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I DISORDINI DEL MAGNESIO: LE IPOMAGNESIEMIE E LE
IPERMAGNESIEMIE
A. GUARIGLIA - R. CASTELLI - B. FERRARI - B. PANFILI
INTRODUZIONE
Questi ultimi anni hanno visto una crescita prodigiosa delle conoscenze sul magnesio (Mg2+), per cui ora sono meglio
definiti alcuni dei complessi meccanismi che regolano la sua omeostasi, così come si sono ormai acquisite numerose
certezze sul ruolo determinante svolto dallo ione sia nel campo fisiologico sia in quello fisiopatologico e, quindi, clinico-farmacologico.
Focalizzando l’attenzione sugli aspetti fisiologici, il Mg2+ si è dimostrato elemento fondamentale nel mantenimento
della stabilità strutturale di vari substrati (disposizione dei fosfolipidi di membrana, configurazione sterica delle proteine e del DNA) e appare come lo ione più reattivo in ambito biochimico, poiché risulta coinvolto, come cofattore
essenziale, in oltre 300 reazioni enzimatiche, sostanzialmente quelle legate alla regolazione del metabolismo energetico e alla sintesi degli acidi nucleici. Il Mg2+ è, inoltre, partecipe di altri importanti processi biologici, come i legami
ormoni-recettori, il controllo dei canali del Ca2+, i flussi ionici transmembrana, la regolazione dell’attività dell’adenilico-ciclasi, l’attività neuromuscolare, il controllo del tono vasomotore, l’eccitabilità miocardica, il rilascio dei neurotrasmettitori ecc. Più di recente, sono state individuate altre importanti funzioni del Mg2+, in particolare, nella modulazione della produzione dei radicali liberi, nella regolazione della proliferazione cellulare e dei fenomeni di apoptosi.
Sul piano fisiopatologico o più strettamente clinico, sembra ormai certo il ruolo svolto dal Mg2+ nella patogenesi di
patologie di particolare impatto epidemiologico, come l’aterosclerosi, il diabete, la sindrome metabolica, l’ipertensione arteriosa, come pure nello sviluppo di complicanze minacciose in corso di gravidanza (eclampsia), di cardiopatia ischemica, di scompenso cardiaco o di altre patologie critiche (v. pazienti in ICU o sottoposti a interventi di cardiochirurgia).
In ambito farmacologico, il Mg2+, da tempo riconosciuto come un valido «sintomatico» nel trattamento acuto dell’asma, di aritmie minacciose, della preeclampsia e della eclampsia conclamata, ha avuto ora una maggiore definizione
delle sue proprietà farmacodinamiche (v. azione stabilizzante di membrana, effetto miorilassante), potendosi così
meglio razionalizzare il suo impiego.
A fronte di uno scenario così ampio, per molti clinici il Mg2+ rimane ancora uno ione «misterioso». Ad esempio, nonostante che già da almeno 50 anni fosse disponibile un metodo semplice e accurato per la sua determinazione, solo di
recente si è sentita l’esigenza di inserire il dosaggio del Mg2+ plasmatico tra i test diagnostici routinari dei vari laboratori. Questo dato, tuttavia, spesso non è compreso nel profilo ematico dei soggetti sottoposti a screening e ciò può verificarsi anche quando sussistano condizioni cliniche predisponenti verso lo sviluppo di specifiche alterazioni di questo
ione. È quanto viene suggerito da uno studio prospettico pubblicato negli USA agli inizi degli anni ’90, ove risulterebbe che solo nel 10-15% di pazienti con franche alterazioni della magnesiemia il problema sia stato correttamente previsto e, quindi, individuato con indagini mirate. Il dato è allarmante perché fa avanzare il dubbio che non fossero conosciute le potenziali implicazioni cliniche sottese a tali alterazioni. Purtroppo, non abbiamo elementi che ci permettano
di escludere in modo categorico che anche nella realtà attuale questo esempio di evidente «malpractice» non sia più
riproducibile. Pertanto, riteniamo utile approfondire le tante tematiche che interessano il Mg2+, nella speranza che il lettore si convinca che il conoscerle appartiene alla fondamentale formazione di base e non, quindi, all’esclusiva competenza degli «specialisti».
FISIOLOGIA E FISIOPATOLOGIA GENERALE DEL MG2+
Il Magnesio (Mg2+) rappresenta il quarto catione del nostro organismo per importanza numerica (Ca2+ > K+ > Na+ >
Mg2+) e il secondo, dopo il potassio, del mezzo intracellulare.
Compartimentalizzazione
Il contenuto totale di Mg2+, nell’individuo adulto di 70 kg, è pari a circa 1000 mmol (o 14-15 mmol/kg).
La quota totale è così ripartita:
– il 60%, pari a 600 mmol, nell’osso;
– il 39%, pari a 390 mmol, è la quota intracellulare, distribuita per il 23% nei muscoli e per il 16% negli altri tessuti;
la concentrazione intracellulare di Mg2+ ([Mg2+]i) è di circa 15 mmol/l, con quota ionizzata di circa 0,5-1 mmol/l;
– l’1%, pari a 10 mmol, è la quota extracellulare, distribuita per lo 0,7% nelle emazie e per lo 0,3% nel plasma.
Della quota plasmatica:
– il 60% è in forma ionizzata (0,36-0,7 mmol/l, che sono valori sovrapponibili alla concentrazione intracellulare);
– il 33% è legato alle proteine, per il 25% all’albumina e per l’8% alle globuline;
– il 7% è complessato con il citrato, il fosfato o con altri anioni.
I livelli plasmatici del Mg2+ totale, oltre che come mmol/l, possono essere espressi anche come mg/dl o mEq/l. Questi
i rispettivi range di normalità:
– 0,7-1,0 mmol/l (ionizzato 0,44-0,59)
– 1,7-2,4 mg/dl (ionizzato 0,9-1,30)
– 1,4-2,0 mEq/l (ionizzato 0,8-1,10)
Per passare dalle unità di massa, cioè i mg/dl, alle mmol/l, occorre dividere il valore in mg (i mg/dl vanno moltiplicati per 10 per avere i mg/l) per 24, che è il peso atomico del magnesio. Per passare da quest’ultimo ai mEq/l,
occorre moltiplicare il valore in mmol/l per 2, che è la valenza del Mg2+. Ne deriva che, per passare dalle mmol
ai mg/dl, il valore in mmol va moltiplicato per 2,4; per passare dai mEq/l ai mg/dl, il valore mEq/l va moltiplicato per 1,2.
Bilancio esterno del Mg2+
L’omeostasi del Mg2+ dipende sostanzialmente dal bilancio tra assorbimento intestinale ed escrezione renale. Nelle
nazioni civilizzate, l’apporto alimentare di Mg2+ è in stretta correlazione con le calorie introdotte, a patto che non vi sia
un eccessivo introito di calorie sotto forma di alcol o glucidi, substrati che sono privi dello ione e che possono condizionare anche situazioni maladattive nella risposta omeostatica renale (v. sotto). La normale dieta, specie se ricca in
verdure o in cereali e legumi, è in grado di apportare una quota di Mg2+ tale da raggiungere facilmente il fabbisogno
individuale, che è stimato intorno a 5-6 mg/kg (in età infantile, in gravidanza e durante l’allattamento il fabbisogno cresce del 20-30%), e da bilanciare le perdite.
ASSORBIMENTO
INTESTINALE
Il Mg2+ alimentare è assorbito lungo tutto il tratto intestinale, ma la quota maggiore è assorbita a livello del digiuno.
Minori quantità sono assorbite nel colon.
Il trasporto intestinale del Mg2+ avviene secondo due modalità, che ricalcano, almeno come punti sostanziali, i meccanismi renali (v. sotto):
– una quota, la prevalente, è riassorbita passivamente, attraverso gli spazi paracellulari. In questo percorso, il Mg2+
segue il gradiente elettrico favorevole lume → sangue, con flusso favorito, almeno in parte, anche dal fenomeno di
«solvent drag», in accordo al quale il Mg2+ sarebbe riassorbito semplicemente come conseguenza del riassorbimento del fluido luminale che lo contiene. Il riassorbimento passivo non sembra saturabile, crescendo in modo lineare
quando il carico cresce;
– una seconda quota è riassorbita, per via transcellulare, con un meccanismo attivo (pompa 2Na+/Mg2+), che è saturabile ad alti carichi, ma che è in grado di incrementare l’attività in caso di introito ridotto, forse attraverso una
maggiore espressione di canali specifici sulla membrana apicale (v. TRPM6 e TRPM7 nel tubulo contorto distale del rene).
La percentuale di assorbimento globale sulla quota introdotta varia dal 25 al 70%, con una media del 40% in condizioni
di normalità. Questa variabilità non ha trovato a oggi precise giustificazioni. In particolare, non è ancora definito se
l’entità della quota assorbita sia connessa a specifici sistemi di regolazione ormonale o se segua in qualche modo un’e-
sigenza omeostatica, se, cioè, essa si modifichi in rapporto ai livelli di magnesiemia o allo stato del pool. Di certo, il
fattore introito sembra determinante, come determinante è la qualità degli alimenti introdotti: un eccesso di fosfati e
fitati (fibre) nella dieta riduce la quota assorbita, formandosi composti scarsamente solubili. L’intestino non sembra
comunque avere un ruolo omeostatico fondamentale, dal momento che, anche quando il pool del magnesio è francamente deficitario, l’intestino continua a perdere Mg2+ attraverso le varie secrezioni intestinali (Figura 1).
RIASSORBIMENTO
RENALE
La regolazione del bilancio esterno del Mg2+ è sostenuta principalmente dal rene. A livello del nefrone il 75% del Mg2+
plasmatico totale, corrispondente alla quota libera e a quella complessata, viene filtrato. Il 15-20% della quota filtrata
è riassorbita a livello del tubulo prossimale, mentre la maggior quota di riassorbimento (dal 65 fino al 75%) avviene a
livello del tratto ascendente corticale dell’ansa di Henle. Il tasso di riassorbimento del tubulo distale è variabile, normalmente dal 5 al 10%, ma questa è la componente determinante l’escrezione finale, poiché a valle di questo segmento non sono presenti meccanismi in grado di modificare il contenuto in Mg2+ della preurina. Solo il 3-5% del Mg2+ filtrato è eliminato con le urine.
Le modalità di riassorbimento del Mg2+ a livello dell’ansa di Henle e del tubulo distale sono differenti:
– nella porzione ascendente corticale dell’ansa di Henle, il Mg2+ è riassorbito passivamente per via paracellulare. Il
passaggio del Mg2+ lungo questa via è generato dal favorevole gradiente elettrico che in questo segmento nefronico
vige tra lume e sangue, con lume reso positivo dalle peculiari modalità di riassorbimento elettrolitico che lì si attuano. Il cotrasporto Na+-K+-2Cl-, il riciclo del K+, il trasporto attivo di Na+ e il suo successivo back-leak nel lume producono, infatti, nella somma algebrica delle cariche, un eccesso di cariche positive intraluminali;
– nel tubulo distale il Mg2+ è riassorbito in modo attivo e ciò avviene per via transcellulare. Il Mg2+ entra nelle cellule, sulla base di un gradiente elettrico favorevole (cellula più negativa del lume), attraverso canali selettivi posti sulla
membrana apicale, per poi essere estruso a livello della membrana basolaterale, in scambio attivo con il Na+.
Fino alla fine degli anni ’90 il Mg2+ è stato ritenuto un elettrolita «orfano» di uno specifico sistema di controllo, per cui
non avevano ancora trovato giustificazioni plausibili le ben note capacità di adattamento del rene di fronte a situazioni
di squilibrio, da cui riduzione della magnesiuria (fino a 0,05-0,1 mmol/die) in caso di ipomagnesiemia/deplezione e,
viceversa, aumentata eliminazione urinaria (fino a oltre 200 mmol/die) in caso di ipermagnesiemia/replezione.
Attraverso le conoscenze acquisite nell’ultimo decennio questi fenomeni hanno ora nuovi elementi interpretativi, che,
pur lungi dal fornire una visione completa del sistema, hanno chiarito alcuni steps rilevanti del controllo, a livello cellulare e subcellulare, del trasporto renale (e intestinale) del Mg2+ e dei sistemi o fattori che intervengono nella sua regolazione (Tabella 1).
Il riassorbimento del Mg2+ nell’ansa di Henle (Figura 2A) è, come detto, sostanzialmente fondato sulla prevalenza, a
livello luminale, di cariche elettriche positive, per cui il Mg2+ viene «spinto» verso lo spazio paracellulare e, quindi, nel
sangue. Il gradiente elettrico (lume +8 mV → sangue 0 mV) è assicurato dal risultato della somma algebrica tra anioni e cationi, quale si viene a sviluppare dopo il completamento dei flussi degli ioni a quel livello. Flussi, che, nel caso
del K+ e del Na+, sono bidirezionali, entrambi gli ioni; infatti, dopo un iniziale riassorbimento, attraverso il cotrasporto
Na+-K+-2Cl-, ritornano nel lume: il K+, attraverso canali specifici posti a livello della membrana apicale («ROMK channel»); il Na+, lungo la via paracellulare, ove trova come fattore facilitante una particolare proteina, scoperta di recente,
denominata «paracellina-1 o claudina-16», che regola la permeabilità della «tight junction» paracellulare anche al Mg2+
e al Ca2+. Interessante è, a questo riguardo, l’osservazione che il trasporto elettrolitico lume-cellula-sangue (v. cotrasporto Na+-K+-2Cl-), e quindi la generazione del gradiente elettrico, può essere inibito in caso di eccessivo carico tubulare di Mg2+ (e Ca2+). Quest’effetto è mediato dall’intervento di specifici sensori, denominati «Ca2+/Mg2+-sensing
receptor» (Ca-SR), posti sulla membrana basolaterale delle cellule dell’ansa, che sembrano avere un ruolo fondamentale nel controllo escretorio.
Da tutto ciò si può comprendere come ogni fattore in grado di dissipare il gradiente elettrico, o per interferenza diretta sui meccanismi di riassorbimento elettrolitico (v. i saluretici dell’ansa o l’ipercalcemia), o per effetto del «lavaggio» ionico che avviene quando aumenta il flusso luminale (come, ad esempio, nella diuresi osmotica e nell’infusione di saline), possa interferire negativamente nel recupero luminale di Mg2+ e, quindi, indurre una significativa
magnesiuria.
A livello del tubulo contorto distale, come già detto, il riassorbimento del Mg2+ si compone di due fasi distinte
(Figura 2B):
– l’ingresso dello ione nella cellula, che si attua lungo un gradiente elettrico favorevole e che avviene quindi passivamente. Perché questo avvenga, è necessario che siano attivi, a livello della membrana apicale, determinati canali specifici, di cui solo di recente sono state definite struttura e funzione. Si tratta di due proteine, facenti parte della famiglia dei «transient receptor potential» (conosciuti con l’acronimo di TRP, nel caso specifico TRPM6-TRPM7), che
si caratterizzano per la peculiarità di agire sia come «channel» per gli ioni sia come «chinasi» proteiche (da cui il
nome «chanzymes»), in un’azione articolata che prevede, dopo l’ingresso dello ione, anche l’innesco di reazioni biochimiche che sono necessarie al trasferimento e all’utilizzo dello stesso all’interno delle cellule. In favore del ruolo
determinante svolto da questi substrati nella regolazione dell’assorbimento distale del Mg2+ è la recente individuazione di un sistema di regolazione autocrino e paracrino della loro attività, che come elemento di stimolo vede l’«epidermal growth factor» (EGF), primo ormone realmente magnesiotropo fino a ora scoperto;
– l’estrusione dalla cellula, a livello della membrana basolaterale, mediante un meccanismo attivo di scambio con il
Na+. Quest’attività sembra regolata dagli stessi sensori extracellulari presenti anche nell’ansa di Henle (Ca-SR), da
cui derivano un’inibizione dell’effetto in caso di ipercalcemia/ipermagnesiemia e, viceversa, una sua accelerazione in caso di ipocalcemia/ipomagnesiemia. Il trasporto attivo del Mg2+ è inibito in caso di acidosi, ipopotassiemia
e ipofosfatemia (Tabella 1).
