Dedicazione della Basilica Lateranense 09 Novembre 2014 “ Non fate della casa del Padre mio un mercato” II Mt 21, 12-13; II Mc 11,11.15-17; II Lc 19,45-46; Si avvicinava la Pasqua dei Giudei e Gesù salì a Gerusalemme. Ne 13,7s; MI 3,1-4; Trovò nel tempio gente che vendeva buoi, pecore e colombe e, là seduti, i cambiamonete. Allora fece una frusta di cordicelle e scacciò tutti fuori del tempio, con le pecore e i buoi; gettò a terra il denaro dei cambiamonete e ne rovesciò i banchi, e ai venditori di colombe disse: Zc 14,21; «Portate via di qui queste cose e non fate della casa del Padre mio un Sal 69,10 mercato!». I suoi discepoli si ricordarono che sta scritto: «Lo zelo per la tua 6,30; casa mi divorerà». Allora i Giudei presero la parola e gli dissero: «Quale Mt, 26,61+ segno ci mostri per fare queste cose?». Rispose loro Gesù: «Distruggete questo tempio e in tre giorni lo farò risorgere». Gli dissero allora i Giudei: Mt 12,6+.38-40+ «Questo tempio è stato costruito in quarantasei anni e tu in tre giorni lo farai risorgere?». Ma egli parlava del tempio del suo corpo. Quando poi fu risuscitato dai morti, i suoi discepoli si ricordarono che 5,39+;14,26+ aveva detto questo, e credettero alla Scrittura e alla parola detta da Gesù. Dal Vangelo secondo Gv 2,13-22 “La Chiesa è mia madre” Oggi la celebrazione delle Domeniche del Tempo Ordinario conosce un’altra pausa, perché si ricorda ciò che avvenne il 9 novembre del remoto 314 d.C., quando a Roma il papa Melchiade consacrò la più antica delle Chiese dell’Occidente e la prima Cattedrale della storia, ovvero la Basilica di San Giovanni in Laterano. Essa fu costruita nelle proprietà donate a questo scopo dall’imperatore Costantino di fianco al Palazzo Lateranense, fino allora residenza imperiale e poi residenza pontificia fino al 1585. Originariamente fu una festa solo della città di Roma. A partire dal XII secolo, la celebrazione fu estesa a tutte le chiese di rito romano per onorare la basilica definita “Chiesa Madre di tutte le chiese”, come segno di amore e di unione verso la cattedra di Pietro. La Cattedrale del Papa, infatti, è la Basilica di San Giovanni in Laterano. C’è quindi un motivo spirituale per estendere la celebrazione di questa festa a tutta la Chiesa, ossia quello di esprimere un senso di “appartenenza”, di “unità”, all’interno della Chiesa, intorno, oltre che all’Eucaristia e alla Parola di Dio, alla figura del Papa. E un leader religioso come Papa Francesco è proprio il caso di dire, oggi, che ce lo invidiano in molti… Prendo quindi spunto da questa celebrazione per fermarmi a riflettere e meditare sulla Chiesa. E forse, un modo per parlare della Chiesa è di iniziare a parlarne a partire da ciò che la Chiesa “non è”, ovvero da quelle immagini parziali, se non distorte, che di essa abbiamo e che pure facciamo trasparire all’esterno. Credo, innanzitutto, che la Chiesa non sia uno Stato, e anche se ha uno Stato che la rappresenta, fortunatamente non coincide con esso. La Chiesa è uno Stato solo per i politici che con lei giocano al gioco dei privilegi e delle concessioni, facendole correre il rischio di perdere il suo carisma, oltre che il suo tempo. Credo che la Chiesa non coincida neppure con il clero, che rimane comunque una parte essenziale di essa. Chiesa e clero coincidono solo per i cristiani frustrati di ogni epoca, quelli affetti da clericalismo; laici insoddisfatti del loro stato di vita che cercano di imitare i preti in tutto e per tutto, e preti che, sottovalutando i laici, pensano di poter rivendicare autorità perché privi di autorevolezza. Credo che la Chiesa non sia un insieme di strutture: solo i dubbiosi nella fede hanno bisogno di strutture forti e visibili, per evitare così di mettere in discussione ogni giorno le proprie certezze di fronte a chi crede diversamente. Credo che la Chiesa non coincida con il Regno di Dio: ne è il segno, l’annuncio, la profezia, ma il Regno è molto, molto di più. Credere che per far parte del Regno di Dio occorra per forza far parte della Chiesa significa essere totalitaristi, ossia integralisti. Credo che la Chiesa non sia neppure un concentrato di roboanti e lussureggianti celebrazioni: lo sarà, forse, per i teatranti di ogni tempo e per gli amanti di pizzi e merletti da sagrestia, che si fermano al