Hilbert - Dipartimento di Matematica

IAS: osservazioni su alcuni
spazi astratti
Eugenio Montefusco
1 Spazi metrici
Definizione. Uno spazio metrico è una coppia (X , d ) tale che X è un insieme
non vuoto (i cui elementi saranno chiamati punti), mentre d : X × X −→ ’ è una
funzione chiamata metrica o distanza tale che
i. d (x, y) ≥ 0 per ogni x, y ∈ X e d (x, y) = 0 se e solo se x = y,
ii. d (x, y) = d (y, x) per ogni x, y ∈ X ,
iii. d (x, y) ≤ d (x, z) + d (z, y) per ogni x, y, z ∈ X
La proprietà iii è usualmente chiamata disuguaglianza triangolare.
Dato x 0 ∈ X e r > 0 chiameremo intorno sferico o palla di centro x 0 e raggio r
l’insieme
B (x 0 , r ) = {x ∈ X : d (x, x 0 ) < r }
Definizione. Un insieme A ⊆ X sarà detto aperto se per ogni x ∈ A esiste un
intorno sferico B ⊆ A. Un insieme E sarà detto chiuso se il suo complementare
in X è aperto.
Osservazione 1.1 Si ricordi che
i. l’unione di una famiglia qualsiasi di aperti è un aperto, mentre solo l’intersezione di un numero finito di aperti è un aperto,
ii. l’intersezione di una famiglia qualsiasi di chiusi è un chiuso, mentre l’unione di un numero finito di chiusi è un chiuso,
iii. un insieme è chiuso se e solo se contiene tutti i suoi punti di accumulazione.
1
Esempio. produciamo qualche esempio "classico" di spazio metrico
i. Sia X , ; e definiamo la seguente metrica
d (x, y) =
(
1 se x , y
0 se x = y
ii. ’n dotato della distanza
"
d (x, y) =
n
X
#1/p
|x i − y i |
p
k=1
per p ∈ [1, +∞], si noti che p = 2 corrisponde alla metrica euclidea.
©
ª
iii. C 0 [0, 1] = f : [0, 1] −→ ’ : f continua dotato della distanza
d ( f , g ) = max | f (x) − g (x)|
x∈[0,1]
¾
½
Z
iv. L p (Ω) = f : Ω −→ ’ : | f (x)|p d x < +∞ dotato della distanza
Ω
·Z
d(f ,g) =
p
Ω
¸1/p
| f (x) − g (x)| d x
Definizione. Dati due spazi metrici (X , d X ) e (Y , d Y ) e A ⊆ X , diremo che l’applicazione f : A −→ Y è continua in un punto x 0 ∈ A se per ogni ε > 0 esiste δ > 0
tale che per ogni x ∈ A, con d X (x, x 0 ) < δ, risulti
d Y ( f (x), f (x 0 )) < ε
La funzione sarà detta continua in A se è continua in ogni punto di A.
Osservazione 1.2 La precedente definizione è equivalente a chiedere che per
ogni A ⊆ Y aperto (rispetto alla distanza d Y ) vale che f −1 (A) è aperto in X
(rispetto alla distanza d X ).
2
Definizione. Uno spazio metrico (X , d ) si dice completo se ogni successione di
Cauchy ammette limite. In formule: data una successione {x n } ⊆ X con la proprietà che per ogni ε > 0 esiste Nε ∈ Ž tale che d (x n , x k ) < ε per ogni n, k > Nε
allora esiste x¯ ∈ X per cui x n −→ x¯ (equivalentemente d (x n , x) è infinitesima).
Definizione. Dati due spazi metrici (X , d X ) e (Y , d Y ), consideriamo i due seguenti spazi funzionali astratti
©
ª
L(X , Y ) = f : X −→ Y : f limitata
©
ª
C (X , Y ) = f : X −→ Y : f limitata e continua
entrambi gli insiemi sono degli spazi metrici se dotati della seguente distanza
(detta metrica della convergenza uniforme)
d ( f , g ) = sup d Y ( f (x), g (x))
x∈X
Teorema 1.3 Se (Y , d Y ) è completo, allora L(X , Y ) e C (X , Y ) sono completi.
Definizione. Uno spazio metrico (topologico) (X , d ) si dice compatto se da ogni
ricoprimento aperto di X si può estrarre un sottoricoprimento finito.
Definizione. Uno spazio metrico (X , d ) si dice compatto per successioni (o sequenzialmente compatto) se da ogni successione {x k } ⊆ X si può estrarre una
sottosuccessione convergente.
Proposizione 1.4 Uno spazio metrico (X , d ) compatto per successioni è anche
completo.
Ricordiamo la definizione di diametro di un insieme A ⊆ X
diam(A) = sup d (p, q)
p,q∈A
Definizione. Uno spazio metrico (X , d ) si dice totalmente limitato se per ogni
ε > 0 esiste un numero finito di insiemi D 1 , . . . , D N , aventi diametro minore di ε,
tali che
N
[
Dk = X
k=1
Si noti che, siccome diam(D k ) < ε, abbiamo che esiste x k ∈ X tale che D k ⊆
B (x k , ε) per ogni k = 1, . . . , N .
