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Cass. 18.7.2014 n. 16480
Data: 31.7.2014 16.55.56
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Cass. 18.7.2014 n. 16480
Ritenuto in fatto
1. La vertenza in esame riguarda la srl [Omissis] (AGS) controllata, al pari di altre quattro
società (A. T., A. G. I., H. H. S., T. G. T.), dalla holding A. G. SpA.
Il fisco, con avviso di accertamento notificato il 2 novembre 2004, ha accertato indebite
deduzioni di costi ai fini delle imposte dirette e indebite detrazioni IVA per l'anno 2000,
contestando l'inerenza delle spese di regia che A. G. SpA ha addebitato alla srl [Omissis] in
forza del «contratto per la prestazione di servizi generali di management» col quale, in data 16
dicembre 1999, la capogruppo si è impegnata a fornire alle controllate servizi di marketing,
telefonia, EDP e consulenza legale, contabile e fiscale, il tutto a fronte del rimborso dei costi e
delle spese sostenute secondo un cost-sharing calcolato in proporzione ai ricavi delle vendite e
delle prestazioni delle singole controllate (art. 2425, lett. A - n. 1, cod. civ.), applicato a partire
dall'esercizio 2000 nella percentuale dell'1,5% dei ricavi delle singole controllate medesime.
L'ufficio rilevava che la srl [Omissis] non aveva documentato analiticamente i servizi ricevuti al
fine di provarne l'inerenza.
2. Per l'annullamento dell'atto impositivo, la srl [Omissis] ricorreva dinanzi alla Commissione
tributaria provinciale di Teramo, deducendo tre motivi, due dei quali erano accolti, giusta
sentenza n. 130/02/2006.
Il giudice di prime cure, per quanto qui ancora interessa, riteneva che la contribuente avesse
documentato (mediante l'esibizione delle fatture e del contratto di service) i servizi ottenuti, le
modalità di addebito delle relative spese e i vantaggi per l'intero gruppo A. G.. Tale decisione,
impugnata dal fisco con atto depositato il 6 novembre 2007, era riformata dalla Commissione
tributaria regionale dell'Abruzzo che, con sentenza n. 81 dell'11 novembre 2008, rigettava il
ricorso introduttivo della contribuente.
3. Il giudice d'appello, premesso che la prova della deducibilità dei costi spettava alla parte
contribuente, osservava che a questa incombeva anche l'onere di provare l'inerenza di tali
spese a beni da cui erano derivati ricavi e proventi e che fatture troppo generiche non
consentivano di dimostrare l'effettività e l'utilità reddituale dei costi sostenuti.
Indi, rilevava che:
a) le fatture riguardavano anni (2002/2003) diversi da quello oggetto di accertamento (2000) e
addebiti di costi di servizi resi per il Gruppo A. G. nel suo complesso senza alcun riferimento sia
al contratto di service, sia a quale società controllata i servizi stessi fossero stati erogati;
b) alcuni dei documenti contabili erano intestati alla A. G. SpA da terzi fornitori alcuni «per
intervento effettuato nei vostri uffici»;
c) altri documenti risultavano essere stati emessi per contenziosi riguardanti società diverse
dalla [Omissis];
d) altre fatture erano intestate alla holding per «assistenza e rimborso spese» senza precisare
per quale delle società controllate fossero state fornite le prestazioni;
e) altri documenti d'addebito, per la redazione del bilancio consolidato, attestavano costi
sostenuti nell'interesse della capogruppo A. G. e non della controllata [Omissis];
f) al momento dell'accesso da parte della Guardia di finanza la contribuente [Omissis] non
disponeva di alcuna fattura;
h) erano state reperite fatture di spese telefoniche intestate alla controllata [Omissis], ma non
fatture di addebito dei costi di telefonia sostenuti alla controllante A. G.;
i) la percentuale di addebito da parte della controllante A. G. alle consociate era
contrattualmente stabilita in misura fissa e non calibrata sull'effettiva utilità conseguita;
l) il contratto stabiliva che i servizi pattuiti erano tutti necessari per la gestione, l'organizzazione
e lo sviluppo di tutte le controllate, mentre esse ben avrebbero potuto aver bisogno di tali
servizi in misura diversa, attese anche le diversificate localizzazioni aziendali (Vimercate,
Castelnuovo Vomano, Piano Lago, Figline Vigliaturo).
