inserto speciale - Vescovo del Concilio Vescovo del Concilio Ricordo del vescovo di Brescia mons. Luigi Morstabilini a 25 anni dalla morte Il cinquantenario del Concilio è tutt’ora in corso: dopo averne ricordato l’apertura dedicando un inserto a papa Giovanni, ora proclamato santo, dopo aver illustrato le quattro Costituzioni conciliari sempre attraverso appositi inserti speciali, cogliamo l’occasione del venticinquesimo anniversario della morte del nostro vescovo, mons. Luigi Morstabilini per parlarne di nuovo, come s’era promesso a suo tempo. Iniziamo con una lettera dell’allora card. Montini a papa Giovanni. FILI E TRAME (DI RELAZIONI) Milano, 11 aprile 1961 Beatissimo Padre! oso rivolgermi alla Sua a me tanto nota bontà per supplicarla a voler considerare con particolare e paterno interesse le condizioni, ora particolarmente delicate, della Diocesi di Brescia, a me doppiamente cara (1) . La promozione di S. Ecc. Mons. Bosetti a Vescovo di Fidenza rende necessario sostenere la nobile e veneranda vecchiaia di S. Ecc. Mons. Tredici, arcivescovo-vescovo di Brescia, con l’aiuto di altro Vescovo, Ausiliare o Coadiutore, come meglio la Santa Sede giudicherà. Ma mi sia permesso di osservare che occorre persona estranea alla Diocesi, molto saggia, molto buona ed anche abile e forte. E con la semplicità di chi si confida ad un Padre e di chi non ha in così grave negozio alcun proprio interesse, mi par doveroso fare anche alla Santità Vostra due nomi di Candidati, che sembrerebbero a me idonei per quella difficile situazione. Quello cioè di Monsignor Franco Costa, di Genova, da molti anni provatissimo Assistente Ecclesiastico Centrale della Federazione Universitaria Cattolica Italiana; e quello di Monsignor Luigi Morstabilini di Bergamo, Sacerdote di rare virtù, a quanto io so, e di grande capacità di governo. Entrambi questi nomi sono ben noti alla Sacra Congregazione Concistoriale, la quale, all’occorrenza, potrà fornire su di essi ampie notizie. Sono poi in questi giorni a Roma due degnissimi e informatissimi Sacerdoti bresciani, conosciuti anche da Vostra Santità, Padre Bevilacqua e Padre Caresana, so che quest’ultimo è stato più volte consultato dalla medesima Sacra Congregazione Concistoriale. Ambedue potrebbero dare sicure notizie su le condizioni della diocesi di Brescia. Perdoni la Santità Vostra il mio ardire; posso assicurare che ancor più dell’amore, dover “mi mosse che mi fa parlare”(2). E detto quanto sopra, nulla attendo, nulla pretendo. Prego anch’io, aspetto e confido. Mi chino al bacio del Sacro Piede, e con la più sincera e profonda riverenza mi confermo della Santità Vostra devotissimo, umilissimo, obbligatissimo servitore GIOVANNI BATTISTA Cardinale MONTINI Arcivescovo di Milano 1) “Doppiamente cara”: il card. Montini era originario della diocesi di Brescia; al tempo stesso, soprattutto nella circostanza da lui delicatamente accennata (di fatto mons. Tredici non era più in grado di reggerla), ne aveva responsabilità in quanto vescovo metropolita. 2) È una citazione dal canto II dell’Inferno dalla “Divina Commedia” di Dante. I inserto speciale - Vescovo del Concilio a Coccaglio, con don Remo UN VESCOVO INDIMENTICATO di don Giovanni I Possiamo meglio comprendere il titolo dato alla lettera di apertura leggendo quella di chiusura con quanto la precede. Per motivi che non so, papa Giovanni ritenne opportuno seguire solo in parte il suggerimento del suo futuro successore: non mandò mons. Luigi Morstabilini a Brescia! Però lo fece vescovo, destinandolo a Veroli-Frosinone; forse riteneva che i tempi non fossero maturi. Fu invece proprio Paolo VI a mandarlo a Brescia e così, per quattordici anni, fino alla morte di Paolo VI, ci abituammo al quel binomio, saporoso di Concilio, con cui nelle Messe si pregava: “Ricordati del nostro papa Paolo, del nostro vescovo Luigi”. M ons. Luigi Morstabilini nacque a Ripa di Gromo in alta valle Seriana; fu ordinato sacerdote a Bergamo nel 1931, dopo una breve esperienza nella parrocchia periferica di Boccaleone, in Città Bassa (un suo spiritoso adagio recitava: “Sono figlio di Leone, appena prete sono stato mandato a Boccaleone