Catalogo 2012-2014 - Orthotes Editrice

Catalogo Orthotes ▶ 2012-2014
Orthotes è una casa editrice plurale e democratica.
Si occupa prevalentemente di saggistica filosofica, considerando il “filosofico” nella sua accezione più semplice e caratteristica, e cioè come
uso del sapere a vantaggio degli esseri umani, donne e uomini.
La casa editrice opera nella convinzione che ogni lavoro culturale ben
sviluppato e argomentato sia un lavoro filosofico, inerisca esso alle
scienze teoretiche (filosofia, critica, analisi), a quelle pratiche (etica,
politica, società), o poietiche (arti musicali, figurative, tecniche).
In funzione di questi principi operativi Orthotes definisce il proprio
orientamento, indipendente e non programmatico, cercando di volgere lo sguardo verso la “retta direzione” di un sapere che rischiara e
illumina perché di se stesso insegna l’uso.
Luisa Muraro
Tre lezioni sulla differenza sessuale
e altri scritti
a cura di Riccardo Fanciullacci
Dialectica
collana diretta da Diego Giordano
«L’Uomo non esiste», scrive Luisa Muraro,
«esistono uomini e donne». Questo, tra l’altro, significa che prescindere da tale differenza
non è così facile come spesso si crede quando
si accetta di guardare gli altri o se stessi solo
come individui o solo come cittadini o solo
come persone o solo come soggettività o solo
come lavoratori. In questi tentativi di saltare al
di là della tua differenza sessuale, rischi sempre
di perdere il contatto con la tua singolare esperienza e dunque di trovarti là, nella posizione
dell’individuo o del cittadino o della persona,
avendo lasciato qua ciò che ti rende quello o
quella che sei, il tuo desiderio, le tue aspirazioni, la storia dei tuoi scacchi, la memoria delle relazioni significative che
vivi o hai vissuto. Una delle idee di questo libro è che non si riesce ad essere fedeli a se stessi e anche alla realtà a cui, per vivere, si deve rispondere,
se non si offre un giusto posto simbolico al proprio essere donna o uomo
in un mondo di donne e uomini. La crisi dell’interpretazione tradizionale
del significato e del ruolo della differenza sessuale non porta da sola con
sé la libertà agli uomini e alle donne: occorre la tessitura di un nuovo
ordine simbolico. Molte donne hanno pensato e lavorato in questo senso
e Muraro mostra la forza e la ricchezza dei loro guadagni: la mostra anche
agli uomini disponendosi in attesa di quella ricerca da parte loro che oggi,
da alcuni, è stata cominciata.
Luisa Muraro, tra le più importanti filosofe italiane, ha studiato all’Università
Cattolica di Milano con Gustavo Bontadini. Nel 1975 ha fondato la Libreria
delle Donne di Milano che, tra l’altro, cura la pubblicazione della rivista Via
Dogana. All’Università di Verona, dove insegnava, Muraro è stata tra le fondatrici
della comunità filosofica femminile di Diotima.
pp. 156 – € 13,00
Lev Tolstoj
La schiavitù del nostro tempo
Bernard Stiegler [Ars Industrialis]
Reincantare il mondo
Lo scritto di Tolstoj, La schiavitù del nostro
tempo (1900), apparso per la prima volta in
Italia all’inizio del Novecento e da allora mai
più pubblicato, viene qui presentato in una
nuova traduzione. A questo testo sono stati
accostati altri scritti brevi che consentono di
ricostruire lo sviluppo della riflessione dello
scrittore russo sui temi del lavoro e dell’economia e di coglierne le fonti ispiratrici. Dalla lettera (inedita in italiano) a Romain Rolland del
1887 su lavoro manuale e lavoro intellettuale,
all’introduzione all’opera di Bondarev, Il lavoro secondo la Bibbia, agli scritti a sostegno e
a divulgazione delle teorie di Henry George
degli ultimi anni della vita, la raccolta mette a fuoco la critica tolstoiana
alla divisione del lavoro e al pensiero marxista, il tema dell’immoralità
della proprietà privata della terra, del libero accesso alle risorse naturali,
temi che verranno in seguito sviluppati da Gandhi e che sono al centro
della riflessione ecologista contemporanea.
Reincantare il mondo incrocia coraggiosamente
teorie diverse, come il processo di individuazione di Simondon, la psicoanalisi freudiana,
certi aspetti della fenomenologia di Husserl,
la grammatologia di Derrida e le riflessioni
foucaultiane sugli hypomnémata, al fine di
promuovere il valore spirito e contrastare il
populismo industriale – ossia la dissociazione e
la captazione dell’attenzione divenute sistema.
Grazie a queste coordinate, Stiegler disegna
una filosofia e un pensiero che devono ritornare ad essere forti, in un certo senso più del
“pensiero forte”. Per l’autore di questo libro,
infatti, il reincanto del mondo è la costruzione
di un’alternativa all’esito più nefasto del disincanto del mondo descritto
da Max Weber. Se il disincanto del mondo è l’espressione del predominio
delle logiche di efficienza e produttività, e si poggia sulla convinzione
che tutti i fenomeni possano essere dominati dalla ragione, abbandonando perciò ogni riferimento a elementi magici, metafisici o religiosi, per
Stiegler tale disincanto si è rivelato sempre più nocivo a misura della costante e pressoché illimitata ipertrofia delle nuove tecnologie, veicolata da
un capitalismo ormai palesemente tossico. Di fronte a ciò, piuttosto che
opporsi al divenire tecnologico, si rende necessario «un nuovo progetto
industriale che bisogna inventare e che miri a intensificare la singolarità in
quanto incalcolabile, socializzando dei dati che non possano essere ridotti
a oggetti di un mero calcolo economico.
Scritti su lavoro e proprietà
a cura di Bruna Bianchi
Il valore spirito contro il populismo industriale
a cura di Paolo Vignola
Lev Tolstoj (1828-1920) non è stato solo il grande scrittore russo al culmine del
romanzo dell’Ottocento, ma anche un teorico radicale del pensiero politico. A
partire dagli anni Settanta, quando una profonda crisi spirituale lo condusse a
interrogarsi sul senso della vita, dedicò al militarismo, alla guerra, al diritto di
proprietà privata della terra e alla dottrina della Chiesa le pagine di condanna più
aspre mai scritte.
Bernard Stiegler, professore al Goldsmiths College di Londra e Direttore dell’Institut de Recherche et d’Innovation del Centre Georges Pompidou di Parigi, è uno
dei filosofi più attenti alle trasformazioni della società contemporanea, nonché
tra i più attivi all’interno del dibattito teorico e politico sulle tecnologie digitali.
pp. 154 – € 15,00
pp. 184 – € 16,00
Slavoj Žižek
Il resto indivisibile
Alenka Zupančič
Etica del Reale
L’elemento distintivo delle grandi opere del
pensiero materialista, dal De rerum natura
di Lucrezio, attraverso Il Capitale, e fino agli
scritti di Lacan, è il loro carattere incompleto.
I frammenti di Le età del mondo di Schelling
appartengono a questa stessa categoria, con il
loro reiterato tentativo di formulare un “inizio del mondo” come passaggio da un universo pre-simbolico del Reale, caratterizzato dal
movimento rotatorio delle pulsioni, all’universo del logos. F.W.J. Schelling, idealista tedesco troppo a lungo vissuto all’ombra di Kant
e Hegel, è stato il primo filosofo ad aver elaborato i motivi post-idealisti della finitudine,
della contingenza e della temporalità. Il suo originale lavoro preannuncia
sia la critica di Marx all’idealismo speculativo, sia la nozione propriamente freudiana di pulsione, cioè di impulso cieco alla ripetizione che mai
può essere superato nel medium ideale (e simbolico) del linguaggio. Il
resto indivisibile è una dettagliata analisi delle due opere in cui Schelling
ha raggiunto l’apice della sua audacia speculativa, le Ricerche filosofiche
sull’essenza della libertà umana e le bozze di Le età del mondo, esaminate
in un serrato confronto con il pensiero di Hegel e lette attraverso gli
strumenti di decifrazione concettuale messi a disposizione dalla teoria
psicoanalitica di Lacan.
L’idea al centro dell’etica kantiana è al tempo
stesso semplice e rivoluzionaria: essa propone
una legge morale indipendente da qualsiasi
nozione di Bene prestabilito e da qualsiasi “inclinazione umana” come l’amore, la simpatia
o la paura. Cercando di interpretare tale proposizione rivoluzionaria in una luce più “umana” e fare di Kant un nostro contemporaneo
– un pensatore che possa aiutarci nei nostri dilemmi etici –, diversi studiosi kantiani hanno
sorvolato sui suoi paradossi apparenti e sulle
sue impossibili rivendicazioni. Questo libro si
propone di fare esattamente la cosa opposta.
Kant, grazie a Dio, non è nostro contemporaneo; egli si oppone al nostro tempo. Lacan, da parte sua, appare come
l’antitesi di Kant – il “selvaggio” teorico della psicoanalisi di contro al
sobrio pensatore dell’Illuminismo. Tuttavia, il suo concetto di Reale offre
probabilmente lo sfondo più utile a questa nuova interpretazione dell’etica kantiana. Mettendo in relazione costante le sue letture dei due filosofi,
Alenka Zupančič elabora un’“etica del Reale” e definisce il fondamento
perturbante per una restaurazione radicale dell’etica.
Su Schelling e questioni correlate
a cura di Diego Giordano
Kant, Lacan
a cura di Luigi Francesco Clemente
Slavoj Žižek, filosofo e critico culturale sloveno, è tra i più influenti pensatori
viventi. È professore presso l’European Graduate School, Direttore del Birkbeck
Institute for the Humanities, Università di Londra, e ricercatore all’Istituto di
sociologia dell’Università di Lubiana, Slovenia.
pp. 292 – € 17,00
Se il libro di Zupančič non diventerà una classica opera di riferi“mento,
la sola conclusione da trarre sarà che il nostro mondo accade-
mico è intrappolato in un’oscura volontà di autodistruzione”
-Slavoj Žižek-
Alenka Zupančič è una filosofia slovena i cui lavori sono principalmente indirizzati allo studio della psicanalisi e della filosofia continentale. Attualmente è
ricercatrice presso l’Istituto di filosofia dell’Accademia slovena di Scienze e Arti ed
è professore ospite presso l’European Graduate School.
pp. 278 – € 17,00
Ernesto Laclau
Emancipazione/i
Henri Bergson
Introduzione alla metafisica
a cura di Laura Basile
a cura di Rocco Ronchi
Cosa rimane del concetto di emancipazione
così com’è stato formulato sin dall’Illuminismo in seguito ai cambiamenti negli assetti
mondiali avvenuti alla fine del XX secolo?
Ernesto Laclau risponde a questa domanda
con una penetrante analisi sul tramonto delle ideologie totalizzanti, e sulle opportunità
aperte dalla conseguente esperienza del decentramento. Eppure tramonto non significa
rottura con il passato, bensì apertura a una
sfida, quella di rimodulare le classiche categorie della teoria politica moderna, come quella, appunto, di “emancipazione”. L’originale
riflessione di Laclau sui “significanti vuoti” e
sull’articolazione tra le classiche coppie concettuali “contingenza/necessità”, “universalismo/particolarismo”, ci prospetta nuove possibilità nel
pensiero e nella prassi politica, come quella del progetto di una “democrazia radicale”. Venire a patti con la nostra finitudine è la parola d’ordine
della post-modernità, il segno dei nostri tempi è la fine del sogno di una
società totalmente riconciliata con se stessa: ma questo, lungi dal rappresentare una prospettiva paralizzante, crea per la prima volta la possibilità
di una concezione radicalmente politica della società.
Ernesto Laclau (1935-2014) è professore di Teoria politica presso l’Università
di Essex, e professore emerito di scienze umane e studi retorici all’Università
Northwestern.
pp. 150 – € 15,00
Pubblicata per la prima volta nel 1903 sulla
«Revue de métaphysique et de morale» e poi
ricompresa ne La Pensée et le mouvant del
1934, l’Introduzione alla metafisica presenta
in modo pressoché definitivo la metafisica di
Bergson. Essa è scandita in tre “movimenti”:
nel primo si enuncia la proposizione speculativa fondamentale concernente l’assoluto, nel
secondo si presenta il metodo della intuizione,
termine che compare qui per la prima volta
nella sua accezione specificamente bergsoniana, nel terzo, infine, vengono enunciati i principi su cui tale metodo si fonda.
“
Vi è almeno una realtà che cogliamo completamente dal di dentro, per intuizione e non con la semplice analisi. Essa
è la nostra stessa persona nel suo scorrere attraverso il tempo, il nostro
Io che dura. Non possiamo simpatizzare intellettualmente con nessun
altra cosa, ma simpatizziamo certamente con noi stessi”
-Henri BergsonHenri-Louis Bergson (1859-1941) è stato uno dei più importanti filosofi francesi
del Novecento. Le sue teorie hanno influenzato la psicologia, l’arte, la teologia e la
letteratura (per la quale nel 1927 fu insignito del premio Nobel). Le sue principali
opere sono: Saggio sui dati immediati della coscienza (1889), Materia e memoria
(1896), L’evoluzione creatrice (1907), Le due fonti della morale e della religione
(1932), Pensiero e movimento (1934).
pp. 78 – € 10,00
Pierre Macherey
La parola universitaria
Roberto Garaventa
Per una riforma radicale della chiesa
Con Hans Küng oltre Joseph Ratzinger
a cura di Antonio Stefano Caridi
La parola universitaria è un libro che trae origine dalla crisi che attraversa l’istituzione universitaria, dominata da una retorica dell’eccellenza e da una logica aziendalistica che ne
hanno snaturato le finalità universalistiche.
Ma piuttosto che «difendere» un’idea astratta
di università, Macherey preferisce soffermare
la sua analisi sui «discorsi» che si sono tenuti
su di essa, per misurare lo scarto che si è scavato tra una certa idea di università e la sua
realtà in quanto cosa, immersa nei conflitti
che attraversano tutte le istituzioni dedicate
alla riproduzione sociale. A parlare di essenza
dell’università, con la convinzione di poterne
delineare il senso e le finalità, sono sempre stati i filosofi, come Kant, Hegel e Heidegger su cui si sofferma la prima parte del libro. Diversa, invece,
la prospettiva di quei discorsi che hanno fatto propri gli strumenti della
psicoanalisi (Lacan) e della sociologia (Bourdieu/Passeron), più attrezzati
a cogliere la valenza delle pratiche universitarie in termini di potere e di
differenziazione sociale. Infine, attraverso l’analisi di alcune opere letterarie che ne hanno fatto un tema di narrazione (Rabelais, Hardy, Hesse,
Nabokov), è possibile dare ai discorsi sull’università un banco di prova
ampio e ricco di elementi, come lo sguardo che solo la grande letteratura
riesce ad avere sul mondo.
Pierre Macherey, allievo di Louis Althusser, col quale collabora a Lire le Capital
(1966), ha concentrato il suo impegno di storico della filosofia in un’originale rilettura di Spinoza (Hegel ou Spinoza, 1979), in cui confluivano molte suggestioni
teoriche dello strutturalismo e del marxismo althusseriano. In seguito si è interessato allo statuto della filosofia nella Francia ottocentesca, a riletture di Marx,
Canguilhem e Foucault, e alle valenze filosofiche della quotidianità e dell’utopia.
pp. 262 – € 17,00
Dopo le improvvise, ma non del tutto inattese
dimissioni di Benedetto XVI e le sue critiche
ai personalismi e ai conflitti esistenti all’interno della curia romana, la chiesa cattolica
sembra più che mai bisognosa di una riforma
radicale. Le questioni che il nuovo papa dovrà
affrontare, cercando di far dimenticare i limiti, le oscillazioni e gli errori che hanno caratterizzato i quasi otto anni di pontificato del suo
predecessore, sono enormi: dallo scandalo dei
preti pedofili, alla disaffezione dell’opinione
pubblica nei confronti dell’istituzione ecclesiastica, dalla crisi delle vocazioni sacerdotali,
alla fuoriuscita sempre più massiccia dei fedeli
dalla chiesa cattolica, dagli scandali finanziari connessi con la pessima
gestione dell’Istituto per le Opere Religiose (IOR), alla fuga di documenti riservati riguardanti la politica della Santa Sede (Vatileaks). Per queste ragioni appare opportuno soffermarci sulle proposte ripetutamente
avanzate dal noto teologo dissidente svizzero Hans Küng per far uscire
la chiesa cattolica dalla grave crisi che sta attraversando, nonché sulla sua
lucida messa in discussione della presunta «immutabilità» della tradizione
cattolica. Una riforma della chiesa che guardi al messaggio cristiano originario, ma anche ai compiti da affrontare al presente, non può, però, non
implicare altresì una valutazione critica della teologia tradizionale. Di qui
l’importanza di ricostruire il dibattito innescato da Küng nei confronti
sia del suo antico maestro Karl Barth che del suo ex- collega tubinghese
Joseph Ratzinger..
