5) Aspetti economici, previdenziali e fiscali Quesito 1 (n. 78/2010) I risparmi derivanti dalla trattenuta malattia ai sensi art.71 L.133/2008 hanno riflessi sul fondo risorse decentrate? Quale è il comportamento corretto da adottare dal punto di vista contabile, in sede di emissione dei relativi mandati di pagamento? Risposta L’art.71 della L.133/2008 prevede che per i periodi di assenza per malattia, nei primi 10 giorni di assenza (di ogni evento di malattia) “è corrisposto il trattamento economico fondamentale, con esclusione di ogni indennità o emolumento aventi carattere fisso e continuativo e di ogni altro trattamento accessorio”. Per effetto di tale norma, alcune voci, anche se fisse e continuative, subiscono una decurtazione nei primi 10 giorni di malattia. In riferimento a quelle voci che sono interessate dalla decurtazione, l’art.71 della L.133/2008 specifica chiaramente che i risparmi derivanti dalle trattenute per malattia non possono essere utilizzate per incrementare i fondi per la contrattazione integrativa, ma tali somme concorrono solamente al miglioramento dei saldi di bilancio. Pertanto, la trattenuta per malattia non deve incidere sugli importi imputati al fondo risorse decentrate, nel senso che gli importi devono sempre essere imputati per intero, come se la trattenuta in oggetto non fosse mai stata applicata. Dal punto di vista contabile, sui capitoli delle risorse decentrate, il mandato sarà sempre emesso per intero, senza tenere conto della decurtazione per effetto della malattia e, nel contempo, la trattenuta per malattia verrà contabilizzata con una reversale su un apposito capitolo in entrata. In tale modo, la trattenuta per malattia non andrà a costituire risparmio nel fondo delle risorse decentrate, ma essendo contabilizzata in entrata, inciderà positivamente sui saldi di bilancio, come previsto la norma in esame. Quesito 2 (n. 79/2010) Quesito in merito alle modalità di liquidazione dei servizi di pubblica sicurezza svolti dalla polizia locale a seguito di convenzioni fra enti. Risposta I compensi per servizi di pubblica sicurezza svolti dalla polizia locale a seguito di convenzioni fra enti possono essere liquidati con differenti modalità. La prima alternativa prevede il pagamento diretto all’agente di polizia da parte dell’ente a favore del quale è stata svolta l’attività di pubblica sicurezza; dal punto di vista fiscale, questa situazione configura una fattispecie che si colloca nella categoria del reddito assimilato a lavoro dipendente (ai sensi art.50 del TUIR), con assoggettamento del compenso alle ritenute irpef per scaglioni e all’irap. In tal caso, quindi, i compensi erogati agli operatori di polizia non saranno utili dal punto di vista previdenziale, in quanto non esiste alcun contratto di lavoro subordinato che lega l’ente fruitore con il soggetto che presta l’attività. La seconda alternativa prevede invece che l’ente fruitore del servizio di pubblica sicurezza provveda a trasferire le risorse finanziarie necessarie all’ente che ha impiegato il proprio personale dipendente; in questo caso, sarà quest’ultimo ente a provvedere al pagamento dei propri dipendenti, utilizzando i fondi trasferiti dall’ente utilizzatore. Dal punto di vista fiscale, questa situazione si colloca nella fattispecie del reddito da lavoro dipendente (ai sensi dell’art.49 del TUIR) con assoggettamento del compenso alle ritenute irpef per scaglioni e all’irap. Dal punto di vista previdenziale, essendo il pagamento dei compensi effettuato direttamente dall’ente “datore di lavoro”, comporta che i compensi in oggetto siano utili e quindi assoggettati a contribuzione ai fini previdenziali. Le due possibilità di liquidazione comportano differenze anche sotto l’aspetto finanziario: nel primo caso (reddito assimilato a lavoro dipendente) l’ente beneficiario dell’attività di pubblica sicurezza dovrà porre a carico del proprio bilancio la spesa del compenso e dell’irap, mentre, nel secondo caso (reddito da lavoro dipendente), i fondi da trasferire all’altro ente da parte dell’ente fruitore del servizio dovranno tenere conto non solo del compenso e dell’irap, ma anche della quota di contributi previdenziali a carico ente. Come risulta ovvio, quindi, la prima alternativa comporta un minore esborso rispetto alla seconda, ma, d’altro canto, la seconda possibilità risulta più favorevole agli operatori di polizia impiegati nell’attività, i quali si vedranno “riconoscere” i compensi per pubblica sicurezza fra le voci utili ai fini pensionistici e pertanto saranno maggiormente incentivati a dare la propria disponibilità a fronte delle iniziative di questo tipo. Quesito 3 (n. 3/2010) Ai fini della distribuzione del fondo produttività le assenze 2009 di un dipendente per mandato elettivo (il ns. dipendente è sindaco) sono equiparate alle assenze per malattia previste dall’art.17 comma 23 lett.D del D.L.78/2009 convertito nella legge 102/2009 ? Risposta Il D.L. 1.7.2009 n. 78 (convertito nella legge 102/09), relativamente all’art. 71 del D.L. 112/08 (convertito nella legge133/08), ha previsto con l’art.17 comma 23 lett. d. l’abrogazione del 5° comma del predetto art. 71 che prevedeva che ” Le assenze dal servizio dei dipendenti non sono equiparate alla presenza in servizio ai fini della distribuzione delle somme dei fondi per la contrattazione integrativa.” Il legislatore inoltre prevede che gli effetti di tale abrogazione concernono le assenze effettuate successivamente alla data di entrata in vigore del presente decreto (1/07/2009). Atteso che nessuna norma specifica quali siano le assenze che incidono sull’erogazione del salario accessorio, tale individuazione è rimessa ad ogni singola amministrazione, in sede di contrattazione. Nel merito, la scrivente amministrazione provinciale, ai fini della distribuzione del fondo produttività non considera assenza i permessi usufruiti da un dipendente per l’esercizio di carica pubblica. Tali assenze sono state invece considerate rilevanti ai fini del calcolo della produttività nel periodo di vigenza del sopra citato 5° comma dell’art.71 ( e quindi da l 25/06/2008 al 30/06/2009). Quesito 4 (n. 13/2010) Spesso il nostro Comune stipula contratti con liberi professionisti relativamente ad incarichi di progettazione, direzione lavori, consulenza, sicurezza, ecc.... Chiediamo se la stipula di tali contratti comporta, per il libero professionista, il pagamento dei diritti di segreteria, oltre alla presentazione delle marche da bollo. Risposta In via preliminare si premette che tutti i contratti interessanti le pa richiedono sempre la forma scritta, che rappresenta un elemento essenziale del negozio. Indicativa in proposito la sentenza del Consiglio di Stato, sez v, n.5444 del 24.9.2003, che riprende un orientamento ormai consolidato della suprema corte (“tutti i contratti stipulati dalla Pubblica Amministrazione ed in genere dagli enti pubblici devono essere stipulati, a pena di nullità, in forma scritta, rispondendo tale requisito all'esigenza di identificare con precisione il contenuto negoziale e di rendere possibili i controlli dell'autorità tutoria” Cass. 1998 n. 3662; v., tra le tante, anche Cass. 1995 n. 7149; 1994 n. 6182; 1992 n. 9682; 1987 n. 4742). Con riferimento specifico al quesito posto, va osservato che l’art. 17 del R.D. n. 2440 del 1923, in deroga a quanto previsto dal precedente art. 16 (“i contratti sono stipulati da un pubblico ufficiale”), dispone che “i contratti a trattativa privata oltre che in forma pubblica amministrativa possono anche stipularsi per mezzo di scrittura privata firmata dalle parti”. Il c.d. Codice dei contratti pubblici D.Lgs. 163/2006, nel confermare quanto già previsto dal R.D. citato, stabilisce all’art. 11, co. 13 che “Il contratto è stipulato mediante atto pubblico notarile, o mediante forma pubblica amministrativa a cura dell'ufficiale rogante dell'amministrazione aggiudicatrice, ovvero mediante scrittura privata, nonché in forma elettronica secondo le norme vigenti per ciascuna stazione appaltante”. Da quanto sopra, perciò, risulta in via generale che si può procedere con scrittura privata qualora i contratti non facciano seguito a procedura concorsuale, aperta e ristretta, e, inoltre, che è lasciato spazio alla discrezionalità dell’ente, che può disciplinare con proprio regolamento le modalità di stipulazione dei contratti pubblici. A tale proposito, si ritiene di segnalare che il Regolamento dei contratti della Provincia di Cremona prevede che i contratti d’importo superiore a 20.000 euro (IVA esclusa) devono essere stipulati in forma pubblica e che non sono soggetti a stipula in forma pubblica i contratti di locazione, gli incarichi professionali, gli incarichi conferiti a notai e a legali. Nel caso in cui il vs. ente non abbia uno specifico regolamento che disciplini tale materia, si ritiene di suggerire la possibilità di adottare una deliberazione (di Giunta) che dia indicazioni in merito, qualora i tempi stretti non consentano l’adozione, da parte del Consiglio Comunale, del relativo regolamento. Sebbene non univoca, sembra prevalente la tesi secondo la quale i diritti di rogito siano dovuti a seguito della fruizione di un servizio da parte dell'utente a fronte di una attività di assistenza. Condizione imprescindibile per l'esazione del tributo (la natura tributaria è affermata anche dalla Corte costituzionale n. 156/1990), quindi, è l'attività da parte del segretario. In questo senso la Corte dei conti Emilia con delibera n. 42/07 e Corte dei conti Lombardia con il parere n. 9 del 20.2.2008. Quanto sopra si verifica solo nel caso atti rogati o autenticati dal segretario, che interviene direttamente nella stipulazione dell’atto, mentre nel caso di scrittura privata non sembrano, pertanto, esigibili i diritti di rogito. (In relazione al riconoscimento dei diritti di segreteria, si veda anche l’art. 21 del DPR 465/1997 che richiama la L. 8 giugno 1962 n. 604). Devono essere applicate le marche da bollo, ai sensi del DPR n. 642 del 26.10.1972 (allegato 1), che stabilisce che per scritture private con cui si creano, modificano, estinguono o documentano rapporti giuridici di qualunque specie è necessaria la marca da bollo di €. 