3
Teorema 1.5 (caratterizzazione degli spazi metrici compatti) Dato uno spazio
metrico (X , d ), sono equivalenti le seguenti affermazioni
i. X è sequenzialmente compatto,
ii. X è completo e totalmente limitato,
iii. X è compatto.
Dimostrazione. Cominciamo provando che i. implica ii. quindi supponiamo
che (X , d ) sia sequenzialmente compatto. Ovviamente X è completo, per cui
dobbiamo provare solo che è totalmente limitato. Se così non fosse dovrebbe
esistere R > 0 tale che nessuna famiglia finita di palle di raggio R/2 (cioè di
diametro uguale a R) è un ricoprimento dello spazio X . Sia x 1 ∈ X , sappiamo
che B (x 1 , R/2) non ricopre X , quindi esiste x 2 ∈ X tale che d (x 1 , x 2 ) ≥ R/2. Poiché neanche le palle B (x 1 , R) e B (x 2 , R/2) insieme ricoprono X deve esistere un
punto x 3 ∈ X tale che d (x i , x 3 ) ≥ R/2 per i = 1, 2. Ripetendo il ragionamento
otteniamo una successione {x k } ⊆ X tale che
d (x i , x k ) ≥ R/2
∀i , k
Da una tale successione non è possibile estrarre alcuna sottosuccessione convergente, e questo contraddice l’ipotesi che (X , d ) sia sequenzialmente compatto.
Proviamo che ii. implica iii. e supponiamo che (X , d ) sia completo e totalmente
limitato e che esista un ricoprimento aperto A da cui non è possibile estrarre
un sottoricoprimento finito. Essendo X totalmente limitato, esiste un numero
finito di insiemi C 1 , . . . ,C n con le proprietà che
n
[
Ck = X
e
diam(C k ) < 1 ∀k = 1, . . . , n
k=1
Se fosse possibile ricoprire ognuno degli C k con un numero finito di aperti di A ,
avremmo ricoperto anche X . Questo significa che esiste C k1 = X 1 che non può
essere ricoperto con un numero finito di aperti. Ovviamente anche X 1 è totalmente limitato e possiamo ripetere il ragionamento precedente con un numero
finito di insiemi di diametro minore di 1/2, trovando un insieme, che chiameremo X 2 che non può essere ricoperto con un numero finito di elementi di A.
Iterando il procedimento troveremo una successione {X K } di sottoinsiemi di X
tali che
X1 ⊇ X2 ⊇ . . .
e
diam(X k ) < 1/k
4
e nessuno di questi insiemi può essere ricoperto con un numero finito di aperti
di A . Per ogni indice k sia x k ∈ X k ed osserviamo che
d (x n , x k ) ≤ diam(X k ) < 1/k
se n > k, quindi la successione {x k } è una successione di Cauchy e siccome X è
¯
completo x k −→ x.
Sia x ∈ X k e sia n > k, allora abbiamo che x n ∈ X n ⊆ X k e inoltre
¯ ≤ d (x, x n ) + d (x n , x)
¯ < 1/k + d (x n , x)
¯
d (x, x)
passando al limite su n abbiamo che
¯ ≤ 1/k
d (x, x)
¯ e sia r > 0 tale che B (x,
¯ r) ⊆
Sia A 0 un aperto del ricoprimento A contenente x,
¯ r ) ⊆ A0, e
¯ < r per ogni x ∈ X k , cioè X k ⊆ B (x,
A 0 . Se k > 1/r risulta che d (x, x)
questo raggiunge l’assurdo visto che abbiamo provato che è sufficiente un solo
aperto di A per ricoprire X k . Dunque abbiamo provato che ii. implica iii.
Infine mostriamo che da iii. segue i. Per ipotesi sappiamo che (X , d ) è compatto e supponiamo esista una successione {x k } ⊆ X da cui non è possibile estrarre
sottosuccessioni convergenti. Notiamo che, per un qualsiasi x ∈ X , in ogni intorno B (x, r ) non è possibile che cadano un numero infinito di punti della successione, quindi possiamo affermare che per ogni x esiste un intorno I x nel quale si
trovano un numero finito di punti di {x k }. La famiglia di intorni A = {I x : x ∈ X }
è un ricoprimento aperto dello spazio, che è compatto, quindi deve vale che
X = I1 ∪ I2 ∪ . . . I N
ma questa è una contraddizione, visto che {x k } ⊆ X ma ogni I j contiene al più
un numero finito di punti della successione.
Definizione. Dato (X , d ) spazio metrico completo, un operatore T : X −→ X si
dice contrazione se esiste una costante α ∈ [0, 1), tale che
d (T (x), T (y)) ≤ αd (x, y)
∀x, y ∈ X
Teorema 1.6 (delle contrazioni) Sia (X , d ) uno spazio metrico completo e T :
X −→ X una contrazione, allora esiste un unico punto x¯ ∈ X tale che
¯ = x¯
T (x)
x¯ è detto punto fisso di T .
