di valorizzazione del
merito e della produttività. Si tratta peraltro di obiettivi che Unioncamere si
era già assunta, aderendo al progetto del
Ministro Brunetta “Mettiamoci la faccia”, la modalità attraverso la quale è
possibile leggere la percezione degli
utenti dei servizi, ed ha già avviato nei
mesi scorsi un’iniziativa progettuale diretta a dotare le Camere di un più efficace ciclo di pianificazione e controllo attraverso la rivisitazione di metodologie,
procedure e soluzioni organizzative.
Il Protocollo d’intesa stabilisce che
Unioncamere, oltre ad essere la sede
per l’applicazione sperimentale di
quanto previsto dal D. Lgs n° 150/2009,
fornisca alle Camere di Commercio il
supporto tecnico per la definizione del
ciclo di gestione delle performance, degli obiettivi e degli indicatori, dei sistemi di monitoraggio, valutazione e rendicontazione delle performance e dei
sistemi per la valorizzazione del merito
e l’incentivazione delle performance. In
modo particolare, verrà curato un sistema informativo attraverso il quale il livello di produttività, di efficienza e di
efficacia dell’azione delle Camere verrà
messo in relazione a indicatori comuni.
Unioncamere stessa si impegna a supportare la creazione di Organismi indipendenti di valutazione, a sostenere i
processi di formazione del personale, a
costituire un Osservatorio che monitori
la qualità dei servizi erogati dalle Camere attraverso l’attivazione di sistemi
di rilevamento del gradimento da parte
delle imprese.
In particolare, verrà da Unioncamere
fornito il necessario supporto tecnico
alle Camere di Commercio per favorire,
in modo omogeneo per la comunità degli enti camerali:
a) la definizione del “Ciclo di Gestione
della Performance”;
b) la definizione degli obiettivi e degli
indicatori;
c) la definizione dei sistemi di monitoraggio delle performance;
d) la definizione dei sistemi di valutazione della performance;
e) la rendicontazione delle performance;
f) i sistemi per la valorizzazione del merito e l'incentivazione della performance.
In modo particolare verrà curato un sistema informativo attraverso il quale il
livello di produttività e il livello di efficienza ed efficacia delle performances
delle Camere di Commercio verranno
messi a confronto in relazione a definiti
indicatori comuni.
L’11.5.2010 è stata sottoscritta una convenzione tra Unioncamere e la CIVIT
(Commissione per la Valutazione, la Trasparenza e l’Integrità delle amministrazioni pubbliche) in virtù delle funzioni
attribuite alla stessa dal D. Lgs 150/2009.
Con la presente convenzione, le parti
coinvolte si sono impegnate, in particolare, a stabilire e realizzare un program-
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S Il D.Lgs n˚150/2009 nelle camere di commercio S
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to sottoposto per un primo esame critico – che risponde al alcune, preliminari
ma necessarie, esigenze:
dare risposta alla necessità di adeguamento ai principi, come viene richiesto dalla normativa;
definire i contenuti fondamentali delle componenti fondamentali di ciclo
di vita della performance, previste in
via generale dall’art. 4 del D.Lgs
150/2009, che rispondono alla realtà
delle Camere, dotando quindi, le stesse di linee-guida, per l’attuazione di
tale ciclo al loro interno;
armonizzare gli asset di tale ciclo con
la programmazione finanziaria e di bilancio delle Camere;
realizzazione, e in alcuni casi completare, quanto già sviluppato dalle Camere in questo ambito;
delineare un approccio alla materia
che si fondi su concetti, logiche e termini chi siano gli stessi per tutte le Camere di Commercio.
Si tratta, del primo passo di un processo
che dovrebbe condurre ad un modello
organizzativo che sia la cifra identificativa, e distintiva, delle Camere nel panorama delle Pubblica Amministrazione, ed attraverso il quale la capacità di
innovazione delle Camere di Commercio potrà essere apprezzata dal mondo
istituzionale e non solo.
La CIVIT ha considerato in modo favorevole il documento elaborato, sia per
l’interpretazione data agli elementi fondanti il D. Lgs 150/2009, sia per la sua
capacità di tradurre i principi in prassi
operative specifiche per una realtà organizzativa come quella delle Camere di
Commercio.
Si è svolto il 7.10.2010 a Roma, il primo di una serie di incontri, sul tema:“Il
Ciclo di gestione della performance
nelle Camere di Commercio”, organizzato dall’Istituto G. Tagliacarne con la
collaborazione di Unioncamere, con la
finalità di offrire ai Segretari Generali
delle Camere di Commercio un tavolo
di dibattito, condivisione e aggiornamento sulle azioni di sistema che accompagneranno le Camere di Commercio nel loro percorso di attuazione del
ciclo di gestione della performance e,
quindi, di adeguamento ai principi del
D.Lgs n° 150/2009.
Per monitorare e rendere condiviso il
processo di adeguamento graduale e
progressivo, che ciascuna delle Camere
di Commercio sta seguendo nel tradurre la riforma al proprio interno, sarà reso disponibile un “sistema di check”,
testato su alcune Camere, di cui è stato
espresso l’apprezzamento della CIVIT.
Questo strumento dovrebbe essere volto a verificare il livello di attuazione del
ciclo di gestione della performance, e
quindi, impostare le azioni di miglioramento.
Inoltre, tra le azioni finalizzate ad accompagnare anche operativamente le
Camere di Commercio in questa fase di
adeguamento, si segnala in particolare:
un percorso formativo volto a fornire
conoscenze ma anche metodologie e
strumenti utili per la messa in opera del
ciclo di gestione della performance;
la costituzione di un Osservatorio che
potrà fornire alle Camere strumenti di
autovalutazione;
un sito dedicato al “Ciclo di Gestione
della Performance” con tutte le informazioni, ma anche le metodologie ed
esperienze camerali che si svilupperanno, o sono già state sviluppate, su
tali tematiche;
l’emanazione delle Linee Guida per
l’attuazione operativa del D. Lgs. n°
150/2009 a partire dall’esercizio 2011.
Prendendo spunto dal flusso di programmazione sviluppato dalla Camera
di Commercio di Treviso (riportato a
fianco) è possibile seguire il percorso
che partendo dai fini istituzionali dell’Ente, arrivando alla definizione di un
Programma Pluriennale, individua nel
concreto attraverso un Piano delle
Performance triennale ed un Programma operativo annuale i singoli indicatori ed obiettivi.
Da gennaio 2011 tutte le Camere di
Commercio saranno pronte per dare
concreta attuazione ai principi della
riforma promossa dal Ministro per l’Innovazione e la Pubblica Amministrazione.
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ma comune e condiviso che possa assicurare:
alle Camere di Commercio la concreta ed operativa definizione delle soluzioni procedurali, tecniche ed organizzative che possano incrementare la
capacità di "'assicurare elevati standard
qualitativi ed economici del servizio
tramite la valorizzazione dei risultati e
della performance organizzativa ed individuale" e per garantire il massimo
livello di “trasparenza e rendicontazione della performance”;
alla Commissione un ambito strutturato di monitoraggio e verifica preventiva delle linee guida che è chiamata a
definire in materia di “Misurazione, valutazione e trasparenza della performance”.
A tale fine le azioni di supporto e collaborazione si sostanzieranno, tra l’altro,
nella messa a disposizione delle esperienze e attività maturate (e in corso di
sviluppo) nelle Camere di Commercio e
gli approcci, schemi, metodologie elaborati nell'ambito del progetto dell'Unioncamere per il miglioramento del sistema di pianificazione e controllo nelle Camere di Commercio; tali elementi
potranno costituire un supporto conoscitivo utile alla definizione delle lince
guida che la Commissione sta elaborando in materia di sistemi di misurazione
c valutazione, piano triennale sulla
performance, piano triennale sulla trasparenza e l’integrità.
La presente convenzione avrà durata di
tre anni a decorrere dalla data di sottoscrizione e comunque fino al raggiungimento degli obiettivi di cui all’art. 2 e
potrà essere prorogata consensualmente.
