news 496 - 1 giugno 2014

newsUCIPEM n. 496 – 1 giugno 2014
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ABORTO VOLONTARIO
ADOZIONE INTERNAZIONALE
ADOZIONI INTERNAZIONALI
ASSEGNO DI MANTENIMENTO
ASSEGNO DIVORZILE
CHIESA CATTOLICA
CONSULTORI FAMILIARI
CONTRACCEZIONE
DALLA NAVATA
DEMOGRAFIA
DIVORZIO
FISCO
Interruzione di gravidanza in Germania.
Tutti per uno, uno per tutti: 4 fratelli in cerca di famiglia.
Ma il sistema va ripensato.
Congo. Comunicato della Direzione della Migrazione (Dgm).
Le vittime dell’affaire Congo: 7 famiglie attendono ancora.
A quali parametri deve rapportarsi il giudice per determinarlo?
Basta la ripresa della convivenza per farlo cessare?
Lo deve pagare, anche se ha una nuova e numerosa famiglia.
Ridotto se l'obbligato vive in affitto con una nuova famiglia.
Non a una modifica il percepire post una rendita di vecchiaia.
Non occorre che il giudice determini l’esatto importo dei redditi.
Revisione delle condizioni: le figlie sono autonome.
La donna che rinuncia al lavoro non ne ha sempre diritto.
La moglie che rifiuta di passare da part a full time lo perde?
Perché il matrimonio dei preti continua a suscitare discussioni?
E’ mancata la prima Presidente dei CFC l’on. Ines Boffardi.
Nuovo sistema intrauterino.
Ascensione del Signore - anno A – 1 giugno 2014.
Tendenze demografiche e trasformazioni sociali.
Un nuovo tsunami antropologico.
Crepet: “L'obiettivo? Minimizzare i danni, soprattutto x i figli”.
È disponibile il bene sequestrato di chi simula la separazione.
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FORUM Associazioni FAMILIARI
ISTAT
MATRIMONIO
MINORI
NATALITÀ
PARLAMENTO
SEPARAZIONE
SINODO DEI VESCOVI
VIOLENZA
ZIBALDONE
Commissione europea fugge il confronto coi 2.000.000 di firme.
Rapporto annuale 2014 - La situazione del Paese
Perché sposarsi è una delle cose più belle che si possano fare?
Giudice pel minore con 2 cittadinanze è del paese di residenza.
Fare un figlio ora è una sfida.
Crisi colpisce anche culle, servono misure a sostegno maternità.
C. Deputati Assemblea-Approvazione divorzio breve
2° Comm. Giustizia-Cognome dei figli
Le separazioni di tutta una vita.
Mito e realtà delle seconde nozze tra gli ortodossi.
Chiesa ortodossa e seconde nozze.
Leggi sulla violenza domestica.
Sesso: incinta con un bacio e Cola anti-gravidanza, i falsi miti.
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ABORTO VOLONTARIO
Interruzione di gravidanza in Germania.
L’edizione di quest’anno del Katholikentag di Regensburg (Ratisbona) ospita per la prima volta uno
stand dell’associazione "Donum Vitae“, molto discussa in Germania. Fondata nel 1999 da alcuni membri
del “Zentralkomitee deutscher Katholiken” (Comitato centrale dei cattolici tedeschi), l’associazione offre
consulenza alle donne che hanno intenzione di interrompere una gravidanza e rilascia un relativo attestato.
Tale attestato di avvenuta consulenza è obbligatorio in Germania per poter eseguire legalmente un aborto.
Proprio perché l’attestato apre la strada all’interruzione legale della gravidanza, la Chiesa ha vietato
alle associazioni cattoliche di rilasciarlo, poiché in disaccordo con la difesa della vita dal momento del
concepimento. Dal momento che “Donum vitae” continua a rilasciare l’attestato di avvenuta consulenza
richiesto dalla legge tedesca, i vescovi della Germania hanno dichiarato che l’associazione non può essere
considerata di ispirazione cattolica. Venerdì scorso ha avuto luogo un dibattito sui pro e contro dell’impegno
nell’ambito della consulenza statale alle donne intenzionate ad abortire. Tale dibattito era previsto dagli
organizzatori del Katholikentag come condizione per la concessione di uno stand informativo a “Donum
vitae”.
In un’intervista con ZENIT, la vicepresidente federale dell’associazione “Aktion Lebensrecht für
Alle” (ALfA; Azione Diritto alla Vita per Tutti), Alexandra Linder, racconta come sia possibile dare una
consulenza alle donne che si trovano a vivere una gravidanza in situazioni difficili, anche senza rilasciare il
discusso certificato.
In fase di programmazione del Katholikentag, l’adesione di “Donum vitae” all’edizione di
quest’anno è stata fortemente criticata. Tuttavia, aderendo l’associazione ha dovuto confrontarsi in un
dibattito comune. Era dunque questa la soluzione migliore?
Linder: Era giusto concedere loro questa occasione. Ma non dobbiamo mai dimenticare che i
membri di “Donum vitae” non agiscono da cattolici coerenti. Col loro modo di agire si escludono da soli. E
in più mettono in difficoltà la chiesa, perché presentandosi come un’associazione cattolica contribuiscono a
diffondere nell’opinione pubblica l’idea che la chiesa in fondo tolleri l’aborto. La gente non è consapevole
dei dibattiti interni al mondo delle associazioni di ispirazione cattolica.
Nelle precedenti edizioni del Katholikentag l’ordine del giorno non prevedeva grandi dibattiti sul
diritto alla vita
Linder: No, infatti, l’argomento era quasi del tutto assente. Per questo siamo felici che una questione
così importante sia finalmente stata messa a fuoco, e ci auguriamo che il dibattito possa continuare anche
nell’ambito di manifestazione future.
Che impressione le ha fatto l’incontro di venerdì?
Linder: Le posizioni dei membri di “Donum vitae” mi sono sembrate chiuse e senza apertura a
compromessi, cristallizzate. Sembrava che all’associazione premesse di più giustificare le proprie posizione,
che dialogare e discutere gli argomenti. Per esempio, hanno ripetuto più volte che in Germania abbiamo la
migliore legge sull’aborto d’Europa. Alle critiche mosse alla loro associazione, come quella che la loro
attività contribuisca a formare nei giovani l’idea che abortire sia in fin dei conti eticamente corretto,
semplicemente non hanno risposto. Da questo punto di vista, il dibattito è stato molto meno fecondo di
quanto avevamo sperato.
Che cosa si aspettava da questo dibattito?
2
Linder: La mia proposta era di partire dalla comune e indiscussa bontà della consulenza data alle
future madri, ma senza offrire alle donne l’opzione dell’aborto. Del resto, la consulenza di “Donum vitae”
è finalizzata a convincere le donne a non abortire e il loro impegno in questo senso non è inferiore al
nostro. Da qui mi sarebbe piaciuto chiarire che la legge che abbiamo non è proprio ideale e cercare di capire
insieme come la si potrebbe migliorare. Per esempio, nella sua formula attuale la legge impone ai consulenti
una forzatura indebita: se una donna rifiuta la consulenza, l’attestato deve comunque essere rilasciato.
Perché secondo lei la consulenza alle donne che vivono una gravidanza indesiderata non deve
essere aperta in quanto all’esito?
Linder: Un cristiano semplicemente non può offrire un’opzione che preveda il ferimento o
l’uccisione di un essere umano. Le donne che vengono da noi spesso cercano un aiuto contro la pressione
esercitata su di loro dalla famiglia o dai conoscenti. Se poi dopo la consulenza rilasciamo loro l’attestato,
questo equivale ad una resa. È come se negassimo tutto quello che abbiamo appena detto, perché in fondo
con quell’attestato stiamo dicendo alle donne che non ci fidiamo della loro capacità di gestire la propria vita
con un figlio.
Lei ha una vasta esperienza di consulenza alle donne incinte in difficoltà. Come si comporta con
loro?
Linder: Come associazione ALfA abbiamo dato vita ad un fondo di sostegno per poter offrire anche
un aiuto economico nei primi tre anni di vita del bambino. Il mio progetto personale è l’istituzione del
numero verde 0800-3699963, che va sotto il nome di “vitaL”. A questo numero, attivo 24 ore su 24,
risponde un’operatrice disponibile al dialogo e a dare consigli e assistenza. Siamo contattabili anche via
internet all’indirizzo http://www.vita-L.de. A seconda delle esigenze di chi ci chiama, possiamo fornire
anche solo una consulenza anonima o dare un consiglio su dove si può trovare aiuto. A volte però seguiamo
le donne che si rivolgono a noi anche per mesi e le aiutiamo a conoscere i propri diritti, a compilare moduli,
a cercare casa o a trovarsi una babysitter. Quando abbiamo un po’ di disponibilità economica, mandiamo dei
brevi spot pubblicitari ai cinema, per far conoscere i nostri contatti. Il nostro lavoro è in massima parte di
volontariato e ci finanziamo esclusivamente con offerte e contributi.
Che tipo di esperienze ha fatto con le donne che vi contattano per telefono?
Linder: Le donne ci contattano quando iniziano a trovarsi in difficoltà. La situazione più comune è
quella di una crisi del rapporto con il loro partner, dovuta al fatto che lui non vuole tenere il bambino. La
prima cosa che ci chiedono in genere non è di rilasciargli l’attestato, ma di ascoltarle. La nostra esperienza
degli ultimi anni dimostra che non è necessario affiliarsi al sistema di consulenza statale per raggiungere le
donne in difficoltà. Questo per rispondere all’argomento più spesso citato dai membri di “Donum vitae”.
Ecco perché pensiamo che sia giunto il tempo di ripensare questa strategia.
Cosa spera per il futuro?
Linder: Vorrei che tutti i centri di consulenza di ispirazione cristiana dessero una testimonianza
chiara e senza ambiguità, per rendere forte e credibile il nostro impegno a favore delle donne e dei loro figli.
Michaela Koller. Intervista con Alexandra Linder,
vicepresidente dell'associazione "Aktion Lebensrecht für Alle", ospite del Katholikentag di Ratisbona
Ratisbona, Zenit.org -31 maggio 2014
www.zenit.org/it/articles/interruzione-di-gravidanza-in-germania-un-attestato-che-e-una-resa
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ADOZIONE INTERNAZIONALE
Tutti per uno, uno per tutti: 4 fratelli in cerca di famiglia
Cercano una famiglia e vogliono restare insieme: sono in 4, due fratelli e due sorelle, uniti tra loro da
un legame fortissimo, tanto che anche le autorità del loro Paese hanno deciso di non separarli. E noi di Amici
dei Bambini vogliamo aiutarli a trovare dei nuovi genitori, disposti ad adottarli tutti insieme.
I 4 bambini – che chiameremo (nomi fittizi) Ana, di 11 anni e mezzo; José, di 9 e mezzo; Juan, di 7 e
mezzo; Carolina, di 6 anni – sono entrati nel sistema di protezione dei minori nel giugno 2011. In quella
data, l’autorità estera ha verificato la situazione di degrado e di scarsa sicurezza in cui i 4 fratelli erano
costretti a vivere in casa loro. Da lì la decisione di allontanarli dalla famiglia di origine e di affidarli a un
istituto. Qui hanno sviluppato un’unione indissolubile. Si appoggiano e sostengono a vicenda e l’aver
mantenuto un forte legame familiare è fonte di grande tranquillità per ognuno di loro.
Non hanno alcun problema fisico o psicologico. Sono 4 bambini molto intelligenti che, nonostante
quello che hanno passato, sono stati in grado di sviluppare un carattere positivo, attento, curioso e ricco di
bontà. Conosciamoli uno a uno. (…)
3
Nell’aprile del 2013, i 4 fratellini hanno saputo che non sarebbero più rientrati nella loro famiglia di
origine. Hanno potuto salutare la mamma, dicendole di stare tranquilla, perché sarebbero rimasti sempre
insieme. Lei, da parte sua, si è scusata per non essere riuscita a prendersi cura di loro. È stato un momento
molto triste, ma è servito ai bambini per poter chiudere finalmente questa triste vicenda familiare. Ora sono
pronti a ripartire e costruire una nuova vita. Chiedono spesso quando arriveranno dei nuovi genitori: sono
coscienti di ciò che significa essere adottati e non vedono l’ora che ciò avvenga.
L’adozione di 4 bambini è di certo impegnativa, ma non deve fare paura. Sarebbe davvero bellissimo
se una famiglia fosse disposta a dare a questi bambini quella casa e quei genitori che non hanno mai avuto.
Richiedi Informazioni – Compila il Modulo
Ai. Bi. 27 maggio 2014
www.aibi.it/ita/tutti-per-uno-uno-per-tutti-4-fratelli-in-cerca-di-famiglia
Ma il sistema va ripensato.
Non è stato il Congo a cambiare le carte in tavola nella vicenda che si è sbloccata. In almeno tre
occasioni siamo stati noi occidentali a giocare sporco, costringendo il Paese africano a chiudersi in difesa a
tutela dei propri figli. Da questo caso, che non è ancora risolto per sette famiglie italiane, emerge però ancora
una volta che il sistema delle adozioni internazionali in Italia è gravemente malato. Andrebbe ripensato di
sana pianta e la cosa era molto chiara già all’inizio, quando il sistema è nato. Gli elementi di fragilità, che
hanno mortificato soprattutto il diritto alla giustizia dei bambini, erano prevedibili, eppure si è sempre
preferito non vedere. Troppi 66 enti accreditati, troppo scarsi i controlli: la somma dei due aspetti crea
disomogeneità che rischiano di tradursi in pericolose distorsioni, quando non addirittura a commerci
inaccettabili. Chi non può dimostrare di essere un modello di etica e trasparenza non deve sporcarsi le mani
con le adozioni. Marco Griffini lo sostiene da tempo. E’ il presidente di Ai.Bi., uno dei 66 enti.
La sua denuncia dall’interno del sistema non può cadere nell’indifferenza. La Commissione è
riluttante a fornire i dati. Peccato. La trasparenza non è mai sintomo di sconfitta, anche di fronte a cifre
impietose: nei primi mesi dell’anno le adozioni internazionali sarebbero, infatti, calate del 30°%. Dalle 6.000
famiglie che nel 2006 ne avevano fatto richiesta, siamo alle 2.800 dell’anno scorso: scappano perché è un
percorso a ostacoli. Quello che dovrebbe essere visto come un atto di giustizia nei confronti del bambino,
passa spesso per l’egoismo di una coppia che non è vista come risorsa, ma quasi con sospetto. Invece di
essere presa per mano e accompagnata in un percorso impegnativo, ma bellissimo, viene vessata, frustrata,
demotivata, indotta a gettare la spugna. Siamo l’unico Paese europeo che ha un tribunale per i minori.
Chiediamoci perché. La riforma delle adozioni internazionali è un cavallo di battaglia di Renzi dalle
primarie. Che avesse tenuto per sé la delega è stato letto in positivo. Presidente della Commissione è sempre
stato un ministro, un sottosegretario, mai il premier. Poi ha abdicato in favore del suo vice, Silvia Della
Monica, magistrato. E per la prima volta l’incarico è uscito dal governo.
Ai. Bi. 30 maggio 2014
www.aibi.it/ita/category/archivio-news
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ADOZIONI INTERNAZIONALI
Congo. Comunicato della Direzione Generale della Migrazione (Dgm)
passim
Il 26 maggio 2014, la Direzione Generale Congolese della Migrazione (Dgm) ha informato i membri
dei corpi diplomatici che era stato predisposto il rilascio dei permessi di uscita per i 62 bambini adottati da
cittadini stranieri i cui casi sono pienamente conformi alle leggi congolesi vigenti in materia di adozione.
Il Dgm ha ammonito che tutti gli altri bambini adottati da cittadini stranieri non riceveranno i
permessi di uscita finché non entrerà in vigore una nuova legge di riforma delle adozioni internazionali,
anche se i loro casi soddisfano i criteri eccezionali precedenti (come indicato dal Dgm con la Disposizione
sulle Adozioni del 23 ottobre 2013). Questa nuova legge non è stata ancora redatta e le autorità congolesi
non sono in grado di impegnarsi a sviluppare e implementare una nuova legge in un determinato lasso di
tempo.
Note: Le revisioni delle leggi congolesi sulle adozioni potrebbero includere provvedimenti retroattivi
che potrebbero avere effetti sui casi che sono già giunti a conclusione o sono in corso di soluzione. Mentre i
tribunali possono continuare a lavorare sui processi di adozione, i bambini adottati durante la sospensione
non saranno in grado di ottenere i permessi di uscita per lasciare quel Paese e non hanno garanzie di poter
avere i permessi di uscita anche una volta che la nuova legge sarà promulgata.
www.aibi.it/ita/category/archivio-news
Ai. Bi. 28 maggio 2014
Le vittime dell’affaire Congo: 7 famiglie attendono ancora i loro figli.
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Altro che bella e conclusa [con l’arrivo dei 31 bambini di 24 famiglie arrivati in Itali]. La vicenda
dei bambini di origine congolese adottati da famiglie italiane è ancora in piedi. Sette bambini, che dalla
Direzione Generale della Migrazione (DGM) della Repubblica Democratica del Congo erano stati autorizzati
fin dal 1° ottobre 2013 a lasciare il Congo, sono ancora bloccati lì. I bimbi e le loro famiglie sono vittime di
un “affaire” dai contorni oscuri di chi si è mosso con poco riguardo rispetto alle decisioni prese dalle autorità
congolesi.
