PERCHé? - Ecoideare

N°17- Novembre 2012
N°172012
N°21 -Novembre
Gennaio 2014
Euro 3,50
Periodico culturale di informazione
sullo sviluppo sostenibile
www.ecoideare.it
SOMMARIO
> Editoriale
> Sostenibilmente
PERCHé?
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STILI DI VITA
Fotografia di Christopher Kolaczan
> Ecologia Profonda - Stefano Fusi
> Nelson Mandela, un eroe della pace - Daniela Milano
> Cosmesi e salute: mercato in evoluzione - Nicola Saluzzi
> Cosmesi: un percorso naturale? - Alessandro Pulga
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AMBIENTE E TERRITORIO
> DOSSIER: Gli scenari del consumo del suolo
a cura di: Mario Allodi, Andrea Marziani, Andrea Cassone
> Come salvare l’Alta Valle Camonica - Dario Sonetti
> Niente comunione a chi inquina - Roberto Bonsaglio
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Pag. 14
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ALIMENTAZIONE
N.21- Gennaio 2014 - POSTE ITALIANE SPED.IN A.P. - D.L. 353/2003 CONV. L.46/2004, ART. 1, C. 1, DCB - MILANO
> Consumo di suolo, a rischio le colture di qualità - Fabrizio Piva
> Vini biologici, biodinamici, naturali? Purchè buoni! - Pier Francesco Lisi
> Scelta vegetariana, un passo verso un mondo migliore - Carmen Ni. Somaschi
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Rubriche
ECOABITARE
> Certificare l’efficienza: più facile dirsi che farsi - Marco Masini
> Abbattere i consumi nel costruito - Luigi Paolino
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> Claudia Taccani: Quattro zampe a spasso...ma posso entrare si o no?
> Giorgio Nebbia: Un servizio idrogeologico per salvarci dalle alluvioni
> Biblioteca della sostenibilità - Patrizia Pianta
> Ecologia in vetrina - Patrizia Pianta
> Econews - Patrizia Pianta
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Si ringraziano per la collaborazione: Mario Allodi, Roberto Bonsaglio, Andrea Cassone, Valentina Castellani, Stefano Fusi, Pier Francesco Lisi, Daniela
Milano, Marco Masini, Andrea Marziani, Giorgio Nebbia, Carmen Nicchi Somaschi, Luigi Paolino, Fabrizio Piva, Andrea Piazzalunga, Alessandro Pulga.
Sito internet: www.ecoideare.it
Rivista realizzata in collaborazione con: Rinenergy ® - associazione no-profit e Gaia Animali & Ambiente Onlus
Stampa: Litoghema s.n.c.Via Spezia, 10 - 20142 Milano
Registro Tribunale di Milano N. 60 del 13 Febbraio 2009 - Registro stampa periodica
Stampato su carta FSC
AMBIENTE E TERRITORI
STILI DI VITA
ECOABITARE
DOSSIER:
Il Consumo del suolo
Ecologia profonda:
essere e fare natura
Certificare l’efficienza Vini biologici,
più facile dirsi che farsi biodinamici, naturali?
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ecoIDEARE - Gennaio 2014
ALIMENTAZIONE
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editoriale
Sostenibilmente
a cura del Gruppo di Ricerca sullo Sviluppo Sostenibile (GRISS) dell’Università degli Studi di Milano Bicocca
La risorsa territorio, un patrimonio di tutti
Negli ultimi 50 anni il nostro
Paese ha cambiato volto: il
consumo di 100.000 ettari di
suolo l’anno ha travolto secoli
di cultura e intaccato il valore
economico riconducibile agli
usi agricoli e naturali del
territorio.
Di fronte alle attuali obiettive
difficoltà economiche, siamo
sicuri che l’unica strada
sia quella di “svendere” la
“risorsa territorio” alle attività
edilizie e alla costruzione
di infrastrutture? Oppure
esiste una via sostenibile alla
valorizzazione e tutela del
territorio e dell’ambiente? La
valorizzazione delle eccellenze
rurali, agro-alimentari, le
attrattive ambientali, le oasi
naturalistiche, le opzioni
ecologiche di aggregazione
e svago nella natura possono
compensare la carenza di
risorse economiche? Esiste una
economia “verde”, sostenibile?
La strada ambientalista allo
sviluppo è percorribile? Il
patrimonio natura può essere
messo a frutto, valorizzato,
senza rinunciare al territorio
agricolo?
La risposta è si.
Ed è proprio partendo da questa
certezza che proponiamo
con questo numero, assieme
a preoccupanti scenari sul
consumo del suolo, alcune
esperienze come quelle
dell’Osservatorio Territoriale
Edolese in Valle Camonica,
alcune eccellenze del mondo
imprenditoriale nel settore
della cosmesi naturale,
alcune riflessioni sul tema
della riduzione dei consumi
energetici (compreso quello,
importante, dell’efficienza
energetica degli edifici) o sul
tema della produzione di vini
bio, biodinamici, naturali e
financo vegan.
Partendo da questa certezza
avanziamo alcune proposte,
come quella della creazione di
un Servizio Idrogeologico per
salvarci dalle alluvioni.
E proponiamo alcune
soluzioni: la scelta alimentare
vegetariana, ad esempio,
che è rispettosa della vita
degli animali ma anche
dell’ambiente. O, ancora più
radicale, un percorso culturale
verso l’ecologia profonda: per
passare da una concezione
antropocentrica, che si sta
rivelando sempre più fallace,
ad una biocentrica, nella quale
centrale non e l’Uomo ma
il Pianeta che ci ospita tutti
quanti.
L’augurio è che il 2014 segni
una significativa inversione
di tendenza nella suicida
politica di consumo del suolo.
Gli esempi positivi ci sono.
Si tratta di avere coraggio e
imboccare le strade corrette.
Buona lettura.
Edgar Meyer
Libertà non significa assenza di limitazioni.
Possedere un’irremovibile convinzione di
fronte a qualsiasi ostacolo:
in questo è la vera libertà
Riscaldare con la legna: le due facce della medaglia
L’attenzione della comunità
scientifica e lo sviluppo di politiche
verso l’utilizzo del legno come fonte
di calore, è in costante aumento.
Tuttavia, mentre il contributo di
questa fonte di energia può essere
considerato a impatto zero sulle
emissioni di gas climalteranti, il suo
utilizzo, in particolare in impianti a
bassa tecnologia, sembra contribuire
in modo significativo all’emissione
di altri inquinanti e quindi al
peggioramento della qualità dell’aria
sia nelle aree urbane che in quelle
rurali. Inoltre, il taglio eccessivo dei
boschi può causare l’instabilità dei
versanti, l’erosione del suolo e la
perdita di biodiversità.
I risultati preliminari di uno studio
condotto da ENEA e ISPRA (Istituto
Superiore per la Protezione e la
Ricerca Ambientale) mostrano che
l’espansione dell’uso dei tronchi di
legno briquettes, cippato e pellet
per la combustione domestica, può
contribuire in modo significativo
al raggiungimento della quota di
energia prodotta da fonti rinnovabili
prevista dagli obiettivi europei al
2020. Tuttavia, è anche ben noto,
da studi scientifici sulla qualità
dell’aria, che la combustione di
biomassa in caldaie domestiche sia
una fonte significativa di emissione
di inquinanti atmosferici. Insieme a
ossidi di azoto (Nox) e monossido
di carbonio (CO) , il fumo della
combustione di legna contiene
particolato (PM) e contribuisce
per una quota rilevante al totale
delle emissioni di PM 2,5 e PM10
attuali. Studi sperimentali hanno
dimostrato come anche nelle grandi
città del bacino padano (Milano,
Torino) durante la stagione fredda
circa il 30% del particolato primario
emessa sia dovuto alla combustione
della legna. Questa coesistenza
di aspetti positivi e negativi, se
non adeguatamente integrata da
informazioni sulle condizioni
specifiche che influenzano i livelli
di inquinamento, può portare a
provvedimenti opposti circa l’uso
del legno nei piani energetici locali.
In Italia, ad esempio, nel passato
abbiamo assistito a regioni che
hanno attuato una forte politica
di incentivi per caldaie a legna,
senza alcun criterio di restrizione
(ad esempio, sulla distanza della
fornitura di legna o del tipo
di caldaia) con l’obiettivo di
incrementare la quota di energia
rinnovabile prodotta, mentre
altre realtà hanno applicato una
regolamentazione volta a limitare
l’uso della combustione della legna
con l’obiettivo di migliorare la
qualità dell’aria.
L’utilizzo della legna ai fini
energetici è una straordinaria
risorsa locale, che solo se gestita
correttamente resta tale e non
si trasforma in una pericolosa
minaccia per la salute pubblica e
per la sopravvivenza dei boschi.
Pertanto è necessario che la
scelta di promuovere l’uso della
legna come fonte di energia
rinnovabile sia accompagnata da
una valutazione della sostenibilità
che consideri anche la disponibilità
di risorse a scala locale e gli
impatti ambientali lungo tutta la
catena di approvvigionamento,
in una prospettiva di ciclo di
vita. L’approccio più efficace per
affrontare questo problema dovrebbe
essere quello di individuare quali
siano le criticità e quali siano le
soluzioni operative che possono
aiutare a massimizzare i benefici
nell’utilizzare la legna come fonte
di energia rinnovabile, vale a dire
la definizione di avvertenze e linee
guida che dovrebbero essere seguite
dai decisori ai vari livelli della
catena (pianificatori territoriali,
costruttori di impianti, consumatori,
ecc), al fine di garantire la
sostenibilità di questi sistemi.
Quali sono quindi i principali criteri
di scelta di un buon sistema di
riscaldamento a legna?
1. Sostituire le vecchie caldaie a
legna con impianti più nuovi ed
efficienti (a cippato o a pellet, a
seconda della potenza necessaria)
2. Scegliere legna “locale”, per
ridurre la distanza di trasporto dal
bosco alla caldaia
3. In caso di impianti mediograndi, applicare filtri e
garantirne l’efficienza tramite una
manutenzione periodica
4. Garantire condizioni costanti di
combustione (ad esempio tramite
un sistema di alimentazione
automatica), per ridurre i periodi di
accensione e spegnimento, durante
i quali l’efficienza di combustione
è minore e si producono più
emissioni.
Per saperne di più: Castellani V,
Piazzalunga A., Sala S. Research
findings and decision making:
the case of renewable energy,
Environmental Science Europe,
25:22, pp. 1-11, www.enveurope.
com/content/25/1/22
di Valentina Castellani,
Andrea Piazzalunga,
Serenella Sala
Daisaku Ikeda
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ecoIDEARE - Gennaio 2014
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STILI DI VITA
ecologia profonda:
ESSERE E FARE NATURA
di Stefano Fusi
Il termine “Ecologia profonda” (Deep
Ecology) fu usato per primo dal filosofo, naturalista e ambientalista
norvegese Arne Naess nel 1973,
per distinguerla da quella che chiamò “ecologia superficiale” (Shallow
Ecology). Oggi l’ecologia profonda
è un filone di studi, ma anche una
pratica di vita che mette al centro di
ogni considerazione la vita naturale
e la sua importanza fondamentale
per la vita sociale, la salute e la realizzazione spirituale. Secondo l’ecologia profonda, non bastano soluzioni tecniche o politiche ai problemi
ambientali: bisogna cambiare vita,
riconoscere la sacralità di ogni cosa.
Che fine fa una palla di neve all’Inferno? Questa la
domanda di Gregory Bateson, epistemologo e antropologo, fra i massimi esponenti dell’Ecologia profonda,
nel suo libro “Verso un’ecologia della mente”. È la fine
che faremo noi esseri umani, se non cambiamo completamente il nostro modo di vedere il mondo. Secondo
l’Ecologia profonda, non siamo noi esseri umani a poter
“salvare il mondo”, proteggere l’ambiente e tutelare
la natura. È vero il contrario: sarà la natura a salvarci,
se ne apprenderemo gli insegnamenti. Del resto, noi
siamo parte della natura, che ci ha creati e ci permette di
vivere; credere il contrario è come credere ancora che la
Terra sia al centro dell’universo. L’ecologia profonda
è una tendenza filosofica relativamente nuova, sorta
“ufficialmente” solo nel 1973. Si distingue dall’ecologia cosiddetta “superficiale” perché, secondo i suoi
sostenitori, porta alle sue conseguenze logiche le scoperte della scienza ecologica e si riallaccia alle radici
più profonde del pensiero e dell’esperienza umane:
quelle degli antichi popoli di natura, le cui intuizioni
oggi sono confermate dalla scienza, in particolare
dalla fisica quantistica. Le loro visioni del mondo sono
considerate come le radici della conoscenza, perché
affondano nella terra e ne permettono l’espandersi verso
l’alto. Quelli che spregiativamente abbiamo chiamato
popoli primitivi e che oggi definiamo più correttamente
Nativi, hanno da sempre coscienza dell’interrelazione
e dell’interdipendenza di tutte le parti viventi e non
viventi. Noi popoli occidentali, che abbiamo separato e
diviso anima e corpo, mente e materia, uomo e ambiente, spirito e natura, lo abbiamo riscoperto solo ora.
Invece, oggi si sa che materia è uguale a energia in
forme diverse grazie alla fisica, che corpo e mente sono
uniti e sono due facce della stessa medaglia grazie alla
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ecoIDEARE - Gennaio 2014
< Foto di Glenn
psicosomatica e alla medicina olistica; sappiamo che
la mente è un’entità universale che collega ogni cosa,
grazie alle ricerche sulla conoscenza di pionieri come
Fritjof Capra e Gregory Bateson e dobbiamo trarne le
conseguenze, aggiornare la nostra visione del mondo.
Smettere di considerarci al di fuori della natura e superiori ad essa; dobbiamo perfino andare oltre il pur positivo approccio ecologico che ci chiede di impegnarci in
difesa della natura. Perché pretendere che noi possiamo
difendere la natura standone al di fuori e studiandola
secondo i criteri convenzionali della scienza materialistica o intervenendo con una soluzione tecnica, politica
o sociale, è come pensare di potersi innamorare leggendo un manuale, di avere un figlio studiando un trattato di
anatomia o di coltivare una pianta senza avere il terreno
dove metterla. È come cercare di spiegare il mondo
lasciando fuori dalla nostra esperienza disincarnata e puramente razionale il corpo, l’anima, il respiro, l’amore,
il desiderio, l’immaginazione, la passione … cose che
sono difficilmente definibili dalla scienza, ma che sono,
appunto, la sostanza della vita, che sfugge alle definizioni e ai nostri tentativi di contenerla in un linguaggio.
I Nativi americani chiamano tutto ciò “Grande mistero”:
esso è più vasto di noi e non potremo mai conoscerlo
tutto. Ci contiene come l’oceano contiene le gocce. Noi
occidentali abbiamo pensato di essere gocce, abbiamo
costruito barriere per conservare la nostra identità-goccia, ma è impossibile. Non abbiamo più visto l’oceano
di cui facciamo parte. I risultati sono la tecnologia fuori
controllo, i cambiamenti climatici, il rischio di contaminazione totale portato da poche barre radioattive, isole
di plastica grandi quanto intere nazioni, la distruzione
dell’ambiente dovuta all’obsolescenza programmata
studiata ad arte per vendere più oggetti…
Per uscirne non basta porre correttivi, per quanto positivi e indispensabili: usare tecnologie pulite è senz’altro
un passo giusto da fare ma se stiamo andando verso
il precipizio non basta rallentare, occorre cambiare
direzione. E magari, per certe cose, tornare indietro.
Non è una sconfitta, non siamo in guerra con la natura:
mentre è proprio questo pensiero alla base dell’intero
nostro sviluppo: l’idea paranoica di aver da combattere
contro ciò che al contrario ci mantiene in vita. L’ecologia profonda propone invece di essere in armonia con
la natura, di imparare da essa, rispettarla, porsi al suo
servizio, puntare a esserne custodi e non padroni per
quanto illuminati. Di considerare tutti gli esseri viventi
come senzienti e titolari di diritti. Più che soluzioni pratiche immediate, l’ecologia profonda propone dunque
un mutamento totale di visione, che come tutti i cambiamenti di paradigma richiede tempo per affermarsi e
all’inizio sembra poco “pratico”: ma anche le riflessioni di filosofi come Bacone e Cartesio dapprincipio sembravano astratte, mentre in seguito hanno trasformato il
mondo in una grande macchina che ormai sta andando
da sola verso la propria crescita infinita, che per noi
significa autodistruzione. Ora è tempo di ribaltare
questa visione e di vedere noi stessi come parte di un
organismo molto più grande, Gaia nell’intuizione dello
scienziato inglese James Lovelock, che ha paragonato
l’intera biosfera a un essere vivente dotato di capacità
di autoregolazione. Fondatore dell’ecologia profonda è considerato il filosofo, naturalista e alpinista
norvegese Arne Naess. Negli anni Settanta del secolo
scorso, spiegò che non si può vivere bene se non si riesce a mettere al centro di ogni considerazione personale
la vita naturale e la sua importanza fondamentale per
la salute e per la propria realizzazione spirituale. Il suo
motto è “Ricchezza di fini, semplicità di mezzi”.
L’ecologia profonda è molto concreta, anche se non
propone soluzioni “pratiche” secondo i criteri convenzionali della mentalità materialistica e della scienza
riduzionistica, che considera valide solo le esperienze replicabili in laboratorio, come se fosse possibile
riprodurre la creazione (e del resto ci prova…). Oltre
che alla scienza ecologica, l’ecologia profonda si ispira
alla visione del mondo dei popoli nativi e alle tradizioni orientali di meditazione, che non sono per nulla
mistiche ma hanno un approccio basato sull’esperienza
diretta dell’interiorità. Sono pratiche che sgorgano
dalle discipline del Taoismo, dello Yoga e delle culture
sciamaniche e indigene. Consentono di uscire dagli intellettualismi e di sentire nella profondità della propria
anima e nella propria carne l’importanza della natura in
ogni momento della propria vita. Permettono di sperimentare il contatto con essa attraverso pratiche salutari,
aiutano a sentirsi in relazione con gli elementi naturali,
gli animali, le piante e l’ambiente, consentono di comprendere intuitivamente l’identità fra ciò che siamo e
ciò che c’è all’esterno della nostra individualità e i loro
nessi e interrelazioni. In questo senso sono ecologiche:
l’ecologia è la scienza dei flussi di energia e delle connessioni fra le parti, non lo studio dei singoli fenomeni.
Quelle ispirate all’ecologia profonda sono esperienze
utilizzate oggi nell’educazione ambientale, nella formazione professionale e nelle terapie psicologiche, perché
aiutano a comprendere in modo chiaro come viviamo
in relazione con tutto ciò che ci circonda, che non siamo mai soli, ma parte di un grande organismo vivente
e che ciò che facciamo e percepiamo ha effetto su ogni
altra parte dell’esistenza.
L’obiettivo dell’ecologia profonda, per Arne Naess, è
la “realizzazione del Sé” per tutti gli esseri viventi.
I valori di base dell’ecologia profonda sono: la tutela
della biodiversità, ovvero il valore insostituibile di ogni
parte dell’ecosistema, dalle cui relazioni dipende la
salute dell’intero; la piccola dimensione per le città, le
case, le aziende e ogni attività umana, come spiegato
ampiamente dall’economista Ernst F. Schumacher;
le tecnologie intermedie, che imitano i procedimenti
della natura, senza violentarla: per esempio, le centrali
eoliche che imbrigliano l’energia del vento, l’energia
dalle onde del mare, la geotermia (energia prodotta
dalle sorgenti calde della terra), i pannelli solari, la
cogenerazione (la produzione integrata di energia e calore, evitando di disperdere quest’ultimo, sottoprodotto
inevitabile dell’impiego d’energia), il riciclaggio e il
reimpiego, il compostaggio, la lotta biologica (l’impiego di insetti antagonisti contro i parassiti), l’agricoltura
biologica e l’uso dei biogas (sviluppato dalle deiezioni
di animali) in agricoltura; il bioregionalismo: conoscere a fondo la zona in cui si vive, il suo ambiente, per
rispettarne i cicli vitali e inserirvisi armoniosamente;
il rispetto e il valore dato alle minoranze etniche e ai
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< Foto di Paul Williams
popoli nativi; l’importanza data alla donna come portatrice e creatrice di vita e di saggezza naturale; un
nuovo senso religioso, laico e non legato ad alcuna
religione organizzata anche se capace di integrarsi
con tutte, trovandovi gli elementi migliori e comuni. Una religiosità che vede il mondo come rete di
energia sacra, intendendo per “sacro” l’intero di cui
ci riconosciamo parte; l’importanza dell’autorealizzazione personale all’interno di una comunità piccola e
armonica; l’importanza centrale data alla difesa delle
zone selvagge e incontaminate della Terra: le “aree
wilderness”.
I principi dell’ecologia profonda
Questi principi furono originariamente proposti da
Arne Naess e George Sessions (co-autore di Ecologia
profonda) nel 1984 durante un viaggio turistico nella
Valle della Morte in California.
1) Il fiorire della vita umana e non umana sulla Terra
ha un valore intrinseco. Il valore delle forme di vita
non umane è indipendente dall’utilità che queste
possono avere per i limitati scopi umani.
2) La ricchezza e la diversità delle forme di vita sono
valori in sé e contribuiscono alla prosperità della vita
umana e non umana sulla Terra.
3) Gli esseri umani non hanno il diritto di ridurre
questa ricchezza e diversità, se non per soddisfare
bisogni vitali.
4) L’attuale interferenza umana nel mondo non
umano è eccessiva, e la situazione sta peggiorando
rapidamente.
5) Il fiorire della vita umana e delle diverse culture
è compatibile con una sostanziale diminuzione della
popolazione umana. L’esistenza stessa delle forme di
vita non umane esige tale diminuzione.
6) Un miglioramento significativo delle condizioni di
vita richiede un cambiamento nelle politiche attuali.
Queste politiche influiscono sulle strutture economiche, tecnologiche e ideologiche fondamentali.
7) Il primo cambiamento ideologico dovrebbe consistere nell’apprezzare la qualità della vita (e quindi
le situazioni che hanno valore intrinseco) invece di
promuovere un alto tenore di vita. Ci deve essere una
profonda consapevolezza della differenza tra ciò che
è grande dal punto di vista quantitativo (big) e ciò
che lo è dal punto di vista qualitativo (great).
8) Coloro che sottoscrivono questi punti si impegnano a partecipare, direttamente o indirettamente, allo
sforzo di realizzare le trasformazioni necessarie.
(Sintesi delle affermazioni e delle proposte dell’ecologia profonda di Arne Naess, da Ecosofia, Red
edizioni, 1994 )
Le esperienze di riconnessione cosciente con la
natura
Le pratiche di immedesimazione nella natura proposte dall’ecologia profonda sono le più svariate, ma
tutte semplici e adatte a tutti. Sono efficaci proprio
perché semplici. Si fanno soprattutto all’aperto, nella
natura, ma si possono fare anche al chiuso. Per esempio, nel giardino si può meditare sulle forme naturali
e cercare di riprodurle come per gioco: osservare e
riprodurre con il proprio corpo il movimento degli
animali, la crescita delle piante, lo sbocciare di un
fiore. Ci si trova allora senza quasi accorgersi a essere più sereni, rilassati e fiduciosi. Perché sentiamo di
non dover essere noi a proteggere la foresta, ma che
è la foresta a proteggere noi. A quel punto è diventa
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ecoIDEARE - Gennaio 2014
naturale non distruggerla e custodirla: perché noi
siamo la foresta.