per poi finire in bocca alla Leonessa”) fu superiore ed insegnante in seminario, poi pro-vicario generale della Diocesi. Papa Giovanni lo volle vescovo di Veroli-Frosinone nel 1962 e Paolo VI a Brescia nel 1964; qui rimase fino al giugno 1983; fu quindi accolto dalle Orsoline di Gandino in un’ala della casa di riposo da loro gestita a Scanzorosciate (località nota per il celebre Moscato di Scanzo). Morì il 26 luglio 1989. La sua salma fu traslata a Brescia ove, in cattedrale, il suo discepolo e successore mons. Bruno Foresti ne presiedette le esequie la mattina del 29 luglio. S cherzosamente definito da qualcuno come “temporale che viene dalla Bergamasca”, fece il suo ingresso in Diocesi proprio provenendo da Bergamo, l’8 dicembre 1964: fu II un’accoglienza calorosissima. La prima tappa, appena varcato il confine della Diocesi fu Palosco; come si sa tale paese dal punto di vista civico e anche per cultura religiosa è terra di Bergamo, ma per errore è tutt’ora parte della diocesi di Brescia; un piccolo aneddoto avvenuto là, a pochissimi metri dal confine diocesano, mette in luce un aspetto della sua personalità e del suo desiderio di comunicare: rivolgendosi ai bambini, un po’ impressionati dalle bardature che a quei tempi i vescovi usavano e ancora per poco tempo avrebbero usato, riferendosi in particolare al galero (copricapo a forma di saturno, con allegate due cordicelle terminanti con dei fiocchi, tutt’ora visibili negli stemmi episcopali), per metterli a loro agio disse: “Avete visto che cow-boy è arrivato?”. Il card. Montini lo definì “uomo di governo” e a quanto pare dimostrò di esserlo se, nei primi tempi, i preti, storpiandone il cognome, lo soprannominavano “Ho stabilito”. In un bell’articolo mons. Giacomo Canobbio rilevò come quel nomignolo andò presto in disuso, perché il vescovo dimostrò una capacità forse un po’ rara: quella di saper cambiare. un giovanissimo Bruno Cadei, seminarista nelle medie inserto speciale - Vescovo del Concilio L a stragrande maggioranza dei sacerdoti che hanno avuto modo di conoscerlo hanno continuato a nutrire per lui una venerazione grande e amorevole. Lo constato anche adesso quando mi trovo a nominare il vescovo Luigi con un sacerdote o l’altro. Cito soltanto, come esempio, l’inizio dello scritto a me dedicato dal mio prevosto di Verola, mons. Luigi Corrini, sul numero speciale per il venticinquesimo mio e del diacono Francesco: “…qualche giorno dopo (la mia ordinazione) si svolse una pellegrinaggio ufficiale della Chiesa bresciana a Roma, guidato dal vescovo mons. Luigi Morstabilini, di venerata memoria, che concludeva il suo indimenticabile episcopato tra noi”. Quell’espiscopato si era concluso da 25 anni, già da 19 egli era passato all’eternità (lo scritto è del 2008) eppure egli era ancora il Vescovo “di venerata memoria” e il suo episcopato era ricordato come “indimenticabile”. Dell’affetto e della stima corale da parte della Diocesi sono testimonianza i diversi numeri speciali curati dal nostro settimanale diocesano, pubblicati in occasione della sua “Messa d’oro”, del suo saluto alla Diocesi e della sua morte; sfogliandoli si trovano commosse, affettuose e ammirate testimonianze da cui si potrebbero attingere a piene mani scritti da pubblicare in questo inserto. Nostro scopo, però, non è quello di presentare una serie di testi elogiativi – egli, com’era suo costume, ridimensionerebbe tutto, schermendosi – ed elencare le tante realtà da lui avviate o attuatesi durante il suo episcopato. Vogliamo invece, facendo onore all’intento dichiara- to in apertura, parlare di Luigi Morstabilini come vescovo del Concilio. Egli lo fu perché ebbe la grazia di parteciparvi: fu Padre conciliare serio e diligente dall’inizio alla fine di quell’Assise; ancor più perché ne fu l’instancabile attuatore nella nostra Diocesi. È soprattutto su questo secondo aspetto che si concentrano gli scritti qui riportati, ricavati dal volumetto che la hanno già visto giganteggiare la sua figura sui numeri di gennaio (pagg. 48-49), marzo (pagg. 43-44) e maggio (pagg. 51-52) del 2013, allorché si è riferito della ricezione del Concilio nella nostra Diocesi. Non