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Disclaimer
Questi appunti nascono ad uso e consumo dell’autore, che li ha TEXati
in diretta durante il corso di Elementi di Topologia Algebrica tenuto dal
professor Petronio presso l’Universit`a di Pisa. Come conseguenza possono
essere molto poco chiari, difettare di qualcosa, eccetera eccetera, anche e
sopratutto perch´e a un certo punto l’autore ha smesso di seguire il corso
(mancano le ultime lezioni) e non li ha pi`
u risistemati. Sentitevi liberi di
insultarmi, segnalare sviste, eccetera presso [email protected].
SPAM: ascoltate www.radiocicletta.it
Nota: (disegno) o cose simili significa “qua per capire meglio le cose
servirebbe il disegno, fra l’altro disponibile negli appunti di Petronio sulla
sua pagina, ma purtroppo non sono ancora in grado di farlo al volo in LATEX”.
Rosario “Mufasa” Mennuni
Indice
1 25/09
1.1 Piccola infarinatura di Teoria delle Catgorie . . . . . . . . . .
1.2 Simplessi geometrici e orientazioni . . . . . . . . . . . . . . .
2
2
5
2 26/09
2.1 Facce e orientazioni indotte . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
2.2 Complessi di catene . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
2.3 Omologia dei complessi simpliciali . . . . . . . . . . . . . . .
7
7
9
10
3 02/10
12
3.1 Suddivisioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 12
4 03/10
14
4.1 Politopi convessi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 15
4.2 Orientazione dei politopi convessi . . . . . . . . . . . . . . . . 17
5 08/10
19
5.1 Fine dimostrazioni lasciate in sospeso . . . . . . . . . . . . . 19
5.2 Suddivisioni simpliciali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 20
5.3 Primi due gruppi di omologia . . . . . . . . . . . . . . . . . . 21
6 10/10
22
6.1 Ancora sui primi due gruppi di omologia . . . . . . . . . . . . 22
6.2 Presentazioni dei primi gruppi di omotopia e omologia . . . . 25
7 15/10
26
7.1 Propriet`
a dell’omologia simpliciale . . . . . . . . . . . . . . . 26
7.2 Il Teorema di approssimazione simpliciale . . . . . . . . . . . 27
1
8 17/10
30
8.1 Invarianza per omotopia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 30
8.2 Variet`
a differenziabili . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 32
8.3 Variet`
a pl . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 34
9 22/10
9.1 Complessi simpliciali astratti
9.2 Orientazione e omologia . . .
9.3 Grado . . . . . . . . . . . . .
9.4 Sottovariet`
a e punti regolari .
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35
35
36
37
37
10 24/10
38
10.1 Grado in contesto liscio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 38
11 29/10
42
11.1 Alcune conseguenze dei risultati precedenti . . . . . . . . . . 42
11.2 Classificazione pl delle superfici . . . . . . . . . . . . . . . . . 44
12 31/10
45
12.1 Classificazione delle superfici . . . . . . . . . . . . . . . . . . 45
12.2 Omologia relativa per complessi simpliciali finiti . . . . . . . . 47
13 05/11
48
13.1 Successioni esatte . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 48
13.2 Successioni esatte lunghe in omologia . . . . . . . . . . . . . . 49
14 07/11
14.1 Interpretazione geometrica di dn
14.2 Omologia ridotta . . . . . . . . .
14.3 Omologia ridotta delle sfere . . .
14.4 Ancora algebra . . . . . . . . . .
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53
53
53
55
56
15 12/11
58
15.1 Dimostrazione e applicazioni di Mayer-Vietoris . . . . . . . . 58
15.2 Propriet`
a assiomatiche dell’omologia . . . . . . . . . . . . . . 62
16 14/11
62
16.1 Equivalenza di omologie . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 62
16.2 Altre teorie omologiche . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 64
17 19/11
66
17.1 Complessi simpliciali astratti . . . . . . . . . . . . . . . . . . 66
17.2 cw-complessi e loro omologia . . . . . . . . . . . . . . . . . . 68
18 21/11
70
2
19 26/11
70
19.1 Numero di Lefschetz . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 70
19.2 Omologia singolare . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 73
20 28/11
75
20.1 Propriet`
a dell’omologia singolare . . . . . . . . . . . . . . . . 75
20.2 Omologia singolare relativa . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 78
20.3 Escissione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 79
21 03/12
80
21.1 Escissione in omologia singolare . . . . . . . . . . . . . . . . . 80
21.2 Omologia con coefficienti in un gruppo . . . . . . . . . . . . . 82
3
1
25/09
Mandare una mail a [email protected] perch´e possa creare la mailing list del corso. I quarti d’ora accademici sono a fine ora.
1.1
Piccola infarinatura di Teoria delle Catgorie
Non insisteremo troppo sugli aspetti categoriali, tuttavia:
Definizione 1.1. Una categoria C `e il dato di
• Una classe (possibilmente propria) di oggetti Obj(C)
• per ogni X, Y ∈ Obj(C), un insieme HomC (X, Y ) (eventualmente
vuoto)
• per ogni X, Y, Z ∈ obj(C) una legge HomC (X, Y ) × HomC (Y, Z) →
Hom(X, Z), (f, g) 7→ g ◦ f (nonostante la notazione, non `e detto che
f, g siano funzioni)
tali che
• ∃1X ∈ Hom(X, X) tale che f ◦ 1X = f , 1X ◦ f = f
• f ◦ (g ◦ h) = (f ◦ g) ◦ h
Esempio 1.2. Alcuni esempi di categorie:
• La categoria Set, dove la classe degli oggetti `e V , gli omomorfismi sono
le mappe e ◦ `e la composizione di mappe. 1X `e IdX
• La categoria Top, con oggetti gli spazi topologici e come mappe le
funzioni continue.
• La categoria Group, con oggetti i gruppi e omomorfismi gli omomorfismi di gruppi.
• La categoria Inj, sottocategoria di Set dove le mappe sono solo quelle
iniettive. Analogamente Surj e Bij.
Esempio 1.3. Esempi di categorie dove gli omomorfismi non sono mappe:
• Sia X un poset. Definiamo Obj(C) = X e, per ogni x, y ∈ X definiamo
(x, y) se
x≤y
HomC (x, y) =
∅
altrimenti
Inoltre la regola di composizione Hom(x, y) × Hom(y, z) → Hom(x, z)
`e definita come il vuoto a meno che x ≤ y ≤ z dov’`e definita come ci
si aspetta.
4
• La categoria C dove gli oggetti sono i gruppi e HomC (G, H) `e l’insieme delle classi di coniugio di omomorfismi G → H, dove ϕ, ψ sono
coniugate se esiste h ∈ H tale che ∀g ∈ G ψ(g) = h ◦ ϕ(g) ◦ h−1 .
La composizione `e definita come ci si aspetta, verificando la buona
definizione, e chiaramente 1G = [IdG ] = {IdG }.
(considerando la categoria KTop (spazi topologici + classi di omotopia)
penso che ogni volta che una relazione di equivalenza si comporta bene con
la composizione si ha un altro esempio di categoria dove i morfismi non sono
funzioni, ma non ho controllato che sia vero).
Lemma 1.4. In una categoria C
• 1X `e unico
• Se f ∈ Hom(X, Y ) ha un inverso sinistro g ∈ Hom(Y, X) (cio`e g ◦ f =
1X ) `e un inverso destro h ∈ Hom(Y, X) (cio`e f ◦ h = 1Y ), allora h = g
e lo chiameremo inverso.
• L’inverso `e unico (se esiste).
Dimostrazione.
• Routine.
• g = g ◦ 1Y = g ◦ (f ◦ h) = (g ◦ f ) ◦ h = 1X ◦ h = h.
• Ovvio.
Definizione 1.5. Se esiste f ∈ Hom(X, Y ) invertibile, f `e un isomorfismo
e X `e isomorfo ad Y .
Definizione 1.6. La categoria opposta a C `e denotata con OP(C) ed `e
quella con gli stessi oggetti, ma con HomOP(C) (X, Y ) = HomC (Y, X) e
f ◦OP(C) g = g ◦C f .
Definizione 1.7. Se C `e una categoria in cui gli oggetti sono insiemi muniti di una qualche struttura e Hom(X, Y ) sono le mappe da X → Y che
preservano la struttura, posso definire la categoria delle coppie derivata da
C come la categoria P dove
n
o
i
Obj(P) = A → X | A, X ∈ Obj C, i ∈ Hom(A, X), i iniettiva
i
j
Hom(A → X, B → Y ) = {(p, q) |↓ commuta}
q
A
j
X
B
p
5
i
Y
Definizione 1.8. Siano C, D categorie. Un funtore covariante F da C a D
`e il dato di
• Una funzione-classe F : Obj(C) → Obj(D)
• F : HomC (X, Y ) → HomD (F (X), F (Y ))
tali che
D
• F (1C
X ) = 1F (X)
• F (f ◦C g) = F (f ) ◦D F (g)
Osserviamo che
Lemma 1.9. Se X, Y ∈ Obj(C) sono isomorfi in C, allora F (X), F (Y ) sono
isomorfi in D.
Dimostrazione. Ovvio.
Definizione 1.10. Un funtore controvariante F `e il dato di
• Una funzione-classe F : Obj(C) → Obj(D)
• F : HomC (X, Y ) → HomD (F (Y ), F (X)) (gira le frecce)
tale che
• F (1X ) = 1F (X)
• F (f ◦ g) = F (g) ◦ F (f )
Osserviamo che un funtore controvariante C → D induce un funtore covariante C → OP(D) e viceversa.
L’idea della topologia algebrica `e quella di costruire funtori da Top o
sue sottocategorie a categorie di tipo algebrico, con l’idea che in ambito
algebrico `e pi`
u facile fare i conti. Questo permette di ottenere invarianti.
Un altro
Esempio 1.11. Sia G la categoria dei gruppi abeliani e G0 un gruppo1
fissato. Costruisco un funtore covariante F : G → G definito come
• F (G) = Hom(G0 , G), dove l’operazione di gruppo dell’oggetto a destra `e la moltiplicazione posto per posto, cio`e (ϕ ◦ ψ)(g0 ) = ϕ(g0 ) ·
ψ(g0 ) (la buona definizione sfrutta l’abelianit`a, altrimenti non `e un
omomorfismo).
• Se f ∈ Hom(G, H), definisco F (f ) : Hom(G0 , G) → Hom(G0 , H) come
ϕ 7→ f ◦ ϕ.
1
Non mi `e chiaro se `e necessario che sia anch’esso abeliano
6
La definizione `e ben posta, nel senso che
F (IdG )(ϕ) = IdG ◦ϕ = ϕ ⇒ F (IdG ) = IdHom(G0 ,G)
e che
F (f ◦`)(ϕ) = f ◦`◦ϕ = F (f )(f (`)(ϕ)) = (F (f )◦F (`))(ϕ) ⇒ F (f ◦`) = F (f )◦F (`)
Sempre considerando G e G0 , se definisco F : G → G come F (G) =
Hom(G, G0 ) e F (f ) : ϕ 7→ ϕ ◦ f ho un funtore controvariante.
Definizione 1.12. Siano F1 , F2 funtori covarianti da C a D. Una trasformazione naturale da F1 ad F2 `e il dato di un’applicazione ϕX ∈ HomD (F1 (X), F2 (X))
per ogni X ∈ C tale che per ogni X, Y ∈ C e per ogni f ∈ HomC (X, Y )
commuti il diagramma
F1 (X)
ϕX
F2 (X)
1.2
F1 (f )
F1 (Y )
ϕY
F2 (f )
F2 (Y )
Simplessi geometrici e orientazioni
Definizione 1.13. Dati v0 , . . . , vn ∈ RN , definisco l’inviluppo convesso
Conv(v0 , . . . , vn ) come il pi`
u piccolo convesso che contiene v0 , . . . , vn .
` facile vedere che questo esiste (RN `e convesso quindi la famiglia da
E
intersecare `e non vuota).
P
P
Lemma 1.14. Conv(v0 , . . . , vn ) = { ni=0 ti vi | ti ≥ 0, ni=0 ti = 1}
Dimostrazione. Se D `e l’insieme delle combinazioni convesse dei vi , per
mostrare che D `e convesso basta notare che
X
X
X
λ
ti vi + (1 − λ)
s i vi =
(λti + (1 − λ)si )vi
Mostriamo l’altra inclusione per induzione sul numero k dei ti non nulli. Se
k = 1 `e ovvio. Altrimenti sia t0 > 0 e tj 6= 0 con j > 0. Si ha t0 < 1, e
n
X
i=0
ti vi = t0 v0 +(1 − t0 )
|{z}
∈C
n
X
i=1
|
ti
vi
1 − t0
{z
}
∈C per ipotesi induttiva
e questo punto appartiene a tutti i convessi che contengono i vi .
7
Proposizione 1.15. Siano v0 , . . . , vn ∈ RN . Sono equivalenti:
1. Non esiste un sottospazio affine di dimensione ≤ n − 1 che li contiene
→
−−→
2. −
v−
0 v1 , . . . , v0 vn sono linearmente indipendenti
P
P
3. Se ni=0 ti vi = 0 e ni=0 ti = 0 allora ∀i ti = 0
4. P
Ogni elemento di Conv(v0 , . . . , vn ) si scrive in maniera unica come
n
i=0 ti vi .
Dimostrazione.
• (1) ⇔ (2) segue dal fatto che il pi`
u piccolo sottospazio
→
−−→
affine che li contiene `e v0 + Span(−
v−
0 v1 , . . . , v0 vn ).
• (2) ⇒ (3) `e ovvio.
• Per ¬(3) ⇒ ¬(2) e ¬(4) ⇒ ¬(2) rimonto una combinazione lineare che
falsifica l’indipendenza.
• Per (3) ⇒ (4) basta fare la differenza dei coefficienti e deve fare 0.
P
P
• Per ¬(3) ⇒ ¬(4), se ho
ti = 0 con i ti non tutti nulli e
ti vi =
0, ho ti sia positivi che negativi. Senza perdita di generalit`a siano
t0 , . . . tp > 0, tp+1 , . . . tq < 0 e il resto nulli. Sia
a=
p
X
ti =
i=0
Ho che
p
X
ti
i=0
a
1
X
(−ti )
i=p+1
vi =
1
X
−ti
a
i=p+1
sono due combinazione convesse diverse (i punti sono diversi!) che
danno lo stesso punto.
Definizione 1.16. Se vale una delle precedenti condizioni equivalenti v0 , . . . , vn
si dicono affinemente indipendenti e Conv(v0 , . . . , vn ) si dice n-simplesso
(geometrico).
Definizione 1.17. Una orientazione per un R-spazio vettoriale V di dimensione finita `e una scelta di
ω ∈ {B | base di V }∼
dove ∼ `e la relazione d’equivalenza che identifica due basi se la matrice di
cambiamento di base ha determinante positivo. Dare un’orientazione per
uno spazio affine vuol dire darne una per la giacitura.
8
Osserviamo che le orientazioni possibili sono solo due.
Notazione 1.18 (a breve). Se σ `e un n-simplesso, σ
¯ `e il pi`
u piccolo sottospazio affine di RN che contiene σ.
Definizione 1.19. Un’orientazione di σ `e equivalentemente definita come:
1. Un’orientazione per σ
¯.
2. Un ordinamento dei vertici a meno di permutazioni pari (cio`e elementi
di An+1 ).
Verifichiamo che questa `e una buona definizione.
Dimostrazione. Ad ogni ordinamento v0 , . . . , vn dei vertici associo la classe
→
−−→ e una base grazie alla Proposidi equivalenza della base [(−
v−
0 v1 , . . . , v0 vn )] (`
zione 1.15). Per mostrare la buona definizione devo mostrare che la matrice
di cambiamento di base relativa ad una permutazione dei vi ha determinate
positivo se e solo se la permutazione `e pari. Basta chiaramente mostrare
che applicando una trasposizione la matrice di cambiamento di base cambia
segno, e questo `e ovvio dalle propriet`a del determinante, controllando sulle
trasposizioni (m, m + 1) (che generano Sn ). Infatti, ad esempio, se come
→
−−→ −−→
trasposizione considero (0, 1), ho che −
v−
1 vn = v0 vn − v0 v1 . La matrice di
cambiamento di base `e l’identit`
a, tranne che per la prima riga che `e fatta da
tutti −1. Se invece considero (1, 2) (gli altri casi sono analoghi) la matrice
`e l’identit`
a con le prime due righe scambiate.
2
2.1
26/09
Facce e orientazioni indotte
Definizione 2.1. Una k-faccia `e l’inviluppo convesso di di certi vi0 , . . . , vik .
Esercizio 2.2. Una k-faccia `e un k-simplesso.
Definizione 2.3. Se σ = Conv(v0 , . . . , vn ), definisco la parte interna
nX
o
X
int(σ) =
t i vi |
ti = 1, ∀i ti > 0
` facile vedere che coincide con la parte interna nell’usuale senso della
E
topologia euclidea sul minimo sottospazio affine che contiene σ. Osserviamo
inoltre che σ `e unione disgiunta delle parti interne delle sue facce.
Definizione 2.4. Siano σ un n-simplesso orientato e τ una faccia di codimensione 1. L’orientazione indotta da σ su τ `e equivalentemente definita
come
9
1. La cosiddetta regola della “normale esterna per prima”: (u1 , . . . , un )
base di τ¯ `e positiva se, scelto w ∈ σ
¯ esterno a σ si ha che w, u1 , . . . , un
`e una base positiva per σ
¯ dove, considerando che τ¯ `e un iperpiano in
σ
¯ e σ giace in uno dei due semispazi determinati da τ¯, “esterno” vuol
dire che punta nell’altro semispazio.
2. Se (v0 , . . . , vn ) `e un ordinamento positivo e τ `e opposta a vi (le facce di
codimensione 1 sono opposte ad un vertice), allora (−1)i ·(v0 , . . . , vˆi , . . . , vn )2
`e positivo per τ .
Precisazione: per un punto (visto che non ha senso parlare di basi)
un’orientazione `e semplicemente un segno + o −. (esempi di calcolo dell’orientazione indotta con entrambe le definizioni via disegni, poi se ho tempo
li aggiungo. Se qualcuno li vuole fare con tikz. . . )
Ora verifichiamo l’equivalenza delle precedenti.
Dimostrazione. Considero l’orientazione per cui con la regola (2) (v0 , . . . , vn )
→
−−→ e positivo. Considero τ =
`e positivo, cio`e secondo la (1) −
v−
0 v1 , . . . , v0 vn `
→ e esterno a τ . Devo vedere
Conv(v0 , . . . , vˆi , . . . , vn ). Per i = 0 ho che −
v−
0 v1 `
−
−
→
−
−
→
→ −−→
−−→ e positiva.
che v1 v2 , . . . , v1 vn `e positiva secondo (1), cio`e −
v−
0 v1 , v1 v2 , . . . , v1 vn `
Basta scrivere la matrice di cambiamento di base, che `e l’identit`a tranne che
→ e un vettore
per la prima riga che `e (1, −1, . . . , −1). Nel caso i > 0 ho che −
v−
i v0 `
−
−
→
−−→
esterno. Devo vedere che l’ordinamento dato da (2) v0 v1 , . . . , vd
0 v1 , . . . , v0 vn
→ −−→
−−→
i
hanno segno (−1)i , cio`e che −
v−
i v0 , v0 v1 , . . . , vd
0 vi , . . . , v0 vn hanno segno (−1) .
−
−
→
−
−
→
Dato che vi v0 = −v0 vi , la matrice di cambio base ha come prima colonna
(0, . . . , 0, −1, 0, . . . , 0)t , dove il −1 `e in posizione i e la i-esima riga `e per il
resto fatta di 0, gli altri blocchi sono identit`a o 0 nei posti giusti e quindi
torna.
Proposizione 2.5. Siano F, G ⊂ σ facce distinte di codimensione 1. τ =
F ∩ G `e una faccia di codimensione 2. Scelta un’orientazione su σ le orientazioni su τ indotte “passando da F ” e “passando da G” sono opposte fra
loro.
“Passando da” vuol dire l’orientazione indotta su τ dall’orientazione
indotta su F da σ. Vedremo due dimostrazioni.
Dimostrazione. Siano wF esterno ad F lungo τ in F¯ , e wG analogamente
per G. Allora wF + wG `e esterno sia ad F che a G lungo τ = F ∩ G in σ
¯ . Sia
u2 , . . . , un base di τ¯. Mi chiedo se `e positiva rispetto all’orientazione σ
F
τ . Questo succede se (definizioni) wF + wG , wF , u2 , . . . , un `e positiva in
σ
¯ . Similmente `e positiva rispetto a σ
G
τ se wF + wG , wG , u2 , . . . , un
`e positiva in σ
¯ . La matrice di cambio ha in cima il blocco
1 1
0 −1
2
Il cappuccio denota il vettore rimosso.
10
e per il resto `e l’identit`
a, e ha determinante −1.
Vediamo la seconda
Dimostrazione. Sia i < j, cio`e F = v0 , . . . , vˆi , . . . , vn , G = v0 , . . . , vˆj , . . . , vn ,
con v0 , . . . , vn positiva per σ. L’orientazione su F `e (−1)i (v0 , . . . , vˆi , . . . , vn ),
quella indotta da F su τ `e (−1)i (−1)j−1 (v0 , . . . , vˆi , . . . , vˆj . . . , vn ) (il j − 1 `e
perch´e ho tolto vi prima di vj ). L’orientazione indotta da G su τ `e invece
(−1)i (−1)j (v0 , . . . , vˆi , . . . , vˆj , . . . , vn ) perch´e tolgo prima vj .
2.2
Complessi di catene
Definizione 2.6. Un complesso di catene `e una successione di gruppi abeliani con omomorfismi infinita verso sinistra
∂n+1
∂
∂
∂
n
1
0
Cn−1 . . . −→
C0 −→
0
. . . → Cn+1 −−−→ Cn −→
tale che ∀n ∂n ◦ ∂n+1 = 0, cio`e Im ∂n+1 ⊆ Ker ∂n . Definisco Zn (C) = Ker ∂n
(sono gli n-cicli ) e le Cn le chiamo n-catene. Bn = Im ∂n+1 sono invece i
bordi. Ho che
∂n ◦ ∂n+1 = 0 ⇔ Bn (C) ⊂ Zn (C)
Definisco Hn (C) come Zn (C)B (C), che `e chiaramente un gruppo abeliano.
n
Questo `e l’n-esimo gruppo di omologia del complesso di catene C.
Introduciamo una struttura categoriale sui complessi di catene. Se C,C 0
sono complessi di catene chiamo mappa tra complessi di catene ϕ una successione di omomorfismi di gruppi abeliani ϕn : Cn → Cn0 tale che ∀n ∈
N
Cn
ϕn
Cn0
∂n
Cn−1
0
∂n
ϕn−1
0
Cn−1
(d’ora in poi la freccia circolare al centro significa che il diagramma commuta). Definisco la categoria che ha come oggetti i complessi di catene e come
morfismi le mappe tra complessi di catene.
Se ϕ : C → C 0 `e una mappa tra complessi di catene, ϕ induce per ogni
naturale n una ϕ∗,n : Hn (C) → Hn (C 0 ). Verifichiamolo.
Dimostrazione. Ho Hn = Zn (C)B (C) e vorrei definire per z ∈ Zn (C) la
n
mappa come ϕ∗,n ([z]) = [ϕn (z)]. Devo verificare che
11
• ϕn (z) ∈ Zn (C 0 )
• La buona definizione, cio`e che z ∈ Bn (C) ⇒ ϕn (z) ∈ Bn (C 0 )
Entrambi i fatti seguono facilmente dai diagrammi commutativi. La prima
perch´e (guardare il diagramma)
∂n0 (ϕn (z)) = ϕn−1 (∂n (z)) = ϕn−1 (0) = 0
La seconda usando sempre che i diagrammi opportuni commutano. Viene
fuori che
z ∈ Bn (C) ⇒ z = ∂n+1 (w) w ∈ Cn+1
0
⇒ ϕn (z) = ϕn (∂n+1 (w)) = ∂n+1
(ϕn+1 (w)) ⇒ ϕn (z) ∈ Bn (C 0 )
Definizione 2.7. In termini categoriali abbiamo visto come ad un complesso di catene corrisponda una successione {Hn (C)}+∞
n=0 di gruppi abeliani e co0
me ad una mappa ϕ : C → C corrisponda una successione ϕ∗ : {Hn (C)} →
{Hn (C 0 )} di omomorfismi di gruppi abeliani. Chiamo questo funtore H: `e
un funtore covariante dalla categoria dei complessi di catene a quella delle
successioni di gruppi abeliani.
2.3
Omologia dei complessi simpliciali
Definizione 2.8. Un complesso simpliciale (geometrico) finito K `e un
insieme finito di simplessi in RN tale che
1. Se σ ∈ K e τ `e faccia di σ, allora τ ∈ K.
2. Se σ1 , σ2 ∈ K, allora σ1 ∩ σ2 `e una faccia di entrambi (possibilmente
vuota3 ).
S
Notazione 2.9. |K| = σ∈K σ, K [n] = {σ ∈ K | dim(σ) = n}4 , K (n) =
Sn
[n]