Immedesimati con gli elementi
Immagina dentro di te acqua, aria, terra e fuoco, gli
elementi di cui siamo fatti e di cui è fatta la natura. Ti
fa entrare in sintonia con le loro qualità: fluidità, leggerezza, sostegno e solidità, espansione e calore. Poi,
cerca di riportare queste sensazioni nella vita di tutti i
giorni: le immagini mentali hanno lo stesso potere di
quelle reali, come insegnano diverse tecniche di rilassamento e visualizzazione come il training alfagenico
e l’immaginazione guidata.
^Fiore di Loto - Foto di Cristian Duran
Questi esercizi servono a ricaricarci d’energia,
distenderci e rilassarci quando siamo particolarmente
tesi. Per immedesimarti con gli elementi naturali, rilassati, seduto o meglio sdraiato; non tenere le gambe
accavallate né le gambe incrociate e lascia le mani
libere e i vestiti allentati. Respira con calma e profondamente ma senza forzare, e chiudi gli occhi. Al
termine, riprendi lentamente coscienza del tuo corpo.
Poi apri gli occhi e fai quello che desideri fare.
Terra
Immagina nella tua mente di essere seduto sulla terra,
in un posto che ti piace. È un posto luminoso, carico
d’energia. Senti il tuo peso e l’energia della terra che
ti sostiene, ti accoglie e ti nutre. A ogni respiro, senti
l’energia della terra che entra nel tuo corpo, e a ogni
respiro ti senti più rilassata e vitale.
Acqua
Immagina nella tua mente di essere nell’acqua di uno
stagno tranquillo o se preferisci di un lago, di un fiume o del mare. Senti l’acqua attorno a te che ti bagna,
ti rinfresca, ti pulisce. Seguine il moto, guardane le
onde, guarda sotto l’acqua. Galleggia e senti il calore
del sole sul tuo corpo sopra il pelo dell’acqua.
Fuoco
Immagina nella tua mente di assorbire energia
dall’universo a ogni respiro e di sentirti sempre più
rilassato e tranquillo. Immagina che il tuo corpo a
ogni respiro si illumini, a partire dall’addome, e che
questa luce diventi una fiamma, poi un fuoco che ti
riscalda dall’interno e s’espande poi fuori di te. Godi-
ti il calore del fuoco.
Aria
Immagina nella tua mente che a ogni respiro il tuo
corpo diventa più leggero e si riempie d’aria, che tu ti
sollevi come un uccello in volo, e senti come il vento
ti accarezza e ti sospinge. A ogni respiro immagina di
muoverti nell’aria come un uccello (o come una farfalla), e lasciati sollevare dal vento, affidati all’aria che ti
sostiene e trasporta.
Ripercorri l’evoluzione
È un esercizio che aiuta a sentire nel proprio corpo
l’intera storia della vita, che è racchiusa in noi, da
cui proveniamo, e che riviviamo comunque durante i
nove mesi della gestazione e quando veniamo alla luce
uscendo dalle acque. È un esercizio di immaginazione
e movimento che dona sensazioni ed emozioni forti
e profonde e ci fa sentire parte della natura in modo
molto diretto.
Sdraiati, rilassati e respira profondamente, chiudi gli
occhi. Comincia tutto racchiuso su te stesso, come un
essere unicellulare: braccia e gambe piegate e raccolte
attorno al corpo il più strettamente possibile. Ondeggia
lentamente, come nel mare da cui veniamo. Continua a
oscillare lasciandoti portare dalle correnti, segui i loro
flussi. Poi nuota, quando senti che ti spuntano pinne
e coda. Poi arrivi dove l’acqua è bassa, ed esci sulla
spiaggia, strisciando come i primi anfibi. Sempre lentissimamente, striscia sulla terra, sollevati piano sulle
zampe anteriori come i rettili, poi sulle quattro zampe
salta come anfibi e rettili. Quindi percorri lo spazio a
quattro zampe, sollevando la testa, infine sollevati sulle
gambe, cammina, muoviti, guardati intorno.
Diventa albero
L’albero è una metafora della vita: unisce cielo e terra,
è saldo e fecondo, portegge e dona l’ossigeno di cui
abbiamo bisogno. È uno dei simboli universali della
crescita, dell’ascesa e della natura interiore. Sentirsi
come gli alberi, radicati e allo stesso tempo slanciati
verso l’alto, dà sicurezza e distensione.
L’albero del Qi Gong
Quello dell’albero è uno degli esercizi di base del Qi
Gong, l’antica arte cinese dell’equilibrio dell’energia
vitale: significa stare fermi e immobili come alberi.
Sembra facile, ma dopo poco ci si distrae, ci si chiede
che cosa stiamo facendo… farlo per pochi minuti al
giorno è un esercizio benefico, che ricarica d’energia.
Si fa così: resta semplicemente ritto in piedi, tieni le
gambe leggermente flesse, i piedi paralleli perpendicolarmente alle spalle, le braccia rilassate ai fianchi, gli
occhi socchiusi indirizzati a circa due metri di distanza
STILI DI VITA
in avanti, in un punto a metà della tua altezza. Respira
con calma e in modo naturale, senza forzature, stando
attento a tutte le tue sensazioni.
Farlo all’aperto è ancora più bello perché fa sentire un
forte legame con la natura circostante, di cui si riesce
a percepire meglio le energie; in un bosco, è ancor più
sorprendente.
Riproduci la vita dell’albero
Rilassati profondamente, respira con calma. Chiudi gli
occhi. Immagina di essere l’albero e riproducine con il
corpo lo sviluppo. Prima sei un seme nella terra: mettiti
a terra, raggomitolato su te stesso. Poi senti arrivare acqua, sali e nutrimento, e ti espandi lentamente.
Piano piano, distendi in fuori gambe e braccia. Stendi
mani e piedi e piano piano porta la testa in alto e sali.
Portati in piedi con grandissima lentezza. Continua a
espanderti. Quando hai trovato un equilibrio stabile,
in posizione eretta, tieni le gambe leggermente flesse
e le braccia levate verso l’alto. Senti che dai tuoi piedi
escono radici che affondano nel terreno. Senti come
sprofondano alla ricerca di sali, acqua e nutrimento.
Senti come trasportano la linfa verso l’alto attraverso il
tuo tronco. Senti come la linfa risale verso i rami, le tue
braccia alzate. Senti i tuoi rami ricevere luce e calore
dall’alto, e senti come dai rami escono foglie, fiori,
frutti. Senti il vento che trasporta i tuoi semi, e senti
la presenza degli altri alberi attorno. Senti tutto quello
che hai sopra e attorno – insetti, uccelli, arbusti, funghi,
pietre, erba.
A occhi chiusi nella natura
Di solito ci concentriamo su quello che vediamo, e
usiamo poco gli altri sensi: in questo modo ci sentiamo
slegati dal resto del mondo e diventiamo preda di ansie
inutili. Se invece ci abituiamo a usare di più l’olfatto,
il tatto, l’udito e il gusto scopriamo che il nostro corpo
la sa lunga su quello che ci fa stare bene: si risveglia la
sensibilità, che poi ci aiuta nella vita quotidiana.
L’esercizio più semplice è andare a occhi chiusi in un
luogo naturale (prima ci si può esercitare in casa), meglio se accompagnati da qualcuno cui poi ricambiare il
favore. Tocca tutto quello che ti circonda cercando di
scoprire cos’è, fa attenzione al tuo peso, agli odori, alle
sensazioni di calore e frescura, ai rumori; se trovi un
frutto prova ad assaggiarlo… poi, a occhi aperti, cerca
di riconoscere quello che hai toccato e sentito. Oppure,
fà un mucchietto di oggetti di uno stesso tipo (sassi,
pigne, semi, steli d’erba, rametti) e toccali a occhi chiusi, poi prova a riconoscere a occhi aperti quelli che hai
toccato e a distinguerli tra loro.
Sito e newsletter: www.naturalspirit.it
Stefano Fusi è giornalista, scrittore, organizzatore di
eventi e formatore nel campo della crescita personale.
Ha lavorato per le associazioni ambientaliste, case editrici, enti pubblici e fondazioni culturali promuovendo
manifestazioni, incontri e campagne per la coscienza
ecologica profonda. Fra questi il convegno “Urihi incontro con le civiltà dei custodi della terra”, che ha
ispirato l’eBook “Custodire la Terra – il messaggio dei
popoli nativi delle Americhe” appena pubblicato da
Area51 Publishing.
Le sue ricerche ed esperienze sono raccolte nei suoi libri
“Spirito naturale – l’ecologia profonda per la salute del
corpo e dell’anima”, “Immaginazione creativa” e “Energia vitale”, in edizioni Tecniche Nuove, e “Spiriti della
Terra e del Cielo” per le Edizioni Lalbero.
Conduce cerchi comunitari ed esperienze per la riconnessione cosciente con la natura.
<Foto di Kelsey Johannesshon
9
<Nelson Mandela
Nelson
Mandela,
un eroe
della pace
da tanti bianchi; ma anche questa condizione è in fase di
cambiamento secondo me. Ma c’è anche un altro fattore
che è importante riguardo a questo, ed è l’interdipendenza quotidiana che esiste tra bianchi e neri in questo
Paese. Un altro elemento che distingue il Sudafrica dal
Medio-oriente per esempio, è l’assenza di conflitti o
tensioni religiose. E, diversamente dal conflitto nella
ex-Iugoslavia, pur essendoci qua delle razze ed etnie
diverse, un odio così viscerale come l’abbiamo visto in
Iugoslavia non è così diffuso e questo lo si deve all’impatto di Mandela. Ci sarà dell’astio, un volere di vendetta, ma fino a quando la situazione economica rimarrà
stabile, il Sudafrica ha un futuro molto promettente,
purché il governo attuale metta in moto dei programmi
per colmare le disparità economiche e riesca a combattere la corruzione. Bisogna però vedere se la morte di
Mandela non apra ulteriori tensioni razziali, ma io sono
fiducioso. Caso mai, gli immigrati arrivati qui dal resto
del continente africano potranno essere le vittime della
xenofobia. Io spero di no, però di fatto il Sudafrica è
la Germania dell’Africa, e tanti fuggono dal caos nel
Congo, e dallo Zimbabwe con l’auspicio di migliorare la
propria vita e quella dei loro familiari, ma spesso devono
fare i conti con la rivalità di coloro che concorrono per i
posti di lavoro.
Il popolo africano è cambiato con Mandela? Quali
i mutamenti più significativi a livello culturale - di
consapevolezza di questo popolo?
Sarebbe molto pericoloso fare delle generalizzazioni su
qualsiasi popolo, tipo, “tutti gli italiani mangiano gli spaghetti, sono tutti corrotti, egoisti, fannulloni”, o dire che
“si sono cambiati per il meglio/ il peggio grazie al Berlusconi”… sarebbero delle affermazioni assurde. Cambiare
in che senso? Già l’idea che c’è un popolo africano,
sarebbe come dire “c’è un popolo europeo”. Ugualmente
assurdo. Un norvegese non è un italiano per una valanga
di motivi, e lo stesso vale per gli africani (si ricordi che
ci sono 11 lingue ufficiali in Sudafrica, ma per comodità l’inglese è la più diffusa, e l’afrikaans in altre zone).
Però, quello che si può dire, è che grazie a Mandela, e la
fine dell’apartheid c’è una maggiore fiducia in sé stessi,
fra molti africani, specialmente nelle città. C’è una classe
media, una borghesia nera, che spesso si comporta in un
modo molto simile alla borghesia bianca, cioè, materialista abbastanza ma per il resto con valori della borghesia.
La borghesia, sia nera, che bianca, è ugualmente minac-
di Daniela Milano
Secondo lei chi è stato Nelson Mandela?
Occorre naturalmente vedere il fenomeno di Nelson
Mandela nel suo contesto storico. Bisogna ricordare che per molti lui era stato un “terrorista” e per la
maggioranza dei sudafricani un liberatore. Lui non era
l’unica persona che aveva “salvato” il Sudafrica da
una Guerra civile/razziale. Ma sapeva bene navigare la
situazione politica sudafricana in una maniera talmente
astuta e per fortuna i suoi avversari erano anche abili.
Sta di fatto anche che la situazione mondiale all’epoca
(cioè dal 1989 in poi) era stata trasformata in toto. Non
si può vedere il fenomeno di Mandela e De Klerk senza
rendersi conto dell’impatto dell’ascesa di Gorbaciov e
la caduta dell’Unione Sovietica, il quale fu il sostenitore più importante dell’ANC, il partito di Mandela. Ci
sono coloro che diranno che Mandela era stato troppo
conciliatore nei confronti dei bianchi, ed è vero che,
se Mandela avesse detto:”uccidete ogni bianco che vedete”, questo sarebbe accaduto. Ma lui aveva capito la
complessità del Sudafrica e aveva capito gli Afrikaner
(i discendenti degli Olandesi, Ugonotti francesi e tedeschi che vennero qui dal Seicento in poi) e che avevano
inventato l’apartheid.
Mandela aveva anche colto l’importanza del Sudafrica
dal punto di vista economico e, essendo vissuto in altri
paesi africani poteva apprezzare il valore del Sudafrica,
avendo l’economia più sviluppata in tutto il continente.
Mandela era un maestro politico, e malgrado i sacrifici personali, è riuscito a trascendere l’odio per poter
abbracciare persino coloro che l’avevano messo in
galera per 27 anni. In questo senso, Mandela ha un che
di sovrumano.
Quale traccia psicologica - caratteriale ha contraddistinto questo uomo?
Come appena espresso, doveva aver avuto una capacità di comprensione del prossimo che è molto rara.
Bisogna anche ricordare che lui è d’origine aristocratica nel contesto del suo popolo Xhosa, viene da una
famiglia reale, cioè è abituato a capeggiare, condurre.
10
ecoIDEARE - Gennaio 2014
Aveva un’intelligenza emozionale abbinata ad un senso
del Realpolitik – cioè una comprensione profonda di
ciò che è possibile, fattibile. Sapeva che le forze del
governo nazionalista Afrikaner erano tali da poter
prolungare l’apartheid per tanti anni, ma sapeva anche
che gli Afrikaner (o quello che viene chiamato anche il
governo bianco, che sarebbe una semplificazione molto
riduttiva) non sarebbero stati in grado di mantenere uno
stato d’emergenza nel Paese per sempre, che il costo
di un tale approccio sarebbe stato troppo elevato, e che
avrebbe portato alla rovina dell’Africa.
Cosa voleva significare la parola PACE per Nelson
Mandela?
Chiaramente questa domanda si collega alle risposte
già date. Chiaro, ogni persona dà un significato diverso
ad ogni parola. Ma, entro i limiti della comprensione di
una persona, direi che, per Mandela la pace voleva dire,
prima di tutto dare a tutti gli stessi diritti e le stesse
opportunità. Avrebbe capito benissimo che un Sudafrica in uno stato d’assedio non è la pace. Detto ciò, il
Sudafrica non è più in uno stato d’assedio politicamente parlando, ma continua ad essere un Paese con delle
disparità economiche che superano quelle di un paese
come il Brasile ormai. Non si può avere una situazione
duratura di pace con delle disparità come le abbiamo in
Sudafrica. E sono sicuro che Mandela ne fu pienamente
cosciente.
Quale eredità ideale lascia? Utopia? o qualcosa che
è radicato negli africani?
L’eredità che lui ci lascia è quella del sacrificio per il
prossimo, un ideale a cui puntare, mirare. E sarà molto
di moda citare la parola “ubuntu” (che vuol dire “io
vivo perché gli altri vivono/vivano”) ma con i livelli di
corruzione sotto l’African National Congress (ANC) di
oggi è un po’ difficile crederci senza avere dei sospetti. Sta di fatto però che gli africani sono, sia nel bene
che nel male, molto, forse troppo rassegnati all’idea
del destino, e la loro pazienza nel dover condividere il
Paese con altri non è necessariamente adesso condivisa
> Labour Party Conference in Brighton, Great Britain 2000 - Foto di Nils Jorgensen
Daniela Milano, giornalista e counselor per il benessere, la formazione, l’educazione della persona, intervista per Ecoideare, a
pochi giorni dalla scomparsa di Nelson Mandela, il Prof. Wilhelm Snyman, PhD, docente di letteratura italiana all’University
of Cape Town e giornalista, profondo conoscitore della storia dell’Africa, delle sue problematiche e grande seguace di Nelson
Mandela.
STILI DI VITA
ciata dalla presenza di un grandissimo sottoproletariato
che non ha niente. Per quanto riguarda la “consapevolezza”, gli stessi valori, come l’istruzione adeguata dei
figli, la sicurezza finanziaria, avere la propria casa… tutti
questi fattori fanno parte di una coscienza che non crea
una distinzione razziale. La povertà sì, invece, perché la
maggior parte dei poveri continuano ad essere neri.
Nelson Mandela si può considerare un esempio
internazionale anche da un punto di vista politico?
Se si, per quali motivi ideali e concreti secondo la sua
visione.
Senza dubbio, Mandela si può considerare un esempio
internazionale, come De Gasperi, Konrad Adenauer,
Charles De Gaulle, Willi Brandt, Churchill, Roosevelt,
Indira Ghandi, Angela Merckel, Margaret Thatcher,
persino, ed alcuni altri. Lo dico perché essi sono stati dei
leader che sapevano cogliere il momento storico, sapevano riconoscere la necessità di trascendere un “campanilismo” storico-culturale, per fare il meglio per i loro
paesi. Non pensavano solamente alle proprie carriere,
non facevano di tutto pur di avere il potere. Mandela fu
presidente solo per 5 anni, dopodichè andò in pensione,
perché sapeva che gli altri dovevano addestrarsi nell’esercitare il potere. Lì è il vero test per un leader, sapere
aiutare gli altri, i seguaci, ad esercitare il poter in un
modo responsabile. Come sappiamo, sia in Sudafrica,
che altrove nel mondo, sono molto pochi i leader politici che fanno distinzione tra il proprio bene personale
e quello dei loro paesi o del mondo. Mandela fu parte
di una vecchia tradizione, con valori che ormai stanno
sparendo, essendo stati sostituiti da interessi ampiamente
egoistici. Credo che la mancanza di valori nobili e durevoli sia dovuta anche alla mancanza dell’insegnamento
degli studi classici, ma questo è un mio parere personale.
Secondo lei cosa leggeranno nei testi di storia le future generazioni sul personaggio Mandela?
Leggeranno che lui era il primo presidente di un Sudafrica democratico, e che lui aveva posto fine all’apartheid.
Questo non sarà vero al 100%, però, perché anche altri
avevano combattuto per un Sudafrica più giusto, più
vivibile per tutti.
Con quale frase e testimonianza di Mandela le piace
chiudere questa intervista?
Senza Mandela il Sudafrica di oggi, relativamente pacifico, non sarebbe stato possibile.
“Ho combattuto il predominio dei bianchi e
ho combattuto il predominio dei neri. Ho
accarezzato l’ideale
di una società libera e
democratica, in cui
tutti possano vivere
insieme in armonia e
con le stesse opportunità. E’ un ideale
che spero di vedere
realizzato se vivrò abbastanza a lungo. Ma
se sarà necessario, è un ideale per cui sono
pronto a morire”.Tratto da Un ideale per cui
sono pronto a morire di Nelson Mandela –
Garzanti Editore.
A pochi giorni dalla morte di Nelson
Mandela, quando ancora il popolo piange
e le autorità internazionali si preparano a
celebrare in modo solenne i funerali, la Casa
Editrice Garzanti del Gruppo Editoriale
Mauri Spagnol pubblica due discorsi pronunciati dal grande leader in due momenti
cruciali della sua vita. Il primo, nel 1963,
durante il processo di Rivonia che lo vede
imputato del pesantissimo reato di tradimento e terrorismo, momento in cui Mandela si
dichiara pronto a morire pur di continuare
la sua sfida per la pace e per l’uguaglianza.
Un discorso appassionato di un uomo che,
anche nel frangente più drammatico della
sua vita mostra straordinario coraggio nel
denunciare gli episodi di terribile violenza
da parte del regime dell’apartheid nei confronti di una popolazione nera schiavizzata.
La determinazione insieme alla chiarezza e
al carisma con cui Mandela si rivolge ai suoi
accusatori, rivela la rara personalità di un
leader dall’animo mite e al contempo forte
come una roccia.
Il suo secondo discorso pubblicato, risale al
giorno della sua liberazione (dopo 26 anni di
carcere durissimo) un giorno di grande festa
e di commozione collettiva. Nelson Mandela ripete con la medesima mitezza e forza
le stesse – identiche parole pronunciate
nell’aula di tribunale. Due discorsi destinati
a rimanere epocali, a segnare la storia del
Sudafrica e dell’intera comunità internazionale. L’eccezionale testimonianza di vita e
l’eredità del primo presidente democraticamente eletto dalla Repubblica Sudafricana
sono quelli da cui ha preso il titolo questo
bel – incisivo testamento spirituale pubblicato da Garzanti.
11
cosmesi e Salute:
mercato in evoluzione
STILI DI VITA
STILI DI VITA
di Nicola Saluzzi
Al fondatore e presidente di GUNA, industria simbolo dell’omeopatia italiana,
Alessandro Pizzoccaro, abbiamo rivolto alcune domande.
GUNA è nata per produrre e distribuire prodotti omeopatici, un settore difficile in Italia, soprattutto in mancanza di un quadro normativo. Quali sono state le tappe
significative?
La tappa essenziale fu quella dell’incontro con mia moglie con la quale ho condiviso da subito la passione per
l’Omeopatia. Con un pizzico di coraggio e d’incoscienza,
guidati dalla passione, abbandonammo le rispettive occupazioni ed iniziammo la nostra avventura che ci ha portati
a creare, a 30 anni di distanza, quella che oggi è la prima
azienda omeopatica italiana. Iniziammo come distributori in
esclusiva di importanti aziende straniere, successivamente
ci rendemmo conto che per realizzare le nostre idee sarebbe
stato necessario avere un laboratorio di produzione. Fu così
che nel 1989 creammo il primo laboratorio omeopatico
autorizzato dal Ministero della Salute. La nostra proposta
terapeutica incontrò sempre più il favore dei medici, farmacisti e pubblico tant’è che nel 1995 ci trasferimmo in un
laboratorio più grande fino ad arrivare nel 2008 nell’attuale
12
ecoIDEARE - Gennaio 2014
sede produttiva.
Contemporaneamente affiancammo ai farmaci omeopatici
integratori, cosmetici, medical device, tutti caratterizzati da
innovazione, efficacia e mancanza di effetti collaterali. Oggi
siamo presenti con distributori in oltre 30 Paesi nel mondo e
abbiamo una filiale negli Stati Uniti, dove abbiamo registrato 70 medicinali omeopatici presso l’FDA.
Certificazione biologica, codice etico aziendale, cultura,
cooperazione, impegno alla sostenibilità.
