PROSPETTIVE 30X45 n.29 (Page 12)

ALLE PAGG. 5/6/7
Catania - anno XXX - n. 39 - 2 novembre 2014 - Euro 0,60 - www.prospettiveonline.it
“Poste Italiane s.p.a.” - Spedizione in abbonamento postale - D.L. 353/2003
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settimanale regionale di attualità
SPECIALE
PICCHINENNA
“In caso di mancato recapito rinviare al CMP/CPO di Catania, per la restituzione al mittente previo addebito. Il mittente si impegna a pagare la tariffa vigente”
La Chiesa di Catania ricorda Mons. Domenico Picchinenna nel 10° anniversario della morte
In edificazionem Corporis Christi
N
ella Basilica Cattedrale
venerdì 23 ottobre c.a. ha
avuto luogo la commemorazione di Mons.
Domenico Picchinenna nel 10° anniversario della morte. Gradevoli
ricordi sono affiorati alla mente di
molti sacerdoti e laici presenti alle
parole di Mons. Gaetano Zito e del
Prof. Agatino Cariola che hanno
riproposto la grande personalità del
beneamato Pastore che guidò la
Chiesa catanese dal 1974 al 1988.
Un clima di composta commozione
durante la concelebrazione eucaristica presieduta dall’Arcivescovo
Mons. Salvatore Gristina ha reso
ancor più solenne la commemorazione. (Di seguito l’omelia dell’Arcivescovo. Alle pagg. 5/6/7 le relazioni di
mons. G. Zito e del prof. A. Cariola)
Eccellenza reverendissima
e carissimo Monsignor Alfio Rapisarda, Nunzio apostolico, Carissimi
fratelli Presbiteri e Diaconi, Fratelli
e sorelle nel Signore
1. La Celebrazione eucaristica cui
stiamo partecipando è stata preceduta dalla testimonianza che monsignor
Zito e il professor Agatino Cariola ci
hanno offerto su monsignor Domenico Picchinenna, indimenticabile
pastore di questa santa Chiesa catanese che egli amò e servì dapprima
come coadiutore e successivamente
come arcivescovo.
Adesso, con la Santa Messa il nostro
ricordo diviene più intenso e com-
mosso. Sono spiritualmente a noi
uniti anche l’arcivescovo emerito,
Sua Eccellenza monsignor Bommarito, successore di monsignor Picchinenna, e Sua Eccellenza monsignor
Gianfranco Todisco, vescovo di Melfi - Rapolla - Venosa, diocesi di origine di monsignor Picchinenna.
Gli anni di ministero episcopale trascorsi a Catania hanno significato
tanto nella vita di monsignor Picchinenna, al punto da fargli affermare
nel testamento spirituale: “io mi sento in modo specialissimo legato alla
santa Chiesa catanese e con questo
vincolo specialissimo lascerò la terra
nell’attesa della beata resurrezione ...
Per esprimere il vincolo specialissimo che mi lega alla santa Chiesa
catanese desidero essere sepolto nella Basilica Cattedrale di Catania ...
Una semplice piccola pietra indicherà il mio nome perché i fedeli preghino per me.”
La sua volontà è stata eseguita: egli è
sepolto nella cripta e la piccola lapide lo ricorda come “pastore umile ed
uomo di preghiera”.
Alle testimonianze poc’anzi ascoltate si aggiungono quelle che potremo
leggere nelle pagine del settimanale
“Prospetive” che monsignor Picchinenna ha fermamente e coraggiosamente voluto. Da tali testimonianze
emerge la figura di un pastore buono
e povero, semplice e riservato,
paziente e prudente, mite e forte nelle afflizioni; promotore della rece-
@ Salvatore Gristina
(segue a pagina 2)
RICORDO
DI GIOVANNI
REALE
a pagina 3
CONFERENZA:
IMMIGRAZIONE
COSA FARE?
a pagina 9
EBOLA:
INTERVISTA
al Prof. GIULIO
TARRO
Salerno: oltre 350 delegati diocesani al Convegno Nazionale della Conferenza Episcopale Italiana
La speranza sopravvive anche nella precarietà
l tema del convegno promosso dalla
Conferenza episcopale italiana a Salerno, con la partecipazione di oltre 350 delegati diocesani, intreccia la triste realtà della società di
oggi che vive il dramma della precarietà e della
mancanza di lavoro e il soffio spirituale della speranza cristiana.
Papa Francesco
ha inviato un
messaggio, letto
in apertura dei
lavori da mons.
Giancarlo Bregantini, presidente della Commissione episcopale
per i problemi
sociali e il lavoro,
nel quale si legge: “Nelle visite
compiute in Italia, così come negli incontri con le
persone, ho potuto toccare con mano la situazione
di tanti giovani disoccupati, in cassa-integrazione,
precari. Ma questo non è solo un problema economico, è un problema di dignità”.
“Dove non c’è lavoro manca la dignità - ribadisce
I
il Papa - e purtroppo in Italia sono tantissimi i giovani senza lavoro”.
Il Governo annuncia proposte, promette nuovi leggi e nuovi finanziamenti, ma l’auspicato sviluppo
del lavoro si contorce in un groviglio spinoso che
soffoca e toglie il respiro. Il passaggio da alcune
pseudo conquiste di benessere
alla carenza di disponibilità
economica intreccia
un circuito che, a
caduta,
coinvolge
anche indirettamente
tutta la società.
Le istituzioni soffrono
il passaggio dagli anni
delle “vacche grasse”
che hanno lasciato
sprechi e sperperi,
ingiustificati neanche
negli anni dell’abbondanza, alla ristrettezza degli anni di “carestia” e di “povertà” che si espande sempre
più nel tessuto sociale.
Le saracinesche chiuse di tanti piccoli
negozianti costituiscono un vero urlo nel
silenzio della notte, ancora per poco illu-
minata dai locali adibiti a ristoranti e discoteche.
Da alcuni anni è stato lanciato dagli economisti un
allarme, rimasto inascoltato, circa l’avvento della
povertà in Italia ed oggi il profetico messaggio si
avvera: l’Italia è entrata nel tunnel della povertà,
Giuseppe Adernò
(segue a pagina 2)
a pagina 11
2
Prospettive - 2 novembre 2014
sommario al n. 39
PRIMO PIANO
Pastorale della famiglia:
Innamorarsi dell’altro
incontrando l’Altro ________3
Padre Francesco Maria Di Francia:
giornate di studio a Messina _4
INFORMADIOCESI
Dall’Ufficio Catechistico
diocesano________________4
Notizie in breve ___________8
Corso per ministri
straordinari ______________8
68° Anniversario della morte della ven. Lucia Mangano Orsolina
Carissimi,
in occasione del 68° Anniversario
della morte della Ven. Lucia Mangano, desideriamo invitare tutti alle
celebrazioni che si terranno a S.
Giovanni La Punta per ricordare
questa bella figura di Orsolina che
ha saputo vivere pienamente la
gioia del Vangelo percorrendo i sentieri della santità con autenticità e
slancio missionario.
Vi aspettiamo. Affettuosi saluti nel
Signore Gesù.
Maria Pia Zappalà
La Direttrice
Compagnia di S. Orsola Istituto
Secolare di S. Angela Merici-Catania
SVEGLIATE IL MONDO
Ore 17.00 S. Rosario meditato con la
Ven. Lucia Mangano.
Ore 17.30 S. Messa celebrata da P.
Alessandro Ronsisvalle (Assistente
ecclesiastico della Compagnia di S.
Orsola- Istituto secolare di S. Angela Merici di Catania)
Ore 18.30 Adorazione Eucaristica –
Vespri e Preghiera per la glorificazione della Ven. Lucia Mangano.
Domenica 9 Novembre 2014 Cappella delle Orsoline di S. Giovanni la Punta
Ore 17.00 S. Messa celebrata da
Mons. Salvatore Consoli
Ore 18.00 Adorazione Eucaristica–
PROGRAMMA
Sabato 8 Novembre 2014-Cappella
delle Orsoline di S. Giovanni la
Punta
Vespri e Preghiera per la glorificazione della Ven. Lucia Mangano.
Lunedì 10 Novembre 2014
Ore 17.00 Concelebrazione Eucaristica in parrocchia presieduta da P.
Angelico Savarino passionista (VicePostulatore della causa di canonizzazione della Ven. Lucia Mangano).
Subito dopo un corteo si snoderà
dalla parrocchia per raggiungere,
fra i canti e le preghiere, l’Istituto
delle Orsoline di S. Giovanni La
Punta, dove riposa la Ven. Lucia
Mangano. Si concluderà con la Preghiera di glorificazione.
DIOCESI
Verso la X Giornata
sociale Diocesana _________8
Bioetica: Le parole
non fermano
i fiumi in piena ___________9
Meeting
del club Lions
Catania Stesicoro Centrum _12
Visitando
le sale del Museo_________12
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(Federazione Italiana Settimanali Cattolici)
Questo numero è stato chiuso
alle ore 13.00 di mercoledì 29 ottobre 2014
(continua da pag. 1)
IN EDIFICAZIONEM...
zione del Concilio Vaticano II e
instancabile cercatore della comunione.
Emerge la figura di un cristiano dalla profonda vita spirituale e una persona dalla affabilità misurata e paterna per quanti lo incontrarono.
2. Il ricordo di monsignor Picchinenna riceve ulteriore luce dalla Parola
che è stata proclamata.
Paolo si è presentato in atteggiamento orante: “io piego le ginocchia
davanti al Padre”. Così faceva monsignor Picchinenna durante la sua
vita terrena. Non sbagliamo, ne siamo anzi certi, se pensiamo che egli
adesso, accolto nella dimora eterna,
intercede per la nostra Chiesa che il
Signore affidò alla sua insonne cura
pastorale. La sua preghiera, mentre
era qui in terra, fu spesso, come
quella di Gesù, accompagnata da
sofferenze e lacrime (cfr. Eb 6,7).
Adesso, dopo aver ricevuto nella
gioia il premio per le sue fatiche apostoliche, egli continua a pregare per
noi.
3. Cosa chiede monsignor Picchinenna per noi? Quello che Paolo
chiedeva per i cristiani di Efeso:
essere potentemente rafforzati nell’uomo interiore mediante lo Spirito.
Monsignor Picchinenna chiede che il
Cristo abiti, per mezzo della fede,
nei nostri cuori e che ci sia concesso
il dono della sapienza che ci permetta di conoscere l’amore di Cristo che
supera ogni conoscenza.
A questo scopo egli lavorò sempre
con fiducia, per questo pregava e per
questo continua ad intercedere per
noi presso il Padre.
4. Il Signore ascolti ed esaudisca la
preghiera di monsignor Picchinenna
a nostro vantaggio perché ne abbiamo davvero bisogno. Infatti, come
discepoli di Gesù siamo chiamati,
come abbiamo ascoltato nel Vangelo,
ad essere investiti e quasi divorati da
quel fuoco che egli è venuto a gettare sulla terra. Come battezzati nella
morte e resurrezione di Cristo partecipiamo realmente al battesimo che
egli desiderava ardentemente ricevere. Con queste espressioni sono indicate alcune caratteristiche della vita
cristiana che noi talvolta dimentichiamo o preferiamo ignorare. Tutta
la vita del cristiano è martirio, come
ricorda una celebre affermazione del
volume “Imitazione di Cristo”, che
una volta ritornava spesso nelle esortazioni dei vescovi, dei sacerdoti e
che oggi difficilmente è ricordata.
Eppure non si tratta di un’affermazione retorica, come dimostrano le
difficoltà che in tanti luoghi un grande numero di nostri fratelli e di
nostre sorelle affrontano per la loro
fede.
I cristiani sono oggi il gruppo religioso più perseguitato. La divisione
di cui parla Gesù è vissuta nella propria carne da tanti suoi discepoli
strappati alla loro terra e ai loro
familiari perché cristiani.
Anche in questa Santa Messa vogliamo pregare perché cessino le persecuzioni contro i cristiani. Chiediamo
al Signore che per loro e per tutte le
persone che abitano sulla terra sia
riconosciuto l’inalienabile diritto
alla libertà religiosa. Il Signore faccia cadere le armi dalle mani dei violenti e aiuti tutti a superare pensieri e
sentimenti che causano turbamenti
nelle relazioni umane a tutti i livelli.
5. I nostri santi, e con loro certamente anche Monsignor Picchinenna,
che sono in cielo dopo aver attraversato la grande tribolazione di cui parla l’Apocalisse (cfr. 7, 13-14) e la
valle oscura delle prove della vita, di
cui parla il Salmo 32, ci esortano a
vivere coerentemente e con fortezza
cristiana il tempo del nostro pellegrinaggio terreno. Ci impegniamo a farlo, anche per essere degni figli dei
nostri padri, di coloro che ci hanno
lasciato una luminosa testimonianza
di fede che si rende operosa nella
carità.
Vivendo così, nella fede fondata sulla speranza ed operosa nella carità,
Monsignor Picchinenna ha lavorato
quotidianamente con generosa dedizione alla costruzione del corpo di
Cristo. In edificazionem Corporis
Christi secondo il suo motto. Quest’impegno quotidiano gli ha permesso di concludere ogni giornata
della sua lunga esistenza e del suo
ministero sacerdotale ed episcopale
con la dossologia di Paolo che
pocanzi abbiamo ascoltato: “A colui
che in tutto ha potere di fare molto
più di quanto possiamo domandare o
pensare, secondo la potenza che opera in noi, a lui la gloria nella Chiesa
in Cristo Gesù per tutte le generazioni nei secoli dei secoli”.
Così fu per Monsignor Picchinenna; lo stesso accada a tutti noi
per grazia di Dio, la grazia che ci
ottiene la fraterna e paterna intercessione di monsignor Picchinenna a
nostro favore. E voglia egli implorare per me, suo piccolo successore, la
grazia di amare e servire questa santa Chiesa così come ha fatto lui, così
come egli ci lascia indelebile memoria, così come lo ricorderemo sempre.
(continua da pag. 1)
LA SPERANZA...
che chi accompagna non può che
condividere e quindi la solidarietà e
la vicinanza alla precarietà cambia
la società in bene e la rende più solidale. Si cambia in bene se c’è tanta
vicinanza e i preti si accorgono di
essere più umili, i frati più poveri, le
suore più accanto, le famiglie più
giovanili con meno giudizi e più vicinanza». Oggi più che mai occorre
dare speranze e certezze, indispensabili per andare avanti.
La scuola è maggiormente sollecitata a far acquisire competenze trasversali (soft skills) per il lavoro, particolarmente richieste dal mercato del
lavoro, ma non adeguatamente
garantite dagli attuali sistemi di formazione superiore, come emerso dai
lavori dell’International Global Summit che ha riunito a Roma 100
responsabili internazionali dei collegi universitari provenienti da tutto il
mondo.
“Il posto fisso non c’è più” e per
questo occorre sviluppare nei giovani la creatività, la cittadinanza attiva
e l’educazione all’imprenditorialità,
incoraggiando anche “partenariati
per la conoscenza” tra università,
ricerca e imprese e lavorare “per la
certificazione delle competenze non
formali, come quelle che vengono
dalle esperienze di volontariato e di
servizio civile”.
Lo sviluppo delle competenze trasversali potrà garantire l’occupazione giovanile e rispondere in maniera
costruttiva alla precarietà che “scarta
il futuro”.