ripubblichiamo quelle pagine, che sono ancora abbastanza fresche di stampa; semplicemente ad esse rimandiamo il lettore desideroso di approfondire con il sindaco di Brescia Diocesi ha pubblicato in occasione del Giovedì Santo di quest’anno per commemorare, insieme al venticinquesimo anniversario della morte del vescovo Luigi, il cinquantesimo di quella del vescovo Giacinto Tredici. Mi limito a ricordare, visto che ho nominato il nostro diacono, che fu proprio mons. Morstabilini ad introdurre, anticipando gli altri Vescovi lombardi, il Diaconato permanente nella nostra Diocesi. I lettori de “La vecchia Pieve” III U n altro aneddoto può farci sorridere: Luigi succedeva a due Giacinto: il verolese Giacinto Gaggia e il milanese Giacinto Tredici. Mi si raccontò che il sacrista del mio paese espresse perplessità per questa successione: ravvisava nel nome Giacinto un che di nobile, un nome che non si prestava a contraffazioni dialettali, mentre questo nuovo vescovo avrebbe finito con l’essere chiamato, in dialetto, “Lüige”. Quel mio sacrista non sapeva che anche Giacinto può essere con- inserto speciale - Vescovo del Concilio essa ci sentiremmo poveri, osiamo dire, un poco orfani. Al termine del sacro rito la deporremo ai piedi del monumento di Paolo VI, il Papa che volle mons. Morstabilini vescovo di Brescia, sua città natale, e che lo gratificò di mille attenzioni. Ci sarà dolce tornare presso questo sepolcro, leggere un nome familiare a tutti, meditare e invocare. L al Concilio traffatto in dialetto: a Verolanuova, dove spesso risiedeva, il vescovo, anzi, arcivescovo Giacinto Gaggia era chiamato dalla gente “don Cinto”. Penso sia palese la mia personale venerazione per il vescovo Luigi: ebbi modo di conoscerne e ammirarne la personalità, la mente aperta, il profondo e solido magistero; soprattutto egli è il padre del mio sacerdozio, come lo è per quello di qualche centinaio di miei confratelli; con una particolarità: la mia classe fu l’ultima che ricevette da lui l’ordinazione sacerdotale, poco prima della sua partenza da Brescia; la classe che ci seguiva chiese di anticipare l’ordinazione diaconale, per ricevere da lui almeno quella. Non ho più sentito parlare di un vescovo nei termini di affetto, stima, venerazione che ho sentito usare nei suoi confronti da parte sia dei sacerdoti in cura d’anime che da parte dei miei superiori e insegnanti di Seminario. Il suo ricordo è in benedizione. La sua preghiera per l’amata Brescia accompagna i suoi successori e tutti noi. IN MORTE VITA di † Mons. Bruno Foresti Dall’omelia di mons. Bruno Foresti, suo successore a Brescia, ma prima ancora suo allievo e discepolo nel seminario e nella diocesi di Bergamo, stralciamo questi ampi passaggi. Il titolo fa riferimento al motto episcopale di mons. Morstabilini. N el testamento spirituale mons. Morstabilini esprime il desiderio di essere tumulato a Brescia. Tale ardente brama egli manifestò, con accenti accorati, durante il discorso di congedo dalla diocesi. «Il sottoscritto – disse – sarà il primo, non so dopo quali altri vescovi della serie bresciana, a non morire a Brescia. Brescia, tuttavia, rimarrà sempre nel mio cuore e ogni giorno manderò ad essa una particolare benedizione, lieto se potrò tornarvi a dormire il sonno della morte». Noi consideriamo un privilegio poter conservare la sua salma in questa nostra cattedrale. Senza di IV a seconda voce che qui risuona è quella di un presbitero che fu tanto vicino a mons. Morstabilini e che ne lesse a fondo la spiritualità. “Chissà quanti, come lui, potrebbero dire: «Un motivo dominò la sua coscienza di credente e di vescovo: quello del Concilio. Ritenne sempre un dono inestimabile, che Dio gli aveva fatto per un disegno di amore infinito, la partecipazione come vescovo al Concilio. Visse quell’evento come un’esperienza profonda di Dio. Sì, per lui Dio non fu un problema, ma una presenza. Nei periodi del Concilio percepì che lo Spirito Santo, che è l’amore di Dio, non abbandona mai la Chiesa e quindi, per la presenza nella Chiesa, non abbandona mai l’umanità. Essere docili all’azione di Dio, ascoltarne la voce, cercarne il volto, furono