14,62 per ogni foglio di 4 facciate. Quesito 5 (n. 7/2010) Sanzione disciplinare con sospensione dello stipendio e sospensione dal servizio: aspetti economici/prev.li/assist.li/ ass.vi e problematica detrazioni d'imposta. Modalità di predisposizione DMA Risposta Recuperare la retribuzione corrispondente a 1/26 per ogni gg.di sanzione; la trattenuta riduce imponibili cpdel, tfs-tfr, f.credito, irap, irpef in quanto e' interruttiva del servizio; non matura la detrazione lavoro dipendente per il periodo della sanzione; su dma non si forma nessuna sottosezione in quanto la sanzione disciplinare interrompe il servizio. Quesito 6 (n. 23/2010) Qual'è l'indennità da erogare al sindaco neo eletto se lavoratore in pensione? Risposta L'indennità di funzione spettante al sindaco e' in misura intera, senza riduzione del 10% e senza decurtazione al 50% in quanto pensionato. Quesito 7 (n. 42/2010) Fruizione da parte di un dipendente del congedo retribuito per assistenza a personale con handicap:1) come devo assoggettare l'indennità ? solo cpdel e fondo credito oppure anche inadel tfs? 2) rispetto le percentuali a carico dipendente e a carico ente oppure la quota a carico dipendente viene integrata dall'ente? 3) per la denuncia dma nei codici del tipo servizio quale utilizzo? Risposta L'indennità suddetta corrispondente all'ultima retribuzione percepita e' assoggettata alla normale contribuzione inpdap (ex cpdel e fondo credito) in quanto il periodo di congedo (o i periodi se fruito in frazioni) e' utile ai fini del trattamento di quiescenza; non e' invece valutabile ne' ai fini del trattamento di fine servizio ne' del t.f.r. inpdap e quindi esclusa dalla base imponibile. a tal riguardo vedasi la circolare inpdap 10.01.02 n. 2, le informative n. 30 del 21.08.03 e n. 22 del 25.10.02 e la circolare n. 31 del 12.5.04.in ordine alle % dei contributi ex cpdel e fondo credito valgono le normali ripartizioni riferite agli stipendi. in ordine, infine, alla d.m.a. si fa presente che i codici da utilizzare sono - 1 - per il codice impiego e 4 per il codice servizio Quesito 8 (n. 59/2010) Per un nuovo assunto è necessario acquisire il foglio matricolare (come indicato su stampato di una ditta) o basta il foglio di congedo? Risposta Tutte le posizioni relative all'adempimento degli obblighi militari, ivi comprese quelle attestate nel foglio matricolare dello stato di servizio, possono essere oggetto di autocertificazione ai sensi dell’art. 46 del D.P.R. 28.12.2000 n. 445; l’Amministrazione può ovviamente verificare la veridicità, come previsto dal suddetto D.P.R. 445/2000, tenendo conto anche delle norme che regolano l’acquisizione diretta di documenti già in possesso di pubbliche amministrazioni (art. 43 comma 1 DPR 445/2000). Si ricorda che in base all’articolo 15, comma 1, della legge 12 novembre 2011, n. 183, le certificazioni rilasciate dalle P.A. in ordine a stati, qualità personali e fatti sono valide e utilizzabili solo nei rapporti tra privati; nei rapporti con gli organi della Pubblica amministrazione e i gestori di pubblici servizi, i certificati sono sempre sostituiti dalle dichiarazioni sostitutive di certificazione o dall'atto di notorietà. Conseguentemente, a far data dal 10 gennaio 2012, le amministrazioni e i gestori non possono più accettarli ne richiederli, tanto più in quanto tali comportamenti integrano, per espressa previsione, violazione dei doveri d'ufficio ai sensi della nuova formulazione dell'articolo 74, comma 2, lett. a), del decreto del Presidente della Repubblica n. 445 del 2000; Quesito 9 (n. 65/2010) Un dipendente ha richiesto un anticipo di euro 4,500,00 dell'i.f.s. per spese connesse alla salute. Tale richiesta è da inoltrare al datore di lavoro o all'Inpdap? Esiste una normativa in materia? Risposta In risposta al quesito si fa presente quanto segue: Il rapporto “previdenziale “ del dipendente pubblico è rappresentato dal trattamento di fine servizio (T.F.S.) in capo all’I.N.P.D.A.P. – Gli aspetti principali di tale trattamento, riguardante una parte dei dipendenti in servizio , (cioè quei dipendenti degli EE.LL. assunti a tempo indeterminato anteriormente alla data del 31.12.2000), sono regolati dalle Leggi n. 152/’68 e n. 440/’87.La corresponsione del T.F.S. in forma diretta spetta agli iscritti all’INPDAP che, avendo maturato almeno un anno di iscrizione al predetto istituto, abbiano risolto per qualsiasi causa, il loro rapporto di lavoro con l’ente locale di appartenenza e quello previdenziale; non ha pertanto diritto al T.F.S. il dipendente che cessi dal servizio presso un ente iscritto all’INPDAP e sia riassunto senza soluzione di continuità presso un altro ente sempre iscritto al medesimo istituto previdenziale. Per i dipendenti assunti in ruolo a decorrere dall’1.1.01 e per il personale assunto con contratto di lavoro a tempo determinato trova invece applicazione la nuova disciplina sul trattamento di fine rapporto. L’introduzione del T.F.R. negli EE.LL. venne previsto in prima battuta dalla L. n. 335/’95 integrata poi dalle Leggi n. 449/’97 e n. 448/’99 e dai D.P.C.M. 20.12.99 e 2.03.01. La circolare INPDAP n. 11 del 12.03.01 ha illustrato, comunque, gli aspetti relativi al trattamento di fine rapporto da applicare alle nuove assunzioni di personale effettuate con contratto di lavoro a tempo indeterminato. Con la successiva circolare n. 30 dell’1.08.02 e l’informativa n. 7 del 10.04.03 l’INPDAP ha fornito, in merito alla disciplina del trattamento di fine rapporto dei dipendenti degli enti locali, ulteriori chiarimenti e precisazioni, integrando le disposizioni contenute nella precedente circolare n,. 11 del 12 marzo 2001. Tutto ciò premesso si precisa che la normativa suddetta non prevede a tutt’oggi per i dipendenti degli EE.LL. “anticipi” in ordine al T.F.S. o al T.F.R. per qualsiasi motivo (salute, casa ecc…). Eventuali richieste in tal senso possono trovare corso nella gestione del credito sempre in capo all’INPDAP. In particolare si segnala la possibilità da parte del dipendente (per il tramite del datore di lavoro) di richiedere la concessione di un piccolo prestito o della cessione del quinto dello stipendio attraverso apposita istanza il cui modello è scaricabile dal sito INPDAP. Quesito 10 (n. 66/2010) Un dipendente comunale è stato chiamato a prestare servizio nella giornata del 26 dicembre u.s. per lo svolgimento di un funerale. Non rientra nei casi di "reperibilità" ufficialmente riconosciuti ed il modesto fondo per il lavoro straordinario è già stato esaurito. E' possibile remunerare la prestazione svolta con la maggiorazione del 30% o è necessario procedere al recupero delle ore lavorate in giorno festivo? Risposta In riferimento al quesito sopra riportato si fa presente che il caso in questione rientra nella disciplina dell'art. 24 comma 2 CCNL 14/09/2000 che stabilisce che "l’attività prestata in giorno festivo infrasettimanale dà titolo, a richiesta del dipendente, a equivalente riposo compensativo o alla corresponsione del compenso per lavoro straordinario con la maggiorazione prevista per il lavoro straordinario festivo". Anche l'art. 38 CCNL del 14/09/2000 che disciplina il Lavoro straordinario al comma 7 stabilisce che su richiesta del dipendente, le prestazioni di lavoro straordinario debitamente autorizzate possono dare luogo a riposo compensativo, da fruire compatibilmente con le esigenze organizzative e di servizio. La risoluzione n. 900-38E1 dell'Aran precisa inoltre che "in caso di riposo compensativo dato in sostituzione di ore di lavoro straordinario , non bisogna corrispondere, per ogni ora di straordinario effettuata alcuna maggiorazione. La "compensazione" opera senza tener conto del fatto che le ore straordinarie sono remunerate con la maggiorazione". Quesito 11 (n. 67/2010) Con la presente si chiede cortesemente di conoscere le modalità di trasmissione all'INPDAP dei dati riguardanti le ritenute ed i versamenti per piccoli prestiti. Tali dati confluiscono nella DMA che mensilmente invio per il mio ente o è necessario compilare un'apposita denuncia a parte specificando il nominativo del dipendente, la somma e la relativa scadenza (come per anni precedenti l'introduzione della DMA)? Risposta I dati riguardanti le ritenute ed i versamenti per i piccoli prestiti non confluiscono nella DMA ma già da qualche anno è necessario utilizzare la procedura INPDAP denominata CARTOLARIZZAZIONE DEI CREDITI (vedi circolare INPDAP n. 30 del 26/11/2003). Dal 15 dicembre 2008 è entrato in vigore un nuovo sistema di Riscossione dei Presti Inpdap al quale si accede entrando nel sito INPDAP, GESTIONE CREDITI - ACCESSO AREA RISERVATA e digitando il codice fiscale e la password (che sono gli stessi della passweb). Poi si entra in Applicazioni, Riscossione crediti agli iscritti, Dichiarazioni e Acquisizione dichiarazioni. In questo modo si acquisiscono tutti i dati dei dipendenti per i quali è necessario effettuare il versamento dei crediti. Una volta acquisiti i dati si devono effettuare una serie di passaggi che portano ad ottenere una CHIAVE DI VERSAMENTO ed un CONTO CORRENTE sul quale dovranno essere versati i crediti. (vedi nota INPDAP del 13/11/2008 Prot. n. 4476 OGGETTO: NUOVO SISTEMA DI RISCOSSIONE DEI PRESTITI DIRETTI INPDAP) E' necessario comunque contattare direttamente la sede INPDAP per iniziare questa procedura da Voi mai utilizzata e per avere tutte le informazioni sul caso. Una volta che avrete definito il tutto con l'INPDAP siamo a completa disposizione per eventuali spiegazioni sul funzionamento della procedura della CARTOLARIZZAZIONE DEI CREDITI . Quesito 12 (n. 70/2011) Con decorrenza 2/01/2010 il Comune di X ha provveduto ad assumere un nuovo dipendente in qualità di aiuto cuoco, esecutore, inserviente, cat. B1, part-time. Chiedo cortesemente conferma circa la corretta impostazione delle voci stipendiali: oltre allo stipendio base ed all'indennità di comparto, compete anche la voce "indennità specifica" (pari a lire 125.000 annue per 12 mensilità)? Risposta In riferimento al quesito sopra riportato si conferma l'attribuzione dell'indennità art. 4 c.3 del CCNL 16/07/1995 rapportata alla percentuale part-time di lavoro. Quesito 13 (n. 81/2010) Quali sono le modalità di liquidazione dello straordinario elettorale? Risposta Le prestazioni di lavoro rese in una giornata di riposo settimanale ( di regola la domenica) dal personale in occasione di consultazioni elettorali o referendarie sono attualmente disciplinate dall’art. 39, comma 3 del CCNL del 14.9.2000, che è stato aggiunto dall’art. 16, comma 1, del CCNL del 5.10.2001.Il personale interessato, secondo le regole richiamate, ha diritto: a) a percepire, per tutte le ore di straordinario prestate, il compenso orario previsto per lo straordinario festivo; b) al riposo compensativo per le ore prestate. Qualora le ore di straordinario siano quantitativamente superiori a quelle corrispondenti ad una giornata lavorativa convenzionale, il lavoratore avrà diritto ad una sola giornata di riposo compensativo, secondo l’articolazione dell’orario vigente nell’ente. E quindi al pagamento delle 7 ore come straordinario festivo e al riposo di un’intera giornata lavorativa (nel vostro caso di 6 ore). Nel caso in cui, il dipendente lavorasse per solo 3 ore, gli andrebbe pagato lo straordinario festivo e godrebbe di 3 ore di riposo. Si consiglia di effettuare una verifica sulla possibilità di richiedere il rimborso al Ministero dell’Interno per tutti gli oneri derivanti dalla prestazione di lavoro straordinario elettorale. Quesito 14 (n. 89/2010) 1) L'ente ha assunto, in occasione delle consultazioni elettorali del 28 marzo 2010, personale a tempo determinato per il periodo 11.02.2010 - 27.04.2010. Dal 28.04.2010 la stessa persona sarà assunta, per sostituzione di maternità anticipata, sempre a tempo determinato, fino al 24.06.2010. Chiedo se, in chiusura dell'incarico per il servizio elettorale, siano dovuti il compenso per 13^ mensilità e il TFR. 2) Inoltre, il TFR deve essere erogato dal Comune o dall'Inpdap? 