Catalogo Orthotes ▶ 2012-2014 Orthotes è una casa editrice plurale e democratica. Si occupa prevalentemente di saggistica filosofica, considerando il “filosofico” nella sua accezione più semplice e caratteristica, e cioè come uso del sapere a vantaggio degli esseri umani, donne e uomini. La casa editrice opera nella convinzione che ogni lavoro culturale ben sviluppato e argomentato sia un lavoro filosofico, inerisca esso alle scienze teoretiche (filosofia, critica, analisi), a quelle pratiche (etica, politica, società), o poietiche (arti musicali, figurative, tecniche). In funzione di questi principi operativi Orthotes definisce il proprio orientamento, indipendente e non programmatico, cercando di volgere lo sguardo verso la “retta direzione” di un sapere che rischiara e illumina perché di se stesso insegna l’uso. Luisa Muraro Tre lezioni sulla differenza sessuale e altri scritti a cura di Riccardo Fanciullacci Dialectica collana diretta da Diego Giordano «L’Uomo non esiste», scrive Luisa Muraro, «esistono uomini e donne». Questo, tra l’altro, significa che prescindere da tale differenza non è così facile come spesso si crede quando si accetta di guardare gli altri o se stessi solo come individui o solo come cittadini o solo come persone o solo come soggettività o solo come lavoratori. In questi tentativi di saltare al di là della tua differenza sessuale, rischi sempre di perdere il contatto con la tua singolare esperienza e dunque di trovarti là, nella posizione dell’individuo o del cittadino o della persona, avendo lasciato qua ciò che ti rende quello o quella che sei, il tuo desiderio, le tue aspirazioni, la storia dei tuoi scacchi, la memoria delle relazioni significative che vivi o hai vissuto. Una delle idee di questo libro è che non si riesce ad essere fedeli a se stessi e anche alla realtà a cui, per vivere, si deve rispondere, se non si offre un giusto posto simbolico al proprio essere donna o uomo in un mondo di donne e uomini. La crisi dell’interpretazione tradizionale del significato e del ruolo della differenza sessuale non porta da sola con sé la libertà agli uomini e alle donne: occorre la tessitura di un nuovo ordine simbolico. Molte donne hanno pensato e lavorato in questo senso e Muraro mostra la forza e la ricchezza dei loro guadagni: la mostra anche agli uomini disponendosi in attesa di quella ricerca da parte loro che oggi, da alcuni, è stata cominciata. Luisa Muraro, tra le più importanti filosofe italiane, ha studiato all’Università Cattolica di Milano con Gustavo Bontadini. Nel 1975 ha fondato la Libreria delle Donne di Milano che, tra l’altro, cura la pubblicazione della rivista Via Dogana. All’Università di Verona, dove insegnava, Muraro è stata tra le fondatrici della comunità filosofica femminile di Diotima. pp. 156 – € 13,00 Lev Tolstoj La schiavitù del nostro tempo Bernard Stiegler [Ars Industrialis] Reincantare il mondo Lo scritto di Tolstoj, La schiavitù del nostro tempo (1900), apparso per la prima volta in Italia all’inizio del Novecento e da allora mai più pubblicato, viene qui presentato in una nuova traduzione. A questo testo sono stati accostati altri scritti brevi che consentono di ricostruire lo sviluppo della riflessione dello scrittore russo sui temi del lavoro e dell’economia e di coglierne le fonti ispiratrici. Dalla lettera (inedita in italiano) a Romain Rolland del 1887 su lavoro manuale e lavoro intellettuale, all’introduzione all’opera di Bondarev, Il lavoro secondo la Bibbia, agli scritti a sostegno e a divulgazione delle teorie di Henry George degli ultimi anni della vita, la raccolta mette a fuoco la critica tolstoiana alla divisione del lavoro e al pensiero marxista, il tema dell’immoralità della proprietà privata della terra, del libero accesso alle risorse naturali, temi che verranno in seguito sviluppati da Gandhi e che sono al centro della riflessione ecologista contemporanea. Reincantare il mondo incrocia coraggiosamente teorie diverse, come il processo di individuazione di Simondon, la psicoanalisi freudiana, certi aspetti della fenomenologia di Husserl, la grammatologia di Derrida e le riflessioni foucaultiane sugli hypomnémata, al fine di promuovere il valore spirito e contrastare il populismo industriale – ossia la dissociazione e la captazione dell’attenzione divenute sistema. Grazie a queste coordinate, Stiegler disegna una filosofia e un pensiero che devono ritornare ad essere forti, in un certo senso più del “pensiero forte”. Per l’autore di questo libro, infatti, il reincanto del mondo è la costruzione di un’alternativa all’esito più nefasto del disincanto del mondo descritto da Max Weber. Se il disincanto del mondo è l’espressione del predominio delle logiche di efficienza e produttività, e si poggia sulla convinzione che tutti i fenomeni possano essere dominati dalla ragione, abbandonando perciò ogni riferimento a elementi magici, metafisici o religiosi, per Stiegler tale disincanto si è rivelato sempre più nocivo a misura della costante e pressoché illimitata ipertrofia delle nuove tecnologie, veicolata da un capitalismo ormai palesemente tossico. Di fronte a ciò, piuttosto che opporsi al divenire tecnologico, si rende necessario «un nuovo progetto industriale che bisogna inventare e che miri a intensificare la singolarità in quanto incalcolabile, socializzando dei dati che non possano essere ridotti a oggetti di un mero calcolo economico. Scritti su lavoro e proprietà a cura di Bruna Bianchi Il valore spirito contro il populismo industriale a cura di Paolo Vignola Lev Tolstoj (1828-1920) non è stato solo il grande scrittore russo al culmine del romanzo dell’Ottocento, ma anche un teorico radicale del pensiero politico. A partire dagli anni Settanta, quando una profonda crisi spirituale lo condusse a interrogarsi sul senso della vita, dedicò al militarismo, alla guerra, al diritto di proprietà privata della terra e alla dottrina della Chiesa le pagine di condanna più aspre mai scritte. Bernard Stiegler, professore al Goldsmiths College di Londra e Direttore dell’Institut de Recherche et d’Innovation del Centre Georges Pompidou di Parigi, è uno dei filosofi più attenti alle trasformazioni della società contemporanea, nonché tra i più attivi all’interno del dibattito teorico e politico sulle tecnologie digitali. pp. 154 – € 15,00 pp. 184 – € 16,00 Slavoj Žižek Il resto indivisibile Alenka Zupančič Etica del Reale L’elemento distintivo delle grandi opere del pensiero materialista, dal De rerum natura di Lucrezio, attraverso Il Capitale, e fino agli scritti di Lacan, è il loro carattere incompleto. I frammenti di Le età del mondo di Schelling appartengono a questa stessa categoria, con il loro reiterato tentativo di formulare un “inizio del mondo” come passaggio da un universo pre-simbolico del Reale, caratterizzato dal movimento rotatorio delle pulsioni, all’universo del logos. F.W.J. Schelling, idealista tedesco troppo a lungo vissuto all’ombra di Kant e Hegel, è stato il primo filosofo ad aver elaborato i motivi post-idealisti della finitudine, della contingenza e della temporalità. Il suo originale lavoro preannuncia sia la critica di Marx all’idealismo speculativo, sia la nozione propriamente freudiana di pulsione, cioè di impulso cieco alla ripetizione che mai può essere superato nel medium ideale (e simbolico) del linguaggio. Il resto indivisibile è una dettagliata analisi delle due opere in cui Schelling ha raggiunto l’apice della sua audacia speculativa, le Ricerche filosofiche sull’essenza della libertà umana e le bozze di Le età del mondo, esaminate in un serrato confronto con il pensiero di Hegel e lette attraverso gli strumenti di decifrazione concettuale messi a disposizione dalla teoria psicoanalitica di Lacan. L’idea al centro dell’etica kantiana è al tempo stesso semplice e rivoluzionaria: essa propone una legge morale indipendente da qualsiasi nozione di Bene prestabilito e da qualsiasi “inclinazione umana” come l’amore, la simpatia o la paura. Cercando di interpretare tale proposizione rivoluzionaria in una luce più “umana” e fare di Kant un nostro contemporaneo – un pensatore che possa aiutarci nei nostri dilemmi etici –, diversi studiosi kantiani hanno sorvolato sui suoi paradossi apparenti e sulle sue impossibili rivendicazioni. Questo libro si propone di fare esattamente la cosa opposta. Kant, grazie a Dio, non è nostro contemporaneo; egli si oppone al nostro tempo. Lacan, da parte sua, appare come l’antitesi di Kant – il “selvaggio” teorico della psicoanalisi di contro al sobrio pensatore dell’Illuminismo. Tuttavia, il suo concetto di Reale offre probabilmente lo sfondo più utile a questa nuova interpretazione dell’etica kantiana. Mettendo in relazione costante le sue letture dei due filosofi, Alenka Zupančič elabora un’“etica del Reale” e definisce il fondamento perturbante per una restaurazione radicale dell’etica. Su Schelling e questioni correlate a cura di Diego Giordano Kant, Lacan a cura di Luigi Francesco Clemente Slavoj Žižek, filosofo e critico culturale sloveno, è tra i più influenti pensatori viventi. È professore presso l’European Graduate School, Direttore del Birkbeck Institute for the Humanities, Università di Londra, e ricercatore all’Istituto di sociologia dell’Università di Lubiana, Slovenia. pp. 292 – € 17,00 Se il libro di Zupančič non diventerà una classica opera di riferi“mento, la sola conclusione da trarre sarà che il nostro mondo accade- mico è intrappolato in un’oscura volontà di autodistruzione” -Slavoj Žižek- Alenka Zupančič è una filosofia slovena i cui lavori sono principalmente indirizzati allo studio della psicanalisi e della filosofia continentale. Attualmente è ricercatrice presso l’Istituto di filosofia dell’Accademia slovena di Scienze e Arti ed è professore ospite presso l’European Graduate School. pp. 278 – € 17,00 Ernesto Laclau Emancipazione/i Henri Bergson Introduzione alla metafisica a cura di Laura Basile a cura di Rocco Ronchi Cosa rimane del concetto di emancipazione così com’è stato formulato sin dall’Illuminismo in seguito ai cambiamenti negli assetti mondiali avvenuti alla fine del XX secolo? Ernesto Laclau risponde a questa domanda con una penetrante analisi sul tramonto delle ideologie totalizzanti, e sulle opportunità aperte dalla conseguente esperienza del decentramento. Eppure tramonto non significa rottura con il passato, bensì apertura a una sfida, quella di rimodulare le classiche categorie della teoria politica moderna, come quella, appunto, di “emancipazione”. L’originale riflessione di Laclau sui “significanti vuoti” e sull’articolazione tra le classiche coppie concettuali “contingenza/necessità”, “universalismo/particolarismo”, ci prospetta nuove possibilità nel pensiero e nella prassi politica, come quella del progetto di una “democrazia radicale”. Venire a patti con la nostra finitudine è la parola d’ordine della post-modernità, il segno dei nostri tempi è la fine del sogno di una società totalmente riconciliata con se stessa: ma questo, lungi dal rappresentare una prospettiva paralizzante, crea per la prima volta la possibilità di una concezione radicalmente politica della società. Ernesto Laclau (1935-2014) è professore di Teoria politica presso l’Università di Essex, e professore emerito di scienze umane e studi retorici all’Università Northwestern. pp. 150 – € 15,00 Pubblicata per la prima volta nel 1903 sulla «Revue de métaphysique et de morale» e poi ricompresa ne La Pensée et le mouvant del 1934, l’Introduzione alla metafisica presenta in modo pressoché definitivo la metafisica di Bergson. Essa è scandita in tre “movimenti”: nel primo si enuncia la proposizione speculativa fondamentale concernente l’assoluto, nel secondo si presenta il metodo della intuizione, termine che compare qui per la prima volta nella sua accezione specificamente bergsoniana, nel terzo, infine, vengono enunciati i principi su cui tale metodo si fonda. “ Vi è almeno una realtà che cogliamo completamente dal di dentro, per intuizione e non con la semplice analisi. Essa è la nostra stessa persona nel suo scorrere attraverso il tempo, il nostro Io che dura. Non possiamo simpatizzare intellettualmente con nessun altra cosa, ma simpatizziamo certamente con noi stessi” -Henri BergsonHenri-Louis Bergson (1859-1941) è stato uno dei più importanti filosofi francesi del Novecento. Le sue teorie hanno influenzato la psicologia, l’arte, la teologia e la letteratura (per la quale nel 1927 fu insignito del premio Nobel). Le sue principali opere sono: Saggio sui dati immediati della coscienza (1889), Materia e memoria (1896), L’evoluzione creatrice (1907), Le due fonti della morale e della religione (1932), Pensiero e movimento (1934). pp. 78 – € 10,00 Pierre Macherey La parola universitaria Roberto Garaventa Per una riforma radicale della chiesa Con Hans Küng oltre Joseph Ratzinger a cura di Antonio Stefano Caridi La parola universitaria è un libro che trae origine dalla crisi che attraversa l’istituzione universitaria, dominata da una retorica dell’eccellenza e da una logica aziendalistica che ne hanno snaturato le finalità universalistiche. Ma piuttosto che «difendere» un’idea astratta di università, Macherey preferisce soffermare la sua analisi sui «discorsi» che si sono tenuti su di essa, per misurare lo scarto che si è scavato tra una certa idea di università e la sua realtà in quanto cosa, immersa nei conflitti che attraversano tutte le istituzioni dedicate alla riproduzione sociale. A parlare di essenza dell’università, con la convinzione di poterne delineare il senso e le finalità, sono sempre stati i filosofi, come Kant, Hegel e Heidegger su cui si sofferma la prima parte del libro. Diversa, invece, la prospettiva di quei discorsi che hanno fatto propri gli strumenti della psicoanalisi (Lacan) e della sociologia (Bourdieu/Passeron), più attrezzati a cogliere la valenza delle pratiche universitarie in termini di potere e di differenziazione sociale. Infine, attraverso l’analisi di alcune opere letterarie che ne hanno fatto un tema di narrazione (Rabelais, Hardy, Hesse, Nabokov), è possibile dare ai discorsi sull’università un banco di prova ampio e ricco di elementi, come lo sguardo che solo la grande letteratura riesce ad avere sul mondo. Pierre Macherey, allievo di Louis Althusser, col quale collabora a Lire le Capital (1966), ha concentrato il suo impegno di storico della filosofia in un’originale rilettura di Spinoza (Hegel ou Spinoza, 1979), in cui confluivano molte suggestioni teoriche dello strutturalismo e del marxismo althusseriano. In seguito si è interessato allo statuto della filosofia nella Francia ottocentesca, a riletture di Marx, Canguilhem e Foucault, e alle valenze filosofiche della quotidianità e dell’utopia. pp. 262 – € 17,00 Dopo le improvvise, ma non del tutto inattese dimissioni di Benedetto XVI e le sue critiche ai personalismi e ai conflitti esistenti all’interno della curia romana, la chiesa cattolica sembra più che mai bisognosa di una riforma radicale. Le questioni che il nuovo papa dovrà affrontare, cercando di far dimenticare i limiti, le oscillazioni e gli errori che hanno caratterizzato i quasi otto anni di pontificato del suo predecessore, sono enormi: dallo scandalo dei preti pedofili, alla disaffezione dell’opinione pubblica nei confronti dell’istituzione ecclesiastica, dalla crisi delle vocazioni sacerdotali, alla fuoriuscita sempre più massiccia dei