In questi giorni di festa la verità che nessuno dei protagonisti è disposto a ricordare è che anche noi
italiani abbiamo combinato i nostri pasticci. Ma facciamo un passo indietro. In un documento ufficiale,
vistato dalla Direction Gènèrale de Migration in data 1 ottobre 2013, intitolato “Lista dei dossier approvati
dal Comitato Interministeriale per il Monitoraggio delle Adozioni Internazionali”, sono indicati i nominativi
di 55 coppie americane, belghe, francesi e italiane. Tra loro 31 coppie italiane che avevano concluso l’iter
adottivo prima del 25 settembre 2013.
I 66 bambini indicati nella lista (alcuni sono gruppi di fratelli) avevano tutti i requisiti per ottenere il
nulla osta e lasciare il Paese africano, senza quindi essere coinvolti dal blocco di 12 mesi deciso della DGM
dopo alcuni scandali accaduti negli Stati Uniti e in Canada.
Purtroppo a Kinshasa sono atterrate otto coppie italiane che non avrebbero dovuto essere lì, perché i
loro nominativi non erano stati inseriti nella lista pubblicata dalla DGM.
Ora, tra i dossier autorizzati figuravano ben 13 famiglie di Amici dei Bambini. Per questioni di
sicurezza, gestione delle pratiche da parte delle autorità locali, durata della permanenza in loco e per
garantire a tutte le famiglie un accompagnamento ottimale, Ai.Bi. aveva deciso di dividere le proprie
famiglie in due gruppi distinti. Il primo formato da sei coppie in partenza subito; il secondo con le rimanenti
coppie sarebbe partito dopo circa 10-15 giorni. E invece le cose sono andate diversamente. Con ogni
probabilità anche gli altri Paesi hanno fatto partire coppie non autorizzate. C’è di fatto che la presenza a
Kinshasa di coppie non previste nella lista della DGM ha scatenato il finimondo.
Il dispiacere di Marco Griffini, presidente di Amici dei Bambini, è tutto qui: «È stato un errore
gravissimo far partire coppie non autorizzate. Le coppie di Amici dei Bambini erano tutte perfettamente in
regola. Siamo felicissimi per le 24 coppie che finalmente possono abbracciare i loro bimbi, ma
comprendiamo bene la rabbia e lo sconforto delle altre sette. Stanno pagando per un errore altrui». E
aggiunge: « Non si può andare a gamba tesa in un altro Stato sovrano e dettar legge. La lista approvata da
Kinshasa doveva essere rispettata».
Sarebbe un atto di giustizia se il Governo italiano si facesse carico anche degli altri sette. L’auspicio
è che il premier Renzi continui a seguire con lo stesso entusiasmo la vicenda congolese per permettere anche
ai sette bimbi previsti nella lista della DGM di dormire finalmente nelle loro camerette, pronte da mesi.
Senza dimenticare che ci sono poi gli altri 150 minori che, con una sentenza passata in giudicato, attendono
di poter atterrare il prima possibile nella nuova vita, chiamata Famiglia.
www.aibi.it/ita/category/archivio-news
Ai. Bi. 30 maggio 2014
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ASSEGNO DI MANTENIMENTO
A quali parametri deve rapportarsi il giudice per determinare l'assegno di mantenimento?
Corte di Cassazione, sesta Sezione civile, sentenza n.11797, 27 maggio 2014
Tenore di vita e potenzialità economiche dei coniugi.
Studio Sugamele –28 maggio 2014 sentenza www.avvocatocassazionista.it/sentenza.php?id=8276
Basta la ripresa della convivenza per far cessare l'assegno di mantenimento?
Corte di Cassazione, sesta Sezione civile, sentenza n. 9492, 30 aprile 2014
Per l'art. 157 del codice civile i coniugi separati possono far cessare lo stato di separazione con un
apposito accordo o "con un comportamento non equivoco che sia incompatibile con lo stato di separazione".
Si ritiene quindi comunemente che basti "rimettersi insieme" per far cessare la separazione. Di fatto
non basta avere magari rapporti sessuali o stare insieme durante una vacanza, ad esempio. Occorre che ci sia
un vero e proprio riprendere concordemente lo stato matrimoniale, sotto tutti gli aspetti.
In questo senso non sono validi né la semplice ripresa della convivenza, né un mero "tentativo"
durato pochi giorni.
La Cassazione ha specificato che ove si affermi che la separazione è cessata ex art. 157 bisogna
provare non solo la ripresa della convivenza ma anche la "ricostituzione del consortium vitae" tra i coniugi,
vale a dire che intendono di nuovo fare vita in comune, come coppia sposata.
5
Per la stessa sentenza non fa nemmeno cessare gli effetti della separazione un "esperimento" di
ripresa del matrimonio.
Da questo, considerato che le eccezioni ex art. 157 c.c. possono far l'altare il diritto all'assegno di
mantenimento, è opportuno che ripresa della convivenza o esperimenti o altro siano consacrati in scritture
private redatte da un avvocato. Si potrà così cristallizzare a futura prova che cosa effettivamente si sta
facendo e cosa non si sta facendo.
avv. Umberto Chialastri
9 maggio 2014
www.assegno-mantenimento.com
Marito lo deve pagare all’ex, anche se lui ha costituito un nuovo e numeroso nucleo familiare.
Corte di Cassazione, sesta Sezione civile, sentenza n. 9661, 6 maggio 2014
In questo nuovo interessante caso affrontato dalla Corte di Cassazione, il giudice d'appello durante
un procedimento di divorzio, aveva confermato l'obbligo (già stabilito in primo grado) di corrispondere
l'assegno di mantenimento, a carico di un ex marito a favore dell’ex moglie disoccupata.
Lo stesso ricorreva dunque in Cassazione lamentando violazione di legge e illogicità della sentenza
impugnata: sosteneva in particolare che, avendo egli costituito nuovo e numeroso nucleo familiare, nulla
avrebbe dovuto corrispondere alla precedente compagna.
A prescindere dalla circostanza che, secondo la Cassazione, il ricorrente abbia ripresentato in sede di
legittimità doglianze e profili strettamente attinenti al fatto - dunque insuscettibili di esame in tale sede - la
Suprema Corte conferma come, nel caso proposto, non si ravvisi alcuna violazione di legge. La funzione
specifica dell'assegno di mantenimento consiste, infatti, nel consentire all'ex coniuge svantaggiato di
mantenere il medesimo tenore di vita goduto in pendenza di matrimonio. E' emerso nel corso del giudizio di
merito come i due ex coniugi godessero di un alto livello di vita data la titolarità, da parte dell'uomo, di ben
due esercizi commerciali, ampie disponibilità di denaro, comproprietà di immobili e proprietà di sei auto.
L'ex moglie, al contrario, ha solamente collaborato all'attività commerciale del marito, rimanendo allo stato
disoccupata.
Date le circostanze, contando anche che l'ex marito nel frattempo ha costituito nuovo nucleo
familiare molto numeroso (con cinque figli) il giudice ha ritenuto comunque opportuno determinare un
cospicuo assegno mensile di mantenimento a favore dell’ex moglie. Verificata l'insussistenza di violazione di
legge, unitamente alla logicità della motivazione fornita, la discrezionalità del giudice d'appello appare essere
stata correttamente esercitata. Il ricorso è rigettato.
sentenza
Licia Albertazzi
studio Cataldi
14 maggio 2014
www.studiocataldi.it/news_giuridiche_asp/news_giuridica_15761.asp
Assegno di mantenimento ridotto se l'obbligato vive in affitto con una nuova famiglia.
Corte di Cassazione, terza Sezione civile, sentenza n. 11438, 22 maggio 2014
L'assegno di mantenimento del figlio può essere ridotto se il genitore obbligato vive in affitto con la
nuova famiglia, considerato il diritto dello stesso a mantenere un tenore di vita adeguato al proprio reddito.
È quanto ha affermato la Cassazione, in una vicenda riguardante un padre divorziato che, pagando un
canone di affitto nell'appartamento dove viveva con la nuova famiglia, chiedeva la riduzione dell'assegno di
mantenimento nei confronti del figlio, convivente con l'ex moglie.
Per i giudici di Piazza Cavour, non può sottovalutarsi nella determinazione del quantum dell'assegno
il "peso del canone di locazione" gravante sull'onerato, il quale è fatto sopravvenuto idoneo a considerare
legittima la riduzione della somma dovuta per il mantenimento, considerato altresì il diritto del coniuge
obbligato a mantenere un tenore di vita corrispondente alla propria situazione economica.
La Corte coglie, in tal modo, l'occasione per ribadire, il principio di "equità" sotteso all'istituto del
mantenimento, che mira, appunto, a riequilibrare la situazione economica della famiglia di fronte alla
disgregazione causata dalla cessazione del rapporto coniugale, garantendo al nucleo familiare preesistente di
mantenere un tenore di vita analogo a quello goduto in costanza di matrimonio, nei limiti delle possibilità
economiche dell'obbligato, al quale dovrà essere assicurata la possibilità di provvedere adeguatamente sia al
proprio mantenimento che a quello della famiglia successivamente creata.
Insomma se da un lato l'assegno di mantenimento deve garantire a chi lo percepire il diritto a
conservare il "tenore di vita goduto in costanza di matrimonio", non si può negare tale diritto spetta anche a
chi paga il mantenimento e che occorre pertanto prestare attenzione a non creare squilibri nella
determinazione dell'assegno.
6
Occorre in altri termini considerare che la separazione comporta generalmente un aumento di spese e
che, nella maggior parte dei casi, risulta difficile garantire lo stesso tenore di vita a entrambi i coniugi (si
veda in proposito: Corte d'Appello di Ancona: con separazione spese aumentano.
Nemes
StudioCataldi.it
1 giugno 2014
http://www.studiocataldi.it/news_giuridiche_asp/news_giuridica_15864.asp
Non può determinare una modifica il percepire una rendita di vecchiaia, sopravvenuta al divorzio.
Corte di Cassazione, sesta Sezione civile - ordinanza n. 11796, 27 maggio 2014
Assegno di mantenimento: non può determinare una modifica delle condizioni di divorzio il percepimento di
una rendita di vecchiaia, sopravvenuta al divorzio, di modestissima entità.
Il Tribunale di Belluno, con sentenza del 10 febbraio 2012, ha respinto il ricorso di A.S. volto a
ottenere la modifica delle condizioni di divorzio in relazione alla percezione, da parte della C., di una rendita
di vecchiaia svizzera, sopravvenuta al divorzio e da cumularsi all'assegno sociale percepito in Italia, e in
relazione alla pretesa errata interpretazione degli accordi di divorzio.
La Corte di appello ha respinto il reclamo rilevando che la C. non gode di assegno sociale e che la
rendita percepita in Svizzera è di modestissima entità (596 euro annui.
Studio Sugamele –31 maggio 2014 sentenza
www.divorzista.org/sentenza.php?id=8304
Non occorre che il giudice determini l’esatto importo dei redditi posseduti.
Corte di Cassazione, prima Sezione civile - ordinanza n. 11517, 23 maggio 2014
Non occorre che il giudice determini l’esatto importo dei redditi posseduti attraverso l’acquisizione
di dati numerici. E' sufficiente un’attendibile ricostruzione delle complessive situazioni patrimoniali e
reddituali dei coniugi, nel rapporto fra le quali risulti consentita l’erogazione a quello più debole di una
somma corrispondente alle sue esigenze.
Ricostruita, dunque, in concreto la situazione patrimoniale di entrambi i coniugi, il giudice è
chiamato ad accertare il tenore di vita dei medesimi durante il matrimonio, a tal fine dovendo reputare
rilevante il complessivo andamento della vita familiare, anche con riguardo a viaggi, collaboratori familiari,
acquisto di vestiario costoso, ed altro; quindi, al fine di quantificare l'assegno di mantenimento, occorre
verificare se i mezzi economici a disposizione del coniuge richiedente gli permettano di conservare quel
tenore di vita indipendentemente dalla percezione di detto assegno. L'insussistenza di “mezzi adeguati” in
capo al coniuge richiedente rileva dunque non in senso assoluto ma relativo alla posizione dell'altro, con
riguardo al detto tenore di vita.
Studio Sugamele –27 maggio 2014 sentenza
www.divorzista.org/sentenza.php?id=8249
Revisione delle condizioni di divorzio: le figlie sono autonome economicamente.
Corte di Cassazione, prima Sezione civile - ordinanza n. 11489, 23 maggio 2014
La Corte territoriale premetteva che la riduzione della contribuzione paterna statuita in sede di
revisione delle condizioni di divorzio era dipesa dal sopravvenuto conseguimento dell'indipendenza
economica da parte di due delle tre figlie maggiorenni delle parti e che la sostanziale natura alimentare
dell'apporto economico in questione comportava l'irripetibilità degli esborsi effettuati.
Ordinata la restituzione delle somme percepite dall'ex moglie.
Studio Sugamele –27 maggio 2014 sentenza
www.divorzista.org/sentenza.php?id=8250
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ASSEGNO DIVORZILE
La donna che rinuncia al lavoro non ha sempre diritto all’assegno divorzile.
Corte di Cassazione, sesta Sezione civile, sentenza n. 11797, 27 maggio 2014
A deciderlo è la Suprema Corte che ha accolto il ricorso di un uomo condannato al pagamento
dell’assegno divorzile di 1.100 euro in favore dell’ex consorte e di 500 euro per ciascuno dei due figli.
I giudici di legittimità hanno fatto la seguente analisi: se è vero che la donna, laureata in medicina e
chirurgia, aveva rinunciato alla carriera per seguire le faccende domestiche, è altrettanto vero che la stessa
aveva ricevuto una cospicua eredità immobiliare che le consentiva di avere un tenore di vita analogo a quello
vissuto durante il matrimonio.
La Cassazione ha fatto, nel caso di specie, applicazione del principio generale per cui l’accertamento
del diritto all’assegno divorzile va effettuato verificando l’adeguatezza dei mezzi del coniuge richiedente,
raffrontati ad un tenore di vita analogo a quello avuto in costanza di matrimonio e che sarebbe
presumibilmente proseguito in caso di continuazione dello stesso o quale poteva legittimamente e
7
ragionevolmente configurarsi sulla base di aspettative maturate nel corso del rapporto. A tal fine, il tenore di
vita precedente, deve desumersi dalle potenzialità economiche dei coniugi, ossia dall’ammontare
complessivo dei loro redditi e delle loro disponibilità patrimoniali e nella determinazione dell’assegno
divorzile i beni acquisiti per successione ereditaria dopo la separazione, ancorché non incidenti sulla
valutazione del tenore di vita matrimoniale, perché intervenuta dopo la cessazione della convivenza, possono
tuttavia essere presi in considerazione ai fini della valutazione della capacità economica del coniuge onerato.
Lucia Nacciarone
diritto.it
29 maggio 2014
www.diritto.it/docs/5090463-cassazione-la-donna-che-rinuncia-al-lavoro-non-ha-sempre-diritto-allassegno-divorzile?source=1&tipo=news
La moglie che rifiuta di passare da part time a full time perde l'assegno?
Corte di Cassazione, sesta Sezione civile, sentenza n. 9660, 6 maggio 2014
Il caso esaminato dalla Cassazione è questo: la moglie, in sede di determinazione dell'assegno
divorzile, ha chiesto il mantenimento dell'assegno di € 1.800,00 mensili.
Il marito aveva chiesto la riduzione dell'assegno sul presupposto che la moglie (dipendente di
un’azienda che fa parte del suo gruppo) aveva rifiutato il passaggio dall'impiego part time a full time.
In altre parole diceva che non era giusto che lui continuasse a pagare quando la moglie, lavorando un
po' di più, tutto il giorno, avrebbe potuto guadagnare di più.
La Cassazione ha deciso rigettando la richiesta dell'uomo. Ci è arrivata attraverso un particolare
percorso logico.
La prima considerazione (fondamentale) è che il regime economico di separazione non vincola
quello di divorzio (Cass. sent. 5140/2011). Applicando al caso concreto, significa che il tribunale del
divorzio non era obbligato a tenere come dato di partenza € 1.800,00 mensili (assegno di separazione). Se
fosse stato così la soluzione sarebbe stata diversa. (…)
Applicando invece il principio della Cassazione, il tribunale in sede di divorzio ha legittimamente
ritenuto che - anche con il passaggio al lavoro a tempo pieno - la differenza di reddito sarebbe rimasta
elevata. Dovendo quindi mantenere il tenore di vita avuto durante il matrimonio, vista la fortissima
sproporzione tra i redditi dei coniugi, è giustificato non tenere affatto conto dell'aumento reddito che la
moglie avrebbe avuto accettando l'aumento di orario.
L'esame di questa sentenza è utile anche per chiarire che per capire cosa ha veramente deciso la
Cassazione non basta un esame veloce della massima, occorre seguire tutte le argomentazioni concretamente
seguite. In altri casi concreti, secondo gli stessi principi, la Cassazione avrebbe potuto prendere una
decisione diversa. Non sarebbe, infatti, la stessa cosa in caso di sproporzione tra i redditi minore o comunque
redditi dei coniugi minori nel complesso.
avv. Umberto Chialastri
30 maggio 2014
www.assegno-mantenimento.com
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CHIESA CATTOLICA
Perché il matrimonio dei preti continua a suscitare discussioni?
