Vescovo del Concilio

inserto speciale - Vescovo del Concilio
Vescovo del Concilio
Ricordo del vescovo di Brescia mons. Luigi Morstabilini
a 25 anni dalla morte
Il cinquantenario del Concilio è
tutt’ora in corso: dopo averne
ricordato l’apertura dedicando
un inserto a papa Giovanni, ora
proclamato santo, dopo aver illustrato le quattro Costituzioni
conciliari sempre attraverso appositi inserti speciali, cogliamo
l’occasione del venticinquesimo
anniversario della morte del nostro vescovo, mons. Luigi Morstabilini per parlarne di nuovo,
come s’era promesso a suo tempo.
Iniziamo con una lettera dell’allora card. Montini a papa Giovanni.
FILI E TRAME
(DI RELAZIONI)
Milano, 11 aprile 1961
Beatissimo Padre!
oso rivolgermi alla Sua a me tanto
nota bontà per supplicarla a voler
considerare con particolare e paterno interesse le condizioni, ora particolarmente delicate, della Diocesi
di Brescia, a me doppiamente cara
(1)
. La promozione di S. Ecc. Mons.
Bosetti a Vescovo di Fidenza rende
necessario sostenere la nobile e veneranda vecchiaia di S. Ecc. Mons.
Tredici, arcivescovo-vescovo di
Brescia, con l’aiuto di altro Vescovo, Ausiliare o Coadiutore, come
meglio la Santa Sede giudicherà.
Ma mi sia permesso di osservare
che occorre persona estranea alla
Diocesi, molto saggia, molto buona
ed anche abile e forte.
E con la semplicità di chi si confida ad un Padre e di chi non ha in
così grave negozio alcun proprio
interesse, mi par doveroso fare anche alla Santità Vostra due nomi
di Candidati, che sembrerebbero
a me idonei per quella difficile situazione. Quello cioè di Monsignor
Franco Costa, di Genova, da molti
anni provatissimo Assistente Ecclesiastico Centrale della Federazione
Universitaria Cattolica Italiana; e
quello di Monsignor Luigi Morstabilini di Bergamo, Sacerdote di rare
virtù, a quanto io so, e di grande capacità di governo.
Entrambi questi nomi sono ben noti
alla Sacra Congregazione Concistoriale, la quale, all’occorrenza,
potrà fornire su di essi ampie notizie.
Sono poi in questi giorni a Roma
due degnissimi e informatissimi Sacerdoti bresciani, conosciuti anche
da Vostra Santità, Padre Bevilacqua
e Padre Caresana, so che quest’ultimo è stato più volte consultato
dalla medesima Sacra Congregazione Concistoriale. Ambedue potrebbero dare sicure notizie su le
condizioni della diocesi di Brescia.
Perdoni la Santità Vostra il mio ardire; posso assicurare che ancor più
dell’amore, dover “mi mosse che mi
fa parlare”(2). E detto quanto sopra,
nulla attendo, nulla pretendo. Prego
anch’io, aspetto e confido. Mi chino
al bacio del Sacro Piede, e con la
più sincera e profonda riverenza mi
confermo della Santità Vostra devotissimo, umilissimo, obbligatissimo servitore
GIOVANNI BATTISTA Cardinale
MONTINI
Arcivescovo di Milano
1)
“Doppiamente cara”: il card. Montini era
originario della diocesi di Brescia; al
tempo stesso, soprattutto nella circostanza da lui delicatamente accennata
(di fatto mons. Tredici non era più in grado di reggerla), ne aveva responsabilità
in quanto vescovo metropolita.
2)
È una citazione dal canto II dell’Inferno
dalla “Divina Commedia” di Dante.
I
inserto speciale - Vescovo del Concilio
a Coccaglio,
con don Remo
UN VESCOVO
INDIMENTICATO
di don Giovanni
I
Possiamo meglio comprendere
il titolo dato alla lettera di apertura leggendo quella di chiusura
con quanto la precede.
Per motivi che non so, papa Giovanni ritenne opportuno seguire
solo in parte il suggerimento del
suo futuro successore: non mandò mons. Luigi Morstabilini a Brescia! Però lo fece vescovo, destinandolo a Veroli-Frosinone; forse
riteneva che i tempi non fossero
maturi. Fu invece proprio Paolo VI
a mandarlo a Brescia e così, per
quattordici anni, fino alla morte di
Paolo VI, ci abituammo al quel binomio, saporoso di Concilio, con
cui nelle Messe si pregava: “Ricordati del nostro papa Paolo, del
nostro vescovo Luigi”.