altrettante espressioni di quanto, in modo particolarmente intenso, conobbe quasi, vide e toccò nell’esperienza conciliare. Il Concilio gli permise anche un’esperienza della Chiesa. Parlando ai sacerdoti durante la Messa Crismale del 1965, quando era immerso nella vicenda conciliare, li esortava ad avere «l’animo aperto su tutto il vasto orizzonte della Chiesa» così da «sentire come no- inserto speciale - Vescovo del Concilio stre le gioie, i dolori, le ansie e le speranze di tutto il Corpo mistico di Cristo». Il respiro della Chiesa, il «sentire cum Ecclesia» sempre praticati assunsero una intensità esistenziale diversa da prima. Con l’universalità della Chiesa il Concilio gli fece sperimentare quanto e come essa sia nel piano di Dio e debba essere nella storia terrena una comunione. Se non è comunione, non è Chiesa e non ha alcun valore di «segno» all’interno della vita umana […]. Ciò che sperimentò al Concilio […] divenne il programma del suo ministero episcopale. Tre virtù eccellono in questa prospettiva. La prima fu la dedizione, che fu totale, senza riserve, senza risparmio di energia. Talvolta si ebbe l’impressione che toccasse i vertici dell’eroismo. Legato al tavolo delle udienze, impegnato nella diligentissima preparazione dei suoi interventi magisteriali, dispo- Dopo un’ordinazione in Seminario nei primi anni 70 V nibile all’azione pastorale in tutta la diocesi, non si risparmiò mai. Negli anni della visita pastorale la sua dedizione fu decisiva. La seconda fu la tenacia o costanza. Passo dopo passo, senza voli nell’utopia, con sano realismo, non si lasciò tentare da difficoltà e magari da qualche insuccesso. Era figlio della montagna e del montanaro aveva la cadenza, nel senso di non correre e di non fermarsi, ma di proseguire prudente, sereno, con fatica ma con la gioia di salire verso mete precise e studiate. La terza fu la fiducia. Sono tanti coloro che ne hanno goduto la prova, In ciascuno, soprattutto se sacerdote, cercava sempre il lato buono e su di esso faceva leva per ottenere il massimo di generosità o anche soltanto per infondere un poco di serenità e coraggio. Una fiducia non cieca, ma sorretta dalla «forza di Dio» (2 Tm 1,8). inserto speciale - Vescovo del Concilio La spiritualità di mons. Morstabilini può sembrare tradizionale, classica. E lo è infatti. Non però in senso riduttivo e quasi negativo, ma in quello positivo che ha alimentato la vita di innumerevoli santi. In quel capolavoro di saggezza e di paternità che fu la lettera da lui scritta nel 1972 sulla crisi del clero si legge: «Facciamoci più santi, perché il mondo di oggi ha bisogno più di modelli che di maestri». È un monito che raccogliamo come un testamento. La sua figura nobile, discreta, innamorata di Dio e della Chiesa ce lo ripete con eguale carità paterna di quando qui, in questa cattedrale che fu sua, pregava, con noi e per noi e ci insegnava la verità che è Cristo». L a seconda testimonianza viene da un suo diretto collaboratore e riguarda il suo stile d’azione. Eccola: «Se lo stile è l’uomo, qual è stato lo stile ma soprattutto, lo spirito della pastorale svolta dal vescovo Morstabilini? Lo stile ha certamente mutuato dalla sua personalità attenta e riflessiva, riservata e rispettosa fino al limite della timidezza; ma lo spirito con cui egli si è impegnato nella vita pastorale è stato interamente rivolto ai grandi obiettivi indicati dal Concilio Vaticano II, cui prese parte attiva. Egli accolse e visse il Concilio come una grazia dello Spirito Santo, un nuovo vento di Pentecoste sulla Chiesa […]. Ha dato inizio con trepidazione, ma anche con convinta decisione, alle nuove realtà quali gli organismi di comunione e di collegialità, sorretto nell’attuazione del suo proposito da quella costante metodicità che lo caratterizzava. Non si lasciò tra la gente, (primi anni ‘80) quindi impressionare dalle più svariate contestazioni, sia che provenissero da alcuni vecchi nostalgici come da altri impazienti riformatori. Quando, immediatamente dopo il Concilio, la Chiesa anche a Brescia sembrava percorsa dalla febbre di cambiamento talora utopico e massimalista, il vescovo Morstabilini