Matrimonio dei preti: ecco che si torna a parlarne! È sufficiente che il papa evochi l'argomento,
spiegando che non si tratta di un dogma (cosa ben evidente, trattandosi di un obbligo di ordine disciplinare),
perché la discussione riprenda. Già l'anno scorso, in questo blog, avevo detto che ci si faceva molte illusioni
nel vedere la possibilità di ordinare al presbiterato degli uomini sposati come “la” soluzione per la Chiesa
cattolica.
Ma è sempre sconcertante constatare l'interesse che suscita l'argomento sui media e sulle reti sociali,
almeno in Francia. Certo, non è un argomento di poco conto, poiché si tratta di una regola in vigore dall'XI
secolo e che abrogarla non sarebbe un fatto anodino. Ma, allora, perché il matrimonio dei preti provoca tale
dibattito?
Perché su questo tema, che riguarda dopo tutto l'organizzazione interna della Chiesa cattolica,
ognuno sembra avere la propria opinione? Secondo le statistiche, è solo il 5% dei francesi che va
regolarmente a messa. Non mi farete credere che tutti coloro che si esprimono in merito, oggi, vanno a messa
regolarmente e soffrono concretamente per la mancanza di preti!
Il fatto è che dietro al problema del celibato o non celibato dei preti, si nasconde quello della vita
affettiva. Basta vedere quanto sono numerosi coloro che affermano con certezza che il matrimonio
permetterà di risolvere “definitivamente” i problemi di vita affettiva dei preti. Come se solo i preti avessero
problemi di quel tipo.
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Come se, in fondo, criticare il celibato, permettesse di addossargli il peso dei nostri limiti, che una
società che pensa di essere liberale tende a negare. In fondo, anche se un giorno saranno ordinati degli
uomini sposati, dobbiamo augurarci che restino nella Chiesa uomini e donne che si impegnano al celibato.
Una forma di radicalità che permette a ciascuno di riflettere sulla radicalità del proprio impegno.
Isabelle de Gaulmyn religion-gaulmyn.blogs.la-croix.com” del 28 maggio 2014
traduzione: www.finesettimana.org
www.finesettimana.org/pmwiki/uploads/RSt201405/140530degaulmyn.pdf
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CONSULTORI FAMILIARI
E’ mancata la prima Presidente dei CFC, Ines Boffardi.
E’ mancata a Genova, il 21 maggio 2014, l’on. Ines Boffardi, a 94 anni.
Ha partecipato alla guerra di Liberazione nei SAP (Corpo Volontari Libertà).
E’ stata la prima donna al Governo sottosegretario di stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri
nel 1978, con la delega alla “condizione femminile”.
E’ stata la prima Presidente Nazionale della Confederazione Consultori Familiari d’Ispirazione
Cristiana voluti dalla Conferenza Episcopale Italiana, dal 1978 al 1992.
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CONTRACCEZIONE
Nuovo sistema intrauterino.
Si chiama Jaydess ed è il nuovo sistema intrauterino che ha già riscosso un grande successo da
campione negli Stati Uniti, con un livello di soddisfazione del 95%. Arriva da oggi anche in Italia ed è
"smart" perché assicura la maggiore efficacia e rilascia a livello locale il minimo dosaggio possibile di
ormoni, liberando la donna dalla routine contraccettiva.
L'annuncio viene dal 13° Congresso della European Society of Contraception and Reproductive
Health (ESC) di Lisbona. "Jaydess garantisce una serena sessualità a tutte - afferma Valeria Dubini,
Consigliere Nazionale della Società Italiana di Ginecologia e Ostetricia (SIGO) -. Grazie alle sue
caratteristiche e alle dimensioni ridotte (è il sistema intrauterino più piccolo al mondo) è adatta alle donne di
tutte le età, anche le più giovani e le più distratte. Inoltre, non provoca un aumento di peso. Dopo che è stata
inserita nell'utero dal ginecologo, con una semplice procedura, assicura un'altissima protezione fino a tre
anni. E poi si può rimuovere in qualsiasi momento e il ritorno alla fertilità è immediato. Questo metodo
mantiene inalterata la funzionalità ovarica della donne, e agisce localmente impedendo la risalita degli
spermatozoi".
"Ora possiamo offrire alle nostre assistite un nuovo ed efficace metodo - aggiunge Paolo Scollo,
Presidente Nazionale SIGO -. Nel nostro Paese è ancora forte l'ignoranza: il 30% delle giovani ritiene che il
coito interrotto sia un efficace sistema contraccettivo. E 4 su 10 affrontano la prima esperienza sessuale
senza nessuna protezione. Il risultato? Nel 2012 abbiamo avuto oltre 105.000 aborti e il 40% delle
gravidanze totali era indesiderato.
La nostra Società scientifica da anni è impegnata in progetti di educazione sessuale per i giovani. Ma
serve anche da parte delle Istituzioni italiane ed Europee un maggiore impegno a promuovere un
cambiamento culturale che favorisca la sessualità consapevole tra le donne".
aduc salute
29 maggio 2014
http://salute.aduc.it/notizia/arriva+contraccettivo+smart_129554.php
{E’ ancora un IUD potenzialmente abortivo, come i precedenti:
[Il foglietto illustrativo del giugno 2013 emanato dall'autorità competente in materia di
medicamenti (Swissmedic)] recita:
levonorgestrel provoca un ispessimento del muco presente nel collo dell'utero e costituisce così
una barriera per gli spermatozoi.
L'azione locale di Jaydess sulla mucosa dell'utero rende più difficili le condizioni per
l'annidamento dell'embrione.
Il microclima nell'utero e negli ovidotti è modificato in modo tale da inibire la mobilità degli
spermatozoi e da limitarne la funzionalità.
La maturazione dell'ovulo e l'ovulazione possono essere influenzati, in una parte delle donne
l'ovulazione risulta inibita.
9
Il levonorgestrel determina anche una diminuzione della proliferazione della mucosa uterina e quindi una
riduzione della perdita di sangue durante le mestruazioni e dei disturbi mestruali in donne con una
perdita eccessiva di sangue durante le mestruazioni.] ndr}
www.kompendium.ch/mpub/pnr/1253922/pdf/it?start=1.
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DALLA NAVATA
Atti
Salmo
Efesini
Matteo
Ascensione del Signore - anno A – 1 giugno 2014.
01, 03 «Egli si mostrò ad essi vivo, dopo la sua passione, con molte prove, durante
quaranta giorni, apparendo loro e parlando delle cose riguardanti il regno di Dio».
47, 09 «Dio regna sulle genti, Dio siede sul suo trono santo».
01, 17 «Il Dio del Signore nostro Gesù Cristo, il Padre della gloria, vi dia uno spirito di
sapienza e di rivelazione per una profonda conoscenza di lui».
28, 17 «Quando lo videro, si prostrarono. Essi però dubitarono».
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DEMOGRAFIA
Tendenze demografiche e trasformazioni sociali: nuove sfide per il sistema di welfare.
pag. 59
estratto
Il sistema di welfare italiano si trova a fronteggiare numerosi elementi di criticità, anche in
conseguenza della crisi economica che ha attraversato il nostro Paese. In un contesto di riduzione dei fondi
destinati alle politiche sociali, da un lato, e di crescenti condizioni di disagio economico delle famiglie,
dall’altro, si dipanano gli effetti delle trasformazioni demografiche e sociali, caratterizzate dall’accelerazione
del processo di invecchiamento della popolazione e da mutamenti della struttura delle famiglie che riducono
gli aiuti informali scambiati, a causa delle modificazioni delle reti.
Si vive sempre più a lungo ma resta bassa la propensione ad avere figli. Nel 2012 la speranza di
vita alla nascita è giunta a 79,6 anni per gli uomini e a 84,4 anni per le donne (rispettivamente superiore di
2,1 anni e 1,3 anni alla media europea del 2012).
Allo stesso tempo il nostro Paese è caratterizzato dal persistere di livelli molto bassi di fecondità, in
media 1,42 figli per donna nel 2012 (media Ue28 1,58).
Si accentua l’invecchiamento della popolazione. La vita media in continuo aumento, da un lato, e
il regime di persistente bassa fecondità, dall’altro, ci hanno fatto conquistare a più riprese il primato di Paese
con il più alto indice di vecchiaia del mondo: al 1° gennaio 2013 nella popolazione residente si contano
151,4 persone di 65 anni e oltre ogni 100 giovani con meno di 15 anni. Tra i Paesi europei ci supera solo la
Germania (158), mentre la media Ue28 è pari 116,6 (Tavola 4.1).
Questa misura rappresenta il “debito demografico” contratto da un paese nei confronti delle
generazioni future, soprattutto in termini di previdenza, spesa sanitaria e assistenza. Trent’anni di tale
evoluzione demografica ci consegnano un paese profondamente trasformato nella sua struttura e nelle sue
dinamiche sociali e demografiche. Alle sfide che la globalizzazione e le crisi finanziarie impongono ai
sistemi paese, l’Italia si presenta con una struttura per età fortemente squilibrata, in termini di rapporto tra
popolazione in età attiva e non, e con una dinamica demografica che non potrà che aggravare il processo di
invecchiamento, a meno di politiche sociali in grado di mutare in profondità i comportamenti individuali e
familiari.
Le previsioni demografiche consentono di apprezzare come si modificherà la struttura per età della
popolazione nei prossimi 30 anni (Figura 4.1). Si può osservare l’inasprirsi del processo di invecchiamento,
soprattutto nel Mezzogiorno, dove dal 2011 al 2041 la proporzione di ultrasessantacinquenni per 100 giovani
con meno di 15 anni risulterà più che raddoppiata passando da 123 a 278. Nello stesso periodo al CentroNord l’indice di vecchiaia aumenterà di oltre una volta e mezza, da 159 a 242. La lettura della piramide
consente di cogliere gli effetti delle dinamiche che alimentano e depauperano la popolazione. In particolare
la base più ristretta rispetto alla parte centrale, è dovuta all’effetto della denatalità che erode la consistenza
quantitativa delle nuove generazioni.
La crescente longevità produce al contrario un’espansione del vertice. Il “rigonfiamento”, in
corrispondenza della popolazione in età attiva e nel 2041 degli ultrasessantacinquenni, è, come noto, dovuto
alle generazioni del “baby-boom”, o più in generale ai nati tra gli anni ’60 (circa un milione annuo) e la
seconda metà degli anni ’70. Da allora le nascite hanno registrato una continua diminuzione fino alle 526
mila unità del 1995, anno in cui si è raggiunto anche il livello più basso della fecondità: 1,19 figli per donna.
10
Le nascite sono successivamente aumentate fino al massimo relativo di 576 mila e 700 nel 2008,
mentre il massimo della fecondità si è osservato nel 2010 (1,46 figli per donna). Questa fase di aumento della
fecondità è da attribuire largamente ai comportamenti riproduttivi dei cittadini stranieri ed è ravvisabile solo
nelle regioni del Nord e del Centro del Paese, dove la loro presenza è più stabile e radicata. Al contrario nelle
regioni del Mezzogiorno si osserva un processo di continua diminuzione del numero medio di figli per donna
(Figura 4.2) che le ha portate a raggiungere livelli più bassi delle regioni del Centro-Nord dal 2006
Dal 2008, con l’avvio della crisi economica si inverte il trend di crescita della natalità e della
fecondità in atto dal 1995: nel 2013 si stima che saranno iscritti in anagrafe per nascita poco meno di 515
mila bambini, circa 64 mila in meno in cinque anni e inferiori di 12 mila unità al minimo storico delle nascite
del 1995. Questa nuova fase di denatalità non può non accelerare ulteriormente il processo di
invecchiamento in atto.
Va segnalato che il calo della natalità negli ultimi 5 anni è ravvisabile in quasi tutti i paesi
europei, seppur con ritmi e intensità diverse, e viene messo in relazione con la crisi economica, anche se non
è possibile stabilire con certezza un legame causale. Nel nostro Paese gli effetti della sfavorevole
congiuntura economica sulla natalità vanno a sommarsi a quelli “strutturali” dovuti alle importanti
modificazioni della popolazione femminile in età feconda (da 15 a 49 anni).
Le donne italiane in età feconda sono sempre meno numerose, fanno meno figli e sempre più
tardi. Per le residenti di cittadinanza italiana, si sta realizzando l’uscita dall’esperienza riproduttiva delle
“baby-boomers”, le donne nate tra la metà degli anni ’60 e la metà degli anni ’70, molto più numerose delle
generazioni più giovani che stanno via via entrando nel pieno della vita riproduttiva. Considerando le donne
attualmente in età feconda, quelle fino a 30 anni (ovvero le nate dal 1998 al 1983) sono poco più della metà
delle donne con oltre 30 anni (le nate dal 1982 al 1964). Meno donne in età feconda significa
tendenzialmente meno nascite. A questo effetto struttura, che sarà particolarmente pronunciato almeno per i
prossimi 10-15 anni, si aggiunge la posticipazione e la tendenza alla diminuzione della fecondità delle
successive coorti di donne italiane. Le coorti più giovani quindi oltre ad essere molto meno numerose fanno
meno figli e sempre più tardi.
Le donne straniere “invecchiano” e la loro fecondità è in calo. La popolazione femminile
straniera in età feconda sta rapidamente “invecchiando”: la quota di donne straniere in età 35-49 anni,
rispetto al totale delle donne straniere in età feconda (15-49 anni), è aumentata di 6 punti percentuali dal
2005 al 2013 passando dal 41 al 47 per cento. Questo effetto è una conseguenza delle dinamiche
dell’immigrazione nell’ultimo decennio. Le grandi regolarizzazioni del 2002 hanno dato origine nel corso
del 2003-2004 alla concessione di circa 650 mila permessi di soggiorno. Questi si sono in gran parte tradotti
in un “boom” di iscrizioni in anagrafe dall’estero facendo raddoppiare, rispetto al biennio precedente, il
saldo migratorio degli anni 2003-2004 (in totale oltre 1 milione 100 mila unità).
Le boomers, che hanno fatto il loro ingresso o sono “emerse” in seguito alle regolarizzazioni, hanno
nei dieci anni successivi realizzato buona parte dei loro progetti riproduttivi nel nostro Paese, contribuendo
in modo importante all’aumento della fecondità di periodo. Pur mantenendosi su livelli di fecondità
decisamente più elevati di quelli delle donne italiane (rispettivamente 2,37 e 1,29 figli per donna nel 2012), il
numero medio di figli per donna delle cittadine straniere è anch’esso in rapida diminuzione e il loro
contributo alla fecondità complessiva della popolazione si va progressivamente riducendo (Figura 4.3).
Diverso è il caso delle donne immigrate che hanno un progetto migratorio prevalentemente per
motivi di lavoro. La fecondità realizzata in Italia da queste donne è generalmente bassa. È il caso ad esempio
delle donne ucraine, moldave, filippine, peruviane ed ecuadoriane, che hanno alti tassi di occupazione,
prevalentemente nei servizi alle famiglie (Figura 4.4)
Sono diminuiti di oltre 76 mila in 5 anni i nati da entrambi i genitori italiani, mentre quelli con
almeno un genitore straniero, hanno continuato ad aumentare fino al 2012, superando le 100 mila unità pari a
un quinto dei nati della popolazione residente, seppure a un ritmo di crescita sempre più contenuto (Figura
4.5); per il 2013 ci si attende per la prima volta una diminuzione anche dei nati stranieri.
La dinamica migratoria si è però attenuata con la crisi, pur restando, come avviene da oltre un
ventennio, positiva. Gli ingressi di cittadini stranieri hanno anche in parte rallentato il ritmo di
invecchiamento della popolazione residente, sia direttamente grazie al giovane profilo per età degli
immigrati sia indirettamente grazie al contributo dei cittadini stranieri alla fecondità. Questo è vero
soprattutto al Nord e al Centro dove risultano iscritti in anagrafe al 1° gennaio 2013 quasi 10 cittadini
stranieri ogni 100 residenti a fronte del 3% del Mezzogiorno (7,4% a livello medio nazionale). Negli ultimi
anni, tuttavia, il fenomeno si è andato riducendo. Nel 2012 gli iscritti dall’estero sono stati 351 mila, in
diminuzione rispetto al periodo pre-crisi (527 mila unità nel 2007), con un calo del 33,5 per cento e le
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emigrazioni sono più che raddoppiate, da quasi 51 mila nel 2007 a oltre 106 mila nel 2012. In confronto
all’anno precedente le iscrizioni dall’estero si riducono del 9,1 per cento mentre le emigrazioni verso l’estero
aumentano del 28,8 per cento. Il saldo migratorio netto con l’estero, pari a 245 mila unità, registra il valore
più basso dal 2007 (Figura 4.6).