SISTEMI
ENDOCRINI E BILANCIO ESTERNO
Si è detto che l’EGF, a oggi, rappresenta l’unico fattore direttamente coinvolto nel bilancio esterno del Mg2+. Ciò però
non esclude che altri sistemi endocrini siano in grado di interferire sui patterns escretori, entrando anche solo come
«coautori» nella complessa rete di regolazione presente a livello delle strutture tubulari renali.
Sia le cellule dell’ansa di Henle sia quelle del TCD posseggono recettori specifici per gli ormoni peptidici (PTH, insulina, glucagone, vasopressina, calcitonina). Il preciso ruolo funzionale di questi non è ancora definito in modo compiuto, ma è da tempo noto che gli effetti risultanti dal legame ormone/recettore sono tali da produrre, come risultato
finale, un incremento del trasporto di Mg2+.
Il fenomeno è stato studiato soprattutto in riferimento al PTH, principale ormone regolatore degli ioni bivalenti, che
ha con il Mg2+ reciproche interrelazioni di particolare interesse in ambito fisiopatologico e clinico (v. ipoparatiroidismo da ipomagnesiemia).
Esistono prove sull’intervento regolatore del PTH a livello dell’ansa di Henle. A quel livello, una volta stabilito il legame PTH-recettore, si attiva l’adenilico-ciclasi, da cui una cascata di reazioni che inducono una maggiore attività del
cotrasporto Na+-K+-2Cl- e una maggiore espressione dei trasportatori del K+ (ROMK), meccanismi, entrambi, che
potenziano il gradiente elettrico responsabile del recupero paracellulare del Mg2+ (v. sopra). Un effetto opposto all’adenilico-ciclasi è attribuibile alla fosfolipasi-A2, che sembra essere uno dei target elettivi dei Ca-SR: diversi metaboliti dell’acido arachidonico sono, infatti, in grado di inibire direttamente il cotrasporto e i ROMK, limitando il riassorbimento del Mg2+. I meccanismi operativi a livello del TCD sono meno noti, ma anche qui gli ormoni peptidici sembrano agire attraverso l’adenilico-ciclasi, in opposizione ai Ca-SR e quindi al sistema della fosfolipasi-A2.
L’azione dell’aldosterone non è diretta, ma per quest’ormone si ipotizza solo un effetto di potenziamento dei meccanismi PTH-mediati. Nella cronica ipersecrezione di aldosterone, l’azione di risparmio a livello tubulare sembra comunque sopraffatta dall’effetto magnesiurico legato all’espansione di volume che l’ormone induce. Le catecolamine, la
vitamina D (che aumenta anche il riassorbimento intestinale), le prostaglandine e l’insulina, tutti ormoni con azione
favorente il riassorbimento tubulare di Mg2+, agirebbero invece in modo indipendente, forse attraverso l’induzione di
proteine fondamentali per le sequenze biochimiche della via adenilico-ciclasi-dipendente o attraverso vie enzimatiche
non ancora conosciute.
Per quanto riguarda l’azione del glucagone, sembra accertato che l’ormone, da solo o in combinazione con la vasopressina, stimoli, in analogia all’insulina, il riassorbimento del Mg2+, rappresentando ciò forse l’unico modello funzionale in cui insulina e glucagone non svolgono azioni contrapposte.
Non ben chiari sono, infine, gli effetti sull’omeostasi del Mg2+ svolti dagli ormoni sessuali: mentre l’azione sia del
testosterone sia del progesterone non è definita e forse si limita solo all’interscambio dello ione tra cellula/extracellula, gli estrogeni possiedono una specifica attività sui meccanismi che regolano i rapporti tra osso e liquido extracellulare, in apparente antagonismo con il PTH.
Bilancio interno del Mg2+
Gli spostamenti del Mg2+ all’interno dell’organismo rientrano in un sistema di regolazione, che può essere definito
come «bilancio interno».
Come evidenziato in Figura 1, il Mg2+ totale corporeo è distribuito secondo un sistema tricompartimentale, costituito
da osso, cellule e liquido extracellulare, con l’osso che ne contiene la maggior parte.
A oggi, le modalità di interscambio tra i distinti compartimenti non sono ancora state stabilite con esattezza, anche se
esistono prove che i tessuti, compreso l’osso, cedano Mg2+ in caso di ipomagnesiemia e, viceversa, lo recuperino dal
plasma in caso vi sia un eccesso.
Mediante metodiche di diluizione isotopica è stato dimostrato, però, che solo il 25% circa del pool totale di Mg2+ è
scambiabile, cioè partecipa in modo attivo al mantenimento dell’omeostasi corporea dello ione, regolando la distribuzione tra i vari compartimenti e, quindi, anche i livelli plasmatici. Per l’80% di questa quota i tempi di reclutamento
sono superiori alle 100 ore e si ritiene, ma non vi sono certezze al riguardo, che essa corrisponda al Mg2+ contenuto
nella parte superficiale dell’osso, distretto comunque extracellulare. Solo il 20%, pari cioè al 4-5% del pool totale, è
scambiabile in 10 ore circa ed è questa quota che vede presumibilmente coinvolti i liquidi extracellulari facilmente raggiungibili, in un possibile equilibrio dinamico con i tessuti non ossei, ovvero le cellule.
La concentrazione del Mg2+ nelle cellule è simile a quella del liquido extracellulare, con valori medi che si aggirano
intorno a 0,5 mmol/l. Tra liquido intracellulare e liquido extracellulare non vi è dunque alcun gradiente chimico.
Esiste, invece, un gradiente elettrochimico, che è creato dalla negatività vigente all’interno della cellula, per cui il
Mg2+ tende a entrare passivamente nel mezzo intracellulare, con flusso facilitato dall’intervento di specifici sistemi di
trasporto, variabili da tessuto a tessuto (v. TRP renali).
L’efflusso sarebbe, invece, ostacolato dalla presenza di un gradiente sfavorevole, per cui il Mg2+ può uscire dalle cellule solo con meccanismi attivi, che di recente sono stati meglio caratterizzati come meccanismi Na+-dipendenti (scambio 2Na+/Mg2+, come nei tubuli renali) o Na+-indipendenti (in equilibrio anionico o in scambio con altri cationi).
Il contenuto intracellulare finale di Mg2+ risulta dipendente dai ritmi di tali meccanismi di estrusione. Questi sono peraltro modulati secondo un complesso sistema di controllo, in cui entrano diversi fattori di segno opposto: gli agonisti
beta- e alfa1-adrenergici, come la fosfolipasi-A2, attraverso l’attivazione del cAMP, inducono un’accelerazione dello
scambio 2Na+/Mg2+, favorendo l’efflusso del Mg2+ dalle cellule; viceversa, l’insulina, attraverso l’inibizione del
cAMP, e la vasopressina, via attivazione della chinasi proteica C (PKC), sono agenti in grado di limitare l’estrusione
di Mg2+, favorendone l’accumulo intracellulare.
A livello cellulare, il Mg2+ è contenuto soprattutto nel nucleo, nei mitocondri e nei ribosomi.
Questa distrettualizzazione corrisponde alle specifiche attività che il Mg2+ svolge all’interno delle cellule stesse (v.
sotto). Non è chiaro se sussista un interscambio tra queste strutture, come invece avviene per il Ca2+. Il paragone tra i
due ioni bivalenti sembra comunque inappropriato, dal momento che il Mg2+, a differenza del Ca2+, non svolge la funzione di secondo messaggero a livello intracellulare e, quindi, non necessita di un dinamismo particolare. Gli spostamenti del Mg2+ a livello intracellulare hanno tempistiche di equilibrio più lente e sembrano soprattutto regolati dalle
esigenze metaboliche delle cellule, con maggiore presenza dello ione (circa il 90%) nelle substrutture, come i ribosomi e i polinucleotidi, che sono particolarmente coinvolte in processi biochimici attivi (v. sintesi del DNA e sintesi proteica). In questi, il Mg2+ trova specifici targets in svariate attività enzimatiche (come detto, oltre 300!), su cui svolge
azioni di diversa natura: come cofattore, come elemento di collegamento tra i diversi substrati o semplicemente di loro
stabilizzazione o, ancora, come attivatore degli enzimi stessi, secondo un meccanismo che prevede un legame diretto
tra Mg2+ ed enzima (Tabella 2).
Tra le attività biologiche del Mg2+ sono fondamentali quelle connesse all’utilizzo dell’ATP, cui lo ione è strettamente
legato (buona parte dell’ATP è complessata con il Mg2+), per cui vengono a essere interessate le vie metaboliche coinvolte nei processi di produzione/conservazione/utilizzo di energia. Per il legame con l’ATP, il Mg2+ risulta un fondamentale elemento di regolazione e di bilanciamento dei flussi ionici ATP-correlati (v. Na+-K+-ATPasi). Inoltre, il Mg2+,
attraverso l’attivazione delle subunità alfa della proteina G di membrana, è in grado di attivare l’adenilico-ciclasi, risultando così comune agente modulatore di svariate attività ormonali.
Di particolare importanza fisiopatologica è l’azione di antagonismo che il Mg2+ esercita nei confronti del Ca2+, azione
che si esercita sia attraverso l’interferenza con i meccanismi che ne favoriscono l’influsso nelle cellule (blocco noncompetitivo dei canali del Ca2+ IP3-sensibili), sia mediante un effetto limitante la specifica azione biologica a livello
cellulare, per inibizione della sua mobilizzazione. Sotto questi aspetti il Mg2+ può essere considerato il più completo
calcio-antagonista di cui le cellule possono disporre in natura.
Il Mg2+ è fondamentale per l’integrità funzionale del DNA, partecipando in modo diretto ai processi finalizzati al
mantenimento, alla duplicazione e alla trascrizione del nucletide, così come sembra coinvolto in modo diretto nei
processi di proliferazione cellulare, accelerandola, e nella protezione delle cellule sia verso gli stress ossidativi sia
verso i fenomeni di apoptosi.
Oltre a tutto ciò, il Mg2+, in analogia al Ca2+, svolge un’elettiva funzione stabilizzante sulle membrane, con effetti diretti sulla componente lipidica. Sempre a livello di membrana, il Mg2+ è in grado poi di condizionare i fenomeni di esoendocitosi, la permeabilità all’acqua e, ancora, l’attività dei canali ionici o dei «carriers» specifici. La spiccata affinità verso le strutture di membrana da parte del Mg2+ (e ciò vale anche per altri metalli, come il calcio, il ferro, il nichel)
avrebbe comunque un ruolo protettivo, poiché il legame che si crea evita un eccessivo influsso nell’intracellulare delle
molecole e, quindi, una loro potenziale azione tossica.
LE IPOMAGNESIEMIE
Il reale impatto dell’ipomagnesiemia nella popolazione generale sfugge a una stima esatta, dal momento che, come anticipato nella parte introduttiva, ancora oggi la determinazione della magnesiemia non rientra negli screening normalmente prescritti. Forse anche per questo, i dati della letteratura sono assai dispersi, con una prevalenza media che varia
dal 5 fino al 15% in casistiche eterogenee e comprendenti varie fasce di età. L’ipomagnesiemia sembra presentarsi in
percentuali maggiori nei più giovani, soprattutto di sesso femminile (20% circa a 18-20 anni), e tra gli anziani, dove
sono riportate percentuali fino al 15%, conferendo alla curva dei dati di prevalenza per età un aspetto vagamente a U.
Per quanto riguarda la popolazione ospedalizzata, l’ipomagnesiemia è molto più frequente. Le diverse prevalenze riportate in letteratura risentono, ovviamente, della soglia che si adotta per definire lo stato di ipomagnesiemia: si va dal 1011% circa, se si considerano valori < 0,6 mmol/l (a nostro parere eccessivamente ridotti), al 19% con valori < 0,62
mmol/l, per arrivare al 47% con cut-off < 0,74 mmol/l. Una prevalenza elevata (> 50%) è riferita nei soggetti ipopotassiemici, ma, quando si considerino i pazienti ricoverati in ICU, si può giungere a punte massime di oltre il 60%. Altri
contesti clinici a rischio sono il diabete, in cui lo squilibrio è presente nel 25% dei casi, e l’ipertensione arteriosa, che
presenta percentuali analoghe (20-25%).
Da tutto ciò appare evidente che, pur nella dispersione delle varie casistiche, l’ipomagnesiemia ha un impatto clinico
di assoluto rilievo.
Non è possibile invece ricavare dalla letteratura il reale peso epidemiologico della deplezione di Mg2+, termine che
definisce la riduzione del suo pool. Ciò dipende senza dubbio dal fatto che questa condizione può essere mascherata da normalità dei livelli ematici e quindi sfuggire ad analisi di massa se non si utilizzano mezzi diagnostici mirati
(v. sotto).
Ipomagnesiemia e deplezione di Mg2+
È un concetto ormai acquisito che il contenuto cellulare in Mg2+ può variare indipendentemente dai suoi livelli ematici. Una deplezione di Mg2+, anche severa, può infatti coesistere con valori normali di magnesiemia e, d’altra parte, un’ipomagnesiemia può svilupparsi senza un bilancio negativo di Mg2+ e, quindi, con depositi intracellulari di Mg2+ integri o addirittura aumentati. Ma, se si eccettua quest’ultima condizione, che è limitata a pochi contesti facilmente identificabili (v. «shift»), vale il concetto che, di fronte a un’ipomagnesiemia significativa, è assai probabile che coesista
anche un deficit del pool di Mg2+. Comunque, nel testo useremo spesso, per semplicità, il termine ipomagnesiemia/
deplezione, in particolare, quando i dati della letteratura non si riferiscono in modo esplicito a uno dei due termini.
Il problema centrale riguarda il meccanismo attraverso cui la deplezione può essere mascherata da livelli ematici normali. La possibile (e frequente) dicotomia tra eventi cellulari ed extracellulari sembra attestare che gli spostamenti del
Mg2+ tra i due compartimenti siano svincolati dalle comuni leggi che normalmente regolano i flussi ionici (v. equilibrio
elettrochimico) e che possano, invece, ubbidire a un complesso sistema di controllo, in cui entrano in gioco sia fattori
cellulari, in buona parte connessi alle specifiche esigenze metaboliche (v. attività enzimatiche, trasportatori, canali ionici, sistemi di «Mg2+ buffering»), sia altri, invece, esterni alle cellule stesse (v. sistemi endocrini).
I meccanismi di fondo ci sono attualmente ignoti ed esula da questa trattazione l’approfondimento su quanto le ricerche abbiano permesso di acquisire fino a ora (si rimanda per i dettagli agli articoli di Romani A., 2007, e Wolf F.I. e
Trapani V., 2008).
Sia all’ipomagnesiemia, comunque prodotta, che alla deplezione di Mg2+ sono attribuibili diversi effetti negativi a carico di vari organi o apparati, prevalendo le interferenze sui tessuti eccitabili (v. sotto). Ma le ripercussioni dovute al deficit di Mg2+ non si limitano a questi eventi specifici. In determinati contesti clinici, l’ipomagnesiemia/deplezione di
Mg2+ può, infatti, assumere un ruolo fisiopatologico più profondo, potendo entrare come fattore patogeno diretto o
come concause nel determinismo delle malattie stesse. Ciò vale per il diabete mellito di tipo 2, l’ipertensione arteriosa, l’aterosclerosi, nelle sue possibili espressioni tra cui la cardiopatia ischemica, lo scompenso cardiaco.
DIABETE
MELLITO
Negli ultimi 30 anni si sono acquisite sempre più evidenze delle strette interrelazioni tra il Mg2+ e il diabete di tipo 2.
Ampi studi epidemiologici hanno permesso di avanzare l’ipotesi che le carenze alimentari di Mg2+, quali si documentano in modo crescente tra le popolazioni civilizzate, abbiano avuto un ruolo definito nel favorire l’aumentata
incidenza di diabete che si è verificata in questi ultimi decenni. D’altra parte, l’introito di Mg2+ si correla in modo
inversamente proporzionale con gli indicatori di ridotta tolleranza glucidica.
Sul piano strettamente fisiopatologico, il problema è stato analizzato sotto più aspetti.
In senso generale, la carenza di Mg2+ a livello cellulare è in grado di interferire negativamente sulle vie metaboliche
che producono o consumano ATP, tra le quali vi sono le cascate enzimatiche che interessano il metabolismo dei carboidrati. Da ciò possono derivare alterazioni metaboliche, a più livelli, tali da innescare o favorire lo stato diabetico.