Nella giornata del 29.7.2010 Unioncamere è stata ricevuta in audizione dalla
CIVIT; in tale sede all’interno del quadro delle iniziative congiunte stabilite
nella Convenzione di cui sopra, è stato
presentato il documento sul “Ciclo di
Gestione della Performance”. Questo
documento – frutto del lavoro congiunto con le Università Bocconi e castellana, nonché delle indicazioni e delle
sensibilità delle Camere alle quali è sta-
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>> Dott.ssa Paola Michelini
Direzione Pianificazione, Valutazione e Formazione,Università degli studi di Modena e Reggio Emilia
Benessere
e lavoro nelle PA
Di cosa si parla
Tra le parole chiave di questo contributo
ci sono: “benessere organizzativo” e
“stress lavoro-correlato”.
Il termine “benessere organizzativo” potrebbe essere assimilato alla capacità di
un’organizzazione di promuovere e
mantenere il più alto grado di benessere
fisico, psicologico e sociale dei lavoratori in ogni tipo di occupazione1.
La nozione di “stress lavoro-correlato”
individua, invece, una condizione in cui
il lavoratore non si sente in grado di corrispondere alle richieste o alle aspettative
lavorative2.
Ricerche recenti nei paesi dell’Unione
europea mettono in evidenza come lo
stress legato alla attività lavorativa sia un
problema di salute largamente diffuso, fino ad occupare il secondo posto fra
quelli più indicati dai lavoratori3. Ne soffrirebbe il 22% dei lavoratori dell’Unione Europea (in Italia, secondo la “European Foundation for the Improvement of
Living and Working Condition”, nel
2005 il valore si attestava attorno al
27%)4.
Dagli studi condotti emerge inoltre che
proprio lo stress lavoro-correlato è la
causa di una percentuale tra il 50 e il
60% di tutte le giornate lavorative perse.
Le ricerche hanno, inoltre, valutato la ricaduta economica sulle aziende e sulle
economie Nazionali: nel 2002 il costo
economico dello stress legato alla attività
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lavorativa nell’Unione europea (allora a
quindici paesi) era di circa 20 miliardi di
euro5.
Salute e benessere sul
luogo di lavoro: una
ricognizione normativa
Il tema della salute delle persone al lavoro è affrontato nella normativa comunitaria e nazionale a partire dalla definizione dell’Organizzazione Mondiale della
Sanità, che, nel 1948, definisce salute
come “stato di completo benessere fisico, mentale e sociale, e non soltanto assenza di malattia”.
Nel 2007 la strategia comunitaria per la
salute e la sicurezza sul luogo di lavoro6
promuove un approccio globale al benessere sul luogo di lavoro, “che sia tanto fisico quanto psicologico e sociale”7.
A tal fine risulta necessario sviluppare
metodi e strumenti per l’identificazione
e la valutazione dei rischi, in ottica di
prevenzione, con priorità ai rischi psicosociali. E’ inoltre precisata l’esigenza di
procedere ad una razionalizzazione del
quadro normativo comunitario e di quelli nazionali, in accordo a principi di legislazione coerente, semplice e efficace8.
La spartizione del problema della salute
delle persone al lavoro nella normativa
italiana
A fronte di questi precisi orientamenti
comunitari sembra permanere una spartizione del problema della salute delle
persone al lavoro, per cui i rischi per il
benessere fisico e la sicurezza sono ambito privilegiato delle scienze biomediche e politecniche, mentre i rischi per il
benessere psicologico e sociale sono
ambito privilegiato delle scienze psicologico-sociali.
Questa spartizione genera non solo metodi di analisi e intervento marcatamente
differenziati ma anche percorsi normativi
distinti e non chiaramente conciliabili.
E’ questo il caso della normativa italiana,
in cui lo stress lavoro-correlato e il benessere organizzativo sono oggetto di disposti differenti. Da un lato il testo unico delle norme di igiene e sicurezza sul lavoro,
D. Lgs 81/2008, a sua volta integrato e
modificato dal D.Lgs 106/2009. Dall’altro il combinato disposto del DPCM del
24/03/2004 “Misure finalizzate al miglioramento del benessere organizzativo nelle pubbliche amministrazioni ” e del
D.Lgs n. 150 del 27 ottobre 2009, di attuazione della Legge n. 15 del 4 marzo
2009 (Legge Brunetta), che individua nel
benessere organizzativo una dimensione
di valutazione dell’operato delle Pubbliche Amministrazioni (Art.14 comma 5);
un insieme di disposizioni che, unitamente alla promozione dei nidi nella
pubblica amministrazione, modifica radicalmente il rapporto tra dirigenti e dipendenti, promuovendo valori innovativi, come quelli del merito e della trasparenza,
e una nuova cultura della valutazione.
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Pillole dal convegno
Il punto sulle metodologie di
analisi e prevenzione sinora
adottate
Convegno “Benessere
e Lavoro. Disciplina,
approcci e strumenti”
Le norme sopraindicate non definiscono
concrete metodologie di analisi, di prevenzione e promozione ma ne rimandano l’individuazione a organismi tecnici
tra i quali: la Commissione consultiva
permanente per la salute e la sicurezza
sul lavoro di cui all’art. 6 del D.Lgs
81/2008 (nel caso dello stress lavoro-correlato) e la CIVIT - Commissione indipendente per la valutazione, la trasparenza e l’integrità delle Amministrazioni
Pubbliche (nel caso del benessere organizzativo).
Ad oggi, tuttavia, referenti europei, nazionali e territoriali hanno messo a punto proprie metodologie per la valutazione dei rischi psicosociali e del benessere
organizzativo.
Una ricognizione di alcuni di questi interventi è stata presentata durante il convegno internazionale “Benessere e lavoro. Disciplina, approcci e strumenti”
svoltosi a Modena, presso la Fondazione
Marco Biagi, il 15 e 16 novembre 20109.
Articolato su tre sessioni, il convegno è
stato organizzato dalla Fondazione Marco Biagi e dall’Università di Modena e
Reggio Emilia, in collaborazione con
l'Azienda Ospedaliero-Universitaria Policlinico di Modena e l'Azienda Unità
Sanitaria Locale di Modena.
L’evento si è proposto da un lato il rafforzamento delle competenze e delle relazioni, nazionali e internazionali delle
istituzioni e degli enti di ricerca territoriali che si dedicano allo studio e all’intervento in tema di sicurezza e salute sul
lavoro, dall’altro ha voluto essere un’opportunità di coordinamento per le iniziative territoriali in materia di salute psicologica e sociale delle persone al lavoro
(benessere organizzativo e stress lavorocorrelato).
La prima sessione ha presentato lo stato
dell’arte con riferimento alle categorie
fondamentali in materia (giuridiche, psicosociali, biomediche), la seconda è stata interamente dedicata alla presentazio-
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Valutazione e prevenzione dei rischi psicosociali: un confronto internazionale
Sono stati presentate le ricerche condotte
in tema e i modelli adottati per la valutazione, la gestione e la prevenzione dei
rischi psico-sociali in Germania (dal
BAuA - Federal Institute for Occupational Safety and Health) e in Francia (a cura dell’INRS – Institut National de recherce et de sécurité ppur la prévention des
accidents du travail et des maladies professionelles).
A livello nazionale l’INAIL (ex ISPELS) ha
presentato il modello per la valutazione
e la prevenzione dei rischi psico-sociali
in corso di validazione su oltre 6.000 lavoratori di aziende afferenti a diversi settori produttivi.
Si tratta della versione italiana (cioè contestualizzata alla normativa italiana vigente) del modello “Management Standards” approntato dall’HSE - Health and
Safety Executive (validato nel Regno
Unito e nella Repubblica Irlandese). Il
modello prevede la gestione all’interno
dell’azienda con le figure della prevenzione, il reperimento di dati aziendali
(oggettivi) e un’indagine condotta mediante la somministrazione di un questionario (Indicator Tool).
