N°17- Novembre 2012 N°172012 N°21 -Novembre Gennaio 2014 Euro 3,50 Periodico culturale di informazione sullo sviluppo sostenibile www.ecoideare.it SOMMARIO > Editoriale > Sostenibilmente PERCHé? Pag. 4 2 3 STILI DI VITA Fotografia di Christopher Kolaczan > Ecologia Profonda - Stefano Fusi > Nelson Mandela, un eroe della pace - Daniela Milano > Cosmesi e salute: mercato in evoluzione - Nicola Saluzzi > Cosmesi: un percorso naturale? - Alessandro Pulga 4 8 10 12 AMBIENTE E TERRITORIO > DOSSIER: Gli scenari del consumo del suolo a cura di: Mario Allodi, Andrea Marziani, Andrea Cassone > Come salvare l’Alta Valle Camonica - Dario Sonetti > Niente comunione a chi inquina - Roberto Bonsaglio 14 Pag. 14 22 24 ALIMENTAZIONE N.21- Gennaio 2014 - POSTE ITALIANE SPED.IN A.P. - D.L. 353/2003 CONV. L.46/2004, ART. 1, C. 1, DCB - MILANO > Consumo di suolo, a rischio le colture di qualità - Fabrizio Piva > Vini biologici, biodinamici, naturali? Purchè buoni! - Pier Francesco Lisi > Scelta vegetariana, un passo verso un mondo migliore - Carmen Ni. Somaschi 26 28 31 Rubriche ECOABITARE > Certificare l’efficienza: più facile dirsi che farsi - Marco Masini > Abbattere i consumi nel costruito - Luigi Paolino 32 36 > Claudia Taccani: Quattro zampe a spasso...ma posso entrare si o no? > Giorgio Nebbia: Un servizio idrogeologico per salvarci dalle alluvioni > Biblioteca della sostenibilità - Patrizia Pianta > Ecologia in vetrina - Patrizia Pianta > Econews - Patrizia Pianta 40 42 45 46 47 Pag. 28 Pag. 32 Direzione, Redazione e Amministrazione Brand Evolution srl • Via Sardegna, 57 • 20146 Milano • Tel 0236642800 • Fax 0236642803 • E-mail: [email protected] Periodico realizzato da Brand Evolution srl Direttore editoriale: Nicoletta Cova Direttore responsabile: Edgar Meyer ([email protected]) Progetto grafico e art direction: Camilla Mosconi Redazione: Patrizia Pianta ([email protected]) Responsabile Marketing e sviluppo: Nicola Saluzzi ([email protected]) Pubblicità e Iniziative speciali: 02.24412665 - 02.36642800 - 348.7638654 Si ringraziano per la collaborazione: Mario Allodi, Roberto Bonsaglio, Andrea Cassone, Valentina Castellani, Stefano Fusi, Pier Francesco Lisi, Daniela Milano, Marco Masini, Andrea Marziani, Giorgio Nebbia, Carmen Nicchi Somaschi, Luigi Paolino, Fabrizio Piva, Andrea Piazzalunga, Alessandro Pulga. Sito internet: www.ecoideare.it Rivista realizzata in collaborazione con: Rinenergy ® - associazione no-profit e Gaia Animali & Ambiente Onlus Stampa: Litoghema s.n.c.Via Spezia, 10 - 20142 Milano Registro Tribunale di Milano N. 60 del 13 Febbraio 2009 - Registro stampa periodica Stampato su carta FSC AMBIENTE E TERRITORI STILI DI VITA ECOABITARE DOSSIER: Il Consumo del suolo Ecologia profonda: essere e fare natura Certificare l’efficienza Vini biologici, più facile dirsi che farsi biodinamici, naturali? 2 ecoIDEARE - Gennaio 2014 ALIMENTAZIONE 3 editoriale Sostenibilmente a cura del Gruppo di Ricerca sullo Sviluppo Sostenibile (GRISS) dell’Università degli Studi di Milano Bicocca La risorsa territorio, un patrimonio di tutti Negli ultimi 50 anni il nostro Paese ha cambiato volto: il consumo di 100.000 ettari di suolo l’anno ha travolto secoli di cultura e intaccato il valore economico riconducibile agli usi agricoli e naturali del territorio. Di fronte alle attuali obiettive difficoltà economiche, siamo sicuri che l’unica strada sia quella di “svendere” la “risorsa territorio” alle attività edilizie e alla costruzione di infrastrutture? Oppure esiste una via sostenibile alla valorizzazione e tutela del territorio e dell’ambiente? La valorizzazione delle eccellenze rurali, agro-alimentari, le attrattive ambientali, le oasi naturalistiche, le opzioni ecologiche di aggregazione e svago nella natura possono compensare la carenza di risorse economiche? Esiste una economia “verde”, sostenibile? La strada ambientalista allo sviluppo è percorribile? Il patrimonio natura può essere messo a frutto, valorizzato, senza rinunciare al territorio agricolo? La risposta è si. Ed è proprio partendo da questa certezza che proponiamo con questo numero, assieme a preoccupanti scenari sul consumo del suolo, alcune esperienze come quelle dell’Osservatorio Territoriale Edolese in Valle Camonica, alcune eccellenze del mondo imprenditoriale nel settore della cosmesi naturale, alcune riflessioni sul tema della riduzione dei consumi energetici (compreso quello, importante, dell’efficienza energetica degli edifici) o sul tema della produzione di vini bio, biodinamici, naturali e financo vegan. Partendo da questa certezza avanziamo alcune proposte, come quella della creazione di un Servizio Idrogeologico per salvarci dalle alluvioni. E proponiamo alcune soluzioni: la scelta alimentare vegetariana, ad esempio, che è rispettosa della vita degli animali ma anche dell’ambiente. O, ancora più radicale, un percorso culturale verso l’ecologia profonda: per passare da una concezione antropocentrica, che si sta rivelando sempre più fallace, ad una biocentrica, nella quale centrale non e l’Uomo ma il Pianeta che ci ospita tutti