4. Per la cassazione di tale decisione, Soc. [Omissis] ha proposto ricorso affidato a cinque
motivi. L'Agenzia delle entrate resiste con controricorso. La ricorrente replica con memoria.
Considerato in diritto
5. Con il primo motivo, denunciando violazione degli artt. 2909 cod. civ. e art. 111 Cost., la
ricorrente rileva che la decisione impugnata contrasta con la regula iuris contenuta nelle
sentenza della medesima Commissione regionale resa, inter partes per l'anno d'imposta 2002,
in data 22 ottobre 2007 e «passata in giudicato perché non impugnata nei termini previsti
dall'art. 325 c.p.c. ». Il motivo non è fondato.
5.1. Si osserva che la sentenza del giudice tributario con la quale si accertano il contenuto e
l'entità degli obblighi del contribuente per un determinato anno d'imposta fa stato con
riferimento alle imposte dello stesso tipo dovute per gli anni successivi solo per quanto attiene
a quegli elementi costitutivi della fattispecie che, estendendosi a una pluralità di periodi
d'imposta (ad es. le qualificazioni giuridiche preliminari all'applicazione di una specifica
disciplina tributaria), assumano carattere tendenzialmente permanente. Mentre non può avere
alcuna efficacia vincolante quando l'accertamento relativo ai diversi anni si fondi su presupposti
di fatto potenzialmente mutevoli [Cass. n. 20029/2011] ovvero su dati e ricostruzioni contabili
diversi [Cass. n. 18907/2011], come accade nel caso di concreta verifica dell'effettiva inerenza
dei costi nelle varie annualità.
5.2. Inoltre, siccome le controversie in materia di IVA sono soggette a norme imperative
dell'UE, la cui applicazione non può essere ostacolata dal carattere vincolante del giudicato
nazionale, previsto dall'art. 2909 cod. civ., e dalla eventuale sua proiezione anche oltre il
periodo di imposta che ne costituisce specifico oggetto, ove gli stessi impediscano - secondo
quanto stabilito dalla sentenza della Corte di Giustizia CE del 3 settembre 2009, in causa C2/08 - la realizzazione del principio di contrasto dell'abuso del diritto, individuato dalla
giurisprudenza eurounitaria come strumento teso a garantire la piena applicazione del sistema
armonizzato d'imposta [Cass. n. 16996/2012].
6. Con il secondo motivo, denunciando violazione dell'art. 2697 cod. civ., la ricorrente censura
la sentenza d'appello nella parte in cui afferma che la Soc. [Omissis] non abbia adempiuto
all'onere della prova, poiché la documentazione prodotta non consente di esercitare un
adeguato controllo sull'esistenza, inerenza e utilità dei costi dei servizi addebitati dalla
capogruppo SpA A. G.. Sostiene che, così facendo, il giudice di secondo grado erroneamente
onera la contribuente di provare fatti e rapporti giuridici relativi ad altri soggetti, dovendo la
stessa solo offrire la prova della fonte contrattuale dei costi addebitati dalla capogruppo e della
loro regolare fatturazione alla contribuente controllata.
Pertanto interroga la Corte chiedendo «se incorra in violazione dell'art. 2697 c.c. il giudice
d'appello che, nell'ambito di una verifica circa l'inerenza di spese derivanti da un contratto di
service, richieda alla società beneficiaria delle prestazioni la produzione di documentazione della
società erogante comprovante le stesse e non dichiari che, prodotta dalla società la
documentazione volta a dimostrare la natura e la tipologia delle prestazioni da cui scaturiscono
i costi contestati - di per sé tutti funzionalmente collegati allo svolgimento dell'attività d'impresa
- spetti all'amministrazione fornire la prova contraria della loro non inerenza». Il motivo va
disatteso.