5
Dimostrazione. Sia p ∈ X un punto generico di X . Costruiamo una successione per ricorrenza come segue
(
x k+1 = T (x k )
x0 = p
Procedendo per induzione si ottiene
d (x k+1 , x k ) = d (T (x k ), T (x k−1 )) ≤ αd (x k , x k−1 ) ≤ . . . ≤ αk d (x 1 , x 0 )
quindi se n > k abbiamo che
d (x n+1 , x k ) ≤
n
X
d (x j +1 , x j ) ≤ d (x 1 , x 0 )
j =k
n
X
αj =
j =k
αk − αn+1
d (x 1 , x 0 )
1−α
dove abbiamo usato la disuguaglianza triangolare e le proprietà delle serie geometriche, Quindi segue
d (x n+1 , x k ) ≤ d (x 1 , x 0 )
αk
1−α
il che, ricordando che α ∈ [0, 1) prova che la successione {x k } è di Cauchy, sic¯ Poiché ogni
come X è completo sappiamo che esiste x¯ ∈ X tale che x k −→ x.
contrazione è un’applicazione continua abbiamo che
¯ = lim T (x k ) = lim x k+1 = x¯
T (x)
k−→∞
k−→∞
cioè x¯ è un punto fisso di T . L’unicità del punto fisso segue dalle proprietà con¯ xˆ abbiamo che
trattive di T , infatti se supponiamo esistano due punti fissi x,
¯ x)
ˆ = d (T (x),
¯ T (x))
ˆ ≤ αd (x,
¯ x)
ˆ
d (x,
¯ x)
ˆ = 0, cioè x¯ = x.
ˆ
essendo α < 1 deve valere che d (x,
2 Spazi di Hilbert
In questa sezione proporremo alcuni argomenti dell’analisi funzionale che si riveleranno fondamentali nello sviluppo dell’analisi matematica e nello studio di
alcune equazioni alle derivate parziali. Cercheremo di evitare di introdurre troppi concetti o strumenti astratti che appesantiscano eccessivamente l’esposizione e la mole di queste note, quindi seguiremo un approccio un po’ artigianale,
in compenso questo ci permetterà di procedere un po’ più rapidamente.
Definizione. Uno spazio vettoriale reale H è uno spazio di Hilbert se soddisfa
le seguenti richieste
6
i. lo spazio H possiede un prodotto scalare (·|·),
ii. lo spazio H è completo rispetto alla metrica indotta dal prodotto scalare
d (u, v) = ku − vk, dove kuk2 = kuk2H = (u|u).
Osservazione 2.1 Osserviamo esplicitamente che la scrittura kuk2 = (u|u) definisce una norma sullo spazio H , inoltre ricordiamo che un prodotto scalare è
un’applicazione (·|·) : H × H → ’ che gode delle seguenti proprietà:
i. (u|v) = (v|u) per ogni u, v ∈ H ,
ii. (λu + µv|w) = λ(u|w) + µ(v|w), per ogni λ, µ ∈ ’
iii. (u|u) ≥ 0 per ogni u ∈ H , inoltre (u|u) = 0 se e solo se u = 0.
Inoltre si possono dimostrare le seguenti relazioni
i. |(u|v)| ≤ kukkvk per ogni u, v ∈ H (disuguaglianza di Cauchy-Schwarz),
¡
¢
ii. ku + vk2 + ku − vk2 = 2 kuk2 + kvk2 per ogni u, v ∈ H (identità del parallelogrammo),
iii. ku + vk ≤ kuk + kvk per ogni u, v ∈ H (disuguaglianza triangolare).
Osservazione 2.2 Presentiamo alcuni esempi fondamentali di spazi di Hilbert
i. ’n = {x = (x 1 , . . . , x n )} con l’usuale prodotto scalare associato alla metrica
P
euclidea, cioè x · y = k=1...n x k y k , è uno spazio di Hilbert di dimensione
finita (precisamente n),
½
¾
X 2
2
ii. ` = a = {a n }n≥0 successione di numeri reali tale che
a n < +∞ dotan≥0
P
to del prodotto scalare (a|b) = n≥0 a n b n è uno spazio di Hilbert di dimensione infinita,
Z
iii. L 2 (Ω) dotato del prodotto scalare ( f |g ) =
f (x)g (x)d x è un altro imporΩ
tante esempio di spazio di Hilbert di dimensione infinita.
Definizione. Due vettori u, v ∈ H si dicono ortogonali se e solo se (u|v) = 0.
Definizione. Un funzionale lineare continuo L su H è un’applicazione lineare
L : H −→ ’ tale che
(2.1)
|〈L, u〉| ≤ kkuk
7
∀u ∈ H
L’insieme dei funzionali lineari e continui su H sarà denotato con il simbolo H ∗ ,
è facile mostrare che tale insieme è uno spazio vettoriale.
La scrittura 〈L, u〉 si chiama prodotto di dualità e indica l’azione del funzionale
L ∈ H ∗ sull’elemento u ∈ H .
La più piccola costante k per cui vale la (2.1) è la norma del funzionale L e si
indica con kLk∗ , tale valore si può caratterizzare nel seguente modo
|〈L, u〉|
= sup |〈L, u〉|
u ,0 kuk
kuk=1
kLk∗ = sup
Si noti che da questa definizione segue che
|〈L, φ〉| ≤ kLk∗ kφk
(2.2)
φ∈H
Lo spazio dei funzionali lineari continui H ∗ è uno spazio normato chiamato spazio duale di H .