riuscì a compiere una valida mediazione pastorale tra la chiarezza dei nuovi obiettivi e la loro necessaria progressiva applicazione nel contesto della storia, della mentalità e della tipicità della Chiesa». Egli diede l’impressione di privilegiare talvolta più l’ascolto che la decisione: ma anche questo fu un atteggiamento che, con il passare del tempo, si rivelò accorto e provvidenziale. Anche se non ha favorito direttamente il sorgere di nuovi movimenti e di alcune esperienze ecclesiali, li ha visti crescere sotto il suo guardo attento e ha loro rivolto, a più riprese, dei seri e saggi ammonimenti in forza del suo compito di discernimento e di guida. VI Seppe esercitare anche la virtù della pazienza pastorale, che si prende tempo per valutare ciò che è sterile e ciò che dà frutto, quel che è caduco e quel che rimane. In seguito ha guidato la nostra Chiesa nelle agitazioni del postconcilio (quando diversi presbiteri abbandonavano il ministero, alcune comunità cadevano in grave crisi e sorgevano numerosi gruppi contestatari) mai sfuggendo al contatto diretto, ricevendo anzi pubbliche offese personali, che egli lasciava cadere nel silenzio dell’umiltà e nel perdono del suo cuore. Ma nemmeno i contrasti più acerbi riuscirono a frenarne la linearità dell’impegno, nella convinzione di compiere fino in fondo il proprio dovere. Ha esercitato in modo privilegiato il ministero di presidenza del presbiterio, mantenendo un assiduo contatto sia colloquiale che epistolare con tutti i sacerdoti, non esclusi quelli che avevano lasciato l’esercizio del ministero. Ogni lettera dell’Apocalisse, rivol- inserto speciale - Vescovo del Concilio durante l’ultima ordinazione (4 giugno 1983) gendosi all’«angelo» della rispettiva Chiesa, esordisce: «Conosco le tue opere». Quali sono state le «opere», le iniziative che anche sul piano esteriore hanno qualificato la pastorale del vescovo Luigi? Egli ha aperto alla Chiesa bresciana una porta più ampia verso la missione nei paesi lontani; si è decisamente impegnato nella costruzione del nuovo Seminario e di nuove chiese (oltre una ventina negli anni del suo episcopato); soprattutto ha voluto istituire il centro pastorale intitolato a Paolo VI quale strumento speciale di formazione sia per il clero che per i laici. Ma l’attività che maggiormente ne ha assorbito le cure e le energie (fino a intaccare la sua robusta fibra) è stata la visita pastorale, che egli ha voluto fosse pensata e attuata «in forma nuova», come un grande appello a convertirsi ai valori del Concilio, un profondo esame di coscienza comunitario, una intensa e decennale catechesi svolta dal vescovo su «evangelizzazione, sacramenti, comunità». Di questo enorme sforzo sono testimonianza le lettere pastorali, che egli affidava ai preti il Giovedì Santo, dal significativo titolo «Il cammino post-conciliare di una Chiesa locale»: un tesoro di spiritualità, di sapienza e di metodo pastorale. Della visita pastorale, poi, il vescovo Morstabilini volle raccogliere le idee, le esperienze e le attese nella coralità del XXVIII Sinodo diocesano, quasi come «libro di viaggio» di un pastore che con il suo gregge procede per le vie che lo Spirito sta indicando alla Chiesa. Con questo stesso animo egli ospitò a Brescia Giovanni Paolo II, in visita alla Chiesa che aveva dato i natali a Paolo VI (1982) [..]». VII Nella circostanza della sua partenza da Brescia, la personalità del vescovo Luigi veniva stupendamente lumeggiata. Raccolgo qui la sintesi di quell’intervento: «Il vescovo Morstabilini è stato esempio e stimolo di comunione: 1.Innanzitutto nell’ascoltare. Mai nessuno che abbia chiesto di essere sentito è stato rifiutato. 2.Poi nel parlare. Quanto ha parlato! 3.Nel tacere. Egli conobbe, e molto bene, anche il tempus tacendi. 4.Nel cercare. Da lì le sue visite, anche nel Terzo Mondo; da lì la sua ricerca della pecora smarrita. 5.Nel guidare. Il vescovo ha preferito influenzare più con l’esempio e con la dottrina che con il comando e la sanzione. 