Le drammatiche tragedie familiari
che riempiono le pagine dei giornali
e dei siti online confermano il senso
di vuoto e la carenza di valori, anche
perché limitata e improduttiva è
risultata la controproposta all’emergenza educativa. Il far prevalere il
relativismo, la pseudo libertà di
coscienza che consentono di fare
quel che si vuole, senza regole e norme, avvalorato e ricoperto dal manto
dell’accoglienza e della misericordia, spesso provoca maggior danno.
Dire “no” alla cultura dello scarto,
significa dire “sì” alle regole morali
che guidano il cammino dell’uomo
verso i valori naturali e cristiani incisi nel cuore dell’uomo con comandamenti dell’amore a Dio e al prossimo
e le connesse relazioni indicate nei
Dieci Comandamenti.
È questa la nuova “luce anche nelle
situazioni più problematiche”, che il
card Bagnasco richiede per i cristiani
di oggi ed il segno di “speranza nella precarietà” scaturita dalla “forza
del Vangelo” che Papa Francesco
auspica ogni volta che augura “buon
giorno” e buona domenica”.
Se mancano i presupposti del lavoro,
della serenità, dell’entusiasmo e della motivazione che consentono di
agire bene e per il bene comune, il
giorno, la domenica, la settimana,
non potrà avere la caratteristica di
“bontà”, che non potrà essere soltanto esteriore o di facciata.
Olio ed energia che alimenta la fiamma della speranza è la miscela di
fede e di carità, d’incrocio tra verticalità che porta a Dio e orizzontalità
che si apre ai fratelli e tutto ciò è
scritto nella regola dell’amore e nella definizione “Deus caritas est”,
come ha insegnato il saggio Benedetto XVI.
che si allungherà per diversi anni prima della ripresa, prevista, secondo la
ruota dei corsi e dei ricorsi storici
alla fine del decennio.
Nell’intricato labirinto, dove si
estende la precarietà, in attuazione
del progetto collegato alla “cultura
dello scarto”, si registra che i giovani senza lavoro camminano nelle
sabbie mobili e molti di essi si perdono senza trovare l’àncora della
speranza.
È la forza del Vangelo che dovrebbe
portare speranza, ma necessita una
diligente azione di guida e di accompagnamento verso la speranza.
«Nell’acceso dibattito di questi giorni sull’articolo 18, ha detto il Card
Angelo Bagnasco, presidente della
CEI. si fronteggiano da una parte
nuove esigenze dell’ambito economico, reso più debole dalla crisi economica-finanziaria, e dall’altra la
necessità di protezione dei soggetti
più deboli».
I cortei, le “piazze rosse”, gli slogan:
“Lavoro, dignità, uguaglianza” che
hanno caratterizzato questi giorni,
anche in contrasto con chi altrove
“progettava un’Italia che lavora”
sono i due volti della medaglia che
descrivono un malessere e un disagio
sociale diffuso, al quale neanche i
partiti politici, divisi e frammentati
riescono a dare risposta.
«Accompagnare fuori le famiglie
ferite per motivi affettivi e i giovani
feriti per motivi lavorativi - ha affermato Mons. Giancarlo Bregantini,
presidente della Commissione Episcopale per i problemi sociali e il
lavoro, la giustizia e la pace,- capire
®
®
3
Prospettive - 2 novembre 2014
Ufficio Diocesano per la Pastorale della Famiglia: Orientamenti Pastorali sulla preparazione al Matrimonio e alla Famiglia cap.II
vità e a ridurre
alla sola dimensione emotiva
la relazione di
coppia, trascurando
che
imparare
ad
amare è un’arte,
che
richiede
pazienza
e
sacrificio e ha
bisogno di guide
sapienti.
Purtroppo,
i
giovani affrontano le esperienze
amorose condizionati dal contesto
sociale e culturale in cui vivono,
bombardati da stimoli emotivi contraddittori, da una comunicazione
fortemente erotizzata e faticano a
collegare vissuti e sentimenti. Frequente l’uso strumentale del corpo
(la pornografia), specie quello della
donna, considerata un oggetto, semplice fonte di piacere, che impedisce
di coglierne la reale preziosità e bellezza. A questi condizionamenti si
aggiungono quelli dettati dalla crisi
economica che, riducendo disponibilità e risorse, ostacola fortemente i
giovani nel dare uno sguardo fiducioso al futuro all’insegna della progettualità di coppia. Il vivere in una
dimensione di incertezza circa il proprio avvenire, fa sì che la temporaneità e la frammentarietà prevalgano
sull’istanza progettuale, che richiede
impegno per il futuro. Genitori ed
Innamorarsi dell’altro
incontrando
l’Altro
’uomo non può
vivere senza amore.
Egli rimane per se stesso un essere
incomprensibile, la sua vita è priva
di senso, se non gli viene rivelato l’amore, se non s’incontra con l’amore,
se non lo sperimenta e non lo fa proprio, se non vi partecipa vivamente».
Queste parole di San Giovanni Paolo
II, nella Redemptor hominis, introducono il secondo capitolo del documento in esame, “Orientamenti
pastorali sulla preparazione al
matrimonio e alla famiglia”, ed
esprimono la pienezza di vita e di
«L
amore a cui aspirano i giovani quando, spinti dall’attrazione per l’altro,
cercano una relazione di reciprocità
con un’altra persona. La relazione
amorosa che nasce dal desiderio di
superare la solitudine, diventa una
risposta al bisogno profondo di essere riconosciuti e amati, ma rappresenta anche un’occasione di cambiamento e di crescita, che può condurre il giovane da un narcisistico amore di sé, che caratterizza i primi passi della relazione amorosa, a un amore che sa donarsi per l’altro. Infatti,
l’esperienza amorosa di una coppia
di fidanzati o di sposi è l’esito del
convergere armonico e graduale tra
eros, il desiderio e la fisicità della
persona, e agape, la capacità di un
amore gratuito per una relazione
autentica. L’eros, sempre più ascendente nell’innamoramento, poi nel
cammino di crescita della coppia si
porrà meno domande su di sé per
interrogarsi sulla felicità dell’altro e
giungere al vero incontro con la persona amata. Per un’educazione integrale all’affettività è importante
conoscere l’alfabeto della corporeità. Il tempo dell’adolescenza comporta profonde trasformazioni del
corpo e del mondo interiore con tempi diversi tra maschi e femmine.
Un’esperienza travolgente da cui
scaturiscono emozioni e sentimenti
spesso condivisi solo fra coetanei e
offuscati dai messaggi ambigui e
contraddittori di una società, che tende a idealizzare la realtà dell’affetti-
In morte di un grande filosofo cristiano: Giovanni Reale
morto il 15 ottobre
2014, nella sua casa di
Luino (Varese), all’età di 83 anni il
grande filosofo cristiano Giovanni
Reale, uno dei maggiori studiosi del
pensiero antico. Autore di quella
monumentale Storia della filosofia
greca e romana (Bompiani 2004) in
dieci volumi e Autore, insieme con
Dario Antiseri, del fortunato manuale, Il pensiero occidentale dalle origine ad oggi, su cui, fin dalla sua prima pubblicazione del 1983, si sono
formate generazioni di studenti. Tale
manuale in tre volumi è stato tradotto in molte lingue, anche in russo: in
Spagna ne ho avuto una esperienza
diretta esaminando il Tomo 3 “Del
Romanticismo a nuestros días” con
un corposo inserto di oltre 130 pp. di
“Fiosofía española e iberoamericana”.
L’ultima volta che ascoltai Giovanni
Reale fu durante il II Corso dei Simposi rosminiani di Stresa (29 agosto1 settembre 2001) su “La fine della
persona?” in cui egli tenne la magistrale prolusione su “Il paradigma
metafisico della persona”.
<<La metafisica è una creazione dei
Greci, come del resto la filosofia in
generale, di cui la metafisica in senso ellenico costituisce l’asse portante>>. Così esordì il suo discorso
Giovanni Reale e proseguì precisando: <<In genere si ritiene, che la
metafisica coincide con l’ontologia,
e che la scienza dell’essere in quanto essere sia l’unica forma di metafisica>>. In realtà i paradigmi metafisici sono tre: nell’ambito del mondo
ellenico, oltre alla <<metafisica dell’essere>>, consacrata da Aristotele,
ha avuto un’importanza nettamente
superiore l’henologia, cioè la
È
Navigare verso l’eternità
<<metafisica dell’uno>>, costruita
in modo sistematico da Platone e dai
Neoplatonici come Plotino.
Nel pensiero cristiano si è sviluppata
una forma di metafisica differente e
che potremmo denominare, <<Metafisica della persona>>, che tuttavia
ha assunto anche alcuni concetti
degli altri due paradigmi. (Ivi
p.123,ss.in “Rivista rosminiana,
aprile -settembre 2002).
Approfondendo questo discorso,
Reale, sulla base di Sant’Agostino,
concepito come una forza individuale e cosmica, che ci fa ascendere i
vari gradi dell’“essere” fino a giungere i supremi principi e la concezione cristiana dell’amore “agape” o
“charitas”, come diranno i latini.
Il primo, quello greco e platonico ha
un valore puramente “acquisitivo”,
mentre quello cristiano, che si esprime nella vita della “persona”, ha un
significato completamente diverso:
l’amore è donazione assoluta <<Dio
stesso è Amore, ed è la pienezza del-
ha introdotto il concetto di “Terza
Navigazione” in quel volume da lui
curato: “Agostino. Amore assoluto e
Terza Navigazione”, Bompiani,
2000, con i due testi a fronte: dieci
discorsi sul Commento alla Prima
lettera di Giovanni; e nel
secondo:Commento al Vangelo di
Giovanni, egli mette a confronto la
concezione greca, e in particolare
platonica, dell’amore come “eros”,
l’Amore che trabocca inesauribilmente al punto di donare se stesso
nel suo Figlio Unigenito per noi. La
croce su cui Cristo è morto è interpretata da Agostino, in senso metaforico, come quella nave che sola fa
attraversare, a ogni uomo che l’accetta, il mare della vita portandolo
nella patria celeste>>.
Si trova in Agostino quel grandioso
circolo ermeneutico espresso nelle
note formule: credo ut intelligam,
intelligo ut credam. <<La fede va
incontro alle istanze della ragione e
la aiuta nella ricerca della verità, così
come la ragione, a sua volta, va
incontro alla fede, offrendole certi
supporti appunto razionali, e aiutandola ad autoconoscersi e autoesprimersi. Per Agostino, insomma, l’avvicinamento avviene in funzione di
due forze, che possono dinamicamente operare in modo sinergico e
convergente>> (Op. cit. p.8 e note 1
e 13). Queste conclusioni verranno
riprese magistralmente anche da San
Tommaso!
Giovanni Reale, non solo è stato uno
dei maggiori interpreti del pensiero
antico, di fama internazionale, basta
leggere il suo “Per una nuova interpretazione di Platone”, (Vita e pensiero 1997, quasi 1000 pp.), è stato
anche fondatore di una Scuola, efficace professionista come insegnante,
cristiano coerente, educatore e maestro di vita per quelli che l’hanno
conosciuto.
Ne fanno fede le sue prese di posizione sull’attualità, come dimostrano i volumi che indichiamo: “Giovanni Reale, Saggezza antica Terapia per i mali dell’uomo d’oggi, Cortina Editore 1995”; ID. Radici culturali e spirituali dell’Europa. Per una
rinascita dell’“uomo europeo” Cortina Editore 2003. e a beneficio della
scuola, e non solo, va ricordato il suo
volume più recente, del 2013: “Salvare la scuola nell’era digitale”, in
cui mette in guardia contro i pericoli
di una educazione scolastica che
enfatizzi il mezzo tecnologico, il
computer e l’aspetto visuale rispetto
alla lettura sulla pagina di carta, con
(segue a pagina 4)
educatori sono chiamati, quindi, a
fare rete per un’educazione alla corporeità e alla sessualità franca e
diretta, al fine di presentare la persona umana nella sua integralità,
capace di vivere relazioni in modo
non solo istintivo e superficiale, e di
acquisire un sano senso critico. Per
lo sviluppo di un simile percorso
risultano particolarmente significativi per i giovani le esperienze di condivisione nei gruppi parrocchiali,
nelle associazioni, nei movimenti,
nel volontariato, nel servizio in
ambito sociale e nei territori di missione, attraverso le quali essi imparano ad apprezzarsi non solo per ciò
che fanno ma anche per quello che
sono. Spesso tali esperienze si rivelano decisive dal punto di vista dell’orientamento vocazionale, così da
poter dare una risposta fiduciosa e
coraggiosa alle chiamate esigenti
dell’esistenza cristiana e un contributo positivo alla società: il matrimonio, la famiglia, il sacerdozio
ministeriale, le varie forme di consacrazione, la missione ad gentes,
l’impegno nella professione, nella
cultura e nella politica. La vita della
comunità cristiana deve e può favorire i due valori più importanti per
giungere alla maturità affettiva: il
pudore e la castità. Il primo riporta
alla parte più intima e preziosa della
persona e fa comprendere che la sessualità non è solo ricerca del piacere,
ma ricerca di una persona nella sua
unicità e dignità, che va custodita nel
suo valore, in quanto icona dello spirito umano creato da Dio. Il pudore
tutela i valori intimi della persona,
non limita la sessualità, ma la protegge e la accompagna verso un
amore integrale e autenticamente
autonomo. Diventa importante educare al pudore fin dalla fanciullezza:
imparare a riconoscere di essere fragili e che questa fragilità va custodita bene diventa una forza liberante.
In questa stessa ottica si può comprendere il valore della castità, ovvero porre a servizio di valori più alti
verso cui tendere la propria sessualità, che diventa mezzo di un amore
autentico, secondo modalità differenti, nella vocazione matrimoniale
o verginale. Per concludere, il periodo dell’innamoramento chiama la
coppia a scoprire sempre di più l’amore di Dio, un amore che supera e
trascende il semplice legame vissuto.
Segni di un amore simile sono percepibili nell’amore umano, infatti, nessun sentimento o esperienza sazia
definitivamente il cuore dell’uomo,
che è sempre portato a cercare qualcosa di grande, percependo così nell’esperienza amorosa il limite della
stessa, insieme all’assoluto; ma
anche il desiderio in ogni innamoramento del per sempre ci rivela questo bisogno di un orizzonte infinito,
di assoluto. Così Dio si rivela dentro
l’amore umano tra un uomo e una
donna e si comunica nel cammino
verso il sacramento del matrimonio.
L’enciclica Deus Caritas est ci insegna proprio questo, che l’amore
umano non è separato dall’amore
divino, perché, come ci annuncia l’apostolo Giovanni “Dio è amore”, e
chi fa esperienza dell’amore fa esperienza di Dio.
Alessandra e Andrea Cacciato
4
Prospettive - 2 novembre 2014
IN PREIMOPIANO
Padre Francesco Maria Di Francia: giornate di studio a Messina
Ufficio Catechistico
Il cuore gonfio di carità
n occasione del primo
centenario della morte
del Fondatore, Mons. Francesco
Maria di Francia, la congregazione
delle Suore Cappuccine del Sacro
Cuore ha promosso nell’ambito dei
festeggiamenti un convegno di studio sull’opera del Fondatore articolata in tre sessioni: storica, di spiritualità e antropologico-caritativa.