Roberto Garaventa, insegna “Storia della filosofia contemporanea” presso l’Università “G. d’Annunzio” di Chieti-Pescara e presso l’Università Telematica “Leonardo da Vinci” di Torrevecchia Teatina.
pp. 112 – € 10,00
Henri Bergson
La filosofia francese
Luisa Muraro
Le amiche di Dio
a cura di Luigi Francesco Clemente
Postfazione di Federico Leoni
Henri Bergson e la filosofia francese: l’autore de L’evoluzione creatrice si confronta con la
tradizione filosofica del proprio Paese e vi scopre quelli che sono i tratti principali del suo
pensiero – stretto legame tra scienza e filosofia, attenzione per il metodo dell’interiorità,
sospetto verso sistemi di pensiero rigidi e onnicomprensivi, esigenza di un linguaggio tecnico ma ancorato al vocabolario comune. Ma
in questa raccolta di interventi, scritti e pronunciati tra le due guerre mondiali, e inediti
in italiano, Bergson non si limita a una veduta
d’insieme sulla filosofia francese. Piuttosto,
rivendica l’appartenenza alla propria epoca,
prendendo parte al conflitto tra autoritarismi e democrazia che l’ha vista
dilaniarsi, nel segno della sua massima “cartesiana”: «Bisogna agire come
uomo di pensiero e pensare come uomo d’azione».
Grazie alle due o tre tendenze che abbiamo indicato, è possibile
“chiarire
quanto vi è di costantemente geniale e di costantemente creatore nella filosofia francese. Essa s’è continuamente mantenuta in
contatto con la scienza così come con la vita. Questo contatto permanente con la vita, con la scienza, con il senso comune, l’ha fecondata
senza posa, e al contempo le ha impedito di chiudersi in se stessa, di
ricomporre artificialmente le cose con delle astrazioni”
-Henri Bergson-
Henri-Louis Bergson (1859-1941) è stato uno dei più importanti filosofi francesi
del Novecento. Le sue teorie hanno influenzato la psicologia, l’arte, la teologia e
la letteratura (per la quale nel 1927 fu insignito del premio Nobel).
pp. 100 – € 10,00
Margherita e le altre
a cura di Clara Jourdan
Questo libro nasce dall’impegno di conoscere
e di far conoscere; il suo intento è di offrire
qualcosa dei tesori della mistica europea, specialmente femminile, alla cultura di oggi, nel
linguaggio della ricerca man mano che è stata
comunicata a un pubblico appassionato della
materia. I testi della mistica si possono leggere
e studiare da più punti di vista, religioso, letterario, sociologico, psicoanalitico, filosofico…
Ma non c’è comprensione adeguata della mistica femminile se non vediamo come quelle
donne che chiamo le amiche di Dio, siano riuscite a fare della relazione con il loro amico la
loro risorsa di libertà per un’avventura celeste
e terrena insieme, umana e divina. Dio smise di parlare la lingua dei dotti
per esprimersi con quella delle canzoni d’amore, della vita quotidiana,
del lavoro: meglio sarebbe parlare, nel loro caso, di una teologia in lingua
materna. La mistica mantiene la peculiarità di scienza divina ma il suo
percorso prende impulso dalle vicissitudini di un’avventura amorosa in
relazione con un altro da sé. È in questi termini che dobbiamo leggere
gli scritti delle mistiche, come una filosofia pratica dell’amore libero e
intelligente? E così interpretare anche la svolta del sec. XII-XIII, all’alba
dell’Europa moderna? Rintracciando, nello spirito di libertà che percorre
la storia europea, nel suo stesso inizio, un’intelligenza politica dell’amore?
Luisa Muraro, tra le più importanti filosofe italiane, ha studiato all’Università
Cattolica di Milano con Gustavo Bontadini. Nel 1975 ha fondato la Libreria
delle Donne di Milano che, tra l’altro, cura la pubblicazione della rivista Via
Dogana. All’Università di Verona, dove insegnava, Muraro è stata tra le fondatrici
della comunità filosofica femminile di Diotima.
pp. 264 – € 17,00
Mladen Dolar
La voce del Padrone
Bernard Stiegler
Prendersi cura
Plutarco racconta la storia di un uomo che,
spennando un usignolo e vedendo che c’è attaccata ben poca carne, gli dice: «Sei fatto soltanto di voce – e nient’altro». Togliere le penne
del significato che coprono la voce, smontare
il corpo da cui la voce sembra emanare, resistere al fascino del canto delle Sirene e della
loro voce, concentrarsi sulla voce e nient’altro:
ecco la difficile missione affrontata da Mladen
Dolar in questo lavoro seminale. La voce non
ha rappresentato un argomento di grande rilevanza filosofica fino agli anni Sessanta, quando Derrida e Lacan l’hanno posta al centro
delle proprie riflessioni. In La voce del Padrone
Dolar va oltre Derrida e la sua teoria del “fonocentrismo”, riprendendo e
sviluppando la tesi di Lacan che considera la voce come una delle principali incarnazioni dell’oggetto (objet petit a). Secondo Dolar, al di là delle
due concezioni più comuni della voce come veicolo di significato e come
fonte di ammirazione estetica, c’è un terzo livello di comprensione: la
voce come oggetto, come leva del pensiero. Egli studia l’oggetto voce su
più piani – la linguistica della voce, la metafisica della voce, l’etica della
voce e la voce della coscienza, la relazione paradossale tra voce e corpo, la
politica della voce – ed esamina gli usi della voce in Freud e Kafka.
Fin dall’inizio del XXI secolo, Bernard Stiegler
si è impegnato a diagnosticare i nuovi disagi
della civiltà, soggetta ai biopoteri dell’economia politica e della governance finanziaria.
Nel 2008, con la pubblicazione francese di
Prendersi cura, Stiegler supera la lamentatio
intellettuale e pone le fondamenta di un’autentica terapeutica sociale, la farmacologia (da
pharmakon, rimedio e veleno), in vista di una
trasformazione teorica e politica dell’orizzonte
contemporaneo. A monte di questa prospettiva, le analisi foucaultiane sul biopotere vengono integrate criticamente con il concetto di
psicopotere, poiché la posta in gioco sembra
dirigersi verso l’intelligenza collettiva. Così, facendo leva sul potenziale
cognitivo e sociale di quelle stesse tecnologie digitali, troppo spesso valutate esclusivamente come elemento turbo-capitalistico, dunque come dispositivi di assoggettamento, Stiegler ricerca proprio in esse gli strumenti
per contrastare lo psicopotere e combattere il sistema del controllo con
la formazione di un’attenzione sociale a lungo termine, premurosa per sé
e per gli altri. Questo è l’obiettivo della sua “battaglia dell’intelligenza”,
condotta dialogando anche con le neuroscienze: le tecnologie di captazione e controllo delle coscienze devono essere rovesciate politicamente in
tecnologie di potenziamento del pensiero e dei legami sociali.
Una teoria della voce tra arte, politica e psicoanalisi
a cura di Luigi Francesco Clemente
Dolar non sembra un idiota e non parla come un idiota,
“maMladen
non lasciatevi ingannare – Mladen Dolar
è un idiota!”
non
-Slavoj Žižek-
Mladen Dolar, filosofo e critico culturale sloveno, è tra i fondatori della Scuola
Psicoanalitica di Ljubljana ed è docente di filosofia presso l’Università di Ljubljana.
pp. 222 – € 17,00
Della gioventù e delle generazioni
a cura di Paolo Vignola
Bernard Stiegler, professore al Goldsmiths College di Londra e Direttore dell’Institut de Recherche et d’Innovation del Centre Georges Pompidou di Parigi, è uno
dei filosofi più attenti alle trasformazioni della società contemporanea, nonché
tra i più attivi all’interno del dibattito teorico e politico sulle tecnologie digitali.
pp. 310 – € 18,00
Judith Butler
Sentire ciò che nell’altro è vivente
Jacques Derrida
Resistenze
a cura di Mariafilomena Anzalone
a cura di Michele Di Bartolo
Questo testo di Judith Butler affronta alcune
tra le pagine più affascinanti e complesse scritte
dal giovane Hegel: il frammento sull’Amore e il
Frammento di sistema. L’intento dell’Autrice è
duplice: scandagliarne il senso profondo e operare, nel contempo, una riflessione più ampia
sul tema dell’amore e della vita. A partire dall’idea hegeliana dell’amore come sentimento in
cui «il vivente sente il vivente», Butler incrocia
fecondamente problemi classici della filosofia
di Hegel (il rapporto individuo-comunità, religione-filosofia, vita-viventi) con alcuni motivi
della sua più recente produzione: la precarietà
della vita, il legame tra l’amore e la perdita, il
potere del lutto, etc. Filo conduttore del suo
itinerario è la difficoltà che il linguaggio filosofico sperimenta nel rendere
conto del fenomeno dell’amore, fenomeno che «ha una sua propria logica
– una logica che non fiorisce mai effettivamente in una forma definitiva,
ma è caratterizzata da una illimitata apertura». L’illimitata apertura a cui,
in quanto viventi, ci consegna e ci espone la vita.
Lavorando nei margini de L’interpretazione dei
sogni, Jacques Derrida penetra tra le pieghe
del testo freudiano portando in luce la natura
disseminale del concetto di resistenza all’analisi. Ma, se non si dà una nozione univoca di
resistenza, anche il concetto di analisi vacilla,
si decostruisce, esponendosi alla possibilità del
suo al di là. La psicoanalisi diviene così per
Derrida il luogo strategico a partire dal quale
ripensare tutta la tradizione della ragione analitica, anche nel suo rapporto con la dimensione etico-politica. Resistenze è un testo fondamentale non solo per ricostruire il confronto
derridiano con la psicoanalisi, ma anche per
comprendere il ruolo che questo confronto ha svolto nell’evoluzione del
pensiero del maestro della decostruzione.
L’amore nel giovane Hegel
Sul concetto di analisi
Judith Butler è Maxine Elliot Professor presso la University of California (Berkeley) e Visiting Professor alla Columbia University (New York). Autrice di testi divenuti classici del femminismo internazionale (Questioni di genere, 2013; Corpi che
contano, 1996) si è occupata di filosofia politica e di etica confrontandosi a lungo
con il pensiero hegeliano. Alla ricezione francese di Hegel è dedicato il suo primo
volume Soggetti di desiderio (2009).
pp. 118 – € 12,00
Jacques Derrida (1930-2004) è stato uno dei pensatori più originali della seconda
metà del Novecento. Con i suoi libri e la sua intensa attività di insegnamento ha
saputo esercitare una feconda influenza in molteplici campi del sapere. Ricordiamo qui gli scritti in cui è più serrato il confronto con la psicoanalisi: Il fattore
della verità (1975); Speculare – su “Freud” (1980); “Essere giusti con Freud”. La
storia della follia nell’età della psicoanalisi (1992); Mal d’archivio. Un’impressione
freudiana (1995); Stati d’animo della psicanalisi (2000).
pp. 116 – € 12,00
Riccardo Fanciullacci
La misura del vero
Un confronto con l’epistemologia contemporanea
sulla natura del sapere e la pretesa di verità
Ethica
collana diretta da Carmelo Vigna
Comitato scientifico
Giampaolo Azzoni
Francesco Botturi
Giuseppe Cantillo
Antonio Da Re
Paolo Pagani
Francesco Totaro
Segreteria scientifica
Paolo Bettineschi
Riccardo Fanciullacci
Quel che è vero non è tale perché gli uomini
hanno deciso così. La verità non è un prodotto, ma qualcosa di primo. In questo senso, occupa il posto della misura e non di ciò che
è misurato: opera un taglio sulle aspettative,
le pretese e le misure umane. Il tentativo, che
esiste, di disconoscere questo tratto della nozione di verità, affermando che vero è ciò che
risulta da un accordo intersoggettivo oppure
da uno scontro di poteri, è un progetto che
si avvolge in contraddizioni e assurdità. E per
questo non riesce realmente a salvaguardare
quei fenomeni a cui tiene, ad esempio il fatto
che vi sono verità che potremmo non riuscire
mai a scoprire o il fatto che non ogni verità merita la nostra attenzione, o
il fatto che sulla pretesa di aver colto una certa verità sono stati costruiti
sistemi di dominio, o il fatto che anche là dove siamo più certi di aver
afferrato il vero, potremmo essere incappati in un errore ecc. Per rendere
conto di questi fenomeni, che rivelano quanto complesso e stratificato sia
il rapporto umano alla verità, occorre non cedere sull’idea che il vero sia
misura, ma anzi sviluppare questa idea, delucidandola e articolandola. È
questo che qui si propone: un’esplorazione della nozione di verità e delle
nozioni connesse, attraverso un corpo a corpo, tanto con l’epistemologia
analitica, quanto con alcune posizioni classiche o contemporanee (in particolare, Aristotele, Tommaso d’Aquino, Heidegger).
Riccardo Fanciullacci collabora con la Cattedra di Filosofia morale dell’Università
Ca’ Foscari di Venezia, con il veneziano Centro Interuniversitario per gli Studi
sull’Etica (CISE) e con il Centro di Etica Generale e Applicata (CEGA) dell’Almo
Collegio Borromeo di Pavia. È docente a contratto nel Master di II livello “Filosofia come via di trasformazione”, organizzato dall’Università di Verona.
pp. 736 – € 29,00
Riccardo Fanciullacci
Volontà e assenso
Angelo Campodonico & Maria Silvia Vaccarezza
La pretesa del bene
Un’indagine sul rapporto tra il soggetto umano e la verità deve riconoscere un posto di rilievo all’atto di assenso e allo stato di credenza
che ne consegue. Il presente lavoro prende la
critica del volontarismo doxastico (cioè della
tesi per cui è possibile decidere che cosa credere) come occasione per un’ampia indagine
dei rapporti tra credenza, assenso, volontà, responsabilità, ragioni e verità. La prima parte è
un’esplorazione fenomenologica che consente
di familiarizzare con alcune nozioni e figure
differenti: le situazioni di dubbio, la sospensione del giudizio, la struttura della ricerca e
i suoi rapporti con i contesti epistemici, gli
atteggiamenti affini, ma irriducibili all’assenso (l’assumere, l’ipotizzare,
il tenere-come-se-fosse-vero). Qui sono considerati pure il fenomeno
dell’autoinganno e dello wishful thinking, oltre che la questione dell’irriducibilità della fede religiosa ad una specie di credenza proposizionale.
La seconda parte è un’indagine volta a mostrare l’impossibilità del controllo diretto dei propri atti d’assenso e dunque delle proprie credenze.
Naturalmente, viene discusso il celebre argomento di Bernard Williams
contro il volontarismo doxastico e ne è proposta una ristrutturazione che
lo mette in salvo dalle maggiori obiezioni che gli sono state mosse. Poiché
la norma costitutiva della credenza è la norma del vero, allora il credere
sta in un rapporto con le considerazioni evidenziali (o ragioni) che rende
assurda l’ipotesi di creder vera una proposizione per volontà.
