Aspetti economici previdenziali e fiscali

5) Aspetti economici, previdenziali e fiscali
Quesito 1 (n. 78/2010)
I risparmi derivanti dalla trattenuta malattia ai sensi art.71 L.133/2008 hanno riflessi sul fondo risorse
decentrate?
Quale è il comportamento corretto da adottare dal punto di vista contabile, in sede di emissione dei
relativi mandati di pagamento?
Risposta
L’art.71 della L.133/2008 prevede che per i periodi di assenza per malattia, nei primi 10 giorni di assenza (di
ogni evento di malattia) “è corrisposto il trattamento economico fondamentale, con esclusione di ogni
indennità o emolumento aventi carattere fisso e continuativo e di ogni altro trattamento accessorio”.
Per effetto di tale norma, alcune voci, anche se fisse e continuative, subiscono una decurtazione nei primi 10
giorni di malattia.
In riferimento a quelle voci che sono interessate dalla decurtazione, l’art.71 della L.133/2008 specifica
chiaramente che i risparmi derivanti dalle trattenute per malattia non possono essere utilizzate per
incrementare i fondi per la contrattazione integrativa, ma tali somme concorrono solamente al miglioramento
dei saldi di bilancio.
Pertanto, la trattenuta per malattia non deve incidere sugli importi imputati al fondo risorse decentrate, nel
senso che gli importi devono sempre essere imputati per intero, come se la trattenuta in oggetto non fosse
mai stata applicata.
Dal punto di vista contabile, sui capitoli delle risorse decentrate, il mandato sarà sempre emesso per intero,
senza tenere conto della decurtazione per effetto della malattia e, nel contempo, la trattenuta per malattia
verrà contabilizzata con una reversale su un apposito capitolo in entrata.
In tale modo, la trattenuta per malattia non andrà a costituire risparmio nel fondo delle risorse decentrate, ma
essendo contabilizzata in entrata, inciderà positivamente sui saldi di bilancio, come previsto la norma in
esame.
Quesito 2 (n. 79/2010)
Quesito in merito alle modalità di liquidazione dei servizi di pubblica sicurezza svolti dalla polizia
locale a seguito di convenzioni fra enti.
Risposta
I compensi per servizi di pubblica sicurezza svolti dalla polizia locale a seguito di convenzioni fra enti
possono essere liquidati con differenti modalità.
La prima alternativa prevede il pagamento diretto all’agente di polizia da parte dell’ente a favore del quale è
stata svolta l’attività di pubblica sicurezza; dal punto di vista fiscale, questa situazione configura una
fattispecie che si colloca nella categoria del reddito assimilato a lavoro dipendente (ai sensi art.50 del TUIR),
con assoggettamento del compenso alle ritenute irpef per scaglioni e all’irap.
In tal caso, quindi, i compensi erogati agli operatori di polizia non saranno utili dal punto di vista
previdenziale, in quanto non esiste alcun contratto di lavoro subordinato che lega l’ente fruitore con il
soggetto che presta l’attività.
La seconda alternativa prevede invece che l’ente fruitore del servizio di pubblica sicurezza provveda a
trasferire le risorse finanziarie necessarie all’ente che ha impiegato il proprio personale dipendente; in questo
caso, sarà quest’ultimo ente a provvedere al pagamento dei propri dipendenti, utilizzando i fondi trasferiti
dall’ente utilizzatore.
Dal punto di vista fiscale, questa situazione si colloca nella fattispecie del reddito da lavoro dipendente (ai
sensi dell’art.49 del TUIR) con assoggettamento del compenso alle ritenute irpef per scaglioni e all’irap.
Dal punto di vista previdenziale, essendo il pagamento dei compensi effettuato direttamente dall’ente “datore
di lavoro”, comporta che i compensi in oggetto siano utili e quindi assoggettati a contribuzione ai fini
previdenziali.
Le due possibilità di liquidazione comportano differenze anche sotto l’aspetto finanziario: nel primo caso
(reddito assimilato a lavoro dipendente) l’ente beneficiario dell’attività di pubblica sicurezza dovrà porre a
carico del proprio bilancio la spesa del compenso e dell’irap, mentre, nel secondo caso (reddito da lavoro
dipendente), i fondi da trasferire all’altro ente da parte dell’ente fruitore del servizio dovranno tenere conto
non solo del compenso e dell’irap, ma anche della quota di contributi previdenziali a carico ente.
Come risulta ovvio, quindi, la prima alternativa comporta un minore esborso rispetto alla seconda, ma, d’altro
canto, la seconda possibilità risulta più favorevole agli operatori di polizia impiegati nell’attività, i quali si
vedranno “riconoscere” i compensi per pubblica sicurezza fra le voci utili ai fini pensionistici e pertanto
saranno maggiormente incentivati a dare la propria disponibilità a fronte delle iniziative di questo tipo.
Quesito 3 (n. 3/2010)
Ai fini della distribuzione del fondo produttività le assenze 2009 di un dipendente per mandato
elettivo (il ns. dipendente è sindaco) sono equiparate alle assenze per malattia previste dall’art.17
comma 23 lett.D del D.L.78/2009 convertito nella legge 102/2009 ?
Risposta
Il D.L. 1.7.2009 n. 78 (convertito nella legge 102/09), relativamente all’art. 71 del D.L. 112/08 (convertito
nella legge133/08), ha previsto con l’art.17 comma 23 lett. d. l’abrogazione del 5° comma del predetto art. 71
che prevedeva che ” Le assenze dal servizio dei dipendenti non sono equiparate alla presenza in servizio ai
fini della distribuzione delle somme dei fondi per la contrattazione integrativa.” Il legislatore inoltre prevede
che gli effetti di tale abrogazione concernono le assenze effettuate successivamente alla data di entrata in
vigore del presente decreto (1/07/2009).
Atteso che nessuna norma specifica quali siano le assenze che incidono sull’erogazione del salario
accessorio, tale individuazione è rimessa ad ogni singola amministrazione, in sede di contrattazione.
Nel merito, la scrivente amministrazione provinciale, ai fini della distribuzione del fondo produttività non
considera assenza i permessi usufruiti da un dipendente per l’esercizio di carica pubblica.
Tali assenze sono state invece considerate rilevanti ai fini del calcolo della produttività nel periodo di vigenza
del sopra citato 5° comma dell’art.71 ( e quindi da l 25/06/2008 al 30/06/2009).
Quesito 4 (n. 13/2010)
Spesso il nostro Comune stipula contratti con liberi professionisti relativamente ad incarichi di
progettazione, direzione lavori, consulenza, sicurezza, ecc....
Chiediamo se la stipula di tali contratti comporta, per il libero professionista, il pagamento dei diritti
di segreteria, oltre alla presentazione delle marche da bollo.
Risposta
In via preliminare si premette che tutti i contratti interessanti le pa richiedono sempre la forma scritta, che
rappresenta un elemento essenziale del negozio.
Indicativa in proposito la sentenza del Consiglio di Stato, sez v, n.5444 del 24.9.2003, che riprende un
orientamento ormai consolidato della suprema corte (“tutti i contratti stipulati dalla Pubblica Amministrazione
ed in genere dagli enti pubblici devono essere stipulati, a pena di nullità, in forma scritta, rispondendo tale
requisito all'esigenza di identificare con precisione il contenuto negoziale e di rendere possibili i controlli
dell'autorità tutoria” Cass. 1998 n. 3662; v., tra le tante, anche Cass. 1995 n. 7149; 1994 n. 6182; 1992 n.
9682; 1987 n. 4742).
Con riferimento specifico al quesito posto, va osservato che l’art. 17 del R.D. n. 2440 del 1923, in deroga a
quanto previsto dal precedente art. 16 (“i contratti sono stipulati da un pubblico ufficiale”), dispone che “i
contratti a trattativa privata oltre che in forma pubblica amministrativa possono anche stipularsi per mezzo di
scrittura privata firmata dalle parti”. Il c.d. Codice dei contratti pubblici D.Lgs. 163/2006, nel confermare
quanto già previsto dal R.D. citato, stabilisce all’art. 11, co. 13 che “Il contratto è stipulato mediante atto
pubblico notarile, o mediante forma pubblica amministrativa a cura dell'ufficiale rogante dell'amministrazione
aggiudicatrice, ovvero mediante scrittura privata, nonché in forma elettronica secondo le norme vigenti per
ciascuna stazione appaltante”.
Da quanto sopra, perciò, risulta in via generale che si può procedere con scrittura privata qualora i contratti
non facciano seguito a procedura concorsuale, aperta e ristretta, e, inoltre, che è lasciato spazio alla
discrezionalità dell’ente, che può disciplinare con proprio regolamento le modalità di stipulazione dei contratti
pubblici.
A tale proposito, si ritiene di segnalare che il Regolamento dei contratti della Provincia di Cremona prevede
che i contratti d’importo superiore a 20.000 euro (IVA esclusa) devono essere stipulati in forma pubblica e
che non sono soggetti a stipula in forma pubblica i contratti di locazione, gli incarichi professionali, gli
incarichi conferiti a notai e a legali.
Nel caso in cui il vs. ente non abbia uno specifico regolamento che disciplini tale materia, si ritiene di
suggerire la possibilità di adottare una deliberazione (di Giunta) che dia indicazioni in merito, qualora i tempi
stretti non consentano l’adozione, da parte del Consiglio Comunale, del relativo regolamento.
Sebbene non univoca, sembra prevalente la tesi secondo la quale i diritti di rogito siano dovuti a seguito
della fruizione di un servizio da parte dell'utente a fronte di una attività di assistenza. Condizione
imprescindibile per l'esazione del tributo (la natura tributaria è affermata anche dalla Corte costituzionale n.
156/1990), quindi, è l'attività da parte del segretario. In questo senso la Corte dei conti Emilia con delibera n.
42/07 e Corte dei conti Lombardia con il parere n. 9 del 20.2.2008. Quanto sopra si verifica solo nel caso atti
rogati o autenticati dal segretario, che interviene direttamente nella stipulazione dell’atto, mentre nel caso di
scrittura privata non sembrano, pertanto, esigibili i diritti di rogito. (In relazione al riconoscimento dei diritti di
segreteria, si veda anche l’art. 21 del DPR 465/1997 che richiama la L. 8 giugno 1962 n. 604).
Devono essere applicate le marche da bollo, ai sensi del DPR n. 642 del 26.10.1972 (allegato 1), che
stabilisce che per scritture private con cui si creano, modificano, estinguono o documentano rapporti giuridici
di qualunque specie è necessaria la marca da bollo di €. 14,62 per ogni foglio di 4 facciate.
Quesito 5 (n. 7/2010)
Sanzione disciplinare con sospensione dello stipendio e sospensione dal servizio: aspetti
economici/prev.li/assist.li/ ass.vi e problematica detrazioni d'imposta. Modalità di predisposizione
DMA
Risposta
Recuperare la retribuzione corrispondente a 1/26 per ogni gg.di sanzione; la trattenuta riduce imponibili
cpdel, tfs-tfr, f.credito, irap, irpef in quanto e' interruttiva del servizio; non matura la detrazione lavoro
dipendente per il periodo della sanzione; su dma non si forma nessuna sottosezione in quanto la sanzione
disciplinare interrompe il servizio.
Quesito 6 (n. 23/2010)
Qual'è l'indennità da erogare al sindaco neo eletto se lavoratore in pensione?
Risposta
L'indennità di funzione spettante al sindaco e' in misura intera, senza riduzione del 10% e senza
decurtazione al 50% in quanto pensionato.
Quesito 7 (n. 42/2010)
Fruizione da parte di un dipendente del congedo retribuito per assistenza a personale con
handicap:1) come devo assoggettare l'indennità ? solo cpdel e fondo credito oppure anche inadel
tfs? 2) rispetto le percentuali a carico dipendente e a carico ente oppure la quota a carico dipendente
viene integrata dall'ente? 3) per la denuncia dma nei codici del tipo servizio quale utilizzo?