Quali progetti per il futuro?
Proseguire nel cammino intrapreso, perché riteniamo la
coerenza un valore e non vediamo questo genere di attività
come “subordinato” alla situazione di mercato. La vera
sfida per i prossimi due anni è fare in modo che questi
valori “permeino” sempre più l’azienda a tutti i livelli:
la sostenibilità è nel nostro core-business, dal momento
che produciamo farmaci naturali, efficaci e senza effetti
collaterali, e deve essere un metodo di lavoro che orienta
tutta la strategia di impresa. Siamo un’impresa ma riteniamo
che i buoni affari possano andare d’accordo con l’impegno
per lasciare ai nostri figli un mondo migliore di quello che
abbiamo trovato noi.
Quando avete introdotto i prodotti cosmetici?
L’inserimento dei cosmetici è stata un’evoluzione naturale
della nostra crescita. Parte della nostra proposta medica si rivolge alla medicina estetica attraverso l’utilizzo
di prodotti omeopatici iniettabili in bio-mesoterapia. Gli
stessi medici dermatologi che fanno parte del nostro gruppo
scientifico ci propongono soluzioni coerenti con la nostra
impostazione basata sull’innovazione, efficacia e assenza di
effetti collaterali. Da 10 anni è attiva anche la produzione
dermocosmetica.
Nella cosmesi bio, la concorrenza è a maggioranza straniera. Ci può dire se il plus di essere italiana incide nella
scelta di GUNA da parte del cliente?
All’estero l’immagine italiana nell’estetica e nel buon gusto
è molto elevata. I cosmetici made in Italy hanno un appeal
di per sé; se poi sono di qualità, il successo è automatico. In
Italia i nostri consumatori generalmente hanno fiducia che
un prodotto nostro non tradisce, sia esso farmaco, presidio,
integratore o cosmetico. Pertanto sia nei paesi esteri in cui
distribuiamo che in Italia, riteniamo di trovarci in una situazione particolarmente favorevole.
13
< Aloe Vera - Foto di Smit
Il settore bio della cosmesi e della detergenza si affianca al bio agroalimentare. A differenza di quest’ultimo che
dopo travagliati decenni di vuoto legislativo o di leggi insufficienti, oggi gode di una normativa europea all’altezza della sua importanza, la bio cosmesi in Italia è certificata su base volontaria, e, nonostante la recessione
economica, cui siamo ormai abituati, pare goda di una discreta salute. Infatti, da poche decine di aziende dedicate oggi si contano alcune centinaia di operatori che hanno scelto di produrre secondo i criteri eco e bio. Ciò
significa che la domanda seppure di nicchia, ha una sua consistenza. Il soggetto certificatore che ebbe la buona
intuizione di trasferire su un altro settore la conoscenza acquisita con i prodotti dell’agricoltura, ha vinto una
scommessa e soprattutto ha fatto da apripista per altri soggetti. Così, a distanza di poco più di dieci anni dalla
prima certificazione eco bio dei prodotti cosmetici in Italia, questo segmento si è sviluppato in modo che prima
nessuno poteva immaginare. Ad apporre il primo “bollino” eco bio è stato ICEA Istituto Certificazione Etica
Ambientale, il cui direttore, in queste pagine descrive il fenomeno, che peraltro segue l’esempio di altri paesi
europei. Ora, c’è da domandarsi qual è l’origine di tale evoluzione.
Come per il cibo, anche i prodotti di bellezza hanno l’età dell’uomo e si può affermare che, essendo ottenuti
dalla lavorazione per lo più di vegetali, sono di provenienza naturale. E’ stata l’introduzione della chimica e la
sua applicazione industriale e massiva che nel tempo ci ha costretto a distinguere i prodotti “naturali” dal resto,
ed è maturata la consapevolezza dei rischi per la salute dell’uomo (oltre ai danni all’ambiente) che derivano
dal suo uso sregolato. Per molti anni, la comunicazione pubblicitaria ha favorito l’industria (per la verità non
solo quella cosmetica). Il primo intervento legislativo a tutela della salute del consumatore si è avuto con la
legge 713/1986 che impone la descrizione di tutti gli ingredienti nel prodotto cosmetico. L’industria farmaceutica e della cosmetologia sono rami diversi dello stesso mondo produttivo, che si basa sulla ricerca chimica
e le nuove tecnologie. Le imprese (molte multinazionali) generano fatturati enormi. Da qui, sommariamente,
possiamo tracciare un parallelo tra il mondo della medicina e della cosmesi convenzionali e quello delle cure e
delle terapie alternative dove i nuovi protagonisti sono gli operatori delle Medicine Non Convenzionali (MNC)
che, nonostante le molteplici iniziative, ancora non hanno una legge nazionale. Nelle “discipline bio-naturali”
termine stabilito dalla Comunità Europea, rientrano: l’agopuntura, la fitoterapia, la medicina omeopatica, l’omotossicologia, la medicina antroposofica, la farmacoterapia tradizionale cinese, la farmacoterapia ayurvedica,
la medicina manuale. Orientamenti e approcci diversificati, molti dei quali fondati su concezioni filosofiche e
spirituali tramandate dalla cultura e dalla tradizione orientali.
Antiche discipline si combinano con le moderne conoscenze scientifiche, le cui proposte curative tendono
principalmente a riportare in un equilibrio naturale il rapporto tra corpo, mente e spirito. E dove imperativo è
il ricorso (o il ritorno) all’uso di prodotti naturali. Grazie all’informazione e alla nuova visione culturale del
consumatore si è affermato un nuovo stile di vita, improntato al benessere psico-fisico e al vivere naturale con
un’alimentazione sana (bio), affidandosi alle medicine non convenzionali associate a tecniche di rilassamento
(yoga, massaggio), per finire all’uso di prodotti per il corpo e per la casa ecosostenibili.
Questo è il mondo che ci viene presentato nella sezione dedicata al benessere della fiera BIOFACH, che in termini economici, rappresenta un mercato dalle prospettive incoraggianti, come ci dimostra l’esempio di GUNA.
A suo tempo fu dura convincere il presidente
dell’Associazione Italiana Agricoltura Biologica, un
uomo semplice, concreto e tutto di un pezzo, tra i
maggiori esperti italiani nella concimazione organica, a spendere il nome e il marchio dell’associazione per avviare un percorso di certificazione nel
settore della cosmesi, il regno del fatuo e superfluo.
Immaginate quanto si arrabbiò quando arrivammo
a certificare i profumi e i dentifrici per cani ottenuti
da ingredienti dell’agricoltura biologica.
Nel 1993, quando ho iniziato a lavorare nel settore
del bio, certo non immaginavo di arrivare a questo. A
quel tempo chi avesse pronosticato, da li a pochi anni,
i prodotti biologici sempre disponibili nei supermercati a prezzi pure accessibili si prendeva certamente del
visionario. Gli esponenti più intransigenti del circuito
del biologico volevano addirittura imporre nei disciplinari di produzione del biologico un esplicito divieto alla
vendita nei supermercati. A volte, pensando alle (troppe) deroghe ai principi originari del biologico, mi viene
il dubbio che avessero pure ragione.
I supermercati, la grande distribuzione ma sopratutto il
dettaglio specializzato con superfici superiori ai 200 mq
sono però i soggetti che hanno trascinato con maggiore intensità i consumi dei prodotti biologici e contano,
anche in questa fase di recessione generalizzata, crescite
del fatturato annuale che arrivano addirittura a superare
i 10 punti percentuali. Il settore della cosmesi e detergenza bio e naturale, sono perfettamente in onda con
una crescita annuale costante compresa tra il 4-10%.
Questo era esattamente il futuro preconizzato da coloro
che all’interno dell’Aiab insistevano per spendere il
marchio e, quindi, anche la reputazione dell’associazione in questo settore che appariva a molti etereo, quanto
estraneo al mondo agricolo. Quali sono le ragioni che
hanno convinto Aiab a scendere in campo nella cosmesi,
fino ad arrivare alla creazione di un Istituto dedicato alla
certificazione di tutte le produzioni, food e non food,
con valore etico ambientale? I cosmetici naturali, così
come i tessuti bio o, in diversi casi, anche i materiali
per la Bioediliza rappresentano un’ottima opportunità di
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ecoIDEARE - Gennaio 2014
valorizzazione dei prodotti agricoli in settori che garantiscono margini ben superiori a quello dell’agroalimentare. Una buona crema cosmetica ha un costo industriale
di 6-7 euro al Kg. L’incidenza del costo della materia
prima nella definizione del prezzo finale è quindi irrisoria e i margini di investimento in qualità e promozione
molto più ampi di quelli concessi al settore agroalimentare. Perché allora non orientare parte della produzione
agricola: miele, propoli, olii essenziali, piante officinali
ad un settore più renumerativo? Questa opzione era già
stata perseguita da diverse aziende di medie e piccole
dimensioni che vantavano l’impiego di ingredienti naturali o biologici, senza controllo alcuno. Ogni azienda
perseguiva una sua logica e filosofia produttiva, a volte
molto ferrea e intransigente, in altri casi puramente
speculativa. Il tutto alimentava un mercato, magari
remunerativo, ma condannato a sopravvivere nei mercati e nel dettaglio specializzato. Era facile imbattersi in
cosmetici che di “naturale” avevano certamente l’aspetto esteriore, probabilmente contenevano anche alcuni
ingredienti dell’agricoltura biologica o del commercio
equo che, però, convivevano con i peggiori conservanti
e tensioattivi chimici, scelti dai pochi laboratori terzisti
che si occupavano della produzione sulla base di criteri
puramente economici. Un contesto, quindi, affamato di
regole in grado di salvaguardare e valorizzare il lavoro
delle aziende più serie e virtuose che hanno immediatamente abbracciato le prime iniziative di normazione e
certificazione volontaria partite in Francia (Cosmebio e
Ecocert) e Germania (BiDH) e poi in Italia, prima con
Aiab con la certificazione “Eco Bio” ereditata poi da
org). Il primo nasce dal confronto tra le principali associazioni e enti di certificazioni europei (Ecocert, Cosmebio,
BiDH, ICEA e Soil Association), il secondo nasce dalla
defezione di alcuni marchi storici leader in Germania nella
cosmesi naturale. Entrambi i disciplinari, pur con diversa
intensità, puntano a responsabilizzare e coinvolgere maggiormente nei controlli le multinazionali che producono
le materie prime oltre che superare, non senza difficoltà, i
particolarismi e rendite di posizione consolidate nell’arco
di un decennio dai marchi e disciplinari privati nazionali.
Non a caso anche ISO, l’ente normativo internazionale,
per conto della Comunità Europea, ha attivato un gruppo
di lavoro che ispirandosi agli stessi principi ha coinvolto
anche i rappresentanti di paesi emergenti come India, Brasile e Corea. Al momento nessuno auspica un intervento
dello stato, così invasivo così come è avvenuto come nel
settore alimentare. Alcune esperienze di estensione della
normativa dei prodotti alimentari bio al settore cosmetico,
vedi Stati Uniti (NOP) e Brasile, non hanno dato buoni
risultati perché, trasponendo alla cosmesi additivi e conservanti del settore alimentari, limitano enormemente le
possibilità tecnologiche a pochi prodotti molto grossolani.
Tutti condividono, invece, l’utilità di una definizione di
legge condivisa atta a tutelare nei principali mercati internazionali i prodotti cosmetici “naturali” e “biologici” dalla
concorrenza sleale e dalle molteplici e, spesso strumentali,
declinazioni nell’uso del termine “bio”. Un cenno merita
il settore della detergenza, più giovane e meno maturo,
anche per quanto attiene i sistemi di certificazione. A
differenza della cosmesi il mercato è conteso da poche
imprese, delle quali una (Ecover) è leader incontrastato di
livello mondiale. Il detergente bioecologico si orienta su
prodotti ecocompatibili, efficaci e sicuri per l’uomo e per
l’ambiente, realizzato con ingredienti derivati da materie
prime di origine vegetale o minerale e con materie prime
biologiche e/o equosolidali. Ancora il tasso di penetrazioIcea, seguita da altre organizzazioni del settore (Ccpb,
ne di questi prodotti è pari al 3%. Nel dettaglio specializBioagricert, Ecogruppo, QC).
zato sono già molto diffusi anche nella versione alla spina
La certificazione “Eco Bio” ha cambiato le carte in tacon confezioni ricaricabili. Si iniziano a vedere esperienze
vola e ha permesso un cambio di paradigma, si è passati di vendita nei canali della GDO dove, fino ad oggi ,gli
dal cosmetico “SENZA” (senza sles, paraben free, ecc.) unici prodotti con requisiti ecologici sono quelli certificati
al cosmetico “CON”:
Ecolabel. Recentemente è stata fondata l’associazione The
A. prodotti agricoli e zootecnici primari da agricoltura
Greenway to life (www.thegreenwaytolife.org), fondata
biologica certificati (secondo le modalità previste del
dai principali produttori italiani, francesi, tedeschi e il leadisciplinare);
der di mercato Ecover che, per la prima volta, si approccia
B. sostanze chimiche di origine naturale o derivanti da
alla certificazione di prodotto in conformità al disciplinare
chimica verde, selezionate sulla base di criteri di sosteni- internazionale implementato dall’associazione che ha
bilità ambientale e salubrità;
arricchito lo standard con un codice etico che fissa un tetto
C. test clinici obbligatori, per prevenire effetti allergici
perfino i per compensi dei dirigenti (non più di 20 volte lo
indesiderati
stipendio base dei lavoratori dell’azienda).
D. etichette con informazioni e claim veritieri supportati
da test clinici o bibliografia scientifica attendibile
E. un sistema di controllo e certificazione indipendente
con accreditamenti internazionali, che rende pubbliche
le regole, le liste delle aziende e dei prodotti certificati
(inclusi gli ingredienti) e risponde ai quesiti posti dai
consumatori.
Un progetto molto impegnativo, ma di successo (oggi
possiamo contare su centinaia di aziende licenziatarie e
migliaia di prodotti certificati), che è riuscito a superare
alcuni importanti ostacoli tipici della cosmesi italianamente: la necessità di prodotti molto performanti e
profumati, la tradizionale diffidenza dei dermatologi nei
confronti del prodotto naturale e un sistema di controllo
pubblico non tanto efficiente. Non è mancato il confronto con i nostri cugini europei, che ha portato allo sviluppo di due disciplinari internazionali: COSMOS standard
(www.cosmos-standard.org) e NATRUE (www.natrue.
> Erbe Officinali
di Alessandro Pulga
Direttore Tecnico ICEA
< Biancospino - Foto di Vincenzo Lerro
Cosmesi:
un percorso
naturale?
STILI DI VITA
15
DOSSIER
AMBIENTE E TERRITORIO
Gli scenari
del consumo
del suolo
a cura di: Mario Allodi, Andrea Marziani, Andrea Cassone
16
eco
IDEARE
- Gennaio
2014
< Basilicata
- Villaggio
Marinagri
- Insediamento
turistico in via di realizzazione sul litorale jonico sulla foce del fiume Agri - Foto di Lucania
17
> Civitella Alfedena Abruzzo - Foto di Luca Moiana
AMBIENTE E TERRITORI
> Cantieri Milano Expo - CityLife
“turbinio viario a somma zero”, o meglio ci si
muove avanti e indietro parecchie volte prima di
raggiungere il casello e poi dopo per collegarsi
con la viabilità ordinaria: ma tutto ciò avviene
senza una logica che lo spieghi! Con ogni prodi Mario Allodi
babilità l’incapacità cronica di far rispettare le
regole di velocità ha fato pensare di realizzare
curve di uscita percorribili, anche ad 80 Km orari,
“Il disastro ai danni del paesaggio non sta tanto nello scandalo
dei grandi abusi e dei mostri edilizi, quanto nell’erosione conti- pur essendo il limite 40 Km orari: così se qualnua, quotidiana, che si manifesta sotto i nostri occhi e rischia di cuno non rispetta le regole non finisce nei campi!
cancellare il confine tra città e campagna.” Rapporto 2009 sullo Ma la vera analisi riguarda le superfici occupate
dall’uscita con i suoi annessi e connessi. Dopo
stato del paesaggio” della Società Geografica Italiana”
la riflessione ho provato a paragonare le uscite e
Tutto nasce dall’osservazione come strumento di valutazione;
alcuni svincoli con altri siti di cui si ha percezione
in sostanza si tratta di effettuare il passaggio fondamentale fra
il “guardare” ed il vedere”. Oggi si è orientati a pensare al viag- della dimensione per far cogliere meglio come
gio, alle vacanze, come momenti legati ad una partenza e ad un stiamo sprecando territorio e come lo consumiamo malamente.
arrivo e ciò non ci fa soffermare sul vero viaggio, sul tragitto.
Credo che sia necessario, per fermare questo
Alcuni mezzi di locomozione anche se rapidi come il treno e
cattivo uso del territorio, avviare una massiccia
l’auto permettono di effettuare l’osservazione dei luoghi, del
campagna di educazione della popolazione
territorio, del paesaggio.
Si aggiunga a tutto questo che il lavoro di tutti noi ci fa immagi- insegnando al cittadino la “grammatica” e la
nare paesaggi inesistenti frutto della pubblicità o dei salvascher- “sintassi” dei luoghi attraverso le quali si colga
come possono essere combinati fra loro i segni
mi dei nostri computer o delle mete di vacanza dei depliant;
del paesaggio. Tornare indietro è molto difficile,
muoversi per ragioni di lavoro ci fa percorrere distrattamente
neo-rotatorie su cui si affacciano centri commerciali, fabbriche forse impossibile (soprattutto a quale “indietro” ci
si dovrebbe ispirare?), l’analfabetismo sul sapere
tutte uguali nella struttura, per non parlare dei dettagli (carteldei luoghi è forse il vero male italiano che se
lonistica moltiplicata, guardrail semidistrutti, cordoli e marciapiedi fatti per pedoni inesistenti – chi passeggia nelle aree indu- superato potrebbe dare nuovi strumenti per una
rinascita economica del paese basata sulla qualità
striali o nel suburbio della città?). Poi comincia ad intravedersi
con la crisi economica il nuovo paesaggio dell’abbandono fatto del paesaggio.
di aree industriali dismesse e di un corredo urbano annesso che
patisce fatiscenze molto rapide.
Ma ritorniamo all’osservazione; è proprio attraverso di essa
Mario Allodi, architetto, impegnato
che il pensiero mi ha fatto soffermare sugli usi di territorio e di
ambientalista, si occupa della progetconseguenza sulla mutazione dei paesaggi dell’autostrada A4
tazione di spazi verdi. Ha realizzato
numerose pubblicazioni di carattere
Torino-Milano e delle aree Expo sulla tangenziale milanese.
divulgativo sui temi del verde per
Se ci si muove rapidamente, non si colgono le trasformazioni
diffondere la cultura della natura e
che ha avuto l’asse autostradale, prima con l’ampliamento di
del paesaggio. E’ responsabile da
corsie e poi con l’arrivo dell’alta velocità Milano-Torino che ha
molti anni di una scuola d’arte e di
comunicazione visiva, dov’è attivo
costretto il rifacimento dei cavalcavia e delle uscite autostradali.
un corso di formazione biennale di
Proprio queste ultime colpiscono e in particolare alcune fra
progettazione dei giardini.
queste, l’uscita autostradale Novara ovest è diventata un vero
SCORIE DI PAESAGGIO,
PAESAGGIO FATTO DI SCORIE
18
ecoIDEARE - Gennaio 2014
TERRITORIO CHE SPARISCE,
ECONOMIA CHE SCOMPARE
di Andrea Marziani
Già nel 1933, il grande economista J.M. Keynes asseriva “…
la regola autodistruttiva di calcolo finanziario governa ogni
aspetto della vita. Distruggiamo le campagne perché le bellezze
naturali non hanno valore economico. Probabilmente saremmo
capaci di fermare il sole e le stelle perché non ci danno alcun
dividendo.”
“Crescita economica” e “sviluppo” sono la via obbligata per
creare posti di lavoro; è questo ormai l’imperativo categorico a
cui il decisore politico rimanda ineluttabilmente nel motivare le
scelte di governo della risorsa suolo. In tal modo, attraverso una
delle abituali semplificazioni che anestetizzano la comunicazione, si sottrae al dibattito pubblico un tema estremamente complesso e gravido di implicazioni sul futuro di un bene comune e
non riproducibile. Lo sfruttamento delle potenzialità del suolo
quindi, come generatore di benessere, di ricadute positive sulla
comunità coinvolta, che viene indotta a convertire un elemento
costitutivo del paesaggio in opportunità di profitto o, alla meno
peggio, di rivalutazione della rendita. Senza evocare i cambi di
destinazione d’uso dei terreni, da agricoli a edificabili, ceduti
dagli amministratori in cambio di oneri di urbanizzazione, spesso non resi effettivamente esigibili. Si pensi alla possibilità per
un agricoltore, di quadruplicare la rendita agricola del proprio
appezzamento convertendo lo stesso suolo al posizionamento di
pannelli fotovoltaici. La coazione a realizzare velocemente un
“utile”, estraendo valore dal suolo e dal territorio, offusca qualsiasi tentativo di riflessione sulle conseguenze sul paesaggio e
sul territorio a breve, a medio e a lungo termine.
Sembra inevitabile il rcorso ad un’unica opzione secondo la
quale lo sfruttamento, rapido ed esteso, rappresenti la via al
ripristino di un barlume di prosperità che risollevi dalla crisi.
Tutto ampiamente confermato dall’autorevolezza degli opinion
makers di volta in volta interpellati per suffragare le scelte cosiddette strategiche (la tav su tutte, ma anche, il più attuale piano di cementificazione della Sardegna – 3.000.000 di metri cubi
quale “motore” di sviluppo o ancora, il previsto allentamento
– nella legge di stabilità - dei vincoli esistenti per facilitare la
Andrea Marziani. Dopo molti anni nel
campo dell’orientamento, si occupa
di formazione. Coordina le attività
didattiche di una scuola del Comune di
Milano nell’ambito della comunicazione
ed arte visiva, in particolare specializzata in progettazione del giardino e del
paesaggio. Si occupa con passione ai
temi legati al giardino e al paesaggio
partecipando ad iniziative e viaggi di
approfondimento
costruzione di centri commerciali e stadi…).
Il prodotto di questa deriva è peraltro sotto gli
occhi di tutti; dissesti idrogeologici, unità di paesaggio irrimediabilmente profanate e deturpate,
conurbazioni che per vaste aree geografiche si snodano senza soluzione di continuità tra centri urbani
collegati da vie di flusso stradale… E tutto ciò,
il più delle volte, per “produrre lavoro solo per il
tempo necessario a liquidare una tornata elettorale”
(come scrive M. Fois in una amara critica rivolta
ai conterranei nell’accettare il cemento selvaggio).
L’uso del suolo, determina il destino del paesaggio,
un bene comune a cui non si guarda ancora come
ad una risorsa vitale per la comunità. Quando un
amministratore costruisce un porto turistico che
impatta sull’ambiente costiero, quando si concedono diritti di edificabilità per un outlet o per un centro commerciale (peraltro tipiche incarnazioni dei
non-luoghi di Augé), si operano decisioni giustificate da un ritorno economico, ma non “guardano”
al fatto che il segno sull’ambiente e sul paesaggio
sono cicatrici indelebili.