quanti. L’augurio è che il 2014 segni una significativa inversione di tendenza nella suicida politica di consumo del suolo. Gli esempi positivi ci sono. Si tratta di avere coraggio e imboccare le strade corrette. Buona lettura. Edgar Meyer Libertà non significa assenza di limitazioni. Possedere un’irremovibile convinzione di fronte a qualsiasi ostacolo: in questo è la vera libertà Riscaldare con la legna: le due facce della medaglia L’attenzione della comunità scientifica e lo sviluppo di politiche verso l’utilizzo del legno come fonte di calore, è in costante aumento. Tuttavia, mentre il contributo di questa fonte di energia può essere considerato a impatto zero sulle emissioni di gas climalteranti, il suo utilizzo, in particolare in impianti a bassa tecnologia, sembra contribuire in modo significativo all’emissione di altri inquinanti e quindi al peggioramento della qualità dell’aria sia nelle aree urbane che in quelle rurali. Inoltre, il taglio eccessivo dei boschi può causare l’instabilità dei versanti, l’erosione del suolo e la perdita di biodiversità. I risultati preliminari di uno studio condotto da ENEA e ISPRA (Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale) mostrano che l’espansione dell’uso dei tronchi di legno briquettes, cippato e pellet per la combustione domestica, può contribuire in modo significativo al raggiungimento della quota di energia prodotta da fonti rinnovabili prevista dagli obiettivi europei al 2020. Tuttavia, è anche ben noto, da studi scientifici sulla qualità dell’aria, che la combustione di biomassa in caldaie domestiche sia una fonte significativa di emissione di inquinanti atmosferici. Insieme a ossidi di azoto (Nox) e monossido di carbonio (CO) , il fumo della combustione di legna contiene particolato (PM) e contribuisce per una quota rilevante al totale delle emissioni di PM 2,5 e PM10 attuali. Studi sperimentali hanno dimostrato come anche nelle grandi città del bacino padano (Milano, Torino) durante la stagione fredda circa il 30% del particolato primario emessa sia dovuto alla combustione della legna. Questa coesistenza di aspetti positivi e negativi, se non adeguatamente integrata da informazioni sulle condizioni specifiche che influenzano i livelli di inquinamento, può portare a provvedimenti opposti circa l’uso del legno nei piani energetici locali. In Italia, ad esempio, nel passato abbiamo assistito a regioni che hanno attuato una forte politica di incentivi per caldaie a legna, senza alcun criterio di restrizione (ad esempio, sulla distanza della fornitura di legna o del tipo di caldaia) con l’obiettivo di incrementare la quota di energia rinnovabile prodotta, mentre altre realtà hanno applicato una regolamentazione volta a limitare l’uso della combustione della legna con l’obiettivo di migliorare la qualità dell’aria. L’utilizzo della legna ai fini energetici è una straordinaria risorsa locale, che solo se gestita correttamente resta tale e non si trasforma in una pericolosa minaccia per la salute pubblica e per la sopravvivenza dei boschi. Pertanto è necessario che la scelta di promuovere l’uso della legna come fonte di energia rinnovabile sia accompagnata da una valutazione della sostenibilità che consideri anche la disponibilità di risorse a scala locale e gli impatti ambientali lungo tutta la catena di approvvigionamento, in una prospettiva di ciclo di vita. L’approccio più efficace per affrontare questo problema dovrebbe essere quello di individuare quali siano le criticità e quali siano le soluzioni operative che possono aiutare a massimizzare i benefici nell’utilizzare la legna come fonte di energia rinnovabile, vale a dire la definizione di avvertenze e linee guida che dovrebbero essere seguite dai decisori ai vari livelli della catena (pianificatori territoriali, costruttori di impianti, consumatori, ecc), al fine di garantire la sostenibilità di questi sistemi. Quali sono quindi i principali criteri di scelta di un buon sistema di riscaldamento a legna? 1. Sostituire le vecchie caldaie a legna con impianti più nuovi ed efficienti (a cippato o a pellet, a seconda della potenza necessaria) 2. Scegliere legna “locale”, per ridurre la distanza di trasporto dal bosco alla caldaia 3. In caso di impianti mediograndi, applicare filtri e garantirne l’efficienza tramite una manutenzione periodica 4. Garantire condizioni costanti di combustione (ad esempio tramite un sistema di alimentazione automatica), per ridurre i periodi di accensione e spegnimento, durante i quali l’efficienza di combustione è minore e si producono più emissioni. Per saperne di più: Castellani V, Piazzalunga A., Sala S. Research findings and decision making: the case of renewable energy, Environmental Science Europe, 25:22, pp. 1-11, www.enveurope. com/content/25/1/22 di Valentina Castellani, Andrea Piazzalunga, Serenella Sala Daisaku Ikeda 4 ecoIDEARE - Gennaio 2014 5 STILI DI VITA ecologia profonda: ESSERE E FARE NATURA di Stefano Fusi Il termine “Ecologia profonda” (Deep Ecology) fu usato per primo dal filosofo, naturalista e ambientalista norvegese Arne Naess nel 1973, per