26 luglio 2014 Autore: Raffaella De Lisi Sommario 1. 2. 3. 4. 5. Presupposti e il Razionale ............................................................................................................ 1 BASILEA I .................................................................................................................................. 1 BASILEA II ................................................................................................................................. 3 Il Primo Pilastro ............................................................................................................. 3 Il Secondo Pilastro.......................................................................................................... 5 Il Terzo Pilastro .............................................................................................................. 6 BASILEA III................................................................................................................................ 7 Rischio di inadeguata patrimonializzazione ................................................................... 8 Rischio di Leva Finanziaria Eccessiva .......................................................................... 9 Rischio di Liquidità......................................................................................................... 9 Altri Rischi ...................................................................................................................... 9 Impatti di Basilea III sul Credito alle Imprese ........................................................................... 10 Allegato: Basilea 3 Fasi di applicazione .............................................................................................. 0 GLI ACCORDI DI BASILEA Premessa Gli accordi di Basilea sono linee guida riguardanti i requisiti patrimoniali e prudenziali degli Istituti di Credito emanati dal Comitato di Basilea allo scopo di perseguire la stabilità monetaria e finanziaria del sistema bancario e rappresentano un importante tassello nel processo di regolamentazione della finanza. Il comitato di Basilea venne costituito nel Dicembre 1974 dai governatori delle banche centrali dei dieci paesi più industrializzati ( G10), poi ampliato sino agli attuali 27 membri ivi compresi USA e Cina, per sviluppare la collaborazione tra le autorità di vigilanza bancaria. Ha sede a Basilea ed opera in seno alla B.I.S.-Banca dei Regolamenti Internazionali, istituto fondato con l'obiettivo di dare stabilità ai mercati monetari e finanziari promovendo la collaborazione tra le banche centrali. Il Comitato di Basilea non ha potere legislativo ma formula proposte che dovranno essere recepite nell'ambito dei singoli ordinamenti nazionali. “Il recepimento di Basilea nell'ordinamento interno Italiano non si è risolto in una mera trasposizione della normativa comunitaria in lingua italiana. Non ci si riferisce solo all'esercizio delle opzioni, pur rilevanti, rimesse alla discrezionalità nazionale dalle direttive, ma anche all'opera di adattamento alle specifiche esigenze della realtà economica, giuridica e istituzionale del nostro paese. Ciò è avvenuto nel pieno rispetto degli obblighi comunitari ed evitando di aggiungere strati addizionali di regolamentazione "(cfr. G. Carosio Vdg B.Italia-convegno ABI 22/01/2007). Ovviamente l'efficacia delle direttive assumerà maggiore valenza quanto più numeroso sarà il numero dei paesi guida che recepiranno le direttive stesse nei propri ordinamenti 1. Presupposti e il Razionale La grave crisi del 1929 rese necessaria l'introduzione di norme per regolamentare il settore bancario e finanziario ed in tal senso fu costituita il 17 Maggio 1930 la B.I.S.-Banca dei regolamenti internazionali. La poderosa ripresa economica post-bellica e l'affermarsi contemporaneamente della ideologia neoliberista hanno poi progressivamente portato alla eliminazione di gran parte di detta normativa nella convinzione che la deregolamentazione del sistema potesse contribuire a rafforzare l'espansione economico-finanziaria in atto. Il successivo processo di globalizzazione e la stretta interconnessione del sistema bancario hanno reso però evidente come la fragilità di uno dei suoi elementi renda vulnerabile l'intero sistema. La condotta molto aggressiva di alcuni istituti di credito, tesa a vincere la esasperata concorrenza instauratasi in un sistema