M
ons. Luigi Morstabilini
nacque a Ripa di Gromo
in alta valle Seriana; fu
ordinato sacerdote a Bergamo nel
1931, dopo una breve esperienza
nella parrocchia periferica di Boccaleone, in Città Bassa (un suo
spiritoso adagio recitava: “Sono
figlio di Leone, appena prete sono
stato mandato a Boccaleone per
poi finire in bocca alla Leonessa”)
fu superiore ed insegnante in seminario, poi pro-vicario generale
della Diocesi. Papa Giovanni lo
volle vescovo di Veroli-Frosinone
nel 1962 e Paolo VI a Brescia nel
1964; qui rimase fino al giugno
1983; fu quindi accolto dalle Orsoline di Gandino in un’ala della
casa di riposo da loro gestita a
Scanzorosciate (località nota per il
celebre Moscato di Scanzo). Morì
il 26 luglio 1989. La sua salma fu
traslata a Brescia ove, in cattedrale, il suo discepolo e successore
mons. Bruno Foresti ne presiedette le esequie la mattina del 29
luglio.
S
cherzosamente definito da
qualcuno come “temporale che viene dalla Bergamasca”, fece il suo ingresso in
Diocesi proprio provenendo da
Bergamo, l’8 dicembre 1964: fu
II
un’accoglienza calorosissima.
La prima tappa, appena varcato il
confine della Diocesi fu Palosco;
come si sa tale paese dal punto di
vista civico e anche per cultura religiosa è terra di Bergamo, ma per
errore è tutt’ora parte della diocesi di Brescia; un piccolo aneddoto
avvenuto là, a pochissimi metri dal
confine diocesano, mette in luce
un aspetto della sua personalità
e del suo desiderio di comunicare: rivolgendosi ai bambini, un po’
impressionati dalle bardature che
a quei tempi i vescovi usavano e
ancora per poco tempo avrebbero
usato, riferendosi in particolare al
galero (copricapo a forma di saturno, con allegate due cordicelle
terminanti con dei fiocchi, tutt’ora visibili negli stemmi episcopali), per metterli a loro agio disse:
“Avete visto che cow-boy è arrivato?”.
Il card. Montini lo definì “uomo di
governo” e a quanto pare dimostrò di esserlo se, nei primi tempi,
i preti, storpiandone il cognome,
lo soprannominavano “Ho stabilito”. In un bell’articolo mons. Giacomo Canobbio rilevò come quel
nomignolo andò presto in disuso,
perché il vescovo dimostrò una
capacità forse un po’ rara: quella
di saper cambiare.
un giovanissimo
Bruno Cadei,
seminarista
nelle medie
inserto speciale - Vescovo del Concilio
L
a stragrande maggioranza
dei sacerdoti che hanno avuto modo di conoscerlo hanno
continuato a nutrire per lui una venerazione grande e amorevole. Lo
constato anche adesso quando mi
trovo a nominare il vescovo Luigi
con un sacerdote o l’altro. Cito soltanto, come esempio, l’inizio dello
scritto a me dedicato dal mio prevosto di Verola, mons. Luigi Corrini,
sul numero speciale per il venticinquesimo mio e del diacono Francesco: “…qualche giorno dopo (la
mia ordinazione) si svolse una pellegrinaggio ufficiale della Chiesa
bresciana a Roma, guidato dal vescovo mons. Luigi Morstabilini, di
venerata memoria, che concludeva il suo indimenticabile episcopato tra noi”. Quell’espiscopato si era
concluso da 25 anni, già da 19 egli
era passato all’eternità (lo scritto è
del 2008) eppure egli era ancora il
Vescovo “di venerata memoria” e il
suo episcopato era ricordato come
“indimenticabile”.
Dell’affetto e della stima corale da
parte della Diocesi sono testimonianza i diversi numeri speciali curati dal nostro settimanale diocesano, pubblicati in occasione della
sua “Messa d’oro”, del suo saluto
alla Diocesi e della sua morte; sfogliandoli si trovano commosse, affettuose e ammirate testimonianze
da cui si potrebbero attingere a
piene mani scritti da pubblicare in
questo inserto.
Nostro scopo, però, non è quello di
presentare una serie di testi elogiativi – egli, com’era suo costume, ridimensionerebbe tutto, schermendosi – ed elencare le tante realtà
da lui avviate o attuatesi durante il
suo episcopato. Vogliamo invece,
facendo onore all’intento dichiara-
to in apertura, parlare di Luigi Morstabilini come vescovo del Concilio. Egli lo fu perché ebbe la grazia
di parteciparvi: fu Padre conciliare
serio e diligente dall’inizio alla fine
di quell’Assise; ancor più perché
ne fu l’instancabile attuatore nella nostra Diocesi. È soprattutto
su questo secondo aspetto che
si concentrano gli scritti qui riportati, ricavati dal volumetto che la
hanno già visto giganteggiare la
sua figura sui numeri di gennaio
(pagg. 48-49), marzo (pagg. 43-44)
e maggio (pagg. 51-52) del 2013,
allorché si è riferito della ricezione
del Concilio nella nostra Diocesi.