distinguerla da quella che chiamò “ecologia superficiale” (Shallow Ecology). Oggi l’ecologia profonda è un filone di studi, ma anche una pratica di vita che mette al centro di ogni considerazione la vita naturale e la sua importanza fondamentale per la vita sociale, la salute e la realizzazione spirituale. Secondo l’ecologia profonda, non bastano soluzioni tecniche o politiche ai problemi ambientali: bisogna cambiare vita, riconoscere la sacralità di ogni cosa. Che fine fa una palla di neve all’Inferno? Questa la domanda di Gregory Bateson, epistemologo e antropologo, fra i massimi esponenti dell’Ecologia profonda, nel suo libro “Verso un’ecologia della mente”. È la fine che faremo noi esseri umani, se non cambiamo completamente il nostro modo di vedere il mondo. Secondo l’Ecologia profonda, non siamo noi esseri umani a poter “salvare il mondo”, proteggere l’ambiente e tutelare la natura. È vero il contrario: sarà la natura a salvarci, se ne apprenderemo gli insegnamenti. Del resto, noi siamo parte della natura, che ci ha creati e ci permette di vivere; credere il contrario è come credere ancora che la Terra sia al centro dell’universo. L’ecologia profonda è una tendenza filosofica relativamente nuova, sorta “ufficialmente” solo nel 1973. Si distingue dall’ecologia cosiddetta “superficiale” perché, secondo i suoi sostenitori, porta alle sue conseguenze logiche le scoperte della scienza ecologica e si riallaccia alle radici più profonde del pensiero e dell’esperienza umane: quelle degli antichi popoli di natura, le cui intuizioni oggi sono confermate dalla scienza, in particolare dalla fisica quantistica. Le loro visioni del mondo sono considerate come le radici della conoscenza, perché affondano nella terra e ne permettono l’espandersi verso l’alto. Quelli che spregiativamente abbiamo chiamato popoli primitivi e che oggi definiamo più correttamente Nativi, hanno da sempre coscienza dell’interrelazione e dell’interdipendenza di tutte le parti viventi e non viventi. Noi popoli occidentali, che abbiamo separato e diviso anima e corpo, mente e materia, uomo e ambiente, spirito e natura, lo abbiamo riscoperto solo ora. Invece, oggi si sa che materia è uguale a energia in forme diverse grazie alla fisica, che corpo e mente sono uniti e sono due facce della stessa medaglia grazie alla 6 ecoIDEARE - Gennaio 2014 < Foto di Glenn psicosomatica e alla medicina olistica; sappiamo che la mente è un’entità universale che collega ogni cosa, grazie alle ricerche sulla conoscenza di pionieri come Fritjof Capra e Gregory Bateson e dobbiamo trarne le conseguenze, aggiornare la nostra visione del mondo. Smettere di considerarci al di fuori della natura e superiori ad essa; dobbiamo perfino andare oltre il pur positivo approccio ecologico che ci chiede di impegnarci in difesa della natura. Perché pretendere che noi possiamo difendere la natura standone al di fuori e studiandola secondo i criteri convenzionali della scienza materialistica o intervenendo con una soluzione tecnica, politica o sociale, è come pensare di potersi innamorare leggendo un manuale, di avere un figlio studiando un trattato di anatomia o di coltivare una pianta senza avere il terreno dove metterla. È come cercare di spiegare il mondo lasciando fuori dalla nostra esperienza disincarnata e puramente razionale il corpo, l’anima, il respiro, l’amore, il desiderio, l’immaginazione, la passione … cose che sono difficilmente definibili dalla scienza, ma che sono, appunto, la sostanza della vita, che sfugge alle definizioni e ai nostri tentativi di contenerla in un linguaggio. I Nativi americani chiamano tutto ciò “Grande mistero”: esso è più vasto di noi e non potremo mai conoscerlo tutto. Ci contiene come l’oceano contiene le gocce. Noi occidentali abbiamo pensato di essere gocce, abbiamo costruito barriere per conservare la nostra identità-goccia, ma è impossibile. Non abbiamo più visto l’oceano di cui facciamo parte. I risultati sono la tecnologia fuori controllo, i cambiamenti climatici, il rischio di contaminazione totale portato da poche barre radioattive, isole di plastica grandi quanto intere nazioni, la distruzione dell’ambiente dovuta all’obsolescenza programmata studiata ad arte per vendere più oggetti… Per uscirne non basta porre correttivi, per quanto positivi e indispensabili: usare tecnologie pulite è senz’altro un passo giusto da fare ma se stiamo andando verso il precipizio non basta rallentare, occorre cambiare direzione. E magari, per certe cose, tornare indietro. Non è una sconfitta, non siamo in guerra con la natura: mentre è proprio questo pensiero alla base dell’intero nostro sviluppo: l’idea paranoica di aver da combattere contro ciò che al contrario ci mantiene in vita. L’ecologia profonda propone invece di essere in armonia con la natura, di imparare da essa, rispettarla, porsi al suo servizio, puntare a esserne custodi e non padroni per quanto illuminati. Di considerare tutti gli esseri viventi come senzienti e titolari di diritti. Più che soluzioni pratiche immediate, l’ecologia profonda propone dunque un mutamento