Risposta
L'indennità suddetta corrispondente all'ultima retribuzione percepita e' assoggettata alla normale
contribuzione inpdap (ex cpdel e fondo credito) in quanto il periodo di congedo (o i periodi se fruito in
frazioni) e' utile ai fini del trattamento di quiescenza; non e' invece valutabile ne' ai fini del trattamento di fine
servizio ne' del t.f.r. inpdap e quindi esclusa dalla base imponibile. a tal riguardo vedasi la circolare inpdap
10.01.02 n. 2, le informative n. 30 del 21.08.03 e n. 22 del 25.10.02 e la circolare n. 31 del 12.5.04.in ordine
alle % dei contributi ex cpdel e fondo credito valgono le normali ripartizioni riferite agli stipendi. in ordine,
infine, alla d.m.a. si fa presente che i codici da utilizzare sono - 1 - per il codice impiego e 4 per il codice
servizio
Quesito 8 (n. 59/2010)
Per un nuovo assunto è necessario acquisire il foglio matricolare (come indicato su stampato di una
ditta) o basta il foglio di congedo?
Risposta
Tutte le posizioni relative all'adempimento degli obblighi militari, ivi comprese quelle attestate nel foglio
matricolare dello stato di servizio, possono essere oggetto di autocertificazione ai sensi dell’art. 46 del D.P.R.
28.12.2000 n. 445; l’Amministrazione può ovviamente verificare la veridicità, come previsto dal suddetto
D.P.R. 445/2000, tenendo conto anche delle norme che regolano l’acquisizione diretta di documenti già in
possesso di pubbliche amministrazioni (art. 43 comma 1 DPR 445/2000).
Si ricorda che in base all’articolo 15, comma 1, della legge 12 novembre 2011, n. 183, le certificazioni
rilasciate dalle P.A. in ordine a stati, qualità personali e fatti sono valide e utilizzabili solo nei rapporti tra
privati; nei rapporti con gli organi della Pubblica amministrazione e i gestori di pubblici servizi, i certificati
sono sempre sostituiti dalle dichiarazioni sostitutive di certificazione o dall'atto di notorietà.
Conseguentemente, a far data dal 10 gennaio 2012, le amministrazioni e i gestori non possono più accettarli
ne richiederli, tanto più in quanto tali comportamenti integrano, per espressa previsione, violazione dei doveri
d'ufficio ai sensi della nuova formulazione dell'articolo 74, comma 2, lett. a), del decreto del Presidente della
Repubblica n. 445 del 2000;
Quesito 9 (n. 65/2010)
Un dipendente ha richiesto un anticipo di euro 4,500,00 dell'i.f.s. per spese connesse alla salute. Tale
richiesta è da inoltrare al datore di lavoro o all'Inpdap? Esiste una normativa in materia?
Risposta
In risposta al quesito si fa presente quanto segue:
Il rapporto “previdenziale “ del dipendente pubblico è rappresentato dal trattamento di fine servizio (T.F.S.) in
capo all’I.N.P.D.A.P. – Gli aspetti principali di tale trattamento, riguardante una parte dei dipendenti in
servizio , (cioè quei dipendenti degli EE.LL. assunti a tempo indeterminato anteriormente alla data del
31.12.2000), sono regolati dalle Leggi n. 152/’68 e n. 440/’87.La corresponsione del T.F.S. in forma diretta spetta agli iscritti all’INPDAP che, avendo maturato almeno un
anno di iscrizione al predetto istituto, abbiano risolto per qualsiasi causa, il loro rapporto di lavoro con l’ente
locale di appartenenza e quello previdenziale; non ha pertanto diritto al T.F.S. il dipendente che cessi dal
servizio presso un ente iscritto all’INPDAP e sia riassunto senza soluzione di continuità presso un altro ente
sempre iscritto al medesimo istituto previdenziale.
Per i dipendenti assunti in ruolo a decorrere dall’1.1.01 e per il personale assunto con contratto di lavoro a
tempo determinato trova invece applicazione la nuova disciplina sul trattamento di fine rapporto.
L’introduzione del T.F.R. negli EE.LL. venne previsto in prima battuta dalla L. n. 335/’95 integrata poi dalle
Leggi n. 449/’97 e n. 448/’99 e dai D.P.C.M. 20.12.99 e 2.03.01. La circolare INPDAP n. 11 del 12.03.01 ha
illustrato, comunque, gli aspetti relativi al trattamento di fine rapporto da applicare alle nuove assunzioni di
personale effettuate con contratto di lavoro a tempo indeterminato.
Con la successiva circolare n. 30 dell’1.08.02 e l’informativa n. 7 del 10.04.03 l’INPDAP ha fornito, in merito
alla disciplina del trattamento di fine rapporto dei dipendenti degli enti locali, ulteriori chiarimenti e
precisazioni, integrando le disposizioni contenute nella precedente circolare n,. 11 del 12 marzo 2001.
Tutto ciò premesso si precisa che la normativa suddetta non prevede a tutt’oggi per i dipendenti degli EE.LL.
“anticipi” in ordine al T.F.S. o al T.F.R. per qualsiasi motivo (salute, casa ecc…).
Eventuali richieste in tal senso possono trovare corso nella gestione del credito sempre in capo all’INPDAP.
In particolare si segnala la possibilità da parte del dipendente (per il tramite del datore di lavoro) di richiedere
la concessione di un piccolo prestito o della cessione del quinto dello stipendio attraverso apposita istanza il
cui modello è scaricabile dal sito INPDAP.
Quesito 10 (n. 66/2010)
Un dipendente comunale è stato chiamato a prestare servizio nella giornata del 26 dicembre u.s. per
lo svolgimento di un funerale.
Non rientra nei casi di "reperibilità" ufficialmente riconosciuti ed il modesto fondo per il lavoro
straordinario è già stato esaurito. E' possibile remunerare la prestazione svolta con la maggiorazione
del 30% o è necessario procedere al recupero delle ore lavorate in giorno festivo?
Risposta
In riferimento al quesito sopra riportato si fa presente che il caso in questione rientra nella disciplina dell'art.
24 comma 2 CCNL 14/09/2000 che stabilisce che "l’attività prestata in giorno festivo infrasettimanale dà
titolo, a richiesta del dipendente, a equivalente riposo compensativo o alla corresponsione del compenso per
lavoro straordinario con la maggiorazione prevista per il lavoro straordinario festivo".
Anche l'art. 38 CCNL del 14/09/2000 che disciplina il Lavoro straordinario al comma 7 stabilisce che su
richiesta del dipendente, le prestazioni di lavoro straordinario debitamente autorizzate possono dare luogo a
riposo compensativo, da fruire compatibilmente con le esigenze organizzative e di servizio. La risoluzione n.
900-38E1 dell'Aran precisa inoltre che "in caso di riposo compensativo dato in sostituzione di ore di lavoro
straordinario , non bisogna corrispondere, per ogni ora di straordinario effettuata alcuna maggiorazione. La
"compensazione" opera senza tener conto del fatto che le ore straordinarie sono remunerate con la
maggiorazione".
Quesito 11 (n. 67/2010)
Con la presente si chiede cortesemente di conoscere le modalità di trasmissione all'INPDAP dei dati
riguardanti le ritenute ed i versamenti per piccoli prestiti.
Tali dati confluiscono nella DMA che mensilmente invio per il mio ente o è necessario compilare
un'apposita denuncia a parte specificando il nominativo del dipendente, la somma e la relativa
scadenza (come per anni precedenti l'introduzione della DMA)?
Risposta
I dati riguardanti le ritenute ed i versamenti per i piccoli prestiti non confluiscono nella DMA ma già da
qualche anno è necessario utilizzare la procedura INPDAP denominata CARTOLARIZZAZIONE DEI
CREDITI (vedi circolare INPDAP n. 30 del 26/11/2003).
Dal 15 dicembre 2008 è entrato in vigore un nuovo sistema di Riscossione dei Presti Inpdap al quale si
accede entrando nel sito INPDAP, GESTIONE CREDITI - ACCESSO AREA RISERVATA e digitando il
codice fiscale e la password (che sono gli stessi della passweb).
Poi si entra in Applicazioni, Riscossione crediti agli iscritti, Dichiarazioni e Acquisizione dichiarazioni. In
questo modo si acquisiscono tutti i dati dei dipendenti per i quali è necessario effettuare il versamento dei
crediti. Una volta acquisiti i dati si devono effettuare una serie di passaggi che portano ad ottenere una
CHIAVE DI VERSAMENTO ed un CONTO CORRENTE sul quale dovranno essere versati i crediti. (vedi
nota INPDAP del 13/11/2008 Prot. n. 4476 OGGETTO: NUOVO SISTEMA DI RISCOSSIONE DEI PRESTITI
DIRETTI INPDAP)
E' necessario comunque contattare direttamente la sede INPDAP per iniziare questa procedura da Voi mai
utilizzata e per avere tutte le informazioni sul caso.
Una volta che avrete definito il tutto con l'INPDAP siamo a completa disposizione per eventuali spiegazioni
sul funzionamento della procedura della CARTOLARIZZAZIONE DEI CREDITI .
Quesito 12 (n. 70/2011)
Con decorrenza 2/01/2010 il Comune di X ha provveduto ad assumere un nuovo dipendente in qualità
di aiuto cuoco, esecutore, inserviente, cat. B1, part-time. Chiedo cortesemente conferma circa la
corretta impostazione delle voci stipendiali: oltre allo stipendio base ed all'indennità di comparto,
compete anche la voce "indennità specifica" (pari a lire 125.000 annue per 12 mensilità)?
Risposta
In riferimento al quesito sopra riportato si conferma l'attribuzione dell'indennità art. 4 c.3 del CCNL
16/07/1995 rapportata alla percentuale part-time di lavoro.
Quesito 13 (n. 81/2010)
Quali sono le modalità di liquidazione dello straordinario elettorale?
Risposta
Le prestazioni di lavoro rese in una giornata di riposo settimanale ( di regola la domenica) dal personale in
occasione di consultazioni elettorali o referendarie sono attualmente disciplinate dall’art. 39, comma 3 del
CCNL del 14.9.2000, che è stato aggiunto dall’art. 16, comma 1, del CCNL del 5.10.2001.Il personale
interessato, secondo le regole richiamate, ha diritto:
a) a percepire, per tutte le ore di straordinario prestate, il compenso orario previsto per lo straordinario
festivo;
b) al riposo compensativo per le ore prestate. Qualora le ore di straordinario siano quantitativamente
superiori a quelle corrispondenti ad una giornata lavorativa convenzionale, il lavoratore avrà diritto ad una
sola giornata di riposo compensativo, secondo l’articolazione dell’orario vigente nell’ente.
E quindi al pagamento delle 7 ore come straordinario festivo e al riposo di un’intera giornata lavorativa (nel
vostro caso di 6 ore).
Nel caso in cui, il dipendente lavorasse per solo 3 ore, gli andrebbe pagato lo straordinario festivo e
godrebbe di 3 ore di riposo.
Si consiglia di effettuare una verifica sulla possibilità di richiedere il rimborso al Ministero dell’Interno per tutti
gli oneri derivanti dalla prestazione di lavoro straordinario elettorale.
Quesito 14 (n. 89/2010)
1) L'ente ha assunto, in occasione delle consultazioni elettorali del 28 marzo 2010, personale a tempo
determinato per il periodo 11.02.2010 - 27.04.2010. Dal 28.04.2010 la stessa persona sarà assunta, per
sostituzione di maternità anticipata, sempre a tempo determinato, fino al 24.06.2010. Chiedo se, in
chiusura dell'incarico per il servizio elettorale, siano dovuti il compenso per 13^ mensilità e il TFR.
2) Inoltre, il TFR deve essere erogato dal Comune o dall'Inpdap?
3) Chiedo se il compenso percepito in qualità di responsabile di procedimento, compenso
accessorio facente parte del fondo di produttività, erogato in ragione mensile ad una dipendente
comunale, debba essere decurtato in occasione del congedo matrimoniale.
Risposta
In riferimento al punto 1) si ritiene che, all’atto della scadenza del contratto di lavoro a tempo determinato per
consultazioni elettorali, il comune debba procedere all’erogazione dei ratei di 13^ mensilità maturati.
Infatti, anche se, di fatto, non si verifica alcun tipo di interruzione fra i due diversi contratti di lavoro a tempo
determinato, si ritiene che, sia opportuno, sia ai fini contabili sia di successiva rendicontazione delle spese,
tenere separate le competenze riferite ai due diversi contratti.
In merito al punto 2), si osserva che l’assunzione suddetta ha comportato l’obbligo di iscrizione all’INPDAP –
gestione TFR.
Trattandosi di un periodo superiore ai 15 giorni, la dipendente avrà diritto a percepire dall’INPDAP il TFR,
attraverso la compilazione del Mod.TFR1 che, a cura del Comune, dovrà essere trasmesso, dopo la
cessazione, alla competente Sede Provinciale INPDAP (vedasi circolare INPDAP n°30 del 1/8/2002).