i=0 K .
Definizione 2.10. Sia K un complesso simpliciale in cui ogni simplesso ha
una fissata arbitraria orientazione. Il complesso di catene simpliciale di K,
denotato Cn (K), `e il gruppo abeliano libero generato da K [n] , cio`e l’insieme
delle combinazioni lineari formali a coefficienti in Z degli n-simplessi. Se
σ ∈ K [n] e τ `e una faccia di codimensione 1 di σ pongo
+1 se τ `e orientato come faccia di ∂σ
ε(σ, τ ) =
−1
altrimenti
3
4
Pensando il vuoto come faccia −1-dimensionale
Questa notazione non `e standard.
12
Definisco
∂n (σ) =
X
ε(σ, τ ) · τ
τ ∈K [n−1]
τ ⊂σ
Estendo ∂n : Cn (K) → Cn−1 (K) per Z-linearit`a.
Corollario 2.11 (della Proposizione 2.5). ∀σ ∈ K [n] ∂n−1 ◦ ∂n (σ) = 0
Sketch di dimostrazione. Se F, G sono orientate come in ∂σ e τ `e orientato
come in ∂F si ha che ε(σ, F ) = +1, ε(σ, G) = +1 e per la Proposizione 2.5
si ha ε(F, τ ) = +1 e ε(G, τ ) = −1. Ora il coefficiente di τ in ∂n−1 ∂n σ `e
ε(σ, F )ε(F, τ ) + ε(σ, G)ε(G, τ ) = 0.
Poich´e Cn (K) `e un complesso di catene sono definiti i gruppi di omologia
Hn (K). Questa sar`
a l’omologia simpliciale di K.
Il goal `e provare che Hn (K) = Hn (|K|) in maniera da poter buttare
via la struttura simpliciale e usare l’omologia per studiare spazi topologici.
Cominciamo mostrando che
Proposizione 2.12. Hn (K) non dipende dalle orientazioni dei simplessi di
K a meno di isomorfismo.
e lo stesso complesso di K con altre orientazioni dei
Dimostrazione. Sia K
e estenendo per Z-linearit`a la
simplessi. Definisco ϕn : Cn (K) → Cn (K)
mappa
ϕn (σ) = ∂(σ) · σ
dove
δ(σ) =
+1
−1
se
e
σ ha la stessa orientazione in K, K
altrimenti
` ovvio che ϕn `e un isomorfismo. Affermo che
E
Cn (K)
ϕn
K
∂n
Cn−1 (K)
ϕn−1
K
∂n
e
e
Cn (K)
e
Cn−1 (K)
e questo basta perch´e ϕ∗ `e l’isomorfismo indotto dalle ϕ−1
n . Se σ ∈ Cn (K)
ho che
X
X
e
ϕn−1 (∂n σ) = ϕn−1
εK (σ, τ ) · τ =
εK (σ, τ ) · δ(τ ) = ∂nK (ϕn σ)
X
e
e
= ∂nK (δ(σ)σ) = δ(σ) ·
εK (σ, τ )
·τ
| {z }
δ(σ)·εK (σ,τ )·δ(τ )=εK (σ,τ )
13
3
02/10
Finora stiamo seguendo il Matveev (con pi`
u dettagli, dovrebbe essere
molto stringato, tipo Jech).
3.1
Suddivisioni
Vogliamo mostrare che l’omologia non dipende dalle triangolazioni. La
strada sar`
a questa:
Definizione 3.1. L `e una suddivisione di K se |L| = |K| e ogni τ ∈ L `e
contenuto in qualche σ ∈ K.
Proposizione 3.2. Se L `e una suddivisione di K, allora ogni σ ∈ K `e
unione di elementi di L.
S
S
Osserviamo che se X = {A | A ∈ A} = {B | B ∈ B} e ∀B ∈ B ∃A ∈
A B ⊆ A, pu`
o comunque essere vero che ogni A ∈ A `e unione di elementi di
B, quindi bisogner`
a usare le ipotesi. Si fa un controesempio facile ricoprendo
un segmento prima con due pezzi e poi con tre (servirebbe il disegno).
Teorema 3.3. Se L `e una suddivisione di K, allora ∀n Hn (L) ∼
= Hn (K).
Teorema 3.4. Se |K1 | = |K2 |, allora K1 e K2 hanno una suddivisione
comune.
Notazione 3.5. Se σ `e un simplesso, indico con S(σ) il minimo sottospazio
affine che lo contiene.
Ricordiamo che con “parte interna” int(σ) intendiamo la parte interna
topologica, che coincide con l’unione delle facce di codimensione positiva.
Lemma 3.6. Se τ ⊂ σ sono simplessi, η `e una faccia di σ e η ∩ int(τ ) 6= ∅,
allora τ ⊂ η.
Dimostrazione. Dato che η = σ ∩ S(η) e τ ⊂ σ, se τ 6⊂ η, sia p ∈ τ \ S(η),
perch´e il punto non pu`
o essere sullo stesso piano perch´e senn`o starebbe in
η. Allora ho che i punti di τ ∩ η non sono interni a τ perch´e per convessit`a
in τ ci sono combinazioni convesse di p con qualche altro punto, e quindi τ
interseca η sulla frontiera. (Ci sarebbe da fare un disegno per chiarezza.)
Dimostriamo la 3.2:
Dimostrazione. Sia σ ∈ K. Devo mostrare che σ `e unione di elementi di
L. Dato x ∈ σ voglio quindi trovare τ ∈ L tale che x ∈ τ ⊂ σ. Poich´e
|L| = |K| 3 x, esiste τ ∈ L tale che x ∈ τ . Posso supporre che x ∈ int(τ ),
a meno di passare a una faccia dimensione pi`
u piccola. Pi`
u precisamente
considero il pi`
u piccolo τ ∈ L tale che x ∈ τ . Per ipotesi esiste σ 0 ∈ K tale
0
che τ ∈ σ . Usando il Lemma precedente, se η = σ ∩ σ 0 , abbiamo che τ ⊂ σ 0
e int(τ ) ∩ η 6= ∅ (contiene x), quindi per il Lemma τ ⊂ η, ma η ⊂ σ.
14
Definizione 3.7. Se L suddivide K, data τ ∈ L, il suo antenato a(τ ) ∈ K
il pi`
u piccolo simplesso di K che contiene τ .
Convengo di orientare τ ∈ L[n] come a(τ ) se dim(a(τ )) = dim(τ ), a caso
altrimenti.
` vero che:
Proposizione 3.8. E
[
[
τ
1. σ ∈ K ⇒ σ =
τ=
τ ∈L
a(τ )=σ
τ ∈L[n]
a(τ )=σ
2. Se σ ∈ K [n] , η ∈ K [n−1] , η ⊂ σ, u ∈ L[n−1] tale che a(u) = η,
allora esiste un unico τ ∈ L[n] tale che a(τ ) = σ e u ⊂ τ . Inoltre
ε(σ, η) = ε(τ, u).
3. τ ∈ L[n−1] e a(τ ) ∈ K [n] , allora esistono esattamente due β ∈ L[n] tali
che τ ⊂ β e a(β) = a(τ ). Inoltre date siffatte β1 , β2 , si ha ε(β1 , τ ) +
ε(β2 , τ ) = 0.
4. Se β, β 0 ∈ L[n] e a(β) = a(β 0 ) ∈ K [n] , allora β e β 0 sono unite da una
τ
sequenza di passaggi5 β −
→ β 0 come nel punto precedente.
Dimostrazione. Disegni.
La dimostrazione del Teorema 3.3, che ci accingiamo a dare, dipende
solo dalle propriet`
a elencate nella Proposizione 3.8. Vedremo altri contesti
in cui queste propriet`
a varranno e ci far`a comodo avere il Teorema, quindi
useremo solo queste propriet`
a.
Dimostrazione. Definiamo
ψn : Cn (K) → Cn (L) estendendo linearmente la
P
mappa ψn (σ) =
τ
.
Le catene in L sono molte di pi`
u, quindi non
[n]
τ ∈L
a(τ )=σ
ci aspettiamo un isomorfismo di catene. Tuttavia riusciamo ad avere un
isomorfismo in omologia. Dobbiamo dimostrare che:
L
1. ∂n−1
◦ ψn = ψn−1 ◦ ∂nK , cio`e la famiglia {ψn }∞
e una mappa fra
n=0 `
complessi di catene e questo implica che ψn ∗ : Hn (L) → Hn (K) `e
ben definita ed `e un omomorfismo (come gi`a dimostrato nella scorsa
lezione).
2. ∀z ∈ Zn (L) ∃w ∈ Zn (K) z = ψn (w) (questo implica la surgettivit`a di
ψn ∗ ).
3. ∀z ∈ Zn (K) ψn (z) ∈ Bn (L) ⇒ z ∈ Bn (K) (questo implica l’iniettivit`a
di ψn ∗
Dimostriamolo:
5
La freccia non `e una funzione!
15
1. Basta fare le verifiche su σ ∈ K [n] . Ma
X X
L
L
τ =
∂n−1
(ψn (σ)) = ∂n−1
τ ∈L[n]
τ ∈L[n]
a(τ )∈σ
a(τ )∈σ
e
ψn−1 (∂nK (σ)) = ψn−1
X
X
ε(τ, x)x
(1)
x∈L[n−1]
x⊂τ
ε(σ, η)η =
η∈K [n−1]
η⊂σ
X
X
η∈K [n−1]
x∈L[n−1]
η⊂σ
a(x)=η
ε(σ, η)x
(2)
Nella 1 e nella 2 sommo simplessi x ∈ L[n−1] con x ⊂ σ. Ho due
casi: o a(u) = σ, e allora nella 2 non compare, mentre nella somma 1,
per la terza propriet`a della Proposizione 3.8, ci sono esattamente due
facce di dimensione maggiore di uno che ce l’hanno come antenato e
su cui inducono orientazione opposta. L’altro caso `e che a(u) = η ⊂ σ,
con η ∈ K [n−1] . In questo caso nella 1, per la seconda propriet`a della
Proposizione 3.8, vi compare esattamente una volta, come nella 2, e
con lo stesso coefficiente.
2. Siano σ ∈ K [n] , β, β 0 ∈ L[n] , con a(β) = a(β 0 ). So che ∂nL (z) = 0,
quindi in particolare in ∂nL (z) hanno coefficiente 0 tutti i τ ∈ L[n−1] con
a(τ ) = σ. Usando la terza e quarta propriet`a della Proposizione 3.8
abbiamo che β e β 0 hallo lo stesso coefficiente in z, perci`o z = ψn (w),
con w ∈ Cn (K). Vorremmo dire che `e immagine di una catena. Ora
0 = ∂nL (z) = ∂nL ψn (w) = ψn−1 (∂nK w)
e per iniettivit`
a di ψn−1 ∂nK w = 0, per cui w ∈ Zn (K).
L (u), come prima: in ∂ L (u) hanno coefficiente nullo
3. Se ψn (z) = ∂n+1
n+1
tutti gli η ∈ L[n] , con a(η) ∈ K [n+1] . Usando sempre la terza e la
quarta propriet`
a vediamo che in u tutti i simplessi θ ∈ Ln+1 che hanno
come a(θ) un certo σ ∈ K [n+1] hanno lo stesso coefficiente (come
prima). Perci`
o u = ψn+1 (w) con w ∈ Cn+1 (K). Ora
L
L
K
ψn (z) = ∂n+1
(u) = ∂n+1
(ψn+1 (w)) = ψn (∂n+1
(w))
K (w).
ma ψn `e inettiva e quindi z = ∂n+1
4
03/10
La lezione del mercoled`ı verr`a probabilmente spostata al Marted`ı dalle
18 alle 20 in sala seminari. petronio ci confermer`a via mail.
16
4.1
Politopi convessi
Vogliamo ancora dimostrare il 3.4. Ricordiamo alcuni risultati sugli
insiemi convessi.
Lemma 4.1. Se X ⊂ RN `e convesso, esiste un unico sottospazio affine di
dimensione massimale in cui X ha punti interni.
Definizione 4.2. Questo sottospazio `e denotato con S(X).
Inoltre X ⊆ S(X).
Dimostrazione. Se X = ∅ `e banale. Altrimenti esiste F di dimensione massima in cui X ha punti interni. Mostriamo che X ⊆ F . Se x ∈ X \ F per
convessit`
a trovo dei punti interni nel sottospazio affine generato da F ed x,
contro la massimalit`
a. Mostriamo ora l’unicit`a. Se F1 6= F2 sono come sopra, allora X `e contenuto in un sottospazio di dimensione pi`
u bassa e quindi
non ha punti interni in F1 , F2 .
Corollario 4.3. Se X `e convesso, `e ben definita dim(X) = dim(S(X)).
Definizione 4.4. Se X `e convesso, chiamo H semispazio in RN di supporto
se X ⊂ H.
Lemma 4.5. Se X ⊂ RN `e convesso e chiuso, e inoltre intRN (X) 6= ∅ (cio`e
F (X) = RN ), allora
[
∂X =
{X ∩ ∂H | H semispazio di supporto}
Dimostrazione. “⊃” `e ovvia. Viceversa, sia x ∈ ∂X. Prendo yn successione
di punti in RN \ X tale che yn → x. Sia xn ∈ X il punto di X di minima
−xn
distanza da yn . Consideriamo6 kyynn −x
→ v ∈ S N −1 . Ora `e facile vedere
nk
che
H = x + z ∈ RN | hz, vi ≤ 0
`e un semispazio di supporto per X.
Definizione 4.6. Chiamo politopo convesso in RN l’inviluppo convesso di
un numero finito di punti.
Ricordiamo che (Lemma 1.14)
( k
X
Conv(p1 , . . . , pk ) =
ti pi
i=1
k
X
ti = 1, ti ≥ 0
)
i=1
Proposizione 4.7. Dati p1 , . . . , pk ∈ RN , esiste un unico sottoinsieme minimale {v1 , . . . , vh } ⊂ {p1 , . . . , pk } tale che Conv(p1 , . . . , pk ) = Conv(v1 , . . . , vh ).
6
Questo serve perch´e l’iperpiano potrebbe non essere unico.
17
Definizione 4.8. L’insieme della proposizione precedente `e l’insieme dei
vertici.
Dimostrazione. Basta notare che p1 ∈ Conv(p2 , . . . , pk ) ⇔ Conv(p2 , . . . , pk )
(semplice verifica). Partendo da C = {p1 , . . . , pk } scarto un punto tolto
il quale l’inviluppo convesso non cambia, e reitero finch´e posso, ottenendo {v1 , . . . , vh }, che `e un sottoinsieme minimale con Conv(p1 , . . . , pk ) =
Conv(v1 , . . . , vh ) = C. Inoltre ∀j vj ∈
/ Conv(v1 , . . . , vˆ1 , . . . , vh ). Per l’unicit`
a basta mostrare che gli elementi di {v1 , . . . , vh } sono caratterizzati dalla
propriet`
a di non essere punto interno di un segmento con estremi distinti in
C. Questo perch´e
• v1 non `e punto interno di un segmento con estremi distinti in C. Segue
dal fatto che se v1 = sq0 + (1 − s)q1 con 0 < s < 1 e q0 6= q1 ∈ C.
Posso scrivere
v1 = s ·
h
X
ti vi + (1 − s) ·
i=1
h
X
ri vi
i=1
Inoltre dato che q0 6= q1 , almeno uno dei due `e diverso da v1 . Perci`o
t1 < 1 oppure r1 < 1, da cui s · t1 + (1 − s)r1 < 1. Ora
v1 =
h
X
i=2
sti + (1 − sri )
· vi
1 − (sti + (1 − s)ri )
`e una combinazione convessa, perch´e
h
X
(sti + (1 − s)ri ) = s(1 − t1 ) + (1 − s)(1 − r1 )
i=2
= s − st1 + 1 − s − (1 − s)r = 1 − (st1 + (1 − s)r1 )
• Se x ∈ C non `e uno dei vj , allora `e punto interno di un segmento con
Ph
estremi distinti in C. Questo perch´e x =
i=1 ti vi . Dato che non
`e uno dei vj ho almeno due coefficienti non nulli, e senza perdita di
generalit`
a`
a 0 < t1 < 1, da cui
x = t1 v1 +(1 − t1 ) ·
|{z}
∈C
h
X
i=2
|
ti
· vi
1 − t1
{z
}
∈C
Definizione 4.9. Una faccia di un politopo convesso X `e un insieme della
forma X ∩ ∂H, con H semispazio di supporto per X.
18
Osserviamo subito che
Proposizione 4.10. Ogni faccia `e un politopo convesso.
Dimostrazione. Basta provare che se Y = X ∩ ∂H, allora vale
Y = Conv({vertici di X contenuti in ∂H})
. Per farlo sceglo delle coordinate x1 , . . . , xN tali che H = {x1 ≥ 0}. Allora
h
X
i=1
ti vi ∈ ∂H ⇔ x1
h
X
!
t i vi
= 0 ⇔ ∀j (x1 (vj ) > 0) → (tj = 0)
i=1
e questo accade se e solo se x `e combinazione convessa dei vertidi di X su
∂H.
Proposizione 4.11. Se X `e un politopo convesso, ∂X `e l’unione delle facce
di codimensione 1
Dimostrazione. Sia x ∈ ∂X. Allora,
dato che XP
`e compatto in quanto imP
h | t ≥ 0,
magine
della
mappa
continua
t
∈
R
ti = 1 → RN che mappa
i
P
P
ti 7→
ti vi `e chiuso, e per quanto visto esiste H semispazio di supporto
tale che x ∈ ∂H. Consideriamo X ∩ ∂H, che `e una faccia. Se ha codimensione almeno 2, allora ∃E ⊆ ∂H sottospazio affine di codimensione 1 in ∂H
(e quindi 2 in RN ) tale che X ∩ ∂H ⊂ E. Proietto su E ⊥ , che ha dimensione
2 e ruoto ∂H intorno ad E finch´e non trovo uno dei vertici che non stanno
su E. Ho trovato H 0 tale che ∂H 0 3 x e dim(∂H 0 ∩ X) > dim(∂H ∩ X). A
meno di reiterare arrivo alla codimensione 1.
4.2
Orientazione dei politopi convessi
Per politopi in generale non ha senso parlare di orientazione come ordinamento dei vertici. Tuttaiva si pu`o dare la seguente
Definizione 4.12. Un’orientazione di un politopo X `e un’orientazione per
S(X).
Definizione 4.13. L’orientazione indotta da X su una faccia Y di codimensione 1 `e data con la regola della normale esterna per prima: prendo v
esterno a X lungo Y su S(X) e dico che x2 , . . . , xn base di S(Y ) p positiva
se v, x2 , . . . , xn `e positiva per S(X).
Come per il simplessi, vale
Proposizione 4.14. Se Z `e una faccia di codimensione 2 di X, esistono
esattamente due facce Y1 , Y2 di X di codimensione 1 che contengono Z.
Inoltre le orientazioni X
Y1
Z eX
Y2
Z sono opposte fra loro.
19
Dimostrazione. Se S(Z) ha codimensione 2, in S(Z)⊥ ho (disegno, tanto `e
veramente in dimensione 2) esattamente due iperpiani (rette) di supporto
per Z e si vede che le orientazioni indotte sono opposte esattamente come
fatto per i simplessi (Proposizione 2.5).
Sempre analogamente al caso dei simplessi diamo la seguente
Definizione 4.15. Un complesso politopale K `e un insieme finito di politopi
convessi in RN tale che
1. Se X ∈ K e Y `e faccia di X, allora Y ∈ K;
2. Se X1 , X2 ∈ K, allora X1 ∩ X2 `e una faccia di entrambi.
Corollario 4.16. Se Cn (K) `e il gruppo libero generato da K [n]7 , dove ogni
faccia ha una fissata, arbitraria orientazione, allora posso definire
X
∂n (X) =
ε(X, Y ) · Y
Y ∈K [n−1]
Y ⊂X
ottenendo un complesso di catene e posso definire l’omologia.
Dimostrazione. La proposizione precedente dice che la composizione di due
mappe di bordo consecutive `e nulla.
Anche per i complessi politopali ho la nozione di suddivisione, che gode
delle propriet`
a elencate nella Proposizione 3.8 (che per inciso forse va rivista
nella parte riguardante la surgettivit`a), e quindi l’analogo del Teorema 3.3.
Ora ci interessa dimostrare l’analogo del Teorema 3.4.
Teorema 4.17. Se K, L sono complessi politopali con |K| = |L|, allora
hanno una suddivisione comune.
Ottenendo
Corollario 4.18. Hn (K) dipende (a meno di isomorfismo) solo da |K| anche
per K politopale.
Ci servir`
a la seguente
Proposizione 4.19 (Chiave). Se X e Y sono politopi convessi, allora lo `e
anche X ∩ Y .
Esercizio 4.20. Dimostrare8 che i vertici di X ∩ Y sono esattamente
{X1 ∩ Y1 | X1 ⊂ X faccia, Y1 ⊂ Y faccia, X1 ∩ Y1 punto}
7
Ovviamente la notazione `e la stessa usata per i simplessi.
“Sono piuttosto sicuro che sia vero questo fatto, per`
o. . . ” Quindi se non torna pensarci
due volte.
8
20
Il Teorema 4.17 segue subito dalla Proposizione chiave: se |K| = |L|
allora I = {X ∩ Y | X ∈ K, Y ∈ L} `e un complesso politopale che suddivide
K ed L. La Proposizione chiave a sua volta segue dalla
Proposizione 4.21. X ⊆ RN `e un politopo convesso se e solo se `e limitato
ed `e intersezione di una famiglia finita di semispazi.
Dimostrazione.
• (⇒) Notiamo che basta dimostrarlo nel caso in cui
intRN (X) 6= ∅ (cio`e S(X) = RN ). Infatti sapendo ci`o posso conside˜ i ⊂ RN
rare X = ∩pi=1 Hi con Hi ⊂ S(X) semispazio. Ora scelgo H
N
˜
semispazio
Tq con Hi ∩ S(X) = Hi e semispazi K1 , . . . , Kq di R con
S(X) = i=1 Ki , da cui
X=
p
\
i=1
˜i ∩
H
q
\
˜j
K
j=1
Sia quindi S(X) = RN . Siano Y1 , . . . , Yp le facce di codimensione
1
Tp
di X.TYj = X ∩ ∂Hj , con Hj di supporto. Claim: X = j=1 Hj .
X ⊂ Hj `e ovvio perch´e sono iperpiani di supporto. La limitatezza
`e banale perch´e parliamo dell’inviluppo convesso di un insieme finito
di punti. Viceversa sia y ∈
/ X. Scegliamo x ∈ int(X). Il segmento9
[x, y] contiene un solo punto z di ∂X perch´e l’intersezione di convessi
`e convessa, uno dei due `e un segmento e non giacciono entrambi sul
convesso. Facendo variare x nel suo intorno si evita l’intersezione con
qualsiasi sottospazio di codimensione 2, e quindi con un numero finito
di spazi di codimensione 2. Come conseguenza evito l’intersezione
con le facce di codimensione 2, per cui posso supporre wlog che z ∈
int(Yj ). Da questo segue (disegno) che y ∈
/ Hj e questo conclude.
• (⇐) Nella prossima puntata.
5
08/10
5.1
Fine dimostrazioni lasciate in sospeso
Il punto “surgettivit`
a” del Teorema 3.3 `e sbagliato. Correggere con
∀z ∈ Zn (L) ∃u ∈ Bn (L), ∃w ∈ Zn (K) ψn (w) = z + u
Hint per la Dimostrazione (per esercizio). Per provarlo basta trovare u ∈
Bn (L) tale che per ogni τ con coefficiente non nullo in z +u si ha a(τ ) ∈ K [n] :
cio`e usando Bn (L) devo “svuotare” da z la parte interna di ogni σ ∈ K [m] ,
con m > n. Fatto questo, si prosegue come gi`a detto.
9
Notazione introdotta ora, ma `e quello che ci si aspetta.
21
Finiamo ora la dimostrazione lasciata in sospeso l’ultima volta.
Dimostrazione. Posso supporre intRn (x) 6= ∅, cio`e S(X) = Rn . Infatti su
S(X), X rimane limitato e interesezione di un numero finito di semispazi (basta scartare gli H con ∂H ⊃ S(X) e considerare H ∩S(X) per gli altri). Ora
procediamo per induzione su dim(X) = n. Per n = 1 abbiamo l’intersezione
limitata di un numero finito di semirette in R, che `e chiaramente unT
segmenp
to, e quindi un politopo convesso. Per il passo induttivo, sia
X
=
i=1 Hj ,
Tp
con gli Hj sottospazi e intRn 6= ∅. Claim: ∂X = X ∩ j=1 ∂Hj . L’inclusione “⊃” `e ovvia. Viceversa, se x ∈ X \ ∂Hj , allora x ∈ int(Hj ), e
p
\
quindi x ∈ int
Hj . Provato il primo claim, ne facciamo un secondo: se
j=1
| {z }
=X
X ∩∂Hj = Conv(V0 ) dico che X = Conv(V1 , . . . , Vp ). L’inclusione “⊃” `e ovvia perch´e X `e convesso e contiene i Vi . Se invece x ∈ X. O x ∈ ∂X, e quindi
x ∈ X ∩ ∂Hj per quanto detto poco fa, da cui `e immediato x ∈ Conv(Vj ),
oppure x ∈ intRn (X). In tal caso prendo ` retta per x e considero ` ∩ X.
Questo `e un chiuso limitato e convesso di `, e quindi `e un intervallo [p0 , p1 ],
con p0 , p1 ∈ ∂X. Dato che p0 , p1 ∈ Conv(V1 ∪, . . . ∪ Vp ) per quanto visto
prima, ho che x ∈ Conv(V1 ∪, . . . ∪ Vp ).
5.2
Suddivisioni simpliciali
Osserviamo ora che
Proposizione 5.1. Ogni complesso politopale ha una suddivisione che `e un
complesso simpliciale.
Dimostrazione. Basta procedere ricorsivamente sulla dimensione. Il caso 0
`e banale, e per il passo induttivo basta prendere un punto interno di ogni
σ ∈ K [m+1] e fare i coni sulla suddivisione gi`a trovata di K [ m].
Corollario 5.2. Ogni complesso simpliciale K ha, per ogni ε > 0, una
suddivisione L con max {diam(τ ) | τ ∈ L} < ε.
Dimostrazione. Basta prendere K e intersecarlo con la suddivisione di Rn
in cubi sufficientemente piccoli, da qui ottenere un complesso politpale e da
questo una suddivisione simpliciale.
Il corollario precedente segue anche dall’iterazione della suddivisione
baricentrica.
Definizione 5.3. Dato K complesso simpliciale, definisco la sua suddivisione baricentrica K 0 su K (m) ricorsivamente su m. Per m = 0 non faccio
niente, per mP= 1 aggiungo i punti medi dei lati, e da m a m + 1 aggiungo
1
il baricentro m+1
i=0 m+2 vi e faccio i coni sulla suddivisione precedentemente
ottenuta sul bordo.
22
n
o
0
Esercizio 5.4 (Difficile). Provare che limq→∞ max diam(τ ) | τ ∈ K q· =
0
0 (K q· `e la q-esima suddivisione baricentrica).
Non-dimostrazione. diam(τ ) `e la massima distaza fra i suoi vertici, e siccome
ad ogni nuova suddivione dimezzo ogni lato, il diametro si dimezza. Questo
non funziona perch´e sto aggiungendo nuovi vertici. Basta considerare un
triangolo equilatero per rendersene conto.
5.3
Primi due gruppi di omologia
Osserviamo da subito che10 Hn (K t H) = Hn (K) ⊕ Hn (H). Inoltre
Proposizione 5.5. Se |K| `e connesso, H0 (K) ∼
= Z.
Dimostrazione. Definisco ψ : C0 (K) = Z0 (K) → Z come