rito e smarriscono il Sacramento. Allora, cos’è la Chiesa? E come la professo, ogni domenica, dopo l’omelia? Io credo la Chiesa per ciò che il suo nome dice, ovvero un’assemblea, una riunione, un popolo che si raduna nel nome del suo Signore, fa memoria di Lui e annuncia la vita del mondo che verrà e che si costruisce qui ed ora, sulla terra. Credo che la Chiesa sia una famiglia, chiamata ad esprimere e a dare sempre più spazio a tutta la sua femminilità: di madre, perché genera ogni cristiano nella fede; di figlia, perché anche lei è in ogni epoca figlia del suo tempo; di sorella, perché chiama “fratello” ogni uomo; di sposa, perché ama ed è amata da Colui che l’ha voluta da sempre e per sempre con sé. Credo la Chiesa luce del mondo; non una luce della ribalta che la illumina impedendole di vedere le folle, ma una lucerna accesa e collocata dove non dia fastidio a nessuno, permettendo di orientarsi a chi sta brancolando nel buio. Credo la Chiesa sale della terra e lievito nella massa, come qualcosa di insignificante agli occhi ma di indispensabile nel dar sapore e spessore alle cose, nella logica del nascondimento e del servizio. Credo la Chiesa Una, Santa, Cattolica e Apostolica. Una perché indivisa nonostante i rammendi della storia, perché ricca nella sua diversità, perché molteplice nelle sue espressioni e nei suoi ministeri eppure unica nella sua essenza di discepola del Maestro, immagine della Trinità. Santa e peccatrice al tempo stesso: non ha meriti da avanzare, ha solo misericordia da invocare. Santa, come è luogo santo il Tabernacolo che custodisce Colui che, unico, può dirsi santo e farci santi. Cattolica perché universale, aperta ad ogni uomo, cittadina del mondo, figlia del suo tempo, con i piedi impolverati, ospedale da campo dove si curano le ferite, immagine concreta ed onesta della globalizzazione, in costante dialogo – senza giudizi né pregiudizi – con l’uomo contemporaneo, le sue ricchezze, i suoi dolori, le sue gioie, i suoi drammi, le sue speranze. Apostolica, nel vero significato del termine, ovvero “inviata” e mai arrivata, in cammino, sempre in viaggio, sempre in uscita, pronta ad accamparsi di tenda in tenda fuori da ogni palazzo, sempre alla ricerca, e mai depositaria, della Verità, sempre in movimento dietro al Maestro: in una sola parola, missionaria. Che bello, poter dire – e non solo a parole – che crediamo una Chiesa così! Ma questo dipende solo da noi, e dal nostro sforzo di non vivere la fede da soli, ma come parte di una grande famiglia. Lasciamoci aiutare, allora, dalle parole di un grande teologo, Henry De Lubac, a cui ho “rubato” (non me ne voglia!) il titolo di questa riflessione domenicale. Così scriveva, nella sua magnifica opera del 1952 (dieci anni prima del Concilio!), “Meditazioni sulla Chiesa”: “Posso riassumere cosa sia la Chiesa in una parola, la più semplice, la più infantile, la prima fra tutte le parole: la Chiesa è mia madre. Sì, la Chiesa, tutta la Chiesa, quella delle generazioni passate, che mi hanno trasmesso la vita, i suoi insegnamenti, i suoi esempi, le sue abitudini, il suo amore, e quella di oggi. Tutta la Chiesa. Non solamente la Chiesa ufficiale, o come diciamo, la Chiesa gerarchica, quella che detiene le chiavi che le ha affidato il Signore, ma in senso più largo e più semplice, la Chiesa vivente: quella che lavora e prega, che agisce e contempla, che ricorda e cerca; la Chiesa che crede, spera, ama”. (omelia di Don Alberto Brignoli) “Non fate della casa del Padre mio un mercato”. La tradizione di allora prevedeva questi venditori di colombe e i cambia valute perché ognuno che andava al tempio doveva offrire un animale e una moneta senza effige, due cose non facilmente reperibili per i pellegrini. Ma Gesù si arrabbia perché la Grazia di Dio non ha un prezzo, non si compra: GRATUITAMENTE AVETE RICEVUTO. Oggi nelle nostre chiese, anche nelle parrocchie dove siamo inseriti, nei nostri gruppi, rischiamo ancora di credere che la Grazia di Dio si compra,con una preghiera; con un servizio; con una partecipazione attiva alle attività pastorali: GRATUITAMENTE DATE! Ripensiamoci allora in seno alla Chiesa di cui facciamo parte rimettendo al centro il fatto che siamo li perché Vocati ad essere suoi Discepoli.
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