6.Nel lasciare. «Rientra nello stile di esercizio dell’autorità, come sevizio, anche la rinuncia all’ufficio» scrive il Direttorio pastorale per i vescovi. Mons. Morstabilini seppe anche rinunciare. inserto speciale - Vescovo del Concilio a Coccaglio M ons. Morstabilini brillò sempre della luce del prete fedele. In mansioni e in tempi diversi egli rimase quello che io conobbi sino dalla mia infanzia, quello che mi insegnò discipline umane negli anni 193436, quello che ammirai, sempre come docente, durante la mia adolescenza negli anni 1937-39, quello che mi insegnò teologia morale negli anni 1944-46. Con lui condivisi per tre anni la vita di educatore nel seminario di Bergamo e, in seguito, lo ebbi come superiore in qualità di Provicario per il clero. Fu sempre prete, soprattutto prete: ministro di Cristo e dispensatore dei misteri di Dio. Anche sulla cattedra io trovavo in lui il sacerdote ordinato nella esposizione, rigoroso nel metodo, equilibrato nella esigenza; ma innanzitutto un uomo che sapeva far sentire che la cosa più importante è la fede. Il clero bergamasco, unanimemente, ne apprezzò le virtù e salutò con entusiasmo la sua chiamata all’episcopato. Mons. Morstabilini amò la Madonna. Martedì scorso, mentre era in stato di grande sofferenza, gli ricordai che vicino a lui vegliavano Gesù e Maria; poi lo invitai (e c’era bisogno?) a offrire il suo dolore per i suoi familiari e per la nostra Chiesa bresciana. Gli promisi di recarmi al santuario mariano di Ardesio, al quale la sua mamma lo conduceva sin da bambino: vi sarei andato a pregare per lui. Fu contento. Durante l’ora della sua agonia, mons. Baronio celebrò la Messa votiva alla Vergine «Porta del cielo». C erto la Madonna, che lo condusse per mano lungo il sentiero della vita terrena, lo ha ora introdotto nel giardino del Paradiso. Da lassù egli intercede per noi: per la santità della Chiesa e per la pace del mondo. Ottenga dal Pastore dei pastori VIII l’incremento delle vocazioni sacerdotali, religiose e laicali. VESCOVO IN GIORNI DIFFICILI Mons. Enzo Giammancheri Grande e colta personalità del clero bresciano, don Enzo ebbe più volte occasione di esprimere la sua estimazione per il vescovo Luigi; lo fece anche in occasione della sua morte con questo articolo destinato alla stampa locale. Da qualche anno, anche mons. Giammancheri è passato all’eternità. O ra che i giorni terreni di mons. Luigi Morstabilini si sono compiuti, non è irriverente, e nemmeno inutile, delineare alcuni punti di riferimento che aiutino a capire il significato dei suoi diciannove anni di episco- inserto speciale - Vescovo del Concilio pato bresciano. Ed è un modo di riflettere su noi stessi, sulla società religiosa e civile cui apparteniamo. M ons. Luigi Morstabilini giunse a Brescia l’8 dicembre 1964. Era un giorno molto freddo, ma limpido. L’accoglienza fu calorosa. Era già Vescovo da due anni nella diocesi di Veroli-Frosinone. Come tale era un «padre del Concilio» allora aperto. Ecco: il primo fondamentale punto di riferimento per capire il suo episcopato bresciano è il Concilio. [Lo si capì fin] dal primo discorso in Cattedrale. Il vescovo monsignor Luigi Morstabilini prese sul serio il Concilio. Cercò di attuarne con impegno generoso le indicazioni e il programma. Soprattutto fu preoccupato di far capire quale ne fosse lo spirito. Nei primi anni bresciani ricorre frequente nel suo magistero il tema del «cambiamento di mentalità», mancando il quale i testi del Concilio sarebbero rimasti infecondi. La prova massima di fedeltà al Concilio la diede nel modo di impostare e di compiere la visita pastorale della diocesi, visita di cui fu epilogo indimenticabile la celebrazione del Sinodo nel dicembre 1979. Ciò fu possibile perché lui, per primo, aveva vissuto l’esperienza del Concilio come capace d’imprimere alla sua vita di credente e di Vescovo un orientamento nuovo. Lui per primo s’era abbandonato all’impeto di quegli anni eccezionali. Più volte, in seguito, ricordando con commozione l’assise in San Pietro, dichiarerà d’aver vissuto un «tempo di grazia» che l’aveva «trasformato». Dopo il Concilio giunse anche a Brescia il vento della contestazione. Per circa un decennio la società e la Chiesa furono scosse sin nel profondo. È, questo, il secondo punto di riferimento da tenere