Il tempo necessario per recuperare alla coltivazione un terreno su cui si è costruito (e si è magari
successivamente demolito) è stimato in circa 100
anni. Ogni scelta in questa direzione rivela tutto
il suo peso sulle generazioni future, senza contare che viene determinata da personale politico o
da amministratori che sono comunque sottratti,
all’eventuale responsabilità di risultati sciagurati.
19
Se poi consideriamo la credibilità complessiva di cui ha dato saggio negli ultimi tempi
la rappresentanza politico-aministrativa
(convalidata
dai dati di gradimento della classe
politica nei sondaggi), c’è veramente di che
preoccuparsi.
Certo, tra le cause fondamentali di tutto ciò
vi è il combinato disposto di due fenomeni:
da un lato, la cosiddetta “finanziarizzazione
del suolo” che prospetta all’investitore la
possibilità di estrarre valore dalla risorsa
suolo, trasformandola in titolo che può liberamente circolare nel sistema finanziario.
Dall’altro lato,
l’attitudine collettiva che porta a considerare il paesaggio un concetto sostanzialmente
privo di consistenza, privo di “utilità” e,
conseguentemente alienabile senza negoziazione alcuna in cambio di asserite opportunità di sviluppo economico del territorio.
Insomma, una forte spinta alla moltiplicazione della rendita, suggellata da un patto
scellerato tra amministratori e operatori
economici, mai adeguatamente arginata da
una attenzione
della collettività ai “beni comuni”.
Come immaginare una svolta? E’ pensabile
un futuro in cui ricostituire prospettive di
sviluppo economico che agiscano altre leve
che valorizzino la risorsa paesaggio preservandone l’integrità e il rapporto armonico
con l’elemento antropico?
Forse, una prospettiva verso cui orientare
gli sforzi, oltre all’introduzione di norme
che impediscano drasticamente l’ulteriore
consumo di territorio limitando nuove possibilità edificatorie esclusivamente alla riconversione di siti già
“costruiti”, potrebbe essere rappresentata dalla molteplicità di
parti d’Italia che oggi appare dimenticata e marginale per essere
stata lasciata in lento abbandono a causa della difficoltà del vivere. Si tratta dell’universo pulviscolare delle comunità che non
sono riuscite a resistere con economie locali basate su lavori e
attività caratterizzate da un propria originaria durezza, perdendo progressivamente ciò che oggi definiamo forza competitiva.
Tra le vicende a cui si può guardare positivamente, interessa
segnalare un primo caso di recupero di borgo-comunità che ha
vissuto il declino per poi rinascere successivamente grazie ad
alcune fortunate circostanze.
Si tratta nello specifico della rinascita di Civitella Alfedena, un
borgo situato nel territorio del Parco nazionale degli Abruzzi,
attraversato dalla triste parabola del declino e della marginalizzazione, culminate nell’abbandono da parte degli abitanti per
l’insostenibilità delle condizioni socio economiche. In anni recenti, i vincoli alla trasformazione e allo stravolgimento imposti
dalla legge che tutela l’area del Parco, unitamente allo sforzo di
alcuni nel riscoprire tradizioni e qualità del genius loci, hanno
favorito un’inattesa ripresa della comunità, con un fenomeno di
ripopolamento del luogo che ne ha rovesciato favorevolmente il
destino. Un caso “virtuoso”, in cui condizioni particolarmente
avverse, sono state superate anche grazie all’investimento nel
Parco come luogo deputato alla rivitalizzazione del territorio e
all’innovazione delle economie locali per consentire la conservazione dell’ambiente e la fruizione di sentieri, centri visita,
musei.
Vi sono poi situazioni in cui stupisce lo stabilirsi di un rapporto quasi “magico” tra uomo e ambiente. E’ il caso della Val
20
ecoIDEARE - Gennaio 2014
^Provenza - Francia - Foto di Valter Giumetti
AMBIENTE E TERRITORIO
Bavona in Svizzera; si tratta di un luogo in cui la
natura sembra ostentare un suo tratto di particolare
inospitalità, segnato da una bellezza primordiale,
che scandisce una coesistenza difficile fra uomo e
ambiente circostante. Di questo caso preme evidenziare il modo quasi emblematico in cui si instaura
un difficile equilibrio tra uomo e natura; una situazione in cui il limite alla violazione dell’ambiente, è
sostanzialmente imposta dalle condizioni circostanti. Una sorta di costrizione al rispetto dell’ambiente.
La valle, stretta e poco soleggiata, è invasa da enormi massi che in epoche diverse si sono staccati dalle montagne circostanti. In questo contesto, l’equilibrio paesaggistico è plasticamente rappresentato dal
modo in cui gli abitanti (solo per i mesi dell’anno
climaticamente meno ostili) hanno costruito le case
“fondendone” quasi la forma con i massi. Persino
orti e spazi comunicanti sembrano “ritagliati” nello
spazio disegnato da questi massi ciclopici. Il caso,
oltre che per la sua singolarità, merita di essere
citato anche per il suo valore simbolico, una sorta
di richiamo alla innata capacità dell’essere umano
di trovare in sé la mediazione ideale nello stabilirsi
del suo rapporto con il paesaggio.
Terza situazione, ancora differente, ma fortemente
economy è rappresentata dal caso della valorizzazione di un genius loci in Francia nella regione
della Provenza nella zona di coltivazione della
lavanda, diventata la leva di una filiera economica che tiene insieme paesaggio, trasformazione
produttiva, commercio e turismo. Un caso di
successo e di capacità di valorizzare risorse ambientali e paesaggistiche da assumere a modello. Il
sito è meta di viaggi e visite in cui si attraversa un
paesaggio suggestivo, caratterizzato dal segno delle
coltivazioni della pianta in cui trovano posto anche
tracce e vestigia del passato storico oltre a centri
abitati che hanno mantenuto un loro profilo coerente con le bellezze naturali. Un ulteriore elemento di
pura matrice economica è costituito dalla vendita
al dettaglio dei prodotti realizzati con gli estratti
della lavanda che rappresentano una valorizzazione
economica alimentata dal contesto.
In conclusione, riferendoci a quest’ultimo caso non
possiamo esimerci dal citare una notizia (recentemente riportata in un bel articolo dello scorso
novembre sul Fatto Quotidiano, a firma di C.
Soffici), emblematica della particolare specializzazione in cui noi italiani sembriamo non avere rivali:
l’autolesionismo. La scorsa primavera sono stati in
esposizione per alcuni mesi al British Museum, su
concessione della Sovrintendenza Archeologica di
Napoli, 250 reperti di Ercolano e Pompei. Si sono
registrati afflussi record e incassi multimilionari
per l’organizzazione, con decine di italiani in coda
e con altri, disperati, per non aver prenotato e per
essere stati esclusi dalla possibilità di vedere a Londra un millesimo di quello che potrebbero vedere a
casa. La mostra è risultata la terza esposizione per
importanza da quando il museo ha aperto la propria
attività, fin dal 1753. Mentre legioni di stranieri si
recavano a vedere la mostra (anziché andare direttamente a Pompei ed Ercolano), i curatori inglesi
preparavano filmati e organizzavano dirette on-line
per le scuole del regno…
Volendo, il modo ci sarebbe…
21
<Val Bavona - Svizzera - Foto di Wasserfall b. Foroglio
< Milano - Cantiere Porta Nuova - Garibaldi
IL CONSUMO DEL SUOLO
NEL PIANO TERRITORIALE
DI COORDINAMENTO DELLA
PROVINCIA DI MILANO
Andrea Cassone, architetto e tecnico
del verde, ha studiato e pratica l’Arte dei
Giardini e la progettazione di Parchi e
spazi verdi; ha contribuito all’affermazione e alla divulgazione della Bioarchitettura
in Italia. E’ socio AIAPP (Associazione
Italiana di Architettura del Paesaggio) e
INBAR (Istituto Nazionale di Bioarchitettura).
AMBIENTE E TERRITORIO
(62.620 ha) del territorio provinciale; i dati (luglio 2012),
elaborati dal MISURC, dai PGT e dal PTCP, dicono
invece il 37,8% (59.556 ha) del territorio provinciale è
urbanizzato. Arrotondando, nella Provincia di Milano
– probabile futura Area Metropolitana – 4 mq su 10 mq
sono urbanizzati, cioè il quaranta per cento del territorio.
Per fotografare la realtà al dato, molto alto, si deve
aggiungere la descrizione della percezione effettiva
del consumo di suolo, poiché la misurazione non entra
nel merito del “tipo” di urbanizzazione. L’effetto “urban sprawl” e la onnipresenza di infrastrutture di ogni
tipo e genere porta ad una percezione del territorio per
cui l’urbanizzato appare maggiore di quanto rilevabile
quantitativamente. Da qui nascono il senso di disordine,
spaesamento, degrado che sono all’origine della disaffezione e della degenerazione dei territori costruiti (a cui
è veramente difficile assegnare un nome, sono territori
indefinibili, talvolta e paradossalmente persino privi
persino della dignità dei “non luoghi”).
Le previsioni di Piano (PTCP).
Il PTCP esplicita innanzitutto i criteri dei provvedimenti
di contenimento del fenomeno, poi regola a tal fine (atti-
Considerazioni finali.
Benchè studiato e predisposto secondo criteri di analisi
largamente condivisibili il piano sembra prendere in considerazione prevalentemente i dati quantitativi relativi al
consumo di suolo, senza entrare nel merito della qualità
dei territori, di cui i suoli agricoli e naturalistici sono una
parte tanto importante. Per qualità dobbiamo intendere
qualcosa di essenzialmente extra-qualitativo, la qualità è
la “forma” di un territorio, è ciò che, per esempio, ne fa
un paesaggio. Gli strumenti di pianificazione territoriale,
raramente si confrontano con i temi “formali”, i temi del
paesaggio ed è sicuramente un limite dello strumento
“piano”. Il loro approfondimento è invece sempre più
necessario, e richiede nuovi strumenti poiché si tratta di
temi intimamente connessi alla percezione degli spazi,
alla loro organizzazione. Rimandando al nostro precedente scritto, già citato, torniamo allora a sottolineare che
il problema del consumo di suolo o dell’alterazione dei
suoli è anche e largamente un problema di percezione;
si può infatti agevolemente constatare che l’impatto del
dato quantitativo è amplificato, nella realtà, dallo stato
di profondo disordine del territorio, uno stato indefini-
vità normativa) la trasformazione urbanistica.
Il principale criterio di contenimento del fenomeno è la
regolamentazione dell’attività di trasformazione urbanistica. L’attività di potenziamento, incentivazione e
promozione delle destinazioni naturalistiche e agricole,
pur presente e notevole, sembra occupare una posizione
secondaria nell’espressione degli obbiettivi di piano.
Le Norme di attuazione del Piano prevedono per i Comuni restrizioni importanti (che prevedono anche l’azzeramento) delle possibilità di trasformazione urbanistica
che implichino consumo di suolo. Per essere ammissibili
esse saranno subordinate a condizioni precise come, per
esempio attraverso l’analisi delle aree urbanizzate e da
urbanizzare, l’impegno al riuso di almeno il 30% delle
aree dismesse o da recuperare, il miglioramento della
concentrazione degli insediamenti, l’attuazione di almeno l’80% delle previsioni di trasformazione.
Le amministrazioni comunali potranno anche, una tantum, calcolare la percentuale ammessa di nuovo consumo
di suolo, sulla base di indicatori di sostenibilità (densità
insediativa, mix funzionale, gestione acque meteoriche,
aree verdi ecologiche, energie rinnovabili).
bile che la tradizionale suddivisione in paesaggi urbani,
rurali, silvestri non è più da tempo in grado di descrivere. Occorrono quindi nuovi strumenti di lettura e nuove
politiche di intervento, che permettano di comprendere la
ragione profonda del disordine (intimamente connesso, a
nostro parere, alla mobilità, automobilistica e alla facilità
di approvvigionamento energetico), di provvedere poi
ad azioni indirizzate alla formazione di un nuovo ordine, poiché è proprio un ordine ciò che manca. Ordine
da perseguire ripristinando, potenziando, tutelando e
conservando l’integrità dei terreni agricoli e ancora naturalisticamente intatti; delimitando rigorosamente i centri
urbani, favorendo e incentivando piani di “riassorbimento” dell’edificato in essi, attraverso demolizioni/ricostruzioni; governando, qui sì con rigorose politiche di piano,
le reti infrastrutturali, che non dovrebbero più “correre”
dietro esigenze drammatiche e impreviste, ma invece
ordinare e limitare dei fenomeni, come il traffico automobilistico, dalla natura ambigua; fenomeni che sono
sì espressione di ricchezza ma che in pari tempo, se non
governati e limitati, sono all’origine della disgregazione
di qualsiasi ordine territoriale (dissolvendo e uniformando gli antichi paesaggi).
22
ecoIDEARE - Gennaio 2014
I terreni naturali o agricoli sono l’oggetto del consumo,
consumo che si manifesta attraverso la sottrazione di
superficie a causa dell’urbanizzazione crescente.
Per arginare il fenomeno, Il DDL - proposto dai Ministri
delle politiche agricole alimentari e forestali, per i beni
culturali e dello sviluppo economico ed infrastrutture tendeva ad ostacolare la trasformazione (l’alterazione)
dei suoli attraverso il divieto al mutamento di destinazione d’uso per le superfici agricole, in alcuni casi specifici ben definiti (per esempio nel caso delle superfici
oggetto di aiuti economici); perseguiva poi la valorizzazione dei suoli agricoli e la promozione dell’agricoltura
anche al fine di favorire il recupero di nuclei abitati
rurali. La salvaguardia dei suoli naturali non coltivati
e di quelli agricoli veniva considerata urgente e tale
da richiedere un’azione rapida ed energica. L’azione si
sarebbe potuta articolare nel fissare un limite massimo
al consumo di suolo (estensione massima di superficie
agricola consumabile; salvaguardia della destinazione
agricola dei suoli); nel reperire risorse per la gestione
del territorio e la riduzione del rischio idrogeologico
attraverso la destinazione di parte dei proventi derivanti
dall’attività edilizia alla qualificazione dell’ambiente e
del paesaggio; nel porre infine all’attenzione pubblica il
problema del deficit alimentare del territorio nazionale,
rispetto alla popolazione insediata. L’insufficienza della
produzione agricola (e la conseguente mancata riqualificazione delle colture) è grave e pericolosa, in prospettiva futura, ma soprattutto incomprensibile pensando a un
territorio, come quello italiano, che potenzialmente è il
giardino d’Europa.
Il consumo di suolo, nel PCPT della Provincia di Milano, è misurato attraverso il confronto dei dati forniti dai
Comuni (MISURC – Mosaico Informatizzato degli
Strumenti Urbanistici Comunali) e dal DUSAF (Destinazione d’Uso dei Suoli Agricoli e Forestali).
Secondo i dati 2009 forniti dalle carte DUSAF, le aree
antropizzate (cioè, consumate) occupano il 39,76%
23
Cesano (MI)>
Il Piano Territoriale di Coordinamento della Provincia
di Milano (PCPT) è un piano urbanistico la cui nuova
redazione è stata assunta dal Consiglio Provinciale il 7
Giugno 2012, le cui controdeduzioni alle osservazioni e
alla verifica regionale sono state approvate il 29 Agosto
2013 e che è stato infine trasmesso al Consiglio Provinciale, per la sua definitiva approvazione, il 9 Settembre
2013.
Il PCPT tratta direttamente il problema del consumo
del suolo. Prima di entrare nel merito del Piano è utile
riportare la definizione di “consumo del suolo” su cui
esso si basa.
Il “consumo del suolo”.
Il consumo del suolo è “un processo”, qualificato come
“antropico”, che prevede la “trasformazione” di superfici naturali o agricole. Più precisamente - con riferimento
al Consiglio dei Ministri n.54 del 16 Novembre 2012,
tenutosi sotto la Presidenza di Mario Monti, che approvava un Disegno di legge quadro in materia di valorizzazione delle aree agricole e di contenimento del suolo,
(DDL), sulla spinta dello sgomento per le alluvioni di
quel periodo – il consumo di suolo è il “risultato di un
processo” di impermeabilizzazione, urbanizzazione ed
edificazione, per fini estranei all’attività agricola.
In un nostro precedente contributo, pubblicato su questa
rivista, dal titolo “Il suolo in Lombardia diventa sempre
più sterile, come possiamo rallentare questo processo di
alterazione”, si è cercato di spiegare perché il termine
“consumo del suolo” è, a nostro parere, insoddisfacente e perché l’espressione può essere fuorviante e poco
rappresentativa del reale processo in atto. E’ un’espressione “forte”, ma ambigua, poiché propone una lettura
negativa di un’azione, il consumo, del tutto naturale e a
cui tutti partecipiamo.
Perciò preferiremmo che si impiegasse il termine alterazione: tuttavia poiché “consumo di suolo” è un’espressione ormai d’uso corrente, la impiegheremo qui anche
se con riserva.
Usmate (MI)>
di Andrea Cassone
AMBIENTE E TERRITORI
Come salvare l’Alta
Valle Camonica
di Dario Sonetti
Edolo, un piccolo centro in provincia di Brescia, grazie alla realtà associazionistica locale OTE è d’esempio per la salvaguardia del territorio e la maggiore
consapevolezza dei valori dei beni comuni.
5.000 anime e un territorio che almeno al turista di
passaggio appare piacevole, lontano dalle speculazioni edilizie invasive di località vicine rinomate per la
villeggiatura come Ponte di Legno o l’Aprica e per
questo considerato meno ambito da chi viene da fuori.
Che problemi ci possono essere in un luogo come
questo - dove si ha meno ricchezza ma più tranquillità, rispetto alle tante realtà disastrose che costellano
il nostro Paese che valga la pena evidenziare per cui
combattere una battaglia civica coinvolgendo la popolazione e le Istituzioni locali?
Il problema in Alta Valle Camonica è salvaguardare
il territorio, da considerare scrigno di valori e beni
da condividere in nome di una qualità di vita e di una
identità comunitaria, che rischiano di perdersi negli
inganni di un benessere che raggiungono anche queste
quote e che alla fine portano beneficio solo a pochi
investitori speculatori. I costi di queste operazioni
privatistiche, ricadono però sull’ambiente e sul paesaggio, beni comuni che subiscono i danni maggiori e
vengono stravolti nei loro connotati e loro salubrità. I
cittadini assistono, molti indifferenti o incoscienti, altri
preoccupati e indignati. Qui, nel 2009, è sorto l’OTE,
Osservatorio Territoriale Edolese, da un gruppo di
amici che si ritrovano dopo tanti anni, alcuni con un’esperienza di vita maturata altrove, ma rimasti legati
al luogo d’origine, tutti accomunati da una sensibilità
ambientalista apartitica, ma desiderosi di difendere un
territorio con aspetti paesaggistici rilevanti e caratterizzanti la storia stessa del posto. La scommessa dei
fondatori dell’OTE è stata quella di rimettere nelle
mani della gente il futuro della propria terra, trasmettendo il messaggio che la comunità ha una voce che
può farsi sentire e che deve essere ascoltata da chi la
amministra attraverso scelte e decisioni più consone al
24
ecoIDEARE - Gennaio 2014
concetto di bene comune.
Già con una prima discesa in piazza - per una raccolte
firme da inviare al futuro sindaco, in occasione della
passate elezioni amministrative, per un’azione di
salvaguardia e rivalorizzazione di un’area critica del
territorio e di promozione del paese - ci si è resi conto
della difficoltà di entrare nella fiducia e partecipazione dei cittadini non usi a questo genere di iniziative,
tendenzialmente individualisti tipico delle genti di
montagna. Gli slogan accattivanti che accompagnavano la petizione erano: “Ricordatevi che la maggioranza degli edolesi deve ancora nascere!” e “Rispettiamo
la saggezza e l’amore dei nostri nonni per la terra!”