Da un lato al bene, ovvero a ciò che ci compie,
non possiamo non tendere sempre, dall’altro il
bene stesso esercita un’attrazione e una pretesa
sulla nostra vita. Ecco perché, nella prospettiva di Tommaso d’Aquino, non c’è opposizione fra finalismo e normatività, e la domanda
fondamentale della sua etica si può formulare
così: quale bene è degno del nostro amore? Il
volume, esito di un lungo lavoro di ricerca,
espone in modo chiaro e sintetico il contenuto di testi estremamente ampi e articolati, e
sconosciuti ai più. Esso mostra come il fondamentale presupposto antropologico dell’etica
di Tommaso sia la stretta unità e sinergia, pur
nella distinzione dei piani, di psiche e corporeità, razionalità speculativa
e pratica, ragione e passioni, ragione e volontà, ragioni e motivazioni,
materia e fine dell’azione, moralità e felicità, norma e virtù. Di qui il suo
interesse in un’epoca in cui da molte parti si sente l’urgenza di superare
nette divaricazioni, recuperando una concezione più unitaria dell’uomo
e del suo agire.
L’impossibilità di decidere che cosa credere
Teoria dell’azione ed etica in Tommaso d’Aquino
Riccardo Fanciullacci collabora con la Cattedra di Filosofia morale dell’Università
Ca’ Foscari di Venezia, con il veneziano Centro Interuniversitario per gli Studi
sull’Etica (CISE) e con il Centro di Etica Generale e Applicata (CEGA) dell’Almo
Collegio Borromeo di Pavia.
pp. 532 – € 19,00
Angelo Campodonico insegna Filosofia morale, Antropologia filosofica, Filosofia
pratica contemporanea e Filosofia dell’interculturalità presso l’Università degli
studi di Genova. Socio ordinario della Pontificia Accademia di San Tommaso, è
membro del Comitato scientifico del Centro di Etica generale e applicata (Almo
Collegio Borromeo).
Maria Silvia Vaccarezza, è dottore di ricerca in Filosofia presso l’Università di
Genova, dove studia principalmente la filosofia pratica di Aristotele e Tommaso
d’Aquino, e alcune loro riprese contemporanee.
pp. 222 – € 18,00
Paolo Bettineschi
Critica della prassi assoluta
Maria Silvia Vaccarezza
Le ragioni del contingente
Il volume analizza e discute l’idealismo di
Giovanni Gentile incentrando la propria critica attorno al tema dell’assolutezza della prassi.
La centralità di questo concetto consente che
le critiche teoriche rivolte all’attualismo e alla
sua logica passino senz’altro attraverso i risvolti delle istanze morali che avvolgono per intero la dottrina gentiliana. Anzi, è proprio nella
soppressione della possibilità di distinguere la
teoria (come orizzonte della presenza dei significati) dalla prassi (come dimensione della
produzione della presenza) che il dialettismo
attualistico può meglio essere decifrato e confutato, funzionalmente alla fondazione di una
logica differente e in vista di un’idea della prassi umana non divinizzata in
senso immanente perché, piuttosto, trascendentalmente aperta all’alterità
che è presente e all’alterità che, pure, può trascendere infinitamente la
stessa presenza.
Questo lavoro è diviso in due parti: una monografica in cui viene indagata l’autentica posizione aristotelica in merito allo statuto della
phronesis e della conoscenza morale, e l’altra
in cui si offre una nuova traduzione del VI libro della Sententia Libri Ethicorum, corredata
da introduzione storico-filosofica. Nella parte
monografica, si vuole combattere la caricatura
che tratteggia lo Stagirita come un particolarista etico, e al contempo sfatare l’immagine altrettanto caricaturale di un Tommaso d’Aquino universalista etico, creatore di un impianto
deduttivo, che, “battezzando” Aristotele, di
fatto neutralizza la phronesis, trasformando la
morale, da capacità inventivo-creativa, a mera questione di deduzione
a partire da principi immutabili. Sullo sfondo di tali interpretazioni si
scorge una visione dicotomica, dualistica, per la quale da un lato vi è la
ragione pratica, con la sua capacità inventiva e la sua percezione creativa
ed autosufficiente, e dall’altro il polo universale, fatto di regole estrinseche
all’agente. Ciò che questo lavoro vuole mostrare è esattamente l’erroneità
di questa dicotomia, che non rende ragione della continua dialettica virtuosa tra universale e singolare, tra necessario e contingente, poli che, ben
lungi dall’essere opposti, si sostengono ed alimentano vicendevolmente,
in un movimento dal basso verso l’alto, e viceversa.
Analisi dell’idealismo gentiliano
La saggezza pratica tra Aristotele e Tommaso d’Aquino
Paolo Bettineschi, è dottore in filosofia presso l’Università Cattolica del Sacro
Cuore di Milano e dottore di ricerca nella stessa materia presso l’Università Ca’
Foscari di Venezia. Collabora con la Cattedra di Filosofia morale e con il Centro
Interuniversitario per gli Studi sull’Etica (CISE). Tra le sue pubblicazioni: Contraddizione e verità nella logica di Hegel (Milano 2010), Metafisica e violenza (Milano 2008, a cura di C. Vigna e sua) e Tecnica, instabilità, angoscia. Interpretazione
del tempo presente.
Maria Silvia Vaccarezza, è dottore di ricerca in Filosofia presso l’Università di
Genova, dove studia principalmente la filosofia pratica di Aristotele e Tommaso
d’Aquino, e alcune loro riprese contemporanee.
▶ L’opera è stata insignita del Premio delle Pontificie Accademie
pp. 164 – € 16,00
pp. 356 – € 18,00
Gian Paolo Terravecchia
Il legame sociale
Maria Silvia Vaccarezza
Razionalità pratica e attenzione alla realtà
In un film su Tommaso Moro, vincitore di
sei premi Oscar, Un uomo per tutte le stagioni
(1966), il protagonista, ormai caduto in disgrazia presso il re inglese, decide di rompere
l’amicizia col duca di Norfolk. Moro non vuole trascinare l’amico nei guai e perciò decide
di rompere l’amicizia in nome dell’amicizia.
Bisogna sviluppare una teoria del legame sociale per poter dare conto di questo paradosso
e, più ampiamente, per comprendere le forme
del sociale che costituiscono il modo in cui gli
esseri umani, ma non solo, vivono insieme.
Il sociale si costituisce e determina attraverso
legami e forme di legame. Sono essi a fissare
un ambito normativo, consistente negli obblighi sociali, distinto e indipendente dall’etico, coi suoi doveri. Non si tratta certo di una dicotomia
insanabile. Il sociale per lo più si incontra e intreccia con l’etico, entrandovi solo a volte in conflitto. Questo è un punto di arrivo della teoria
esposta nel libro. Per potervi giungere bisogna però prima fare i conti con
gli argomenti di coloro che negano che vi sia qualcosa come il legame.
Il volume intende offrire un’esposizione sintetica di alcune delle trattazioni più significative della tematica delle virtù e della saggezza
pratica di matrice aristotelica nel pensiero
contemporaneo anglosassone, concentrandosi, in particolare, sul tema dell’attenzione nel
pensiero di Iris Murdoch e nella sua ripresa da
parte di Cora Diamond e, indirettamente, di
Simone Weil. Grazie a quest’indagine, si cerca
di evidenziare le ragioni per le quali la ripresa
della saggezza pratica, delle sue valenze anche
epistemologiche, e con essa del tema dell’attenzione assuma oggi un ruolo determinante
nell’esperienza morale e nella riflessione su di
essa. In generale, si intende suggerire che l’attenzione all’esperienza morale in atto permette di arricchire il discorso filosofico in etica, consentendo
di passare da un discorso “breve”, essenzializzato e quasi scarnificato al
fine di trovare un punto minimale di contatto fra gli uomini in una società pluralistica, ad un discorso “lungo” di carattere narrativo che permetta
un confronto certo rischioso, ma motivato e arricchente fra uomini che
aderiscono anche a prospettive valoriali diverse.
Una teoria realista
Prospettive contemporanee
Gian Paolo Terravecchia ha conseguito il PhD in filosofia presso l’Internationale
Akademie für Philosophie nel Principato del Liechtenstein (1998) e il Dottorato
di ricerca presso l’Università di Padova (2011). Coautore di due manuali di storia
della filosofia (2008, 2009), ha curato con Luciano Floridi Le parole della filosofia
contemporanea (2009). I suoi principali campi di interesse sono la filosofia sociale,
l’etica, l’ontologia, le teorie della normatività e della donazione, la storia della
filosofia, in particolare il Novecento.
pp. 334 – € 20,00
Maria Silvia Vaccarezza, è dottore di ricerca in Filosofia presso l’Università di
Genova, dove studia principalmente la filosofia pratica di Aristotele e Tommaso
d’Aquino, e alcune loro riprese contemporanee.
pp. 116 – € 14,00
Paolo Bettineschi
Intenzionalità e riconoscimento
Benedetta Giovanola
Oltre l’homo œconomicus
La necessità che l’uomo avverte del rapporto
con soggetti altri e analoghi a lui si pone in
forza della trascendentalità che in essenza lo
definisce come un centro illimitato di intenzionalità. Se non fosse un centro siffatto, egli
non dovrebbe nemmeno sottostare a quella
necessità. E invece, proprio perché il soggetto
umano è un illimitato – per quanto potenziale
– apparire dell’essere, proprio per questo egli
non può sopportare che siano esclusivamente
il finito e il limitato ad apparire in lui o innanzi a lui. È da questa necessità dell’incontro
con altri soggetti che l’uomo, peraltro, ricava
i suoi piaceri più grandi. E pertanto in essa si
inscrivono le storie e le sorti dei suoi desideri più importanti. Tali sorti
si decidono nel potere o nella capacità dell’essere umano di lasciar venire
innanzi, come cosa che appare, quel che – nella sua riconosciuta verità –
può fare altrettanto, e facendo altrettanto lascia che l’umano riconoscente
si faccia presente ed appaia essendo a sua volta riconosciuto. Così, se la
soddisfazione del desiderio umano trova la sua possibilità nel rendersi
presenti alla soggettività di quegli speciali essenti che sono le altre soggettività, il trascendentale che dice il corretto significato dell’esser-presenti
di tutti gli essenti mostra di stare a capo della stessa idea di appagamento
o felicità coltivata dall’etica del riconoscimento reciproco.
Molti economisti ritengono che l’economia
sia una “zona franca” dal punto di vista etico,
oppure che essa, pur sollevando questioni eticamente rilevanti, dovrebbe tenerle al di fuori del proprio ambito di indagine. Il volume
intende confutare questa posizione, argomentando la natura comune di etica ed economia
e mostrando non solo la fecondità, ma anche
la necessità del loro rapporto. A tal fine viene intrapresa una serrata critica dei concetti
portanti della teoria economica mainstream e
del modello antropologico alla sua base, quello dell’homo œconomicus, del quale viene mostrato il forte riduzionismo. Per andare oltre
l’homo œconomicus, l’autrice, sviluppando le riflessioni di Amartya Sen e
Martha Nussbaum e articolando il sostrato etico-antropologico dell’approccio delle capacità, propone un inedito modello di agente economico,
articolato intorno alla nozione di ricchezza antropologica e volto a restituire all’economia il ruolo che le è più proprio, quello di mezzo per la
promozione del bene dell’individuo e della collettività.
Scritti di etica e antropologia trascendentale
Lineamenti di etica economica
Paolo Bettineschi, è dottore in filosofia presso l’Università Cattolica del Sacro
Cuore di Milano e dottore di ricerca nella stessa materia presso l’Università Ca’
Foscari di Venezia. Collabora con la Cattedra di Filosofia morale e con il Centro
Interuniversitario per gli Studi sull’Etica (CISE).
pp. 200 – € 17,00
Benedetta Giovanola è ricercatrice in Filosofia Morale presso l’Università degli
Studi di Macerata, dove insegna Etica ed economia e Filosofia della storia. Si è
occupata del pensiero di F. Nietzsche e Karl Marx, e di questioni di etica economica ed etica pubblica, prestando particolare attenzione al tema della responsabilità sociale d’impresa e, più in generale, delle pratiche di business e al rapporto
tra sviluppo e giustizia sociale. È vincitrice dell’Helen Potter Award, assegnato
dall’Association for Social Economics.
pp. 160 – € 15,00
Riccardo Fanciullacci
L’esperienza etica
Elena Alessiato
Karl Jaspers e la politica
“Filosofia delle cose umane”, ossia che prende
a tema tutto ciò che ha a che fare con la questione umana, è il nome che Aristotele dava a
quelle sue ricerche note oggi come etiche.
Questo nome ci ricorda quanto ampio debba
essere l’orizzonte in cui spazia la riflessione sui
cosiddetti problemi morali. Ciò comporta che
ogni restrizione dettata solo da astratte divisioni disciplinari vada lasciata cadere, affinché
ci si possa dedicare a quel movimento che,
partendo davvero dall’esperienza (il primo per
noi), con tutto ciò che di incerto e indeciso la
caratterizza, possa infine anche tornarvi. Ma la
mira della filosofia non è tanto quella di tornare presso gli uomini per offrire loro una norma morale generale o addirittura delle prescrizioni particolari da seguire. Ciascuno di noi si domanda
piuttosto come comprendere ciò che gli capita e quale sia la risposta che
riesce ad essere efficace e anche a conservare un qualche rapporto con il
bene: ecco, una filosofia pratica che si ispiri al modello aristotelico soccorre
e ravviva questa interrogazione in cui siamo già coinvolti.
Il presente lavoro esplora questa idea di filosofia pratica, ma la sviluppa anche al di là del riferimento ad Aristotele, affinché le trasformazioni
che hanno caratterizzato l’epoca moderna, e che il contemporaneo eredita
come una sfida, possano essere tenute in conto in tutta la loro complessità.
Non sempre il pensiero politico di Karl Jaspers ha ricevuto l’attenzione che merita. Tra
i critici, inoltre, è spesso prevalsa la tendenza a considerare la Seconda Guerra Mondiale come un momento di spartiacque nel suo
percorso e di conseguenza a contrapporre al
«primo» Jaspers, medico e filosofo, il «secondo» Jaspers, intellettuale e pensatore politico.
Il presente lavoro si propone di indagare le
motivazioni e le premesse anche filosofiche
dell’interesse politico di Jaspers a partire dalla
sua formazione di psicopatologo e di filosofo
dell’esistenza. Ne consegue un percorso scandito per tappe che illustra la stretta connessione esistente nel suo pensiero tra filosofia e politica e che inquadra i modi
in cui quel legame si è di volta in volta espresso: da una conferenza datata
1917 agli scritti su temi di pubblica rilevanza (la società di massa e l’università) degli anni Trenta, fino al controverso e coraggioso saggio del 1946
sulla questione delle colpe dei tedeschi per gli orrori del nazismo e della
guerra. Karl Jaspers ha affrontato molti degli interrogativi e delle sfide che
la convivenza umana da sempre pone: il rapporto tra morale e politica e
tra teoria e pratica, la specificità del Politico e i limiti della democrazia, la
relazione tra libertà individuale e libertà collettiva, il ruolo dell’educazione e le forme della responsabilità.
Riccardo Fanciullacci collabora con la Cattedra di Filosofia morale dell’Università
Ca’ Foscari di Venezia, con il veneziano Centro Interuniversitario per gli Studi
sull’Etica (CISE) e con il Centro di Etica Generale e Applicata (CEGA) dell’Almo
Collegio Borromeo di Pavia.
Elena Alessiato è dottore di ricerca in Filosofia presso l’Università degli Studi di
Torino e la Ruprecht-Karls-Universität di Heidelberg. Ha svolto attività di ricerca in Germania (Heidelberg, Berlino, Monaco), Canada (University of Ottawa),
Napoli (IISS). I suoi ambiti di interesse sono la filosofia politica e la storia delle
idee politiche, la filosofia della guerra e il conservatorismo, la critica della società
di massa e l’esistenzialismo tedesco, i rapporti tra storia politica ed elaborazione
filosofico-intellettuale.