fedeli dalla chiesa cattolica, dagli scandali finanziari connessi con la pessima gestione dell’Istituto per le Opere Religiose (IOR), alla fuga di documenti riservati riguardanti la politica della Santa Sede (Vatileaks). Per queste ragioni appare opportuno soffermarci sulle proposte ripetutamente avanzate dal noto teologo dissidente svizzero Hans Küng per far uscire la chiesa cattolica dalla grave crisi che sta attraversando, nonché sulla sua lucida messa in discussione della presunta «immutabilità» della tradizione cattolica. Una riforma della chiesa che guardi al messaggio cristiano originario, ma anche ai compiti da affrontare al presente, non può, però, non implicare altresì una valutazione critica della teologia tradizionale. Di qui l’importanza di ricostruire il dibattito innescato da Küng nei confronti sia del suo antico maestro Karl Barth che del suo ex- collega tubinghese Joseph Ratzinger.. Roberto Garaventa, insegna “Storia della filosofia contemporanea” presso l’Università “G. d’Annunzio” di Chieti-Pescara e presso l’Università Telematica “Leonardo da Vinci” di Torrevecchia Teatina. pp. 112 – € 10,00 Henri Bergson La filosofia francese Luisa Muraro Le amiche di Dio a cura di Luigi Francesco Clemente Postfazione di Federico Leoni Henri Bergson e la filosofia francese: l’autore de L’evoluzione creatrice si confronta con la tradizione filosofica del proprio Paese e vi scopre quelli che sono i tratti principali del suo pensiero – stretto legame tra scienza e filosofia, attenzione per il metodo dell’interiorità, sospetto verso sistemi di pensiero rigidi e onnicomprensivi, esigenza di un linguaggio tecnico ma ancorato al vocabolario comune. Ma in questa raccolta di interventi, scritti e pronunciati tra le due guerre mondiali, e inediti in italiano, Bergson non si limita a una veduta d’insieme sulla filosofia francese. Piuttosto, rivendica l’appartenenza alla propria epoca, prendendo parte al conflitto tra autoritarismi e democrazia che l’ha vista dilaniarsi, nel segno della sua massima “cartesiana”: «Bisogna agire come uomo di pensiero e pensare come uomo d’azione». Grazie alle due o tre tendenze che abbiamo indicato, è possibile “chiarire quanto vi è di costantemente geniale e di costantemente creatore nella filosofia francese. Essa s’è continuamente mantenuta in contatto con la scienza così come con la vita. Questo contatto permanente con la vita, con la scienza, con il senso comune, l’ha fecondata senza posa, e al contempo le ha impedito di chiudersi in se stessa, di ricomporre artificialmente le cose con delle astrazioni” -Henri Bergson- Henri-Louis Bergson (1859-1941) è stato uno dei più importanti filosofi francesi del Novecento. Le sue teorie hanno influenzato la psicologia, l’arte, la teologia e la letteratura (per la quale nel 1927 fu insignito del premio Nobel). pp. 100 – € 10,00 Margherita e le altre a cura di Clara Jourdan Questo libro nasce dall’impegno di conoscere e di far conoscere; il suo intento è di offrire qualcosa dei tesori della mistica europea, specialmente femminile, alla cultura di oggi, nel linguaggio della ricerca man mano che è stata comunicata a un pubblico appassionato della materia. I testi della mistica si possono leggere e studiare da più punti di vista, religioso, letterario, sociologico, psicoanalitico, filosofico… Ma non c’è comprensione adeguata della mistica femminile se non vediamo come quelle donne che chiamo le amiche di Dio, siano riuscite a fare della relazione con il loro amico la loro risorsa di libertà per un’avventura celeste e terrena insieme, umana e divina. Dio smise di parlare la lingua dei dotti per esprimersi con quella delle canzoni d’amore, della vita quotidiana, del lavoro: meglio sarebbe parlare, nel loro caso, di una teologia in lingua materna. La mistica mantiene la peculiarità di scienza divina ma il suo percorso prende impulso dalle vicissitudini di un’avventura amorosa in relazione con un altro da sé. È in questi termini che dobbiamo leggere gli scritti delle mistiche, come una filosofia pratica dell’amore libero e intelligente? E così interpretare anche la svolta del sec. XII-XIII, all’alba dell’Europa moderna? Rintracciando, nello spirito di libertà che percorre la storia europea, nel suo stesso inizio, un’intelligenza politica dell’amore? Luisa Muraro, tra le più importanti filosofe italiane, ha studiato all’Università Cattolica di Milano con Gustavo Bontadini. Nel 1975 ha fondato la Libreria delle Donne di Milano che, tra l’altro, cura la pubblicazione della rivista Via Dogana. All’Università di Verona, dove insegnava, Muraro è stata tra le fondatrici della comunità filosofica femminile di Diotima. pp. 264 – € 17,00 Mladen Dolar La voce del Padrone Bernard Stiegler Prendersi cura Plutarco racconta la storia di un uomo che, spennando un usignolo e vedendo che c’è attaccata ben poca carne, gli dice: «Sei fatto soltanto di voce – e nient’altro». Togliere le penne del significato che coprono la voce, smontare il corpo da cui la voce sembra emanare, resistere al fascino del canto delle Sirene e della loro voce, concentrarsi sulla voce e nient’altro: ecco la difficile missione affrontata da Mladen Dolar in questo lavoro seminale. La voce non ha rappresentato un argomento di grande rilevanza filosofica fino agli anni Sessanta, quando Derrida e Lacan l’hanno posta al centro delle proprie riflessioni. In La voce del Padrone Dolar va oltre Derrida e la sua teoria del “fonocentrismo”, riprendendo e sviluppando la tesi di Lacan che considera la voce come una delle principali incarnazioni dell’oggetto (objet petit a). Secondo Dolar, al di là delle due concezioni più comuni della voce come veicolo di significato e come fonte di ammirazione estetica, c’è un terzo livello di comprensione: la voce come oggetto, come leva del pensiero. Egli studia l’oggetto voce su più piani – la linguistica della voce, la metafisica della voce, l’etica della voce e la voce della coscienza, la relazione paradossale tra voce e corpo, la politica della voce – ed esamina gli usi della voce in Freud e Kafka. Fin dall’inizio del XXI secolo, Bernard Stiegler si è impegnato a diagnosticare i nuovi disagi della civiltà, soggetta ai biopoteri dell’economia politica e della governance finanziaria. Nel 2008, con la pubblicazione francese di Prendersi cura, Stiegler supera la lamentatio intellettuale e pone le fondamenta di un’autentica terapeutica sociale, la farmacologia (da pharmakon, rimedio e veleno), in vista di una trasformazione teorica e politica dell’orizzonte contemporaneo. A monte di questa prospettiva, le analisi foucaultiane sul biopotere vengono integrate criticamente con il concetto di psicopotere, poiché la posta in gioco sembra dirigersi verso l’intelligenza collettiva. Così, facendo leva sul potenziale cognitivo e sociale di quelle stesse tecnologie digitali, troppo spesso valutate esclusivamente come elemento turbo-capitalistico, dunque come dispositivi di assoggettamento, Stiegler ricerca proprio in esse gli strumenti per contrastare lo psicopotere e combattere il sistema del controllo con la formazione di un’attenzione sociale a lungo termine, premurosa per sé e per gli altri. Questo è l’obiettivo della sua “battaglia dell’intelligenza”, condotta dialogando anche con le neuroscienze: le tecnologie di captazione e controllo delle coscienze devono essere rovesciate politicamente in tecnologie di potenziamento del pensiero e dei legami sociali. Una teoria della voce tra arte, politica e psicoanalisi a cura di Luigi Francesco Clemente Dolar non sembra un idiota e non parla come un idiota, “maMladen non lasciatevi ingannare – Mladen Dolar è un idiota!” non -Slavoj Žižek- Mladen Dolar, filosofo e critico culturale sloveno, è tra i fondatori della Scuola Psicoanalitica di Ljubljana ed è docente di filosofia presso l’Università di Ljubljana. pp. 222 – € 17,00 Della gioventù e delle generazioni a cura di Paolo Vignola Bernard Stiegler, professore al Goldsmiths College di Londra e Direttore dell’Institut de Recherche et d’Innovation del Centre Georges Pompidou di Parigi, è uno dei filosofi più attenti alle trasformazioni della società contemporanea, nonché tra i più attivi all’interno del dibattito teorico e politico sulle tecnologie digitali. pp. 310 – € 18,00 Judith Butler Sentire ciò che nell’altro è vivente Jacques Derrida Resistenze a cura di Mariafilomena Anzalone a cura di Michele Di Bartolo Questo testo di Judith Butler affronta alcune tra le pagine più affascinanti e complesse scritte dal giovane Hegel: il frammento sull’Amore e il Frammento di sistema. L’intento dell’Autrice è duplice: scandagliarne il senso profondo e operare, nel contempo, una riflessione più ampia sul tema dell’amore e della vita. A partire dall’idea hegeliana dell’amore come sentimento in cui «il vivente sente il vivente», Butler incrocia fecondamente problemi classici della filosofia di Hegel (il rapporto individuo-comunità, religione-filosofia, vita-viventi) con alcuni motivi della sua più recente produzione: la precarietà della vita, il legame tra l’amore e la perdita, il potere del lutto, etc. Filo conduttore del suo itinerario è la difficoltà che il linguaggio filosofico sperimenta nel rendere conto del fenomeno dell’amore, fenomeno che «ha una sua propria logica – una logica che non fiorisce mai effettivamente in una forma definitiva, ma è caratterizzata da una illimitata apertura». L’illimitata apertura a cui, in quanto viventi, ci consegna e ci espone la vita. Lavorando nei margini de L’interpretazione dei sogni, Jacques Derrida penetra tra le pieghe del testo freudiano portando in luce la natura disseminale del concetto di resistenza all’analisi. Ma, se non si dà una nozione univoca di resistenza, anche il concetto di analisi vacilla, si decostruisce, esponendosi alla possibilità del suo al di là. La psicoanalisi diviene così per Derrida il luogo strategico a partire dal quale ripensare tutta la tradizione della ragione analitica, anche nel suo rapporto con la dimensione etico-politica. Resistenze è un testo fondamentale non solo per ricostruire il confronto derridiano con la psicoanalisi, ma anche per comprendere il ruolo che questo confronto ha svolto nell’evoluzione del pensiero del maestro della decostruzione. L’amore nel giovane Hegel Sul concetto di analisi Judith Butler è Maxine Elliot Professor presso la University of California (Berkeley) e Visiting Professor alla Columbia University (New York). Autrice di testi divenuti classici del femminismo internazionale (Questioni di genere, 2013; Corpi che contano, 1996) si è occupata di filosofia politica e di etica confrontandosi a lungo con il pensiero hegeliano. Alla ricezione francese di Hegel è dedicato il suo primo volume Soggetti di desiderio (2009). pp. 118 – € 12,00 Jacques Derrida (1930-2004) è stato uno dei pensatori più originali della seconda metà del Novecento. Con i suoi libri e la sua intensa attività di insegnamento ha saputo esercitare una feconda influenza in molteplici campi del sapere. Ricordiamo qui gli scritti in cui è più serrato il confronto con la psicoanalisi: Il fattore della verità (1975); Speculare – su “Freud” (1980); “Essere giusti con Freud”. La storia della follia nell’età della psicoanalisi (1992); Mal d’archivio. Un’impressione freudiana (1995); Stati d’animo della psicanalisi (2000). pp. 116 – € 12,00 Riccardo Fanciullacci La misura del vero Un confronto con l’epistemologia contemporanea sulla natura del sapere e la pretesa di verità Ethica collana diretta da Carmelo Vigna Comitato scientifico Giampaolo Azzoni Francesco Botturi Giuseppe Cantillo Antonio Da Re Paolo Pagani Francesco Totaro Segreteria scientifica Paolo Bettineschi Riccardo Fanciullacci Quel che è vero non è tale perché gli uomini hanno deciso così. La verità non è un prodotto, ma qualcosa di primo. In questo senso, occupa il posto della misura e non di ciò che è misurato: opera un taglio sulle aspettative, le pretese e le misure umane. Il tentativo, che esiste, di disconoscere questo tratto della nozione di verità, affermando che vero è ciò che risulta da un accordo intersoggettivo oppure da uno scontro di poteri, è un progetto che si avvolge in contraddizioni e assurdità. E per questo non riesce realmente a salvaguardare quei fenomeni a cui tiene, ad esempio il fatto che vi sono verità che potremmo non riuscire mai a scoprire o il fatto che non ogni verità merita la nostra attenzione, o il fatto che sulla pretesa di aver colto una certa verità sono stati costruiti sistemi di dominio, o il fatto che anche là dove siamo più certi di aver afferrato il vero, potremmo essere incappati in un errore ecc. Per rendere conto di questi fenomeni, che rivelano quanto complesso e stratificato sia il rapporto umano alla verità, occorre non cedere sull’idea che il vero sia misura, ma anzi sviluppare questa idea, delucidandola e articolandola. È questo che qui si propone: un’esplorazione della nozione di verità e delle nozioni connesse, attraverso un corpo a corpo, tanto con l’epistemologia analitica, quanto con alcune posizioni classiche o contemporanee (in particolare, Aristotele, Tommaso d’Aquino, Heidegger). Riccardo Fanciullacci collabora con la Cattedra di Filosofia morale dell’Università Ca’ Foscari di Venezia, con il veneziano Centro Interuniversitario per gli Studi sull’Etica (CISE) e con il Centro di Etica Generale e Applicata (CEGA) dell’Almo Collegio Borromeo di Pavia. È docente a contratto nel Master di II livello “Filosofia come via di trasformazione”, organizzato dall’Università di Verona. pp. 736 – € 29,00 Riccardo Fanciullacci Volontà e assenso Angelo Campodonico & Maria Silvia Vaccarezza La pretesa del bene Un’indagine sul rapporto tra il soggetto umano e la verità deve riconoscere un posto di rilievo all’atto di assenso e allo stato di credenza che ne consegue. Il presente lavoro prende la critica del volontarismo doxastico (cioè della tesi per cui è possibile decidere che cosa credere) come occasione per un’ampia indagine dei rapporti tra credenza, assenso, volontà, responsabilità, ragioni e verità. La prima parte è un’esplorazione fenomenologica che consente di familiarizzare con alcune nozioni e figure differenti: le situazioni di dubbio, la sospensione del giudizio, la struttura della ricerca e i suoi rapporti con i contesti epistemici, gli atteggiamenti affini, ma irriducibili all’assenso (l’assumere, l’ipotizzare, il tenere-come-se-fosse-vero). Qui sono considerati pure il fenomeno dell’autoinganno e dello wishful thinking, oltre che la questione dell’irriducibilità della fede religiosa ad una specie di credenza proposizionale. La seconda parte è un’indagine volta a mostrare l’impossibilità del controllo diretto dei propri atti d’assenso e dunque delle proprie credenze. Naturalmente, viene discusso il celebre argomento di Bernard Williams contro il volontarismo doxastico e ne è proposta una ristrutturazione che lo mette in salvo dalle maggiori obiezioni che gli sono state mosse. Poiché la norma costitutiva della credenza è la norma del vero, allora il credere sta in un rapporto con le considerazioni evidenziali (o ragioni) che rende assurda l’ipotesi di creder vera una proposizione per volontà. Da un lato al bene, ovvero a ciò che ci compie, non possiamo non tendere sempre, dall’altro il bene stesso esercita un’attrazione e una pretesa sulla nostra vita. Ecco perché, nella prospettiva di Tommaso d’Aquino, non c’è opposizione fra