Nel seguito (esclusivamente per funzionali lineari) scriveremo Lu al posto di
L(u) = 〈L, u〉 (anche chiamato prodotto di dualità) per sottolineare la linearità
dell’applicazione L ∈ H ∗ .
Teorema 2.3 (Principio di Dirichlet) Sia H uno spazio di Hilbert reale e L un
elemento dello spazio duale H ∗ , allora il funzionale
(2.3)
1
J (u) = kuk2 − 〈L, u〉 = Lu
2
u∈H
ammette un unico punto di minimo u¯ ∈ H e ogni successione minimizzante per J
¯ Inoltre il punto di minimo è l’unica soluzione dell’equazione lineare
converge a u.
¯
(u|φ)
= Lφ
(2.4)
∀φ ∈ H
¯ = kLk∗ .
inoltre vale kuk
Dimostrazione. Cominciamo osservando che il funzionale f è limitato inferiormente. Grazie alla (2.2) e al fatto che 2ab ≤ a 2 +b 2 , per ogni a, b ∈ ’, abbiamo
che
kLk2∗
1
1
1
1
> −∞
J (u) ≥ kuk2 − kLk∗ kuk ≥ kuk2 − kLk2∗ − kuk2 = −
2
2
2
2
2
quindi l’estremo inferiore di f su di H è un valore reale.
8
Dall’identità del parallelogrammo e dalla linearità di L segue che
(2.5)
° u + v °2
1
1
1
u+v
°
°
ku − vk2 = kuk2 + kvk2 − °
〉
° − 〈L, u〉 − 〈L, v〉 + 2〈L,
4
2
2
2
2
³u +v ´
= J (u) + J (v) − 2J
2
A questo punto consideriamo una successione {u k } ⊆ H minimizzante per J ,
dalla precedente relazione otteniamo
³u +u ´
1
h
k
ku k − u h k2 = J (u k ) + J (u h ) − 2J
4
2
≤ J (u k ) + J (u h ) − 2 inf(J ) −→ 0
questo significa che la successione minimizzante è una successione di Cauchy,
cioè è una successione che converge ad un certo u¯ ∈ H . A questo punto possiamo facilmente provare che J è continuo, infatti se assumiamo che x n → x e
y n → y in H , vale
¯
¯
|(x n |y n ) − (x|y)| = ¯(x n − x|y n ) + (x|y n − y)¯
≤ kx n − xkky n k + kxkky n − yk −→ 0
(dove abbiamo usato che {y n } converge e quindi è limitata) e, per definizione di H ∗ , anche l’altro addendo del funzionale J è continuo. Quindi possiamo
concludere che
¯ = m = inf(J )
J (u k ) −→ J (u)
H
cioè u¯ è un punto di minimo di J .
Adesso possiamo osservare che la relazione (2.5) prova l’unicità del punto di
¯ e
minimo, infatti se supponiamo di avere due punti di minimo distinti u¯ e v,
ricordiamo che m = infH (J ), troviamo
µ
¶
1
u¯ + v¯
2
¯ = J (u)
¯ + J (v)
¯ − 2J
ku¯ − vk
≤ m + m − 2m = 0
4
2
Nello stesso modo si mostra che ogni successione minimizzante in H converge
¯
all’unico punto di minimo u.
Per provare che il punto di minimo risolve l’equazione lineare (2.4) fissiamo un
vettore φ ∈ H e consideriamo la funzione di una variabile reale ε → J (u¯ + εφ),
con ε ∈ [−1, 1] e φ ∈ H arbitrario. Con qualche calcolo si ottiene che
¡
¢ 1
£
¤
¯
¯
J u¯ + εφ = kφk2 ε2 + (u|φ)
− 〈L, φ〉 ε + J (u)
2
9
La funzione definita è un polinomio di secondo grado in ε e possiede un minimo
assoluto in ε = 0, questo implica che
¯
(u|φ)
= 〈L, φ〉
inoltre, grazie alla linearità, è facile provare che non possono esserci due o più
soluzioni. Infine da (2.4) e (2.2), scegliendo φ = u¯ otteniamo
¯ 2 = (u|
¯ u)
¯ = 〈L, u〉
¯ ≤ kLk∗ kuk
¯
kuk
da cui
¯ ≤ kLk∗
kuk
viceversa abbiamo anche
¯
¯
kukkφk
≥ |(u|φ)|
= |〈L, φ〉|
da cui
¯ ≥ kLk∗
kuk
o equivalentemente
¯
|〈L, φ〉|
|(φ|u)|
¯
= sup
= kuk
kφk
kφk
φ,0
φ,0
kLk∗ = sup
il che conclude la dimostrazione.
Osservazione 2.4 Abbiamo provato che se u¯ è il minimo di (2.3), o equivalente¯ = kLk. Questa informazione implica che
mente la soluzione di (2.4), allora kuk
la soluzione dei problemi discussi dipende in modo continuo da L.
Infatti se consideriamo una successione convergente L k → L in H ∗ e se u¯ k , u¯ ∈
H sono le soluzioni dei rispettivi problemi (2.4), con una semplice sottrazione
abbiamo che
¯
(u¯ k − u|φ)
= (L k − L)φ
∀φ ∈ H
il che implica
¯ = kL k − Lk∗ −→ 0
ku¯ k − uk
Osserviamo che il precedente teorema implica alcuni importanti risultati il cui
enunciato è riportato di seguito.