Non ripubblichiamo quelle pagine,
che sono ancora abbastanza fresche di stampa; semplicemente ad
esse rimandiamo il lettore desideroso di approfondire
con il sindaco
di Brescia
Diocesi ha pubblicato in occasione del Giovedì Santo di quest’anno per commemorare, insieme al
venticinquesimo anniversario della morte del vescovo Luigi, il cinquantesimo di quella del vescovo
Giacinto Tredici.
Mi limito a ricordare, visto che ho
nominato il nostro diacono, che
fu proprio mons. Morstabilini ad
introdurre, anticipando gli altri Vescovi lombardi, il Diaconato permanente nella nostra Diocesi.
I lettori de “La vecchia Pieve”
III
U
n altro aneddoto può farci
sorridere: Luigi succedeva a
due Giacinto: il verolese Giacinto Gaggia e il milanese Giacinto
Tredici. Mi si raccontò che il sacrista
del mio paese espresse perplessità
per questa successione: ravvisava
nel nome Giacinto un che di nobile,
un nome che non si prestava a contraffazioni dialettali, mentre questo
nuovo vescovo avrebbe finito con
l’essere chiamato, in dialetto, “Lüige”. Quel mio sacrista non sapeva
che anche Giacinto può essere con-
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essa ci sentiremmo poveri, osiamo
dire, un poco orfani.
Al termine del sacro rito la deporremo ai piedi del monumento di
Paolo VI, il Papa che volle mons.
Morstabilini vescovo di Brescia,
sua città natale, e che lo gratificò
di mille attenzioni.
Ci sarà dolce tornare presso questo sepolcro, leggere un nome familiare a tutti, meditare e invocare.
L
al Concilio
traffatto in dialetto: a Verolanuova,
dove spesso risiedeva, il vescovo,
anzi, arcivescovo Giacinto Gaggia
era chiamato dalla gente “don Cinto”.
Penso sia palese la mia personale venerazione per il vescovo Luigi:
ebbi modo di conoscerne e ammirarne la personalità, la mente aperta, il profondo e solido magistero;
soprattutto egli è il padre del mio
sacerdozio, come lo è per quello di
qualche centinaio di miei confratelli;
con una particolarità: la mia classe fu
l’ultima che ricevette da lui l’ordinazione sacerdotale, poco prima della
sua partenza da Brescia; la classe
che ci seguiva chiese di anticipare
l’ordinazione diaconale, per ricevere
da lui almeno quella. Non ho più sentito parlare di un vescovo nei termini
di affetto, stima, venerazione che ho
sentito usare nei suoi confronti da
parte sia dei sacerdoti in cura d’anime che da parte dei miei superiori e
insegnanti di Seminario. Il suo ricordo è in benedizione. La sua preghiera per l’amata Brescia accompagna i
suoi successori e tutti noi.
IN MORTE VITA
di † Mons. Bruno Foresti
Dall’omelia di mons. Bruno Foresti,
suo successore a Brescia, ma prima ancora suo allievo e discepolo
nel seminario e nella diocesi di Bergamo, stralciamo questi ampi passaggi. Il titolo fa riferimento al motto
episcopale di mons. Morstabilini.
N
el testamento spirituale
mons. Morstabilini esprime
il desiderio di essere tumulato a Brescia. Tale ardente brama
egli manifestò, con accenti accorati, durante il discorso di congedo
dalla diocesi.
«Il sottoscritto – disse – sarà il primo, non so dopo quali altri vescovi
della serie bresciana, a non morire
a Brescia. Brescia, tuttavia, rimarrà
sempre nel mio cuore e ogni giorno
manderò ad essa una particolare
benedizione, lieto se potrò tornarvi
a dormire il sonno della morte».
Noi consideriamo un privilegio
poter conservare la sua salma in
questa nostra cattedrale. Senza di
IV
a seconda voce che qui risuona è quella di un presbitero che fu tanto vicino a
mons. Morstabilini e che ne lesse a
fondo la spiritualità. “Chissà quanti, come lui, potrebbero dire: «Un
motivo dominò la sua coscienza di
credente e di vescovo: quello del
Concilio. Ritenne sempre un dono
inestimabile, che Dio gli aveva fatto per un disegno di amore infinito,
la partecipazione come vescovo al
Concilio. Visse quell’evento come
un’esperienza profonda di Dio.