Ma l’effetto diabetogeno più specifico dell’ipomagnesiemia/deplezione di Mg2+ sembra legato alla riduzione dell’attività della tirosina-chinasi, enzima squisitamente Mg2+-dipendente: dal deficit di tale enzima deriverebbero disturbi multipli nell’azione postrecettoriale dell’insulina (per approfondimenti v. gli articoli di Sales C.H. e Pedrosa F.C., 2006, e
di Bo S. e Pisu E., 2008) e nella disponibilità intracellulare di Ca2+, che produrrebbero, come effetto finale, lo stabilirsi dello stato di insulino-resistenza. Interessante è l’ipotesi che individua nel deficit dell’enzima un meccanismo biochimico unificante che lega il deficit di Mg2+ con l’insulino-resistenza, da un lato, e con l’ipertensione arteriosa, dall’altro, potendo questi due eventi autopotenziarsi in modo reciproco (Figura 3).
I rapporti tra diabete e Mg2+ sono comunque bidirezionali. Il deficit di attività insulinica e anche la sola iperglicemia,
indipendentemente dall’insulina, influenzano negativamente il contenuto cellulare di Mg2+ e sono in grado di condizionare lo squilibrio tra questo e il Ca2+. D’altra parte, sia l’iperglicemia che il deficit relativo di insulina sono accumunati dal produrre sinergicamente un incremento dell’escrezione renale di Mg2+, favorendo lo sviluppo di uno stato
di deplezione.
Gli squilibri del Mg2+ sarebbero strettamente correlati con l’evidenza di macroangiopatia: il deficit di Mg2+ può infatti favorire lo sviluppo parallelo di altri fattori aterogeni, come l’ipertensione arteriosa e l’iperdislipidemia.
Analogamente, anche i segni di microangiopatia (retinopatia, microalbuminuria, polineuropatia) sembrano correlarsi
con il deficit di Mg2+.
Per quanto riguarda gli effetti della reintegrazione con Mg2+ sul profilo metabolico dei pazienti diabetici, i dati non sempre sono concordanti. A fronte di alcuni studi che hanno dimostrato variazioni favorevoli del bilancio metabolico o dei
marcatori dello stato diabetico (glicemia a digiuno, sensibilità insulinica, Hb-glicata ecc.) in parallelo al miglioramento della magnesiemia, altri hanno registrato una risposta assai modesta o addirittura assente nei parametri considerati.
Tuttavia, su tali differenze hanno presumibilmente pesato i tempi di follow up, da un lato, e, dall’altro, le dosi e/o le
modalità di reintegrazione. Interessante è l’azione protettiva che la supplementazione di Mg2+ sembra poter esercitare
sulla polineuropatia.
Al di là della variabilità delle risposte alle diverse terapie, l’ipomagnesiemia in corso di diabete deve essere considerato un problema concreto. In linea con ciò, l’«American Diabetes Association» (ADA), fin dalla Consensus Conference
del 1992, raccomanda una particolare attenzione al Mg2+ nei pazienti diabetici e stabilisce che il reintegro debba essere effettuato non solo di fronte a una documentata ipomagnesiemia, ma anche quando vi sia il semplice rischio di uno
stato depletivo, come in corso di alcolismo, alimentazione artificiale, gravidanza, o quando la possibile deplezione si
sviluppa in particolari contesti clinici a rischio per complicanze minacciose (v. diabetici con scompenso cardiaco e cardiopatia ischemica).
IPERTENSIONE ARTERIOSA
Altra condizione in cui il Mg2+ sembra rivestire un ruolo fisiopatologico definito è l’ipertensione arteriosa essenziale.
Il fatto che il Mg2+ sia in qualche modo implicato in una patologia elettivamente vascolare come l’ipertensione arteriosa non sorprende, dal momento che lo ione è riconosciuto come uno dei più importanti fattori vasoattivi naturali.
Gli effetti del Mg2+ sui vasi sono ben noti: esso modula il tono e la contrattilità della muscolatura liscia vascolare, interferendo in particolare con l’azione del Ca2+ (blocco del suo influsso, antagonismo diretto sui meccanismi intracellulari Ca2+-dipendenti), di cui inibisce sia l’azione depolarizzante sia l’effetto stimolante sull’accoppiamento eccitazionecontrazione. Se vi è deficit di Mg2+ o vi sono interferenze sulla sua azione a livello cellulare, questo effetto protettivo
di tipo calcio-antagonista viene a essere limitato, consentendo al Ca2+ di esercitare i suoi effetti specifici (Figura 4).
Numerose evidenze cliniche e sperimentali permettono di ipotizzare che anche questo meccanismo possa aver un ruolo
nella genesi multifattoriale dell’ipertensione arteriosa. Nonostante non siano state ancora definite le modalità con cui
l’ipomagnesiemia/deplezione di Mg2+ viene a stabilirsi (difetti di introito, alterazioni di uptake, efflusso aumentato
ecc.), è stato verificato che nei soggetti ipertesi (animali da esperimento e uomo) le cellule di vari organi sono generalmente deplete di Mg2+. Ciò riguarda in particolare le miocellule della muscolatura liscia vasale. Nei modelli sperimentali il contenuto cellulare di Mg2+ ([Mg2+]i) si correla negativamente con i livelli pressori, mentre vi è una correlazione diretta con il [Ca2+]i.
Oltre a ciò, il Mg2+ è una fattore basilare nel controllo della regolazione «umorale» del tono vasomotorio. È stato dimostrato che la carenza di Mg2+ è in grado di limitare la produzione di fattori vasodilatanti, come la prostaciclina (PGI2)
e il nitrossido (NO), favorendo di fatto il prevalere dei fattori vasocostrittori, quali l’endotelina 1 (ET-1) e l’angiotensina II (Ang II). La somministrazione di Mg2+ riequilibra questa situazione sbilanciata, con un meccanismo di blocco dell’azione dei vasocostrittori, che probabilmente si attua a livello recettoriale. Di recente è stato dimostrato come lo stesso Mg2+ sia in grado di inibire il rilascio di norepinefrina dalle terminazioni nervose, proponendo un suo possibile ruolo
anche nella regolazione dell’attività adrenergica.
L’azione protettiva del Mg2+ sui vasi non si limita al riequilibrio dei fattori di regolazione vasomotoria, ma si esercita anche attraverso interferenze dirette sui fenomeni correlati all’infiammazione e alla formazione di radicali liberi, la
cui importanza nella progressione dei danni d’organo secondari all’ipertensione, come la proliferazione e il rimodellamento, trova sempre maggiori riprove.
I diversi studi clinici che hanno affrontato il problema del Mg2+ nel modello umano di ipertensione arteriosa essenziale non sono compiutamente in accordo con i presupposti fisiopatologici né con i riscontri sperimentali, così come non
sembrano confermare in modo univoco la correlazione diretta tra deficit di Mg2+ e incidenza di ipertensione, suggerita
invece dai maggiori studi epidemiologici. Ad esempio, l’ipomagnesiemia/deplezione di Mg2+ non è costante nelle varie
popolazioni studiate, ma, anzi, vi sono alcune segnalazioni di un aumento del Mg2+ intracellulare (eritrociti) nei soggetti ipertesi. D’altro canto, vi sono studi che legano l’ipomagnesiemia all’attivazione dell’asse renina-angiotensinaaldosterone (RAAS): la prevalenza di ipomagnesiemia nei soggetti ipertesi ad alta renina è risultata significativamente
più elevata rispetto alla popolazione degli ipertesi normoreninemici, come è stata verificata una correlazione inversa tra
magnesiemia e renina. Ricordiamo, inoltre, che l’azione della deplezione di Mg2+ sull’aldosterone può essere svincolata dal suo effetto sulla renina: esistono, infatti, prove che il deficit di Mg2+ stimoli direttamente la sintesi e la secrezione dell’aldosterone da parte della zona glomerulosa delle surrenali, con un meccanismo Ca2+-mediato.
In definitiva, alla luce di quanto è emerso nella letteratura, si può a oggi affermare che non tutti i soggetti ipertesi presentano problemi di Mg2+, come non tutti i soggetti con problemi di Mg2+ sono ipertesi. Tuttavia, nell’eterogeneità della
popolazione di ipertesi, vi sono alcuni sottogruppi in cui il problema del Mg2+ è senza alcun dubbio presente. Tra questi vi sono i soggetti afroamericani, i pazienti con ipertensione arteriosa severa, anche nella sua variante maligna (v.
rapporti con la renina), e gli ipertesi con sindrome metabolica. Per questi ultimi evidentemente vanno richiamati i concetti fisiopatologici già espressi per quanto riguarda il NIDDM, nelle possibili interrelazioni reciproche Mg2+-mediate,
con l’ipertensione arteriosa.
ATEROSCLEROSI-CARDIOPATIA ISCHEMICA
Partendo dalla fine degli anni ’50, si sono acquisite sempre più evidenze che la carenza di Mg2+ negli alimenti e nell’acqua («hard water» versus «soft water») si associa a un aumentato rischio di patologie cardiovascolari. Ciò è stato
dimostrato in particolare nella cardiopatia ischemica (CHD), modello clinico più studiato per il suo impatto sulla mor-
bilità e mortalità generale, ma analoghi riscontri, sebbene in casistiche più ristrette, sono stati verificati in altre patologie vascolari, quali l’ictus ischemico e le nefroangiosclerosi.
I dati epidemiologici hanno trovato conforto in diverse ricerche di tipo fisiopatologico, con il risultato che, a oggi, si
può affermare che il Mg2+ è da considerarsi, a ragione, un fattore di primaria importanza nel complesso «puzzle» di
fenomeni di ordine emodinamico, biochimico, degenerativo, flogistico e proliferativo che, nell’insieme, compongono
la genesi della malattia aterosclerotica (Figura 5).
Sotto tutti questi punti, i legami tra la malattia e la carenza di Mg2+ sono molteplici. Di seguito sono illustrati, in estrema sintesi, i processi biologici e patologici in cui il Mg2+ può avere un ruolo (per dettagli si rimanda alle letture più specifiche, indicate nella bibliografia):
– alterazioni lipidiche. Studi clinici hanno da tempo evidenziato che i soggetti ipomagnesiemici presentano alterazioni multiple del profilo lipidico, in particolare, un aumento del colesterolo totale (T-Col), un aumento del colesterolo LDL (LDL-Col) e dei trigliceridi (TG), una riduzione del colesterolo HDL (HDL-Col). A spiegazione di ciò, vi
sono prove sperimentali che indicano difetti multipli nella regolazione della sintesi di questi composti, con interessamento di vie enzimatiche specifiche: a) ridotta attività della lipoprotein-lipasi (minor catabolismo TG, minor produzione HDL-Col); b) attivazione della OH-metil-glutarilCoA-reduttasi (aumento sintesi T-Col); c) inattivazione
della lecitin-colesterolo-aciltrasferasi (aumento LDL-Col; riduzione HDL-Col). Oltre a ciò, la dislipidemia dei soggetti ipomagnesiemici o depleti può essere attribuita anche alla resistenza insulinica, secondo i meccanismi sopra
ricordati;
– flogosi-disfunzione endoteliale-ossidazione. In associazione alle alterazioni lipidiche, la carenza di Mg2+ produce
un’attivazione dei fattori di flogosi, come testimoniato dal reclutamento di macrofagi e cellule endoteliali, dalla liberazione di citochine e di fattori di crescita, da cui deriva uno stimolo alla proliferazione e alla migrazione cellulare.
Il deficit di Mg2+ è in grado anche di indurre disfunzione endoteliale, come dimostrato dalla comparsa dei segni
secondari: attivazione delle molecole di adesione, liberazione di chemo- e citochine, aumentata permeabilità ai lipidi, ossidazione delle LDL, sbilanciamento nella sintesi/secrezione di substrati vasoattivi (v. ridotta sintesi di NO e
PGI2), proliferazione delle cellule endoteliali e muscolari ecc. La carenza di Mg2+ favorisce i fenomeni ossidativi e
la formazione di radicali liberi dell’ossigeno (ROS); è descritto, in particolare, un aumento della perossidazione
delle LDL, processo che rende questi composti più aterogeni. A loro volta, le LDL ossidate interferiscono con le funzioni delle cellule endoteliali, perpetuando un circolo vizioso che rappresenta un importante step nella formazione e
progressione delle lesioni ateromasiche;
– attivazione piastrinica. Il Mg2+ è in grado di interferire negativamente sull’aggregazione piastrinica, attraverso l’inibizione della sintesi dell’agente proaggregante trombossano A2 e lo stimolo della sintesi di prostaciclina. Inoltre,
lo ione interferisce sull’attività del recettore piastrinico IIb-IIIa. Il deficit di Mg2+ presumibilmente altera questi
processi, con il risultato che le piastrine risultano più aggregabili. Da tener presente che lo stesso deficit di Mg2+,
limitando anche la produzione di NO, che è un noto inibitore dell’aggregazione, sbilancia ulteriormente il rapporto tra fattori proaggreganti e antiaggreganti a favore dei primi.
MG2+
E CARDIOPATIA ISCHEMICA
Tra le malattie collegate all’aterosclerosi, la CHD rappresenta senza dubbio il modello clinico ove la correlazione tra
Mg2+ e malattia è stata più ampiamente approfondita. Dai dati epidemiologici, specie quelli desunti dai due più ampi
studi prospettici pubblicati finora (15.000 soggetti reclutati nel primo; oltre 12.000 nel secondo), sembra emergere un
rapporto stretto tra ipomagnesiemia e CHD: l’ipomagnesiemia si associa, infatti, a un aumento significativo di incidenza e prevalenza di CHD e a un aumentato rischio di mortalità per CHD (oltre che di mortalità totale). Si tratta di
dati allarmanti. Essi possono fare riferimento ad alcuni presupposti fisiopatologici che, seppur non ancora validati in
ambito clinico, sembrano aprirci diversi spiragli interpretativi sui vari aspetti che legano il Mg2+ alla CHD:
– il ruolo del Mg2+nella genesi della CHD. Tutti i fattori fisiopatologici che entrano in causa nella genesi della malattia aterosclerotica, e quindi anche della CHD, possono prendere origine, anche se non esclusivamente, da un deficit
di Mg2+. Ricordiamo, ancora, che al deficit di Mg2+ possono essere ascritti l’aumento di adesione e aggregazione
piastrinica, lo stato di disfunzione endoteliale, l’aumentata sintesi di ROS, la dislipidemia ecc.; se il Mg2+ è deficitario vengono meno le sue specifiche attività coronarodilatante e vasodilatante (v. azione modulante del Mg2+ sull’attività del Ca2+), con effetto amplificato dallo squilibrio tra fattori vasocostrittori e vasodilatatori che può generarsi (v. ipertensione arteriosa);
– gli effetti dell’ischemia del miocardio sul Mg2+. La magnesiemia osservata nel corso della fase acuta dell’IMA (nell’intervallo tra le 12-20 ore successive) è generalmente ridotta, in rapporto a processi di «saponificazione» con i FFA
che si liberano in eccesso per la lipolisi indotta dalle catecolamine. Tale alterazione è ritenuta uno dei maggiori fattori di rischio per gli eventi aritmici minacciosi di questa fase.