Per quanto riguardo il quesito posto al punto 3) si ritiene che, in occasione del congedo matrimoniale,
l’indennità mensile per specifiche responsabilità non debba subire alcuna decurtazione. Si ricorda che il
quinto comma dell’art. 19 del CCNL 6.7.1995 nel disciplinare i permessi retribuiti, tra cui quello in occasione
del matrimonio, specifica che durante tali periodi di assenza al dipendente spetta l'intera retribuzione esclusi
i compensi per il lavoro straordinario e le indennità per prestazioni disagiate, pericolose o dannose per la
salute.
Quesito 15 (n. 91/2010)
Questa amministrazione in data 29/3/2010 ha irrogato ad un dipendente la sanzione disciplinare di
cui all’art. 55-quater del D.Lgs 165/2001 così come modificato dal D.Lgs. 150/2009: “licenziamento
senza preavviso” .
Essendo a conoscenza del fatto che il dipendente interessato ha inoltrato ricorso al Giudice del
lavoro, vorremmo sapere se nell’elaborazione del cedolino paga per erogazione tredicesima
mensilità spettante, conguaglio fiscale irpef e addizionali dobbiamo anche monetizzare le ferie non
usufruite dal dipendente licenziato o se invece è più corretto aspettare l’evolversi della causa.
Risposta
In relazione al quesito posto, va richiamato l’orientamento giurisprudenziale secondo cui il diritto al
compenso sostitutivo delle ferie non godute sorge in tutti i casi in cui il mancato godimento delle ferie non sia
determinato dalla volontà del lavoratore (CdS, sez. IV, n. 4332/02; TAR Liguria, sez. II, n. 496/02; TAR
Milano, sez. III, n. 526/05). La monetizzazione delle ferie non godute può essere fatta solo quando il
dipendente non ha potuto usufruire delle stesse per cause indipendenti dalla sua volontà, come ad esempio
per esigenze di servizio (TAR Napoli, sez. V, n. 1110/02) e comunque a seguito di un motivato diniego
espresso da parte dell’Amministrazione (C. Cost. n. 543/90).
Nel caso specifico al dipendente è stata inflitta la più grave delle sanzioni disciplinari, rappresentata dal
licenziamento senza preavviso, ai sensi dell’art. 55-quater del D.Lgs. 165/2001.
Si può a questo proposito citare la sentenza piuttosto recente del TAR Milano, sez. II, 7 ottobre 2005, n.
3765, che ha appunto negato la corresponsione del compenso per ferie non godute in un caso di
licenziamento senza preavviso, ritenendo che questo sia un caso in cui la mancata fruizione delle ferie non
sia imputabile alla volontà dell’Amministrazione, bensì a quella del dipendente.
Poiché, quindi, il rapporto di lavoro è stato interrotto per causa non imputabile al datore di lavoro,
l’Amministrazione Comunale potrebbe valutare la possibilità di seguire l’orientamento giurisprudenziale
sopra richiamato, tenendo conto d’altra parte che il lavoratore avrà eventualmente la facoltà di agire nelle
opportune sedi giurisdizionali contro l’Amministrazione per il pagamento delle ferie non godute.
A mero coronamento di quanto sopra descritto si osserva che la ratio della disposizione regolante la
sanzione disciplinare del licenziamento senza preavviso è quella di reprimere tutti i comportamenti che
arrechino pregiudizio alla dignità delle funzioni esercitate e che possano far temere che queste non vengano
espletate correttamente; fra i comportamenti censurabili vanno ricompresi non solo quelli tenuti nello
svolgimento del servizio, ma anche quelli che, pur se estranei al servizio, siano in qualche modo lesivi del
prestigio e del decoro dell'amministrazione (CdS n. 2182/08).
Il forte contenuto afflittivo e anche di tutela dell’Amministrazione giustifica l’interruzione del rapporto nel
momento e nello stato in cui tale rapporto si trovi, essendo tale sanzione prevista per i più gravi
comportamenti che minano il rapporto di fiducia tra Amministrazione e impiegato pubblico.
Quesito 16 (n. 54/2011)
Compensi per incarichi dal Comune per gli adempimenti connessi al censimento della popolazione
Risposta
In riferimento al suo quesito, si premette che la decisione sul tipo di contratto da stipulare dipende
essenzialmente dalle caratteristiche concrete della natura del rapporto che si intende instaurare, per cui si
forniscono i seguenti elementi di valutazione:
la nozione di “prestazione occasionale” è presente in diverse norme, non coordinate tra loro e quindi fonte di
possibile ambiguità.
a) nel decreto attuativo della legge Biagi (d.lgs. 276/2003) per prestazione occasionale si intende (art. 61
comma 2) una prestazione di durata complessiva non superiore a trenta giorni nel corso dell’anno solare con
lo stesso committente, con un compenso complessivamente percepito nel periodo d’imposta non superiore a
5000 euro.
b) la seconda nozione è quella del normale contratto d'opera (art. 2222 del codice civile), che si ha quando
una persona si obbliga a compiere verso un corrispettivo un’opera o un servizio con lavoro prevalentemente
proprio e senza vincolo di subordinazione nei confronti del committente; la prestazione può essere resa
quale attività abituale (libero professionista) oppure con carattere di “occasionalità”.
Al di là del dato formale della durata e importo, per i quali si ricorda la circolare INPS n. 9 del 22 .1 2004,
secondo la quale: “ ..sono soggette a contribuzione previdenziale le prestazioni “occasionali” , di durata
inferiore a trenta giorni e per un compenso non superiore a 5000 euro, in riferimento al medesimo
committente, sempre che sia configurabile un rapporto di collaborazione coordinata di cui all’art.50, c. 1,
lettera c – bis del T.U.I.R. e non ci si trovi in presenza di un rapporto di lavoro autonomo di cui all’articolo
2222 del codice civile.”, e tenuto conto che l'attività di cui al vostro quesito supera comunque i 30 giorni di
durata, l'elemento fondamentale che consente di distinguere tra prestazione occasionale e collaborazione
coordinata e continuativa è quello del coordinamento, o meno, dell'attività da parte del committente: qualora
l'attività svolta dall'incaricato abbia un carattere di continuità, qualora egli necessiti di rapportarsi
costantemente con l'ente e compiere attività che presuppongono forme di presenza ed interazione con lo
stesse ente che conferisce l'incarico, si è in presenza di una prestazione di collaborazione coordinata e
continuativa, con obbligo di contribuzione previdenziale ed assistenziale, e regime fiscale specifico.
Una prestazione invece che presupponga un'attività da parte di un soggetto che non svolga abitualmente
libera professione, senza necessità di coordinamento funzionale stretto con il committente, che può essere
esplicata senza rapporto continuo con l'ente, e che si concretizza nella consegna di un prodotto o di un
risultato, sarà da considerarsi occasionale ai sensi dell’articolo 2222 del c.c. e dell’articolo 67, c.1 lettera l)
del T.U.I.R. con il conseguente assoggettamento al regime fiscale e previdenziale relativo (ritenuta di
acconto del 20% sul lordo e non assoggettamento a contribuzione previdenziale se quel livello di compenso
percepito non si cumula con altri redditi occasionali nel superamento della soglia dei 5000 euro).
Quesito 17 (n. 55/2011)
Chiedo indicazioni in ordine alla corretta applicazione aliquote addizionale comunale irpef
Risposta
A decorrere dal 2007 (art.1, commi 142 e 143, L.296/2006 e successive modificazioni), l’addizionale
comunale è dovuta al comune nel quale il contribuente ha il domicilio fiscale alla data del 1° gennaio
dell’anno a cui si riferisce l’addizionale.
Essa è dovuta in due momenti: un acconto nell’anno di riferimento ed il saldo nell’anno successivo.
L’acconto è stabilito nella misura del 30% dell’addizionale ed è calcolato dal sostituto d’imposta applicando
l’aliquota deliberata dal comune interessato al reddito imponibile dell’anno precedente.
Ai fini della determinazione dell’acconto, l’aliquota e l’eventuale soglia di esenzione sono assunte nelle
misure vigenti nell’anno precedente, salvo che non sia intervenuta entro il 31 dicembre la pubblicazione da
parte del comune di riferimento di una nuova delibera di variazione sul sito www.finanze.it (D.L.159/2007,
art.40, comma 7 – L. 222/2007).
Il sostituto d’imposta dovrà trattenere il relativo importo in un numero massimo di nove rate mensili,
effettuate a partire dal mese di marzo.
Il saldo dell’addizionale è invece determinato nel mese di dicembre, applicando l’aliquota pubblicata sul sito
suddetto, al reddito calcolato ai fini delle operazioni di conguaglio di fine anno, scomputando gli acconti
mensili trattenuti.
L’importo risultante dai calcoli suddetti è trattenuto in un numero massimo di undici rate da gennaio a
novembre dell’anno successivo.
In caso di cessazione del rapporto di lavoro il saldo dell’addizionale non può essere rateizzato ed è prelevato
invece in unica soluzione.
Alla luce della normativa suddetta, nel caso sottoposto alla nostra attenzione, si ritiene che l’acconto già
calcolato non vada ricalcolato sulla base della nuova aliquota.
Quest’ultima dovrà invece essere utilizzata nel calcolo del saldo dell’addizionale comunale in sede di
conguaglio di fine anno o per cessazione sopravvenuta.
Quesito 18 (n. 57/2011)
Questa amministrazione intende affidare un incarico occasionale (nello specifico per attività relativa
al censimento) ad un proprio dipendente assunto con contratto a tempo indeterminato part time.
E' ammissibile l'erogazione del compenso come incarico occasionale e quindi "al di fuori" delle
mensilità erogate con busta paga?.
Risposta
In riferimento al suo quesito, si ricorda innanzitutto che l’art. 14, comma 5, del CCNL 1.4.1999 così afferma:
“E’ consentita la corresponsione da parte dell’ISTAT e di altri Enti od Organismi pubblici autorizzati per legge
o per provvedimento amministrativo, per il tramite degli enti del comparto,di specifici compensi al personale
per le prestazioni connesse ad indagini periodiche ed attività di settore rese al di fuori dell’orario ordinario di
lavoro”.
Pertanto nel caso in esame viene in rilievo la necessità di verificare se tali compensi rientrino nel principio
dell’omnicomprensività della retribuzione del pubblico dipendente sancito dall’art. 2 comma 3 del D.Lgs.
165/200..
A tale proposito la Corte dei Conti della Lombardia con delibera n. 14/2009 così afferma: ……..“ l’esecuzione
di censimenti e di altre attività di rilevazione statistica rientra nel novero dei compiti istituzionali dell’ente
locale. L’esercizio della funzione statistica per le autonomie locali è disciplinato dagli artt. 12 e 14 del D.Lg.
267/2000 nonché dagli artt. 2 e 6 del D.Lgs. 322/1989: Il Comune gestisce i servizi elettorali, di stato civile e
di statistica…. Ne consegue che per l’ente comunale la resa del servizio statistico deriva da un obbligo
previsto dalla legge, precettivo nell’an, discrezionale nel quomodo. L’ufficio statistica del comune, o altra
unità organizzativa equipollente, si integra con l’organizzazione del sistema statistico nazionale e svolge
attività censuarie e di rilevazione per conto dell’ISTAT nel ambiti della propria competenza territoriale”:
Sembra evidente che lo svolgimento delle attività correlate al censimento rientri quindi nei compiti
istituzionali del personale degli uffici comunali, e quindi sotto la protezione del principio
dell’omnicomprensività della retribuzione.
il CCNL 1.4.1999, nel prevedere i compensi dell’ISTAT, va inteso a nostro parere nel senso di considerare
tali prestazioni aggiuntive oltre il normale orario di lavoro ma sempre riconducibili al rapporto di lavoro
dipendente, che il personale interno può/deve svolgere.
Pertanto al dipendente comunale può essere riconosciuto per le attività del censimento solo un “ compenso
specifico” per attività svolte al di fuori dell’orario di lavoro, ma non affidare un incarico occasionale; quindi
per i rilevatori e gli eventuali coordinatori verranno pagate le ore svolte oltre il normale orario di lavoro
Per quanto concerne i compensi del personale incaricato di posizione organizzativa coinvolto nel censimento
il CCNL del 14.9.2000 (art. 39 c.2) ha espressamente previsto che possano essere corrisposti i compensi
Istat, si tratta pertanto di compensi ulteriori rispetto alla retribuzione di posizione e di risultato e quindi
aggiuntivi rispetto a queste ultime.