Teorema 2.5 (di Riesz) Ogni funzionale lineare continuo L ∈ H ∗ può essere rappresentato in modo unico tramite il prodotto scalare dello spazio di Hilbert H ,
cioè per ogni L ∈ H ∗ esiste un unico u L ∈ H tale che
(u L |φ) = 〈L, φ〉
10
∀φ ∈ H
Teorema 2.6 (della proiezione) Sia V un sottospazio vettoriale chiuso di H spazio di Hilbert. Allora per ogni f ∈ H esiste un unico punto v¯ ∈ V di distanza
minima da f , ovvero
¯ = dist( f ,V ) = min k f − vk
k f − vk
v∈V
¯ risulta
Inoltre v¯ può essere caratterizzato come l’unico punto di V tale che ( f − v)
ortogonale a tutto il sottospazio V , cioè
¯
( f − v|φ)
=0
∀φ ∈ V
Dimostrazione. Per ogni v ∈ V poniamo
F (v) = k f − vk2 = k f k2 − 2( f |v) + kvk2
la tesi segue ripetendo la dimostrazione del teorema 2.3, ricordando che V è un
sottospazio vettoriale chiuso e usando il teorema di Riesz (teorema 2.5).
3 Serie di Fourier astratte
In questa paragrafo discuteremo alcuni concetti delle serie di Fourier astratte,
ovvero studieremo cosa è possibile trasporre in uno generico spazio di Hilbert
delle serie trigonometriche di Fourier, usualmente studiate nei corsi elementari
di analisi matematica.
Definizione. Chiameremo base ortonormale di vettori di uno spazio di Hilbert
H , un insieme, al più numerabile, {e k } ⊆ H tali che
i. (e j |e k ) = δ j k ,
ii. 〈e 1 , e 2 , . . . 〉 = H .
Ricordiamo che δ j k è il simbolo di Kronecker il quale vale 1 se k = j , 0 se k , j .
L’esistenza di una base per H è una importante proprietà per uno spazio di Hilbert. In tal caso H viene detto uno spazio di Hilbert separabile (cioè possiede un
sottoinsieme numerabile denso).
Per ogni vettore u ∈ H chiameremo coefficienti di Fourier di u (rispetto alla base
11
{e k }) i numeri c ku = (u|e k ) e serie di Fourier di u (sempre rispetto alla base {e k })
la serie
+∞
+∞
X
X u
(u|e k )e k
ck e k =
k=1
k=1
Proposizione 3.1 (Bessel) Sia H uno spazio di Hilbert e {e k } una sua base, allora
+∞
X
|(u|e k )|2 =
+∞
X
k=1
k=1
|c ku |2 ≤ kuk2
∀u ∈ H
Dimostrazione. Per n ∈ Ž fissato, definiamo
P n (u) =
n
X
(u|e k )e k
k=1
tale elemento è la proiezione dell’elemento u sullo spazio di dimensione finita
Vn = 〈e 1 , . . . , e n 〉. Allora vale
n
X
|(u|e k )|2 = kP n (u)k2 = kuk2 − ku − P n (u)k2 ≤ kuk2
k=1
dove abbiamo usato la caratterizzazione della proiezione e il teorema di Pitagora. La tesi è provata, passando al limite per n → +∞.
Osservazione 3.2 Si osservi che l’operatore P n è l’operatore di proiezione sul
sottospazio Vn .
Lemma 3.3 (di Parseval) Sia H uno spazio di Hilbert e {e k } una sua base, allora
le seguenti affermazioni sono equivalenti
i. Per ogni u ∈ H vale u =
+∞
X
(u|e k )e k in H cioè
k=1
ku − P n (u)k −→ 0
∀u ∈ H
ii. vale l’uguaglianza di Parseval
+∞
X
k=1
|c ku |2 = kuk2
12
∀u ∈ H
Dimostrazione. L’equivalenza tra le due affermazioni segue dalla relazione
n
X
k=1
|c ku |2 = kP n (u)k2 = kuk2 − ku − P n (u)k2
Osservazione 3.4 Il precedente lemma, sebbene non sia particolarmente complicato da formulare e dimostrare, ha delle conseguenze molto interessanti, per
esempio
i. se (u|e k ) = 0, per ogni k, allora u = 0,
ii. ogni spazio di Hilbert separabile è isomorfo a `2 .
Esempio. Probabilmente l’esempio fondamentale è rappresentato dallo spazio di Hilbert L 2 (0, T ) e dalla base ortonormale costituita dai polinomi trigonometrici di periodo T , cioè dalle funzioni
(
)
r
µ
¶ r
µ
¶
1
2
2π
2
2π
cos
kx ,
sin
kx , k = 1, 2, . . .
p ,
T
T
T
T
T
Il precedente teorema mostra che l’insieme proposto è effettivamente una base
ortonormale di L 2 (0, T ). Il caso T = 2π, corrisponde alla seguente base ortonormale
½
¾
1
1
1
p , p cos (kx) , p sin (kx) , k = 1, 2, . . .