6.1. Anche a volere prescindere sulla cattiva formulazione del quesito di diritto (vedasi infra § 7
sul terzo motivo), va rilevata l'infondatezza della doglianza.
Va premesso che il fenomeno giuridico ed economico dei gruppi aziendali, operanti in
collegamento nel territorio dello Stato, ha comportato il diffondersi di operazioni aziendali di
tipo difensivo che, nate per la più conveniente allocazione dell'imponibile tra le società
associate, sono spesso sfociate in vere e proprie operazioni elusive [così in motivazione Cass.
n. 17955/2013], il che comporta un particolare rigore, in generale, nella valutazione delle
operazioni intercompany che hanno destato anche l'attenzione dell'OCSE.
Costituisce ius receptum il principio secondo cui - qualora la società capofila di un gruppo di
imprese, al fine di coordinare le scelte operative delle aziende formalmente autonome e ridurre
i costi di gestione attraverso economie di scala, fornisca servizi e curi direttamente le attività di
interesse comune alle società del gruppo ripartendone i costi fra le affiliate - l'onere della prova
in ordine all'esistenza ed all'inerenza dei costi sopportati incombe sulla società che affermi di
aver ricevuto il servizio, occorrendo, affinché il corrispettivo riconosciuto alla capogruppo sia
deducibile ai fini delle imposte dirette e l'IVA contestualmente assolta sia detraibile, che la
controllata tragga dal servizio remunerato un'effettiva utilità e che quest'ultima sia
obiettivamente determinabile e adeguatamente documentata [Cass. n. 26851/2009 e Cass. n.
8808/2012; cfr. Cass. n. 14016/1999].
In dottrina e giurisprudenza, si è detto che, in quest'ottica, è quindi possibile affermare che
spetta al contribuente, secondo i criteri generali, fornire tutti gli elementi atti a supportare la
deducibilità dei costi sostenuti per ottenere i servizi prestati dalla controllante, tra i quali
l'effettiva utilità dei costi stessi per la controllata, anche se a quei costi non corrispondano
direttamente ricavi in senso stretto [cfr. n. Cass. n. 10662/2000; v. Cass. 11648/2000, Cass.
n. 11770/2000 e Cass. n. 1133/2001].
6.2. Va precisato che quella che viene in riguardo non è tanto la forfetizzazione percentuale dei
costi riaddebitati dalla capogruppo alle controllate. Infatti già le Guidelines OCSE, in materia di
prestazione di servizi infragruppo, al § 7.25 indicano che «la ripartizione [dei costi] può essere
fondata sul volume d'affari» e al § 7.27 chiariscono che, però, «quando si utilizza un metodo di
imputazione indiretto, la relazione tra costi e servizi appare poco chiara e pertanto può essere
difficile valutare il beneficio ottenuto».
Ne deriva la legittimità della prassi amministrativa (C.M. n. 32/9/2267 del 22 settembre 1980)
che fondatamente subordina la deducibilità dei costi derivanti da accordi contrattuali sui servizi
prestati dalla controllante (cost sharing agreements) all'effettività e all'inerenza della spesa
all'attività d'impresa esercitata dalla controllata e al reale vantaggio che deriva a quest'ultima,
senza che rilevino in proposito quelle esigenze di controllo della capogruppo, peculiari della sua
funzione di shareholder.
In siffatta prospettiva non è sufficiente l'esibizione del contratto riguardante le prestazioni di
servizi fornite dalla controllante alle controllate e la fatturazione dei corrispettivi, dovendo
emergere specificamente quegli elementi necessari per determinare l'utilità effettiva o
potenziale conseguita dalla consociata che riceve il servizio.