Il Coordinamento tecnico interregionale
della prevenzione nei luoghi di lavoro
ha portato sul tavolo del convegno la
proposta di guida operativa per la valutazione e la gestione del rischio da stress
lavoro-correlato. Il percorso proposto
prevede di lavorare, almeno nelle orga-
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te m a
ne dei metodi e degli strumenti di valutazione e intervento sui rischi psicosociali,
oggi disponibili a livello internazionale,
per la promozione del benessere sul lavoro. La terza sessione ha presentato i risultati di recenti indagini e sperimentazioni sul tema in oggetto condotte presso
alcune pubbliche amministrazioni nel
territorio modenese (Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia, Azienda
Ospedaliera Universitaria, Azienda Sanitaria Locale, Comune di Modena) e ha
proposto un confronto tra le pubbliche
amministrazioni, territoriali e nazionali.
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nizzazioni più complesse, su gruppi
omogenei di lavoratori. La valutazione
del rischio avviene in una prima fase con
la raccolta di dati oggettivi e in una seconda fase con la raccolta delle percezioni dei lavoratori (con questionari, interviste. L’intero processo deve essere caratterizzato, in ogni fase, dalla consultazione e partecipazione dei lavoratori.
Il benessere sul lavoro nelle pubbliche
amministrazioni modenesi
Lo spazio dedicato alle esperienze del
territorio modenese ha previsto l’illustrazione degli strumenti e dei primi risultati di indagini in tema di benessere e
lavoro realizzate negli ultimi anni da amministrazioni pubbliche di diversi settori: l’Università degli Studi di Modena e
Reggio Emilia, l’Azienda Ospedaliero
Universitaria Policlinico di Modena, l’Azienda Unità Sanitaria Locale di Modena e il Comune di Modena.
L’Università di Modena e Reggio Emilia
nel 2010 ha condotto una ricerca sul benessere organizzativo su un modello costruito ad hoc a partire dalla letteratura
scientifica nazionale e internazionale,
con particolare attenzione alla specificità
del contesto universitario. Attraverso un
questionario somministrato a tutto il personale (docente e tecnico amministrativo)
si sono raccolti indicatori di percezione,
corredati da dati oggettivi selezionati tra
quelli che la letteratura annovera tra gli
indicatori di rischio o di manifestazione
di stress lavoro-correlato. Dopo l’elaborazione dei primi risultati, il progetto prevede ulteriori analisi dei dati e l’impostazione di un piano di azioni di miglioramento e promozione del benessere.
L’Azienda Ospedaliero-Universitaria Policlinico di Modena nel 2010 ha condotto una ricerca sul benessere organizzativo e stress occupazionale a partire dal
modello francese CRAM-INRS. Sono stati raccolti indicatori oggettivi riferiti a tutta la popolazione aziendale (indicatori
di rischio, di risultato/manifestazione e
di contrasto) e sono stati indagati indicatori di percezione soggettiva mediante il
questionario standardizzato OSI – Occupational Stress Indicator 10 somministrato
a tutto il personale).
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I risultati dell’indagine, presentati in prima battuta al convegno, saranno oggetto
di ulteriori approfondimenti e saranno
utilizzati come base di confronto all’interno del Laboratorio “Sviluppo e tutela
del benessere e della salute nelle Aziende Sanitarie (FIASO)”.
L’Azienda Unità Sanitaria Locale di Modena sta conducendo un progetto di ricerca-intervento longitudinale (che terminerà nel 2011) finalizzato a valutare e
promuovere il benessere organizzativo
mediante l’individuazione dei fattori di
rischio e di strategie di intervento volte a
migliorare la qualità della vita lavorativa.
Una prima rilevazione effettuata nel periodo gennaio-settembre 2010 sarà seguita da una progettazione strategica di
interventi e da una seconda rilevazione
(nel periodo marzo-giugno 2011) di controllo sui risultati. Lo strumento scelto
per le indagini è il questionario DISC –
Demand-Induced Strain Compensation
(un modello nato per le organizzazioni
sanitarie e validato nei paesi nord-europei), somministrato su un campione di
dipendenti (due servizi aziendali considerati strategici) di tutti i Distretti della
Provincia di Modena. I risultati della prima rilevazione consentono di tracciare
un bilancio dell’esperienza nel quale tra
i punti di forza c’è l’adesione pressoché
totale del personale coinvolto (tasso di
risposta del 99%). A breve termine il disegno di ricerca sarà concluso, consentendo dunque un confronto longitudinale dei dati.
Il Comune di Modena ha presentato i diversi interventi e le varie ricerche condotte, in tema di qualità della vita lavorativa e benessere sul lavoro dal 2003 ad
oggi.
A partire dai risultati di un questionario
sull’identità del dipendente comunale
del 2003, nel 2005 si è portato avanti il
“Progetto Benessere”, con colloqui con
campioni di dipendenti rappresentativi
delle due aree professionali che nel
2003 risultavano con maggiore e minore
benessere, a cui sono seguite specifiche
azioni positive.
Nel 2007 una seconda indagine sulla
identità del dipendente comunale ha
previsto la somministrazione di un questionario ad un campione di operatori, i
cui risultati hanno spinto interventi migliorativi settoriali e l’apertura di uno
sportello di ascolto per i dipendenti del
Comune (tuttora operativo).
Conclusioni
Nella consapevolezza che la sofferenza
psicologica nel lavoro ha un’eziologia
multifattoriale e dunque non è possibile
trarre una sola conclusione sul tema, si
possono però tratteggiare alcune linee di
riflessione e alcuni punti di lavoro possibili, tra i quali la messa a punto di uno
strumento di lavoro che consenta di valutare tutti i rischi. Questo è l’obiettivo di
un progetto di ricerca multidisciplinare
presentato dall’Università degli Studi di
Modena e Reggio Emilia (gruppo coordinato dal Prof. Tommaso Maria Fabbri).
I NOTE
1
F. Avallone e M. Bonaretti, Benessere orga-
nizzativo. Per migliorare la qualità del lavoro nelle amministrazioni pubbliche. Rubettino Editore, Roma, 2003
2
Accordo quadro europeo sullo stress nei luoghi di lavoro del 08 ottobre 2004
3
European Agency for Safety and Healt at Work,
OSH in figures: stress at work. Facts and figures, Lussemburgo, 2009 http://osha.europa.eu/en/publications/reports/TE-81-08-478EN-C_OSH_in_figures_stress_at_work/view
4
Milkzarek M., What to do we know about
work-related stress in EU, EASHW, 2009
5
AA. VV., Stress e Lavoro nell’Europa in espan-
sione, ISPESL – WHO Collaborating Centre,
Roma, 2004
6
Risoluzione del Consiglio del 25 giugno 2007
su una nuova strategia comunitaria per la salute e la sicurezza sul luogo di lavoro (20072012).
7
COM (2002) 118 def., p. 4
8
COM (2002) 118 def., p. 13; COM (2007) 62
def, punto 4.3.
9
Il programma, le informazioni e gli interventi del convegno sono pubblicati online all’indirizzo http://www.fmb.unimore.it/on-line/Home/articolo4699.html
10
Cooper, slogane Williams, 1988; adattamento italiano a cura di Sirigatti e Stefanile, 2002
11
De Jonge e Dormann, 2003
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S Quarant’anni di Qualità S
>> Giovanni Mattana
Per 10 anni era stata preceduta da due
notiziari informativi(delle Sezioni di Milano e di Torino) e dalla pubblicazione
di Atti dei Convegni.
Insieme agli Atti dei 23 Convegni biennali ha rappresentato un grande contributo alla diffusione della cultura della
Qualità.
Per ricordare questo contributo, nel corso dell’anno, ripubblicheremo alcuni contributi significativi. Quello che pubblichiamo nel seguito ci sembra particolarmente significativo: per l’humus che rivela, per la consapevolezza del valore
universale dei metodi della qualità, per
l’impegno alla loro diffusione, per l’orgoglio della professione, per la vastità
della cultura.
È anche una rarità bibliografica perché
distribuito a parte dagli Atti dell’11 Convegno.
RELAZIONE DI APERTURA del
11º CONVEGNO DELL’A.I.C.Q.
del
Ch .Mo Prof. FRANCESCO BRAMBILLA
Milano, maggio 1980
IL CONTROLLO STATISTICO
DI QUALITÀ
NELLE SUE LINEE EVOLUTIVE
1. Le tappe dello sviluppo del pensiero
scientifico umano sono riducibili a quattro.