X
X
ψ
nv · v  =
nv · ε(v) = ±1
v∈K [0]
v∈K [0]
e supporremo wlog ∀vε(v) = 1. Per mostrare che ψ `e surgettiva basta
notare che n · v¯ 7→ n. Inoltre voglio mostrare cheKer(ψ) = B0 (C), cio`e che
Ker(ψ) `e il sottogruppo di C0 (K) generato da






[1]
v1 (e) − v0 (e) | e ∈ K


{z
}

|
=δ(e)
Ovviamente ψ(v1 (e) − v0 (e)) = 1 − 1 = 0. Claim: Ker(ψ) `e generato da
o
n
v1 − v0 | v1 , v0 ∈ K [0]
P
Questo si vede facilmente, con z =
nv · v, procedendo per induzione su
P
|nv |. La conclusione segue dal Lemma seguente, prendendoP
fra due vertici
un cammino simpliciale che li connetta e scrivendo v1 −v0 = ∂( nodi del cammino · orientazione).
Lemma 5.6. Se |K| `e connesso, allora ogni v0 , v1 ∈ K [0] sono estremi di un
cammino simpliciale semplice11 .
Dimostrazione. Dato che il supporto di un complesso simpliciale `e localmente connesso per archi, so che esiste α : [0, 1] → |K| cammino continuo
da v0 a v1 . A meno di omotopia posso supporre che α sia C 1 a tratti. Da questo segue che in ogni simplesso di dimensione almeno 2 ci sono punti interni fuori da Im(α). Ricorsivamente modifico α in modo che
10
11
t indica l’unione disgiunta
Cio`e inettivo.
23
Im(α) ⊂ K (m+1)
Im(α) ⊂ K (m) perch´e n ≥ 1. Alla fine ho =(α) ⊂ K (1) .
A questo punto ho uno “scheletro” di dimensione 1 e qui `e facile vedere che
un arco continuo lo posso scegliere semplice e simpliciale.
Esercizio 5.7. Se K `e un complesso simpliciale, |K| `e localmente connesso
per archi.
Definizione 5.8. Una grafo `e |K| con dim(K) = 1.
Teorema 5.9. Se |K| `e connesso, allora H1 (K) `e l’abelianizzato di π1 (|K|),
ovvero
π(|K|)
[π(|K|), π(|K|)]
dove il sottogruppo per cui si quoziente `e generato da tutti gli [a, b] =
aba−1 b−1 , che ricordiamo essere sempre normale.
Prima di procedere alla dimostrazione ricordiamo che:
• Se X ed Y sono omotopicamente equivalenti, allora π1 (X) ∼
= π1 (Y ).
• Se A ⊂ X `e un retratto per deformazione, allora π1 (X) ∼
= π1 (A).
• Vale il Teorema di Van Kampen.
• Le sfere sono semplicemente connesse, tranne S 1 che ha gruppo fondamentale isomorfmo a Z.
Ora dimostriamo il Teorema.
Dimostrazione. Scelgo v¯ ∈ K [0] e affermo che12
π1 (K (1) )
gf (|K|) = wT | T ∈ K [2]
dove i wT sono i cammini che vanno dal vertice al triangolo,
fanno un giro
e tornano al vertice. Possiamo cio`e dire che π1 (K (1) ) `e generato da lacci
simpliciali basati su τ .
6
10/10
6.1
Ancora sui primi due gruppi di omologia
Lemma 6.1. Se |K| `e connesso, allora |K|, K (1) sono connessi per archi
e ogni coppia di vertici `e unita da un cammino simpliciale semplice.
12
h·i indica il sottogruppo normale generato.
24
Dimostrazione. Fissato v¯ ∈ K [0] sia