normativamente poco regolamentato, ha senz'altro migliorato l'efficienza del sistema stesso ma spesso a scapito della solidità con evidenti ripercussioni negative anche per depositanti e risparmiatori. I Governatori delle Banche Centrali del G10 hanno pertanto avvertito la necessità di promuovere delle regole comuni per il sistema bancario internazionale da attuarsi mediante intervento pubblico in grado di garantire stabilità e imporre condizioni equanimi e condivise, all'interno delle quali si potesse svolgere la dinamica competitiva. Al fine pertanto di rafforzare la solidità e solvibilità del sistema bancario internazionale e conseguentemente ridurre il verificarsi di crisi bancarie, il Comitato ha via via assunto negli anni varie determinazioni che si sono maggiormente estrinsecate nell'emanazione di specifiche direttive che di seguito vengono descritte. 2. BASILEA I Nel Luglio 1988 il comitato stipulò il primo accordo sulla regolamentazione del capitale bancario con particolare attenzione al concetto di requisiti minimi patrimoniali delle banche, ovvero quota del capitale destinata a proteggere i depositanti dal rischio che gli attivi bancari (prestiti alla 1 clientela), subendo delle perdite, risultino insufficienti a coprire le passività (i.e. conti correnti e depositi dei risparmiatori). Ogni attività finanziaria, in particolare creditizia, comporta assunzione di rischio, il patrimonio della banca conseguentemente deve essere adeguato ai rischi assunti. L'adeguatezza patrimoniale, misurata secondo criteri ed indici prefissati dal Comitato, costituisce il c.d. " patrimonio di vigilanza". In questa direttiva vengono presi in considerazione soltanto i cd. “rischi di credito” e di “mercato”. Con il “rischio di credito” si fa riferimento al rischio che le controparti delle banche, es. imprese finanziate, non rispettino i propri impegni e dunque non rimborsino, in tutto o in parte od oltre i termini di scadenza, i prestiti ottenuti. Il “rischio di mercato” riguarda la possibilità che fluttuazioni inattese delle variabili finanziarie (tassi di interesse, tassi di cambio, prezzi azionari, ecc.) determino delle diminuzioni del valore degli investimenti finanziari delle banche. La rischiosità degli impieghi (attivi) viene ponderata (al fine di calcolare il Risk Weighted Asset cd. RWA) moltiplicando il valore nominale degli stessi con dei coefficienti differenti in funzione della tipologia degli attivi: 0% per attività di rischio verso stati, banche centrali; 20% per attività di rischio verso enti pubblici, territoriali e non, banche; 50% per attività di rischio verso soggetti che richiedono crediti ipotecari relativi a immobili di tipo residenziale (mutui a privati); 100% per attività di rischio verso imprese, altri soggetti settore privato. La direttiva stabilì che per ogni posizione creditizia la banca avesse l'obbligo di accantonare una quantità di capitale pari all' 8% dell'ammontare del credito erogato ponderato attraverso i coefficienti sopra descritti (rischio standard). A titolo esemplificativo si indicano alcune ipotesi di costituzione del patrimonio di vigilanza . Prenditore Ente pubblico: erogato € 500.000,00 8.000,00. Prenditore impresa: erogato € 500.000,00 fatt. pond. 100% attrib. 8% fatt. pond. 20% attrib. 8% p.v. € p.v. € 40.000,00. Tali fattori di ponderazione del rischio avevano tuttavia un limite in quanto (i) dipendenti esclusivamente della tipologia della controparte e (ii) svincolati dal merito specifico della affidabilità del soggetto finanziato (debitore) o dalla solidità delle garanzie associate all’operazione di prestito. Lo schema pertanto era rigido e presentava limiti, in particolare: 1 non vi era differenziazione della misura di rischio per la stessa tipologia di clientela (garantivo vs non garantito); 2 non venivano considerati i rischi operativi1; 3 non veniva considerata la durata del prestito; 4 non veniva considerata la diversificazione e la qualità del portafoglio delle banche quale elemento di riduzione del rischio. In sintesi con Basilea I l'ammontare minimo di capitale (patrimonio di vigilanza) da accantonare era legato semplicemente alla dimensione degli attivi e non alla loro qualità e non rilevando la qualità del prenditore il rischio di fatto aveva un peso nullo. 1 Per rischio operativo si intende il rischio di subire perdite inattese dovute a inefficienze di procedure o di personale o ad eventi esterni. 2 3. BASILEA II Dall’oggettiva evidenza delle summenzionate limitazioni nacque l’esigenza di una rivisitazione dell’accordo e così nel 2004 venne approvato il nuovo schema di regolamentazione noto come Basilea 2. Il testo è stato recepito dagli ordinamenti nazionali ed è entrato in vigore nel 2007, in Italia tramite la Circolare Banca d’Italia n° 263 del 2006. Il nuovo schema si differenziò, soprattutto, dal precedente, per il fatto che mentre nel primo si consideravano i rischi di classi di clienti senza ulteriori articolazioni/ differenziazioni interne, nell'attuale si richiede una valutazione analitica del singolo prenditore, per cui per ciascuno cliente è prevista una specifica detenzione di patrimonio di vigilanza in relazione al peculiare merito creditizio. Venne quindi introdotto il concetto di “rating” che rappresenta la valutazione di affidabilità di un cliente, cioè la valutazione della capacità di credito e della sua solvibilità ovvero dell’attitudine a far fronte ai propri impegni assunti alle scadenze prestabilite. Il processo di assegnazione del rating è un processo nel quale vengono considerate: valutazioni di tipo quantitativo e oggettivo basate su bilanci e sull'andamento dei rapporti bancari, valutazioni integrative, a carattere quali-quantitativo, basate su piani, budget e trend di mercato e infine valutazioni qualitative caratteristiche dell'impresa che fanno riferimento ad aspetti di carattere normativo, amministrativo, finanziario, societario, fiscale o gestionale che possono avere un impatto potenziale anche molto significativo. Basilea 2 si fonda su tre pilastri: 1. requisiti minimi patrimoniali, ovvero regole per la determinazione dell’adeguatezza patrimoniale; 2. processo di controllo prudenziale, ovvero linee guida per l’attività di supervisione sull’adeguatezza del capitale da parte degli organi di controllo; 3. disciplina di mercato, ovvero obbligo a rispettare determinati requisiti di trasparenza sulle informazioni trasmesse all’esterno. Il Primo Pilastro Il primo pilastro concerne un nuovo sistema per il calcolo dei requisiti patrimoniali minimi prendendo in considerazione, oltre al rischio di credito e di mercato, il cd. “rischio operativo”, che ne rappresenta la maggiore novità e riguarda il rischio di subire perdite inattese dovute a inefficienze di procedure o di personale o ad eventi esterni. La formula per la determinazione del patrimonio di vigilanza viene pertanto così ampliata e rivista: Dove: RWA = Risk Weighted Asset (attivi ponderati con coefficienti di ponderazione in funzione della qualità del debitore) Rc = rischio di credito Rm = rischio di mercato Ro = rischio operativo 3 Viene consentito alle banche di scegliere tra due metodologie per il calcolo dei requisiti patrimoniali a fronte del rischio di credito: a) il cd. “metodo standardizzato”; b) il cd. “modello interno”, ovvero sistemi interni di analisi del rischio di credito ( IRB). a) Metodo Standardizzato Nel caso di “metodo standardizzato” il rischio è determinato mediante procedure prestabilite dalle Autorità di Vigilanza (Banca d’Italia) integrate da valutazioni esterne del merito del credito, rappresentate soprattutto dai rating attribuiti dalle agenzie specializzate quali Standard & Poor's, Fitch, Moody's. E’ l'autorità nazionale di vigilanza a stabilire quali agenzie esterne sinao riconosciute per effettuare tale valutazione. Il rating viene sintetizzato convenzionalmente da un simbolo alfanumerico che esprime la probabilità di default, ovvero il rischio di insolvenza di un soggetto. Il livello minimo di probabilità di default, rischiosità quasi vicina allo zero viene definito con una tripla AAA o Aaa ( dipende dall'agenzia che fa la valutazione). Un soggetto con rating AAA è considerato altamente affidabile da un punto di vista finanziario. All'aumentare del rischio di default il livello passa da AA poi a BBB, BB, B, CCC ed D, che segnala un rischio molto elevato. Inoltre il “voto“, rappresentativo del rating attribuito, viene associato alla previsione (cd. “outlook”) di evoluzione dello stesso nel tempo. L’outlook viene rappresentato dai segni “+” e “-”. Così l'attribuzione del segno positivo vuol dire che si prevede il miglioramento di una classe di rating, al contrario l'attribuzione del segno negativo rappresenta la previsione di un peggioramento di una classe di rating. In funzione del rating per i crediti concessi ad aziende classificate nella categoria controparte privata (cd. “ Corporate”) vengono definiti i seguenti coefficienti di ponderazione del rischio: Tabella: coefficienti di ponderazione in funzione del rating di controparte a rischio Da AAA ad A Da A+ Da BBB Inferiore a Senza rating ad Aad BBB+ 20% 50% 100% 150% 100% Sono state inoltre previste forme di mitigazione del rischio in presenza di garanzie personali o reali (es. ipoteche, ecc) che assistono il credito, purché sia accertata la validità giuridica ed economica delle stesse. E’ stata contemplata inoltre una particolare classe di soggetti prenditori denominata “retail”, in cui confluiscono i privati e le piccole imprese a condizione che abbiano un volume di affari (fatturato) inferiore a 5 milioni di euro e che il prestito non sia superiore a 1 milione di euro. Per questa categoria, in funzione dell’importo modesto e della adeguata diversificazione del rischio, è prevista l’applicazione di un coefficiente di ponderazione del 75%, indipendentemente dall’ esistenza di un rating. b) Metodo Interno L’ accordo ha previsto inoltre in alternativa a quella standardizzata, la cosiddetta metodologia interna (IRB).Tale metodologia deve essere formalmente autorizzata dall'autorità di vigilanza nazionale e permette alle banche di utilizzare i propri sistemi di rating (in sostituzione del rating attribuito dalle agenzie di rating esterne). 4 Un sistema di rating interno consiste nel complesso coordinato di procedure, procedimenti, formule di calcolo supportati da un adeguato sistema informativo finalizzato all'analisi e valutazione dei rischi di credito, alla definizione di un grading di merito e alla possibile quantificazione delle insolvenze o delle perdite. Le valutazioni interne degli elementi di rischio devono includere: probabilità di insolvenza o default (PD) perdita in caso di insolvenza la cd. Loss Given Default ( LGD) esposizione al momento dell'insolvenza, la cd. Exposure at Default (EAD) esposizione alla scadenza effettiva (M) Il requisito patrimoniale sarà pertanto calcolato a partire da queste quattro componenti. Nell'adozione di sistemi interni è possibile che le singole banche abbiano un diverso livello di autonomia nel calcolo dei parametri di ponderazione del rischio e quindi dei coefficienti patrimoniali. Si distingue tra IRB “base” in cui la PD è stimata dalla banca e le altre componenti fissate dall'autorità, e IRB “advanced” in cui tutte le componenti sono stimate dalla banca stessa. A prescindere dal grado di autonomia, per adottare un sistema IRB le banche devono dimostrare all'autorità vigilante che il sistema adottato risponda a criteri di obiettività, affidabilità e correttezza tecnica e soprattutto che trovi reale applicazione nella operatività. Appare evidente che, dovendo gli istituti di credito vincolare del capitale a fronte dei rischi connessi alla loro attività, questi dipenderanno anche dal rischio di credito relativo alle imprese/controparti affidate. Conseguentemente le banche chiederanno alle imprese di ridurre il loro rischio finanziario per migliorare il rating (riducendo così il rischio di credito), al fine di avere minor capitale di rischio vincolato a fronte dei prestiti alla clientela. Minor capitale vincolato per le banche, significa possibilità di utilizzo dello stesso per impieghi alternativi. La situazione contraria determina invece la perdita di una opportunità di investimento, il cui costo viene necessariamente fatto ricadere sulle imprese sotto forma di incrementi di tasso di interesse applicato sui finanziamenti per le aziende più rischiose. In questo modo si lega l’erogazione del credito al livello di capitalizzazione della banca. Basilea 2 implica che i costi di finanziamento per un’impresa siano sempre più legati al proprio rating con la conseguenza che il contenimento dei costi finanziari passa necessariamente attraverso un incremento della patrimonializzazione e un conseguente miglioramento della situazione economico-patrimoniale della azienda stessa che trova riflesso in un miglior rating aziendale. Il nuovo sistema elaborato da Basilea 2 ha fatto emergere un cambiamento, ha indotto le banche ad adottare una pura logica di impresa e a correlare il prezzo del credito (i.e. tasso di interesse) a: (i) le probabilità di insolvenza del prenditore di credito, (ii) la durata dell’impegno e (iii) le eventuali garanzie che assistono il credito, con una conseguente segmentazione della propria clientela in funzione dei criteri sopra delineati. Questa nuova impostazione comporta un effetto di trascinamento nei confronti dell’impresa richiedente la quale dovrà aumentare le proprie capacità di autovalutazione in modo da presentarsi all’offerta con la maggiore dote informativa. Il Secondo Pilastro Il secondo pilastro (“ controllo prudenziale “) tende ad accrescere i poteri di controllo delle autorità di vigilanza (Banca d’Italia) e disciplina i rapporti con le stesse al fine di assicurare che le banche adottino adeguati procedimenti interni per la misurazione del rischio. 5 Il processo del controllo prudenziale è inteso non solo a garantire che le banche dispongano di un capitale adeguato a sostenere tutti i rischi connessi con la loro attività ma anche a incoraggiarle nell'elaborazione e nell'uso di tecniche migliori per monitorare e gestire tali rischi, riconoscendo nell'alta direzione della banca il responsabile di tali elaborazioni per i processi interni di valutazione del capitale. Basilea 2 ha individuato n° 4 principi chiave del controllo prudenziale: le banche devono dotarsi di un sistema di valutazione della propria adeguatezza patrimoniale in relazione ai profili di rischio assunto e delle misure per un costante mantenimento dei livelli patrimoniali stabiliti; l'autorità vigilante verifica la corretta applicazione di tale sistema, intervenendo solo in caso di carenze da parte della banca; è raccomandato alla banche, per il tramite delle autorità di vigilanza, di mantenere dotazioni patrimoniali superiori ai coefficienti minimi obbligatori; le autorità di vigilanza dovrebbero svolgere un ruolo attivo nella prevenzione dei fenomeni di riduzione dei patrimoni delle banche, per consentire loro di intervenire attraverso (i) un intervento diretto della stessa autorità finalizzato a impedire che si verifichi l'evento di abbattimento del patrimonio oppure (ii) per attuare un pronto ripristino di tale patrimonio al livello stabilito. Il Terzo Pilastro Il terzo pilastro (“disciplina di mercato”), integrativo dei precedenti due, richiede alle banche l'attivazione di requisiti di trasparenza informativa nei confronti di tutti gli operatori di mercato circa i metodi di valutazione del rischio adottati ed obbliga gli istituti di credito a fornire pubblicità sulla propria situazione economico-finanziaria con particolare riferimento al profilo di rischio ed all’adeguatezza del capitale. Scopo del terzo pilastro è anche quello di permettere a ciascun operatore di effettuare investimenti nei titoli di una banca alla luce di informazioni chiare, trasparenti e sostanziali. Esso contribuisce quindi alla sicurezza e alla solidità del sistema bancario, che si integra pienamente con l'obiettivo dei singoli organi di vigilanza, i quali richiedono alle banche di operare in maniera da garantire la sana e prudente gestione. ****** La recente crisi finanziaria globale ha messo in evidenza le lacune dell'accordo di Basilea 2 e in particolare: da indagini effettuate è emersa la penalizzazione per le piccole e medie imprese. Le imprese faticano a reperire finanziamenti (il cosiddetto “credit crunch”) fino a giungere ad una vera crisi di liquidità che può degenerare nella insolvenza di breve periodo si è verificato un incoraggiamento al cd. “moral hazard” ovvero a parità di coefficiente per la ponderazione del rischio la possibilità di arbitraggiare l’utilizzo del patrimonio della banca a favore di finanziamenti più rischiosi (e quindi più remunerativi) a scapito di finanziamenti di migliore qualità (meno remunerativi) si è assistito al fenomeno della cd. “prociclicità” finanziaria: nei periodi di rallentamento economico, l'accordo avrebbe l'effetto di indurre le banche a ridurre gli impieghi, causa il crescere del rischio, con la potenziale conseguenza di inasprire la crisi stessa 6 inoltre si è verificata una discriminazione tra le banche, quelle piccole non potendo utilizzare le metodologie più avanzate, quindi subiscono un onere patrimoniale maggiore rispetto ai grandi gruppi. Oltre ad essere incorse anch'esse in crisi di liquidità. 4. BASILEA III L’insorgere ed il persistere della grave crisi finanziaria del 2007-2008 nonché la constatazione dei sopra descritti effetti negativi non impediti dalla direttiva Basilea II , hanno portato il Comitato all’elaborazione della terza direttiva approvata nel settembre 2010 dai Governatori e dai Capi delle autorità di vigilanza del G20 (cd. “Basilea III”). L’accordo è stato recepito in Italia con la Circolare n. 285 del 17 dicembre 2013 e successivi aggiornamenti2. "Basilea III è un insieme articolato di provvedimenti di riforma, predisposto dal Comitato di Basilea per la vigilanza bancaria al fine di rafforzare la regolamentazione, la vigilanza e la gestione del rischio del settore bancario. Tali provvedimenti mirano a: migliorare la capacità del settore bancario di assorbire shock derivanti da tensioni economiche e finanziarie, indipendentemente dalla loro origine; migliorare la gestione del rischio e la governance; rafforzare la trasparenza e l'informativa delle banche. Le riforme sono di due ordini: microprudenziali, ossia concernenti la regolamentazione a livello di singole banche; queste riforme intendono rafforzare la resistenza dei singoli istituti bancari alle fasi di stress; macroprudenziali, ossia concernenti i rischi a livello di sistema che possono accumularsi nel settore bancario, nonché l'amplificazione pro-ciclica di tali rischi nel tempo. L'approccio microprudenziale e quello macroprudenziale sono complementari, poiché una migliore tenuta a livello di singole banche riduce il rischio di shock sistemici.” (fonte Banca d’Italia). Le misure riguardano in particolare: innalzamento della qualità del capitale regolamentare per aumentare la capacità delle banche di assorbire le perdite e fissazione di più elevati requisiti patrimoniali, il capitale minimo passa dall’8% al 10,5% (requisito che verrà introdotto nel 2018) al fine di individuare il patrimonio di vigilanza e creazione di buffer anticiclici, risorse patrimoniali in eccesso nelle fasi cicliche espansive a cui poter attingere nei periodi di tensione; introduzione di un indice di leva finanziaria (cd. leverage ratio), per contenerne l’indebitamento: tale indice va ad integrare i coefficienti patrimoniali basati sul rischio al fine di contenere l’accumulo eccessivo di leva nel sistema bancario e di fornire un presidio supplementare contro il rischio di modello e i possibili relativi errori di misurazione. introduzione di due standard globali minimi di liquidità, costituiti dal (i) cd. “liquidity coverage ratio” focalizzato sul breve periodo e (ii) dal cd. “net stable funding ratio”, indicatore di lungo periodo; 2 Regolamento (UE) No 575/2013 (Capital Requirements Regulation – CRR) che disciplina gli istituti di vigilanza prudenziale del Primo Pilastro e le regole sull’informativa al pubblico (Terzo Pilastro); e Direttiva 2013/36/UE (Capital Requirements Directive – CRD IV), che riguarda, fra l'altro, le condizioni per l'accesso all'attività bancaria, la libertà di stabilimento e la libera prestazione di servizi, il processo di controllo prudenziale, le riserve patrimoniali addizionali. 7 Introduzione di criteri di calcolo di altri rischi derivanti tra l’altro da attività di trading, cartolarizzazioni, esposizioni a veicoli fuori bilancio e al rischio di controparte connesso a strumenti derivati. Rischio di inadeguata patrimonializzazione Il patrimonio di vigilanza è costituito dai seguenti elementi: 1. patrimonio di base o “tier 1”: in grado di assorbire le perdite in condizioni di continuità dell'’impresa (cd. on going concern), nello specifico costituito da: a) Utili non distribuiti e Riserve, al netto dell'avviamento, b) Azioni ordinarie (quelle di risparmio escluse a partire dal 2010, non assicurano, infatti, il pieno assorbimento delle perdite, in quanto prevedono vantaggi in fase di liquidazione e nella maggior parte dei casi sono caratterizzate da meccanismi di remunerazione privilegiati e commisurati al valore nominale dello strumento), c) Preferred Securities: obbligazioni perpetue richiamabili non prima di 10 anni, il cui pagamento può essere sospeso in presenza di andamenti negativi della gestione e privilegiate solo rispetto alle azioni ordinarie e di risparmio. 2. Il patrimonio di base (costituito da a. e b) deve essere pari, in qualsiasi momento, ad almeno il 6,0% delle attività ponderate per il rischio. Inoltre viene fissato un buffer di conservazione del capitale di cui alla tabella 2 che segue con la funzione di garantire che le banche mantengano un patrimonio di riserva per assorbire le perdite durante lunghi periodi di stress economico e finanziario. Questo nuovo schema di regolamentazione prudenziale riduce la facoltà per le banche che hanno già utilizzato i buffer patrimoniali di ridurli ulteriormente tramite distribuzioni degli utili. Così facendo, esso rafforzerà la capacità di tenuta degli istituti in condizioni di stress avversi. L’attuazione dello schema tramite regole di conservazione del capitale concordate a livello internazionale contribuirà sia a incrementare la resilienza del settore nei periodi di contrazione sia a fornire un meccanismo per ricostituire le risorse patrimoniali nelle prime fasi di ripresa economica. Una quota più elevata di utili non distribuiti nei periodi recessivi consentirà di disporre di capitale a sostegno dell’operatività corrente delle banche nelle fasi di tensione. In tal modo lo schema dovrebbe contribuire a ridurre la prociclicità. Tabella 2: Requisiti Patrimoniali e Buffer 8 Rischio di Leva Finanziaria Eccessiva Una delle caratteristiche di fondo della crisi è stata l’accumulo di un eccessivo grado di leva finanziaria, in bilancio e fuori bilancio (operazioni fuori bilancio costituite da accettazioni bancarie, fideiussioni, avalli, transazioni in prodotti derivati), nel sistema bancario. In numerosi casi, le banche hanno accumulato una leva eccessiva pur evidenziando robusti coefficienti patrimoniali basati sul rischio. Nella fase più acuta della crisi il settore bancario è stato costretto dal mercato a ridurre la propria leva, il che ha amplificato le pressioni al ribasso sui prezzi delle attività, accentuando ulteriormente la spirale tra perdite, erosione del capitale delle banche e contrazione della disponibilità di credito. In considerazione di ciò, il Comitato ha concordato di introdurre un indice di leva finanziaria (leverage ratio) semplice, trasparente e non basato sul rischio, calibrato in modo da rappresentare una misura supplementare credibile rispetto ai requisiti patrimoniali basati sul rischio. L’indice di leva finanziaria ha i seguenti obiettivi: contenere l’accumulo di leva finanziaria nel settore bancario, contribuendo in tal modo ad evitare processi di deleveraging destabilizzanti che possono arrecare pregiudizio al sistema finanziario nel suo complesso e all’economia; e rafforzare i requisiti basati sul rischio tramite una misura integrativa semplice e non basata sul rischio Rischio di Liquidità Durante la crisi finanziaria numerose banche, nonostante gli adeguati livelli patrimoniali, sono andate incontro a problemi per non aver gestito in maniera prudente la liquidità. Alla vigilia della crisi i mercati delle attività si caratterizzavano per un elevato dinamismo e per la pronta disponibilità di finanziamenti a basso costo. Il repentino mutamento delle condizioni di mercato ha mostrato la rapidità con cui la liquidità può evaporare ed evidenziato che le situazioni di illiquidità possono protrarsi a lungo. Quindi il rispetto di rigorosi requisiti patrimoniali è una condizione necessaria per la stabilità del settore bancario, ma di per sé non sufficiente. Una solida base di liquidità, rafforzata da robuste prassi di vigilanza, è altrettanto importante. Così le linee guida Principles for sound liquidity risk management and supervision pubblicate dal Comitato nel 2008 si basano su una revisione sostanziale delle prassi corrette per la gestione del rischio di liquidità nelle organizzazioni bancarie. Lo schema per la liquidità comprende un insieme comune di strumenti di monitoraggio per assistere le autorità di vigilanza nell'individuazione e nell'analisi del rischio di liquidità a livello sia di singola banca sia di sistema. Sono stati così introdotti due requisiti quantitativi minimi per il rischio di liquidità: l’indicatore di breve termine o Liquidity Coverage Ratio (LCR) che intende promuovere la resilienza degli istituti bancari di fronte a possibili turbative della liquidità su un orizzonte di trenta giorni. Esso sarà introdotto il 1° gennaio 2015, e obbligherà le banche a disporre di un adeguato livello di attività liquide di alta qualità atte a controbilanciare gli eventuali deflussi di cassa netti connessi con uno scenario di stress acuto di breve periodo l’indicatore strutturale o Net Stable Funding Ratio (NSFR), che sarà introdotto nel 2018, è un indicatore strutturale di più lungo periodo volto a segnalare squilibri di liquidità. Esso copre l'intero bilancio e incentiva le banche a utilizzare fonti di approvvigionamento stabili Altri Rischi L’incapacità di cogliere la presenza di rischi rilevanti in bilancio e fuori bilancio, nonché le