L’Italia continua ad attrarre comunque numerosi cittadini stranieri dall’estero. Nel 2012, dei 351
mila iscritti dall’estero, 321 mila sono cittadini stranieri. Sebbene in calo rispetto agli anni precedenti, il dato
mostra che l’Italia è ancora meta, nonostante la crisi, di consistenti flussi migratori dall’estero. La comunità
straniera più rappresentata tra gli immigrati è quella rumena che conta quasi 82 mila iscrizioni, seguono
quelle cinese (oltre 20 mila), marocchina (quasi 20 mila) e albanese (14 mila). Il numero di cittadini stranieri
che lasciano l’Italia è in aumento rispetto all’anno precedente: circa 38 mila emigrazioni per l’estero su
complessive 106 mila registrate nel 2012 riguardano cittadini stranieri (+17,9 per cento).
Sono sempre più numerosi gli italiani che si trasferiscono all’estero: aumentano gli espatri e
calano i rientri. Nel 2012 gli italiani di rientro dall’estero sono circa 29 mila, 2 mila in meno rispetto
all’anno precedente, al contrario è marcato l’incremento dei connazionali che decidono di trasferirsi in un
Paese estero. Il numero di emigrati italiani è pari a 68 mila unità, il più alto degli ultimi dieci anni, ed è
cresciuto del 35,8 per cento rispetto al 2011.
Prosegue l’aumento del numero di famiglie e diminuisce la loro dimensione. Dal 2006 al 2013 si
osserva un incremento del 7,6 per cento del numero totale di famiglie, cresciute da 23 milioni e 216 mila (in
media 2006-2007) a 24 milioni e 979 mila (in media 2012-2013). Contemporaneamente prosegue la
diminuzione del numero medio di componenti per famiglia da 4 (1951), a 2,6 (2001), a 2,4 (2011), con punte
massime, oggi, in Campania (2,8) e minime in Liguria (2,1).
Alcune famiglie, tuttavia, si ricompattano. Un fenomeno emergente – in controtendenza rispetto ai
processi di semplificazione della struttura familiare in atto da alcuni decenni – è proprio la crescita tra il
2006-2007 e il 2012-2013 delle famiglie con due o più nuclei, che raggiungono nel 2012-2013 l’1,5 per
cento delle famiglie italiane (370 mila famiglie). Le persone che vivono in famiglie con più nuclei (3,0 per
cento della popolazione di 15 anni e più) sono aumentate di 438 mila unità nell’ultimo quinquennio
arrivando a 1 milione e 567 mila persone di 15 anni e più. La ricompattazione delle famiglie si va
realizzando con il rientro dei figli nei nuclei genitoriali dopo separazioni, divorzi, emancipazioni non riuscite
o con la coabitazione con parenti (a loro volta costituenti nucleo, per coppia o filiazione). Nelle famiglie con
più nuclei aumentano, infatti, le persone celibi e nubili, i coniugati coabitanti, i separati e i divorziati. Si
tratta generalmente di persone giovani (fino a 34 anni di età), più spesso di donne. Potrebbe trattarsi di una
strategia di riorganizzazione messa in atto dalle famiglie, con l’obiettivo di fronteggiare la crescente fragilità
dei percorsi di emancipazione dei suoi membri e assicurare la sostenibilità economica in risposta alle attuali
difficoltà. .Tra queste vanno menzionate le difficoltà del mercato immobiliare delle abitazioni: le
convenzioni notarili per trasferimento di unità immobiliari ad uso abitazione sono in effetti crollate dalle
941.766 del 2003, alle 843.466 del 2008 (-10,4 per cento) alle 544.392 del 2013 (-42,2 per cento dal 2003).
Nello stesso arco temporale, anche le concessioni di ipoteca per mutui, finanziamenti ed altre obbligazioni
concesse da banche e soggetti diversi dalle banche sono state caratterizzate da un trend negativo, con una
variazione percentuale tendenziale del -48,1 per cento tra il 2003 e il 2013.
Le coppie con figli sono sempre meno numerose: sono circa 8 milioni e 600 mila (circa 320 mila in
meno rispetto al 2006-2007) e rappresentano appena il 34,6% del totale delle famiglie (media 2012-2013) e
circa la metà delle famiglie con un nucleo senza membri aggregati. In particolare, a seguito della contrazione
della nuzialità e della fecondità, sono le coppie coniugate con figli a diminuire più rapidamente nello stesso
periodo dal 37,3 al 32,6%. La forma familiare più tradizionale, dunque, che, ancora 20 anni or sono (19931994) era maggioritaria, rappresenta oggi meno di una famiglia su 3.
Invece, le coppie senza figli, in linea con la tendenza già osservata da diversi anni, sono in aumento:
sul totale delle famiglie composte da un nucleo, passano dal 28,7 al 29,3% (pari a 4 milioni e 852 mila
famiglie, con un incremento di 165 mila).
Le famiglie unipersonali sono cresciute del 23,1% tra il 2006-2007 e il 2012-2013: hanno superato i
7,5 milioni, arrivando a rappresentare il 30,2% delle famiglie italiane. Il 48,7% delle persone che vivono sole
sono anziani di 65 anni e più (l’11,1% delle persone sole ha più di 85 anni). Il divario di genere è importante:
in virtù della più alta aspettativa di vita – specialmente nelle coorti oggi già invecchiate – fra le donne, la
percentuale di persone sole ascrivibile alle fasce di popolazione anziana (65 anni e più) raggiunge il 62,5,
mentre fra gli uomini è del 30,0.
La crescita delle famiglie unipersonali si deve anche all’aumento dei single non vedovi (4,4 milioni
nel 2012-2013 un milione in più rispetto al 2006-2007).
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Le famiglie di monogenitori non vedovi superano quota 1,5 milioni, con un aumento del 47%
rispetto al 2006-2007 e con una numerosità pari a 3,7 milioni di persone. La maggioranza di queste famiglie
è costituita da madre con figli (83,7%).
www.istat.it/it/files/2014/05/cap4.pdf
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DIVORZIO
Un nuovo tsunami antropologico.
Una scossa. E poi arrivò lo tsunami. Così possono essere considerati la legge sul divorzio e il
referendum, i quattro anni tra il 1970 e il 1974, dopo i quali nulla sarebbe più potuto essere come prima.
Oggi gli effetti di quello tsumani antropologico non sono ancora stati assorbiti ma siamo già alle prese con i
rischi di un nuovo ciclone, quello del divorzio breve. Diverse, certo, le condizioni sociali e culturali del
Paese. E diverso probabilmente anche l’impatto che il nuovo provvedimento avrà sul nostro quadro sociale.
Ma siamo proprio certi che, a quarant’anni di distanza, questo nuovo choc non rischierà di riattivare e
moltiplicare gli effetti devastanti già sperimentati nella prima occasione?
Un sociologo, uno psicoterapeuta, un vescovo.
Tre prospettive diverse ma una fotografia con molti tratti in comune.
«Un’ondata di pluralismo, questa fu storicamente una conseguenza di quegli anni». Per Franco
Garelli, sociologo torinese, l’ondata investì anche il mondo cattolico: «Una parte recepì il divorzio come una
possibilità per chi non fosse credente o credesse in altri princìpi. Per un’altra parte fu invece un autentico
choc: scopriva un’Italia in cui sembrava che il cattolicesimo non incidesse più. Molti vissero il cambiamento
in modo drammatico».
Anche monsignor Giuseppe Anfossi – vescovo emerito di Aosta, a lungo presidente della
Commissione episcopale per la famiglia e la vita – ricorda i 'cattolici per il no': «Dicevano: lo facciamo per
loro, per i non credenti, per chi non crede nei nostri stessi princìpi. Una conseguenza del divorzio, però, fu
che l’instabilità della coppia cominciò e continuò a crescere».
L’ondata scombussolò innanzitutto i rapporti di coppia. «Autorevoli studiosi sono convinti che si
crearono al tempo stesso valenze positive e risvolti problematici – spiega Beppe Sivelli, che in 40 anni da
psicoterapeuta di coppie ne ha viste, sentite e seguite di innumerevoli e ha anche presieduto a lungo l'Unione
dei consultori familiari Ucipem. – In positivo, aumentò l’attenzione alla libertà e alla felicità. In negativo, per
dirla con Slater, scivolammo a poco a poco nell’epoca del consumismo affettivo, con tanti 'consumatori' di
sentimenti e vincoli coniugali che ragionano così: 'Con il prossimo andrà meglio'».
È l’instabilità evocata da Anfossi? «Oggi, per molte coppie il matrimonio non è una scelta definitiva,
ma il tentativo di organizzare una convivenza». Anfossi esprime un concetto simile: «Le convivenze... È un
modo per provare e sperimentare. Si potrebbe dire: in questo modo ci sono più libertà e verità. Forse sì, c’è
meno ipocrisia. Però sono venute meno la fraternità e il senso di responsabilità verso gli altri». Anfossi non
lascia nel limbo del generico il termine 'altri'. «Penso innanzitutto ai figli. La fragilità di molti giovani fa
parte senza dubbio del prezzo pagato per questi cambiamenti. A volte, per certe coppie il figlio assume i
contorni di una sorta di accessorio. La legge stessa non tutela a sufficienza la maternità. Nella società italiani
i figli sono precipitati in un cono d’ombra ».
Tutto negativo? Anfossi non può essere iscritto nelle schiere dei pessimisti a oltranza, anzi: «La
storia è come un pendolo. Non mi stupirei se presto fossero proprio quei figli, quei giovani ad andare alla
ricerca della stabilità perduta».
Altra conseguenza secondo Sivelli: «Nessuno più si scandalizza di fronte a una separazione o a un
divorzio. Nessuno giudica più i separati e i divorziati come persone inaffidabili e inadeguate. Quei tempi
sono davvero lontani. Eppure...». Eppure? «Accadono cose strane. La deriva consumistica non rende sempre
facile vivere la separazione, che è ambivalente. Da un lato c’è il desiderio di uscire dal vincolo, dall’altro di
permanere nella relazione matrimoniale». Fuggire dal nido al quale, però, rimanere in qualche modo 'fedele',
come se la stabilità fosse una necessità troppo forte, di cui è difficile sbarazzarsi.
Di fronte a uno «scenario del tutto diverso», a una società «plurale» in cui poco o nulla può essere
dato per certo e scontato, Garelli invita ad affrontare la novità con intelligenza e fede autentica, senza
minimizzare, ma neanche drammatizzare.
E Anfossi indica già 'frontiere' a lungo sottaciute nel mondo cattolico, come la sessualità: «Uno dei
cambiamenti importanti degli ultimi 40 anni è stata l’importanza sempre maggiore attribuita all’intesa
sessuale nella coppia. Credo che la sessualità vada studiata di più e meglio, omosessualità compresa. La
sessualità può sia corrompere sia esaltare la persona. Io ho fiducia nell’intelligenza dell’uomo e credo che
riusciremo a capire, e ad accogliere nel giusto modo, questa grande forza che è dentro ciascuno di noi».
13
Umberto Folena
avvenire
30 maggio 2014
www.finesettimana.org/pmwiki/uploads/RSt201405/140530folena.pdf
Crepet: “L'obiettivo? Minimizzare i danni, soprattutto per i figli”.
È un bene per tutti, a iniziare dai figli. Paolo Crepet, psichiatra e sociologo, non ha dubbi:
«L'accelerazione dei tempi della separazione è a vantaggio delle persone più deboli, che normalmente sono
le donne, quando subiscono violenza fisica o psicologica, e i bambini».
Ma loro, i bambini, sperano sempre che i genitori si rimettano insieme. Il divorzio breve non
interrompe questo sogno troppo presto?
«I bambini hanno bisogno soprattutto di certezze. Per loro il limbo della separazione in casa e poi
anche della separazione legale, quando ancora c’è contenzioso, è dannoso. È vero che i piccoli vorrebbero la
famiglia unita, ma devono capire e accettare che a decidere sono mamma e papà».
L’obiezione del cardinale Bagnasco è che tempi lunghi possano far decantare le emotività,
permettendo quindi decisioni più consapevoli.
«Dobbiamo immaginare che si arrivi alla separazione dopo averci pensato a lungo e attentamente.
Quindi una volta che la decisione è presa è inutile appesantire tutti con lungaggini burocratiche».
Non ritiene che i tempi rapidi dell’addio sbiadiscano la magia del matrimonio, quel «per sempre»
che dovrebbe rassicurare e confortare?
«Ma la realtà è altra cosa. E torno alla necessità per i bambini di non vivere in un clima di Far West.
La loro sicurezza è data dall’amore non dalla somma aritmetica dei componenti della famiglia».
Ci sono obiezioni, non solo cattoliche, sulla cultura oggi prevalente nella società che sembra
tendere a precarizzare i rapporti umani.
«Il problema non è cosa sarebbe giusto in assoluto e cosa sarebbe bello che accadesse, ma guardare
in faccia la realtà e minimizzare i danni. Parlo sulla base delle mie giornate di lavoro. I miei pensieri sono
basati sulla cronaca quotidiana. Pochi giorni fa una ragazza che ho in cura mi ha detto di aver capito che la
separazione dei genitori è stata un bene. Perché si è specchiata nella realtà della sua amica che ha avuto
genitori separati in casa. E questo non solo l’ha fatta soffrire ma l’ha danneggiata. Bisogna impedire a tutti i
costi la cronicizzazione dell’indifferenza».
intervista a Paolo Crepet, a cura di Maria Corbiin “ La Stampa” del 30 maggio 2014
www.finesettimana.org/pmwiki/uploads/RSt201405/140530crepetcorbi.pdf
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FISCO
È disponibile il bene sequestrato all’indagato che simula la separazione dalla moglie.
Corte di Cassazione, terza Sezione penale, sentenza n. 18307, 5 maggio 2014
La Corte di Cassazione ha confermato che, sebbene marito e moglie siano formalmente separati, ma
continuino a coabitare il medesimo immobile, tale stato di fatto non può comunque salvare la casa dalla
confisca per reati fiscali commessi da uno dei coniugi.
Nel caso oggetto della decisione della S.C. l’immobile oggetto di requisizione risultava intestato ad
una società di proprietà della moglie – separata – e del figlio di un contribuente considerato responsabile di
sottrazione fraudolenta di denaro dovuto al fisco per il pagamento di imposte.
Già il tribunale di prime cure aveva emesso il medesimo verdetto, che in sostanza viene confermato:
i giudici, infatti, hanno ribadito che il sequestro preventivo, che se convalidato si tramuta in confisca per
equivalente ai sensi dell’art. 322 ter c.p., può ben trovare applicazione in relazione a tutti quei beni che si
trovino nella disponibilità del soggetto sottoposto ad indagini.
Nella nozione di “disponibilità”, viene specificato, rientra ogni situazione nella quale qualsivoglia
bene sia riconducibile alla sfera degli interessi economici dell’indagato, da intendersi nel senso più ampio,
quindi anche se il potere dispositivo sugli stessi venga esercitato, come in questo caso, da moglie e figlio,
soggetti ufficialmente terzi rispetto alla vicenda.
I giudici, in buona sostanza, sono riusciti a desumere la disponibilità della casa, poi assoggettata alla
misura di prevenzione patrimoniale, proprio dal comportamento dei coniugi i quali, come detto, seppur
risultanti formalmente separati, continuavano a convivere; l’abitazione sequestrata, pertanto, non poteva non
risultare con tutta evidenza nella disponibilità dell’indagato, facendo così divenire irrilevante tanto un
provvedimento di omologazione della separazione consensuale – oppure una sentenza di separazione non
consensuale –, quanto la formale intestazione della stessa alla società ricorrente – tenuto anche conto della
circostanza che i soci della società intestataria corrispondevano ai propri congiunti moglie e figlio.
Giuliana Bano
Iusletter
13 maggio 2014
sentenza
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http://iusletter.com/casa-cointestata-e-coniugi-formalmente-separati-eppure-conviventi-il-sequestrodellimmobile-e-possibile/
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FORUM DELLE ASSOCIAZIONI FAMILIARI
La Commissione europea fugge il confronto coi due milioni di firme di “UnoDiNoi”.
«La decisione della Commissione europea di porre il veto sull’iniziativa UnoDiNoi lascia veramente
stupefatti, ma non ci sorprende» commenta Francesco Belletti, presidente del Forum.
«L’iniziativa ha raccolto quasi due milioni di firme di cittadini di tutti i 28 Paesi comunitari, una
partecipazione che nessuna delle similari iniziative finora realizzate ha raggiunto. Si tratta quindi di una
grande iniezione di democrazia diretta, di cui le Istituzioni europee avrebbero avuto un enorme bisogno.
«Eppure i burocrati della Commissione hanno preferito entrare a gamba tesa impedendo che le
richieste dei cittadini arrivassero alla discussione pubblica nell’unica sede scelta ed eletta dalla gente: il
Parlamento europeo. L’hanno fatto a Parlamento sciolto, impedendo che la delusione diffusa potesse essere
raccolta dai parlamentari. Proprio questo non ci sorprende: usando la forma delle procedure, i burocrati di
fatto usano ogni mezzo in loro possesso per non fare i conti con le richieste dei cittadini. Non ci sorprende,
ma fa crescere l'indignazione.