Fino a pochi anni fa non si sapeva quali fossero i riflessi diretti dell’ischemia sul Mg2+ miocitario e, anzi, gli articoli più datati avevano portato a risultati conflittuali su questo aspetto. Di recente, la possibilità di dosare in modo
distinto il Mg2+ totale e il Mg2+ ionizzato ha permesso di chiarire meglio i fenomeni intracellulari che riguardano il
Mg2+ durante la fase acuta dell’ischemia. L’effetto immediato dell’ischemia è la riduzione del contenuto di ATP. Ciò
comporta un aumento del Mg2+ ionizzato, dato che le cellule si depletano del principale «buffer» intracellulare del
Mg2+. Questa risposta è da intendersi come protettiva poiché l’aumentata disponibilità del Mg2+ si riflette positivamente sulla funzione cellulare, in quanto essa determina: a) un’inibizione dell’influsso intracellulare del Ca2+; b) una
maggiore azione competitiva nei confronti del Ca2+ in merito ai suoi legami con la troponina; c) una sostanziale inattivazione dello stesso Ca2+, per aumento del suo uptake da parte del reticolo sarcoplasmatico e, quindi, minore presenza a livello mitocondriale, ove esso esercita la maggiore tossicità. Inoltre, all’aumentata disponibilità di Mg2+
ionizzato sono stati attribuiti di recente altri effetti favorevoli, che riguardano in particolare: 1) il fenomeno del miocardio «stunned», secondo alcuni più facilmente recuperabile in presenza di alte concentrazioni di Mg2+ intracellulare (o per le interferenze con il Ca2+ o per la ridotta produzione di ROS); 2) l’estensione dell’area infartuata, che
verrebbe a essere più limitata in presenza di Mg2+;
– il ruolo del Mg2+ nel trattamento della CHD. Nell’ambito sperimentale, è ampiamente dimostrato che molti degli
effetti ischemizzanti, protrombotici e aterogeni che il deficit di Mg2+ produce sono comunemente reversibili dopo
reintegro dello ione. Anche le ipotesi che vedono nel Mg2+ un fattore protettivo per la cellula ischemica (v. paragrafo precedente) sono sostanzialmente basate sulla dimostrazione che l’introduzione di Mg2+ si dimostra un efficace «antidoto» verso i meccanismi negativi Ca2+- o ROS-mediati. Per di più, vi sono prove sperimentali e cliniche, in verità piuttosto datate, di come la somministrazione farmacologica di Mg2+ appaia in grado di produrre
una sensibile vaso-coronarodilatazione, che spiegherebbe gli effetti favorevoli nell’angina vasospastica e nella
variante da sforzo, ove aumenterebbe la soglia. Inoltre, la reattività vascolare, specie delle coronarie, è ridotta se
si associa il Mg2+ ai farmaci vasocostrittori (angiotensina, aceticolina, idrossitriptamina ecc.). Di particolare
importanza potrebbe essere, infine, l’effetto preventivo del Mg2+ nei confronti delle aritmie critiche acute della
CHD, come documentato in diversi studi.
Da quanto detto sopra, sembrerebbe emergere un evidente razionale nell’impiego del Mg2+ come «terapia specifica»
della CHD, specie nella sua fase acuta, e su tale linea si muovevano i suggerimenti della letteratura agli inizi degli
anni ’90.
Tuttavia, i trials successivi che hanno studiato gli effetti di questa strategia su casistiche consistenti e valutato «end points»
pesanti (mortalità nel breve e lungo termine; morbilità o complicanze associate) hanno in sostanza deluso le aspettative.
A fronte dei risultati ottenuti nel primo mega-trial (LIMIT-2, 1994), in cui si osservava una riduzione della mortalità del
24% nel breve termine e del 16% nel lungo termine (in assenza, però, di alcun vantaggio emodinamico o antiaritmico), il
completamento dei due successivi studi (ISIS-4, 1995; MAGIC, 2002) ha portato a risultati del tutto contrapposti, non evidenziando alcun vantaggio del braccio dei soggetti trattati con Mg2+ rispetto al braccio trattato con placebo. Tali differenze sono attribuibili a diversi fattori. In primo luogo, nei vari studi si adottavano terapie specifiche o di supporto differenti
(v. protocolli non uniformi nell’impiego di agenti trombolitici, ASA, ACE-inibitori ecc.), come diversa era la distribuzione dei fattori di rischio, potendo tutto ciò condizionare pesantemente la variabilità dei risultati. Ma la principale differenza riguarda il timing dell’intervento, che era molto più precoce nel disegno sperimentale del LIMIT-2 rispetto agli altri
studi: questo è un dato importante perché è noto che l’azione «tossica» del Ca2+ nella fase di riperfusione si instaura in
tempi brevissimi, entro 2-3 minuti.
In conclusione, allo stato attuale, non vi sono elementi tali da proporre specifiche indicazioni all’impiego generalizzato
del Mg2+ nella fase acuta dell’IMA, ove vi sono evidentemente altre scelte prioritarie di provata efficacia. Tuttavia, esistono sottogruppi di pazienti che possono beneficiare di questo provvedimento, come suggerito da alcuni Autori. Si tratta dei pazienti in cui la terapia trombolitica non è attuabile, di quelli con evidente disfunzione ventricolare sinistra (nello
studio LIMIT-2 vi era una riduzione del 25% di episodi di insufficienza ventricolare sinistra nel gruppo attivo), degli
anziani e, ovviamente, di quelli con evidenti squilibri ipomagnesiemici. Per quanto riguarda le aritmie in corso di IMA,
il Mg2+ è indicato non solo in presenza di TV a tipo «torsione di punta», ove rappresenta il farmaco d’elezione, ma anche
quando altre aritmie ventricolari minacciose non rispondano ai farmaci antiaritmici comunemente utilizzati (v. linee
guida ACLS, 2005).
MG2+
E SCOMPENSO CARDIACO
Nella lettura fisiopatologica dello scompenso cardiaco si è da tempo posto l’accento sugli aspetti metabolici della sindrome, con precisi riferimenti a plurimi disturbi a carico delle linee biochimiche fondamentali per la funzione cellulare e con l’individuazione dei targets specifici a livello miocardico ove tali disturbi si traducono negli effetti disfunzionali, alla base sia dei meccanismi di progressione sia delle complicanze più critiche (v. aritmie).
Si è più volte sottolineato come il Mg2+ rivesta un ruolo di prioritaria rilevanza nella regolazione del metabolismo cellulare, in particolare proprio nei processi strettamente legati alla funzione meccanica dei miociti, come nella produzione/utilizzo dell’energia, nella modulazione dell’azione del Ca2+ ecc. Per di più, al Mg2+ competono effetti di stabilizzazione elettrica, su cui si basa l’efficacia antiaritmica dello ione e, viceversa, la potenziale attività proaritmica che può
derivare dalla sua deplezione.
L’epidemiologia sembra di supporto a queste premesse fisiopatologiche. Facendo riferimento alla sola ipomagnesiemia,
i pazienti con CHD presentano questo squilibrio con tassi variabili dal 19 al 39%, ma i numeri potrebbero essere maggiori se si considerassero anche i soggetti con deplezione normomagnesiemica, la cui prevalenza, come detto, non è
prevedibile né facilmente stimabile.
In rapporto a tutto ciò, può sorprendere il fatto che sul tema «Mg2+ e scompenso cardiaco» la letteratura sia assai scarsa.
I pochi studi clinici disponibili sono per lo più datati e penalizzati da scarsa numerosità della popolazione analizzata,
tanto da rendere difficile l’estrapolazione di validi suggerimenti per la gestione dei pazienti scompensati.
Sul piano fisiopatologico il problema è stato affrontato sotto vari aspetti:
– alterazioni del metabolismo energetico. Non vi sono a questo riguardo dati certi che permettano di legare direttamente l’ipomagnesiemia/deplezione di Mg2+ ad alterazioni nei meccanismi di produzione, conservazione e utilizzo
dell’energia. È stato tuttavia ipotizzato che la riduzione nell’attività della Na+-K+-ATPasi che segue al deficit di
Mg2+ non sia tanto legata alla mancata o ridotta azione coenzimatica da parte dello ione, quanto al deficit dell’energia necessaria per l’attività della pompa stessa, che sarebbe da ricondurre alle interferenze metaboliche prodotte
dalla carenza di Mg2+. D’altro canto, vi sono riscontri sperimentali in cui l’ipomagnesiemia/deplezione di Mg2+ si
associa a ridotto contenuto cellulare di ATP, ADP e PCr. La perdita acuta di inotropismo che è stata osservata dopo
riduzione rapida del Mg2+ extracellulare (e anche del Mg2+ intracellulare) potrebbe essere attribuita proprio a questo meccanismo;
– alterazioni della regolazione neuroendocrina. L’attivazione del sistema renina-angiotensina-aldosterone (RAAS)
rappresenta, com’è ormai ben noto, un meccanismo di compenso alla riduzione della portata cardiaca ed è da ritenersi un elemento fisiopatologico costante nella storia naturale dello scompenso cardiaco. Sia l’AII che l’aldosterone, componenti essenziali del sistema, possono influenzare il bilancio del Mg2+ e la sua disponibilità cellulare. Gli
effetti dell’AII non sembrano tuttavia determinanti. Viceversa, l’aldosterone è uno dei più importanti e specifici fattori regolatori dell’omeostasi del Mg2+, essendo in grado di aumentarne la clearance renale attraverso l’espansione di
volume e l’azione diretta sul trasporto tubulare, e, soprattutto, di limitarne la quota intracellulare, poiché è stimolo
diretto del meccanismo di scambio 2Na+/Mg2+, che è alla base dell’estrusione del Mg2+ dalle cellule.
Squilibri del Mg2+ possono essere indotti anche dalla stimolazione del sistema nervoso simpatico (SNS), la cui attivazione rappresenta un marker costante dell’insufficienza cardiaca, soprattutto nella sua progressione. Diversi studi
recenti hanno permesso di individuare una sorta di reciproca interferenza tra il SNS e il Mg2+: come già detto, il Mg2+
esercita un’azione diretta di inibizione sulla secrezione delle catecolamine, specie della norepinefrina; viceversa, l’attivazione del SNS può favorire la deplezione cellulare dello ione attraverso lo stimolo sullo scambio 2Na+/Mg2+, con un
meccanismo che è sinergico a quello dell’aldosterone e che è inibito dai beta-bloccanti e dall’insulina;
– alterazioni dell’accoppiamento eccitazione-contrazione. L’insufficienza cardiaca si caratterizza per un difetto dell’accoppiamento eccitazione-contrazione, che è intrinsecamente connesso alla disponibilità del Ca2+ a livello dei siti
contrattili. Il Mg2+ negativizza il bilancio cellulare del Ca2+ (v. sopra) e ne inibisce l’attività (v. azione calcio-antagonista). Risulta pertanto difficilmente ipotizzabile che l’effetto inotropo negativo descritto in presenza di deficit di
Mg2+ e, viceversa, l’effetto inotropo positivo susseguente alla sua somministrazione (v. studio LIMIT-2) possano
essere attribuiti a un’interferenza negativa sull’eccitazione-contrazione, come invece ipotizzato da alcuni Autori;
– interferenze con i farmaci. Diversi farmaci utilizzati nella terapia dell’insufficienza cardiaca posseggono specifici effetti
sul patrimonio di Mg2+, agendo soprattutto sul suo tasso di escrezione renale. In breve, i diuretici dell’ansa sono l’esempio «paradigmatico» dei farmaci magnesiurici, limitando essi il gradiente elettrochimico attraverso il quale si attua il recupero paracellulare del Mg2+. Anche i diuretici tiazidici aumentano la magnesiuria, ma il loro effetto è mediato da fenomeni
indiretti, come l’iperaldosteronismo, mentre in termini strettamente farmacodinamici sembrano possedere un elettivo effet-
to riassorbitivo. Sicuramente risparmiatori di Mg2+ sono i farmaci attivi sul tubulo collettore, i cosiddetti «risparmiatori di
K+», come l’amiloride, il triamterene e, soprattutto, gli antagonisti recettoriali dell’aldosterone, come lo spironolattone.
Per quanto riguarda gli ACE-inibitori, tutti i farmaci appartenenti a questa classe sono da ritenersi risparmiatori di
Mg2+, vuoi per l’azione inibente sulla sintesi di aldosterone, vuoi per l’effetto di riduzione del filtrato che essi possono determinare.
Le interconnessioni tra Mg2+ e digitale sono molteplici. Il farmaco sembra inibire il riassorbimento tubulare di
Mg2+. Inoltre, gli effetti della digitale sulla pompa Na+-K+-ATPasi sono reversibili dopo somministrazione di Mg2+.
La carenza di Mg2+ abbassa la soglia per le complicanze aritmiche della stessa digitale, aumentandone la tossicità
e la somministrazione di Mg2+ riduce la tossicità da digitale. A questo riguardo, possono essere importanti gli effetti sovrapposti legati a un’eventuale ipopotassiemia/deplezione di K+ (l’ipopotassiemia riduce la clearance renale
della digossina, fino al 50%).
In definitiva, le nozioni fino a ora acquisite non permettono di definire se l’ipomagnesiemia/deplezione di Mg2+ possa
rientrare tra i fattori ritenuti prioritari nella genesi dell’insufficienza cardiaca. Ma vi è un sostanziale accordo nell’attribuire a questo disturbo un ruolo di concausa nello sviluppo di diversi meccanismi patogeni intrinseci alla sindrome
o complicanti la sua prognosi. Volendo rendere più organico quanto a oggi si conosce sul problema, si può ipotizzare
(v. per dettagli Delva P., 2003) un processo, in cui il «primum movens» sia la riduzione del contenuto intracellulare di
Mg2+ a livello miocardico (Figura 6). Tale condizione sembra rappresentare uno step inevitabile nell’ambito della CHF,
dal momento che rappresenta il risultato finale dell’azione combinata di diversi elementi fisiopatologici caratterizzanti la sindrome e quindi ineludibili, come l’iperaldosteronismo secondario, l’overdrive adrenergico, l’espansione di volume. Gli effetti di questi fattori sarebbero ulteriormente aggravati dall’azione depletiva dei saluretici, comunemente
adottati in ogni schema terapeutico. Dalla deplezione di Mg2+, comunque prodotta, si innesca un ventaglio di riflessi
negativi che interessano a vari livelli il miocardio, dalla sua eccitabilità alla performance contrattile, fino a incidere
sulle stesse caratteristiche strutturali (fibrosi → rimodellamento). In linea con questa ipotesi, il Mg2+ sarebbe dunque
partecipe diretto dei meccanismi di progressività o evolutività che segnano la storia naturale della CHF.
È evidente che, al momento, risulta difficile tradurre queste supposizioni in precise indicazioni sul piano gestionale o
terapeutico. In attesa di studi mirati sul tema specifico, va considerato il fatto che nella sindrome metabolica, nel diabete mellito di tipo 2, nell’ipertensione arteriosa, nella miocardiopatia alcolica, tutte condizioni ad alto rischio per lo
sviluppo di CHF, la ipomagnesiemia/deplezione di Mg2+ sembra avere un ruolo definito e ciò dovrebbe portare i clinici a dover considerare il «problema Mg2+» come un aspetto non secondario nell’approccio alla CHF.
Questo sembra valere, in particolare, nella profilassi e nel trattamento delle aritmie:
Mg2+ e aritmie in corso di CHF
L’insorgenza di aritmie ventricolari minacciose rappresenta, come già detto, un evento assai frequente nella storia dei
pazienti con CHF, incidendo in modo pesante sulla prognosi. Tra le ipotesi patogenetiche più accreditate, quella che fa
riferimento a squilibri elettrolitici, in particolare del K+ e del Mg2+, sembra avere il peso maggiore, almeno in linea teorica, dato che lo squilibrio combinato dei due ioni è assai comune in corso di CHF, in rapporto all’uso dei diuretici.
Pochi però sono gli studi che hanno valutato la portata di questa ipotesi. Dagli studi meno recenti emergevano dati contrastanti: veniva per lo più segnalato un aumento delle aritmie ventricolari nel gruppo di pazienti con CHF e ipomagnesiemia e un’azione protettiva del reintegro con Mg2+. In altre esperienze l’ipomagnesiemia non sembrava rappresentare un rischio specifico per la morte improvvisa su base aritmica, come pure non emergeva alcuna correlazione tra
effetto proaritmico verso aritmie ventricolari e livelli di magnesiemia: ad esempio, nello studio di Framingham la presenza di extrasistoli ventricolari in numero > 30/ora si osservava solo per valori di Mg2+ ematico < 0,2 mg/dl (sic!),
mentre per valori più elevati i dati si disperdevano. Il principale bias di tutti questi studi nasce dal fatto che il parametro considerato per valutare gli squilibri del Mg2+ è la magnesiemia, mentre, trattandosi di uno ione sostanzialmente
intracellulare, la correlazione sarebbe stata eventualmente da ricercare con altri indici che meglio rispecchiassero lo
stato del pool, vero responsabile delle disfunzioni bioelettriche delle cellule (si rimanda per dettagli a Delva P., 2003).
In uno studio recente svolto su soggetti CHF, è stato valutato l’effetto protettivo verso le aritmie del trattamento protratto con spironolattone (vs placebo), facendo riferimento alla magnesiemia, al Mg2+ intraeritrocitario e ai ritmi di
efflusso dello ione dagli eritrociti. Lo spironolattone si è dimostrato in grado di migliorare tutti i parametri del Mg2+ e
ciò si è tradotto in una serie di effetti elettrici positivi: miglior controllo della frequenza, minore incidenza di extrasistoli atriali e ventricolari, minor rischio di insorgenza di fibrillazione/flutter atriale.