Il convegno, che si è svolto a Messina al Palacultura “Antonello da
Messina”, ha visto un susseguirsi
di relatori e studiosi, i quali hanno
sviluppato i diversi aspetti della
vita e dell’opera del Fondatore.
Il quadro storico della Messina di
fine Ottocento ed in particolare dell’arco temporale che va dal 1880,
anno dell’ordinazione sacerdotale
di Mons. Di Francia al 1913, anno
della morte, è stato illustrato dal
prof. Santi Fedele, ordinario di Storia contemporanea all’Università di
Messina.
Con dovizia di particolari è stata
descritta la geografia dei luoghi e
della società messinese prima del
terremoto e l’azione della Chiesa
che in quell’epoca, saggiamente
guidata dall’arcivescovo Card. Giuseppe Guarino, ha dato origine alle
opere sociali e assistenziali dei due
fratelli sacerdoti e fondatori Annibale e Francesco M. di Francia, e
poi ancora all’opera di Don Orione.
P. Fortunato Siciliano, archivista
dei Padri Rogazionisti, ha interpretato alla luce dei documenti l’interazione tra unità e diversità che ha
caratterizzato l’opera dei due fratelli della nobile famiglia messinese Di Francia, di cui Padre Annibale, è stato fondatore dei Padri
Rogazionisti e delle Suore del
Divino Zelo, apostolo e missionario nella zona urbana e Mons. Francesco, vicario generale della diocesi, il quale insieme a Madre Veronica Briguglio a Roccalumera ha
dato vita all’Istituto delle Suore
I
(continua da pag. 3)
NAVIGARE...
la matita per sottolineare ed evidenziare i concetti essenziali per esprimere anche incertezze, dubbi e
riflessioni anche diverse! A suo
avviso, la scuola dovrebbe far comprendere ai giovani il valore e la
“sacralità” della parola; quella
sacralità di cui parla la Bibbia, perché con la “parola” per molti aspetti
si conosce la cosa. La scuola deve
aiutare i giovani a ricuperare l’uso
preciso del linguaggio e il rispetto
della parola, sia parlata sia scritta, e
del conseguente corretto comportamento. Si tratta di uso non dominante dei mezzi informatici e della
comunicazione troppo semplificata
e povera, quindi non ci sono in Reale anacronistiche nostalgie!
L’ultimo volume l’aveva completato
insieme con Antiseri (come anche
con lui aveva pubblicato, Quale
ragione), alcuni mesi prima della
sua dipartita, dal titolo: Cento anni
di filosofia, che va da Nietzsche ai
nostri giorni, che alla fiera di Francoforte ha riscosso vivo interesse in
tutto il mondo culturale e che sarà in
libreria nel prossimo Gennaio.
Salvatore Latora
Cappuccine del Sacro Cuore, per
accogliere le orfanelle dell’area
periferica della provincia, dei casali e dei villaggi marinari della costa
ionica.
Le motivazioni storiche dell’aggancio dell’Istituto al terz’ordine francescano e all’Ordine dei Cappuccini sono state ben documentate dal
Vice Preside della Facoltà teologica di Sicilia, P. Salvatore Vacca.
Nel corso della sessione sulla spiritualità del Fondatore sono state
analizzate le radici bibliche della
spiritualità del Sacro Cuore che
connota nel nome l’Istituto e dopo
la relazione di Don Ottavio De Bertolis dell’Università Gregoriana,
don Antonio Ucciardo dell’Istituto
“San Luca” di Catania, ha illustrato
la devozione particolare di Mons.
Di Francia per il Sacro Cuore “il
dono più prezioso che l’amore di Dio
ha dato a noi, il centro del Cristianesimo”.
L’ardore della Carità: “Se al mio Ciccillo si aprisse il cuore, vi si troverebbe scritto la parola: Caritas”,
espressione significativa pronunziata
dalla madre Donna Toscano, nel
vedere suo figlio segregato al Lazzaretto con gli appestati per non far
loro mancare il conforto della
riconciliazione con Dio prima di
morire, si traduce in gesti concreti
di accoglienza ed in azioni pastorali di predicatore della Parola di
Dio e confessore.
Negli studi di Don Cesare Di Pietro, dell’Istituto teologico “San
Tommaso” di Messina e di Don
Roberto Romeo dell’Istituto “S.
Maria della Lettera” si coglie l’intensità dell’arte del predicare che
gli consentiva di conquistare i cuori e guidare alla conversione e l’amore al servizio della Chiesa nella missione di Vicario Generale
della diocesi, vissuta con così
tanta umiltà da interpretare la
sigla “V.G.” come “vile giumento” a servizio della Chiesa.
Gli aspetti antropologici e la
dimensione caritativa di servizio ai
poveri hanno connotato gli interventi della dott. Lucia Caminiti
dell’Università di Messina, la quale
ha illustrato lo status della Chiesa e
società in quel periodo, mentre la
dott.ssa Chiara Codazzi docente di
Storia delle Congregazioni Francescane Femminili presso la Pontificia Università Antonianum di
Roma ha percorso l’iter storico della congregazione diffusa anche in
Polonia e che continua il carisma
del Fondatore anche nei centri di
accoglienza, come ha testimoniato
don Francesco Pati, direttore Case
di accoglienza “S. Maria della Strada” di Messina.
Mons. Di Francia, ha inteso la sua
vocazione come missione di carità,
uscendo dalla Chiesa e dal recinto
degli artistici scranni dei cori
lignei, dove siedono i canonici nelle chiese cattedrali e come il “buon
pastore” girava tra le viuzze della
Messina povera, dei casali e dei villaggi della costa ionica e dell’entroterra dei Nebrodi e incontrava
tanta gente alla quale portava conforto, pane e benessere spirituale.
“Sentiva e portava addosso”, come
spesso ripete Papa Francesco, “l’odore delle pecore”, non aveva vergogna a prendere in braccio le piccole orfanelle, anche se sporche e
malvestite e consegnandole alle
Suore raccomandava tanta tenerezza e materna attenzione. “Ecco non
ha nessuno, perciò è nostra”. È
questa l’espressione emblematica
della logica della carità che si fa
dono e servizio ai fratelli, specie ai
più bisognosi di particolari attenzioni.
Il convegno, coordinato da Don
Pietro Antonio Ruggiero, della diocesi di Nicosia, ha intrecciato l’azione culturale del far memoria,
con una specifica attenzione al
“memoriale” di un’opera che
attualizza il carisma del Fondatore,
la quale percorrendo la via dell’esodo fuori dal recinto chiuso della
chiesa istituzione ha tracciato,
mediante la missione pastorale,
l’avvento di Dio tra la povera gente, anche sulle spiagge dei pescatori che non hanno tempo per andare
in Chiesa.
Il 15 giugno del 1974 nella diocesi
di Messina iniziarono i lavori in
vista della Causa di Beatificazione
di Mons. Francesco Maria Di Francia e Madre Veronica Briguglio,
Fondatore e Fondatrice della Congregazione delle Suore Cappuccine
del Sacro Cuore.
A quarant’anni dall’evento, la
ricorrenza del centenario della
morte del Fondatore ha visto la presenza dei Vescovi di Messina,
Catania, Acireale e Siracusa. L’anno giubilare, che si concluderà il 22
dicembre a Roccalumera, alimenta
la speranza di vedere presto agli
onori degli altari il Padre Fondatore e diventa per le Suore Cappuccine del Sacro Cuore, come dice
Dante, un “attender certo”.
Giad
Ufficio Catechistico Diocesano e Museo Diocesano
La via della bellezza
apa Francesco
nella Evangelii Gaudium al numero 167
scrive: «Se, come afferma
sant’Agostino, noi non
amiamo se non ciò che è
bello, il Figlio fatto uomo,
rivelazione della infinita
bellezza, è sommamente
amabile, e ci attrae a sé con
legami d’amore. Dunque si
rende necessario che la formazione nella via pulchritudinis sia inserita nella trasmissione della fede. È auspicabile
che ogni Chiesa particolare promuova l’uso delle arti nella sua opera
evangelizzatrice, in continuità con la
ricchezza del passato, ma anche nella vastità delle sue molteplici espressioni attuali, al fine di trasmettere la
fede in un nuovo “linguaggio parabolico”».
L’Ufficio Catechistico ed il Museo
Diocesano di Catania, accogliendo
l’esortazione del Santo Padre, propongono ai catechisti alcuni percorsi
tematici per favorire una catechesi
esperienziale.
P
Il patrimonio storico artistico di cui
il Museo è custode può diventare
oggetto di attenta lettura, meditazione e confronto con la narrazione
evangelica e sussidio all’intervento
formativo dei catechisti.
L’attività che si farà con i ragazzi
permetterà loro di scoprire gli aspetti teologici e spirituali dell’opera
d’arte proveniente dalla loro Diocesi
di appartenenza.
La fase propedeutica ad ogni attività
che si svolgerà al Museo prevede un
incontro con il coinvolgimento attivo dei catechisti.
Nel corso dell’incontro, a titolo gratuito, i
catechisti
potranno
approfondire la realtà
museale e selezionare,
con il personale che si
occupa della didattica, i
percorsi da proporre in
parrocchia.
Dopo
un
iniziale
momento di presentazione delle proposte,
seguirà la visita guidata
al Museo per strutturare, con la collaborazione dei partecipanti, l’attività scelta.
È possibile scegliere la data per l’incontro fra le due seguenti:
- lunedì 10 novembre 2014 alle ore
16.30
- giovedì 20 novembre 2014 alle
ore 16.30
Per la partecipazione è necessario
prenotare una delle due date telefonicamente allo 095/281635 (dal
lunedì al sabato ore 09.00/13.00)
oppure via mail all’indirizzo [email protected]
Formazione
di base per i
giovani catechisti
e gli aspiranti
Ai Presbiteri, ai Diaconi, alle Persone Consacrate e ai Catechisti dell’Arcidiocesi
Carissimi,
I vescovi italiani in Incontriamo
Gesù scrivono al numero 84: «Assicurare la formazione specifica di
base a tutti i catechisti è decisivo, sia
mediante l’impegno delle parrocchie, sia di apposite scuole diocesane; non è da trascurare nemmeno
l’attenzione alla circolazione delle
buone pratiche e delle esperienze
positive vissute nelle varie comunità.
L’Ufficio Catechistico Diocesano
(UCD) curerà che la formazione in
loco dei catechisti parrocchiali sia
sempre in sintonia con il progetto
diocesano».
Tutti siamo coscienti del delicato
compito dei catechisti soprattutto nel
contesto odierno, e ciò impone la
necessità di una formazione organica
e permanente per assolvere al meglio
tale ministero.
Così come è stato annunciato durante il convegno catechisti di quest’anno, desideriamo attivare un iniziale
percorso di formazione per i nuovi
catechisti e gli aspiranti catechisti.
Gli incontri si terranno in dieci centri di formazione individuati nel territorio dell’Arcidiocesi; ciascuna
parrocchia potrà scegliere il luogo e
i giorni per partecipare ai due incontri proposti dalle ore 18,30 alle ore
20,30. In due incontri consecutivi
saranno offerte alcune nozioni fondamentali da approfondire nella formazione permanete.
Si allega alla presente il calendario
degli incontri.
Salutandovi tutti cordialmente nel
Signore, cogliamo l’occasione per
invitarvi a fornirci suggerimenti e
proposte che ci permettano di qualificare sempre di più il servizio dell’Ufficio Catechistico.
Sac. Gaetano Sciuto
e l’equipe dell’UCD
DATE INCONTRI
Parrocchia S. Paolo Adrano: 13-14
novembre 2014. (P. Gaetano, Concetta Poidomani)
Parrocchia S. Agata, Bronte: 25-27
novembre 2014. (Filadelfo, Concetta
Gueli, P. Gaetano)
Parrocchia Sacro Cuore, Biancavilla:
10-11 dicembre 2014. (P. Gaetano,
Davide Maret)
Parrocchia S. Angela Merici, Misterbianco: 14-15 gennaio 2015. (Antonella Santagati, P. Gaetano).
Parrocchia S. Francesco all’Annunziata, Paternò: 15-16 gennaio 2015.
(Sr. Anna, Concetta Poidomani).
Parrocchia Sacra Famiglia, Catania:
19-20 febbraio 2015. (Sr. Anna,
Concetta Poidomani)
Parrocchia Risurrezione del Signore,
Catania: 25- 26 febbraio 2015.
(Angela Daquino, Filadelfo)
Santuario S. Alfio, Trecastagni: 4-5
marzo 2015. (P. Gaetano, Filadeflo).
Parrocchia S. Paolo, Gravina: 6-7
maggio 2015. (P. Gaetano, Angela
Daquino)
Seminario Arcivescovile, Catania: 78 maggio 2015. (Sr. Anna, Concetta
Gueli).
5
Prospettive - 2 novembre 2014
DOMENICO PICCHINENNA, vescovo del Vaticano II
1. Breve nota biografica
Nasce a Melfi, in Basilicata, il 26
dicembre 1912. Il 21 luglio 1935
riceve l’ordinazione sacerdotale. A
42 anni, il 2 luglio 1954, viene eletto arcivescovo di Acerenza e riceve
la consacrazione episcopale il 7 ottobre successivo. Trasferito alla sede
di Cosenza, il 4 settembre 1961,
riceve la nomina ad arcivescovo coadiutore con diritto di successione
dell’arcivescovo di Catania, Guido
Luigi Bentivoglio, il 29 maggio
1971. Succede a questi il 16 luglio
1974. Presentata le dimissioni al
compimento del 75° anno di età,
resta in carica fino al 1 giugno 1988,
quando viene nominato il successore, Luigi Bommarito. Il 22 luglio
1988 lascia la diocesi e si trasferisce
a Roma, dove muore il 25 ottobre
2004.
2. Vescovo conciliare
Di Picchinenna è ancora vivo nella
nostra memoria il suo costante riferimento al concilio Vaticano II, al quale aveva partecipato in tutte le sessioni, il suo impegno per veicolare
alla comunità diocesana una puntuale conoscenza dei singoli documenti
conciliari, il suo stile pastorale
improntato alle decisioni assunte dal
concilio.
Poco noti sono i suoi vota et consilia
per la futura assise conciliare.
Rispetto a risposte brevi e di scarni
contenuti, pervenute da un certo
numero di vescovi, Picchinenna si
colloca fra coloro che inviarono un
testo di media grandezza – 10 dense
pagine a stampa nei volumi degli
Acta synodalia – impregnate da un
forte afflato pastorale. La lettura del
testo, in particolare a quanti abbiamo
avuto il privilegio di averlo conosciuto in modo diretto, fa rivivere
sentimenti di gratitudine per il suo
stile pastorale ed offre un corretto
angolo di visuale per leggere il suo
ministero episcopale.
Gli argomenti da lui proposti, come
egli stesso scrisse, facevano riferimento alla situazione italiana. Il
testo, rigorosamente in lingua latina
e da lui stesso redatto, come era solito fare in simili casi, dopo alcune
proposte di carattere generale, è articolato in 13 paragrafi di questioni
particolari, spesso accompagnate da
esemplificazioni concrete. Tra le
tematiche generali, propose: di
riprendere e valorizzare i materiali
del concilio Vaticano I, non confluiti
nei due documenti emanati Dei
Filius e Pastor aeternus; di valorizzare opportunamente i documenti
pontifici, da Leone XIII a Pio XII
soprattutto, per redigerne un’utile
sintesi chiarificatrice di questioni
dommatiche, bibliche, morali, liturgiche, pastorali, socio-politiche e
relative al laicato cattolico; di rivedere il codice di diritto canonico, in
sintonia con Giovanni XXIII.
