ET 2014, Sorrento Raccolta "30 Anni di ET" Luciano De Menna, 17 Giugno 2014 Ripensando a questi trent’anni del nostro Gruppo di Elettrotecnica, mi sono accorto che anche io quest’anno festeggio un anniversario: i miei cinquant’anni dalla laurea, o di laurea, se volete. È un’occasione troppo ghiotta per non approfittarne e raccontarveli tutti, questi miei cinquant’anni! Scherzo, naturalmente, ma solo fino ad un certo punto! Vorrei infatti comunque ripercorre con voi alcune tappe di quest’arco di tempo, usando come timeline quella del fenomeno più rivoluzionario che abbia avuto modo di vedere in tutta la sua evoluzione nell’arco della mia vita: lo sviluppo dei “mezzi di calcolo”, chiamiamoli così, tanto per intenderci. Naturalmente tutto ciò ha uno scopo e vi sarà chiaro alla fine. Mi laureai nel lontano 1964, con una tesi su di uno strano circuito che, era chiaro anche allora, non avrebbe mai avuto alcuna fortuna, e sviluppai delle elaborazioni numeriche, a supporto del lavoro sperimentale (era di moda anche allora!), utilizzando il G20 della Bendix della Facoltà di Ingegneria di Napoli. Eccolo qua! Aveva ancora le memorie a nuclei magnetici, e poteva avere fino a 32k di memoria, ma il nostro eravamo poverelli - ne aveva solo 4k. Due mesi prima della laurea fui assunto dalla IBM (badate ho detto prima, non dopo: allora gli ingegneri andavano a ruba, non è come oggi!), come System Engineer; nome altisonante, ma si trattava di mansioni poco superiori a quelle di un programmatore. Era con me una persona che tutti voi conoscete bene: Scipione Bobbio. Ed anche un altro, che però conoscete per altri motivi, Luciano De Crescenzo. Il mio primo computer IBM fu un 1440. Eccolo! Come vedete poteva riempire una sala abbastanza grande – dipendeva dalle unità nastro e disco presenti – ma aveva ancora, almeno quello che ho usato io, 4096 posizioni di memoria. Più che un lavoro di programmazione si trattava di un lavoro di cesello! Notate, aveva ancora l’imput a schede! Io avevo già capito che, nonostante il lauto stipendio, quello alla IBM non era un lavoro che faceva per me - e prima di me l’aveva capito Scipione che era già fuggito via - e mi feci prima trasferire a Napoli e poi lasciai raggiungendo Scipione – a cui Oreste Greco e Nando Gasparini avevano offerto una possibilità d’inserimento nell’Università. Ricordo che quando lasciai per uno stipendio (una borsa di studio, in realtà, e senza nessuna certezza di rinnovo) esattamente la metà di quando prendevo alla IBM, dalla direzione milanese mandarono lo psicologo a intervistarmi, perché in effetti stavo facendo una bella carriera e volevano capire perché me ne andavo. La IBM era molto seria su queste cose! Poi vennero i mainframe della serie 3600 della IBM: le schede piano piano cominciarono a scomparire. Prima di lasciare La IBM collaborai alla istallazione di un 360 all’amministrazione dell’Università di Napoli, e questo mi marchiò a vita, almeno agli occhi di Carlo Ciliberto, che di li a poco divenne rettore dell’ateneo, il quale ogni volta che aveva qualche rogna con il sistema di calcolo, o era in rotta con gli informatici – gli capitava spesso - chiamava me! Intanto cominciava la grande rivoluzione dei piccoli calcolatori, inizialmente giocattoli: ricordo il Texas Instrument, l’Atari il Commodor e poi tanti altri fino al PC (1981) ed al Mac (1984, quindi il nostro gruppo ha la stessa età del Macintosh!) Ricordo una discussione con un pezzo grosso della IBM – delle vendite però – nella quale io mi entusiasmavo alla rivoluzione dei menù – che veniva dai laboratori di ricerca delle macchine fotocopiatrici della Kodak – e lui mi rispondeva alla maniera di una famosa pubblicità dei miei tempi “Dura minga, non può durare”! In effetti era un’idea geniale: invece di fare in modo, nella interazione tra uomo e macchina, che la macchina possa comprendere tutti i nostri possibili comandi – cosa che può essere molto complessa – è la macchina che dice “io so fare questo; cosa pensi sia adatto ai tuoi scopi o desiderata?” E in effetti è durata e continua durare. La guerra tra i piccoli e i grandi, una volta tanto l’hanno vinta i piccoli e l’informatica distribuita prese rapidamente il sopravvento, complice anche l’esplosione della rete, naturalmente. Si pose il problema della dismissione dei grandi mainframe, e anche in questo caso fui chiamato da Ciliberto a togliere le uova dal paniere: si trattava di contratti miliardari e nessun informatico era propenso a inimicarsi così tanto la grande madre – così veniva detta la IBM allora. Io non ero un informatico vero! Con la rete venne lo sviluppo del Web, la grande ragnatela inventata al CERN: indubbiamente ancora oggi si possono trovare persone che ignorano cosa sia il Web – o