«Evidentemente l’intenzione era proprio che la domanda fondamentale posta da UnoDiNoi non fosse
posta pubblicamente e costringesse a dare una risposta. Quello che si è voluto impedire è che le Istituzioni si
pronunciassero sul livello di umanità del bambino non nato. Quei burocrati sanno bene che riconoscere che
l’embrione è uomo a tutti gli effetti fin dal concepimento sbarrerebbe la strada a potenti interessi ma sanno
anche che negare quella realtà farebbe crollare il castello propagandistico di un’Europa patria del diritto e dei
diritti. Eroderebbe insomma un altro pezzo di credibilità di Istituzioni già tanto lontane dalla gente.
«La domanda sull’umanità dell’embrione è alla base della più elementare condizione che rende veri i
diritti dell’uomo e cioè quella dell’eguaglianza senza limiti ed eccezioni, difendendo prima di tutto i più
deboli, i più piccoli, i più fragili, quelli senza voce. E chi più del bambino appena concepito è senza voce e
senza difesa? Questa era la domanda che è stata fatta emergere da UnoDiNoi.
«”Come le ondate penetrano ciascuna un po' più a fondo nell'arenile, così l'umanità avanza sul
cammino della storia” scriveva profeticamente la Populorum progressio» conclude Belletti. «Quella
domanda non potrà più essere messa a tacere ed interrogherà davanti alla storia il grande sogno europeo.
Sempre di più, e non sempre di meno. Nonostante le burocratiche ideologie.
Comunicato stampa
29 maggio 2014
www.forumfamiglie.org/comunicati.php?filtro=ultimi_30_giorni&comunicato=681
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ISTAT
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Rapporto annuale 2014 - La situazione del Paese
estratto
passim
Essere donne e madri al tempo della crisi
pag.15
Nel 2013 in Italia, il tasso di occupazione femminile 15-64 anni è pari al 46,5% (-12,2 punti rispetto
al valore medio dell’Ue28). In cinque anni (2008-2013), a fronte della forte riduzione
dell’occupazione maschile (-973 mila unità, -6,9%) le donne occupate sono diminuite di 11 mila
unità (-0,1%). La sostanziale tenuta dell’occupazione femminile è il risultato di un insieme di fattori:
da un lato il contributo delle occupate straniere, aumentate di 359 mila unità a fronte di un calo delle
italiane di 370 mila (-4,3%), dall’altro la crescita delle occupate con 50 anni e più (+613mila, circa il
30% in più) e, infine, l’incremento di quante entrano nel mercato del lavoro per sopperire alla
disoccupazione del partner.
Aumentano, infatti, le famiglie con donne breadwinner, ovvero quelle in cui la donna è l’unica ad
essere occupata: sono il 12,2% delle famiglie con almeno un componente 15-64 anni (erano il 9,4%
nel 2008), in confronto al 26,5% di quelle con unico breadwinner uomo (stabile rispetto a cinque
anni prima).
Tra le donne straniere, a fronte dell’aumento delle occupate di 15-49 anni (+233 mila in più rispetto
al 2008, +38,4%), si registra un calo del tasso di occupazione (dal 51,4% al 47,1% del 2013). In
presenza di figli la situazione delle straniere è ancora più critica: le madri straniere 15-49enni hanno
un tasso di occupazione (42,4%) di gran lunga inferiore non solo a quello delle madri italiane
(56,2%), ma anche a quello delle donne straniere che vivono sole (78,3%) o in coppia senza figli
(55%).
15
•
Peggiora la situazione di conciliazione dei tempi di vita delle donne. Cresce la quota di donne
occupate in gravidanza che non lavora più a due anni di distanza dal parto (22,3% nel 2012 dal
18,4% nel 2005), soprattutto nel Mezzogiorno dove arriva al 29,8%. Le più esposte al rischio di
lasciare o perdere il lavoro sono le neo-madri che lavoravano a tempo determinato (45,7% nel 2012),
quelle con titolo di studio basso (30,8%, rispetto al 12,3% delle laureate), le lavoratrici del
Mezzogiorno (29,8%). Inoltre, aumenta la quota di occupate con figli piccoli che lamentano le
difficoltà di conciliazione (dal 38,6% del 2005 al 42,7% del 2012).
• Poco più della metà delle neo-madri continua a contare prevalentemente sull’aiuto dei nonni quando
è al lavoro, ma cresce il ricorso al nido (35,2%, contro il 27,4%), soprattutto se privato (la cui
fruizione passa dal 13,9% del 2005 al 21,1% del 2012).
Le tendenze demografiche e trasformazioni sociali
pag.17
• Si vive sempre più a lungo ma resta bassa la propensione ad avere figli. Nel 2012 la speranza di vita
alla nascita è giunta a 79,6 anni per gli uomini e a 84,4 anni per le donne (rispettivamente superiore
di 2,1 anni e 1,3 anni alla media europea del 2012). Allo stesso tempo nel nostro Paese persistono
livelli di fecondità molto bassi, in media 1,42 figli per donna nel 2012 (media Ue28 1,58).
• L’indice di vecchiaia è tra i più alti al mondo. Al 1° gennaio 2013 nella popolazione residente si
contano 151,4 persone over65 ogni 100 giovani con meno di 15 anni. Tra i paesi europei solo la
Germania ha un valore più alto (158), mentre la media Ue28 è 116,6.
• Dal 2008 si è invertito il trend di crescita della natalità in atto dal 1995. Nel 2013 si stima che
saranno iscritti in anagrafe per nascita poco meno di 515 mila bambini, circa 64 mila in meno in
cinque anni e 12 mila in meno rispetto al minimo storico delle nascite registrato nel 1995.
• Le donne italiane in età feconda fanno pochi figli (in media 1,29 per donna) e sempre più tardi (a 31
anni in media il primo figlio). Inoltre sono sempre meno numerose per via dell’uscita dall’esperienza
riproduttiva delle “baby-boomers” e, più in generale, delle nate fino alla metà degli anni ’70. In
termini numerici, queste generazioni sono circa il doppio delle coorti di donne più giovani che
stanno entrando nel pieno della loro storia riproduttiva.
• La popolazione femminile straniera in età feconda sta rapidamente “invecchiando”: la quota di
donne straniere in età 35-49 anni, rispetto al totale delle donne straniere in età feconda (15-49 anni),
è aumentata di 6 punti percentuali dal 2005 al 2013, passando dal 41 al 47%. Pur mantenendosi su
livelli di fecondità decisamente più elevati di quelli delle donne italiane, il numero medio di figli per
donna delle cittadine straniere (2,37 nel 2012) è anch’esso in rapida diminuzione e il loro contributo
alla fecondità complessiva della popolazione si va progressivamente riducendo.
• Gli ingressi di cittadini stranieri si sono attenuati con la crisi, 321 mila nel 2012 (il 27,7% in meno
rispetto al 2007), mentre è in aumento il numero di stranieri che lasciano l’Italia, circa 38 mila
cancellazioni nel 2012 (+17,9% rispetto all’anno precedente).
• Sono sempre più numerosi gli italiani che si trasferiscono all’estero: aumentano gli espatri e calano i
rientri. Nel 2012 gli italiani di rientro dall’estero sono circa 29 mila, 2 mila in meno rispetto all’anno
precedente; al contrario, è marcato l’incremento dei connazionali che decidono di trasferirsi in un
paese estero. Il numero di emigrati italiani è pari a 68 mila unità, il più alto degli ultimi dieci anni, ed
è cresciuto del 35,8% rispetto al 2011.
• Le migrazioni interne dal Mezzogiorno verso il Centro-nord comportano un ingente trasferimento di
capitale umano: permane, infatti, un saldo migratorio sempre negativo che, in media, nel decennio
2003-2013 è pari a 87 mila unità all’anno.
• Prosegue l’aumento del numero di famiglie mentre diminuisce la loro dimensione. Dal 2006 al 2013
il numero totale di famiglie cresce del 7,6%, passando da 23 milioni (in media 2006-2007) a 25
milioni (in media 2012-2013). Contemporaneamente, prosegue la diminuzione del numero medio di
componenti per famiglia, che si attesta nel 2011 a 2,4, con punte massime in Campania (2,8) e
minime in Liguria (2,1).
• Alcune famiglie, tuttavia, si ricompattano. Un fenomeno emergente e proprio la crescita, tra il 20062007 e il 2012-2013, delle famiglie con due o più nuclei, che nell’ultimo periodo sono pari a 370
mila unità. Le persone di 15 anni e più che vivono in famiglie con più nuclei sono 1 milione e 567
mila (+ 438 mila unità nell’ultimo quinquennio). La ricompattazione delle famiglie si va realizzando
con il rientro dei figli nei nuclei genitoriali dopo separazioni, divorzi, emancipazioni non riuscite o
attraverso la coabitazione con parenti.
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•
La rete di parentela si modifica in seguito alle trasformazioni demografiche e sociali e sarà sempre
meno in grado di fornire aiuti ai suoi membri più fragili. L’invecchiamento della popolazione
comporta un aumento dei bisogni di cura da parte dei grandi anziani e per periodi della vita sempre
più dilatati ma, allo stesso tempo, diminuiscono le persone che possono fornire aiuti.
L’Italia è settima tra i 28 paesi Ue per la spesa per la protezione sociale (29,7% del Pil nel 2011
contro il 29% della media europea). L’Italia e pero uno dei paesi che destinano la quota più elevata
alla previdenza (oltre il 52% della spesa per la protezione sociale del 2011 contro il 40% della media
Ue28).
www.istat.it/it/files/2014/05/pillole.pdf
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MATRIMONIO
Perché sposarsi è una delle cose più belle che si possano fare?
In base agli studi socio-demografici, il matrimonio è molto più stabile e notoriamente più solido
dell'unione libera. La Chiesa cattolica affronta attualmente sfide enormi di fronte all'erosione della figura del
matrimonio in varie società, soprattutto occidentali. Per quello che si prevede, la proliferazione delle unioni
libere e dei divorzi sarà uno dei temi morali che verranno affrontati nel Sinodo sulla Famiglia – che si
svolgerà agli inizi di ottobre in Vaticano –, ha osservato Fernando Pliego, ricercatore sociale su temi come
la famiglia.
In base agli studi sociologici, “si constata una diminuzione molto consistente della popolazione che
si sposa, e un aumento consistente dell'unione libera. Ci sono alcuni Paesi in cui la relazione si è invertita:
hanno già più unioni libere che matrimoni”. “Si tratta di una realtà di grande rilievo in vista di qualsiasi
decisione che la Chiesa cattolica possa prendere sul matrimonio e sulla vita delle famiglie”, ha specificato
Pliego basandosi sulle ricerche svolte a livello mondiale sulle quali basa i suoi studi. A suo avviso, “è
opportuno che il Sinodo compia un'analisi adeguata della realtà”.
“I matrimoni sono più solidi”
L'esperto ha compiuto una distinzione tra il matrimonio e le ragioni per le quali l'unione libera spesso
fallisce, segnalando che la proliferazione di questo tipo di unioni, che oggi si verifica con maggiore
frequenza tra i giovani, “è un problema per la Chiesa cattolica e per chiunque sia interessato a rafforzare il
vincolo tra uomo e donna”. Per Pliego, si potrebbe analizzare a livello pastorale ciò che si può fare per molte
persone che sono unite ma non arrivano al matrimonio né funzionano in quanto tale, perché la situazione di
queste coppie può sfociare in condizioni difficili, come l'aggressione.
Nel matrimonio, ha osservato, “si ha un progetto chiaro di una comunità di aiuto, d'amore, di
cooperazione; l'aspettativa e la speranza sono molto forti, per questo il matrimonio è più solido. Ha molta più
chiarezza, e in base agli studi socio-demografici è molto più stabile e notoriamente più solido dell'unione
libera”. “Il matrimonio ha forza perché comporta un'aspettativa, sempre che si parli di un matrimonio per una
religione, come la Chiesa cattolica. Chi ha un'unione libera si separa molto più facilmente di chi è sposato”.
Pliego fa poi notare che “gli studi socio-demografici devono tener conto del fatto che non tutte le
unioni libere sono uguali, e questo permetterebbe di avere tre stili di lavoro con i giovani”.
Cita quindi tre tipi di unione libera:
1. quella che è il risultato di una relazione casuale, senza aspettative né progetti per il futuro;
2. quella che si ritiene come una prova
3. quella in cui i giovani dicono: “Non ci sposiamo ora perché dobbiamo racimolare un po' di soldi e
farci una casa una volta finiti gli studi, e poi ci sposiamo”, ma “è un'unione libera con l'aspettativa
di formare una famiglia e di avere un progetto di vita condivisa”.
Questo tipo di unione libera è una sorta di “matrimonio naturale”, in cui il ragazzo e la ragazza hanno un
patto profondo di vita ma non c'è ancora un epilogo in un impegno formale con implicazioni istituzionali.
Francisco Luna Macías, ricercatore nell’Istituto di Ricerche Sociali dell’Università del Messico (UNAM),
Aleteia
traduzione a cura di Roberta Sciamplicotti 30 maggio 2014
www.aleteia.org/it/stile-di-vita/articolo/perche-sposarsi-e-meglio5849146191773696?utm_campaign=NL_It&utm_source=daily_newsletter&utm_medium=mail&utm_
content=NL_It-31/05/2014
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MINORI
Giudice per i provvedimenti sul minore con doppia cittadinanza è quello del paese di residenza.
Corte di Cassazione – Sezioni civili unite - Sentenza n. 11915, 28 maggio 2014.
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Così stabiliscono le Sezioni Unite civili che respingono il ricorso di un padre italiano contro la
decisione di merito che deferiva la controversia alle autorità di Cuba, paese d’origine del bimbo.
La Corte di merito, in considerazione del fatto che il piccolo fosse nato e avesse trascorso i primi
mesi di vita nel paese centroamericano, aveva dichiarato la propria incompetenza ad assumere
provvedimenti, devolvendo il caso alle autorità straniere.
Il minore, dopo aver vissuto a Cuba con la mamma ed i nonni, si era poi trasferito in Italia al seguito
della donna, provvista di un visto turistico.
Ma, secondo i giudici, ciò che rileva ai fini della determinazione della competenza ad emettere
provvedimenti de potestate è il Paese dove il piccolo aveva la residenza al momento della proposizione della
domanda; inoltre, ad avviso del supremo consesso di legittimità, la madre rappresenta senza dubbio la figura
essenziale di riferimento. Perciò la controversia è stata devoluta ai giudici cubani.
Lucia Nacciarone
diritto.it
30 maggio 2014
www.diritto.it/docs/5090465-il-giudice-competente-per-i-provvedimenti-sul-minore-con-doppiacittadinanza-quello-del--paese-di-residenza?source=1&tipo=news
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NATALITÀ
Fare un figlio ora è una sfida.
Non riprende l'economia, non riprendono le nascite. La difficoltà a riprodurre il capitale umano del
nostro paese, nonostante il contributo degli immigrati, è la conseguenza dell'impossibilità a dar corso al
desiderio di maternità e paternità sperimentata ormai da molti giovani italiani. L'incertezza sul fronte
dell'occupazione costringe a rimandare l'uscita dalla famiglia e i progetti per il futuro.
C'è anche la consapevolezza che un figlio in più può mettere a rischio economie famigliari fragili.
Per le donne, poi, ci sono due vincoli in più: il rischio di non vedersi rinnovare un contratto dopo una
maternità e le difficoltà di conciliare cura dei figli e lavoro in un paese dove i servizi per l'infanzia sono
insufficienti e costosi, le scuole a tempo pieno in via di riduzione e i calendari scolastici ignari dei problemi
di organizzazione famigliare. L'insieme di queste difficoltà è forte nel Mezzogiorno, che ha oggi il primato
dell'area territoriale non solo più povera e a più bassa occupazione femminile e a più alta presenza di NEET,
[acronimo inglese di "Not (engaged) in Education, Employment or Training"[1], utilizzato in economia e
in sociologia del lavoro per indicare individui che non sono impegnati nel ricevere un'istruzione o una
formazione, non hanno un impiego né lo cercano, e non sono impegnati in altre attività assimilabili, quali
ad esempio tirocini o lavori domestici].ma anche a più bassa fecondità. A conferma che non è l'occupazione
femminile a comprimere le nascite, ma al contrario la mancanza di occupazione e di possibilità di conciliarla
con i figli.
Chiara Saraceno
la repubblica 29 maggio 2014, pag. 22.
http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2014/05/29/fare-un-figlio-ora-e-unasfida22.html?ref=search
Sigo, crisi colpisce anche culle, servono misure a sostegno maternità.
“La crisi si sente anche in questo campo”. A commentare così i dati Istat che indicano un minimo
storico per le nascite nel 2013, con 515.000 bebè, ben 12.000 in meno rispetto al ‘95, è Paolo Scollo,
presidente nazionale Sigo (società italiana ginecologia e ostetricia), a margine del congresso della Società di
contraccezione e salute riproduttiva in corso a Lisbona. “In questo momento di crisi è difficile per le famiglie
andare avanti con un solo reddito, come invece si faceva 20 anni fa, e molte donne oggi lavorano per
necessità. Il timore di perdere un impiego porta a rinviare il più possibile il momento della gravidanza. Così i
figli si fanno sempre meno e sempre più tardi riflette Scollo - Quando poi sembra arrivato il momento adatto,
l’età è avanzata e la fertilità ridotta.
E ormai il trend sembra aver ‘contagiato’ anche le immigrate”.