Per le questioni particolari, chiese
che il concilio trattasse: della concessione di maggiori facoltà ai
vescovi; di rivedere le regioni e le
province ecclesiastiche, per coordinare meglio la pastorale; di rivedere
i confini delle diocesi e prestare
attenzione alla situazione spesso
problematica delle piccole diocesi;
di valutare la situazione dei vescovi
anziani e ammalati che, per il bene
Il temporeggiare segno
di saggezza e di paternità
delle anime, a suo parere si doveva
risolvere con la rinunzia al governo
della diocesi e, annotava, che lo Spirito Santo illumini la mente e la
volontà mia e di tutti i vescovi a
rimettere tempestivamente nelle
mani del Sommo Pontefice il mandato apostolico; di prescrivere ai
vescovi l’obbligo di redigere per
tempo il proprio testamento, al fine
di evitare qualsiasi genere di irregolarità dopo la loro morte; di mantenere ma riformare i capitoli delle
cattedrali; di superare il concetto di
parrocchia territoriale che, seppur
valido, non è più adeguato ad alcune
situazioni pastorali e, quindi, concedere ai vescovi il permesso di erigere parrocchie non territoriali così da
venire meglio incontro alle nuove
condizioni di vita dei fedeli, condizionate dalla mobilità umana e dalle
attività lavorative; di abolire il con-
pria diocesi, da considerare come
propria famiglia e quindi come unica
realtà di appartenenza; di permettere
ai vescovi, se possibile, di venire
incontro alle diocesi con clero insufficiente, concedendo ad tempus
qualche ottimo sacerdote per provvedere al bene delle anime, poiché la
Chiesa è cattolica; di non concedere
facilmente il permesso di celebrare il
sacramento del matrimonio ai preti
che lasciano il sacerdozio, poiché si
rischia di favorire il venir meno al
dovere di resistere alle tentazioni e
alle difficoltà; di rivedere il dovere
del precetto pasquale, del digiuno e
dell’astinenza; di adottare una maggiore chiarezza nella terminologia
giuridica nei documenti legislativi
della Chiesa, come pure nella concessione di facoltà e dispense.
Tutte le proposte di Picchinenna non
indugiano su questioni di carattere
corso per la nomina dei parroci, così
da valorizzare meglio il clero e tenere maggiormente in conto le ragioni
pastorali nelle nomine; di rivedere il
principio dell’inamovibilità dei parroci, e snellire l’eventuale processo
amministrativo di rimozione, in vista
del bene delle anime, principio che
avrebbe dovuto sancire anche il
dovere della rinunzia alla parrocchia
da parte di parroci anziani e ammalati; di rivedere le esenzioni dei religiosi, ai quali ricordare che appartengono all’unico sacerdozio cattolico e sono parte dell’unica Chiesa,
per cui sottometterli alla giurisdizione del vescovo in ciò che riguarda il
culto pubblico e il ministero pastorale, pur mantenendo le peculiarità di
ciascuno; di sollecitare la massima
unione, quindi, fra vescovi e superiori religiosi; di adottare criteri più
rigidi nel permettere nuove fondazioni di istituti religiosi, soprattutto
femminili; di rivedere il diritto della
Santa Sede (della Dataria Apostolica) di concedere certi benefici ecclesiastici; di emanare nuove norme,
radicali e autorevoli, per una maggiore perequazione economica tra il
clero; di mantenere il principio dell’incardinazione del clero nella pro-
dottrinale. Hanno, piuttosto, un chiaro riferimento a precise situazioni
pastorali, frutto del suo ministero di
parroco a Melfi e di arcivescovo ad
Acerenza, sostanziate dalla regola
aurea della salus animarum suprema
lex. In qualche modo queste proposte
riflettono quel diffuso bisogno di
concreto rinnovamento pastorale
della Chiesa, per cui Giovanni XXIII
ritenne di convocare il concilio non
per ribadire la dottrina, recepita in
ogni caso nella sua integralità, quanto per far compiere alla Chiesa un
«balzo innanzi» (discorso Gaudet
Mater Ecclesia).
Meraviglia, tuttavia, che Picchinenna abbia chiesto in modo esplicito,
come altri vescovi, che il concilio
emanasse un nuovo Sillabo degli
errori del mondo moderno da condannare, così come aveva fatto Pio
IX nel 1864. A suo parere urgeva
intervenire su gravi errori attorno
alle verità della fede, ai costumi e
alla disciplina del clero e del popolo
cristiano, al culto, all’apostolato dei
laici, all’attività socio-politica dei
cristiani, ai rapporti tra Chiesa e
società. Posso attestare, poiché in
più occasioni ne parlò in modo accorato, che se ne rammaricava: “a con-
cilio iniziato e, soprattutto dopo la
sua conclusione, mai e poi mai avrei
avanzato simile proposta!”. Ecco,
Picchinenna appartiene a quella scia
di vescovi che il Vaticano II ha convertito. A tal proposito Giuseppe
Alberigo affermava che una nota
caratterizzante la spiritualità del concilio è da individuarsi appunto nella
conversione dei vescovi che vi parteciparono: si erano lasciati convertire
dallo Spirito Santo al punto che, a
concilio concluso, avevano assunto
modelli teologici e pastorali diversi
da quelli che avevano in precedenza.
Rientrati, poi, nelle rispettive diocesi
si sono generosamente spesi per
favorire la recezione del Vaticano II.
3. Alcuni tratti del suo episcopato
catanese
Ne evidenzio tre che mi sembrano lo
abbiano caratterizzato.
a) Pacatezza e, se necessario, tempi
lunghi nelle decisioni. Un prete lucano che lo conosceva bene, in servizio
presso la Segreteria di Stato, mi disse: “don Domenico? … Quinto
Fabio Massimo il Temporeggiatore!”
A noi più giovani che invocavamo
interventi immediati e decisioni rapide, soleva educarci con confidenze
misurate e con espressioni del tipo:
“eh! ma tu devi sapere che…”.
Oppure, facendo appello alla sua
proverbiale memoria: “ti ricordi che
in quella circostanza, erano presenti
(e giù i nomi dei presenti), ed è stato
detto questo dal tale, quest’altro dal
tal altro e dagli altri, ecc. … e allora
non ti sembra che sia il caso di attendere…?” Il suo temporeggiare non
era per nulla tentennamento, o mancanza di coraggio a decidere. Tutt’altro! Era la forma della sua saggezza
e della sua paternità: la decisione
finale, infatti, era quasi sempre la più
idonea. Se l’attesa poteva dar luogo a
sofferenze, a decisione assunta si
comprendeva che forse se ne erano
evitate di più gravi. Anche perché, lo
sappiamo bene, il tempo dell’attesa
era accompagnato da immancabili
valutazioni di tutti gli aspetti in questione ma soprattutto da corrispondenti tempi lunghi di intensa preghiera.
b) Il martirio della pazienza. Inutile disconoscere, ahimè!, perché in
molti ne abbiamo ancora viva
memoria, divisioni e conflitti fra
gruppi del clero. Di chi teorizzava
maggioranze e minoranze, e faceva
la conta dei suoi e degli altri, in
assemblee e riunioni del consiglio
presbiterale. È noto che in una riunione ebbe il coraggio di inginocchiarsi davanti ad un prete e, piangendo per la sofferenza che gli procurava l’atteggiamento di questi,
chiedergli perdono pur di ottenerne
la concordia con gli altri. Egli era
convinto che, prima della fine del
suo episcopato, il cosiddetto “grup-
pone” della maggioranza sarebbe
divenuto un piccolo sparuto, seppur
sempre indomito, gruppetto di poche
unità: e così avvenne. Non sono
mancati neppure alcuni confratelli
che hanno ritenuto di denunziare
l’arcivescovo alla Santa Sede. È stato un periodo di smisurata sofferenza
per Picchinenna. La sua paterna
pazienza lo ha portato a lasciare
sempre aperta la porta del suo cuore
e della sua stanza, per dialogare
soprattutto con coloro che hanno
assunto tale decisione. Al contempo,
ha evitato ogni forma di asprezza e
non ha mai alzato i toni dello scontro. Lui stesso scrisse la difesa dalle
accuse e la Santa Sede la riconobbe
giuridicamente ed ecclesialmente
ineccepibile. Vittoria che non fece
mai pesare sugli accusatori.
In tale difficile situazione, decise di
non nominare un vicario generale:
preferì sobbarcarsi personalmente
tutto il lavoro che avrebbe potuto
delegargli pur di ottenere il bene della diocesi e, in particolare, la comunione tra il clero.
Come non ricordare, inoltre, gli articoli pubblicati contro di lui dal quotidiano locale La Sicilia? Ai quali
contribuirono con proprie dure
dichiarazioni membri del clero e del
laicato cattolico! A distanza di anni
il giornalista che si prestò a tale operazione, nella giovanile età di chi si
affacciava alla carriera giornalistica
(in seguito si avviò a ben altra e più
prestigiosa carriera), ebbe modo di
dichiararmi il grave errore compiuto
in quel caso e la strumentalizzazione
di cui si sente tuttora vittima. A quegli articoli, da Picchinenna attentamente letti, non venne mai una reazione da lui che rifiutò, fin dall’inizio del suo arrivo a Catania, l’omaggio quotidiano del giornale e pagava
puntualmente l’abbonamento annuale per sé e per la sorella.
A proposito di La Sicilia, sia permesso ricordare anche un altro episodio. Al famoso messaggio sui mali
della città di Catania (1984), a firma
dell’arcivescovo, del vescovo ausiliare (Pio Vigo) e del consiglio presbiterale, fecero seguito numerosi
interventi a commento di esso pubblicati dal giornale. Il capocronista
del tempo mi disse che avrebbe gradito un intervento finale di Picchinenna per l’interpretazione corretta e
ufficiale del messaggio. Con signorile fermezza Picchinenna mi incaricò
di riferire che non era il caso - non
senza le ire di chi aveva avanzato la
richiesta: erano tempi in cui nessuno
si permetteva dargli risposte negative
- per evitare che si procedesse poi
all’interpretazione dell’interpretazione, svilendo così la pregnanza del
messaggio.
c) Il respiro conciliare. Il deciso
orientamento conciliare nella sua
(segue a pagina 6)
6
Prospettive - 2 novembre 2014
SPECIALE PICCHINENNA
(continua da pag. 5)
IL TEMPOREGGIARE...
prassi episcopale, lo abbiamo sperimentato in molteplici occasioni. Mi
limito a segnalarne qualcuna.
Fin dall’inizio del suo arrivo in diocesi, già da coadiutore dell’arcivescovo Bentivoglio, fu chiaro l’orientamento conciliare di Picchinenna.
La vicenda della salutare crisi del
nostro seminario, nel 1971-1972, fu
da lui gestita con riferimento al
“metodo conciliare”: coinvolgere
tutti in gruppi di studio, lasciar parlare tutti, ascoltare pazientemente tutti
e qualsiasi cosa ciascuno avesse da
dire, moderare le asprezze, accettare
con coraggio il rischio del futuro più
che restare quietamente ancorato a
forme ed usanze del passato, pervenire alla decisione nella preghiera.
Le sue omelie – non oltre 20 minuti
– sempre improntate alla Parola di
Dio proclamata nella celebrazione
liturgica. Non le scriveva e non ne ha
mai letto. In ciascuna di esse non
mancava mai il riferimento alle più
recenti e sicure acquisizioni esegetiche. Ognuna di esse era impregnata
dell’annunzio dell’amore e della
misericordia di Dio e della sollecitazione alla conversione.
Ad ogni giovane che entrava in seminario era solito dire: passa alla libreria dei Paolini e ti fai dare – provvedeva poi lui a saldare il conto - La
Bibbia di Gerusalemme, i documenti
del Vaticano II edizione Dehoniane,
il volume unico della Liturgia delle
Ore: tre compagni di vita, dalla forte
valenza simbolica, con cui camminare fin dall’inizio dell’itinerario formativo al ministero presbiterale e
non solo, alla vita cristiana.
Le settimane di formazione permanente del clero, come molte assemblee diocesane, sono state improntate all’approfondimento dei documenti conciliari e delle tematiche dei
convegni e dei documenti della CEI.
Per la loro adeguata comprensione
voleva che venissero relatori di prestigio, possibilmente protagonisti
della loro stesura: il Bollettino ecclesiastico del tempo ne è testimonianza.
In un periodo in cui l’aria del Vaticano II spirava forte verso innovazioni
pastorali, radicate in special modo
nelle quattro costituzioni conciliari,
Picchinenna ha favorito la sperimentazione di nuovi modelli pastorali.
Pur se distanti dalla sua formazione e
dalle sue precedenti esperienze di
parroco e di arcivescovo, lasciava
libertà di iniziativa, seguendone e
sostenendone gli sviluppi. Il rinnovamento, avviatosi negli ultimi anni di
Bentivoglio, con Picchinenna poté
esprimersi in una coraggiosa e intelligente lettura dei segni dei tempi, in
grado di coniugare l’evangelizzazione con la promozione umana. Libertà di nuovi modelli parrocchiali poterono così aversi nelle parrocchie
Santi Pietro e Paolo, al Pigno, al Villaggio Sant’Agata, al Crocifisso della Buona Morte, solo per citarne
alcune. Allo stesso modo, si rendeva
frequentemente presente in gruppi
giovanili parrocchiali e non, lasciando a casa il fidato autista, sig. Carmelo Morales (per tutti: don Carmelo) e la mitica Fiat 128 per farsi prendere e accompagnare da giovani
anche con non sempre perfette Fiat
500.
In tema di nuovi modelli pastorali,
un particolare interesse mostrò per
movimenti, gruppi, associazioni. Pur
restando affettivamente legato all’Azione Cattolica, diede spazio e seppe
valorizzare realtà nuove come il
movimento di Comunione e Liberazione, i Neocatecumenali, il Rinno-
con decisione la berretta dalla testa –
come soleva fare in simili casi per
marcare l’importanza di quanto stava
per dire - per rispondere ad una prassi pastorale un po’ strana espressa da
un venerando confratello.
Si potrebbe continuare a far memoria
vamento nello Spirito, l’Agesci, i
Focolarini, le comunità di base e
Chiesa Mondo, solo per citarne alcuni. Più volte convocò tutti ad un’annuale assemblea (al Cinema Golden,
sul lungomare della città, nella zona
del Rotolo) per conoscersi, dialogare, individuare forme di collaborazione, crescere e camminare in
comunione a servizio della Chiesa
locale: In aedificationem corporis
Christi (il suo motto episcopale).
Nondimeno, rimase scrupoloso e
tuziorista, come definì se stesso, in
una assemblea di clero, togliendosi
di aneddoti e di gesti concreti da evidenziare. Può tutto riannodarsi: nella
semplicità delle relazioni umane, per
cui tutti avevano accesso diretto alla
sua stanzetta di ricevimento e ciascuno sapeva e sperimentava di stargli
sinceramente e affettuosamente a
cuore; nella fiducia e nell’incoraggiamento con cui accompagnava in
special modo i preti giovani, e non ci
si sentiva soli o abbandonati, soprattutto quando affidava incarichi
pastorali rilevanti; nello stile di vita
povero, sostanziato da grande generosità silenziosa e verso chiunque;
nella carità espressa anche verso i
detenuti del carcere che, in silenzio,
si recava da solo a visitare; nell’intensa vita spirituale, alimentata da
una costante preghiera, in special
modo la liturgia delle ore e la recita
del rosario; nella vasta cultura, mai
ostentata, frutto di letture attente e
poliedriche, come dell’abbonamento
annuo a numerose riviste di differente orientamento culturale, e di cui è
testimonianza la biblioteca personale
lasciata in eredità alla Biblioteca del
Seminario arcivescovile; forte senso
delle istituzioni, ecclesiastiche e
civili, rispettate con spirito di servizio e fedeltà.