Più che contrariate, le persone erano disorientate da
un’azione simile e disilluse che potesse servire. Ciononostante, furono raccolte alcune centinaia di firme
che, successivamente all’elezione, furono consegnate
alla massima autorità del paese. Rincuorati dal risultato, l’OTE fu ufficialmente fondato e la prima richiesta
alla nuova Amministrazione cittadina fu un questionario da rivolgere a tutta la popolazione per sondarne
l’opinione e gli umori su alcuni temi che riguardavano
la funzionalità urbana e il valore che dava al proprio
territorio. I dati raccolti sarebbero anche serviti per la
stesura del nuovo Piano di Governo Territoriale (PGT)
in forma partecipata. Nel frattempo, aveva avuto successo la richiesta dell’OTE a Italia Nostra di inserire
la Piana e la Costa di Edolo nella Lista dei Paesaggi
Sensibili. I dati ottenuti dal questionario mostravano
una propensione dei cittadini che avevano risposto,
a salvaguardare il territorio e a dare maggior importanza ai valori ambientali (circa il 70%). Forte anche
di questi risultati l’OTE ha richiesto per l’area critica
l’istituzione a Parco agricolo o PLIS (Parco Locale di
Interesse Sovracomunale) presentando un suo proget-
molto lucrosi. Conseguenza ne è stato il sorgere di molti
impianti di captazione dell’acqua, a causa di una regolamentazione obsoleta che non tiene conto del paesaggio
e dell’ecologia dei corsi d’acqua. Si è aperta una nuova
raccolta di firme che solo a Edolo ha visto un migliaio
di cittadini aderire alla petizione in pochi giorni. Altra
importante iniziativa che vede l’OTE tra i suoi promotori è la creazione di un Biodistretto per promuovere in
Valcamonica un’attività agricola biologica e sostenibile
anche economicamente, rivolta ai giovani. Il progetto è
partito l’autunno scorso a Edolo, concretandosi con la
creazione dell’Associazione VALCAMONICA BIO che
oggi raggruppa circa venti piccoli produttori biologici
della valle. Nuovi progetti per l’OTE nel 2014, tra questi
il coinvolgimento delle scuole, dalle primarie all’Università della Montagna (che a Edolo ha la sua sede, essendo
un distaccamento della Statale di Milano). Scelta mirata
per trasmettere ai giovani la consapevolezza dei valori
autentici per creare un modello di benessere che non sia
quello consumistico attuale. Lo scorso ottobre è stato realizzato un evento che ha coinvolto i bambini delle scuole primarie, organizzando incontri in classe su argomenti
di natura e ambiente collegati ad uscite sul territorio e
piantumazione di alberelli nel nuovo Parco, intestati con
una targhetta a tutti i nuovi nati. Mentre, per i ragazzi
più grandi è stato organizzato un concorso di disegno e
fotografia dal tema “il nuovo Parco e come rappresentarlo attraverso le immagini”. La conclusione e premiazione
del progetto avverrà a maggio 2014, in occasione di una
Festa che vedrà ancora gli alberi e la Natura al centro
dell’interesse. All’Università della Montagna, invece,
verrà organizzato un convegno dal titolo “Il Valore della
<Fiume Oglio
Natura - Economia ed Ecologia: un matrimonio che s’ha
da fare”, dando
to. Nel frattempo, sono state innumerevoli le iniziative
particolare attenDario Sonetti biologo, è stato Professore
dell’OTE rivolte alla popolazione per informarla delle
zione
alla
corretta
associato afferente alla Facoltà di Bioscienze
azioni intraprese, come convegni e incontri sul territogestione di Riserve e Biotecnologie presso l’Università di Modena
rio, volti a trasmettere consapevolezza del valore dei
e Reggio Emilia dove tra l’altro ha insegnato
e Parchi naturali
propri beni comuni. La buona partecipazione di questi
Neurobiologia, Biologia del benessere, Funanche su un piano
zioni biologiche integrate e Parchi e Percorsi
anni è servita all’OTE per avvicinarsi maggiormente ai
economico.
naturalistici. E’ socio fondatore e Presidente
cittadini, dando anche maggior fiducia alle persone nei
dal 2009 dell’Osservatorio Territoriale Edolese
risultati dell’atto partecipativo. A sostegno della creazio- Infine, è allo studio www.osservatorioedolese.it nell’Alta Valle
un
Premio
per
gli
ne del Parco, l’OTE è ridisceso in piazza raccogliendo
Camonica per la difesa del territorio montano
e ottenendo, in questa occasione, una quantità maggiore studenti della sede dal consumo di suolo e la valorizzazione della
Universitaria di
cultura, del paesaggio e delle tradizioni locali.
di firme di cui l’Amministrazione pubblica ha dovuto
Edolo che protener conto. Il risultato tangibile è stato l’inserimento,
durranno tesi sul
nel 2012, del Parco dell’Ogliolo e della Rocca di Mu
nel Piano di Governo del Territorio. Ma le battaglie non Parco Comunale e il territorio edolese. Nel frattempo,
finiscono mai, l’OTE partecipa oggi attivamente ad altre il Comune ha tratto dei riconoscimenti lusinghieri per la
nuova politica ambientale, anche frutto della collaboraimportanti iniziative che coinvolgono, oltre il Comune
zione aperta con l’OTE: è stato insignito della prestigiosa
di Edolo tutta l’Alta Valle. In particolare, si è chiesto
Bandiera Verde di Legambiente e del premio “Un Bosco
insieme ad una ventina di altre Associazioni camune, ai
Governi di Provincia e Regione, una moratoria affinché per Kyoto” per iniziative ambientali di sostenibilità e
tutela del territorio, attuate ed in corso di attuazione, da
venga istituito un ordinamento chiaro per le richieste
parte dell’Amministrazione locale.
di captazione di acqua da fiumi e torrenti per costruire
Le azioni proposte dalla comparsa dell’OTE sembrano,
nuove centraline idroelettriche, soprattutto da parte di
al momento, vincenti e di esempio per altre realtà locali.
privati che vedono in questa forma di produzione energetica una grossa possibilità d’investimento e guadagno, Sulle orme dell’OTE sono nate altre associazioni simili
come l’Osservatorio Territoriale Darfense che sta difensfruttando un bene che deve essere considerato di tutti:
dendo il proprio territorio per gravi problematiche aml’acqua. L’OTE, in particolare, si sta opponendo a un
bientali locali, oltre che per il problema delle centraline.
progetto di centralina lungo il fiume Ogliolo, proprio
Si sta, inoltre creando un sistema a rete di appoggio recinel cuore del nuovo Parco che vedrebbe un torrente ad
proco tra le Associazioni a dimostrazione che la popolaalta valenza paesaggistica e naturalistica ridotto ad un
zione può partecipare alla gestione del proprio territorio,
rigagnolo maleodorante. Quello delle centraline idroecollaborando con le Amministrazioni più lungimiranti
lettriche è un problema comune ad altre valli alpine. Il
fenomeno è nato su un’onda nazionale di promozione di e che le scelte di utilizzo del territorio determinano la
qualità della vita che non viene solo da ciò che si può
energie rinnovabili che doveva essere virtuosa, ma che
possedere, ma da come si è capaci di vivere con ciò che
per gli interessanti incentivi statali promessi, ha creato
l’occasione, soprattutto per imprese private, di fare affari ci circonda, in un rapporto più armonico ed equilibrato.
E non è poco di questi tempi!
25
AMBIENTE E TERRITORI
NIENTE COMUNIONE
A CHI INQUINA
di Roberto Bonsaglio
Così ha detto il cardinale di Napoli Sepe che ha manifestato il pensiero della Chiesa nei
riguardi della “ Terra dei fuochi”.
26
eco“Gomorra”
IDEARE --Gennaio
2014
< Frame
film
Foto di Canburak
Alla voce dell’illustre prelato, con altrettanta veemenza, si è unito pure l’arcivescovo di Acerra che
ha detto “chi inquina è nostro nemico”.
Padre Patriciello, parroco della zona e motore
della marcia dei centomila cittadini per dire no al
biocidio, ha chiesto alle istituzioni di non ”fare
finta di non vedere. Ora sarebbe un vero sacrilegio”.
Quindi la Chiesa, non sussurra ma grida tutta la
sua indignazione verso il piano criminale che da
anni la camorra sta portando avanti nella piana
dei campi Flegrei, area molto abitata e ad alta
produzione agroalimentare.
Questa zona, oggi, è tristemente chiamata la
“Terra dei fuochi”, titolo di un capitolo del libro
“Gomorra” di Roberto Saviano che anticipava
questo disastro ecologico ed umano che si stava
perpretando ai danni della collettivita’ nell’area
che si estende fra Napoli e Caserta, divenuta una
delle discariche illegali, abusive più grandi ed
inquinantii del nostro Paese.
In particolare, il triangolo Acerra, Nola, Marigliano.
I cumuli di rifiuti, illegalmente riversati nelle
campagne, o ai margini delle strade, vengono incendiati dando luogo a roghi i cui fumi si diffondono nell’atmosfera ed il liquame si insinua nelle
falde acquifere circostanti.
Gli esami dell’Arpa della Campania segnalano
una forte presenza di sostanze tossiche, tra cui
diossina, veleni, ammoniaca, zinco,cromo, un vero
campionario di metalli pesanti.
Arrosto di catrame, così qualcuno ha definito
questo enorme danno ecologico ed ambientale.
Tutto questo scempio, con la regia della Camorra
ed in particolare del clan dei casalesi, ha avuto
conferma, dagli interrogatori, (poi seguiti dal pentimento del capoclan Carmine Schiavone,) realizzati nel 1995, ma diffusi solo oggi dopo aver tolto
il segreto di Stato: verbali desecretati nei quali si
parla, fra le altre atrocità, con dettagli che non
danno adito a dubbi delle centinaia di tonnellate
di liquame e rifiuti tossici riversate e sotterrate in
questa area.
Se l’ecomafia ha provveduto allo smaltimento,
quali erano i luoghi di provenienza del materiale
tossico?
Sempre a detta di Schiavone una piccola parte
dalla stessa regione Campania, il resto dalle aziende del Nord Italia e Nord Europa.
Si accettava di tutto, compreso residui di materiale nucleare ...
Il gioco risultava essere semplice, la criminalita’
comprava i fondi agricoli della zona che venivano
trasformati in enormi buche pronte ad accogliere
i camions di rifiuti che arrivavano, ovviamente,
di notte.
Un lavoro che non poteva passare inosservato
Un business miliardario con profitti di 600/700
milioni al mese.
Da anni gli abitanti della zona, una delle maggiori entita’ abitative reclamavano e denunciavano
i continui malori e morti per tumore causati
dall’ambiente insano. Erano e sono essenzialmen-
te i bambini ad essere colpiti da questi veleni.
A nulla sono servite le battaglie dei genitori e la
scesa in piazza degli abitanti. E ci sono volute le
dichiarazioni di un pentito di mafia per portare
alla ribalta la “Terra dei fuochi”.
I danni commerciali e di immagine, oltre alla salute, sono enormi: una piana produttiva fra le più
attive della nostra penisola ridotta ad un immondezzaio inavvicinabile.
Tutta la produzione casearia è da buttare: aziende con marchi affermati hanno visto ritornare le
loro merci, poiché prodotte in questa zona, fino
ad arrivare al divieto di importazione da parte di
alcuni Stati, leggi il Giappone con la mozzarella.
Il pericolo è che qualche malintenzionato o imprenditore di pochi scrupoli bypassi le regole ed
usi questi scarti malati per farne commercio.
Le autorità e la task force messa in atto affermano che le falde acquifere sono già state individuate e messe in quarantena e che la piana è sotto
controllo, anzi invitano a non screditare tutta la
produzione.
Fidatevi di noi, ma come si fa a fidarsi di una Amministrazione Pubblica che per anni non ha avuto
dubbi su questa convivenza ?
Per fronteggiare questo enorme pericolo ed evitare che si moltiplichino altre terre dei fuochi, il
Governo ha emanato un decreto legge con il quale
bruciare i rifiuti, oggi , è reato penale.
Una risposta tardiva che pone molti interrogativi
e ci riporta a quanto avvenuto a Napoli qualche
anno fa con “munnezza selvaggia”: una città bloccata e sommersa dai rifiuti.
Di chi la colpa? Dobbiamo aspettare che il prossimo pentito di mafia ci racconti come stanno le
cose ?
Il nuovo sindaco di Napoli, DeMagistris, ha promesso
“ obiettivo zero immondizia”
C’è da credergli?
Buon lavoro, dunque!
27
ALIMENTAZIONE
CONSUMO DI SUOLO,
A RISCHIO LE COLTURE
DI QUALITA’
del suolo è anche individuato con il termine di impermeabilizzazione per l’effetto che ciò può rivestire in
ambito idrogeologico.
La perdita di suolo agricolo nazionale è di circa 21
ettari ogni giorno, a livello europeo perdiamo all’incirca 100.000 ettari ogni anno, equivalente all’area
corrispondente alla città di Berlino; a livello Ue i
Paesi che consumano più suolo dell’Italia sono la
Spagna (48 ettari/giorno), Germania (27 ettari/giorno)
e Francia (35 ettari/giorno). Sempre a livello europeo
tale sottrazione di suolo è stata stimata in una perdita
produttiva pari a circa 6 milioni di tonnellate equivalenti di frumento; fra il 1990 e il 2006 gli stati dell’Ue,
a seguito della sottrazione di suolo agricolo, hanno
perso all’incirca l’1% della loro capacità potenziale di
produzione agricola. E’ stato anche calcolato che, in
virtù dei differenziali di resa produttiva, la perdita di 1
ettaro dell’Europa Centrale comporti la messa a coltura di circa 10 ettari in altre aree, oggi meno produttive.
di Fabrizio Piva
Amministratore Delegato CCPB
La sostenibilità non è certo un tema “di oggi”, fin da
prima che il biologico fosse disciplinato nel 1991 da un
Regolamento CEE. l’attenzione verso la sostenibilità dei
processi produttivi era forte e proprio il biologico nasce
anche sulla scia di questa attenzione e preoccupazione.
Come Italia dal 1990 al 2000, la SAT (Superficie
Agricola Totale) è diminuita dell’8%, mentre la SAU
(Superficie Agricola Utilizzata) è diminuita del 2,3%.
Il territorio artificializzato è pari al 7,1% del territorio
nazionale contro una media europea del 4,3% ed è
aumentato in questo decennio dell’1,8%. La perdita di
suolo è stata di circa 28.000 ettari/anno.
Tali conseguenze ed i differenziali di resa fra terreni più o meno fertili portano alla necessità di dover
inaugurare processi di pianificazione territoriale che
tengano conto della fertilità dei suoli e di un approccio
multifattoriale.
< Discariche abusive nei cantieri di Maruzzella (NA) - Foto di Valeria Gentile
Oggi, vi è solo maggiore consapevolezza e quello
che trent’anni orsono sembrava materia per esperti,
è divenuto patrimonio comune di molti consumatori
e cittadini. Il cambiamento climatico, esperienza che
ognuno ha potuto fare, la scarsità di acqua pulita e
potabile, sono solo alcune degli aspetti che hanno un
impatto concreto sui consumatori e che hanno instillato negli stessi l’opinione che dobbiamo salvaguardare
l’unico Pianeta di cui disponiamo.
Accanto all’acqua l’altra grande risorsa “scarsa” è il
suolo o meglio la superficie su cui coltivare i prodotti
di cui ci nutriamo e di cui entriamo in contatto. Pensiamo solo alle fibre tessili per i nostri abiti, le materie
prime per le nostre “bio plastiche”, le sostanze naturali
di cui sono composti oggi molti prodotti della cosmesi
naturale o anche le materie prime che servono a produrre parte dell’energia che “fa muovere” il mondo.
In una situazione di domanda crescente, dovuta sia al
miglioramento delle condizioni economiche di molti
paesi ad economia in fase di sviluppo che alla maggiore pressione demografica, il concetto di sostenibilità
non è più solamente ridotto alla sfera ambientale e
qualitativa, ma anche e soprattutto a quella quantitativa. La crescita demografica, che si prospetta al 2050
possa raggiungere 9 miliardi di persone, già oggi pone
sfide epocali al mondo dell’agroalimentare, imponendo una crescita delle rese produttive e la necessità di
28
ecoIDEARE - Gennaio 2014
porre a coltura terreni che, ancora oggi, dovrebbero
essere abbandonati. La richiesta di risorse naturali
“biocapacità”, a livello mondiale, ha sorpassato la
disponibilità delle medesime. Queste misure raggiunsero l’equilibrio fino alla seconda metà degli anni
’70, a partire da quel periodo, la quantità di risorse
necessarie a soddisfare le esigenze di una persona ha
raggiunto nel 2007 l’equivalente di 2,7 ettari, quando
la disponibilità di risorse disponibili per persona arriva
a 1,8 ettari, ovvero il cittadino medio ha un’impronta
econogica che supera la biocapacità di circa il 25%.
Ciò ha comportato che il cittadino medio dell’UE e del
Nord America ha un’impronta ecologica che rispettivamente assomma a 4,9 e 10 ettari, quando la media
mondiale disponibile è di 1,8 ettari. Da ciò si può
notare come già oggi lo squilibrio fra mezzi disponibili e domanda siano nettamente a sfavore dei primi e
come l’innovazione tecnologica e la razionalizzazione
nel consumo delle risorse debbano essere applicate
per soddisfare le esigenze di una popolazione in forte
crescita e in squilibrio.
A questo si deve aggiungere nei paesi ad economia
sviluppata, fra cui il nostro, un progressivo consumo
di terreni per usi extra-agricoli.Tutto ciò porta a squilibri economici, situazioni di neocolonialismo, impoverimento dei paesi già di per sé poveri, occupazione
di suolo con infrastrutture che in molti casi generano
dissesto idrogeologico, perdita di risorse naturali e di
biodiversità, riduzione della produzione agricola e, nel
caso dell’Italia, minori potenzialità per l’ottenimento
di prodotti di elevata qualità fra cui riscontriamo sia i
prodotti tipici che quelli biologici. In questo modo si
riduce, da un lato, uno degli “asset” portanti del nostro
export e del nostro “Made in Italy” nel mondo e, dall’altro, si peggiora la qualità della vita delle persone incidendo negativamente sul paesaggio e sulle risorse con
un’elevata densità abitativa in alcune aree, le più fertili e
produttive, ed un progressivo spopolamento in altre aree,
poco fortunate sul piano manifatturiero e infrastrutturale.
L’assenza di una programmazione territoriale, che negli
ultimi decenni abbia tenuto conto dello sviluppo armonico del paese, ha portato ad un progressivo consumo di
suolo per abitante che, secondo fonti ISPRA, a partire
dal 1956 al 2010 è passato ad 170 a 340 mq/abitante. In
termini percentuali, dal 1956 al 2010, il consumo di suolo è passato dal 2,8 al 6,9% con differenze fra Regioni
che volendo citare le più significative vanno da meno del
2% in Valle d’Aosta, al 10% in Veneto, al 12% in Lombardia ed al 4% in Abruzzo. Ragionando per macroaree
il Nord ha raggiunto nel 2010 una media di consumo
di poco superiore al 7%, mentre il sud Italia è di poco
inferiore al 6%. Analizzando questi dati avendo davanti
la cartina d’Italia, si può notare come le aree più fertili
delle pianure siano quelle che hanno subito il maggior
utilizzo per scopi extra agricoli. Il livello di “copertura”
Il suolo non può essere considerato alla stregua di
un semplice substrato inerte ma piuttosto una risorsa
“finita” e vitale che, grazie alla sua fertilità, consente
di mettere a disposizione materie prime necessarie allo
sviluppo armonico delle popolazioni.
Ciò deve far riflettere sulla necessità che solo i suoli
dotati di una fertilità più bassa debbano essere destinati
ad usi extra agricoli, come si debbano ristrutturare le
aree non agricole eventualmente abbandonate prima di
procedere alla “urbanizzazione” di nuove aree. Altro
elemento da tenere in considerazione è la necessità che
la pianificazione sia il frutto dell’apporto di più amministrazioni; non può essere più consentito che ogni
singola amministrazione comunale pianifichi le proprie
aree produttive e gli insediamenti commerciali ed abitativi in modo del tutto indipendente dalle altre amministrazioni confinanti. E’ necessario che “in primis” si
utilizzino le aree inutilizzate e che poi si pianifichi le
aree in modo sinergico cercando di ridurre al minimo
lo spreco di suolo. Così come oggi si è affermata la
lotta allo spreco del cibo, è necessario che si annulli
anche lo spreco del suolo e ciò che deve guidare la
pianificazione non deve essere la speculazione edilizia, ma la salvaguardia della risorsa suolo, essenziale per il futuro delle collettività.
Da questo punto di vista la Commissione UE ha definito una “roadmap” che dovrà condurci ad azzerare entro
il 2015 i consumi di suolo, un obiettivo incoraggiante
che ci deve vedere tutti coinvolti al fine di salvaguardare gli spazi rurali e la produttività che ci consente di
mantenere e sviluppare l’ottenimento dei nostri migliori prodotti di qualità apprezzati, e in molti casi imitati,
in tutto il mondo.
29
Vini biologici,
biodinamici, naturali?
Purchè buoni!
di Pier Francesco Lisi
giornalista enogastronomico ed enologo
Se fino a venti anni fa c’era il vino e basta, oggi ne
abbiamo per tutti i gusti, le idee (o forse le ideologie) e
le tasche: vino biologico, biodinamico, naturale, libero,
senza solfiti, verde o ecologico, vegan.
30
ecoIDEARE - Gennaio 2014
< Foto di Antonio Popone
ALIMENTAZIONE
Un paio di anni fa mi è capitato di partecipare a un convegno tecnico di enologia. Ha preso la parola uno dei più
importanti e famosi enologi italiani, apprezzato in tutto il
mondo, che ha delineato scherzosamente una figura pittoresca che si aggira nell’ambiente del vino: l’enologo (o il
viticoltore) biodinamico. Capelli abbastanza lunghi e un po’
arruffati, abbigliamento informale da gentiluomo di campagna e, soprattutto, in qualunque sede ed occasione, scarponi
pesanti “da vigna”, rigorosamente infangati. Un’immagine
scherzosa ma che fotografa una tendenza del vino diffusa
negli ultimi anni. Un vero ginepraio in cui il consumatore
ha difficoltà ad orientarsi: per questo, cercheremo di dare
alcune coordinate per orientare i nostri acquisti e, in ultima
analisi, le nostre bevute.
Il vino biologico
Partiamo dal vino biologico o da agricoltura biologica, così
come riconosciuto dalla normativa europea appena da pochi anni. Se infatti l’agricoltura bio esiste dal lontano 1991,
il vino biologico, ha una vita ben più breve, poco più di un
anno. Prima esisteva una sola denominazione: “vino ottenuto da uve da agricoltura biologica”. Una formula lunga e
un po’ contorta per spiegare al consumatore che quel vino
era fatto esclusivamente con uve provenienti da vigneti
controllati e certificati perché coltivati secondo i principi
dell’agricoltura biologica. Il controllo, per capirci, si fermava sulla soglia della cantina, quando le uve vendemmiate
venivano scaricate per avviare la vinificazione. Ora c’è un
regolamento (n.203/2012) che si occupa anche della vinificazione, vietando l’uso di una serie di sostanze chimiche
e di pratiche fisiche per la vinificazione. Le norme prevedono anche un abbassamento della soglia ammessa per la
solforosa, presente nel vino sotto forma di solfiti, dannosi
per la salute e allergenici. Da quando è nato ufficialmente,
il vino biologico ha subito attacchi, numerosi e spesso,
apparentemente, immotivati. C’è forse un po’ di gelosia da
parte di altri produttori di vini “naturali” o anche la paura
che la forza del biologico, accettato e apprezzato da milioni
di consumatori, tolga spazio di mercato ad altri vini. Fatto
sta che gli attacchi hanno spinto FederBio, la Federazione nazionale del biologico, a reagire per far conoscere e
apprezzare questi vini, a partire dall’ultimo Vinitaly. Nella
prossima edizione 2014 dovrebbe anzi nascere un “Vinitaly
bio”, una sezione esclusivamente dedicata a questi vini.
I vini naturali
Si tratta di una categoria relativamente ampia di vini, e
quindi di vignaioli, che in molti casi fanno riferimento ad
associazioni che si riconoscono in un manifesto, in una carta o in alcune norme comuni. Spesso si tratta di produttori
seri e di vini interessanti. In alcuni casi, però, in nome di
una presunta naturalità si accettano vini con difetti, alcune volte decisamente imbevibili. Vini che non accettano
critiche proprio in nome della loro originalità e genuinità.
Alcuni dei manifesti dei produttori naturali sono seri e ben
fatti, altri sono francamente discutibili, molto “filosofici” e
assai poco concreti; in quasi tutti i casi il limite fondamentale è quello del controllo. Chi garantisce che un determinato disciplinare sia rispettato? Questa è la forza e, al tempo
stesso, il limite di un sistema come quello dell’agricoltura
biologica. In altri casi dietro disciplinari fantasiosi e molto
“ad effetto”, si scoprono sorprendentemente grandi aziende
vitivinicole che lasciano dubbi sulle possibilità di adattarsi
a queste nuove filosofie. Operazioni di enomarketing, ben
confezionate per consumatori più o meno sprovveduti,
magari grazie al comunicatore di turno?
Ci sono anche i biodinamici
Molti consumatori hanno imparato a conoscere e apprezzare i prodotti dell’agricoltura biodinamica, un tipo particola31
re di agricoltura biologica, nata dalle idee dell’austriaco
Rudolph Steiner. Un’agricoltura basata su una visione
filosofica del rapporto tra la terra e gli organismi viventi,
come le piante. Se il biodinamico incontra ancora molte
perplessità nel mondo scientifico, in campo enologico
ci sono aziende di prestigio, a partire dalla Francia, che
hanno fatto questa scelta, con vini di altissima qualità. In Italia possiamo trovare i vini certificati Demeter
(l’associazione internazionale del biodinamico), che da
agosto 2013 fanno riferimento a un nuovo standard per
la vinificazione, più restrittivo rispetto al regolamento
UE sul vino bio. Ci sono anche produttori, però, che si
professano biodinamici e in molti casi lo sono, anche
seriamente, senza però avere alcun tipo di certificazione.
Basta fidarsi!