π
π
2π
si noti che questa base può differire dalle basi usualmente presentate in altri
testi.
4 Compattezza in spazi di Hilbert
Teorema 4.1 Sia H uno spazio di Hilbert separabile, {e k } una sua base e {u k } ⊆ H
¯ allora per ogni ε > 0 esiste N ∈ Ž tale che
una successione convergente a u,
X
|(u j |e k )|2 < ε
k>N
13
∀n
Dimostrazione. La disuguaglianza di Bessel ci dice che per ogni u ∈ H vale
+∞
X
|(u|e k )|2 ≤ kuk2
k=1
cioè la serie dei quadrati dei coefficienti di Fourier di u è assolutamente convergente. Definiamo il seguente operatore ΠN
X
ΠN (u) =
(u|e k )e k
k>N
il quale è un operatore di proiezione lineare ed è anche continuo visto che vale
kΠN (u)k ≤ kuk
Siccome u k −→ u¯ e l’operatore Π è continuo abbiamo che
¯ − ΠN (u k )k −→ 0
kΠN (u)
inoltre, per ogni j ∈ Ž, vale che
¡
¡
¢2
¢
¯ j )|2 + |(u¯ − u k |e j )|2
¯ j )| + |(u¯ − u k |e j )| ≤ 2 |(u|e
|(u k |e j )|2 ≤ |(u|e
da cui segue che
X
X
X
X
¯ j )|2 +2
¯ k |e j )|2 = 2
¯ j )|2 +2kΠN (u−u
¯ k )k2
|(u k |e j )|2 ≤ 2
|(u|e
|(u−u
|(u|e
j >N
j >N
j >N
j >N
La tesi è provata, a patto di considerare N sufficientemente grande.
Teorema 4.2 Sia K un sottoinsieme di uno spazio di Hilbert separabile H . K è
compatto se e solo se è limitato, chiuso ed ha code "equipiccole" rispetto una
qualsiasi base di H .
Dimostrazione. È ben noto che un insieme compatto in uno spazio metrico è
chiuso e limitato, però supponiamo che la condizione di equipiccolezza non sia
vera. Questo significa che esiste ε¯ > 0 e, per ogni indice N , un elemento u N ∈ K
tale che
X
|(u N |e k )|2 > ε¯
k>N
Questo implica che la successione {u N } non può avere alcuna sottosuccessione convergente, contro l’ipotesi di compattezza, il che conclude la prima parte
della dimostrazione.
14
Adesso dobbiamo provare che la condizione sulle code delle serie è sufficiente
ad ottenere la compattezza dell’insieme K . Supponiamo che K sia chiuso, limitato e che le code dei suoi elementi siano "equipiccole" rispetto alla base {e k },
e consideriamo una successione {u k } ⊆ K : la tesi equivale a provare l’esistenza di una sua sottosuccessione di Cauchy. Infatti ogni successione di Cauchy in
H converge ad un elemento dello spazio, visto che H è completo, e tale punto
limite sarà un punto di K che è chiuso.
Consideriamo la successione di numeri reali (u k |e n ) per n ∈ Ž fissato (ma arbitrario). Siccome K è limitato abbiamo
|(u k |e n )| ≤ ku k kke n k ≤ C
e per il teorema di Heine-Borel sappiamo che esiste una sottosuccessione {u k j }
tale che
|(u k j |e n )| −→ l
Questa considerazione ci permette di costruire una sottosuccessione convergente, infatti supponiamo di fissare n = 1 conseguentemente abbiamo una estratta {u 1,k } tale che il prodotto scalare con e 1 converga in ’. Da questa sottosuccessione possiamo estrarne un’altra u 2,k in modo che converga anche la successione dei suoi prodotti scalari con e 2 e possiamo ripetere il procedimento in maniera induttiva. A questo punto definiamo una sottosuccessione nel seguente
modo
©
ª
uˆ k = u k,k ⊆ {u k }
cioè abbiamo considerato il k-simo elemento della k-sima estratta. Questa strategia è, di solito, detta metodo diagonale di Cantor.
Adesso, usando l’identità di Parseval e l’identità del parallelogrammo, notiamo
che
X
X
X
kuˆ k −uˆ k+p k2 ≤
|(uˆ k −uˆ k+p |e j )|2 +2
|(uˆ k |e j )|2 +2
|(uˆ k+p |e j )|2 < (N +4)ε
j ≤N
j >N
j >N
dove l’ultima maggiorazione segue dall’aver scelto gli indici N e k sufficientemente grandi, in modo che
X
X
|(uˆ k |e j )|2 ,
|(uˆ k+p |e j )|2 , |(uˆ k − uˆ k+p |e j )|2 < ε
j >N
j >N
Quindi possiamo concludere che la successione è di Cauchy e K risulta essere
compatto.
Definizione. Una successione {u k } ⊆ H si dice debolmente convergente a u¯ ∈ H
se vale
¯
(u k |φ) −→ (u|φ)
∀φ ∈ H
15
¯
in tal caso scriveremo u k −−* u.
Osservazione 4.3 Vogliamo evidenziare il fatto che la convergenza in norma
(o anche convergenza forte) in H , implica la convergenza dei prodotti scalari
(·|φ), che sono funzionali lineari continui (vedi anche teorema (2.5)), quindi una
successione che converge fortemente, converge anche debolmente.