Secondo l’esperto Sigo, “il dato Istat mostra come sia opportuno offrire misure a sostegno della
maternità e della famiglia. Ce n’è davvero bisogno”.
la salute in pillole
30 maggio 2014
www.lasaluteinpillole.it/salute.asp?id=18895
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PARLAMENTO
Camera Deputati Assemblea
Divorzio breve
Discussione del testo unificato delle proposte di legge: Amici ed altri; Centemero ed altri;
Moretti ed altri; Bonafede ed altri; Di Lello ed altri; Di Salvo ed altri: Disposizioni in materia di
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scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio nonché di comunione tra i coniugi (A.C.
estratti
passim
831-892-1053-1288-1938-2200-A)
Lunedì 26 maggio 2014 la Camera svolge la discussione del testo unificato delle proposte di legge.
Luca D'Alessandro, relatore. (…) L'articolo 1 del testo in esame, in caso di separazione giudiziale,
riduce a dodici mesi la durata del periodo di separazione ininterrotta dei coniugi che legittima la domanda di
divorzio e fa decorrere tale termine dalla notificazione della domanda di separazione. In applicazione del
principio di economia processuale, e tenuto conto della possibilità che il tribunale emetta una sentenza non
definitiva di separazione, si prevede che, qualora alla data di instaurazione del giudizio di scioglimento o di
cessazione degli effetti civili del matrimonio sia ancora pendente il giudizio di separazione con riguardo alle
domande accessorie, la causa è assegnata al giudice della separazione personale. La ratio della norma è di
consentire che lo stesso giudice della separazione, che già conosce le questioni personali ed economiche
relative ai coniugi, sia chiamato a conoscere anche della causa di divorzio relativa ai medesimi soggetti:
causa che presenterà questioni analoghe, se non identiche. L'ultimo periodo dell'articolo 1 riduce a sei mesi il
periodo di separazione ininterrotta dei coniugi che permette la proposizione della domanda di divorzio nel
caso in cui la separazione sia consensuale.
Si ricorda che l'articolo 711 del codice di procedura civile, in relazione alla separazione consensuale,
fa riferimento sia all'ipotesi in cui il ricorso sia presentato da entrambi i coniugi sia a quella in cui sia
presentato da uno solo. Si è quindi previsto che il termine di sei mesi decorra dalla data di deposito, qualora
il ricorso sia presentato da entrambi i coniugi, ovvero dalla data della notificazione del ricorso, qualora esso
sia presentato da uno solo dei coniugi. Si ha quindi, complessivamente, sia per la separazione giudiziale che
per quella consensuale, non solo una riduzione del termine per la presentazione della domanda di divorzio
(da 3 anni a 1 anno, nel primo caso, e da 3 anni a 6 mesi, nel secondo), ma anche un'anticipazione del
relativo dies a quo, che, secondo la disciplina vigente, decorre dalla comparizione dei coniugi innanzi al
presidente del tribunale. Nella scelta del nuovo dies a quo si è tenuto conto dell'interesse del coniuge
convenuto o, comunque, del coniuge che non ha assunto l'iniziativa della separazione, a conoscere
quantomeno l'esistenza della domanda di separazione.
Nel caso della separazione consensuale, se il ricorso è presentato da entrambi i coniugi, entrambi
hanno assunto, congiuntamente e consapevolmente, l'iniziativa di separarsi e, quindi, il dies a quo può
decorrere dalla data di deposito del ricorso, non sussistendo l'esigenza di garantire a uno dei due coniugi la
conoscenza dell'iniziativa di separarsi assunta dall'altro. Quando il ricorso è presentato da uno solo dei
coniugi, si è invece preferito far decorrere il termine dalla notificazione all'altro coniuge del ricorso stesso e
del decreto che fissa la data dell'udienza presidenziale, anche tenendo conto del fatto che, nel ricorso
presentato da uno solo dei coniugi, possono essere contenute le modalità, eventualmente già concordate,
della separazione, ma è comunque sufficiente l'asserzione che si è raggiunto l’accordo o che si ritiene che
esso possa essere raggiunto. Nella separazione giudiziale, proprio in considerazione della sua natura
contenziosa e dell'esistenza di un coniuge convenuto in senso tecnico, il dies a quo decorre dalla
notificazione della domanda.
Nel corso dell'esame in Commissione e, in particolare, all'esito delle audizioni svolte, si è optato per
una formulazione che non prevedesse alcuna differenziazione del termine in questione in relazione alla
presenza o meno di figli minori. In caso di separazione giudiziale non è sembrato utile prevedere un termine
più ampio in presenza di figli minori. Trattandosi, infatti, di una forma di separazione caratterizzata spesso
da accesa conflittualità e da rarissimi casi di riconciliazione, si è ritenuto che la riduzione del termine per la
proposizione della domanda di divorzio da tre anni ad un anno potesse tradursi in una complessiva riduzione
del periodo conflittuale e, quindi, in un minor danno per i figli minori. Nel testo base adottato dalla
Commissione, infatti, solo nel caso di separazione consensuale si prevedeva che, in presenza di figli minori,
il termine potesse essere più lungo (sia pure di poco: dodici mesi anziché nove mesi).
Hanno finito, tuttavia, per prevalere altre più convincenti argomentazioni che hanno indotto la
Commissione a superare questa formulazione e a prevedere un termine unico ulteriormente abbreviato (sei
mesi) e indipendente dalla presenza di figli minori. In particolare, si è ritenuto che neanche nella separazione
consensuale l'estensione del periodo di separazione possa in alcun modo giovare ai figli minori, poiché il
periodo della lotta giuridica tra genitori è sempre troppo lungo per i figli. Si è, inoltre, osservato come
l'interesse del minore nel contesto della crisi di coppia sia già ampiamente tutelato dal nostro ordinamento
giuridico, soprattutto dopo l'entrata in vigore della legge n. 54 del 2006 sull'affido condiviso, che tende a
garantire il diritto alla bigenitorialità dei minori e a delimitare la conflittualità delle coppie nel momento
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della crisi coniugale, dettando una disciplina unica circa la sorte dei figli nella crisi familiare e mettendo,
quindi, in discussione il doppio binario tra disciplina della separazione e disciplina del divorzio.
L'articolo 2 integra la formulazione dell'articolo 189 delle disposizioni di attuazione del codice
processuale civile, in base al quale l'ordinanza presidenziale conserva la sua efficacia anche dopo l'estinzione
del processo finché non sia sostituita con altro provvedimento emesso dal presidente o dal giudice istruttore,
a seguito di una nuova presentazione di ricorso per separazione personale dei coniugi. Nella pratica può
accadere, infatti, che il presidente del tribunale, nell'adottare i provvedimenti provvisori, stabilisca un regime
della separazione ritenuto soddisfacente o almeno accettabile dai coniugi. Non è infrequente, allora, che i
coniugi trascurino di costituirsi o comunque di comparire alle udienze, lasciando che il giudizio entri nella
fase di quiescenza che conduce all'estinzione. La ratio del citato articolo 189, secondo comma, è dunque nel
senso di consentire che il regime di separazione provvisoria possa protrarsi indefinitamente.
La modifica introdotta prevede che tale ordinanza, emessa nell'ambito della fase presidenziale del
giudizio di separazione personale tra i coniugi, caratterizzata dalla permanenza degli effetti in caso di
estinzione del giudizio medesimo, possa essere sostituita anche da un provvedimento del giudice del
divorzio, in seguito alla presentazione di ricorso per la cessazione degli effetti civili o per lo scioglimento del
matrimonio. Sebbene si tratti di ipotesi residuali, la disposizione che si intende introdurre è destinata ad
avere rilievo nei casi in cui il giudizio di separazione si estingua per inattività delle parti dopo che sia stata
pronunciata già una sentenza di separazione sullo status.
L'articolo 3 del provvedimento modifica l'articolo 191 del codice civile, relativo allo scioglimento
della comunione dei beni tra i coniugi. Tale disposizione prevede la separazione personale come uno dei
motivi di scioglimento della comunione, il cui momento effettivo si verifica ex nunc, secondo la
giurisprudenza costante, solo con il passaggio in giudicato della sentenza di separazione.
Tale previsione non è risultata adeguata alla realtà quotidiana, poiché la permanenza degli effetti
patrimoniali della comunione legale difficilmente si concilia con l'interruzione della convivenza. Si ricorda,
infatti, che la cessazione della convivenza, ancorché autorizzata con i provvedimenti provvisori, non osta a
che i beni successivamente acquistati dai coniugi medesimi ricadano nella comunione legale, ai sensi della
disciplina specificamente prevista dal codice civile.
L'articolo 3 integra la formulazione del comma 2 dell'articolo 191 anticipando lo scioglimento della
comunione dei beni al momento in cui il presidente del tribunale, in sede di udienza di comparizione,
autorizza i coniugi a vivere separati, ovvero alla data di sottoscrizione del verbale di separazione
consensuale, se omologato.
È poi aggiunta allo stesso comma 2 una disposizione di natura procedurale secondo cui devono
essere comunicate all'ufficiale dello stato civile, per l'annotazione sull'atto di matrimonio, la domanda di
separazione, se i coniugi sono in comunione dei beni, e l'ordinanza del presidente del tribunale che autorizza
i coniugi a vivere separati. Un'ultima integrazione al secondo comma dell'articolo 191 anticipa il momento
della domanda di divisione dei beni.
L'articolo 4 del testo in esame detta una disciplina transitoria secondo cui la disciplina dell'articolo 1
del provvedimento, ovvero quella sulla riduzione dei tempi di proposizione della domanda di divorzio, si
applica alle domande di divorzio proposte dopo la data di entrata in vigore del provvedimento in esame,
anche in caso di pendenza alla stessa data del procedimento di separazione personale. (…)
Oggi, infatti, stiamo discutendo di un'altra vicenda: non di matrimonio e di famiglia, ma di rimedi e
soluzioni e di come facilitare la vita a chi non ha avuto un matrimonio ideale, o semplicemente normale, e
che cerca una soluzione di vita che probabilmente si riflette anche su altre persone. Una proposta di legge di
questo genere non solo non è contro il matrimonio, ma è addirittura a favore dello stesso, perché agevola
anche la ricostituzione di matrimoni possibili e futuri. Infatti, molto spesso ad attendere le sentenze di
divorzio ci sono coppie che si sono già formate e che magari hanno figli, e che avrebbero anche diritto, in
uno Stato civile come l'Italia, a vedere che anche i loro problemi venissero affrontati con la dovuta
sensibilità, ma anche con i tempi adeguati.
La principale obiezione che ha interferito finora sulla modifica della legge del 1970 è stata quella
secondo cui l'abbreviazione dei tempi di divorzio rende più fragile l'istituto familiare. In realtà c’è la prova
statistica che i tempi lunghi dello scioglimento del matrimonio alimentano il conflitto, più che la riscoperta di
solidarietà tra i coniugi. Ci sono sia dati dell'ISTAT che confermano questo dato, sia Pag. 6un sondaggio
dell'Eurispes, svolto 2 giorni fa, secondo cui 1'84 per cento degli intervistati è favorevole al divorzio breve.
(…)
In calce a pag. 53, il testo integrale della relazione.
Alessandra Moretti, relatore. (…) Questo vuole essere un provvedimento che, finalmente, arriva
in Aula dopo tanti anni di discussione nel rispetto delle legittime aspettative e anche delle legittime
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sensibilità che in ciascun gruppo parlamentare sono espresse. Ma il lavoro che la Commissione giustizia ha
svolto, anche con riguardo agli emendamenti presentati da tutte le forze politiche, è stato un lavoro teso a
sottolineare la coralità del provvedimento, che non vuole essere un provvedimento di una parte soltanto, ma
vuole essere un provvedimento di tutto il Parlamento. (…)
Allora, credo che, con il provvedimento sul divorzio breve, noi vogliamo affermare un principio, che
è quello della salvaguardia della cultura della famiglia, che deve sopravvivere anche laddove la coppia non
riesce più a stare insieme, perché è finita la condivisione di affetti tra marito e moglie. Credo quindi che
questo provvedimento sia importante, perché va finalmente a sminare la cultura del contenzioso, che troppo
spesso ha caratterizzato e continua a caratterizzare le cause di separazione e divorzio, vedendo purtroppo
anche utilizzare da parte dei coniugi i figli come strumenti di lotte e di rivendicazione l'uno contro l'altro.
Allora, io credo che questo provvedimento vada non solo visto e letto in favore della famiglia – che,
ripeto, deve resistere anche quando la coppia fallisce – ma, riducendo il conflitto tra coniugi, va senz'altro
anche a ridurre la sofferenza da parte dei figli, quando questi ci sono.
Senza dimenticare, signor Presidente, che questo provvedimento sul divorzio breve, nei tempi che
sono stati indicati dal collega D'Alessandro – quindi una riduzione addirittura a sei mesi, qualora la coppia
decida di intraprendere il percorso di separazione, divorzio in sede consensuale –, ha un effetto importante in
quanto accompagna i coniugi ad assumere responsabilmente delle scelte nell'interesse della famiglia. Quindi,
incentiva la cultura della condivisione disinnescando la cultura del contenzioso. Credo che in questo senso
noi dobbiamo difendere la famiglia come luogo di relazioni ed affetti che deve – ribadisco – essere garantita
soprattutto quando ci sono i bambini. È evidente che i figli vogliano i genitori insieme: nessun figlio chiede
ai genitori di separarsi. Però, è anche vero che, quando l'amore finisce, tra una coppia deve resistere la
cultura della famiglia, che è un ambiente in cui i figli hanno diritto di restare e, soprattutto, deve essere
garantita la bigenitorialità e, quindi, il fatto che i genitori continuino ad assumersi nei confronti dei loro figli
il ruolo di genitori. (…)
Credo sia compito di questo Parlamento, che è il Parlamento più giovane e più rosa della storia della
Repubblica, e anche di un Governo che è il primo Governo paritario della storia della Repubblica, dare
risposta a centinaia di migliaia di famiglie che sono in attesa anche di risposarsi, quindi di contrarre un nuovo
matrimonio perché magari uno dei due nella coppia, o entrambi, sono in attesa di questa sentenza. Pertanto
noi, con questo provvedimento, facciamo un servizio a favore della famiglia, a favore della cultura della
famiglia come luogo sacro in cui si crescono relazioni affettive e grazie alla quale ai figli è garantita una
crescita serena ed equilibrata
Intervengono i deputati Fabrizia Giuliani, Giovanni Carlo Fancesco Mottola, Eugenia
Roccella, Tancredi Turco, Irene Tinagli, Franco Bordo, Pia Elda Locatelli …«solo il 2 per cento delle
coppie che si separa poi si riconcilia e torna a vivere insieme. Chi si rivolge al tribunale ha già maturato una
scelta con convinzione, quindi, non possiamo che prenderne atto.»
www.camera.it/leg17/410?idSeduta=0233&tipo=stenografico#sed0233.stenografico.tit00040.sub00010
Giovedì 29 maggio 2014 la Camera approva il testo unificato delle proposte di legge “Disposizioni
in materia di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio nonché di comunione tra i
coniugi.”, con 381 voti favorevoli, 30 contrari (gli astenuti sono stati 14). Il testo ora passa all’esame
del Senato
Presidenza del vicepresidente Luigi Di Maio. Ricordo che nella seduta del 26 maggio 2014 si è
conclusa la discussione sulle linee generali e i relatori e il rappresentante del Governo hanno rinunciato ad
intervenire in sede di replica. (…)
La Presidenza non ritiene ammissibili, (…), le seguenti proposte emendative, non previamente
presentate in Commissione, in quanto estranee rispetto al contenuto del provvedimento (…)
Fabrizio Di Stefano 01.050, che prevede un percorso di mediazione familiare volto a rimuovere le
cause che hanno portato alla crisi coniugale e a favorire la predisposizione di un apposito piano
genitoriale;
Fabrizio Di Stefano 1.051 e 1.053, relativi anch'essi alla previsione di un piano genitoriale
nell'ambito della procedura per lo scioglimento del matrimonio; Fabrizio Di Stefano 1.050, volto a
modificare la procedura di conciliazione tra i coniugi.