finalismo e normatività, e la domanda fondamentale della sua etica si può formulare così: quale bene è degno del nostro amore? Il volume, esito di un lungo lavoro di ricerca, espone in modo chiaro e sintetico il contenuto di testi estremamente ampi e articolati, e sconosciuti ai più. Esso mostra come il fondamentale presupposto antropologico dell’etica di Tommaso sia la stretta unità e sinergia, pur nella distinzione dei piani, di psiche e corporeità, razionalità speculativa e pratica, ragione e passioni, ragione e volontà, ragioni e motivazioni, materia e fine dell’azione, moralità e felicità, norma e virtù. Di qui il suo interesse in un’epoca in cui da molte parti si sente l’urgenza di superare nette divaricazioni, recuperando una concezione più unitaria dell’uomo e del suo agire. L’impossibilità di decidere che cosa credere Teoria dell’azione ed etica in Tommaso d’Aquino Riccardo Fanciullacci collabora con la Cattedra di Filosofia morale dell’Università Ca’ Foscari di Venezia, con il veneziano Centro Interuniversitario per gli Studi sull’Etica (CISE) e con il Centro di Etica Generale e Applicata (CEGA) dell’Almo Collegio Borromeo di Pavia. pp. 532 – € 19,00 Angelo Campodonico insegna Filosofia morale, Antropologia filosofica, Filosofia pratica contemporanea e Filosofia dell’interculturalità presso l’Università degli studi di Genova. Socio ordinario della Pontificia Accademia di San Tommaso, è membro del Comitato scientifico del Centro di Etica generale e applicata (Almo Collegio Borromeo). Maria Silvia Vaccarezza, è dottore di ricerca in Filosofia presso l’Università di Genova, dove studia principalmente la filosofia pratica di Aristotele e Tommaso d’Aquino, e alcune loro riprese contemporanee. pp. 222 – € 18,00 Paolo Bettineschi Critica della prassi assoluta Maria Silvia Vaccarezza Le ragioni del contingente Il volume analizza e discute l’idealismo di Giovanni Gentile incentrando la propria critica attorno al tema dell’assolutezza della prassi. La centralità di questo concetto consente che le critiche teoriche rivolte all’attualismo e alla sua logica passino senz’altro attraverso i risvolti delle istanze morali che avvolgono per intero la dottrina gentiliana. Anzi, è proprio nella soppressione della possibilità di distinguere la teoria (come orizzonte della presenza dei significati) dalla prassi (come dimensione della produzione della presenza) che il dialettismo attualistico può meglio essere decifrato e confutato, funzionalmente alla fondazione di una logica differente e in vista di un’idea della prassi umana non divinizzata in senso immanente perché, piuttosto, trascendentalmente aperta all’alterità che è presente e all’alterità che, pure, può trascendere infinitamente la stessa presenza. Questo lavoro è diviso in due parti: una monografica in cui viene indagata l’autentica posizione aristotelica in merito allo statuto della phronesis e della conoscenza morale, e l’altra in cui si offre una nuova traduzione del VI libro della Sententia Libri Ethicorum, corredata da introduzione storico-filosofica. Nella parte monografica, si vuole combattere la caricatura che tratteggia lo Stagirita come un particolarista etico, e al contempo sfatare l’immagine altrettanto caricaturale di un Tommaso d’Aquino universalista etico, creatore di un impianto deduttivo, che, “battezzando” Aristotele, di fatto neutralizza la phronesis, trasformando la morale, da capacità inventivo-creativa, a mera questione di deduzione a partire da principi immutabili. Sullo sfondo di tali interpretazioni si scorge una visione dicotomica, dualistica, per la quale da un lato vi è la ragione pratica, con la sua capacità inventiva e la sua percezione creativa ed autosufficiente, e dall’altro il polo universale, fatto di regole estrinseche all’agente. Ciò che questo lavoro vuole mostrare è esattamente l’erroneità di questa dicotomia, che non rende ragione della continua dialettica virtuosa tra universale e singolare, tra necessario e contingente, poli che, ben lungi dall’essere opposti, si sostengono ed alimentano vicendevolmente, in un movimento dal basso verso l’alto, e viceversa. Analisi dell’idealismo gentiliano La saggezza pratica tra Aristotele e Tommaso d’Aquino Paolo Bettineschi, è dottore in filosofia presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano e dottore di ricerca nella stessa materia presso l’Università Ca’ Foscari di Venezia. Collabora con la Cattedra di Filosofia morale e con il Centro Interuniversitario per gli Studi sull’Etica (CISE). Tra le sue pubblicazioni: Contraddizione e verità nella logica di Hegel (Milano 2010), Metafisica e violenza (Milano 2008, a cura di C. Vigna e sua) e Tecnica, instabilità, angoscia. Interpretazione del tempo presente. Maria Silvia Vaccarezza, è dottore di ricerca in Filosofia presso l’Università di Genova, dove studia principalmente la filosofia pratica di Aristotele e Tommaso d’Aquino, e alcune loro riprese contemporanee. ▶ L’opera è stata insignita del Premio delle Pontificie Accademie pp. 164 – € 16,00 pp. 356 – € 18,00 Gian Paolo Terravecchia Il legame sociale Maria Silvia Vaccarezza Razionalità pratica e attenzione alla realtà In un film su Tommaso Moro, vincitore di sei premi Oscar, Un uomo per tutte le stagioni (1966), il protagonista, ormai caduto in disgrazia presso il re inglese, decide di rompere l’amicizia col duca di Norfolk. Moro non vuole trascinare l’amico nei guai e perciò decide di rompere l’amicizia in nome dell’amicizia. Bisogna sviluppare una teoria del legame sociale per poter dare conto di questo paradosso e, più ampiamente, per comprendere le forme del sociale che costituiscono il modo in cui gli esseri umani, ma non solo, vivono insieme. Il sociale si costituisce e determina attraverso legami e forme di legame. Sono essi a fissare un ambito normativo, consistente negli obblighi sociali, distinto e indipendente dall’etico, coi suoi doveri. Non si tratta certo di una dicotomia insanabile. Il sociale per lo più si incontra e intreccia con l’etico, entrandovi solo a volte in conflitto. Questo è un punto di arrivo della teoria esposta nel libro. Per potervi giungere bisogna però prima fare i conti con gli argomenti di coloro che negano che vi sia qualcosa come il legame. Il volume intende offrire un’esposizione sintetica di alcune delle trattazioni più significative della tematica delle virtù e della saggezza pratica di matrice aristotelica nel pensiero contemporaneo anglosassone, concentrandosi, in particolare, sul tema dell’attenzione nel pensiero di Iris Murdoch e nella sua ripresa da parte di Cora Diamond e, indirettamente, di Simone Weil. Grazie a quest’indagine, si cerca di evidenziare le ragioni per le quali la ripresa della saggezza pratica, delle sue valenze anche epistemologiche, e con essa del tema dell’attenzione assuma oggi un ruolo determinante nell’esperienza morale e nella riflessione su di essa. In generale, si intende suggerire che l’attenzione all’esperienza morale in atto permette di arricchire il discorso filosofico in etica, consentendo di passare da un discorso “breve”, essenzializzato e quasi scarnificato al fine di trovare un punto minimale di contatto fra gli uomini in una società pluralistica, ad un discorso “lungo” di carattere narrativo che permetta un confronto certo rischioso, ma motivato e arricchente fra uomini che aderiscono anche a prospettive valoriali diverse. Una teoria realista Prospettive contemporanee Gian Paolo Terravecchia ha conseguito il PhD in filosofia presso l’Internationale Akademie für Philosophie nel Principato del Liechtenstein (1998) e il Dottorato di ricerca presso l’Università di Padova (2011). Coautore di due manuali di storia della filosofia (2008, 2009), ha curato con Luciano Floridi Le parole della filosofia contemporanea (2009). I suoi principali campi di interesse sono la filosofia sociale, l’etica, l’ontologia, le teorie della normatività e della donazione, la storia della filosofia, in particolare il Novecento. pp. 334 – € 20,00 Maria Silvia Vaccarezza, è dottore di ricerca in Filosofia presso l’Università di Genova, dove studia principalmente la filosofia pratica di Aristotele e Tommaso d’Aquino, e alcune loro riprese contemporanee. pp. 116 – € 14,00 Paolo Bettineschi Intenzionalità e riconoscimento Benedetta Giovanola Oltre l’homo œconomicus La necessità che l’uomo avverte del rapporto con soggetti altri e analoghi a lui si pone in forza della trascendentalità che in essenza lo definisce come un centro illimitato di intenzionalità. Se non fosse un centro siffatto, egli non dovrebbe nemmeno sottostare a quella necessità. E invece, proprio perché il soggetto umano è un illimitato – per quanto potenziale – apparire dell’essere, proprio per questo egli non può sopportare che siano esclusivamente il finito e il limitato ad apparire in lui o innanzi a lui. È da questa necessità dell’incontro con altri soggetti che l’uomo, peraltro, ricava i suoi piaceri più grandi. E pertanto in essa si inscrivono le storie e le sorti dei suoi desideri più importanti. Tali sorti si decidono nel potere o nella capacità dell’essere umano di lasciar venire innanzi, come cosa che appare, quel che – nella sua riconosciuta verità – può fare altrettanto, e facendo altrettanto lascia che l’umano riconoscente si faccia presente ed appaia essendo a sua volta riconosciuto. Così, se la soddisfazione del desiderio umano trova la sua possibilità nel rendersi presenti alla soggettività di quegli speciali essenti che sono le altre soggettività, il trascendentale che dice il corretto significato dell’esser-presenti di tutti gli essenti mostra di stare a capo della stessa idea di appagamento o felicità coltivata dall’etica del riconoscimento reciproco. Molti economisti ritengono che l’economia sia una “zona franca” dal punto di vista etico, oppure che essa, pur sollevando questioni eticamente rilevanti, dovrebbe tenerle al di fuori del proprio ambito di indagine. Il volume intende confutare questa posizione, argomentando la natura comune di etica ed economia e mostrando non solo la fecondità, ma anche la necessità del loro rapporto. A tal fine viene intrapresa una serrata critica dei concetti portanti della teoria economica mainstream e del modello antropologico alla sua base, quello dell’homo œconomicus, del quale viene mostrato il forte riduzionismo. Per andare oltre l’homo œconomicus, l’autrice, sviluppando le riflessioni di Amartya Sen e Martha Nussbaum e articolando il sostrato etico-antropologico dell’approccio delle capacità, propone un inedito modello di agente economico, articolato intorno alla nozione di ricchezza antropologica e volto a restituire all’economia il ruolo che le è più proprio, quello di mezzo per la promozione del bene dell’individuo e della collettività. Scritti di etica e antropologia trascendentale Lineamenti di etica economica Paolo Bettineschi, è dottore in filosofia presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano e dottore di ricerca nella stessa materia presso l’Università Ca’ Foscari di Venezia. Collabora con la Cattedra di Filosofia morale e con il Centro Interuniversitario per gli Studi sull’Etica (CISE). pp. 200 – € 17,00 Benedetta Giovanola è ricercatrice in Filosofia Morale presso l’Università degli Studi di Macerata, dove insegna Etica ed economia e Filosofia della storia. Si è occupata del pensiero di F. Nietzsche e Karl Marx, e di questioni di etica economica ed etica pubblica, prestando particolare attenzione al tema della responsabilità sociale d’impresa e, più in generale, delle pratiche di business e al rapporto tra sviluppo e giustizia sociale. È vincitrice dell’Helen Potter Award, assegnato dall’Association for Social Economics. pp. 160 – € 15,00 Riccardo Fanciullacci L’esperienza etica Elena Alessiato Karl Jaspers e la politica “Filosofia delle cose umane”, ossia che prende a tema tutto ciò che ha a che fare con la questione umana, è il nome che Aristotele dava a quelle sue ricerche note oggi come etiche. Questo nome ci ricorda quanto ampio debba essere l’orizzonte in cui spazia la riflessione sui cosiddetti problemi morali. Ciò comporta che ogni restrizione dettata solo da astratte divisioni disciplinari vada lasciata cadere, affinché ci si possa dedicare a quel movimento che, partendo davvero dall’esperienza (il primo per noi), con tutto ciò che di incerto e indeciso la caratterizza, possa infine anche tornarvi. Ma la mira della filosofia non è tanto quella di tornare presso gli uomini per offrire loro una norma morale generale o addirittura delle prescrizioni particolari da seguire. Ciascuno di noi si domanda piuttosto come comprendere ciò che gli capita e quale sia la risposta che riesce ad essere efficace e anche a conservare un qualche rapporto con il bene: ecco, una filosofia pratica che si ispiri al modello aristotelico soccorre e ravviva questa interrogazione in cui siamo già coinvolti. Il presente lavoro esplora questa idea di filosofia pratica, ma la sviluppa anche al di là del riferimento ad Aristotele, affinché le trasformazioni che hanno caratterizzato l’epoca moderna, e che il contemporaneo eredita come una sfida, possano essere tenute in conto in tutta la loro complessità. Non sempre il pensiero politico di Karl Jaspers ha ricevuto l’attenzione che merita. Tra i critici, inoltre, è spesso prevalsa la tendenza a considerare la Seconda Guerra Mondiale come un momento di spartiacque nel suo percorso e di conseguenza a contrapporre al «primo» Jaspers, medico e filosofo, il «secondo» Jaspers, intellettuale e pensatore politico. Il presente lavoro si propone di indagare le motivazioni e le premesse anche filosofiche dell’interesse politico di Jaspers a partire dalla sua formazione di psicopatologo e di filosofo dell’esistenza. Ne consegue un percorso scandito per tappe che illustra la stretta connessione esistente nel suo pensiero tra filosofia e politica e che inquadra i modi in cui quel legame si è di volta in volta espresso: da una conferenza datata 1917 agli scritti su temi di pubblica rilevanza (la società di massa e l’università) degli anni Trenta, fino al controverso e coraggioso saggio del 1946 sulla questione delle colpe dei tedeschi per gli orrori del nazismo e della guerra. Karl Jaspers ha affrontato molti degli interrogativi e delle sfide che la convivenza umana da sempre pone: il rapporto tra morale e politica e tra teoria e pratica, la specificità del Politico e i limiti della democrazia, la relazione tra libertà individuale e libertà collettiva, il ruolo dell’educazione e le forme della responsabilità. Riccardo Fanciullacci collabora con la Cattedra di Filosofia morale dell’Università Ca’ Foscari di Venezia, con il veneziano Centro Interuniversitario per gli Studi sull’Etica (CISE) e con il Centro di Etica Generale e Applicata (CEGA) dell’Almo Collegio Borromeo di Pavia. Elena Alessiato è dottore di ricerca in Filosofia presso l’Università degli Studi di Torino e la Ruprecht-Karls-Universität di Heidelberg. Ha svolto attività di ricerca in Germania (Heidelberg, Berlino, Monaco), Canada (University of Ottawa), Napoli (IISS). I suoi ambiti di interesse sono la filosofia politica e la storia delle idee politiche, la filosofia della guerra e il conservatorismo, la critica della società di massa e l’esistenzialismo tedesco, i rapporti tra storia politica ed elaborazione filosofico-intellettuale. Per una filosofia delle cose umane Dalle origini alla questione della