Sì, per lui Dio non fu un problema, ma una presenza. Nei periodi
del Concilio percepì che lo Spirito
Santo, che è l’amore di Dio, non
abbandona mai la Chiesa e quindi,
per la presenza nella Chiesa, non
abbandona mai l’umanità. Essere
docili all’azione di Dio, ascoltarne
la voce, cercarne il volto, furono
altrettante espressioni di quanto,
in modo particolarmente intenso,
conobbe quasi, vide e toccò nell’esperienza conciliare.
Il Concilio gli permise anche un’esperienza della Chiesa. Parlando
ai sacerdoti durante la Messa Crismale del 1965, quando era immerso nella vicenda conciliare, li
esortava ad avere «l’animo aperto su tutto il vasto orizzonte della
Chiesa» così da «sentire come no-
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stre le gioie, i dolori, le ansie e le
speranze di tutto il Corpo mistico
di Cristo». Il respiro della Chiesa,
il «sentire cum Ecclesia» sempre
praticati assunsero una intensità
esistenziale diversa da prima.
Con l’universalità della Chiesa il
Concilio gli fece sperimentare quanto e
come essa sia nel
piano di Dio e debba essere nella storia
terrena una comunione. Se non è comunione, non è Chiesa
e non ha alcun valore
di «segno» all’interno
della vita umana […].
Ciò che sperimentò al
Concilio […] divenne
il programma del suo
ministero episcopale.
Tre virtù eccellono in
questa prospettiva.
La prima fu la dedizione, che fu totale, senza riserve,
senza risparmio di energia. Talvolta
si ebbe l’impressione che toccasse
i vertici dell’eroismo. Legato al tavolo delle udienze, impegnato nella diligentissima preparazione dei
suoi interventi magisteriali, dispo-
Dopo un’ordinazione in
Seminario nei primi anni 70
V
nibile all’azione pastorale in tutta la
diocesi, non si risparmiò mai. Negli
anni della visita pastorale la sua
dedizione fu decisiva.
La seconda fu la tenacia o costanza. Passo dopo passo, senza voli
nell’utopia, con sano realismo, non
si lasciò tentare da difficoltà e magari da qualche insuccesso. Era
figlio della montagna e del montanaro aveva la cadenza, nel senso
di non correre e di non fermarsi,
ma di proseguire prudente, sereno,
con fatica ma con la gioia di salire
verso mete precise e studiate.
La terza fu la fiducia. Sono tanti coloro che ne hanno goduto la
prova, In ciascuno, soprattutto se
sacerdote, cercava sempre il lato
buono e su di esso faceva leva per
ottenere il massimo di generosità
o anche soltanto per infondere un
poco di serenità e coraggio. Una
fiducia non cieca, ma sorretta dalla
«forza di Dio» (2 Tm 1,8).
inserto speciale - Vescovo del Concilio
La spiritualità di mons. Morstabilini
può sembrare tradizionale, classica. E lo è infatti. Non però in senso
riduttivo e quasi negativo, ma in
quello positivo che ha alimentato la vita di innumerevoli santi. In
quel capolavoro di saggezza e di
paternità che fu la lettera da lui
scritta nel 1972 sulla crisi del clero si legge: «Facciamoci più santi,
perché il mondo di oggi ha bisogno
più di modelli che di maestri». È un
monito che raccogliamo come un
testamento. La sua figura nobile,
discreta, innamorata di Dio e della
Chiesa ce lo ripete con eguale carità paterna di quando qui, in questa cattedrale che fu sua, pregava,
con noi e per noi e ci insegnava la
verità che è Cristo».
L
a seconda testimonianza
viene da un suo diretto collaboratore e riguarda il suo
stile d’azione. Eccola: «Se lo stile
è l’uomo, qual è stato lo stile ma
soprattutto, lo spirito della pastorale svolta dal vescovo Morstabilini? Lo stile ha certamente mutuato dalla sua personalità attenta
e riflessiva, riservata e rispettosa
fino al limite della timidezza; ma lo
spirito con cui egli si è impegnato
nella vita pastorale è stato interamente rivolto ai grandi obiettivi indicati dal Concilio Vaticano II, cui
prese parte attiva. Egli accolse e
visse il Concilio come una grazia
dello Spirito Santo, un nuovo vento di Pentecoste sulla Chiesa […].
Ha dato inizio con trepidazione,
ma anche con convinta decisione,
alle nuove realtà quali gli organismi
di comunione e di collegialità, sorretto nell’attuazione del suo proposito da quella costante metodicità
che lo caratterizzava. Non si lasciò
tra la gente,
(primi anni ‘80)
quindi impressionare dalle più svariate contestazioni, sia che provenissero da alcuni vecchi nostalgici
come da altri impazienti riformatori. Quando, immediatamente
dopo il Concilio, la Chiesa anche
a Brescia sembrava percorsa dalla febbre di cambiamento talora
utopico e massimalista, il vescovo
Morstabilini riuscì a compiere una
valida mediazione pastorale tra la
chiarezza dei nuovi obiettivi e la
loro necessaria progressiva applicazione nel contesto della storia,
della mentalità e della tipicità della
Chiesa». Egli diede l’impressione
di privilegiare talvolta più l’ascolto
che la decisione: ma anche questo fu un atteggiamento che, con il
passare del tempo, si rivelò accorto e provvidenziale.