3) Chiedo se il compenso percepito in qualità di responsabile di procedimento, compenso accessorio facente parte del fondo di produttività, erogato in ragione mensile ad una dipendente comunale, debba essere decurtato in occasione del congedo matrimoniale. Risposta In riferimento al punto 1) si ritiene che, all’atto della scadenza del contratto di lavoro a tempo determinato per consultazioni elettorali, il comune debba procedere all’erogazione dei ratei di 13^ mensilità maturati. Infatti, anche se, di fatto, non si verifica alcun tipo di interruzione fra i due diversi contratti di lavoro a tempo determinato, si ritiene che, sia opportuno, sia ai fini contabili sia di successiva rendicontazione delle spese, tenere separate le competenze riferite ai due diversi contratti. In merito al punto 2), si osserva che l’assunzione suddetta ha comportato l’obbligo di iscrizione all’INPDAP – gestione TFR. Trattandosi di un periodo superiore ai 15 giorni, la dipendente avrà diritto a percepire dall’INPDAP il TFR, attraverso la compilazione del Mod.TFR1 che, a cura del Comune, dovrà essere trasmesso, dopo la cessazione, alla competente Sede Provinciale INPDAP (vedasi circolare INPDAP n°30 del 1/8/2002). Per quanto riguardo il quesito posto al punto 3) si ritiene che, in occasione del congedo matrimoniale, l’indennità mensile per specifiche responsabilità non debba subire alcuna decurtazione. Si ricorda che il quinto comma dell’art. 19 del CCNL 6.7.1995 nel disciplinare i permessi retribuiti, tra cui quello in occasione del matrimonio, specifica che durante tali periodi di assenza al dipendente spetta l'intera retribuzione esclusi i compensi per il lavoro straordinario e le indennità per prestazioni disagiate, pericolose o dannose per la salute. Quesito 15 (n. 91/2010) Questa amministrazione in data 29/3/2010 ha irrogato ad un dipendente la sanzione disciplinare di cui all’art. 55-quater del D.Lgs 165/2001 così come modificato dal D.Lgs. 150/2009: “licenziamento senza preavviso” . Essendo a conoscenza del fatto che il dipendente interessato ha inoltrato ricorso al Giudice del lavoro, vorremmo sapere se nell’elaborazione del cedolino paga per erogazione tredicesima mensilità spettante, conguaglio fiscale irpef e addizionali dobbiamo anche monetizzare le ferie non usufruite dal dipendente licenziato o se invece è più corretto aspettare l’evolversi della causa. Risposta In relazione al quesito posto, va richiamato l’orientamento giurisprudenziale secondo cui il diritto al compenso sostitutivo delle ferie non godute sorge in tutti i casi in cui il mancato godimento delle ferie non sia determinato dalla volontà del lavoratore (CdS, sez. IV, n. 4332/02; TAR Liguria, sez. II, n. 496/02; TAR Milano, sez. III, n. 526/05). La monetizzazione delle ferie non godute può essere fatta solo quando il dipendente non ha potuto usufruire delle stesse per cause indipendenti dalla sua volontà, come ad esempio per esigenze di servizio (TAR Napoli, sez. V, n. 1110/02) e comunque a seguito di un motivato diniego espresso da parte dell’Amministrazione (C. Cost. n. 543/90). Nel caso specifico al dipendente è stata inflitta la più grave delle sanzioni disciplinari, rappresentata dal licenziamento senza preavviso, ai sensi dell’art. 55-quater del D.Lgs. 165/2001. Si può a questo proposito citare la sentenza piuttosto recente del TAR Milano, sez. II, 7 ottobre 2005, n. 3765, che ha appunto negato la corresponsione del compenso per ferie non godute in un caso di licenziamento senza preavviso, ritenendo che questo sia un caso in cui la mancata fruizione delle ferie non sia imputabile alla volontà dell’Amministrazione, bensì a quella del dipendente. Poiché, quindi, il rapporto di lavoro è stato interrotto per causa non imputabile al datore di lavoro, l’Amministrazione Comunale potrebbe valutare la possibilità di seguire l’orientamento giurisprudenziale sopra richiamato, tenendo conto d’altra parte che il lavoratore avrà eventualmente la facoltà di agire nelle opportune sedi giurisdizionali contro l’Amministrazione per il pagamento delle ferie non godute. A mero coronamento di quanto sopra descritto si osserva che la ratio della disposizione regolante la sanzione disciplinare del licenziamento senza preavviso è quella di reprimere tutti i comportamenti che arrechino pregiudizio alla dignità delle funzioni esercitate e che possano far temere che queste non vengano espletate correttamente; fra i comportamenti censurabili vanno ricompresi non solo quelli tenuti nello svolgimento del servizio, ma anche quelli che, pur se estranei al servizio, siano in qualche modo lesivi del prestigio e del decoro dell'amministrazione (CdS n. 2182/08). Il forte contenuto afflittivo e anche di tutela dell’Amministrazione giustifica l’interruzione del rapporto nel momento e nello stato in cui tale rapporto si trovi, essendo tale sanzione prevista per i più gravi comportamenti che minano il rapporto di fiducia tra Amministrazione e impiegato pubblico. Quesito 16 (n. 54/2011) Compensi per incarichi dal Comune per gli adempimenti connessi al censimento della popolazione Risposta In riferimento al suo quesito, si premette che la decisione sul tipo di contratto da stipulare dipende essenzialmente dalle caratteristiche concrete della natura del rapporto che si intende instaurare, per cui si forniscono i seguenti elementi di valutazione: la nozione di “prestazione occasionale” è presente in diverse norme, non coordinate tra loro e quindi fonte di possibile ambiguità. a) nel decreto attuativo della legge Biagi (d.lgs. 276/2003) per prestazione occasionale si intende (art. 61 comma 2) una prestazione di durata complessiva non superiore a trenta giorni nel corso dell’anno solare con lo stesso committente, con un compenso complessivamente percepito nel periodo d’imposta non superiore a 5000 euro. b) la seconda nozione è quella del normale contratto d'opera (art. 2222 del codice civile), che si ha quando una persona si obbliga a compiere verso un corrispettivo un’opera o un servizio con lavoro prevalentemente proprio e senza vincolo di subordinazione nei confronti del committente; la prestazione può essere resa quale attività abituale (libero professionista) oppure con carattere di “occasionalità”. Al di là del dato formale della durata e importo, per i quali si ricorda la circolare INPS n. 9 del 22 .1 2004, secondo la quale: “ ..sono soggette a contribuzione previdenziale le prestazioni “occasionali” , di durata inferiore a trenta giorni e per un compenso non superiore a 5000 euro, in riferimento al medesimo committente, sempre che sia configurabile un rapporto di collaborazione coordinata di cui all’art.50, c. 1, lettera c – bis del T.U.I.R. e non ci si trovi in presenza di un rapporto di lavoro autonomo di cui all’articolo 2222 del codice civile.”, e tenuto conto che l'attività di cui al vostro quesito supera comunque i 30 giorni di durata, l'elemento fondamentale che consente di distinguere tra prestazione occasionale e collaborazione coordinata e continuativa è quello del coordinamento, o meno, dell'attività da parte del committente: qualora l'attività svolta dall'incaricato abbia un carattere di continuità, qualora egli necessiti di rapportarsi costantemente con l'ente e compiere attività che presuppongono forme di presenza ed interazione con lo stesse ente che conferisce l'incarico, si è in presenza di una prestazione di collaborazione coordinata e continuativa, con obbligo di contribuzione previdenziale ed assistenziale, e regime fiscale specifico. Una prestazione invece che presupponga un'attività da parte di un soggetto che non svolga abitualmente libera professione, senza necessità di coordinamento funzionale stretto con il committente, che può essere esplicata senza rapporto continuo con l'ente, e che si concretizza nella consegna di un prodotto o di un risultato, sarà da considerarsi occasionale ai sensi dell’articolo 2222 del c.c. e dell’articolo 67, c.1 lettera l) del T.U.I.R. con il conseguente assoggettamento al regime fiscale e previdenziale relativo (ritenuta di acconto del 20% sul lordo e non assoggettamento a contribuzione previdenziale se quel livello di compenso percepito non si cumula con altri redditi occasionali nel superamento della soglia dei 5000 euro). Quesito 17 (n. 55/2011) Chiedo indicazioni in ordine alla corretta applicazione aliquote addizionale comunale irpef Risposta A decorrere dal 2007 (art.1, commi 142 e 143, L.296/2006 e successive modificazioni), l’addizionale comunale è dovuta al comune nel quale il contribuente ha il domicilio fiscale alla data del 1° gennaio dell’anno a cui si riferisce l’addizionale. Essa è dovuta in due momenti: un acconto nell’anno di riferimento ed il saldo nell’anno successivo. L’acconto è stabilito nella misura del 30% dell’addizionale ed è calcolato dal sostituto d’imposta applicando l’aliquota deliberata dal comune interessato al reddito imponibile dell’anno precedente. Ai fini della determinazione dell’acconto, l’aliquota e l’eventuale soglia di esenzione sono assunte nelle misure vigenti nell’anno precedente, salvo che non sia intervenuta entro il 31 dicembre la pubblicazione da parte del comune di riferimento di una nuova delibera di variazione sul sito www.finanze.it (D.L.159/2007, art.40, comma 7 – L. 222/2007). Il sostituto d’imposta dovrà trattenere il relativo importo in un numero massimo di nove rate mensili, effettuate a partire dal mese di marzo. Il saldo dell’addizionale è invece determinato nel mese di dicembre, applicando l’aliquota pubblicata sul sito suddetto, al reddito calcolato ai fini delle operazioni di conguaglio di fine anno, scomputando gli acconti mensili trattenuti. L’importo risultante dai calcoli suddetti è trattenuto in un numero massimo di undici rate da gennaio a novembre dell’anno successivo. In caso di cessazione del rapporto di lavoro il saldo dell’addizionale non può essere rateizzato ed è prelevato invece in unica soluzione. Alla luce della normativa suddetta, nel caso sottoposto alla nostra attenzione, si ritiene che l’acconto già calcolato non vada ricalcolato sulla base della nuova aliquota. Quest’ultima dovrà invece essere utilizzata nel calcolo del saldo dell’addizionale comunale in sede di conguaglio di fine anno o per cessazione sopravvenuta. Quesito 18 (n. 57/2011) Questa amministrazione intende affidare un incarico occasionale (nello specifico per attività relativa al censimento) ad un proprio dipendente assunto con contratto a tempo indeterminato part time. E' ammissibile l'erogazione del compenso come incarico occasionale e quindi "al di fuori" delle mensilità erogate con busta paga?. Risposta In riferimento al suo quesito, si ricorda innanzitutto che l’art. 14, comma 5, del CCNL 1.4.1999 così afferma: “E’ consentita la corresponsione da parte dell’ISTAT e di altri Enti od Organismi pubblici autorizzati per legge o per provvedimento amministrativo, per il tramite degli enti del comparto,di specifici compensi al personale per le prestazioni connesse ad indagini periodiche ed attività di settore rese al di fuori dell’orario ordinario di lavoro”. Pertanto nel caso in esame viene in rilievo la necessità di verificare se tali compensi rientrino nel principio dell’omnicomprensività della retribuzione del pubblico dipendente sancito dall’art. 2 comma 3 del D.Lgs. 165/200.. A tale proposito la Corte dei Conti della Lombardia con delibera n. 14/2009 così afferma: ……..“ l’esecuzione di censimenti e di altre attività di rilevazione statistica rientra nel novero dei compiti istituzionali dell’ente locale. L’esercizio della funzione statistica per le autonomie locali è disciplinato dagli artt. 12 e 14 del D.Lg. 267/2000 nonché dagli artt. 2 e 6 del D.Lgs. 322/1989: Il Comune gestisce i servizi elettorali, di stato civile e di statistica…. Ne consegue che per l’ente comunale la resa del servizio statistico deriva da un obbligo previsto dalla legge, precettivo nell’an, discrezionale nel quomodo. L’ufficio statistica del comune, o altra unità organizzativa equipollente, si integra con l’organizzazione del sistema statistico nazionale e svolge attività censuarie e di rilevazione per conto dell’ISTAT nel ambiti della propria competenza territoriale”: Sembra evidente che lo svolgimento delle attività correlate al censimento rientri quindi nei compiti istituzionali del personale degli uffici comunali, e quindi sotto la protezione del principio dell’omnicomprensività della retribuzione. il CCNL 1.4.1999, nel prevedere i compensi dell’ISTAT, va inteso a nostro parere nel senso di considerare tali prestazioni aggiuntive oltre il normale orario di lavoro ma sempre riconducibili al rapporto di lavoro dipendente, che il personale interno può/deve svolgere. Pertanto al dipendente comunale può essere riconosciuto per le attività del censimento solo un “ compenso specifico” per attività svolte al di fuori dell’orario di lavoro, ma non affidare un incarico occasionale; quindi per i rilevatori e gli eventuali coordinatori verranno pagate le ore svolte oltre il normale orario di lavoro Per quanto concerne i compensi del personale incaricato di posizione organizzativa coinvolto nel censimento il CCNL del 14.9.2000 (art. 39 c.2) ha espressamente previsto che possano essere corrisposti i compensi Istat, si tratta pertanto di compensi ulteriori rispetto alla retribuzione di posizione e di risultato e quindi aggiuntivi rispetto a queste ultime. L’esclusione dell’incarico professionale deriva anche dall’analisi dell’art. 7 comma 6 del D.Lgs 165/2001: la norma prevede che, prima di affidare un incarico esterno è necessario verificare l’esistenza di professionalità interne e ciò sarebbe