Il primo, che si colloca nel terzo millennio a.C., vede nelle esperienze egizie,
sunnite, ittite, l'uomo proporre l'alfabeto e garantire la comunicazione scritta,
strutturarsi in organizzazione gerarchica
nel campo della produzione, della gestione della cosa pubblica e attuare la
prima rivoluzione industriale: nasce l'agricoltura come sistema atto a garantire
lo sviluppo.
www.aicq.it
biabili.
Nozione rivoluzionaria di cui ora si fa
un gran parlare ma che é di quegli anni
interrotti dalla guerra.
Ed é sempre di quegli anni che affiora la
nozione di random, di randomisation, di
disegno degli esperimenti, di una teoria
assiomatica della stima statistica, quella
di R.A. Fisher, di errori di 1'e 2' specie e
la nozione di distanza statistica tra variabili. I tests di significatività sono infatti delle distanze.
La semantica di Tarski - per non citare
che il più illustre personaggio di quegli
anni - si interessa delle relazioni tra segno e oggetto che vuol significare.
Cosa vuol dire vero e falso?
E nasce il concetto di metalinguaggio
cioè di un linguaggio formalizzato che
parla di un altro linguaggio. Ed è così che
si può' cogliere la essenza della teoria
formalizzata delle decisioni e la stessa
collocazione dell'interrogativo: un test
prova o no una certa ipotesi? Ed il grado
di conferma di CARNAP un'indicazione
della complessità sintattica del problema la cui altra angolazione è quella tra
conferma e CONFUTAZIONE di Karl
Popper.
Ma negli Stati Uniti, Morris completava
il disegno della semiologia - la disciplina che studia i segni - con la pragmatica cioè la relazione tra segno e comunicazione col mondo dei riceventi. Ne nasce la possibilità di classificare secondo
angolazioni differenti i vari tipi di discorso. Ed il CSQ è un tipo di discorso
nuovo e di non facile acquisizione.
Il periodo storico che noi viviamo è come ora detto uno di queste svolte storiche ed il CSQ, pure nella sua apparente
marginalità nell'opinione comune, ne è
un simbolo e la sua velocità di diffusione una misura della freccia del tempo
che scandisce questo periodo.
Questa affermazione nonostante la sua
enfaticità è valida e serve a collocare il
nostro problema - il controllo statistico
della qualità -nel processo di sviluppo
della società contemporanea.
2. Un problema è definibile come un bisogno insoddisfatto di cambiare una situazione percepita come esistente in una
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Q ua l i t à
LA RIVISTA
QUALITÀ
COMPIE
40 ANNI
Il secondo, che si colloca nel quarto secolo a.C. - il secolo di Pericle vede col
pensiero greco nella sua apoteosi - Platone, Aristotele, Euclide - l'uomo liberarsi dalla necessità di Dio per ragionare. Il lógos il ragionare umano é capace
di costruire sistemi logici autonomi.
Il terzo, che si incentra nella Riforma, si
sviluppa nel Rinascimento esplode nel
seicento - il secolo di Copernico, Keplero, Galilei, Newton, Leibniz - separando Religione da Scienza, permette di riprendere il cammino interrotto dalla romanità e dalla teologia - sia cristiana che
musulmana che indiana - della costruzione logica del pensiero greco.
Il quarto, è quello che si colloca nel nostro secolo e che se vede agli albori una
prima esplosione con Einstein, Planck,
Freud, Russel, gli psicometri e con K.Pearson e Galton nascere la statistica moderna si sviluppa nel ventennio tra le due
guerre mondiali.
Periodo nel quale tutto é avvenuto e tutto é cambiato.
E' il periodo del Circolo positivistico viennese ed é caratterizzato nella sua essenza della liberazione delle tentazioni metafisiche che si annodano insidiose nella scienza.
L'analisi del linguaggio sia nella sintassi
di Carnap, che nella semantica di Tarski
che nella pragmatica di Morris diventa
elemento essenziale per dare alla scienza un linguaggio comune: la logica e a
questa una forma segnica rigorosa: quella proposta dalla matematica.
La sintassi cioè lo studio delle relazioni
tra segni e segni dà rigore alla logica deduttiva. Ci si libera dal peso di parole vaghe, ambigue, evocative per l'analisi
scientifica. Una di queste ci interessa da
vicino ed é il caso. E' di quegli anni la
costruzione di diversi calcoli della probabilità senza che questa, nozione ambigua di caso, intervenga. La teoria assiomatica di Kolmogoroff e quella di De
Finetti per non citarne che le due più rappresentative.
Ed è a De Finetti che dobbiamo la eliminazione della condizione ambigua e
restrittiva di eventi indipendenti e la sostituzione con la nozione di eventi scam-
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situazione percepìta come desiderabile
e la soluzione di un problema è realizzata
quando le due situazioni (percepita e desiderata) si identificano e la RISOLUZIONE è proprio l'attività associata al
mutamento dello stato del problema a
quello della soluzione.
Ogni problema ha una triplice dimensionalità:
- l’aspetto tassonomico: cioè l'individuazione del problema;
- il processo di risoluzione;
- la logica, cioè l'insieme dei criteri per
giungere alla soluzione.
L'ideogramma seguente pone in luce in
modo plastico ed evocativo cosa si debba intendere per la triplice dimensionalità della soluzione di un problema.
In particolare i modi per risolvere un problema - nel nostro caso il controllo del
processo produttivo - passano da una fase individuale (siamo all'epoca dei pionieri) a quella di gruppo fino all'accettazione del modo da parte della società.
Oggi siamo in questa fase sia nell'espressione pubblicitarie che vengono recepite dalla massa sia nell'esistenza di
associazioni come la nostra.
3. Il CSQ é un problema che é tipica
espressione della rivoluzione tecnologica che i processi produttivi hanno subito
nell'arcata temporale che corre tra le due
guerre mondiali: appunto come dicevo
in una delle svolte del pensiero umano.
11 tecnologo americano TAYLOR che già
nel 1881 aveva iniziato gli studi sull'organizzazione scientifica del lavoro vede nel
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periodo 1919-1926 continuata e sviluppata la sua opera dai coniugi Gilbreth con
lo studio dei tempi e la cronociclografia.
Quando Taylor nel suo primo principio
afferma di voler sviluppare una scienza
per ogni elemento del lavoro umano in
modo da abbandonare i procedimenti a
lume di naso e nel quarto principio dice
di voler dividere il lavoro quasi in parti
eguali tra direzione e operai egli dà inizio alla rivoluzione tecnologica poiché
cerca il logos della tecnica, che non é
più semplice ripetizione di gesti antichi
con l'ausilio di strumenti nuovi.
La rivoluzione tecnologica da lui innescata trova nelle esigenze della produzione di massa - soprattutto nel settore
della meccanica - impressa dalle necessità belliche (e siamo nella l-guerra mondiale) - un campo fertile di sviluppo che
verrà, poi vista e salutata nel primo dopoguerra come un movimento rivoluzionario della società: il taylorismo.
Il controllo statistico della produzione é
l'altro volto della stessa rivoluzione. E
ha, rispetto alla diffusione dello studio
dei tempi e dei metodi di Taylor, un ritardo perché è solo nel periodo 1931-39
che con SHEWART appaiono le prime
carte di controllo e nel 1945 con l'analisi sequenziale di WALD - ed é ancora
una guerra mondiale a darne l'impulso
- il processo di diffusione del controllo
statistico si insidia nello STABILIMENTO
ed é del 1958 la comparsa delle tavole di
Dodge e Rommy e delle prescrizioni governative americane.
Sarà da noi che nel 1965 compariranno
le analoghe tabelle UNI ma già nel 1955
nasceva la nostra Associazione Italiana
per il Controllo della Qualità che nel
1956 fu una delle 6 Associazioni fondatrici dell'EOCQ.
4. Il processo di diffusione del CSQ è caso particolare, anche se per noi particolarmente interessante, del processo di
socializzazione di un problema. L’ideogramma (pag. 6) che proponiamo alla vostra attenzione dà plasticamente la direzione e le linee dello sviluppo del CSQ
nel contesto delle tre direzioni di sviluppo prima indicate.