Non è stato certamente privo di limiti. Non sono certamente mancate difficoltà. La personale filiale devozione nei suoi confronti non mi consente di saperli individuare con obbiettività. Un solo aspetto forse è doveroso evidenziare: un certo mancato
coinvolgimento diretto nei problemi
sociali, una assenza formale dalle
questioni e dalle problematiche vissute dalla città; una certa ritrosia alle
manifestazioni pubbliche, salvo che
non fossero cerimonie ufficiali. Ciò,
tuttavia, non gli ha impedito di sollecitare e sostenere l’impegno sociale
e politico di molti laici cattolici.
Verrebbe da concludere con quella
espressione di genuina meraviglia,
che spesso accompagnava il dialogo
personale con lui, come i suoi interventi pubblici, e si apriva alla lode al
Signore per magnificarne le opere, la
bontà e la misericordia: «quante
cose! quante cose! quante cose!».
Grazie, Eccellenza!!
Gaetano Zito
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Prospettive - 2 novembre 2014
SPECIALE PICCHINENNA
Il Vescovo che aveva scolpito nella memoria ogni persona conosciuta
Un amore disinteressato per Catania
ccellenza reverendissima, presbiteri e fratelli
della Chiesa di Catania,
con commozione ho accettato l’invito a ricordare Mons. Domenico Picchinenna e nella consapevolezza di
non esserne affatto degno né di avere titoli particolari rispetto ai tanti
autorevoli laici che hanno conosciuto, stimato ed amato mons. Picchinenna e – lo dico subito – ne sono
stati amati, incoraggiati a proseguire
nel loro lavoro e ad impegnarsi a
“cercare il regno di Dio trattando le
cose temporali e ordinandole secondo Dio” (L.G. 31).
Come molti della mia generazione
ho conosciuto mons. Picchinenna
già quando venne ausiliario a Catania, con quella strana dicitura di
“erede”, che però rimandava già alla
successione apostolica e quindi
all’essere il pastore di questa Chiesa
catanese. Erano gli anni immediatamente successivi al Concilio Vaticano II, e sembrava che quel sacerdote
– di corporatura piuttosto minuta –
fosse l’espressione vivente del Concilio. Ho frequentato Picchinenna
sino agli ultimi mesi della Sua vita
terrena, andandolo a trovare al San
Giuseppe di Roma, per assistere alla
Sua messa, per raccontargli le mie
esperienze di lavoro, per presentargli Anna Maria prima del nostro
matrimonio, per sentire da Lui confidenze e ricevere sempre appassionato conforto. Come quando, nella
mia ultima visita a Roma (era stato
da poco nominato Mons. Gristina
arcivescovo a Catania), mi raccontò
del loro incontro in un viaggio
appunto verso Catania. Fu, tra l’altro, la prima ed unica volta in cui si
aprì al racconto della sua esperienza
di malattia, con serenità e semplicità, da Padre.
Ma questa esperienza è comune a
tanti della mia generazione: ai fedeli che Picchinenna ha seguito, ai
ragazzi che ha incoraggiato, a quelli
di cui ha benedetto le nozze, ai lavoratori ed ai professionisti, ai politici
che ha ispirato, nella distinzione tra
i campi, ma anche nella fermezza
delle posizioni riguardo alla questione morale come la difesa dei
principi.
Alla mia generazione Picchinenna
apparve come un Maestro, un Pastore ed un Profeta (anche qui il richiamo è a L.G. 31) di grande respiro.
I laici – tutti i laici - lo hanno amato
e ne sono stati amati, talvolta forse
più dei presbiteri. Ne sono prova le
vocazioni adulte di quel periodo,
espressioni quanto mai significative
di quell’evangelizzazione per testimonianza che si richiede al cristiano
e sulla quale il cristiano medesimo è
giudicato.
I Suoi successori nell’episcopato
hanno rinvenuto una Chiesa catanese che affonda le sue radici in quel
periodo temporale e che con Picchinenna si è formata.
Ricordo qui alcuni tratti della Sua
personalità.
Innanzitutto, la Sua attenzione per
ogni persona: Picchinenna era proverbiale nel ricordare le condizioni
di ognuno, la rete di relazione, lo
stato di salute, e nell’informarsi su
ciascuno.
Molti hanno fatto l’esperienza di
incontrarLo nel piccolo corridoio
E
dell’Episcopio. Possiamo fermare
quell’immagine: Picchinenna che ci
correva addosso con gioia e con
entusiasmo, ma si fermava un attimo prima di travolgerci; in quella
distanza fisica sta il suo modo di
rispettare la nostra persona, di
lasciarci autonomi nelle nostre scelte e nel nostro lavoro, nelle nostre
responsabilità, e nel nostro campo.
Per noi laici tale rispetto delle competenze è fondamentale: “Il carattere secolare è proprio e peculiare dei
laici” (L.G. 31); “I fedeli perciò
devono riconoscere la natura profonda di tutta la creazione, il suo
valore e la sua ordinazione alla lode
corso da continuare, ma Picchinenna era con noi, non per sostituirci,
ma per confortarci.
Si collegano a ciò altri profili: Picchinenna conosceva tutti, nel senso
che conosceva politici, giornalisti
delle testate nazionali, i pastori delle altre Chiese, e ne era conosciuto e
stimato. Quando andavo in giro per
convegni mi presentavo come
“ragazzo di Picchinnenna” e facevo
da corriere per saluti che andavano
da nord a sud dell’Italia. Picchinenna era umile e semplice, ma non era
affatto provinciale, e dava alla Sua
Chiesa quest’impronta di interesse
per l’universale.
di Dio, e aiutarsi a vicenda a una
vita più santa anche con opere propriamente secolari, affinché il mondo si impregni dello spirito di Cristo e raggiunga più efficacemente il
suo fine nella giustizia, nella carità
e nella pace. Nel compimento universale [dell’ufficio di perseguire la
giustizia, la carità e la pace] i laici
hanno il posto di primo piano”
(L.G. 36). Da qui il carattere a volte esclusivo della competenza laicale. E Picchinenna tale competenza la
riconosceva, che si trattasse del
campo medico e scientifico, come
del campo culturale, come di quello
politico.
La memoria di Picchinenna: si notava subito che non era curiosità, ma
era attenzione ed affetto alle persone, era partecipazione ed affetto alla
Chiesa, a questa Chiesa particolare,
come a quella universale. Quando
Picchinenna a noi ragazzi parlava
delle notizie tratte dall’Annuario
Pontificio, o quando ci ricordava
episodi del passato, specie di quello
ecclesiale, ci mostrava il Suo grande
affetto per la Chiesa e ci faceva sentire parte di quel mondo e di quella
esperienza.
La memoria – da fenomeno personale – si faceva istituto sociale, si
faceva memoria collettiva, si faceva
Storia, fatta di cronache individuali
e di movimenti collettivi, di pesi e di
assunzioni di responsabilità, dell’insegnamento del passato per l’impegno nel presente e per preparare il
futuro.
Per noi ragazzi era la Scuola di formazione: non eravamo soli, facevamo parte di una Storia, ne avevamo i
carichi ed i meriti, avevamo un per-
Un esempio: spesso dopo i convegni
della Cei si organizzava in diocesi a
Catania qualche incontro per informare, diffondere ma anche per rilanciare il confronto.
Erano gli anni del post-concilio, che
hanno segnato la nostra formazione.
Della riscoperta dei laici si è detto,
ma subito dopo va ricordata – perché per alcuni versi ne è un portato
– la distinzione tra ambito religioso
ed ambito politico. La c.d. “scelta
religiosa” – cioè la fine di ogni collateralismo automatico – non fu propria della sola Azione Cattolica, ma
di tutta la Chiesa italiana, sia perché
negli anni ’70 erano venute meno le
condizioni del 1948, ed allora la
Chiesa si proponeva come Maestra
di tutti, sia perché – in termini teologici – proprio la valorizzazione
del ruolo dei laici portava all’accettazione delle loro differenze anche
in ambito politico.
Di tale scelta religiosa di tutta la
Chiesa Picchinenna fu autentico
interprete. Ha sostenuto molte voca-
zioni laicali in politica, ma non si è
sovrapposto a creare la rete o il partito del Vescovo, o a costituire gli
uomini del Vescovo, perché ciò
avrebbe avuto un effetto escludente
e niente affatto integrante per gli
altri: un effetto antiecclesiale per
definizione, tutto il contrario della
coscienza pastorale del Vescovo.
Picchinenna, invece, incoraggiava e
consolava, sosteneva e pregava per
tutti. Rilevo che il Gesù che prega
per gli apostoli (Gv, 17) è lo stesso
che manda lo Spirito consolatore
(Gv, 14,26). Picchinenna era tale per
tanti laici di questa città.
Al Concilio si deve anche la primavera della Chiesa costituita dal
fiorire e dallo svilupparsi dei
movimenti e delle più varie forme
di comunità: per la presenza e la
ricca attività di tanti movimenti
Catania ha visto la primavera della Chiesa, ne ha visto il raccolto e
continua a vederlo.
Picchinenna è stato lievito in molte di queste esperienze: si, il lievito che aiuta la pasta a diventare
pane. L’Arcivescovo era con tutti
e di tutti, mai di qualcuno in
maniera esclusiva. Anzi, ha costituito lo strumento di comunicazione tra i vari movimenti. Io posso testimoniare che tramite Picchinnenna ho incontrato e conosciuto amici di altre esperienze
ecclesiali. Ognuno di noi restava
ciò che era, con la sua spiritualità
ed i suoi carismi; ma l’Arcivescovo ci mostrava che la nostra esperienza era pur sempre limitata e
non poteva essere esclusiva all’interno della Chiesa.
I “ragazzi di Picchinenna” stavano
nei diversi movimenti, erano aiutati
a restare ciò che erano, ed anzi a svilupparlo meglio, ma nell’Arcivescovo trovavano la chiave per aprirsi al
mondo ed agli altri. Tanti laici delle
più diverse esperienze ecclesiali
hanno avuto la gioia di accogliersi
reciprocamente e di essere accolti
nel comune riconoscimento del
Pastore. Questa era una grande grazia in Picchinenna: del Concilio - e
più in generale del messaggio evangelico – l’Arcivescovo esprimeva ed
incarnava la dimensione dell’apertura, della gioia e dell’accoglienza, la
dimensione della positività. Uomo
semplice, ma non depresso, Picchinenna vedeva nel fluire degli eventi
la mano provvidenziale di Dio.
Quante volte, a villa San Giuseppe,
quando raccontava di fatti e di persone, magnificava Dio con un’espressione che molti ricordano e che
è parafrasi appunto del Magnificat,
“quante cose buone e belle ha fatto
il Signore!”.
Picchinenna amava la Chiesa, amava il mondo, giacché esso è creatura
di Dio (“siccome la Chiesa è, in Cristo, in qualche modo il sacramento,
ossia il segno e lo strumento dell’intima unione con Dio e dell’unità di
tutto il genere umano”, L.G.1), amava questa città di Catania.
Mi stupisce tuttora che un lucano,
già parroco e vescovo in quella
regione, poi a Cosenza, sia rimasto e
passerà come colui (insieme alla
sorella Santina) innamorato di questa Catania.
Diciamolo pure: per classi dirigenti
interessate più alla conquista personale che alla crescita comunitaria
spesso Catania è stata ed è terra di
occupazione sotto il versante economico, come sotto quello politico,
come sotto quello sociale. Picchinenna ha servito questa città, senza
chiedere né ottenere qualcosa. Un
amore assolutamente disinteressato,
sino al punto di pensare con serenità al giorno in cui sarebbe stato
accolto nella cripta di questo Duomo.
Un uomo rimasto solo in ambito
familiare e talvolta anche in quello
ecclesiale: un uomo provato come
l’argento nel crogiolo, che è l’immagine su cui la Bibbia insiste a
proposito del Servo di Dio.
Picchinenna aveva scelto come motto del Suo episcopato l’espressione
“in aedificationem corporis Christi”, piccolo muratore che costruisce
la Chiesa di Cristo, una Chiesa che
opera nella storia e che assume il
volto delle donne e degli uomini, dei
ragazzi e degli adulti, del presente.
Un motto dichiaratamente conciliare, anzi più a monte pienamente
ecclesiale, ma se la Chiesa è “il
segno e lo strumento dell’intima
unione con Dio e dell’unità di tutto
il genere umano” (L.G.1), allora il
servizio si è fatto per l’intero genere
umano, il servizio si è prestato
all’uomo, nella sua concretezza ed
in pienezza; il servizio si è reso a
questa Chiesa ed a questa città di
Catania che Egli amava.
Ho inserito nel motto il verbo realizzare e l’ho declinato al passato, perché Picchinenna ha realizzato il Suo
motto episcopale: l’edificazione è
avvenuta.
Noi? noi dovremmo essere in grado
di ricambiare questo amore.
Zio Mimmo, Tu meritavi parole
migliori da un più degno testimone.
Nella comunione dei Santi prega per
noi, come noi preghiamo per Te.
Grazie per tutto quanto ci hai dato.
Agatino Cariola
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Prospettive - 2 novembre 2014
Verso la X Giornata Sociale diocesana
urante il percorso
compiuto nelle scorse
giornate sociali diocesane, sin dal
2005, l’Ufficio per i problemi sociali, cercando di rispondere alle sfide
di questi nostri tempi di crisi, ha
affrontato la questione della legalità
connessa con la crisi economica. Si
tratta di un tema con il quale, purtroppo, i cittadini di questo Paese si
confrontano ogni giorno. E infatti,
non c’è telegiornale nazionale o
locale che, tra le sue notizie, non
riporti quotidianamente casi di corruzione, che toccano tutte le classi
sociali: dagli imprenditori e da
uomini delle forze dell’ordine ai
magistrati, dai professionisti ai politici ecc. Già nel marzo 1980, I. Calvino pubblicava il racconto breve
“Apologia sull’onestà nel paese dei
corrotti”. Questo scritto è ancora tristemente attuale poiché rispecchia
molti stili e comportamenti personali, istituzionali e sociali, lontani dall’etica e dalla legalità, che tuttavia la
maggior parte delle persone ritiene
“normale”. Ed è stato, in particolare,
durante la sesta giornata sociale del
2010, che, partendo dal documento
della CEI “Per un Paese solidale.