L’esclusione dell’incarico professionale deriva anche dall’analisi dell’art. 7 comma 6 del D.Lgs 165/2001: la
norma prevede che, prima di affidare un incarico esterno è necessario verificare l’esistenza di
professionalità interne e ciò sarebbe difficile da dimostrare se si affida un incarico allo stesso dipendente
interno.
Si ricorda che l’art. 1, comma 192 della Finanziaria 2006 ha previsto che a decorrere dall’1.1.2006 le
somme trasferite dall’ISTAT sono comprensive anche di qualsiasi onere (Cpdel, Inal, Irap ecc.) a carico
dell’amministrazione che andrà quindi scorporato prima dell’inserimento in busta paga
Quesito 19 (n. 64/2011)
Dovendo procedere al rinnovo della convenzione per la fornitura del servizio mensa per i dipendenti,
si chiede di conoscere l’importo massimo erogabile per ogni buono pasto.
Risposta
In riferimento al suo quesito, si specifica che la contrattazione collettiva non fissa alcun limite all'importo
erogabile il servizio sostitutivo di mensa, se non quello delle risorse disponibili per ciascun ente (art. 45 ccnl
14.9.2000, comma 1).
L'art. 46 del ccnl 14.9.2000 come modificato dall'art. 13 ccnl 9.5.2006 specifica inoltre che "il costo del buono
pasto sostitutivo del servizio mensa è pari alla somma che l'ente sarebbe tenuto a pagare per ogni pasto."
Il dipendente è poi tenuto a corrispondere un terzo del costo unitario di ciascun pasto come determinato in
sede di convenzione. L'ente dovrà quindi valutare con cura l'ammontare di risorse disponibili in bilancio, al
fine di stipulare convenzioni nelle quali si definisca il valore di un pasto con attenzione alla sua sostenibilità
per le finanze dell'ente , in riferimento ovviamente al numero di lavoratori interessati.
A mero titolo esemplificativo, si ricorda che sia la Provincia di Cremona, sia il Comune di Cremona hanno
stabilito quale tetto massimo per il buono pasto il valore di € 10,50 (di cui un terzo a carico del dipendente).
Si ricorda però che alcune recenti pronunce della Corte dei Conti hanno affrontato il problema dell’eventuale
aumento del valore del buono pasto con riferimento alla previsione dell’art. 9 comma 1 del D.L. 78/2010,
che vieta di aumentare il trattamento economico ordinariamente spettante al singolo dipendente nell’anno
2010.
La Corte dei Conti Toscana (par. 187/2011) richiama la sentenza della Cassazione civile, sez. lav.,
21/07/2008, n. 20087 secondo la quale: “Il valore dei pasti, dei quali il lavoratore può fruire in una mensa
aziendale o presso esercizi convenzionati con il datore di lavoro, non costituisce elemento della retribuzione,
allorché il servizio mensa rappresenti un'agevolazione di carattere assistenziale, anziché un corrispettivo
obbligatorio della prestazione lavorativa, per la mancanza di corrispettività della relativa prestazione rispetto
a quella lavorativa e di collegamento causale tra l'utilizzazione della mensa e il lavoro prestato, sostituendosi
a esso un nesso meramente occasionale con il rapporto.” La Cassazione pertanto sottolinea la natura
assistenziale e non retributiva del buono pasto che, in quanto tale, non può essere sostituito con
un’erogazione in denaro.
La Corte dei Conti Toscana così prosegue: “Si ricorda, però, che in base all’art. 51, comma 2 lettera c) del
DPR 22 dicembre 1986, n. 917 (Testo unico delle imposte sui redditi - TUIR), nella sua attuale versione, il
buono pasto non concorre a costituire reddito da lavoro dipendente solo fino all’importo complessivo
giornaliero di € 5,29; per la quota eccedente tale valore, esso è assoggettato a tassazione e a ritenute
previdenziali, pur essendo non monetizzabile (si veda a proposito la circolare R.G.S. n.24/2006). Se è pur
vero che la norma di cui all’art. 9 della legge 122 citata ha una finalità diversa dalla norma di cui all’art. 51
TUIR, trattandosi nel primo caso di riduzione del trattamento retributivo spettante e nel secondo caso di
imposizione fiscale ai redditi di lavoro dipendente, la risoluzione al quesito deve tener conto della natura
giuridica del buono pasto che può considerarsi sottoposto alla limitazione di cui all’art. 9 solo
nell’ipotesi (nella misura) in cui presenti una natura retributiva-corrispettiva.
Come chiarito, la natura assistenziale e non retributiva del buono pasto non può che considerarsi limitata
entro l’importo predetto (euro 5,29), oltre il quale concorre alla formazione del reddito (e quindi del
trattamento economico complessivo). Pertanto deve ritenersi che un incremento del valore del buono
pasto oltre tale soglia concorre alla formazione del reddito del dipendente ed entra a far parte, per
disposizione di legge, nella componente retributiva del compenso del dipendente, perdendo la sua
natura puramente assistenziale. Si conclude pertanto ritenendo che il divieto di aumentare il “trattamento
ordinariamente spettante per l’anno 2010” di cui all’articolo 9, comma 1°, del D.L. 78/2010, convertit o, con
modificazioni, dalla legge 122/2010, sia violato in caso di incremento del valore del buono pasto oltre
la quota di euro 5,29 (del medesimo avviso è la Sezione Controllo Emilia Romagna con deliberazione n. 25
del 17 giugno 2011).
Peraltro, si ricorda che il buono pasto va, in ogni caso e per il suo intero ammontare, incluso nel computo
della spesa di personale, ai fini del rispetto dei commi 557 e 562 dell’articolo unico della L. 296/06 inerenti i
limiti in tema di spesa di personale negli enti locali, come indicato, da anni, nelle linee guida al controllo
monitoraggio emanate dalla Sezione delle autonomie della Corte dei Conti.”
Anche la Corte dei Conti Sez. Puglia, con deliberazione n. 63 del 14.09.2011, si pronuncia sulla possibilità di
incremento del valore dei buoni pasto, in relazione al disposto dell'art. 9 comma 1 del D.L. 78/2010. Secondo
la Corte ( in senso conforme alla precedente pronuncia della Corte Conti Toscana e alla circolare RGS n.
12/2011) la disciplina dell'art. 9 del D.L. 78/2010 prevede misure di contenimento finalizzate a garantire
l'invarianza dei trattamenti retributivi nel triennio di riferimento; tale invarianza deve riguardare anche il
valore dei buoni pasto la cui misura non può essere incrementata nel medesimo triennio in
considerazione del fatto che, ai sensi dell'art. 51 comma 2, lett. c) del T.U.I.R., i buoni pasto
costituiscono redditi da lavoro dipendente per importi superiori a euro 5,29. Ne consegue, ad avviso
del Collegio, che qualora il valore del buono pasto non sia superiore a euro 5,29 non costituisce reddito da
lavoro dipendente e pertanto non soggiace ai vincoli imposti dall'art. 9 del citato D.L. 78/2010.
Quesito 20 (n.67/2011)
Si chiede di sapere se, ai fini della determinazione della base imponibile IRAP, debba essere
compresa la somma figurativa trattenuta ai dipendenti in regime di T.F.R., cioè della quota di
retribuzione lorda pari al 2% ex inadel a carico dipendenti.
Risposta
In merito al suo quesito posto, si evidenzia che l'imponibile irap, essendo calcolato in base all'art.4 c.2 del
D.lgs.446/1997 sulle retribuzioni spettanti al personale a qualunque titolo utilizzato, compresi i redditi
assimilati a quelli di lavoro dipendente, i compensi ai collaboratori coordinati e continuativi, è dedotto della
somma figurativa trattenuta ai dipendenti in regime t.f.r. (pari al 2% ex inadel) in quanto trattasi di somma
figurativa e non di retribuzione. In particolare la circolare 4 giugno 1998 n.141/E afferma nel Cap.IV che
l'ammontare delle retribuzioni da considerare ai fini della ripartizione territoriale è quello rilevante ai fini
previdenziali, determinato ai sensi dell'art. 12 del D.P.R. 30 aprile 1969, n. 153, come sostituito dall'art. 6 del
citato D.Lgs. n. 314 del 1997.
In merito ai singoli elementi che compongono la retribuzione imponibile previdenziale si rinvia alla circolare
INPS-Direzione Centrale Contributi- n. 236 del 24 dicembre 1997.
Pertanto, restano escluse dalla nozione di retribuzione le quote di accantonamento annuale al
trattamento di fine rapporto, le somme corrisposte in occasione della cessazione del rapporto di lavoro al
fine di incentivare l'esodo dei lavoratori, le indennità, anche in forma assicurativa, conseguite a titolo di
risarcimento danni nonché i contributi e le somme a carico del datore di lavoro versate o accantonate sotto
qualsiasi titolo alle forme pensionistiche complementari di cui al D.Lgs. n. 124 del 1993.
Quesito 21 (n.69/2011)
Chiedo cortesemente un vostro supporto per l’esatto conteggio della trattenuta per sciopero e per il
computo della base imponibile dei vari contributi/ritenute pensionistiche (Cpdel, Inadel, Fondo
Credito, Irap, Inail, Irpef).
Risposta
La trattenuta sulla retribuzione in caso di sciopero deve avvenire, di norma, sulla busta paga del mese
successivo a quello di effettuazione dello stesso, in termini direttamente proporzionali alla sua durata.
Nel caso di durata inferiore alla giornata, la trattenuta deve sempre essere effettuata su base oraria (nei casi
di sciopero inferiori all’ora deve sempre operarsi una trattenuta pari ad un’ora).
Per quanto riguarda l’esatto conteggio della trattenuta per sciopero occorre distinguere innanzitutto se
trattasi di sciopero breve, vale a dire indetto per un numero determinato di ore di durata inferiore alla
giornata lavorativa, o se trattasi di sciopero proclamato per l’intera giornata.
Nel primo caso si applica la disciplina prevista dall’art. 44 del CCNL 14/9/2000 , che così recita “Per gli
scioperi di durata inferiore alla giornata lavorativa, le relative trattenute sulle retribuzioni sono limitate
all'effettiva durata dell'astensione dal lavoro e, comunque, in misura non inferiore a un'ora.
In tal caso, la trattenuta per ogni ora è pari alla misura oraria della retribuzione di cui all'art. 52, comma 2,
lett. c).”
Pertanto nel caso dello sciopero breve l’importo della relativa trattenuta si ottiene dividendo per 156
(equivalente a 6 ore di lavoro giornaliere per 26 giorni lavorativi mensili) la retribuzione di cui all’art. 52
comma 2 lett. c) ccnl 14/9/2000.
La retribuzione di cui all’art. 52 comma 2 lett. c) si determina sommando le seguenti voci retributive:
1.
retribuzione mensile prevista per la posizione economica iniziale di ogni categoria (per posizioni
infracategoriale B3 e D3 all’interno cat. B e D dovrà assumersi a riferimento rispettivamente , la posizione B3
e D3);
2.
il valore delle posizione economica di categoria acquisita dal dipendente per effetto di progressione
orizzontale;
3.
la retribuzione individuale di anzianità eventualmente maturata;
4.
il valore della retribuzione di posizione eventualmente in godimento;
5.
il valore degli altri eventuali assegni personali a carattere continuativo e non riassorbibile in godimento.
Una volta ottenuto l’importo della retribuzione mensile, per determinare la trattenuta per sciopero breve,
occorre dividere il risultato ottenuto per 156 e moltiplicarlo per il n° di ore di sciopero.
Nel caso dello sciopero proclamato per l’intera giornata, invece la trattenuta sulla retribuzione non dovrà
essere calcolata ad ore, ma l’ente dovrà trattenere sulla busta paga dei dipendenti interessati una giornata di
retribuzione, prendendo come base di riferimento sempre la retribuzione art.52 comma 2 lett.c) ccnl
14/9/2000, come sopra descritto, dividendola però per 26, come specificato nello stesso art.52 al comma 4.
L’indennità di comparto non rientra nella base di calcolo per la trattenuta (sia oraria che giornaliera) in
quanto, secondo quanto disposto dall’art. 44 ccnl 14/9/2000, la base di calcolo è la nozione di retribuzione di
cui all’art.52 comma 2 lett.c, mentre l’indennità di comparto rientra nella nozione di retribuzione di cui alla
lett.d) del medesimo articolo 52.