colpa ▶ L’opera è stata insignita del Premio della Società Italiana di Filosofia Morale pp. 540 – € 19,00 pp. 222 – € 18,00 Paolo Pagani Ricerche di antropologia filosofica Riccardo Fanciullacci Forme dell’agire Ontologia sociale, conflitto e ideologia in un confronto con Louis Althusser Il volume raccoglie alcuni studi dedicati ai temi fondamentali della riflessione filosofica sull’essere umano: ragione, passione, libertà. E lo fa con riferimento ad alcuni dei principali classici della tradizione occidentale: da Platone a Tommaso d’Aquino, da Kant a Rosmini. Le indagini si allargano a comprendere anche i temi dell’educazione, del bene comune e della felicità: esplorati – tutti – in riferimento alla cifra dell’umano, intesa come l’intreccio della categorialità dei bisogni con la trascendentalità del desiderio. Paolo Pagani insegna Filosofia Morale all’Università Ca’ Foscari di Venezia, dove negli anni passati ha tenuto l’insegnamento di Antropologia filosofica. Fa parte del Comitato scientifico dell’«Annuario di etica», di quello dell’Annuario di studi filosofici «Anthropologica», e del Consiglio scientifico internazionale della rivista «Filosofia Oggi». È membro del Comitato scientifico del Centro Interuniversitario di Studi sull’Etica (CISE); del Consiglio scientifico del Centro di Etica Generale e Applicata (CEGA), costituitosi presso l’Almo Collegio Borromeo di Pavia, e del Consiglio scientifico della Fondazione Sciacca. Tra le sue pubblicazioni, i volumi: Sentieri riaperti (Milano 1990), Contraddizione performativa e ontologia (Milano 1999), Libertà e non-contraddizione in Jules Lequier (Milano 2000), Studi di Filosofia morale (Roma 2008). Althusser pensava a partire da Marx, spesso da alcune formule della tradizione marxista che, col suo serrato lavoro concettuale, portava a significare qualcosa di diverso, a divenire parte di una teoria nuova della società e del mondo umano e storico. Una teoria che oltrepassa le secche dell’individualismo, ma senza intendere la formazione sociale né come una macchina che procede da sé, né come il luogo di una pervasiva oppressione da cui ci si può solo dislocare marginalmente. Al centro di questa teoria sta una concezione originale di che cosa sono le idee e i significati che operano nella società. “Le ideologie, dice Althusser modificando il senso tradizionale della parola, sono delle formazioni complesse di nozioni e rappresentazioni che fanno da trama ai comportamenti, alle condotte, ai gesti. Ne risulta una sorta di regolazione dell’atteggiamento e della presa di posizione concreta degli uomini nei confronti degli oggetti reali e dei problemi che riguardano la loro esistenza sociale e individuale, e la loro storia”. Di questa tesi, il presente lavoro difende i presupposti, indaga le conseguenze e mostra come possa essere congiunta con la problematica del conflitto sociale. La sviluppa anche al di là dell’elaborazione offertane da Althusser, quando questa non si rivela all’altezza delle sue premesse. Questo lavoro, che si presenta come un’ampia monografia sul filosofo francese, è in realtà piuttosto un tentativo di fare ciò che Althusser voleva dai suoi lettori: che pensassero con lui alle questioni teoriche di cui egli sapeva mostrare, con inimitabile chiarezza, l’urgenza e la decisività. Riccardo Fanciullacci collabora con la Cattedra di Filosofia morale dell’Università Ca’ Foscari di Venezia, con il Centro Interuniversitario per gli Studi sull’Etica (CISE) e con il Centro di Etica Generale e Applicata (CEGA). pp. 266 – € 17,00 pp. 1130 – € 32,00 Paolo Pagani La geometria dell’anima Sara Brotto Etica della cura Questo testo nasce da alcune indagini sul nesso tra matematica e filosofia in ambiente “accademico”. È interessante notare che l’esplorazione di tale nesso costituisce un felice tratto di continuità tra gli studi più classici e autorevoli intorno al Platone “scritto” – di cui Alfred E. Taylor è esponente di netto rilievo – e il meglio delle rivisitazioni del testo platonico proposte a partire dagli ágrapha, raccolti e valorizzati dalle Scuole di Tübingen e di Milano. L’elemento matematico, elaborato nell’oralità dell’Accademia e ripreso poi in alcuni Libri degli Elementi euclidei, rappresenta una chiave d’accesso privilegiata per la comprensione e per l’approfondimento di alcuni luoghi problematici – ma decisivi – dei “dialoghi”. Il linguaggio matematico sembra essere la cifra simbolica cui Platone affida l’illustrazione dei più delicati rapporti che intercorrono tra le dimensioni dell’anima umana, ma anche tra i differenti stili di vita che all’essere umano si prospettano. Il tema che fa da apripista alla presente indagine è in particolare quello dell’irrazionale matematico, sulla cui rilevanza nel pensiero platonico si è a suo tempo soffermato – in modo assai brillante e difficilmente prescindibile – Imre Toth, illustre filosofo e storico della matematica. Possiamo intenderci, quando parliamo di etica della cura? C’è nella cura qualcosa di comune al di là del genere, dell’etnia, della lingua, del Paese nel quale viviamo, degli usi, dei costumi e delle tradizioni che caratterizzano le nostre vite? Sì, c’è qualcosa di comune: è la nostra originaria condizione dell’essere con altri ed è la nostra originaria destinazione a essere per altri. Ebbene, la cura è precisamente quell’essere con altri e per altri vissuto in modo giusto. Del resto, solo in questo modo giusto ognuno di noi può essere pienamente se stesso. Cioè può star bene. Perché noi in realtà stiamo bene, quando anche gli altri stanno bene; cioè noi stiamo bene, quando con-dividiamo con altri non solo salute, emozioni, sentimenti, ma anche idee e pratiche di vita, in cui si realizza in molti modi l’accadimento che tutti invochiamo e che spesso tutti disattendiamo: la relazione di reciproco riconoscimento. Che è, appunto, una relazione di cura reciproca: la versione più comprensiva di un’etica della cura. Riflessioni su matematica ed etica in Platone Una introduzione Paolo Pagani insegna Filosofia Morale all’Università Ca’ Foscari di Venezia, dove negli anni passati ha tenuto l’insegnamento di Antropologia filosofica. Fa parte del Comitato scientifico dell’«Annuario di etica», di quello dell’Annuario di studi filosofici «Anthropologica», e del Consiglio scientifico internazionale della rivista «Filosofia Oggi». È membro del Comitato scientifico del Centro Interuniversitario di Studi sull’Etica (CISE); del Consiglio scientifico del Centro di Etica Generale e Applicata (CEGA), dell’Almo Collegio Borromeo di Pavia. pp. 184 – € 16,00 Sara Brotto insegna Lingue e Letterature Straniere, Inglese e Tedesco, nelle scuole secondarie superiori della provincia di Vicenza. Ha frequentato corsi di lingue e civiltà straniere presso varie istituzioni e università estere, fra cui un anno come Exchange Abroad Student in Comparative Literature presso la Graduate School dell’University of California, Berkeley. Ha conseguito la seconda laurea in Scienze filosofiche, specializzandosi in Bioetica, presso l’Università “Ca’ Foscari” di Venezia. I suoi ambiti di interesse ruotano attorno alla filosofia morale e alla bioetica. pp. 208 – € 17,00 La vita spettacolare Silvia Pierosara Legami privati e relazioni pubbliche Questioni di etica Una rilettura di Axel Honneth a cura di Riccardo Fanciullacci & Carmelo Vigna Pasolini, di fronte alla trasformazioni che il capitalismo neoliberista imprime alla forma di civiltà che egli aveva conosciuto in giovinezza, non esita a parlare di “mutazione antropologica” e arriva a dire: «La tragedia è che non ci sono più esseri umani, ci sono strane macchine che sbattono l’una contro l’altra». Queste “macchine” in violenta competizione hanno solo un debole legame con gli esseri umani che ancora crediamo di essere e che diverse istituzioni, come quelle della democrazia, presuppongono che siamo. Il fatto è che per incrementare e gestire i consumi, il sistema economico si è dotato di strumenti (dalla pubblicità ai new media più recenti) che non condizionano solo il comportamento esteriore, ma raggiungono le forme della coscienza e offrono modelli stereotipati al desiderio. È questa la vita spettacolare che ci avvolge e ci seduce. I saggi di questo volume interrogano questa configurazione della vita con radicalità. Il volume indaga il paradigma del riconoscimento e il vincolo tra legami affettivi e giustizia nel pensiero di Axel Honneth, a partire da un’interrogazione problematica intorno al complesso rapporto tra sfera pubblica e privata, così come emerge dai suoi testi più recenti. Le aspettative sproporzionate di riconoscimento, che si riversano oggi sulla sfera privata, si riflettono in un progressivo affrancamento dei legami affettivi da qualsiasi richiamo al principio di giustizia e quindi da ogni forma di intenzionalità sociale. In tale prospettiva tende a indebolirsi non solo la vocazione al decentramento, propria della persona umana, ma anche una corrispondente tessitura riflessiva dei legami pubblici e privati. Nella progressiva erosione di una socialità solidale s’impone il compito di ripensare un ethos democratico all’insegna di una prossimità autentica, in cui il senso di giustizia possa “ricucire” in modo fecondo la sfera degli affetti privati e quella delle relazioni pubbliche. ▶ Saggi di: Francesco Callegaro, Carlo Chiurco, Adriano Fabris, Riccardo Fanciullacci, Giacomo Ghidelli, Peppino Ortoleva, Antonio Petagine, Maddalena Pezzato, Teresa Scantamburlo, Giovanni Ventimiglia, Carmelo Vigna Silvia Pierosara ha conseguito il dottorato di ricerca in Filosofia e Teoria delle Scienze Umane presso l’Università degli Studi di Macerata, dove attualmente collabora alla cattedra di Filosofia morale, in qualità di cultrice della materia. Le sue ricerche si concentrano sul paradigma del riconoscimento nella filosofia morale contemporanea e sulla narrazione come orizzonte di dialogo tra differenti provenienze culturali. È autrice del volume L’orizzonte e le radici. Sul riconoscimento del legame comunitario (Roma 2011) e di saggi che indagano i temi della narratività, dell’estraneità e dell’autonomia come partecipazione. Riccardo Fanciullacci collabora con la Cattedra di Filosofia morale dell’Università Ca’ Foscari di Venezia, con il Centro Interuniversitario per gli Studi sull’Etica (CISE) e con il Centro di Etica Generale e Applicata (CEGA). Carmelo Vigna è stato professore di Filosofia Morale presso l’Università Ca’ Foscari di Venezia, dove dirige il Centro Interuniversitario per gli Studi sull’Etica (C.I.S.E.). È Presidente del Centro di Etica Generale e Applicata (C.E.G.A.) dell’Almo Collegio Borromeo di Pavia, e Direttore dell’”Annuario di etica”. pp. 224 – € 17,00 pp. 166 – € 16,00 “ Riccardo Fanciullacci, Paolo Monti, Maddalena Pezzato, Silvia Pierosara L’etica pubblica in questione Cittadinanza, religione e vita spettacolare L’etica pubblica può anche essere intesa come l’etica stessa, quando riconosce che l’essere umano è sempre coinvolto in relazioni con altri all’interno di scenari storico-sociali. A seconda delle fattezze concrete di questi scenari, gli esseri umani si trovano spesso a confronto con questioni nuove che sfidano le loro soluzioni tradizionali al problema del giusto convivere, e persino le loro idee di bene e di male. Questo libro affronta alcune delle più radicali tra tali questioni: quelle relative ai temi della cittadinanza, del pluralismo religioso e delle trasformazioni dei modi dell’esperienza provocate dalla diffusione dei nuovi mezzi di comunicazione e dal loro divenire una sorta di nuovo ambiente. Ne viene un quadro teorico complesso, dove la comune umanità può tornare a essere una risorsa, e pure un fine condiviso. Ma solo a patto che non se ne diano per scontati i tratti fondamentali. Riccardo Fanciullacci collabora con la Cattedra di Filosofia morale dell’Università Ca’ Foscari di Venezia, con il CISE e con il CEGA. Paolo Monti collabora con la cattedra di Filosofia morale dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano. Ha condotto parte della propria attività di ricerca negli Stati Uniti. Maddalena Pezzato ha approfondito il tema della comunicazione con una laurea e un dottorato in Filosofia presso l’Università Ca’ Foscari di Venezia e ha svolto un biennio di specializzazione a Parigi (Institut Catholique). Silvia Pierosara collabora alla cattedra di Filosofia morale dell’Università degli Studi di Macerata. Le sue ricerche si concentrano sul paradigma del riconoscimento nella filosofia morale contemporanea e sulla narrazione come orizzonte di dialogo tra differenti provenienze culturali. pp. 162 – € 16,00 La collana di Ethica è nata per coltivare un desiderio comune a tutti gli esseri umani: il desiderio della felicità. Tutti la vogliono, la felicità, ma molti si ingannano nel concepirla e quindi nel perseguirla. Da quando è nata in Occidente, l’etica ha avuto il compito di proteggere dall’inganno, a patto che non sia lei, per prima, a generare inganni. Ma questo può davvero accadere, solo se l’etica non si separa mai dalla verità, perché l’etica altro non è che una teoria intorno alla verità del desiderio umano. E poiché il desiderio umano mira al bene, l’etica sta inevitabilmente a guardia della custodia della congiunzione della verità e del bene. Questa convinzione, che ha attraversato tutta la storia del pensiero occidentale, guida le pubblicazioni della collana, sia quelle dei giovani ricercatori sia quelle dei ricercatori più sperimentati” Carmelo Vigna Diego Giordano Verità e paradosso in Søren Kierkegaard Una lettura analitica Studia Humaniora collana di studi e ricerche Comitato scientifico Roberto Esposito Pierpaolo Marrone Paolo Pagani Carmelo Vigna Gianfrancesco Zanetti Secondo Søren Kierkegaard alla luce del rapporto, intimo e personale, con Dio è possibile accedere alla verità. L’importanza del rapporto è data dal fatto che Dio non solo è la verità in quanto tale, ma la condizione che permette la disponibilità della verità all’uomo. In tale movimento relazionale le solide categorie che strutturano e sorreggono il pensiero devono fare i conti con un’opzione di senso istituita dalla fede che, destabilizzando ogni atto noetico-conoscitivo razionale e culturale, conduce alle porte del paradosso. L’operazione che Kierkegaard riesce a compiere è quella di calare il paradosso, che è il paradosso della fede, nella verità, che è la verità del singolo nel proprio rapporto a Dio. La fede porta alla verità unicamente se è la verità a generare e garantire l’atto di fede. Questo libro è diviso in due sezioni: una prima parte d’introduzione storica alla vita e al contesto in cui Kierkegaard operò, e una seconda parte costituita da un saggio su due nozioni centrali nel pensiero del filosofo, quelle di verità e paradosso, analizzate sia dal punto di vista teoreticoermeneutico, in dialogo con Nietzsche e Heidegger, sia da quello della filosofia analitica, con particolare riferimento ad alcune operazioni concettuali compiute da Frege, Russell e Wittgenstein. Diego Giordano, filosofo, musicista ed editore, si è formato presso le Università di Salerno e di Roma, la Scuola di Alti Studi della Fondazione San Carlo di Modena e l’EPHE di Parigi, ed è stato ricercatore all’Università di Copenhagen. I suoi lavori sono dedicati principalmente al pensiero filosofico tra la fine del XVIII e la prima metà del XIX secolo. Tra i suoi recenti lavori va segnalata la cura e traduzione di J.