totale di visione, che come tutti i cambiamenti di paradigma richiede tempo per affermarsi e all’inizio sembra poco “pratico”: ma anche le riflessioni di filosofi come Bacone e Cartesio dapprincipio sembravano astratte, mentre in seguito hanno trasformato il mondo in una grande macchina che ormai sta andando da sola verso la propria crescita infinita, che per noi significa autodistruzione. Ora è tempo di ribaltare questa visione e di vedere noi stessi come parte di un organismo molto più grande, Gaia nell’intuizione dello scienziato inglese James Lovelock, che ha paragonato l’intera biosfera a un essere vivente dotato di capacità di autoregolazione. Fondatore dell’ecologia profonda è considerato il filosofo, naturalista e alpinista norvegese Arne Naess. Negli anni Settanta del secolo scorso, spiegò che non si può vivere bene se non si riesce a mettere al centro di ogni considerazione personale la vita naturale e la sua importanza fondamentale per la salute e per la propria realizzazione spirituale. Il suo motto è “Ricchezza di fini, semplicità di mezzi”. L’ecologia profonda è molto concreta, anche se non propone soluzioni “pratiche” secondo i criteri convenzionali della mentalità materialistica e della scienza riduzionistica, che considera valide solo le esperienze replicabili in laboratorio, come se fosse possibile riprodurre la creazione (e del resto ci prova…). Oltre che alla scienza ecologica, l’ecologia profonda si ispira alla visione del mondo dei popoli nativi e alle tradizioni orientali di meditazione, che non sono per nulla mistiche ma hanno un approccio basato sull’esperienza diretta dell’interiorità. Sono pratiche che sgorgano dalle discipline del Taoismo, dello Yoga e delle culture sciamaniche e indigene. Consentono di uscire dagli intellettualismi e di sentire nella profondità della propria anima e nella propria carne l’importanza della natura in ogni momento della propria vita. Permettono di sperimentare il contatto con essa attraverso pratiche salutari, aiutano a sentirsi in relazione con gli elementi naturali, gli animali, le piante e l’ambiente, consentono di comprendere intuitivamente l’identità fra ciò che siamo e ciò che c’è all’esterno della nostra individualità e i loro nessi e interrelazioni. In questo senso sono ecologiche: l’ecologia è la scienza dei flussi di energia e delle connessioni fra le parti, non lo studio dei singoli fenomeni. Quelle ispirate all’ecologia profonda sono esperienze utilizzate oggi nell’educazione ambientale, nella formazione professionale e nelle terapie psicologiche, perché aiutano a comprendere in modo chiaro come viviamo in relazione con tutto ciò che ci circonda, che non siamo mai soli, ma parte di un grande organismo vivente e che ciò che facciamo e percepiamo ha effetto su ogni altra parte dell’esistenza. L’obiettivo dell’ecologia profonda, per Arne Naess, è la “realizzazione del Sé” per tutti gli esseri viventi. I valori di base dell’ecologia profonda sono: la tutela della biodiversità, ovvero il valore insostituibile di ogni parte dell’ecosistema, dalle cui relazioni dipende la salute dell’intero; la piccola dimensione per le città, le case, le aziende e ogni attività umana, come spiegato ampiamente dall’economista Ernst F. Schumacher; le tecnologie intermedie, che imitano i procedimenti della natura, senza violentarla: per esempio, le centrali eoliche che imbrigliano l’energia del vento, l’energia dalle onde del mare, la geotermia (energia prodotta dalle sorgenti calde della terra), i pannelli solari, la cogenerazione (la produzione integrata di energia e calore, evitando di disperdere quest’ultimo, sottoprodotto inevitabile dell’impiego d’energia), il riciclaggio e il reimpiego, il compostaggio, la lotta biologica (l’impiego di insetti antagonisti contro i parassiti), l’agricoltura biologica e l’uso dei biogas (sviluppato dalle deiezioni di animali) in agricoltura; il bioregionalismo: conoscere a fondo la zona in cui si vive, il suo ambiente, per rispettarne i cicli vitali e inserirvisi armoniosamente; il rispetto e il valore dato alle minoranze etniche e ai 7 < Foto di Paul Williams popoli nativi; l’importanza data alla donna come portatrice e creatrice di vita e di saggezza naturale; un nuovo senso religioso, laico e non legato ad alcuna religione organizzata anche se capace di integrarsi con tutte, trovandovi gli elementi migliori e comuni. Una religiosità che vede il mondo come rete di energia sacra, intendendo per “sacro” l’intero di cui ci riconosciamo parte; l’importanza dell’autorealizzazione personale all’interno di una comunità piccola e armonica; l’importanza centrale data alla difesa delle zone selvagge e incontaminate della Terra: le “aree wilderness”. I principi dell’ecologia profonda Questi principi furono originariamente proposti da Arne Naess e George Sessions (co-autore di Ecologia profonda) nel 1984 durante un viaggio turistico nella Valle della Morte in California. 1) Il fiorire della vita umana e non umana sulla Terra ha un valore intrinseco. Il valore delle forme di vita non umane è indipendente dall’utilità che queste possono avere per i limitati scopi umani. 