Per quanto concerne il problema della decurtazione degli imponibili previdenziali, assistenziali,
assicurativi e fiscali, si ritiene quanto segue:
§
I contributi cpdel, tfs e fondo credito sono calcolati sull'intero importo, al lordo della trattenuta per
sciopero, e sono a carico, pro quota, dell'ente e del dipendente. Si ritiene che gli imponibili sopra indicati non
vadano decurtati dalla trattenuta in oggetto in quanto l'astensione dal lavoro per sciopero non costituisce
interruzione del rapporto di impiego ed il giorno di sciopero è valido, quindi, ai fini previdenziali e assistenziali
§
I contributi tfr, invece, sono dovuti su un imponibile al netto della trattenuta per sciopero, per espressa
indicazione dell’inpdap.
§
Gli imponibili irap, inail e irpef si riducono per effetto della trattenuta per sciopero.
Si ricorda che le detrazioni di imposta per lavoro dipendente e la tredicesima mensilità non maturano nel
caso di adesione a sciopero per l’intera giornata.
Quesito 22 (n.109/2012)
Si chiedono chiarimenti in merito alle disposizioni vigenti relative al pensionamento delle donne e
definite: "Opzione Donna".
Risposta :
La possibilità di accesso alla pensione di anzianità con diritto di opzione al sistema di calcolo contributivo –
riservata alle lavoratrici dipendenti sia pubbliche che private – venne prevista, in via sperimentale dalla legge
243/2004. Questa forma di anzianità sopravvive per effetto della nuova riforma delle pensioni Monti-Fornero
(art. 24, comma 14, della legge 214/2011) rientrando nelle deroghe al nuovo regime in vigore dall’
1.01.2012.Alle lavoratrici, rientranti in questa fattispecie, continuano ad applicarsi, ai fini del regime di
accesso e di decorrenza della pensione, le precedenti disposizioni sino al 31.12.2015 vale a dire: requisiti
dei 57 anni di eta’ (dal 2013 con l’aggiunta di mesi 3) e dei 35 anni di contribuzione. L’accesso alla pensione
avverrà dopo l’applicazione della relativa “finestra” di mesi 12 dal momento del diritto e la pensione sarà
liquidata con il calcolo interamente contributivo secondo il metodo dell’opzione. Va precisato che tale
“percorso” di accesso e’ sperimentale sino al 31.12.2015 e che questa data e’ l’ultima utile entro cui far
decorrere la pensione, con la conseguenza che il diritto deve essere perfezionato entro il 30.12.2014.
La possibilità di accedere alla pensione suddetta sarà verificata sulla base degli elementi soggettivi della
dipendente interessata, vale a dire anzianità contributiva (servizi e/o periodi utili, ricongiunzioni, ecc…..) ed
età anagrafica.
Quesito 23 (n.125/2012)
Il 13 settembre 2012 il Comune ha ricevuto una richiesta di recupero crediti “ciclo 29“ ,relativo a un
contribuente cessato.
I dati inseriti sono corretti e si chiede come procedere per il versamento - 30 giorni dal 05/09 – ed in
particolare: si deve utilizzare il modello F24EP con il codice P216 e con quale indicazione di periodo
nelle caselle relative?
Devono essere compilati i quadri della DMA?
Risposta :
Il recupero crediti di cui al riferimento riguarda sistemazioni contributive Inpdap concernenti ex dipendenti
cessati dal servizio. Poiche' i dati inseriti nel modello S.M. 5003/SC risultano corretti entro 30gg dal
ricevimento si dovrà provvedere al relativo versamento tramite il mod. F24EP inserendo il cod. causale P216
(trattandosi di personale di Ente Locale) e come periodo di riferimento dal 10 2012 al 10 2012 (se al
versamento si provvederà in ottobre con scad. 5/10) o dal 09 2012 al 09 2012 (se al versamento si
provvederà entro settembre).
Il recupero crediti di cui ai cicli per sistemazioni contributive non dovra' essere inserito nella procedura DMA.
Quesito 24 (n.140/2012)
Si chiede la collaborazione per disciplinare il servizio dei buoni pasto al personale dipendente.
Nel nostro Comune il predetto servizio non risulta regolamentato, fatta eccezione per una vecchia
delibera che stabilisce il costo a carico dei dipendenti che utilizzano il servizio (costo pari ad Euro
2,00 a pasto).
Non essendovi una mensa aziendale, i dipendenti sono ammessi alla mensa della scuola verso il
pagamento di un corrispettivo di Euro 2,00 a pasto (che versano in tesoreria).
Nessuna trattenuta o voce viene inserita nel cedolino paga.
Alla luce della vigente normativa in materia, si chiede gentilmente un fac simile di semplice
regolamento o di delibera da adottare al riguardo, per disciplinare correttamente la fruizione del
pasto e per indicare correttamente la spesa nelle spese di personale.
Risposta:
Prima di entrare nel dettaglio delle norme relative al servizio mensa, si fa presente che la Corte dei conti,
Sezione di controllo per la Toscana, con la deliberazione n.187 del 21 luglio 2011, si è espressa in merito
all’aumento del valore del buono pasto e ai limiti imposti dall’art.9 della legge n.122/2010 (sui limiti al
trattamento economico ordinariamente spettante ai dipendenti che fino al 2013, non può superare quello del
2010).
Un Comune chiedeva se l’importo del buono pasto rientrasse nell’aggregato del “trattamento economico
ordinariamente spettante per l’anno 2010” e, perciò, se l’aumento del valore del buono pasto da euro 5,29 ad
euro 7,50 incidesse sul rispetto dell’art. 9 della L. 122/2010 di conversione del D.L. 78/2010, o possa invece
ritenersi svincolato dallo stesso in considerazione del fatto che, secondo la giurisprudenza prevalente, il
buono pasto non ha carattere di corrispettività e non ha natura retributiva.
La Corte sostiene che, in base all’art. 51, comma 2 lettera c) del DPR 22 dicembre 1986, n. 917 (Testo unico
delle imposte sui redditi - TUIR), il buono pasto non concorre a costituire reddito da lavoro dipendente solo
fino all’importo complessivo giornaliero di € 5,29; per la quota eccedente tale valore, esso è assoggettato a
tassazione e a ritenute previdenziali, pur essendo non monetizzabile (si veda a proposito la circolare R.G.S.
n.24/2006). La natura assistenziale e non retributiva del buono pasto non può che considerarsi limitata entro
l’importo predetto (euro 5,29), oltre il quale concorre alla formazione del reddito (e quindi del trattamento
economico complessivo).
Pertanto deve ritenersi che un incremento del valore del buono pasto oltre tale soglia concorra alla
formazione del reddito del dipendente ed entri a far parte, per disposizione di legge, nella
componente retributiva del compenso del dipendente, perdendo la sua natura puramente
assistenziale. Ne consegue che l'aumento del valore del buono pasto oltre tale soglia debba
considerarsi parte del trattamento economico ai fini del rispetto del disposto ex art. 9, comma 1 della
legge n.122/2010, di conversione del d.l. n.78/2010, secondo il quale "Per gli anni 2011, 2012 e 2013 il
trattamento economico complessivo dei singoli dipendenti, anche di qualifica dirigenziale, ivi compreso il
trattamento accessorio...non può superare, in ogni caso, il trattamento ordinariamente spettante per l'anno
2010".
Peraltro, la Corte ricorda che il buono pasto va, in ogni caso e per il suo intero ammontare, incluso nel
computo della spesa di personale, ai fini del rispetto dei commi 557 e 562 dell’articolo unico della L. 296/06
inerenti i limiti in tema di spesa di personale negli enti locali, come indicato, da anni, nelle linee guida al
controllo monitoraggio emanate dalla Sezione delle autonomie della Corte dei Conti.
§§§
Il servizio mensa è disciplinato dall’articolo 45 del CCNL 14 settembre 2000 che, come precisato dall’ARAN
(Parere ARAN RAL023), non pone a carico degli enti alcun obbligo circa l’istituzione del servizio o la
corresponsione del buono pasto sostitutivo. Il dipendente non è quindi titolare di un diritto soggettivo in
questa materia, sarà il comune a valutare autonomamente le risorse disponibili e l’organizzazione dei propri
servizi al fine di assumere eventualmente la decisione di istituire il servizio.
Il servizio potrà essere organizzato attraverso una mensa aziendale, attraverso la stipula di convenzioni
con pubblici esercizi, o ancora attraverso l’attribuzione di buoni pasto.
La materia non è oggetto di contrattazione decentrata, ma di solo confronto con le organizzazioni sindacali.
Il mancato confronto potrebbe condurre alla condanna per condotta antisindacale.
Una volta assunta la decisione sull’organizzazione del servizio, l’ente provvederà a regolamentare le
condizioni necessarie per l’attribuzione dei buoni pasto o l’utilizzo del servizio mensa, come ad esempio
l'entità minima delle prestazioni antimeridiane e pomeridiane da stabilirsi in misura congrua, tale da
giustificare l'onere sostenuto con l’utilità derivante dalla prestazione su orario spezzato.
Si ricorda che la condizione minima richiesta dall’articolo 45, comma 2, del CCNL 14 settembre 2000 per
l’assegnazione del buono pasto (uno solo al giorno) consiste nella presenza lavorativa al mattino con
prosecuzione pomeridiana, dopo una pausa non inferiore a trenta minuti e non superiore a 2 ore, ritenendo
utili anche le prestazioni rese come lavoro straordinario o svolte come recupero di eventuali prestazioni in
precedenza non rese per fruizione di un permesso breve o per utilizzo della flessibilità.
Il contratto non consente l’attribuzione di un buono pasto nel caso di prestazioni rese in orario solo
antimeridiano o solo pomeridiano né di un secondo buono in caso di prestazione iniziata in orario
antimeridiano, proseguita in orario pomeridiano e successivamente in orario serale.
Qualora si opti per il buono pasto sostitutivo, secondo l’ARAN, è sufficiente che l'ente provveda
all'erogazione per ogni ‘ticket’, di una somma, esclusivamente a proprio carico, pari ai 2/3 del costo unitario
di un servizio mensa […]. Per la determinazione del valore del buono pasto si può fare riferimento, attraverso
un’indagine di mercato nell’area territoriale interessata, a preventivi forniti da esercizi pubblici che operano
per l’erogazione dei pasti o con verifiche presso le mense aziendali oppure avvalendosi della collaborazione
della Camera di Commercio.
L’ente potrà quindi stabilire il valore del pasto ed erogare un ticket per i 2/3 di detto valore; si segnala la
prassi diffusa di erogare un buono per il valore totale e trattenere in busta paga 1/3 di quanto speso. In ogni
caso la spesa a carico dell’ente per singolo buono non può superare i 7 euro.
Si rammenta infatti che l’articolo 5, comma 7, del d.l. 95/2012, come convertito dalla legge 135/2012, ha
stabilito che il valore dei buoni pasto attribuiti al personale dal 1° ottobre 2012, anche di qualific a
dirigenziale, in tutte le pubbliche amministrazioni, non possa superare il valore nominale di 7,00 euro. Tale
valore è riferibile al solo costo che l’ente deve sostenere, cioè i due terzi del costo convenzionale del pasto e
non anche al terzo dovuto dai dipendenti.
La disciplina fiscale della somministrazione dei pasti ai dipendenti è regolata dall’art.51, co.2, lett.c) del
DPR n.917/1986 (Tuir), che individua, tra le somme che non concorrono alla formazione del reddito da
lavoro dipendente
- le somministrazioni di vitto da parte del datore di lavoro;
- le forniture in mense direttamente predisposte dal datore di lavoro o affidate alla gestione di terzi tramite
appalti;
- le prestazioni e le indennità sostitutive del servizio mensa corrisposte ai lavoratori addetti ai cantieri edili, a
strutture lavorative a carattere temporaneo o ad unità produttive situate in zone prive di strutture o servizi di
ristorazione,
entro il limite giornaliero di €.5,29 (c.d. soglia di esenzione):
L’Agenzia delle Entrate, con la Risoluzione n.118/E/2006, ha precisato che possono beneficiare della
suddetta agevolazione anche i dipendenti a tempo parziale che fruiscano dei ticket, pur in presenza di un
orario di lavoro che non preveda il diritto alla pausa per la consumazione del pasto.
La soglia di esenzione opera anche nei confronti della generalità dei collaboratori d’impresa, con o senza
progetto (Circolare n.207/E/2000).