In attesa di studi più mirati, le indicazioni attuali stabiliscono che il trattamento con Mg2+ sia da riservare, in modo elettivo (anche al di fuori della CHF), solo alla tachicardia ventricolare con aspetti a tipo «torsione di punta» (linee guida ACLS,
2005). In altre aritmie la scelta è opinabile. Nelle tachicardie sopraventricolari da rientro, il Mg2+, benché efficace, è meno
attivo dell’adenosina e del verapamile. Nella fibrillazione atriale il trattamento con Mg2+ non è certo il provvedimento di
prima scelta, vista l’ampia disponibilità di farmaci specifici oggi a disposizione; vi sono peraltro elementi che sembrano
assegnargli un qualche ruolo nella profilassi delle recidive e nel rallentamento della risposta ventricolare. Maggiore spazio può essere riservato al Mg2+ nella terapia della tachicardia ventricolare monomorfa e della fibrillazione ventricolare,
specie nelle forme non responsive al trattamento tradizionale (linee guida ACLS, 2005). Altra indicazione sembra porsi in
caso di aritmie da tossicità digitalica, vista anche la comunanza del target cellulare (Na+-K+-ATPasi).
Test diagnostici della deplezione di Mg2+
Ancora oggi non è risolto il problema di come diagnosticare la deplezione di Mg2+, non essendo stato individuato un
test con caratteristiche di sensibilità/specificità tali da poterlo proporre come «gold standard» e quindi permetterne
un’applicazione clinica su larga scala. Indichiamo, di seguito, i metodi fino a qui presi in considerazione:
– la determinazione dei livelli ematici totali di Mg2+, per quanto detto in precedenza, non offre alcuna indicazione. Per
di più, benché i limiti inferiori di normalità siano intorno a 0,7 mmol/l, vi sono segnalazioni di come, a questi livelli, il rischio cardiovascolare non sia azzerato, per cui detti limiti vanno spostati almeno al livello di 0,8 mmol/l;
– la misurazione del Mg2+ ionizzato sembra servire unicamente a individuare condizioni di pseudoipomagnesiemia da
ipoalbuminemia o, comunque, da basso legame del Mg2+, non fornendo alcun vantaggio rispetto al Mg2+ totale;
– il dosaggio del Mg2+ intraeritrocitario, totale o ionizzato, è stato proposto come possibile indicatore dello stato
del pool. Tuttavia, diversi studi di confronto hanno indicato che il Mg2+ intraeritrociatario non è correlabile con
il contenuto nell’osso o nel muscolo, confermando che il riequilibrio interorgano del Mg2+ può avvenire in modo
non prevedibile;
– il contenuto di Mg2+ dell’osso o del muscolo, nell’uomo, è ottenibile solo con metodiche invasive, improponibili
nella routine clinica;
– risultati incoraggianti sembrano derivare da metodiche di diluizione isotopica con isotopi stabili di Mg2+ o mediante la spettroscopia RMN, ma dette metodiche non sono facilmente applicabili in quanto assai complesse e costose;
– i risultati più confacenti possono essere ottenuti dai tests escretori renali. Il concetto di fondo è che al rene competono i più sensibili meccanismi in grado di saggiare lo stato del pool intracellulare di Mg2+, essendo direttamente
correlabile a esso il tasso di escrezione. La magnesiuria esemplifica questo concetto. In presenza di ipomagnesiemia associata a un deficit significativo di Mg2+, la magnesiuria tende tipicamente ad azzerarsi, fino a valori < 1
mmol/24 ore, in caso di normale filtrazione glomerulare. Una magnesiuria inferiore a 5 mmol/24 ore è quindi assai
indicativa di uno stato depletivo. Viceversa, in presenza di ipomagnesiemia, una magnesiuria > 25 mmol/24 ore attesta una risposta maladattativa del rene. L’escrezione frazionale di Mg2+ (clearance del Mg2/clearance della creatinina < 2 con ipomagnesiemia) o il rapporto Mg2+/creatinina urinari, di fatto elaborazioni della semplice magnesiuria, sarebbero più indicati in caso di deplezione normomagnesiemica, ma sembrano utili solo a una valutazione dinamica nello stesso individuo. Il test oggi considerato più dirimente è il cosiddetto «magnesium loading test» (MLT).
Originariamente messo a punto e sperimentato da Dyckner e Webster nei primi anni ’80, questo test di carico ha
subito nel tempo varie modifiche, tese a renderlo più semplice da applicarsi. Esso si basa sostanzialmente sul calcolo del rapporto tra la quantità di Mg2+ che viene escreta rispetto alla quantità somministrata. In un soggetto normale, cioè non depleto, oltre l’80% del Mg2+ somministrato acutamente viene eliminato nelle urine. Uno stato depletivo sarebbe invece svelato da un’escrezione inferiore al 70% (la zona grigia è tra il 70 e l’80%). Il carico può essere effettuato a dosaggio elevato distribuito in più ore (da 0,5 mmol/kg/12 ore fino a 1-2,4 mmol/kg/4 ore) o a più
bassi dosaggi in un tempo ristretto (0,1 mmol/kg/1 ora). Entrambe le metodiche prevedono la raccolta delle urine
nelle 24 ore successive al carico.
Eziopatogenesi
La Tabella 3 riporta le cause di ipomagnesiemia, con i relativi meccanismi che vi sono sottesi. Essi sono sostanzialmente riferibili ad alterazioni dei due sistemi di regolazione: il bilancio esterno e quello interno.
Tra le alterazioni del bilancio esterno, le ipomagnesiemie riconducibili a disturbi dell’apparato gastroenterico sono assai
comuni. Tra queste sono comprese le forme legate a deficit di introito: questo meccanismo si attiva non solo in caso di
alimentazione artificiale carente o di digiuno protratto, ma anche in assenza di chiare patologie nutrizionali, in modo
più subdolo. È infatti sufficiente che l’introito, anche se apparentemente adeguato, sia inferiore al fabbisogno, perché
si instauri un bilancio negativo. Le capacità di risposta a questo stato sono precarie: il passaggio nelle cellule del Mg2+
assorbito avviene in tempi rapidi, come o più che di norma, così come rapidamente si attiva il rene, riducendo la magnesiuria fino quasi ad azzerarla. Tuttavia l’intestino continua a perdere Mg2+ attraverso la componente secretiva: questo,
anche a fronte del basso introito, tanto da produrre stati depletivi severi se il fenomeno si protrae nel tempo.
L’ipomagnesiemia è anche favorita dal fatto che la cessione di Mg2+ dagli altri compartimenti si instaura in tempi lunghi, fino a diverse settimane. Quindi sono a rischio per lo sviluppo di ipomagnesiemia da deficit di introito tutte le condizioni in cui il fabbisogno metabolico sia elevato. La gravidanza e l’età infantile ne rappresentano esemplificazioni in
ambito «fisiologico», mentre la sepsi, le ustioni ecc. sono i contesti patologici ove questo meccanismo può essere operativo.
Sempre nell’ambito delle cause gastrointestinali ricordiamo tutte le sindromi da malassorbimento. In tali contesti l’aumentata perdita di Mg2+ può essere riconducibile sia a un deficit diretto dei meccanismi di riassorbimento, per danno
anatomico, sia al fatto che, a volte, il Mg2+ si trova legato in composti scarsamente solubili e quindi scarsamente riassorbibili, come avviene nella saponificazione in caso di steatorrea. La chirurgia intestinale, specie quando essa prevede un’ampia resezione intestinale, è un’altra condizione ad alto rischio per lo sviluppo di malassorbimento del Mg2+ e
ipomagnesiemia. In alcune casistiche di resezioni ileali effettuate in chirurgia bariatrica l’ipomagnesiemia è stata documentata in oltre il 50% dei soggetti. Il riassorbimento del Mg2+ può essere peraltro limitato anche in assenza di patologie specifiche, come nel caso di diete severamente ipoproteiche o semplicemente per un eccessivo introito di glucidi
o grassi. Anche l’eccesso di alcol sembra condizionare un’aumenta perdita intestinale di Mg2+.
Nell’ambito delle alterazioni del bilancio esterno del Mg2+, le ipomagnesiemie attribuibili a perdite renali rappresentano senza dubbio le forme di più comune riscontro nella pratica clinica, in relazione alla particolare frequenza
con cui si presentano gli specifici fattori causali (ad esempio, i diuretici). Va comunque considerato che ogni limitazione della funzione di recupero tubulare del Mg2+, anche attraverso meccanismi apparentemente non diretti, esercita un immediato effetto negativo sul suo bilancio, poiché interferisce sull’unico mezzo omeostatico che l’organismo possiede verso le condizioni depletive. Ad esempio, ogni aumento del flusso luminale a livello nefronico,
espresso clinicamente dalla poliuria, produce un aumento dell’escrezione di Mg2+: è quanto si realizza in caso di
infusioni con saline (v. anche l’effetto magnesiurico dell’espansione del volume extracellulare) e nella diuresi osmotica, da mannitolo, urea o glucosio, così come in ogni forma di IRA o IRC poliurica o nella ripresa funzionale del
rene trapiantato.
Per quanto riguarda le interferenze di altri ioni, un’elevata magnesiuria può essere indotta da un’elevata concentrazione luminale di Na+ (e di K+), quale si realizza in caso di espansione di volume, da saline, iperaldosteronismo primitivo, SIADH. L’ipercalcemia favorisce l’escrezione urinaria del Mg2+ interferendo in modo competitivo sui siti di riassorbimento a livello prossimale e dell’ansa di Henle, qui con un meccanismo analogo ai diuretici dell’ansa. Ciò spiega
la frequenza dell’ipomagnesiemia nelle ipercalcemie di ogni natura (v. anche l’iperparatiroidismo primitivo).
Tra i fattori esogeni, una menzione particolare merita l’alcol, se non altro per le dimensioni del fenomeno.
L’ipomagnesiemia è assai comune tra gli alcolisti, con prevalenza che può arrivare al 30% dei casi. La sua genesi è multifattoriale: vi entrano i disordini nutrizionali, le perdite gastroenteriche (per vomito e diarrea) e, in particolare, l’effetto magnesiurico dell’alcol stesso. Un carico acuto di alcol è in grado di quadruplicare l’escrezione basale di Mg2+, interferendo sui meccanismi di trasporto tubulare. È da sottolineare che tale effetto è duraturo, richiedendo almeno un mese
di astinenza per regredire.
I farmaci ritenuti magnesiurici «per eccellenza» sono i diuretici dell’ansa, in quanto agiscono elettivamente sul sito ove
si realizza la maggior quota di riassorbimento tubulare del Mg2+, cioè la porzione ascendente dell’ansa di Henle.
Ricordiamo che il riassorbimento del Mg2+ in questa sede avviene passivamente per via paracellulare, lungo un gradiente elettrochimico favorevole creato dal cotrasporto Na+-K+-2 Cl-, la cui inibizione è appunto il meccanismo elettivo dei diuretici.
Tra le nefrotossine, ricordiamo il cisplatino, i farmaci aminoglicosidi, l’amfotericina B, la pentamidina, la ciclosporina, il foscarnet, tutti farmaci ampiamente utilizzati e noti per esercitare un’elettiva azione magnesiurica, anche in assenza di chiari segni di tossicità renale.
Da ultimo, ricordiamo un gruppo eterogeneo di disordini acquisiti o ereditari che si caratterizzano tutti per un’eccessiva magnesiuria con ipomagnesiemia Si tratta di disordini rari, per lo più di interesse pediatrico, ma di notevole impor-
tanza in termini speculativi, perché attraverso lo studio dei meccanismi alla loro base si è giunti a una migliore conoscenza del complesso sistema di regolazione del trasporto del Mg2+ a livello del nefrone. La Tabella 4 raccoglie le sindromi fino a ora individuate, con indicati i «targets» renali, accertati o solo ipotizzati, le cui anomalie o disfunzioni
condizionano lo sviluppo delle singole sindromi (si rimanda per dettagli a Schlingmann K.P. et al., 2004).
Tra le cause di ipomagnesiemia vi è un terzo gruppo (Tabella 3) che comprende varie situazioni ove non è primitivamente coinvolto il bilancio esterno, ma è operativa un’abnorme ridistribuzione del Mg2+ dal liquido extracellulare ad
altri compartimenti, in particolare verso:
– il liquido intracellulare in generale («shift»);
– l’osso, quando si attivi un processo di sua accelerata mineralizzazione («hungry bone»);
– i tessuti molli come esteri («saponificazione»).
Di particolare importanza epidemiologica, per quanto riguarda il meccanismo dello «shift», è la sindrome da rialimentazione («refeeding»): di recente riconoscimento (primi anni ’50), la sindrome si riscontra ancora oggi con particolare
frequenza, soprattutto in ambito geriatrico o oncologico. Il fenomeno è innescato dalla preesistenza di uno stato malnutritivo, con deplezione di substrati, compresi gli ioni intracellulari come il K+, il Mg2+ e il fosforo. La somministrazione di calorie glucidiche porta a un rapido passaggio degli stessi nel compartimento intracellulare, che è mediato dall’intervento dell’insulina. Quando il carico glucidico non è integrato da un adeguato apporto anche di K+, Mg2+ e fosforo, risulta una brusca caduta dei loro livelli ematici, con induzione «obbligata» di effetti multisistemici, anche potenzialmente fatali.
Manifestazioni cliniche dell’ipomagnesiemia/deplezione
Nella Tabella 5 sono riportate le principali conseguenze cliniche secondarie alla condizione di ipomagnesiemia/deplezione di Mg2+.
Come per tutti gli squilibri elettrolitici, anche per il Mg2+ l’espressività clinica risente delle comuni variabili, quali la
rapidità di sviluppo, l’entità dello squilibrio, la coesistenza di disturbi associati:
– rapidità di sviluppo. Le più comuni forme di deplezione di Mg2+ si instaurano generalmente in tempi lunghi, mentre l’ipomagnesiemia acuta, che è sicuramente la forma più sintomatica, è più specifica delle condizioni in cui si stabilisce una ridistribuzione del Mg2+ dal liquido extracellulare verso altri compartimenti (Tabella 3), anche in assenza di una chiara deplezione. Su tale aspetto, comunque, non vi sono studi approfonditi;
– entità dell’ipomagnesiemia. La sindrome multisistemica, nelle sue varie espressioni, appartiene ovviamente alle
forme più severe di deplezione, generalmente segnate dai più marcati cali della magnesiemia. Non è comunque facile correlare la gravità dei sintomi o il coinvolgimento di più sistemi ai livelli di magnesiemia. Nella maggior parte
dei casi, lo stato depletivo è modesto e la clinica può essere del tutto silente o rappresentata solo da segni minori,
soprattutto a carico della sfera psichica o dell’apparato neuromuscolare. Il valore di magnesiemia pari a 1,2 mg/dl
(0,5 mmol/l) sembra rappresentare il cut-off al di sotto del quale la sintomatologia clinica diventa quasi obbligata;
– coesistenza di altri disturbi elettrolitici. L’ipomagnesiemia/deplezione si associa comunemente a squilibri elettrolitici più complessi, potendo coesistere con iposodiemia, ipofosfatemia e ipopotassiemia. Per tale motivo, l’attribuzione certa di un determinato segno o sintomo alla sola ipomagnesiemia può essere fatta solo dopo aver corretto i
disturbi associati. E ciò può risultare assai difficoltoso o del tutto impraticabile (v. sotto).
SEGNI
BIOCHIMICI
Ipopotassiemia e ipocalcemia sono i principali segni rivelatori dello stato di deplezione di Mg2+.