Il fatto notevole della precedente definizione è che esistono successioni debolmente convergenti che non convergono in norma: la topologia che rende continui tutti i funzionali lineari e limitati è strettamente meno fine della topologia
indotta della norma. Consideriamo la successione {e k } ⊆ `2 e sia a ∈ `2 allora
vale che
(a|e k ) = a k −→ 0
visto che a = (a 1 , a 2 , a 3 , . . . ) è una serie di quadrato convergente, però vale anche
ke k k = 1
∀k ∈ Ž
quindi la successione converge solo debolmente!
La convergenza debole è la naturale estensione della convergenza componente
per componente che equivale alla convergenza forte solo in spazi di dimensione
finita.
Proposizione 4.4 La convergenza debole di una successione limitata in H è equivalente alla convergenza dei coefficienti di Fourier rispetto ad una base {e k }.
Dimostrazione. Possiamo limitarci a dimostrare solo un’implicazione. Supponiamo di avere una successione limitata {u k } tale che, per ogni n, valga
(u k |e n ) −→ c n
Notiamo subito che
+∞
X
n=1
c n2 =
+∞
X
lim |(u k |e n )|2 ≤ C sup ku k k2
n=1 k−→∞
k
il che significa che c = (c 1 , c 2 , c 3 , . . . ) ∈ `2 , e quindi possiamo definire un punto
uˆ =
∞
X
cn e n ∈ H
n=1
per la completezza di H , ora dobbiamo mostrare che uˆ è il limite debole di {u k }.
Sia φ ∈ H , allora
ˆ
ˆ j φ) + (u k |φ − P j φ) − (u|φ
ˆ − P j φ)
(u k − u|φ)
= (u k |P j φ) − (u|P
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da cui segue
¯
¯
¯(u k − u|φ)
ˆ ¯ ≤ (u k − u|P
ˆ j φ) + 2C kφ − P j φk −→ 0
Teorema 4.5 Ogni successione {u k } ⊆ H limitata in uno spazio di Hilbert separabile possiede una sottosuccessione debolmente convergente.
Dimostrazione. Usando l’argomento diagonale introdotto nel teorema 4.2 si
può costruire una sottosuccessione debolemente convergente.
¯ allora vale
Proposizione 4.6 Sia {u k } ⊆ H una successione tale che u k −−* u,
¯ ≤ lim inf ku k k
kuk
k−→∞
Il risultato si può enunciare dicendo che la norma è una funzione semicontinua
rispetto alla convergenza debole.
Dimostrazione. Sappiamo che
¯ 2 − 2(u k |u)
¯ + ku k k2
0 ≤ (u¯ − u k |u¯ − u k ) = kuk
da cui
¯ − kuk
¯ 2 ≤ ku k k2
2(u k |u)
Passando al limite (inferiore) e ricordando la definizione di convergenza debole
abbiamo la tesi.
5 Forme bilineari e approssimazione
di Faedo–Galerkin
In questo paragrafo cerchiamo di generalizzare i risultati ottenuti tramite il principio di Dirichlet per risolvere una classe più ampia di equazioni.
Definizione. Una forma bilineare è un’applicazione a : H ×H −→ ’, lineare nei
suoi due argomenti.
Nel seguito verrà detta continua (o limitata) se esiste una costante reale Λ > 0
tale che
|a(u, v)| ≤ Λkukkvk
∀u, v ∈ H
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positiva o coerciva se esiste una costante reale λ > 0 tale che
|a(u, u)| ≥ λkuk2
∀u ∈ H
simmetrica se
a(u, v) = a(v, u)
∀u, v ∈ H
Data una forma bilineare e continua a, possiamo osservare che, fissato u ∈ H ,
l’applicazione v → a(u, v) è un funzionale lineare e continuo su H . Per il precedente teorema di rappresentazione di Riesz (vedi teorema 2.5) possiamo affermare l’esistenza di un vettore T a u ∈ H tale che
(5.1)
a(u, v) = (T a u|v)
∀v ∈ H
Questa osservazione significa che è possibile associare ad ogni forma bilineare
continua a(u, v) un’operatore T a : H → H in modo che valga la (5.1). Provare
la linearità di T a è un facile esercizio, inoltre si può mostrare che l’operatore in
questione è anche continuo, infatti
kT a uk2 = a(T a u|u) ≤ ΛkT a ukkuk
Incidentalmente notiamo che ogni operatore lineare e continuo T a : H −→ H
definisce una forma bilineare continua nel seguente modo
a(u, v) = (T a u|v)
Dunque possiamo concludere che lo spazio degli operatori lineari e continui su
H è in corrispondenza biunivoca con lo spazio delle forme bilineari continue
su H . Quindi, a secondo delle nostre esigenze, possiamo far uso del linguaggio delle forme bilineari continue o degli operatori lineari e continui in modo
interscambiabile.
Osservazione 5.1 Si noti che, fissato φ ∈ H , l’applicazione
u 7−→ (T a u|φ)
è un funzionale lineare e limitato su H , quindi è, per definizione, continuo rispetto alla convergenza debole di H .