Anfore, lieviti selvaggi e dintorni
Nel variegato mondo del vino “naturale” c’è spazio per
tantissime idee, soluzioni fantasiose e novità, spesso
rispolverate dal passato. Così alcune aziende affinano i
loro vini migliori in otri di terracotta. Si magnificano le
doti particolarissime del vino affinato nella terracotta,
salvo scoprire che virtù molto simili sono quelle del
cemento, più umile, meno raffinato ma anche molto
meno costoso. Altro filone di “ritorno al passato”, quello
della fermentazione spontanea con i lieviti selvaggi, cioè
quelli naturalmente presenti sulle uve ma anche nei locali della cantina. Una pratica antichissima: così nacque
il vino, se stiamo alla Bibbia, al tempo di Noè. Da alcuni
decenni i progressi microbiologici hanno diffuso l’uso di
lieviti selezionati che si acquistano e poi si usano nella
propria cantina. Lieviti che garantiscono ottimi risultati
ma che spesso aiutano un po’ a “barare”, a caratterizzare
il vino con qualche aroma particolare legato appunto al
lievito, più che al tipo di vitigno o di uvaggio. In alcune
aziende il ritorno alla fermentazione spontanea è unito a
sofisticati controlli di laboratorio, mentre in altri casi la
pratica è più libera. Lieviti selezionati da demonizzare a
tutto vantaggio dei buoni, vecchi lieviti naturali? Secondo alcuni sì ma, molto dipende dalla filosofia con cui
viene fatto un determinato vino. Ci sono fior di vini che
usano lieviti selezionati, senza per questo penalizzare
la caratterizzazione data dal vitigno e dalla “terra”. Allo
stesso modo, la fermentazione spontanea non garantisce
da sola vini originali, ben fatti, con carattere. Tante le
novità enologiche anche in campo ambientale. Le bottiglie ri-riempibili, le etichette in carta riciclata stampate
con inchiostri ecologici, la rinnovata diffusione del vino
in dame come metodo per risparmiare e inquinare meno
sono solo alcuni esempi.
Senza solfiti o vegan?
Sul fronte salutista si segnalano i vini senza solfiti. Una
nuova frontiera che insegue consumatori sempre più
attenti alla salute e quindi alle allergie e alle intolleranze
ai solfiti, sostanza presente anche in altri alimenti, come
frutta conservata e crostacei. L’anidride solforosa, il
composto che dà origine ai solfiti nel vino, era nota fin
dal tempo dei Romani ed è usata in modo generalizzato in enologia da moltissimi anni. Una sostanza molto
utile in cantina ma poco amica della salute. Per fare vini
senza solfiti le ricette sono varie e in alcuni casi addirittura coperte da brevetto. C’è chi usa le virtù antisetti-
che dell’ozono e chi sfrutta la combinazione oculata di
buone pratiche. Negli ultimi anni c’è stato un vero boom
di questi vini, non solo nel mondo del biologico. Anche
in questo caso la linea guida è una sola: un vino senza
solfiti deve essere buono, anche se magari può avere una
vita più breve in cantina (i solfiti hanno tra i vari ruoli
proprio quello di proteggere il vino nel tempo). Discorso
ancora diverso per i vini vegan, prodotti senza alcun uso
di sostanze di origine animali, come albumine, proteine
del latte o colla di pesce.
Consigli per gli acquisti
Come orientarsi in questa giungla enologica? Il primo
consiglio, indispensabile, è quello di assaggiare e basarsi
in prima battuta sulle proprie sensazioni. Nessun vino
ha un valore, sia esso biologico, biodinamico, naturale o
ecologico, se è cattivo, se ha dei difetti evidenti, se non
regge a un minimo di conservazione. Una cosa è farsi il
vino per conto proprio, per noi e i nostri amici, e allora
magari accetto anche qualche difettuccio. Ma se il vino
deve essere venduto, magari anche a caro prezzo, non è
mai accettabile che abbia qualche difetto, che in sintesi
non sia buono. Il vino, peraltro, non è più nella nostra
società un alimento fonte indispensabile di calorie, come
nella civiltà contadina di appena 60 o 70 anni fa. La
regola benedettina, basata sull’alternanza tra la preghiera e il duro lavoro dei campi (Ora et labora), ammetteva mezzo litro di vino a pranzo e a cena. Una fonte di
calorie anche per i nostri contadini di pochi decenni fa,
quando ancora il lavoro manuale soprattutto in campagna era massacrante. Oggi il vino si consuma per piacere, per diletto, per gusto, spesso anche per status symbol.
Anche se andrebbe sempre consumato durante i pasti,
aumentano i consumi nuovi, dall’apericena all’happy
hour. Se il vino è un piacere, non ha senso condannarsi
a bere vini cattivi, anche se sono fatti dal guru enologico
del momento. Secondo consiglio. Comprando un vino
biologico so precisamente che cosa compro perché le
norme bio sono codificate e conosciute ormai da moltissimi consumatori. Anche in questo caso troverò vini più
o meno buoni, vini di di nicchia o di grande produzione,
bottiglie per la tavola di tutti i giorni e vini per le grandi
occasioni. In ogni caso il simbolo del biologico europeo,
la (brutta) fogliolina stilizzata formata da dodici stelle,
ci dice chiaramente come è stato fatto quel vino.
E negli altri casi, come mi regolo? Diciamo che non
possiamo fare altro che fidarci, del viticoltore ma anche
dei nostri sensi. In alcuni casi, in nome della naturalità,
del ritorno alle origini o della garanzia offerta dall’enogastronomo di turno, troviamo vini imbevibili o
comunque venduti a prezzi decisamente esagerati. Sta al
consumatore decidere come regolarsi.
Da un’idea di Pier Francesco Lisi, sono partiti i corsi Biodegustando, grazie alla collaborazione con l’associazione di viticoltori
bio ProBio Lazio. Quattro serate, una prima parte teorica dedicata
a tutti gli aspetti del vino bio (dalla coltivazione alle etichette,
dall’ambiente alla salute) e all’ABC della degustazione guidata.
Conclude una visita a una cantina bio, per vedere dal vivo la
realtà di questa produzione. Dopo Roma, Biodegustando porterà
i corsi anche in altre città: Bologna, Bari e Milano. www.biodegustando.it
32
ecoIDEARE - Gennaio 2014
< Degustazione vini
Con Biodegustando conosci e degusti i vini biologici
ASSOCIAZIONE VEGETARIANA ITALIANA
ALIMENTAZIONE
scelta vegetariana
un passo verso un
mondo migliore
di Carmen Nicchi Somaschi
< coppa di insalata - Foto di Biosara
Spesso mi sono sentita chiedere quale sia la motivazione
che induce a questo tipo di scelta e se le motivazioni
possono essere diverse: per un motivo del tutto banale, ad esempio, non si ama il sapore della carne, o per
salute, o per emulazione, o per moda. Io penso si debba
essere vegetariani per coerenza. Il vegetarismo è un atto
doveroso verso noi stessi. Se vogliamo veramente stare
bene è necessario ascoltare il nostro corpo, il nostro
pensiero e le nostre emozioni e alla fine ci rendiamo
conto che per stare bene è necessario essere coerenti
con noi stessi. Quindi è logico diventare vegetariani se
si amano gli animali, se si ama la natura, se si è convinti dell’importanza di vivere in modo sostenibile, se si
crede nella pace. Recenti studi hanno dimostrato che la
carne è uno dei maggiori responsabili dell’inquinamento
del nostro pianeta. Basti pensare che per la produzione
di un chilo di carne di manzo occorrono 10 chili di mangimi e 15.500 litri d’acqua, il che comporta l’emissione
di una quota di anidride carbonica paragonabile a quella
prodotta da un’automobile che percorre 250 chilometri.
Non ha senso quindi andare in bicicletta per non inquinare e poi mangiare un panino al prosciutto! E dicasi
altrettanto per quanto riguarda la fame nel mondo. Non
possiamo liberarci la coscienza con atti di rammarico
alla vista di bambini che muoiono di fame e non prendere atto che solo modificando le nostre abitudini alimentari potremo avere un impatto ambientale e sociale
molto minore. Jean Mayer, una nutrizionista di Harvard,
stima che la sola riduzione del 10% di produzione di
carne risparmierebbe una quantità di cereali tale da sfamare 60 milioni di persone. Per fortuna è oramai evidente che il luogo comune che soltanto la carne contiene le
proteine necessarie all’uomo è una menzogna derivata
dall’ignoranza. Legumi come i fagioli, le lenticchie, la
soia e i ceci, contengono, in proporzione, più proteine
di una bistecca. Questi miti delle proteine animali e di
eventuali carenze alimentari, legati alla nostra scelta alimentare, stanno crollando e chi vuole stare bene inizia a
capire che il non nutrirsi di carne dà benefici. Per questo
mi sento di affermare che la vera motivazione del vegetarismo è la Coerenza, basta solo fare un passo avanti a
tavola e nelle nostre abitudini.
Il primo passo verso il vegetarismo è l’eliminazione
dalla nostra tavola di tutto ciò che comporta l’uccisione
di animali. Con l’occasione, desidero sottolineare che i
pesci sono animali! Alcuni pensano di essere vegetariani
pur mangiando pesce, in realtà chi mangia pesce non
può definirsi vegetariano. Il pesce è un animale e la sua
sofferenza, quando viene pescato e costretto a stare fuori
dall’acqua, è paragonabile a quella di qualunque altro
animale terrestre.
Vi invito a fare un piccolo viaggio nel mondo VEG per
capire meglio questa scelta.
Lacto-ovo-vegetariano: consumo cereali, legumi, verdura, frutta, latticini, uova e miele. Praticamente tutto quello che non comporta l’uccisione diretta dell’animale, naturalmente si consiglia un consumo minimo di latticini e
uova, nei formaggi esigiamo il caglio vegetale, le uova
allevamenti bio.
Lacto vegetariano: consumo cereali, legumi, verdura,
frutta, latticini e miele. Per molti l’uovo è considerato
un simbolo di vita e come tale in alcune religioni orientali viene sconsigliato nell’alimentazione.
Vegan o vegano: consumo cereali, legumi, verdura, frutta. Escludono ogni alimento di origine animale
Crudisti: consumo cereali, legumi, verdura, frutta. Si
cibano al 80% di alimenti crudi, a volte qualcuno consuma formaggio lavorato a crudo, cioè non sottoposto
all’innalzamento della temperatura.
Fruttariani: consumano prevalentemente frutta, tra cui
molta frutta secca e disidratata.
Ho sempre sostenuto che i Veg, qualunque scelta alimentare fatta, dal lacto-ovo-vegetariano al fruttariano,
non sono migliori degli altri, ma sicuramente queste
sono scelte di alimentazione spesso legate a stili di vita
che aiutano a migliorare il mondo. Il vegetarismo è un
passo importante per la nostra vita, per quella degli
animali e del pianeta. C’è chi inizia piano facendo tappe
per abituarsi e chi invece di colpo mette il piede deciso
sul primo gradino, ognuno ha i suoi tempi, abitudini e
metodi, l’importante e fare questo primo gradino. Vivi
con coerenza!
33
di Marco Masini
Una moltitudine di criteri e una normativa sempre in
evoluzione e per alcuni aspetti poco chiara non facilita
la standardizzazione e la qualità del risultato.
Il consumo dell’energia è un tema molto caro e molto
caldo per il nostro Paese. Con un consumo primario, da
varie fonti, di circa 180 Mtep/anno (milioni di tonnellate equivalenti di petrolio), l’Italia rappresenta il 6%
di tutti i consumi della Unione Europea.
Di questi, giusto per ricordarcelo, solo il 20% circa
deriva da produzione rinnovabile, erratica, mentre il
resto viene da gas naturale, petrolio e carbone. Queste
ultime, il 76% del globale, per sopperire alla parziale
indisponibilità delle fonti rinnovabili nel corso delle
24ore, sono spesso sovradimensionate in termini di
stoccaggio e utilizzo. Analizzando i consumi primari
di energia per fonte, è possibile notare che negli ultimi
dieci anni il consumo di petrolio è diminuito del
34
ecoIDEARE - Gennaio 2014
21,7%, diminuzione dovuta principalmente alle scelte
energetiche del nostro Paese, che hanno privilegiato il
gas naturale e la generazione elettrica.
Nel trasformare i circa 180Mtep di energia primaria in
energia disponibile per le strutture, si perde per strada
circa il 22% dell’approvvigionato e del prodotto, a
causa di perdite ed inefficienze di produzione, trasporto
e stoccaggio.
Guardando l’altro lato della medaglia, il lato dei consumi finali, il settore del residenziale e del terziario
è responsabile del 32,1% del bilancio energetico
complessivo, e di tale aliquota, circa i due terzi sono
dovuti alla climatizzazione.
Si può quindi ben comprendere l’importanza di ag-
< Mountain Dwellings - Copenhagen - Denmark - BIG Bjarke Ingels Group - Foto ArchiTeam
Certificare
l’efficienza: più
facile dirsi che farsi
gredire il tema dell’efficienza nel consumo dell’energia
negli edifici.
La comunità europea, con la direttiva denominata EPBD
– Energy Performance Building Directive, diede, già
nel lontano 2002, impulso alla realizzazione di edifici a
basso consumo, indicando alcuni criteri di calcolo per
contabilizzare l’energia primaria consumata e di conseguenza l’efficienza degli edifici.
La normativa in materia di certificazione energetica
degli edifici è stata introdotta in Italia nel d.lgs. 19
agosto 2005, n. 192, recante le disposizioni di attuazione della direttiva 2002/91/CE sul rendimento energetico
dell’edilizia. Successivamente il D.lgs. 311/06, in vigore
dal 2/2/2007, aggiorna la materia con “disposizioni
correttive al D.lgs.192/05”.
Ma, come sempre, in Italia l’evoluzione normativa non
procede in modo semplice. Tra il 2007 ed il 2009 vi
sono stati altri provvedimenti che hanno provveduto
a correzioni, aggiornamenti, precisazioni e disposizioni tampone. Tra questi, in essere, si ricordano il
D.lgs. 30 maggio 2008, n. 115 (recante Attuazione della
direttiva 2006/32/CE relativa all’efficienza degli usi
finali dell’energia e i servizi energetici e abrogazione
della direttiva 93/76/CEE) e il D.l. 25 giugno 2008, n.
112, convertito nella l. 6 agosto 2008, n. 133 (prevedendo, l’obbligo di allegazione dell’attestato di certificazione energetica agli atti traslativi a titolo oneroso, nonché
l’obbligo di consegna e/o messa a disposizione dello
stesso a favore del conduttore).
Finalmente, con il DM 26 giugno 2009 vengono emesse le “linee guida nazionali”, e con il D.lgs. 3 marzo
2011, n.28 in vigore dal 27/03/11 si ha la “Attuazione
della direttiva 2009/28/CE sulla promozione dell’uso
dell’energia da fonti rinnovabili, recante modifica e
successiva abrogazione delle direttive 2001/77/CE e
2003/30/CE. (11G0067)”.
Ovviamente non poteva mancare il Decreto 22/11/2012,
“Modifica del decreto 26/06/2009, recante: «Linee guida
nazionali per la certificazione energetica degli edifici.»,
senza dimenticare che già dal 2005 si doveva procedere
alla certificazione energetica degli edifici, introdotta
come principio dalla Legge 10/91.
Insomma, l’Italia ha atteso il 2010 per accogliere la
Certificazione Energetica, nella sua rinnovata versione
2010/31/CE, ma nel frattempo, prima i Comuni più
virtuosi, poi le Province, infine le Regioni, si son mossi
per cercare di far ordine in quello che è poi diventato un
ginepraio di certificazioni e metodi di calcolo, oltre che
di standard costruttivi.
La difficoltà di arrivare ad una razionalizzazione sono
rappresentate dal recepimento della DE con la legge
153 pubblicata sulla GUE 18/06/2010, che però non ha
imposto una omogeneizzazione.
Con il “192” si erano definite le metodologie di calcolo e i requisiti minimi per la prestazione energetica
degli edifici e gli impianti termici per la climatizzazione invernale e per la preparazione dell’acqua
calda per usi igienici sanitari facendo riferimento alle
nuove UNI TS 11300.
Il ginepraio si infittisce se ci riferiamo al certificato che
dovrebbe attestare il consumo dell’edificio.
A decorrere dal 1 gennaio 2007, come introdotto dal d.
lgs. 192/05, dalle norme attuative e dalle disposizioni
dell’allegato I al 311/06, condizione necessaria per accedere agli incentivi, alle agevolazioni ed agli sgravi
fiscali di qualsiasi natura finalizzati al miglioramento
delle prestazioni energetiche dell’edificio, dell’unità
ECOABITARE
immobiliare o degli impianti interessati è il possesso
dell’Attestato di Certificazione Energetica dell’edificio o della unità immobiliare oggetto dei lavori di
riqualificazione energetica. Ma dal 22 agosto 2008
non è più necessario allegare agli atti di compravendita immobiliare l’attestato di certificazione
energetica (ACE) o l’attestato di qualificazione
energetica (AQE). Allo stesso modo per i contratti di
locazione (l’art. 35 comma 2 bis, del DL 112/2008 ha
abrogato i commi 3 e 4 dell’articolo 6 ed i commi 8
e 9 dell’articolo 15 del DLGS 192/2005 e successive
modifiche). Non sono state soppresse le restanti norme
del D.Lgs 192/2005, quindi se sussistono i presupposti
previsti dai commi 1bis, 1ter, 1quater dell’art. 6 del
DLGS 192/2005 il venditore deve consegnare l’ACE
o l’AQE.
Ma la normativa regionale in materia di certificazione energetica non è stata abrogata dal DL
112/2008 (Toscana, Emilia-Romagna, Piemonte, Liguria, Lombardia) dove si prevede l’obbligo di allegare
l’attestato alle compra-vendite e affitto.
Dal 28 dicembre 2012, con l’entrata in vigore del
decreto 22 novembre 2012, che ne abroga il relativo
paragrafo contenuto nelle linee guida nazionali per la
certificazione energetica, non è più possibile produrre un’autodichiarazione da parte del proprietario
in sostituzione dell’attestato di certificazione energetica e per edifici esistenti con superficie inferiore
ai 1000 metri quadri, in cui, a fronte della scadente
qualità energetica dell’immobile, si dichiarava che
l’edificio era in classe energetica G e i costi per la
gestione energetica erano molto alti.
Insomma, l’Italia è il Paese degli 8000 comuni e 110
province, e ciascun ente si sente padrone a casa propria, anche sull’efficienza energetica.
Fermo restando il rispetto dei principi stabiliti dalle
disposizioni nazionali, in materia di certificazione
energetica degli edifici la competenza legislativa spetta alle Regioni. Pertanto, in tale ambito, occorre fare
riferimento alle leggi regionali stabilite da ciascuna
Regione.
Sembra si possa affermare che rientri nella competenza dello Stato, l’emanazione di norme disciplinanti la
forma e la struttura dei contratti in connessione con
gli obblighi di dotazione della certificazione energetica, e l’attribuzione di sanzioni civilistiche in caso
di violazione degli obblighi stabiliti dalla normativa
energetica. Mentre, per quanto concerne le competenze delle Regioni, si può invece affermare che spetta
loro stabilire le fattispecie per le quali sorge l’obbligo
di dotazione della certificazione energetica, vale a dire
cioè stabilire i presupposti oggettivi e negoziali in
presenza dei quali sorge l’obbligo di allegazione. Rientra negli ambiti delle competenze regionali anche la
determinazione dei requisiti, di forma e di contenuto,
dell’attestato di certificazione energetica e l’individuazione dei soggetti abilitati alla redazione e al rilascio
dello stesso.
Le Regioni che hanno recepito la normativa comunitaria emettendo specifiche delibere su metodo di
calcolo, requisiti, forma e contenuto dell’attestato di
certificazione energetica, hanno anche provveduto ad
istituire i relativi database online per la registrazione
e la consultazione delle pratiche (ACE) nonché gli
elenchi dei tecnici abilitati per la professione di certificatore. In particolare la Lombardia è stata la prima
35
Regione ad adottare un sistema di certificazione
(CENED) capace di rendere immediatamente operativo
l’intero meccanismo grazie non solo alla definizione di
ruoli e competenze, ma anche mediante un modello di
calcolo capace di garantire uniformità nell’applicazione
delle regole. Anche la Regione Piemonte con l’approvazione della Legge 28 maggio 2007, n. 13 ha individuato gli indirizzi,
le prescrizioni e
gli strumenti volti
a migliorare le
prestazioni energetiche degli edifici
esistenti e di nuova
costruzione. Ha introdotto l’obbligo
della Certificazione energetica degli
edifici ed ha istituito il sistema SICEE
per la gestione
online dei certificati. Con l’entrata
in vigore della
Legge dello Stato
03/08/2013 n. 90
pubblicata sulla
Gazzetta ufficiale
03/08/2013 n. 181
nel caso di contratti di vendita, di trasferimenti di
immobili a titolo gratuito, di contratti di affitto e per
la esposizione di annunci relativi alla compravendita
gli immobili devono essere dotati di un attestato di
prestazione energetica. Con la pubblicazione in Gazzetta del Decreto 63/2013, l’attestato di certificazione
energetica sarà sostituito dall’attestato di prestazione
energetica (Ape). In attesa dell’emanazione dei provvedimenti di recepimento della direttiva parte della Regione Piemonte e dell’aggiornamento delle Linee Guida
Nazionali sarà ancora valida la redazione dell’Attestato
di Certificazione Energetica in sostituzione dell’Attestato di Prestazione Energetica.Delle Regioni autonome,
invece, è degna di nota la Provincia autonoma di
Trento, che si è mossa autonomamente all’indomani
dell’approvazione della direttiva europea 2002/91/
CE. Nell’attesa delle linee guida previste dall’art. 6
del d.lgs. n. 192/2005, è stato infatti dato incarico al
Dipartimento di Ingegneria Civile e Ambientale dell’Università di Trento di elaborare una metodologia per la
classificazione delle prestazioni energetiche degli edifici
in regime invernale ed estivo che fosse coerente con le
caratteristiche dei consumi del settore edilizio trentino.
Ancora oggi si naviga a vista, con algoritmi regionali
imposti o meno (come quello della regione Lombardia,
che ha messo in pista un carrozzone pubblico per la
realizzazione di un software che ha necessitato di molte
“messe a punto” e parecchi grattacapi ai certificatori)
e che permettono realmente buone prestazioni (come
KlimaHaus del trentino) o mettono toppe all’esistente,
dovendosi dotare del certificato energetico per la compravendita di immobili, generando la compravendita di
certificati on-line a 50 euro cadauno!
Secondo stime ENEA del 2004, a fronte di un costo di
costruzione che in termini energetici si aggira intorno a 5,5 Tep, in Italia un’abitazione da 90÷100 m2
richiede, per il solo riscaldamento, mediamente 1 Tep
all’anno. Se a quelli del riscaldamento si aggiungono
anche gli altri consumi di gestione, si può concludere
che in appena 3 anni un’abitazione brucia la stessa
36
ecoIDEARE - Gennaio 2014
energia necessaria a realizzarla.