La direzione temporale e importante non
solo per la dimensione per così dire umana della ricerca ma anche perché ingloba i processi di diffusione dell'innovazione, la interdisciplinarietà della ricerca e la accettazione della razionalizzazione dell'operare sociale.
Le tappe di questo processo sono quella
iniziale di soluzioni di un gruppo di studiosi fino alla progressiva istituzionalizzazione (per esempio materia di insegnamento) e alla socializzazione e siamo ai nostri giorni ed il controllo di qualità e l'affidabilità di un prodotto e di un
processo produttivo sono entrate nel nostro modo di percepire la fiducia che la
società ci fornisce in campi nei quali la
nostra ignoranza tecnica continua a crescere nella misura con la quale avanza
la sofisticazione dei processi.
5. Il metodo statistico ed il CSQ: simbiosi tra teoria e sua utilità
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struzione di un calcolo delle probabilità.
E ne nacquero diversi, in relazione alle finalità.
Se questa è la stima abbiamo come esempio la costruzione fisheriana della verosimiglianza e la teoria assiomatica della stima. Prefissiamo le proprietà dello stimatore (la consistenza, la correttezza, la sufficienza e così via) e costruiamo una funzione del campione - la verosimiglianza
per esempio - tale da ottenere come soluzione uno stimatore corretto, efficiente,
sufficiente e così via.
Ma se la finalità è quella della scelta tra
ipotesi, con la presenza degli errori di l- e
2- specie che dobbiamo a Neyamn e Pearson, la necessità di valutare le conseguenze
della nostra decisione - e abbiamo allora
la teoria del rischio di Wald - e l'utilità di
introdurre ipotesi iniziali che siano l'espressione dello sforzo concettuale di ricerche empiriche e teoriche sulle distribuzioni iniziali e siamo alla teoria bayesiana della stima e dell'inferenza allora un
nuovo calcolo delle probabilità prende
corpo e autonomia.
Ed è di quegli anni la nascita delle teorie
assiomatiche del calcolo delle probabilità
- ad esempio quelle di Kolmogoroff e di
Cantelli - che ponendo in luce le proprietà
dovute agli operatori soverchianti le valutazioni iniziali delle probabilità permettono di eliminare molte tentazioni metafisiche delle leggi probabilistiche legate a nozioni vaghe, ambigue, emotive come quelle di casualità, indipendenza.
La decisione nella logica induttiva.
Ma in quegli anni prende corpo e la cosa
ci interessa da vicino la logica decisionale in condizioni di incertezza.
Due sono i metodi fondamentali dell'induzione: quello della CONFERMA di certe ipotesi iniziali
sulla base dell'EVIDENZA
DEI
FATTI e quello della STIMA QUANTITATIVA sulla base dei fatti del VALORE INCOGNITO DI QUALCHE
GRANDEZZA.
La logica induttiva
fornisce una serie di metodi di inferenza
incompatibili tra loro. Teoricamente é impossibile affermare che solo uno dei metodi incompatibili é quello valido.
Il ricercatore deve fare una scelta.
Carnap ha posto in luce un modo per sistemare i metodi induttivi.
I valori di C e S ono influenzati da due fattori: un fattore empirico e un fattore logico. Chiamiamo X il rapporto
X=FATTORE LOGICO/FATTORE EMPIRICO
Quando una regola afferma che la stima
della frequenza relativa di una caratteristica Y dell'universo U é eguale alla frequenza relativa Y di un campione, essa é
una regola di stima che dà peso nullo al
fattore logico e solo peso a quello empirico. Cioè X = 0.
In questa ottica si situa ad esempio:
- R.A.Fisher con il principio della massima verosimiglianza;
- la teoria delle stime assolutamente corrette;
- Reichenbach con la sua regola di induzione (se sono dati i fatti f che mettono in
evidenza che in una sezione iniziale contenente n elementi di una sequenza infinita ce ne sono m con la caratteristica
Y e se f non contiene nessuna altra informazione allora si considera il rapporto
m/n come la stima del limite della frequenza relativa di Ynella sequenza.
Quando invece una regola afferma che a
priori a tutte le singole distribuzioni si deve attribuire una medesima probabilità essa è una regola con X= ∞ poiché attribuisce peso nullo al fatto empirico e dà peso
solo al fattore logico.
In questa ottica si situano:
1) PASCAL
2) C.S.PEIRCE
3) J.M.KEYNES
4) WITTGENSTEIN.
La moderna teoria delle decisioni Statisti-
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Sono in presenza di illustri e appassionati cultori della statistica e non é il caso di
accennare alla logica del metodo che ci
accomuna negli interessi.
Intendo solo sottoporre alla vostra cortese
attenzione una tabella nella quale la simbiosi tra il modo di pensare dello statistico e quello del tecnologo si rende evidente. E le parole che vengono impiegate
hanno, nel completo rispetto della loro validità scientifica, una forte evocatività che
è utile nel caso del nostro colloquio.
Il soggetto del discorso e' la variabilita'
quale aspetto uni versale del divenire del
processo produttivo
I calcoli delle probabilità.
L'altro volto del travaglio metodologico
che ha visto il CSQ al centro del ciclone
è quello avvenuto tra le due guerre
intorno alla natura logica e metodologica
del calcolo delle probabilità e della nozione stessa di probabilità.
Anche in questo caso a persone così
esperte basteranno pochi cenni che occorre pera ricordare per scandire la rivoluzione avvenuta in quegli anni e dei
quali siamo i figli.
Un primo problema che andava affrontato era quello della determinazione delle
probabilità iniziali ed è di quel periodo lo
scontro tra la teoria frequentista di von Mises e Reichenbach, per non citare che i
nomi più illustri, che vedono la probabilità
come limite delle frequenze a lungo andare e quella detta soggettivista di De Finetti e Savage che colgono nella probabilità un prezzo per progettare ed effettuare
scommesse.
Un secondo problema era quello della co-
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che si situa tra questi valori estremi e dà
luogo ad un valore di 0<X<oo, estremi
esclusi. Le due teorie sono, come voi ben
sapete, le più note: quella del minimassimo e quella bayesiana.
6. Cosa è la variabilità?
E ritorniamo al soggetto principale del nostro discorso: la variabilità.
Questa nozione di facile percezione apparente - tutti i fenomeni dalla demografia all'economia, dalla biologia alla fisica
alla tecnologia, ne forniscono esempi - é
invece stata una faticosa conquista della
conoscenza scientifica. La statistica agli
inizi del secolo prendeva corposità ma
con fatica quando già le matematiche e
la fisica aveva no raggiunto vette elevate.
E' del 1905 la teoria della relatività ristretta
di Einstein e la Grammatica della scienza
di Karl Pearson. L'accostamento non é affatto derisorio: anzi é misura della difficoltà di cogliere l'essenza della variabilità. Un solo interrogativo a spiegare questo fatto. Perché tutte le discipline, dall'economia alla tecnologia, dalla biologia
alla fisica - che pure hanno creato sempre pia ingegnosi modelli per la spiegazione dei vari fenomeni di loro pertinenza - si sono sempre trovate incapaci di dedurre dai loro modelli il fenomeno della
variabilità delle stesse grandezze che collegano nei loro modelli? E soprattutto perché si hanno distribuzioni statistiche altamente stabili e della stessa forma matematica (gaussiana, lognormale, paretiana,
di Zipf, ecc.)?
La ottocentesca proposta di classificare i
fenomeni individualmente e collettivamente tipici è stato un espediente che, riposando su una tautologia classificatoria,
non ha soddisfatto nessuno ma anzi ha
posto ancor pia in evidenza il sorgere di
un problema nuovo e la necessità di una
metodologia nuova.
Il problema nuovo è la variabilità ed il metodo nuovo è quello statistico sempre più
distanziantesi dal calcolo delle probabilità
e la tabella che vi ho proposto permette facilmente di cogliere quest'allontanamento.
Ma che cosa è, nella sua essenza più
profonda,la variabilità e perché è espressione univoca dei più disparati problemi?