Luca D'Alessandro La Commissione esprime parere contrario sull'emendamento Fabrizio Di Stefano
1.50. Intervengono Ettore Rosato, Simone Baldelli. La Camera respinge.
Esame dell’articolo 1. Intervengono: Antonio Palmieri ..«il punto fondamentale, da un pronto di vista
culturale è questo, cioè che il divorzio non può essere inteso come un diritto, ma è un’extrema ratio, cioè non
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può essere inteso come un momento al quale tutti devono poter accedere con la massima rapidità e
semplicità, ma deve essere, come prevede la legge del 1970, l'esito finale di un cammino o comunque di un
tentativo di mettere insieme la famiglia e di tenere insieme la coppia, perché è evidente che la convenienza
(la convenienza nel senso più ampio e migliore del termine) per la nostra società sia quella di avere famiglie
stabili, nelle quali coloro i quali contraggono liberamente il patto matrimoniale siano da un lato consapevoli
degli impegni che si prendono e dall'altro lato siano aiutati a tenere duro.», Alessandra Moretti «Infatti, il
provvedimento sul divorzio breve che, …ha proprio l'intenzione di capire le mutazioni e i mutamenti che
sono intervenuti nell'ambito della società e anche nell'ambito della famiglia e ha l'obiettivo principale di
sminare la cultura del contenzioso che, purtroppo, produce la lunghezza del tempo giudiziario. Sminare la
cultura del contenzioso significa indebolire anche la conflittualità tra i coniugi e significa, in particolare,
difendere la cultura della famiglia che deve sopravvivere anche nei momenti in cui la coppia decide di non
stare più insieme. Questo per noi è un principio e un valore fondamentale, cioè la famiglia deve resistere al di
sopra di tutto, soprattutto quando evidentemente ci sono dei figli minori. Questa è la cultura sottesa a questo
provvedimento, provvedimento sul quale abbiamo discusso e si sono espresse tutte le anime, anche quelle
che hanno delle legittime perplessità. Però, ascoltando chi si occupa tutti i giorni di questi temi, noi abbiamo
proprio cercato, invece, di aiutare la coppia a sciogliere un legame e un vincolo cercando, però, di non
perdere quel sentimento familiare che è fondamentale soprattutto quando ci sono figli minori.»: Paola
Binetti «… Due cose, però, mi preme di far notare. Innanzitutto, mi sono stupita che un disegno di legge di
questo genere non sia passato per un parere altrettanto autorevole della Commissione affari sociali, nel senso
che mi sembra che i problemi che si pongono per la famiglia, in particolare anche quelli relativi ai minori,
non possono essere affrontati esclusivamente nell'ottica di tipo giudiziario ed esclusivamente nell'ottica di un
contenzioso che crea drammatica tensione tra le coppie. …Io non credo che l'accorciamento del tempo come
unità di misura della riduzione del contenzioso garantisca, invece, i figli e anche la cultura della dinamica
familiare che vuole guardare alla ricostruzione dei legami e, quindi, in qualche modo anche alla
riconciliazione, al perdono, all'ottica del ricominciare. Noi qui escludiamo a priori e in ogni modo che ci
possa essere un ripensamento sulle cose. Diamo per scontato che la situazione è drammatica, negativa e
definitoria e non abbia alcun altro spazio. Ecco, io credo che questo disegno di legge meritasse un
approfondimento anche dal punto di vista del bambino e non soltanto dal punto di vista, per così dire,
dell'avvocato. » Massimiliano Fedriga, Alessandro Pagano «…mai è stato esaminato il punto di vista del
più debole: perché nessuno tiene in debita considerazione che c’è un soggetto debole in tutta questa vicenda,
e cioè il minore, il bambino, colui che evidentemente soffre più di tutti della separazione. …Non è così
perché i «tempi supplementari», in casi come questi, non sono una frase fatta, servono per far riflettere le
coppie di buon senso, servono a far capire concretamente che c’è la possibilità di superare tutto compresi i
momenti difficili. … A leggere i dati ISTAT del 2012 si scopre che il 40% delle separazioni pronunciate dal
1998 al 2010 non è mai sfociato in un divorzio: sono rimaste separazioni. Perché separazioni e non divorzi
… Perché, evidentemente, nell'interesse del bambino, nell'interesse anche del rapporto della coppia, si
raggiunge un grado – uso una frase che spesso sentiamo dire – di civiltà. Quante volte si sente dire: abbiano
un rapporto civile io e mio marito; io e mia moglie abbiamo un rapporto civile: quante volte abbiamo sentito
dire questo ?» Emanuele Prataviera, Daniele Farina, Mario Marazziti, Alfonso Bonafede.
Si passa alle votazioni. Approvato.
Esame dell’articolo 2. Intervengono: Gian Luigi Gigli «…Il problema è che qui passa invece un'altra
idea di famiglia, passa l'idea di famiglia come di un fatto privato, meramente privato. La famiglia è
certamente anche un fatto privato, ma ha anche un rilievo di carattere pubblico, di carattere sociale. Le
ricadute dello sgretolamento dell'istituto familiare hanno a che fare anche con la tenuta di tutta la società, e
non solo per quanto riguarda i minori; hanno a che fare anche con la tenuta della società per quanto riguarda,
per esempio, la funzione di ammortizzatore sociale importante che la famiglia svolge….», Antonio Palmieri
Si passa alle votazioni. Approvato.
Esame dell’articolo 3. Intervengono: Alessandra Moretti, Alessandro Pagano, Antonio Palmieri
«Noi dobbiamo fare tutti gli sforzi per sostenere la coppia e invitarla a tenere duro. Per esempio, non è stato
detto che in Inghilterra e in Galles, se non ci sono motivazioni oggettive per arrivare al divorzio e c’è solo la
volontà dei coniugi, è previsto per gli sposi un percorso obbligatorio di mediazione familiare, proprio per
aiutarli a trovare una soluzione….», Alessandro Pagano «Uno studio americano, The case for marriage,
ripreso in Italia e ripetuto pari pari da un punto di vista sondaggistico. Lo dico virgolettato: «Su un campione
di persone le quali consideravano infelice il proprio matrimonio, cinque anni più tardi – superato il momento
di crisi, superato il momento in cui si tiravano i piatti addosso –, il 64% di coloro che erano rimasti assieme
dichiarava che il loro matrimonio era poi nel frattempo diventato molto felice….Sempre lo stesso studio
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americano, riconfermato dagli italiani, dice che il 19% di quelli che, invece, hanno litigato e che poi si sono
rifatti altre situazioni matrimoniale sono molto felici. Quindi, attenzione, solo il 19% di quelli che hanno
chiuso una relazione e ne hanno riaperta un'altra si dichiara felice e il 64% di quelli che, invece, hanno avuto
la forza di resistere, di pensare che, forse, vi era un figlio, che, forse, dall'altra parte, la persona con cui si era
stati una vita non era poi così male, e se la tengono per un po’, nonostante le difficoltà, dopo un po’ dicono:
«meno male che sono rinsavito, perché oggi sono molto felice».» Fabrizio Di Stefano.
Esame dell’articolo 4. Intervengono: Antonio Palmieri, Eugenia Roccella, Paola Binetti, Gian
Luigi Gigli.
Dichiarazioni di voto finale. Intervengono Marco Di Lello, Renate Gebhard, Mario
Sberna, Emanuele Prataviera. (presidenza del vicepresidente Roberto Giachetti), Ignazio La
Russa, Stefano. Marisa Nicchi, Luca D’Alessandro, Alfonso Bonafede, Alessia Morani, Luca
Squeri, Alessandro Pagano, Eugenia Roccella, Gianluca Buonanno, Raffaele Calabrò,
Massimiliano Fedriga, Alessandra Moretti.
Votazione finale. 14 astenuti, 381 sì, 30 no.
www.camera.it/leg17/410?idSeduta=0236&tipo=stenografico#sed0236.stenografico.tit00010
“Nessuno, nel corso della discussione, si è mai chiesto come aiutare le famiglie prima della crisi
con adeguati servizi di assistenza alla coppia ed alla famiglia, con consultori, servizi di
accompagnamento psicologico, interventi di criss management e di mediazione familiare.
Sembra quasi che la stabilità coniugale che pure a parole è definita un valore e un bene
comune da promuovere e tutelare, di fatto venga considerata un optional. Conseguenza è che
non si fa nulla per evitare la dissoluzione delle famiglie che è un vero e proprio dramma
sociale”.
Francesco Belletti
Camera Deputati 2° Commissione Giustizia Cognome dei figli
Martedì 27 maggio 2014 Esame del pdl “Disposizioni in materia di attribuzione del cognome ai
figli, in esecuzione della sentenza della Corte europea dei diritti dell'uomo 7 gennaio 2014”. C. 360
Laura Garavini (PD), C. 1943 Marisa Nicchi (SEL) e C. 2123 Governo Letta, in sede referente.
Michela Marzano (PD), relatore, si sofferma preliminarmente sul quadro normativo nazionale in
tema di attribuzione del cognome ai figli e, quindi, sulle fonti sovranazionali quale la Carta di Nizza, la
Convenzione sull'eliminazione di tutte le forme di discriminazione nei confronti della donna e le
raccomandazioni in materia del Consiglio d'Europa.
Ricorda le disposizioni della Convenzione EDU la cui violazione ha portato a una recente condanna
dell'Italia da parte della Corte europea dei diritti dell'uomo per violazione degli articoli 8 e 14 della
Convenzione; tali disposizioni riguardano, rispettivamente, il diritto al rispetto della vita privata e familiare
(norma che involge comunque ogni aspetto dell’identificazione personale) e il divieto di ogni forma di
discriminazione. In particolare, la sentenza 7 gennaio 2014 della CEDU (Cusan e Fazio c. Italia) ha definito
la preclusione all'assegnazione al figlio del solo cognome materno una forma di discriminazione basata sul
sesso che viola il principio di uguaglianza tra uomo e donna.
Sottolinea, inoltre, come la giurisprudenza della Corte costituzionale sul punto non si sia mai
espressa in maniera esplicita, pure affermando che l'attuale sistema di attribuzione automatica del cognome
paterno ai figli legittimi è il «retaggio di una concezione patriarcale della famiglia, la quale affonda le
proprie radici nel diritto di famiglia romanistico, e di una tramontata potestà maritale, non più coerente con i
principi dell'ordinamento e con il valore costituzionale dell'uguaglianza tra uomo e donna» (sentenza n.
61/2006).
Rileva inoltre come, al contrario della Consulta, la Corte di Cassazione più volte si sia espressa
sull'attribuzione al figlio del solo cognome paterno, pur in prevalente riferimento al caso di filiazione
naturale il cui riconoscimento da parte dei genitori sia avvenuto in momenti diversi. Focalizzando
l'attenzione sul supremo interesse del figlio, la Suprema Corte ha ritenuto che nell'attribuzione del cognome
al figlio vada evitata ogni automaticità al fine di evitare un danno alla sua identità personale. Ancor più
esplicitamente, la Cassazione ha espresso l'opinione che l'attribuzione al figlio del solo cognome paterno sia
ormai antistorica (oltre che in contrasto con le fonti sovranazionali), segnalando la necessità di un intervento
del legislatore (sent. 16093 del 2006).
Ricorda come nella scorsa legislatura la Commissione Giustizia della Camera abbia esaminato
alcune proposte di legge di iniziativa parlamentare volte alla modifica della disciplina relativa all'attribuzione
del cognome al figlio (A.C. 36 e abb.). Il relatore del provvedimento in Commissione (on. Giulia
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Bongiorno) aveva elaborato un testo unificato (del quale la Commissione non ha concluso l'esame) in base
al quale i figli assumevano il cognome di entrambi i genitori. Al figlio legittimo veniva attribuito il doppio
cognome secondo l'ordine concordemente deciso con dichiarazione resa allo stato civile (in mancanza di
accordo, valeva l'ordine alfabetico); il figlio naturale assumeva il cognome del genitore che per primo lo
aveva riconosciuto e, nel caso di riconoscimento contemporaneo, si applicava la disciplina prevista per il
figlio legittimo. In relazione ai coniugi, il testo stabiliva il diritto di ogni coniuge alla conservazione del
proprio cognome, da cui derivava che la moglie non avrebbe dovuto più aggiungere al proprio il cognome
del marito.
Passa quindi ad illustrare i tre progetti di legge in esame – due d'iniziativa parlamentare (C. 360
Garavini e altri; C. 1943 Nicchi e altri) e uno d'iniziativa governativa (C. 2123) – che sono diretti, con
diverse modalità, a innovare la disciplina civilistica sull'attribuzione del cognome ai figli, affermando la pari
dignità della donna all'interno del rapporto di coppia.
In particolare, in ottemperanza alla recente giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo e
in linea con la maggior parte dei sistemi giuridici europei, i provvedimenti in esame permettono, con distinte
soluzioni, l'attribuzione ai figli anche del cognome materno.
Inoltre, le due proposte di legge di iniziativa parlamentare modificano anche la normativa civilistica
sul cognome dei coniugi.
La proposta di legge n. 360 Laura Garavini (PD), è composta da cinque articoli. (…)
www.camera.it/_dati/leg17/lavori/schedela/apriTelecomando_wai.asp?codice=17PDL0006620
La proposta di legge n. 1943 Marisa Nicchi (SEL) è composta da otto articoli. (…)
www.camera.it/_dati/leg17/lavori/schedela/apriTelecomando_wai.asp?codice=17PDL0016090
Il disegno di legge C. 2123 del Governo Letta è, composto di quattro articoli (…)
www.camera.it/_dati/leg17/lavori/schedela/apriTelecomando_wai.asp?codice=17PDL0017770
Ritiene, conclusivamente, necessario un attento esame dei provvedimenti in esame al fine di
giungere, eventualmente, alla predisposizione di un testo unificato che tenga conto anche di ulteriori aspetti
nei quali la disciplina vigente necessita di essere innovata quale, ad esempio, quello dei figli maggiorenni
che intendano cambiare cognome, previo assenso dei genitori.
Donatella Ferranti (PD), presidente, ricorda come nel corso dell'esame presso questa Commissione
di analoghi provvedimenti nella precedente legislatura sia emersa la particolare complessità della materia,
che è disciplinata anche da fonti di rango secondario delle quali si dovrà tenere necessariamente conto. La
materia è dunque molto tecnica e richiede un'istruttoria attenta e scrupolosa, che potrà essere svolta anche
avvalendosi del contributo di esperti provenienti dalla Direzione centrale per i servizi demografici del
Ministero dell'interno.
Luca D'Alessandro (FI-PdL) ritiene che ai figli maggiorenni debba essere riconosciuto il diritto di
cambiare il cognome autonomamente. Sottolinea, inoltre, l'importanza di prevedere una disciplina transitoria
che consenta a chi vi abbia interesse di optare per il nuovo regime in tema di attribuzione del cognome.
pag. 31 di
www.camera.it/leg17/824?tipo=C&anno=2014&mese=05&giorno=27&view=&commissione=02
&pagina=data.20140527.com02.bollettino.sede00030.tit00010#data.20140527.com02.bollettino.sede000
30.tit00010
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SEPARAZIONE
Le separazioni di tutta una vita.
La nostra prima grande separazione la sperimentiamo il giorno della nascita, con il travagliato
distacco dal corpo materno. Durante tutto il corso della vita ci ritroveremo a fare i conti con inevitabili
riedizioni di quella prima dolorosa esperienza di separazione e alcune potranno essere più sofferte di altre e
indurre insicurezza, ansia, senso di vuoto, di colpa, di smarrimento, o rabbia nei confronti della persona che
si allontanerà o da cui prenderemo le distanze.
Ci sono persone che per gestire l'angoscia della perdita e del distacco lasciano prima di essere
abbandonate. Altre inducono, talvolta inconsciamente, il partner ad andarsene per evitare di gestire il senso
di colpa legato alla rottura intenzionale del rapporto, così come alcune persone si mantengono
difensivamente fredde e distanti, allo scopo di proteggersi da un eccesso di intimità e dal rischio di soffrire.
Allo stesso modo, ci sono coloro che attuano piccoli cambiamenti, affinché nulla cambi.
Intrattengono relazioni con più partner al di fuori della relazione "ufficiale", cercando anche
inconsapevolmente di ricreare la stessa situazione di coppia, frequentando i medesimi luoghi, praticando le
stesse attività, offrendo gli stessi doni, solo per generare sicurezza.
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Anche il membro della coppia che viene tradito può essere connivente e, fingendo di non capire,
nonostante gli inequivocabili indizi, mantenere in piedi il rapporto, evitando la rottura.
Nell'infanzia, i figli muovono i primi passi in solitaria; in adolescenza, la costante ricerca di
autonomia li porterà ad un ulteriore distacco dai genitori, anche passando attraverso esperienze di aperta
conflittualità, funzionali alla costruzione di una nuova indipendenza. I genitori, a loro volta, devono via via
rinunciare alla loro indispensabilità e agevolare la crescente individualità dei figli. Così come il matrimonio,
lungi dall'essere una situazione immutabile, comporta sempre nuovi cambiamenti, che vanno messi in conto
per rilanciare il rapporto stesso. Ma le perdite più dolorose sono senza dubbio quelle legate alla morte delle
persone a noi care, quelle con cui si è condivisa gran parte della vita: un distacco che non rappresenta solo la
perdita di una persona amata, ma anche di una parte di sé.
Dolori e sofferenze legate al naturale trascorrere dell'esistenza umana e attinenti alla sfera
psicologica, ma che, quando sono determinate dal comportamento o dal fatto illecito arrecato da un terzo alla
propria persona o ai propri familiari, non possono lasciare insensibile il diritto.
Laddove, infatti, i momenti essenziali della sofferenza di un individuo siano generati da un illecito, il
diritto è chiamato a rispondere, offrendo tutela di fronte alle ripercussioni che le diverse separazioni descritte
hanno sul terreno della quotidianità, delle relazioni personali perdute, dei progetti o delle abitudini di vita
ostacolate e alterate.
Il dolore e la sofferenza causati alla persona da un danno (la perdita di un parente o di un congiunto,
la separazione dal coniuge, ecc.) assumono, quindi, rilievo nel campo della responsabilità civile, meritando
ristoro a causa dell'alterazione che il pregiudizio ha prodotto nelle abitudini di vita e degli assetti relazionali
che gli erano propri, sconvolgendo la sua quotidianità ed incidendo negativamente, privandola, delle
occasioni per l'espressione, la realizzazione e lo sviluppo della propria personalità nel mondo esterno (Cass.