Per quanto riguarda il potassio, è ormai accertato che tra i due principali cationi intracellulari esistono interrelazioni
assai strette. Si è detto che il 40% circa dei soggetti ipomagnesiemici presenta anche ipopotassiemia, ma è dimostrato
anche che oltre il 60% dei soggetti ipopotassiemici presenta valori subnormali di magnesiemia. La più immediata spiegazione è che entrambi i disturbi (ipomagnesiemia e ipopotassiemia) possono riconoscere gli stessi agenti causali (v.
diuretici, alcolismo, diarrea). Oltre a ciò, sono stati individuati anche meccanismi più fini. Si è infatti accertato che la
deplezione di Mg2+, attraverso il deficit secondario nella produzione di ATP, interferisce negativamente sulla funzione
della Na+-K+-ATPasi, favorendo un’aumentata disponibilità del K+ a livello extracellulare e, quindi, una sua maggiore
clearance renale; inoltre, la stessa carenza di ATP a livello delle cellule tubulari, soprattutto nella porzione ascendente
dell’ansa di Henle, è fattore di attivazione dei canali specifici del K+ (i ROMK sono inibiti dall’ATP), con conseguente incremento della sua escrezione. Dato clinico di assoluto rilievo è la sostanziale refrattarietà di questa forma di ipopotassiemia alla somministrazione solo di sali potassici, anche a dosi generose, e, invece, la sua rapida risoluzione dopo
reintegro con Mg2+.
Un’ipocalcemia importante (calcemia < 8 mg/dl) è presente in circa il 10% dei pazienti ipomagnesiemici, ma se si definisce come ipocalcemia ogni valore < 9 mg/dl, limite minimo del range di normalità, la percentuale di ipocalcemia
associata all’ipomagnesiemia sale a oltre il 50% dei casi.
Diversi sono i meccanismi alla base di questa stretta associazione. L’ipomagnesiemia, in fase iniziale, sembra agire da
stimolo sulla sintesi e secrezione di PTH. Nelle forme protratte il PTH è più frequentemente soppresso, ma può essere
anche normale, a fronte però di una calcemia ridotta, il che attesta comunque un freno nella sintesi dell’ormone. D’altra
parte, la somministrazione di sali di Mg2+ si riflette in un aumento del PTH, a significare un suo diretto controllo da
parte del Mg2+. Esistono peraltro condizioni ove questo meccanismo può essere escluso, ponendo il sospetto che in quei
casi l’ipocalcemia sia soprattutto legata a una sorta di resistenza all’azione del PTH. Secondo alcuni, vi sarebbe una
sequenzialità tra i due meccanismi: in caso di ipomagnesiemia moderata (intorno a 1 mg/dl) prevarrebbe il secondo
meccanismo, cioè la PTH-resistenza, mentre per ipomagnesiemie più severe sarebbe la sintesi a essere compromessa.
Non sono chiari, infine, i rapporti dell’ipocalcemia ipomagnesiemica con la vitamina D3, i cui livelli sono riportati per
lo più depressi (effetto diretto dell’ipomagnesiemia?).
Come per l’ipopotassiemia, anche l’ipocalcemia legata all’ipomagnesiemia risente solo del reintegro di Mg2+.
Interessante è l’osservazione che in alcuni contesti a rischio per deplezione di Mg2+ (abuso di alcol, diarree croniche
ecc.), ma che si presentano normomagnesiemici, può sussistere un’ipocalcemia apparentemente inspiegabile. Anche
questi casi di squilibrio calcemico risentono solo della somministrazione di Mg2+, a testimonianza di come il meccanismo di controllo sull’azione del PTH sia regolato dalla quota metabolicamente attiva, cioè intracellulare, dello ione.
EFFETTI
NEUROMUSCOLARI
L’aumento dell’eccitabilità neuromuscolare rappresenta un evento caratteristico dell’ipomagnesiemia. Le manifestazioni correlate (ipereflessia, segni di Trousseau e di Chvostek, tremori, fascicolazioni, debolezza e astenia muscolari
ecc.) si manifestano in genere solo quando la magnesiemia è inferiore a 1-1,2 mg/dl. Esse sono presenti anche quando
la calcemia è normale e non sono sensibili alla somministrazione di sali di calcio. Nelle forme più severe, possono verificarsi nistagmo, vertigini, atassia, movimenti atetosici o coreiformi. La tetania, con possibile blocco dei muscoli respiratori, e le crisi convulsive generalizzate, fino allo stato di male epilettico non controllabile, sono i possibili eventi a
esito infausto. È stata descritta anche una forma di cecità corticale, rapidamente responsiva alla correzione dello squilibrio. Le ripercussioni psichiche possono essere le più precoci, soprattutto con alterazioni comportamentali che anticipano ogni altra manifestazione.
La carenza di Mg2+ interferisce sulla funzione neuronale attraverso due meccanismi: effetto diretto di riduzione della
soglia di stimolazione assonale e di aumento della velocità di conduzione nervosa; minore attività calcio-antagonista,
per cui il Ca2+ può esercitare liberamente i suoi effetti di stimolo sul rilascio di neurotrasmettitori di eccitazione, come
il glutammato.
ARITMIE
E MAGNESIO
Di fronte a deficit di Mg2+ di modesta entità, il tracciato elettrocardiografico può mostrare diverse anomalie aspecifiche, come prolungamento del PQ e della durata del QRS, appiattimento dell’onda T, allungamento dell’intervallo QT.
Tutte queste alterazioni possono convivere in caso di riduzioni maggiori. Da notare che le stesse alterazioni sono osservabili nella deplezione di K+ e spesso sono indisgiungibili, come meccanismo di innesco, da queste, vista la frequente,
se non costante, coesistenza di una deplezione di Mg2+ e di K+ (v. sopra). Questa situazione si traduce in una serie di
disturbi bioelettrici: a) un aumento dell’eccitabilità; b) un aumento dell’automatismo; c) un prolungamento della fase
di ripolarizzazione, ovvero del QT; d) un’abnorme dispersione del QT.
Da tutto ciò deriva la maggiore vulnerabilità verso le aritmie. Queste possono essere atriali o ventricolari. Tra queste
ultime, sono riportate extrasistolie minacciose, TV (tachicardia ventricolare) e FV (flutter ventricolare). La TV frequentemente si presenta, come già detto, con aspetti a tipo «torsione di punta», forma di tachicardia ventricolare mul-
tifocale ritenuta l’aritmia patognomonica della deplezione di Mg2+. Ricordiamo che, negli individui deceduti per
morte improvvisa, il solo elemento che è stato riscontrato ridotto nei miociti è il Mg2+.
Da ricordare, infine, che l’ipomagnesiemia aumenta la tossicità digitalica e quella legata ai farmaci antiaritmici in grado
di prolungare il QT.
Terapia
La terapia con sali di Mg2+ può differenziarsi a seconda del contesto clinico in cui si opera e degli obiettivi che con essa
si vogliono raggiungere. In particolare, gli approcci da adottare possono essere differenziati a seconda che si voglia:
– una terapia d’emergenza in soggetti sintomatici;
– un reintegro di fronte a deficit accertati;
– un’azione di prevenzione verso eventuali stati depletivi in soggetti a rischio.
TERAPIA D’EMERGENZA
È da riservare ai casi più sintomatici, ossia ai soggetti in cui l’ipomagnesiemia è sicuramente in causa nel determinare
manifestazioni cliniche tali da mettere a rischio la vita del paziente. È il caso dei pazienti con la sintomatologia neurologica più severa o di quelli che presentano aritmie minacciose o critiche (v. TV e FV), soprattutto se queste si sviluppano in contesti clinici ad alto rischio verso evoluzioni negative (v. IMA, CHF ecc.).
Non vi sono, a questo riguardo, norme comportamentali di provata efficacia. In Tabella 6 è riportato uno dei tanti schemi di trattamento che sono stati proposti per queste condizioni d’emergenza. Come si può osservare, si tratta di un
approccio assai aggressivo, con dosi elevate e tempi di somministrazione ravvicinati. Va tenuto presente che ogni brusco innalzamento della magnesiemia ottenuto grazie alla terapia, anche se solo parziale e temporaneo, si riflette in un
immediato aumento dell’escrezione urinaria, con conseguente riduzione dell’efficacia correttiva dell’infusione: è stato
infatti stimato che fino al 50% del Mg2+ infuso con queste modalità può essere rapidamente escreto con le urine. Il
tasso di escrezione può raggiungere questi livelli solo a patto che il flusso urinario e il filtrato glomerulare siano mantenuti. In caso di oliguria o insufficienza renale è ovvio che l’effetto dell’infusione può essere amplificato, fino al
rischio di generare lo squilibrio opposto ipermagnesiemico. Si raccomanda, quindi, uno stretto monitoraggio dei livelli ematici (anche del calcio e del potassio) e una particolare attenzione verso la diuresi, come pure un adeguamento
della posologia e dei ritmi infusivi in caso di oliguria o insufficienza renale.
Oltre ai quadri clinici drammatici che abbiamo ricordato, vi sono altre situazioni in cui la somministrazione di Mg2+ in
acuto può rappresentare un valido supporto. Questo riguarda in particolare: la preeclampsia e l’eclampsia; l’asma
bronchiale refrattaria; l’ictus ischemico.
Preeclampsia
Questa sindrome è presente in percentuale variabile a seconda dei differenti contesti sociali: relativamente rara nelle
nazioni civilizzate, in cui si presenta in 1:2000 gravidanze a termine, è invece molto diffusa, fino a 1:100 casi, nella
nazioni in via di sviluppo, ove si associa a un tasso di mortalità elevato a carico sia del feto sia della madre. Si stima
che almeno 50.000 donne per anno vadano incontro a questo esito infausto.
I sali di magnesio rappresentano da decenni il cardine del trattamento d’urgenza di questa sindrome, con il conforto di
risultati molto favorevoli in termini di risoluzione del quadro clinico e di riduzione della mortalità.
I dosaggi utilizzati sono assai vari. Il principale parametro che sembra guidare le scelte è, ovviamente, la gravità del
quadro clinico. Vengono generalmente utilizzati 4-6 g di MgSO4 a bolo (32-48 mEq), con infusione successiva di 1
g/ora. Sono riportati però anche dosaggi minori.
L’effetto positivo esercitato dal Mg2+ nella preeclampsia è stato per anni attribuito alla sua elettiva attività vasodilatante, per l’intrinseca azione calcio-antagonista e per lo stimolo che esso esercita sulla liberazione di prostaglandine vasodilatanti. Tuttavia, le attuali conoscenze sulla preeclampsia permettono di ipotizzare un’azione farmacodinamica più
ampia, che si connette in modo diretto ai vari aspetti che compongono la base fisiopatologica della sindrome. Al centro di essa vi sarebbe una condizione di diffusa disfunzione endoteliale, che si verrebbe a generare per la convergenza
di vari fattori d’innesco, come l’ischemia, lo stress ossidativo, l’abnorme reattività immunologica, la predisposizione
genetica. La disfunzione endoteliale si esprime con vasocostrizione, attivazione delle piastrine e dei leucociti, tutti
eventi che sono bloccati dal Mg2+. La preeclapsia non è dunque solo una manifestazione vasomotoria: lo proverebbero anche i risultati di un recente studio, ove la somministrazione di sali di Mg2+ si è dimostrata vincente nel confronto
diretto con un elettivo ed efficace vasodilatatore cerebrale, come la nimodipina. Oltre agli effetti sulla disfunzione endoteliale, il Mg2+ eserciterebbe un’evidente azione neuroprotettiva, modulando l’azione dei neurotrasmettitori «tossici»
come il glutammato e limitando i danni prodotti dall’accumulo di Ca2+. Importante, infine, può essere l’azione stabilizzante che il Mg2+ esercita a livello di membrana.
Tutte queste premesse fisiopatologiche renderebbero ragione dei risultati positivi emersi da un recente trial (MAGPIE),
in cui si confrontavano gli effetti della terapia con Mg2+ (infusione di 32 mEq rapidamente, poi 8 mEq/ora) con quelli
ottenuti con una benzodiazepina o con fenilidantoina in oltre 10.000 pazienti con preeclampsia: il gruppo trattato con
Mg2+ dimostrava una significativa riduzione nello sviluppo di eclampsia conclamata e una sensibile riduzione del
rischio di morte.
Pertanto, l’impiego del Mg2+ in questo contesto sembra avere ormai uno spazio consolidato, come confermato anche
dalla posizione presa dagli esperti della Cohrane Library che in una recente rassegna sistematica hanno validato il Mg2+
come farmaco di primo impiego nella preeclampsia. Sopravvivono, tuttavia, alcuni punti di incertezza, anche se solo di
ordine speculativo. In particolare, non vi sono elementi probanti che attestino una chiara correlazione tra preeclampsia
e preesistente deplezione di Mg2+, il che darebbe un razionale più solido a questo provvedimento che, al momento, è
da ritenersi ancora solo un «sintomatico», anche se attivo su più fronti.
Asma
La costrizione della muscolatura liscia bronchiale, l’edema mucosale, l’aumentata produzione di muco e i fenomeni di
intasamento bronchiale secondario sono le basi fisiopatologiche della malattia asmatica. Il Mg2+ può limitare alcune di
queste componenti, modulando il tono bronchiale, favorendo il legame tra agenti beta-mimetici e recettore, attivando l’adenilico-ciclasi e riducendo gli eventi proflogogeni (v. ROS). Da ciò deriva l’ipotesi che la deplezione di Mg2+ possa contribuire alla genesi dell’asma. Su questa possibile associazione non vi sono molti dati disponibili. In uno studio basato sul
test da carico (MLT), oltre il 40% dei soggetti asmatici esaminati dimostravano un pattern tipico di uno stato depletivo. In
altri studi, il contenuto cellulare (eritrocitario) di Mg2+ era significativamente ridotto nei soggetti asmatici rispetto ai controlli; ancora, il contenuto cellulare si correlava inversamente con la reattività bronchiale. Non sembra peraltro che la popolazione degli asmatici si differenzi nei livelli di magnesiemia rispetto alla popolazione generale.
Per quanto riguarda l’impiego terapeutico del Mg2+ nell’asma, la letteratura riporta voci discordanti. A un primo studio
randomizzato che mostrava un’azione positiva sui test spirometrici, ne seguiva un secondo, con protocollo più articolato, risultato, invece, sostanzialmente negativo. Da altri due studi si confermava che non tutti gli asmatici sono sensibili al Mg2+, ma solo quelli con broncostruzione di maggiore severità (FEV1 < 20% del predetto). In tali soggetti la
somministrazione del sale di Mg2+ era assai efficace, portando quasi a raddoppiare il pattern spirometrico in tempi relativamente brevi.
Vi sono poi alcune segnalazione di come il Mg2+ possa essere somministrato vantaggiosamente anche per via inalatoria, con effetti forse addirittura più costanti della via parenterale infusiva. Questi promettenti risultati preliminari richiedono comunque una conferma da studi più ampi.
Al momento, dai vari studi e dalle specifiche metanalisi disponibili in letteratura si può desumere che l’infusione di
Mg2+ nell’attacco di asma non è indicata come prima linea di intervento, ma va adottata solo nei casi più gravi e resistenti alle terapie convenzionali. In tal senso sono orientate le raccomandazioni delle Società scientifiche (Global
Initiative for Asthma o GINA; British Thoracic Society ecc.).
Ictus ischemico
Altro campo in cui il trattamento con Mg2+ è supportato da diversi riscontri positivi in ambito sperimentale e clinico,
come pure da favorevoli potenzialità di ordine farmacodinamico, è l’ictus cerebrale su base ischemica. Si è detto della
prevalenza di ipomagnesiemia/deplezione nella popolazione di soggetti affetti da questa patologia. In alcuni modelli
animali il pretrattamento con Mg2+ o il mantenimento della magnesiemia a livelli normali-alti (attorno a 1,50 mmol/l
circa) si sono rivelati efficaci nel ridurre l’area infartuale. In ambito clinico, alcuni studi pilota hanno riportato una riduzione della mortalità e della disabilità a 3 e 6 mesi. Il target di questa apparente azione neuroprotettiva sembra essere
la «penombra ischemica», ovvero l’area ipoperfusa attorno alla vera e propria sede dell’infarto: essa può evolvere in
senso francamente ischemico se non riperfusa, con successiva morte neuronale ed estensione dell’area infartuata, oppure regredire fino alla normalità in caso di ripristino di un adeguato flusso. L’evolutività della lesione è comunque condizionata dagli eventi metabolici e neurochimici che vi si svolgono. Il Mg2+ può interferire su di essi, anche se i meccanismi con cui agirebbe non sono stati ancora definiti. Ne sono stati ipotizzati diversi: un’inibizione del rilascio presinaptico di glutammato, un blocco dei recettori dello stesso glutammato (N-metil-D-aspartato), il potenziamento dell’azione dell’adenosina, come pure gli effetti legati alla specifica azione calcio-antagonista, nei suoi riflessi sulle funzioni cellulari e sul tono vasomotorio.