Anche se non ha favorito direttamente il sorgere di nuovi movimenti e di alcune esperienze ecclesiali,
li ha visti crescere sotto il suo guardo attento e ha loro rivolto, a più
riprese, dei seri e saggi ammonimenti in forza del suo compito di
discernimento e di guida.
VI
Seppe esercitare anche la virtù
della pazienza pastorale, che si
prende tempo per valutare ciò che
è sterile e ciò che dà frutto, quel
che è caduco e quel che rimane.
In seguito ha guidato la nostra
Chiesa nelle agitazioni del postconcilio (quando diversi presbiteri
abbandonavano il ministero, alcune comunità cadevano in grave
crisi e sorgevano numerosi gruppi contestatari) mai sfuggendo al
contatto diretto, ricevendo anzi
pubbliche offese personali, che
egli lasciava cadere nel silenzio
dell’umiltà e nel perdono del suo
cuore. Ma nemmeno i contrasti
più acerbi riuscirono a frenarne la
linearità dell’impegno, nella convinzione di compiere fino in fondo
il proprio dovere.
Ha esercitato in modo privilegiato il
ministero di presidenza del presbiterio, mantenendo un assiduo contatto sia colloquiale che epistolare
con tutti i sacerdoti, non esclusi
quelli che avevano lasciato l’esercizio del ministero.
Ogni lettera dell’Apocalisse, rivol-
inserto speciale - Vescovo del Concilio
durante l’ultima
ordinazione
(4 giugno 1983)
gendosi all’«angelo» della rispettiva Chiesa, esordisce: «Conosco
le tue opere». Quali sono state le
«opere», le iniziative che anche sul
piano esteriore hanno qualificato la
pastorale del vescovo Luigi?
Egli ha aperto alla Chiesa bresciana una porta più ampia verso
la missione nei paesi lontani; si è
decisamente impegnato nella costruzione del nuovo
Seminario e di nuove chiese (oltre una
ventina negli anni
del suo episcopato);
soprattutto ha voluto istituire il centro
pastorale intitolato a
Paolo VI quale strumento speciale di
formazione sia per il
clero che per i laici.
Ma l’attività che
maggiormente
ne
ha assorbito le cure
e le energie (fino a
intaccare la sua robusta fibra) è stata
la visita pastorale,
che egli ha voluto
fosse pensata e attuata «in forma
nuova», come un grande appello
a convertirsi ai valori del Concilio,
un profondo esame di coscienza
comunitario, una intensa e decennale catechesi svolta dal vescovo
su «evangelizzazione, sacramenti,
comunità». Di questo enorme sforzo sono testimonianza le lettere
pastorali, che egli affidava ai preti
il Giovedì Santo, dal significativo
titolo «Il cammino post-conciliare
di una Chiesa locale»: un tesoro di
spiritualità, di sapienza e di metodo pastorale.
Della visita pastorale, poi, il vescovo Morstabilini volle raccogliere le
idee, le esperienze e le attese nella
coralità del XXVIII Sinodo diocesano, quasi come «libro di viaggio» di
un pastore che con il suo gregge
procede per le vie che lo Spirito sta
indicando alla Chiesa.
Con questo stesso animo egli
ospitò a Brescia Giovanni Paolo II,
in visita alla Chiesa che aveva dato
i natali a Paolo VI (1982) [..]».
VII
Nella circostanza della sua partenza da Brescia, la personalità del
vescovo Luigi veniva stupendamente lumeggiata. Raccolgo qui
la sintesi di quell’intervento: «Il vescovo Morstabilini è stato esempio
e stimolo di comunione:
1.Innanzitutto nell’ascoltare. Mai
nessuno che abbia chiesto di essere sentito è stato rifiutato.
2.Poi nel parlare. Quanto ha parlato!
3.Nel tacere. Egli conobbe, e molto
bene, anche il tempus tacendi.
4.Nel cercare. Da lì le sue visite,
anche nel Terzo Mondo; da lì la
sua ricerca della pecora smarrita.
5.Nel guidare. Il vescovo ha preferito influenzare più con l’esempio
e con la dottrina che con il comando e la sanzione.