S=
eε1 · . . . · eεN

|1 {z N}

cammino simpliciale da v¯
·β





dove β `e o costante o un segmento dritto da v ∈ σ [0] ad x ∈ int(σ). Sia X =
{α(1) | α ∈ S}. Claim: X `e clopen in |K| (e quindi `e tutto per connessione).
Verificarlo per esercizio.
Ne segue che |K| `e connesso per arcihi, K (1) `e connesso per archi simpliciali, e un cammino simplicale minimale che unisce due vertici v0 , v1 `e
semplice (facile verifica).
Lemma 6.2. π1 (K (1) , v¯) `e l’insieme dei lacci simpliciali non semplificabili
su v¯, (dove non semplificabile vuol dire che non esistono cose del tipo e±1 ·e∓1
nel laccio) con la concatenazione a meno di semplificazione.
Dimostrazione. Sia α : [0, 1] → K (1) un laccio in v¯. Per ogni e ∈ K (1) sia U (e) definito come l’unione fra e e l’unione dei semilati aperti con un
estremo in comune con e. Ne segue che
o
n
U (e) | e ∈ K (1) `e un ricomprimento aperto di K (1) , per cui α−1 (U (e)) | e . . . `e un ricoprimento aperto di [0, 1] ed ha quindi un numero di Lebesgue. Da questo
otteniamo che
∃0 = t0 < t1 < . . . < tN = 1 ∀j α([tj−1 , tj ]) ⊂ U (ej )
e possiamo supporre wlog ∀j ej+1 6= ej .
α(tj ) ∈ U (ej−1 ) ∩ U (ej ) ⇒ ∃vj ∈ ej−1 ∩ ej
|
{z
}
=U
si vede facilmente che U `e l’unione dei semilati che finiscono in vj , e dunque
`e contrattile (perch´e stellato). Scelgo ej tale che α([tj − ε, tj + ε]) ⊆ U e, a
meno di omotopia (siamo su un contrattile) posso supporre che α(ti ) ∈ vj .
Cantinua a valere α([ti−1 , ti ]) ⊂ U (ej ) e a meno di omotopia α|[tj−1 ,tj ] = e±1 .
Quindi ogni cammino `e omotopo ad uno simpliciale. Che le semplificazioni
si possano fare con omotopie
e resta da vedere l’ultima parte. Sia
`e ovvio,
I = [0, 1] e sia F : I 2 → K (1) , dove identifichiamo il lato inferiore del
quadrato con un cammino α0 e quello superiore con un cammino α1 . Posso
suddividere il quadrato in quadratini in maniera che su ogni lato di un
quadratino F `e costante o un lato e tale che F di ogni singolo quadratino
sia incluso in U (e). Mostrare che posso passare dal cammino sotto a quello
sopra tramite omotopia `e routine e disegni (ma senza i disegni probabilmente
`e poco chiaro).
25
π1 (|K (1) |,¯
v)
.
hwT |T ∈K [2] i
Teorema 6.3. π1 (|K|) ∼
=
nP
e∈|
| ne · e | ∂1 (. . .) = 0
∂τ | τ ∈ K [2] H1 (K) =
Teorema 6.4. H1 (K) =
Inoltre
o
K [1]
π1 (|K|)
[π1 (|K|),π1 (|K|)]
Dimostrazione. Definisco ψ : π1 (|K|) → H1 (K) come ψ(eεi11 · . . . · eεikk ) = [ε1 ·
ei1 +. . .+ek ·eik ]. Per la buona definizione noto che ∂1 (ε1 ei1 +. . .+εk eik ) = 0
e ψ(wT ) = ∂T . ψ inoltre `e surgettiva perch´e se
z=
X
ne · e ∈ Z1 (K)
e∈|K [1] |
P
provo che z ∈ Im(ψ) per induzione su
|ne |. Se questo `e 0 `e vero. Altrimenti, se ad esempio ne1 > 0 e ∂z = 0 ci sar`a un e2 tale che ne2 < 0.
Di nuovo, ∂z = 0 ⇒ ∃e3 tale che ne3 < 0 (senza disegno probabilmente si
capisce poco). Procedo fino a rivisitare uno stesso vertice. A questo punto
scarto la parte che non rientra nel ciclo appena chiuso e coniugo con P
un cammino per connettere il ciclo a v¯. Facendo il conto vedo che la
nuova
|ne | `e
P
calata di k, dove k `e la lunghezza del ciclo, e per induzione
ne · e ∈ Im(ψ).
Per conludere mostriamo che Ker(ψ) = [π1 (|K|), π1 (|K|)]. Sia eε11 . . . eεkk ∈
Ker(ψ). Questo vuol dire che ε1 e1 + . . . + εk ek = ∂Ti + . . . + ∂Tk perch´e
lhs `e nullo in omologia ed `e quindi un bordo. Posso trovare γj cammino simpliciale tale che ψ(γj ) = ∂Tj . Dunque, sostituendo eε11 . . . eεkk con
eε11 . . . eεkk γ1−1 . . . γh−1 posso supporre che ε1 e1 + . . . + εk ek = 0. In queste ipotesi dobbiamo provare che eε11 . . . eεkk `e prodotto di commutatori. Ci`o vale nel
gruppo libero generato da K [1] . In altre parole devo mostrare che una parola
abelianizzata da 0 `e prodotto di commutatori. Procediamo per induzione
sul numero dei generatori. Con 0 o 1 generatore `e banale (il gruppo `e abeliano). Per il passo induttivo procedo per induzione sul numero di volte in
cui compare e±1
e 0 `e evidente per il passo induttivo (dell’induzione pi`
u
1 . Se `
“esterna”). Altrimenti, se e1 compare, so che la somma degli esponenti nella
∓1
parola `e 0 (abelianizzata `e 0), quindi ho una cosa della forma w ·e±1
1 ·v ·e1 ·x
(dove in v non compare e1 ). Ora noto che
w · e±1
· v · e∓1
· v −1
|1
{z1
}
∈[.,.]
·v
x · w}
| · {z
·w−1
∈[.,.]per induzione
Quindi la stringa precedente `e coniugata ad un prodotto di commutatori ed
`e quindi un commutatore.
26
6.2
Presentazioni dei primi gruppi di omotopia e omologia
La relazione precedente fra il π1 (|K|) e H1 (|K|) segue anche da un altro
discorso.
Definizione 6.5. Un grafo G `e |K| con dim(K) = 1. Γ ⊂ K `e un albero se
∀v0 , v1 ∈ Γ[0] esiste un unico cammino simpliciale semplice che li unisce.
Lemma 6.6. Se G `e connesso e Γ ⊂ G `e un albero massimale, allora Γ ⊃
G[0] , cio`e Γ contiene tutti i vertici.
Dimostrazione. Altrimenti trovo un albero H che estende Γ considerando la
sua unione con tutti i lati di G con entrambi gli estremi in Γ. |H| `e chiuso
perch´e `e un sottocomplesso ed `e aperto perch´e se x ∈ |H|\H [0] `e chiaramente
interno al supporto, altrimenti se x `e un vertice e non `e interno vuol dire
che `e l’estremo di un lato non in H. Per definizione di H questo vertice non
`e in Γ e quindi posso estenderlo. Dunque |H| = G, ma H [0] = Γ[0] e quindi
Γ[0] = G[0] .
Siano K un complesso simpliciale, Γ ⊂ K [1] un albero massimale e G =
K [1] \ Γ[1] . Considero Z∗G , ZG e Ab : Z∗G → ZG . Per T ∈ K [2] considero
wT ∈ Z∗G definito come la parola ∂T con i lati in Γ cancellati, che `e ben
definita a meno di coniugio o inverso.
Teorema 6.7. π1 (|K|) ∼
=
Z∗G
.
hwT |T ∈K [2] i
H1 (|K|) ∼
=
ZG
hAb(wT )|T ∈K [2] i
Dimostrazione. Γ ha vertici liberi (cio`e di valenza 1 in Γ) per pidgeonhole.
Usando questo provo che Γ `e contrattile per induzione sul numero di vertici di
Γ. Fissato un vertice v¯, per ogni v ∈ K [0] sia cΓ (v) l’unico cammino semplice
da v¯ a v in Γ. Per e ∈ G (orientato) siano v0 (e) e v1 (e) i suoi estremi
e sia
α(e) = cΓ (v0 (e)) · e · cΓ (v1 (e))−1 . Claim: la funzione Z∗G → π1 (K (1) , v¯)
che mappa e 7→ [α(e)] `e un isomorfismo. Per induzione sulla
a di
[1]cardinalit`
\ {m} dove
G. Se `e 0 `e banale. Altrimenti sia e ∈ G e poniamo U = K
m `e il punto medio di e, e V uguale all’unione di α(e) con tutti i semilati
` facile vedere che U si retrae si K (1) \ {e}, mentre V si
che lo toccano. E
retrae su α(e) e U ∩ V si retrae su v¯. Per il Teorema di Van Kampen si ha
π1 K (1) = π1 K (1) \ {e} ∗ Zα(e)
|
{z
}
Z∗(G\{e})
Claim: π1 (K (2) ) =
Z∗G
.
hwT |T ∈K [w] i
Si mostra per induzione sulla cardinalit`a
di K [2] . Se `e 0 `e ovvio. Altrimenti sia T ∈ K [2] e sia U = K (2) \ b con b il
baricentro di T . Scegliamo
(2) V intorno aperto regolare di cΓ (v) ∪ T , con v ∈
[0]
T . U si retrae su K \ T , V `e contrattile e U ∩ V si retrae su cΓ (v) ∪ ∂T
[2]
[2] K \ T )
π
(
1
1
che `e omotopo ad S . Ne segue che π1 ( K ) =
Z. Per
27
concludere devo vedere
che tramite
l’isomorfismo datomi dal passo induttivo
[2]
Z∗G
→
π
(
K
\
T
)
il
generatore
di π1 (cT (v)∪∂T ) `e wT . Bisogna
1
hwS |S∈K [w] \T i
distinguere diversi casi a seconda di quanti lati di T sono in Γ (0, 1 e 2, non
3 perch´e Γ `e un albero) e a seconda delle orientazioni (servono disegni).
Corollario 6.8. H1 ∼
= π1[π1 , π1 ].
7
15/10
Proposizione 7.1. Se Γ ⊂ K (1) `e un albero massimale e G = K[1] \
ZG
Γ[1] avevamo visto che H1 (K) = h∂ G T |T
, dove ZG `e l’abelianizzato di
∈K [2] i
Z∗G e ∂ ∗G T `e “orienta T e cancella dal porto i lati in Γ”, allora ∂ G T `e
l’abelianizzato di wT .
Da questo segue di nuovo la relazione fra π1 e H1 .
Dimostrazione. α(e) = cΓ (v0 (e)) · e · cΓ (v1 (e)), e ∈ G. Provo che Z1 (K) =
hAb(α(e)) | e ∈ Gi ∼
= ZG . Abbiamo visto che ogni ciclo `e abelianizzato
di un prodotto di lacci, quindi di lacci in v¯ e quindiPdi lacci α(e) (ovvio:
∀e ∂1 (α(e)) = 0. Questa `e una bigezione perch´e in e∈G Ab(α(e)) · ne , e
ha coefficiente ne . Per concludere mostriamo che, sotto la corrispondenza Ab(α(e)) ↔ e, ∂T corrisponde a ∂ G T . Si fa come per il π1 . C’`e da
distinguere alcuni casi (disegni).
7.1
Propriet`
a dell’omologia simpliciale
Definizione 7.2. Se K, L sono complessi simpliciali, una mappa g : |K| →
|L| `e detta simpliciale se
• G(K [0] ) ⊂ L[0] (manda veritici in vertici)
• (v0 , . . . , vn ) ∈ K ⇒ (g(v0 ), . . . , g( vn )) ∈ L
P
P
• g( ti vi ) = ti g(vi )
Chiaramente g `e determinata dalla sua restrizione ai vertici, e data una
mappa fra i vertici essa si estende ad una mappa simpliciale.
Data g : K → L simpliciale e σ ∈ K [n] , pongo
0
seg(σ) ∈
/ L[n]
g∗n (σ) =
δ(σ)g(σ)altrimenti
dove δ(σ) = ±1 a seconda che g|σ : σ → g(σ) rispetta o meno le orientazioni
fissate. Estendo per Z-linearit`a ad una mappa g∗n : ZK
[n]
Cn (L) = ZL
[n]
= Cn (K) →
Proposizione 7.3. g∗ : C(K) → C(L) `e una mappa di complessi di catene.
28
Dimostrazione. Dobbiamo mostrare che
Cn (K)
g∗n
Cn (L)
K
∂n
Cn−1 (K)
L
∂n
g∗n−1
Cn−1 (L)
e basta verificarlo su ogni σ ∈ K [n] . Ci sono tre casi:
P
1. g(σ) ∈ L[n] : in questo caso g∗n−1 (∂nK (σ)) = g∗n−1 ( τ ∈K [n−1] ε(σ, τ ) ·
τ ⊂σ
P
τ ), e questo `e uguale a τ ∈K [n−1] ε(σ, τ ) · δ(τ ) · g(τ ). Ora ∂nL (g∗n (σ)) =
τ ⊂σ
P
P
∂nL (δ(σ)·g(σ)) = η∈L[n−1] δ(σ)·ε(g(σ), η)·η, che `e uguale a τ ∈K [n−1] δ(σ)·
τ ⊂σ
η⊂g(σ)
ε(g(σ), g(τ ))cdotg(tau) ma ε(g(σ), g(τ )) = ε(σ, τ ) · δ(σ) · δ(τ ).
2. g(σ) ∈ L[n−1] : qui se g∗n σ = 0 devo vedere che g∗n−1 (∂nK (σ)) = 0.
Senza perdita di generalit`
a sia σ = (v0 , . . . , vn ). Sia (w1 , . . . , wn ) =
g(σ) e supponiamo g(v0 ) = g(v1 ) = w1 e, per j ≥ 2, g(vj ) = wj . Ho
che
∂nK (σ) = (v1 , . . . , vn )−(v0 , v2 , . . . , vn )+(v3 , v1 , v3 , . . . , vn )−(v0 , v1 , v2 , v4 , . . . , vn )+. . .
viene mappato da g∗n−1 in
(w1 , w2 , . . . , wn ) − (w1 , w2 , . . . , wn ) + 0 + 0, . . .
3. g(σ) ∈ L(n−2) : allora ∀tau ⊂ σ, τ ∈ K [n−1] g(τ ) ∈
/ L[n−1] , quindi ho
che g∗n (σ) = 0 = g∗n−1 (∂σ).
Corollario 7.4. g induce g∗n : Hn (K) → Hn (L).
7.2
Il Teorema di approssimazione simpliciale
Definizione 7.5. Se K `e un complesso simpliciale, la stella St(v, K), con
◦
v vertice, `e definita come σ ∈ K | v ∈ σ [0] . La stella aperta St(v, K) `e
S
definita come
int(σ) | σ ∈ K, v ∈ σ [0] .
◦
Proposizione 7.6. Per ogni τ ∈ K si ha St(v, σ) ∩ τ `e aperta in τ .
Dimostrazione. Omessa.
29
◦
Corollario 7.7. St(v, K) `e aperto in |K|.
Dimostrazione. Le τ formano un ricomprimento fondamentale.
Lemma 7.8. Se v1 , . . . , vk ∈ K [0] , allora
k
\
◦
St(vj , K) 6= ∅ ⇔ (v1 , . . . , vk ) ∈ K
j=1
Dimostrazione. Se x sta nell’intersezione delle stelle aperte, considero σ ∈ K
◦
tale che x ∈ int(σ), quindi St(vj , K) ⊂ int(sigma), per cui vj `e un vertice
di σ (e quindi (v1 . . . , vk )) `e una faccia di σ e sta in K. Per il viceversa si
mostra che se x ∈ int(v1 , . . . , vk ), allora x sta nell’intersezione delle stelle
aperte.
Teorema 7.9 (di approssimazione simpliciale). se K, L, sono complesis
simpliciali e f : |K| → |L| `e continua, allora esiste H suddivisione di K e
g : H → L simpliciale tale che ∀x ∈ |K| esiste un simplesso di L che contiene
sia f (x) che g(x).
Il nome del Teorema `e dovuto al seguente
Corollario 7.10. Data f : |K| → |L| continua esiste H suddivisione di K
e g : H → L simpliciale omotopa ad f .
Dimostrazione. Presa g come nel Teorema possiamo porre F (t, x) = t·f (x)+
(1 − t)(g(x)). La combinazione convessa ha senso perch´e i due punti stanno
in uno stesso simplesso per il Teorema.
Corollario 7.11. Dati f : |K| → |L| continua ed ε > 0, esistono suddivisioni H di K ed M di L, e g : H → M simpliciale tali che g `e omotopa ad
f e kg − f k∞ < ε.
Dimostrazione. Suddivido L in M con i diametri controllati da ε e poi uso
il Teorema.
Ora dimostriamo il Teorema.
◦
[0]
Dimostrazione. St(w, L) | w ∈ L
`e un ricoprimento aperto di |L|. Ne
◦
segue che f −1 (St(w, L)) | w ∈ L[0] `e un ricomprimento aperto di |K| e
posso quindi scegliere un suo numero di Lebesgue ε. Prendo H suddivisione
di K i cui diametri siano minori di ε/2. Dato v ∈ H [0] sceglo g(v) ∈ L[0] tale
◦
che la palla B(v, ε/2) ⊂ f −1 (St(g(v), L)) (perch´e ε `e il numero di Lebesgue).
Dato che tutti i simplessi di H hanno diametro minore di ε/2 ho che ∀σ ∈ H,
◦
◦
◦
con v ∈ H ho σ ⊂ f −1 (St(g(v), L)), perci`o St(v, H) ⊂ f −1 (St(g(v), L)).
Affermo che:
30
1. g si estende ad una mappa simpliciale g : H → L
2. ∀x ∈ K ∃τ ∈ L f (x), g(x) ∈ τ
Mostriamolo:
1. Devo mostrare che se ho (v1 , . . . , vk ) ∈ H [0] , allora (g(v1 ) . . . , g(vk ) ∈
◦
T
L). Sia x ∈ int(v1 , . . . , vk ). Ho x ∈ kj=1 St(vj , H), ma per scelta di
◦
T ◦
T
g(v) questa `e contenuta in kj=1 St(g(vj ), L) = f −1 ( St(g(vj ), L)) e
per il Lemma precedente, dato che questa intersezione `e non vuota,
(g(v1 ), . . . , g(vk )) ∈ L.
2. Sia (v1 , . . . , vk ) ∈ H tale che x ∈ int(v1 , . . . , vj ). Lo stesso discorso
del punto precedente prova che f (x) ∈ int(g(v1 ), . . . , g(vk )), ma anche
g(x) ∈ int(g(v1 ), . . . , g(vk )) perch´e g `e una mappa simpliciale, e basta
porre τ = (g(v1 ), . . . , g(vk )).
Esiste anche una versione relativa di questo Teorema, che si dimostra
all’incirca allo stesso modo:
Teorema 7.12. Sia H ⊂ K, N ⊂ L, f : |K| → |L| continua e tale che
f (|M |) ⊂ |N |. Allora esiste H suddivisione di K e g : H → L simpliciale
tale che, identificando M col sottosimplesso di H con lo stesso supporto del
“vecchio” M , g(|M |) ⊂ |N |, se x ∈ |M | esiste τ ∈ N tale che f (x), g(x) ∈ τ ,
e se x ∈ |K| esiste τ ∈ L tale che f (x), g(x) ∈ τ .
Dimostrazione. Si procede allo stesso modo con ε che sia numero di Lebesgue
per
◦
−1
[0]
f (St(w, L)) | w ∈ L
e anche per
◦
−1
[0]
f|M | (St(w, N )) | w ∈ N
Si sceglie g(v) come prima badando che g(v) ∈ N [0] se v ∈ H [0] ∩ |M |. Il
seguito `e uguale.
Teorema 7.13. Sia f : |K| → |L| continua e g : H → L simpliciale, con H
suddivisione di K e g omotopa ad f . Allora `e ben definita f∗ : H∗ (K) →
H∗ (L) come
31
g∗
H∗ (H)
H∗ (L)
∼
=
f∗
H∗ (K)
Dimostrazione. Seuge dal fatto che se g1 : H1 → L e g2 : H → L sono omotope tramite funzioni continue, allora a meno degli isomorfismi canonici
g1∗ = g2∗ .
Lemma 7.14. Sia G : K → L simpliciale e sia M una suddivisione di K.
Sia f : M → L simpliciale tale che se v ∈ int(σ), allora f (v) ∈ f (σ)[0] (in
altre parole mando le cose che non erano vertici prima di suddividere le
mando in vertici, a scelta). Allora
s
Cn (K)
Cn (M )
g∗n
f∗n
Cn (L)
(dove s induce l’isomorfismo in omologia).
Dimostrazione. Via disegno.
8
17/10
8.1
Invarianza per omotopia
Teorema 8.1. Siano K un complesso simpliciale, g0 , g1 : |K| → |L|, M0 ,
M1 suddivisioni di K, gi : Mi → L, simpliciali e13 g0 ' g1 . Allora
Hn (M0 )
∼
=
Hn (K)
g0∗
Hn (L)
∼
=
g1∗
Hn (M1 )
13
D’ora in poi denoteremo cos`ı la relazione di omotopia.
32
Corollario 8.2. Se f : |K| → |L| `e continua, allora `e ben definita f∗ fra i
gruppi di omologia con f∗ = g∗ con g approssimazione simpliciale di f .
Corollario 8.3. Se due funzioni sono omotope inducono gli stessi omomorfismi in omologia.
Osserviamo che (f ◦ g)∗ = f∗ ◦ g∗ .
Corollario 8.4. Hn (|K| =) dipende solo dal tipo di omotopia14 di |K|.
In particolare Hn (|K|) dipende solo dal tipo di omeomorfismo di |K|.
Vedremo che ci sono altre teorie omologiche (equivalenti) in cui ci`o `e immediato.
Dimostriamo il Teorema.
Dimostrazione. Sia M una suddivisione di M0 , M1 ed estendiamo M ×215 ad
una triangolazione di |K| × [0, 1] nella maniera seguente. I vertici rimangono
gli stessi. Agli 1-simplessi aggiungo K [0] × 2. Induttivamente, per σ ∈ M
triangolo σ × 2 facendo il cono dal centro sul bordo (che `e gi`a triangolato).
Ora prendo F : |K|×2 → |L| approssimazione simpliciale di G rispetto a
N (la triangolazione di |K|×2 trovata in precedenza). Wlog posso supporre
che su |K| × {0} e su |K| × {1} la N induca la stessa triangolazione P di
|K|. Tale P suddivide M0 ed M1 e Fj = F (·, j) si ottiene da gj come nel
Lemma 7.14. Ho che fj (v) ∈ gj (σ)[0] se v ∈ int(σ), σ ∈ Mj . Dunque
∼
=
Hn (Mj )
Hn (P )
gj∗
fj∗
Hn (l)
Senza perdita di generalit`
a ∀σ ∈ P possiamo suppore che σ × [0, 1] sia un
sottocomplesso di N , a meno di aggiungere lati. Ora, se z ∈ Cn (P ), ha
senso z × [0, 1]
X
X
z=
nσ · σ ⇒ z × [0, 1] =
nσ · (σ × [0, 1])
dove (σ × [0, 1]) `e scritto come somma di n-simplessi di N con le orientazioni
ovvie. Se ora z ∈ Zn (P ), vale
∂(z × [0, 1]) = (∂z) ×[0, 1] + z × ∂[0, 1]
|{z}
| {z }
=0
{1}−{0}
14
Che, ricordiamo `e la classe di equivalenza modulo “esistono f , g le cui composizioni
sono omotope alle identit`
a”.
15
2 = {0, 1}. Se qualcuno sta veramente leggendo questi appunti potrebbe trovare
questa cosa molto fastidiosa. Vedi disclaimer.
33
dunque
L
∂n+1
F (z × [0, 1]) = F (z × 1) − F (z × 0) = f1∗ (z) − f0∗ (z)
|
{z
}
∈Cn+1 (L)
e ne segue che f0∗ = f1∗ : Hn (P ) → Hn (L).
g0∗
Hn (M0 )
∼
=
Hn (K)
∼
=
f0∗
Hn (P )
∼
=
∼
=
Hn (M1 )
8.2
Hn (L)
g1∗
f1∗
Hn (L)
Variet`
a differenziabili
Definizione 8.5. M si dice variet`
a differenziabile se `e uno spazio T2 paracompatto e ha un atlante, cio`e una collezione di carte le cui immagini
ricoprono M , dove una carta `e un omeomorfismo α : U → α(U ) aperto di
M con U aperto di Rn , e i cambiamenti di carta sno differenziabili.
Prenderemo gli atlanti massimali per inclusione (contiene tutte le carte
compatibili con lui).
Dimostrazione. M ⊆ Rk `e una n-sottovariet`a se le carte α : U → alpha(U ) ⊂
M aperto sono mappe differenziabili con16 rank(dα) ≡ n.
Osserviamo che M ⊂ Rk `e una sottovariet`a se e solo se `e localmente il
grafico di una mappa Rn → Rk−n differenziabile e che
Definizione 8.6. Per M ⊂ Rk n-sottovariet`a immersa in Rk e p ∈ M `e
definito in modo naturale lo spazio tangente Tp (M ) come (dα−1 (p)α )(Rn )
dove α : U → M `e una carta con p ∈ α(U ).
Voglio generalizzare questo concetto, che per ora si basa sull’immersione,
a variet`
a astratte. L’idea `e che i vettori tangenti sono quelli nelle cui direzioni
posso derivare le funzioni definite su M .
Definizione 8.7. Se M `e una variet`a, f : M → R `e differenziabile se per
ogni α carta f ◦ α lo e.
La seguente definizione potrebbe essere data in maniera pi`
u fine con i
germi di funzioni, ma non lo faremo.
16
dα indica il differenziale di α.
34
Definizione 8.8. Se M `e una variet`a e p ∈ M , lo spazio tangente a p in M
`e
Tp (M ) = {v : C ∞ (M, R) → R | v lineare e ∀f, g v(f · g) = v(f ) · g(p) + f (p) · v(g)}
Esercizio 8.9. Se α : U → M `e una carta e p ∈ α(U )
n
R 3 w 7→
∂
f 7→
(f ◦ α)|α−1 (p)
∂w
∈ Tp M
`e un isomorfismo.
Definizione 8.10. g : M → N `e differnziabile se per ogni carta β di N e α
−1
di M lo `e β|...
◦ g|... ◦ α.
Definizione 8.11. dp g : Tp M → Tg(p) N `e definita come
((dp g)(v))(f ) = v(f ◦ g)
Definizione 8.12. Se g : m → N `e differenziabile, p ∈ M `e regolare se dp g
`e surgettivo, mentre q ∈ N `e regolare se ogni p ∈ g −1 (q) `e regolare.
Definizione 8.13. M `e una n-variet`a differenziabile con bordo se le carte
α : U → M sono da un aperto U di Rn−1 × [0, +∞).
Nella definizione precedente la differenziabilit`a sul bordo `e da intendersi
nella stessa maniera.
Proposizione 8.14. Se p ∈ M e p ∈ α(Rn−1 × {0}) per qualche carta α,
allora per ogni altra carta β si ha p ∈ β(Rn−1 × {0}).
Dimostrazione. I diffeomorfismi mandano punti sul bordo i punti sul bordo.
` ben posta quindi la
E
Definizione 8.15. ∂M = p ∈ M | p ∈ α(Rn−1 × {0})
che `e una n − 1 variet`
a senza bordo.
Mentre `e facile vedere che il bordo va nel bordo tramite diffeomorfismi,
per gli omeomorfismi `e pi`
u difficile. Si fa in dimensione 1 per connessione e
in dimensione 2 col π1 . Per le dimensioni pi`
u alte serve l’omologia.
Definizione 8.16. M variet`
a differenziabile `e orientata se dotata di un
atlante in cui tutti i cambi di carta hanno determinante del differenziale
positivo.
35
8.3
Variet`
a pl
Definizione 8.17. Se K `e un complesso simpliciale, un link `e
Lk(v, K) = {τ ∈ K | v ∈
/ τ, ∃σ ∈ K σ ⊃ τ, σ 3 v}
cio`e le facce dei simplessi della stella che non contengono v.
◦
Esercizio 8.18. |St(v)| = St(v) t |Lk(v)|, St(v) = Cono(v, Lk(v)).
Definizione 8.19. K, L complessi simpliciali, sono pl17 -omeomorfi se
esistono suddivisioni K 0 ed L0 ed un omeomorfismo simpliciale K 0 → L0 .
Proposizione 8.20. Lk(v, K) ∼
=pl Lk(v, H) se H suddivide K e v ∈ K [0] .
Dimostrazione. L’idea sarebbe costruire l’omeomorfismo radialmente (disegno). In realt`
a non `e cos`ı liscia, va fatto cos`ı sui vertici di Lk(v, H)
suddividendo K e poi esteso simplicialmente.
Esercizio 8.21. La mappa radiale18 non `e simpliciale.
Corollario 8.22. Se K `e un complesso simpliciale e p ∈ |K| sono ben
definiti a meno di omeomorfismi pl St(p, K) e Lk(p, K) come St(p, H) e
Lk(p, H) dove H `e una suddivisione di K tale che p ∈ H [0] .
Dimostrazione. Passando a suddivisioni comuni per il link e usando il link
e il fatto che la stella `e un cono sul link per la stella.
Definizione 8.23. K complesso simpliciale `e una variet`
a pl senza bordo19
se vale uno dei seguenti fatti equivalenti
1. ∀v ∈ K [0] Lk(v, K) ∼
=pl ∂∆n , dove ∆n `e il simplesso standard, cio`e
n+1
Conv(e0 , . . . , en ∈ E
).
2. ∀p ∈ |K| Lk(p, K) ∼
=pl ∂∆n
3. ∀v ∈ K [0] St(v, K) ∼
=pl ∆n con v ↔ x ∈ int(∆n )
4. ∀p ∈ |K| St(p, K) ∼
=pl ∆n con p ↔ x ∈ int(∆n )
Proposizione 8.24. Le precedenti sono equivalenti.
Dimostrazione. (4⇒2⇒1⇒3) sono ovvie. Per (3⇒4) sia p ∈ |K|. Allora
p ∈ int(σ) con σ ∈ K. Prendo v ∈ σ [0] e considero una suddivisione per la
quale p `e un vertice e segue la tesi (finire per esercizio).
17
Piecewise Linear.
Che mappa i punti di un segmento su un altro segmento tramite le rette passanti per
un punto fissato.
19
Qui il Matveev sbaglia.
18
36
9
22/10
9.1
Complessi simpliciali astratti
Possiamo dare in un altro modo la definizione di variet`a pl:
Definizione 9.1. Se F `e una classe di omeomorfismi fra aperti di Rn chiusa
per restrizione e composizione posso definire una F-variet`
a come uno spazio
(n)
M
T2 paracompatto coperto da carte con cambiamenti di carta in F.
Ad esempio se F sono tutti gi omeomorfismi ho la nozione di variet`a
topologica e se F sono diffeomorfismi C ∞ ho la nozione di variet`a differenziabile.
Teorema 9.2. M n `e una variet`
a pl se e solo se `e una F-variet`a con F la
classe degli omeomorfismi localmente pl ed `e compatto20 .
Dimostrazione. Per “⇒” basta usare come carte gli omeomorfismi pl degli
intorni dei punti con il simplesso standard (che esistono per ipotesi) ristretti
alla parte interna. Per “⇐” l’idea `e ricoprire M con un numero finito di
carte dell’atlante pl. Considero le immagini in M dei simplessi dati dalle
carte e prendo tutte le loro intersezioni. Suddivido in simplessi astratti21
usando le carte (disegno).
Cos`ı metto su M una struttura di complesso simpliciale astratto finito,
cio`e un insieme finito V di vertici e K ⊂ P(V ) chiuso per sottoinsiemi e intersezioni.
Posso realizzare M in RV mandando una combinazione convessa
P
ti vi (letta in qualche
carta, ma tanto i cambiamenti sono pl ed `e tutto
P
ben definito) in
ti evi , dove {ev | v ∈ V } `e la base canonica di RV . Trovo
V
K ⊂ R complesso simpliciale tale che |K| ∼
= M e le carte pl di M sono pl
per K rispetto a tale omeomorfismo.
Definizione 9.3. K ⊂ RN a supporto finito `e una n-variet`
a pl a bordo se
valgono i seguenti fatti equivalenti:
1. ∀v ∈ K [0] Lk(v, K) ∼
=pl ∂∆n oppure Lk(v, K) ∼
=pl ∂∆n−1
2. ∀p ∈ |K| Lk(p, K) ∼
=pl ∂∆n oppure Lk(p, K) ∼
=pl ∂∆n−1
3. ∀v ∈ K [0] St(v, K) ∼
=pl ∆n
4. ∀p ∈ |K| St(p, K) ∼
=pl ∆n
Dimostrazione.
(2⇒1) `e ovvio. Per (1⇒3) si passa ai coni (disegno) usando il fatto che
Cono(q, ∂∆n ) ∼
=pl Cono(q, ∆n−1 ) ∼
= ∆n . (3⇒4) si fa mostranco che St(p, ∆n ) ∼
=pl
∆n . Per (4⇒2) mostro che St(p, K) ∼
=pl ∆n . Se p ↔ x ∈ int(∆n ) ⇒ Lk(p) ∼
=
∂∆n , se invece p ↔ x ∈ ∂∆n ⇒∼
=pl ∂∆n−1 .
20
Mutatis mutandis nelle definizioni di complesso simpliciale `e vero anche senza ipotesi
di compattezza.
21
Che, in sostanza, vuol dire che possono essere curvi.
37
9.2
Orientazione e omologia
M variet`
a C ∞ `e orientata se i cambi di carta hanno determinante del
differenziale positivo.
Proposizione 9.4. Se K `e una variet`a pl n-dimensionale e τ ∈ K [n−1] ,
allora esistono esattamente due σ ∈ K [n] tali che τ ⊂ σ.
` vero per facce interne di una triangolazione di ∆n e basta
Dimostrazione. E
sfruttare la struttura di variet`a pl.
Definizione 9.5. Un’orientazione per K variet`a pl `e un’orientazione di
ogni σ ∈ K [n] tale che se τ ∈ K [n−1] , τ = σ1 ∩σ2 , allora ε(σ1 , τ )+ε(σ2 , τ ) = 0.
Proposizione 9.6. Un’orientazione pl corrisponde a una scelta di atlante pl con cambi di carta che preservano le orientazioni degli n-simplessi
ereditate da Rn .
Dimostrazione. Se ho le orientazioni su K [n] uso omeomorfismi pl con aperti
di Rn compatibili con loro. Viceversa oriento i simplessi come nelle carte e
noto che la propriet`
a sugli n − 1-simplessi vale in Rn .
Definizione 9.7. Una n-variet`a M `e chiusa se `e compatta e senza bordo.
Esercizio 9.8. Se M `e una n-variet`a pl, allora ∂M = {p ∈ M | Lk(p) ∼
= ∆n−1 }
`e una n − 1 variet`
a pl senza bordo.
Proposizione 9.9. Sia M (n) una variet`a chiusa connessa. Allora
Hn (M ) =
Z
0
se M `e orientabile
altrimenti
Dimostrazione. Se M `e orientabile, ho orientazioni su M [n] tali che
τ ⊂ σ1 ∩ σ2 ∈ K [n−1] ⇒ ε(σ1 , τ ) + ε(σ2 , τ ) = 0
P
Allora Hn (M ) = Zn . Per le facce adiacenti ∂( ni σi ) = 0 perch´e ogni
faccia compare due volte e con orientazioni diverse (disegno + conto). Per
connessione posso trovare un cammino simpliciale da σi1 aPσi2 ed iterare
il discorso precedente, quindiPni1 = ni2 , da cui Zn = Z · σ∈M [n] σ. Se
Hn (M ) 6= {0}, cio`e esiste 0 6=
ni σi ∈ Zn , come sopra vedo che ∀i1 , i2 ni1 =
±ni2 . Dunque tutti gli ni sono non nulli e posso cambiare l’orientazione di
σi per ni < 0 e trovo un’orientazione per M .
38
9.3
Grado
Proposizione 9.10. Se M `e orientata,
Hn (M ) ha un generatore canonico:
P
la classe fondamentale [M ] = σ∈M [n] σ
Definizione 9.11. Se M , N sono n-variet`a pl chiuse orientate (connesse)
ed f : M → N `e continua, se f∗ ([M ]) = d · [N ] chiamo d il grado di f
(denotato con deg(f )).
Posso farlo perch´e se f ' g simpliciale rispetto a suddivisioni e che se
g1 ' g2 simpliciali, allora g1∗ = g2∗ modulo isomorfismi canonici. Per lo
stesso motivo `e vero che
Proposizione 9.12. f1 ' f2 ⇒ deg(f1 ) = deg(f2 ).
Corollario 9.13. Se M `e chiusa orientabile di dimensione positiva, IdM : M →
M ha grado 1 (e in particolare non `e omotopa ad una costante, che ha grado
0 se la dimensione `e positiva.).
Proposizione 9.14 (Calcolo locale del grado). Se f : M → N `e simpliciale
e σ0 ∈ N [n] , siano τ1 , . . . , τk , tutti gli n-simplessi in M [n] tali che f (τ ) = σ0 .
Sia
+1 se f : τi → σ0 preserva l’orientazione
εi =
−1 altrimenti
Pk
allora deg(f ) = i=1 εi (disegno).
P
Dimostrazione. [M ] = τ ∈M [n] τ . Quindi
X
X
f∗ (M ) =
ε(τ ) · f (τ ) = d ·
σ
τ ∈M [n]
f (τ )∈N [n]
Ora notiamo che
lhs =
σ∈N [n]
k
X
X
εi σ 0 +
(. . . ) · σ
i=1
e quindi
9.4
Pk
i=1 εi
σ6=σ0
= d.
Sottovariet`
a e punti regolari
Definizione 9.15. Sia f : M → N una funzione C ∞ tra M (m) e N (n)
variet`a chiuse C ∞ . x ∈ M `e un punto regolare se dx f `e surgettivo22 . y ∈ N
`e regolare se ogni x ∈ f −1 (y) `e regolare.
Definizione 9.16. P ⊂ M `e una sottovariet`a se localmente `e Rp × {0} ⊂
|{z}