Per una filosofia delle cose umane
Dalle origini alla questione della colpa
▶ L’opera è stata insignita del Premio della Società Italiana di Filosofia Morale
pp. 540 – € 19,00
pp. 222 – € 18,00
Paolo Pagani
Ricerche di antropologia filosofica
Riccardo Fanciullacci
Forme dell’agire
Ontologia sociale, conflitto e ideologia
in un confronto con Louis Althusser
Il volume raccoglie alcuni studi dedicati ai
temi fondamentali della riflessione filosofica
sull’essere umano: ragione, passione, libertà. E
lo fa con riferimento ad alcuni dei principali
classici della tradizione occidentale: da Platone a Tommaso d’Aquino, da Kant a Rosmini.
Le indagini si allargano a comprendere anche i
temi dell’educazione, del bene comune e della
felicità: esplorati – tutti – in riferimento alla
cifra dell’umano, intesa come l’intreccio della
categorialità dei bisogni con la trascendentalità
del desiderio.
Paolo Pagani insegna Filosofia Morale all’Università Ca’ Foscari di Venezia, dove negli anni passati ha tenuto l’insegnamento di
Antropologia filosofica. Fa parte del Comitato scientifico dell’«Annuario di etica», di quello dell’Annuario di studi filosofici «Anthropologica», e del Consiglio
scientifico internazionale della rivista «Filosofia Oggi». È membro del Comitato
scientifico del Centro Interuniversitario di Studi sull’Etica (CISE); del Consiglio
scientifico del Centro di Etica Generale e Applicata (CEGA), costituitosi presso
l’Almo Collegio Borromeo di Pavia, e del Consiglio scientifico della Fondazione
Sciacca. Tra le sue pubblicazioni, i volumi: Sentieri riaperti (Milano 1990), Contraddizione performativa e ontologia (Milano 1999), Libertà e non-contraddizione
in Jules Lequier (Milano 2000), Studi di Filosofia morale (Roma 2008).
Althusser pensava a partire da Marx, spesso da
alcune formule della tradizione marxista che,
col suo serrato lavoro concettuale, portava a
significare qualcosa di diverso, a divenire parte
di una teoria nuova della società e del mondo
umano e storico. Una teoria che oltrepassa le
secche dell’individualismo, ma senza intendere
la formazione sociale né come una macchina
che procede da sé, né come il luogo di una pervasiva oppressione da cui ci si può solo dislocare marginalmente. Al centro di questa teoria
sta una concezione originale di che cosa sono
le idee e i significati che operano nella società.
“Le ideologie, dice Althusser modificando il
senso tradizionale della parola, sono delle formazioni complesse di nozioni e rappresentazioni che fanno da trama ai comportamenti, alle condotte,
ai gesti. Ne risulta una sorta di regolazione dell’atteggiamento e della presa
di posizione concreta degli uomini nei confronti degli oggetti reali e dei
problemi che riguardano la loro esistenza sociale e individuale, e la loro
storia”. Di questa tesi, il presente lavoro difende i presupposti, indaga le
conseguenze e mostra come possa essere congiunta con la problematica del
conflitto sociale. La sviluppa anche al di là dell’elaborazione offertane da
Althusser, quando questa non si rivela all’altezza delle sue premesse. Questo lavoro, che si presenta come un’ampia monografia sul filosofo francese,
è in realtà piuttosto un tentativo di fare ciò che Althusser voleva dai suoi
lettori: che pensassero con lui alle questioni teoriche di cui egli sapeva
mostrare, con inimitabile chiarezza, l’urgenza e la decisività.
Riccardo Fanciullacci collabora con la Cattedra di Filosofia morale dell’Università
Ca’ Foscari di Venezia, con il Centro Interuniversitario per gli Studi sull’Etica
(CISE) e con il Centro di Etica Generale e Applicata (CEGA).
pp. 266 – € 17,00
pp. 1130 – € 32,00
Paolo Pagani
La geometria dell’anima
Sara Brotto
Etica della cura
Questo testo nasce da alcune indagini sul nesso
tra matematica e filosofia in ambiente “accademico”. È interessante notare che l’esplorazione di tale nesso costituisce un felice tratto di
continuità tra gli studi più classici e autorevoli
intorno al Platone “scritto” – di cui Alfred E.
Taylor è esponente di netto rilievo – e il meglio
delle rivisitazioni del testo platonico proposte a
partire dagli ágrapha, raccolti e valorizzati dalle
Scuole di Tübingen e di Milano.
L’elemento matematico, elaborato nell’oralità
dell’Accademia e ripreso poi in alcuni Libri degli Elementi euclidei, rappresenta una chiave
d’accesso privilegiata per la comprensione e
per l’approfondimento di alcuni luoghi problematici – ma decisivi – dei
“dialoghi”. Il linguaggio matematico sembra essere la cifra simbolica cui
Platone affida l’illustrazione dei più delicati rapporti che intercorrono tra
le dimensioni dell’anima umana, ma anche tra i differenti stili di vita che
all’essere umano si prospettano. Il tema che fa da apripista alla presente
indagine è in particolare quello dell’irrazionale matematico, sulla cui rilevanza nel pensiero platonico si è a suo tempo soffermato – in modo assai
brillante e difficilmente prescindibile – Imre Toth, illustre filosofo e storico
della matematica.
Possiamo intenderci, quando parliamo di etica
della cura? C’è nella cura qualcosa di comune
al di là del genere, dell’etnia, della lingua, del
Paese nel quale viviamo, degli usi, dei costumi
e delle tradizioni che caratterizzano le nostre
vite? Sì, c’è qualcosa di comune: è la nostra originaria condizione dell’essere con altri ed è la
nostra originaria destinazione a essere per altri.
Ebbene, la cura è precisamente quell’essere con
altri e per altri vissuto in modo giusto. Del resto, solo in questo modo giusto ognuno di noi
può essere pienamente se stesso. Cioè può star
bene. Perché noi in realtà stiamo bene, quando anche gli altri stanno bene; cioè noi stiamo
bene, quando con-dividiamo con altri non solo salute, emozioni, sentimenti, ma anche idee e pratiche di vita, in cui si realizza in molti modi
l’accadimento che tutti invochiamo e che spesso tutti disattendiamo: la
relazione di reciproco riconoscimento. Che è, appunto, una relazione di cura
reciproca: la versione più comprensiva di un’etica della cura.
Riflessioni su matematica ed etica in Platone
Una introduzione
Paolo Pagani insegna Filosofia Morale all’Università Ca’ Foscari di Venezia, dove
negli anni passati ha tenuto l’insegnamento di Antropologia filosofica. Fa parte
del Comitato scientifico dell’«Annuario di etica», di quello dell’Annuario di studi
filosofici «Anthropologica», e del Consiglio scientifico internazionale della rivista
«Filosofia Oggi». È membro del Comitato scientifico del Centro Interuniversitario di Studi sull’Etica (CISE); del Consiglio scientifico del Centro di Etica Generale e Applicata (CEGA), dell’Almo Collegio Borromeo di Pavia.
pp. 184 – € 16,00
Sara Brotto insegna Lingue e Letterature Straniere, Inglese e Tedesco, nelle scuole
secondarie superiori della provincia di Vicenza. Ha frequentato corsi di lingue e
civiltà straniere presso varie istituzioni e università estere, fra cui un anno come
Exchange Abroad Student in Comparative Literature presso la Graduate School
dell’University of California, Berkeley. Ha conseguito la seconda laurea in Scienze
filosofiche, specializzandosi in Bioetica, presso l’Università “Ca’ Foscari” di Venezia. I suoi ambiti di interesse ruotano attorno alla filosofia morale e alla bioetica.
pp. 208 – € 17,00
La vita spettacolare
Silvia Pierosara
Legami privati e relazioni pubbliche
Questioni di etica
Una rilettura di Axel Honneth
a cura di Riccardo Fanciullacci & Carmelo Vigna
Pasolini, di fronte alla trasformazioni che il
capitalismo neoliberista imprime alla forma
di civiltà che egli aveva conosciuto in giovinezza, non esita a parlare di “mutazione antropologica” e arriva a dire: «La tragedia è che
non ci sono più esseri umani, ci sono strane
macchine che sbattono l’una contro l’altra».
Queste “macchine” in violenta competizione
hanno solo un debole legame con gli esseri
umani che ancora crediamo di essere e che
diverse istituzioni, come quelle della democrazia, presuppongono che siamo. Il fatto è che
per incrementare e gestire i consumi, il sistema economico si è dotato di strumenti (dalla
pubblicità ai new media più recenti) che non
condizionano solo il comportamento esteriore, ma raggiungono le forme
della coscienza e offrono modelli stereotipati al desiderio. È questa la vita
spettacolare che ci avvolge e ci seduce. I saggi di questo volume interrogano questa configurazione della vita con radicalità.
Il volume indaga il paradigma del riconoscimento e il vincolo tra legami affettivi e giustizia nel pensiero di Axel Honneth, a partire
da un’interrogazione problematica intorno al
complesso rapporto tra sfera pubblica e privata, così come emerge dai suoi testi più recenti.
Le aspettative sproporzionate di riconoscimento, che si riversano oggi sulla sfera privata,
si riflettono in un progressivo affrancamento
dei legami affettivi da qualsiasi richiamo al
principio di giustizia e quindi da ogni forma
di intenzionalità sociale. In tale prospettiva
tende a indebolirsi non solo la vocazione al
decentramento, propria della persona umana,
ma anche una corrispondente tessitura riflessiva dei legami pubblici e
privati. Nella progressiva erosione di una socialità solidale s’impone il
compito di ripensare un ethos democratico all’insegna di una prossimità
autentica, in cui il senso di giustizia possa “ricucire” in modo fecondo la
sfera degli affetti privati e quella delle relazioni pubbliche.
▶ Saggi di: Francesco Callegaro, Carlo Chiurco, Adriano Fabris, Riccardo Fanciullacci, Giacomo Ghidelli, Peppino Ortoleva, Antonio Petagine, Maddalena Pezzato,
Teresa Scantamburlo, Giovanni Ventimiglia, Carmelo Vigna
Silvia Pierosara ha conseguito il dottorato di ricerca in Filosofia e Teoria delle
Scienze Umane presso l’Università degli Studi di Macerata, dove attualmente collabora alla cattedra di Filosofia morale, in qualità di cultrice della materia. Le sue
ricerche si concentrano sul paradigma del riconoscimento nella filosofia morale
contemporanea e sulla narrazione come orizzonte di dialogo tra differenti provenienze culturali. È autrice del volume L’orizzonte e le radici. Sul riconoscimento del
legame comunitario (Roma 2011) e di saggi che indagano i temi della narratività,
dell’estraneità e dell’autonomia come partecipazione.
Riccardo Fanciullacci collabora con la Cattedra di Filosofia morale dell’Università
Ca’ Foscari di Venezia, con il Centro Interuniversitario per gli Studi sull’Etica
(CISE) e con il Centro di Etica Generale e Applicata (CEGA).
Carmelo Vigna è stato professore di Filosofia Morale presso l’Università Ca’ Foscari di Venezia, dove dirige il Centro Interuniversitario per gli Studi sull’Etica
(C.I.S.E.). È Presidente del Centro di Etica Generale e Applicata (C.E.G.A.)
dell’Almo Collegio Borromeo di Pavia, e Direttore dell’”Annuario di etica”.
pp. 224 – € 17,00
pp. 166 – € 16,00
“
Riccardo Fanciullacci, Paolo Monti,
Maddalena Pezzato, Silvia Pierosara
L’etica pubblica in questione
Cittadinanza, religione e vita spettacolare
L’etica pubblica può anche essere intesa come
l’etica stessa, quando riconosce che l’essere
umano è sempre coinvolto in relazioni con
altri all’interno di scenari storico-sociali. A seconda delle fattezze concrete di questi scenari,
gli esseri umani si trovano spesso a confronto
con questioni nuove che sfidano le loro soluzioni tradizionali al problema del giusto convivere, e persino le loro idee di bene e di male.
Questo libro affronta alcune delle più radicali
tra tali questioni: quelle relative ai temi della
cittadinanza, del pluralismo religioso e delle
trasformazioni dei modi dell’esperienza provocate dalla diffusione dei nuovi mezzi di comunicazione e dal loro divenire una sorta di nuovo ambiente. Ne viene un
quadro teorico complesso, dove la comune umanità può tornare a essere
una risorsa, e pure un fine condiviso. Ma solo a patto che non se ne diano
per scontati i tratti fondamentali.
Riccardo Fanciullacci collabora con la Cattedra di Filosofia morale dell’Università
Ca’ Foscari di Venezia, con il CISE e con il CEGA.
Paolo Monti collabora con la cattedra di Filosofia morale dell’Università Cattolica
del Sacro Cuore di Milano. Ha condotto parte della propria attività di ricerca
negli Stati Uniti.
Maddalena Pezzato ha approfondito il tema della comunicazione con una laurea e
un dottorato in Filosofia presso l’Università Ca’ Foscari di Venezia e ha svolto un
biennio di specializzazione a Parigi (Institut Catholique).
Silvia Pierosara collabora alla cattedra di Filosofia morale dell’Università degli
Studi di Macerata. Le sue ricerche si concentrano sul paradigma del riconoscimento nella filosofia morale contemporanea e sulla narrazione come orizzonte di
dialogo tra differenti provenienze culturali.
pp. 162 – € 16,00
La collana di Ethica è nata per coltivare un desiderio comune a tutti gli esseri umani: il desiderio della felicità.
Tutti la vogliono, la felicità, ma molti si ingannano nel
concepirla e quindi nel perseguirla. Da quando è nata
in Occidente, l’etica ha avuto il compito di proteggere
dall’inganno, a patto che non sia lei, per prima, a generare inganni. Ma questo può davvero accadere, solo se l’etica
non si separa mai dalla verità, perché l’etica altro non è
che una teoria intorno alla verità del desiderio umano. E
poiché il desiderio umano mira al bene, l’etica sta inevitabilmente a guardia della custodia della congiunzione
della verità e del bene.
Questa convinzione, che ha attraversato tutta la storia del
pensiero occidentale, guida le pubblicazioni della collana,
sia quelle dei giovani ricercatori sia quelle dei ricercatori
più sperimentati”
Carmelo Vigna
Diego Giordano
Verità e paradosso in Søren Kierkegaard
Una lettura analitica
Studia Humaniora
collana di studi e ricerche
Comitato scientifico
Roberto Esposito
Pierpaolo Marrone
Paolo Pagani
Carmelo Vigna
Gianfrancesco Zanetti
Secondo Søren Kierkegaard alla luce del rapporto, intimo e personale, con Dio è possibile
accedere alla verità. L’importanza del rapporto
è data dal fatto che Dio non solo è la verità
in quanto tale, ma la condizione che permette
la disponibilità della verità all’uomo. In tale
movimento relazionale le solide categorie che
strutturano e sorreggono il pensiero devono
fare i conti con un’opzione di senso istituita
dalla fede che, destabilizzando ogni atto noetico-conoscitivo razionale e culturale, conduce
alle porte del paradosso. L’operazione che Kierkegaard riesce a compiere è quella di calare il
paradosso, che è il paradosso della fede, nella
verità, che è la verità del singolo nel proprio rapporto a Dio. La fede porta
alla verità unicamente se è la verità a generare e garantire l’atto di fede.
Questo libro è diviso in due sezioni: una prima parte d’introduzione storica alla vita e al contesto in cui Kierkegaard operò, e una seconda parte
costituita da un saggio su due nozioni centrali nel pensiero del filosofo,
quelle di verità e paradosso, analizzate sia dal punto di vista teoreticoermeneutico, in dialogo con Nietzsche e Heidegger, sia da quello della
filosofia analitica, con particolare riferimento ad alcune operazioni concettuali compiute da Frege, Russell e Wittgenstein.