6.3. Nella specie i servizi concretamente forniti alla srl [Omissis] sono rimasti in ricorso a livello
di pura enunciazione astratta, né è consentito a questa Corte procedere funditus a una
rivisitazione del materiale probatorio già fatta dal giudice d'appello con una valutazione
incensurabile in sede di legittimità.
7. Con il terzo motivo, denunciando violazione dell'art. 109 TUIR, la ricorrente incentra la sua
critica alla sentenza d'appello sulla correttezza, validità, prova e accettabilità fiscale (sotto il
profilo della esatta rilevazione dei costi deducibili e dell'onere probatorio relativo) del contratto
di service posto dalla srl [Omissis] a fondamento della deduzione di varie partite negative di
gruppo suddivise tra le società consorelle. Rileva, in sintesi estrema, che il giudice di secondo
grado non coglie che il fondamento centrale del contratto di service infragruppo è proprio quello
di sostenere, rappresentare e avallare, con la garanzia di un patto espresso, gli addebiti
individuali sui servizi coperti a titolo comune ma calibrati, di volta in volta, dalla holding
fornitrice e controllante. Inoltre, a suo dire, il criterio di ripartizione correlato ai dati di bilancio
delle controllate, massimamente affidabile e universalmente accettato nell'economia dei gruppi
di società, riflette di per sé stesso la coesistenza istituzionale tra utilità analitica e utilità di
gruppo della spesa sostenuta.
Pertanto la ricorrente chiede alla Corte di «attestare che le rilevazioni di costi e passività e
riferite a un contratto di service infragruppo connesso a voci di costo specifiche, costituiscono
una valida osservanza degli oneri probatori per l'inerenza sulla deducibilità fiscale delle partite
di costo relative, in applicazione dell'art. 109 del TUIR».
7.1. Il motivo è inammissibile.
E' del tutto preliminare il rilievo che, per osservare l'art. 366-bis c.p.c. [vigente per le sentenze
pubblicate dal 2 marzo 2006 e abrogato per le sentenze pubblicate dal 4 luglio 2009], nel caso
previsto dall'art. 360 n. 3 «l'illustrazione di ciascun motivo si deve concludere, a pena
d'inammissibilità, con la formulazione di un quesito di diritto», tale da circoscrivere la pronuncia
del giudice nei limiti di un accoglimento o un rigetto del quesito formulato dalla parte [SU
7258/2007]. Né esso può essere desunto dal contenuto del motivo, poiché, in un sistema
processuale che già prevedeva la redazione del motivo con l'indicazione della violazione
denunciata, la peculiarità del disposto di cui all'art. 366-bis, consiste proprio nell'imposizione, al
patrocinante che redige il motivo, di una sintesi originale ed autosufficiente della violazione
stessa, funzionalizzata alla formazione immediata e diretta del principio di diritto e, quindi, al
miglior esercizio della funzione nomofilattica della Corte di legittimità [Cass. n. 20409/2008].
Invece, il sopra riportato quesito non risponde agli stringenti requisiti [riassuntiva esposizione
degli elementi di fatto sottoposti al giudice di merito; sintetica indicazione della regola di diritto
applicata da quel giudice; diversa regola di diritto che si sarebbe dovuta applicare al caso di
specie] indicati dalla giurisprudenza di questa Corte [conf. Cass. n. 21164/2013].
L'interrogazione del ricorrente si risolve, infatti, in un'enunciazione di carattere generico e
astratto [v. Cass. n. 6549/2013] atteso che non contiene riferimenti né al fatto, né
all'alternativa tra la regula iuris del provvedimento impugnato e il diverso principio
asseritamente corretto [Cass. n. 1990/2014], sì che la mancanza, evidente nella specie, anche
di una sola delle suddette indicazioni rende il ricorso di per sé stesso inammissibile [Cass. n.
24339/2008]. Dunque, contrariamente all'odierna formulazione, il quesito deve investire in
pieno la ratio decidendi della sentenza impugnata e proporre un'alternativa di segno opposto
[Cass. n. 4044/2009], altrimenti risolvendosi in una tautologia o in un interrogativo circolare
[SU Cass. n. 28536/2008], se non addirittura in una proposizione puramente assertiva [conf.
da ultimo Cass. n. 1991/2014].