∈Rm−p
Rm con Rm carta C ∞ per M .
22
Se m < n nessun punto `e regolare.
39
Proposizione 9.17. Se y `e un valore regolare di f : M → N , allora f −1 (y)
`e una sottovariet`
a (di dimensione m − n). Se M , N sono orientate, f −1 (y)
`e canonicamente orientata.
Dimostrazione. Se m < n si ha che f −1 (y) = ∅. Se m ≥ n, localmente
(vicino a un punto di f −1 (y)) ho f : Rm → Rn con d0 f : Rn → Rn surgettivo.
Usando il Teorema delle funzioni implicite ho che, a meno di cambi C ∞
di coordinate, f `e una proiezione Rm = Rn × Rm−n → Rn che mappa
(a, b) 7→ a. Dunque localmente f −1 (0) `e {0} × Rm−n . Per M , N orientate
uso carte Rm , Rn orientate compatibili con l’orientazione e dichiaro la carta
Rm−n → {0} × Rm−n orientata positivamente.
Definizione 9.18. Se f : M (m) → N (n) `e C ∞ con ∂M 6= ∅ e ∂N = ∅, dico
che y `e un valore regolare di f se `e regolare per f|M \∂M e per f|∂M .
Definizione 9.19. P ⊂ M `e una sottovariet`a propriamente embedded se
localmente
P ∼
= Rp−1 × [0, +∞) = ({0} × Rp−1 ) × [0, ∞) ⊂ Rm−1 × [0, ∞)
(il bordo sta nel bordo).
Definizione 9.20. Se f : M → N , ∂M 6= ∅, ∂N = ∅, y ∈ N `e un valore regolare se f −1 (y) `e una sottovariet`a propriamente embedded di M ; orientata
se M , N lo sono.
10
24/10
Aggiunta alla scorsa lezione: ∂(f −1 (y)) = (F∂M )−1 (y) (verifica).
10.1
Grado in contesto liscio
Lavoreremo con variet`a compatte. I risultati si possono generalizzare
richiedendo che le applicazioni siano proprie.
Lemma 10.1 (Sard). L’insieme dei valori non regolari ha misura 0 (in ogni
carta) ed `e magro.
Definizione 10.2. Se M (n) e N (n) sono orientate e f : M → N `e C ∞ , preso
y ∈ N valore regolare chiamo grado di f in y
X
deg(f, y) =
sgn x
x∈f −1 (y)
dove f −1 (y) `e una 0-sottovariet`a orientata e sgn(x) = sgn(det(dx f )), da
intendersi tramite le carte (si verifica la buona definizione23 ).
23
Il determinante non `e ben definito, ma il suo segno o il fatto che sia nullo s`ı.
40
Teorema 10.3. Se N `e connessa deg(f, y) non dipende da y, inoltre24 f0 '
f1 ⇒ deg(f0 ) = deg(f1 ).
Dimostrazione. L’insieme dei valori regolari `e aperto (il complementare `e
f ({x | det(dx f ) = 0})). Inoltre deg(f, y) `e localmente costante, perch´e se y
`e regolare esiste V intorno di y tale che
∼
=
f −1 (V ) = W1 ∪, . . . , ∪Wk f|Wj : Wj → V
e quindi su V il grado `e costante. Mostriamo ora che se f0 , f1 : M → N sono
omotope e y `e regolare per entrambe, allora deg(f0 , y) = deg(f1 , y). Infatti
ho F : M × [0, 1] → N con F (·, j) = fj . I valori regolari di F sono un aperto
denso per Sard, e quindi wlog y `e un valore regolare per F . F −1 (y) `e una
−1
1-sottovariet`
a orientata di M ×[0, 1] con ∂(F −1 (y)) = F|M ×{0,1}
(y), con
orientazioni compatibili. Usando la regola della normale estena per prima si
vede che M × {1} `e orientata come M e che M × {0} `e orientata in maniera
opposta ad M . Dunque
X
X
sgn(x) =
sgn(x)
x∈f1−1 (y)
x∈f0−1 (y)
Ora, dati y0 , y1 ∈ N (connessa), esiste una isotopia, cio`e una H : N ×[0, 1] →
N × [0, 1] diffeomorfismo che mappa (y, t) 7→ (ht (y), t) tale che h0 = Id e
h1 (y0 ) = y1 (idea della dimostrazione via disegno).
Per conlcudere prendiamo y0 , y1 regolari per f e ht come sopra. Si ha,
facendo le somme,
deg(h1 ◦ f, h1 (y0 )) = deg(f, y0 )
ma d’altronde
lhs = deg(h1 ◦ f, y1 ) = deg(f, y1 )
Proposizione 10.4. Il grado liscio coincide con il grado pl.
Dimostrazione. Formalmente dovremmo dire che
∞
MC
∼
=+
M pl
fC
∞
f pl
NC
∞
∼
=+
N pl
L’omotopia `e da intendersi C ∞ , ma in realt`
a dovrebbe essere vero che se fra due
mappe C ∞ c’`e un’omotopia, allora ce n’`e anche una C ∞ .
24
41
con gli omeomorfismi verticali positivi, cio`e che conservano l’orientazione (lo definiremo in maniera precisa pi`
u avanti tramite l’omologia), allora
∞
C
pl
deg(f ) = deg(f ). (disegno) In sostanza parto da f liscia, noto che f −1
dei vertici di un simplesso molto piccolo in ogni carta sono vertici di un
simplesso; modifico f con un’omotopia in modo che sia simpliciale su tali
simplessi senza modificarla sui vertici. Orientazioni compatibili con i segni
di det(dxj f ) ⇒. . .
Questo `e dovuto al fatto che il grado si pu`o definire anche solo con la
struttura topologica e che queste nozioni di grado coincidono con quella
topologica.
Posso pensare una variet`a sia in senso C ∞ che in senso pl, ad esempio
posso pensare S 1 cone circonferenza o come simplesso (in entrambi i casi la
penso con orientazione).
Teorema 10.5. f0 , f1 : S 1 → S 1 sono omotope se e solo se hanno lo stesso
grado.
Vediamola nel contesto C ∞ . Anche senza “credere” all’equivalenza col
caso pl, la dimostrazione pu`o essere riadattata per quest’ultimo contesto.
Dimostrazione. Abbiamo gi`a visto “⇒”. Per il viceversa, sia deg(f0 ) =
deg(f1 ) che supponiamo per ora 6= 0. Ho f0 , f1 : S 1 → S 1 e voglio “estenderle”25 ad una F : S 1 × [0, 1] → S 1 . Sceglo y ∈ S 1 valore regolare comune
e ho
f1−1 (y) = p11 , . . . , p1t , n11 , . . . , n1s
f0−1 (y) = p01 , . . . , p0k , n01 , . . . , n0h
con i segni pari a +1 per i p e −1 per gli n. Per ipotesi k − h = s − t 6= 0.
(disegno) Si mostra per induzione sul numero di punti coinvolti che
Esercizio 10.6. In tali ipotesi trovo archi orientati α1 . . . , αN con N =
k+h+t+s
tali che ogni ∂αj sia o ∪f∗1 ∪ p1∗ o ∪n1∗ ∪ n0∗ o ∪p1∗ ∪ n1∗ o ∪p0∗ ∪ n0∗ .
2
(disegno)
Dimostrazione. Se h = s = 0 oppure k = t = 0 `e ovvio perch´e prendo dei
raggi. Altrimenti vuol dire che ci sono due segni discordi consecutivi e basta
collegarli.
Dato che il grado non `e nullo ho almeno un αj che unisce S 1 × {0} con
S 1 ×{1}. (disegno) Uso l’Esercizio precedente e considero dei nastri (strisce)
attorno a questi cammini, dove `e facile estendere f0 t f1 . Resta da estendere
ad un’unione di dischi (ho tolto strisce da un disco) sul cui bordo la F `e gi`a
definita a valori nel complementare dei punti in cui l’abbiamo gi`a definita,
che `e un arco (serve molto un disegno qua). Mi trovo a dover estendere
25
Ci siamo capiti.
42
una funzione definita sul bordo di un disco a valori in un intervallo. Basta
estenderla radialmente dopo aver scelto un valore a caso sul centro.
Nel caso del grado nullo vedo che f0 ed f1 sono entrambe omotope ad
una costante (e quindi sono omotope fra loro).
Questi strumenti permetto di fornire una (ennesima) dimostrazione del
Teorema 10.7 (Fondamentale dell’Algebra). p(z) ∈ C[z] non costante ha
radici.
Dimostrazione. Supponiamo wlog p monico. Consideriamo P1 (C) ∼
= S2
con le carte date dalle proiezioni stereografiche su piani tangenti ai poli.
Considero f : S 2 → S 2 definita come
p(z) se z ∈ C
f (z) =
∞
se z = ∞
Affermo che f ha grado d: questo `e sufficiente perch´e se p(z) non ha radici
allora 0 ∈
/ Im(f ), valore regolare ⇒ deg(f ) = 0 (anzi, f `e omotopa ad una
costante perch´e ha immagine su C). per vederlo analizzo f vicino a ∞:
considero
z 7→
1
p
1
z
=
1
1
zd
1
+ a1 z d−1 + . . . + ad
=
zd
1 + a1 z + . . . + ad z d
che a meno
ddeterminazione olomorfa della radice d-esima `e localmente
di una
z
= ud . La mappa u 7→ ud ha grado d (0 non `e un valore
del tipo √
d
1+...
regolare: ∞ non `e un valore regolare di f per d ≥ 1).
Definizione 10.8. f : S 1 → R2 `e un’immersione se `e C ∞ e ∀z f 0 (z) 6=
0. f0 , f1 immersioni sono regolarmente omotope se sono omotope tramite
immersioni. Se f `e un’immersione, chiamo writhe di f
0 f
w(f ) = deg
: S1 → S1
kf k0
Una nozione di omotopia regolare pu`o essere data anche nel caso pl ma
`e parecchio complicata.
Teorema 10.9. f0 , f1 sono regolarmente omotope se e solo se w(f0 ) =
w(f1 ).
Dimostrazione. Provo che ogni f si riconduce tramite omotopia regolare a
uno di questi modelli: (disegni, guardare appunti Petronio). Essenzialmente
sono un ∞ per w = 0, circonferenze per w = 1 e w = −1 (con orientazioni
opposte) e circonferenze con riccioli per w pi`
u grandi.
Come prima cosa elimino i “riccioli grandi”: seguo la curva fino alla
prima autoinsersezione e ho una circonferenza per Jordan. Se questo ho
43
esaurito S 1 ho trovato S 1 in uno dei due versi. Altrimenti ho trovato un
ricciolo, che borda un disco, che possibilmente contiene altri punti dell’immagine di f . In ogni caso posso “retrarre” il ricciolo in maniera che non
ne contenga ottenendo solo “riccioli piccoli”, che non interagiscono col resto
dell’immagine.
Poi elimino i riccioli da parti opposte (disegno) ottenendo un pezzo
dritto.
Alla fine ho riccioli tutti dalla stessa parte. Se ce ne sono 0 ho le circonferenze, con 1 ricciolo ho l’∞. Se sono almeno 2 posso averli tutti dentro o
tutti fuori, ma in realt`
a questi possono essere “rivoltati” uno nell’altro.
11
29/10
11.1
Alcune conseguenze dei risultati precedenti
Dal Teorema dimostrato l’altra volta segue che
2
Corollario 11.1. S 1 ,→ S omotpie regolari ↔ Z2Z.
Dimostrazione. (disegni)
Teorema 11.2. Se m 6= n, allora Rn non `e omeomorfo ad Rm .
Dimostrazione. Se per assurdo lo fossero ed n > m, lo sarebbero anche
Rn \ {0} e Rm \ {0}. Questi hanno lo stesso dipo di omotopia di S n−1 ∼
= ∂∆n
e S m−1 ∼
= ∂∆m , ma Hn−1 (S n−1 ) = Z mentre Hn−1 (S m−1 ) = 0.
Questo non `e una conseguenza dell’omologia ma l’avevamo usato, quindi
lo dimostriamo.
Teorema 11.3 (Jordan- Schoiffies). Se γ ⊂ R2 , γ ∼
= S 1 (omeo), allora
◦
¯ ∼
¯∼
R2 \ γ = D ∪ E, con γ = ∂D = ∂E, D
= D2 , E
= R2 \ D 2 .
Per S 2 ⊂ R3 `e falso. La dimostrazione per gli omeo `e difficile. Vediamo
quella pl (o differenziabile, che `e quasi uguale).
Dimostrazione. Sia K ⊂ R2 compesso simpliciale con |K| ∼
=pl S 1 ( ∂∆2 ).
wlog posso supporre che nessun r ∈ K [1] sia orizzontare eche tutti i vertici
siano ad ordinate distinte. Scelgo altezze y1 < y2 < . . . < yn che contengano:
• tutte le altezze dei vertici che non sono minimi o massimi locali
• una altezza subito sopra e una subito sotto ogni massimo e minimo
locale (tranne che sotto il minimo globale e sopra il massimo globale).
44
(disegni) Sia
γi = γ ∩ {y ≤ yi |} ∪ {segmenti orizzontali ad altezza yi }
dove i segmenti sono messi in modo che diventi una 1-variet`a pl. Provo
ricorsivamente che R2 \ γi `e unione di Di che `e unione di dischi bucati e di
Ei che `e R2 \ {dischi aperti} con ∂Di = ∂Ei = γi . Ci`o basta: per i = N
ho che DN `e unine di dischi bucati e partialDN = γN = γ ∼
= S 1 e quindi
◦
DN ∼
= D2 . Analogamente EN ∼
= R2 \ D 2 .
Se i = 1 ho un triangolo ed ho finito. Per il passo induttivo ho tre casi
a seconda del fatto che abbia un minimo, un massimo, o nessuno dei due.
In quest’ultimo caso (disegni) `e tutto come prima. Se c’`e un minimo locale
(disegni) o si aggiunge un disco a Di oppure non succede niente. Se c’`e un
massimo locale (disegni anche qua) non succede niente, aggiungo un buco
ad un disco , oppure ho unito due dischi. Questo conclude la versione pl.
Per la variante differenziabile considero f : S → R2 embedding, prendo
0
0
v ∈ S 1 valore regolare per kff 0 k e per − kff 0 k e wlog v = (1, 0); ora nei punti
in cui f 0 `e orizzontale ho dei minimi o dei massimi locali. Ora y · f ha
un numero finito di massimi o minimi locali come soli punti critici. Wlog
posso supporre che abbiano altezze diverse, e ora la sitauzione `e come nel
caso pl, a patto di vedere che nelle strisce ho dei dischi (esercizio di analisi
1).
Teorema 11.4 (del punto fisso di Brouwer). Se f : Dn → Dn `e continua,
allora ha un punto fisso.
n−1 × [0, 1]
Dimostrazione. Come nel caso n = 2, scrivendo Dn = S
S n−1 × {0}
e costruendo un’omototpia fra la costante e IdS n−1 , che `e assurdo perch´e la
prima ha grado 0 e la seconda ha grado 1.
Teorema 11.5 (della palla pelosa26 ). Se n `e pari, non esiste v : S n → Rn+1
mai nulla con ∀x v(x) ⊥ x.
Lemma 11.6. Se f, g : X → S n non sono mai antipodali fra loro, allora
sono omotope.
Dimostrazione. F (x, t) =
(1−t)f (x)+t(g(x))
k(1−t)f (x)+t(g(x))k .
Lemma 11.7. deg(− IdS n ) = (−1)n+1 .
Dimostrazione. Vediamo S n come i vettori di norma unitaria in Rn+1 , orientata come bordo di Dn+1 . e0 punta fuori a Dn+1 in e0 . Se e1 , . . . , en `e
una base di Te0 S n = e⊥
0 , per la regola della normale esterna per prima ho
26
O “perch´e servono le orecchie”
45
che questa `e una base positiva perch´e e0 , . . . , en `e positiva in Rn+1 . Ora
−e0 = (− IdS n )(e0 ) `e esterno a Dn+1 in −e0
d(− IdS n )(e1 , . . . , en ) = (−e1 , . . . , −en )
ora (−e1 , . . . , −en ) `e positiva per T−e0 S n se e solo se −e0 , −e1 , . . . , −en `e
positiva per Rn+1 , che `e vero se e solo se n + 1 `e pari.
Se esistesse v : S n → Rn+1 come nelle ipotesi, avrei che
∀x v(x) ∈
/ {−x, x}
quindi avrei − IdS n '
diversi.
11.2
v
kvk
' IdS n e questo `e omotopo perch´e hanno gradi
Classificazione pl delle superfici
Teorema 11.8 (Difficile). Ogni 2-variet`a topologica chiusa ammette strutture pl e differenziabili; due variet`a pl/differenziabili chiuse omeomorfe sono
pl-omeomorfe/diffeomorfe.
In altre parole in dimensione 2 sono uguali le categorie top = pl = diff.
` vero anche in dimensione 3. In dimensione 4 invece si ha top 6= pl = diff,
E
e per n ≥ 5 sono tutte diverse.
Definizione 11.9. Una superficie `e una 2-variet`a chiusa connessa pl.
[esempi con disegni di come mettere struttura pl su sfera, toro, proeittivo]
Definizione 11.10. Se Σ1 e Σ2 sono superfici, definisco la somma connessa
◦
◦
Σ1 # Σ2 = (Σ1 \ T 1 ) ∪f (Σ2 \ T 2 )
Proposizione 11.11. Σ1 # Σ1 non dipende da:
• T1 , T2
• f , pre o post componendo con una permutazione pari dei vertici.
• f , se per almeno una fra Σ1 e Σ2 esiste s : Σj → Σj omeomorfismo pl
con s(Tj ) = Tj ed s corrisponde ad una permutazione dispari.
Dimostrazione. Domani.
Teorema 11.12. Ogni Σ chiusa connessa di dimensione 2 `e omeomorfa a
una e una sola delle seguenti:
• S2
46
• T # ... # T
|
{z
}
n volte
• P2 # . . . # P2
{z
}
|
n volte
dove quest’ultima `e la somma connessa di un po’ di copie del toro col
proiettivo o con la bottiglia di Klein a seconda della parit`a di n.
12
31/10
12.1
Classificazione delle superfici
L’indipendenza da T1 e T2 della definizione di somma connessa segue dal
fatto che
Proposizione 12.1. Se T1 , T2 ∈ Σ[2] , allora esiste g : Σ → Σ omeomorfismo
pl tale che g(T ) = T 0 .
Dimostrazione. Basta vederlo per T , T 0 con un lato in comune (a meno di costruire un “cammino” di triangoli). Si fa a meno di raffinare le triangolazioni
e shiftare i triangoli (disegno).
L’indipendenza da f a meno di permutazioni pari dei vertici di T1 e T2
`e dovuta alla seguente
Proposizione 12.2. Ogni permutazione pari di T [0] `e indotta da G : Σ → Σ
omeomorfismo pl.
Dimostrazione. Esercizio.
Chiaramente `e vero anche che
Proposizione 12.3. Se Σ1 o Σ2 hanno un automorfismo che induce una
[0]
[0]
permutazione dispari su T1 o T2 , allora la somma connessa non dipende
da f .
Proposizione 12.4. S 2 , P2 , T hanno automorfismi di questo tipo.
Dimostrazione. Basta prendere l’altezza per il vertice che non vogliamo
scambiare e usare una simmetria (i triangoli li possiamo supporre regolari
quanto ci pare).
Notiamo anche che
Proposizione 12.5. S 2 `e l’identit`a della somma connessa.
Dimostrazione. Facile da vedere pensando S 2 come simplesso.
47
Come conseguenza dell’esistenza degli automorfismi di cui sopra, n · T e
n · P2 sono ben definiti.
Dimostriamo il Teorema 11.12.
Dimostrazione. Procederemo in pi`
u stadi:
1. Ogni poligono con i lati identificati a coppie tramite funzioni affini d`a
una superfice. Si vede facilmente (disegno) che il link di ogni punto `e
un S 1 .
2. Ogni superficie pu`o essere descritta come nel punto precedente: per
mostrarlo considero il grafo di incollamento di una triangolazione.
Questo `e costruito mettendoci un vertice per ogni triangolo e un arco
per ogni lato comune a due triangoli. Ora considero un albero massimale in questo grafo; questo `e planare, cio`e pu`o essere realizzato
nel piano. A questo punto basta reintrodurre i triangoli e definire gli
incollamenti in maniera coerente con la superficie. Questo restituisce automaticamente un poligono con un numero pari di lati proprio
perch´e ho un incollamento a coppie.
3. Ora una superfice `e una parola di lunghezza 2n in cui ogni lettera compare due volte (eventualmente con esponente −1). Ad esempio S 2 `e aa−1 , P2 `e aa, T2 `e aba−1 b−1 , la bottiglia di Klein K `e
aba−1 b. . . Chiaramente vanno quozientate per27
• permutazione ciclica
• inversione
• sostituire a con a−1 e viceversa.
e la somma connessa diventa la concatenazione (basta togliere un
triangolo su un vertice, disegno)
4. Senza perdita di generalit`a possiamo supporre che tutti i vertici del
poligono si proiettino sullo stesso vertice di Σ (tranne nel caso del
poligono che induce S 2 ). (disegni)
5. Da ora per convenzione indichiamo le lettere con le minuscole e le parole con le maiuscole. Abbiamo xxW U ∼
= xW −1 xU . Come conseguenza
2
2
2
2
∼
∼
P # P = K e T # P = K # P . Ad esempio per il primo si ha
aabb = ab−1 ab, e per il secondo
aba−1 b−1 cc = abcbac = abbc−1 ac = c−1 acabb
Osserviamo che quest’ultima propriet`a preserva “un solo vertice”. Usandola posso supporre che ogni lato che compare come x . . . x . . . compaia
consecutivo, cio`e . . . xx . . . (dove uno dei due pu`o essere x−1 .
27
Probabilmente anche altro, tipo buttare via una lettera se compare sempre a destra
della stessa (non d`
a pi`
u informazione).
48
6. Preservando “un solo vertice” e “xx consecutivi” ho che xW U x−1 Z ∼
=
xU W x−1 Z (disegni).
7. Un “toro mischiato ad altra roba” xW yU x−1 V y −1 pu`o essere visto
come toro incollato al resto: xyx−1 y −1 T .
x(W )(yU )x−1 V y −1 Z = xy(U W )(x−1 V )y −1 Z = xyx−1 V U W y −1 Z
=yx−1 V U W y −1 Zx = yx−1 y −1 ZV U W x = xyx−1 y −1 ZV U W
8. Ora abbiamo:
• un solo vertice
• stesse lettere consecutive (a . . . a 7→ aa . . .
• tori consecutivi a . . . b . . . a−1 . . . b−1 7→ aba−1 b−1
Se tutti i lati sono in tali configurazioni ho finito, infatti ho n·T#m·P2
e qui se m = 0 ho n · T, altrimenti ho (2n + m) · P2 . Proviamo che
ho usato tutti i lati: se a non l’ho usato certamente ho aXa−1 Y . Ora
basta vedere dove possono comparire eventuali b, b−1 (o b, b) fra X e
Y . Si conclude facendo i casi (disegni).
Resta da vedere che S 2 , n · T e m · P2 sono distinti. Basta usare il π1
notando che la somma connessa passando al π1 diventa il prodotto libero
(dettagli non trascritti). Passando all’omologia (cio`e agli abelianizzati) `e
forse pi`
u facile vedere che i gruppi non sono isomorfi.
12.2
Omologia relativa per complessi simpliciali finiti
Definizione 12.6. Se K `e un complesso simpliciale ed L ⊂ K un suo
sottocomplesso, Cn (K, L) `e il gruppo abeliano libero generato da K [n] \ L[n] .
Inoltre
X
∂n(K,L) σ =
ε(σ, τ ) · τ
τ ∈σ k σ
τ ∈L
/ [n−1]
(K,L)
(K,L)
Proposizione 12.7. ∂n−1 ◦ ∂n
=0
K ◦ ∂K = 0
Dimostrazione. Segue immediatamente da ∂n−1
n
Ho un complesso di catene e posso quindi farne l’omologia. Dato che
sto “buttando via” i simplessi di L potremmo pensare che Hn (K, L) =
Hn (K \ L), dove la chiusura serve a renderlo un complesso simpliciale. In
ogni caso non `e vero: un controesempio si ha considerando come K un
triangolo e come L il suo bordo. K \ L `e sempre K che `e contrattile, quindi
ha H0 = Z e Hn = {0} se n > 0. Nell’altro caso ho
0 → ... → 0 →
C2 (K, L) → C1 (K, L)
0 → ... → 0 →
Z→0
49
→ C0 (K, L) → 0
→0→0
e quindi H2 (K, L) = Z e Hn (K, L) = 0 per n 6= 2.
Proposizione 12.8. Fatti analoghi a quelli per l’omologia veri per l’omologia relativa:
• L’omologia non cambia per suddivisioni.
• Se f : (K, L) → (A, B) (cio`e f (L) ⊂ B) ho f∗ : Hn (K, L) → Hn (A, B)
e se f0 'L f1 , cio`e se esiste un omotopia che “lascia L sempre incluso
in B”, allora f0∗ = f1∗ (basta usare la versione relativa del Teorema
di Approssimazione Simpliciale)
• Hn (K, L) = Hn (|K| , |L|) a meno di isomorfismo
Inoltre vale
Proposizione 12.9 (Propriet`a di excision). Se Z = X ∪ Y , con X, Y
sottocomplessi si ha
Hn (Z, Y ) ∼
= Hn (X, X ∩ Y )
anzi, sono direttamente uguali i complessi di catene.
Dimostrazione.
Cn (Z, Y ) = hσ ∈ Z [n] \ Y [n] i = hσ ∈ X [n] \ (X ∩ Y )[n] i = Cn (X, X ∩ Y )
13
13.1
05/11
Successioni esatte
Definizione 13.1. Una successione
ϕn+1
ϕn
. . . → An+1 −−−→ An −−→ An−1 → . . .
di gruppi abeliani e omeomorfsmi `e esatta se Im(ϕn+1 ) = Ker(ϕn ).
Se un complesso di catene `e una successione esatta ha quindi omologia
nulla. Indicando per brevit`a il gruppo con un elemento con 0 (invece che con
i
{0}) osserviamo che 0 → K →
− A esatta vuol dire che i `e iniettiva, mentre
p
A→
− Q → 0 vuol dire che p `e surgettiva.
Definizione 13.2. Una successione del tipo
p
i
0→K→
− A→
− Q→0
si dice successione esatta corta.
50
Questo equvale a dire che K < A e Q = AK .
Definizione 13.3. Una successione esatta di mappe tra catene `e una successione di mappe tra catene esatta a ogni livello, cio`e C (k) complessi di
catene, ϕ(k) : C (k) → C (k−1) mappa tra complessi di catene, cio`e
(k)
ϕn
(k)
Cn
(k−1)
Cn
(k−1)
(k)
∂n
ϕn−1
(k)
∂n
(k)
Cn−1
(k−1)
Cn−1
e per ogni n
ϕk+1
. . . → Cn(k+1) −−−→ Cn(k) → ϕk Cn(k−1) → . . .
`e esatta.
13.2
Successioni esatte lunghe in omologia
Se K `e un complesso simpliciale e L `e un sotto complesso avevamo
definito
Cn (K, L) = hK [n] \ L[n] i
ed `e definito
∂n(K,L) : Cn (K, L) → Cn−1 (K, L)
X
σ 7→
ε(σ, τ ) · τ
τ ∈K [n−1] \L[n−1] ,τ ⊂σ
Osserviamo che
Proposizione 13.4.
pn
i
n
0 → Cn (L) −→
Cn (K)
−→ Cn (K, L) → 0
0 se σ ∈ L[n]
σ→
7
σ
altrimenti
σ 7→ σ
d`a una successione esatta corta di mappe tra complessi di catene.
Dimostrazione. L’esattezza `e ovvia. Veiamo che `e una mappa fra complessi.
51
0
in
Cn (L)
L
∂n
0
Cn−1 (L)
pn
Cn (K)
Cn (K, L)
(K,L)
K
∂n
in−1
Cn−1 (K)
0
∂n
pn−1
Cn−1 (K, L)
0
verificare per esercizio.
Teorema 13.5. Sia
p
i
0 → C0 →
− C→
− C 00 → 0
una successione esatta corta tra complessi di catene. Si ricava una successione esatta lunga in omologia
pn∗
i
d
n∗
n
0
. . . → Hn0 −−
→ Hn −−→ Hn00 −→
Hn−1
→ ...
Corollario 13.6. Se K `e un complesso simpliciale e L ⊂ K `e un sotto
complesso ho una successione esatta lunga
pn∗
i
d
n
n∗
Hn−1 (L) → . . .
. . . → Hn (L) −−
→ Hn (K) −−→ Hn (K, L) −→
Dimostrazione. Mostriamo che in∗ : Hn0 → Hn `e ben definita:
Cn0
0
∂n
0
Cn−1
in
in−1
Cn
∂n
Cn−1
[z] ∈ Hn0 , z ∈ Zn0 , z ∈ Cn0 , ∂n0 z = 0- in∗ ([z]) = [in (z)]. Devo vedere che
1. in (z) ∈ Zn , cio`e ∂n (in (z)) = in−1 (∂n0 (z)) = in−1 (z) = 0
2. `e indipendente da z. Se [z1 ] = [z2 ] ho che z1 − z2 ∈ Bn0 , cio`e z1 − z2 =
0
0
∂n+1
(w) e ho in (z1 ) − in (z2 ) = in (∂n+1
w) = ∂n+1 (in+1 (w))
52
in−1
0
Cn+1
0
∂n+1
Cn−1
∂n + 1
in
Cn0
Cn
dunque in (z1 ) − in (z2 ) ∈ Bn e quindi [in (z1 )] = [in (z2 )].
Per pn∗ : Hn → Hn00 `e uguale. Mostriamo l’esattezza al livello Hn .
pn∗
i
n∗
Hn0 →−−
→ Hn −−→ Hn00
Devo far vedere che
pn∗ ◦ in∗ = 0
cio`e Im(in∗ ) ⊂ Ker(pn∗ ). In generale f∗ ◦g∗ = (f ◦g)∗ , ma pn ◦in = 0 e quindi
(pn ◦ in )∗ = 0. Mostriamo ora che Im(in∗ ) ⊃ Ker(pn∗ ). Sia [z] ∈ Ker(pn∗ ).
28
Cn+1
pn+1
in
0
∂n
0
0
Cn−1
Cn
0
00
∂n+1
∂n+1
Cn0
00
Cn+1
pn
Cn00
∂n
in−1
Cn−1
00
00 (w). Dunque esiste u ∈ C
esiste quindi w ∈ Cn+1
tale che pn (z) = ∂n+1
n+1
00
tale che ∂n+1 (pn+1 (u)) = pn (z). Questo implica l’esistenza di u ∈ Cn+1 tale
che pn (∂n+1 (u)) = pn (z), e allora esiste u ∈ Cn+1 tale che z − ∂n+1 (u) ∈
Ker(pn ). Allora esiste u ∈ Cn+1 , v ∈ Cn0 tale che z − ∂n+1 (u) = in (v). Ora
si conclude usando la parte pi`
u a sinistra in basso del diagramma.
00
0
Definiamo ora dn : Hn → Hn−1
. z ∈ Zn00 ⊂ Cn00 . ∃w ∈ Cn tale che
z = pn (w). Col solito diagramma ho che ∂n w ∈ Ker(pn−1 ) = Im(in−1 ), e
0
dunque ∃u ∈ Cn−1
tale che ∂n w = in−1 u. Voglio definire
dn ([z]) = [u]
28
Forse sono stati usati anche pezzi del diagramma che non ho disegnato, quando
risistemo gli appunti magari lo faccio una volta sola.
53
0
sempre smanettando con i diagrammi mostro che ∂n−1
(u) = 0 (verifica
omessa) e vedo che [u] ∈ Hn−1 `e ben definita.
Mostriamo ora l’indipendenza da w. Supponiamo di avere pn (w1 ) =
pn (w2 ) = z. pn (w1 ) − pn (w2 ) = 0. Ho che esiste v ∈ Cn0 tale che w1 − w2 =
0
in (v). Siano u1 , u2 ∈ Cn−1
tali che in−1 (uj ) = ∂n (wj ). Ho
in−1 (u2 + ∂n0 v) = ∂w2 + ∂(w1 − w2 ) = ∂w1
0
e quindi u1 = u2 + ∂n0 v e [u1 ] = [u2 ] ∈ Hn−1
.
00 x Sia y ∈ C
Mostriamo l’indipendenza da z. Sia z2 = z2 + ∂n+1
n+1 tale
che x = pn+1 y. Sia w1 con pn (w1 ) = z1 . Si ha
pn (w1 + ∂n+1 y) = z1 + ∂n+1 x = z2
e posso scegliere w2 = w1 + ∂n+1 y. Questo conclude perch´e per la commutativit`
a del diagramma ho che posso usare lo stesso u.
Dobbiamo ancora mostrare l’esattezza in Hn00
pn ∗
d
n
0
Hn −−→ Hn00 −→
Hn−1
Mostriamo che Im pn∗ ⊂ Ker dn . Calcoliamo d( pn∗ ([w])). Ho ∂n w = 0 e
| {z }
: =[z]
quindi posso (devo) scegliere u = 0. Dunque dn (pn∗ ([w])) = 0. Mostriamo
che Im pn∗ ⊃ Ker dn . Sempre via “caccia al diagramma” (sempre lo stesso
0
diagramma), se [z] ∈ Ker dn esistono v ∈ Cn0 , w ∈ Cn , u ∈ Cn−1
tali che
pn (w) = z
in−1 (u) = ∂n w
u = ∂n0 v
Ne segue che
∂n w = in−1 (∂n0 v) = ∂n (in (v))
dunque ∂n (w − in (v)) = 0 e pn (w − in v) = z. Dunque [z] = pn∗ ([w − in v]).
Per conlcudere la dimostrazione mostriamo l’esattezza in Hn0
dn+1
i
n∗
Hn00 −−−→ Hn0 −−
→ Hn
Mostriamo Im dn+1 ⊂ Ker in∗ . Questo `e vero perch´e se dn+1 ([z]) = [u] allora
via caccia al diagramma in∗ ([u]) = [in (u)] = [∂n+1 w] = 0. Infine mostriamo
Im dn+1 ⊃ Ker in∗ . Sia in∗ ([u]) = 0. Allora esiste x ∈ Cn+1 tale ceh in (u) =
00 (p
00
∂n+1 (x). Claim: ∂n+1
n+1 (w)) = 0, da cui [u] = dn+1 ([pn+1 (x)] ∈ Hn+1 ).
| {z }
Infatti
00
∂n+1
(pn+1 (x)) = pn (∂n+1 (x)) = pn (in (u)) = 0
54
14
14.1
07/11
Interpretazione geometrica di dn
pn
Cn (X)
Cn (X, A)
X
∂n
Cn−1 (A)
in−1
Cn−1 (X)
Avevamo definito d( [z]) = [u], dove z ∈ Cn (X, A) e u ∈ Cn−1 (A). Il nostro
z `e
X
nσ · σ
z=
σ∈X [n] \A[n]
avevamo sollevato a w ∈ Cn (X) che per noi `e
X
w=
nσ · σ
σ∈X [n]
dove nσ = 0 per σ ∈ A[n] . Dato che z ∈ Zn (X, A) abbiamo ∂ (X,A) z = 0,
quindi
X
X
∂X w =
nσ · ε(σ, τ ) · τ +
ε(σ, τ ) · τ
σ∈X [n]
τ ⊂σ
τ ∈A[n−1]
σ∈X [n]
τ ⊂σ
τ ∈X [n−1] \A[n−1]
la seconda sommatoria deve essere nullo (segue dalle definizioni). Ne segue
che
X
X
dn
nσ · σ =
nσ · ε(σ, τ ) · τ
σ,τ ∈A[n−1]
τ ⊂σ
Cio`e dn : Hn (X, A) → Hn−1 (A) si ottiene applicando l’operatore ∂ (per
costruzione si trovano solo n − 1 simplessi di A).
14.2
Omologia ridotta
Ricordiamo che se X `e connesso H0 (X) ∼
= Z canonicamente da [v],
[0]
v ∈ X . Invece H0 (X, A) = 0 se A 6= ∅.
F
Definizione 14.1. Se X = ki=1 Xj , con le Xj componenti connesse per
[0]
archi e vj ∈ Xj , l’omologia ridotta `e
Hn (X, A)
se n > 0
˜
P
Hn (X, A) = Pk
nj = 0 altrimenti
i=1 nj [vj ] ∈ H0 (X, A) |
55
˜ 0 (X, A) =
Osserviamo che se A 6= ∅ ho qualche [vj ] = 0, quindi H
k
H0 (X, A). Invece se A = ∅ ho H0 (X) ∼
=Z e
n
o
X
˜ 0 (X) ∼
H
nj = 0
= Zk−1 = (n1 , . . . , nk ) ∈ Zk |
dove con Hn (X) si intende Hn (X, ∅).
Proposizione 14.2. La successione esatta di omologia
d
i∗
p∗
i
0
0
. . . → H1 (X, A) −→
H0 (A) −
→
H0 (X) −→
H0 (X, A) → 0
induce la stessa successione esatta in omologia ridotta
d˜
˜i∗
p˜∗
i
0
0
˜ 1 (X, A) −→
˜ 0 (A) −
˜ 0 (X) −→
˜ 0 (X, A) → 0
... → H
H
→
H
H
Dimostrazione. Per definizione
nX
o
X
˜
H0 (A) =
nj [aj ] |
nj = 0
˜ 0 (A). Sia [z] ∈ H
˜ 1 (X, A) = H1 (X, A). Dunque
Proviamo
che Im(d1 ) ⊂ H
P
(X,A)
z = mj · ej . Dato che ∂
z = 0, abbiamo
X
∂X z =
mj (ej (1) − ej (0))
da intersi come “il secondo estremo meno il primo”. Questo `e uguale a