Chiesa italiana e Mezzogiorno”, è
stato sottolineato che la crisi che
attanaglia il nostro Paese è soprattutto etica e antropologica, e pertanto
occorre un forte richiamo alla società civile, per superare indifferenze e
individualismi, che caratterizzano il
nostro tempo e per avviare un percorso di rinnovamento etico sia a
livello personale che comunitario. A
tal proposito ci sembra interessante
riprendere il pensiero di un prete del
Sud, Antonio Genovesi, vissuto nel
XVIII secolo, primo cattedratico di
economia politica all’Università
Federico II di Napoli. L’abate Genovesi osserva che non può esistere un
autentico benessere della società
civile, senza etica. Egli scrive:
“Sopra tutto sono ostinato nel credere non vi potere essere economia, né
politica, né arte, né industria, né nulla di bene, dove non vi sia una soda
e rischiarata virtù”. Ma il nostro arri-
D
L’ETICA il motore del
benessere della società
Foto di archivio
va anche a dire che la stessa virtù
non può radicarsi nella società senza
il supporto di una seria cultura della
legalità, che a sua volta deve essere
alimentata dalla prassi costante della
buona politica. Infatti la virtù non
può “allignare, dove non sieno delle
buone leggi, e rigidamente osservate”. Queste sono le condizioni necessarie affinché ogni società possa
ragionevolmente programmare il suo
vero sviluppo economico: vita morale, legalità, sana politica. E Genovesi ribadisce: “È inutile di pensare ad
arte, a commercio, a governo, se non
si pensa a riformar la morale”. Bisogna, pertanto, prendersi cura della
radice del male, perché senza la
riscoperta e la riappropriazione dei
valori morali, sia l’economia come
la politica sono destinate al fallimento: “Non v’è niente di più vero nelle
cose umane, quanto questa Massima: ogni politica, ogni economia,
Ufficio Pastorale della Salute e Ufficio Liturgico
Corso per nuovi ministri straordinari
della distribuzione della S. Comunione
e volontari operanti nel settore della salute
Sabato 8 Novembre
La malattia nel AT e nel NT.
(Don Giuseppe Bellia)
Sabato 22 Novembre
I sacramenti di guarigione.
(Don Giovambattista Zappalà)
Domenica 9 Novembre
L’approccio al malato e la relazione
d’aiuto. (Dott.ssa M.C. Monea)
Domenica 23 Novembre
La Celebrazione Eucaristica.
(Don Vincenzo Branchina)
Sabato 15 Novembre
La malattia e la sofferenza nel magistero
della Chiesa. (Don Nunzio Capizzi)
Il ministero della consolazione: un
cappellano si racconta .(Don Giuseppe Maieli)
Domenica 16 Novembre
La Pastorale della salute: breve exursus storico ed orientamenti e note della CEI.
Le Cappellanie Ospedaliere: nuove
frontiere per una pastorale della salute. (Don Mario Torracca)
I Ministeri nella Chiesa
(Don Pasquale Munzone)
Sabato 29 Novembre
I compiti specifici del ministero straordinario della distribuzione della
S.Comunione.
(Don Giovambattista Zappalà)
Domenica 30 Novembre
Il ministro straordinario della distribuzione della S.Comunione a servizio
della fragilità umana, alla luce dell’Evangelii Gaudium di Papa Francesco.
(Don Pietro Longo)
che non è fondata sulla giustizia,
sulla virtù e sull’onore, distrugge sé
medesima”. E infatti, “dove le leggi
non hanno vigore, e dove i delitti di
fede pubblica non sono rigorosamente repressi” non è difficile trovare molti uomini malvagi, “i quali
amino vivere a spese altrui”, approfittando di questa condizione di
debolezza o di corruzione delle istituzioni pubbliche.
Su questa linea troviamo le riflessioni di un nostro grande conterraneo,
Don Luigi Sturzo: “Il rigido mantenimento dell’ordine morale in economia, per evitare o colpire frodi,
appropriazioni indebite, falsi, imbrogli e simili servirà non solo a vantaggio di singoli, ma anche all’equilibrio economico della società. I vantaggi dell’ordine morale si riversano
nell’ordine economico, e viceversa,
in larga reciprocità”. Notazioni queste, che dovrebbero essere recepite
da coloro che hanno
responsabilità politiche e
amministrative, e che hanno a cuore il bene comune
della società. La carenza
di legalità, che si manifesta in molti modi: dall’evasione o elusione fiscale,
dalla richiesta di tangenti
o del pizzo mafioso
(“vivere a spese altrui”), al
pretendere di farla franca
aggirando le leggi, dalla
sfibrante lentezza della
giustizia all’incertezza
della pena, dalla mancanza di sicurezza delle nostre
città alla burocrazia elefantiaca e corrotta, scoraggia e paralizza lo spirito
imprenditoriale e il commercio. Questi molteplici
elementi sfilacciano la
convivenza civile e congelano lo sviluppo economico, inchiodando il nostro
Paese sul piano dell’arretratezza e di una povertà
sempre più diffusa. Esperti americani di “business
location”, addetti, cioè, a
selezionare i Paesi in cui è
più conveniente fare investimenti, da
qualche anno a questa parte, hanno
escluso l’Italia da questi circuiti,
soprattutto a causa della burocrazia,
della corruzione, e di una lenta giustizia civile e penale. Nel pieno vortice della nostra crisi economica, con
i continui allarmi per la recessione,
in una società, come la nostra, dove
il malaffare e l’illegalità trovano
sempre la comprensione del cosiddetto buon senso dei più, dove si
arriva a giustificare il malcostume
delle tangenti e delle mazzette, come
strada obbligata per concludere affari, credo che l’impianto etico-economico di Genovesi e di Sturzo, ripreso ai nostri giorni dalla scuola dell’economia civile (con Zamagni,
Bruni, Becchetti) possa offrire,
ancora oggi, valide indicazioni per
una rigenerazione della vita sociale.
Piero Sapienza
Notizie in breve dal 3 al 9 novembre
Dall’Agenda dell’Arcivescovo
Lunedì 3 – Venerdì 7
• Assisi, S. Maria degli Angeli: insieme ad un gruppo
di Sacerdoti diocesani prende parte ad un corso di
esercizi spirituali guidati da Don Nello Dell’Agli.
Sabato 8
• Lavoro interno per la Visita pastorale.
Domenica 9
• Ore 9.30 San Gregorio, parrocchia S. Maria degli
Ammalati: Visita pastorale.
• Ore 17.00 Catania, Istituto Cirino La Rosa: celebra
la S. Messa in occasione del ritiro regionale della
Comunità Gesù Risorto.
Ufficio per la Pastorale della famiglia
Convegno Diocesano “Il Sinodo sulla famiglia”
Carissimi Sposi, Sacerdoti, Movimenti, Associazioni e
Operatori di pastorale familiare, come già preannunciato, con grande gioia desideriamo invitarvi al Convegno Diocesano che ha come tema “Il Sinodo sulla
famiglia: sfide pastorali tra attese e speranze”. Tale
evento avrà come relatore Don Francesco Pilloni,
direttore del Centro diocesano di Pastorale Familiare
di Verona, e si svolgerà Domenica 16 Novembre p.v.
presso l’Oratorio Salesiano di San Gregorio di
Catania. L’Assemblea Sinodale Straordinaria appena
conclusa interpella e provoca tutti noi ad aprirci a
quanto lo Spirito Santo sta suscitando nella Chiesa
universale per la famiglia. Si apre ora un anno che, fra
attese e speranze, ci condurrà all’Assemblea Ordinaria
dell’Ottobre 2015. Nostro intento, pertanto, è quello di
vivere insieme un momento per confrontarci su quanto emerso da questa prima Assembla e sulle ricadute
nella nostra attività per e con le famiglie della nostra
Diocesi. Tale evento sarà coronato anche dalla presenza del nostro Arcivescovo Mons. Salvatore Gristina
che presiederà la Celebrazione Eucaristica a conclusione dei lavori.
In attesa di poterci presto incontrare, vi abbracciamo
in Cristo.
Don Salvatore Bucolo
con Rosetta e Giorgio Amantia
e l’équipe dell’Ufficio per la Pastorale della Famiglia
9
Prospettive - 2 novembre 2014
DIOCESI
Studio Teologico San Paolo
Servizio di bioetica “Dott. Angelo Cafaro”
Le parole non fermano i fiumi in piena
egli anni ’50 del secolo
scorso sulla metafora
che ad un battito d’ali di una farfalla, dall’altra parte del mondo, potesse corrispondere un uragano si
cominciarono a costruire modelli
matematici sull’errore delle misurazioni e la verifica dell’incertezza dei
sistemi di rilevamento si tradusse in
varie manifestazioni di tipo culturale
(letterarie, cinematografiche, ecc.).
Un percorso al limite tra il romantico e il positivista, cui oggi guardiamo con il disincanto di chi ha assistito all’inesorabile protervia dell’uomo a confrontarsi con l’ovvio e il
naturale sul piano dialettico e a tralasciare tutto quello che può costituire
rispetto per l’ecosistema, per la natura in sé, di cui l’uomo è sostanziato:
natura egli stesso.
Fiumi di parole e di immagini, dibattiti, ecologisti, fisici e matematici a
confronto, congressi, conferenze ed
accordi sulle misure di rispetto climatico hanno prodotto e continuano
a produrre solo indifferenza. E i fiu-
N
mi, quelli veri, straripano come nel
secolo scorso, producendo ancora
più danni e tragedie che pare siano
rassegnate al loro racconto, senza il
benchè minimo insegnamento. È
come se la natura avesse deciso,
anch’essa, di raccontarsi, di apparire
svuotandosi del suo essere. Questa
alla fine è l’interpretazione plausibile che l’atteggiamento della società
“civile” sciorina quotidianamente
nelle sue rappresentazioni comunicative con l’ostentazione colpevole
che la crisi economica rende difficile, oggi, riallineare gli interventi
oltre una banale e superficiale riparazione transitoria del danno ecologico. Fuori dall’intenzione a rimuoverne le cause. Come se quella stessa
economia non fosse stata l’artefice di
tanta improvvida conseguenza.
Riprendendo la metafora del battito
d’ali della farfalla c’è da pensare che
magari si sia trovato il modo di controllarle quelle farfalle, di farle muovere in sintonia con gli interessi di
chi può arricchirsi con gli uragani di
chi può “utilizzare” le cosiddette
sventure come le povertà. Una sensazione, questa, che guadagna il terreno dell’inesorabilità.
Come nel medioevo si
apprezzava, nell’impotenza di arginare le
sue forze, la natura,
oggi il senso dell’inesorabile si riversa sul
controllo delle forze
economiche
che
orientano, a piacimento utilitaristico, il disastro ambientale.
Ci chiediamo dove sia
il risentimento per
questo modo innaturale di sopravvivere.
Dove possa corrispondere ad esso una qualche azione,
piuttosto che una continua e reiterata
abilità di analisi fine a se stessa, anzi
fine a perpetrare la continuità degli
interessi economici e le velleità di
sfruttamento dei bisogni che sono
tipici di una società senza il senso
della politica.
Ecco, abbiamo trovato il modo di
sorridere, di ironizzare sulle nostre
incongruenze, sui nostri difetti, senza pensare più che le incongruità e
difetti hanno determinato e continuano a determinare effetti disastrosi per
la nostra sopravvivenza e vanno corretti con la serietà di interventi che
solo in apparenza possono conside-
rarsi antieconomici.
Non è difficile prevedere che permanendo così la considerazione del
bene comune si privilegia
il bene di pochi e si consente di strumentalizzare
il malessere ed il bisogno
di tutti gli altri.
Non è difficile prevedere
che le farfalle, costrette al
movimento innaturale
delle loro ali, soccomberanno, come soccombe
l’impegno sociale dell’uomo. E nel frattempo,
fuor di metafora, qualcuno di quei “pochi” avrà
trovato il modo per scatenare altri uragani utili,
altre povertà fruttifere,
altre epidemie spaventevoli, altri
guadagni incongrui al benessere
sociale.
Santo Fortunato
Servizio di bioetica “Dott. Angelo
Cafaro”, Studio Teologico San Paolo
Al Museo Diocesano conferenza sul tema: “Immigrazione, cosa fare? Riflessioni e proposte pastorali”
“La fine di Mare Nostrum porterà a
nuovi morti e nuove stragi”. Lo ha
detto Oliviero Forti, responsabile
immigrazione di Caritas Italiana,
a margine della conferenza che si è
svolta al Museo Diocesano di Catania sul tema: “Immigrazione, cosa
fare? Riflessioni e proposte pastorali”. L’incontro è stato promosso dalla Caritas diocesana diretta da don
Piero Galvano, in collaborazione con
l’Ufficio Migrantes diretto dal diacono don Giuseppe Cannizzo. Si è trattato di un dibattito che ha fatto chiarezza sulla complessità del recente
fenomeno migratorio a poche settimane dalla fine dell’operazione
umanitaria e militare Mare Nostrum.
In apertura Don Piero Galvano, prendendo spunto dal
Messaggio per la 100ª Giornata Mondiale del Migrante
e del Rifugiato 2014 di Papa
Francesco, ha ribadito l’importanza dell’accoglienza
nella recente emergenza
sbarchi sollecitando un’attenzione maggiore verso
coloro che portano sulle
spalle il peso di un destino
tragico. Dello stesso avviso,
il direttore della Migrantes
diocesana che ha ricordato
come nel culmine dell’emergenza, Caritas e Migrantes,
hanno cooperato insieme per
soddisfare al meglio le primissime necessità dei
migranti giunti in questi
mesi nel capoluogo etneo.
Dopo gli interventi dei due
direttori, Oliviero Forti, ha preso la
parola, ricordando all’assemblea che
il fenomeno delle migrazioni coinvolge tutti, senza distinzione di ruoli
e compiti: “Lavorando all’Ufficio
Nazionale, da più di 15 anni, quando
mi viene detto quali sono le risposte
pastorali, io ribadisco che le vere
risposte vengono date da coloro che
operano sul territorio e Caritas e
Migrantes ne sono una testimonianza concreta”. Passando alla stretta
attualità continua: “A un anno dalla
tragedia di Lampedusa in cui persero la vita centinaia di migranti, sono
stati salvati 150mila migranti tra
uomini, donne e bambini, ma dal 1°
novembre con il passaggio all’operazione Triton si rischiano più morti
e nuove stragi lungo le rotte del
Mediterraneo”. La nuova operazione congiunta di Frontex nel Mediterraneo, di fatto, permetterà il pattugliamento delle frontiere a 30 miglia
dall’Italia ma non garantirà interventi umanitari di ricerca e soccorso.
Questo uno dei punti chiave dell’intervento di Forti che ha cercato di
mettere ordine ad un flusso di informazioni distorte alla luce di una
situazione internazionale in profon-
paese d’origine restano solo macerie. Accade per le cosiddette frontiere esterne dell’Europa, come Ucraina, Siria, Iran, Libano e Palestina
dalle quali proviene tanta umanità in
fuga. E poi la grande migrazione
sub-sahariana. “Chi arriva in Italia,
chi ha la possibilità di arrivare in
questo Paese – continua Oliviero
Forti - deve avere delle risorse uma-
da evoluzione e in costante mutamento. “Se non si comprende questo
non si capisce perché i numeri delle
persone che si rivolgono all’Help
Center della Caritas aumentano a
vista d’occhio”. Da dove provengono i migranti? Nel 2014 hanno raggiunto l’Italia in maggioranza siriani
ed eritrei: “Parliamo di persone che
sono state private di tutto, che richiedono protezione internazionale, non
semplici migranti, persone che decidono di lasciare casa perché del loro
no-culturali non indifferenti, non
solo risorse economiche. Si devono
parlare le lingue, non stupisca che
chi arriva da noi, poi parla tre-quattro lingue. Devono godere di buona
salute, per affrontare mesi e mesi di
deserto. Chi ha la febbre non si fa
mesi di deserto. Basta un po’ di buon
senso per capire che questo è un
modo per strumentalizzare l’emergenza sbarchi. Chi non è forte o è
affetto da qualche malattia non c’è
la fa ad arrivare perché il tragitto è
Da Mare Nostrum a Triton:
torna il rischio stragi
cosi lungo che bisogna essere in
buona salute. Parole che sgomberano ogni equivoco sulla possibilità
remota che dall’Africa i migranti
siano portatori di malattie infettive.
Ma, prosegue il responsabile di Caritas Italiana: “Solo una piccola percentuale di milioni di migranti in
fuga che poi arriva in Sicilia - sottolinea Forti – e nessuno può permettersi di dire che queste persone
destabilizzano il mercato del
lavoro italiano, perché sono persone private essenzialmente di
tutto”. Emblematico, guardano
con più attenzione al fenomeno,
il caso della Siria, da più di tre
anni paese fantasma in guerra
permanente.
La Sicilia, si trova in mezzo, ed è
uno dei punti d’approdo privilegiati per molti migranti che sperano di arrivare nel Nord Europa.
Molti passano dalla Libia che
rappresenta un ‘vero buco nero’:
“In Libia la situazione è fuori
controllo. E in questa situazione
stanno facendo fortuna i trafficanti di essere umani. Per molti
non c’è alternativa. Il paese libico è l’unica soluzione per cercare di arrivare in Italia”.
Ma non c’è solo la nostra isola
ad accogliere i migranti. La Grecia è
un’altra porta verso l’Europa. Ma
per chi proviene dall’est asiatico non
è facile entrare sul territorio ellenico
per via delle rigide politiche di
respingimento. Altro caso, è rappresentato dalle enclavi (regioni interamente comprese all’interno di uno
Stato, che però appartengono ad a un
altro Paese) spagnole di Ceuta e
Melilla in Marocco dove ogni anno
migliaia di africani cercano di raggiungere l’Europa, arrivando fino al
recinto fortificato che separa il
Marocco in attesa di oltrepassare la
recinzione. Ma oltre ad esporre i dati
sul numero di sbarchi che ha superato il record delle primavere arabe del
2011, la conferenza è stata l’occasione per sfatare vecchi e nuovi pregiudizi. Su tutti, l’equivoco legato ai
costi sostenuti per il mantenimento
di ogni singolo migrante: “Lo Stato
paga 900 euro per il loro sostentamento, ma non si tratta di somme
che vengono erogate direttamente ai
migranti, a loro spetta solo vitto,
alloggio e un pocket money di circa
2,50 euro al giorno”. Niente soldi in
contanti o quant’altro di fantasioso
che è facile leggere in rete.
Altro aspetto fondamentale che ha
ricordato Forti è la necessità di
rispettare i diritti umani di tutti, dei
migranti e degli stessi italiani: “Non
possiamo abbassare la guardia sui
diritti umani e dire tanto siamo messi male noi, accontentiamoli come
possiamo i migranti che arrivano.
Questo ragionamento non può essere un alibi. Questo è un pericoloso
vicolo cieco. Se oggi tocca a loro,
domani toccherà a noi. Perché il
giorno in cui andrete a fare un lavoro qualsiasi esso sia, come barista,
da commessa, e vi offriranno 300
euro al mese perché tanto c’è la crisi, allora in questo caso abbiamo
perso tutti. ” Al termine della conferenza, Don Piero Galvano, direttore
Caritas Catania, ha ribadito la
volontà di rinsaldare la rete di collaborazione tra associazioni e istituzioni attraverso una proficua comunicazione che rimetta al centro l’immigrato come persona e non come
oggetto.
®
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Prospettive - 2 novembre 2014
DIOCESI
Riflessioni sul Vangelo
OLTRE LA MORTE
COMMEMORAZIONE DI TUTTI I FEDELI DEFUNTI - Gb19,1.23-27a; Sal 26/27,1.4.7-9.13-14; Rm 5,5-11; Gv 6,37-40
La dichiarazione di Giobbe è una risposta
a degli amici che volevano convincerlo
della sua colpevolezza. Egli manifesta il
desiderio che le sue parole siano scritte e
fissate in un libro, impresse con stilo di
ferro e con piombo, incise sulla roccia in
maniera indelebile: “Io so che il mio
redentore è vivo e che, ultimo si ergerà
sulla polvere. Dopo che questa mia pelle
sarà strappata via, senza la mia carne,
vedrò Dio. Io lo vedrò. Io stesso, i miei
occhi lo contempleranno e non un altro”.
Afferma così la sua certezza di potere
vedere Dio, liberato dalla pesantezza della
sua materialità. Paolo spiega ancor meglio
che “questa speranza non delude perché è
stato riversato nei nostri cuori l’amore di
Dio per mezzo dello Spirito Santo che ci è
stato dato”. Questo amore di Dio è tanto
grande da confermarlo:“mentre noi eravamo ancora peccatori Cristo è morto per
noi”. Lo stato di peccato ci metteva in stato di inimicizia con Dio e in questo stato
Dio ci ha amati.A maggior ragione ci ama
ora che siamo stati giustificati nel sangue
del Figlio. Se “da nemici a causa del peccato siamo stati riconciliati con Dio per
mezzo della morte del figlio suo, molto
più, ora che siamo riconciliati, saremo salvati mediante la sua vita”. Non solo salvati, ma possiamo anche gloriarci pure in
Dio per mezzo del Signore nostro Gesù
Cristo. E non solo gloriarci in Dio, ma
abbiamo anche la possibilità di ottenere la
riconciliazione con Dio tramite Gesù. La
nostra vita in Dio è articolata dal suo
amore che ci riconcilia con lui e dalla possibilità di partecipare alla sua gloria per
mezzo di Gesù. La garanzia di questo rapporto è data dalla dichiarazione di Gesù
che tutto quello che verrà a lui non sarà
cacciato fuori perché è disceso dal cielo
non per fare la sua volontà ma quella dl
Padre. Questa è la volontà del Padre: “ …
che io non perda nulla di quanto egli mi
ha dato, ma che lo risusciti nell’ultimo
giorno”. Quindi non solo nessuno viene
cacciato di quanto verrà a Gesù, ma deve
essere risuscitato perché stia in eterno con
Dio. La destinazione finale è Dio e l’eternità con Lui. È certamente un mistero ma
ha un senso per la nostra vita e una certezza: fra l’altro ribadisce ancora una volta: “Questa infatti è la volontà del Padre
mio: che chiunque vede il Figlio e crede in
lui abbia la vita eterna; e io lo risusciterò
nell’ultimo giorno”.
Leone Calambrogio
San Paolo in briciole
Il valore della Legge 1Tm 1,8-11
Paolo non ha rinunciato alla sua
ebraicità e alla sua fede nella legge
pur vedendone i limiti: “Noi sappiamo che la Legge è buona, purché se
ne faccia un uso legittimo, nella convinzione che la legge non è fatta per
il giusto, ma per gli iniqui e i ribelli,
per gli empi e i peccatori, per i sacrileghi e i profanatori, per i parricidi
e i matricidi, per gli assassini, i fornicatori, i sodomiti, i mercanti di
uomini, i bugiardi, gli spergiuri e
per ogni altra cosa contraria alla
sua dottrina, secondo il vangelo della gloria del beato Dio che mi è stato affidato.
L.C.
La Liturgia non ha pianti perché ciò di cui fa memoria è la risurrezione di Gesù
Le porte della morte aprono alla vita
Risurrezione
La Liturgia non ha lacrime, se non
asciugate dalla mano di Dio. Non
pronuncia parole sulla fine ma sulla
vita.
Ritorniamo alla Parola di Dio. “Cristo e la Scrittura divina - dice S.
Ambrogio - sono il rimedio di ogni
disgusto e il solo rifugio nelle tentazioni”.
Quando la Parola ci raggiunge, l’esilio è vinto, Dio ritorna a camminare
sulle nostre strade, la terra ridiventa
in qualche modo il giardino di delizie
dove è ancora possibile alla creatura
intrattenersi familiarmente con il suo
Creatore: “Quando leggo la divina
Scrittura, Dio torna a passeggiare nel
Paradiso terrestre”. C’è tuttavia nella
terra del nostro pellegrinaggio, un
“luogo” dove la parola salvatrice
risuona con efficacia eccezionale: la
sacra liturgia.
Essa è veramente un ininterrotto dialogo tra la Parola e l’uomo, chiamato
a essere una eco di questa stessa divina Parola. La sacra liturgia, infatti, è
l’incontro salvifico del Padre che è
nei cieli e viene a conversare con
molta amorevolezza con i suoi figli; è
il colloquio tra lo Sposo, il Signore
Gesù, e la sua diletta Sposa, la Chiesa, fatta partecipe dell’eterno canto di
lode che il Verbo incarnato ha introdotto in questo nostro esilio terrestre.
La Parola
La sacra liturgia si nutre abbondantemente alla mensa della parola di Dio:
prende dalla Bibbia le sue letture,
canta i salmi, si ispira alla Scrittura
nel comporre inni, preghiere, esclamazioni e invocazioni.
Nel suo concreto svolgimento manifesta una struttura dialogica che
esprime la vita stessa della Chiesa.
Come, infatti, nel Vecchio Testamento l’assemblea di Iahvé è chiamata in
primo luogo per ascoltare Dio che
parla: “Ascoltate oggi la sua voce” ,
così l’assemblea liturgica, il vero
popolo di Dio, viene radunato anzitutto per ascoltare la Parola, Cristo
Signore, e per unirsi a Lui, guidata
dal suo Spirito, nella lode e nella supplica al Padre.
Nella sacra liturgia appare con evidenza privilegiata che il destinatario
della Parola non è l’individuo che si
isola, ma il popolo dei redenti che si
raduna; che la sua voce viva non è
l’uomo che la proclama a se stesso,
ma il Magistero della Chiesa che,
attraverso la varietà dei ministri, l’annuncia all’assemblea; che il suo esito
naturale non è il compiacimento della dotta speculazione, ma è l’energia
trasformante dei sacramenti e la vita
palpitante dello Spirito che inabita i
cuori.
La parola della Scrittura, quando
risuona nelle celebrazioni liturgiche,
costituisce uno dei modi della reale,
misteriosa, indefettibile presenza di
Cristo tra i suoi, come ci insegna il
Concilio Vaticano II: “Egli è presente nella sua Parola, giacché è lui che
parla quando nella Chiesa si legge la
Sacra Scrittura” .
Quando Dio parla, sollecita una
risposta. Noi rispondiamo al Dio che
parla e ci ricorda l’evento della nostra
salvezza e il mistero del suo amore,
con la celebrazione dell’Eucaristia grande preghiera di ringraziamento,
memoriale perenne della passione
redentrice, offerta con la Vittima
immolata della propria vita -, con le
altre celebrazioni liturgiche, intimamente connesse con l’Eucaristia, tra
cui l’Ufficio Divino o Liturgia delle
Ore.
Fermiamo la nostra attenzione sull’annuncio e l’ascolto della Parola e
sulla Liturgia delle Ore. Risulta anzitutto l’importanza di una predicazione che sia “nutrita e regolata dalla
tio divina”) è uno dei mezzi più efficaci per ogni fedele per disporsi a
cogliere i frutti dell’ascolto della
Parola nella liturgia e prolungarne gli
effetti.
Sacra Scrittura”...
La lettura personale e in comune della Scrittura come parola di Dio (“lec-
ne-orazione-contemplazione.
Il secondo parte dai fatti della vita per
comprenderne il significato e il mes-
Lectio divina
Essa consiste nella lettura di una
pagina biblica tesa a far sì che essa
diventi preghiera e trasformi la vita.
Si può attuare secondo due movimenti diversi. Il primo, quello classico, parte dal testo per arrivare alla
trasformazione del cuore e della vita
secondo lo schema lettura-meditazio-
saggio alla luce della parola di Dio. I
suoi momenti possono essere espressi nelle due domande: come si rivela
la presenza di Dio in questo fatto?
quale invito il Signore mi rivolge
attraverso di esso? tenuto conto che
l’autenticità delle risposte sarà verificata richiamandosi a esempi o parole
di Gesù nel Vangelo o ad altre situazioni o parole della Scrittura.
Una variante di questo metodo è il
trinomio
vedere-giudicare-agire,
dove il giudicare significa comprendere il fatto alla luce della parola di
Dio, e l’agire va confrontato con gli
imperativi del Vangelo.
Il primo metodo si adatta meglio per
la lettura personale, il secondo per un
incontro di gruppo (revisione di vita).
Ma i due metodi si integrano a vicenda, e si correggono nelle loro possibili unilateralità. Un esercizio di essi
assicurerà quella penetrazione della
Parola nella vita che è lo scopo di
questo programma pastorale.
Tutta questa attività a servizio della
Parola sembra richiedere che nella
comunità cristiana vi siano, accanto
ai presbiteri, anche dei laici capaci di
animare e sostenere lo sforzo capillare di lettura e di ascolto. Dobbiamo
qui esprimere un vivo ringraziamento
ai tanti, uomini e donne, che già operano in questo campo, sia come lettori durante l’assemblea liturgica, sia
come catechisti, sia come animatori
di gruppi di preghiera e di ascolto.
C’è da domandarsi se non sia giunto
il tempo di pensare ad offrire e a
richiedere una formazione più omogenea e costante a tutti coloro che già
esercitano questi ministeri di fatto.
ministeri istituiti.
Padre Angelico Savarino
11
Prospettive - 2 novembre 2014
omnibus
Ebola: Intervista al virologo Giulio Tarro
l virus Ebola appartiene
alla famiglia dei virus
filamentosi (Filoviridae, Virus a
RNA) ed è stato scoperto nel 1976
in una epidemia della valle del
Congo chiamata Ebola.
Il contagio è dovuto soprattutto al
mangiare carne di scimmia non ben
cotta e poi al contatto diretto con il
malato e con gli abiti e le lenzuola
del suo letto. Fortunatamente non si
trasmette per via aerea come l’influenza. La mortalità elevata, 5090%, è legata alla forte disidratazione ed il conseguente mancato
funzionamento di diversi organi
vitali.
Il serbatoio naturale è rappresentato dal pipistrello, che non si ammala, ed è oggetto di preda delle scimmie, le cui carni vengono usate
come cibo. Anche le antilopi possono essere infette. In aggiunta il procedimento dei riti funebri è un
momento di rischio in quanto vengono lavati gli intestini dei defunti.
La deforestazione rappresenta una
delle cause della diffusione del
virus Ebola dal momento che ha
spinto gli animali (pipistrelli, serbatoi del virus) verso le aree abitate, e anche l’urbanizzazione e la
povertà.
La sintomatologia iniziale è generi-
I
Posti letto in Sicilia n. 25
Policlinico di Palermo 2
Ismet di Palermo 2
Cervello di Palermo 2
Castelvetrano 1
La peggiore epidemia
dai tempi dell’Aids
soprattutto sangue. Anche il rapporto sessuale è fonte di contagio.
L’infezione può essere trasmessa
anche tramite animali malati. Non si
diffonde il virus tramite aria,
acqua o cibo. La trasmissione virale
avviene fino a 24 ore dopo il decesso, come spiega il prof. Tarro.