Diego Giordano, filosofo, musicista ed editore, si è formato presso le Università di
Salerno e di Roma, la Scuola di Alti Studi della Fondazione San Carlo di Modena
e l’EPHE di Parigi, ed è stato ricercatore all’Università di Copenhagen. I suoi
lavori sono dedicati principalmente al pensiero filosofico tra la fine del XVIII
e la prima metà del XIX secolo. Tra i suoi recenti lavori va segnalata la cura e
traduzione di J.-J. Rousseau, Discorso sull’origine della disuguaglianza e Contratto
sociale (Milano 2012) e, per il teatro musicale, La Macchina, su commissione de
La Biennale Musica (Venezia 2013).
pp. 92 – € 10,00
Pensare (con) Patočka oggi
Roberto Garaventa
Religiosità senza dogmi
Filosofia fenomenologica e filosofia della storia
Ambiguità e prospetticità delle religioni storiche
a cura di Mauro Carbone & Caterina Croce
I testi raccolti in questo libro cercano di argomentare i due versanti della ricerca patočkiana:
da una parte, la sua filosofia fenomenologica
che, combinando elementi di derivazione heideggeriana e husserliana, formula in modo inedito i rapporti tra mondo naturale e divenire
storico, tra genesi dell’io e condivisione di un
mondo in comune, tra l’apparire come orizzonte della totalità ed esistenza umana come
esperienza della finitezza; dall’altra, il filone
etico e politico della riflessione di Jan Patočka,
capace di tenere insieme la ricerca genealogica
di un’origine – la cura dell’anima nell’antica
Grecia – con l’annuncio profetico di un tempo
a venire – un’epoca posteuropea di interdipendenza planetaria. I contributi qui proposti danno conto delle ambivalenze del pensiero patočkiano e
delle tensioni produttive che esso genera entrando in risonanza con altre
voci della filosofia contemporanea: non solo Husserl e Heidegger, ma anche Ricoeur, Derrida, Jünger, Lyotard, fino all’americana Judith Butler.
▶ Saggi di: Mauro Carbone, Ivan Chvatík, Caterina Croce, Giuseppe Di Salvatore, Giuseppe Fornari, Maurizio Guerri, Karel Novotný, Paolo Perticari, Camilla
Rocca, Roberta Sofi
Mauro Carbone è ordinario di Estetica presso l’Université Jean Moulin Lyon 3. In
precedenza, ha lavorato per sedici anni presso l’Università degli Studi di Milano,
inaugurandovi l’insegnamento di Estetica contemporanea.
Caterina Croce si occupa del versante etico e politico della riflessione di Jan
Patočka: il suo lavoro, in particolare, è volto ad indagare le convergenze tra la
tematizzazione patočkiana della cura dell’anima e le ricerche sulla cura di sé condotte da Michel Foucault.
pp. 226 – € 18,00
Ha senso parlare di una «religiosità» costitutiva dell’uomo? Non è forse vero che ogni singolo individuo è strutturalmente «aperto» a un
«orizzonte ultimo di senso» che, nel corso della storia, è stato definito in guise diverse: Divino, Eterno, Trascendenza, Bene? Le religioni
storiche con i loro messaggi soterico-redentivi
non sono, al pari delle utopie sociali con i loro
ideali di giustizia, tentativi storicamente e culturalmente determinati di dar corpo e figura a
tale esperienza del Divino, dell’Eterno, della
Trascendenza, del Bene? E non è proprio alla
luce di tale «orizzonte ultimo di senso» che la
realtà naturale e umana, così come la conosciamo, ci appare tragicamente segnata da una negatività radicale, da un
«male metafisico» irredimibile per buona volontà umana, di cui i singoli mali fisici, morali, sociali, psico-esistenziali non sono che la concreta
manifestazione? Certo è che il riconoscimento della costitutività di una
«dimensione religiosa» dello spirito umano potrebbe favorire non solo un
confronto più proficuo tra credenti e non-credenti impegnati nella lotta
per una società più giusta e più solidale, ma altresì un dialogo autentico
tra le religioni universali, di cui è necessario disinnescare le potenzialità
aggressive e distruttive connesse alla pretesa «assolutistica», da loro avanzata, di possedere l’unica, vera rivelazione di Dio. Le religioni sono fenomeni profondamente ambigui, soprattutto laddove non accettano di riconoscere la prospetticità della loro verità e non operano in controtendenza
rispetto alla logica crudele, impietosa ed egoistica del mondo.
Roberto Garaventa, insegna “Storia della filosofia contemporanea” presso l’Università “G. d’Annunzio” di Chieti-Pescara e presso l’Università Telematica “Leonardo da Vinci” di Torrevecchia Teatina.
pp. 304 – € 17,00
Federico Leoni
L’idiota e la lettera
Paolo Vignola
L’attenzione altrove
L’idiota e la lettera è un piccolo libro su un
testo sterminato: L’idiota della famiglia, monumentale biografia di Gustave Flaubert, quasi un testamento filosofico per il suo autore,
Jean-Paul Sartre. I temi e le ossessioni sono
quelle intorno a cui Sartre lavora per tutta una
vita. La nascita di un bambino “male amato”.
L’esilio come materia di un’esistenza. La posizione del moribondo eletta a forma di vita. La
voce come medium ipnotico, la parola come
rivelazione del mondo, il linguaggio come luogo comune e spazio politico originario. L’esercizio letterario come sabotaggio del fascismo
strutturale del linguaggio nell’epoca della sua
riproducibilità tecnica. E ancora, il nesso tra il corpo e lo sguardo dell’altro, tra vergogna e vocazione comica, tra riso e violenza, masochismo e
crudeltà. Infine, la parabola della borghesia francese ottocentesca, del suo
capitalismo diviso tra utilitarismo razionalista e fantasmagoria cesarista.
Tra razionalizzazione dello scambio simbolico e fascinazione per ciò che
nello scambio resta indicibile, irriducibile, mostruoso.
Il libro affronta il disagio, innanzitutto collettivo, della società in Rete, prendendosi cura del
logos attraverso il pathos e immergendo così la
filosofia nei problemi del linguaggio, dell’attenzione e dell’affettività: lo sfruttamento intensivo di tali facoltà ne mette infatti a rischio
la salute e le stesse condizioni di possibilità.
L’obiettivo è perciò analizzare le esperienze
collettive di sofferenza, precarietà e disturbi
dell’attenzione, per riportare il vissuto dell’esperienza sul piano della filosofia e concepire una sorta di empirismo diagnostico che si
muova dal lavoro ai media, dalla miseria simbolica alla povertà materiale, dalle condizioni
del sapere all’ingerenza del marketing e al ruolo della tecnologia. Attraverso un percorso al tempo stesso teoretico, estetico e politico, che va da
Nietzsche a Canguilhem, Simondon e Foucault, da Adorno e Horkheimer a Deleuze e Guattari fino a Sloterdijk e a Stiegler, si schiude l’opportunità di tracciare una sintomatologia propriamente sociale, col fine propositivo di inventare legami sopra l’abisso del senso scavato dal capitalismo
pulsionale. A questo primo ambito d’intervento si aggiunge la volontà di
trasformare i sintomi in questioni teoriche da affrontare per riuscire a fare
filosofia oggi, non solo nonostante l’ipertrofia del marketing, delle tecnologie istupidenti del controllo e del pensiero unico dettato dal Mercato,
ma proprio a partire da questi fenomeni disastrosi per il pensiero stesso.
Quattro saggi sul Flaubert di Sartre
Sintomatologie di quel che ci accade
Federico Leoni ha svolto attività di ricerca presso il Dipartimento di Filosofia
dell’Università Statale di Milano e lavora attualmente per Giangiacomo Feltrinelli Editore. Insegna all’IRPA (Istituto di ricerca per la psicoanalisi applicata)
di Milano.
Paolo Vignola è dottore di ricerca in filosofia e svolge attività di ricerca presso
l’Università di Genova. È membro del comitato di consulenza scientifica di “Millepiani” e collabora con le riviste “Kainos” e “Officine Filosofiche”.
pp. 138 – € 13,00
pp. 174 – € 16,00
Margini della filosofia contemporanea
Piergiorgio Bianchi
Il sintomo e il discorso
Lacan legge Marx
a cura di Attilio Bruzzone & Paolo Vignola
I 29 testi proposti in questo volume descrivono teorie, problemi, autori e discipline ritenuti
esterni o marginali rispetto ai logoi e topoi ufficiali della filosofia novecentesca. In quest’ottica, la raccolta di saggi, che presenta un’esposizione decentrata e rizomatica del dibattito
filosofico da Nietzsche ad oggi, ha innanzitutto l’obiettivo di fornire uno strumento euristico affermativo, in grado di evidenziare come
i margini disciplinari, stilistici e contenutistici
rispetto all’idea che la filosofia si è costruita di
se stessa abbiano in realtà contribuito essenzialmente alla crescita concettuale, metodologica
ed espressiva del pensiero contemporaneo.
▶ Saggi di: Francesco Aloe, Maria Cristina Amoretti, Emanuele Antonelli, Sara
Baranzoni, Andrea C. Bertino, Ilaria Boeddu, Attilio Bruzzone, Francesco Camera, Stefania Consigliere, Gerardo Cunico, Vincenzo Cuomo, Marco Damonte,
Francesca Dell’Orto, Filippo Domenicali, Ubaldo Fadini, Lisa Fazio, Maria Luisa
Haupt, Oscar Meo, Emanuela Miconi, Bruno Moroncini, Andrea Natali, Simona
Paravagna, Selena Pastorino, Igor Pelgreffi, Ignazio Semino, Alessia Solerio, Paolo
Vignola, Silverio Zanobetti, Matteo Zoppi, Giuseppe Zuccarino
Attilio Bruzzone, assegnista di ricerca e cultore della materia Filosofia teoretica
presso l’Università di Genova, è studioso di Georg Simmel, del pensiero marxista
eterodosso del ’900 tedesco (Lukács, Korsch, Bloch) e di teoria critica (Kracauer,
Adorno, Horkheimer, Benjamin), cui ha dedicato diversi lavori.
Marx è l’«inventore del sintomo». Accostando
la nozione di sintomo alla teoria del plusvalore, Lacan pone la pulsione e i suoi destini sul
versante dei processi descritti nel Capitale. Per
la psicoanalisi, metafora e ripetizione sono i
due aspetti in cui il sintomo si presenta. La
prima è legata all’emergere di un senso nascosto ma decifrabile, la seconda insiste su di un
godimento impossibile ed opaco. Lacan interroga il marxismo sul suo destino oscillante tra
una verità che annuncia di separarsi dalla filosofia ed un progetto che intende sovvertire il
sociale; lo invita a ripensare l’uso della politica
nel momento in cui l’universale del discorso
politico mostra la sua funzione di ideologia; alla psicoanalisi domanda
invece di sollevare il velo sull’impossibile che il soggetto reperisce come
un sapere inconscio, inventando un uso del sintomo che arricchisca l’esperienza singolare. È possibile oggi una politica che resista al dominio
delle scienze cognitive e alle strategie del controllo? È chiaro che pronunciare una domanda sugli effetti di verità dei discorsi di Marx e Lacan
significhi anche verificare la solidità dei dispositivi predisposti alla loro
neutralizzazione.
Piergiorgio Bianchi è laureato in Filosofia e in Storia presso l’Università di Genova. Si occupa di temi di filosofia, politica e psicoanalisi. Dal 1995 fa parte della
Scuola Lacaniana di Psicoanalisi.
Paolo Vignola è dottore di ricerca in filosofia e svolge attività di ricerca presso
l’Università di Genova. È membro del comitato di consulenza scientifica di “Millepiani” e collabora con le riviste “Kainos” e “Officine Filosofiche”.
pp. 454 – € 20,00
pp. 144 – € 15,00
Paolo Jedlowski
In un passaggio d’epoca
Esercizi di teoria sociale
Teoria sociale
collana diretta da Massimo Cerulo
Comitato scientifico
Gabriele Balbi
Emiliano Bevilacqua
Davide Borrelli
Franco Crespi
Anne Dufourmantelle
Elena Esposito
Paolo Jedlowski
Danilo Martuccelli
Monica Massari
Massimo Pendenza
Walter Privitera
Cirus Rinaldi
Ambrogio Santambrogio
Gabriella Turnaturi
Giuseppe A. Veltri
Il passaggio d’epoca in cui siamo coinvolti
comporta molteplici sfide. A essere sfidata è
anche la teoria sociale. I presupposti, i concetti e i procedimenti conoscitivi di cui questa
è composta sono stati formulati in Europa e
in Nord America, ma alla luce di ciò che ora
sappiamo di un mondo più vasto e interdipendente vanno messi alla prova, rivisitati e,
a volte, riformulati.
Dobbiamo fare teoria: pensare nella situazione
di oggi. La teoria sociale è anche una pratica:
quella di esercitare metodicamente il pensiero
mettendo a confronto le nostre idee con ciò
che loro resiste. A questa pratica si ispirano gli
esercizi che questo volume comprende: si tratta di esercitarci a mettere in
questione ciò che sappiamo, a mettere a frutto nuove fonti, ad ascoltare le
nuove voci con cui il mondo ci parla.
Modernità e modernità multiple, sfera pubblica, postcolonial studies, interdipendenza e narrazione di sé sono alcuni dei temi che affronta il volume, in un linguaggio che non cerca espressioni ad effetto, ma fa della
ricerca di una sobria chiarezza la propria cifra stilistica.
Paolo Jedlowski è ordinario di sociologia all’Università della Calabria, dove è corresponsabile della scuola dottorale “André Gunder Frank” e dove ha fondato e dirige Ossidiana − Osservatorio sui processi culturali e la vita quotidiana. Si occupa
di teoria sociale, storia della sociologia e sociologia della cultura. È considerato
uno dei fondatori dello studio sociologico della memoria in Italia; di memorie autobiografiche si occupa attualmente in collaborazione con Philo − Scuola superiore
di pratiche filosofiche di Milano.
pp. 146 – € 13,00
Emozioni e ragione nelle pratiche sociali
Franco Crespi
Esistenza-come-realtà
Contro il predominio dell’economia
a cura di Massimo Cerulo & Franco Crespi
In che modo la modernità ha influito sull’esperienza soggettiva e sociale della realtà (credenze, valori, stili di vita)? Quali nuove pratiche, emozionali e razionali, sono venute oggi
affermandosi a seguito della crisi globale e del
fallimento di molte logiche capitalistiche? E
che ruolo svolgono emozioni, sentimenti e passioni (paura, nostalgia, vergogna, indignazione,
amore) nelle modalità dell’agire? Il presente
volume di teoria sociale prova a rispondere a
queste domande riflettendo sulle forme dell’agire umano, tenuto conto dell’intimo nesso che
intercorre tra agire e conoscere, tra ragione ed
emozioni. Perché le pratiche sociali, oltre a essere vissute ed esperite secondo la duplice prospettiva individuale e collettiva,
risultano sempre variamente intrise di emozionalità e razionalità. In tal senso, l’obiettivo del presente lavoro è di riflettere sulle forme e sui modi in cui
le pratiche sociali prendono vita e, anche attraverso un ripensamento critico
delle teorie dei classici della sociologia e della filosofia, proporre nuove e più
adeguate interpretazioni della realtà nella quale viviamo.
La realtà non è solo qualcosa che sta fuori di
noi imponendo dall’esterno le sue leggi e le
sue sanzioni, ma è anche, almeno in parte, il
prodotto delle nostre immagini e rappresentazioni, il risultato di ciò in cui crediamo. Nei
secoli passati gli esseri umani hanno costruito la loro realtà fondandola prima sull’idea di
Dio, poi sul Potere politico e infine sul Denaro e l’Economia: tutte entità astratte al di
sopra dell’individuo e di fatto incontrollabili.
Nell’epoca attuale, sembra finalmente venuto
il momento di assumere responsabilmente e
attivamente la costruzione della realtà a partire dalla nostra concreta esperienza di vita.
L’importanza che per noi hanno assunto i valori della qualità della vita
quotidiana, della libertà, della felicità e dell’amore, trova la sua migliore
espressione nell’idea di esistenza, come situazione comune a tutti gli esseri
umani dalla quale trarre i criteri per la solidarietà sociale, i principî della
politica, le scelte dell’economia. Vogliamo andare verso una realtà dal
volto umano contraria a ogni ingiustizia, sopraffazione, violenza.