X
X
X
X
X
X


mj −
mj +
mj −
mj  = Σ1 +Σ2
v∈A[0]
j|ej (1)=v
j|ej (0)=v
v ∈A
/ [0]
j|ej (1)=v
j|ej (0)=v
in ∂X la somma di tutti i coefficienti e 0. Dato che ∂ X,A z = 0, in Σ2 tutti
i coefficienti sono 0, e quindi in Σ2 la somma di tutti i coefficienti `e 0, per
˜ 0 (A).
cui d1 ([z]) = [∂ X z] ∈ H
˜ 0 (A)) ⊂ H
˜ 0 (X). Questo `e vero perch´e
Ora mostriamo che i∗0 (H
X
X
i∗0
nj [aj ]A =
nj [aj ]X
e
P
aj = 0 continua ad essere vero.
Vediamo che Im(d˜1 ) ⊂ Ker(˜i∗0 ). Questo `e ovvio perch´e
˜i∗0 ◦ d˜1 = i0 |H˜ 0 (X) ◦ d1 |H˜ 0 (A) = i0 ◦ d1 |H˜ 0 (X) = 0
˜ (A)
H
0
perch´e i0 ◦ d1 = 0.
Vediamo che Ker(˜i∗0 ) ⊂ Im(d˜1 ). Se [z] ∈ Ker(˜i∗0 ), allora [z] ∈ Ker(i∗0 ) e
dunque [z] ∈ Im(d1 ) = Im(d˜1 ).
56
˜ 0 (X)) ⊂ H
˜ 0 (X, A).
Ora la buona definizione di p∗0 . Mostriamo che p∗0 (H
Questo `e ovvio perch´e
X
X
p∗0
nj [vj ]X =
nj [vj ](X,A)
P
e continua ad essere vero che
nj = 0.
∗
∗
˜
Im(i0 ) ⊂ Ker p˜0 `e ovvio.
Im(˜i∗0 ) ⊃ Ker p˜∗0 `e vero perch´e
[z] ∈ Ker(˜
p∗0 ) ⇒ [z] ∈ Ker(p∗0 ) ⇒ ∃[w] ∈ H0 (A) [z] = i∗0 ([w])
˜ 0 (A) (esercizio).
bisogna vedere che [w] ∈ H
∗
Infine p˜0 `e surgettivo perch´e
X
˜ 0 (X, A) ⇒ `e p˜∗
nj [vj ](X,A) ∈ H
0
X
nj [vj ]X
˜ n valgono le propriet`a:
Proposizione 14.3. Anche per H
˜ n (X, A) →
1. Omotopia: se f, g : (X, A) → (Y, B) e f 'A g allora f∗ = g∗ : H
˜
Hn (Y, B)
2. Escissione: Hn (Z, Y ) ∼
= Hn (X, X ∩ Y ).
14.3
Omologia ridotta delle sfere
Teorema 14.4. Per ogni n, m si ha
m
˜ n (S ) = Z se n = m
H
0 altrimenti
cio`e

 Z⊕Z
Z
Hn (S m ) =

0
se n = m = 0
se n = 0 < m oppure n = m > 0
altrimenti
Dimostrazione. S m−1 = ∂Dm , quindi posso usre la successione esatta di
(Dm , S m−1 ).
˜ n (Dm ) → H
˜ n (Dm , S m−1 ) → Hn−1 (S m−1 ) → Hn−1 (Dm ) = 0
0=H
dove le uguaglianze con 0 sono perch´e Dm `e contrattile e per ogni n un
˜ n banale. Dunque
punto ha H
˜ n (Dm , S m−1 ) ∼
˜ n−1 (S m−1 )
H
=H
57
(3)
Ora29
m
m
S m = x ∈ Rm+1 | kxk = 1 = {x ∈ S m | x0 ≥ 0}∪{x ∈ S m | x0 ≤ 0} = D+
∪D−
m ∩ D m = S m−1 . Per escissione
e inoltre D+
−
m
m
˜ n (S m , D+
˜ n (D−
H
)=H
, S m−1 )
(4)
m ho
Per la successione esatta di S m , D+
˜ n (Dm ) → H
˜ n (S m ) → H
˜ n (S m , Dm ) → H
˜ n−1 (Dm ) = 0
0=H
e quindi
˜ n (S m ) ∼
˜ n (S m , Dm )
H
=H
(5)
Mettendo insieme gli isomorfismi 3, 4 e 5 otteniamo
˜ n (S m ) = H
˜ n−1 (S m−1 )
H
Basta ora scendere finch´e uno dei due non `e 0. Posso quindi giungere a
˜ n−m (S 0 ), che ha omologia ridotta Z se n = m e 0 altrimenti, oppure a
H
˜ 0 (S m−n ), che ha omologia ridotta Z se m = n e 0 altrimenti.
H
14.4
Ancora algebra
Proposizione 14.5. La successione esatta di omotopia `e funtoriale dalla
categoria delle coppie (K, L) con K complesso simpliciale e L sottocomplesso
dove le frecce che sono le mappe simpliciali di coppie alla categoria delle
successioni esatte di omomorfismi di gruppi abeliani dove le frecce sono le
mappe naturali30 .
Questo segue dal fatto genereale che
Proposizione 14.6. Se ho successioni esatte corte di complessi di catene
i
p
i
p
0 → C0 →
− C→
− C 00 → 0
con bordi ∂, ∂ 0 , ∂ 00 e
0 → D0 →
− D→
− D00 → 0
con bordi d, d0 , d00 , e ho mappe di complessi di catene ϕ0 : C 0 → D0 , ϕ : C →
D, ϕ00 : C 00 → D00 e i diagrammi commutano tutti, allora commuta anche
...
Hn (C 0 )
i∗n
ϕ0n
...
29
30
Hn (D0 )
Hn (C)
p∗n
Hn (D)
∂n
Hn−1 (C 0 )
∗
qn
Hn (D00 )
ηn
Hn−1 (D0 )
Usiamo il linguaggio liscio, ma si riporta pari pari al caso pl.
Cio`e che fanno commutare tutti i quadrati.
58
...
ϕ0n−1
ϕ00
n
ϕn
∗
jn
Hn (C 00 )
...
Dimostrazione. Alcuni sono ovvi perch´e valgono a livello di catene. Vediamo
che [z] ∈ Hn (C 00 ). Usando la commutativit`a di
pn
Cn
Cn00
∂n
0
Cn−1
in−1
Cn−1
abbiamo ∂n ([z]) = [u]. Devo provare che ηn (ϕ00n ([z])) = [ϕ0n−1 (x)]
qn
Dn
Dn00
dn
0
Dn−1
jn−1
Dn−1
e quindi ho
Cn
ϕn
Dn
pn
qn
Cn00
ϕ00
n
Dn00
se provo che jn−1 (ϕ0n−1 (w)) = dn (ϕn (w)) ho la conclusione. Questo `e vero
perch´e commuta
0
Cn−1
in−1
ϕ0n−1 0
Dn−1
jn−1
Cn−1
ϕn−1
Dn−1
e commuta
Cn
ϕn
Dn
∂n
Cn−1
dn
ϕn−1
Dn−1
59
Questo `e un analogo di Van Kampen:
Teorema 14.7 (Successione esatta di Mayer-Vietoris). Sia K un complesso
simpliciale, A1 , A2 sottocomplessi, K la loro unione e L la loro intersezione.
Ho
j (p)
i(p)
C(L) −−→ C(Ap ) −−→ C(K)
per p = 1, 2. Denotando con ` la composizione, la successione
i(1) ,−i(2)
j (1) +j (2)
i
j
0 → C(L) −−−−−→ C(A1 ) ⊕ C(A2 ) −−−−−→ (K) → 0
`e esatta
Dimostrazione. La prossima volta.
Corollario 14.8. Per il Teorema generale che da una esatta corta di complessi di catene otteniamo una esatta lunga in omologia abbiamo
. . . → Hn (L) → Hn (A1 ) ⊕ Hn (A2 ) → Hn (K) → Hn−1 (L) → . . .
˜ n. E
` un analogo di Van Kampene perch´e per
Questo vale anche per H
n = 1 ed L connesso dice
˜ 0 (L) = 0
H1 (L) → H1 (A1 ) ⊕ H1 (A2 ) → H1 (K) → H
e questo dice che
H1 (K) ∼
= H1 (A1 ) ⊕ H1 (A2 )i∗ (H1 (L))
che `e l’abelianizzato di Van Kampen.
15
15.1
12/11
Dimostrazione e applicazioni di Mayer-Vietoris
Dimostrazione. i `e iniettiva perch´e lo sono i(1) e i(2) . Inoltre Ker j ⊃ Im i,
cio`e j ◦ i = 0, perch´e
(j◦i)(σ) = (j (1) +j (2) )(i(1) (σ)−i(2) (σ)) = (j (1) ◦i(1) )(σ)−(j (2) ◦i(2) )(σ) = e(σ)−e(σ) = 0
Mostriamo che Ker j ⊂ Im i:


X
X
x=
n(1)
nσ (2) · σ  ∈ Ker j
σ · σ,
σ∈A1
σ∈A2
60
cio`e
X
X
nσ (1) · σ +
σ∈A1
nσ (2) · σ = 0
(in |K|)
σ∈A2
questo `e

 

X
X
X
X

nσ (1) · σ +
nσ (1) · σ  + 
nσ (2) · σ +
nσ (2) · σ 
σ∈L
σ∈A1 \L
σ∈L
σ∈A2 \L
Tuttavia nσ (r) = 0 per ogni σ ∈ Ar \ L per r ∈ {1, 2}, mentre per σ ∈ L si
(2)
(1)
ha nσ = −nσ . Dunque
!
X
X
x=
n(1)
n(1)
σ · σ, −
σ ·σ
σ∈L
σ∈L
e quindi
x = (i(1) , −i(2) )(
X
n(1)
σ · σ)
σ∈L
(questo discorso va fatto per ogni livello k; va sostituito ad esempio A1 con
[k]
A1 ; d’ora in poi li indicheremo)
j `e surgettiva: infatti
X
X
X
Ck (K) 3
nσ · σ =
(. . . ) +
(. . . ) = j (1) (. . . ) + j (2) (. . . )
σ∈K [k]
[k]
σ∈A1
[k]
[k]
σ∈A2 \A1
Per dedurre
j∗
i
d
∗
→ Hn−1 (L) → . . .
. . . → Hn (L) −
→
Hn (A1 ) ⊕ Hn (A2 ) −→ Hn (K) −
dal Teorema generale bisogna dire che H(C ⊕ C 0 ) ∼
= H(C) ⊕ H(C 0 ) (facile).
Cn (A1 ) ⊕ Cn (A2 )
j
A1
A2
(∂n
, ∂n
)
(1)
0
Cn−1 (L)
(2)
(in−1 , −in−1 )
z=
Cn−1 (A1 ) ⊕ Cn−1 (A2 )
X
σ∈K [n]
61
nσ · σ
Cn (K)
0

X

nσ · σ + 
(nσ − pσ ) · σ 


w=

X
X
nσ · σ +
[n]
σ∈A1 \L[n]
X
pσ · σ,
[n]
σ∈L[n]
σ∈A2 \L[n]
σ∈L[n]
Dato che z `e un ciclo, calcolando (∂nA1 , ∂nA2 )(w). . .
[n]
[n]
Se τ ∈ A1 \ L[n] ho ε(σ, τ ) 6= 0 solo per σ ∈ A1 \ L[n] . Ma allora il
[n−1]
coefficiente di τ in ∂n z `e uguale a quello in ∂nA1 w1 . Stesso: τ ∈ A2
\L[n−2] ,
allora il coefficiente di τ in ∂n z `e uguale a quello in ∂nA2 w2 . Morale: siccome
∂n z = 0 ho ∂n w1 ∈ Cn−1 (L) e ∂n w2 ∈ Cn−1 (L), anzi a Zn−1 (L). Anzi si ha
(1)
(2)
(∂n w1 , ∂n w2 ) = (in−1 (u), in−1 (u)) e questo non dipende dalla scelta dei pσ .
In altre parole d : Hn (K) → Hn−1 (L) funziona cos`ı:
P
• Si prende z = nσ · σ, [z] ∈ Hn (K)
• Si scrive z = (w1 , w2 ) con w1 ∈ Cn (A1 ) e w2 ∈ Cn (A2 )
• d([z]) = [∂n w1 ] ( automaticamente ∂n w1 ∈ Zn−1 (L), e non solo a
Zn−1 (A1 )).
Esercizio 15.1. Sia M una 3-variet`a31 ed N = M \ (int(∆3 )) (e a meno
di defomare questa `e la stessa cosa di dire N ' M \ {p}). Provare che
H1 (N ) ∼
= H1 (M ).
Dimostrazione. Via Mayer-Vietoris o dal fatto che N (2) = M (2) , e H1
dipende solo dal 2-scheletro.
Via Mayer-Vietoris32 : N = A1 , ∆3 = A2 , L = A1 ∩ A2 = ∂∆3 = S 2 .
˜ 0 (S 2 )
H1 (S 2 ) → H1 (N ) ⊕ H1 (D3 ) → H1 (M ) → H
| {z }
| {z }
| {z }
0
=0
=0
Esercizio 15.2. Sia M chiusa orientata, N = M \int(∆3 ). Allora H2 (N ) ∼
=
H2 (M ).
Dimostrazione. Usando Mayer-Vietoris abbiamo (a patto di risolvere il prossimo esercizio)
g
a
f
H3 (D3 ) ⊕ H3 (N ) →
− H3 (M ) −
→ H2 (S 2 ) →
− H2 (D3 ) ⊕H2 (N ) −
→ H2 (M ) → H1 (S 2 )
| {z }
| {z }
| {z }
| {z } | {z }
| {z }
=0
=0
=Z
=0
=Z
Ho Ker f = Im g. Se provo che a `e un isomorfismo ho che a `e surgettiva,
dunque g = 0 e Ker f = 0. d `e un isomorfismo: d([M ]) = . . .
X
X
σ = ∆3 +
σ
σ∈M
31
32
σ6=∆3
Va bene anche ≥ 3.
Che vale anche per l’omologia ridotta, anche se non l’abbiamo dimostrato.
62
=0
e
d([M ]) = [∂∆3 ]
cio`e d : Z → Z manda 1 in 1 ed `e quindi un isomorfismo.
Esercizio 15.3. Se N (n) `e compatta connessa con ∂N 6= ∅, allora Hn (N ) =
0.
Dimostrazione. (disegno)
Esercizio 15.4. Sia K ⊂ S 3 un nodo pl (cio`e una sottovariet`a pl omeomor` vero che33 esiste un intorno U di K in S 3 omeomorfo a K × D2
fa a S 1 ). E
◦
(U intorno regolare34 ). Poniamo35 N = S 3 \ U . Allora H1 (N ) ∼
= Zµ , cio`e
Z generato da un meridiano, ossia un laccio che gira una volta intorno al
nodo.
Dimostrazione. Uso Mayer-Vietoris come prima, con A1 = U , A2 = N ,
K = S 3 , L = ∂U ∼
= T , con T il toro. Sia λ una longitudine, cio`e36 una curva
che percorre tutto il toro. Ora T ∼
= S 1 × S 1 e37 H1 (T ) = Zµ ⊕ Zλ .
H2 (S 3 ) →
− H1 (∂U ) = Zµ ⊕ Zλ →
− H1 (U ) ⊕H1 (N ) →
− H1 (S 3 )
| {z }
| {z }
| {z }
| {z }
=0
=Zλ
=0
e quindi H1 (N ) ∼
= Zµ . Abbiamo un’applicazione H1 (∂U ) → H1 (N ), cio`e
Zµ ⊕ Zλ → Zµ . Il Ker di quest’applicazione sar`a isomorfo a Z, quindi esiste
un preciso p ∈ Z tale che p·µ+λ `e nel nucleo dell’applicazione sopra. Chiamo
questa longitudine quella privilegiata, e questo risolve l’ambiguit`a.
◦
Esercizio 15.5. Se N = S 3 \ U (K), allora H2 (N ) = 0.
Dimostrazione.
d
H3 (U ) ⊕ H3 (N ) →
− H3 (S 3 ) −
→ H2 (∂U ) →
− H2 (U ) ⊕ H2 (N ) →
− H2 (S 3 )
| {z } | {z }
| {z }
| {z }
| {z }
=0
=0
=Z
=0
=Z
Basta mostrare che d `e un isomorfismo, e segue che H2 (N ) = 0. Come sopra,
prendo
"
#
"
!#
X
X
d
[S 3 ] =
σ 7→ ∂
σ
= [∂U ]
σ
σ∈U
e quindi d : Z → Z manda 1 in 1 ed `e quindi un isomorfismo.
33
Dimostrazione omessa.
In generale Y (k) ,→ X (n) sottovariet`
a compatta lisca o pl⇒ esiste un intorno di Y in
X che `e un fibrato in Dn−k su Y , cio`e `e localmente Dn−k . Ad esempio l’intorno regolare
in P2 (R) di γ dove [γ] 6= 0 `e il nastro di M¨
obius, che non `e S 1 × D1 .
35
3
Quello che mi interessa `e proprio S \ K, di cui N `e un retratto per deformazione.
36
Per ora `e definita in modo ambiguo, potremmo sostituirla con λ + p · µ per ogni p ∈ Z;
sistemeremo dopo.
37
L’ H1 del prodotto non `e il prodotto degli H1 in generale, ma in questo caso ci va
bene.
34
63
15.2
Propriet`
a assiomatiche dell’omologia
Vogliamo isolare alcune propriet`a dell’omologia simpliciale che, se verificate da altre costruzioni, restituiscono la stessa costruzione di omologia.
L’omologia `e un funtore (covariante) dalla categoria delle coppie (K, L),
con L sottocomplesso di K con le frecce date dalle mappe di coppie, cio`e
tali che l’immagine di L `e contenuta nel secondo membro dell’oggetto in
arrivo, alla categoria delle successioni di gruppi abeliani con le frecce date
dalle successioni di omomorfismi.
Gli assiomi che diamo sono
1. Omotopia: se f0 'L f1 : (K, L) → (A, B), cio`e sono omotope relativamente ad L, cio`e esiste ft con ft (L) ⊂ B per ogni t, allora
f0∗ = f1∗ .
2. Escissione: Se K = X ∪ Y , Z = X ∩ Y , allora Hn (K, Y ) = Hn (X, Z).
3. Les(Long Exact Sequence):
. . . → Hn (L) → Hn (K) → Hn (K, L) → Hn−1 (L) → . . .
(tutto funtoriale)
4. Dimensione: Hn ({p}) `e Z se e solo se n = 0, altrimenti `e 0.
5. 0-omologia38 H0 (X) = Z# componenti connesse .
Mayer-Vietoris non `e enunciato in quanto segue dai precedenti. Osserviamo
che questi assiomi bastano39 a calcolare Hn (Dp , S p−1 ) ∼
= Hn (S p ).
16
14/11
Manca l’inizio lezione. Essenzialmente sono definizioni (gi`a date all’inizio) di tipo categoriale, pi`
u la definizione di isomorfismo naturale (una
trasformazione naturale dove ogni freccia `e un’isomorfismo).
16.1
Equivalenza di omologie
Teorema 16.1. Sia H 0 un funtore dalle coppie (K, L) come sopra alle successioni di gruppi abeliani che soddisfi le propriet`a date in 15.2. Se esiste
una trasformazione naturale ϕ : H → H 0 , dove H `e l’omologia simpliciale,
tale che per ogni punto p la mappa ϕ{p} sia un isomorfismo, allora ϕ `e un
isomorfismo.
38
39
Forse non `e necessario.
In realt`
a avevamo usato l’omologia ridotta.
64
Dimostrazione. Devo mostrare che ogni ϕ(K,P ) `e un isomorfismo. Supponiamo P = ∅ e procediamo per induzione sul numero #K di simplessi di K.
Se #K = 1, allora K = {p} e la tesi `e vera banalmente dalle ipotesi assunte.
Sia #K > 1 e sia σ ∈ K[n] , con n massimo. Per ogni m ho
...
Hm+1 (K, L)
Hm (L)
ϕ(K,L),m+1
...
0
Hm+1
(K, L)
Hm (K)
ϕL,n
Hm (K, L)
ϕ(K,L),m
ϕK,n
0 (L)
Hm
Hm−1 (L)
0 (K)
Hm
ϕL,m−1
0
Hm−1
(L)
0 (K, L)
Hm
...
...
Per ipotesi induttiva sono isomorfismi ϕL,m e ϕL,m−1 Per escissione ho
Hp (K, L) ∼
= Hp (σ, ∂σ) ∼
= Hp (∆n , ∂∆n ) ∼
= Hp (Dn , ∂Dn ) ∼
= Hp (S n−1 )
Dato che Hp (S n−1 ) ed Hp0 (S n−1 ) li abbiamo calcolati solo usando le propriet`a date in 15.2, ho Hp (S n−1 ) ∼
= Hp0 (S n−1 ). Inoltre, dato che ϕ commuta
40
con tutto , l’isomorfismo `e naturale, ovvero
ϕ(K,L),p : Hp (K, L) → Hp0 (K, L)
`e un isomorfismo. Quindi per P = ∅ concludiamo usando il Lemma 16.2
La conclusione nel caso P 6= ∅ segue dallo stesso Lemma applicato al
diagramma
...
Hn (P )
Hn (K)
Hn (K, P )
Hn−1 (P )
Hn−1 (K)
...
...
Hn0 (P )
Hn0 (K)
Hn0 (K, P )
0
Hn−1
(P )
0
Hn−1
(K)
...
Lemma 16.2 (5-lemma). Se abbiamo
A
i
α
A0
B
j
γ
β
i0
B0
k
C
j0
C0
D
e
ε
δ
k0
D0
E
e0
E0
con righe esatte e α, β, δ, ε isomorfismi, allora anche γ `e un isomorfismo.
40
Stiamo barando, mancano un bel po’ di dettagli.
65
Dimostrazione. Vediamo l’inettivit`a. Sia γ(c) = 0. Allora k 0 (γ(c)) = 0 e
quindi δ(κ(c)) = 0. Dato che δ `e iniettiva, k(c) = 0. Dunque c = j(b) e
γ(j(b)) = 0, perci`
o j 0 (β(b)) = 0 e β(b) = i0 (a0 ). Per surgettivit`a di α si
0
ha a = α(a). Dunque β(i(a)) = i0 (α(a)) = i0 (a0 ) = β(b), e dunque per
iniettivit`
a di β si ha b = i(a), da cui c = j(b) = j(i(a)) = 0.
Vediamo la surgettivit`a. Sia c0 ∈ C 0 . k 0 (c0 ) ∈ D0 , per surgettivit`a di δ
abbiamo k 0 (c0 ) = δ(d). Dunque e0 (k 0 (c0 )) = 0, e quindi e0 (δ(d)) = 0, da cui
ε(e(d)) = 0 e (per iniettivit`a di ε) e(d) = 0. Allora d = k(c) e k 0 (c0 − γ(c)) =
k 0 (c0 ) − δ(d) = 0, dunque k 0 (c0 − γ(c)) `e 0 e quindi c0 − γ(c) = j 0 (b0 ). Ora
per surgettivit`
a di β abbiamo b0 = β(b) e
γ(j(b)) = j 0 (β(b)) = j 0 (b0 ) = c − γ(c)
e quindi c0 = γ(c + j(b)).
16.2
Altre teorie omologiche
Usare direttamente l’omologia simpliciale a volte `e difficile, ad esempio
perch´e
Proposizione 16.3. La pi`
u piccola triangolazione del toro ha 14 triangoli.
Inoltre a volte potremmo voler usare i risultati per oggetti infinitodimensionali. Per questo vedremo altre teorie omologiche, tutte equivalenti
nel senso visto sopra.
Definizione 16.4. I ∆-complessi sono41 ∆n = Conv(e0 , . . . , en ) ⊂ Rn+1 .Indichiamo
inoltre con
(n)
ϕi : ∆n−1 → ∆n
l’identificazione tra ∆n−1 e la faccia di ∆n opposta al vertice ei , quindi
ej 7→ ej se j < i e ej 7→ ej+1 se j ≥ 1. L’ordinamento dei vertici `e fisso.
Definizione 16.5. Se X `e uno spazio topologico, chiamo struttura di ∆complesso su X una famiglia S = {σα | α ∈ A}, σα : ∆n(α) → X con
1. σα |int(∆n (α)) `e iniettiva
F
2. X = α∈A σα (int(∆n (α)))
(n(α))
3. σα ◦ ϕi
∈ S per ogni α ∈ A, i = 0, . . . , n(α)
4. Y ⊂ X `e aperto se e solo se σα−1 (Y ) `e aperto in ∆n(α) per ogni α.
Cio`e X `e espresso come unione disgiunta di simplessi aperti e l’embedding
di ciascun simplesso aperto astratto si estende al simplesso chiuso astratto;
su ogni singola faccia del bordo tale estensione ha un embedding, ma non
sul bordo intero (pi`
u conseguenza ordinamento che ora vedremo).
41
Proprio loro, non loro a meno di. . .
66
Esempio 16.6. Realizziamo il toro come unione di due triangoli (disegno42 ).
Gli estremi dei segmenti vanno nello stesso punto, quindi tutti gli embedding si estendono al bordo, ma non sono embedding sul bordo. Comunque
abbiamo solo 2 triangoli, non 14.
Un ∆-complesso `e il quoziente di
G
simplessi astratti
incollamenti indotti dalle σα
cio`e se x ∈ ∆n(α) e y ∈ ∆n(β) , allora x ∼ y se σα (x) = σβ (y). Inoltre in X
ogni simplesso aperto ha una ben definita orientazione derivante dall’ordinamento dei vertici in qualsiasi sua versione astratta, cio`e per qualunque σα
io usi di cui il simplesso `e nell’immagine.
(esempi via disegni)
Un complesso simpliciale finito diventa un ∆-complesso scegliendo su
ogni simplesso l’orientazione indotta da un ordinamento totale di tutti i vertici. Inoltre, se X ha una struttura di ∆-complesso finito, `e anche omeomorfo
a |K| per un qualche43 complesso simpliciale finito K.
Se X `e un ∆-complesso, in X sono definiti i simplessi; `e ben definita la
nozione di “un simplesso τ `e faccia di un simplesso η”: se esiste α, T, E ⊂
∆n(α) tale che T faccia di E e σα (τ ) = τ , σα (E) = η, allora ci`o accade per
ogni altro α tale che η ⊂ Im(α).
Proposizione 16.7. Ogni σα (∆n(α) ) `e chiuso (con A di cardinalit`a qualsiasi).
Dimostrazione. σβ−1 (σα (∆n(α) )) `e unione di facce di ∆n(β) `e se c’`e una faccia
ci sono le sue facce (ci`
o `e vero per σα ).
Definiamo le catene come il gruppo abeliano libero
Cn (X) = hσα | n(α) = ni
con
∂n = Cn (X) → Cn−1 (X)
∂n σ α =
n
X
(n)
(−1)i · σα ◦ ϕi
i=0
Si verifica che ∂n−1 ◦ ∂n = 0, e quindi `e ben definita un’omologia Hn∆ (X, Y ),
e che per (K, L) coppia di comploessi simpliciali finiti, Hn∆ (|K| , |L|) ∼
=
Hn (K, L), dove l’isomorfismo `e canonico. Per vedere questo non serve nemmeno passare alla verifica degli assiomi dati in 15.2, scelto un ordinamento
totale dei vertici di K si sceglie σ
˜ : ∆n → σ che rispetti l’orientazione.
42
43
Nel solito quadrato quozientato.
La dimostrazione si fa suddividendo.
67
17
19/11
17.1
Complessi simpliciali astratti
Definizione 17.1. Un complesso simpliciale astratto `e una coppia K =
(K [0] , F), dove K [0] `e un insieme e F ⊂ P(K [0] ) tale che
• Ogni σ ∈ F `e finito
• ∀v ∈ K [0] {v} ∈ F
• ∀σ ∈ F ∀τ ⊂ σ τ ∈ F
Poniamo inoltre
K [n] = {σ ∈ F | #σ = n + 1}
[
K (n) =
K [n]
i≤n
Definizione 17.2. La realizzazione geometrica |K| di un complesso simpliciale astratto K `e l’insieme delle funzioni α : K [0] → [0, 1] tali che
• v ∈ K [0] | α(v) 6= 0 ∈ F
P
•
v∈K [0] α(v) = 1
Mettiamo su |K| una distanza
1