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La risposta che in tanti anni di meditazioni
mi è parso cogliere è questa: la variabilità è la traccia visibile del divenire di tutti i sistemi.
Due parole per definire i termini del discorso nella loro universalità. Un sistema
nella sua più ampia concezione é un insieme di relazioni (quantitative o qualitative) tra elementi di un insieme (cioè una
collezione di elementi). Se ogni elemento - pensatelo come un centro produttivo
latu sensu - è rappresentato con un punto e le relazioni intercorrenti tra due punti con una freccia alla quale possiamo associare un orientamento e una intensità per esempio la probabilità di collegamento
- otteniamo la corrispondenza tra un sistema ed un grafo. Orbene,secondo una
terminologia che da anni vado portando
nella scuola, di riti che il sistema si SVILUPPA quando muta il numero degli elementi - dei punti del grafo - o il tipo delle relazioni (albero, reticolo, ecc.) che tra
loro intercorrono (ed evidentemente se
entrambi i fatti si verificano).
E riservo invece al termine diffusione nel
sistema il fatto che nell'unità temporale
consona al sistema esso venga ATTIVATO. L'unità di attivazione 'è quella che
nella teoria dei processi stocastici chiamiamo transizione di un sistema da una
configurazione ad un'altra.
E' una unità temporale endogena al sistema. Va dall'estrazione di una pallina dall'urna al ciclo tecnologico di lavorazione; dal periodo economico di produzione, dalla campagna di pubblicità alla generazione nei processi demografici siano
essi di popolazioni umane che di componenti un parco utensili, automezzi, componenti di una apparecchiatura e così via.
Sviluppo e diffusione sono le due componenti del divenire dei sistemi di qualunque natura fisica essi siano.
7. Variabilità e diffusione.
Ciò premesso è facile intuire la difficoltà
che l'uomo ha incontrato a cogliere nel
processo di diffusione l'essenza del fenomeno della variabilità. E ancora oggi è
materia di stupore, anche per persone mediamente colte, il fatto che tutti i processi di diffusione possano essere unificati in
una sola equazione differenziale che emi-
grata dalla fisica è approdata nella teoria
che stiamo esaminando con un grado di
generalità che mi pare valga la pena di
sottolineare in questa sede di così elevata qualità.
La teoria statistica della diffusione e la logica dell'ergodicità come ricerca delle
strutture di equilibrio sono alla base del
problema in esame e converrà spendere
qualche parola di approfondimento sempre utilizzando ampiamente la vostra benevola intenzione e cultura per riempire
la debole traccia delle mie evocazioni.
È a tutti noto l'alta frequenza con la quale nei più disparati campi - dalla biologia
alla fisica, dalla tecnologia alla economia
alla linguistica e cosi via- la realtà fenomenica della variabilità, sia ad una che a
più-dimensioni, si lascia descrivere con
un numero relativamente piccolo di equazioni di frequenza. E' quasi un bisticcio
di parole.
La prima proposta che diremo combinatoria - venuta dai fisici - per spiegare la genesi della variabilità è quella di cogliere sia ad una che a più dimensioni - la distribuzione di frequenza come risultato di
problemi di assegnazione di N oggetti a m
scomparti, con o senza vincoli. N particelle elementari a m livelli energetici. E'
lo approccio che inizia con Maxwell e
prosegue con Fermi, Dirac, Bose, Einstein
per non citare che le distribuzioni più celebri. Operando su queste delle trasformazioni di variabili come fecero il D'Addario, il Gibrat e altri, la descrizione della fenomenica si allarga notevolmente e
conferisce a questo approccio notevole
dignità.
In questa angolazione merita essere ricordato l'approccio più moderno basato
sulla misura classica H dell'entropia e formulato nell'interrogativo: posti n vincoli
(ad esempio media, varianza o altri momenti prefissati) quale è la legge di distribuzione che massimizza l’entropia H?
............ ……..
............ ……..
La memoria prosegue per altre 13 pagine, considerando altri tre approcci al tema della ‘variabilità e diffusione’ e successivamente trattando il tema della distanza stocastica tra processi.
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>> A cura di Giovanni Mattana
Smarter, Faster, Better eGovernment Benchmarking. Indagine comparativa sui servizi pubblici on-line. 8a rilevazione - Novembre 2009
Realizzato da: Capgemini, Rand Europe,
Idc, Sogeti e Dti per: European Commission, directorate general for information
society and media.
Consultabile da ec.europa.eu/information_society/.../egov_benchmark_2009.p
df
Questo interessantissimo e stimolante
rapporto, di 177 pagine, è costruito sulla
seguente Sintesi dello studio:
i. il contesto
ii. la tecnologia come strumento di trasformazione
iii. come misurare il progresso dell’europa
iv. i risultati dell’analisi comparativa
i “20 servizi di base
la rilevazione dell’eprocurement
(novità)
v. l’esperienza dell’utente
vi. dati emergenti_
vii. nuovi piani d’azione nell’egovernment
viii. la struttura del rapporto
Sintesi per Paese
Risultati dettagliati per i 20 servizi esaminati:
1 Imposte sul reddito, 2 Ricerca di lavoro, 3 Prestazioni della sicurezza sociale,
4 Documenti personali, 5 Immatricolazioni auto, 6 Permessi di costruzione, 7
Denunce alla polizia, 8 Biblioteche pubbliche, 9 Certificati, 10 Iscrizioni scolastiche (scuole superiori e università), 11 Comunicazione di trasferimento, 12 Servizi
sanitari, 13 Contributi previdenziali, 14
Imposte sulle imprese, 15 IVA, 16 Iscrizione al registro delle imprese, 7 Dati statistici, 18 Dichiarazioni doganali, 19 Autorizzazioni ambientali, 20 Gare d’appalto pubbliche.
Trend positivo anche per l’Italia che aveva compiuto netti progressi rispetto al
2006 con un punteggio pari al 79% per il
livello di sofisticazione complessiva ed
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ITALIA
1. La CIVIT sulla determinazione degli
standard di qualità dei servizi pubblici
La Commissione indipendente per la valutazione, la trasparenza e l’integrità delle amministrazioni pubbliche (CIVIT) ha
emanato le Linee guida per la definizione
degli standard di qualità dei servizi pubblici, previste dal decreto legislativo n.
198 del 2009 sulla azione collettiva nel
settore pubblico.
E’ il primo passo verso la costruzione di
un sistema di controllo diffuso della qualità dell’azione amministrativa e per l’o-
peratività del sistema di tutela dei cittadini contro il cattivo funzionamento dei
servizi pubblici. Si tratta di una delibera
che indica alle singole amministrazioni il
percorso per la definizione puntuale degli standard dei servizi pubblici da esse
erogati, con particolare riferimento alla
tempestività, alla qualità, alla trasparenza, all’accessibilità e all’efficacia degli
stessi.
I ministeri e gli enti pubblici nazionali
dovranno essere pronti entro il 31 dicembre, in modo che la definizione degli
standard possa essere inserita nel Piano
per la misurazione e la valutazione delle
performance delle amministrazioni.
Per le regioni e gli enti locali il percorso
dovrà passare per la Conferenza unificata
Stato - autonomie.
2. Presentato a Roma il libro bianco
“Le prove, i controlli, le valutazioni e le
certificazioni per i prodotti, i servizi, le
aziende e i professionisti".
Roma, 25/11/2010 - L'Italia è ai primi
posti in Europa nei sistemi qualità con
135.000 aziende certificate.
Il convegno è stata l'occasione per la presentazione del Libro bianco "Le Prove, i
Controlli, le Valutazioni e le Certificazioni
per i prodotti, i servizi, le aziende ed i professionisti", frutto di un ampio e impegnativo riesame delle regole e norme tecniche
cogenti e volontarie, realizzato dal Comitato d'Area "Prove controlli valutazione e
certificazione" di Confindustria Servizi Innovativi e Tecnologici, in collaborazione
con le associazioni di categoria.