Tutto queste premesse hanno però avuto, di recente, un vistoso ridimensionamento. Innanzitutto, una revisione critica
dei vari studi clinici (Cochrane Systematic Reviews) ha sollevato il problema di come i dati pubblicati fossero assai dispersi, tanto da mettere in dubbio il reale effetto positivo del Mg2+. Beneficio che sarebbe poi addirittura escluso, se si
considerano i risultati del primo studio randomizzato (IMAGES, 2004), basato sul confronto tra Mg2+ e placebo, ove
né la mortalità né la disabilità a 30-60 giorni apparivano influenzate dal trattamento. A dire il vero, gli stessi ricercatori di recente hanno parzialmente corretto le conclusioni negative del primo studio, dimostrando che, almeno nel sottogruppo con ictus lacunare, il Mg2+ eserciterebbe un effetto protettivo, specie nei soggetti più giovani, con ipertensione
diastolica e senza precedenti cardioischemici. Ciò aprirebbe il campo a nuove interpretazioni sulla possibile differenza
patogenetica tra l’ischemia cerebrale di tipo corticale, che interessa cioè la sostanza grigia, e quella invece sottocorticale, che coinvolge la sostanza bianca. In quest’ultima prevarrebbero i fenomeni vasomotori, su cui il Mg2+ è sicuramente attivo.
In definitiva, non vi sono a oggi elementi che indichino nel Mg2+ un provvedimento di prima scelta nel trattamento dell’ictus ischemico. Come per tutte le malattie vascolari, va comunque somministrato quando vi sia il sospetto fondato di
una condizione depletiva, con o senza ipomagnesiemia.
TERAPIA DI
REINTEGRO
Nel paragrafo precedente si è sottolineato come ogni brusco incremento della magnesiemia si rifletta in un pressoché
immediato aumento dell’escrezione di Mg2+, indipendentemente dallo stato del suo pool. Questo fenomeno rende ragione delle modalità con cui è consigliabile procedere per reintegrare un pool deficitario.
Distinguiamo due tipologie di soggetti depleti: i casi oligosintomatici, cioè con sintomi non allarmanti (ad esempio, ipocalcemia o ipopotassiemia non correggibili, anomalie elettrocardiografiche non minacciose ecc.), da quelli con evidenza di deplezione, ma totalmente asintomatici. Nei primi si consiglia la via infusiva endovenosa, con posologie anche
elevate (6-12 fiale di MgSO4/die), ma con ritmi lenti, in modo da favorire l’uptake tissutale. Va infatti tenuto presente
che il riequilibrio tra i vari compartimenti (bilancio interno) non è immediato, ma richiede anzi tempi prolungati, spesso incompatibili con le esigenze di un corretto programma di reintegro. Ovviamente, l’infusione deve prevedere controlli almeno giornalieri dei dati ematici (v. anche test di funzionalità renale) e un monitoraggio della diuresi. Può essere utile verificare nel tempo la magnesiuria: un suo incremento, a seguito di un programma infusivo lento e protratto,
può stabilire il ripristino di un livello adeguato del pool. Va tuttavia ricordato che questa risposta non è costante: spesso la magnesiuria aumenta anche in tempi precoci, per cui si possono rendere necessarie diverse decine di fiale per reintegrare un deficit anche di solo 100 mEq. Può essere utile, a questo riguardo, l’impiego di farmaci risparmiatori di
potassio, in particolare l’amiloride e lo spironolattone, di cui si può sfruttare l’efficace azione antimagnesiurica.
Nel secondo gruppo di pazienti si può invece utilizzare la via per os, con formulazioni a lento rilascio (v. sotto), considerando comunque un periodo prolungato di trattamento.
In entrambe le situazioni vanno evidentemente considerate le quote che si dovessero continuare a perdere ed evitate
tutte le possibili interferenze farmacologiche (v. diuretici).
PREVENZIONE
IN POPOLAZIONI A RISCHIO DI DEPLEZIONE
I soggetti che hanno un maggior rischio di sviluppare una condizione di ipomagnesiemia/deplezione di Mg2+ appartengono ai seguenti gruppi: a) pazienti in alimentazione parenterale totale; b) pazienti con patologie intestinali poten-
zialmente Mg2+-disperdenti (v. diarree croniche); c) sindromi renali Mg2+-disperdenti, primarie o secondarie all’uso di
diuretici; d) donne in allattamento e bambini in fase di crescita.
Nei primi due gruppi la quota suppletiva di Mg2+ va somministrata per via endovenosa o anche per via intramuscolare: sono in genere sufficienti 120-600 mg/die per evitare la deplezione.
Negli ultimi due gruppi è da utilizzare la via orale: il magnesio gluconato (500 mg = 1,2 mmol di Mg2+ elementare) o
pidolato (ad esempio, MAG 2) sono meglio tollerati del magnesio solfato (15 g = 61,2 mmol di Mg2+ elementare) o del
magnesio idrossido (400 mg = 3,5 mmol di Mg2+ elementare), in quanto a essi si associa una minore incidenza di effetti collaterali intestinali (dolori, flatulenza, effetto lassativo). La dose va commisurata agli specifici contesti clinici e,
soprattutto, alle singole situazioni di introito (v. anamnesi dietologica!).
LE IPERMAGNESIEMIE
Per ipermagnesiemia si intende ogni valore che eccede il livello di 2,4 mg/dl di plasma o siero.
Non vi sono dati in letteratura che precisino l’impatto di questo squilibrio nella popolazione generale. Un valore superiore a 2,3 mg/dl è stato verificato nel 6% circa di campioni ematici occasionali. Se si considerano solo valori critici (> 6
mg/dl), il tasso è evidentemente assai inferiore, raggiungendo solo il 4/10.000 campioni. Ma ogni valutazione di prevalenza può risentire dell’eventuale preselezione delle popolazioni studiate, come della variabile presenza in esse di soggetti a particolare rischio di ipermagnesiemia. Ad esempio, se le casistiche comprendono anche i pazienti con insufficienza
renale, specie in fase terminale (FG < 10 ml/min) o dialitica, il tasso può risultare più elevato, dal momento che in questa
popolazione il riscontro di valori francamente patologici, anche se non di questa portata, può risultare assai frequente.
Eziopatogenesi e clinica
Sotto il profilo speculativo, la fisiopatologia dell’ipermagnesiemia è assai meno ricca (o meno studiata?) rispetto al disordine opposto. Per questo la trattazione è, d’obbligo, assai più limitata. Definiamo i principali aspetti fisiopatologici e
clinici che sono stati analizzati in letteratura.
Un’ipermagnesiemia non può sostanzialmente prodursi in presenza di una normale funzione renale. Quando, infatti, il
filtrato è normale e la funzionalità tubulare è integra, è sufficiente che la magnesiemia si incrementi, anche solo temporaneamente, sopra il livello superiore di normalità, perché immediatamente si osservi un incremento del tasso di
escrezione urinaria di Mg2+, in relazione alla pronta inibizione del suo riassorbimento tubulare. L’efficacia dei meccanismi omeostatici attivi sul rene è tale che l’escrezione urinaria di Mg2+ può raggiungere le 200 mmol/die (4800 mg!).
Tale limite, chiaramente, permette il normale mantenimento del bilancio anche a fronte di introiti assai elevati. Questo,
a patto che il carico sia distribuito in un arco di tempo tale da permettere il completo reclutamento dei meccanismi renali. Quando infatti il carico per unità di tempo è superiore alle capacità escretorie renali, il bilancio può positivizzarsi
bruscamente, portando a ipermagnesiemie critiche. Questo è ciò che può avvenire nella terapia d’emergenza in corso
di preeclampsia o nell’infusione di Mg2+ nel trattamento di aritmie ipomagnesiemiche minacciose, situazioni entrambe
in cui, come visto, la velocità di infusione può essere particolarmente elevata.
Tutte le altre cause di ipermagnesiemia riportate nella Tabella 7 prevedono, come fattore determinante, una ridotta capacità del rene a smaltire il carico. Questo vale per tutte le forme di insufficienza renale acuta e cronica, nei
vari stadi funzionali. A questo proposito, la segnalazione di ipermagnesiemia, anche severa, era, in passato, particolarmente frequente nei pazienti con insufficienza renale terminale (ESRD) e in quelli in fase dialitica, poiché alla
ridotta escrezione si sommava anche un eccessivo introito, per la somministrazione di sali di Mg2+ (e Al3+) nell’intenzione di chelare i fosfati. Nei dializzati si aggiungeva, inoltre, l’utilizzo di bagni dialitici ad alto tenore di
Mg2+. Il cambiamento delle strategie di trattamento di questi pazienti ha reso questo problema molto meno presente
che in passato.
L’insufficienza surrenalica è riconosciuta tra le possibili cause di ipermagnesiemia: la deficitaria escrezione renale di
Mg2+ sarebbe, in questa situazione, riconducibile sia alla riduzione del FG su base emodinamica (i soggetti con iposurrenalismo si presentano con una deplezione della volemia efficace), sia alla mancata azione da parte dei mineralcorticoidi (v. aldosterone).
Gli anziani sono una categoria a rischio, perché la riduzione «fisiologica» del FG può associarsi a un impiego assai diffuso di catartici o antiacidi contenenti Mg2+.
SEGNI
E SINTOMI
La clinica dell’ipermagnesiemia riflette le interferenze che questo disturbo ionico produce sul sistema nervoso e sul
sistema cardiovascolare (Tabella 8).
Ogni tentativo di correlare la gravità clinica con il livello di magnesiemia non ha mai portato a risultati riproducibili. È
infatti comune l’osservazione di soggetti oligo-asintomatici con livelli di magnesiemia che in altri soggetti si associano, invece, a segni e sintomi conclamati.
In genere, una magnesiemia di 4 mg/dl è comunque da considerasi il cut off oltre il quale i soggetti divengono di norma
sintomatici, con comparsa di segni precoci, come la sonnolenza, l’astenia, la sudorazione. L’ECG, a questi livelli, può
essere del tutto silente, a parte la possibile bradicardia. La pressione arteriosa tende a essere ridotta rispetto ai valori di
norma presenti. Bradicardia e ipotensione sono espressione dell’effetto calcio-antagonista del Mg2+.
Per valori più elevati si innesca la sintomatologia più conclamata: compaiono le manifestazioni neurologiche più critiche, con progressiva diminuzione del sensorio, fino alla letargia e al coma; i ROT divengono sempre meno vivaci, fino
a scomparire; i muscoli sono francamente ipostenici, con possibile insorgenza di paralisi flaccida, particolarmente critica quando viene interessata la muscolatura respiratoria. In tal caso si può giungere fino all’apnea. Il tracciato elettrocardiografico mostra segni più allarmanti, come l’allungamento del PQ e del QT e l’allargamento del QRS. Nei casi di
intossicazioni più severe sono stati descritti BAV (blocchi atrio-ventricolari) di varia gravità, fino al BAV totale e all’arresto cardiaco. Non chiaro è il meccanismo bioelettrico attraverso cui sia l’ipermagnesiemia sia l’ipomagnesiemia possano presentarsi con anomalie elettriche simili (interferenze con altri ioni?).
Un cenno particolare meritano i riflessi dell’ipermagnesiemia sull’intestino: lo squilibrio riduce l’attività della muscolatura liscia intestinale, con possibile sviluppo di un quadro di ileo dinamico. Quando l’ipermagnesiemia è causata da
abnorme assunzione, lo stato di ileo favorisce un aumentato riassorbimento del Mg2+ stesso a livello delle mucosa, poiché viene ad aumentare il tempo di contatto con il materiale endoluminale.
Dal punto di vista metabolico, l’ipermagnesiemia sembra avere meno ripercussioni rispetto all’ipomagnesiemia. È stata
descritta un’ipocalcemia, da riferirsi a un probabile «feed back» negativo sul PTH. Tale squilibrio è di norma modesto
e asintomatico, ma può risultare critico di fronte a ipermagnesiemie più severe, per l’azione calcio-antagonista del Mg2+
stesso. Altro disordine elettrolitico spesso descritto nell’ipermagnesiemia è l’iperpotassiemia, che sembra dovuta a una
ridotta clearance renale del K+, per blocco elettivo dei canali del K+, Mg2+-dipendenti, a livello dei tubuli collettori
(ROMK). La soppressione dell’attività reninica più volte descritta in queste situazioni può contribuire a ridurre ulteriormente l’escrezione urinaria, per l’ipoaldosteronismo che ne può seguire.
Terapia
Come per tutti gli squilibri elettrolitici, la base per impostare un corretto piano terapeutico deve passare per un’analisi accurata del grado di sintomaticità dello squilibrio, che tenga conto anche di una teorica scala di severità delle
manifestazioni secondarie, e per un’attenta valutazione del particolare contesto clinico ove si opera.
Nel caso dell’ipermagnesiemia, si individuano due livelli di possibile intervento.
TERAPIA DEI
PAZIENTI OLIGO-ASINTOMATICI
Come primo passo, vanno eliminate tutte le possibili cause di un eccessivo introito (lassativi, antiacidi ecc.). In presenza di normale funzione renale, questo approccio è in genere sufficiente per riportare rapidamente i livelli di magnesiemia entro i limiti di norma. Per accelerare i ritmi di depurazione renale, può essere vantaggiosamente utilizzata la salina
allo 0,9% per via infusiva, con o senza integrazione di furosemide. Tale provvedimento può essere utilizzato, anche se
con maggiori cautele, anche nei soggetti con funzione renale deficitaria, a patto che vi sia una diuresi adeguata (v. anche
adeguamento delle dosi di diuretico).
TERAPIA DELLE
EMERGENZE IPERMAGNESIEMICHE
La somministrazione di sali di Ca2+ rappresenta il cardine della terapia di emergenza, dal momento che buona parte
delle manifestazioni cliniche dell’ipermagnesiemia sono sostanzialmente riconducibili alle proprietà calcio-antagoni-
ste del Mg2+ stesso. Il Ca2+, sotto forma di calcio cloruro o di calcio gluconato, va somministrato rapidamente (5-15’)
per via endovenosa, a dosi di 100-200 mg di Ca2+ elementare. L’effetto, il più delle volte assai efficace, è però fugace, richiedendo il proseguimento anche con infusioni lente, con sali di Ca2+ diluiti in salina. In uno studio è stato riportato come la somministrazione ripetuta di sali di Ca2+ (15 mg/kg ogni 4 ore) possa portare a un aumento dell’escrezione urinaria di Mg2+.
L’obiettivo primario, comunque, di questo primo step è il controllo «sintomatico» delle manifestazioni dell’intossicazione da Mg2+, su cui il Ca2+ funge quasi da antidoto.
Vanno però avviate in parallelo anche le procedure atte a rimuovere l’eccesso di Mg2+. A rene integro e in condizioni
non drammatiche, vanno prima tentate le soluzioni sopra considerate, cioè l’infusione di saline, con o senza somministrazione di saluretici. Nelle vere e proprie emergenze, la risposta renale può risultare insufficiente, in rapporto alla
quota modesta che è rimovibile nell’unità di tempo. In questi casi si impongono le procedure basate sulla depurazione
extrarenale, ovviamente prioritarie in condizioni di insufficienza renale. L’emodialisi, le metodiche extracorporee continue («Continuous Renal Replacement Therapy» o CRRT) e la dialisi peritoneale rappresentano le possibili opzioni in
questo campo. Benché non suffragata da esperienze numericamente adeguate, l’emodialisi intermittente ad alti flussi
sembra la procedura più efficace in termini depurativi: sono state descritte normalizzazioni della magnesiemia in sole
quattro ore di trattamento, anche partendo da livelli ematici elevatissimi (9-10 mg/dl).
Letture consigliate
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ACHILLE GUARIGLIA
Direttore Unità Operativa Complessa
ROBERTO CASTELLI
Dirigente Medico
BIANCAELENA PANFILI
Studente Medicina e Chirurgia
BARBARA FERRARI
Specializzanda Medicina Interna
Unità Operativa Medicina 3
Fondazione IRCCS
Ospedale Maggiore Policlinico,
Mangiagalli e Regina Elena , Milano
TABELLE
E
IMMAGINI
Mg2+ introdotto
300 mg
Osso = 60% del Mg2+ totale
Mg2+ extracellulare = 1%
Mg2+ assorbito
(24-76%) 120 mg
Assorbimento netto
100 mg
Secrezioni GI
20 mg
Tessuti = 39% del Mg2+ totale
Mg2+ non assorbito
200 mg
Escrezione renale
100 mg
Fig. 1 - Sono rappresentate le modalità con cui si realizza il bilancio esterno del Mg2+ di fronte a una situazione di normale
apporto. È altresì raffigurata la distribuzione del Mg2+, con le rispettive percentuali, nei vari compartimenti dell’organismo:
liquido extracellulare, osso, tessuti molli (v. testo per i dettagli).