8. Con il quarto motivo, denunciando contestualmente «carenza di motivazione per genericità
degli addebiti sulla deducibilità di costi rilevanti» e «violazione … dell'art. 42 del DPR 600/73» la
ricorrente interroga la Corte chiedendo «se abbiano o meno fondamento, sul piano della
deducibilità tributaria come costi, le evidenziazioni fiscali critiche di partite non identificate
analiticamente ma suffragate, nell'evidenziazione, solo da caratteristiche genericamente
indicate nella contestazione formale avanzata dal fisco».
8.1. Il motivo è inammissibile.
Costituisce ius receptum che non sia consentito mescolare e sovrapporre mezzi di ricorso
eterogenei, riferiti ai diversi casi disciplinati dal codice di rito ai nn. 3 e 5 dell'art. 360, primo
comma, c.p.c.. L'esposizione conclusiva e cumulativa delle questioni concernenti
l'apprezzamento delle risultanze acquisite al processo e il merito della causa rimette al giudice
di legittimità il compito di isolare le singole censure proponibili, onde ricondurle ad uno dei
mezzi d'impugnazione enunciati dall'art. 360, per poi ricercare quale o quali sarebbero
utilizzabili allo scopo, così attribuendo alla Corte un compito che non le spetta, cioè quello di
dare forma e contenuto alle lagnanze della parte ricorrente, al fine di decidere successivamente
su di esse [Cass. n. 19443/2011 e Cass. n. 21611/2013] e, quindi, contravvenendo alla regola
di chiarezza posta dall'art. 366-bis [Cass. n. 9470/2008]. Infatti, la formulazione del quesito di
diritto e del momento di sintesi deve avvenire in modo rigoroso e preciso, evitando proprio per
tale ragione i quesiti cumulativi.
Da ciò consegue che i motivi di ricorso fondati sulla violazione di norme di diritto (nella specie
art. 42 del DPR 600/73) e quelli fondati su vizi di motivazione (nella specie «carenza di
motivazione per genericità degli addebiti sulla deducibilità di costi rilevanti») devono sempre
essere sorretti da quesiti separati [Cass. n. 5471/2008 e SU Cass. n. 7770/2009]. Palese è,
quindi, la difformità dal modello legale dell'odierno ricorso articolato su unico mezzo con due
motivi cumulativi ed eterogenei, ma corredati da unica interrogazione conclusiva.
8.2. Peraltro, laddove si volesse ritenere detta interrogazione conclusiva come diretta
unicamente verso aspetti rilevanti ex art. 360 n. 3, essa incorrerebbe nella stessa censura
d'inammissibilità evidenziata per il terzo motivo (§ 7.1).
8.3. Infine, sotto un ultimo profilo d'inammissibilità, volendo la ricorrente principale censurare il
giudizio sostanzialmente positivo espresso dal giudice d'appello sulla idoneità e congruità
logico-giuridica e probatoria dell'atto impositivo e del processo verbale presupposto rispetto a
risultanze del processo, avrebbe dovuto sottoporre a critica la sentenza d'appello correlandola
specificamente ai passi salienti e trascritti (o indicativamente reperibili) della motivazione degli
atti fiscali erroneamente valutati e della documentazione (ulteriore, però, rispetto al contratto)
offerta a discarico nel giudizio di merito [Cass. n. 12786/2006, Cass. n. 13007/2007 e Cass. n.
4201/2010], difettando altrimenti i necessari requisiti di specificità e autosufficienza del ricorso
stesso [cfr. Cass. n. 11987/2011, in tema d'inerenza].
9. Rigettato il ricorso, le spese del presente giudizio di legittimità seguono la soccombenza della
parte privata e sono liquidate in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alle spese del giudizio di legittimità liquidate
in € 10.260 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito.