I nanotubi di carbonio Matteo Tironi 5 A ECO Sommario • Premessa • Cosa sono i nanotubi? • Breve storia dei nanotubi • La produzione dei nanotubi ◦ La CVD • Le proprietà dei nanotubi ◦ Proprietà fisico-meccaniche ◦ Proprietà elettriche ◦ Proprietà termiche • Applicazioni dei nanotubi ◦ Applicazioni nel campo dei materiali ◦ Applicazioni nel campo dell'energia ◦ Applicazioni nella produzione di microchip ◦ Applicazioni nella produzione di sensori ◦ Applicazioni nel campo della salvaguardia ambientale ◦ Applicazioni nel campo medico • Le caratteristiche tossicologiche dei nanotubi Premessa I nanotubi di carbonio sono uno dei materiali più innovativi, ma anche più chiacchierati e sulla quale si sa di meno, tra quelli che i laboratori di ricerca di tutto il mondo stanno studiando. Grazie alle loro infinite applicazioni e alla loro presenza che fra poco diverrà ubiquitaria, hanno raccolto parecchio interesse, così anche io ho deciso di cimentarmici, grazie anche all'esperienza sul campo che ho avuto all'Università degli studi di Milano nell'estate del 2012 al dipartimento di Chimica-fisica ed elettrochimica. Nel mio lavoro partirò da un'analisi generale delle loro proprietà per poi inoltrarmi in certe applicazioni che ho ritenuto molto interessanti e pertinenti col programma svolto, oltre del progetto da me portato avanti all'università. Concluderò con delle considerazioni di carattere tossicologico su questo materiale, che sta suscitando grandi preoccupazioni. Cosa sono? Si tratta di una forma allotropica del carbonio, al pari del fullerene, del grafene, della grafite e del diamante. Hanno la forma di un tubo cavo, come suggerisce il nome, ed hanno un diametro di circa 10-100 nm, ed una lunghezza che può arrivare fino a vari millimetri. Perciò, il loro rapporto lunghezza:diametro è estremamente alto, oltre il milione, proprietà questa appartenente a questo materiale soltanto. Essi sono costituiti dunque da soli atomi di carbonio, che si legano fra loro con legami sp2, come il benzene, formando analogamente figure esagonali che ricoprono il tubo. Queste forze di legame, superiori a quelle del diamante, in cui il carbonio ha un'ibridazione sp3, e le intense forze di Van Der Waals (dette pi-stacking) che s'instaurano fra i vari tubi fanno sì che questi s'allineino formando delle “corde” di nanotubi molto stabili. I nanotubi possono essere suddivisi in due grandi categorie: • I SWCNT, single walled carbon nanotubes, che sono fatti da un solo strato, che possono essere immaginati come un singolo foglio di grafene ripiegato su sè stesso. • I MWCNT, multi walled carbon nanotubes, che sono fatti da più nanotubi coassiali di diametro molto variabile. Queste due categorie non differiscono solamente per l'aspetto fisico, ma spesso anche per le proprietà chimico-fisiche, nelle possibili applicazioni e per le proprietà tossicologiche. SWCNT (a sinistra) e MWCNT (a destra) Breve storia dei nanotubi I nanotubi di carbonio vennero teorizzati già nei primi anni '50, ma è solo nel 1991 che vengono identificati con certezza dallo scienziato giapponese Sumio Iijima, come sottoprodotto delle produzione del fullerene mediante arco elettrico. Poco dopo alla Maganas industries viene messa a punto la tecnica CVD (chemical vapour deposition), che permette di produrre grandi quantità di nanotubi facilmente ed economicamente. Negli anni successi vennero eseguiti intensi studi per comprendere le proprietà di questo materiale, che in breve tempo invase il campo della ricerca nel campo dei materiali, dell'elettronica, dell'ottica, della biomedica e in moltissimi altri campi. Ad oggi, sempre nuove applicazioni vengono scoperte ogni anno e di pari passo procede la conoscenza delle proprietà dei nanotubi, che ad oggi non può ancora dirsi completa. Sumio Iijima, lo scienziato giapponese che per primo descrisse la struttura dei nanotubi e li portò all'attenzione della comunità internazionale. Produzione dei nanotubi Esistono molteplici tecniche di produzione dei nanotubi, tra cui quella ad arco elettrico, quella al plasma e quella al laser. Quella commercialmente più importante, e quella utilizzata per sintetizzare i nanotubi coi quali ho operato all'università di Milano, è però la tecnica detta CVD. La CVD (1) Il catalizzatore Questa tecnica comporta l'utilizzo di un letto di catalisi a letto fluido, al quale vengono aggiunti dei catalizzatori metallici, solitamente costituiti da ferro, nichel e/o cobalto. Da notare che questi catalizzatori sono anche i più utilizzati nelle altre procedure di sintesi. I catalizzatori possono essere introdotti come tali oppure come ossidi, che vengono ridotti direttamente sul letto di catalisi, spesso mediante plasma. Un altro metodo d'introduzione dei catalizzatori è sotto forma di metalloceni, ovvero complessi formati da due anioni ciclopentadienile ed il metallo. La sintesi direttamente sul letto del catalizzatore permette un preciso controllo della dimensione e dell'allineamento dello stesso, cosa che influenza notevolmente la lunghezza dei nanotubi che verranno prodotti. Non solo, il catalizzatore controlla l'angolo di legame dei nanotubi, cosa che influenza il loro diametro, dunque anche le loro caratteristiche, specialmente quelle elettriche. La catalisi si esplica con la momentanea dissoluzione del carbonio nel catalizzatore, che quando giunge a saturazione rilascia il carbonio in eccesso sotto forma di nanotubi di carbonio, questo processo viene stimolato dal diverso gradiente di concentrazione che si viene a formare tra il lato dove il carbonio si degrada (che è un processo esotermico) e quello dove si cristallizza (che invece è un processo endotermico). Questo processo può avvenire in due modi, con la crescita in punta o con la crescita alla base. La differenza sta nell'angolo di legame fra il catalizzatore ed il supporto, e dunque nella loro affinità. Se sono poco affini, essi saranno legati debolmente, ed il gradiente termico tenderà ad espellere la particella metallica dal supporto, dato che il carbonio cristallizza sulla parte opposta a quella dove si dissolve. Se invece sono molto affini, il gradiente termico non sarà sufficiente per dislocare il catalizzatore, che invece espelle il carbonio dal suo apice, formando dapprima una cupola, che poi si espande formando il nanotubo. La superficie non ricoperta dal nanotubo continua a dissolvere il carbonio fino a che non viene ricoperta completamente da carbonio interrompendo il processo. I due modelli di crescita dei nanotubi: crescita in punta sopra, e quello di crescita alla base sotto. Oltre ai catalizzatori citati sopra, che sono quelli più comuni, si sono sviluppate diverse tecniche che usano come catalizzatori o metalli nobili oppure materiali non-metallici, come nanodiamanti o semimetalli come il silicio ed il germanio, ma queste tecniche rimangono ancora sperimentali e non applicabili su scala industriale. Il letto di catalisi Come si è detto precedentemente, il catalizzatore è supportato su un letto catalitico a letto fluido, sul quale è spesso apposta una maschera onde direzionare la crescita dei nanotubi nella maniera desiderata. Il supporto non deve reagire con il catalizzatore, inoltre deve resistere alle alte temperature al quale avviene il processo e deve garantire il massimo aumento possibile della superficie di contatto. Materiali comunemente usati sono l'allumina, la silice, il silicio, il carburo di silicio e la zeolite. Gas di processo Nel processo della CVD vengono impiegati due differenti gas, uno inerte, ed uno contenente carbonio che si carbonizza a contatto col catalizzatore, che vengono fatti fluire sul letto di catalisi. Il gas inerte (solitamente ammoniaca, azoto o idrogeno) serve per mantenere costante il flusso di materiale sul letto di catalisi asportando eventuale gas carbonioso che viene pirolizzato prima del contatto col catalizzatore, dato che in questa circostanza si formerebbe un deposito carbonioso che avvelenerebbe il catalizzatore. Il gas inerte inoltre facilita il trasporto di gas carboniosi liquidi formando degli aerosol. Il gas contenente carbonio può essere un qualsiasi composto organico volatile (o anche l'anidride carbonica e il monossido di carbonio, che non sono organici), che spesso vengono distinti in due gruppi per le caratteristiche che imprimono ai nanotubi che ve ne si ricavano: i gas con catene lineari (metano, acetilene, etanolo etc.) e quelli con catene cicliche (benzene, xilene, toluene etc.). La differenza sta nel fatto che i gas lineari producono nanotubi lineari, dritti; mentre quelli ciclici producono nanotubi curvi, e questo fa si che i primi siano più adatti alla sintesi dei SWCNT, mentre i secondi per quella dei MWCNT. Al giorno d'oggi, il gas carbonioso più usato è l'etanolo, dato che il suo gruppo ossidrilico catalizza la formazione di nanotubi particolarmente puri. Le condizioni di processo Il flusso di gas inerte e gas carbonioso viene fatto fluire sul letto di catalisi per 15-60 min a seconda delle condizioni ad una temperatura che dipende dal tipo di gas carbonioso usato, dai 600 ai 1200°C, comunque abbastanza per garantire che il gas si carbonizzi a contatto con catalizzatore, ma che ciononostante non dia abbastanza energia al gas per decomporsi prima di venire a contatto col catalizzatore, cosa che comporterebbe un deposito carbonioso che avvelenerebbe il catalizzatore. Il sistema può essere sotto pressione, ma solitamente si lavora a pressione ambiente, o leggermente superiore. Solitamente la sintesi di SWCNT è favorita ad alte temperature, mentre quella dei MWCNT è favorita a temperature più basse. Questo si spiega con la maggiore energia contenuta nei SWCNT, dovuta al fatto che il ripiegamento è più stretto e dunque l'angolo di legame è soggetto ad una maggiore tensione. Dopo il raffreddamento, i nanotubi possono essere rimossi dal letto di catalisi e purificati. Purificazione dei nanotubi I nanotubi prodotti col CVD devono essere depurati per rimuovere i catalizzatori metallici. Questo si ottiene mediante trattamento con acidi concentrati, solitamente acido solforico e nitrico. Un problema che si presenta di frequente è il fatto che i catalizzatori, come si evince dal metodo di catalisi, tendono a formare aggregati carboniosi attorno a sé, che li proteggono dai trattamenti purificativi. D'altro canto, però, il trattamento purificativo può avere un'ulteriore utilità, come vedremo successivamente: quella di funzionalizzare i difetti strutturali dei nanotubi, introducendo gruppi carbossilici che migliorano la conducibilità elettrica, oltre che fornire una base per successive funzionalizzazioni. I MWCNT dell'università prima (sinistra) e dopo (destra) il trattamento di purificazione mediante analisi TEM (microscopio a trasmissione elettronica) Si noti come le particelle metalliche (i punti più scuri) siano stati rimossi. Sintesi dei SWCNT vs sintesi dei MWCNT Riassumendo i fattori che favoriscono la formazione dei SWCNT piuttosto che quella dei MWCNT sono: • • • Il gas carbonioso usato; se è una molecola grande e ciclica, si favoriscono i MWCNT, se è piccola e lineare, si favoriscono i SWCNT. La dimensione del catalizzatore: se ha un diametro di pochi nm si favoriscono i SWCNT (perchè hanno un diametro minore), se ha un diametro di alcune decine di nm si favoriscono i MWCNT La temperatura di processo, se è più alta si favoriscono i SWCNT (che hanno energie di legame superiori), se è più bassa si favoriscono i MWCNT. Vantaggi della CVD sugli altri metodi • • • • • • è più economica. Si adatta ad utilizzare un'infinità di materie prime, garantendo così il massimo controllo sui nanotubi sintetizzati. Non richiede condizioni di processo estreme che potrebbero essere pericolose. Ha una resa maggiore. I nanotubi così sintetizzati hanno una purezza migliore. Si possono sintetizzare i nanotubi direttamente sul materiale sul quale verranno impiegati, se il supporto è in grado di sopportare le condizioni di sintesi. Le proprietà dei nanotubi I nanotubi hanno una moltitudine di proprietà uniche che li rendono oggetto di ricerca, e per semplicità le suddivideremo in 3 categorie: • • • Proprietà fisico-meccaniche Proprietà elettriche Proprietà termiche Prima di entrare nel dettaglio, bisogna specificare che i nanotubi sono materiale altamente anisotropico, ovvero le cui proprietà variano sensibilmente a seconda della direzione in cui vengono considerate, assiale (nella direzione del nanotubo) o radiale (trasversalmente al nanotubo). Le proprietà fisico-meccaniche (2) Le proprietà fisico-meccaniche variano moltissimo a seconda della direzione in cui vengono osservate. In direzione radiale, i nanotubi hanno una bassissima resistenza alla deformazione (modulo di Young) e un basso carico di rottura (si è notato che persino le interazioni intramolecolari sono in grado di deformarlo), ma un'altissima elasticità. Al contrario in direzione assiale sono estremamente resistenti alla deformazione ed alla rottura (a titolo di paragone, la loro forza specifica, definita come il rapporto fra la forza di rottura ed il peso, è di 48,000 kN·m·kg−1, ovvero circa 300 volte più alta di quella dell'acciaio), ma sono molto rigidi e scarsamente elastici, tant'è che le deformazioni diventano plastiche (dunque permanenti) dopo un allungamento del solo 5%. Tutto questo però a livello pratico è limitato dalle interazioni fra i vari strati dei MWCNT, che ne limitano assai le potenzialità, ma tecniche per crosslinkare (unire chimicamente) i vari strati sono allo studio. Invece, anche per quanto la direzione assiale, i nanotubi sono scarsamente resistenti alla compressione. Questa caratteristica si può imputare alla loro struttura a cava e dunque alla loro tendenza a subire un fenomeno detto buckling, in cui le pareti si ripiegano su se stesse. Un'altra proprietà fisica invece che ha grandissima importanza nelle applicazioni che verranno esposte in seguito è l'altissima capacità di adsorbimento e di capillarità, dovuta alla loro struttura cava e tubica, che permette di accumulare e fissare un'enorme quantità di composti. Le proprietà elettriche (3) La caratteristica più importante da considerare per avere un quadro chiaro delle proprietà elettriche dei nanotubi: il rapporto diametro-angolo chirale, che descrive la struttura del nanotubo. In realtà, nella pratica, per definire le proprietà elettriche del nanotubo vengono usate due costanti n e m, che sono ricavate da una semplice costruzione geometrica. In pratica, si immagina di aprire il nanotubo su un piano, quindi si tracciano due linee che, se ricongiunte piegando il piano, riformano il nanotubo di partenza. Qiundi si individua un carbonio sulla prima linea, e si traccia una linea che conduca all'altra retta, in modo che divida esattamente a metà gli esagoni attraversati. Questa linea è detta linea della seggiola (armchair line). Quindi, bisogna individuare un carbonio sulla seconda linea, e tracciare un vettore che congiunga il primo punto sulla prima linea a questo punto. La differenza fra i vari nanotubi sta nell'angolo formato fra il vettore e la armchair line (φ ). Se φ è uguale a 0, si dice che il nanotubo ha una struttura a seggiola (armchair), quando φ è uguale a 30° si dice che il nanotubo è a zigzag, se è compreso fra questi estremi si dice che è chirale. Le due strutture: a seggiola (destra) ed a zigzag (sinistra) I vettori n e m rappresentano le componenti del vettore principale seguendo la direzione di legame a zigzag, nel caso di n, o quella nel senso armchair, nel caso di m. Entrambi sono numeri interi naturali. Dato il vettore chirale, si può risalire al diametro con la seguente formula: d = (n2 + m2 + nm)1/2 Le costanti n e m influenzano molteplici proprietà del nanotubo, tra cui la loro densità, la loro struttura tridimensionale ma soprattutto ci permettono di dividere i nanotubi in due classi in base al loro comportamento elettrico: • Semiconduttori, se n-m non è divisibile per 3. • Metallici se n-m è divisibile per 3. Ovviamente anche questa proprietà è anisotropica e le considerazioni fatte valgono solo per la direzione assiale. Entrambe le classi di nanotubi hanno proprietà molto interessanti che ne rendono auspicabile un'applicazione industriale: da un lato i nanotubi metallici hanno la capacità di portare una densità di carica elettrica fino a 4 × 109 A/cm2 , che è circa mille volte più del rame, dall'altro i nanotubi semiconduttori si sono dimostrati in grado di produrre transistor più piccoli e veloci, grazie anche al fatto che la modalità di conduzione dei nanotubi è profondamente diversa da quella dei metalli e delle soluzioni, ed obbedisce ad una meccanica detta conduzione balistica. Semplificando molto, la conduzione balistica avviene principalmente in mezzi detti “quasi 1D” quando il cammino libero medio degli elettroni in un mezzo è più lungo (data l'assenza di impurità, quindi di scattering, e la bassa temperatura) della lunghezza del mezzo stesso. In questo modo gli elettroni non vengono dispersi nell'ambiente ma continuano la loro corsa anche quando si scontrano con le pareti del tubo (con urti elastici, che dunque non producono calore e non dissipano energia). Questo fa si che i chip ed i transistor possano ridurre di molto le proprie dimensioni e quindi la loro efficienza, dato che l'accumulo di calore, che ad oggi è il principale ostacolo alla miniaturizzazione dei microchip, verrebbe meno. Ciononostante, dato che la depurazione e l'utilizzo dei nanotubi semiconduttori risulta di difficile realizzazione, ad oggi non si è ancora riusciti a realizzare un intero sistema integrato basato su questa tecnologia. Proprietà termiche Anche questa proprietà, come le precedenti, è anisotropica, dato che varia sensibilmente a seconda della direzione in cui si considera il nanotubo. Per quanto riguarda la direzione assiale, i nanotubi sono degli ottimi conduttori termici, con una conduttività termica che è circa 10 volte quella del rame, pari a 3500 W·m−1·K− . per quanto riguarda la direzione radiale, invece, i nanotubi sono dei buoni isolanti, con una conducibilità termica pari a quella del suolo, ovvero circa 1.52 W·m−1·K−1 . I nanotubi sono anche molto termoresistenti, infatti resistono a temperature di 3000°C nel vuoto e 750°C in aria. Gli impieghi dei nanotubi Come ho premesso all'inizio, i nanotubi hanno una miriade di possibili impieghi, in massima parte non ancora perfezionati ed in via di perfezionamento, perciò non disponibili sul mercato. Ciononostante, alcune imprese hanno già lanciato alcuni prodotti basati su questa tecnologia, tra cui bicilette ultraleggere, navi estremamente resistenti e veloci, pale eoliche più resistenti e altri prodotti. Ciononostante, tutti questi prodotti sfruttano solamente le proprietà fisico-meccaniche dei nanotubi (ovvero la loro resistenza alla trazione, all'usura e la loro bassa densità), ma non le loro proprietà elettrochimiche. Questo è facilmente spiegabile col fatto che le prime non richiedono incredibili purezze dei nanotubi utilizzati, mentre le seconde richiedono uno strettissimo controllo sulle loro cinetiche di produzione, cosa non ancora del tutto possibile con le tecnologie attuali. Si consideri inoltre che i nanotubi utilizzati ad oggi vengono impiegati principalmente sotto forma di polvere aggiunta come additivo alle varie matrici, al posto che singolarmente in aggregati sovramolecolari, cosa anch'essa tutt'oggi sotto studio. Ma se ci apriamo a quello che i laboratori di ricerca di tutto il mondo hanno da offrirci possiamo constatare come le proprietà di questi materiali siano enormi. Ne presenterò diverse, raggruppate per campo di applicazione. Si tenga dunque presente che tutto ciò di cui parlerò d'ora in poi non esiste attualmente in commercio, ma è in fase di studio. applicazioni nel campo delle scienze dei materiali Come ho detto in precedenza, in questo campo i nanotubi hanno già un largo impiego, grazie alla minore richiesta di controllo sui processi di sintesi. Quello di cui non ho ancora parlato, però, è che i nanotubi non vengono sempre utilizzati come tali, ma che spesso entrano nella composizione di svariati materiali compositi, oppure essi vengono usati in “configurazioni” particolari, dato che le loro proprietà cambiano grandemente a seconda di come si dispongono nello spazio. Il loro utilizzo combinato ad un'infinità di altri materiali è possibile grazie alle loro proprietà di assorbimento di praticamente qualsiasi sostanza, che così può formare un metacomposto stabile con i nanotubi. Leghe metalli-nanotubi (4) I nanotubi possono essere aggiunti sotto forma di polvere in diverse leghe metalliche, aumentandone sensibilmente la resistenza a trazione e alla deformazione. Particolarmente notevoli si sono dimostrate le leghe- CNT/alluminio, grazie alla loro resistenza che si situa a livelli simili a quelli dell'acciaio inox (0,7-1 Gpa), ma che ha una densità di 3 volte inferiore (2,6 g/cm3), comparabile alla già esistente ma molto più costosa lega alluminio-litio. Inoltre, tale lega presenta un'ottima inerzia termica e chimica. Questo materiale può trovare applicazione in tutti quei settori in cui è richiesta la massima leggerezza e resistenza al contempo, e nei quale bisogna utilizzare molto materiale e perciò bisogna puntare su materiali più economici, come il settore aerospaziale, quello dei componenti automobilistici e soprattutto quello delle costruzioni. Le forme aggregate dei nanotubi: le foreste e il filato di CNT Come ho detto nella premessa di questo paragrafo, i nanotubi non sempre si dispongono singolarmente, che è il modo più diffuso di utilizzarli, ma possono disporsi a foresta, ovvero aggregati molto densi di nanotubi disposti verticalmente. Esse possono essere costituite di MWCNT o SWCNT, ma i diametri eccessivi dei MWCNT limitano notevolmente la coesione tra i vari nanotubi, perciò le uniche che hanno possibili applicazioni sono quelle fatte di SWCNT. Foto al microscopio a scansione elettronica (SEM) di una foresta di nanotubi Per le loro eccessive interazioni intermolecolari le foreste di nanotubi non presentano eccezionali proprietà meccaniche come i singoli nanotubi, dato che queste diminuiscono radicalmente per le interazioni con altri nanotubi o i substrati, ma hanno comunque proprietà meccaniche superiori dei materiali convenzionali. Ciononostante, esse presentano due caratteristiche loro esclusive molto interessanti: • Altissima capacità energetica (5) Le foreste di nanotubi hanno una capacità energetica teorica dell'ordine del milione di KJ/m3, ma sperimentalmente questo valore si è dimostrato di cento volte inferiore, che è comunque meglio degli attuali accumulatori, e dell'ordine delle batterie al litio. Diversamente da queste, però, le foreste di nanotubi hanno una maggiore stabilità termica, la possibilità di essere attivate a comando, la possibilità di essere ricaricate infinite volte, un'alta intensità di corrente e soprattutto la possibilità di essere impiegate come parte integrante della macchina, date le loro proprietà meccaniche. Secondo gli esperimenti della dottoressa Carol Livermore del MIT di Boston i nanotubi impiegati in questa applicazione necessitano di una base di carburo di silicio, e accumulano l'energia non chimicamente ma mediante microscopiche deformazioni a livello molecolare che ne deviano la traiettoria, aumentandone l'energia contenuta. • Possibilità di produrre composti autopulenti (6) Basandosi sul modello naturale del fiore di loto, degli scienziati del MIT di Boston hanno tentato di ricreare un materiale che riproduca le microsetole pulenti presenti sulle foglie del fiore mediante una foresta di nanotubi addizionata con politetrafluoroetilene (PTFE) per aumentarne l'idrofobicità. Grazie alla loro struttura, i nanotubi sono riusciti a riprodurre l'effetto autopulente, che da un lato è dovuto all'idrofobicità del materiale che non lascia depositare l'acqua, e dall'altro dalla struttura tridimensionale della foresta che fa scivolare via tutte le particelle di sporco. Questo polimero misto potrebbe essere impiegato dovunque vi sia la necessità di avere un materiale autopulente, specialmente in zone umide. I nanotubi possono anche formare un “filato di CNT”, in cui vari nanotubi si attorcigliano attorno ad un asse a formare un vero e proprio filo. Filato di CNT visto al SEM, dall'angolo di avvolgimento dei nanotubi influisce sulla sua resistenza Esistono molteplici modi per produrre il filato di CNT, essi possono essere prodotti direttamente in questo stato per CVD oppure “filando” dei nanotubi preesistenti mediante varie tecniche. Il loro vantaggio principale è quello di portare in scala “macro” le proprietà dei nanotubi. Si ricorda infatti che tutte le proprietà citate precedentemente sono state rilevate su nanotubi della lunghezza dell'ordine dei micron, millimetri al massimo, mentre per applicazioni che non siano l'utilizzo dei nanotubi come additivi (come avviene ad oggi), bisogna far si che i nanotubi si presentino in una forma macroscopica. Ovviamente, le proprietà del filato sono molto più basse di quelle dei singoli nanotubi, ma sono comunque ragguardevoli. Il motivo di questa riduzione nelle proprietà è da imputarsi all'aumento della probabilità di difetti strutturali mano a mano che aumenta la lunghezza della struttura. Ad oggi, i filati di nanotubi non sono ancora disponibili sul mercato per delle problematiche legate alle loro dimensioni e all'impossibilità di sintetizzare SWCNT abbastanza puri a prezzi accettabili. Ma vediamo le proprietà e gli utilizzi possibili più nel dettaglio: • Applicazioni nel campo tessile (5,7) Come suggerisce il nome, il filato di CNT può essere usato nel campo del tessile, specialmente laddove siano richieste le ottime proprietà meccaniche dei nanotubi, come ad esempio nella produzione di tute da battaglia o comunque indumenti indossati da persone sottoposte a condizioni avverse. Carol Livermore, del MIT di Boston, ha prodotto un filato della lunghezza di alcuni centimetri, e ha verificato che la sua resistenza alla lacerazione ed alla trazione sono simili a quelle del Kevlar, un polimero che viene attualmente usato per queste applicazioni. Dei ricercatori dell'università di Cambridge hanno applicato questa tecnologia alla produzione di tute da battaglia, e hanno osservato che il tessuto così prodotto ha un'altissima resistenza agli urti e alle lacerazioni, oltre ad essere molto leggero. Sempre nel campo del tessile, un'altra applicazione potrebbero essere i cosiddetti “smart clothes”, i vestiti intelligenti, dato che i nanotubi così filati sono in grado di trasmettere la corrente e possono essere modificati con un'enorme gamma di additivi per essere resi fluorescenti, autopulenti etc. • Fili per il passaggio della corrente (8) Grazie alle loro proprietà conduttive, il filato di nanotubi può rimpiazzare il rame come materiale per la produzione di fili per la corrente, soprattutto quando è richiesto un peso minore, una maggiore resistenza meccanica, una resistenza alla corrosione e una maggiore resistenza alle alte temperature. Alcuni esempi di situazioni dove queste proprietà siano richieste sono il settore automobilistico, quello aerospaziale, quello dei cavi sottomarini e molti altri ancora. Ad oggi i filamenti di rame non sono riusciti a raggiungere le loro massime conducibilità teoriche, ed inoltre resta il problema della loro integrazione nei sistemi elettronici, dato che diversamente dai metalli essi non possono essere saldati. • Creazione di muscoli artificiali (9) Secondo un articolo pubblicato su science nel 2009 da un gruppo di ricercatori dell'università di Dallas, il filato di nanotubi è il materiale ideale per la realizzazione di muscoli sintetici, data la loro possibilità di allungarsi ed contrarsi eccezionalmente ed ad una velocità maggiore di qualsiasi altro materiale sintetico. I ricercatori hanno ricreato un filato dalla densità bassissima, vicina a quella di un gas, ma con la resistenza dell'acciaio, oltre ad un'alta stabilità chimica e termica. Un altro punto a favore è l'enorme capacità conduttiva dei nanotubi, fattore necessario per imprimere l'impulso del movimento in fretta. Le plastiche e le resine ai nanotubi (10,11) Oltre ai metalli, le plastiche e le resine sintetiche sono le matrici ai quali più di sovente vengono addizionati i nanotubi, data la loro capacità di imprimere alle plastiche particolari proprietà. Uno dei campi in cui i nanotubi si sono già affermati è quello della realizzazione di plastiche conduttive, che diversamente da quelle addizionate con i normali nerofumi conduttivi non perdono in resistenza e durezza. La BASF li ha già implementati nelle sue plastiche conduttive a base di POM (poliossimetilene) e nanotubi già da anni, e questa ha trovato impiego nel settore automotive nella realizzazione delle nuove Audi A4 ed A5 per le parti a contatto col carburante per disperdere la carica elettrostatica. Inoltre, i CNT aumentano la resistenza all'abrasione ed alla deformazione. Anche le resine epossidiche, se addizionate con nanotubi, sono in grado aumentare le loro proprietà chimico-fisiche, inoltre queste hanno il vantaggio di poter essere utilizzate nella formulazione di pitture e coperture. I nanotubi possono essere anche utilizzati come antifiamma al posto dei composti clorurati grazie alla loro capacità di modificare la reometria delle plastiche. Applicazioni nel campo dell'energia Una delle proprietà elettriche più importanti dei nanotubi è, oltre la capacità di condurre estremamente bene l'elettricità, quella di poterla accumulare. Il punto però è che non solo i nanotubi possono essere incorporati in svariati materiali per accumulare l'energia (cellulosa, sali di litio, plastiche etc.), ma possono anche accumulare energia sotto forma di composti chimici adsorbiti nella loro struttura (come l'idrogeno o il metano), e sono persino in grado di produrre energia mediante il processo fotovoltaico. Diversamente dalle applicazioni esposte nel paragrafo precedente però, la realizzazione di quelle che verranno esposte in questo sarà meno immediata, date le grandi difficoltà tecniche presenti al momento. Le batterie ai nanotubi Ho già accennato a questo argomento nel paragrafo precedente con le foreste di nanotubi che accumulano energia mediante una modifica della struttura chimica, ma i nanotubi possono accumulare elettricità in molti altri modi: • • Batterie litio-nanotubi (12) Dei ricercatori del MIT hanno realizzato batterie miste litio-nanotubi assemblando i nanotubi funzionalizzati con gruppi carichi mediante tecnica layer by layer, avendo cura di immergerli in soluzioni organiche che ne stabilizzassero la struttura, evitando il loro naturale impaccamento. I nanotubi hanno così assunto una struttura porosa ed ordinata che lascia passare la corrente meglio che nelle normali batterie litio-nanotubi, con un output energetico superiore ed una maggiore durevolezza, oltre che la naturale flessibilità dei nanotubi, che rende queste batterie l'ideale per l'applicazione nei campi dell'elettronica di consumo e del settore automotive. Batterie di carta (13,14) Da sempre, la carta viene considerata la base ideale per le nuove nanotecnologie, a causa della sua alta porosità che le permette di adsorbire i vari nanocomponenti, del suo basso costo, della sua compatibilità biologica e della sua ampia disponibilità, ed gli scienziati di tutto il mondo cercano da tempo di sfruttarla per creare delle batterie. Da quanto emerge dalla mia ricerca, i nanotubi sono stati aggiunti in due modi diversi alla carta: o mediante l'infusione direttamente nell'impasto prima del suo stampaggio (Rennselaer Institute) o come inchiostro di nanotubi (Standford University). Se da un lato l'aggiunta dei nanotubi nell'impasto della carta garantisce delle migliori prestazioni sul prodotto finito, e una sua maggiore semplicità per quanto riguarda la chimica dei componenti (che non essendo tossici risultano biocompatibili, e quindi adatti per applicazioni biomediche), dall'altro l'inchiostro può essere apposto in qualsiasi momento ed essere usato anche per altri materiali (ricoperture, plastiche, etc.). In entrambi i casi, i nanotubi risultavano saldamente legati alla struttura della carta (non richiedendo dunque ulteriori fissanti), e le batterie che si venivano a creare (prodotte con SWCNT) erano stabili agli sbalzi termici ed a molteplici sollecitazioni meccaniche (possono essere piegate ed arrotolate come se fossero carta di giornale), oltre che molto durevoli e con ottimi output energetici. Inoltre, la carta manteneva le sue proprietà anche se tagliata in pezzetti, quindi si prevede una produzione in serie per stampaggio, che sarebbe molto più economica delle attuali metodologie produttive delle batterie convenzionali. Le applicazioni nel campo dell'energia solare Nel campo del fotovoltaico, i nanotubi stanno trovando un'ampia gamma di funzioni, che spaziano dalla trasmissione della corrente, al suo accumulo ed alla sua generazione. Dato che abbiamo già dato ampio spazio ai meccanismi col quale i nanotubi accumulano e trasmettono energia, in questo paragrafo parlerò di alcune soluzioni che gli scienziati di varie università hanno trovato per far si che i nanotubi catturino gli elettroni della luce. È d'obbligo specificare però che nella maggior parte degli articoli da me letti i nanotubi venivano usati nel campo del fotovoltaico solo per le loro proprietà conduttive, mentre la specie che effettivamente catturava gli elettroni era un'altra (siliconi, o anche porfirine sintetiche). I nanotubi però hanno i loro vantaggi rispetto a questi composti: hanno un ampio spettro di assorbimento, sono molto conduttivi ed hanno un basso scattering. Sono stai sviluppati due modi principali per far si che i nanotubi catturassero l'energia solare: • diodi p-nanotubi/n-silicio (15) Uno dei modi provati in vari laboratori principalmente in Cina è stato quello di congiungere le potenzialità dei nanotubi con quelle del silicio n (drogato con fosforo per essere negativo), mediante la formazione di un diodo con un'eterogiunzione (ovvero, l'allineamento di materiali con gap energetici diversi che permette l'estrazione degli elettroni). Il materiale si presenta con due strati, uno superiore contenente nanotubi allineati immersi in acido nitrico, ed uno inferiore contenente silicio-n. Si formano così pellicole molto sottili che possono essere usate per ricoprire vari materiali. • Polimeri ibridi nanotubi/fullerene (16) Un altro modo per “intrappolare” i fotoni è quello di usare polimeri compositi nanotubi/fullerene, in cui il fullerene imprigiona gli elettroni, mentre i nanotubi li trasportano via. Essendo che sono in via di sviluppo metodi semplici ed economici per produrre entrambe le componenti, secondo l'autore dell'articolo Somenah Mitra un giorno questo polimero potrà essere prodotto domesticamente mediante normali stampanti 3D. I nanotubi come accumulatori di gas (17) Nonostante questo paragrafo non riguardi le proprietà elettriche dei nanotubi, lo ho citato comunque per l'importanza che l'accumulo di gas (soprattutto idrogeno), ha ed avrà in futuro nel campo dell'energia. Attualmente, i gas vengono conservati o sotto alte pressioni o a bassissime temperature, entrambe condizioni operative che presentano rischi e limiti di applicazione, e che per essere ottenute sprecano parte dell'energia da utilizzare. Ma grazie ai nanotubi, che hanno un'altissima capillarità (essendo sostanzialmente dei tubi sottilissimi), è possibile conservare i gas a temperatura ambiente e senza grandi pressioni, dato che essi tendono ad “impaccarsi” nei nanotubi. Ma non si tratta solo di un semplice assorbimento fisico: data la loro natura ed essendo che possono essere funzionalizzati in vario modo, i nanotubi possono dare chemiassorbimento verso molte sostanze, tra le quali di sicuro la più importante è l'idrogeno. Degli scienziati dell'università di Standford hanno dimostrato, in un loro studio, che l'idrogeno, quando viene adsorbito su degli SWCNT funzionalizzati per aprirne le estremità, tende a formare dei legami C-H con le insaturazioni dei nanotubi, in una maniera analoga all'idrogenazione del benzene. Il grafico, ottenuto mediante spettroscopia a raggi x, mostra come l'intensità del segnale del legame C-H cresca dopo l'esposizione ad idrogeno e diminuisca quello del doppio legame C=C Tuttavia, essendo che tale composto è instabile per la perdita della sua aromaticità, il processo può essere facilmente invertito se i nanotubi vengono esposti a temperature superiori ai 600°C. Al momento il processo ha un'efficienza bassissima, perchè bisogna ottimizzare le dimensioni dei nanotubi utilizzati ed individuare appropriati catalizzatori che favoriscano il rilascio dell'idrogeno a T più basse, ma potrà facilmente diventare applicabile industrialmente nel giro di un decennio. La produzione di microchip ai nanotubi Un'altra importante possibile applicazione dei nanotubi è quella di semiconduttori al posto del silicio nella costruzione di chip. Vediamo ora brevemente i vantaggi e gli svantaggi legati a questa tecnologia. Vantaggi: • La produzione di microchip di nanotubi non richiede l'uso di particolari droganti come quella dei tradizionali microchip in silicio. Inoltre le tecniche di produzione in larga scala stanno rendendo i nanotubi più economici del silicio purificato. • Grazie alla loro chiralità, i nanotubi possono essere progettati per far passare solo un precisissimo quantitativo di elettroni nelle tempistiche volute, migliorando l'efficienza rispetto al silicio. • I nanotubi hanno uno scattering molto più basso, che significa migliore conducibilità elettrica e minore produzione di calore, che limita le potenzialità dei microchip mano a mano che le loro dimensioni diminuiscono. • I nanotubi mantengono sempre le loro proprietà meccaniche, che gli permettono di essere usati per produrre materiali flessibili. Svantaggi: • I nanotubi devono essere prodotti direttamente sul supporto (di norma SiC) sul quale verranno utilizzati, dato che non possono essere “incollati” con gli altri componenti; cosa al momento impossibile perchè le tecniche CVD compromettono la qualità del supporto. • Non solo, i nanotubi devono essere anche purificati, ma non esiste alcun modo per purificare i nanotubi direttamente sul supporto. • La chiralità, la densità e la lunghezza dei nanotubi devono essere sottoposti ad uno strettissimo controllo ed essere perfettamente uniformi, cosa non ottenibile con le tecniche di produzione attuali. Ricapitolando, i nanotubi presentano sicuramente delle enormi potenzialità in questo campo ma bisogna attendere finchè tecniche produttive più raffinate verranno messe a punto per vedere una loro applicazione commerciale. Applicazioni nel campo dei sensori Questo è il settore che ho effettivamente affrontato sul campo, all'università di Milano. Nella mia esperienza, io e la tesista che stavo aiutando stavamo cercando le condizioni migliori per produrre sensori in grado di rilevare il furano, ma i nanotubi possono essere usati per rilevare moltissime sostanze sfruttando molte tecniche elettrochimiche diverse. Riporterò alcuni esempi notevoli partendo da quello che mi ha coinvolto direttamente: rivestimento a base di nanotubi per rilevatori del furano (18) La ragazza con cui ho lavorato, Ilaria Isella, era partita nel suo percorso di tesi con la ricerca di un metodo per rilevare il furano, un inquinante organico originato dal riscaldamento dei cibi, specialmente il caffè, che ha proprietà cancerogene. Per rilevarlo in concentrazioni più basse di quelle permesse dagli attuali sensori, ha utilizzato dei GCE (glassy carbon electrode, sono degli elettrodi cilindrici costituiti da uno strato interno di glassy carbon, carbonio allo stato vitreo, ed uno strato esterno di teflon), rivestiti con nanotubi (MWCNTs funzionalizzati con acido solforico e nitrico per aumentare l'intensità del segnale) dispersi in DMF (dimetilformammide). Abbiamo utilizzato come tecnica per verificare le potenzialità dell'elettrodo la ciclovoltammetria, che consiste nel far variare la differenza di potenziale fra i due elettrodi ciclicamente per osservare il comportamento di una coppia redox reversibile (nel nostro caso K4[Fe(CN)6]/K3[Fe(CN)6]) per verificare di quanto viene amplificato il segnale. Nel nostro lavoro abbiamo osservato che gli elettrodi GCE/MWCNT hanno delle caratteristiche desiderabili ai fini analitici: • Aumento dell'intensità del segnale elettrico, che aumenta il campo di rilevabilità degli analiti. • Inerzia chimica in un'ampia finestra di potenziale. • Ottima disperdibilità ed aderenza all'elettrodo. Biosensori per xenobiotici (19) Data la loro compatibilità con gli esseri viventi, caratteristica che verrà trattata ampiamente negli ultimi paragrafi, i nanotubi possono essere usati come base per svariate biotecnologie, tra le quali la produzione di biosensori, ovvero sensori in cui sono batteri fissati sull'elettrodo a produrre la risposta che permette di rilevare un dato analita. All'università di Smirne, il dottor Timur Suna ha sviluppato un bioelettrodo in grado di rilevare vari composti organici usando Pseudomonas putida come biocomponente, e basando la misura sull'attività respiratoria dei batteri, che determina una variazione del potenziale elettrochimico. Tale variazione di potenziale determinava una risposta da parte della parte non-biologica dell'elettrodo, costituita da un CPE (carbon paste electrode) modificato con CNT e un polimero di osmio, che ha la funzione di trasportare gli elettroni legando i batteri alla sua superficie. Questo elettrodo ha il vantaggio di essere estremamente versatile, perchè i batteri, avendo grandi potenzialità metaboliche, possono essere settati mediante trattamento con uno specifico substrato per far sì che riconoscano solo un dato analita. Questo si spiega col fatto che i batteri, dopo essere stati nutriti a lungo col solo analita, possiedono solamente gli enzimi per degradare quello e perciò risultano assolutamente specifici, oltre che efficienti e veloci. Approfondimento: il genere Pseudomonas Il genere Pseudomonas è un genere di batteri bacilli, ubiquitari, gram-, aerobi obbligati, ossidasi positivi e catalasi positivi. Essi sono presenti in moltissimi ambienti naturali ed anche nel corpo umano, nel quale generalmente non determinano danni, se non in condizioni di immunodeficienza in cui possono diventare parassiti opportunisti, causando principalmente polmoniti. Essi si riconoscono per la loro crescita su McConkey Agar e per la produzione di pigmenti particolari (piocianine, piorubine, pioverdine). Vengono utilizzati in vari campi delle biotecnologie, principalmente per la loro grande adattabilità e facilità culturale, ma particolarmente importanti sono gli usi come biopesticida e agente di biorimediazione, essendo in grado di nutrirsi di vari inquinanti organici. Pseudomonas Putida visto al SEM Approfondimento: la relazione fra i batteri e l'ossigeno I batteri, diversamente dalla maggior parte degli altri esseri viventi, presentano una grande varietà metabolica nei confronti dell'ossigeno: • • Anaerobi obbligati: si tratta di batteri che non solo non usano l'ossigeno a fini metabolici, ma esso gli risulta addirittura tossico, perchè difettano degli enzimi (superossido dismutasi, catalasi, perossidasi) necessari per resistere allo stress ossidativo. Essi solitamente sono fermentanti, ma possono effettuare anche respirazione anaerobica . Anaerobi facoltativi: possiedono gli enzimi per sopravvivere all'aria, e sono in grado di usare l'ossigeno per respirare, ma possono anche fermentare in sua assenza. Tendenzialmente preferiscono ambienti forniti di ossigeno perchè la respirazione cellulare è estremamente più energetica della fermentazione. • • • Aerotolleranti: possiedono gli enzimi per sopravvivere all'ossigeno, ma non lo usano a fini metabolici, perciò sono tutti fermentanti. Microaerofili: sono dei microrganismi che usano l'ossigeno per respirare, ma in concentrazioni minori di quella atmosferica, ad esempio quelli che vivono nelle paludi. Aerobi obbligati: come gli animali, questi batteri necessitano dell'ossigeno per vivere e producono energia mediante la respirazione cellulare. A questo gruppo appartiene il batterio Pseudomonas Putida da me citato nel paragrafo precedente, oltre che la maggior parte dei funghi e delle alghe. Applicazioni nel campo della salvaguardia ambientale I nanotubi, grazie alla loro capacità di assorbire praticamente qualsiasi molecola o microrganismo in un mezzo acquoso, possono essere usati al posto di svariati trattamenti applicati alle acque ad oggi, come i trattamenti per la potabilizzazione o i trattamenti terziari nella depurazione delle acque. In questo paragrafo parlerò prima di un paio di articoli sull'argomento, quindi mi soffermerò sui trattamenti terziari tradizionali delle acque reflue. Desalinizzatori ai nanotubi (20) Questo metodo, sviluppato dal NJIT (New Jersey Institute of Technology), combina i due metodi più usati per la desalinizzazione, la distillazione e l'osmosi inversa, conducendo l'acqua da trattare in un tubo cavo in cui è presente una membrana di nanotubi, che trattiene il sale (oltre che altri inquinanti), lasciando passare l'acqua. Ciononostante, tale filtro necessitava di temperature tra i 6090°C, ma successivamente lo stesso team ha sviluppato una membrana operante anche a temperatura ambiente mediante la fissazione dei nanotubi al livello dei pori. Contrariamente ai metodi attuali, dunque, questo metodo di potabilizzazione (è stato osservato che membrane simili possono rimuovere vari ioni presenti in soluzione, se opportunamente caratterizzati) non richiede energia, può essere ricaricata infinite volte mediante sciacquaggio con semplice acqua ed è portatile, perciò adatto alle zone povere dove l'acqua potabile è carente. Ho trovato moltissimi articoli sull'argomento, che si preannuncia essere una delle applicazioni più importanti dei nanotubi. Principalmente differiscono per la forza motrice del processo di filtrazione (che può essere di natura vibrazionale, fornita dalla pressione, dalla temperatura o dalla corrente elettrica), ma tutti concordano nell'estrema efficacia di questo mezzo. Rimozione dei batteri mediante filtrazione con CNT (21,22) Nella mia ricerca bibliografica mi sono imbattuto in due metodi basati sui nanotubi usati per rimuovere i batteri: • Utilizzo di microonde: all'università di Riad, il gruppo del dottor Mehmed Argun ha sviluppato un sistema che usa nanotubi modificati in congiunzione con raggi microonde per eliminare vari tipi di batteri e virus. I nanotubi, le cui estremità ossidate sono state esterificate con alcol stearilico, si sono dimostrati in grado di assorbire l'energia delle microonde e di convertirla in calore in modo da uccidere quasi tutti i batteri (98%) in sospensione dopo soli 12 s di trattamento. • Utilizzo di filtri elettrochimici: all'università di Yale è stato sviluppato un filtro che è in grado di separare batteri e virus dall'acqua. Non solo, se a questo filtro viene applicata una tensione elettrica di 2-4 V, esso diventa in grado di eliminare la quasi totalità dei microbi presenti. Per funzionare, il sistema richiede la presenza di elettroliti a concentrazioni discrete nel mezzo acquoso (dell'ordine del centesimo molare). Questo si spiega col fatto che gli ioni, interagendo con i nanotubi, li caricano elettricamente e questi formano interazioni elettrostatiche stabili con la parete dei microbi, legandoli a sé ed ossidandoli chimicamente mediante il potenziale fornito. L'immagine riporta il confronto fra il filtro senza nanotubi (sinistra) con nanotubi ma senza elettroliti(centro) e con nanotubi ed elettrolita (destra) Approfondimento: i trattamenti terziari I filtri ai nanotubi di cui ho parlato in questo paragrafo hanno la funzione di rimuovere batteri e i vari soluti dall'acqua, scopi che al giorno d'oggi vengono ottenuti su larga scala, nel trattamento delle acque reflue, mediante i cosiddetti trattamenti terziari, ovvero quelli che seguono l'ossidazione biologica e concludono il trattamento delle acque. I più usati, a livello impianti civili, sono la rimozione dell'azoto, del fosforo e la sterilizzazione: • Rimozione dell'azoto: è uno dei trattamenti più comuni laddove sia richiesta la totale assenza di nitrati onde evitare l'insorgere dell'eutrofizzazione nel corso d'acqua nel quale viene sversato lo scarico, come negli impianti vicini a località balneari. È inoltre necessaria a valle di processi produttivi che producono molto azoto come gli allevamenti, i macelli etc. Questa di norma viene ottenuta per via biologica, in 4 step principali: ◦ Formazione dell'ammonio: già nella fogna, i batteri naturalmente presenti nello scarico rimuovono l'azoto dalle macromolecole biologiche, cosicchè la maggior parte del TKN arriva all'impianto come ammonio. ◦ Ossidazione a nitrito: i batteri del genere Nitrosomonas, chemioautotrofi aerobi, ossidano l'ammonio a nitrito. Questo processo, assieme al successivo, avviene direttamente nella vasca di ossidazione biologica, con l'unico accorgimento, rispetto alle vasche di ossidazione biologica normali, di usare un'età del fango abbastanza alta da garantire la riproduzione di questi batteri ed evitarne il dilavamento. ◦ Ossidazione a nitrato: i batteri dei generi Nitrobacter e Nitrospira ossidano il nitrito prodotto da Nitrosomonas a nitrato. Anche questi batteri hanno tempi di generazione molto lunghi, dovuti alla scarsa energia prodotta dal loro metabolismo. ◦ Riduzione ad azoto: i batteri di vari generi tra cui Bacillus, Spirillus e Micrococcus sono in grado di operare la respirazione anaerobica usando come accettore di elettroni il nitrato che viene ridotto ad azoto. Questi batteri, diversamente dai precedenti, sono eterotrofi e quindi richiedono substrato organico. Per fornirglielo, si organizza la denitrificazione in due vasche, una prima ed una dopo quella di ossidazione biologica. ▪ Predenitrificazione: sita prima della vasca di ossidazione, riceve il liquame con l'ammonio, che viene lasciato passare, ed il substrato, in più viene ricircolata una parte dell'effluente della vasca di ossidazione, cosicchè vengano ridotti i nitrati lì contenuti. L'azoto così formato viene strippato dal sistema di aerazione della vasca di ossidazione. ▪ Postnitrificazione: sita dopo l'ossidazione biologica, riceve così il substrato ed i nitrati, che vengono ridotti ad azoto. Non potendo lasciare l'azoto entrare nel sedimentatore secondario, pena l'insorgenza del rising (ovvero quando i gas prodotti dal metabolismo batterico fanno galleggiare il fango impedendo la sedimentazione), l'effluente va incontro a strippaggio dell'azoto. Sono attualmente allo studio le potenzialità depurative di un gruppo di batteri detto anammox, che è in grado di usare il nitrito e l'ammonio in una reazione diretta con formazione di azoto. NH4+ + NO2- → N2 + 2 H2O Questo permetterebbe di risparmiare molto, dato che nel processo è richiesto meno ossigeno, non c'è bisogno di substrato organico, si produce meno fango a causa della lenta crescita di questi batteri rispetto ai batteri denitrificanti tradizionali e in più non si generano i sottoprodotti dannosi della denitrificazione (NO, N2O, CO2). • • Rimozione del fosforo: è un trattamento con finalità simile a quella della rimozione dei nitrati, ovvero evitare l'eutrofizzazione in luoghi in cui è necessario preservare il patrimonio idrico. È inoltre una necessità per gli impianti industriali che producono molti fosfati (allevamenti, aziende che usano acque di lavaggio, etc.) Essa viene svolta solitamente per via chimico-fisica, con l'aggiunta di reattivi precipitanti come il cloruro ferrico, il solfato di alluminio e la calce, seguita dalla rimozione del fango inorganico così formato che può essere riciclato come fertilizzante. Un altro metodo è quello biologico, che prevede l'uso di batteri detti PAO (polyphosphateaccumulating organisms), che sono in grado di accumulare i fosfati nel loro organismo fino al 20% in peso. I batteri vengono quindi rimossi dall'acqua, purificati ed usati come fertilizzante. Disinfezione: serve per garantire l'assenza di cariche batteriche eccessive e specialmente l'eliminazione di possibili patogeni. Anche questo trattamento è necessario nel caso di acque di balneazione. La disinfezione dell'acqua può essere ottenuta in vari modi: ◦ Clorinazione: consiste nel trattamento col cloro gassoso (od ipoclorito di sodio), che ossida le strutture cellulari batteriche portandoli alla morte. È il sistema più diffuso attualmente per la sua efficacia e per il basso costo, ma ha il problema di creare composti organici clorurati nel processo, che sono estremamente cancerogeni. Inoltre porta alla formazione di cattivi sapori. ◦ Ozonizzazione: consiste nel trattamento con ozono, che viene prodotto in situ mediante forti scariche elettriche che portano alla ricombinazione dell'ossigeno atmosferico. Ha il vantaggio di essere molto efficace, anche verso vari inquinanti organici, e di non produrre sottoprodotti dannosi, ma è estremamente più costoso del cloro e richiede tecnici specializzati per il suo utilizzo. ◦ Trattamento UV: solitamente non usato per il trattamento di grandi masse d'acqua, dato lo scarso potere penetrante dei raggi UV, è probabilmente il metodo più sicuro, dato che uccide i batteri senza introdurre sostanze chimiche (la morte avviene per le modifiche genetiche indotte dai raggi UV), ma ha costi molto alti e scarsa efficacia. Applicazioni nel campo medico I nanotubi presentano svariate applicazioni in questo campo per le più svariate funzioni, grazie anche alla possibilità di subire svariate funzionalizzazioni, anche con biomolecole. Nel prossimo paragrafo vedremo infatti che la tossicità dei nanotubi varia grandemente a seconda dei gruppi funzionali a cui sono legati. Tra le potenziali applicazioni ci sono protesi ai nanotubi di carbonio, muscoli ed ossa artificiali, possibilità di connettere circuiti elettronici ai circuiti neurali, microsensori per varie biomolecole (glucosio, urea, etc.), ma soprattutto possono svolgere la funzione di trasportatori di farmaci, e grazie alla loro ingegnerizzazione, possono trasportare il loro carico in maniera molto specifica, come richiesto nelle cure oncologiche. In questo campo trovano applicazione praticamente solo i SWCNT, perchè è richiesto un diametro molto piccolo per penetrare la membrana cellulare. Vediamo ora alcune novità dai laboratori in questo settore cruciale. Distruzione selettiva delle cellule tumorali via NIR (23) La dottoressa Shi Kam dell'università di Standford ha sfruttato la trasparenza degli esseri viventi ai NIR (near infra-red, con lunghezza d'onda 700-1100 nm) per far si che essi attivassero i nanotubi nella loro funzione di “corrieri” dei farmaci nel corpo umano, data l'alta assorbanza dei SWCNT in questa finestra. Nel suo esperimento, per prima cosa ha preparato dei SWCNT funzionalizzati con un marker biologico (filamento singolo di DNA legato a cy3, una cianina fluorescente, adsorbito non covalentemente), quindi ne ha preparati degli altri funzionalizzati con vari fosfolipidi e polietileglicole addizionato ad acido folico (PEG-FA). I fosfolipidi hanno la funzione di aumentare la biocompatibilità del sistema, permettendo un migliore approccio alle membrane cellulari, mentre il complesso PEG-FA ha la funzione di rilevatore delle cellule tumorali. È infatti noto nel campo oncologico che le cellule tumorali dei mammiferi sovraesprimono il gene che codifica i recettori del folato, e perciò la funzionalizzazione con questa molecola permette di mirare solo alle cellule del cancro. I nanotubi cy3-DNA-CNT sono stai aggiunti alla coltura di cellule HeLa (cellule tumorali estratte dal cancro alla cervice uterina della signora Henrietta Lacks, che sono attualmente le cellule tumorali più usate in questo tipo di esperimenti), quindi le cellule sono state estratte ed analizzate. Si è visto che, differentemente dal campione di controllo, le cellule tumorali avevano assorbito i nanotubi, visibili per il marker. Sì è osservato inoltre che questo processo avveniva solo a temperatura corporea, suggerendo un processo di endocitosi ATP-dipendente. Tramite il trattamento NIR, il DNA segnato si dissociava dai nanotubi, che uscivano dalla cellula senza provocare danni infiammatori ai tessuti circostanti. I nanotubi PL-PEG-FA, invece, formano complessi stabili con le cellule tumorali, legandosi e fungendo da “antenna”, che assorbe la radiazione NIR uccidendo solo le cellule target dopo soli 2 minuti, lasciando indenni le altre cellule poiché queste non sono in grado di legarsi ai nanotubi. Biosensori del glucosio (24) Essendo che il glucosio è una sostanza fondamentale per gli esseri viventi, nonché un indice di diverse patologie, in primis il diabete mellito che è la terza causa di morte al mondo, è di fondamentale importanza sviluppare biosensori non invasivi in grado di rilevare anche le più minime variazioni della concentrazione di glucosio in maniera veloce e direttamente sul paziente. Nell'ambito dei biosensori ai CNT, diverse strade sono state tentate, tra cui la realizzazione di microchip da iniettare nel sangue e vari altri, ma ad oggi il metodo di più semplice esecuzione, quello di cui parlerò, sviluppato all'università di Zhejiang, è l'utilizzo di un sensore amperometrico a forma di ago. Per produrlo, i ricercatori hanno usato una miscela di nanotubi (MWCNT funzionalizzati con trattamento acido) polvere di grafite e glucosio ossidasi (l'enzima che con la sua attività forma l'acqua ossigenata, che determina la risposta elettrodica interagendo con i nanotubi), che hanno inserito in un capillare di vetro in modo che la miscela ne costituisse la punta. La proporzione tra MWCNT-grafite-GOD è stata per prima cosa determinata sperimentalmente mediante varie prove. Si è visto che all'aumento della percentuale di GOD la risposta elettrodica migliorava, ma solo fino alla proporzione di 5:3 in massa, oltre la quale diminuiva. Questo si spiega col fatto che una maggiore quantità di GOD determina una minore presenza di nanotubi e grafite, che quindi non danno una risposta elettrodica soddisfacente. La reazione catalizzata dalla GOD, che produce acqua ossigenata rilevata dai CNT. Anche la stabilità dell'elettrodo è stata oggetto di studio: si è osservato infatti che esso tendeva a perdere efficienza col tempo, ed il fenomeno era tanto più marcato tanto minore era la percentuale di GOD. Nonostante in un primo tempo si fosse pensato alla progressiva perdita di enzima da parte dell'elettrodo, in realtà la risposta si è rivelata essere il contrario: l'elettrodo diminuiva la sua attività perchè la GOD tendeva a formare legami chimici stabili con le estremità ossidate dei CNT, formando un complesso molto stabile che, dopo un primo decadimento durato circa 14 giorni, manteneva la sua risposta elettrodica costante nel tempo. Resta però il fatto che il trend di diminuzione della risposta costituisce un ostacolo all'applicazione di questo elettrodo nel monitoraggio costante dei pazienti, ma gli scienziati prevedono di superare questo problema inserendo assieme all'elettrodo un altro che funge da riferimento, oltre che elaborando dei software per la correzione della baseline (la risposta di fondo, quella che tende a diminuire), in modo da poter avere sempre un risultato affidabile. Approfondimento: il catabolismo del glucosio Come ho detto nel paragrafo precedente il glucosio è di importanza fondamentale per gli esseri viventi, principalmente perchè è il nutriente fondamentale, assieme agli acidi grassi. Ma come viene catabolizzato per produrre energia? Sostanzialmente in 2 grandi vie