Da qui partirà una campagna nazionale
per il superamento degli aspetti critici
delle regolamentazioni tecniche cogenti
e volontarie e del relativo sistema italiano
dei controlli e della vigilanza, mentre a
livello territoriale verranno avviate partnership con le componenti imprenditoriali per concorrere a sostenere il Made
in Italy. Il compatto delle certificazioni in
Italia è costituito da circa 6 mila imprese
e 28 mila addetti, generando un volume
d'affari annuo che ammonta a 2,7 miliardi di euro e un valore aggiunto di 1,3 miliardi di euro.
"La certificazione di parte terza di prodotti, processi, servizi, competenze profes-
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qu a l i tà da l m on d o
EUROPA
un miglioramento della disponibilità
completa on-line passata dal 58% al
70%.
Il Programma i2010
Il piano d’azione i2010 per creare una
società europea dell’informazione per la
crescita e l’occupazione si articola su
cinque priorità:
• Non lasciare indietro alcun cittadino:
promuovere l’inclusione attraverso l’eGovernment in modo tale che tutti i
cittadini possano accedere agevolmente a servizi sicuri e innovativi.
• Trasformare l’efficienza e l’efficacia in
realtà contribuendo in modo significativo ad accrescere la soddisfazione degli utenti, la trasparenza e la responsabilità e ad alleggerire gli oneri amministrativi.
• Attuare servizi fondamentali a forte impatto destinati ai cittadini e alle imprese:
entro il 2010 il 100% degli appalti pubblici sarà disponibile – e il 50% sarà effettivamente aggiudicato – per via elettronica, con accordi di cooperazione
relativi ad altri servizi pubblici on-line a
forte impatto destinati ai cittadini.
• Mettere in atto strumenti chiave per
consentire ai singoli cittadini e alle imprese di beneficiare, entro il 2010, di
un accesso autenticato, adeguato, sicuro e interoperabile ai servizi pubblici
in tutta Europa.
• Rafforzare la partecipazione e il processo decisionale democratico impiegando strumenti efficaci che facilitino un
dibattito pubblico e la partecipazione
al processo decisionale democratico.
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sionali costituisce lo strumento più efficace per dare valore aggiunto alle produzioni del Made in Italy sui mercati nazionali e internazionali. Con il progetto del
Manifesto per la Qualità siamo impegnati a ottimizzare il sistema italiano di certificazione, rafforzandone l'autorevolezza,
con l'obiettivo di aprire un percorso per
sostituire la logica degli interventi di
emergenza, dei controlli formali e farraginosi, della moltiplicazione dei permessi
e delle autorizzazioni, a favore di un sistema di valutazioni, controlli e attestazioni di conformità diretto alla prevenzione dei rischi, al mantenimento della
sicurezza, alla semplificazione amministrativa, alla crescita di competitività delle imprese, alla tutela dei consumatori" E' quanto ha affermato Ennio Lucarelli,
vicepresidente vicario di Confindustria
Servizi Innovativi e Tecnologici, nell'aprire oggi a Roma i lavori del Convegno "Il
Manifesto della qualità: regole sicurezza
e competitività", al quale sono intervenuti, tra gli altri: Vincenzo Boccia, vicepresidente Confindustria e presidente Piccola Industria; Enzo Raisi, Federico Grazioli, presidente Accredia, Gian Renzo Prati.
Claudio Provetti delegato Comitato di
Area CSIT "Prove, Controlli Valutazioni e
Certificazione" (PCVC) ha presentato la
ricerca.
"Ora l'Italia deve puntare a rendere la
qualità una politica concreta per la competitività e la concorrenza - ha concluso
Lucarelli- In questa direzione la Federazione, in collaborazione con enti pubblici locali e centrali, si sta attivando per
promuovere la semplificazione degli
adempimenti amministrativi richiesti alle
attività imprenditoriali e professionali e
un sistema di accesso a sgravi fiscali per
quelle imprese che, oltre a rispettare le
regole cogenti, si dotino di strumenti di
gestione dei rischi validati e riconosciuti".
Dal canto suo Vincenzo Boccia ha sottolineato che "La cultura della qualità a
360 gradi già riguarda il tessuto imprenditoriale italiano in maniera prevalente rispetto all'Europa, ma richiede comunque
un continuo sforzo comune di Confindustria, del MSE e degli altri ministeri interessati per renderlo più incisivo ed effica-
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ce al fine di adeguarlo all'innovazione
digitale in atto ed alle sfide globali".
"Con la nascita di Accredia - ha dichiarato il presidente Federico Grazioli - il sistema italiano della certificazione si è allineato a quello degli altri Paesi europei e
l'ente è pronto a svolgere l'attività di accreditamento anche nei settori cogente e
regolamentato, in conformità alle direttive e ai regolamenti UE. A supporto della
Pubblica amministrazione, responsabile
per la vigilanza del mercato, Accredia offre oggi la propria competenza tecnica in
tutte quelle attività di cui si potrà giovare
il sistema delle imprese".
Disponibili in formato pdf, sul sito
http://www.confindustriasi.it/news1103.html:
Il file pdf del libro bianco
La presentazione di Claudio Provetti
L'intervento del presidente Accredia, Federico Grazioli
La presentazione del presidente del Comitato di area PCVC, Gian Nicola Babini
3. Al via il Premio ImpresexInnovazione
Il riconoscimento, diviso fra piccole e
medie imprese e grandi aziende, mira a
diffondere la cultura d'impresa e a far conoscere modelli organizzativi e strategici.
E' giunto alla quarta edizione il Premio
Imprese x Innovazione che Confindustria,
in collaborazione con Apqi (Associazione
premio Qualità Italia) e con alcuni esperti
di settore, promuove per offrire un contributo al processo di diffusione della cultura dell’innovazione che coinvolge tutto il
sistema produttivo italiano.
L’obiettivo del Premio, diviso fra piccole e
medie imprese e grandi aziende, è far conoscere diffondere modelli organizzativi
e strategici e specificatamente orientati alla crescita attraverso l’innovazione, creare
una cultura d’impresa fornendo un quadro di riferimento per l’eccellenza nella
gestione dell’innovazione e migliorare le
prestazioni aziendali attraverso uno strumento di auto-diagnosi che permetta di
identificare le opportunità di crescita della propria capacità di innovazione.
Il modello adottato fa riferimento al framework per l’innovazione dell’EFQM –
European Foundation for Quality Management, un modello di eccellenza collau-
dato e internazionalmente riconosciuto.
4. Parte il ritiro "uno contro uno" dei Rifiuti da Apparecchiature Elettriche ed
Elettroniche
E’ entrato ufficialmente in vigore il 18
giugno scorso il decreto “Uno contro
Uno”, il D.M. 65/2010, che disciplina la
gestione dei rifiuti da parte dei distributori
e degli installatori di apparecchiature
elettriche ed elettroniche.
E’ entrato ufficialmente in vigore il 18
giugno scorso il decreto “Uno contro
Uno”, il D.M. 65/2010, che disciplina la
gestione dei rifiuti da parte dei distributori
e degli installatori di apparecchiature
elettriche ed elettroniche.
La formula è semplice: nel momento in
cui si acquista un nuovo elettrodomestico, ad esempio, si può consegnare in
maniera del tutto gratuita il vecchio apparecchio che si sta sostituendo. Secondo
quanto disposto dall’art.1 del Decreto, il
negoziante non potrà opporsi al ritiro né
potrà o dovrà esigere il pagamento di alcuna somma per farlo. Il testo del decreto
infatti specifica che: “I distributori al momento della fornitura di una nuova apparecchiatura elettrica o elettronica destinata ad un nucleo domestico assicurano il
ritiro gratuito della apparecchiatura che
viene sostituita”.
E se pensate di dover essere voi a informare il negoziante del ritiro gratuito dei
Raee, il Decreto, invece, detta regole
molto stringenti sulla trasparenza delle
informazioni. I negozianti “hanno l’obbligo di informare i consumatori sulla gratuità del ritiro, con modalità chiare e di
immediata percezione, anche tramite avvisi posti nei locali commerciali con caratteri facilmente leggibili”.
5. ISO TC 176
Alla Riunione plenaria di Bogotà è stata
approvata una risoluzione che invita la
Organization of American States (OAS) a
istituire una relazione formale con Iso TC
176, a seguito della attività già avviata
con vari Paesi per certificare le attività
elettorali a fronte della Iso 9001.