difficile da dimostrare se si affida un incarico allo stesso dipendente interno. Si ricorda che l’art. 1, comma 192 della Finanziaria 2006 ha previsto che a decorrere dall’1.1.2006 le somme trasferite dall’ISTAT sono comprensive anche di qualsiasi onere (Cpdel, Inal, Irap ecc.) a carico dell’amministrazione che andrà quindi scorporato prima dell’inserimento in busta paga Quesito 19 (n. 64/2011) Dovendo procedere al rinnovo della convenzione per la fornitura del servizio mensa per i dipendenti, si chiede di conoscere l’importo massimo erogabile per ogni buono pasto. Risposta In riferimento al suo quesito, si specifica che la contrattazione collettiva non fissa alcun limite all'importo erogabile il servizio sostitutivo di mensa, se non quello delle risorse disponibili per ciascun ente (art. 45 ccnl 14.9.2000, comma 1). L'art. 46 del ccnl 14.9.2000 come modificato dall'art. 13 ccnl 9.5.2006 specifica inoltre che "il costo del buono pasto sostitutivo del servizio mensa è pari alla somma che l'ente sarebbe tenuto a pagare per ogni pasto." Il dipendente è poi tenuto a corrispondere un terzo del costo unitario di ciascun pasto come determinato in sede di convenzione. L'ente dovrà quindi valutare con cura l'ammontare di risorse disponibili in bilancio, al fine di stipulare convenzioni nelle quali si definisca il valore di un pasto con attenzione alla sua sostenibilità per le finanze dell'ente , in riferimento ovviamente al numero di lavoratori interessati. A mero titolo esemplificativo, si ricorda che sia la Provincia di Cremona, sia il Comune di Cremona hanno stabilito quale tetto massimo per il buono pasto il valore di € 10,50 (di cui un terzo a carico del dipendente). Si ricorda però che alcune recenti pronunce della Corte dei Conti hanno affrontato il problema dell’eventuale aumento del valore del buono pasto con riferimento alla previsione dell’art. 9 comma 1 del D.L. 78/2010, che vieta di aumentare il trattamento economico ordinariamente spettante al singolo dipendente nell’anno 2010. La Corte dei Conti Toscana (par. 187/2011) richiama la sentenza della Cassazione civile, sez. lav., 21/07/2008, n. 20087 secondo la quale: “Il valore dei pasti, dei quali il lavoratore può fruire in una mensa aziendale o presso esercizi convenzionati con il datore di lavoro, non costituisce elemento della retribuzione, allorché il servizio mensa rappresenti un'agevolazione di carattere assistenziale, anziché un corrispettivo obbligatorio della prestazione lavorativa, per la mancanza di corrispettività della relativa prestazione rispetto a quella lavorativa e di collegamento causale tra l'utilizzazione della mensa e il lavoro prestato, sostituendosi a esso un nesso meramente occasionale con il rapporto.” La Cassazione pertanto sottolinea la natura assistenziale e non retributiva del buono pasto che, in quanto tale, non può essere sostituito con un’erogazione in denaro. La Corte dei Conti Toscana così prosegue: “Si ricorda, però, che in base all’art. 51, comma 2 lettera c) del DPR 22 dicembre 1986, n. 917 (Testo unico delle imposte sui redditi - TUIR), nella sua attuale versione, il buono pasto non concorre a costituire reddito da lavoro dipendente solo fino all’importo complessivo giornaliero di € 5,29; per la quota eccedente tale valore, esso è assoggettato a tassazione e a ritenute previdenziali, pur essendo non monetizzabile (si veda a proposito la circolare R.G.S. n.24/2006). Se è pur vero che la norma di cui all’art. 9 della legge 122 citata ha una finalità diversa dalla norma di cui all’art. 51 TUIR, trattandosi nel primo caso di riduzione del trattamento retributivo spettante e nel secondo caso di imposizione fiscale ai redditi di lavoro dipendente, la risoluzione al quesito deve tener conto della natura giuridica del buono pasto che può considerarsi sottoposto alla limitazione di cui all’art. 9 solo nell’ipotesi (nella misura) in cui presenti una natura retributiva-corrispettiva. Come chiarito, la natura assistenziale e non retributiva del buono pasto non può che considerarsi limitata entro l’importo predetto (euro 5,29), oltre il quale concorre alla formazione del reddito (e quindi del trattamento economico complessivo). Pertanto deve ritenersi che un incremento del valore del buono pasto oltre tale soglia concorre alla formazione del reddito del dipendente ed entra a far parte, per disposizione di legge, nella componente retributiva del compenso del dipendente, perdendo la sua natura puramente assistenziale. Si conclude pertanto ritenendo che il divieto di aumentare il “trattamento ordinariamente spettante per l’anno 2010” di cui all’articolo 9, comma 1°, del D.L. 78/2010, convertit o, con modificazioni, dalla legge 122/2010, sia violato in caso di incremento del valore del buono pasto oltre la quota di euro 5,29 (del medesimo avviso è la Sezione Controllo Emilia Romagna con deliberazione n. 25 del 17 giugno 2011). Peraltro, si ricorda che il buono pasto va, in ogni caso e per il suo intero ammontare, incluso nel computo della spesa di personale, ai fini del rispetto dei commi 557 e 562 dell’articolo unico della L. 296/06 inerenti i limiti in tema di spesa di personale negli enti locali, come indicato, da anni, nelle linee guida al controllo monitoraggio emanate dalla Sezione delle autonomie della Corte dei Conti.” Anche la Corte dei Conti Sez. Puglia, con deliberazione n. 63 del 14.09.2011, si pronuncia sulla possibilità di incremento del valore dei buoni pasto, in relazione al disposto dell'art. 9 comma 1 del D.L. 78/2010. Secondo la Corte ( in senso conforme alla precedente pronuncia della Corte Conti Toscana e alla circolare RGS n. 12/2011) la disciplina dell'art. 9 del D.L. 78/2010 prevede misure di contenimento finalizzate a garantire l'invarianza dei trattamenti retributivi nel triennio di riferimento; tale invarianza deve riguardare anche il valore dei buoni pasto la cui misura non può essere incrementata nel medesimo triennio in considerazione del fatto che, ai sensi dell'art. 51 comma 2, lett. c) del T.U.I.R., i buoni pasto costituiscono redditi da lavoro dipendente per importi superiori a euro 5,29. Ne consegue, ad avviso del Collegio, che qualora il valore del buono pasto non sia superiore a euro 5,29 non costituisce reddito da lavoro dipendente e pertanto non soggiace ai vincoli imposti dall'art. 9 del citato D.L. 78/2010. Quesito 20 (n.67/2011) Si chiede di sapere se, ai fini della determinazione della base imponibile IRAP, debba essere compresa la somma figurativa trattenuta ai dipendenti in regime di T.F.R., cioè della quota di retribuzione lorda pari al 2% ex inadel a carico dipendenti. Risposta In merito al suo quesito posto, si evidenzia che l'imponibile irap, essendo calcolato in base all'art.4 c.2 del D.lgs.446/1997 sulle retribuzioni spettanti al personale a qualunque titolo utilizzato, compresi i redditi assimilati a quelli di lavoro dipendente, i compensi ai collaboratori coordinati e continuativi, è dedotto della somma figurativa trattenuta ai dipendenti in regime t.f.r. (pari al 2% ex inadel) in quanto trattasi di somma figurativa e non di retribuzione. In particolare la circolare 4 giugno 1998 n.141/E afferma nel Cap.IV che l'ammontare delle retribuzioni da considerare ai fini della ripartizione territoriale è quello rilevante ai fini previdenziali, determinato ai sensi dell'art. 12 del D.P.R. 30 aprile 1969, n. 153, come sostituito dall'art. 6 del citato D.Lgs. n. 314 del 1997. In merito ai singoli elementi che compongono la retribuzione imponibile previdenziale si rinvia alla circolare INPS-Direzione Centrale Contributi- n. 236 del 24 dicembre 1997. Pertanto, restano escluse dalla nozione di retribuzione le quote di accantonamento annuale al trattamento di fine rapporto, le somme corrisposte in occasione della cessazione del rapporto di lavoro al fine di incentivare l'esodo dei lavoratori, le indennità, anche in forma assicurativa, conseguite a titolo di risarcimento danni nonché i contributi e le somme a carico del datore di lavoro versate o accantonate sotto qualsiasi titolo alle forme pensionistiche complementari di cui al D.Lgs. n. 124 del 1993. Quesito 21 (n.69/2011) Chiedo cortesemente un vostro supporto per l’esatto conteggio della trattenuta per sciopero e per il computo della base imponibile dei vari contributi/ritenute pensionistiche (Cpdel, Inadel, Fondo Credito, Irap, Inail, Irpef). Risposta La trattenuta sulla retribuzione in caso di sciopero deve avvenire, di norma, sulla busta paga del mese successivo a quello di effettuazione dello stesso, in termini direttamente proporzionali alla sua durata. Nel caso di durata inferiore alla giornata, la trattenuta deve sempre essere effettuata su base oraria (nei casi di sciopero inferiori all’ora deve sempre operarsi una trattenuta pari ad un’ora). Per quanto riguarda l’esatto conteggio della trattenuta per sciopero occorre distinguere innanzitutto se trattasi di sciopero breve, vale a dire indetto per un numero determinato di ore di durata inferiore alla giornata lavorativa, o se trattasi di sciopero proclamato per l’intera giornata. Nel primo caso si applica la disciplina prevista dall’art. 44 del CCNL 14/9/2000 , che così recita “Per gli scioperi di durata inferiore alla giornata lavorativa, le relative trattenute sulle retribuzioni sono limitate all'effettiva durata dell'astensione dal lavoro e, comunque, in misura non inferiore a un'ora. In tal caso, la trattenuta per ogni ora è pari alla misura oraria della retribuzione di cui all'art. 52, comma 2, lett. c).” Pertanto nel caso dello sciopero breve l’importo della relativa trattenuta si ottiene dividendo per 156 (equivalente a 6 ore di lavoro giornaliere per 26 giorni lavorativi mensili) la retribuzione di cui all’art. 52 comma 2 lett. c) ccnl 14/9/2000. La retribuzione di cui all’art. 52 comma 2 lett. c) si determina sommando le seguenti voci retributive: 1. retribuzione mensile prevista per la posizione economica iniziale di ogni categoria (per posizioni infracategoriale B3 e D3 all’interno cat. B e D dovrà assumersi a riferimento rispettivamente , la posizione B3 e D3); 2. il valore delle posizione economica di categoria acquisita dal dipendente per effetto di progressione orizzontale; 3. la retribuzione individuale di anzianità eventualmente maturata; 4. il valore della retribuzione di posizione eventualmente in godimento; 5. il valore degli altri eventuali assegni personali a carattere continuativo e non riassorbibile in godimento. Una volta ottenuto l’importo della retribuzione mensile, per determinare la trattenuta per sciopero breve, occorre dividere il risultato ottenuto per 156 e moltiplicarlo per il n° di ore di sciopero. Nel caso dello sciopero proclamato per l’intera giornata, invece la trattenuta sulla retribuzione non dovrà essere calcolata ad ore, ma l’ente dovrà trattenere sulla busta paga dei dipendenti interessati una giornata di retribuzione, prendendo come base di riferimento sempre la retribuzione art.52 comma 2 lett.c) ccnl 14/9/2000, come sopra descritto, dividendola però per 26, come specificato nello stesso art.52 al comma 4. L’indennità di comparto non rientra nella base di calcolo per la trattenuta (sia oraria che giornaliera) in quanto, secondo quanto disposto dall’art. 44 ccnl 14/9/2000, la base di calcolo è la nozione di retribuzione di cui all’art.52 comma 2 lett.c, mentre l’indennità di comparto rientra nella nozione di retribuzione di cui alla lett.d) del medesimo articolo 52. Per quanto concerne il problema della decurtazione degli imponibili previdenziali, assistenziali, assicurativi e fiscali, si ritiene quanto segue: § I contributi cpdel, tfs e fondo credito sono calcolati sull'intero importo, al lordo della trattenuta per sciopero, e sono a carico, pro quota, dell'ente e del dipendente. Si ritiene che gli imponibili sopra indicati non vadano decurtati dalla trattenuta in oggetto in quanto l'astensione dal lavoro per sciopero non costituisce interruzione del