S.U., n. 6572/2006).
Un'altra dolorosa separazione è quella conseguente alla perdita degli oggetti più cari. Se di norma,
infatti, la relazione affettiva si instaura tra esseri umani, è sempre più frequente che si creino legami molto
forti anche con determinati oggetti, al punto che il loro smarrimento, così come il loro danneggiamento,
risultino molto destabilizzanti per un individuo, poiché vengono messi a rischio anche quell'insieme di
ricordi, emozioni e sentimenti che lo stesso aveva proiettato su di essi, provocando, dal punto di vista
psicologico, la caduta inesorabile dell'illusione della continuità di un rapporto, rendendo definitiva la
sensazione di rottura del legame.
Considerata da questa prospettiva, la questione non poteva restare fuori dall'ambito giuridico. Se
tradizionalmente, infatti, il rapporto di affezione verso le cose inanimate non era considerato meritevole di
risarcimento per l'eventuale perdita o il grave danneggiamento delle stesse, l'ingresso della dimensione
"esistenziale" nel campo della responsabilità civile ha portato ad un'inversione di prospettiva, garantendo
adeguato ristoro al danno non patrimoniale arrecato al c.d. "interesse d'affezione".
Oltre al danno patrimoniale, in ragione del valore economico posseduto da uno specifico oggetto
(come nel caso di costosi gioielli di famiglia, automobili, abitazioni, opere d'arte, ecc.), il presupposto del
risarcimento è quello di ristorare la perdita d'affezione subita dal punto di vista non patrimoniale, andando
oltre il mero valore di mercato, rilevante o di infima entità (ad es. una lettera, una ciocca di capelli o un
cimelio di un caro estinto), posseduto dall'oggetto.
Ad essere leso, pertanto, non è il valore oggettivo ma quello soggettivo del bene, quale conseguenza
diretta del danno, purché dallo stesso ne sia derivato al soggetto un pregiudizio giuridicamente apprezzabile
sotto il profilo psichico, consistente in una ripercussione diversa dal semplice dispiacere o disturbo, ma
derivante dall'intenso vincolo sentimentale che legava il soggetto al bene, come affermato da una delle più
significative decisioni che hanno affrontato la questione del risarcimento per l'attentato al valore d'affezione,
riconducendola sul piano del "danno morale affettivo" (Trib. Milano 27.11.2000).
Laura Tirloni, psicoterapeuta
StudioCataldi.it 15 maggio 2014
www.studiocataldi.it/news_giuridiche_asp/news_giuridica_15743.asp
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SINODO DEI VESCOVI
Mito e realtà delle seconde nozze tra gli ortodossi.
È opinione diffusa che le Chiese orientali ammettano un nuovo matrimonio dopo il divorzio e diano
la comunione ai risposati. Ma non è così, spiega Nicola Bux. Solo il primo matrimonio è celebrato come un
vero sacramento.
Sull'aereo di ritorno dalla Terra Santa, a papa Francesco è stato chiesto se "la Chiesa cattolica potrà
imparare qualcosa dalle Chiese ortodosse" riguardo ai preti sposati e all'accettazione delle seconde nozze per
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i divorziati. Sull'uno e sull'altro di questi punti il papa ha risposto in modo elusivo. Tutti però ricordano che
cosa disse a proposito delle seconde nozze in una precedente intervista in aereo, nel viaggio di ritorno da Rio
de Janeiro: "Una parentesi: gli ortodossi seguono la teologia dell’economia, come la chiamano, e danno una
seconda possibilità [di matrimonio], lo permettono. Credo che questo problema – chiudo la parentesi – si
debba studiare nella cornice della pastorale matrimoniale".
A questa prassi delle Chiese d'oriente ha fatto riferimento anche il cardinale Walter Kasper nella
sua relazione introduttiva al concistoro dello scorso febbraio, nella quale focalizzò la discussione in vista del
sinodo sulla famiglia sulla questione della comunione ai divorziati risposati.
L'idea corrente è che nelle Chiese ortodosse si celebrino sacramentalmente le seconde e anche le
terze nozze e si dia la comunione ai divorziati risposati.
Quando in realtà le cose non stanno affatto così. Tra la celebrazione delle prime e delle seconde
nozze l'ortodossia ha sempre posto una differenza non solo cerimoniale ma di sostanza, come ben mostra
l'intonazione fortemente penitenziale delle preghiere per le seconde nozze.
Basti vedere, in proposito, la ricognizione storica che Basilio Petrà – sacerdote cattolico di rito
latino, ma di origine greca e studioso della materia, professore al Pontificio Istituto Orientale – ha pubblicato
due mesi fa: B. Petrà, "Divorzio e seconde nozze nella tradizione greca. Un'altra via", Cittadella Editrice,
Assisi, 2014, pp. 212, euro 15,90.
Quella che segue è una chiarificazione di ciò che sono in realtà le seconde nozze nella teologia e
nella prassi delle Chiese ortodosse.
L'autore, Nicola Bux, esperto di liturgia e docente alla facoltà teologica di Bari, è consultore delle
congregazioni per il culto divino e per le cause dei santi e ha preso parte al sinodo del 2005 sull'eucaristia,
del quale riferisce qui un interessante episodio.
Sandro Magister
settimo cielo 30 maggio 2014
Chiesa ortodossa e seconde nozze.
Recentemente, il cardinale Walter Kasper si è riferito alla prassi ortodossa delle seconde nozze per
sostenere che anche i cattolici che fossero divorziati e risposati dovrebbero essere ammessi alla comunione.
Forse, però, non ha badato al fatto che gli ortodossi non fanno la comunione nel rito delle seconde
nozze, in quanto nel rito bizantino del matrimonio non è prevista la comunione, ma solo lo scambio della
coppa comune di vino, che non è quello consacrato.
Inoltre, tra i cattolici si suol dire che gli ortodossi permettono le seconde nozze, quindi tollerano il
divorzio dal primo coniuge.
In verità non è proprio così, perché non si tratta dell'istituzione giuridica moderna. La Chiesa
ortodossa è disposta a tollerare le seconde nozze di persone il cui vincolo matrimoniale sia stato sciolto da
essa, non dallo Stato, in base al potere dato da Gesù alla Chiesa di “sciogliere e legare”, e concedendo una
seconda opportunità in alcuni casi particolari (tipicamente, i casi di adulterio continuato, ma per estensione
anche certi casi nei quali il vincolo matrimoniale sia divenuto una finzione). È prevista, per quanto
scoraggiata, anche la possibilità di un terzo matrimonio. Inoltre, la possibilità di accedere alle seconde nozze,
nei casi di scioglimento del matrimonio, viene concessa solo al coniuge innocente.
Le seconde e terze nozze, a differenza del primo matrimonio, sono celebrate tra gli ortodossi con un
rito speciale, definito “di tipo penitenziale”. Poiché nel rito delle seconde nozze mancava in antico il
momento dell'incoronazione degli sposi – che la teologia ortodossa ritiene il momento essenziale del
matrimonio – le seconde nozze non sono un vero sacramento, ma, per usare la terminologia latina, un
"sacramentale", che consente ai nuovi sposi di considerare la propria unione come pienamente accettata
dalla comunità ecclesiale. Il rito delle seconde nozze si applica anche nel caso di sposi rimasti vedovi.
La non sacramentalità delle seconde nozze trova conferma nella scomparsa della comunione
eucaristica dai riti matrimoniali bizantini, sostituita dalla coppa intesa come simbolo della vita comune. Ciò
appare come un tentativo di "desacramentalizzare" il matrimonio, forse per l'imbarazzo crescente che le
seconde e terze nozze inducevano, a motivo della deroga al principio dell'indissolubilità del vincolo, che è
direttamente proporzionale al sacramento dell'unità: l'eucaristia.
A tal proposito, il teologo ortodosso Alexander Schmemann ha scritto che proprio la coppa, elevata
a simbolo della vita comune, “mostra la desacramentalizzazione del matrimonio ridotto ad una felicità
naturale. In passato, questa era raggiunta con la comunione, la condivisione dell'eucaristia, sigillo ultimo del
compimento del matrimonio in Cristo. Cristo deve essere la vera essenza della vita insieme”. Come
rimarrebbe in piedi questa "essenza"?
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Dunque, si tratta di un qui pro quo imputabile in ambito cattolico alla scarsa o nulla considerazione
per la dottrina, per cui si è affermata l'opinione, meglio l'eresia, che la messa senza la comunione non sia
valida. Tutta la preoccupazione della comunione per i divorziati risposati, che poco ha a che fare con la
visione e la prassi orientale, è una conseguenza di ciò.
Una decina d'anni fa, collaborando alla preparazione del sinodo sull'eucaristia, a cui partecipai poi
come esperto nel 2005, tale "opinione" fu avanzata dal cardinale Cláudio Hummes, membro del consiglio
della segreteria del sinodo. Invitato dal cardinale Jan Peter Schotte, allora segretario generale, dovetti
ricordare a Hummes che i catecumeni e i penitenti – tra i quali c'erano i dìgami –, nei diversi gradi
penitenziali, partecipavano alla celebrazione della messa o a parti di essa, senza accostarsi alla comunione.
L'erronea "opinione" è oggi diffusa tra chierici e fedeli, per cui, come osservò Joseph Ratzinger: “Si
deve nuovamente prendere molto più chiara coscienza del fatto che la celebrazione eucaristica non è priva di
valore per chi non si comunica. [...] Siccome l'eucaristia non è un convito rituale, ma la preghiera
comunitaria della Chiesa, in cui il Signore prega con noi e a noi si partecipa, essa rimane preziosa e grande,
un vero dono, anche se non possiamo comunicarci. Se riacquistassimo una conoscenza migliore di questo
fatto e rivedessimo così l'eucaristia stessa in modo più corretto,vari problemi pastorali, come per esempio
quello della posizione dei divorziati risposati, perderebbero automaticamente molto del loro peso
opprimente.”
Quanto descritto è un effetto della divaricazione ed anche dell'opposizione tra dogma e liturgia.
L'apostolo Paolo ha chiesto l'auto-esame di coloro che intendono comunicarsi, onde non mangiare e bere la
propria condanna (1 Corinti 11, 29). Ciò significa: “Chi vuole il cristianesimo soltanto come lieto annuncio,
in cui non deve esserci la minaccia del giudizio, lo falsifica”.
Ci si chiede come si sia giunti a questo punto. Da diversi autori, nella seconda metà del secolo
scorso, si è sostenuta la teoria – ricorda Ratzinger – che “fa derivare l'eucaristia più o meno esclusivamente
dai pasti che Gesù consumava con i peccatori. […] Ma da ciò segue poi un'idea dell'eucaristia che non ha
nulla in comune con la consuetudine della Chiesa primitiva”. Sebbene Paolo protegga con l'anatema la
comunione dall'abuso (1 Corinti 16, 22), la teoria suddetta propone “come essenza dell'eucaristia che essa
venga offerta a tutti senza alcuna distinzione e condizione preliminare, […] anche ai peccatori, anzi, anche ai
non credenti”.
No, scrive ancora Ratzinger: sin dalle origini l'eucaristia non è stata compresa come un pasto con i
peccatori, ma con i riconciliati: “Esistevano anche per l'eucaristia fin dall'inizio condizioni di accesso ben
definite [...] e in questo modo ha costruito la Chiesa”.
L'eucaristia, pertanto, resta “il banchetto dei riconciliati”, cosa che viene ricordata dalla liturgia
bizantina, al momento della comunione, con l'invito "Sancta sanctis", le cose sante ai santi.
Ma nonostante ciò la teoria dell'invalidità della messa senza la comunione continua ad influenzare la
liturgia odierna.
Nicola Bux. Questo testo è tratto dalla postfazione che egli ha scritto per l'ultima opera di Antonio
Livi, teologo e filosofo della Pontificia Università Lateranense, di prossima uscita, dedicata agli scritti e
discorsi del cardinale Giuseppe Siri (1906-1989): A. Livi, "Dogma e liturgia. Istruzioni dottrinali e norme
pastorali sul culto eucaristico e sulla riforma liturgica promossa dal Vaticano II", Casa Editrice Leonardo da
chiesa.espresso.repubblica.it/articolo/1350806
Vinci, Roma, 2014.
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VIOLENZA
Leggi sulla violenza domestica.
Cittadino keniota si lamenta dell’inadeguatezza delle nostre leggi sulla violenza domestica, ritenute
discriminatorie nei confronti delle donne, in violazione degli artt. 13 e 14 Cedu (Corte europea dei diritti
dell'uomo).
Durante una lite, alla presenza del figlio di 3 anni un keniota sequestrò e picchiò, minacciandola con
un coltello ed un paio di forbici, la compagna italiana, che riportò lesioni ed una commozione celebrale.
Arrestato fu condannato.
Privato della patria potestà, poi ripristinata nel 2012 dal Tribunale minorile di Venezia. Ricorre alla
CEDU, lamentando l’inadeguatezza delle nostre leggi sulla violenza domestica, ritenute discriminatorie nei
confronti delle donne, in violazione degli artt. 13 e 14 Cedu: ricorso respinto
Studio Sugamele –31 maggio 2014
www.divorzista.org/sentenza.php?id=8311 http://www.divorzista.org/sentenza.php?id=8311
sentenza\provvedimento in
http://www.sugamele.it/allegati/31-05-2014-TP_INTERN_CEDU_milizia_s_1.pdf
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ZIBALDONE
Sesso: incinta con un bacio e Cola anti-gravidanza, i falsi miti giovanissime.
Leggende e falsi miti sul sesso resistono fra le giovanissime italiane. Il 31% delle adolescenti
sostiene che coito interrotto sia un efficace sistema contraccettivo, per il 29% non si può restare incinta con il
primo rapporto sessuale, mentre per l’11% basta un bacio per avere un bambino. E il 7% è convinto ancora
che lavaggi a base di Cola Cola possano funzionare come un valido spermicida.
A evidenziarlo sono i ginecologi della Sigo (Società italiana di ginecologia e ostetricia), dal
congresso della Società europea di Contraccezione (Esc) in corso a Lisbona, illustrando i risultati di un
sondaggio che ha coinvolto 17 Paesi, fra cui l’Italia. Sono state intervistate quasi 9 mila giovani donne tra i
20 e i 30 anni, di cui 456 in Italia (151 avevano già avuto un figlio).
Ebbene, molte hanno confidato di essere cresciute tra falsi miti e pregiudizi sulla contraccezione.
Nell’elenco delle ‘bufale’ più diffuse resiste ancora il sempreverde effetto bacio: un’ex adolescente su 10 ha
creduto che scambiandosi questa effusione poteva restare incinta. Quando invece si passa dal mito alla realtà,
la situazione non migliora di molto: il 37% delle intervistate non conosce i sistemi intrauterini al rame (Iud) e
il 41% non sa che quelli intrauterini a rilascio ormonale (Ius), per essere efficaci, devono essere inseriti in
utero.
Inoltre una donna su cinque non ha parlato mai di contraccezione con il proprio medico. Risultato?
Secondo un’altra indagine del 2013, questa volta condotta dalla Sigo, il 42% delle under 25 italiane non usa
nessuna protezione la prima volta. Rispetto a un’analoga ricerca del 2010 si è registrato un +5% di
giovanissime che affronta il primo rapporto senza precauzioni. “Nel 2012 hanno partorito 9 mila
babymamme under 19 sottolinea Paolo Scollo, presidente nazionale Sigo - questi numeri devono fare
riflettere.
Come pure i falsi miti e le leggende sul sesso così dure a morire. In Italia l’educazione sessuale non è
materia obbligatoria per legge, e la stragrande maggioranza dei ragazzi si informa consultando amici, fratelli
o sorelle. Oppure molti teenager cercano informazioni su internet, dove è possibile trovare notizie errate o
pericolose”.
Per colmare molte lacune è nato 10 anni fa ‘Scegli Tu’, progetto che promuove una migliore cultura
della sessualità e della contraccezione consapevole. “I giovani e gli stranieri sono le fasce di popolazione più
esposte ai rischi di un comportamento sessuale pericoloso, e proprio a loro saranno rivolte le prossime
iniziative di ‘Scegli Tu’”, conclude Scollo.
www.lasaluteinpillole.it/salute.asp?id=18896
Salute in pillole
30 maggio 2014
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INFORMATIVA
in materia di protezione dei dati personali
Siamo consapevoli che e-mail indesiderate possono essere oggetto di disturbo, quindi La preghiamo
di accettare le nostre più sincere scuse se la presente non dovesse essere di Suo interesse.
In conformità con le nuove disposizioni italiane in materia d’invii telematici in vigore dal 1° gennaio
2004 (Testo Unico sulla tutela della privacy emanato con D. Lgs 196/2003 pubblicato sulla G.U. n. 174), con
la presente chiediamo l'autorizzazione a spedirLe via posta elettronica ucipem news. La vostra
autorizzazione s’intende approvata tramite silenzio assenso, al contrario, se vorrete essere cancellati dal
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Il responsabile dei trattamenti è il dr Giancarlo Marcone. via Favero 3-10015-Ivrea
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