Il segretariato dell’Iso TC176 ha avviato
una esplorazione di fattibilità per sviluppare una applicazione della Iso 9001 per
le attività elettorali.
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S Rubrica Certiquality S
>> Armando Romaniello
Qualità e certificazione
nel settore alimentare
Una rassegna
sugli standard più diffusi
Che cosa è la Certificazione? È soprattutto la rassicurazione del consumatore
sulla reale rispondenza del prodotto alle caratteristiche dichiarate sulla confezione (garanzia data da un Ente certificatore di terza parte, indipendente e
competente). Un prodotto oltre che essere “buono” deve essere sicuro.
Gli standard volontari per la Certificazione
Quello della sicurezza alimentare è un
problema che per la sua risoluzione
necessita di un quadro normativo e un
sistema di controlli chiari ed efficaci,
una base scientifica autorevole, il
coinvolgimento consapevole di tutta la
filiera alimentare (dall’agricoltura alla
distribuzione) e la corretta informazione ai consumatori.
Per sostenere le Imprese in questo
compito, insieme agli obblighi di legge
nazionale e comunitari, il sistema internazionale della normazione ha sviluppato standard gestionali volontari, sottoposti al controllo/certificazione di enti privati accreditati.
La Certificazione è la procedura con
cui una terza parte dà assicurazione
scritta che un prodotto, processo o servizio è conforme ai requisiti specificati.
In tutti i contesti industriali e dei servizi
il principale riferimento in termini di
Assicurazione Qualità è costituito certamente dalle norme della serie ISO
9000. In particolare, la norma UNI EN
ISO 9001 è stata adottata da un elevato
numero di Aziende in tutto il mondo
perché ritenuta idonea ad assicurare il
rispetto dei requisiti contrattuali nel
rapporto cliente - fornitore, a fronte di
una efficace organizzazione interna
dell’Azienda e di tutti i suoi processi.
www.aicq.it
L’ottemperanza alle prescrizioni di tali
norme permette di gestire la realizzazione di un prodotto/servizio, mantenendo un elevato controllo delle diverse fasi di produzione.
In estrema sintesi, le norme ISO 9000
propongono un modello per la conduzione aziendale impostato sulla prevenzione e la costante e attenta pianificazione di tutte le attività rilevanti svolte da una Organizzazione.
Anche nel settore alimentare la Certificazione ISO 9000 è ampiamente diffusa e sono circa 5.000 ad oggi le Aziende con un Sistema Qualità certificato.
Le motivazioni che hanno portato negli
anni ad un così elevato sviluppo delle
Certificazioni nel settore ago-alimentare (a fronte degli standard ISO 9001,
ISO 14001, IFS, BRC, GLOBALGAP,
ecc.) sono fondamentalmente: le garanzie richieste dalla Grande Distribuzione ai propri fornitori; lo sviluppo
delle quote di mercato; il miglioramento dell’immagine aziendale.
Negli ultimi anni, l’evoluzione della legislazione in materia ha mutato significativamente lo scenario e, se si considera che le Aziende che operano nel
settore alimentare costituiscono generalmente un “anello” di quella che viene comunemente definita la filiera che
va dalla terra alla tavola, si deve conve-
nire sulla necessità di garantire la continuità della qualità del prodotto e del
servizio lungo l’intera filiera delle attività fino alla commercializzazione.
Nel settembre del 2005 l’ISO, l’Organismo Internazionale di Normazione, ha
pubblicato la versione definitiva della
nuova norma ISO 22000 “Food Safety
Management Systems - Requirements
for any Organization in the food
chain”. L’obiettivo della nuova norma è
garantire la sicurezza alimentare lungo
tutta la filiera, fino all’utilizzatore.
La ISO 22000 offre una soluzione univoca di buona pratica, riconosciuta a
livello mondiale eliminando molte difficoltà per i fornitori che attualmente si
devono conformare a venti diversi programmi di questo tipo. La ISO 22000 è
rivolta a tutte le parti che intervengono
nella filiera alimentare come i produttori di mangimi per animali e di materie prime, le industrie di trasformazione, gli operatori del trasporto e della
conservazione delle merci e fornitori al
dettaglio, le Organizzazioni collegate
come i produttori di macchinari, materiali per imballaggio, prodotti per la
pulizia, additivi ed ingredienti.
La norma ISO 22000 si basa sull’analisi
dei rischi. Pertanto, le Aziende devono
essere in grado di definire tutti i pericoli che “ragionevolmente” possano manifestarsi lungo la filiera, tenendo in
considerazione i processi che caratterizzano quest’ultima e gli ambienti in
cui essi si svolgono.
Nel settore agro-alimentare, a fianco
della Certificazione di Sistema, oggi si
va rapidamente diffondendo la Certificazione volontaria di Prodotto. In particolare la Certificazione di prodotto è
uno strumento con cui le Aziende possono attestare e comunicare al consumatore le caratteristiche del loro prodotto in modo imparziale e inequivocabile.
I punti qualificanti della Certificazione
di prodotto sono la dichiarazione delle
specifiche di prodotto (destinata ai
consumatori), la valorizzazione di prodotti con specifiche migliorative rispetto agli standard di legge e/o della con-
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correnza la garanzia di parte terza sulla rispondenza del prodotto alle specifiche di norme, standard, ecc.
La Certificazione rappresenta per il
produttore un eccezionale strumento
di comunicazione perché il messaggio
giunge direttamente al consumatore;
per il consumatore un importante mezzo da utilizzare per fare le proprie
scelte sulla base di chiare ed esplicite
informazioni.
Un aspetto importante della Certificazione di prodotto attiene ai principi
della rintracciabilità ed alla possibilità
di rafforzare il legame tra i prodotti ed
il territorio di origine.
Recentissima è la nuova norma ISO
22005 per la rintracciabilità (Traceability in the feed and food chain - General principles and guidance for system
design and development) che detta i
principi e i requisiti per la progettazione e l'attuazione di un sistema di rintracciabilità nella filiera agroalimentare, comprendendo in essa anche Organizzazioni del settore mangimistico.
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Va a completare la serie 22000, di cui
fa parte, ed è di recentissima creazione. Questo standard internazionale ha
sostituito la precedente normativa nazionale relativa alla rintracciabilità e
cioè la UNI 10939:2001 (Rintracciabilità nelle filiere agroalimentari), la UNI
11020:2002 (Rintracciabilità nelle
aziende agroalimentari) che dal 17
gennaio del 2008 non sono più in vigore.
La ISO 22005 il punto di arrivo di una
politica della qualità rivolta sia alla
maggior garanzia nei riguardi del consumatore in relazione ai requisiti igienico sanitari dei prodotti agroalimentari, sia al miglioramento del processo
produttivo in termini di maggior efficienza e trasparenza. In base alla suddetta norma ogni Organizzazione operante in qualsiasi fase della filiera
agroalimentare può richiedere la Certificazione volontaria della rintracciabilità di un determinato prodotto o di un
suo ingrediente rilevante.
Nel caso in cui l'Organizzazione ri-
chiedente partecipi ad un sistema di
rintracciabilità insieme ad altre Organizzazioni, è necessario un coordinamento degli elementi progettati, in modo che sia possibile stabilire i collegamenti necessari tra le varie fasi di filiera. In tal caso, oltre all'Organizzazione
richiedente, tutti i settori appartenenti
alla filiera devono essere controllati da
un Organismo di Certificazione qualificato e indipendente.
La norma ISO 22005 garantisce la tracciabilità e la rintracciabilità di un prodotto. Nella specifico, la tracciabilità
può essere considerata come l'insieme
delle informazioni utili per l'identificazione di un prodotto o di un suo ingrediente rilevante in un percorso interno
ad un'Azienda o relativo ad una filiera
e che va "da monte a valle", mentre la
rintracciabilità rappresenta il processo
inverso, e cioè la possibilità di identificare il prodotto agroalimentare o i suoi
ingredienti essenziali "da valle a monte", tramite la scelta di strumenti consoni ed efficaci.
www.aicq.it
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AICQ1 cover 2011_Cover AICQ 24/06/11 10:22 Pagina IV