-J. Rousseau, Discorso sull’origine della disuguaglianza e Contratto sociale (Milano 2012) e, per il teatro musicale, La Macchina, su commissione de La Biennale Musica (Venezia 2013). pp. 92 – € 10,00 Pensare (con) Patočka oggi Roberto Garaventa Religiosità senza dogmi Filosofia fenomenologica e filosofia della storia Ambiguità e prospetticità delle religioni storiche a cura di Mauro Carbone & Caterina Croce I testi raccolti in questo libro cercano di argomentare i due versanti della ricerca patočkiana: da una parte, la sua filosofia fenomenologica che, combinando elementi di derivazione heideggeriana e husserliana, formula in modo inedito i rapporti tra mondo naturale e divenire storico, tra genesi dell’io e condivisione di un mondo in comune, tra l’apparire come orizzonte della totalità ed esistenza umana come esperienza della finitezza; dall’altra, il filone etico e politico della riflessione di Jan Patočka, capace di tenere insieme la ricerca genealogica di un’origine – la cura dell’anima nell’antica Grecia – con l’annuncio profetico di un tempo a venire – un’epoca posteuropea di interdipendenza planetaria. I contributi qui proposti danno conto delle ambivalenze del pensiero patočkiano e delle tensioni produttive che esso genera entrando in risonanza con altre voci della filosofia contemporanea: non solo Husserl e Heidegger, ma anche Ricoeur, Derrida, Jünger, Lyotard, fino all’americana Judith Butler. ▶ Saggi di: Mauro Carbone, Ivan Chvatík, Caterina Croce, Giuseppe Di Salvatore, Giuseppe Fornari, Maurizio Guerri, Karel Novotný, Paolo Perticari, Camilla Rocca, Roberta Sofi Mauro Carbone è ordinario di Estetica presso l’Université Jean Moulin Lyon 3. In precedenza, ha lavorato per sedici anni presso l’Università degli Studi di Milano, inaugurandovi l’insegnamento di Estetica contemporanea. Caterina Croce si occupa del versante etico e politico della riflessione di Jan Patočka: il suo lavoro, in particolare, è volto ad indagare le convergenze tra la tematizzazione patočkiana della cura dell’anima e le ricerche sulla cura di sé condotte da Michel Foucault. pp. 226 – € 18,00 Ha senso parlare di una «religiosità» costitutiva dell’uomo? Non è forse vero che ogni singolo individuo è strutturalmente «aperto» a un «orizzonte ultimo di senso» che, nel corso della storia, è stato definito in guise diverse: Divino, Eterno, Trascendenza, Bene? Le religioni storiche con i loro messaggi soterico-redentivi non sono, al pari delle utopie sociali con i loro ideali di giustizia, tentativi storicamente e culturalmente determinati di dar corpo e figura a tale esperienza del Divino, dell’Eterno, della Trascendenza, del Bene? E non è proprio alla luce di tale «orizzonte ultimo di senso» che la realtà naturale e umana, così come la conosciamo, ci appare tragicamente segnata da una negatività radicale, da un «male metafisico» irredimibile per buona volontà umana, di cui i singoli mali fisici, morali, sociali, psico-esistenziali non sono che la concreta manifestazione? Certo è che il riconoscimento della costitutività di una «dimensione religiosa» dello spirito umano potrebbe favorire non solo un confronto più proficuo tra credenti e non-credenti impegnati nella lotta per una società più giusta e più solidale, ma altresì un dialogo autentico tra le religioni universali, di cui è necessario disinnescare le potenzialità aggressive e distruttive connesse alla pretesa «assolutistica», da loro avanzata, di possedere l’unica, vera rivelazione di Dio. Le religioni sono fenomeni profondamente ambigui, soprattutto laddove non accettano di riconoscere la prospetticità della loro verità e non operano in controtendenza rispetto alla logica crudele, impietosa ed egoistica del mondo. Roberto Garaventa, insegna “Storia della filosofia contemporanea” presso l’Università “G. d’Annunzio” di Chieti-Pescara e presso l’Università Telematica “Leonardo da Vinci” di Torrevecchia Teatina. pp. 304 – € 17,00 Federico Leoni L’idiota e la lettera Paolo Vignola L’attenzione altrove L’idiota e la lettera è un piccolo libro su un testo sterminato: L’idiota della famiglia, monumentale biografia di Gustave Flaubert, quasi un testamento filosofico per il suo autore, Jean-Paul Sartre. I temi e le ossessioni sono quelle intorno a cui Sartre lavora per tutta una vita. La nascita di un bambino “male amato”. L’esilio come materia di un’esistenza. La posizione del moribondo eletta a forma di vita. La voce come medium ipnotico, la parola come rivelazione del mondo, il linguaggio come luogo comune e spazio politico originario. L’esercizio letterario come sabotaggio del fascismo strutturale del linguaggio nell’epoca della sua riproducibilità tecnica. E ancora, il nesso tra il corpo e lo sguardo dell’altro, tra vergogna e vocazione comica, tra riso e violenza, masochismo e crudeltà. Infine, la parabola della borghesia francese ottocentesca, del suo capitalismo diviso tra utilitarismo razionalista e fantasmagoria cesarista. Tra razionalizzazione dello scambio simbolico e fascinazione per ciò che nello scambio resta indicibile, irriducibile, mostruoso. Il libro affronta il disagio, innanzitutto collettivo, della società in Rete, prendendosi cura del logos attraverso il pathos e immergendo così la filosofia nei problemi del linguaggio, dell’attenzione e dell’affettività: lo sfruttamento intensivo di tali facoltà ne mette infatti a rischio la salute e le stesse condizioni di possibilità. L’obiettivo è perciò analizzare le esperienze collettive di sofferenza, precarietà e disturbi dell’attenzione, per riportare il vissuto dell’esperienza sul piano della filosofia e concepire una sorta di empirismo diagnostico che si muova dal lavoro ai media, dalla miseria simbolica alla povertà materiale, dalle condizioni del sapere all’ingerenza del marketing e al ruolo della tecnologia. Attraverso un percorso al tempo stesso teoretico, estetico e politico, che va da Nietzsche a Canguilhem, Simondon e Foucault, da Adorno e Horkheimer a Deleuze e Guattari fino a Sloterdijk e a Stiegler, si schiude l’opportunità di tracciare una sintomatologia propriamente sociale, col fine propositivo di inventare legami sopra l’abisso del senso scavato dal capitalismo pulsionale. A questo primo ambito d’intervento si aggiunge la volontà di trasformare i sintomi in questioni teoriche da affrontare per riuscire a fare filosofia oggi, non solo nonostante l’ipertrofia del marketing, delle tecnologie istupidenti del controllo e del pensiero unico dettato dal Mercato, ma proprio a partire da questi fenomeni disastrosi per il pensiero stesso. Quattro saggi sul Flaubert di Sartre Sintomatologie di quel che ci accade Federico Leoni ha svolto attività di ricerca presso il Dipartimento di Filosofia dell’Università Statale di Milano e lavora attualmente per Giangiacomo Feltrinelli Editore. Insegna all’IRPA (Istituto di ricerca per la psicoanalisi applicata) di Milano. Paolo Vignola è dottore di ricerca in filosofia e svolge attività di ricerca presso l’Università di Genova. È membro del comitato di consulenza scientifica di “Millepiani” e collabora con le riviste “Kainos” e “Officine Filosofiche”. pp. 138 – € 13,00 pp. 174 – € 16,00 Margini della filosofia contemporanea Piergiorgio Bianchi Il sintomo e il discorso Lacan legge Marx a cura di Attilio Bruzzone & Paolo Vignola I 29 testi proposti in questo volume descrivono teorie, problemi, autori e discipline ritenuti esterni o marginali rispetto ai logoi e topoi ufficiali della filosofia novecentesca. In quest’ottica, la raccolta di saggi, che presenta un’esposizione decentrata e rizomatica del dibattito filosofico da Nietzsche ad oggi, ha innanzitutto l’obiettivo di fornire uno strumento euristico affermativo, in grado di evidenziare come i margini disciplinari, stilistici e contenutistici rispetto all’idea che la filosofia si è costruita di se stessa abbiano in realtà contribuito essenzialmente alla crescita concettuale, metodologica ed espressiva del pensiero contemporaneo. ▶ Saggi di: Francesco Aloe, Maria Cristina Amoretti, Emanuele Antonelli, Sara Baranzoni, Andrea C. Bertino, Ilaria Boeddu, Attilio Bruzzone, Francesco Camera, Stefania Consigliere, Gerardo Cunico, Vincenzo Cuomo, Marco Damonte, Francesca Dell’Orto, Filippo Domenicali, Ubaldo Fadini, Lisa Fazio, Maria Luisa Haupt, Oscar Meo, Emanuela Miconi, Bruno Moroncini, Andrea Natali, Simona Paravagna, Selena Pastorino, Igor Pelgreffi, Ignazio Semino, Alessia Solerio, Paolo Vignola, Silverio Zanobetti, Matteo Zoppi, Giuseppe Zuccarino Attilio Bruzzone, assegnista di ricerca e cultore della materia Filosofia teoretica presso l’Università di Genova, è studioso di Georg Simmel, del pensiero marxista eterodosso del ’900 tedesco (Lukács, Korsch, Bloch) e di teoria critica (Kracauer, Adorno, Horkheimer, Benjamin), cui ha dedicato diversi lavori. Marx è l’«inventore del sintomo». Accostando la nozione di sintomo alla teoria del plusvalore, Lacan pone la pulsione e i suoi destini sul versante dei processi descritti nel Capitale. Per la psicoanalisi, metafora e ripetizione sono i due aspetti in cui il sintomo si presenta. La prima è legata all’emergere di un senso nascosto ma decifrabile, la seconda insiste su di un godimento impossibile ed opaco. Lacan interroga il marxismo sul suo destino oscillante tra una verità che annuncia di separarsi dalla filosofia ed un progetto che intende sovvertire il sociale; lo invita a ripensare l’uso della politica nel momento in cui l’universale del discorso politico mostra la sua funzione di ideologia; alla psicoanalisi domanda invece di sollevare il velo sull’impossibile che il soggetto reperisce come un sapere inconscio, inventando un uso del sintomo che arricchisca l’esperienza singolare. È possibile oggi una politica che resista al dominio delle scienze cognitive e alle strategie del controllo? È chiaro che pronunciare una domanda sugli effetti di verità dei discorsi di Marx e Lacan significhi anche verificare la solidità dei dispositivi predisposti alla loro neutralizzazione. Piergiorgio Bianchi è laureato in Filosofia e in Storia presso l’Università di Genova. Si occupa di temi di filosofia, politica e psicoanalisi. Dal 1995 fa parte della Scuola Lacaniana di Psicoanalisi. Paolo Vignola è dottore di ricerca in filosofia e svolge attività di ricerca presso l’Università di Genova. È membro del comitato di consulenza scientifica di “Millepiani” e collabora con le riviste “Kainos” e “Officine Filosofiche”. pp. 454 – € 20,00 pp. 144 – € 15,00 Paolo Jedlowski In un passaggio d’epoca Esercizi di teoria sociale Teoria sociale collana diretta da Massimo Cerulo Comitato scientifico Gabriele Balbi Emiliano Bevilacqua Davide Borrelli Franco Crespi Anne Dufourmantelle Elena Esposito Paolo Jedlowski Danilo Martuccelli Monica Massari Massimo Pendenza Walter Privitera Cirus Rinaldi Ambrogio Santambrogio Gabriella Turnaturi Giuseppe A. Veltri Il passaggio d’epoca in cui siamo coinvolti comporta molteplici sfide. A essere sfidata è anche la teoria sociale. I presupposti, i concetti e i procedimenti conoscitivi di cui questa è composta sono stati formulati in Europa e in Nord America, ma alla luce di ciò che ora sappiamo di un mondo più vasto e interdipendente vanno messi alla prova, rivisitati e, a volte, riformulati. Dobbiamo fare teoria: pensare nella situazione di oggi. La teoria sociale è anche una pratica: quella di esercitare metodicamente il pensiero mettendo a confronto le nostre idee con ciò che loro resiste. A questa pratica si ispirano gli esercizi che questo volume comprende: si tratta di esercitarci a mettere in questione ciò che sappiamo, a mettere a frutto nuove fonti, ad ascoltare le nuove voci con cui il mondo ci parla. Modernità e modernità multiple, sfera pubblica, postcolonial studies, interdipendenza e narrazione di sé sono alcuni dei temi che affronta il volume, in un linguaggio che non cerca espressioni ad effetto, ma fa della ricerca di una sobria chiarezza la propria cifra stilistica. Paolo Jedlowski è ordinario di sociologia all’Università della Calabria, dove è corresponsabile della scuola dottorale “André Gunder Frank” e dove ha fondato e dirige Ossidiana − Osservatorio sui processi culturali e la vita quotidiana. Si occupa di teoria sociale, storia della sociologia e sociologia della cultura. È considerato uno dei fondatori dello studio sociologico della memoria in Italia; di memorie autobiografiche si occupa attualmente in collaborazione con Philo − Scuola superiore di pratiche filosofiche di Milano. pp. 146 – € 13,00 Emozioni e ragione nelle pratiche sociali Franco Crespi Esistenza-come-realtà Contro il predominio dell’economia a cura di Massimo Cerulo & Franco Crespi In che modo la modernità ha influito sull’esperienza soggettiva e sociale della realtà (credenze, valori, stili di vita)? Quali nuove pratiche, emozionali e razionali, sono venute oggi affermandosi a seguito della crisi globale e del fallimento di molte logiche capitalistiche? E che ruolo svolgono emozioni, sentimenti e passioni (paura, nostalgia, vergogna, indignazione, amore) nelle modalità dell’agire? Il presente volume di teoria sociale prova a rispondere a queste domande riflettendo sulle forme dell’agire umano, tenuto conto dell’intimo nesso che intercorre tra agire e conoscere, tra ragione ed emozioni. Perché le pratiche sociali, oltre a essere vissute ed esperite secondo la duplice prospettiva individuale e collettiva, risultano sempre variamente intrise di emozionalità e razionalità. In tal senso, l’obiettivo del presente lavoro è di riflettere sulle forme e sui modi in cui le pratiche sociali prendono vita e, anche attraverso un ripensamento critico delle teorie dei classici della sociologia e della filosofia, proporre nuove e più adeguate interpretazioni della realtà nella quale viviamo. La realtà non è solo qualcosa che sta fuori di noi imponendo dall’esterno le sue leggi e le sue sanzioni, ma è anche, almeno in parte, il prodotto delle nostre immagini e rappresentazioni, il risultato di ciò in cui crediamo. Nei secoli passati gli esseri umani hanno costruito la loro realtà fondandola prima sull’idea di Dio, poi sul Potere politico e infine sul Denaro e l’Economia: tutte entità astratte al di sopra dell’individuo e di fatto incontrollabili. Nell’epoca attuale, sembra finalmente venuto il momento di assumere responsabilmente e attivamente la costruzione della realtà a partire dalla nostra concreta esperienza di vita. L’importanza che per noi hanno assunto i valori della qualità della vita quotidiana, della libertà, della felicità e dell’amore, trova la sua migliore espressione nell’idea di esistenza, come situazione comune a tutti gli esseri umani dalla quale trarre i criteri per la solidarietà sociale, i principî della politica, le scelte dell’economia. Vogliamo andare verso una realtà dal volto umano contraria a ogni ingiustizia, sopraffazione, violenza. ▶ Saggi di: Matteo Bianchin, Massimo Cerulo, Franco Crespi, Paolo Jedlowski, Mauro Magatti, Danilo Martuccelli, Walter Privitera, Elena Pulcini, Ambrogio Santambrogio, Gabriella Turnaturi Franco Crespi è professore emerito di Sociologia nell’Università degli Studi di Perugia. Tra le sue numerose pubblicazioni ricordiamo: Esistenza e simbolico (Milano 1978), Evento e struttura (Bologna 1993), Imparare ad esistere (Roma 1994), Teoria dell’agire sociale (Bologna 1999), Identità e riconoscimento (Roma-Bari 2003), Contro l’aldilà – per una nuova cultura laica (Bologna 2008). Massimo Cerulo è ricercatore in sociologia generale nel Dipartimento di Culture, Politica e Società dell’Università di Torino. Ha introdotto in Italia parti della teoria sociale di alcuni classici della sociologia, quali Pierre Bourdieu, Gabriel Tarde e Arlie R. Hochschild. Franco Crespi è professore emerito di Sociologia nell’Università degli Studi di Perugia. pp. 232 – € 17,00 pp. 88 – € 10,00 Pierre Bourdieu Cose dette Gabriel Tarde L’azione dei fatti futuri – I Possibili Verso una sociologia riflessiva a cura di Massimo Cerulo a cura di Filippo Domenicali Attraverso lunghe interviste con studiosi francesi e internazionali (antropologi, economisti e sociologi esperti di arte, religione, letteratura, ecc.), Pierre Bourdieu si spiega. Rende chiari alcuni aspetti oscuri e mal compresi delle sue ricerche, esplicita i presupposti filosofici dei suoi studi, evoca la logica concreta delle sue indagini e, nello stesso tempo, discute o rifiuta le obiezioni che gli vengono più spesso rivolte. La vivacità del discorso improvvisato permette di vedere all’opera una modalità di pensiero che può essere anche uno strumento, liberatore, di socioanalisi. Applicando a se stesso il metodo di analisi delle opere culturali che egli difende, processo che lo conduce a evocare lo spazio dei possibili teorici così come si presenta nei differenti momenti del suo itinerario intellettuale, Bourdieu offre i mezzi per ottenere una conoscenza sia oggettiva che comprensiva del suo lavoro. E nello stesso tempo è tutto il dibattito tra le scienze dell’uomo e la filosofia che, sfuggendo alle insinuazioni oscure della denuncia ipocrita o ai falsi lustri della polemica pubblica, si trova situato sul suo terreno più appropriato, quello del confronto rigoroso e leale. Pierre Bourdieu (1930-2002), filosofo di formazione e sociologo d’elezione, è internazionalmente riconosciuto come uno degli intellettuali contemporanei più importanti e influenti. Nel 1975 fonda la rivista «Actes de la recherche en sciences sociales», e nel 1981 viene nominato professore di sociologia al Collège de France. Tra le sue opere più importanti: L’amore dell’arte (1966), La riproduzione (1970), Per una teoria della pratica (1972), La distinzione (1979), La parola e il potere (1982), Homo academicus (1984), Le regole dell’arte (1992), Sulla televisione (1996), Meditazioni pascaliane (1997), Il dominio maschile (1998), Le strutture sociali dell’economia (2000), Il mestiere di scienziato (2001). pp. 242 – € 17,00 vi capita di assistere al battesimo di “unQuando bambino, provate a pensare all’ovulo che ha impedito di essere fecondato, all’embrione a cui ha impedito di nascere. Quando guardate un fiore, pensate agli altri semi di cui ha preso il posto al sole e nella buona terra fertile; quando vedete una bella quercia, pensate anche alle piccole piante che sono deperite sotto la sua ombra. Quando leggete un libro di storia, pensate alle imprese mancate, ai progetti che non hanno avuto successo: la conquista dei Parti sognata da Cesare, o lo sbarco in Inghilterra immaginato da Napoleone I. Quando guardate le stelle in una notte serena, provate a pensare agli altri soli che avrebbero potuto brillare, alle altre costellazioni diversamente configurate e dipinte che avrebbero potuto affascinare occhi diversi dai nostri, se gli astri attuali non si fossero impadroniti del firmamento, della luce e della vita. In una parola, quando guardate questo Universo, provate a pensare che deve la sua esistenza all’immolazione di migliaia di altri universi, tra i quali se ne troverebbero forse, malgrado Leibniz, di migliori e di più belli – anche se non, almeno credo, di più differenziati!” -Gabriel TardeGabriel Tarde, (1843-1904), sociologo e magistrato, è stato un pensatore autodidatta e antiaccademico. Pur avendo goduto di un’enorme fortuna alla fine dell’Ottocento, con il nuovo secolo è stato vittima di un “inspiegabile oblio”. Fu riscoperto da Deleuze negli anni Sessanta, che ne ha rivalutato l’opera metafisica considerandolo a pieno titolo come un precursore del pensiero di autori eterodossi del calibro di Souriau, Ruyer e Simondon, per la sua attenzione ai concetti di Differenza, Ripetizione, possibile, virtuale, monadi, e molto altro. pp. 102 – € 10,00 Antiche novità Una guida transdisciplinare per interpretare il vecchio e il nuovo Dario Verderame Rituale e confini Dialogare attraverso i riti a cura di Gabriele Balbi & Cecilia Winterhalter Prefazione di Victoria de Grazia Vecchio e nuovo, tradizione e innovazione, continuità e cambiamento, non sono forme alternative, ma aspetti complementari di uno stesso moto al centro della realtà contemporanea. Il volume si pone l’obiettivo di ripensare le modalità con cui questi binomi inscindibili interagiscono e si riconfigurano in 7 diversi campi di studio: le scienze della comunicazione, i diritti umani, la sociologia delle emozioni, la storia della scienza, le scienze culinarie, la sociologia della moda e la storia della religione. I risultati di questo esperimento sono per certi versi sorprendenti e delineano una sorta di “guida” valida per le discipline considerate, ma che stimola a riflettere su altri casi simili. ▶ Saggi di: Gabriele Balbi, Maria Stefania Cataleta, Massimo Cerulo, Alberto Fragio, Alessandra Guigoni, Marco Pedroni, Cecilia Winterhalter Gabriele Balbi è Assistant Professor in Media Studies presso l’Università della Svizzera italiana di Lugano. Ha insegnato e ricercato presso le Università di Torino, Harvard, Maastricht, Columbia, Westminster, Oxford e Newcastle. Le sue ricerche si focalizzano sulla storia dei mass media e delle telecomunicazioni e sulla storiografia della comunicazione. Cecilia Winterhalter è una storica contemporanea indipendente che si occupa di costruzione dell’identità attraverso la religione, la moda, il cibo, i prodotti innovativi e la memoria selettiva. Ha ricercato o insegnato all’Istituto Universitario Europeo, le Università di Basilea, Roma, Pisa, Oxford, il Fashion Institute of Technology e il London College of Fashion. pp. 156 – € 16,00 Nel senso comune, come in gran parte del discorso scientifico, il rituale è associato a un tipo di pratica dalla natura escludente e particolaristica. I riti, questa è la tesi più diffusa, operano come un meccanismo differenziante che separa rigidamente un’intera comunità o un gruppo, dediti alla loro celebrazione, dall’ambiente sociale che li circonda. Archetipo del già fatto, il rituale si oppone alla maturazione di soggettività chiamate alla continua reinvenzione dei propri progetti di vita, in un’epoca, quella della tarda o post modernità, inesorabilmente orientata al futuro e alla rimozione dei confini. Dopo aver ricostruito le argomentazioni di quegli autori che, in vario modo, hanno sostenuto un’interpretazione del rituale come una pratica dalla natura escludente, il volume cerca di mostrare la ragionevolezza di una tesi opposta: quella in base alla quale il rituale contiene in sé delle proprietà emergenti e generative tali da favorire il dialogo con l’Altro. Attraverso un’attenta analisi della letteratura, prevalentemente sociologica e antropologica, la tesi che il volume fa propria è quella che considera il rituale come una risorsa nella costruzione di legami sociali di tipo inclusivo e, quindi, come una forma di agire attraverso la quale diviene possibile mediare le differenze e negoziare i confini che le separano, senza che questi ultimi vengano e-lusi o e-liminati. Dario Verderame è dottore di ricerca in Sociologia e svolge la sua attività di studio presso l’Università di Salerno. Il suo interesse di ricerca prevalente riguarda l’analisi dei processi culturali legati alle trasformazioni dello stato-nazione e dell’Europa. pp. 242 – € 17,00 Johann Heinrich Lambert Disegno dell’architettonica o teoria del semplice e del primo nella conoscenza filosofica e nella conoscenza matematica a cura di Raffaele Ciafardone Germanica collana diretta da Roberto Garaventa Comitato scientifico Giuseppe Cacciatore Gerardo Cunico Michael Eckert Anton Hügli Jean-Claude Gens L’Architettonica rappresenta il tentativo più imponente e più organico, compiuto nell’età moderna da Cartesio a Wolff, di fondare un’ontologia scientifica. Il metodo impiegato da Lambert è una sintesi tra l’assiomatica euclidea e l’arte combinatoria leibniziana. Come Euclide muove dallo spazio scomponendolo nei suoi elementi semplici (punti, linee, angoli, ecc.), così Lambert prende il primo e il semplice di ogni parte della conoscenza umana per darne una trattazione combinatoria e, in definitiva, per attuare quel progetto di una “matematica universale” che prima Cartesio e dopo Leibniz, sia pure in modo diverso, avevano cercato di realizzare. La prima parte dell’Architettonica è dedicata ai concetti semplici, ai primi principî e ai postulati dell’ontologia. La seconda e la terza parte dell’opera trattano di una sfera “ideale” e una sfera “reale” dell’ontologia. La sfera ideale concerne la dottrina dei generi e delle specie, il principio di non contraddizione, il qualcosa e il nulla, i concetti di necessità, di verità logica e verità metafisica, di ordine e perfezione. La sfera reale riguarda il solido e le forze, che sono la base dei rapporti ideali e fanno sì che essi non siano un mero sogno. La quarta e ultima parte concerne la quantità. In essa non si tratta di una filosofia della matematica che si lasci confrontare con le indagini ontologiche ma ha per oggetto i concetti semplici che sono alla base di queste. Johann Heinrich Lambert (1728–1777), è stato un matematico, fisico, astronomo e filosofo tedesco contemporaneo di Eulero. Fu un pioniere della geometria non euclidea. Nel campo della fisica ha lasciato importanti contributi in fotometria ed è attribuita la prima dimostrazione dell’irrazionalità di pi greco. pp. 672 – € 30,00 Friedrich Wilhelm Joseph Schelling Lezioni di Stoccarda Karl Jaspers La fede filosofica a confronto con la rivelazione cristiana a cura di Carlo Tatasciore a cura di Roberto Garaventa Dopo le Ricerche filosofiche sull’essenza della libertà umana del 1809, l’ultimo lavoro importante pubblicato da Schelling, le Lezioni di Stoccarda furono tenute privatamente nel 1810 da un filosofo che, ancora profondamente avvolto dalla malinconia e dal lutto per la perdita della moglie Carolina, tornava di nuovo a riflettere sul proprio sistema filosofico, sul significato dell’identità assoluta come suo principio, cercando di descrivere razionalmente e analogicamente l’essenza originaria del Dio vivente, la sua contrazione nel reale, il rapporto della natura con Dio e con il mondo spirituale. Sullo sfondo rimaneva il vero senso da dare al panteismo, ma lo scavo compiuto da Schelling nelle forze motrici in cui libertà e necessità si identificano, prima ancora della coscienza e di ogni separazione, ne hanno permesso interessanti letture attuali. L’umanità è non meno al centro di queste lezioni sia riguardo alla costituzione interna dello spirito sia rispetto all’affannosa ricerca anche esterna, politica e storica, dell’unità. Vengono così anticipati temi che torneranno non solo nell’altrettanto inedito “cantiere” delle Età del mondo, scritto iniziato nello stesso anno, ma anche in tutta la successiva filosofia “positiva” schellinghiana. Questo saggio (1960) di Karl Jaspers ha come tema il confronto tra la fede filosofica e la fede nella rivelazione cristiana. Il singolo individuo, nella misura in cui è già sempre in rapporto con quella Realtà onniabbracciante e trascendente che lo sollecita ad andare al di là del suo mero «esserci» e a «esistere» in modo autentico, ha la possibilità di diventare se-stesso, cioè di dare alla propria vita un’impronta precisa e determinata. Chi trova, però, una verità in grado di sostanziare e indirizzare la sua esistenza, si può ben dire che abbia una «fede». C’è tuttavia una differenza radicale tra la fede filosofica e la fede nella rivelazione cristiana. Mentre quest’ultima ritiene che la Trascendenza si sia manifestata concretamente ed esaustivamente nella figura storica di Gesù Cristo, la prima ritiene che anche la rivelazione di Dio in Gesù di Nazareth sia solo una «cifra», una traccia, storicamente determinata e quindi inadeguata, della Trascendenza, che resta in ultima analisi nascosta. Di qui l’ineludibilità di una comunicazione tra «esistenze» alla ricerca dell’unica verità sempre più grande, ma anche la necessità di una critica filosofica della «pretesa di assolutezza», avanzata dalla fede rivelata, che è stata così spesso nella storia fonte di fanatismi, conflitti, violenze. Il rispetto per la fede altrui non significa, infatti, rinunciare a un confronto fondato sulla ragione. Friedrich Wilhelm Joseph Schelling (1775-1854) fu uno dei protagonisti della filosofia classica tedesca. Iniziò ancor giovane a insegnare a Jena, vivente ancora Kant, grazie ai buoni auspici di Fichte e Goethe, e concluse a Berlino occupando la cattedra che era stata di Hegel. Dopo la natura, fu il tema della libertà a fargli avviare una riflessione autocritica sul sistema idealistico. pp. 104 – € 10,00 Karl Jaspers (1883-1969), assistente volontario dal 1920 al 1915 alla clinica psichiatrica di Heidelberg, nel 1913 pubblica la Psicopatologia generale. Dal 1916 è professore di psicologia a Heidelberg e nel 1919 pubblica la Psicologia delle visioni del mondo, uno dei primi documenti della filosofia dell’esistenza. Dal 1921 passa alla cattedra di filosofia e, dopo un decennio di insegnamento, pubblica Filosofia (1932), la sua opera più importante. pp. 146 – € 15,00 Slavoj Žižek Sul teatro musicale Busoni, Wagner, Mozart, Čajkovskij, Janáček a cura di Diego Giordano Ricercare collana di estetica, immagine e musica In questo libro Žižek compie un fantastico viaggio tra alcune delle più importanti opere per il teatro musicale scritte da grandi compositori. Il percorso di analisi – come in una seduta dallo psicoanalista – non è mai banale e piccoli dettagli che sembrano inizialmente irrilevanti assumono connotati decisivi: e allora Busoni avrebbe scritto il finale dell’incompiuto Doktor Faust nella tonalità dell’apertura e della speranza di Do maggiore, oppure in quella oscura e deprimente di Mi bemolle minore? E Evgenij Onegin dell’opera omonima di Čajkovskij è un omosessuale che ama l’amico Lenskij, come verrebbe messo in luce da un’originale lettura del testo dell’opera? E, in senso completamente opposto alla convinzione di Nietzsche, in Parsifal sono presenti i temi dell’ideologia pagana ardentemente celebrata da Wagner, mentre è la Tetralogia dell’Anello l’opera più cristiana del compositore tedesco? Queste e molte altre sono le “rivelazioni” compiute da Žižek con la sua consueta efficacia discorsiva e capacità di incuriosire il lettore. Slavoj Žižek, filosofo e critico culturale sloveno, è tra i più influenti pensatori viventi. È professore presso l’European Graduate School, Direttore del Birkbeck Institute for the Humanities, Università di Londra, e ricercatore all’Istituto di sociologia dell’Università di Lubiana, Slovenia. Tra le sue numerose opere apparse di recente in traduzione italiana: Meno di niente. Hegel e l’ombra del materialismo dialettico (Milano 2013), La visione di parallasse (Genova 2013), Cosa vuole l’Europa? (Verona 2014). pp. 190 – € 16,00 Giuseppe Rensi Frammenti d’una filosofia dell’errore e del dolore, del male