D. In Italia le regioni più esposte
geograficamente al rischio di
importazione della malattia sono
quelle costiere, presso le cui aree
portuali sbarcano periodicamente
clandestini provenienti dai paesi
africani e la Sicilia, per motivi geografici, sembra essere la regione
più interessata da un potenziale
contagio, e come afferma anche la
Società italiana malattie infettive e
ca, simile ad una malattia tifoidea,
febbre, cefalea, nausea, vomito,
profusa diarrea, marcata astenia,
Biografia di Giulio Tarro
Giulio Tarro, scienziato di Messina nel 2006 lascia il
“Cotugno” dopo vent’anni di guida al laboratorio di virologia
del polo infettivologico e nel 2007 torna negli USA a Philadelphia, ricongiungendosi con la patria che lo ha visto giovanissimo al fianco del grande Albert Sabin, con il quale collabora a
metà degli anni Sessanta, in una messa a punto del vaccino contro la poliomelite. Attualmente Tarro è professore aggiunto
presso il dipartimento di biologia della Temple University di
Philadelphia e chairman della commissione alle biotecnologie
della virosfera; fa parte dell’organismo scientifico dell’Unesco
che ha sede a Parigi ed è presidente della fondazione Teresa e
Luigi de Beaumont-Bonelli per le ricerche sul cancro.
Policlinico di Messina 1
Garibaldi di Catania 1
Sant’Elia di Caltanissetta 2
Enna 9
altri 5 saranno successivamente
individuati
quindi di difficile diagnosi fino a
quando diventa conclamata colpendo fegato, reni e vasi sanguigni, e
causando emorragie interne ed
esterne.
L’incubazione dura da due giorni a
tre settimane e l’infezione si contagia dopo l’inizio dei primi sintomi
con i liquidi dell’organismo, sudore, saliva, urine, feci, latte materno,
Parrocchia Natività del Signore
Missione al popolo
arissimi Fratelli e
Sorelle in Cristo, Pace
C
a voi!
Il Signore ci dona un “Tempo” forte
di Grazia in occasione della missione francescana al popolo nella
nostra Comunità Parrocchiale: “Sulla tua parola getterò le mie reti” (Lc
5,5).
Nei giorni 9 - 23 novembre un gruppo di missionari, comprendente frati, suore e laici, francescani, “invaderà” letteralmente il territorio della
Parrocchia per andare incontro a tutti invitando ad ascoltare una Parola
diversa, portata con lo stile semplice
e gioioso di san Francesco, e a vivere momenti forti di preghiera e di
festa.
Attraverso la perseveranza nella preghiera, l’assiduità dell’ascolto della
Parola, uniti nell’Assemblea Eucaristica, potremo “gettare le nostre reti
sulla Sua Parola”, in modo che la
Comunità possa essere “un cuor
solo e un’anima sola”, fervente nella comunione e nella carità verso il
prossimo, gioiosa testimone di Cristo nel mondo e coraggiosa annunciatrice dei valori del Vangelo e...
diventare noi stessi vangelo vivente,
dove i lontani, gli indifferenti, i piccoli scoprono l’Amore di un Dio che
“si è fatto carne” e la bellezza della
vita cristiana.
In Cristo uniti,
Sac. Roberto Mangiagli
tropicali?
“Non c’è pericolosità degli immigrati in Sicilia, perché il tempo di incubazione del virus da 2 a 21 giorni
prima della sintomatologia permetterebbe di evidenziare la malattia prima del loro sbarco: dai paesi colpiti
dell’Africa occidentale questi individui dovrebbero attraversare il deserto e quindi imbarcarsi; il virus Ebola
avrebbe tutto il tempo necessario di
manifestarsi durante il lungo tragitto!”
D. Quale terapia può essere utilizzata?
“In mancanza di una terapia specifica antivirale e di profilassi vaccinica,
potrebbe essere utile il ricorso alla
vecchia immunoterapia passiva
(immunoglobuline con anticorpi
specifici dei pazienti guariti) o a
quella attuale di anticorpi monoclonali, ancora esigui, da sperimentare
però su campo”.
D. Il vaccino italiano anti ebola, è
stato sancito dall’oms e consegneranno 10mila dosi entro dicembre e
per il 2015 sta trattando una fornitura di un milione di provette con la
GLAXOSMITHKLINE, che, quest’anno ha acquistato per 250
milioni di euro l’italiana OKAIROS, sviluppatrice del brevetto del
vaccino. Che valore ha questo vac-
cino sul piano terapeutico?
“Il vaccino italiano, purtroppo, non è
più tale perché la Glaxo Smith-Kline
(GSK) lo ha acquisito e lo sviluppa
con la collaborazione dell’Istituto
Nazionale della Salute (NIH-USA).
Se attualmente la mortalità con Ebola è del 50% e si trova che il vaccino
protegge del 50%, qual è il significato dello stesso?”.
D. In questi giorni hanno dato il via
libera alla sperimentazione su
volontari umani,quando inciderà
sulla guarigione, dopo che ha funzionato sulle scimmie al 100%?
Quanto tempo occorrerà per ufficialità?
“Dal momento che l’OMS lo ha
accettato diventa un vaccino ufficiale!”.
D. Sviluppare vaccini, come fa
Riccardo Cortese dall’intero virus,
è la strada giusta che porterà al
risultato finale , la guarigione?
“Non è mai abbastanza sottolineare
che il vaccino deve essere un mezzo di prevenzione e non di guarigione! Personalmente ribadisco la
mia linea di ricerca e sviluppo dei
vaccini in modo classico con risposta degli anticorpi umorali e/o cellulari da parte del ricevente verso
virus inattivati (esempio Salk) o
attenuati (esempio Sabin) oppure
particelle mimetizzate (esempio
papilloma virus). Attualmente non
vi è alcun vaccino e alcuna terapia”.
D. Ci sono altre ricerche in corso?
“Il vaccino usa la strategia del
cavallo di Troia con un vettore virale benigno e una proteina di superficie del virus Ebola verso cui l’individuo ricevente produce anticorpi
cellulari specifici. Nella fase preliminare sulle scimmie si è usato un
richiamo come adiuvante alla
risposta immune che non è previsto
nella applicazione sull’uomo. Un
altro vaccino studiato in Canada
utilizza un altro virus vettore che di
per se è più immunizzante perché
non ha bisogno del richiamo”.
D. C’è difficoltà per la diagnosi?
È giusto fare dei test per le persone in uscita da porti, aeroporti e
valichi di frontiera?
“La diagnosi dell’Ebola risulta
costosa dovendo ricorrere a diversi
reagenti per la differenziale, non
cambia il corso della terapia e marchia non solo il paziente, ma la sua
famiglia pure. Infine in quei paesi –
Guinea, Sierra Leone, Liberia,
Nigeria, Benin – pochi laboratori
sono in grado di effettuare un test
per un agente patogeno di livello 4
(pericolosità). Credo inutile fare
test per le persone in uscita da porti, aeroporti e valichi di frontiera,
ma diventa importante proibire l’uso della selvaggina in quei paesi e
soprattutto migliorare l’informazione da parte dei pubblici ufficiali
e dei sanitari per divulgare meglio
quelle misure di prevenzione e di
controllo che già si sono dimostrate
efficaci”.
Lella Battiato
12
Prospettive - 2 novembre 2014
RUBRICHE
Un meeting apre l’anno sociale del Club Lions Catania Stesicoro Centrum
La sussidiarietà nel rapporto
tra trascendente e immanente
e leggi costituzionali
con le quali si è realizzata la modifica del Titolo V della
Costituzione (“Regioni, Provincie e
Comuni”) hanno “instaurato in
modo palese, un dialogo dinamico
[osmotico] fra innovazione ordinamentale e istituzionale” (Pizzetti).
L’odierno art. 118 Cost., “attribuisce” funzioni amministrative agli
enti pubblici territoriali “sulla base
del principio di sussidiarietà”, da
adottare pure “per lo svolgimento di
attività di interesse generale” in
favore di “iniziative dei cittadini singoli e associati”: la sussidiarietà,
quindi, è strumento dello scambio
tra livelli di amministrazione e di
potere, in dialogo dinamico.
Con il meeting “Condizioni e volontà politica dell’attuazione del principio di sussidiarietà” (sottotitolo) ha
preso il via l’anno sociale del club
Lions Catania Stesicoro Centrum a
guida di Guido Costa: non a caso,
vien da dire, per l’esperienza accumulata e le importanti cariche da
questi ricoperte a livello comunale e
provinciale. Relatori due esponenti
qualificati di due enti che hanno la
L
sussidiarietà nel loro dna: il past
governatore Lions dott. Antonio
Pogliese e il vescovo di Noto Antonio Staglianò.
Prendendo spunto dal quesito “capire se esistono ancora le condizioni
per portare avanti i criteri e il sistema della sussidiarietà”, posto dal
presidente Costa nell’introdurre il
tema, Pogliese, rifacendosi a Norberto Bobbio (“le leggi nascono vecchie”), ha messo in evidenza la discrasia tra processo normativo e le
condizioni dei molti e diversi fattori
da valutare e considerare: complessità, crisi economica e politica, espansione disomogenea dei criteri e dei
bisogni, funzione e disfunzioni dell’innovazione tecnologica, modelli
di sviluppo e loro praticabilità. In
conclusione, secondo il relatore, la
politica, nell’avvertire la necessità di
aggiornare regole e criteri, si è mossa per confermare e difendere l’esistente, priva di spirito di apertura
culturale, etica, morale; non si è
saputa percepire la portata delle nuove istanze, né il senso e il valore dei
“colpi di coda” del parcellare, del
tradizionale, del timore del “salto nel
buio”. È dal 1997 che ci si avvita su
questi problemi con atteggiamento
difensivo, mentre “la sussidiarietà
che interessa ai cittadini, quella
orizzontale, è stata appena enunciata […] in modo strumentale […]
senza nessuna volontà politica né di
regolamentare, né di attuarla”: oggi
occorre “approfondire il disallineamento tra principi costituzionali e
ordinamento vigente”.
Mons. Staglianò, operando una
chiosa sul sottotitolo, ha distinto le
condizioni (fatto culturale) dalla
Visitando le sale del Museo diocesano
IL PASTORALE:
la responsabilità
della guida
ra gli oggetti liturgici
esposti nella seconda
sala del museo diocesano catanese,
ovvero il tesoro della cattedrale
sopravvissuto al terremoto del 1693,
o ascrivibile ai secoli seguenti, sono
presenti anche esemplari di bastoni
pastorali. Detto anche vincastro, il
pastorale, che trae origine dal Vangelo secondo Giovanni nel quale Cristo
si autodefinisce “Buon Pastore”, è
una tipologia di bastone che presenta una peculiare curvatura all’estremità, spesso particolarmente decorata: esso viene utilizzato dal vescovo
nei pontificali e nelle cerimonie più
solenni, ed è diffuso presso varie
chiese cristiane a ordinamento epi-
T
scopale, come la Chiesa cattolica,
l’anglicana, la luterana e l’ortodossa.
Ne fanno uso anche gli abati nei
monasteri benedettini, in qualità di
responsabili della cura delle anime.
Il pastorale, chiamato anche baculo,
è costituito da un’asta lignea o
metallica, smontabile in tre o quattro
parti , culminante in un puntale e
munita di uno o più nodi, in cui s’innesta il riccio. Dai primi esemplari
in legno, già dal V secolo,verso l’anno Mille si registrano i primi baculi
in argento fuso, mentre dal XII al
XIV secolo se ne costruirono in avorio o rame decorato e smaltato, quali i pregiati esempi d’arte limosina;
dal rinascimento a seguire si consolidò il modello in argento anche
dorato, accanto ad esempi più rari in
piombo, ferro e oro, oppure con il
riccio in cristallo o corno. Durante il
X-XI secolo, la curvatura assunse la
forma a spirale includendo talora
originali figure simboliche; il nodo
del pastorale, all’origine poligonale
o sferico, si configura dal XIV secolo in forme più elaborate, con piccole statue di santi o il tempietto ad
arcate. In ottemperanza alla simbologia che rispecchia il legame tra il
pastore e il suo popolo a lui affidato
nelle cure della fede, il pastorale può
essere usato dal vescovo solo nell’ambito della propria diocesi, senza
travalicarne i confini, adempiendo
così alla missione verso i suoi fedeli,
e non all’episcopato in generale, che
prevede sempre la mitria, l’anello
episcopale e la croce pettorale. I
momenti fondamentali della liturgia,
durante la Messa, in cui il vescovo
sostiene il baculo, sono rappresentati da la processione d’ingresso, la
proclamazione del vangelo, l’omelia, l’eventuale amministrazione di
Sacramenti e Sacramentali, la benedizione finale e la processione di
congedo. Un particolare modello di
baculo pastorale del Papa si definisce ferula, che si presenta munito di
croce all’estremità superiore. Si dice
anche pastorale di Paolo VI, in
quanto ripristinato da quest’ultimo
dopo la Riforma liturgica del Concilio Vaticano II. Anteriormente alla
riforma, infatti il Papa era portato
sulla sedia gestatoria e non faceva
uso di alcun bastone. In realtà al
Pontefice dovrebbe spettare la Croce
papale tripla, ovvero un bastone che
reca all’estremità una croce con tre
traverse di differente lunghezza, che
rappresentano il triplice ruolo del
papa nelle funzioni di vescovo di
Roma, patriarca dell’Occidente e
successore di san Pietro apostolo. Fu
Giovanni Paolo II, ad usare l’ultima
volta la suddetta croce nel Giubileo
del 2000. Tra le sale dell’antico
Seminario dei Chierici, adornate da
calici, pissidi, ostensori e reliquiari,
ancora un tassello di religiosità che
lo illumina di fede vissuta.
Anna Rita Fontana
volontà politica, ravvisando nelle
“condizioni culturali” la premessa
logica e necessaria dalla quale può
scaturire il processo normativo. “La
mancanza di adeguate condizioni
culturali, ha sostenuto, determina la
crisi, crisi di valori in conseguenza
della quale abbiamo lo strapotere
della politica”. L’articolato, sottile
ragionamento del vescovo di Noto si
è sviluppato e concluso nell’affermazione “il progetto cristiano è per
l’umanità, non per la Chiesa”; affermazione tattica e strategica con riferimento al momento storico che stiamo attraversando, nel quale, altrove
e altrimenti, prendendo la religione a
pretesto, si commettono crimini effe-
rati. Nelle religioni monoteistiche, fanatismi integralismi ed
estremismi esclusi, la sussidiarietà è viva e vitale nel rapporto
tra trascendente e immanente,
almeno sino ai confini col dogma; in quelle cristiane e cattolica sommamente: esse vincono e
convincono indicando in Cristo
il Dio fatto uomo per indicare
all’umanità la Via da seguire.
Concludendo i lavori, il Former
International President prof.
dott. Pino Grimaldi ha espresso apprezzamento per la qualità
delle due relazioni che, a suo
giudizio, avviano un importante e
stimolante ragionamento su modi e
modalità di approccio su un argomento il cui mero inserimento normativo rischia di rimanere un enunciato se non si individuano e riconoscono percorsi condivisi per realizzarne la sua effettività; con relazioni
e interventi di livello ‘alto’, come in
questa occasione, il Lions dà un contributo valido ad evitare che determinati criteri e principi necessari per la
crescita sociale armonica restino dei
semplici enunciati: individuato lo
strumento occorre applicarlo e farlo
funzionare.
Carlo Majorana Gravina