2) La ricchezza e la diversità delle forme di vita sono valori in sé e contribuiscono alla prosperità della vita umana e non umana sulla Terra. 3) Gli esseri umani non hanno il diritto di ridurre questa ricchezza e diversità, se non per soddisfare bisogni vitali. 4) L’attuale interferenza umana nel mondo non umano è eccessiva, e la situazione sta peggiorando rapidamente. 5) Il fiorire della vita umana e delle diverse culture è compatibile con una sostanziale diminuzione della popolazione umana. L’esistenza stessa delle forme di vita non umane esige tale diminuzione. 6) Un miglioramento significativo delle condizioni di vita richiede un cambiamento nelle politiche attuali. Queste politiche influiscono sulle strutture economiche, tecnologiche e ideologiche fondamentali. 7) Il primo cambiamento ideologico dovrebbe consistere nell’apprezzare la qualità della vita (e quindi le situazioni che hanno valore intrinseco) invece di promuovere un alto tenore di vita. Ci deve essere una profonda consapevolezza della differenza tra ciò che è grande dal punto di vista quantitativo (big) e ciò che lo è dal punto di vista qualitativo (great). 8) Coloro che sottoscrivono questi punti si impegnano a partecipare, direttamente o indirettamente, allo sforzo di realizzare le trasformazioni necessarie. (Sintesi delle affermazioni e delle proposte dell’ecologia profonda di Arne Naess, da Ecosofia, Red edizioni, 1994 ) Le esperienze di riconnessione cosciente con la natura Le pratiche di immedesimazione nella natura proposte dall’ecologia profonda sono le più svariate, ma tutte semplici e adatte a tutti. Sono efficaci proprio perché semplici. Si fanno soprattutto all’aperto, nella natura, ma si possono fare anche al chiuso. Per esempio, nel giardino si può meditare sulle forme naturali e cercare di riprodurle come per gioco: osservare e riprodurre con il proprio corpo il movimento degli animali, la crescita delle piante, lo sbocciare di un fiore. Ci si trova allora senza quasi accorgersi a essere più sereni, rilassati e fiduciosi. Perché sentiamo di non dover essere noi a proteggere la foresta, ma che è la foresta a proteggere noi. A quel punto è diventa 8 ecoIDEARE - Gennaio 2014 naturale non distruggerla e custodirla: perché noi siamo la foresta. Immedesimati con gli elementi Immagina dentro di te acqua, aria, terra e fuoco, gli elementi di cui siamo fatti e di cui è fatta la natura. Ti fa entrare in sintonia con le loro qualità: fluidità, leggerezza, sostegno e solidità, espansione e calore. Poi, cerca di riportare queste sensazioni nella vita di tutti i giorni: le immagini mentali hanno lo stesso potere di quelle reali, come insegnano diverse tecniche di rilassamento e visualizzazione come il training alfagenico e l’immaginazione guidata. ^Fiore di Loto - Foto di Cristian Duran Questi esercizi servono a ricaricarci d’energia, distenderci e rilassarci quando siamo particolarmente tesi. Per immedesimarti con gli elementi naturali, rilassati, seduto o meglio sdraiato; non tenere le gambe accavallate né le gambe incrociate e lascia le mani libere e i vestiti allentati. Respira con calma e profondamente ma senza forzare, e chiudi gli occhi. Al termine, riprendi lentamente coscienza del tuo corpo. Poi apri gli occhi e fai quello che desideri fare. Terra Immagina nella tua mente di essere seduto sulla terra, in un posto che ti piace. È un posto luminoso, carico d’energia. Senti il tuo peso e l’energia della terra che ti sostiene, ti accoglie e ti nutre. A ogni respiro, senti l’energia della terra che entra nel tuo corpo, e a ogni respiro ti senti più rilassata e vitale. Acqua Immagina nella tua mente di essere nell’acqua di uno stagno tranquillo o se preferisci di un lago, di un fiume o del mare. Senti l’acqua attorno a te che ti bagna, ti rinfresca, ti pulisce. Seguine il moto, guardane le onde, guarda sotto l’acqua. Galleggia e senti il calore del sole sul tuo corpo sopra il pelo dell’acqua. Fuoco Immagina nella tua mente di assorbire energia dall’universo a ogni respiro e di sentirti sempre più rilassato e tranquillo. Immagina che il tuo corpo a ogni respiro si illumini, a partire dall’addome, e che questa luce diventi una fiamma, poi un fuoco che ti riscalda dall’interno e s’espande poi fuori di te. Godi- ti il calore del fuoco. Aria Immagina nella tua mente che a ogni respiro il tuo corpo diventa più leggero e si riempie d’aria, che tu ti sollevi come un uccello in volo, e senti come il vento ti accarezza e ti sospinge. A ogni respiro immagina di muoverti nell’aria come un uccello (o come una farfalla), e lasciati sollevare dal vento, affidati all’aria che ti sostiene e trasporta. Ripercorri l’evoluzione È un esercizio che aiuta a sentire nel proprio corpo l’intera storia della vita, che è racchiusa in noi, da cui proveniamo, e che riviviamo comunque durante i nove mesi della gestazione e quando veniamo alla luce uscendo dalle acque. È un esercizio di immaginazione e movimento che dona sensazioni ed emozioni forti e profonde e ci fa sentire parte della natura in modo