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Teorema 5.2 (di Lax e Milgram) Sia a(u, v) una forma bilineare continua e coerciva definita su uno spazio di Hilbert H e sia L ∈ H ∗ un funzionale lineare e
continuo, allora esiste un unico elemento u¯ ∈ H che risolve l’equazione
¯ φ) = Lφ
a(u,
(5.2)
∀φ ∈ H
¯ ≤ kLk∗ /λ.
Inoltre vale kuk
Dimostrazione. Osserviamo subito che la coercività della forma bilineare implica l’unicità della soluzione, infatti se supponiamo che esistano u¯ e v¯ due
soluzioni distinte di (5.2), per linearità otteniamo che
¯ φ) = 0
a(u¯ − v,
∀φ ∈ H
e scegliendo φ = u¯ − v¯ si ottiene
¯ u¯ − v)
¯ =0
¯ 2 ≤ a(u¯ − v,
0 ≤ λku¯ − vk
¯
che significa u¯ = v.
Per completare la dimostrazione dobbiamo mostrare che l’equazione (5.2) possiede almeno una soluzione. Ricorreremo ad una strategia costruttiva dovuta
a Faedo e Galerkin: tale strategia propone una riduzione finito-dimensionale
che fornisce l’esistenza di soluzioni approssimate della soluzione, in un secondo tempo proveremo che tali soluzioni approssimate tendono alla soluzione del
problema completo.
Assumiamo che il nostro spazio di Hilbert sia separabile, cioè che esista una base ortonormale {e k } dello spazio vettoriale H . Per ogni n ∈ Ž sia Vn = 〈e 1 , . . . , e n 〉
lo spazio vettoriale di dimensione n generato dai primi elementi della base di
H , e consideriamo il problema (si ricordi che è ambientato in uno spazio di
dimensione finita) di trovare una soluzione u n ∈ Vn dell’equazione
a(u, φ) = Lφ
∀φ ∈ Vn
In Vn possiamo far uso delle coordinate del sistema di riferimento
indotto dalla
X
base {e k }, allora la nostra incognita diviene il vettore u = u k e k , e, per linearità,
l’equazione (5.2) può essere riscritta nel seguente modo
(5.3)
n
X
a(e i , e k )φk u i = φk Le k
∀k = 1, . . . , n
i =1
dove φk = (φ|e k ) sono i coefficienti di Fourier di φ.
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Procedendo in questo modo abbiamo sostituito φ con una
Xsua approssimazione
appartenente allo spazio Vn (precisamente abbiamo che φk e k è la proiezione
di φ ∈ H su Vn ). Osserviamo esplicitamente che (5.3) è un sistema di equazioni
lineari nello spazio Vn ’n !
Per provare l’esistenza di una soluzione di (5.3) è sufficiente provare che la matrice (a i k ) = a(e i , e k ) è invertibile, cioè che ha determinante non nullo. Ma questo è facile, infatti la nostra forma bilineare a è positiva e quindi la matrice (a i k )
è definita positiva.
A questo punto abbiamo provato l’esistenza di una successione {u n } ⊆ H di soluzioni dei problemi approssimanti (5.3), per concludere la dimostrazione dobbiamo provare che tale successione converge ad un elemento di H e che l’elemento
limite risolve (5.2).
Osserviamo che
kLk∗
λ
a causa della coercività della forma bilineare, infatti vale
ku n k ≤
λku n k2 ≤ a(u n , u n ) = Lu n ≤ kLk∗ ku n k
La limitatezza della successione garantisce l’esistenza di una sottosuccessione
debolmente convergente, quindi esiste u¯ tale che
u j −−* u¯
ribattezzando opportunamente gli indici della sottosuccessione. Quali proprie¯ Sappiamo che
tà caratterizzano il limite debole u?
a(u j , P j φ) = LP j φ
∀φ ∈ H
inoltre vale anche
u j −−* u¯
e
P j φ −→ φ
∀φ ∈ H
Per l’osservazione 5.1, sappiamo che
T a u j −−* T a u¯
a questo punto abbiamo tutte le informazioni necessarie per passare al limite in
(5.3), infatti abbiamo la convergenza del secondo membro
LP j φ −→ Lφ
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∀φ ∈ H
per la convergenza forte della troncata della serie di Fourier, mentre il termine
contenente la forma bilineare richiede un po’ di lavoro in più
¯
¯ ¯
¯
¯a(u j , P j φ) − a(u,
¯ φ)¯ = ¯(T a u j |P j φ) − (T a u|φ)
¯ ¯
¯
¯ ¯
¯
¯ ¯
= ¯(T a u j |P j φ − φ)¯ + ¯(T a u j − T a u|φ)
¯
¯
¯ ¯ −→ 0
≤ kT a u j kkP j φ − φk + ¯(T a u j − T a u|φ)
dove abbiamo sfruttato che T a u j −−* T a u¯ e P j φ −→ φ in H . Quindi, passando
al limite su in (5.3), abbiamo che
¯ φ) = (T a u|φ)
¯
A(u,
= Lφ
il che conclude la dimostrazione.
Eugenio Montefusco
Dipartimento di Matematica
Sapienza università di Roma
[email protected]
21
∀φ ∈ H