6.Nel lasciare. «Rientra nello stile
di esercizio dell’autorità, come
sevizio, anche la rinuncia all’ufficio» scrive il Direttorio pastorale
per i vescovi. Mons. Morstabilini
seppe anche rinunciare.
inserto speciale - Vescovo del Concilio
a Coccaglio
M
ons. Morstabilini brillò sempre della luce del
prete fedele. In mansioni
e in tempi diversi egli rimase quello che io conobbi sino dalla mia
infanzia, quello che mi insegnò
discipline umane negli anni 193436, quello che ammirai, sempre
come docente, durante la mia
adolescenza negli anni 1937-39,
quello che mi insegnò teologia
morale negli anni 1944-46. Con
lui condivisi per tre anni la vita di
educatore nel seminario di Bergamo e, in seguito, lo ebbi come
superiore in qualità di Provicario
per il clero. Fu sempre prete, soprattutto prete: ministro di Cristo
e dispensatore dei misteri di Dio.
Anche sulla cattedra io trovavo
in lui il sacerdote ordinato nella
esposizione, rigoroso nel metodo, equilibrato nella esigenza; ma
innanzitutto un uomo che sapeva
far sentire che la cosa più importante è la fede. Il clero bergamasco, unanimemente, ne apprezzò
le virtù e salutò con entusiasmo la
sua chiamata all’episcopato.
Mons. Morstabilini amò la Madonna. Martedì scorso, mentre era in
stato di grande sofferenza, gli ricordai che vicino a lui vegliavano
Gesù e Maria; poi lo invitai (e c’era bisogno?) a offrire il suo dolore
per i suoi familiari e per la nostra
Chiesa bresciana. Gli promisi di
recarmi al santuario mariano di
Ardesio, al quale la sua mamma
lo conduceva sin da bambino: vi
sarei andato a pregare per lui. Fu
contento. Durante l’ora della sua
agonia, mons. Baronio celebrò la
Messa votiva alla Vergine «Porta
del cielo».
C
erto la Madonna, che lo
condusse per mano lungo
il sentiero della vita terrena, lo ha ora introdotto nel giardino del Paradiso. Da lassù egli intercede per noi: per la santità della
Chiesa e per la pace del mondo.
Ottenga dal Pastore dei pastori
VIII
l’incremento delle vocazioni sacerdotali, religiose e laicali.
VESCOVO
IN GIORNI DIFFICILI
Mons. Enzo Giammancheri
Grande e colta personalità del clero bresciano, don Enzo ebbe più
volte occasione di esprimere la sua
estimazione per il vescovo Luigi; lo
fece anche in occasione della sua
morte con questo articolo destinato alla stampa locale. Da qualche
anno, anche mons. Giammancheri
è passato all’eternità.
O
ra che i giorni terreni di
mons. Luigi Morstabilini si
sono compiuti, non è irriverente, e nemmeno inutile, delineare alcuni punti di riferimento
che aiutino a capire il significato
dei suoi diciannove anni di episco-
inserto speciale - Vescovo del Concilio
pato bresciano. Ed è un modo di
riflettere su noi stessi, sulla società
religiosa e civile cui apparteniamo.
M
ons. Luigi Morstabilini giunse a Brescia l’8
dicembre 1964. Era un
giorno molto freddo, ma limpido.
L’accoglienza fu calorosa. Era già
Vescovo da due anni nella diocesi di Veroli-Frosinone. Come tale
era un «padre del Concilio» allora
aperto. Ecco: il primo fondamentale punto di riferimento per capire il suo episcopato bresciano è il
Concilio. [Lo si capì fin] dal primo
discorso in Cattedrale. Il vescovo monsignor Luigi Morstabilini
prese sul serio il Concilio. Cercò
di attuarne con impegno generoso le indicazioni e il programma.
Soprattutto fu preoccupato di far
capire quale ne fosse lo spirito.
Nei primi anni bresciani ricorre frequente nel suo magistero il tema
del «cambiamento di mentalità»,
mancando il quale i testi del Concilio sarebbero rimasti infecondi.
La prova massima di fedeltà al
Concilio la diede nel modo di impostare e di compiere la visita pastorale della diocesi, visita di cui
fu epilogo indimenticabile la celebrazione del Sinodo nel dicembre
1979. Ciò fu possibile perché lui,
per primo, aveva vissuto l’esperienza del Concilio come capace
d’imprimere alla sua vita di credente e di Vescovo un orientamento nuovo. Lui per primo s’era
abbandonato all’impeto di quegli
anni eccezionali. Più volte, in seguito, ricordando con commozione l’assise in San Pietro, dichiarerà d’aver vissuto un «tempo di
grazia» che l’aveva «trasformato».