e della morte a cura di Marco Fortunato Italiana collana diretta da Elio Matassi Frammenti d’una filosofia dell’errore e del dolore, del male e della morte è l’ultimo dei sei libri in cui Rensi rompe con i consueti moduli sistematico-trattatistici dell’esposizione filosofica e adotta lo stile del pensiero breve. Questo “formato” è caratterizzato da una duttilità che esalta le grandi doti di scrittore e anche di affabulatore di Rensi. Lo vediamo così svariare da illuminanti interpretazioni di alcuni fra i “luoghi” più classici della filosofia occidentale, a penetranti “bozzetti” paranarrativi o storici che toccano le aporie della condizione umana con una sensibilità degna di Pascal o di Leopardi. Ma non è per fare una più bella figura che Rensi opta per il pensiero breve. Piuttosto, uno spazio testuale come quello di Frammenti, continuamente interrotto e quasi cosparso di frantumi, gli deve essere parso il più idoneo a rispecchiare il disgraziato assetto ontologico e assiologico del mondo, che Rensi vede-giudica posto sotto il segno dell’assurdo, del caso e della violenza. Come traspare già dal titolo, Frammenti è appunto una variazione sul tema di questa dolorosa certezza. Ma si tratta di una “rapsodia del negativo” che non ingenera nel lettore accasciamento, bensì quasi paradossalmente produce su di lui un effetto tonificante per via dell’intensità e della fortissima carica etica d’indignazione con cui Rensi conduce la sua requisitoria contro il male. Giuseppe Rensi (1871-1941), è uno dei più originali e vigorosi pensatori, non solo italiani, della prima metà del Novecento. Teoreta acuto e provocatorio e scrittore smagliante, dopo un breve periodo in chiave idealistica si attestò, anche in virtù di un’eccezionale sensibilità per il dolore di tutti i viventi e per i fattori di irrazionalità del reale, su posizioni scettico-pessimistiche. Pur fedele al materialismo negli ultimi anni sviluppò una meditazione mistico-religiosa. pp. 162 – € 15,00 Piergiorgio Bianchi Il campo di esperienza Positività del sensibile e ricerca estetica in Galvano della Volpe Il campo di esperienza che Galvano della Volpe ha aperto nella filosofia italiana del Novecento non si chiude con la fine di una stagione culturale. Della Volpe si mostra fedele al progetto di una gnoseologia critica che delinea, almeno nei suoi tratti essenziali, fin dalle opere degli anni Trenta e Quaranta. Pur formatosi nell’ambito dell’attualismo, diviene ben presto sostenitore della positività del sensibile, che presenta come il versante rimosso di ogni filosofia idealistica. La ricerca intorno ai fondamenti della conoscenza si traduce, dopo l’adesione al marxismo, in una proposta estetica di ampio respiro al cui centro vi è la singolarità dell’oggetto artistico. Da filosofia del sensibile diviene gnoseologia delle arti. Della Volpe punta ad una fondazione razionale dell’estetica la quale integri le indicazioni sociologiche del marxismo con le acquisizioni della linguistica e della critica letteraria. L’estetica di della Volpe dichiara il proprio impianto aristotelico, precisandosi come teoria dei discorsi ed inducendo a riflettere sulla differenza tra pensiero filosofico (e scientifico) e linguaggio poetico. Piergiorgio Bianchi è laureato in Filosofia e in Storia presso l’Università di Genova. Si occupa di temi di filosofia, politica e psicoanalisi. Ha pubblicato Marx e Lacan. La questione del soggetto inconscio (Genova 1999) e Il lavoro del filosofo. Ragione e politica in Galvano della Volpe (Savona 2008). Scrive per «L’art du comprendre». Dal 1995 fa parte della Scuola Lacaniana di Psicoanalisi. pp. 160 – € 15,00 Franco Lolli Günther Anders Sillabario collana diretta da Federico Leoni Ogni libro della collana presenta un grande autore, un classico. Della filosofia, della letteratura, della storia dell’arte. Ma lo presenta in modo tutt’altro che classico. Ne parla per tentare un esperimento con la ` come diceva Nietzsche. Un verita, filosofo parla di uno scrittore, un narratore di uno storico dell’arte, uno psicoanalista di uno scultore. Ciascuno racconta una sua passione segreta. Una sua ossessione. Non e` tempo di storicizzare, di collocare autori e testi nel cielo bianco ` tempo di dichiarare ` E dell’eternita. amore e guerra. Non per un autore o un’opera, ma per il suo presente. E cioe` per il nostro. Il pensiero di uno dei più originali filosofi del Novecento presentato da uno psicoanalista che, favorito dalla posizione di ‘infiltrato’ in un campo contiguo al proprio, privilegia una lettura appassionata e non convenzionale, capace di evidenziare la vitalità e l’attualità di un’elaborazione teorica troppo spesso trascurata dall’Accademia. Franco Lolli, psicoanalista di ALIPSI, è direttore dell’istituto di psicoterapia IRPA di Grottammare e consulente presso diverse strutture pubbliche e private. È autore di numerose pubblicazioni, tra le più recenti: È più forte di me (Alberobello 2012), L’epoca dell’inconshow (Milano-Udine 2012). pp. 94 – € 10,00 Kierkegaard y la Comunicación multilingual book a cura di Diego Giordano & José García Martín Studi kierkegaardiani collana diretta da Roberto Garaventa Kierkegaard, el hombre de las mil caras, pareció querer vivir muchas vidas en una, al menos literariamente. En efecto, es tan sutil en sus análisis psicológico-existenciales, en la manera de desarrollar los diferentes puntos de vista existenciales que presentan sus personajes pseudónimos, que se diría que los ha vivido personalmente; o bien, que fue un gran conocedor de la naturaleza humana, o que poseía una portentosa imaginación. Sea como sea, lo cierto es que asombra y desconcierta ese uso que hace un tanto teatral y lúdico de las máscaras. ▶ Ensayos de: María José Binetti, Patricia Carina Dip, Diego Giordano, Nassim Bravo Jordán, Søren Landkildehus, José García Martín, Alejandro Cavallazzi Sánchez, Azucena Palavicini Sánchez Diego Giordano es investigador en el Søren Kierkegaard Forskningscenter de Copenhague, y secretario de la Società Italiana per gli Studi Kierkegaardiani. Sus trabajos se concentran principalmente al pensamiento filosófico-religioso del final del s. XVIII y la primera mitad del siglo XIX. Sobre Kierkegaard ha publicado numerosos ensayos, entre otros los recogidos en las monografías colectivas NotaBene, Quæstiones disputatæ, Revista Portuguesa de Filosofia. Colabora, asimismo, en la serie Kierkegaard Research: Sources, Reception and Resources (London). José García Martín es investigador en la Universidad de Málaga especializado en el pensador danés Søren A. Kierkegaard. Promotor, cofundador y Presidente de la Sociedad Hispánica de Amigos de Kierkegaard, ha impulsado significativamente la colaboración internacional en los estudios kierkegaardianos. En la actualidad forma parte del Comité Consultivo de la International Kierkegaard Society del Centro de Investigaciones Søren Kierkegaard de la Universidad de Copenhague. pp. 118 – € 12,00 Il discepolo di seconda mano Alessandra Granito Eugen Drewermann interprete di Kierkegaard Saggi su Søren Kierkegaard a cura di Roberto Garaventa e Diego Giordano Con l’espressione discepolo di seconda mano Kierkegaard si riferiva a coloro che, per contingenza storica, si rapportano alla figura del Maestro in maniera indiretta, non essendo stati suoi “contemporanei”. Nelle pagine di questo libro i panni del Maestro sono vestiti da Søren Kierkegaard, e quelli di discepoli secondari da una nuova generazione di giovani studiosi del filosofo danese. Tuttavia la silloge raggruppa anche una serie di saggi di studiosi appartenenti a generazioni precedenti. Tale separazione non deve suscitare però alcuna perplessità perché, come Kierkegaard ravvisa, non esiste né un discepolo di seconda mano né un discepolo contemporaneo, e ogni generazione che precede fa da battistrada e “occasione” alla generazione successiva la quale, senza lasciarsi sopraffare dallo spavento del peso da portare, deve al contrario «correre col vento in poppa». ▶ Saggi di: Antonella Fimiani, Alessandra Granito, Laura Liva, Gordon Marino, Umberto Regina, Federica Scorolli, Jon Stewart, Anna Valentinetti Roberto Garaventa, insegna “Storia della filosofia contemporanea” presso l’Università “G. d’Annunzio” di Chieti-Pescara e presso l’Università Telematica “Leonardo da Vinci” di Torrevecchia Teatina. Diego Giordano, filosofo, musicista ed editore, si è formato presso le Università di Salerno e di Roma, la Scuola di Alti Studi della Fondazione San Carlo di Modena e l’EPHE di Parigi, ed è stato ricercatore all’Università di Copenhagen. I suoi lavori sono dedicati principalmente al pensiero filosofico tra la fine del XVIII e la prima metà del XIX secolo. pp. 216 – € 13,00 Le quattro forme kierkegaardiane della disperazione rilette alla luce della psicoanalisi Sulle macerie della destituzione del moderno disimpegno metafisico-sostanzialistico, la cultura contemporanea post-moderna ha costruito insidiose derive della soggettività, ne ha profilato il rovesciamento al di fuori di se stessa e ha plasmato un sé non più monolitico e ipertrofico, ma borderline, vulnerabile ed eccentrico, scisso in quello scarto tragico tra fattualità e pretesa che ne La malattia per la morte Søren Kierkegaard definisce «disperazione», intesa come epifenomeno di un’esistenza segnata dalla contestazione pessimistico-scettica del sé. Il presente lavoro inquadra e attualizza tale riflessione nella cornice ermeneuticopsicoanalitica di Eugen Drewermann, il quale presenta la fenomenologia kierkegaardiana del sé disperato come una fenomenologia del profondo, e la «disperazione» come la conseguenza dell’elaborazione distorta dell’angoscia esistenziale e di un rapporto sbagliato con se stessi che sfocia nel rifiuto di sé, nella stagnazione spirituale, in stati di disagio e di squilibrio psico-esistenziali (nevrosi). Alessandra Granito, è dottore di ricerca in Filosofia presso l‘Università «G. d’Annunzio» di Chieti-Pescara. Borsista D.A.A.D., ha svolto attività di ricerca presso la «Eberhard Karls Universität» di Tübingen (Germania) ed è attualmente impegnata come Research Fellow presso il Søren Kierkegaard Forskingscenter di Copenaghen. Gli interessi di ricerca sono principalmente la tematica esistenziale (la Existenzphilosophie tedesca), la meontologia, i rapporti tra filosofia, letteratura e critica della modernità. pp. 268 – € 17,00 Studi jaspersiani Volume I Studi jaspersiani Rivista annuale della “Società Italiana Karl Jaspers” collana diretta da Giuseppe Cantillo & Francesco Miano Comitato scientifico Stefania Achella Pio Colonnello Kazuteru Fukui Anton Hügli Lars Lambrecht Roberta Lanfredini Reinhard Schulz Giovanni Stanghellini Steffen Wagner Gregory J. Walters Helmut Wautischer Coordinamento scientifico-editoriale Stefania Achella Direttore editoriale Diego Giordano a cura di Stefania Achella & Steffen Wagner Questo primo numero della rivista Studi jaspersiani, pubblicazione annuale della Società italiana Karl Jaspers, fondata nel 2012, rappresenta l’inizio di un progetto che si lega alla ripresa e alla diffusione del pensiero di Karl Jaspers in Italia. Ma lo sguardo di questo progetto è proiettato anche sul piano internazionale, grazie al supporto di eminenti studiosi italiani, tedeschi, svizzeri e austriaci, che fin da questo primo numero hanno acconsentito alla pubblicazione dei loro saggi. Il progetto della rivista, che si avvale del contributo qualificato di un comitato scientifico composto da alcuni dei più autorevoli jaspersiani, si intende come spazio di confronto tra studiosi di diverse origini, discipline e sensibilità, ma tutti mossi dalla volontà di approfondire, discutere e far conoscere il pensiero di Jaspers in tutte i suoi ambiti, la sua figura di psicopatologo, filosofo e intellettuale, la cui vita e opera ha attraversato gli anni più difficili nella storia dell’Europa, dalle due guerre e dalla immane catastrofe politica, morale e umana della violenza nazista alla pacificazione dell’Europa del secondo dopo guerra. Sullo sfondo di questa esperienza l’attenzione degli Studi jaspersiani è volta oltre che al recupero del pensiero di Jaspers, anche alla sua attualità e ai possibili sviluppi. ▶ Saggi di: Stefania Achella, Elena Alessiato, Giandomenico Bonanni, Giuseppe Cantillo, Roberto Celada Ballanti, Andreas Cesana, Antonio Di Gennaro, Claudio Fiorillo, Umberto Galimberti, Roberto Garaventa, Antonello Giugliano, Anton Hügli, Giuseppe Maccauro, Francesco Miano, Rossella Bonito Oliva, Thomas Rentsch, Kurt Salamun, Hans Saner, Paola Ricci Sindoni, Angela Giustino Vitolo, Steffen Wagner, Bernd Weidmann, Reiner Wiehl pp. 394 – € 22,00 L’università in questioni tratto da: Pierre Macherey, La parola universitaria pp. 21-26 È un dato di fatto che lo statuto della res universitaria è oggi in questioni [en questions], al plurale per mettere in evidenza che, oltre ad essere di fatto minacciata la sua esistenza su tutti i fronti, è la sua stessa realtà che fa problema, nella misura in cui natura e funzioni sembrano rimesse in causa in quanto tali. A che cosa serve l’università? Che cosa vi si fa in concreto? Che tipo di discorso, peculiare per forma e contenuto, vi si tiene? Che tipo di relazioni si intrecciano tra coloro che, a titolo diverso, vi appartengono? A che condizioni può funzionare correttamente, cioè adempiere le missioni di cui è investita, che legittimano il fatto che si cerchi di perpetuarla o eventualmente adattarla a nuovi bisogni da definire? Queste domande si impongono oggi con un’indiscutibile urgenza, in un contesto di diffidenza e disperazione, sulla base del sospetto o della paura che l’idea stessa di università possa davvero aver fatto il suo tempo e dover lasciare il posto ad altro, senza che si possa intravedere che cosa questo «altro» possa essere e che prezzo bisognerebbe pagare per esso. Tuttavia le difficoltà segnalate da tali questioni non sono nuove: è da quando esiste, cioè da più di otto secoli, che si sono manifestate, con periodi di calma, cioè di assopimento, scanditi da momenti di grande inquietudine e agitazione che rivelano come la cosa universitaria non abbia cessato di essere oggetto di preoccupazione, senza poter rimanere tranquilla nel suo angolo, librata sulle sue franchigie, al riparo dallo sguardo della collettività con la quale deve pur intrattenere delle relazioni di scambio che, in certe circostanze, possono rivestire un andamento tumultuoso e mettere in pericolo i dispositivi ordinari da cui dipende il suo funzionamento normale, o considerato tale. Il fatto che l’università sia in crisi non deve dunque meravigliare, e anzi potrebbe costituirne la condizione normale, che si manifesti o meno attraverso degli effetti visibili: la questione che si pone sarebbe, dunque, di sapere che tipo particolare di crisi attraversi adesso. D’altra parte, trovarsi in una condizione critica è sicuramente molto fastidioso, ma può anche fornire l’occasione di sfuggire alla routine, al tran tran di cui la corporazione universitaria, senza voler infierire, tende spesso a farsi scudo, o uno schermo che serve a nascondere i veri problemi, quelli che non sono mai stati presi in considerazione, se non nella forma della loro negazione, con tutte le conseguenze imbarazzanti che ciò inevitabilmente comporta. L’università va male? Bisogna allora approfittarne per cercare di far emergere certe necessità dimenticate o messe a tacere, la cui rimozione ha reso