d(α, β) = 
2
X
2
(α(v) − β(v))
v∈K [0]
e come topologia non quella indotta da d ma quella debole, cio`e
• Su ogni |σ| per σ ∈ F metto la topologia indotta da d (chiamo ancora
σ il sottocomplesso {τ ⊂ σ}
• Impongo che {|σ| | σ ∈ F} sia un ricoprimento fondamentale.
˜
Proposizione 17.3. Se K ⊂ RN `e un complesso simpliciale finito,
[0] sia K [0]
[0]
˜
l’associato complesso
simpliciale astratto (cio`ePK = F e F = σ | σ ∈ K ).
˜
Allora la mappa K → |K| che associa α 7→
e un omeomor[0] α(v) · v `
v∈K
fismo.
Dimostrazione. L’inversa `e data da: se p ∈ |K|, p ∈ int(σ) e σ = (w0 , . . . , wm ),
p = (t0 w0 + . . . , +tm wm ) (con ti > 0), mando
0 se v ∈ {w0 , . . . , wm }
p 7→ v 7→
ti
se v = wi
˜
Sia in |K| sia in K
i simplessi sono un ricoprimento chiuso finito (quindi
fondamentale) e si vede che |˜
σ | → |σ| `e un omeomorfismo.
68
Proposizione 17.4. Per ogni complesso simpliciale K, la sua realizzazione
geometrica |W | `e T444
Dimostrazione. I punti sono chiusi perch´e |σ| ∼
= Dn e in Dn i punti sono
chiusi e l’insieme dei |σ| ricopre. Per provare che `e T4 basta vedere che per
ogni chiuso C ⊂ |K| e f : C → [0, 1] continua esiste un’estensione continua
a K (questo `e sufficiente perch´e se A, B sono chiusi disgiunti sia C = A ∪ B,
f : C → [0, 1] che vale 0 su A e 1 su B. . . ). Basta definire l’estensione di
f ricorsivamente su K (n) . Per passare da K (n) a K (n+1) , tenendo conto
che la topologia `e quella debole, basta estendere f un simplesso alla volta:
abbiamo f gi`
a definita su ∂Dn e su un chiuso C ⊂ Dn , quindi l’estensione
esiste.
Proposizione 17.5. Sia K un complesso simpliciale astratto. Se C ⊂ |K|
`e compatto interseca un numero finito di simplessi.
Dimostrazione. Se K incontra un simplesso, incontra una faccia nella parte
interna, quindi basta mostrarlo per le parti interne. Per ogni σ tale che
C ∩ int(σ) 6= ∅ scelgo pσ ∈ C ∩ int(σ). Prendiamo poi come D la collezione
di tutti i pσ . Poich´e ogni τ ha un numero finito di facce, D ∩ τ `e finito,
e quindi tutti i punti di D sono aperti per la topologia indotta da |τ | su
D. Per definizione di topologia debole, la topologia indotta su D da K `e
discreta. Dato che D ⊂ C con C compatto, `e finito45 .
Corollario 17.6. |K| `e compatto se e solo se K `e finito.
Definizione 17.7. ϕ : K → H `e una mappa simpliciale se ϕ : k [0] → H [0] e
ϕ(σ ∈ H per ogni σ in K. Tale ϕ induce |ϕ| : |K| → |H|
(|ϕ| α)( |{z}
w )=
∈H [0]
X
α(v)
v∈K [0]
ϕ(v)=w
Per i complessi concreti `e la solita definizione (disegno).
Diamo ora l’omologia per questi complessi. Su ogni σ ∈ K [n] si fissa un
ordine a meno di permutazioni pari (per n = 0 sceglo il segno +). Definisco
Cn (K) = hK [n] i
(il gruppo abeliano libero generato da K [n] ). Le mappe di bordo sono
∂n |{z}
σ =
∈K [n]
44
45
X
ε(σ, τ ) · τ
τ ∈K [n−1]
τ ⊂σ
Intendiamo T1+T4.
Sottoinsiemi discreti chiusi di compatti sono finiti.
69
dove ε(σ, τ ) `e cos`ı definito: scelgo (v0 , . . . , vn ) ordine positivo di σ; suppongo
τ = {v0 , . . . , vbi , . . . , vn } e pongo
+1 se (v0 , . . . , vbi , . . . , vn ) `e pari
i
ε(σ, τ ) = (−1) ·
−1
altrimenti
Si dimostra per via algebrica che questa `e una buona definizione: bisogna
provare che se η `e una permutazione pari e i ∈ n + 1, allora la permutazione
β ottenuta rinumerando con 0, . . . , n − 1
d . . . , η(n)
η(0), . . . , η(i),
(−1)η(i)−i · sgn(β) = +1
Esercizio 17.8. ∂n−1 ◦ ∂n = 0.
Quindi posso definire l’omologia Hn (K) alla solita maniera. La definizione `e ovviamente quella gi`a vista per K finito. Per l’escissione bisogna
definire un sottocomplesso come un’unione chiusa di simplessi.
Questa definizione `e interessante perch´e non solo aumenta la gamma di
spazi trattabili, ma facilita il calcolo anche nel caso di complessi simpliciali
finiti.
17.2
cw-complessi e loro omologia
Definizione 17.9. L’attaccamento di una n-cella a uno spazio X `e definito
prendendo
n−1
g: S
| {z } → X
=∂Dn
e defininendo
n
X ∪g Dn = X t D y ∼ g(y)
Notiamo che g pu`
o non essere iniettiva.
Esempio 17.10. Se g : S n−1 → {p} e prendiamo {p} ∪g Dn , sto collassando
n
il bordo di Dn a un solo punto, quindi ottengo D S n−1 ∼
= Sn.
Definizione 17.11. Un cw-complesso (complesso cellulare) `e uno spazio
X ricorsivamente ottenuto da X (0) discreto dove X (n) `e ottenuta da X (n−1)
(n)
attaccando n-celle simultaneamente, cio`e ho delle gα : S n−1 → X (n−1) , per
α ∈ An (non necessariamente finito) e
[
X (n) = X (n−1)
∪g(n) Dn
α
α∈An
con la topologia debole:
X (n) | n ≥ 0 `e un ricoprimento fondamentale.
70
Osserviamo che K `e un complesso simpliciale (anche non finito), allora
|K| ha una naturale
struttura di cw-complesso. Per ogni σ ∈ K [n] ho
gσ : ∂Dn → K [n−1] omeomorfismo tra ∂Dn e ∂σ. realizzando Dn come ∆n
posso prendere un omeomorfismo simpliciale.
(n)
Inoltre, se X `e un cw-complesso e ogni gα `e simpliciale, allora X ha
una struttura di complesso simpliciale (suddividendo molto).
(n)
(n)
(n)
gα : S n−1 → X (n−1) si estende a Gα : Dn → X (n) e Gα |int(Dn ) `e un
omeomorfismo sull’immagine.
Definiamo ora l’omologia cellulare di un cw-complesso X. Prendiamo
Cn (X) = hgα(n) | α ∈ An
il gruppo abeliano libero generato dalle n-celle. Le mappe di bordo sono
X
(n−1)
(n−1)
d(gα(n) , gβ
) · gβ
∂n gα(n) =
β∈An−1
(1)
per n = 0 abbiamo ∂0 = 0, mentre per n = 1 definiamo ∂1 (gα ) =
(1)
(1)
+gα (+1) − gα (−1).
∂1 (gα(1) ) : ∂ |{z}
D1 → X [0]
={±1}
(n−1)
Per n > 1 chiamo Yα
omeomorfismo tale che
(n−1)
= X (n−1) \Gα
(n−1)
(int(Dn−1 )). Allora trovo Gα
(n−1)
Gα
Dn−1
π
X [n−1]
(n−1)
πα
Dn−1 n−2
S
(n−1)
Gα
X (n−1) (n−1)
Yn
n−1
ϕn−1
Inoltre ho l’omeomorfismo naturale D S n−2 −−−→ S n−1 che associa
Dn−1 3 x 7→ y =
x
∈ Rn−1
1 − kxk
Allora pongo
[n]
(n)
d(gβ , gα(n−1) )
= deg(S
n−1
gβ
−−→ X
−1
(n−1)
G
−−−−→ X
Y (n−1) −−α−−→
α
(n−1)
(n−1) πα
(n−1)
ϕn−1
Dn−1 n−2 −
−−→ S n−1 )
S
Il fatto di parlare di grado usa il fatto che Hn−1 `e gi`a definito su S n−1 e vale
Z.
71
cw ◦ ∂ cw = 0
Teorema 17.12. ∂n−1
n
Quindi `e definito Hncw .
Esempio 17.13. Se Σ `e una superficie, H2 (Σ) `e Z se Σ `e orientabile, 0
altrimenti (disegni).
3
Esempio 17.14. Prendiamo RP3 = D x ∼ −x e realizziamolo come cwcomplesso. Bastano una 0-cella P , una 1-cella α, una 2-cella R e una 3-cella
B (disegni)
Abbiamo ∂0 P = 0, ∂1 α = P − P = 0, ∂2 R = α + α = 2α, ∂3 B = R − R =
0. Dunque H0 = Z, H1 = Z2Z, H2 = 0 e H3 = Z. Questo `e molto pi`
u
veloce che mettere una struttura simpliciale sul proiettivo tridimensionale.
Esempio 17.15. Hn (S m ) segue dal fatto che S m si pu`o realizzare con una
0 cella ed una m-cella.
In realt`
a questo `e un imbroglio perch´e abbiamo usato l’omologia di S n
per definire l’omologia cellulare.
18
21/11
Ancora da TEXare.
19
19.1
26/11
Numero di Lefschetz
Questo numero `e in un certo senso un’estensione della carrateristica di
Eulero. Abbiamo visto che possiamo definire
χ(X) =
m
X
(−1)i rank(Hi (X))
i=0
e che questo coincide con
m
X
(−1)i #K [i]
i=0
Proposizione 19.1. Sia C = {(Cn , δn )} un complesso di catene di F-spazi
vettoriali e Hn (C) la sua omologia. Sia ϕ : C → C una mappa fra complessi
di catene e ϕ∗ : H(C) → H(C) la mappa indotta. Allora
N
X
i=0
(−1)i tr ϕi =
N
X
(−1)i tr(ϕ∗i )
i=0
72
Dimostrazione. Per ogni i abbiamo Bi ⊂ Zi ⊂ Ci . Scelgo Bi , Hi , Ki in
modo che la prima sia una base di Bi , l’unione delle prime due base di Zi e
l’unione di tutte e tre base di Ci in maniera che ∂i Ki = Bi−1 (parto da B0
base di B0 , estendo a B0 , H0 base di Z0 = C0 , sollevo B0 a K1 ⊂ C1 , sceglo
B1 base di B1 , completo a base di B1 , H1 base di Z1 , . . . Per costruzione
B1 , H1 , K1 `e base di C1 e procedo). Noto che Hi si proietta ad una base
H¯i di Hi . Poich´e ϕ : C → C `e una mappa fra complessi di catene ho che
ϕ(Bi ) ⊂ Bi e ϕ(Zi ) ⊂ Zi . Dunque la matrice che rappresenta ϕi rispetto
alla base (Bi , Hi , Ki ) sia in partenza che in arrivo `e triangolare superiore a
blocchi