La scelta di una modalità operativa piuttosto che un ‘altra, differenzia il trattamento fiscale e contributivo da
applicare da parte del datore di lavoro.
Somministrazione diretta del pasto e mense aziendali
Nell’ipotesi di fornitura del pasto o, comunque, di gestione diretta del servizio mensa da parte del datore di
lavoro, i costi sostenuti dall’ente costituiscono un onere interamente deducibile ai fini delle imposte dirette ed
ai fini Irap.
Inoltre, secondo il principio dell'inerenza all'attività, trattandosi di acquisizione di un servizio complesso non
riconducibile alla semplice somministrazione di alimenti e bevande, sulle prestazioni in argomento è prevista
la detraibilità dell'Iva.
Convenzioni con i pubblici esercizi
Il Ministero delle Finanze, con circolare n.326/97, ha chiarito che rientrano tra le prestazioni di vitto e mense
aziendali, le convenzioni con i pubblici esercizi e la somministrazione di cestini preconfezionati da distribuire
ai lavoratori dipendenti.
Tale modalità di organizzazione della pausa pranzo viene pertanto equiparata alla fattispecie della mensa
aziendale, per cui trova applicazione il trattamento fiscale sopra indicato.
Buoni pasto / Ticket restaurant
Un’ulteriore modalità di gestione della pausa pranzo, può essere istituita attraverso il rilascio dei buoni pasto
o ticket restaurant, in sostituzione del servizio di mensa aziendale.
In pratica, tale strumento consente all’utilizzatore di fruire di un servizio sostitutivo di mensa per un importo
pari al valore facciale del buono e, all’esercizio convenzionato, di attestare l’adempimento della prestazione
nei confronti dell’azienda somministratrice.
La prestazione sostitutiva in parola è soggetta ad alcune limitazioni fiscali.
L’art.51, co.2, lett.c), DPR n.917/86 introduce, infatti, una franchigia giornaliera di €5,29, per cui, i buoni
pasto di valore pari o inferiore alla soglia anzidetta non concorrono alla formazione del reddito da lavoro
dipendente, mentre la parte eccedente la franchigia sarà assoggettata a ritenuta fiscale e previdenziale.
L’eccedenza del valore facciale del ticket rispetto a € 5,29 concorre sempre alla formazione del reddito di
lavoro dipendente in quanto trattasi di vera e propria erogazione di denaro e, pertanto, non può essere
assorbita dalla franchigia di €258,23, prevista unicamente per i compensi in natura (Risoluzione n.
26/E/2010).
A decorrere dal primo settembre 2008, a seguito delle modifiche apportate dal D.L. n.112/08 alla disciplina in
esame, l’Iva addebitata dall’emittente al datore di lavoro per l’acquisto dei buoni pasto (aliquota del 4%) è
interamente detraibile.
Esempio di trattamento contributivo e fiscale in caso di buoni pasto o ticket restaurant.
Si supponga che l’ente somministri annualmente 15.000 pasti a favore dei propri lavoratori e che il costo del
singolo pasto sia pari ad € 7,50, interamente a carico dell’ente.
Determinazione dell’importo annuo soggetto a oneri riflessi a carico dell’ente
€ 7,50 - € 5,29 ( soglia di esenzione) = € 2,21
€ 2,21 x 15.000 = € 33.150,00 ( valore annuale soggetto a contributi previdenziali e irap)
€ 33.150,00 x 23.80% = € 7.889,70 (contributi cpdel a carico ente)
€.33.150,00 x 8,50% = 2.817,75 (irap a carico ente)
Determinazione dell’ammontare mensile soggetto a contribuzione a carico del lavoratore
€ 7,50 - € 5,29 (soglia di esenzione) = € 2,21 (valore giornaliero soggetto irpef e contributi cpdel e fondo
credito)
€ 2,21 x 23 gg (effettiva presenza in servizio) = € 50,83 (valore mensile soggetto irpef e contributi cpdel e
fondo credito)
Calcolo contributi cpdel-fondo credito e Irpef a carico del lavoratore
€ 50,83 x 8,85% = € 4,50 (contributo cpdel)
€ 50,83 x 0,35% = € 0,18 (contributo fondo creditol)
€ 50,83 - € 4,50 - €.0,18 = € 46,15 (imponibile fiscale)
€ 46,15 x 23% = € 10,61(ritenute Irpef)
Totale oneri mensili medi a carico del lavoratore: € 4,50+ €.0,18 + € 10,61 = € 15,29
Totale oneri contributivi e fiscali annuali medi a carico del lavoratore: € 15,29 x 12 (mesi di lavoro) = €
183,48
Carta magnetica o “restaurant card”
Le c.d. restaurant card (tessere magnetiche) vengono incluse nell’ambito delle prestazioni sostitutive del
servizio mensa.
Questo tipo di soluzione, avvalendosi di un circuito elettronico, consente:
- da una parte, di individuare in tempo reale il momento di utilizzo della prestazione;
- e dall’altra, di impedire impieghi distorti e fraudolenti dello strumento quali l’utilizzo in un giorno in cui il
lavoratore risulti ammalato o in orario diverso da quello previsto contrattualmente per la consumazione del
pasto.
Il lavoratore ha diritto, previa esibizione della carta, ad una sola prestazione giornaliera, secondo le modalità
previste dalla legge o dai contratti collettivi e non potrà ricevere, in sostituzione, somme in denaro, beni o
prestazioni diverse da quelle registrate sul badge.
L’utilizzo della carta non consente di posticipare nel tempo la fruizione della prestazione e il dipendente che,
pur avendo maturato il diritto, non si avvale della consumazione del pasto, non potrà usufruirne a recupero
nei giorni successivi.
La società che emette le tessere è tenuta: a codificare i badge prima di consegnarli all’azienda datrice di
lavoro che provvederà alla distribuzione degli stessi ai lavoratori dipendenti; ad effettuare l’installazione,
presso gli esercizi convenzionati, di terminali idonei a garantire il collegamento immediato tra il fruitore della
carta magnetica e il servizio di somministrazione.
Ai fini fiscali ed Irap, l’ente potrà detrarre interamente l’IVA (aliquota del 4%) assolta per l’acquisto del
servizio a mezzo carte magnetiche e l’onere sostenuto non concorre alla formazione della base imponibile ai
fini Irap.
Il servizio in questione non concorre alla formazione del reddito da lavoro dipendente qualunque sia il valore
del pasto.
Conseguentemente, il dipendente non avrà alcun aggravio contributivo e fiscale.
Sintesi del trattamento tributario e contributivo
Tipologia di gestione Trattamento fiscale Irpef
della pausa pranzo
(art.51,c.2,lett.c,Tuir)
e
Irap
Contributi Inpdap
Detraibilità Iva
Somministrazione pasto Non
concorre
alla Non
concorre
alla Piena detraibilità 100%
da parte dell'azienda
formazione del reddito
formazione dell'imponibile
contributivo
Mensa
aziendale
interaziendale
Buoni pasto
restaurant
/
o Non
concorre
alla Non
concorre
alla Piena detraibilità 100%
formazione del reddito
formazione dell'imponibile
contributivo
Ticket Non
concorre
alla
formazione del reddito
sino alla soglia esenzione
di € 5,29
Non
concorre
alla Piena detraibilità 100%
formazione dell'imponibile
contributivo sino alla soglia
di esenzione di € 5,29
Si ricorda infine che il costo relativo al buono pasto rientra fra le spese di personale, indipendentemente
dalla circostanza che il suo ammontare sia inferiore o superiore ad euro 5,29 giornaliere (in proposito: Corte
conti, sez. contr. Toscana, 21 luglio 2011, n. 187; sez. contr. Puglia, 14 settembre 2011, n. 63; sez. contr.
Lombardia, 12 dicembre 2011, n. 651), poichè si tratta di una risorsa che è prevista dalla contrattazione
collettiva di comparto in favore dei dipendenti dell'Ente locale.” (Corte dei conti, Sezione Regionale di
Controllo per il Piemonte, Delibera 23 febbraio 2012, n. 14/2012/SRCPIE/PAR).
La pronuncia così prosegue: “D'altro canto, è opportuno evidenziare che si tratta di una nozione ormai
acquisita nell'ambito della gestione finanziaria degli Enti locali, considerato che nella "Relazione alla Sezione
regionale di controllo (ai sensi dell'art. 1, commi 166 e ss, della legge finanziaria per il 2006) dell'organo di
revisione contabile" all'interno dell'elenco delle voci che rientrano fra le spese di personale che debbono
essere conteggiate ai fini della verifica del limite previsto dal citato co. 562 è compresa la voce "Oneri per il
nucleo familiare, buoni pasto e spese per equo indennizzo" (punto 6.1, della parte II del documento,
approvato dalla Sez. Autonomie della Corte dei conti con delibera n. 2, in data 9 giugno 2011). In
conclusione, se anche il buono pasto del valore inferiore a 5,29 euro ha natura assistenziale per il
dipendente, per l'Amministrazione rientra fra le spese di personale che devono essere considerate al fine di
verificare il rispetto del limite di spesa stabilito dall'art. 1, co. 562 della legge 27 dicembre 2006, n. 296.”.
Per coerenza, si ritiene che anche il costo relativo ai pasti erogati tramite mensa aziendale debba essere
computato tra le spese di personale, in quanto assimilabile a “benefit” per il dipendente.
Quesito 25 (n.157/2013)
Un cantoniere di questo comune durante il servizio neve ha effettuato lavoro straordinario sia ore in
notturna sia ore durante la festività dell'immacolata e chiede il recupero delle ore, non vuole il
pagamento.
Preciso che non si tratta di ore domenicali (riposo settimanale) per le quali si applica la
maggiorazione del 50% e il riposo compensativo di pari ore.
Se il dipendente recupera, è giusto non pagare a parte la maggiorazione del 30% (ad esempio per
lavoro notturno) quale indennizzo?
Cioè il dipendente può scegliere fra recupero e pagamento, ma se sceglie di recuperare non ha
diritto ad alcun indennizzo monetario (la differenza fra il costo orario ordinario e il costo orario
straordinario). E' corretto?
Risposta
E' corretto quanto da voi affermato, cioè che il lavoratore, in base all'art. 38 comma 7 del CCNL 14.9.2000,
può scegliere tra remunerazione maggiorata delle ore prestate quale straordinario o equivalente riposo
compensativo, senza alcun indennizzo monetario. A questo proposito, si allega un parere dell'ARAN che
riassume in maniera chiara e completa la questione nel senso appena affermato.
“RAL_1402_Orientamenti Applicativi
Un dipendente che abbia svolto lavoro straordinario, ove opti per tale soluzione in luogo del
pagamento del trattamento economico, può fruire anche ad ore dei riposi compensativi
corrispondenti alla durata delle prestazioni straordinarie effettivamente rese? Ove tale soluzione sia
possibile, le ore di riposo compensativo fruite devono essere conteggiate nelle 36 ore di permesso
breve, di cui all’art.20 del CCNL del 6.7.1995 oppure non esistono limiti in materia?
Il dipendente può certamente richiedere la fruizione di riposi compensativi, quantitativamente equivalenti alla
durata delle prestazioni straordinarie, in luogo del relativo compenso economico (art. 38 comma 7, del CCNL
del 14 settembre 2000).