Dopo il Concilio giunse anche a
Brescia il vento della contestazione. Per circa un decennio la
società e la Chiesa furono scosse sin nel profondo. È, questo, il
secondo punto di riferimento da
tenere presente. In poco tempo la
critica a tutto ciò che costituiva o
si richiamava a una realtà istituzionale dilagò con forza distruttiva.
L’istituzione, qualunque fosse, era
giudicata l’origine di ogni devia-
cilio s’incrociò con interpretazioni
della verità cristiana e resistenze
ecclesiali sino a pochi anni prima
impensate. Lo slogan «Cristo sì,
Chiesa no» risuonò anche in alcune sacrestie. Furono gli anni del
marxismo ritenuto con Sartre l’orizzonte insuperabile della cultura
umana. Non si contano le conferenze, le tavole rotonde, i convegni allora tenuti anche a Brescia
zione, il tradimento dei più nobili
ideali, l’ostacolo alla realizzazione di un’esperienza pienamente
umana e cristiana. La scuola, la
famiglia, l’intera società, la tradizione, la Chiesa: nulla venne risparmiato. L’attuazione del Con-
su marxismo e cristianesimo. A
pensare oggi anche soltanto un
poco al comportamento di mons.
Luigi Morstabilini in quegli anni,
c’è da restare ammirati per il suo
equilibrio, la capacità di ascolto,
la disponibilità ad accogliere ogni
IX
inserto speciale - Vescovo del Concilio
briciola di verità e di bene ovunque presenti, la sconfinata pazienza nel sentire per ore e ore le analisi divenute stereotipe, le terapie
schematiche, le denunce ripetute
sino all’ossessione, sempre con le
stesse parole. La linea del Vescovo fu pacata e coerente. La pagò
con non poche umiliazioni, come
quando in un’assemblea di parrocchie cittadine si sentì apostrofare in pubblico: «Prima di parlare
ci dica se dobbiamo considerarla
un padre o un padrone». Ma alla
fine la sua superiore calma e dignità risultarono vincenti.
S
e tra Concilio e contestazione e tra contestazione
e terrorismo vi sia stato un
scia si era formata una situazione
complessa, che forse troppo alla
svelta è stata dimenticata. Il 28
maggio 1974 piazza della Loggia
è teatro di una strage criminale.
Non dimenticheremo mai quei
giorni e quella Messa, celebrata
dal Vescovo in piazza, in seguito
ad esplicita richiesta del Comitato
antifascista, tra fischi, urla, canti
detti rivoluzionari, slogans di morte scanditi nelle vicinanze dell’altare. E quel funerale, chiaramente
strumentalizzato come un grande
psicodramma utile a far maturare
la coscienza rivoluzionaria delle
masse. E la lacerazione nella società e tra gli stessi cattolici, tanto
che non mancò chi disse e scrisse
che la vera liturgia non era quella
con i feriti dell’attentato
di piazza della Loggia
rapporto è questione che in anni
passati ha fatto discutere. È certo
che negli anni ’70 anche a Bre-
celebrata dal Vescovo sull’altare, che in quel momento avrebbe
significato poco o niente, ma la
X
corale, indignata protesta di un
intero popolo. Non dimenticheremo il Vescovo su quell’altare, le
poche parole da lui dette, ferme e
umanissime, il suo volto assorto,
il turbamento visibile, ma anche la
dignità della sua presenza.
U
n altro punto di riferimento
è il mutamento della società nei suoi costumi e quindi, prima ancora, nella sua cultura. Fu durante il suo episcopato
che a Brescia divenne evidente
il fenomeno della trasformazione
ideologica di numerose famiglie
tradizionalmente cattoliche con
conseguenti spostamenti di influenze e d’interessi, e si accentuò
quello dell’immigrazione in città e
provincia di un numero sempre
maggiore di abitanti di origine non
bresciana.
Mons. Luigi Morstabilini seguì la
società con un’attenzione che
forse pochi hanno colto nella reale ampiezza ed acutezza. Basti
citare due documenti. Nel 1973
dedica una lettera pastorale alla
questione morale. Rileggendola,
se ne apprezza ancora la modernità e l’attualità. Molto prima che
la questione morale dilagasse sui
giornali e senza usarla, come poi
è stato fatto, per scopi di lotta
di parte, il Vescovo la riportava
ai principi di fondo, a partire da
quello che riconosce il valore della morale e non la riduce a riflesso
di qualcosa d’altro (i rapporti economici o l’inconscio o l’opinione
prevalente, ecc.). Oggi si è tornati
a parlare di morale, ma in quella
riflessione si possono ancora trovare gli orientamenti essenziali.
Nel 1977 dedica una lunga lettera pastorale alla promozione della
inserto speciale - Vescovo del Concilio
non ce la faceva.