▶ Saggi di: Matteo Bianchin, Massimo Cerulo, Franco Crespi, Paolo Jedlowski,
Mauro Magatti, Danilo Martuccelli, Walter Privitera, Elena Pulcini, Ambrogio
Santambrogio, Gabriella Turnaturi
Franco Crespi è professore emerito di Sociologia nell’Università degli Studi di
Perugia. Tra le sue numerose pubblicazioni ricordiamo: Esistenza e simbolico (Milano 1978), Evento e struttura (Bologna 1993), Imparare ad esistere (Roma 1994),
Teoria dell’agire sociale (Bologna 1999), Identità e riconoscimento (Roma-Bari
2003), Contro l’aldilà – per una nuova cultura laica (Bologna 2008).
Massimo Cerulo è ricercatore in sociologia generale nel Dipartimento di Culture,
Politica e Società dell’Università di Torino. Ha introdotto in Italia parti della teoria sociale di alcuni classici della sociologia, quali Pierre Bourdieu, Gabriel Tarde
e Arlie R. Hochschild.
Franco Crespi è professore emerito di Sociologia nell’Università degli Studi di
Perugia.
pp. 232 – € 17,00
pp. 88 – € 10,00
Pierre Bourdieu
Cose dette
Gabriel Tarde
L’azione dei fatti futuri – I Possibili
Verso una sociologia riflessiva
a cura di Massimo Cerulo
a cura di Filippo Domenicali
Attraverso lunghe interviste con studiosi francesi e internazionali (antropologi, economisti
e sociologi esperti di arte, religione, letteratura, ecc.), Pierre Bourdieu si spiega. Rende
chiari alcuni aspetti oscuri e mal compresi delle sue ricerche, esplicita i presupposti filosofici
dei suoi studi, evoca la logica concreta delle
sue indagini e, nello stesso tempo, discute o
rifiuta le obiezioni che gli vengono più spesso
rivolte. La vivacità del discorso improvvisato
permette di vedere all’opera una modalità di
pensiero che può essere anche uno strumento, liberatore, di socioanalisi. Applicando a se
stesso il metodo di analisi delle opere culturali
che egli difende, processo che lo conduce a evocare lo spazio dei possibili
teorici così come si presenta nei differenti momenti del suo itinerario
intellettuale, Bourdieu offre i mezzi per ottenere una conoscenza sia oggettiva che comprensiva del suo lavoro. E nello stesso tempo è tutto il
dibattito tra le scienze dell’uomo e la filosofia che, sfuggendo alle insinuazioni oscure della denuncia ipocrita o ai falsi lustri della polemica pubblica, si trova situato sul suo terreno più appropriato, quello del confronto
rigoroso e leale.
Pierre Bourdieu (1930-2002), filosofo di formazione e sociologo d’elezione, è
internazionalmente riconosciuto come uno degli intellettuali contemporanei più
importanti e influenti. Nel 1975 fonda la rivista «Actes de la recherche en sciences sociales», e nel 1981 viene nominato professore di sociologia al Collège de
France. Tra le sue opere più importanti: L’amore dell’arte (1966), La riproduzione
(1970), Per una teoria della pratica (1972), La distinzione (1979), La parola e il
potere (1982), Homo academicus (1984), Le regole dell’arte (1992), Sulla televisione
(1996), Meditazioni pascaliane (1997), Il dominio maschile (1998), Le strutture
sociali dell’economia (2000), Il mestiere di scienziato (2001).
pp. 242 – € 17,00
vi capita di assistere al battesimo di
“unQuando
bambino, provate a pensare all’ovulo che ha
impedito di essere fecondato, all’embrione a cui
ha impedito di nascere. Quando guardate un
fiore, pensate agli altri semi di cui ha preso il
posto al sole e nella buona terra fertile; quando vedete una bella quercia, pensate anche alle
piccole piante che sono deperite sotto la sua ombra. Quando leggete un libro di storia, pensate
alle imprese mancate, ai progetti che non hanno
avuto successo: la conquista dei Parti sognata da
Cesare, o lo sbarco in Inghilterra immaginato da
Napoleone I. Quando guardate le stelle in una
notte serena, provate a pensare agli altri soli che avrebbero potuto
brillare, alle altre costellazioni diversamente configurate e dipinte che
avrebbero potuto affascinare occhi diversi dai nostri, se gli astri attuali non si fossero impadroniti del firmamento, della luce e della vita. In
una parola, quando guardate questo Universo, provate a pensare che
deve la sua esistenza all’immolazione di migliaia di altri universi, tra
i quali se ne troverebbero forse, malgrado Leibniz, di migliori e di più
belli – anche se non, almeno credo, di più differenziati!”
-Gabriel TardeGabriel Tarde, (1843-1904), sociologo e magistrato, è stato un pensatore autodidatta e antiaccademico. Pur avendo goduto di un’enorme fortuna alla fine
dell’Ottocento, con il nuovo secolo è stato vittima di un “inspiegabile oblio”. Fu
riscoperto da Deleuze negli anni Sessanta, che ne ha rivalutato l’opera metafisica
considerandolo a pieno titolo come un precursore del pensiero di autori eterodossi del calibro di Souriau, Ruyer e Simondon, per la sua attenzione ai concetti di
Differenza, Ripetizione, possibile, virtuale, monadi, e molto altro.
pp. 102 – € 10,00
Antiche novità
Una guida transdisciplinare per interpretare il vecchio e il nuovo
Dario Verderame
Rituale e confini
Dialogare attraverso i riti
a cura di Gabriele Balbi & Cecilia Winterhalter
Prefazione di Victoria de Grazia
Vecchio e nuovo, tradizione e innovazione,
continuità e cambiamento, non sono forme
alternative, ma aspetti complementari di uno
stesso moto al centro della realtà contemporanea. Il volume si pone l’obiettivo di ripensare
le modalità con cui questi binomi inscindibili interagiscono e si riconfigurano in 7 diversi
campi di studio: le scienze della comunicazione, i diritti umani, la sociologia delle emozioni,
la storia della scienza, le scienze culinarie, la
sociologia della moda e la storia della religione. I risultati di questo esperimento sono per
certi versi sorprendenti e delineano una sorta di
“guida” valida per le discipline considerate, ma
che stimola a riflettere su altri casi simili.
▶ Saggi di: Gabriele Balbi, Maria Stefania Cataleta, Massimo Cerulo, Alberto Fragio, Alessandra Guigoni, Marco Pedroni, Cecilia Winterhalter
Gabriele Balbi è Assistant Professor in Media Studies presso l’Università della
Svizzera italiana di Lugano. Ha insegnato e ricercato presso le Università di Torino, Harvard, Maastricht, Columbia, Westminster, Oxford e Newcastle. Le sue
ricerche si focalizzano sulla storia dei mass media e delle telecomunicazioni e sulla
storiografia della comunicazione.
Cecilia Winterhalter è una storica contemporanea indipendente che si occupa di
costruzione dell’identità attraverso la religione, la moda, il cibo, i prodotti innovativi e la memoria selettiva. Ha ricercato o insegnato all’Istituto Universitario
Europeo, le Università di Basilea, Roma, Pisa, Oxford, il Fashion Institute of
Technology e il London College of Fashion.
pp. 156 – € 16,00
Nel senso comune, come in gran parte del discorso scientifico, il rituale è associato a un tipo
di pratica dalla natura escludente e particolaristica. I riti, questa è la tesi più diffusa, operano
come un meccanismo differenziante che separa
rigidamente un’intera comunità o un gruppo,
dediti alla loro celebrazione, dall’ambiente sociale che li circonda. Archetipo del già fatto,
il rituale si oppone alla maturazione di soggettività chiamate alla continua reinvenzione
dei propri progetti di vita, in un’epoca, quella
della tarda o post modernità, inesorabilmente
orientata al futuro e alla rimozione dei confini. Dopo aver ricostruito le argomentazioni
di quegli autori che, in vario modo, hanno sostenuto un’interpretazione
del rituale come una pratica dalla natura escludente, il volume cerca di
mostrare la ragionevolezza di una tesi opposta: quella in base alla quale il
rituale contiene in sé delle proprietà emergenti e generative tali da favorire
il dialogo con l’Altro. Attraverso un’attenta analisi della letteratura, prevalentemente sociologica e antropologica, la tesi che il volume fa propria è
quella che considera il rituale come una risorsa nella costruzione di legami
sociali di tipo inclusivo e, quindi, come una forma di agire attraverso la
quale diviene possibile mediare le differenze e negoziare i confini che le
separano, senza che questi ultimi vengano e-lusi o e-liminati.
Dario Verderame è dottore di ricerca in Sociologia e svolge la sua attività di studio
presso l’Università di Salerno. Il suo interesse di ricerca prevalente riguarda l’analisi dei processi culturali legati alle trasformazioni dello stato-nazione e dell’Europa.
pp. 242 – € 17,00
Johann Heinrich Lambert
Disegno dell’architettonica o teoria del semplice e del primo
nella conoscenza filosofica e nella conoscenza matematica
a cura di Raffaele Ciafardone
Germanica
collana diretta da Roberto Garaventa
Comitato scientifico
Giuseppe Cacciatore
Gerardo Cunico
Michael Eckert
Anton Hügli
Jean-Claude Gens
L’Architettonica rappresenta il tentativo più
imponente e più organico, compiuto nell’età moderna da Cartesio a Wolff, di fondare
un’ontologia scientifica. Il metodo impiegato
da Lambert è una sintesi tra l’assiomatica euclidea e l’arte combinatoria leibniziana. Come
Euclide muove dallo spazio scomponendolo
nei suoi elementi semplici (punti, linee, angoli, ecc.), così Lambert prende il primo e il
semplice di ogni parte della conoscenza umana per darne una trattazione combinatoria e,
in definitiva, per attuare quel progetto di una
“matematica universale” che prima Cartesio e
dopo Leibniz, sia pure in modo diverso, avevano cercato di realizzare. La prima parte dell’Architettonica è dedicata ai
concetti semplici, ai primi principî e ai postulati dell’ontologia. La seconda e la terza parte dell’opera trattano di una sfera “ideale” e una sfera “reale” dell’ontologia. La sfera ideale concerne la dottrina dei generi e delle
specie, il principio di non contraddizione, il qualcosa e il nulla, i concetti
di necessità, di verità logica e verità metafisica, di ordine e perfezione. La
sfera reale riguarda il solido e le forze, che sono la base dei rapporti ideali
e fanno sì che essi non siano un mero sogno. La quarta e ultima parte
concerne la quantità. In essa non si tratta di una filosofia della matematica che si lasci confrontare con le indagini ontologiche ma ha per oggetto
i concetti semplici che sono alla base di queste.
Johann Heinrich Lambert (1728–1777), è stato un matematico, fisico, astronomo e filosofo tedesco contemporaneo di Eulero. Fu un pioniere della geometria
non euclidea. Nel campo della fisica ha lasciato importanti contributi in fotometria ed è attribuita la prima dimostrazione dell’irrazionalità di pi greco.
pp. 672 – € 30,00
Friedrich Wilhelm Joseph Schelling
Lezioni di Stoccarda
Karl Jaspers
La fede filosofica a confronto con la rivelazione cristiana
a cura di Carlo Tatasciore
a cura di Roberto Garaventa
Dopo le Ricerche filosofiche sull’essenza della
libertà umana del 1809, l’ultimo lavoro importante pubblicato da Schelling, le Lezioni
di Stoccarda furono tenute privatamente nel
1810 da un filosofo che, ancora profondamente avvolto dalla malinconia e dal lutto
per la perdita della moglie Carolina, tornava
di nuovo a riflettere sul proprio sistema filosofico, sul significato dell’identità assoluta
come suo principio, cercando di descrivere
razionalmente e analogicamente l’essenza originaria del Dio vivente, la sua contrazione nel
reale, il rapporto della natura con Dio e con
il mondo spirituale. Sullo sfondo rimaneva il
vero senso da dare al panteismo, ma lo scavo compiuto da Schelling nelle
forze motrici in cui libertà e necessità si identificano, prima ancora della
coscienza e di ogni separazione, ne hanno permesso interessanti letture
attuali. L’umanità è non meno al centro di queste lezioni sia riguardo alla
costituzione interna dello spirito sia rispetto all’affannosa ricerca anche
esterna, politica e storica, dell’unità. Vengono così anticipati temi che torneranno non solo nell’altrettanto inedito “cantiere” delle Età del mondo,
scritto iniziato nello stesso anno, ma anche in tutta la successiva filosofia
“positiva” schellinghiana.
Questo saggio (1960) di Karl Jaspers ha come
tema il confronto tra la fede filosofica e la
fede nella rivelazione cristiana. Il singolo individuo, nella misura in cui è già sempre in
rapporto con quella Realtà onniabbracciante e
trascendente che lo sollecita ad andare al di là
del suo mero «esserci» e a «esistere» in modo
autentico, ha la possibilità di diventare se-stesso, cioè di dare alla propria vita un’impronta
precisa e determinata. Chi trova, però, una verità in grado di sostanziare e indirizzare la sua
esistenza, si può ben dire che abbia una «fede».
C’è tuttavia una differenza radicale tra la fede
filosofica e la fede nella rivelazione cristiana.
Mentre quest’ultima ritiene che la Trascendenza si sia manifestata concretamente ed esaustivamente nella figura storica di Gesù Cristo, la prima
ritiene che anche la rivelazione di Dio in Gesù di Nazareth sia solo una
«cifra», una traccia, storicamente determinata e quindi inadeguata, della
Trascendenza, che resta in ultima analisi nascosta. Di qui l’ineludibilità
di una comunicazione tra «esistenze» alla ricerca dell’unica verità sempre
più grande, ma anche la necessità di una critica filosofica della «pretesa
di assolutezza», avanzata dalla fede rivelata, che è stata così spesso nella
storia fonte di fanatismi, conflitti, violenze. Il rispetto per la fede altrui
non significa, infatti, rinunciare a un confronto fondato sulla ragione.
Friedrich Wilhelm Joseph Schelling (1775-1854) fu uno dei protagonisti della
filosofia classica tedesca. Iniziò ancor giovane a insegnare a Jena, vivente ancora
Kant, grazie ai buoni auspici di Fichte e Goethe, e concluse a Berlino occupando
la cattedra che era stata di Hegel. Dopo la natura, fu il tema della libertà a fargli
avviare una riflessione autocritica sul sistema idealistico.
pp. 104 – € 10,00
Karl Jaspers (1883-1969), assistente volontario dal 1920 al 1915 alla clinica psichiatrica di Heidelberg, nel 1913 pubblica la Psicopatologia generale. Dal 1916 è
professore di psicologia a Heidelberg e nel 1919 pubblica la Psicologia delle visioni
del mondo, uno dei primi documenti della filosofia dell’esistenza. Dal 1921 passa
alla cattedra di filosofia e, dopo un decennio di insegnamento, pubblica Filosofia
(1932), la sua opera più importante.
pp. 146 – € 15,00
Slavoj Žižek
Sul teatro musicale
Busoni, Wagner, Mozart, Čajkovskij, Janáček
a cura di Diego Giordano
Ricercare
collana di estetica, immagine e musica
In questo libro Žižek compie un fantastico
viaggio tra alcune delle più importanti opere
per il teatro musicale scritte da grandi compositori. Il percorso di analisi – come in una
seduta dallo psicoanalista – non è mai banale
e piccoli dettagli che sembrano inizialmente
irrilevanti assumono connotati decisivi: e allora Busoni avrebbe scritto il finale dell’incompiuto Doktor Faust nella tonalità dell’apertura
e della speranza di Do maggiore, oppure in
quella oscura e deprimente di Mi bemolle
minore? E Evgenij Onegin dell’opera omonima di Čajkovskij è un omosessuale che ama
l’amico Lenskij, come verrebbe messo in luce
da un’originale lettura del testo dell’opera? E, in senso completamente
opposto alla convinzione di Nietzsche, in Parsifal sono presenti i temi
dell’ideologia pagana ardentemente celebrata da Wagner, mentre è la Tetralogia dell’Anello l’opera più cristiana del compositore tedesco? Queste
e molte altre sono le “rivelazioni” compiute da Žižek con la sua consueta
efficacia discorsiva e capacità di incuriosire il lettore.