più impellenti, anche se la loro azione si è svolta all’ombra, protetta da un’ignoranza che ne ha rafforzato la nocività. Come fare per riuscirci? La filosofia può essere utile? Bisogna aspettarsi che dica la verità sull’università, un’università in cui, del resto, essa rivendica, in virtù della propensione a dire il vero su ogni cosa, di occupare il posto che le spetta di diritto, riunendo in una sola formula l’appello a «difendere l’università» e quello a «difendere la filosofia»? La forma difensiva di questi appelli porta a sospettare che la causa alla quale rimandano sia persa in partenza, dando per scontato che ad essa spettano solo manovre di ripiego, e cosa ancora più grave di ripiego in sé, che tendono a fare dell’università un bunker o un ghetto dotando per contro la filosofia di indebiti privilegi. Tale ripiegamento in sé s’incarna proprio nello sforzo di perpetuare un’idea, verso la quale troverebbero una convergenza l’università e la filosofia, ricondotte alla loro essenza pura – bisogna precisarlo? Diciamolo brutalmente fin da subito: bisogna guardarsi dai filosofi che si mettono a riflettere o a perorare sull’università, cercando di ricondurla alla sua idea o alla sua essenza, con la cui promozione identificano la propria condotta di filosofi, che fa delle idee e delle essenze una delle risorse commerciali più redditizie, della quale sono i più titolati a sfruttare le innumerevoli possibilità. Giocando sulla parentela della parola «università» e della parola «universalità», con quest’ultima che designa proprio il tipo di realtà, definita dal suo carattere globale, che si sono accaparrate, non hanno difficoltà a trasformare la realtà storica della cosa che è l’università, con tutte le impurità di cui, in quanto cosa, essa è affetta, così come con i cambiamenti di cui è stata oggetto, in un’idealità immateriale e atemporale, alla quale l’immaterialità e l’atemporalità di cui la gratificano danno la garanzia di indistruttibile unità: in questa forma, essa si dispone e si destina ad essere preservata e perpetuata, cosa che basta a giustificare la tematica della «difesa», conferendole l’andamento di un ritorno all’idea o all’essenza alle quali, se ci si colloca dal punto di vista della verità, sarebbe impensabile essere infedele; e il filosofo si presenta come il miglior custode della fedeltà che è loro dovuta. Non bisogna, a questo proposito, raccontarsi storie: oltre al fatto che l’idea attraverso cui essa si rappresenta non è così chiara come preteso in virtù della garanzia dei filosofi, – essi del resto si sono divisi su questo punto foriero di molte occasioni di disputa –, l’uni- versità non è essa stessa un’idea, ma è, come si è detto in maniera volutamente vaga all’inizio, una cosa, mobile e peritura come lo sono tutte le cose, checché ne dica il filosofo che pretende attingere, al di là del piano in cui le semplici cose rimangono invischiate, un ordine indistruttibile da cui esse deriverebbero la propria intelligibilità profonda. In concreto, l’università non è stata, perlomeno all’origine, un’organizzazione intellettuale finalizzata ad una rappresentazione unificata del sapere. È quanto conferma il fatto che la parola universitas, che è servita a nominarla al momento della sua creazione, deriva dal vocabolario giuridico in cui designa un’associazione (societas, consortium), cioè un gruppo di persone che lavorano insieme, uniti da una comunità di interessi, come avvenuto, nel Medioevo, nella corporazione dei maestri, nucleo delle antiche università. Prima di definirsi su un piano ideale come l’incarnazione di un corpo di saperi la cui solidarietà è fondata su dei principi teorici che trascendono la realtà fattuale e le sue divisioni contingenti, l’università è dunque una collettività, una realtà sociale che si è formata ad un certo momento, in condizioni storiche determinate, e non per l’eternità. È per metafora che la rappresentazione dell’università si è associata al concetto astratto di universalità, che è venuto ad innestarsi sulla sua figura iniziale come un supplemento d’anima di cui al’inizio non aveva avuto bisogno per esistere. Come cosa sociale, l’università, che non è certamente qualcosa che si genera da sé sola, non può sottrarsi a dibattiti che ne rimettano in causa la coesione così come assicurata dalla conformità alla sua idea o alla sua essenza; ed è sicuramente un danno alla cosa che essa è il rifiuto di prendere in considerazione le contraddizioni e gli scarti di cui questi dibattiti sono i sintomi diretti o indiretti. Impegnandosi ad impostare un discorso sull’università «in quanto tale», il filosofo prende il rischio di ridurla ad un «come se», cioè ad un simulacro, ad un dover essere che trae il suo carattere affermativo, e anche imperativo, da una rivendicazione all’autosufficienza, all’assoluta presenza, pronta in ogni momento a cadere nel vuoto. Piuttosto che supportare la tesi della preminenza di un «potere spirituale» indipendente dalle diverse figure del potere temporale che dirige o ispira dall’alto e da lontano, e che tramuta l’Università, con la maiuscola, in una sorta di chiesa laica, come un tempio inviolabile, occorrerebbe domandarsi: l’università sì, ma a quali condizioni? – al plurale, perché tali condizioni non sono necessariamente omogenee tra loro né sempre le stesse. Il contrario o il reciproco del discorso filosofico edificante e confortevole sul preteso «in quanto tale» dell’università, che rinvia a ciò che dovrebbe essere sorvolando beatamente ciò che è davvero in tale o talaltro posto e a tale o talaltro momento, sarebbe il proposito disincantato e realista, di tono disfattista o, se è il caso, contestatario, sull’università come «istituzione». A forza di circolare, in maniera altisonante o aggressivo, il discorso sull’Istituzione, e qui s’impone ancora la maiuscola, si è banalizzato, in assenza di un’analisi abbastanza accurata delle sue attese. Il termine istituzione veicola insidiosamente la finzione o il mito di un’organizzazione chiusa, bloccata e sigillata, labirintica come un castello kafkiano, talmente attorcigliata su se stessa da opporre ad ogni tentativo di penetrazione o di modifica una resistenza ostinata: mettervi il dito vuol dire esporsi ad essere ripresi dal potere assorbente della sua struttura centralizzata a cui si può sfuggire solo affrontandola dall’esterno, con un attacco frontale, dunque rimettendone radicalmente in questione il carattere dominante. Di conseguenza non si può sfuggire all’alternativa: essere dentro o fuori, cioè sottomettersi, deporre le armi e rientrare nei ranghi o, al contrario, opporsi, combattere, con l’obiettivo di distruggere il nemico, dato che non è ammesso venire a patti con esso, inclusi i compromessi che vanno tutti a suo vantaggio, trasformandosi in compromissioni. Non potendo essere trasformata, l’inafferrabile istituzione sarebbe di conseguenza infrequentabile, in ragione del potere di trasformare in schiavi passivi quelli che si arrischiano ad avvicinarla e ad usarla, tributari più o meno consenzienti, nel senso della servitù volontaria, del «sistema» implacabile che essa rappresenta, niente di più, per riprendere il termine evocativo coniato da Lacan, che degli «astudiati» [astudés], assoggettati al regime di studi che essa impone loro. Questo discorso, se lo si considera da vicino, si rivela del tutto simmetrico a quello che tengono spontaneamente i filosofi sull’essenza dell’Università: entrambi rappresentano in blocco il loro oggetto, l’Università, come una totalità ripiegata su di sé, animata o ispirata da un bisogno di conformità la cui realizzazione sfocia nel dispiegamento di un conformismo, che sia interpretato come un beneficio, un vantaggio da preservare, o al contrario come una maledizione, che non basta esorcizzare ma che occorre concretamente attaccare, tenendosi risolutamente a distanza e fuori della sua portata. I due discorsi sono dunque alla fine equivalenti, al punto quasi che il secondo, il discorso sull’Istituzione, fa emergere una componente che la disposizione idealizzante e in fin dei conti anestetizzante del primo tende al contrario a cancellare, ad eludere, se non a eliminare completamente: esso costituisce espressamente l’università come un «luogo», luogo chiuso, protetto dai suoi limiti, all’interno dei quali delle persone, si sarebbe tentati di dire del personale, si abbandonano a comportamenti ritualizzati, come lo sono tutti i comportamenti sociali, che conforta- no simbolicamente il profilo dell’Istituzione, gestita come un microcosmo che dispone di sue regole e di un suo linguaggio. Questi limiti e gli atteggiamenti cui esse danno un campo di esercizio sono sfruttati nella prospettiva di una politica di contenimento, restia ad ogni velleità di apertura sul mondo esterno interpretato come una minaccia che rimetterebbe potenzialmente in causa la coesione da cui l’Istituzione trae la forza di perseverare nel suo essere. Questa tematica del territorio iscrive il concetto di università nello spazio di una topografia immaginaria e reale insieme: topografia immaginaria nella misura in cui ai fantasmi identitari che definiscono l’incorporazione nell’istituzione, fantasmi i cui presupposti restano fondamentalmente oscuri; ma anche topografia reale, quando delle speculazioni urbanistiche o securitarie la traducono nei termini di una localizzazione quanto più materiale e concreta possibile, assegnando all’università un ambito riservato in un piano urbanistico, in centro, in periferia o circondandola di cancelli posti sotto la sorveglianza di «vigilanti» chiamati a proteggerne lo spazio vitale contro ogni rischio di invasione o di vandalismo. Vista da questa prospettiva, l’università sarebbe il mondo nel quale sono relegati dei «guardiani» il cui modello è stato fin dall’inizio fornito dalla Repubblica di Platone, che hanno il privilegio di farsi impartire un insegnamento ritenuto «superiore»: in fin dei conti, sarebbero innanzitutto dei guardiani di se stessi, condannati a restare confinati in riserve in cui hanno la garanzia di perpetuare lo statuto di élite che, più di tutto, teme l’irruzione dei barbari. Questa attribuzione all’università di uno spazio proprio, al quale essa è in ogni senso della parola attaccata, solleva numerosi problemi: dove passano esattamente le frontiere che delimitano questo spazio? Fino a che punto queste frontiere sono sigillate e interrompono la comunicazione con l’esterno? E soprattutto, il dispositivo proprio dell’università si dispiega in un solo spazio, il cui carattere esclusivo garantirebbe l’omogeneità? L’università non provoca in realtà un intreccio di più spazi, che obbediscono a delle logiche differenti, con la conseguenza di non coincidere esattamente? Ciò porta a chiedersi dove occorre collocarsi, quale punto di vista occorre adottare relativamente allo spazio attribuito all’università e nel quale essa è relegata, per trovare delle risposte agli interrogativi che sono stati sollevati all’inizio. Prima ponevamo la domanda: «Che cosa si fa all’università?» Ma, ancor prima di cercare di rispondere, occorrerebbe esaminare che cosa significhi l’espressione «all’università», formula che suggerisce l’esistenza di un posto particolare in cui si farebbero delle cose alquanto particolari, cioè eccezionali, la cui realizzazione richiede che si «venga all’» università, che ci si iscriva o che vi si sia assunto, condizione indispensabile per condividerne gli interessi comuni e, concretamente, partecipare alla comunità che la definisce. È qui in effetti il senso preciso, ripreso dal latino «universitas», cioè «comunità» della parola che è servita inizialmente e continua ancora adesso a designarla. Ma di che tipo di comunità si tratta? Di una comunità essenziale, determinata da criteri intellettuali o spirituali, o di una comunità istituzionale, fondata su delle costrizioni di tipo contrattuale, giuridicamente sanzionate e rese come tali inattaccabili? E in che posizione occorre mantenersi di fronte a questa comunità, quale che ne sia la natura, per arrivare a comprenderne le regole e i meccanismi e eventualmente meglio dominarli? In base a quanto detto sopra, sembra che occorra in un modo o nell’altro appartenervi, condizione preliminare per accostarsi alle norme di funzionamento, evitando che l’appartenenza degeneri in un rapporto di soggezione e di sottomissione che porti ad adottare tali norme senza discussione, come se fossero ovvie, immodificabili e immodificate, di diritto e di fatto. Per parlare in maniera adeguata dell’università, non si dovrebbe dunque, per riprendere l’alternativa evocata precedentemente, né trovarsi del tutto dentro né del tutto fuori, cioè guardarla a partire da quel posto da cui essa risulta corrispondere a certe caratteristiche, dunque a degli obblighi che non ci si può permettere di ignorare, ma anche sempre pronta a rimettere in gioco i suoi presupposti, che non hanno un carattere definitivo, ma sono sempre suscettibili di essere rinnovati, dunque chiamati ad essere modificati in parte se la necessità si impone, ciò che dipende in maniera in districabile da condizioni teoriche, intellettuali, e pratiche, materiali. Di conseguenza, una politica universitaria, se dovesse essere definita in accordo con gli universitari stessi, intendendo con questo termine tutti quelli che senza eccezione frequentano e fanno andare avanti l’università, non dovrebbe esserlo soltanto da loro, come se fossero i soli ad essere interessati da problemi che riguardano in fin dei conti la società intera, e non questa o quella delle sue componenti. Possiamo avere un primo indizio dei problemi che la res universitaria ha dovuto superare per esistere se facciamo attenzione al cambiamento che il concetto comunitario che serve a nominarla ha subito nel corso della sua storia passata. Senza entrare nei dettagli di questa storia, che è molto complessa, diciamo che si possono sommariamente distinguere in essa due grandi fasi: quella di un’università premoderna, il cui modello si è diffuso in Europa dalla fine del XII secolo al XVIII secolo; e quella dell’università moderna, la cui organizzazione, prima di diffondersi in tutto il mondo, ha iniziato a delinearsi all’inizio del XIX secolo, nel momento in cui ha preso forma la mitologia dell’«Alma Mater», cosa che coincide grosso modo con la creazione, su ispirazione di filosofi post-kantiani mobilitati per la riuscita di questa operazione, dell’università di Berlino, l’attuale Università Humboldt, dal nome di colui che più ha contribuito a fissarne i primi orientamenti, che si sono in seguito trasmessi alla maggior parte delle università europee e anche transcontinentali, e caratterizzano essenzialmente ancora la forma e lo spirito delle università come le conosciamo attualmente. Questa università «moderna» si è costituita nel momento in cui lo Stato ha preso in carico le attività accademiche, che si sono allora svolte in suo nome e sotto la sua responsabilità, facendo sì che ne assumesse direttamente il controllo: l’espressione «politica universitaria» ha così assunto tutto il suo senso [...] Orthotes Editrice www.orthotes.com Sede legale e prima redazione: Via Guido Cucci, 46 – 84014, Salerno Seconda redazione: Via Palermo 22/B – 80010, Napoli email: [email protected] phone: (+39) 3282629226 Grafica e impaginazione: www.lalangue.it – [email protected]
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