metaboliche, che portano alla completa ossidazione del glucosio con formazione di anidride carbonica, ATP e coenzimi ridotti (che verranno usati dalla fosforilazione ossidativa per produrre ATP). La prima, comune alla stragrande maggioranza degli esseri viventi, è la glicolisi, una via metabolica, che avviene a livello citosolico, che ossida parzialmente il glucosio a piruvato, producendo ATP e NADH nel processo. Essa può essere suddivisa in due parti, la prima preparatoria (con dispendio di ATP) e la seconda di recupero (con guadagno di ATP e NADH), per un totale di 10 tappe. Le tappe irreversibili e di regolazione sono quelle di fosforilazione del substrato (1,3), la tappa ossidativa (7) e l'ultima con formazione di piruvato (10). Complessivamente, la glicolisi produce 4 molecole di ATP per molecola di glucosio, che meno i 2 spesi per l'attivazione determina un guadagno di 2 molecole di ATP. Per entrare nel secondo grande pathway metabolico, il ciclo di Krebs, il piruvato deve prima entrare nel mitocondrio, quindi deve subire decarbossilazione ossidativa da parte del complesso della piruvato decarbossilasi, che produce acetil-CoA, anidride carbonica e NADH. Questa reazione, essendo assolutamente irreversibile per gli organismi superiori, è strettamente regolata sia allostericamente che covalentemente per fosforilazione. Il ciclo di Krebs, tipico degli organismi aerobici, è un pathway che porta alla formazione di coenzimi ridotti (NADH, FADH2) e di ATP mediante l'ossidazione completa dell'acetil-CoA, che può essere prodotto anche in altri modi, partendo dagli aminoacidi chetogenici o dagli acidi grassi. Il ciclo di Krebs produce 3 NADH, 1 FADH2, 1 ATP e 2 CO2 per ogni molecola di acetil-CoA degradata, i coenzimi verranno mandati alla fosforilazione ossidativa, e la CO2 espulsa. Il ciclo di Krebs non è solo una via catabolica: viene infatti detta anfibolica perchè molti dei suoi intermedi sono i precursori di una vasta gamme di biomolecole (glucosio, aminoacidi, porfirine). Le tappe irreversibili e regolatrici sono la 1 (a causa dell'idrolisi del tioestere) e quelle di decarbossilazione ossidativa (3,4). le caratteristiche tossicologiche dei nanotubi I nanotubi, essendo un materiale la cui introduzione è molto recente, non sono molto conosciuti dal punto di vista delle loro interazioni con gli esseri viventi e con l'ambiente. Ricerche di inizio millennio mettevano in mostra le capacità tossiche di questa sostanza, che sortisce effetti analoghi a quella dell'asbesto e dei PM 10 per inalazione. Gli effetti negativi riscontrati sono molti, e variano a seconda del tipo di nanotubo. Tra gli effetti negativi si annoverano: • Reazioni infiammatorie a livello cellulare e polmonare, dovute alla struttura dei nanotubi simili a piccoli aghi, che con un processo di endocitosi penetrano parzialmente la membrana cellulare, ma non essendo fagocitabili per via delle loro dimensioni. • Fibrosi, dovute alla capacità dei nanotubi di indurre una sovracrescita cellulare, che potrebbe trasformarsi in una formazione tumorale. • Promozione della formazione delle specie reattive dell'ossigeno (ROS), che aumentano lo stress ossidativo cellulare creando danni alle varie biomolecole, principalmente il DNA. Assieme all'accumulo dei ROS si è notata una diminuzione della concentrazione di antiossidanti. • Scarsa escrezione: i nanotubi hanno una struttura altamente apolare, che gli permette di accumularsi sia a livello corporeo, sia a livello cellulare, non riuscendo ad uscire dalla cellula. Tutti questi fenomeni richiamano da vicino ciò che avviene nel mesotelioma, una forma di cancro indotta dall'amianto. Un fattore importante da considerare, infatti, è che i nanotubi, diversamente dall'asbesto, sono chimicamente e fisicamente eterogenei, possedendo caratteristiche molto divergenti per quello che riguarda la lunghezza, il diametro, l'idrofilicità ed altri parametri importanti per la loro influenza sugli esseri viventi. Secondo il professor Kostarelos, dell'università di Strasburgo, i nanotubi, nonostante le loro similitudini strutturali con l'amianto che, effettivamente, ha portato al riscontro di problematiche simili nel loro utilizzo, i nanotubi non devono essere abbandonati in questo campo e bisogna trovare il modo di ingegnerizzarli per renderli più biocompatibili. Successive analisi hanno confermato che questa ingegnerizzazione è possibile, e principalmente è stata ottenuta in questi modi: • Accorciamento dei nanotubi usati nella biomedica: una delle principali cause dell'infiammazione provocata dai nanotubi è il fatto che le cellule non riescono a fagocitare il nanotubo (secondo uno studio, vengono ingannate dall'estremità sottile e mettono in atto una endocitosi non-specifica, che però risulta impossibile a causa della lunghezza dei nanotubi). • Minore diametro: i nanotubi di minor diametro superano più facilmente la membrana, quindi i SWCNT sono fortemente preferiti. • Funzionalizzazione con biomolecole: introdurre dei marker biologici che rendano il nanotubo riconoscibile per la cellula fa si che essa non lo tratti come un composto estraneo, prevenendo reazioni allergiche ed infiammatorie. Ad esempio, in una ricerca si è notato che la funzionalizzazione con glucosammina ha ridotto la citotossicità di anche 100 volte. • Funzionalizzazione volta all'aumento dell'idrofilicità: si è notato che nanotubi più solubili sono più facilmente eliminabili dall'organismo, così come qualsiasi altro xenobiotico. In definitiva, molte delle possibilità e dei rischi connessi a questo straordinario materiale, che promette addirittura di essere usato nella costruzione di un ascensore spaziale, sono ancora da comprendere appieno. Quello che a mio parere è certo è che questo secolo, nel bene o nel male, sarà il secolo dei nanotubi e delle nanotecnologie in genere, e forse lo saranno anche quelli a venire. Lista fonti: (1)= “chemical vapor deposition of carbon nanotubes, a review of growth mechanisms and mass production”, Journal of Nanoscience and Nanotechnology (2)= "Measurements of near-ultimate strength for multiwalled carbon nanotubes and irradiation-induced crosslinking improvements", Nature (3)= "Electronic and transport properties of nanotubes", Reviews of Modern Physics (4)= S.H. Tawfick et al (2013) "Carbon Nanotubes: Present and Future Commercial Applications" (5)= “Carbon super springs”Timothy Havel, Carol Livermore, MIT (6)= “Superhydrophobic Carbon Nanotube Forests”,K.S. Kenneth et al, MIT (7)= T. Gülseren et al,"Pressure-induced interlinking of carbon nanotubes", Department of Materials Science and Metallurgy ,Cambridge university. (8)= sito della nanocomp technologies inc., azienda del settore (9)= A.E. Aliev et al, "Giant-Stroke, Superelastic Carbon Nanotube Aerogel Muscles" The Alan G. MacDiarmid NanoTech Institute, University of Texas, Dallas. (10)= sito della BASF, sezione letteratura e news (11)= sito della applied technologies holding (12)= Yang Shao-Horn, Paula Hammond, Seung Woo Lee e Naoaki Yabuuchi, MIT Boston (13)=N.Y. Troy et al, Researchers at Rensselaer Polytechnic Institute (14)=Yi Cui, Department of material science and engeneering, Standford University (15)= “Achieving High Efficiency Silicon-Carbon Nanotube Heterojunction Solar Cells by Acid Doping”, Yi Jia, Tsinghua Università di Pechino (16)=”Fullerene single wall carbon nanotube complex for polymer bulk heterojunction photovoltaic cells”, Somenah Mitra, NJIT (17)= A. Nikitin e H. Ogasawara (Stanford Synchrotron Radiation Laboratory) per il dipartimento USA per l'energia (18)=Tesina di Ilaria Isella, col quale ho lavorato, Università degli studi di Milano (19)="Development of a microbial biosensor based on carbon nanotube (CNT) modified electrodes”, Timur Suna et al, Università di Smirne. (20)=“new desalination process developed using carbon nanotubes” Somenah Mitra, NJIT (21)=”Fast Disinfection of Escherichia coli Bacteria Using Carbon Nanotubes Interaction with Microwave Radiation”, Mehmet Emin Argun et al, King Fahd University of Petroleum and Minerals, Arabia saudita; (22)=Chad Vecitis, Department of Chemical and Environmental Engineering, Yale University. (23)=Nadine Wong et al, "Carbon nanotubes as multifunctional biological transporters and near-infrared agents for selective cancer cell destruction", dipartimento di chimica dei materiali, Standford university (24)=“Carbon Nanotubes Based Glucose Needle-type Biosensor” ,Wenjun Guan, Minghao Sim ,Yongquan Li, Università di Zhenjiang.
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