Slavoj Žižek, filosofo e critico culturale sloveno, è tra i più influenti pensatori
viventi. È professore presso l’European Graduate School, Direttore del Birkbeck
Institute for the Humanities, Università di Londra, e ricercatore all’Istituto di
sociologia dell’Università di Lubiana, Slovenia. Tra le sue numerose opere apparse
di recente in traduzione italiana: Meno di niente. Hegel e l’ombra del materialismo
dialettico (Milano 2013), La visione di parallasse (Genova 2013), Cosa vuole l’Europa? (Verona 2014).
pp. 190 – € 16,00
Giuseppe Rensi
Frammenti d’una filosofia dell’errore
e del dolore, del male e della morte
a cura di Marco Fortunato
Italiana
collana diretta da Elio Matassi
Frammenti d’una filosofia dell’errore e del dolore, del male e della morte è l’ultimo dei sei libri
in cui Rensi rompe con i consueti moduli sistematico-trattatistici dell’esposizione filosofica e adotta lo stile del pensiero breve. Questo “formato” è caratterizzato da una duttilità
che esalta le grandi doti di scrittore e anche di
affabulatore di Rensi. Lo vediamo così svariare da illuminanti interpretazioni di alcuni fra
i “luoghi” più classici della filosofia occidentale, a penetranti “bozzetti” paranarrativi o
storici che toccano le aporie della condizione
umana con una sensibilità degna di Pascal o
di Leopardi. Ma non è per fare una più bella
figura che Rensi opta per il pensiero breve. Piuttosto, uno spazio testuale
come quello di Frammenti, continuamente interrotto e quasi cosparso di
frantumi, gli deve essere parso il più idoneo a rispecchiare il disgraziato
assetto ontologico e assiologico del mondo, che Rensi vede-giudica posto
sotto il segno dell’assurdo, del caso e della violenza. Come traspare già dal
titolo, Frammenti è appunto una variazione sul tema di questa dolorosa
certezza. Ma si tratta di una “rapsodia del negativo” che non ingenera
nel lettore accasciamento, bensì quasi paradossalmente produce su di lui
un effetto tonificante per via dell’intensità e della fortissima carica etica
d’indignazione con cui Rensi conduce la sua requisitoria contro il male.
Giuseppe Rensi (1871-1941), è uno dei più originali e vigorosi pensatori, non
solo italiani, della prima metà del Novecento. Teoreta acuto e provocatorio e
scrittore smagliante, dopo un breve periodo in chiave idealistica si attestò, anche
in virtù di un’eccezionale sensibilità per il dolore di tutti i viventi e per i fattori di
irrazionalità del reale, su posizioni scettico-pessimistiche. Pur fedele al materialismo negli ultimi anni sviluppò una meditazione mistico-religiosa.
pp. 162 – € 15,00
Piergiorgio Bianchi
Il campo di esperienza
Positività del sensibile e ricerca estetica in Galvano della Volpe
Il campo di esperienza che Galvano della Volpe
ha aperto nella filosofia italiana del Novecento
non si chiude con la fine di una stagione culturale. Della Volpe si mostra fedele al progetto di
una gnoseologia critica che delinea, almeno nei
suoi tratti essenziali, fin dalle opere degli anni
Trenta e Quaranta. Pur formatosi nell’ambito
dell’attualismo, diviene ben presto sostenitore
della positività del sensibile, che presenta come
il versante rimosso di ogni filosofia idealistica.
La ricerca intorno ai fondamenti della conoscenza si traduce, dopo l’adesione al marxismo,
in una proposta estetica di ampio respiro al cui
centro vi è la singolarità dell’oggetto artistico.
Da filosofia del sensibile diviene gnoseologia delle arti. Della Volpe punta
ad una fondazione razionale dell’estetica la quale integri le indicazioni sociologiche del marxismo con le acquisizioni della linguistica e della critica
letteraria. L’estetica di della Volpe dichiara il proprio impianto aristotelico,
precisandosi come teoria dei discorsi ed inducendo a riflettere sulla differenza tra pensiero filosofico (e scientifico) e linguaggio poetico.
Piergiorgio Bianchi è laureato in Filosofia e in Storia presso l’Università di Genova. Si occupa di temi di filosofia, politica e psicoanalisi. Ha pubblicato Marx
e Lacan. La questione del soggetto inconscio (Genova 1999) e Il lavoro del filosofo.
Ragione e politica in Galvano della Volpe (Savona 2008). Scrive per «L’art du comprendre». Dal 1995 fa parte della Scuola Lacaniana di Psicoanalisi.
pp. 160 – € 15,00
Franco Lolli
Günther Anders
Sillabario
collana diretta da Federico Leoni
Ogni libro della collana presenta un
grande autore, un classico. Della filosofia, della letteratura, della storia dell’arte. Ma lo presenta in modo
tutt’altro che classico. Ne parla
per tentare un esperimento con la
` come diceva Nietzsche. Un
verita,
filosofo parla di uno scrittore, un
narratore di uno storico dell’arte,
uno psicoanalista di uno scultore.
Ciascuno racconta una sua passione
segreta. Una sua ossessione. Non
e` tempo di storicizzare, di collocare autori e testi nel cielo bianco
` tempo di dichiarare
` E
dell’eternita.
amore e guerra. Non per un autore
o un’opera, ma per il suo presente.
E cioe` per il nostro.
Il pensiero di uno dei più originali filosofi del
Novecento presentato da uno psicoanalista
che, favorito dalla posizione di ‘infiltrato’ in un
campo contiguo al proprio, privilegia una lettura appassionata e non convenzionale, capace
di evidenziare la vitalità e l’attualità di un’elaborazione teorica troppo spesso trascurata dall’Accademia.
Franco Lolli, psicoanalista di ALIPSI, è direttore
dell’istituto di psicoterapia IRPA di Grottammare e
consulente presso diverse strutture pubbliche e private. È autore di numerose pubblicazioni, tra le più
recenti: È più forte di me (Alberobello 2012), L’epoca
dell’inconshow (Milano-Udine 2012).
pp. 94 – € 10,00
Kierkegaard y la Comunicación
multilingual book
a cura di Diego Giordano & José García Martín
Studi kierkegaardiani
collana diretta da Roberto Garaventa
Kierkegaard, el hombre de las mil caras, pareció querer vivir muchas vidas en una, al menos
literariamente. En efecto, es tan sutil en sus
análisis psicológico-existenciales, en la manera de desarrollar los diferentes puntos de vista existenciales que presentan sus personajes
pseudónimos, que se diría que los ha vivido
personalmente; o bien, que fue un gran conocedor de la naturaleza humana, o que poseía
una portentosa imaginación. Sea como sea, lo
cierto es que asombra y desconcierta ese uso
que hace un tanto teatral y lúdico de las máscaras.
▶ Ensayos de: María José Binetti, Patricia Carina Dip, Diego Giordano, Nassim
Bravo Jordán, Søren Landkildehus, José García Martín, Alejandro Cavallazzi Sánchez, Azucena Palavicini Sánchez
Diego Giordano es investigador en el Søren Kierkegaard Forskningscenter de Copenhague, y secretario de la Società Italiana per gli Studi Kierkegaardiani. Sus
trabajos se concentran principalmente al pensamiento filosófico-religioso del final
del s. XVIII y la primera mitad del siglo XIX. Sobre Kierkegaard ha publicado
numerosos ensayos, entre otros los recogidos en las monografías colectivas NotaBene, Quæstiones disputatæ, Revista Portuguesa de Filosofia. Colabora, asimismo, en
la serie Kierkegaard Research: Sources, Reception and Resources (London).
José García Martín es investigador en la Universidad de Málaga especializado en
el pensador danés Søren A. Kierkegaard. Promotor, cofundador y Presidente de la
Sociedad Hispánica de Amigos de Kierkegaard, ha impulsado significativamente
la colaboración internacional en los estudios kierkegaardianos. En la actualidad
forma parte del Comité Consultivo de la International Kierkegaard Society del
Centro de Investigaciones Søren Kierkegaard de la Universidad de Copenhague.
pp. 118 – € 12,00
Il discepolo di seconda mano
Alessandra Granito
Eugen Drewermann interprete di Kierkegaard
Saggi su Søren Kierkegaard
a cura di Roberto Garaventa e Diego Giordano
Con l’espressione discepolo di seconda mano
Kierkegaard si riferiva a coloro che, per contingenza storica, si rapportano alla figura del
Maestro in maniera indiretta, non essendo stati
suoi “contemporanei”. Nelle pagine di questo
libro i panni del Maestro sono vestiti da Søren
Kierkegaard, e quelli di discepoli secondari da
una nuova generazione di giovani studiosi del
filosofo danese. Tuttavia la silloge raggruppa
anche una serie di saggi di studiosi appartenenti
a generazioni precedenti. Tale separazione non
deve suscitare però alcuna perplessità perché,
come Kierkegaard ravvisa, non esiste né un discepolo di seconda mano né un discepolo contemporaneo, e ogni generazione che precede fa da battistrada e “occasione”
alla generazione successiva la quale, senza lasciarsi sopraffare dallo spavento
del peso da portare, deve al contrario «correre col vento in poppa».
▶ Saggi di: Antonella Fimiani, Alessandra Granito, Laura Liva, Gordon Marino,
Umberto Regina, Federica Scorolli, Jon Stewart, Anna Valentinetti
Roberto Garaventa, insegna “Storia della filosofia contemporanea” presso l’Università “G. d’Annunzio” di Chieti-Pescara e presso l’Università Telematica “Leonardo da Vinci” di Torrevecchia Teatina.
Diego Giordano, filosofo, musicista ed editore, si è formato presso le Università di
Salerno e di Roma, la Scuola di Alti Studi della Fondazione San Carlo di Modena
e l’EPHE di Parigi, ed è stato ricercatore all’Università di Copenhagen. I suoi
lavori sono dedicati principalmente al pensiero filosofico tra la fine del XVIII e la
prima metà del XIX secolo.
pp. 216 – € 13,00
Le quattro forme kierkegaardiane della disperazione
rilette alla luce della psicoanalisi
Sulle macerie della destituzione del moderno disimpegno metafisico-sostanzialistico, la
cultura contemporanea post-moderna ha costruito insidiose derive della soggettività, ne
ha profilato il rovesciamento al di fuori di se
stessa e ha plasmato un sé non più monolitico
e ipertrofico, ma borderline, vulnerabile ed eccentrico, scisso in quello scarto tragico tra fattualità e pretesa che ne La malattia per la morte
Søren Kierkegaard definisce «disperazione»,
intesa come epifenomeno di un’esistenza segnata dalla contestazione pessimistico-scettica
del sé. Il presente lavoro inquadra e attualizza tale riflessione nella cornice ermeneuticopsicoanalitica di Eugen Drewermann, il quale presenta la fenomenologia
kierkegaardiana del sé disperato come una fenomenologia del profondo, e
la «disperazione» come la conseguenza dell’elaborazione distorta dell’angoscia esistenziale e di un rapporto sbagliato con se stessi che sfocia nel
rifiuto di sé, nella stagnazione spirituale, in stati di disagio e di squilibrio
psico-esistenziali (nevrosi).
Alessandra Granito, è dottore di ricerca in Filosofia presso l‘Università «G. d’Annunzio» di Chieti-Pescara. Borsista D.A.A.D., ha svolto attività di ricerca presso
la «Eberhard Karls Universität» di Tübingen (Germania) ed è attualmente impegnata come Research Fellow presso il Søren Kierkegaard Forskingscenter di Copenaghen. Gli interessi di ricerca sono principalmente la tematica esistenziale (la
Existenzphilosophie tedesca), la meontologia, i rapporti tra filosofia, letteratura e
critica della modernità.
pp. 268 – € 17,00
Studi jaspersiani
Volume I
Studi jaspersiani
Rivista annuale
della “Società Italiana Karl Jaspers”
collana diretta da Giuseppe Cantillo & Francesco Miano
Comitato scientifico
Stefania Achella
Pio Colonnello
Kazuteru Fukui
Anton Hügli
Lars Lambrecht
Roberta Lanfredini
Reinhard Schulz
Giovanni Stanghellini
Steffen Wagner
Gregory J. Walters
Helmut Wautischer
Coordinamento scientifico-editoriale
Stefania Achella
Direttore editoriale
Diego Giordano
a cura di Stefania Achella & Steffen Wagner
Questo primo numero della rivista Studi jaspersiani, pubblicazione annuale della Società
italiana Karl Jaspers, fondata nel 2012, rappresenta l’inizio di un progetto che si lega alla
ripresa e alla diffusione del pensiero di Karl
Jaspers in Italia. Ma lo sguardo di questo progetto è proiettato anche sul piano internazionale, grazie al supporto di eminenti studiosi
italiani, tedeschi, svizzeri e austriaci, che fin da
questo primo numero hanno acconsentito alla
pubblicazione dei loro saggi. Il progetto della
rivista, che si avvale del contributo qualificato
di un comitato scientifico composto da alcuni
dei più autorevoli jaspersiani, si intende come
spazio di confronto tra studiosi di diverse origini, discipline e sensibilità,
ma tutti mossi dalla volontà di approfondire, discutere e far conoscere il
pensiero di Jaspers in tutte i suoi ambiti, la sua figura di psicopatologo, filosofo e intellettuale, la cui vita e opera ha attraversato gli anni più difficili
nella storia dell’Europa, dalle due guerre e dalla immane catastrofe politica, morale e umana della violenza nazista alla pacificazione dell’Europa
del secondo dopo guerra. Sullo sfondo di questa esperienza l’attenzione
degli Studi jaspersiani è volta oltre che al recupero del pensiero di Jaspers,
anche alla sua attualità e ai possibili sviluppi.
▶ Saggi di: Stefania Achella, Elena Alessiato, Giandomenico Bonanni, Giuseppe
Cantillo, Roberto Celada Ballanti, Andreas Cesana, Antonio Di Gennaro, Claudio Fiorillo, Umberto Galimberti, Roberto Garaventa, Antonello Giugliano, Anton Hügli, Giuseppe Maccauro, Francesco Miano, Rossella Bonito Oliva, Thomas
Rentsch, Kurt Salamun, Hans Saner, Paola Ricci Sindoni, Angela Giustino Vitolo,
Steffen Wagner, Bernd Weidmann, Reiner Wiehl
pp. 394 – € 22,00
L’università in questioni
tratto da:
Pierre Macherey, La parola universitaria
pp. 21-26
È
un dato di fatto che lo statuto della res universitaria è oggi in questioni [en questions], al
plurale per mettere in evidenza che, oltre ad essere
di fatto minacciata la sua esistenza su tutti i fronti,
è la sua stessa realtà che fa problema, nella misura in
cui natura e funzioni sembrano rimesse in causa in
quanto tali. A che cosa serve l’università? Che cosa
vi si fa in concreto? Che tipo di discorso, peculiare
per forma e contenuto, vi si tiene? Che tipo di relazioni si intrecciano tra coloro che, a titolo diverso,
vi appartengono? A che condizioni può funzionare
correttamente, cioè adempiere le missioni di cui è investita, che legittimano il fatto che si cerchi di perpetuarla o eventualmente adattarla a nuovi bisogni
da definire? Queste domande si impongono oggi con
un’indiscutibile urgenza, in un contesto di diffidenza
e disperazione, sulla base del sospetto o della paura
che l’idea stessa di università possa davvero aver fatto
il suo tempo e dover lasciare il posto ad altro, senza
che si possa intravedere che cosa questo «altro» possa
essere e che prezzo bisognerebbe pagare per esso.
Tuttavia le difficoltà segnalate da tali questioni non
sono nuove: è da quando esiste, cioè da più di otto
secoli, che si sono manifestate, con periodi di calma,
cioè di assopimento, scanditi da momenti di grande
inquietudine e agitazione che rivelano come la cosa
universitaria non abbia cessato di essere oggetto di
preoccupazione, senza poter rimanere tranquilla nel
suo angolo, librata sulle sue franchigie, al riparo dallo
sguardo della collettività con la quale deve pur intrattenere delle relazioni di scambio che, in certe circostanze, possono rivestire un andamento tumultuoso e
mettere in pericolo i dispositivi ordinari da cui dipende il suo funzionamento normale, o considerato tale.