rapporto di impiego ed il giorno di sciopero è valido, quindi, ai fini previdenziali e assistenziali § I contributi tfr, invece, sono dovuti su un imponibile al netto della trattenuta per sciopero, per espressa indicazione dell’inpdap. § Gli imponibili irap, inail e irpef si riducono per effetto della trattenuta per sciopero. Si ricorda che le detrazioni di imposta per lavoro dipendente e la tredicesima mensilità non maturano nel caso di adesione a sciopero per l’intera giornata. Quesito 22 (n.109/2012) Si chiedono chiarimenti in merito alle disposizioni vigenti relative al pensionamento delle donne e definite: "Opzione Donna". Risposta : La possibilità di accesso alla pensione di anzianità con diritto di opzione al sistema di calcolo contributivo – riservata alle lavoratrici dipendenti sia pubbliche che private – venne prevista, in via sperimentale dalla legge 243/2004. Questa forma di anzianità sopravvive per effetto della nuova riforma delle pensioni Monti-Fornero (art. 24, comma 14, della legge 214/2011) rientrando nelle deroghe al nuovo regime in vigore dall’ 1.01.2012.Alle lavoratrici, rientranti in questa fattispecie, continuano ad applicarsi, ai fini del regime di accesso e di decorrenza della pensione, le precedenti disposizioni sino al 31.12.2015 vale a dire: requisiti dei 57 anni di eta’ (dal 2013 con l’aggiunta di mesi 3) e dei 35 anni di contribuzione. L’accesso alla pensione avverrà dopo l’applicazione della relativa “finestra” di mesi 12 dal momento del diritto e la pensione sarà liquidata con il calcolo interamente contributivo secondo il metodo dell’opzione. Va precisato che tale “percorso” di accesso e’ sperimentale sino al 31.12.2015 e che questa data e’ l’ultima utile entro cui far decorrere la pensione, con la conseguenza che il diritto deve essere perfezionato entro il 30.12.2014. La possibilità di accedere alla pensione suddetta sarà verificata sulla base degli elementi soggettivi della dipendente interessata, vale a dire anzianità contributiva (servizi e/o periodi utili, ricongiunzioni, ecc…..) ed età anagrafica. Quesito 23 (n.125/2012) Il 13 settembre 2012 il Comune ha ricevuto una richiesta di recupero crediti “ciclo 29“ ,relativo a un contribuente cessato. I dati inseriti sono corretti e si chiede come procedere per il versamento - 30 giorni dal 05/09 – ed in particolare: si deve utilizzare il modello F24EP con il codice P216 e con quale indicazione di periodo nelle caselle relative? Devono essere compilati i quadri della DMA? Risposta : Il recupero crediti di cui al riferimento riguarda sistemazioni contributive Inpdap concernenti ex dipendenti cessati dal servizio. Poiche' i dati inseriti nel modello S.M. 5003/SC risultano corretti entro 30gg dal ricevimento si dovrà provvedere al relativo versamento tramite il mod. F24EP inserendo il cod. causale P216 (trattandosi di personale di Ente Locale) e come periodo di riferimento dal 10 2012 al 10 2012 (se al versamento si provvederà in ottobre con scad. 5/10) o dal 09 2012 al 09 2012 (se al versamento si provvederà entro settembre). Il recupero crediti di cui ai cicli per sistemazioni contributive non dovra' essere inserito nella procedura DMA. Quesito 24 (n.140/2012) Si chiede la collaborazione per disciplinare il servizio dei buoni pasto al personale dipendente. Nel nostro Comune il predetto servizio non risulta regolamentato, fatta eccezione per una vecchia delibera che stabilisce il costo a carico dei dipendenti che utilizzano il servizio (costo pari ad Euro 2,00 a pasto). Non essendovi una mensa aziendale, i dipendenti sono ammessi alla mensa della scuola verso il pagamento di un corrispettivo di Euro 2,00 a pasto (che versano in tesoreria). Nessuna trattenuta o voce viene inserita nel cedolino paga. Alla luce della vigente normativa in materia, si chiede gentilmente un fac simile di semplice regolamento o di delibera da adottare al riguardo, per disciplinare correttamente la fruizione del pasto e per indicare correttamente la spesa nelle spese di personale. Risposta: Prima di entrare nel dettaglio delle norme relative al servizio mensa, si fa presente che la Corte dei conti, Sezione di controllo per la Toscana, con la deliberazione n.187 del 21 luglio 2011, si è espressa in merito all’aumento del valore del buono pasto e ai limiti imposti dall’art.9 della legge n.122/2010 (sui limiti al trattamento economico ordinariamente spettante ai dipendenti che fino al 2013, non può superare quello del 2010). Un Comune chiedeva se l’importo del buono pasto rientrasse nell’aggregato del “trattamento economico ordinariamente spettante per l’anno 2010” e, perciò, se l’aumento del valore del buono pasto da euro 5,29 ad euro 7,50 incidesse sul rispetto dell’art. 9 della L. 122/2010 di conversione del D.L. 78/2010, o possa invece ritenersi svincolato dallo stesso in considerazione del fatto che, secondo la giurisprudenza prevalente, il buono pasto non ha carattere di corrispettività e non ha natura retributiva. La Corte sostiene che, in base all’art. 51, comma 2 lettera c) del DPR 22 dicembre 1986, n. 917 (Testo unico delle imposte sui redditi - TUIR), il buono pasto non concorre a costituire reddito da lavoro dipendente solo fino all’importo complessivo giornaliero di € 5,29; per la quota eccedente tale valore, esso è assoggettato a tassazione e a ritenute previdenziali, pur essendo non monetizzabile (si veda a proposito la circolare R.G.S. n.24/2006). La natura assistenziale e non retributiva del buono pasto non può che considerarsi limitata entro l’importo predetto (euro 5,29), oltre il quale concorre alla formazione del reddito (e quindi del trattamento economico complessivo). Pertanto deve ritenersi che un incremento del valore del buono pasto oltre tale soglia concorra alla formazione del reddito del dipendente ed entri a far parte, per disposizione di legge, nella componente retributiva del compenso del dipendente, perdendo la sua natura puramente assistenziale. Ne consegue che l'aumento del valore del buono pasto oltre tale soglia debba considerarsi parte del trattamento economico ai fini del rispetto del disposto ex art. 9, comma 1 della legge n.122/2010, di conversione del d.l. n.78/2010, secondo il quale "Per gli anni 2011, 2012 e 2013 il trattamento economico complessivo dei singoli dipendenti, anche di qualifica dirigenziale, ivi compreso il trattamento accessorio...non può superare, in ogni caso, il trattamento ordinariamente spettante per l'anno 2010". Peraltro, la Corte ricorda che il buono pasto va, in ogni caso e per il suo intero ammontare, incluso nel computo della spesa di personale, ai fini del rispetto dei commi 557 e 562 dell’articolo unico della L. 296/06 inerenti i limiti in tema di spesa di personale negli enti locali, come indicato, da anni, nelle linee guida al controllo monitoraggio emanate dalla Sezione delle autonomie della Corte dei Conti. §§§ Il servizio mensa è disciplinato dall’articolo 45 del CCNL 14 settembre 2000 che, come precisato dall’ARAN (Parere ARAN RAL023), non pone a carico degli enti alcun obbligo circa l’istituzione del servizio o la corresponsione del buono pasto sostitutivo. Il dipendente non è quindi titolare di un diritto soggettivo in questa materia, sarà il comune a valutare autonomamente le risorse disponibili e l’organizzazione dei propri servizi al fine di assumere eventualmente la decisione di istituire il servizio. Il servizio potrà essere organizzato attraverso una mensa aziendale, attraverso la stipula di convenzioni con pubblici esercizi, o ancora attraverso l’attribuzione di buoni pasto. La materia non è oggetto di contrattazione decentrata, ma di solo confronto con le organizzazioni sindacali. Il mancato confronto potrebbe condurre alla condanna per condotta antisindacale. Una volta assunta la decisione sull’organizzazione del servizio, l’ente provvederà a regolamentare le condizioni necessarie per l’attribuzione dei buoni pasto o l’utilizzo del servizio mensa, come ad esempio l'entità minima delle prestazioni antimeridiane e pomeridiane da stabilirsi in misura congrua, tale da giustificare l'onere sostenuto con l’utilità derivante dalla prestazione su orario spezzato. Si ricorda che la condizione minima richiesta dall’articolo 45, comma 2, del CCNL 14 settembre 2000 per l’assegnazione del buono pasto (uno solo al giorno) consiste nella presenza lavorativa al mattino con prosecuzione pomeridiana, dopo una pausa non inferiore a trenta minuti e non superiore a 2 ore, ritenendo utili anche le prestazioni rese come lavoro straordinario o svolte come recupero di eventuali prestazioni in precedenza non rese per fruizione di un permesso breve o per utilizzo della flessibilità. Il contratto non consente l’attribuzione di un buono pasto nel caso di prestazioni rese in orario solo antimeridiano o solo pomeridiano né di un secondo buono in caso di prestazione iniziata in orario antimeridiano, proseguita in orario pomeridiano e successivamente in orario serale. Qualora si opti per il buono pasto sostitutivo, secondo l’ARAN, è sufficiente che l'ente provveda all'erogazione per ogni ‘ticket’, di una somma, esclusivamente a proprio carico, pari ai 2/3 del costo unitario di un servizio mensa […]. Per la determinazione del valore del buono pasto si può fare riferimento, attraverso un’indagine di mercato nell’area territoriale interessata, a preventivi forniti da esercizi pubblici che operano per l’erogazione dei pasti o con verifiche presso le mense aziendali oppure avvalendosi della collaborazione della Camera di Commercio. L’ente potrà quindi stabilire il valore del pasto ed erogare un ticket per i 2/3 di detto valore; si segnala la prassi diffusa di erogare un buono per il valore totale e trattenere in busta paga 1/3 di quanto speso. In ogni caso la spesa a carico dell’ente per singolo buono non può superare i 7 euro. Si rammenta infatti che l’articolo 5, comma 7, del d.l. 95/2012, come convertito dalla legge 135/2012, ha stabilito che il valore dei buoni pasto attribuiti al personale dal 1° ottobre 2012, anche di qualific a dirigenziale, in tutte le pubbliche amministrazioni, non possa superare il valore nominale di 7,00 euro. Tale valore è riferibile al solo costo che l’ente deve sostenere, cioè i due terzi del costo convenzionale del pasto e non anche al terzo dovuto dai dipendenti. La disciplina fiscale della somministrazione dei pasti ai dipendenti è regolata dall’art.51, co.2, lett.c) del DPR n.917/1986 (Tuir), che individua, tra le somme che non concorrono alla formazione del reddito da lavoro dipendente - le somministrazioni di vitto da parte del datore di lavoro; - le forniture in mense direttamente predisposte dal datore di lavoro o affidate alla gestione di terzi tramite appalti; - le prestazioni e le indennità sostitutive del servizio mensa corrisposte ai lavoratori addetti ai cantieri edili, a strutture lavorative a carattere temporaneo o ad unità produttive situate in zone prive di strutture o servizi di ristorazione, entro il limite giornaliero di €.5,29 (c.d. soglia di esenzione): L’Agenzia delle Entrate, con la Risoluzione n.118/E/2006, ha precisato che possono beneficiare della suddetta agevolazione anche i dipendenti a tempo parziale che fruiscano dei ticket, pur in presenza di un orario di lavoro che non preveda il diritto alla pausa per la consumazione del pasto. La soglia di esenzione opera anche nei confronti della generalità dei collaboratori d’impresa, con o senza progetto (Circolare n.207/E/2000). La scelta di una modalità operativa piuttosto che un ‘altra, differenzia il trattamento fiscale e contributivo da applicare da parte del datore di lavoro. Somministrazione diretta del pasto e mense aziendali Nell’ipotesi di fornitura del pasto o, comunque, di gestione diretta del servizio mensa da parte del datore di lavoro, i costi sostenuti dall’ente costituiscono un onere interamente deducibile ai fini delle imposte dirette ed ai fini Irap. Inoltre, secondo il principio dell'inerenza