molto diretto. Sdraiati, rilassati e respira profondamente, chiudi gli occhi. Comincia tutto racchiuso su te stesso, come un essere unicellulare: braccia e gambe piegate e raccolte attorno al corpo il più strettamente possibile. Ondeggia lentamente, come nel mare da cui veniamo. Continua a oscillare lasciandoti portare dalle correnti, segui i loro flussi. Poi nuota, quando senti che ti spuntano pinne e coda. Poi arrivi dove l’acqua è bassa, ed esci sulla spiaggia, strisciando come i primi anfibi. Sempre lentissimamente, striscia sulla terra, sollevati piano sulle zampe anteriori come i rettili, poi sulle quattro zampe salta come anfibi e rettili. Quindi percorri lo spazio a quattro zampe, sollevando la testa, infine sollevati sulle gambe, cammina, muoviti, guardati intorno. Diventa albero L’albero è una metafora della vita: unisce cielo e terra, è saldo e fecondo, portegge e dona l’ossigeno di cui abbiamo bisogno. È uno dei simboli universali della crescita, dell’ascesa e della natura interiore. Sentirsi come gli alberi, radicati e allo stesso tempo slanciati verso l’alto, dà sicurezza e distensione. L’albero del Qi Gong Quello dell’albero è uno degli esercizi di base del Qi Gong, l’antica arte cinese dell’equilibrio dell’energia vitale: significa stare fermi e immobili come alberi. Sembra facile, ma dopo poco ci si distrae, ci si chiede che cosa stiamo facendo… farlo per pochi minuti al giorno è un esercizio benefico, che ricarica d’energia. Si fa così: resta semplicemente ritto in piedi, tieni le gambe leggermente flesse, i piedi paralleli perpendicolarmente alle spalle, le braccia rilassate ai fianchi, gli occhi socchiusi indirizzati a circa due metri di distanza STILI DI VITA in avanti, in un punto a metà della tua altezza. Respira con calma e in modo naturale, senza forzature, stando attento a tutte le tue sensazioni. Farlo all’aperto è ancora più bello perché fa sentire un forte legame con la natura circostante, di cui si riesce a percepire meglio le energie; in un bosco, è ancor più sorprendente. Riproduci la vita dell’albero Rilassati profondamente, respira con calma. Chiudi gli occhi. Immagina di essere l’albero e riproducine con il corpo lo sviluppo. Prima sei un seme nella terra: mettiti a terra, raggomitolato su te stesso. Poi senti arrivare acqua, sali e nutrimento, e ti espandi lentamente. Piano piano, distendi in fuori gambe e braccia. Stendi mani e piedi e piano piano porta la testa in alto e sali. Portati in piedi con grandissima lentezza. Continua a espanderti. Quando hai trovato un equilibrio stabile, in posizione eretta, tieni le gambe leggermente flesse e le braccia levate verso l’alto. Senti che dai tuoi piedi escono radici che affondano nel terreno. Senti come sprofondano alla ricerca di sali, acqua e nutrimento. Senti come trasportano la linfa verso l’alto attraverso il tuo tronco. Senti come la linfa risale verso i rami, le tue braccia alzate. Senti i tuoi rami ricevere luce e calore dall’alto, e senti come dai rami escono foglie, fiori, frutti. Senti il vento che trasporta i tuoi semi, e senti la presenza degli altri alberi attorno. Senti tutto quello che hai sopra e attorno – insetti, uccelli, arbusti, funghi, pietre, erba. A occhi chiusi nella natura Di solito ci concentriamo su quello che vediamo, e usiamo poco gli altri sensi: in questo modo ci sentiamo slegati dal resto del mondo e diventiamo preda di ansie inutili. Se invece ci abituiamo a usare di più l’olfatto, il tatto, l’udito e il gusto scopriamo che il nostro corpo la sa lunga su quello che ci fa stare bene: si risveglia la sensibilità, che poi ci aiuta nella vita quotidiana. L’esercizio più semplice è andare a occhi chiusi in un luogo naturale (prima ci si può esercitare in casa), meglio se accompagnati da qualcuno cui poi ricambiare il favore. Tocca tutto quello che ti circonda cercando di scoprire cos’è, fa attenzione al tuo peso, agli odori, alle sensazioni di calore e frescura, ai rumori; se trovi un frutto prova ad assaggiarlo… poi, a occhi aperti, cerca di riconoscere quello che hai toccato e sentito. Oppure, fà un mucchietto di oggetti di uno stesso tipo (sassi, pigne, semi, steli d’erba, rametti) e toccali a occhi chiusi, poi prova a riconoscere a occhi aperti quelli che hai toccato e a distinguerli tra loro. Sito e newsletter: www.naturalspirit.it Stefano Fusi è giornalista, scrittore, organizzatore di eventi e formatore nel campo della crescita personale. Ha lavorato per le associazioni ambientaliste, case editrici, enti pubblici e fondazioni culturali promuovendo manifestazioni, incontri e campagne per la coscienza ecologica profonda. Fra questi il convegno “Urihi incontro con le civiltà dei custodi della terra”, che ha ispirato l’eBook “Custodire la Terra – il messaggio dei popoli nativi delle Americhe” appena pubblicato da Area51 Publishing. Le sue ricerche ed esperienze sono raccolte nei suoi libri “Spirito naturale – l’ecologia profonda per la salute del corpo e dell’anima”, “Immaginazione creativa” e “Energia vitale”, in edizioni Tecniche Nuove, e “Spiriti della Terra e del Cielo” per