Il fatto che l’università sia in crisi non deve dunque
meravigliare, e anzi potrebbe costituirne la condizione normale, che si manifesti o meno attraverso degli
effetti visibili: la questione che si pone sarebbe, dunque, di sapere che tipo particolare di crisi attraversi
adesso. D’altra parte, trovarsi in una condizione critica è sicuramente molto fastidioso, ma può anche fornire l’occasione di sfuggire alla routine, al tran tran di
cui la corporazione universitaria, senza voler infierire,
tende spesso a farsi scudo, o uno schermo che serve a
nascondere i veri problemi, quelli che non sono mai
stati presi in considerazione, se non nella forma della
loro negazione, con tutte le conseguenze imbarazzanti che ciò inevitabilmente comporta. L’università va
male? Bisogna allora approfittarne per cercare di far
emergere certe necessità dimenticate o messe a tacere,
la cui rimozione ha reso più impellenti, anche se la
loro azione si è svolta all’ombra, protetta da un’ignoranza che ne ha rafforzato la nocività.
Come fare per riuscirci? La filosofia può essere utile? Bisogna aspettarsi che dica la verità sull’università,
un’università in cui, del resto, essa rivendica, in virtù
della propensione a dire il vero su ogni cosa, di occupare il posto che le spetta di diritto, riunendo in
una sola formula l’appello a «difendere l’università» e
quello a «difendere la filosofia»? La forma difensiva di
questi appelli porta a sospettare che la causa alla quale
rimandano sia persa in partenza, dando per scontato
che ad essa spettano solo manovre di ripiego, e cosa
ancora più grave di ripiego in sé, che tendono a fare
dell’università un bunker o un ghetto dotando per
contro la filosofia di indebiti privilegi. Tale ripiegamento in sé s’incarna proprio nello sforzo di perpetuare un’idea, verso la quale troverebbero una convergenza l’università e la filosofia, ricondotte alla loro
essenza pura – bisogna precisarlo? Diciamolo brutalmente fin da subito: bisogna guardarsi dai filosofi
che si mettono a riflettere o a perorare sull’università,
cercando di ricondurla alla sua idea o alla sua essenza,
con la cui promozione identificano la propria condotta di filosofi, che fa delle idee e delle essenze una delle
risorse commerciali più redditizie, della quale sono
i più titolati a sfruttare le innumerevoli possibilità.
Giocando sulla parentela della parola «università» e
della parola «universalità», con quest’ultima che designa proprio il tipo di realtà, definita dal suo carattere
globale, che si sono accaparrate, non hanno difficoltà
a trasformare la realtà storica della cosa che è l’università, con tutte le impurità di cui, in quanto cosa,
essa è affetta, così come con i cambiamenti di cui è
stata oggetto, in un’idealità immateriale e atemporale, alla quale l’immaterialità e l’atemporalità di cui la
gratificano danno la garanzia di indistruttibile unità:
in questa forma, essa si dispone e si destina ad essere
preservata e perpetuata, cosa che basta a giustificare
la tematica della «difesa», conferendole l’andamento
di un ritorno all’idea o all’essenza alle quali, se ci si
colloca dal punto di vista della verità, sarebbe impensabile essere infedele; e il filosofo si presenta come il
miglior custode della fedeltà che è loro dovuta. Non
bisogna, a questo proposito, raccontarsi storie: oltre
al fatto che l’idea attraverso cui essa si rappresenta
non è così chiara come preteso in virtù della garanzia
dei filosofi, – essi del resto si sono divisi su questo
punto foriero di molte occasioni di disputa –, l’uni-
versità non è essa stessa un’idea, ma è, come si è detto in maniera volutamente vaga all’inizio, una cosa,
mobile e peritura come lo sono tutte le cose, checché
ne dica il filosofo che pretende attingere, al di là del
piano in cui le semplici cose rimangono invischiate,
un ordine indistruttibile da cui esse deriverebbero la
propria intelligibilità profonda.
In concreto, l’università non è stata, perlomeno
all’origine, un’organizzazione intellettuale finalizzata
ad una rappresentazione unificata del sapere. È quanto
conferma il fatto che la parola universitas, che è servita
a nominarla al momento della sua creazione, deriva
dal vocabolario giuridico in cui designa un’associazione (societas, consortium), cioè un gruppo di persone
che lavorano insieme, uniti da una comunità di interessi, come avvenuto, nel Medioevo, nella corporazione dei maestri, nucleo delle antiche università. Prima
di definirsi su un piano ideale come l’incarnazione di
un corpo di saperi la cui solidarietà è fondata su dei
principi teorici che trascendono la realtà fattuale e le
sue divisioni contingenti, l’università è dunque una
collettività, una realtà sociale che si è formata ad un
certo momento, in condizioni storiche determinate,
e non per l’eternità. È per metafora che la rappresentazione dell’università si è associata al concetto astratto di universalità, che è venuto ad innestarsi sulla sua
figura iniziale come un supplemento d’anima di cui
al’inizio non aveva avuto bisogno per esistere.
Come cosa sociale, l’università, che non è certamente qualcosa che si genera da sé sola, non può sottrarsi a dibattiti che ne rimettano in causa la coesione
così come assicurata dalla conformità alla sua idea o
alla sua essenza; ed è sicuramente un danno alla cosa
che essa è il rifiuto di prendere in considerazione le
contraddizioni e gli scarti di cui questi dibattiti sono i
sintomi diretti o indiretti. Impegnandosi ad impostare
un discorso sull’università «in quanto tale», il filosofo
prende il rischio di ridurla ad un «come se», cioè ad un
simulacro, ad un dover essere che trae il suo carattere
affermativo, e anche imperativo, da una rivendicazione all’autosufficienza, all’assoluta presenza, pronta in
ogni momento a cadere nel vuoto. Piuttosto che supportare la tesi della preminenza di un «potere spirituale» indipendente dalle diverse figure del potere temporale che dirige o ispira dall’alto e da lontano, e che
tramuta l’Università, con la maiuscola, in una sorta di
chiesa laica, come un tempio inviolabile, occorrerebbe
domandarsi: l’università sì, ma a quali condizioni? – al
plurale, perché tali condizioni non sono necessariamente omogenee tra loro né sempre le stesse.
Il contrario o il reciproco del discorso filosofico
edificante e confortevole sul preteso «in quanto tale»
dell’università, che rinvia a ciò che dovrebbe essere
sorvolando beatamente ciò che è davvero in tale o talaltro posto e a tale o talaltro momento, sarebbe il
proposito disincantato e realista, di tono disfattista o,
se è il caso, contestatario, sull’università come «istituzione». A forza di circolare, in maniera altisonante o
aggressivo, il discorso sull’Istituzione, e qui s’impone ancora la maiuscola, si è banalizzato, in assenza
di un’analisi abbastanza accurata delle sue attese. Il
termine istituzione veicola insidiosamente la finzione
o il mito di un’organizzazione chiusa, bloccata e sigillata, labirintica come un castello kafkiano, talmente
attorcigliata su se stessa da opporre ad ogni tentativo
di penetrazione o di modifica una resistenza ostinata:
mettervi il dito vuol dire esporsi ad essere ripresi dal
potere assorbente della sua struttura centralizzata a cui
si può sfuggire solo affrontandola dall’esterno, con un
attacco frontale, dunque rimettendone radicalmente
in questione il carattere dominante. Di conseguenza non si può sfuggire all’alternativa: essere dentro o
fuori, cioè sottomettersi, deporre le armi e rientrare
nei ranghi o, al contrario, opporsi, combattere, con
l’obiettivo di distruggere il nemico, dato che non è
ammesso venire a patti con esso, inclusi i compromessi che vanno tutti a suo vantaggio, trasformandosi
in compromissioni. Non potendo essere trasformata,
l’inafferrabile istituzione sarebbe di conseguenza infrequentabile, in ragione del potere di trasformare in
schiavi passivi quelli che si arrischiano ad avvicinarla
e ad usarla, tributari più o meno consenzienti, nel
senso della servitù volontaria, del «sistema» implacabile che essa rappresenta, niente di più, per riprendere il termine evocativo coniato da Lacan, che degli
«astudiati» [astudés], assoggettati al regime di studi
che essa impone loro. Questo discorso, se lo si considera da vicino, si rivela del tutto simmetrico a quello che tengono spontaneamente i filosofi sull’essenza
dell’Università: entrambi rappresentano in blocco il
loro oggetto, l’Università, come una totalità ripiegata
su di sé, animata o ispirata da un bisogno di conformità la cui realizzazione sfocia nel dispiegamento di
un conformismo, che sia interpretato come un beneficio, un vantaggio da preservare, o al contrario come
una maledizione, che non basta esorcizzare ma che
occorre concretamente attaccare, tenendosi risolutamente a distanza e fuori della sua portata.
I due discorsi sono dunque alla fine equivalenti,
al punto quasi che il secondo, il discorso sull’Istituzione, fa emergere una componente che la disposizione idealizzante e in fin dei conti anestetizzante
del primo tende al contrario a cancellare, ad eludere,
se non a eliminare completamente: esso costituisce
espressamente l’università come un «luogo», luogo
chiuso, protetto dai suoi limiti, all’interno dei quali
delle persone, si sarebbe tentati di dire del personale,
si abbandonano a comportamenti ritualizzati, come
lo sono tutti i comportamenti sociali, che conforta-
no simbolicamente il profilo dell’Istituzione, gestita
come un microcosmo che dispone di sue regole e di
un suo linguaggio. Questi limiti e gli atteggiamenti
cui esse danno un campo di esercizio sono sfruttati nella prospettiva di una politica di contenimento,
restia ad ogni velleità di apertura sul mondo esterno
interpretato come una minaccia che rimetterebbe potenzialmente in causa la coesione da cui l’Istituzione
trae la forza di perseverare nel suo essere. Questa tematica del territorio iscrive il concetto di università
nello spazio di una topografia immaginaria e reale
insieme: topografia immaginaria nella misura in cui
ai fantasmi identitari che definiscono l’incorporazione nell’istituzione, fantasmi i cui presupposti restano
fondamentalmente oscuri; ma anche topografia reale,
quando delle speculazioni urbanistiche o securitarie
la traducono nei termini di una localizzazione quanto
più materiale e concreta possibile, assegnando all’università un ambito riservato in un piano urbanistico, in centro, in periferia o circondandola di cancelli
posti sotto la sorveglianza di «vigilanti» chiamati a
proteggerne lo spazio vitale contro ogni rischio di invasione o di vandalismo. Vista da questa prospettiva,
l’università sarebbe il mondo nel quale sono relegati
dei «guardiani» il cui modello è stato fin dall’inizio
fornito dalla Repubblica di Platone, che hanno il privilegio di farsi impartire un insegnamento ritenuto
«superiore»: in fin dei conti, sarebbero innanzitutto
dei guardiani di se stessi, condannati a restare confinati in riserve in cui hanno la garanzia di perpetuare
lo statuto di élite che, più di tutto, teme l’irruzione
dei barbari. Questa attribuzione all’università di uno
spazio proprio, al quale essa è in ogni senso della parola attaccata, solleva numerosi problemi: dove passano esattamente le frontiere che delimitano questo
spazio? Fino a che punto queste frontiere sono sigillate e interrompono la comunicazione con l’esterno?
E soprattutto, il dispositivo proprio dell’università si
dispiega in un solo spazio, il cui carattere esclusivo
garantirebbe l’omogeneità? L’università non provoca
in realtà un intreccio di più spazi, che obbediscono
a delle logiche differenti, con la conseguenza di non
coincidere esattamente?
Ciò porta a chiedersi dove occorre collocarsi, quale
punto di vista occorre adottare relativamente allo spazio attribuito all’università e nel quale essa è relegata,
per trovare delle risposte agli interrogativi che sono
stati sollevati all’inizio. Prima ponevamo la domanda: «Che cosa si fa all’università?» Ma, ancor prima
di cercare di rispondere, occorrerebbe esaminare che
cosa significhi l’espressione «all’università», formula
che suggerisce l’esistenza di un posto particolare in
cui si farebbero delle cose alquanto particolari, cioè
eccezionali, la cui realizzazione richiede che si «venga
all’» università, che ci si iscriva o che vi si sia assunto, condizione indispensabile per condividerne gli
interessi comuni e, concretamente, partecipare alla
comunità che la definisce. È qui in effetti il senso preciso, ripreso dal latino «universitas», cioè «comunità»
della parola che è servita inizialmente e continua ancora adesso a designarla. Ma di che tipo di comunità si tratta? Di una comunità essenziale, determinata
da criteri intellettuali o spirituali, o di una comunità
istituzionale, fondata su delle costrizioni di tipo contrattuale, giuridicamente sanzionate e rese come tali
inattaccabili? E in che posizione occorre mantenersi
di fronte a questa comunità, quale che ne sia la natura, per arrivare a comprenderne le regole e i meccanismi e eventualmente meglio dominarli? In base a
quanto detto sopra, sembra che occorra in un modo
o nell’altro appartenervi, condizione preliminare per
accostarsi alle norme di funzionamento, evitando che
l’appartenenza degeneri in un rapporto di soggezione
e di sottomissione che porti ad adottare tali norme
senza discussione, come se fossero ovvie, immodificabili e immodificate, di diritto e di fatto. Per parlare
in maniera adeguata dell’università, non si dovrebbe
dunque, per riprendere l’alternativa evocata precedentemente, né trovarsi del tutto dentro né del tutto
fuori, cioè guardarla a partire da quel posto da cui essa
risulta corrispondere a certe caratteristiche, dunque a
degli obblighi che non ci si può permettere di ignorare, ma anche sempre pronta a rimettere in gioco i suoi
presupposti, che non hanno un carattere definitivo,
ma sono sempre suscettibili di essere rinnovati, dunque chiamati ad essere modificati in parte se la necessità si impone, ciò che dipende in maniera in districabile da condizioni teoriche, intellettuali, e pratiche,
materiali. Di conseguenza, una politica universitaria,
se dovesse essere definita in accordo con gli universitari stessi, intendendo con questo termine tutti quelli
che senza eccezione frequentano e fanno andare avanti l’università, non dovrebbe esserlo soltanto da loro,
come se fossero i soli ad essere interessati da problemi
che riguardano in fin dei conti la società intera, e non
questa o quella delle sue componenti.
Possiamo avere un primo indizio dei problemi che
la res universitaria ha dovuto superare per esistere se
facciamo attenzione al cambiamento che il concetto comunitario che serve a nominarla ha subito nel
corso della sua storia passata. Senza entrare nei dettagli di questa storia, che è molto complessa, diciamo
che si possono sommariamente distinguere in essa
due grandi fasi: quella di un’università premoderna,
il cui modello si è diffuso in Europa dalla fine del XII
secolo al XVIII secolo; e quella dell’università moderna, la cui organizzazione, prima di diffondersi in
tutto il mondo, ha iniziato a delinearsi all’inizio del
XIX secolo, nel momento in cui ha preso forma la
mitologia dell’«Alma Mater», cosa che coincide grosso modo con la creazione, su ispirazione di filosofi
post-kantiani mobilitati per la riuscita di questa operazione, dell’università di Berlino, l’attuale Università
Humboldt, dal nome di colui che più ha contribuito
a fissarne i primi orientamenti, che si sono in seguito
trasmessi alla maggior parte delle università europee
e anche transcontinentali, e caratterizzano essenzialmente ancora la forma e lo spirito delle università
come le conosciamo attualmente. Questa università
«moderna» si è costituita nel momento in cui lo Stato
ha preso in carico le attività accademiche, che si sono
allora svolte in suo nome e sotto la sua responsabilità,
facendo sì che ne assumesse direttamente il controllo:
l’espressione «politica universitaria» ha così assunto
tutto il suo senso [...]
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