all'attività, trattandosi di acquisizione di un servizio complesso non riconducibile alla semplice somministrazione di alimenti e bevande, sulle prestazioni in argomento è prevista la detraibilità dell'Iva. Convenzioni con i pubblici esercizi Il Ministero delle Finanze, con circolare n.326/97, ha chiarito che rientrano tra le prestazioni di vitto e mense aziendali, le convenzioni con i pubblici esercizi e la somministrazione di cestini preconfezionati da distribuire ai lavoratori dipendenti. Tale modalità di organizzazione della pausa pranzo viene pertanto equiparata alla fattispecie della mensa aziendale, per cui trova applicazione il trattamento fiscale sopra indicato. Buoni pasto / Ticket restaurant Un’ulteriore modalità di gestione della pausa pranzo, può essere istituita attraverso il rilascio dei buoni pasto o ticket restaurant, in sostituzione del servizio di mensa aziendale. In pratica, tale strumento consente all’utilizzatore di fruire di un servizio sostitutivo di mensa per un importo pari al valore facciale del buono e, all’esercizio convenzionato, di attestare l’adempimento della prestazione nei confronti dell’azienda somministratrice. La prestazione sostitutiva in parola è soggetta ad alcune limitazioni fiscali. L’art.51, co.2, lett.c), DPR n.917/86 introduce, infatti, una franchigia giornaliera di €5,29, per cui, i buoni pasto di valore pari o inferiore alla soglia anzidetta non concorrono alla formazione del reddito da lavoro dipendente, mentre la parte eccedente la franchigia sarà assoggettata a ritenuta fiscale e previdenziale. L’eccedenza del valore facciale del ticket rispetto a € 5,29 concorre sempre alla formazione del reddito di lavoro dipendente in quanto trattasi di vera e propria erogazione di denaro e, pertanto, non può essere assorbita dalla franchigia di €258,23, prevista unicamente per i compensi in natura (Risoluzione n. 26/E/2010). A decorrere dal primo settembre 2008, a seguito delle modifiche apportate dal D.L. n.112/08 alla disciplina in esame, l’Iva addebitata dall’emittente al datore di lavoro per l’acquisto dei buoni pasto (aliquota del 4%) è interamente detraibile. Esempio di trattamento contributivo e fiscale in caso di buoni pasto o ticket restaurant. Si supponga che l’ente somministri annualmente 15.000 pasti a favore dei propri lavoratori e che il costo del singolo pasto sia pari ad € 7,50, interamente a carico dell’ente. Determinazione dell’importo annuo soggetto a oneri riflessi a carico dell’ente € 7,50 - € 5,29 ( soglia di esenzione) = € 2,21 € 2,21 x 15.000 = € 33.150,00 ( valore annuale soggetto a contributi previdenziali e irap) € 33.150,00 x 23.80% = € 7.889,70 (contributi cpdel a carico ente) €.33.150,00 x 8,50% = 2.817,75 (irap a carico ente) Determinazione dell’ammontare mensile soggetto a contribuzione a carico del lavoratore € 7,50 - € 5,29 (soglia di esenzione) = € 2,21 (valore giornaliero soggetto irpef e contributi cpdel e fondo credito) € 2,21 x 23 gg (effettiva presenza in servizio) = € 50,83 (valore mensile soggetto irpef e contributi cpdel e fondo credito) Calcolo contributi cpdel-fondo credito e Irpef a carico del lavoratore € 50,83 x 8,85% = € 4,50 (contributo cpdel) € 50,83 x 0,35% = € 0,18 (contributo fondo creditol) € 50,83 - € 4,50 - €.0,18 = € 46,15 (imponibile fiscale) € 46,15 x 23% = € 10,61(ritenute Irpef) Totale oneri mensili medi a carico del lavoratore: € 4,50+ €.0,18 + € 10,61 = € 15,29 Totale oneri contributivi e fiscali annuali medi a carico del lavoratore: € 15,29 x 12 (mesi di lavoro) = € 183,48 Carta magnetica o “restaurant card” Le c.d. restaurant card (tessere magnetiche) vengono incluse nell’ambito delle prestazioni sostitutive del servizio mensa. Questo tipo di soluzione, avvalendosi di un circuito elettronico, consente: - da una parte, di individuare in tempo reale il momento di utilizzo della prestazione; - e dall’altra, di impedire impieghi distorti e fraudolenti dello strumento quali l’utilizzo in un giorno in cui il lavoratore risulti ammalato o in orario diverso da quello previsto contrattualmente per la consumazione del pasto. Il lavoratore ha diritto, previa esibizione della carta, ad una sola prestazione giornaliera, secondo le modalità previste dalla legge o dai contratti collettivi e non potrà ricevere, in sostituzione, somme in denaro, beni o prestazioni diverse da quelle registrate sul badge. L’utilizzo della carta non consente di posticipare nel tempo la fruizione della prestazione e il dipendente che, pur avendo maturato il diritto, non si avvale della consumazione del pasto, non potrà usufruirne a recupero nei giorni successivi. La società che emette le tessere è tenuta: a codificare i badge prima di consegnarli all’azienda datrice di lavoro che provvederà alla distribuzione degli stessi ai lavoratori dipendenti; ad effettuare l’installazione, presso gli esercizi convenzionati, di terminali idonei a garantire il collegamento immediato tra il fruitore della carta magnetica e il servizio di somministrazione. Ai fini fiscali ed Irap, l’ente potrà detrarre interamente l’IVA (aliquota del 4%) assolta per l’acquisto del servizio a mezzo carte magnetiche e l’onere sostenuto non concorre alla formazione della base imponibile ai fini Irap. Il servizio in questione non concorre alla formazione del reddito da lavoro dipendente qualunque sia il valore del pasto. Conseguentemente, il dipendente non avrà alcun aggravio contributivo e fiscale. Sintesi del trattamento tributario e contributivo Tipologia di gestione Trattamento fiscale Irpef della pausa pranzo (art.51,c.2,lett.c,Tuir) e Irap Contributi Inpdap Detraibilità Iva Somministrazione pasto Non concorre alla Non concorre alla Piena detraibilità 100% da parte dell'azienda formazione del reddito formazione dell'imponibile contributivo Mensa aziendale interaziendale Buoni pasto restaurant / o Non concorre alla Non concorre alla Piena detraibilità 100% formazione del reddito formazione dell'imponibile contributivo Ticket Non concorre alla formazione del reddito sino alla soglia esenzione di € 5,29 Non concorre alla Piena detraibilità 100% formazione dell'imponibile contributivo sino alla soglia di esenzione di € 5,29 Si ricorda infine che il costo relativo al buono pasto rientra fra le spese di personale, indipendentemente dalla circostanza che il suo ammontare sia inferiore o superiore ad euro 5,29 giornaliere (in proposito: Corte conti, sez. contr. Toscana, 21 luglio 2011, n. 187; sez. contr. Puglia, 14 settembre 2011, n. 63; sez. contr. Lombardia, 12 dicembre 2011, n. 651), poichè si tratta di una risorsa che è prevista dalla contrattazione collettiva di comparto in favore dei dipendenti dell'Ente locale.” (Corte dei conti, Sezione Regionale di Controllo per il Piemonte, Delibera 23 febbraio 2012, n. 14/2012/SRCPIE/PAR). La pronuncia così prosegue: “D'altro canto, è opportuno evidenziare che si tratta di una nozione ormai acquisita nell'ambito della gestione finanziaria degli Enti locali, considerato che nella "Relazione alla Sezione regionale di controllo (ai sensi dell'art. 1, commi 166 e ss, della legge finanziaria per il 2006) dell'organo di revisione contabile" all'interno dell'elenco delle voci che rientrano fra le spese di personale che debbono essere conteggiate ai fini della verifica del limite previsto dal citato co. 562 è compresa la voce "Oneri per il nucleo familiare, buoni pasto e spese per equo indennizzo" (punto 6.1, della parte II del documento, approvato dalla Sez. Autonomie della Corte dei conti con delibera n. 2, in data 9 giugno 2011). In conclusione, se anche il buono pasto del valore inferiore a 5,29 euro ha natura assistenziale per il dipendente, per l'Amministrazione rientra fra le spese di personale che devono essere considerate al fine di verificare il rispetto del limite di spesa stabilito dall'art. 1, co. 562 della legge 27 dicembre 2006, n. 296.”. Per coerenza, si ritiene che anche il costo relativo ai pasti erogati tramite mensa aziendale debba essere computato tra le spese di personale, in quanto assimilabile a “benefit” per il dipendente. Quesito 25 (n.157/2013) Un cantoniere di questo comune durante il servizio neve ha effettuato lavoro straordinario sia ore in notturna sia ore durante la festività dell'immacolata e chiede il recupero delle ore, non vuole il pagamento. Preciso che non si tratta di ore domenicali (riposo settimanale) per le quali si applica la maggiorazione del 50% e il riposo compensativo di pari ore. Se il dipendente recupera, è giusto non pagare a parte la maggiorazione del 30% (ad esempio per lavoro notturno) quale indennizzo? Cioè il dipendente può scegliere fra recupero e pagamento, ma se sceglie di recuperare non ha diritto ad alcun indennizzo monetario (la differenza fra il costo orario ordinario e il costo orario straordinario). E' corretto? Risposta E' corretto quanto da voi affermato, cioè che il lavoratore, in base all'art. 38 comma 7 del CCNL 14.9.2000, può scegliere tra remunerazione maggiorata delle ore prestate quale straordinario o equivalente riposo compensativo, senza alcun indennizzo monetario. A questo proposito, si allega un parere dell'ARAN che riassume in maniera chiara e completa la questione nel senso appena affermato. “RAL_1402_Orientamenti Applicativi Un dipendente che abbia svolto lavoro straordinario, ove opti per tale soluzione in luogo del pagamento del trattamento economico, può fruire anche ad ore dei riposi compensativi corrispondenti alla durata delle prestazioni straordinarie effettivamente rese? Ove tale soluzione sia possibile, le ore di riposo compensativo fruite devono essere conteggiate nelle 36 ore di permesso breve, di cui all’art.20 del CCNL del 6.7.1995 oppure non esistono limiti in materia? Il dipendente può certamente richiedere la fruizione di riposi compensativi, quantitativamente equivalenti alla durata delle prestazioni straordinarie, in luogo del relativo compenso economico (art. 38 comma 7, del CCNL del 14 settembre 2000). In materia devono essere, comunque, rispettate le seguenti regole: a) le prestazioni di cui si chiede il riposo compensativo devono essere state debitamente autorizzate dal dirigente responsabile, nei limiti quantitativi consentiti dalle risorse assegnate; il dipendente non può richiedere il recupero delle ore spontaneamente rese senza il preventivo consenso del dirigente; b) il periodo di recupero compensativo deve essere computato ad ore lavorative, corrispondenti alle ore di straordinario prestate; c) le ore cumulate possono dar luogo anche ad un riposo compensativo pari ad una o più intere giornate lavorative, purché sia rispettato il conteggio delle ore; d) la fruizione del riposo compensativo deve essere compatibile con le esigenze organizzative e di servizio; a tal fine sono necessarie una tempestiva richiesta al competente dirigente (o al responsabile del servizio) e il consenso preventivo di quest'ultimo sul periodo prescelto dal lavoratore o su altro eventualmente indicato, in via alternativa, dal dirigente; e) mancando un limite temporale predefinito, entro il quale è consentito la fruizione del riposo compensativo, per dare certezza ai comportamenti e per evitare conflitti interni, ogni ente potrebbe stabilire, attraverso un proprio regolamento aziendale, di stampo privatistico, un termine certo (ad esempio un mese dalla prestazione di lavoro straordinario) entro il quale deve essere comunque operato il recupero; f) il riposo compensativo non dà comunque titolo a percepire la maggiorazione percentuale del valore del lavoro ordinario; quindi, per ogni ora di straordinario diurno viene riconosciuto un corrispondente riposo compensativo di un'ora, senza che al lavoratore debba essere riconosciuta la maggiorazione prevista del 15%; neppure è possibile riconoscere, in relazione alla stessa ora di lavoro straordinario diurno, al lavoratore un riposo compensativo di 69 minuti, corrispondenti al valore economico dell'ora di lavoro straordinario comprensiva anche della