La lettera scritta nel 1972 per
commentare la penosa crisi di
alcuni sacerdoti resta un documento altissimo di bontà oltre
che di saggezza. Non per niente
Paolo VI, che lo aveva scelto nel
1964 per la «sua» Brescia, appena ne venne a conoscenza, la
definì «appassionato e sapiente
documento». Quella passione e
sapienza non sono state chiuse in
una bara. Dovremmo continuare a
sentirle vive dentro di noi. Hanno
accresciuto il patrimonio spirituale
comune.
Uno scritto
di Papa Paolo VI a
mons. Morstabilini
IN OCCASIONE DELLA
“LETTERA AI MIEI
SACERDOTI”
donna. Fu il primo Vescovo a trattarne. Precede di undici anni la lettera apostolica Mulieris dignitatem
di Giovanni Paolo II. Ebbe una vasta eco anche fuori dei confini bresciani. Da allora ad oggi il problema della donna ha camminato, ma
il cumulo di riflessioni di quel testo
resta ancora una riserva preziosa.
U
ltimo punto di riferimento
è l’attenzione alla persona.
Come uomo e come Ve-
scovo fu persona di grande misura, di esemplare dignità, di somma
discrezione. Soprattutto ebbe vivo
un sincero rispetto per qualsiasi
persona incrociasse i suoi passi.
Non ricordò mai un’offesa o uno
sgarbo; non dimenticò mai un
minimo gesto di bontà o di gentilezza. In ciascuno cercò sempre
l’aspetto positivo. Come un padre
era contento per chi camminava
bene e da solo, ma si fermava ad
aspettare ed aiutare chi da solo
XI
Abbiamo aperto con uno scritto
di Giovanni Battista Montini,
chiudiamo con un altro suo scritto,
diretto proprio a colui che egli,
colmo dell’ apprezzamento già
evidenziato nella lettera che apre
questo inserto, volle vescovo della
sua Brescia. Lo scritto si riferisce
alla già più volte menzionata
lettera ai sacerdoti.
Questo scritto ci dice come nel
Papa bresciano non venne mai
meno la stima profonda per quel
figlio di Bergamo e della Val Seriana
Superiore, abituato a calcare i
sentieri delle Orobie e capace
ancora, dopo i settantacinque
anni – come mi testimoniò il mio
prevosto di Verola che condivise
con lui qualche vacanza e qualche
inserto speciale - Vescovo del Concilio
camminata a Ponte di legno – di
lasciare indietro, col fiatone, chi
era più giovane di lui.
È bello intravedere certi “fili” con
cui lo Spirito costituisce le sue
“trame” di vita: papa Giovanni
conobbe personalmente mons.
Morstabilini, ne ricevette buona
testimonianza dal futuro Paolo
VI, lo fece vescovo, ma non di
Brescia, dove fu poi comunque
inviato proprio da Paolo VI; questo
nel contesto dell’amore di papa
Giovanni per la nostra Diocesi (v.
il numero di maggio a pag. 6) e
della reciproca stima e affezione
che legava quei due grandi figli
delle Terre sorelle.
Tutto questo c’entra poco con il
Concilio, ma testimonia comunque
la profonda similitudine – già
evidente per molti aspetti – che
lega le terre lombarde di qua
dall’Adda o, se si preferisce,
comprese tra l’Adda e il Garda.
Ha proprio il sapore del Concilio,
invece, la Lettera oggetto dello
scritto – e che scritto! – che segue.
A
l caro e venerato Fratello
Luigi Morstabilini, Vescovo
di Brescia.
Vogliamo
subito
comunicare
che abbiamo letto con profonda
commozione la lettera, tanto
cordiale e pastorale, che egli
intitola «Ai miei Sacerdoti» circa
la comune sofferenza «a motivo
di qualche confratello che lascia il
ministero sacerdotale».
Noi siamo grati al degno e zelante
Vescovo della nostra amatissima
Diocesi d’origine che ci abbia fatto
gustare l’amarezza, il conforto,
XII
la speranza di tale appassionato
e sapiente documento. Ne
ammiriamo la sensibilità umana,
la serietà dottrinale, l’importanza
ecclesiale.
Condividiamo
nel
Signore i sentimenti ed i voti
dell’afflitto, ma fiducioso Pastore,
a consolazione del suo cuore, a
onore della Diocesi, a stimolo del
suo ottimo Clero, e non senza
pietà per i confratelli infelici.
Voglia il Signore concedere
abbondanza di grazie e di conforti
a Lei, venerato Confratello, a tutti i
suoi forti, fedeli e attivi Sacerdoti,
ed a tutta la comunità diocesana,
mediante la nostra affettuosa e
speciale benedizione apostolica.
In Cristo.
11 agosto 1972
PAULUS P.P. VI