In materia devono essere, comunque, rispettate le seguenti regole:
a) le prestazioni di cui si chiede il riposo compensativo devono essere state debitamente autorizzate dal
dirigente responsabile, nei limiti quantitativi consentiti dalle risorse assegnate; il dipendente non può
richiedere il recupero delle ore spontaneamente rese senza il preventivo consenso del dirigente;
b) il periodo di recupero compensativo deve essere computato ad ore lavorative, corrispondenti alle ore di
straordinario prestate;
c) le ore cumulate possono dar luogo anche ad un riposo compensativo pari ad una o più intere giornate
lavorative, purché sia rispettato il conteggio delle ore;
d) la fruizione del riposo compensativo deve essere compatibile con le esigenze organizzative e di servizio; a
tal fine sono necessarie una tempestiva richiesta al competente dirigente (o al responsabile del servizio) e il
consenso preventivo di quest'ultimo sul periodo prescelto dal lavoratore o su altro eventualmente indicato, in
via alternativa, dal dirigente;
e) mancando un limite temporale predefinito, entro il quale è consentito la fruizione del riposo compensativo,
per dare certezza ai comportamenti e per evitare conflitti interni, ogni ente potrebbe stabilire, attraverso un
proprio regolamento aziendale, di stampo privatistico, un termine certo (ad esempio un mese dalla
prestazione di lavoro straordinario) entro il quale deve essere comunque operato il recupero;
f) il riposo compensativo non dà comunque titolo a percepire la maggiorazione percentuale del valore del
lavoro ordinario; quindi, per ogni ora di straordinario diurno viene riconosciuto un corrispondente riposo
compensativo di un'ora, senza che al lavoratore debba essere riconosciuta la maggiorazione prevista del
15%; neppure è possibile riconoscere, in relazione alla stessa ora di lavoro straordinario diurno, al lavoratore
un riposo compensativo di 69 minuti, corrispondenti al valore economico dell'ora di lavoro straordinario
comprensiva anche della maggiorazione del 15%;
g) la utilizzazione della disciplina sul riposo compensativo deve essere intesa come alternativa a quella sulla
banca delle ore (art. 38-bis, del CCNL del 14 settembre 2000);
h) giova ribadire, per maggiore chiarezza, che il riposo compensativo non può essere imposto d’autorità dal
dirigente, ma deve essere sempre richiesto espressamente dal dipendente che ha reso la prestazione di
lavoro straordinario. Per questo motivo, le prestazioni di lavoro straordinario autorizzate devono essere
sempre ricomprese nel tetto di spesa assegnato a tale titolo al singolo centro di costo. Infatti, se il lavoratore
pretende il pagamento bisogna sempre poter disporre delle necessarie risorse. Alla luce di tali
considerazioni, che trovano il loro fondamento nella precisa formulazione delle clausole contrattuali in
materia (art.38 CCNL 14 settembre 2000), si devono esprimere dubbi sulla correttezza della prassi seguita
da molti enti del comparto di autorizzare prestazioni di lavoro straordinario anche in mancanza o al di là delle
disponibilità finanziarie a tal fine predisposte (art.14 del CCNL 1° aprile 1999), imponendo sostanzia lmente al
dipendente la fruizione del corrispondente riposo compensativo.
Da tale ricostruzione, quindi, non emergono ostacoli alla fruizione ad ore del riposi compensativi
corrispondenti alle ore di lavoro straordinario prestate dal dipendente e da questi richiesti in alternativa al
pagamento del relativo compenso, purché come sopra detto siano garantite le esigenze organizzative.
Giova, infine, evidenziare che non esiste alcun collegamento, diretto o indiretto, tra la fruizione dei riposi
compensativi delle ore di lavoro straordinario effettuate e la disciplina dei permessi brevi dell’art.20 del
CCNL del 6.7.1995, trattandosi di istituti del tutto diversi nei presupposti e nella regolamentazione."
Quesito 26 (n.167/2013)
Si chiedono delucidazioni per la corretta liquidazione di somme trattenute in seguito ad un atto di
pignoramento presso terzi regolarmente notificato dal Tribunale:
lo scrivente Ente, ricevuto l'atto di pignoramento presso terzi di cui sopra, ha sospeso l'erogazione
mensile dell'indennità di funzione ad un Amministratore. Di fatto non ha elaborato il cedolino
dell'Amministratore pignorato nei mesi di Febbraio e Marzo 2013. In occasione della presentazione
dei documenti al Giudice incaricato in sede di udienza, questi ha tenuto conto, ai fini del pagamento
del debito del nostro Amministratore a favore del creditore, della somma netta che mensilmente il
Comune eroga a titolo di indennità di funzione. Ora il legale mi chiede di effettuare il pagamento delle
somme trattenute e relative alle due mensilità bonificando direttamente il conto corrente del
creditore. Pertanto chiedo: devo emettere i due cedolini sospesi a nome dell'Amministratore ed
effettuare il bonifico del netto a favore del creditore? Se la prassi è questa significa che
l'Amministratore avrà poi un Cud che comprenderà somme soggette all'Irpef di fatto non percepite.
Risposta
Nel caso prospettato, si ritiene che si debba procedere nel seguente modo.
Non essendo stato precisato altrimenti nella vostra richiesta, si ritiene di partire dal presupposto, più
probabile, che il pignoramento in esame NON sia collegato ad un’attività di lavoro autonomo svolta
dall’amministratore, ma che il pignoramento sia connesso ad altre e diverse fattispecie.
In questo caso si ritiene che la procedura corretta da utilizzare sia la seguente:
- determinare il netto dei cedolini di febbraio e marzo 2013, applicando sull’indennità di funzione le ritenute
obbligatorie per irpef a scaglioni
- il netto dei cedolini così calcolato dovrà essere poi integralmente recuperato all’amministratore tramite una
reversale e quindi andrà riversato in partita di giro direttamente sul conto corrente del creditore.
Dal punto di vista fiscale si ritiene corretto contabilizzare nel cedolino prima e nel cud poi le competenze
lorde per indennità di funzione spettanti all’amministratore, ancorché non percepite, in quanto al sostituto
d’imposta non è consentito sottrarsi all’obbligo dell’applicazione della ritenute fiscali ai sensi di legge.
Tramite il pignoramento presso terzi, il creditore può soddisfare i propri crediti sulle somme nette che
sarebbero spettate all’amministratore, una volta applicate le ritenute di legge e certamente non sull’importo
dell’ indennità lorda, che costituisce invece la base imponibile fiscale.
Si richiama comunque l’attenzione sulle disposizioni previste dalla circolare dell’agenzia delle entrate n° 8/E
del 2/3/2011, che specifica dettagliatamente la disciplina fiscale da applicare in caso di pignoramenti presso
terzi.
Quesito 27 (n.168/2013)
La Giunta Comunale di questo Comune, ai sensi delle disposizioni statutarie e regolamentari, ha
fissato in una DOMENICA la data per un Referendum consultivo Comunale. Considerato che come
previsto dal regolamento comunale i seggi referendari devono essere composti da personale
comunale si chiede ai fini dell'autorizzazione e del pagamento degli straordinari "elettorali" che
verranno effettuati dai dipendenti comunali:
1) se è legittimo istituire un fondo speciale al di fuori del fondo straordinari storico di soli € 1.400,00
con il quale non si riesce a far fronte neppure all'ordinarie necessità;
2) se ai titolari di posizione organizzativa, che devono esercitare le funzioni di Presidenti dei Seggi,
possono essere corrisposti gli straordinari effettuati per il referendum comunale;
3) se tale spesa di personale "straordinaria " può essere esclusa al fine del rispetto del limite della
spesa personale 2012.
Risposta
Si ritiene che nel vostro caso siano applicabili le previsioni contenute nell’art. 39 del CCNL 14.9.2000 come
integrato dall’art. 16 del CCNL 5.10.2001.
Tale norma prevede che:
“1. Il lavoro straordinario prestato in occasione di consultazioni elettorali o referendarie e quello prestato per
fronteggiare eventi straordinari imprevedibili e per calamità naturali non concorre ai limiti di cui all’art. 14
del CCNL dell’1.4.1999 (è la norma che regola il fondo per il lavoro straordinario in termini finanziari, oltre
che la sua quantità massima in 180 h annuali)
2. Gli enti provvedono a calcolare ed acquisire le risorse finanziarie collegate allo straordinario per
consultazioni elettorali o referendarie anche per il personale incaricato delle funzioni dell’area delle
posizioni organizzative di cui all’art. 8 e ss. del CCNL del 31.3.1999. Tali risorse vengono comunque
erogate a detto personale in coerenza con la disciplina della retribuzione di risultato di cui all’art. 10 dello
stesso CCNL e, comunque, in aggiunta al relativo compenso, prescindendo dalla valutazione. Analogamente
si procede nei casi di cui all’art. 14, comma 5 del CCNL dell’1.4.1999
3. Il personale che, in occasione di consultazioni elettorali o referendarie, è chiamato a prestare lavoro
straordinario nel giorno di riposo settimanale, in applicazione delle previsioni del presente articolo, oltre
al relativo compenso, ha diritto anche a fruire di un riposo compensativo corrispondente alle ore
prestate. Il riposo compensativo spettante è comunque di una giornata lavorativa ove le ore di lavoro
straordinario effettivamente rese siano quantitativamente maggiori di quelle corrispondenti alla durata
convenzionale della giornata lavorativa ordinaria. In tale particolare ipotesi non trova applicazione la
disciplina dell’art. 24, comma 1, del presente contratto. La presente disciplina trova applicazione anche
nei confronti del personale incaricato di posizioni organizzative.”
In riferimento al vostro primo quesito, si ritiene quindi possibile incrementare il fondo per gli straordinari in
base al primo comma dell’articolo sopra riportato. Tra l’altro, è necessario ricordare che recentemente alcune
sezioni della Corte dei Conti, tra le quali quella lombarda, hanno affermato che il blocco dei fondi per il
trattamento accessorio (art. 9 comma 2 bis del D.L. n. 78/2010), che non possono superare l’analogo livello
del 2010, si estende anche al fondo per il lavoro straordinario (si veda deliberazione n. 423/2012 della Corte
dei conti della Lombardia). La stessa deliberazione però riconosce che gli straordinari per calamità naturali,
per motivi elettorali o referendari, o per compensi ISTAT è escluso dal blocco proprio in virtù dell’art. 39,
comma 1, del CCNL 14.9.2000 nella parte in cui prevede che “il lavoro straordinario prestato in occasione dl
consultazioni elettorali o referendarie e quello prestato per fronteggiare eventi straordinari imprevedibili e per
calamità naturali non concorre ai limiti di cui all’art. 14 del CCNL dell’1.4.1999″.
Per quanto riguarda la corresponsione dei compensi ai titolari di posizione organizzativa (a cui comunque
spetta il riposo compensativo) il comma 2 dell’art. 39 del CCNL sembrerebbe autorizzarla, in deroga al
principio di omnicomprensività della loro retribuzione; è necessario però specificare che, a questo proposito,
l’ARAN ha espresso una posizione particolare, in quanto pare condizionare l’erogazione del compenso alle
p.o. all’acquisizione delle relative risorse da enti esterni, mentre parrebbe vietarlo nel caso di risorse che
verrebbero prelevate dal bilancio comunale;
Infatti, in un primo parere, relativo a straordinari per calamità naturali (anche questi pagabili alle p.o) afferma
che “…l’art. 40 del CCNL 22.1.2004 ipotizzi il caso in cui un ente riceva risorse finanziarie da un ente diverso
(Stato o Regione) per il finanziamento di prestazioni straordinarie al fine di far fronte a emergenze derivanti
da calamità naturali. In tal caso la risposta è positiva. E’ evidente che sono escluse le situazioni nelle quali è
l’ente interessato a disporre gli interventi con oneri a carico del proprio bilancio.”
in un secondo parere, relativo a consultazioni elettorali, afferma che:
“Il compenso sarà corrisposto, senza valutazione, in aggiunta alla retribuzione di risultato spettante al
personale interessato, nell’anno in cui si sono svolte le consultazioni.
Per il finanziamento, il contratto prevede che gli enti debbano procedere all’acquisizione delle relative risorse
dall’esterno (dal Ministero dell’Interno) come avveniva già nella precedente esperienza applicativa, sulla
base delle regole contenute nei regolamenti recepiti in D.P.R.; riteniamo che, a tal fine, debbano essere
calcolate e acquisite anche le quote relative agli oneri riflessi.
In altri termini non è consentito agli enti di porre a carico dei rispettivi bilanci i relativi costi.
Infatti, diversamente ritenendo, si dovrebbe rilevare che il CCNL avrebbe introdotto in tal modo un onere
aggiuntivo a carico degli enti, non certificato, e quindi privo della necessaria copertura finanziaria.”
E’ necessario riconoscere però che in questo caso l’ARAN si sta chiaramente occupando di
elezioni/referendum non di iniziativa comunale.
A fronte di questi pareri, si ritiene che la soluzione del quesito debba essere rimessa alla prudente e
autonoma valutazione del vostro ente.
Per quanto attiene infine all’esclusione dalle spese di personale per il 2013, si fa presente che tra le voci
di esclusione dal calcolo della spesa di personale ai fini dell’art. 1 commi 557 e 562 della L. 296/2006, che
impone le riduzione anno per anno delle spese di personale, vanno inserite le spese per straordinari e altri
oneri direttamente connessi ad attività elettorali per i quali è previsto il rimborso dal Ministero dell’Interno.
Non pare perciò che tale esclusione sia applicabile anche a spese elettorali/referendarie sostenute
direttamente dal Comune senza rimborso dal Ministero dell’interno.