Mi Xi Yi
(B ,H ,K )
[ϕi ](Bii ,Hii ,Kii )  0 Ni Wi 
0
0 Pi
¯
i
e [ϕ∗i ]H
= Ni . So che ϕi−1 ◦ ∂i = ∂i = ∂i ◦ ϕi e ∂i Ki = Bi−1 . Per definizione
H¯
i
i
di matrice associata [ϕi ]B
Bi = Mi significa ϕi · Bi = Bi · Mi . Analogamente
ϕi · Ki = Bi · Yi + Hi · Wi + Ki · Pi
e quindi si ha
∂i · ϕi · Ki = ϕi−1 · ∂i · Ki = ϕi−1 · Bi−1 = Bi−1 · Mi−1
sostituendo si ha
∂i · ϕi · Ki = ∂i (Bi Yi + Hi · Wi + Ki · Pi ) = 0 + 0 + Bi · Pi
e quindi Pi = Mi . Allora
X
X
X
(−1)1 tr(ϕi ) =
(−1)i (tr Mi + tr Ni + tr Pi ) =
(−1)i tr Ni = tr ϕ∗i
Definizione 19.2. Il numero di Lefschetz di ϕ : C → C `e
X
X
λ(phi) =
(−1)i tr ϕi =
(−1)i tr(ϕ∗i )
Osserviamo che χ(C) =
P
Id
(−1)i dim Hi (C), e quindi χ(C) = λ(C −→ C),
Id
infatti tr(C −→ C) = dim Ci . Se {(Cn , ∂n )} `e un complesso di gruppi abeliani
e ϕ : C → C `e una mappa fra complessi di catene, possiamo definire
tr(ϕi ) = tr(ϕi ⊗ IdQ : Ci ⊗ Q → Ci ⊗ Q)
Per ϕ∗i non `e cos`ı ovvio. Un’idea `e definire
tr(ϕ∗i ) = tr(ϕ∗i | Hi ⊗ Q )
73
oppure possiamo definire
tr(ϕ∗i ) = tr(ϕ∗i Q | HiQ con HiQ = Hi (C ⊗ Q))
In realt`
a le definizioni coincidono perch´e HiQ `e canonicamente isomorfo ad
Hi ⊗ Q. Dunque posso definire λ(ϕ) anche per gruppi abeliani e vale λ(ϕ) =
λ(ϕ∗ ).
Definizione 19.3. Se X = |K| e f : X → X `e continua posso definire λ(f )
come λ(ϕ) = λ(ϕ∗ ) con ϕ : K1 → K1 approssimazione simpliciale di f .
Questa `e una buona definizione perch´e λ(ϕ∗ ) `e ben definita e non cambia
a meno di omotopia di ϕ.
Teorema 19.4 (del punto fisso di Lefschetz). Se X = |K| con K complesso
simplicicale finito e f : X → X `e continua con λ(f ) 6= 0, allora f ha un
punto fisso.
Osserviamo che l’insieme dei punti fissi Fix(f ) cambia omotopando f ,
mentre λ(f ) no. Il fatto che Fix(f ) 6= ∅ quindi comunque non cambia a
meno di omotopia.
Servir`
a del lavoro preliminare per dimostrare questo Teorema.
Lemma 19.5. Se f : K → K `e simpliciale, sostituendo K con K 0 (la prima
suddivisione baricentrica) si ha che Fix(f ) `e un sottocomplesso.
Dimostrazione. Basta provare che per qualunque σ ∈ K si ha che Fix(f ) ∩ σ
`e un sottocomplesso di K 0 . Quindi guardiamo f : σ → K. Se v ∈ σ [0] e
f (v) ∈
/ σ [0] , allora Fix ⊂ τ dove τ `e la faccia di σ opposta a v. Dunque al
posto di σ prendo τ e itero finch´e non trovo f (σ) ⊂ σ. Se f (σ) `e una faccia
propria di σ ho che Fix(f ) ⊂ f (σ). Sostituisco σ con f (σ) e itero finch´e non
ottengo f (σ) = σ. Dunque f `e indotta da una permutazione η dei vertici di
σ. Se σ = Conv(v0 , . . . , vn ), allora
( n
)
X
X
Fix(f ) =
ti vi ti ≥ 0,
ti = 1, tη(i) = ti
i=0
Per concludere basta vedere che ogni equazione ti = tj definisce un sottocomplesso di σ 0 (disegno). Si mostra per induzione su dim(σ) usando che,
posto Lij (σ) = {p ∈ σ | ti (p) = tj (p)},
S
1. Lij (σ) `e il cono dal baricentro di σ su τ ⊂∂σ Lij (τ ).
2. “Lij (τ ) `e τ se vi e vj non sono vertici di τ ; `e Lij (τ ) altrimenti.” (Le
virgolette ci sono perch´e cos`ı non `e che si capisca molto, ci sarebbe da
sistemare i dettagli.)
74
Lemma 19.6. Se Fix(f ) `e un sottocomplesso di K (f : K → K simpliciale)
e f (σ) = σ, allora σ ⊂ Fix(f ).
Dimostrazione. Il baricentro di σ `e fisso e il simplesso che lo contiene al suo
interno e proprio σ, quindi σ `e fisso.
Lemma 19.7. Se f : K → K `e simpliciale e Fix(f ) `e un sottocomplesso,
allora λ(f ∗ ) = χ(Fix(f )).
Dunque se λ(f ∗ ) 6= ∅ allora Fix(f ) 6= ∅.
Dimostrazione. λ(f ∗ ) posso calcolarlo al livello delle catene, e a questo livello sulle diagonali ho entrata non nulla per ogni σ ∈ K tale che f (σ) = +σ
(f|σ = Id). Per fi sulal diagonale ho tante entrate +1 quanti σ ∈ K [n] sono
in Fix(f ), e da qui segue la tesi.
Dimostriamo ora il Teorema.
Dimostrazione. Sia f : |K| → |K| continua con λ(f ) 6= 0. Sia per assurdo Fix(f ) = ∅; posso trovare ε > 0 tale che per ogni x ∈ |K| si abbia
d(x, f (x)) ≥ ε. Prendo K1 suddivisione con maxdiam(K1 ) < 2ε , e K2 suddivisione con g : K2 → K1 approssimazione simpliciale di f , dunque per ogni
x ∈ |K| si ha d(f (x), g(x)) < 2ε .
Scorciatoia46 (sbagliata): λ(g) = λ(f ) 6= 0, quindi per il Lemma precedente g ha punti fissi, ma questo `e assurdo perch´e d(x, g(x)) ≥ d(f (x), x) −
d(g(x), f (x)) ≥ ε − 2ε = 2ε . Purtroppo questo non funziona perch´e non possiamo applicare il Lemma, dato che g `e simpliciale K2 → K1 , non K2 → K2 .
Comunque `e vero che λ `e invariante a meno di omotopia.
Ora concludiamo la dimostrazione: sia α : C(K1 ) → C(K2 ) espressione
di ogni simplesso di K1 come somma di simplessi di K2 , che induce l’isomorfismo canonico in omologia. Inoltre ho g ∗ : C(K2 ) → C(K1 ), e quindi
α ◦ g ∗ : C(K2 ) → C(K2 ). λ(α ◦ g ∗ ) = λ(g) = λ(f ) 6= 0. Dunque deve esistere
almeno un simplesso σ di K2 che ha coefficiente non nullo in α(g(σ)). Ma
allora σ ⊂ g(σ) e otteniamo un assurdo come prima.
19.2
Omologia singolare
Dalla definizione che daremo non `e chiaro che quest’omologia (che `e pi`
u
generale) sia calcolabile. In realt`
a lo `e a posteriori dopo aver visto che `e
equivalente a quella simpliciale.
(n)
Definiamo ∆n = Conv(e0 , . . . , en ) ⊂ Rn+1 e ϕ1 : ∆n−1 → ∆n la “parametrizzazione ovvia tramite le ∆n−1 della faccia di ∆n opposta ad ei ”,
cio`e
(e0 , . . . , en−1 ) 7→ (e0 , . . . , eˆi , . . . , en )
46
E non `e chiaro cosa abbiamo visto a fare l’ultimo Lemma, visto che dopo non si usa.
75
cio`e
(n)
ϕi (ej )
=
ej
j<i
ej+1 j ≥ i
i = 0, . . . , n
Chiamo n-simplesso sinbolare in X spazio topologico una σ : ∆n → X continua. Inoltre definisco le n-catene singolari Cnsing (X) come il gruppo abeliano
libero generato dagli n-simplessi singolari
( k
)
X
sing
Cn (X) =
pi · σi | pi ∈ Z, σi : ∆i → X continua
i=1
e l’operatore di bordo
∂n σ =
n
X
(n)
(−1)i σ ◦ ϕi
i=0
Se X = |K| e σ `e una parametrizzazione pl di un n-simplesso in K, allora
∂n σ d`
a una parametrizzazione di ∂τ . Segue facilmente che ∂n−1 ◦ ∂n = 0.
Dunque ho Hnsing (X), che per`o vista cos`ı non `e chiaro come calcolare.
Osserviamo che Hnsing (X) ∼
= Hn∆ (S(X)), dove
G
(σ)
∆n(σ)
S(X) =
∼
σ : ∆n →X
n∈Z
(n(σ i ))
dove ∼ `e generata da p ∼ q se p ∈ ∆τn(τ ) , q ∈ ∆σn(σ) e τ = σ ◦ ϕi
q
e
(n(σ))
= ϕi
(p).
Sia z ∈ Znsing (X).
P
Abbiamo z = ki=1 pi σi , dove σi : ∆n → X conitnua.
Sostituendo pi · σi con ±(σi + . . . + σi ) possiamo supporre pi = ±1. Ora
{z
}
|
|pi | volte
∂z = 0 significa che per ogni i ∈ {1, . . . , k} e per ogni j ∈ n + 1 esistono
i0 ∈ {i, . . . , k} e j 0 ∈ n + 1 tali che
(n)
σi ◦ ϕj
(n)
= σi0 ◦ ϕj 0
(6)
F
0
(i)
e pi · (−1)j + pi0 · (−1)j = 0. Posso prendere ki=1 ∆n mettendo su ∆n
l’orientazione (−1)i volte quella canonica e identificare tra loro a coppie le
n−1 facceFusando la relazione 6. Tali identificazioni invertono le orientazioni
indotte e ki=0 σi passa al quoziente.
Dunque una n-catena fornisce una mappa continua da uno spazio del
tipo
G
n-simplessi orientati
identificazioni a coppie delle n − 1-facce che invertono l’orientazione
a X. Lo spazio in partenza `e “quasi” una n-variet`a orientata, con singolarit`a
solo in codimensione almeno 2. In realt`a per n = 2 (disegno) e
76
Esercizio 19.8. Le singolarit`
a sono in codimensione ≥ 3.
Dunque un 1-ciclo posso vederlo come una mappa da un’unione disgiunta
di circonferenze in X, un 2-ciclo come una mappa da una superficie orientata
in X e in generale un n-ciclo `e una mappa da M a X, dove M `e una n-variet`a
orientata con singolarit`
a in codimensione almeno 3.
20
28/11
Analogamente a quanto fatto l’ultima volta, possiamo vedere che z ∈ Zn
`e in Bn se e solo se la mappa M (n) → X si estende a W (n+1) → X con
∂W = M . Questo `e vero, per`
o anche W non `e una “vera” variet`a, ma ha
singolarit`
a. Questo `e vero in senso stretto per n = 2 per quanto visto l’altra
volta (disegno). Dunque un laccio `e nullo in omologia se si estende ad una
superficie di cui il laccio `e bordo. In omotopia avevamo che un laccio era
nullo se si estendeva al disco.
20.1
Propriet`
a dell’omologia singolare
Alcune cose sono fatte in dettaglio sull’Hatcher, quindi non vedremo i
dettagli
Proposizione 20.1. L’omologia singolare ha le seguenti propriet`a:
1. Hn (X1 t X2 ) ∼
u in generale
= Hn (X1 ) ⊕ Hn (X2 ). Pi`
Hn (X) ∼
=
M
Hn (Xα )
Xα componente connessa
2. H0 (X) ∼
= Z se X `e connesso per archi.
Z
n=0
3. Hn ({p}) =
0 altrimenti
4. Omologia ridotta:
˜ n (X) =
H
Hn (X)
n >P
0
P
Ker (H0 (X) 3 [ ni xi ] 7→ ni ∈ Z)
`e l’omologia del complesso
aumentato ottenuto da {(Cn , ∂n )}
P di cateneP
ponendo C−1 = Z e ∂0 ( ni xi ) = ni .
5. Se f : X → Y `e continua, allora f# : C(X) → C(Y ) definita come
f#n (σ) = f ◦ σ
σ
f
∆n −
→X−
→Y
77
Dimostrazione.
3. Prendo
3 0
2 Id
1 0
−1
C ... → Z →
− Z −→ Z →
−→ 0
E i quozienti tornano come devono tornare.
` immediamo vedere che f# `e una mappa tra complessi di catene
5. E
σnY ◦ f#n = f#(n−1) ◦ ∂nX
e quindi induce f∗ : Hn (X) → Hn (Y ).
Teorema 20.2. Se f0∗ ' f1∗ , allora f0∗ = f1∗ .
Per dimostrarlo bisogno introdurre un po’ di concetti.
Definizione 20.3. Siano C, D complessi di catene e ϕ, ψ : C → D mappe
tra complessi di catene. Dico che ϕ ' ψ (dico che sono omotope) se per ogni
n esiste Pn : Cn → Dn+1 tale che
...
Cn+1
ϕn+1 − ψn+1
...
Dn+1
C
∂n+1
Pn
D
∂n+1
Cn
ϕn − ψn
Dn
C
∂n
Pn
1
−
C
∂n
Cn−1
...
ϕn−1 − ψn−1
Dn−1
...
D ◦P .
vale ϕn − ψn = Pn−1 ◦ ∂nC + ∂n+1
n
Lemma 20.4. Se ϕ ' ψ, allora ϕ∗ = ψ∗ .
Dimostrazione. Sia z ∈ Zn (C). Allora
ϕn∗ ([z])−ψn∗ ([z]) = [ϕn (z)]−[ψn (z)] = [(ϕn −ψn )(z)] = [Pn−1 ◦∂nC +. . .] = 0
Per provare il Teorema mostriamo che f0# ' f1# . Come ipotesi abbiamo
l’esistenza di F : X × [0, 1] → Y tale che F (x, 0) = f0 (x) e F (x, 1) = f1 (x).
Y
L’idea `e cercare Pn : Cn (X) → Cn+1 (T ) tale che f1# − f0# = ∂n+1
◦ Pn +
X
Pn−1 ◦ ∂n ; esprimere ∆n × [0, 1] come unione di n + 1 (n + 1)-simplessi
P
(n)
parametrizzati da ψi , i = 0, . . . , n+1 come (disegno) Facendo (−1)1 ψ (n)
78
le facce interne e ∆n ×[0, 1] si cancellano: resta ∆n ×{1}−∆n ×{0}+∂∆n ×
[0, 1]. Porremo
Pn (σ) = F ◦ (σ × Id[0,1] ) ·
X
(n)
(−1)i ψi
da cui
Y
∂n+1
Pn (σ) = f1# (σ) − f0# (σ) + Pn−1 (∂nX σ)
Nei dettagli:
Dimostrazione. ∂n σ0
(n)
ϕi :
Pn
1
i=0 (−1) σ
∆n−1 →
(n)
◦ ϕi
(n)
∆n , ϕi (ej )
=
ej
j<i
ej+1 j ≤ i
che `e la parametrizzazione ovvia della faccia di ∆n opposta ad ei . Ora
definisco
(n)
ψi : ∆n+1 → ∆n × [0, 1]
i = 0, . . . , n
come
(
(n)
ψi (ej )
=
ej
(0)
j ≤n−1
(1)
ej−1
j >n−1
Cio`e prendo tutti i vertici ad altezza 0 fino all’(n − i)-esimo, poi l’(n − i)esimo ad altezza 1 e continuo ad altezza 1 (questa era la roba che stava nel
disegno). Pongo
n
X
Pn (σ) =
(n)
(−1)n+1 F ◦ (σ × Id[0,1] ) ◦ ψi
i=0
(l’Hatcher mette −1 invece di (−1)n+1 , ma dovrebbe servire, o forse no;
Y
andrebbe ricontrollato tutto). Claim: Pn−1 ◦ ∂nX + ∂n+1
◦ Pn = f1# − f0# ,
da cui segue la tesi. Si ha
(n)
ψi
(n+1)
◦ ϕn−i
(n)
(n+1)
= ψi+1 ◦ ϕn−i
(informalmente, le facce di mezzo si cancellano facendo il bordo), perch´e
(n+1)
(n)
ϕn−i “salta” il vertice n − i, mentre ψi ripete n − 1 sia ad altezza 0 che
(n)
1 (dove prima erano tutti a 0 e dopo tutti ad 1), e ψi+1 fa lo stesso con
n − i − 1. Analogamente (per esercizio)
(n)
(n+1)
ψ0 ◦ ϕn+1 = Id∆n × {0}
e
(n+1)
ψn(n) ◦ ϕ0
= Id∆n × {1}
79
Informalmente, cio`e, facendo il bordo restano le basi ∆n × {1} − ∆n × set0.
Y
∂n+1
(Pn (σ))
n n+1
X
X
(n) (n+1)
=
(−1)n+1+j F ◦ (σ × Id[0,1] ◦ψi ψj
i=0 j=0
(disegno) Si trova
Y
(Pn (σ)) = f1# (σ)−f0# (σ)+
∂n+1
X
(n)
(n+1)
(−1)n+i+j F ◦(σ×Id[0,1] ◦ψi ◦ϕj
i+j<n
i+j>n+1
Devovedere che la somma `e Pn−1 (∂nX σ). Claim:
(
(n)
(n−1)
(ϕj × Id[0,1] ◦ψi
i+j <n
(n)
(n+1)
ψi ◦ ϕj
=
non ho fatto in tempo a copiare i + j ≥ n
che segue dalle definizioni con un po’ di conti. Dunque l’ultimo addendo `e
X
X
(n)
(n−1)
(n)
(n−1)
(−1)n+i+j F ◦(σ×Id[0,1] )◦(ϕj ×Id[0,1] )◦ψi
+
F ◦(σ×Id[0,1] )◦(ϕj−1 ×Id[0,1] )◦ψi−1
i+j<n
i+j>n+1
ponendo i = h + 1, j = k + 1 e poi richiamando h “i” e chiamando k “j”,
trovo l’uguaglianza con
X
X
(n)
(n−1)
(n)
(n−1)
(−1)n+i+j F ◦((σ◦ϕj )×Id[0,1] )◦ψi
+
(−1)n+i+j F ◦((σ◦ϕj )×Id[0,1] )◦ψi
i+j<n
i+j≥n
che `e uguale a


n
X
(n)
Pn−1  (−1)j σ ◦ ϕj  = Pn−1 (∂nX (σ))
j=0
20.2
Omologia singolare relativa
Posso porre Cn (X, A) = Cn (X)C (A), che non `e molto chiaro chi sia ma
n
ha perfettamente senso e ne segue facilmente che, dato che ∂n σ ∈ Cn−1 (A)
(X,A)
(X,A)
(X,A)
per σ ∈ Cn (A), abbiamo ∂n
: Cn (X, A) → Cn−1 (X, A) e ∂n−1 ◦∂n
=
0, e quindi abbiamo gli Hn (X, A). Sempre per costruzione abbiamo la
successione esatta corta
0 → C(A) → C(X) → C(X, A) → 0
da cui abbiamo la successione esatta lunga per omologia singolare
i∗
j∗
d
n
. . . → Hn (A) −
→ Hn (X) −→ Hn (X, A) −→
Hn−1 (A) → . . .
dove i : A ,→ X e j : (X, ∅) ,→ (X, A) sono le inclusioni. Diamo ora un’interpretazione geometrica di dn .
80
Proposizione 20.5. Posto
Zn0 (X, A) = {z ∈ Cn (X) | ∂n z ∈ Cn−1 (A)}
e
Bn0 (X, A) = {d + ∂n+1 e | d ∈ Cn (A), e ∈ Cn+1 (X)}
0
si ha Hn (X, A) ∼
= Zn (X, A)B 0 (X, A).
n
Z0
Usando B 0 come definizione di Hn (X, A), l’operatore dn : Hn (X, A) →
Hn−1 (A) `e quello che mappa [z] 7→ [∂z]. Dimostriamo la Proposizione
Dimostrazione. Chiamo qn : Cn (X) → Cn (X, A) = Cn (X)C (A) la proien
zione. Considero
∂n(X,A) : Cn (X, A) → Cn−1 (X, A)
∂n(X,A) (qn (c)) = qn−1 (∂nX (c))
Definiamo ψn : Hn0 (X, A) → Hn (X, A) come [c]0 7→ [qn (c)]. Vediamo che `e
ben definita `e che `e un ismorfismo. Per la buona definizione serve vedere
(X,A)
che ∂n
qn (c) = 0. Ma
∂n(X,A) qn (c) = qn−1 (∂nX (c)) ∈ Cn−1 (A)
X e, con d ∈ C (A), e ∈ C
e quindi `e 0. Serve anche che se c = d + ∂n+1
n
n+1 (X),
allora
X
X
[qn (c)] = [qn (d + ∂n+1
e)] = [qn (d) +qn (∂n+1
(e))] = 0
| {z }
=0
X (e)), quinVediamo l’iniettivit`
a. Se qn (c) ∈ Bn (X, A), allora qn (c) = qn (∂n+1
X
x
di qn (c−∂n+1 e) = 0, e dunque c−∂n+1 e = d ∈ Cn (A). Per la surgettivit`a, se
(X,A)
prendo una n-catena in (X, A), cio`e ∂n+1 qn (c) = 0, allora qn−1 (∂nX c) = 0,
e quindi ∂nX c ∈ Cn−1 (A). Questo vuol dire che c ∈ Zn0 e [qn (c)] `e l’immagine
di [c]0 .
Osserviamo che se f0 , f1 : (X, A) → (Y, B) e sono omotope come mappe
(X, A) → (Y, B), allora PnX : Cn (X) → Cn+1 (Y ) manda Cn (A) in Cn+1 (B)
(X,A)
e induce Pn
: Cn (X, A) → Cn+1 (Y, B), che prova che f0# ' f1# , dunque
f0∗ = f1∗ : H(X, A) → H(Y, B).
20.3
Escissione
Ci manca ancora l’escissione. Nel caso topologico servono ipotesi pi`
u
precise che nel caso simpliciale (dove chiedevamo che i “pezzi” fossero sottocomplessi).
Teorema 20.6. Sia X uno spazio topologico, Z ⊂ A ⊂ X con Z¯ ⊂ int(A).
Allora l’inclusione (X\Z, A\Z) ,→ (X, A) induce un isomorfismo in omologia
∼
=
Hn (X \ Z, A \ Z) −
→ Hn (X, A).
81
Non facciamo in tempo a dimostrarlo oggi, ma l’idea del perch´e dall’escissione topologica segue quella simpliciale `e prendere degli intorni regolari
e usare anche l’omotopia.
21
03/12
La settimana prossima non c’`e lezione il gioved`ı (12).
21.1
Escissione in omologia singolare
Vediamo la dimostrazione dell’ultimo Teorema enunciato l’ultima volta.
Non vedremo tutti i dettagli, ci sono sull’Hatcher. In ogni caso segue dal
Teorema che
Corollario 21.1. Nel caso dell’escissione simpliciale, se A = U (T ), Z =
T \ Y , allora (X, A) si retrae per deformazione su (X, T ) e (W, A \ (T \ Y ))
si retrae per deformazione su (W, Y ) (disegno). Inoltre Z ⊂ T ⊂ int(A).
Allora
∼
Hn (X, T ) |{z}
= Hn (X, A)
omotopia
∼
=
|{z}
escissionesingolare
∼
Hn (X \ (T \ Y ), A\(T \Y )) |{z}
= Hn (W, Y )
|
{z
}
W
omotopia
E quindi l’omologia singolare per complessi simpliciali coincide con quella
simpliciale.
Proposizione 21.2. Se U `e un ricoprimento aperto di X e
nX
o
CnU (X) =
pi σi | ∀i∃U ∈ U Im(σi ) ⊂ U
l’inclusione i : CnU (X) → Cn (X) `e un’equivalenza di omotopia nel senso dei
complessi di catene, cio`e esiste ρ : Cn (X) → CnU (X) tale che ρ ◦ i ' IdC U (X)
()
(¸
)
e i ◦ ρ ' IdC(X) , quindi esiste l’operatore “prisma” Cn U → Cn+1 U .
Osserviamo che la proposizione vale anche se U non `e un ricoprimento
aperto, ma le sue parti interne coprono.
Dimostrazione. La dimostrazione `e in pi`
u passi
1. Suddivisione baricentrica: se τ = Conv(w0 , . . . , wk ) `e un simplesso,
1
pongo τˆ = k+1
(w0 , . . . , wk ) (baricentro). Se σ `e un simplesso σ =
(v0 , . . . , vn ) chiamo suddivisione baricentrica
σ 0 = {Conv(ˆ
σ0 , . . . , σ
ˆk ) | σ0 ⊂ . . . , ⊂ σk facce di σ, dim(σj ) = j}
Ponendo il diametro di un complesso come il massimo diametro dei
n
suoi simplessi, facciamo il seguente claim: diam(σ 0 ) ≤ n+1
· diam(σ).
82
Si mostra per induzione. Se (ˆ
σ0 , . . . , σ
ˆk ) ∈ σ 0 , se k < n `e contenutonel
n
bordo ∂σ e posso applicare l’ipotesi induttiva e n−1
n < n+1 . Altrimenti,
se k = n, senza perdita di generalit`a posso supporre σ0 = v0 , ed
`e facile vedere che diam(ˆ
σ0 , . . . , σ
ˆn ) = dist(v0 , σn ). Ora pongo p =
1
(v
+
.
.
.
+
v
)
(il
baricentro
della
faccia opposta). Si ha
n
n 1
1
n
· v0 +
·p
n+1
n+1
e v0 , σ
ˆ , p sono allineati, quindi
n
n
diam(v0 , . . . , σ
ˆ ) = d(v0 , σ
ˆ) =
d(v0 , p) ≤
diam(σ)
n+1
n+1
σ
ˆ=
Dunque limk→∞ diam(σ (k) ) = 0.
2. Operatori:
P
• Dn = ni=0 ηi , dove ηi : ∆n → ∆n ottenute esprimento ∆n come
ˆ n.
unione dei coni su ∂∆n con vertice ∆
P
• En =
εi , dove εi : ∆n+1 → ∆n ottenute esprimento ∆n × [0, 1]
come unione dei coni su (∆n × {0}) ∪ (∂∆n × [0, 1]) con vertice
ˆ n × {1} e poi proiettando su ∆n (disegno).
∆
• Sn : Cn (X) → Cn (X) data da Sn (σ) = σ ◦ Dn .
• Tn : Cn (X) → Cn+1 (X) definita come Tn (σ) = σ ◦ En .
` facile vedere che S `e una mappa di catene e T `e omotopia fra IdC (x)
E
n
e Sn . Dunque ∂n+1 ◦ Tn + Tn−1 ◦ ∂n = IdCn (X) −Sn . Ora considero
l’iterata Snk e pongo
k−1
X
Rn(k) =
Tn ◦ Snh
h=0
Questa `e un’omotopia fra IdCn (X) ed Snk , perch´e
(k)
∂n+1 ◦ Rn(k) + Rn−1 ◦ ∂n = ∂n+1 ◦
k−1
X
Tn ◦ Snh +
h=0
=
=
k−1
X
h=0
k−1
X
k−1
X
Tn−1 ◦ Snh ◦ ∂n
h=0
(∂n+1 ◦ Tn ◦ Snh + Tn−1 ◦ ∂n ◦ Snh )
(IdCn (X) −Sn ) ◦ Snh = IdCn (X) −Snk
h=0
3. Conclusione: per ogni σ : ∆n → X sia k(σ) il minimo intero tale
k(σ)
che Sn ∈ CnU (X) (esistenza: usare numero di Lebesgue di σ −1 (U)).
k(σ)
Definisco Rn : Cn (X) → Cn+1 (X) estendendo Rn (σ) = Rn (σ). Ho
(k(σ))
∂n+1 ◦ Rn(k(σ)) σ + Rn−1 ◦ ∂n (σ) = σ − Snk(σ) (σ)
83
sommo e sottraggo Rn−1 ◦ ∂n (σ): trovo
(k(σ))
∂n+1 ◦Rn (σ)+Rn−1 ◦∂n (σ) = σ−(Snk(σ) σ + Rn−1 ◦ ∂n σ − Rn−1 ◦ ∂n σ )
|
{z
}
ρn (σ)
` facile vedere che se τ ⊂ σ (nel senso che τ `e σ ristretto ad una
E
faccia di ∆n ), allora k(τ ) ≤ k(σ), da cui ρn (σ) ∈ Cn U(X), e abbiamo
ρn : Cn (X) → CnU (X). Per definizione
∂n+1 ◦ Rn + Rn−1 ◦ ∂n = IdCn (X) −in ◦ ρn
mentre ρn ◦ in = IdCnU (X) , e questa ρn `e quella che ci d`a l’omotopia.
Dimostriamo ora l’escissione
Dimostrazione. Sia Z ⊂ int(A). Posto B = X \ Z, ci`o equivale a X =
int(A) ∪ int(B). Vogliamo mostrare che (B, A ∩ B) ,→ (X, A) induce isomorfismi in omologia. Applico la Proposizione precedente a U = (A, B). Ora
Cn (A) = CnU (A) e Cn (B) = CnU (B) e abbiamo ∂n+1 ◦ Rn + Rn−1 ◦ ∂n =
IdCn (X) −in ◦ ρn e ρn ◦ in = IdCnU (X) e tutte le mappe coinvolte mandano
Cn (A) in Cn (A), quindi posso quozientare rispetto a Cn (A), da cui
CnU (X)
Cn (X)
→
Cn (A)
Cn (A)
induce isomorfismi in omologia. Inoltre Cn (A)
Hn (X, A), e
U
Cn (B)
ϕ C (X)
−
→ n
Cn (A ∩ B)
Cn (A)
`e un isomorfismo:
ϕ(z + Cn (A ∩ B)) = z + Cn (A)
Se w ∈ CnU (X), allora w = wA + wB rispettivamente in Cn (A) e Cn (B) e
abbiamo ϕ(w + Cn (A))?wB + Cn (A ∩ B). Dunque Hn (B, A ∩ B) ∼
= Hn (X, A)
con mappe indotte dall’inclusione.
21.2
Omologia con coefficienti in un gruppo
Finora abbiamo usato i coefficienti in Z. Possiamo modificare qualsiasi
teoria omologica ponendo
( k
)
X
Cn (X, A; G) =
gi σi | gi ∈ G, σi n-simplesso (o n-cella)
i=1
84
questo `e isomorfo a
Cn (X, A) ⊗ G
Le mappe di bordo sono
∂nG : Cn (X, A; G) → Cn−1 (X, A; G)
X
X
∂nG (
gi σi ) =
gi (∂n σ)
G ◦ ∂ G = 0. Dunovvero ∂nG corrisponde a IdG ⊗∂n . Ne segue subito che ∂n−1
n
que ho Hn (X, A; G). Per come abbiamo definito le cose possiamo chiederci
se
Hn (X, A; G) ∼
= Hn (X, A) ⊗ G
La risponsta `e no: possiamo prendere una realizzazione cellulare di P2 (R)
(disegno). Abbiamo ∂0 p = 0, ∂1 α = 0, ∂2 R = 2α. L’omologia a coefficienti
in Z `e H1 = Z2Z, H0 = Z e il resto sono nulli. Se invece prendo i coefficienti
Z
Z
Z
in Z2Z abbiamo ∂0 2Z p = 0, ∂1 2Z α = 0, ∂2 2Z R = 0. Si vede che H2 =
H1 = H0 = Z2Z. Pi`
u in generale
Esempio 21.3. Se M (n) `e una variet`a non orientabile, Hn (M ) = 0, mentre
P
Hn (M ; Z2Z) = Z2Z ed `e canonicamente generato da σ∈K [n] σ dove |K| =
M.
Osserviamo che se M (n) , N (n) sono variet`a, `e definito deg2 (f : M →
N ) ∈ Z2Z. Vedremo in seguito che
Teorema 21.4 (dei coefficienti universali). H∗ (X, A) determina H∗ (X, A; G)
(nel senso che tutta la successione determina tutta la successione).
Definizione 21.5. G⊗H `e il gruppo generato dai singoli g ⊗h con relazioni
di bilinearit`
a.
Osserviamo che G ⊗ Z ∼
= G, secondo la mappa g 7→ g ⊗ 1, e che G ⊗
Z
G
∼
,
secondo
g
⊗ [1] 7→ [g]. Inoltre ZkZ ⊗ ZhZ = Z[k, h]Z,
=
m·G
mZ
dove [k, h] `e il minimo comune multiplo di k e h.
Definizione 21.6. La risoluzione libera di G abeliano `e una successione
esatta
i
0→K→
− F →G→0
con F , K liberi47
(cio`e realizzare G come quoziente di due gruppi liberi). Ricordiamo che
F `e libero se `e isomorfo a ZX per qualche X, e che sottogruppi liberi di
gruppi liberi sono liberi.
47
Si intende abeliani liberi.
85
i
Definizione 21.7. Se 0 → K →
− F → A → 0 `e una risoluzione libera di G
e B `e un gruppo abeliano, definiamo
Tor(A, B) = Ker(i ⊗ IdB )
dove
i⊗Id
B
K ⊗ B −−−−→
F ⊗B
` una buona definizione perch´e Tor(A, B) ∼
E
= Tor(B, A).
β
α
β⊗Id
α⊗Id
F
F
Se A −
→B−
→ C `e esatta e F `e libero, allora A ⊗ F −−−−→
B ⊗ F −−−−→
C ⊗ F `e esatta, perch´e se F = Z, si ha G ⊗ Z = G, dove G ∈ {A, B, C}, e
quindi α ⊗ IdZ = α e similmente per β. Altrimenti uso che G ⊗ (F1 ⊕ F2 ) =
(G ⊗ F1 ) ⊕ (G ⊗ F2 ). Mostriamo che Tor(A, B) ∼
= Tor(B, A).
Dimostrazione. Prendo risoluzioni libere
i
0→K→
− F →A→0
e
i
0→H→
− G→B→0
Abbiamo le successioni esatte (perch´e i gruppi sono liberi)
0→K ⊗H →F ⊗H →A⊗H →0
0→K ⊗G→F ⊗G→A⊗G→0
mentre dato che che A pu`o non essere libero mi devo fermare a
K ⊗B →F ⊗B →A⊗B →0
0
0
0
K ⊗H
F ⊗H
A⊗H
0
0
K ⊗G
F ⊗G
A⊗G
0
K ⊗B
F ⊗B
A⊗B
0
0
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(manca fine dimostrazione via diagram chasing, guardare appunto Petronio).
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