maggiorazione del 15%; g) la utilizzazione della disciplina sul riposo compensativo deve essere intesa come alternativa a quella sulla banca delle ore (art. 38-bis, del CCNL del 14 settembre 2000); h) giova ribadire, per maggiore chiarezza, che il riposo compensativo non può essere imposto d’autorità dal dirigente, ma deve essere sempre richiesto espressamente dal dipendente che ha reso la prestazione di lavoro straordinario. Per questo motivo, le prestazioni di lavoro straordinario autorizzate devono essere sempre ricomprese nel tetto di spesa assegnato a tale titolo al singolo centro di costo. Infatti, se il lavoratore pretende il pagamento bisogna sempre poter disporre delle necessarie risorse. Alla luce di tali considerazioni, che trovano il loro fondamento nella precisa formulazione delle clausole contrattuali in materia (art.38 CCNL 14 settembre 2000), si devono esprimere dubbi sulla correttezza della prassi seguita da molti enti del comparto di autorizzare prestazioni di lavoro straordinario anche in mancanza o al di là delle disponibilità finanziarie a tal fine predisposte (art.14 del CCNL 1° aprile 1999), imponendo sostanzia lmente al dipendente la fruizione del corrispondente riposo compensativo. Da tale ricostruzione, quindi, non emergono ostacoli alla fruizione ad ore del riposi compensativi corrispondenti alle ore di lavoro straordinario prestate dal dipendente e da questi richiesti in alternativa al pagamento del relativo compenso, purché come sopra detto siano garantite le esigenze organizzative. Giova, infine, evidenziare che non esiste alcun collegamento, diretto o indiretto, tra la fruizione dei riposi compensativi delle ore di lavoro straordinario effettuate e la disciplina dei permessi brevi dell’art.20 del CCNL del 6.7.1995, trattandosi di istituti del tutto diversi nei presupposti e nella regolamentazione." Quesito 26 (n.167/2013) Si chiedono delucidazioni per la corretta liquidazione di somme trattenute in seguito ad un atto di pignoramento presso terzi regolarmente notificato dal Tribunale: lo scrivente Ente, ricevuto l'atto di pignoramento presso terzi di cui sopra, ha sospeso l'erogazione mensile dell'indennità di funzione ad un Amministratore. Di fatto non ha elaborato il cedolino dell'Amministratore pignorato nei mesi di Febbraio e Marzo 2013. In occasione della presentazione dei documenti al Giudice incaricato in sede di udienza, questi ha tenuto conto, ai fini del pagamento del debito del nostro Amministratore a favore del creditore, della somma netta che mensilmente il Comune eroga a titolo di indennità di funzione. Ora il legale mi chiede di effettuare il pagamento delle somme trattenute e relative alle due mensilità bonificando direttamente il conto corrente del creditore. Pertanto chiedo: devo emettere i due cedolini sospesi a nome dell'Amministratore ed effettuare il bonifico del netto a favore del creditore? Se la prassi è questa significa che l'Amministratore avrà poi un Cud che comprenderà somme soggette all'Irpef di fatto non percepite. Risposta Nel caso prospettato, si ritiene che si debba procedere nel seguente modo. Non essendo stato precisato altrimenti nella vostra richiesta, si ritiene di partire dal presupposto, più probabile, che il pignoramento in esame NON sia collegato ad un’attività di lavoro autonomo svolta dall’amministratore, ma che il pignoramento sia connesso ad altre e diverse fattispecie. In questo caso si ritiene che la procedura corretta da utilizzare sia la seguente: - determinare il netto dei cedolini di febbraio e marzo 2013, applicando sull’indennità di funzione le ritenute obbligatorie per irpef a scaglioni - il netto dei cedolini così calcolato dovrà essere poi integralmente recuperato all’amministratore tramite una reversale e quindi andrà riversato in partita di giro direttamente sul conto corrente del creditore. Dal punto di vista fiscale si ritiene corretto contabilizzare nel cedolino prima e nel cud poi le competenze lorde per indennità di funzione spettanti all’amministratore, ancorché non percepite, in quanto al sostituto d’imposta non è consentito sottrarsi all’obbligo dell’applicazione della ritenute fiscali ai sensi di legge. Tramite il pignoramento presso terzi, il creditore può soddisfare i propri crediti sulle somme nette che sarebbero spettate all’amministratore, una volta applicate le ritenute di legge e certamente non sull’importo dell’ indennità lorda, che costituisce invece la base imponibile fiscale. Si richiama comunque l’attenzione sulle disposizioni previste dalla circolare dell’agenzia delle entrate n° 8/E del 2/3/2011, che specifica dettagliatamente la disciplina fiscale da applicare in caso di pignoramenti presso terzi. Quesito 27 (n.168/2013) La Giunta Comunale di questo Comune, ai sensi delle disposizioni statutarie e regolamentari, ha fissato in una DOMENICA la data per un Referendum consultivo Comunale. Considerato che come previsto dal regolamento comunale i seggi referendari devono essere composti da personale comunale si chiede ai fini dell'autorizzazione e del pagamento degli straordinari "elettorali" che verranno effettuati dai dipendenti comunali: 1) se è legittimo istituire un fondo speciale al di fuori del fondo straordinari storico di soli € 1.400,00 con il quale non si riesce a far fronte neppure all'ordinarie necessità; 2) se ai titolari di posizione organizzativa, che devono esercitare le funzioni di Presidenti dei Seggi, possono essere corrisposti gli straordinari effettuati per il referendum comunale; 3) se tale spesa di personale "straordinaria " può essere esclusa al fine del rispetto del limite della spesa personale 2012. Risposta Si ritiene che nel vostro caso siano applicabili le previsioni contenute nell’art. 39 del CCNL 14.9.2000 come integrato dall’art. 16 del CCNL 5.10.2001. Tale norma prevede che: “1. Il lavoro straordinario prestato in occasione di consultazioni elettorali o referendarie e quello prestato per fronteggiare eventi straordinari imprevedibili e per calamità naturali non concorre ai limiti di cui all’art. 14 del CCNL dell’1.4.1999 (è la norma che regola il fondo per il lavoro straordinario in termini finanziari, oltre che la sua quantità massima in 180 h annuali) 2. Gli enti provvedono a calcolare ed acquisire le risorse finanziarie collegate allo straordinario per consultazioni elettorali o referendarie anche per il personale incaricato delle funzioni dell’area delle posizioni organizzative di cui all’art. 8 e ss. del CCNL del 31.3.1999. Tali risorse vengono comunque erogate a detto personale in coerenza con la disciplina della retribuzione di risultato di cui all’art. 10 dello stesso CCNL e, comunque, in aggiunta al relativo compenso, prescindendo dalla valutazione. Analogamente si procede nei casi di cui all’art. 14, comma 5 del CCNL dell’1.4.1999 3. Il personale che, in occasione di consultazioni elettorali o referendarie, è chiamato a prestare lavoro straordinario nel giorno di riposo settimanale, in applicazione delle previsioni del presente articolo, oltre al relativo compenso, ha diritto anche a fruire di un riposo compensativo corrispondente alle ore prestate. Il riposo compensativo spettante è comunque di una giornata lavorativa ove le ore di lavoro straordinario effettivamente rese siano quantitativamente maggiori di quelle corrispondenti alla durata convenzionale della giornata lavorativa ordinaria. In tale particolare ipotesi non trova applicazione la disciplina dell’art. 24, comma 1, del presente contratto. La presente disciplina trova applicazione anche nei confronti del personale incaricato di posizioni organizzative.” In riferimento al vostro primo quesito, si ritiene quindi possibile incrementare il fondo per gli straordinari in base al primo comma dell’articolo sopra riportato. Tra l’altro, è necessario ricordare che recentemente alcune sezioni della Corte dei Conti, tra le quali quella lombarda, hanno affermato che il blocco dei fondi per il trattamento accessorio (art. 9 comma 2 bis del D.L. n. 78/2010), che non possono superare l’analogo livello del 2010, si estende anche al fondo per il lavoro straordinario (si veda deliberazione n. 423/2012 della Corte dei conti della Lombardia). La stessa deliberazione però riconosce che gli straordinari per calamità naturali, per motivi elettorali o referendari, o per compensi ISTAT è escluso dal blocco proprio in virtù dell’art. 39, comma 1, del CCNL 14.9.2000 nella parte in cui prevede che “il lavoro straordinario prestato in occasione dl consultazioni elettorali o referendarie e quello prestato per fronteggiare eventi straordinari imprevedibili e per calamità naturali non concorre ai limiti di cui all’art. 14 del CCNL dell’1.4.1999″. Per quanto riguarda la corresponsione dei compensi ai titolari di posizione organizzativa (a cui comunque spetta il riposo compensativo) il comma 2 dell’art. 39 del CCNL sembrerebbe autorizzarla, in deroga al principio di omnicomprensività della loro retribuzione; è necessario però specificare che, a questo proposito, l’ARAN ha espresso una posizione particolare, in quanto pare condizionare l’erogazione del compenso alle p.o. all’acquisizione delle relative risorse da enti esterni, mentre parrebbe vietarlo nel caso di risorse che verrebbero prelevate dal bilancio comunale; Infatti, in un primo parere, relativo a straordinari per calamità naturali (anche questi pagabili alle p.o) afferma che “…l’art. 40 del CCNL 22.1.2004 ipotizzi il caso in cui un ente riceva risorse finanziarie da un ente diverso (Stato o Regione) per il finanziamento di prestazioni straordinarie al fine di far fronte a emergenze derivanti da calamità naturali. In tal caso la risposta è positiva. E’ evidente che sono escluse le situazioni nelle quali è l’ente interessato a disporre gli interventi con oneri a carico del proprio bilancio.” in un secondo parere, relativo a consultazioni elettorali, afferma che: “Il compenso sarà corrisposto, senza valutazione, in aggiunta alla retribuzione di risultato spettante al personale interessato, nell’anno in cui si sono svolte le consultazioni. Per il finanziamento, il contratto prevede che gli enti debbano procedere all’acquisizione delle relative risorse dall’esterno (dal Ministero dell’Interno) come avveniva già nella precedente esperienza applicativa, sulla base delle regole contenute nei regolamenti recepiti in D.P.R.; riteniamo che, a tal fine, debbano essere calcolate e acquisite anche le quote relative agli oneri riflessi. In altri termini non è consentito agli enti di porre a carico dei rispettivi bilanci i relativi costi. Infatti, diversamente ritenendo, si dovrebbe rilevare che il CCNL avrebbe introdotto in tal modo un onere aggiuntivo a carico degli enti, non certificato, e quindi privo della necessaria copertura finanziaria.” E’ necessario riconoscere però che in questo caso l’ARAN si sta chiaramente occupando di elezioni/referendum non di iniziativa comunale. A fronte di questi pareri, si ritiene che la soluzione del quesito debba essere rimessa alla prudente e autonoma valutazione del vostro ente. Per quanto attiene infine all’esclusione dalle spese di personale per il 2013, si fa presente che tra le voci di esclusione dal calcolo della spesa di personale ai fini dell’art. 1 commi 557 e 562 della L. 296/2006, che impone le riduzione anno per anno delle spese di personale, vanno inserite le spese per straordinari e altri oneri direttamente connessi ad attività elettorali per i quali è previsto il rimborso dal Ministero dell’Interno. Non pare perciò che tale esclusione sia applicabile anche a spese elettorali/referendarie sostenute direttamente dal Comune senza rimborso dal Ministero dell’interno. Quesito 28 (n.171/2013) Con riferimento all'agente di polizia locale, c'è una norma contrattuale che consenta al Comune di sostenere la spesa per il lavaggio, la stiratura e la risuolatura del relativo vestiario Risposta In riferimento al vostro quesito, non si rinviene nell'ordinamento