soltanto, snobisticamente, dicono di ignorarlo – ma il loro numero va, per ragioni fisiologiche, direi quasi darwiniane, rapidamente riducendosi. Il web è uno strumento incredibile! Naturalmente, pieno di difetti, di pericoli e di “superficialità”; al riguardo vi consiglio di vedere un film che è uscito recentemente – forse lo trovate ancora nelle sale – dal significativo titolo “Disconnect”. Ma, diciamocelo chiaramente, Wikipedia avrebbe fatto impazzire di gioia gli illuministi francesi: un’enciclopedia vastissima, in continua evoluzione ed accessibile a tutti, in tutte le lingue. Incredibile! Poi, con una velocità che non ci ha dato neanche il tempo di sorprenderci, tutto questo è diventato “tascabile”: cellulari, smartphone (iphone), tablet (ipad). Oggi con i 64 giga del mio iphone in tasca ripenso ai 4 k del 1440 della MERX, e mi domando come è potuto succedere! E non è finita. Mio figlio, che lavora nel campo, mi ha fatto vedere i Google Glass. Lui me li ha definiti come un dispositivo che è nato prematuramente. Secondo lui inizialmente non avranno un gran successo e bisognerà attendere qualche cosa di nuovo, ancora non si capisce cosa, perché lo abbiano. Ma vi assicuro che quando strizzando l’occhio – è questo il comando convenzionale per dire ai glass di scattare una foto – e aggiungendo a parole “Glass… To facebook… All!”, mi ha comunicato che aveva appena messo in rete su facebook la mia foto – questa foto – beh, non ho potuto fare a meno di sorprendermi! E tutto questo, ed altro ancora (le stampanti tridimensionali, mi incuriosiscono molto!), è avvenuto nell’arco dei miei 50 anni di laurea! Ma ora veniamo al perché vi ho raccontato questo mio personale percorso professionale e di vita. Fondamentalmente per farvi una domanda: ma con questa incredibile rivoluzione del nostro modo di pensare, di comunicare e di vivere che ci è piovuta addosso, perché l’università dovrebbe restare la stessa? Eppure noi continuiamo, grosso modo, a riunire i nostri alunni in un’aula, a fare loro una lezione di un’ora (quarantacinque minuti, molto spesso!), e a consigliare un testo, magari dei semplici appunti, come se nulla fosse! L’Università dovrà cambiare moltissimo, cambierà moltissimo, e non nel senso di una qualche altra riforma che possa pioverci dall’alto, che sembrano avere l’unico scopo di dare a noi docenti qualcosa a cui pensare, e soprattutto qualcosa per cui “lottare” contro gli altri colleghi, e tenerci quindi buoni, nella perfetta logica del famoso comando della marina borbonica “facite ammuina!” Non mi domandate quali saranno i cambiamenti altrimenti sarò costretto a rispondervi come quel comico che imita un “famoso” senatore della repubblica: “Questo io non lo so!” Ho solo movimenti di approssimazione ad una verità che valga la pena di rivelare, e questi ”movimenti di approssimazione”, sono sicuro, li avete anche voi! Posso però dirvi perché faccio a voi, ed in questo contesto, la domanda, così ritorniamo al tema principale: i trent’anni del Gruppo. Nei miei ricordi la nascita di questo Gruppo è essenzialmente legata a due persone: il primo Marcello D’Amore, che ha molto argutamente descritto nel suo intervento l’atmosfera in cui il Gruppo è nato, ed il secondo, Scipione Bobbio, che non è più con noi. Fu dal loro incontro, credo in occasione di una commissione di concorso, che nacque l’idea. Io inizialmente fui perplesso. Partecipavo allora ad un altro Gruppo, del quale ero già presidente, credo: Il Gruppo di Magnetofluidodinamica. La perplessità era nel fatto che i Gruppi allora nascevano nell’ambito del CNR, come gruppi di ricerca. Quindi l’elemento unificante era l’attività di ricerca. Questo gruppo invece nasceva intorno ad un nucleo disciplinare, che è naturalmente altra cosa. Era sufficiente questo tipo di legame per garantirne la sopravvivenza? Evidentemente sì, e lo riconobbi subito, tanto è vero che ho avuto anche l’onore di essere eletto da voi alla presidenza per un certo numero di anni, e tanto è vero che siamo qui a festeggiarne i trent’anni! Questo nostro marchio di origine ci mette nelle migliori condizioni per affrontare questo problema, per il quale non credo ci si possa attendere lungimiranti azioni ministeriali, anche perché le soluzioni non sono semplici. Dove va l’Università? O per essere più precisi, dove va tutto quello che noi siamo abituati a pensare debba essere nell’Università? E se c’è un altrove dove tutti questi saperi, questa cultura, questa passione si sta trasferendo, come facciamo ad esserci anche noi, a marcare la nostra presenza, a favorire una trasformazione che non sia affrettata e superficiale e si lasci qualcosa alle spalle, almeno nella nostra disciplina? Io credo che queste risposte debbano venire dal basso!
© Copyright 2024 Paperzz