Intervenire sui consumi civili in termini di sostenibilità
e di efficienza è quindi numericamente significativo,
soprattutto in uno scenario di crescita continua del
fabbisogno energetico. A tal proposito infatti le stime al
2020, redatte dalla CE sul risparmio potenziale dei
consumi di energia, ammontano al 27% per gli edifici
residenziali e
al 30% per gli
edifici commerciali. Occorre
a questo punto
sottolineare che,
mentre nel settore
commerciale le
maggiori opportunità di risparmio
sono offerte dal
miglioramento dei
sistemi di gestione
dell’energia, per
quello residenziale il problema
cruciale è dato
dalla scelta di una
corretta soluzione
dell’involucro
edilizio.
Il trend crescente in ambito europeo (con riferimento all’UE - 15)
della previsione della domanda di energia da condizionamento estivo è in costante aumento. Con riferimento alla situazione italiana, che nel corso degli anni
il fabbisogno energetico in termini di potenza installata
(GW) per la climatizzazione estiva ha raggiunto, ed
ora probabilmente anche superato, quello per il riscaldamento invernale. A causa di tutto ciò, si può dire che
gli obiettivi della certificazione energetica degli edifici
sono di varia natura, ma tesi, principalmente informare e rendere coscienti i proprietari degli immobili del
più probabile costo energetico relativo alla conduzione
del proprio “sistema edilizio” e incoraggiare interventi migliorativi dell’efficienza energetica della propria
abitazione mediante consigli che abbiano un corretto
rapporto costi/benefici.In questo modo anche i produttori ed i progettisti possono confrontarsi in tema di qualità
edilizia offerta, ed i proprietari che apportano miglioramenti energetici importanti ma poco visibili, come
isolamenti termici di pareti, tetti, etc., possono veder
riconosciuti i loro investimenti con un aumento del valore del proprio immobile. Infatti, negli ultimi tempi, si sta
affermando – finalmente – il concetto che l’efficienza
può essere un driver per migliorare la trasparenza
del mercato immobiliare fornendo agli acquirenti ed
ai locatari di immobili un’informazione oggettiva e
trasparente delle caratteristiche e delle spese energetiche dell’immobile. La certificazione energetica
consente agli interessati di ottenere dal fornitore/venditore di un immobile informazioni affidabili sui probabili
costi di conduzione il cui calcolo
si basa su condizioni climatiche e
di utilizzo standard, e l’acquirente
può e deve poter valutare se gli
conviene acquistare un immobile
dal costo maggiore ma migliore
dal punto di vista della gestione e
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37
AMBIENTE E TERRITORI
ECOABITARE
ABBATTERE I CONSUMI
NEL COSTRUITo
di Luigi Paolino
Migliorare l’involucro per consumare meno e rinnovare l’estetica.
Progetto per la riqualificazione energetica e funzionale di un edificio residenziale/commerciale a Borgo San Giacomo (Bs). Sistema di rivestimento «a cappotto» e serramenti in
legno di elevato spessore con vetri isolanti. I nuovi serramenti sono molto arretrati rispetto
al filo di facciata per sfruttare l’imbotte quale protezione all’irraggiamento estivo, così
come il sistema degli sporti di gronda riduce in estate il soleggiamento.
Il tema della riduzione dei consumi energetici è ormai
noto: l’utilizzo dell’energia porta all’esaurimento delle
materie prime e delle risorse fossili e nel contempo
produce un’alterazione del clima dovuto ai gas prodotti; entrambe le conseguenze generano, a loro volta, da
un lato il problema del reperimento di energie alternative che siano efficaci e dall’altro la necessità di fronteggiare sconvolgimenti naturali, più o meno significativi
ed in tempi più o meno lunghi (pensiamo allo scioglimento dei ghiacciai piuttosto che all’innalzamento del
livello delle acque).
Il problema è quindi quello di governare e limitare il
fabbisogno energetico, a livello nazionale ma soprattutto a livello europeo.
Peraltro, proprio la Comunità Europea ha più volte
38
ecoIDEARE - Gennaio 2014
evidenziato che «la migliore fonte enerrgetica in nostro
possesso oggi è il risparmio».
Tanto è vero che è stata definita anche una nuova unità
dimisura proprio per indicare il risparmio energetico: il
«negawatt», con cui misurare quanta energia risparmiano e quindi la riduzione dei watt rispetto ai consumi
attuali.
Ora, è statisticamente verificato che sono gli edifici
ad essere la principale causa di consumo dell’energia,
necessaria per garantire le attuali condizioni di comfort
abitativo faticosamente raggiunte: in Europa, gli edifici
contribuiscono per oltre il 40% ai consumi energetici
totali, mentre l’IPCC (Intergovernmental Panel on Climate Change cioè, Comitato intergovernativo sul mutamento climatico) ritiene che, nel mondo, gli edifici
chè proprio l’edilizia ha le chances maggiori, potendo
migliorare l’efficienza energetica con sforzi non così
eccessivi e in questo, dato che il parimonio esistente supera di gran lunga le prospettive di nuove realizzazioni,
l’attenzione deve ricadere essenzialmente sugli edifici
esistenti.
I consumi energetici di un edificio esistente non isolato
sono superiori anche di 8-10 volte quelli di un edificio
ben isolato (nuovo o correttamente ristrutturato). Questo dato deve far riflettere su dove concentrare sforzi e
risorse: se l’obiettivo principale è dunque la riduzione
dei consumi energetici usuali, ciò si ottiene, in via generale, da un lato riducendo il fabbisogno degli edifici
attraverso il miglioramento dell’efficienza dell’involucro e la ventilazione naturale, dall’altro migliorando
l’efficienza degli impianti sia a livello di macchine e
reti che di apparecchiature utilizzatrici, dall’altro ancora
sfruttando efficacemente gli apporti energetici gratuiti
(risorse rinnovabili), in primo luogo il sole.
E’ una sfida che richiede l’utilizzo di tecnologie e
soluzioni tecniche adeguate le quali sono in gran parte
già esistenti e che sono tali da garantire e migliorare
sensibilmente anche il comfort interno di un vastissimo
parco immpbiliare esistente del tutto desueto, potendo
così coniugare il benessere con il rispetto dell’ambiente.
Gran parte delle costruzioni esistenti soffre di pessime prestazioni termiche, il che si traduce, oltre che in
livelli di consumo inaccettabili, anche in condizioni di
comfort insoddisfacenti.
Qualche decennio fa, quando si era «energeticamente
spensierati», si pensava di correggere le condizioni
ambientali interne (poco confortevoli per via del freddo,
del caldo e dei tassi di umidità) utilizzando sostanzialmente gli impianti; proprio il progressivo perfezionamento dei sistemi impiantistici e la grande disponibilità
di petrolio e gas a costi accettabili nel sistema economico, ha indotto la progettazione a delegare alle reti
tecnologiche il ruolo di controllore ambientale: quindi,
gli edifici esistenti sono stati realizzati in un momento
storico in cui il problema del comfort termico veniva
risolto con il solo intervento degli impianti.
Oggi sappiamo invece come sia fondamentale ridurre in
modo significativo i consumi prima di poter procedere
ad un’ottimizzazione con gli impianti, il cui apporto
deve necessariamente essere minimizzato.
Ridurre i consumi in edilizia significa in primo luogo
intervenuire sull’involucro, riducendo le dispersioni
termiche in inverno e gli accumuli termici in estate.
La riqualificazione energetica dell’involucro edilizio
comporta poi ulteriori notevoli vantaggi, oltre al citato
incremento delle condizioni di comfort interno, quali
la riduzione dei costi di gestione, l’aumento del valore
patrimoniale, l’incremento della vita utile del fabbricato
consumano circa il 30% dell’energia totale in gioco, e “last but not
con un incremento di circa 3% ogni anno, dovuto sia least” il rinnovamento dell’immagine, cioè un’opporalle maggiori richieste da parte dei Paesi industrializ- tunità di riqualificare anche architettonicamente un
zati sia soprattutto al (legittimo) miglioramento del
oggetto edilizio e, da qui, un comparto urbano.
benessere nei Paesi terzi.
Le ricadute sono di immediata percezione: meno consuPiù consumi significa più inquinanti: in Lombardia il mo, meno inquinamento, meno dipendenza energetica,
50% delle emissioni inquinanti in inverno è causato
meno spese, riduzione dell’»isola di calore» specie
dal riscaldamento domestico, sapendo peraltro che,
nelle città, più comfort, più valore, più qualità estetica.
in alcune tipologie di edifici, è il raffrescamento un
Senza parlare dell’enorme volano economico che un
problema più significativo del riscaldamento.
generale processo di riqualificazione del parimonio ediSappiamo che dall’edilizia deriva anche che circa 1/3 lizio esistente sarebbe in grado di attivare, ricordando
delle emissioni complessive di gas serra.
quale ruolo assolutamente prioritario ha avuto il mondo
Ma se gli edifici giocano un ruolo primario nel
delle costruzioni nello straordinario fenomeno di cresciconsumo lo fanno anche nel potenziale risparmio dei ta economica dell’Italia del dopoguerra.
prossimi anni: quindi è lì che si deve intervenire, per- Gli interventi di riqualificazione sono considerati tali se
39
comportanto un significativo incremento delle prestazioni dell’involucro il che significa, ad esempio:
- in inverno, collocare elevati spessori di materiali
coibenti sulle chiusure verticali opache (pareti) impiegando sistemi di facciata ad isolamento compatto
(cosiddetto cappotto termico) o ventilato (cosiddetta
facciata ventilata) e utilizzare serramenti ad alte prestazioni energetiche (telai isolanti e vetri stratificati
con intercapedine); così come iperisolare la copertura
e dotarla di una meccanismo di funzionamento di tipo
ventilato;
- in estate utilizzare tecnologie che limitino i carichi
termici nelle stagioni ad elevato soleggiamento, ad
esempio utilizzando schermi solari esterni (frangisole) a protezione dell’intera facciata e/o pellicole/vetri
che attenuino l’accumulo di energia termica solare
nei serramenti, oppure sfruttando i moti d’aria che
si innescano nelle pareti e nelle coperture ventilate
per ridurre il surriscaldamento della parete causato
dall’irraggiamento solare.
Ma pure significa utilizzare l’energia gratuita che, in
inverno, può contribuire anche in modo significativo
ad innalzare la temperatura interna, adottando sistemi
di sfruttamento passivo dell’energia solare (i cosiddetti sistemi solari passivi a guadagno indiretto) quali
le serre solari o sistemi ad accumulo (ad es. Muro di
Trombe). oppure anche adottare la trasformazione dei
tetti in coperture evolute quali i «roofs pond» o, per
l’attenuazione estiva, i tetti verdi o i «cool roofs».
Un ulteriore aspetto cui far cenno per il miglioramento del comportamento degli edifici sotto l’aspetto
della riduzione dei consumi e dell’incremento di
comfort è l’adozione, anche in fase di ristrutturazione di fabbricati esistenti, di sistemi di ventilazione
naturale, questione purtroppo poco considerata anche
nella progettazione del nuovo.
Infatti, la ventilazione naturale è una tecnica che si
pone come obiettivo energetico, in situazione estiva,
il controllo delle condizioni microclimatiche interne rispetto all’umidità e alla temperatura dell’aria
determinandone un abbassamento dei valori (raffrescamento passivo ventilato).
Oltretutto, quella che vene chiamata «ventilazione
naturale controllata» contribuisce alla riduzione dei
consumi energetici dati dalla ventilazione meccanica e dal condizionamento estivo, mentre i sistemi
di ventilazione meccanica (purtroppo scarsamente
adottati in Italia negli edfici non terziari) riducono
in inverno le dispersioni termiche per ventilazione
connesse all’abbassamento di temperatura interna
derivante dall’apertura casuale delle finestre.
In caso di ristrutturazione, la ventilazione naturale
potrebbe essere ottenuta mediante l’uso di serramenti con apertura a vasistas o dotati di persiane con
aperture variabili oppure adottando sistemi di controllo automatico delle aperture per ventilazione nei
serramenti (attuatori d’apertura per finestre, griglie di
ventilazione regolabili, controllori di flusso omeostatici), creando aperture sulle coperture degli atrii o
torri di estrazione/lucernari oppure anche serre/camini solari come vani tecnici d’estrazione.
Come si vede dagli accenni fatti, sono molte le tecniche, tecnologie e materiali disponibili e affidabili,
non c’è che affrontare le tematiche della riduzione
dei consumi energetici con un approccio adeguato e
finalizzato ad un effettivo incremento della qualità
del costruito e delle sue prestazioni.
Il che si traduce, a valle di un processo virtuoso di
riqualificazione complessiva dell’edificio, anche a
ritrovare un rinnovato «look» che, grazie all’uso di
tecnologie e materiali attuali, restituisce nuovi linguaggi espressivi in grado di apportare un significativo «svecchiamento» di edifici che, di fatto e senza un
adeguato intervento radicale, dovrebbero avviarsi ad
una degnissima dismissione.
ECOABITARE
Green made in Italy, il fattore
chiave che unisce EcoWorldHotel
a Ecoideare
Prima
Negli ultimi anni, stili di vita e abitudini d’acquisto guardano sempre più verso un consumo
critico e consapevole, attento alle caratteristiche
di sostenibilità ambientale del processo produttivo e distributivo. Le aziende italiane, di fronte a
questa nuova tendenza, si trasformano offrendo
prodotti e servizi “green” e cercano sul mercato
società specializzate esclusivamente nella consulenza e scelta di prodotti e servizi ecologici. Per
questo 6 anni fa è nato il Gruppo d’Acquisto di
EcoWorldHotel, un aiuto concreto per chi desidera acquistare forniture alberghiere (ecologiche,
bio, equo-solidali) e servizi con certificazioni di
tipo ambientali (es. ISO 14001, emas, ecolabel,
aiab), rispettosi dei principi della sostenibilità
ambientale.
Per essere ancora più vicine alle nuove aziende
e agli affiliati, EcoWorldHotel è presente in
rete con EcoWorldshop.com, una piattaforma
e-commerce che riunisce oltre 1.700 eco-prodotti bio e green made in Italy, diventando il
portale di riferimento per gli acquisti ecologici, sicuri e certificati in Italia.
Dopo
Riqualificazione della scuola primaria di Pogliano M.se (Mi): il fronte
sud. Sistema di rivestimento in parte «a facciata ventilata» (in corrispondenza del basamento) e in parte «a cappotto» e serramenti in alluminio a
taglio termico con vetri isolanti. L’adozione di frangisole ad ali orientabili
elettricamente per controllare l’irraggiamento solare estivo e la luce si
trasforma in un forte elemento di caratterizzazione architettonica dell’intervento; rivestimento dello zoccolo in mattoni di laterizio faccia a vista.
L’edificio riqualificato comporta un risparmio di circa il 78% del consumo
di energia primaria, passando da un fabbisogno di circa 3.150.000 W
dello stato di fatto ad un valore pari a circa 670.000 W di progetto. Ma il
consistente beneficio si estende anche al costo del combustibile e alla riduzione delle emissioni inquinanti. Nel primo caso, si passa da un consumo
di circa 81.000 mc/anno a circa 17.000 mc/anno con un’economia di circa
34.000,00 €/anno.
Riqualificazione con ampliamento di una casa per vacanze a Barni (Co). Sistema di rivestimento «a facciata ventilata» e
serramenti in legno lamellare ad elevato spessore con vetri isolanti. Lo strato termoisolante in PSE ad elevato spessore è stato
mascherato da un rivestimento in listelli di legno appesi che in estate determina un abbattimento dell’energia incidente solare
e quindi una riduzione del surriscaldamento della facciata, effetto ottenuto anche con il frangisole orientabile utilizzato a
protezione del serramento dell’ampliamento per evitare l’effetto serra.
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ecoIDEARE - Gennaio 2014
Luigi Paolino
PhD in ingegneria ergotecnica edile. Professore alla
Scuola di Ingegneria Edile-Architettura del Politecnico di Milano. Si occupa di progettazione architettonica e tecnologica, con particolare attenzione alle
tematiche prestazionali e alla sostenibilità.
Dal 1984 svolge attività di progettista e direttore
lavori.
Ha ottenuto importanti riconoscimenti in premi e concorsi e molte realizzazioni sono oggetto di pubblicazioni su diverse riviste di settore.
I principi etici di EcoWorldHotel sono gli stessi
cui si ispira il nostro periodico d’informazione
e cultura sullo sviluppo sostenibile: Ecoideare
che seleziona le aziende impegnate nell’ambito
dell’imprenditoria verde italiana per esserne il
megafono e una guida autorevole all’economia
etica e al consumo consapevole. Ecoideare offre
alle strutture ricettive che si fregiano del marchio
di Qualità Ambientale EcoWorldHotel, copie del
periodico a disposizione degli ospiti, fornendo
così uno strumento d’informazione autorevole e
coerente con i principi esposti, frutto dell’attuale
collaborazione appena nata, ma volta ad amplificare la “green mission” comune, sempre più
condivisa sia tra le aziende operanti nel settore
alberghiero che tra i consumatori/lettori, oggi più
consapevoli e alla ricerca di un prodotto/servizio
attento alla salvaguardia dell’ambiente.
Per una fruizione eco-sostenibile e al passo con
le tecnologie che permettono di non consumare
carta in eccesso, Ecoideare è disponibile anche
in versione on-line: www.ecoideare.it
41
Nell’ottica della tutela del territorio e della salvaguardia dell’ambiente, abbiamo fatto
nostra la problematica che nasce dalla presenza sempre più consistente di animali
d’affezione nel contesto urbano, dovuta in buona parte all’inurbamento delle città.
Partendo dal principio che anima la zooantropologia, che attribuisce ai cani un valore
sociale e tende quindi a valutare diritti e doveri sia degli animali che dei padroni,
abbiamo deciso di dedicare uno spazio ai temi legati ai nostri amici a quattro zampe.
di Claudia Taccani
Quattro zampe a
spasso… Ma posso
entrare si o no ?
ghi aperti al pubblico, come bar, ristoranti, negozi di
abbigliamento rispetto ad altri luoghi che possiamo
definire “sensibili”, come ospedali, asili, supermercati
o luoghi dove viene “trattato” il cibo.
In questo ultimo caso, infatti, per legge, può sussistere
una limitazione all’accesso del cane per motivazioni a
carattere igienico-sanitario.
La Federazione Italia Diritti Animali e Ambiente e
l’Anci – Associazione Nazionale Comuni Italiani,
grazie ad un protocollo di intesa, hanno redatto il testo
LA LEGGE A 4 ZAMPE
il benessere degli animali
in città” predisponendo,
in particolare, all’art. 19,
la possibile conduzione di
cani (e di altri animali) nei
locali aperti al pubblico,
nei pubblici uffici e sui
mezzi di trasporto mediante guinzaglio, mentre per
quanto riguarda i punti
di vendita al dettaglio,
nonché ristoranti, bar e
alberghi, la possibilità di
divieto rimane a discrezione del titolare, il quale
dovrà tuttavia apporre sulla porta d’ingresso apposito
avviso dell’eventuale divieto.
In definitiva, possiamo concludere che non vige
alcun divieto a livello nazionale di accesso con Fido
in un locale pubblico ma, al contrario, l’accordo tra
la FIDA e l’ANCI ha rappresentato un invito, rivolto
alle singole pubbliche amministrazioni, a formalizzare con tanto di regolamento \ ordinanza tale possibilità.
Si consiglia, a chi vive in un Comune ( sia di piccole
o grandi dimensioni) privo di una disposizione normativa specifica, di invitare la propria Amministrazione Comunale ad adottare l’Ordinanza prototipo,
scrivendo al Sindaco, all’assessorato competente e
all’Ufficio diritti animali (qualora presente) chiedendo che sia valutata la sua approvazione avendo
riguardo alla maggiore sensibilità dell’opinione
pubblica nei confronti degli animali.
Concludiamo con una informazione doverosa: tutto
quanto sopra riportato non è applicabile in caso di
accesso in un locale, così come sui mezzi di trasporto, da parte di un non vedente con il proprio
cane guida. La legge, almeno in tal caso, è chiara e
univoca, predisponendo l’accesso libero e prevedendo multe salate da euro 500 fino a 2.500 in caso di
trasgressione.
< Miele love Cappuccino - Foto di Sabrina Romiti
Tra i piaceri più belli della vita, per l’amante del cane,
è quello di poter girare liberamente con il proprio
amico a quattro zampe, poter andare a fare acquisti,
bere un aperitivo o godersi una cena al ristorante in
sua compagnia.
Ma Fido può entrare liberamente nei locali pubblici o
aperti al pubblico? Questo è il dilemma!
Facciamo un po’ di chiarezza e vediamo cosa prevede
la normativa in merito.
Bisogna anzitutto effettuare una differenza tra luo-
di un’ordinanza prototipo
avente ad oggetto il libero
accesso di cani in strutture
pubbliche e luoghi aperti al
pubblico.
L’ordinanza prototipo è
stata quindi invitata a tutti
i Comuni, invitando così le
pubbliche amministrazioni
ad adottare, ciascuna, una
disposizione di questo tipo.
In tal modo, i cani avrebbero libero accesso in tutti
i luoghi pubblici, ristoranti,
uffici postali e possibilità di
salire sui mezzi di trasposto, salvo espresse e motivate deroghe.
Ma non tutti i Comuni hanno “aderito” all’iniziativa,
rimanendo nel “silenzio” normativo o, al contrario,
mantenendo divieti.
Un buon esempio è stato dato dalla città di Milano,
nella quale la scorsa estate è stata adottata un’Ordinanza di libero accesso ai cani in tutti i locali
pubblici potendo, per esempio, andare a rinnovare
la propria carta di identità in compagnia del proprio
quattro zampe, muniti di guinzaglio e museruola,
senza dimenticare il sacchettino per le deiezioni.
In assenza di specifica ordinanza, invece, vige a
livello nazionale il Regolamento di Polizia Veterinaria del 1959 che prevede, genericamente, “l’obbligo
di guinzaglio o di museruola al cane quando si trova
nelle vie o nei luoghi aperti al pubblico e di guinzaglio e museruola nei locali pubblici e nei pubblici
mezzi di trasporto”.
Insomma, a livello nazionale l’accesso dei cani nei
luoghi pubblici non è vietato, ma non è da escludere
l’eventuale sussistenza, a livello locale, di disposizioni normative che prevedano specifiche prescrizioni sull’accesso dei “pets” nei locali, come per
esempio i Regolamenti comunali per il benessere
degli animali.
Così, per esempio, la città di Genova, nell’anno 2011
ha approvato “Il nuovo Regolamento per la tutela e
Dog Bar Varese
42
ecoIDEARE - Gennaio 2014
< Foto di Sebastian43Perna
Prosegue la collaborazione con l’associazione Gaia Italia e Giorgio Nebbia,
uno dei padri nobili del movimento ambientalista italiano e internazionale.