alcuna norma che imponga o consenta all'Amministrazione di sostenere la spesa per lavaggio, stiratura, risuolatura vestiario per la polizia locale. La divisa della polizia locale non è infatti considerata D.P.I. (dispositivo di protezione individuale) ai sensi dell'art. 74, comma 2 lettera a) e c) del D.Lsg. 81/2008 e s.m.i. Per quanto riguarda i D.P.I. (ad esempio, vestiario dei cantonieri) la cura e manutenzione secondo le indicazioni fornite dal fabbricante e quanto appreso nei corsi di formazione è a carico del lavoratore; l'amministrazione deve verificare che gli stessi mantengano le caratteristiche di protezione richiesta dalla legge e quindi sostituirli nel caso tali caratteristiche non siano più presenti. Quesito 29 (n.187/2013) E' obbligatorio procedere all’assicurazione del Sindaco dagli infortuni ovvero è necessario comunicare il suo nominativo all’INAIL? Risposta Non è prevista l'assicurazione Inail contro gli infortuni sul lavoro e malattie professionali per il sindaco del comune in quanto la sua attività non è riconducibile all'attività di lavoro dipendente. Infatti l'art.4 del Testo Unico 30/06/1965, n.1124 pone come requisito essenziale ai fini dell'insorgenza dell'obbligo assicurativo il concetto di subordinazione, che caratterizza l'attività di lavoro dipendente, ma non quella del sindaco. Quesito 30 (n.188/2013) E' possibile procedere all’erogazione dell’Assegno Nucleo Familiare ad un dipendente comunale che per il periodo 01/07/2012 – 30/06/2013 ha presentato domanda nel mese di giugno 2013? Risposta Ogni diritto si estingue per prescrizione quando il titolare non lo esercita per il tempo determinato dalla legge. In generale, secondo l'art. 2946 del codice civile, i diritti si estinguono per prescrizione con il decorso di dieci anni, salvo i casi in cui la legge dispone diversamente. Nel caso in esame, ai sensi dell'art.23 del Testo Unico sugli assegni familiari, approvato con D.P.R. 30 maggio 1955 n. 797 e alle successive modificazioni e integrazioni, il diritto all'assegno per il nucleo familiare si prescrive nel termine di cinque anni per cui, qualora la domanda per l'erogazione dell'assegno nucleo familiare venga presentata dopo l'insorgenza del diritto, gli arretrati spettanti vengono corrisposti nel limite massimo dei 5 anni precedenti (prescrizione quinquennale). Poichè Il termine di prescrizione decorre dal primo giorno del mese successivo a quello nel quale è compreso il periodo di lavoro cui l'assegno si riferisce, le richieste per periodi arretrati possono quindi essere accolte limitatamente al periodo di cinque anni precedente il mese in cui viene formulata la domanda. Quindi nel caso specifico è possibile procedere all'erogazione dell'Assegno Nucleo Familiare. Quesito 31 (n.212/2013) In ordine alla liquidazione al tecnico comunale, dipendente del nostro Ente, dell’incentivo relativo alla progettazione interna (2%), la quota relativa all’IRAP è a carico dell’ente o del dipendente? Risposta In riferimento al vostro quesito, si ricorda che la Corte dei Conti sez. riunite si è espressa con deliberazione n. 33 del 2010, specificando che le disponibilità dei fondi per la progettazione ripartibili nei confronti dei dipendenti sono da calcolare al netto delle risorse necessarie alla copertura dell’onere Irap gravante sull’amministrazione. Quindi, affermano le sezioni riunite, “se sul piano dell’obbligazione giuridica, rimane chiarito che l’Irap grava sull’amministrazione …, su un piano strettamente contabile, tenuto conto delle modalità di copertura di “tutti gli oneri”, l’amministrazione non potrà che quantificare le disponibilità destinabili ad avvocati e professionisti, accantonando le risorse necessarie a fronteggiare l’onere Irap, come avviene anche per il pagamento delle altre retribuzioni del personale pubblico …. Pertanto, le disposizioni sulla provvista e la copertura degli oneri di personale (tra cui l’Irap) si riflette, in sostanza, sulle disponibilità dei fondi per la progettazione e per l’avvocatura interna ripartibili nei confronti dei dipendenti aventi titolo, da calcolare al netto delle risorse necessarie alla copertura dell’onere Irap gravante sull’amministrazione.” L'importo accantonato dall'ente comprende quindi anche l'IRAP, che verrà versata dall'ente, riducendo così le risorse disponibili per le competenze a favore dei dipendenti. Nello stesso senso sono successive pronunce della Corte dei Conti (Toscana 210/2010, Emilia Romagna 543/2010). Quesito 32 (n.231/2014) Il nostro Comune ha un amministratore che svolge lavoro autonomo e per il quale vengono versati i contribuiti alla gestione separata INPS nel minimale. Si chiede come intervenire sulla materia dell'obbligo o meno del versamento dei contributi degli amministratori del Comune che svolgono lavoro autonomo, viste le recenti pronunce della corte dei Conti. Risposta Come da voi già ricordato, si sta affermando un orientamento della Magistratura contabile in merito alla interpretazione dell'art.86, comma 2 TUEL (Corte dei conti Basilicata con il parere 16/2014 e Corte dei Conti Lombardia con il parere 95/2014), secondo il quale gli enti locali debbono provvedere al versamento degli oneri assistenziali, previdenziali ed assicurativi per gli amministratori che siano lavoratori autonomi solo qualora si astengano completamente dall’esercizio della professione A differenza dei lavoratori dipendenti, infatti, i lavoratori autonomi non hanno la possibilità di porsi in aspettativa e difficilmente possono sospendere l'attività professionale. A parere delle sezioni regionali il versamento dei predetti oneri, da parte degli enti locali, va effettuato per il lavoratore autonomo purché sussista la medesima condizione prevista per il lavoratore dipendente, cioè , l'assenza della consueta attività lavorativa. Tale ragione è da rinvenirsi nel sostegno che l'ordinamento vuole assicurare a favore di chi opta per l'esclusività dell'incarico di amministratore, opzione che non può essere differentemente misurata per il lavoratore dipendente rispetto al lavoratore non dipendente. Concludono le Corti che l'art. 86, secondo comma, TUEL può trovare applicazione solo quando il lavoratore autonomo, che ricopre una delle cariche previste dal primo comma, si astenga del tutto dall'attività lavorativa; circostanza che il lavoratore autonomo ha l'onere di comprovare rilasciando all'ente locale un'attestazione in cui dichiara la sospensione dell'attività in costanza di espletamento del mandato amministrativo, nonché notificando la medesima dichiarazione all'ente previdenziale. In netta contrapposizione è l’avviso espresso, in più occasioni, dal Ministero dell’Interno; a partire dal risalente parere del 17 febbraio 2004 che, diversamente, esponeva: “Detto beneficio si basa sul presupposto che l’assunzione di cariche pubbliche particolarmente impegnative interferiscono sull’attività del professionista, con ripercussioni prevedibili sul reddito e quindi sulla sua capacità contributiva. A differenza dei lavoratori dipendenti, infatti, i lavoratori autonomi non hanno la possibilità di porsi in aspettativa e difficilmente possono sospendere l’attività professionale. Il versamento dei predetti oneri, da parte degli enti locali, costituisce pertanto un beneficio che va accordato a prescindere dall’incidenza dell’espletamento della carica elettiva sull’effettivo esercizio dell’attività professionale”. Ribadito in successivo del 9 ottobre 2007: “In via preliminare, si rappresenta che con l’espressione ‘amministratori locali che non siano lavoratori dipendenti’, recata dal comma 2 … art. 86, si intendono gli amministratori locali lavoratori autonomi. Con la predetta norma il legislatore, analogamente con quanto previsto al comma 1 per gli amministratori dipendenti, ha inteso imputare a carico dei bilanci degli enti locali una quota parte degli oneri contributivi dei lavoratori autonomi che ricoprono cariche elettive, normalmente a carico dei diretti interessati”. In merito alle richieste di indicazioni circa il comportamento da adottare, questo ente non ritiene, allo stato, di esprimersi sottolineando come il Ministero tenda a valorizzare la funzione pubblica e il "sacrificio" professionale cui sono chiamati gli eletti mentre le Corte dei Conti, secondo una strada da tempo imboccata a causa della pressione della presente crisi, si preoccupi di evitare aggravi economici per le finanze pubbliche e partendo da una finalità di risparmio e contrazione della spesa ricostruisca le motivazione dei suoi assunti Ci limitiamo, pertanto, allo scopo di favorire le vostre riflessioni, a sottolineare che - alla posizione della Corte si contrappone una posizione autorevole, quella appunto del Ministero, - le pronunce della Corte sono intervenute in sede consultiva - il rischio di contenzioso tra ente e amministratore conseguente a fronte di una modifica di trattamento, e, al contempo, auspichiamo un intervento chiarificatore di matrice legislativa ovvero, in subordine, una consolidata giurisprudenza ad oggi assente, senza, peraltro, escludere un nuovo intervento del Ministero. Quesito 33 (n.240/2014) Per l'anno 2014 il Comune ha costituito il fondo di produttività rispettando il vincolo di non superare il totale del fondo dell'anno 2010: E' possibile integrare il fondo del 2014 nella parte delle risorse variabili e precisamente all'articolo 15 comma 5 del CCNL 01/04/1999, senza ovviamente superare il totale del fondo del 2010 e dell'anno precedente (2013), per la realizzazione di un progetto inerente la riorganizzazione del personale. Risposta L’art. 9 comma 2 del D.L.78/2010 prevede che i fondi delle annualità successive e fino al 31.12.2014 non possano sperare il limite del fondo dell’anno 2010, e, comunque, debbano essere ridotti in proporzione al personale cessato. Da quanto appreso, il vostro ente rispetta le condizioni previste dalla norma, risultando inferiore al limite 2010; si deve, però, fare attenzione al fatto che le riduzioni proporzionali rispetto al personale cessato vanno applicate sull’intero importo del fondo, cioè sia sulle risorse stabili che sulle variabili, con le sole eccezioni degli incentivi alla progettazione e dei risparmi dell’anno precedente, che sono invece esclusi da tali riduzioni. Per quanto attiene all’importo complessivo del fondo, la integrazione da voi proposta è quindi teoricamente ipotizzabile, in quanto, anche con l'importo ulteriore, il fondo sarebbe comunque inferiore al limite 2010. E' bene chiarire che, se sussiste un obbligo generale di riduzione progressiva della spesa di personale (art.1, comma 557 L.296/2006), non esiste, invece, un obbligo normativo di ridurre la spesa del fondo rispetto all’anno precedente (ad. Il fondo 2013 rispetto al fondo 2012). Si fa inoltre presente che gli incrementi relativi all’art. 15 comma 5 sono oggetto di particolare attenzione da parte degli organi ispettivi, al fine di assicurare il rispetto dei parametri contrattuali; a questo proposito, si ricorda che l’ARAN, nel rispondere a un quesito specifico, aveva dettato alcune regole per assicurare la legittimità degli incrementi in questione. Quesito 34 (n.242/2014) Nel caso di riscatto oneroso da parte di un dipendente, come deve essere effettuata la trattenuta mensile sullo stipendio e quale codice deve essere indicato nel mod. F24?; Risposta Ai sensi dell'art. 10, c. e, del T.U.I.R. (DPR 917/86 e succ. aggiornamenti) la trattenuta per riscatto oneroso ex Inpdap costituisce onere deducibile dal reddito complessivo del dipendente in quanto contributo previdenziale da versare alla gestione della forma pensionistica obbligatoria di appartenenza. Il versamento, a cura del Comune, avverrà mensilmente (se richiesto nella forma rateale) con transito nella busta paga (trattenuta pari a quanto indicato nella determinazione Inps gestione dipenenti pubblici) e con versamento con il mod. F24 EP con il codice P211 entro il 16 del mese successivo.
© Copyright 2024 Paperzz