TABELLA 1
Fattori di controllo del riassorbimento renale di magnesio
Fattori
Ormoni peptidici
PTH
Calcitonina
Glucagone
AVP
Insulina
Beta-agonisti
PGE2
Aldosterone
Vitamina D
↑ Ca2+, ↑ Mg2+ ematici
↑ VEC
Acidosi metabolica
Alcalosi metabolica
Deplezione di fosfati
Deplezione di potassio
Diuretici
Furosemide
Amiloride
Clorotiazide
Altri tiazidici
Ansa di Henle
Tubulo distale
↑
↑
↑
↑
↑
↑
↓
↑
?
↓
↓
↓
↑
↓
↓
↑
↑
↑
↑
↑
↑
↑
↑
↑
↓
↓
↓
↑
↓
↓
↓
N
N
N
N
↑
↑
↓
Ansa di Henle
Lume
Mg2+ 0,25 mmol/l
Mg2+ 0,50 mmol/l
Sangue
Mg2+ 0,75 mmol/l
Mg2+
Ca2+
Na+-K+-ATPasi
ROMK
K+
Na+
2ClK+
3Na+
ClCotrasporto
Na+-K+-2Cl-
2K+
ClCa-SR
Mg2+
Ca2+
Paracellina-1
+8 mV
0 mV
Fig. 2A - Trasporto renale del Mg2+. Lungo il nefrone, il riassorbimento del Mg2+ avviene in massima percentuale (65-75%) a
livello delle cellule della porzione ascendente dell’ansa di Henle. In questa sede vige un gradiente di concentrazione contrario,
come si evince dalla minore concentrazione di Mg2+ nel lume rispetto alle cellule e, ancor più, rispetto al sangue. Il riassorbimento è comunque passivo, per via paracellulare, per la presenza di un gradiente elettrico favorevole, con lume che è positivo
(+8 mV) rispetto, invece, all’interstizio e al sangue, ove il potenziale è attorno allo 0. Detta differenza di potenziale si genera
come risultato dell’attività combinata dei diversi trasporti ionici che si realizzano in questo segmento nefronico: il cotrasporto
Na+-K+-2Cl-, l’efflusso del Na+ dalle cellule in scambio con il K+, via Na+-K+-ATPasi, successiva retrodiffusione del K+, che
avviene lungo canali specifici (ROMK) dal versante apicale delle cellule. Per il riassorbimento paracellulare del Mg2+ e del Ca2+
è determinante la permeabilità a detti ioni (e forse anche al Na+) della «tight junction»: tale proprietà è assicurata dalla presenza di un particolare agente permeabilizzante, di recente scoperto, denominato paracellina-1. I vari fattori patologici che interferiscono sul trasporto di Mg2+ e del Ca2+ nell’ansa di Henle o quelli, più semplicemente, di controllo (v. Tab. 1) possono agire o
variando la permeabilità paracellulare, con target preminente nella paracellina-1, o attraverso interventi di vario segno sulla rete
integrata dei vari trasporti ionici: ad esempio, i diuretici dell’ansa si rendono magnesiurici in rapporto all’azione di blocco del
cotrasporto Na+-K+-2Cl- ed è sempre sui trasporti ionici che si basa l’importante attività regolatoria sostenuta dai recettori specifici per il Ca2+ e il Mg2+ («Ca2+/Mg2+- sensing receptor» o Ca-SR) posti sulla membrana basolaterale delle cellule epiteliali (v.
testo per i dettagli).
Tubulo contorto distale
Lume
Mg2+ 0,25 mmol/l
Sangue
Mg2+ 0,75 mmol/l
Mg2+ 0,50 mmol/l
?
TRPM6
Mg2+
Mg2+
Na+-K+-ATPasi
3Na+
Na+
Cl-
Cl-
-70 mV
-10 mV
2Na+
2K+
Cl-
Ca-SR
0 mV
Fig. 2B - Trasporto renale del Mg2+. Il tubulo contorto distale è la sede ove si determina la quota finale di Mg2+ che viene escreta dal rene. Seppur non molto rilevante in termini numerici (normalmente 5-10% della quota filtrata), la quota distale di riassorbimento del Mg2+ è quella più modulabile a seconda delle esigenze, essendo influenzata in modo diretto da ogni variazione
della disponibilità di Mg2+: così, in caso di carenza da scarso apporto o da aumento delle perdite intestinali e renali, si incrementano i ritmi di riassorbimento; il riassorbimento di Mg2+ è invece depresso in caso di eccesso. Il riassorbimento di Mg2+ a
livello distale avviene per via transcellulare ed è attivo. Come prima fase, il Mg2+ entra passivamente nelle cellule, attraverso la
membrana apicale, sfruttando il favorevole gradiente elettrochimico che, a livello distale, vige tra lume (-10 mV) e cellula
(-70 mV). Perché ciò avvenga è però necessario l’intervento di specifiche strutture, denominate «transient receptor potential»
(TRP, nelle varianti M6 e M7), caratterizzate da una duplice funzione: quella di agire come canali specifici per il Mg2+ e anche
quella di attivare, a tipo chinasi, le reazioni biochimiche che permettono il trasporto o l’utilizzo del Mg2+ stesso all’interno della
cellula. A livello della membrana basolaterale il Mg2+ è estruso contro un gradiente sia elettrico sia chimico. Ciò richiede energia e, quindi, un trasporto attivo, che, presumibilmente, si basa su di uno scambio con il Na+.
La presenza e l’attività dei TRP e i ritmi di scambio Na+/Mg2+ sono le variabili su cui agiscono, in modo rapido, sensibile e specifico, i diversi sistemi di controllo, tra cui, ricordiamo, vi sono anche i Ca-SR (v. testo per dettagli).
TABELLA 2
Principali classi di enzimi magnesio-dipendenti
(Modificato da Wolf F.J. e Cittadini J., 2003)
Enzimi
Attività
Chinasi
Proteine G
Adenilico-ciclasi
ATPasi
Fosfatasi alcalina
Enolasi
Isocitrico-liasi
Glutamina-sintetasi
Metil-aspartato
Pirofosfatasi
Xiloso-isomerasi
Ribulosofosfato-carbossilasi
Trasporto fosfati (ATP-Mg2+)
Trasporto fosfati (GTP-Mg2+)
Substrato ATP-Mg2+
Substrato ATP-Mg2+
Mg2+ si lega all’enzima e lo attiva
Mg2+ si lega all’enzima
Substrato Mg2+-isocitrato
Mg2+ contenuto nell’enzima
Mg2+ si lega all’enzima
Mg2+ si lega al substrato
Mg2+ si lega all’enzima
Mg2+ contenuto nell’enzima
↓ Mg2+ intracellulare
↓ Tirosin-chinasi
↑ Ca2+ intracellulare
↑ Pressione arteriosa
↑ Insulino-resistenza
Ipertensione
Diabete di tipo 2
Fig. 3 - È riportata in modo schematico l’ipotesi che vede la deplezione di Mg2+ come il meccanismo di innesco, diretto o anche
indiretto (v. aumento dell’attività intracellulare del Ca2+), della condizione di insulino-resistenza da un lato e, dall’altro, dello
stato di ipertensione arteriosa, con le possibili reciproche interconnessioni (Modificato da Barbagallo M. et al., 2003).
L
R
G
↓ Mg2+
↓ IP3
↓ Ca2+-ATPasi
↓ Ca2+-ATPasi
SR
Ca2+
↓ Mg2+
↑ Ca2+
Attivazione
Inibizione
Ca2+
Vasocostrizione
Fig. 4 - Sono rappresentati gli effetti della deplezione di Mg2+ sul Ca2+ intracellulare e, quindi, sul tono dei miociti vasali. Il deficit di Mg2+ favorisce l’influsso del Ca2+ attraverso i canali specifici, stimola la mobilizzazione del Ca2+ per attivazione dell’inositol-trifosfato (IP3), riduce l’attività della Ca2+-ATPasi, per cui si diminuisce, da un lato, l’efflusso del Ca2+ dalle substrutture citoplasmatiche cui è legato, dall’altro, il suo «reuptake» da parte del sistema reticolare sarcoplasmatico (SR). Tutto ciò ha,
come effetto risultante, un accumulo citoplasmatico di Ca2+ libero, condizione che aumenta in modo diretto il tono vasale
(Modificato da Laurant P. e Touyz R.M., 2000).
Deplezione di Mg2+
Flogosi
Alterazioni
metaboliche
Ipertensione
Disfunzione
endotellate
Aggregazione
piastrinica
Dislipidemia aterogena
Iperglicemia
Insulino-resistenza
Stress
ossidativo
Malattie cardiovascolari
Fig. 5 - Sono schematizzate le vie fisiopatologiche che legano la deplezione di Mg2+ allo sviluppo delle malattie cardiovascolari. Da notare i circoli viziosi che possono portare a un peggioramento dello stato depletivo, partendo dall’insulino-resistenza
o dall’iperglicemia o, ancora, dalle condizioni di stress ossidativo (Modificato da Bo S. e Pisu E., 2008).
CHF
Iperaldosteronismo
Diuretici
↑ Suscettibilità aritmie
Aritmie
↓ Inotropismo
↑ Attività adrenergica
Ipervolemia
↓ Mg2+ intracellulare
↓ Energia
↑ Sintesi collagene
Rimodellamento
Fig. 6 - Nell’ambito dello scompenso cardiaco, diversi fattori fisiopatologici specifici (v. aldosterone, catecolamine ecc.) possono agire in modo sinergico nel condizionare lo sviluppo di una deplezione di Mg2+. La deplezione di Mg2+ può, a sua volta,
favorire alcune delle manifestazioni più critiche della sindrome, tipo le aritmie, così come può inserirsi anche nell’evoluzione
intrinseca della malattia miocardica, favorendo lo sviluppo di diversi elementi patogeni in grado di produrre non solo effetti disfunzionale, ma anche modificazioni strutturali (Modificato da Delva P., 2003).
TABELLA 3
Cause di ipomagnesiemia
Alterazioni del bilancio esterno
a) Cause gastrointestinali
li
Diminuito introito
Mg2+
Alcolismo
Malnutrizione
NPT senza Mg2+
Diminuito assorbimento
Sindrome dell’intestino corto
By-pass digiuno-digiunale
Sindromi malassorbitive
Malattie infiammatorie intestinali
Ipomagnesiemia primaria intestinale
Aumentate perdite
Vomito, aspirazione SNG
Diarrea acuta e cronica
Fistole biliari o intestinali
Abuso cronico di lassativi
b) Cause renali
c) Perdite extrarena-
Aumentata escrezione
Dialisi
Alcolismo
Diuretici
Fase poliurica IRA, IRC, trapianto
Diuresi osmotica
Farmaci
Aminoglicosidi
Cisplatino
Pentamidina
Amfotericina-B
Ciclosporina
Ipercalcemia
Iperparatiroidismo primario
Iperaldosteronismo primario
Sindromi di Bartter e Gitelman
Perdite renali primitive
Gravi ustioni
Alterazioni del bilancio interno
d) Cause miste
Aumentato «shift» intracellulare
Terapia insulinica
Eccesso di catecolamine
NPT senza Mg2+
Infusione di aminoacidi
«Refeeding syndrome»
Acidosi metaboliche di varia natura
Aumentato «uptake» osseo
Ipoparatiroidismo
«Hungry bone syndrome» postiroidectomia o postparatiroidectomia
Deposizione tissutale (saponificazione)
Pancreatite
senza
TABELLA 4
Disordini ereditari del magnesio (Modificato da Schlingmann et al., 2004)
Tipo
Target renale
Ipomagnesiemia isolata dominante (ipocalciurica)
Ipomagnesiemia isolata recessiva (normocalciurica)
Ipomagnesiemia familiare ipercalciurica (nefocalcinosi)
Ipomagnesiemia con ipocalcemia secondaria
Ipoparatiroidismo autosomico dominante
Ipocalciuria familiare ipercalcemica
Iperparatiroidismo neonatale severo
Sindrome antenatale da iperprostaglandina E
Sindrome di Bartter
Sindrome di Gitelman
Na+-K+-ATPasi
?
Paracellina
TRPM6
Ca-SR
Ca-SR
Ca-SR
Cotrasporto Na+-K+-2ClROMK, canali del ClCotrasporto Na+-Cl(v. testo per gli acronimi citati)
TABELLA 5
Effetti «sistemici» dell’ipomagnesiemia/deplezione di Mg2+
Segni generali
Debolezza, astenia
Anoressia
Stato confusionale, apatia, depressione, irritabilità → psicosi, delirio
Alterazioni metaboliche
Ipopotassiemia (alcalosi metabolica)
Ipocalcemia
Segni neuromuscolari
Atassia, movimenti atetosici o coreiformi
Aumento ROT
Spasmo carpo-podalico
Segni di Chvostek e di Trousseau
Tremori, fascicolazioni, crampi
Tetania → paralisi muscoli respiratori
Convulsioni → male epilettico
Segni cardiovascolari
Ipertensione arteriosa
Vasospasmo (coronarie)
Alterazioni ECG
Aritmie
TABELLA 6
Terapia d’emergenza dell’ipomagnesiemia
(Modificato da Dacey M.J., 2001)
1) Eliminare ogni possibile causa di deplezione
2) 2 g MgSO4 ev in 10’
3) A seguire, infusione di MgSO4 0,5 g/ora (o 1-2 g ev ogni 4 ore). In presenza di insufficienza renale, 0,25
g/ora; in mancanza di un accesso venoso, 4 g di MgSO4 im ogni 4-6 ore (dosi dimezzate in caso di
insufficienza renale)
4) Determinare magnesiemia ogni 6 ore e modificare il ritmo infusivo in modo da mantenere la
magnesiemia ai livelli alti del range normale (3-4 mg/dl)
5) Monitorare frequentemente la calcemia e la potassiemia
6) Proseguire l’infusione per almeno 72 ore
7) Dopo 72 ore, passare alla terapia di mantenimento
per os = 0,4-0,5 mEq/kg/die
per ev = 0,1-0,2 mEq/kg/die
1 g MgSO4 = Mg2+ = 98 mg = 4 mmol = 8 mEq
1 g MgCl2 = Mg2+ = 118 mg = 4,5 mmol = 9 mEq
Mg gluconato 500 mg = Mg2+ = 32 mg = 1,2 mmol = 2,4 mEq
MgO2 = Mg2+ = 111 mg = 4,5 mmol = 9 mEq
TABELLA 7
Cause di ipermagnesiemia
Riduzione filtrato glomerulare
Insufficienza renale acuta
Insufficienza renale cronica
Sali di litio
Insufficienza surrenalica
Trattamento infusivo aggressivo
Eclampsia
Aritmie
Eccessivo introito di sali di Mg2+ (con ridotto FG)
Terapia di reintegro (gluconato, pidolato, solfato, ossido di Mg2+)
Enteroclismi (ossido, solfato di Mg2+)
Lassativi (citrato, solfato, ossido di Mg2+)
Antiacidi (ossido, idrossido, trisilicato di Mg2+, magaldrato)
Soluzioni urologiche (soluzione di ossido di Mg2+ per irrigazioni)
Annegamento nel Mar Morto (la concentrazione di Mg2+ è di circa 400 mg/dl!)
TABELLA 8
Effetti «sistemici» dell’ipermagnesiemia
Segni generali
Debolezza, astenia
Sonnolenza
Sudorazione
Alterazioni metaboliche (ipocalcemia, iperpotassiemia)
Segni neuromuscolari
Riduzione/abolizione ROT
Confusione mentale, letargia, coma
Ipostenia muscolare fino alla paralisi flaccida
Paralisi muscoli respiratori fino all’apnea
Midriasi
Ileo dinamico
Segni cardiovascolari
Ipotensione arteriosa
Alterazioni ECG
Aritmie