presente. In poco tempo la critica a tutto ciò che costituiva o si richiamava a una realtà istituzionale dilagò con forza distruttiva. L’istituzione, qualunque fosse, era giudicata l’origine di ogni devia- cilio s’incrociò con interpretazioni della verità cristiana e resistenze ecclesiali sino a pochi anni prima impensate. Lo slogan «Cristo sì, Chiesa no» risuonò anche in alcune sacrestie. Furono gli anni del marxismo ritenuto con Sartre l’orizzonte insuperabile della cultura umana. Non si contano le conferenze, le tavole rotonde, i convegni allora tenuti anche a Brescia zione, il tradimento dei più nobili ideali, l’ostacolo alla realizzazione di un’esperienza pienamente umana e cristiana. La scuola, la famiglia, l’intera società, la tradizione, la Chiesa: nulla venne risparmiato. L’attuazione del Con- su marxismo e cristianesimo. A pensare oggi anche soltanto un poco al comportamento di mons. Luigi Morstabilini in quegli anni, c’è da restare ammirati per il suo equilibrio, la capacità di ascolto, la disponibilità ad accogliere ogni IX inserto speciale - Vescovo del Concilio briciola di verità e di bene ovunque presenti, la sconfinata pazienza nel sentire per ore e ore le analisi divenute stereotipe, le terapie schematiche, le denunce ripetute sino all’ossessione, sempre con le stesse parole. La linea del Vescovo fu pacata e coerente. La pagò con non poche umiliazioni, come quando in un’assemblea di parrocchie cittadine si sentì apostrofare in pubblico: «Prima di parlare ci dica se dobbiamo considerarla un padre o un padrone». Ma alla fine la sua superiore calma e dignità risultarono vincenti. S e tra Concilio e contestazione e tra contestazione e terrorismo vi sia stato un scia si era formata una situazione complessa, che forse troppo alla svelta è stata dimenticata. Il 28 maggio 1974 piazza della Loggia è teatro di una strage criminale. Non dimenticheremo mai quei giorni e quella Messa, celebrata dal Vescovo in piazza, in seguito ad esplicita richiesta del Comitato antifascista, tra fischi, urla, canti detti rivoluzionari, slogans di morte scanditi nelle vicinanze dell’altare. E quel funerale, chiaramente strumentalizzato come un grande psicodramma utile a far maturare la coscienza rivoluzionaria delle masse. E la lacerazione nella società e tra gli stessi cattolici, tanto che non mancò chi disse e scrisse che la vera liturgia non era quella con i feriti dell’attentato di piazza della Loggia rapporto è questione che in anni passati ha fatto discutere. È certo che negli anni ’70 anche a Bre- celebrata dal Vescovo sull’altare, che in quel momento avrebbe significato poco o niente, ma la X corale, indignata protesta di un intero popolo. Non dimenticheremo il Vescovo su quell’altare, le poche parole da lui dette, ferme e umanissime, il suo volto assorto, il turbamento visibile, ma anche la dignità della sua presenza. U n altro punto di riferimento è il mutamento della società nei suoi costumi e quindi, prima ancora, nella sua cultura. Fu durante il suo episcopato che a Brescia divenne evidente il fenomeno della trasformazione ideologica di numerose famiglie tradizionalmente cattoliche con conseguenti spostamenti di influenze e d’interessi, e si accentuò quello dell’immigrazione in città e provincia di un numero sempre maggiore di abitanti di origine non bresciana. Mons. Luigi Morstabilini seguì la società con un’attenzione che forse pochi hanno colto nella reale ampiezza ed acutezza. Basti citare due documenti. Nel 1973 dedica una lettera pastorale alla questione morale. Rileggendola, se ne apprezza ancora la modernità e l’attualità. Molto prima che la questione morale dilagasse sui giornali e senza usarla, come poi è stato fatto, per scopi di lotta di parte, il Vescovo la riportava ai principi di fondo, a partire da quello che riconosce il valore della morale e non la riduce a riflesso di qualcosa d’altro (i rapporti economici o l’inconscio o l’opinione prevalente, ecc.). Oggi si è tornati a parlare di morale, ma in quella riflessione si possono ancora trovare gli orientamenti essenziali. Nel 1977 dedica una lunga lettera pastorale alla promozione della inserto speciale - Vescovo del Concilio non ce la faceva. La lettera scritta nel 1972 per commentare la penosa crisi di alcuni sacerdoti resta un documento altissimo di bontà oltre che di saggezza. Non per niente Paolo VI, che lo aveva scelto nel 1964 per la «sua» Brescia, appena ne venne a conoscenza, la definì «appassionato e sapiente documento». Quella passione e sapienza non sono state chiuse in una bara. Dovremmo continuare a sentirle vive dentro di noi. Hanno accresciuto il patrimonio spirituale comune. Uno scritto di Papa Paolo VI a mons. Morstabilini IN OCCASIONE DELLA “LETTERA AI MIEI SACERDOTI” donna. Fu il primo Vescovo a trattarne. Precede di undici anni la lettera apostolica Mulieris dignitatem di Giovanni Paolo II. Ebbe una vasta eco anche fuori dei confini bresciani. Da allora ad oggi il problema della donna ha camminato, ma il cumulo di riflessioni di quel testo resta ancora una riserva preziosa. U ltimo punto di riferimento è l’attenzione alla persona. Come uomo e come Ve- scovo fu persona di grande misura, di esemplare dignità, di somma discrezione. Soprattutto ebbe vivo un sincero rispetto per qualsiasi persona incrociasse i suoi passi. Non ricordò mai un’offesa o uno sgarbo; non dimenticò mai un minimo gesto di bontà o di gentilezza. In ciascuno cercò sempre l’aspetto positivo. Come un padre era contento per chi camminava bene e da solo, ma si fermava ad aspettare ed aiutare chi da solo XI Abbiamo aperto con uno scritto di Giovanni Battista Montini, chiudiamo con un altro suo scritto, diretto proprio a colui che egli, colmo dell’ apprezzamento già evidenziato nella lettera che apre questo inserto, volle vescovo della sua Brescia. Lo scritto si riferisce alla già più volte menzionata lettera ai sacerdoti. Questo scritto ci dice come nel Papa bresciano non venne mai meno la stima profonda per quel figlio di Bergamo e della Val Seriana Superiore, abituato a calcare i sentieri delle Orobie e capace ancora, dopo i settantacinque anni – come mi testimoniò il mio prevosto di Verola che condivise con lui qualche vacanza e qualche inserto speciale - Vescovo del Concilio camminata a Ponte di legno – di lasciare indietro, col fiatone, chi era più giovane di lui. È bello intravedere certi “fili” con cui lo Spirito costituisce le sue “trame” di vita: papa Giovanni conobbe personalmente mons. Morstabilini, ne ricevette buona testimonianza dal futuro Paolo VI, lo fece vescovo, ma non di Brescia, dove fu poi comunque inviato proprio da Paolo VI; questo nel contesto dell’amore di papa Giovanni per la nostra Diocesi (v. il numero di maggio a pag. 6) e della reciproca stima e affezione che legava quei due grandi figli delle Terre sorelle. Tutto questo c’entra poco con il Concilio, ma testimonia comunque la profonda similitudine – già evidente per molti aspetti – che lega le terre lombarde di qua dall’Adda o, se si preferisce, comprese tra l’Adda e il Garda. Ha proprio il sapore del Concilio, invece, la Lettera oggetto dello scritto – e che scritto! – che segue. A l caro e venerato Fratello Luigi Morstabilini, Vescovo di Brescia. Vogliamo subito comunicare che abbiamo letto con profonda commozione la lettera, tanto cordiale e pastorale, che egli intitola «Ai miei Sacerdoti» circa la comune sofferenza «a motivo di qualche confratello che lascia il ministero sacerdotale». Noi siamo grati al degno e zelante Vescovo della nostra amatissima Diocesi d’origine che ci abbia fatto gustare l’amarezza, il conforto, XII la speranza di tale appassionato e sapiente documento. Ne ammiriamo la sensibilità umana, la serietà dottrinale, l’importanza ecclesiale. Condividiamo nel Signore i sentimenti ed i voti dell’afflitto, ma fiducioso Pastore, a consolazione del suo cuore, a onore della Diocesi, a stimolo del suo ottimo Clero, e non senza pietà per i confratelli infelici. Voglia il Signore concedere abbondanza di grazie e di conforti a Lei, venerato Confratello, a tutti i suoi forti, fedeli e attivi Sacerdoti, ed a tutta la comunità diocesana, mediante la nostra affettuosa e speciale benedizione apostolica. In Cristo. 11 agosto 1972 PAULUS P.P. VI
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