esposizioni connesse a strumenti derivati, è stato uno dei principali fattori di amplificazione della crisi. In futuro le banche dovranno determinare il requisito patrimoniale a fronte del 9 rischio di controparte utilizzando input che tengano conto di condizioni di stress. Ciò eviterà che i requisiti patrimoniali diminuiscano eccessivamente nei periodi di ridotta volatilità di mercato e contribuirà ad attenuare la prociclicità della regolamentazione. Un approccio analogo è introdotto per il rischio di mercato: le banche saranno infatti soggette a un requisito patrimoniale a copertura di potenziali perdite dovute alla variazione dei prezzi di mercato (rischio di rettifiche di valore della componente creditizia, o credit valuation adjustment, CVA) per effetto del deterioramento del merito di credito delle controparti. Lo schema Basilea 2 contempla infatti solo il rischio di insolvenza della controparte, ma non quello di CVA, che durante la crisi finanziaria ha causato perdite maggiori rispetto a quelle relative ai casi di insolvenza. Il Comitato rafforza i requisiti in materia di gestione delle garanzie reali e di costituzione iniziale dei margini di garanzia. Le banche con esposizioni in derivati ampie e illiquide verso una controparte dovranno considerare periodi di adeguamento dei margini più lunghi per determinare i requisiti patrimoniali. 5. Impatti di Basilea III sul Credito alle Imprese L’applicazione di Basilea III avverrà sulla base della tempistica di cui all’allegato 1 al fine di permettere alle banche di adeguarsi gradualmente e di non generare shock sul sistema derivanti dall’implementazione dello stesso. Va altresì rilevato che soprattutto l’inserimento dei cd. liquidity ratio potranno avere un impatto sulla capacità del sistema bancario di continuare a svolgere il ruolo tradizionale di cd. “trasformatore” di scadenze, ovvero utilizzare la liquidità dei conti correnti e dei depositi per finanziarie le attività di investimento delle imprese. Il Fondo Monetario Internazionale (FMI) stima infatti che a seguito dell’implementazione di Basilea III le banche dismetteranno 2.000 miliardi di dollari di asset nei prossimi 18 mesi al fine di orientarsi verso settori a minor assorbimento di capitale, pertanto diventa sempre più necessario lo sviluppo di un canale alternativo a quello bancario. Va anche sottolineato che rispetto a tutti gli altri principali paesi europei, le imprese italiane si distinguono per avere inoltre meno capitale proprio e più debito bancario3, rendendo di fatto le stesse più vulnerabili a crisi che provengono dal sistema finanziario e non dall’economia reale. Infatti tensioni nei bilanci delle banche si traducono in peggiori condizioni di offerta del credito che pesano su imprese già provate dalla recessione. Considerato quanto sopra, qualora l’accesso delle imprese al mercato obbligazionario rimanesse limitato, le aziende italiane vedrebbero ridursi progressivamente la capacità di indebitamento. La conseguenza naturale di ciò è la necessità di affiancare al credito bancario quello di derivazione “private”. Al fine di riequilibrare tale differenziale fra l’Italia e il resto dell’Europa e sviluppare canali alternativi al credito bancario, a partire dal 2012 sono state introdotte una serie di norme (c.d. “Decreto Sviluppo Italia 2012”4) volte a favorire l’accesso al mercato dei titoli di debito da parte delle aziende non quotate attraverso l’emissione di strumenti di debito (cambiali finanziarie o obbligazioni) e a liberare le risorse disponibili presso le società assicurative (Decreto Legge 24 giugno 2014). 3 Fonte: Finanza e crescita dopo la crisi - Intervento del Direttore Generale della Banca d’Italia Salvatore Rossi , Milano 14 novembre 2013. 4 Decreto legge 18 ottobre 2012, n. 179, convertito con la legge di conversione 17 dicembre 2012, n. 221. Il Decreto Sviluppo Italia 2012 ha introdotto misure finalizzate a "stimolare" il rafforzamento della competitività, la ripresa della domanda, lo stimolo al dinamismo imprenditoriale nazionale. L’intento del legislatore è ridare dinamicità al mercato del credito, tramite la riduzione dei vincoli normativi per l’accesso al mercato dei capitali per le società non quotate (in particolar modo per le PMI) attraverso l’emissione di strumenti di debito, cambiali finanziarie/obbligazioni. 10 Allegato: Basilea 3 Fasi di applicazione
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