Giorgio Nebbia è stato -ed è ancora- uno dei protagonisti di assoluto
rilievo nello studio della questione ambientale, affrontata nell’ottica del
chimico, dell’economista e del merceologo.
di Giorgio Nebbia
[email protected]
Un Servizio
Idrogeologico per
salvarci dalle
alluvioni
GIORGIO NEBBIA
vegetale è stata considerata inutile; dove si pensa che
siano d’intralcio alle opere “economiche”, alberi e
macchia vengono estirpati o bruciati. La creazione di
un Servizio Idrogeologico Nazionale consentirebbe
la creazione di decine di migliaia di posti di lavoro;
capisco che è forse difficile trovare dei laureati che
accettino di camminare lungo i torrenti e i canali, di
controllare e identificare gli ostacoli al moto delle
acque, di pulire i tombini nelle città, ma ci sarà pur
gente che ha voglia di farlo considerando che questo
servizio è il più importante -anzi unico- sistema per
evitare disastri futuri. So bene quanto sia utopistico
questo quadro ma so anche quanta ricchezza e lavoro
potrebbero essere mobilitati e quanti costi monetari e
dolori futuri potrebbero essere evitati.
Un secondo rimedio per evitare future frane e alluvioni consiste nel coraggio di dire “no” alle autorizzazioni e costruzioni di opere che intralciano il
moto delle acque. Finora la “cultura” (si fa per dire)
politica dei pubblici amministratori è consistita nel
“portare a casa” un po’ di soldi -europei, nazionali,
regionali- per “fare” qualcosa, spesso inutile: villaggi
turistici rimasti deserti dopo aver tagliato boschi e
colline; campi sportivi, nei quali non avrebbe giocato
nessuno, costruiti nei fondo valle; piscine, in cui non
avrebbe nuotato nessuno, costruite nelle golene dei
fiumi; edifici pubblici del tutto inutili, quartieri di cui
nessuno aveva bisogno, qualche inutile strada, pur di
assicurare un po’ di affari a qualche impresa locali
e qualche posto di lavoro per pochi mesi. In questa
frenesia del “fare” sono stati coperti fossi e torrenti
per recuperare qualche metro quadrato edificabile,
sono stati imprigionati i fiumi entro pareti di cemento,
ricette sicure per aumentare la velocità e la forza erosiva delle acque, l’allagamento delle zone circostante
ad ogni pioggia più intensa.
Il successo di una auspicabile svolta nella politica
della difesa del suolo, delle acque, del territorio
richiederebbe una vasta operazione di diffusione della
cultura geografica per insegnare a grandi e piccini a
riconoscere i fiumi e le valli e i torrenti come beni
comuni, a guardare come si muove l’acqua sul territorio e dove incontra e incontrerà ostacoli e come tali
ostacoli possono essere evitati o rimossi.
Devo dire che sono pessimista che cose così difficili
possano diventare programmi e azioni di governo, ma
un filo di speranza mi resta vedendo che proprio nella
disgrazia collettiva si manifestano volontà individuali
di solidarietà; lo ricordo nel caso delle alluvioni del
Polesine, di Firenze, della Puglia e della Sicilia, lo
si è visto ieri in Toscana e nella Liguria. Le piogge
provocheranno meno alluvioni e frane se governate e
frenate dagli argini di una nuova, grande solidarietà
nazionale.
Alluvione Lucca 2009 - Foto di Alessio Catelli >
< Fiume Po - Torino - Foto di Ario Gaviore
Ormai due o tre volte all’anno l’Italia deve fare i
conti con i danni delle alluvioni; le città allagate, i
tombini intasati, i raccolti perduti, le case, i negozi, le
officine pieni di fango sono diventati eventi sempre
più frequenti e violenti anche a causa dei mutamenti
climatici. In seguito a questi avvenimenti, che registrano il dolore in tante zone e città d’Italia, dal Nord
al Sud alle isole, si può stimare in due o tre miliardi
di euro all’anno il denaro pubblico necessario per risarcire i danni subiti dalle persone che hanno perduto
i propri beni, le case, le possibilità di lavoro, a causa
delle frane e alluvioni.
Dopo la grande alluvione di Firenze e Venezia, nel
1966, il governo diede l’incarico ad una commissione presieduta dal prof. De Marchi di indicare come
evitare tali futuri disastri. La Commissione individuò
le azioni da fare e indicò la necessità di investimenti
per 10 mila miliardi di lire di allora, corrispondenti a
circa cento miliardi di euro attuali; oggi probabilmente ne occorrerebbero molti di più perché è aumentata
la fragilità del nostro territorio.
Per attenuare i dolori e i costi delle alluvioni ci sono
alcune cose da fare: prima di tutto opere di rimboschimento e incentivi per riportare l’agricoltura nelle
zone collinari perché la cura del bosco e il paziente
e rispettoso lavoro degli agricoltori sono i principali rimedi per regolare il flusso delle acque nel loro
cammino dalle valli al mare. Se il suolo è coperto di
vegetazione la forza di caduta delle gocce d’acqua si
“scarica” sulle foglie e sui rami, che sono elastici e
flessibili, e l’acqua scivola dolcemente verso il suolo
e scorre sul terreno con molto minore forza erosiva e
distruttiva.
Occorrerebbe un Servizio Idrogeologico Nazionale
che tenesse sotto continuo controllo lo stato dei corsi
dei fiumi, procedesse alla pulizia e manutenzione di
tutte le strade percorse dall’acqua nel suo moto verso
il mare, dei fossi, dei torrenti e dei fiumi maggiori al
fine di rimuovere gli ostacoli incontrati dalle acque e
di tenere aperte le vie naturali del loro scorrimento.
Nel dissennato uso del territorio di tanti decenni sono
stati costruiti, autorizzati ed abusivi, edifici, strade,
ponti, ferrovie, senza alcuna attenzione al moto delle
acque, anzi alcuni rappresentano veri ostacoli al moto
delle acque; per alcune opere sono stati sbancati i
fianchi delle valli e sono così stati accelerati i fenomeni erosivi.
Spesso dove è arrivata la presenza umana la copertura
< Alluvione Sardegna 2013 - Foto di Fabrizio Bruno
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ecoIDEARE - Gennaio 2014
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Biblioteca della sostenibilità
Il libro verde dello spreco
in Italia: l’energia
a cura di Andrea Segrè, Matteo Vittuari
Edizioni Ambiente, pag.240, €.16,00
certiFichiamo in armonia con la natura
Quando consideriamo gli sprechi di energia,
alla maggior parte di noi vengono in mente lo
standby degli elettrodomestici o le lampadine
a basso consumo. In pochi pensano al cibo
come possibile causa di inefficienze. In realtà, il settore agroalimentare consuma e spreca
enormi quantità di energia, anche per smaltire
quegli scarti che con tanta indifferenza prendiamo dalla tavola e buttiamo nella pattumiera. Il “libro verde dello spreco in Italia: Energia” è un libro di consapevolezza e di nuova
cultura dell’ambiente che denuncia un modello insostenibile per l’Italia e auspica ad un’agricoltura “altra” sia possibile, anzi necessaria.
L’insostenibile consumo di
suolo
L’acqua (non) è una merce.
Perché è giusto e possibile arginare la
privatizzazione
a cura di Ciro Gardi, Nicola Dall’Olio,
Stefano Salata
Edicom Edizioni, pag.136, €. 20, 00
Altreconomia, 2013 - pag. 152 €. 12,00
Come fermare il consumo di suolo, nell’agenda dell’uscita dalla crisi. Per farlo gli autori
partono dal delineare il senso e il significato
del “consumo” di “suolo”, considerando fondamentali i fattori culturali e sociali che influenzano le di maniche di espansione urbana
nel mondo. Impatti, costi e cause del consumo di suolo sono la conseguenza della corsa
all’urbanizzazione a discapito del suolo, una
risorsa oggi sempre più strategica e limitata.
Le soluzioni tecniche, strategie e politiche per
la conservazione del suolo però esistono e gli
autori sono i portavoce di queste linee guide
che potrebbero salvare il nostro suolo.
L’acqua è ormai una merce? Con la benedizione di
politici e media, l’acqua si appresta a diventare - da
bene comune e diritto di tutti - un affare per pochi.
Una torbida verità la cui fonte è la recente riforma
dei servizi pubblici locali. Questo libro di Luca
Martinelli - giornalista e redattore del mensile “Altreconomia” che ha svolto ricerche in ambito universitario sulla privatizzazione dei servizi pubblici
locali - ricostruisce la storia della privatizzazione
dell’acqua in Italia dal 1994 a oggi, dimostrando
come e perché la gestione pubblica degli acquedotti
può essere la più efficiente. Per tenere, come dice
il prezioso testo inedito di Erri De Luca “il conto
delle gocce”.
Cure naturali e
alimentazione
ESSERE E FARE ECOLOGIA
PROFONDA
per gli animali di casa
50 consigli per rientrare nel cerchio vivente.
Pratiche di riconnessione con la nataura
di Luca Martinelli,
CCPB CertIfICa ProdottI BIoLogICI ed eCosostenIBILI
deL settore agroaLImentare e no food
L’agrolimentare
biologico
Il biologico
non food
I prodotti
eco-sostenibili
CCPB ha gli accreditamenti e le autorizzazioni
per l’attività di controllo e certificazione dei
prodotti biologici, in Europa e nel mondo.
CCPB opera nel settore della cosmesi,
nel tessile e nelle aree verdi coltivate
con metodo bio, secondo gli standard
intarnazionali Natrue, GOTS, OE, Bio
Habitat e i nostri standard privati.
CCPB certifica i prodotti agroalimentari
e non, in base a standard nazionali e
internazionali quali la produzione integrata,
la detergenza, la rintracciabilità di filiera,
GLOBALGAP, QS, la certificazione di
prodotto e quella di sostenibilità.
vino critico
vini naturali artigianali conviviali in italia
a cura di Officina Eroica;
Altreconomia, 2013 – pag. 208, €. 10,00
Il vino critico rispetta l’ambiente. E la biodiversità, è l’espressione autentica del territorio
in cui è prodotto, ci racconta il lavoro dei piccoli vignaioli indipendenti. La prima guida al
vino “di relazione”: 120 schede di vignaioli,
250 vignaioli indipendenti, 1.500 vini biologici biodinamici autentici, tutti gli eventi di enodissidenza e un breve testo di Luigi Veronelli.
Officina Enoica è un’associazione di enodissidenti e social sommelier, che ha l’obiettivo
di sostenere i vignaioli artigiani e naturali,
organizzando fiere, degustazioni e iniziative
culturali per stimolare un consumo critico e
consapevole.
Controllo
e Certificazione
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C.C.P.B. srl
Società a Socio unico
ecoIDEARE - Gennaio 2014
Via J. Barozzi 8
40126 Bologna, italy
tel +39 051 6089811
Fax +39 051 254842
[email protected]
www.ccpb.it
di Laura Cutullo,
Edizioni Riza, 2013 – pag. 160, €.
17,00
Un libro dedicato a chi desidera mantenere
in salute i propri animali di casa (cani, gatti e conigli) utilizzando le terapie naturali in
una visione olistica della vita e della cura. In
modo semplice, ma rigoroso vengono prese
in considerazione terapie olistiche come l’uso di erbe medicinali e fiori di Bach, rimedi omeopatici fino all’agopuntura. Non solo
cura, ma il volume ci guida verso la scelta di
una corretta alimentazione per i nostri “amici” più cari, perché i rimedi naturali e il buon
cibo possano assicurare loro una vita sana,
lunga e felice.
di Stefano Fusi,
Area51 Publishing Editore, 2014, e-book
L’eBook dell’autore è un manuale utile per la riconnessione con la natura, propone esperienze e
pratiche che insegnano a ritrovare un contatto profondo, diretto, salutare con la natura e con la nostra
interiorità, già sperimentate e collaudate, ma vanno
conosciute e seguite il più possibile in ogni ambito
della vita quotidiana: dall’immersione sensoriale
nella natura e all’immedesimazione immaginativa
con gli elementi e gli animali, dalla percezione del
proprio corpo in rapporto con l’ambiente alla scrittura della storia della propria bioregione, dalle pratiche ispirate alle discipline orientali per percepire
l’energia vitale a quelle proprie dei popoli nativi per
celebrare la fratellanza con tutti gli esseri viventi.
www.naturalspirit.it
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Ecologia in vetrina
Idee, oggetti e materiali innovativi, ecocompatibili e dal design accattivante, dedicati al
consumatore attento all’ambiente, ma che non rinuncia al glamour di un prodotto speciale.
Something Good, qualcosa di buono per il
design italiano
Lo fanno quattro designer veneti (Enrica Cavarzan, Marco Zavagno, Matteo
Zorzenoni e Giorgio Biscaro) lanciando un nuovo modo di fare azienda attraverso
un’attività sostenibile, non in termini ambientali, ma industriali grazie ad un modello
di business più leggero. Funziona così: i designer progettano un oggetto - dai
complementi, agli accessori, agli articoli per la casa e ufficio – scelgono i materiali,
spesso di recupero come il rame, e commissionano la produzione ad artigiani
di fiducia, senza chiedere volumi di produzioni elevati, evitando così costi di
magazzino per la merce in eccesso. Il realizzato viene poi venduto online. Internet è
un mezzo importante per targettizzare il cliente e orientarsi verso un’ottimizzazione
della produzione in base alla reale domanda. www.somethinggood.com
EcoNews
GREEN INNOVATION ACADEMY, La prima scuola
di management per imprese sostenibili in Italia
Progetto Manifattura (Rovereto, TN), il primo hub dell’economia verde
italiana, lancia una nuova iniziativa dedicata ai giovani imprenditori:
la Green Innovation Academy, aperta sia agli imprenditori insediati
all’interno di Progetto Manifattura che a coloro che intendono avviare
una nuova iniziativa imprenditoriale. L’Academy, progettata e realizzata
in collaborazione con l’Università di Trento, è pensata come una scuola
di management, divisa in due corsi (base+avanzato da 4 e 2 mes), mirata
per apprendere sia i saperi fondamentali dell’imprenditorialità – come
la classica gestione dei flussi di cassa, web-marketing e redazione di
contratti– che le strategie di innovazione creativa, di gestione ecosostenbile e di marketing specifico per l’impresa green. Saperi specifici
per neo-imprese nel campo della green economy, curate da docenti
universitari, imprenditori del mondo della sostenibilità e specialisti con
esperienza decennale».
I corsi partiranno il 14 gennaio 2014, le iscrizioni si chiuderanno il 10
gennaio. Per maggiori informazioni: www.progettomanifattura.it
“Bando conai” premia l’impegno concreto delle
aziende italiane per gli Imballaggi
eco-sostenibili
Opere d’arte da indossare
Quadri astratti in minisatura realizzati interamente a mano su carta pesante, arricchiti
con disegni e inserti di materiali sempre nuovi e diversi diventano, grazie alla creatività
del pittore e scultore Renato Giananti, inediti ciondoli, orecchini o bracciali. Una linea
di gioielli, “opere uniche”, sintesi di un’esplorazione dell’artista nel campo della moda,
influenzata da artisti famosi che si sono cimentati nella creazione di gioielli. E’ al grande
scultore Calder che Giananti si ispira per realizzare le “caldermanie”: borse, collane,
bracciali e anelli, vere opere d’arte da indossare! www.gianart.it
Giunta alla 5° edizione, il Dossier Prevenzione 2013 raccoglie le
iniziative delle aziende italiane, oltre 1.000.000 appartenenti al sistema
consortile privato CONAI, sul tema della prevenzione dell’impatto
ambientale degli imballaggi e sulle soluzioni virtuose d’intervento
realizzabili tramite un “approccio intergrato e di filiera”. Il Dossier
Prevenzione 2013 rientra nel progetto “Pensare Futuro” che, da
quest’anno, si arricchisce di una nuova iniziativa: il “Bando CONAI”
volto a premiare - con un importo pari a €200.000 - e a dare visibilità
alle soluzioni di imballaggi sostenibili e innovativi immesse sul mercato
italiano nell’anno 2011-13. Per partecipare al Bando, le aziende
consorziate dovranno compilare, entro e non oltre il 20 febbraio 2014, un
form online disponibile sul sito www.ecotoolconai.org
Nino Sanremo, amico della natura
L’unico in grado di offrire, da quasi trent’anni, rosai che possono essere piantati,
con successo, in ogni momento durante l’arco dell’anno. Per ottenere tale risultato
Nino Sanremo parte dalla scelta di un vaso biodegradabile, fabbricato mediante
stampaggio, compressione e “cottura” di un impasto di fibra vegetale e cellulosa,
torba bionda e acqua. Non ha fori per il drenaggio e le pareti sono permeabili
all’acqua e all’aria, caratteristica che favorisce lo sviluppo e la salute delle radici dei
rosai. www.ninosanremo.com
VerdeVivo Bio, l’orto in VASO è ora possibile, nutrilo con un
concime biologico
Un concime organico-minerale consentito in agricoltura biologica che assicura alle colture una nutrizione
completa e bilanciata. L’impiego di materie prime naturale rende il VerdeVivo Bio concime ideale per
chi vuole, anche sul proprio balcone o terrazzo, avere prodotti naturali e trasformarli in deliziosi mini
orti, riducendo la presenza di rose e ortensie per far posto a pomodoro, basilico e insalate. Gli ortaggi
più adatti sono le insalate di tutti i tipi, dalle lattughe alle cicorie e soprattutto le varietà da taglio che
hanno tempi di germinazione molto rapidi come, la rucola. Numerosi studi hanno evidenziato che frutta
e verdura bio presentano all’analisi un alto e maggior contenuto di antiossidanti. I vegetali bio inoltre
possono, previo consueto lavaggio, essere consumati addirittura con la loro pelle. Ciò permette al nostro
organismo di utilizzare la maggior parte delle preziose sostanze presenti e concentrate proprio nello
strato tra polpa e buccia. VerdeVivo Bio è in distribuzione nei migliori supermercati e garden italiani
www.verdevivo.it
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ecoIDEARE - Gennaio 2014
EL BALLON, un “contenitore in movimento” per chi ama
muoversi in bicicletta
Il progetto EL BALLON nasce nel luglio 2012 dall’idea di Katiuscia Perone e dal suo
amore per il dialetto milanese e per la bici. EL BALLON in dialetto milanese sta per IL
PALLONE. E’ proprio dalla forma particolare che rimanda ad un pallone che la creatrice
realizza borse anatomiche - in stoffe e tessuti sempre diversi e inediti - in linea con uno
stile di vita pratico ed ecologico, ideale per muoversi in città pedalando su una bici da
uomo, anni Sessanta. www.facebook.com/borsaelballon
BIOFACH & VIVANESS 2014, i consumatori scelgono e acquistano in modo
consapevole
In parallelo al Salone leader mondiale degli alimenti biologici BIOFACH, in programma a Norimberga dal 12 al 15 febbraio
2012, si svolgerà il Salone della cosmesi naturale VIVANESS. 200 espositori e oltre 40.000 visitatori previsti, una risposta
sempre più “greening” dell’intero comparto cosmetico per un consumatore attento agli aspetti etici sociali, e all’ambiente.
Nei quattro giorni delle manifestazioni entrambi i Saloni offrono un ricco calendario di incontri sui temi della sostenibilità nei
settori food e cosmesi. www.biofach.de - www.vivaness.de
49
LE NOSTRE CONVENZIONI
Per essere sempre più vicini ai nostri associati, Rinenergy ha stretto una serie di accordi per proporre
sconti e convenzioni a chi presenterà la tessera, nei seguenti esercizi commerciali o aziende.
Ristorante Biologico Corte Regina
Viale Monza 16 Milano
Tel. 02 28381873
www.cortereginabio.it
Bontà Senza Limiti - Gluten Free
Via Bergamo 12/a - 20135 Milano - Tel. 0287389815
Aperto mezzogiorno e sera, il Ristorante propone specialità della
migliore tradizione emiliana: gnocco fritto con salumi, tortelli ripieni di
verdure. Ampia scelta di vini biologici e di altissima qualità.
sconto del 10% su pranzi o cene.
...al Grande Cerchio
Via M. Buonarroti 8 - 20145 Milano
Tel. 0248004737 - Fax: 024812079
www.algrandecerchio.it
Ristorante biologico, punto di riferimento per la cucina vegetariana e vegana
a cena verrà offerto il dessert o il dolce fatto in casa.
Cascina Guzzafame
20083 - Vigano di Gaggiano (Mi)
Tel: 02 9086659 - Fax: 02 91390495
[email protected]
www.cascinaguzzafame.it
Sconto del 10% sulla spesa effettuata in negozio e sconto del
10% sulla prima notte trascorsa nel Bed & Breakfast.
Agriturismo La Manna di Zabbra
C/da Zabbra - SP 130 al km 4.00 - 90010 Pollina( PA)
Tel. 0921-910083 - Cell. 339-6328555
[email protected] - www.lamannadizabbra.com
Abbuono di una notte per ogni sette di pernottamento
nell’agriturismo; un pasto gratuito ogni cinque persone al
ristorante biologico; per minimo 50 euro di acquisto di prodotti
biologici Manna delle Madonie, spese di spedizione abbuonate;
superati i 100 euro, ulteriore sconto del 10%.
Naturiamo Via Caccialepori, 27
Milano Tel. 02 437498 – 392 8347597
Prodotti naturali, trattamenti olistici, corsi e seminari.
Riflessologia ZU, visite omeopatiche, iridologia, fiori di Bach, Aromaterapia.
Sconto del 15% su prodotti e trattamenti.
EcoWorldHotel Tel 02 69008563
[email protected]
www.ecoworldhotel.org
Sconto del 50% per soggiorno di due notti per due persone
(esclusi ponti e festività) in eco-hotel scelto tra agriturismi,
B&B, alberghi e dimore storiche certificate EcoWorldHotel.
Maria Scapaticci
Tel. 338 798167
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Telefonando a Maria un prodotto omaggio del valore del 10% dell’ acquisto.
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passi dal lago dove si possono fare acquisti direttamente.
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Palazzo Fermi, Via Enrico Fermi, 4 - 37135 Verona
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[email protected] - www.multiutility.it
Servizi e soluzioni integrate a PMI e enti per energia elettrica e gas naturali
Riduzione dell’1% sulle tariffe offerte.
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Corso di Porta Romana 123 - Milano
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alimentazione, editoria, consulenze con professionisti convenzionati (elenco
presso il punto vendita).
Partecipazione gratuita, su prenotazione, a conferenze e incontri.
Vulcanica Via Albertini 6 20124 Milano
Tel. 02 3451658 - www.vulcanica-milano.it
Gioielli ecologici in metalli nobili e materiali naturali e riciclati tutti in
pezzi unici da artigiani artisti e designer italiani.
Sconto del 10% su ogni acquisto.
Ristorante Cortaccia Biocucina
Piazza Corte dei Sogliari, 6 - Zona Portici Corso Umberto,
46100 Mantova - Tel. 0376 368760 - www.cortaccia.com
Nel centro storico di Mantova, cucina di qualità e della tradizione
con carne, pesce e piatti vegetariani.tutti gli ingredienti sono biologici.
Menù personalizzati su prenotazione per occasioni speciali,
anche per vegani e celiaci.
sconto del 10% su pranzi o cene.
Officinali di Montauto
Corso Magenta 12, 20123 Milano
Tel. 02 89050915 - www.officinalidimontauto.it
Bistrot, degustazioni e vendita di miele, tisane, olio.
Annesso, negozio di prodotti di cosmesi biologica.
sconto del 10% su tutti i prodotti (cosmesi biologica e food).
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ecoIDEARE - Gennaio 2014