le Edizioni Lalbero. Conduce cerchi comunitari ed esperienze per la riconnessione cosciente con la natura. <Foto di Kelsey Johannesshon 9 <Nelson Mandela Nelson Mandela, un eroe della pace da tanti bianchi; ma anche questa condizione è in fase di cambiamento secondo me. Ma c’è anche un altro fattore che è importante riguardo a questo, ed è l’interdipendenza quotidiana che esiste tra bianchi e neri in questo Paese. Un altro elemento che distingue il Sudafrica dal Medio-oriente per esempio, è l’assenza di conflitti o tensioni religiose. E, diversamente dal conflitto nella ex-Iugoslavia, pur essendoci qua delle razze ed etnie diverse, un odio così viscerale come l’abbiamo visto in Iugoslavia non è così diffuso e questo lo si deve all’impatto di Mandela. Ci sarà dell’astio, un volere di vendetta, ma fino a quando la situazione economica rimarrà stabile, il Sudafrica ha un futuro molto promettente, purché il governo attuale metta in moto dei programmi per colmare le disparità economiche e riesca a combattere la corruzione. Bisogna però vedere se la morte di Mandela non apra ulteriori tensioni razziali, ma io sono fiducioso. Caso mai, gli immigrati arrivati qui dal resto del continente africano potranno essere le vittime della xenofobia. Io spero di no, però di fatto il Sudafrica è la Germania dell’Africa, e tanti fuggono dal caos nel Congo, e dallo Zimbabwe con l’auspicio di migliorare la propria vita e quella dei loro familiari, ma spesso devono fare i conti con la rivalità di coloro che concorrono per i posti di lavoro. Il popolo africano è cambiato con Mandela? Quali i mutamenti più significativi a livello culturale - di consapevolezza di questo popolo? Sarebbe molto pericoloso fare delle generalizzazioni su qualsiasi popolo, tipo, “tutti gli italiani mangiano gli spaghetti, sono tutti corrotti, egoisti, fannulloni”, o dire che “si sono cambiati per il meglio/ il peggio grazie al Berlusconi”… sarebbero delle affermazioni assurde. Cambiare in che senso? Già l’idea che c’è un popolo africano, sarebbe come dire “c’è un popolo europeo”. Ugualmente assurdo. Un norvegese non è un italiano per una valanga di motivi, e lo stesso vale per gli africani (si ricordi che ci sono 11 lingue ufficiali in Sudafrica, ma per comodità l’inglese è la più diffusa, e l’afrikaans in altre zone). Però, quello che si può dire, è che grazie a Mandela, e la fine dell’apartheid c’è una maggiore fiducia in sé stessi, fra molti africani, specialmente nelle città. C’è una classe media, una borghesia nera, che spesso si comporta in un modo molto simile alla borghesia bianca, cioè, materialista abbastanza ma per il resto con valori della borghesia. La borghesia, sia nera, che bianca, è ugualmente minac- di Daniela Milano Secondo lei chi è stato Nelson Mandela? Occorre naturalmente vedere il fenomeno di Nelson Mandela nel suo contesto storico. Bisogna ricordare che per molti lui era stato un “terrorista” e per la maggioranza dei sudafricani un liberatore. Lui non era l’unica persona che aveva “salvato” il Sudafrica da una Guerra civile/razziale. Ma sapeva bene navigare la situazione politica sudafricana in una maniera talmente astuta e per fortuna i suoi avversari erano anche abili. Sta di fatto anche che la situazione mondiale all’epoca (cioè dal 1989 in poi) era stata trasformata in toto. Non si può vedere il fenomeno di Mandela e De Klerk senza rendersi conto dell’impatto dell’ascesa di Gorbaciov e la caduta dell’Unione Sovietica, il quale fu il sostenitore più importante dell’ANC, il partito di Mandela. Ci sono coloro che diranno che Mandela era stato troppo conciliatore nei confronti dei bianchi, ed è vero che, se Mandela avesse detto:”uccidete ogni bianco che vedete”, questo sarebbe accaduto. Ma lui aveva capito la complessità del Sudafrica e aveva capito gli Afrikaner (i discendenti degli Olandesi, Ugonotti francesi e tedeschi che vennero qui dal Seicento in poi) e che avevano inventato l’apartheid. Mandela aveva anche colto l’importanza del Sudafrica dal punto di vista economico e, essendo vissuto in altri paesi africani poteva apprezzare il valore del Sudafrica, avendo l’economia più sviluppata in tutto il continente. Mandela era un maestro politico, e malgrado i sacrifici personali, è riuscito a trascendere l’odio per poter abbracciare persino coloro che l’avevano messo in galera per 27 anni. In questo senso, Mandela ha un che di sovrumano. Quale traccia psicologica - caratteriale ha contraddistinto questo uomo? Come appena espresso, doveva aver avuto una capacità di comprensione del prossimo che è molto rara. Bisogna anche ricordare che lui è d’origine aristocratica nel contesto del suo popolo Xhosa, viene da una famiglia reale, cioè è abituato a capeggiare, condurre. 