Quesito 28 (n.171/2013)
Con riferimento all'agente di polizia locale, c'è una norma contrattuale che consenta al Comune di
sostenere la spesa per il lavaggio, la stiratura e la risuolatura del relativo vestiario
Risposta
In riferimento al vostro quesito, non si rinviene nell'ordinamento alcuna norma che imponga o consenta
all'Amministrazione di sostenere la spesa per lavaggio, stiratura, risuolatura vestiario per la polizia locale.
La divisa della polizia locale non è infatti considerata D.P.I. (dispositivo di protezione individuale) ai sensi
dell'art. 74, comma 2 lettera a) e c) del D.Lsg. 81/2008 e s.m.i.
Per quanto riguarda i D.P.I. (ad esempio, vestiario dei cantonieri) la cura e manutenzione secondo le
indicazioni fornite dal fabbricante e quanto appreso nei corsi di formazione è a carico del lavoratore;
l'amministrazione deve verificare che gli stessi mantengano le caratteristiche di protezione richiesta dalla
legge e quindi sostituirli nel caso tali caratteristiche non siano più presenti.
Quesito 29 (n.187/2013)
E' obbligatorio procedere all’assicurazione del Sindaco dagli infortuni ovvero è necessario
comunicare il suo nominativo all’INAIL?
Risposta
Non è prevista l'assicurazione Inail contro gli infortuni sul lavoro e malattie professionali per il sindaco del
comune in quanto la sua attività non è riconducibile all'attività di lavoro dipendente. Infatti l'art.4 del Testo
Unico 30/06/1965, n.1124 pone come requisito essenziale ai fini dell'insorgenza dell'obbligo assicurativo il
concetto di subordinazione, che caratterizza l'attività di lavoro dipendente, ma non quella del sindaco.
Quesito 30 (n.188/2013)
E' possibile procedere all’erogazione dell’Assegno Nucleo Familiare ad un dipendente comunale che
per il periodo 01/07/2012 – 30/06/2013 ha presentato domanda nel mese di giugno 2013?
Risposta
Ogni diritto si estingue per prescrizione quando il titolare non lo esercita per il tempo determinato dalla legge.
In generale, secondo l'art. 2946 del codice civile, i diritti si estinguono per prescrizione con il decorso di dieci
anni, salvo i casi in cui la legge dispone diversamente.
Nel caso in esame, ai sensi dell'art.23 del Testo Unico sugli assegni familiari, approvato con D.P.R. 30
maggio 1955 n. 797 e alle successive modificazioni e integrazioni, il diritto all'assegno per il nucleo familiare
si prescrive nel termine di cinque anni per cui, qualora la domanda per l'erogazione dell'assegno nucleo
familiare venga presentata dopo l'insorgenza del diritto, gli arretrati spettanti vengono corrisposti nel limite
massimo dei 5 anni precedenti (prescrizione quinquennale).
Poichè Il termine di prescrizione decorre dal primo giorno del mese successivo a quello nel quale è
compreso il periodo di lavoro cui l'assegno si riferisce, le richieste per periodi arretrati possono quindi essere
accolte limitatamente al periodo di cinque anni precedente il mese in cui viene formulata la domanda.
Quindi nel caso specifico è possibile procedere all'erogazione dell'Assegno Nucleo Familiare.
Quesito 31 (n.212/2013)
In ordine alla liquidazione al tecnico comunale, dipendente del nostro Ente, dell’incentivo relativo
alla progettazione interna (2%), la quota relativa all’IRAP è a carico dell’ente o del dipendente?
Risposta
In riferimento al vostro quesito, si ricorda che la Corte dei Conti sez. riunite si è espressa con deliberazione
n. 33 del 2010, specificando che le disponibilità dei fondi per la progettazione ripartibili nei confronti dei
dipendenti sono da calcolare al netto delle risorse necessarie alla copertura dell’onere Irap gravante
sull’amministrazione. Quindi, affermano le sezioni riunite, “se sul piano dell’obbligazione giuridica, rimane
chiarito che l’Irap grava sull’amministrazione …, su un piano strettamente contabile, tenuto conto delle
modalità di copertura di “tutti gli oneri”, l’amministrazione non potrà che quantificare le disponibilità destinabili
ad avvocati e professionisti, accantonando le risorse necessarie a fronteggiare l’onere Irap, come avviene
anche per il pagamento delle altre retribuzioni del personale pubblico …. Pertanto, le disposizioni sulla
provvista e la copertura degli oneri di personale (tra cui l’Irap) si riflette, in sostanza, sulle disponibilità dei
fondi per la progettazione e per l’avvocatura interna ripartibili nei confronti dei dipendenti aventi titolo, da
calcolare al netto delle risorse necessarie alla copertura dell’onere Irap gravante sull’amministrazione.”
L'importo accantonato dall'ente comprende quindi anche l'IRAP, che verrà versata dall'ente, riducendo così
le risorse disponibili per le competenze a favore dei dipendenti.
Nello stesso senso sono successive pronunce della Corte dei Conti (Toscana 210/2010, Emilia Romagna
543/2010).
Quesito 32 (n.231/2014)
Il nostro Comune ha un amministratore che svolge lavoro autonomo e per il quale vengono versati i
contribuiti alla gestione separata INPS nel minimale.
Si chiede come intervenire sulla materia dell'obbligo o meno del versamento dei contributi degli
amministratori del Comune che svolgono lavoro autonomo, viste le recenti pronunce della corte dei
Conti.
Risposta
Come da voi già ricordato, si sta affermando un orientamento della Magistratura contabile in merito alla
interpretazione dell'art.86, comma 2 TUEL (Corte dei conti Basilicata con il parere 16/2014 e Corte dei Conti
Lombardia con il parere 95/2014), secondo il quale gli enti locali debbono provvedere al versamento degli
oneri assistenziali, previdenziali ed assicurativi per gli amministratori che siano lavoratori autonomi solo
qualora si astengano completamente dall’esercizio della professione
A differenza dei lavoratori dipendenti, infatti, i lavoratori autonomi non hanno la possibilità di porsi in
aspettativa e difficilmente possono sospendere l'attività professionale.
A parere delle sezioni regionali il versamento dei predetti oneri, da parte degli enti locali, va effettuato per il
lavoratore autonomo purché sussista la medesima condizione prevista per il lavoratore dipendente, cioè ,
l'assenza della consueta attività lavorativa.
Tale ragione è da rinvenirsi nel sostegno che l'ordinamento vuole assicurare a favore di chi opta per
l'esclusività dell'incarico di amministratore, opzione che non può essere differentemente misurata per il
lavoratore dipendente rispetto al lavoratore non dipendente.
Concludono le Corti che l'art. 86, secondo comma, TUEL può trovare applicazione solo quando il lavoratore
autonomo, che ricopre una delle cariche previste dal primo comma, si astenga del tutto dall'attività
lavorativa; circostanza che il lavoratore autonomo ha l'onere di comprovare rilasciando all'ente locale
un'attestazione in cui dichiara la sospensione dell'attività in costanza di espletamento del mandato
amministrativo, nonché notificando la medesima dichiarazione all'ente previdenziale.
In netta contrapposizione è l’avviso espresso, in più occasioni, dal Ministero dell’Interno; a partire dal
risalente parere del 17 febbraio 2004 che, diversamente, esponeva: “Detto beneficio si basa sul presupposto
che l’assunzione di cariche pubbliche particolarmente impegnative interferiscono sull’attività del
professionista, con ripercussioni prevedibili sul reddito e quindi sulla sua capacità contributiva. A differenza
dei lavoratori dipendenti, infatti, i lavoratori autonomi non hanno la possibilità di porsi in aspettativa e
difficilmente possono sospendere l’attività professionale. Il versamento dei predetti oneri, da parte degli enti
locali, costituisce pertanto un beneficio che va accordato a prescindere dall’incidenza dell’espletamento della
carica elettiva sull’effettivo esercizio dell’attività professionale”. Ribadito in successivo del 9 ottobre 2007: “In
via preliminare, si rappresenta che con l’espressione ‘amministratori locali che non siano lavoratori
dipendenti’, recata dal comma 2 … art. 86, si intendono gli amministratori locali lavoratori autonomi. Con la
predetta norma il legislatore, analogamente con quanto previsto al comma 1 per gli amministratori
dipendenti, ha inteso imputare a carico dei bilanci degli enti locali una quota parte degli oneri contributivi dei
lavoratori autonomi che ricoprono cariche elettive, normalmente a carico dei diretti interessati”.
In merito alle richieste di indicazioni circa il comportamento da adottare, questo ente non ritiene, allo stato, di
esprimersi sottolineando come il Ministero tenda a valorizzare la funzione pubblica e il "sacrificio"
professionale cui sono chiamati gli eletti mentre le Corte dei Conti, secondo una strada da tempo imboccata
a causa della pressione della presente crisi, si preoccupi di evitare aggravi economici per le finanze
pubbliche e partendo da una finalità di risparmio e contrazione della spesa ricostruisca le motivazione dei
suoi assunti
Ci limitiamo, pertanto, allo scopo di favorire le vostre riflessioni, a sottolineare che
- alla posizione della Corte si contrappone una posizione autorevole, quella appunto del Ministero,
- le pronunce della Corte sono intervenute in sede consultiva
- il rischio di contenzioso tra ente e amministratore conseguente a fronte di una modifica di trattamento,
e, al contempo, auspichiamo un intervento chiarificatore di matrice legislativa ovvero, in subordine, una
consolidata giurisprudenza ad oggi assente, senza, peraltro, escludere un nuovo intervento del Ministero.
Quesito 33 (n.240/2014)
Per l'anno 2014 il Comune ha costituito il fondo di produttività rispettando il vincolo di non superare
il totale del fondo dell'anno 2010: E' possibile integrare il fondo del 2014 nella parte delle risorse
variabili e precisamente all'articolo 15 comma 5 del CCNL 01/04/1999, senza ovviamente superare il
totale del fondo del 2010 e dell'anno precedente (2013), per la realizzazione di un progetto inerente
la riorganizzazione del personale.
Risposta
L’art. 9 comma 2 del D.L.78/2010 prevede che i fondi delle annualità successive e fino al 31.12.2014 non
possano sperare il limite del fondo dell’anno 2010, e, comunque, debbano essere ridotti in proporzione al
personale cessato.
Da quanto appreso, il vostro ente rispetta le condizioni previste dalla norma, risultando inferiore al limite
2010; si deve, però, fare attenzione al fatto che le riduzioni proporzionali rispetto al personale cessato vanno
applicate sull’intero importo del fondo, cioè sia sulle risorse stabili che sulle variabili, con le sole eccezioni
degli incentivi alla progettazione e dei risparmi dell’anno precedente, che sono invece esclusi da tali
riduzioni.
Per quanto attiene all’importo complessivo del fondo, la integrazione da voi proposta è quindi teoricamente
ipotizzabile, in quanto, anche con l'importo ulteriore, il fondo sarebbe comunque inferiore al limite 2010.
E' bene chiarire che, se sussiste un obbligo generale di riduzione progressiva della spesa di personale (art.1,
comma 557 L.296/2006), non esiste, invece, un obbligo normativo di ridurre la spesa del fondo rispetto
all’anno precedente (ad. Il fondo 2013 rispetto al fondo 2012).
Si fa inoltre presente che gli incrementi relativi all’art. 15 comma 5 sono oggetto di particolare attenzione da
parte degli organi ispettivi, al fine di assicurare il rispetto dei parametri contrattuali; a questo proposito, si
ricorda che l’ARAN, nel rispondere a un quesito specifico, aveva dettato alcune regole per assicurare la
legittimità degli incrementi in questione.
Quesito 34 (n.242/2014)
Nel caso di riscatto oneroso da parte di un dipendente, come deve essere effettuata la trattenuta
mensile sullo stipendio e quale codice deve essere indicato nel mod. F24?;
Risposta
Ai sensi dell'art. 10, c. e, del T.U.I.R. (DPR 917/86 e succ. aggiornamenti) la trattenuta per riscatto oneroso
ex Inpdap costituisce onere deducibile dal reddito complessivo del dipendente in quanto contributo
previdenziale da versare alla gestione della forma pensionistica obbligatoria di appartenenza.
Il versamento, a cura del Comune, avverrà mensilmente (se richiesto nella forma rateale) con transito nella
busta paga (trattenuta pari a quanto indicato nella determinazione Inps gestione dipenenti pubblici) e con
versamento con il mod. F24 EP con il codice P211 entro il 16 del mese successivo.