10 ecoIDEARE - Gennaio 2014 Aveva un’intelligenza emozionale abbinata ad un senso del Realpolitik – cioè una comprensione profonda di ciò che è possibile, fattibile. Sapeva che le forze del governo nazionalista Afrikaner erano tali da poter prolungare l’apartheid per tanti anni, ma sapeva anche che gli Afrikaner (o quello che viene chiamato anche il governo bianco, che sarebbe una semplificazione molto riduttiva) non sarebbero stati in grado di mantenere uno stato d’emergenza nel Paese per sempre, che il costo di un tale approccio sarebbe stato troppo elevato, e che avrebbe portato alla rovina dell’Africa. Cosa voleva significare la parola PACE per Nelson Mandela? Chiaramente questa domanda si collega alle risposte già date. Chiaro, ogni persona dà un significato diverso ad ogni parola. Ma, entro i limiti della comprensione di una persona, direi che, per Mandela la pace voleva dire, prima di tutto dare a tutti gli stessi diritti e le stesse opportunità. Avrebbe capito benissimo che un Sudafrica in uno stato d’assedio non è la pace. Detto ciò, il Sudafrica non è più in uno stato d’assedio politicamente parlando, ma continua ad essere un Paese con delle disparità economiche che superano quelle di un paese come il Brasile ormai. Non si può avere una situazione duratura di pace con delle disparità come le abbiamo in Sudafrica. E sono sicuro che Mandela ne fu pienamente cosciente. Quale eredità ideale lascia? Utopia? o qualcosa che è radicato negli africani? L’eredità che lui ci lascia è quella del sacrificio per il prossimo, un ideale a cui puntare, mirare. E sarà molto di moda citare la parola “ubuntu” (che vuol dire “io vivo perché gli altri vivono/vivano”) ma con i livelli di corruzione sotto l’African National Congress (ANC) di oggi è un po’ difficile crederci senza avere dei sospetti. Sta di fatto però che gli africani sono, sia nel bene che nel male, molto, forse troppo rassegnati all’idea del destino, e la loro pazienza nel dover condividere il Paese con altri non è necessariamente adesso condivisa > Labour Party Conference in Brighton, Great Britain 2000 - Foto di Nils Jorgensen Daniela Milano, giornalista e counselor per il benessere, la formazione, l’educazione della persona, intervista per Ecoideare, a pochi giorni dalla scomparsa di Nelson Mandela, il Prof. Wilhelm Snyman, PhD, docente di letteratura italiana all’University of Cape Town e giornalista, profondo conoscitore della storia dell’Africa, delle sue problematiche e grande seguace di Nelson Mandela. STILI DI VITA ciata dalla presenza di un grandissimo sottoproletariato che non ha niente. Per quanto riguarda la “consapevolezza”, gli stessi valori, come l’istruzione adeguata dei figli, la sicurezza finanziaria, avere la propria casa… tutti questi fattori fanno parte di una coscienza che non crea una distinzione razziale. La povertà sì, invece, perché la maggior parte dei poveri continuano ad essere neri. Nelson Mandela si può considerare un esempio internazionale anche da un punto di vista politico? Se si, per quali motivi ideali e concreti secondo la sua visione. Senza dubbio, Mandela si può considerare un esempio internazionale, come De Gasperi, Konrad Adenauer, Charles De Gaulle, Willi Brandt, Churchill, Roosevelt, Indira Ghandi, Angela Merckel, Margaret Thatcher, persino, ed alcuni altri. Lo dico perché essi sono stati dei leader che sapevano cogliere il momento storico, sapevano riconoscere la necessità di trascendere un “campanilismo” storico-culturale, per fare il meglio per i loro paesi. Non pensavano solamente alle proprie carriere, non facevano di tutto pur di avere il potere. Mandela fu presidente solo per 5 anni, dopodichè andò in pensione, perché sapeva che gli altri dovevano addestrarsi nell’esercitare il potere. Lì è il vero test per un leader, sapere aiutare gli altri, i seguaci, ad esercitare il poter in un modo responsabile. Come sappiamo, sia in Sudafrica, che altrove nel mondo, sono molto pochi i leader politici che fanno distinzione tra il proprio bene personale e quello dei loro paesi o del mondo. Mandela fu parte di una vecchia tradizione, con valori che ormai stanno sparendo, essendo stati sostituiti da interessi ampiamente egoistici. Credo che la mancanza di valori nobili e durevoli sia dovuta anche alla mancanza dell’insegnamento degli studi classici, ma questo è un mio parere personale. Secondo lei cosa leggeranno nei testi di storia le future generazioni sul personaggio Mandela? Leggeranno che lui era il primo presidente di un Sudafrica democratico, e che lui aveva posto fine all’apartheid. Questo non sarà vero al 100%, però, perché anche altri avevano combattuto per un Sudafrica più giusto, più vivibile per tutti. Con quale frase e testimonianza di Mandela le piace chiudere questa intervista? Senza Mandela il Sudafrica di oggi, relativamente pacifico, non sarebbe stato possibile. “Ho combattuto il predominio dei bianchi e ho combattuto il predominio dei neri. Ho accarezzato l’ideale di una società libera e democratica, in cui tutti possano vivere insieme in armonia e con le stesse opportunità. E’ un ideale che spero di vedere realizzato se vivrò abbastanza a lungo. Ma se sarà necessario, è un ideale per cui sono pronto a morire”.Tratto da Un ideale per cui sono pronto a morire di Nelson Mandela – Garzanti Editore. A pochi giorni dalla morte di Nelson Mandela, quando ancora il popolo piange e le autorità internazionali si preparano a celebrare in modo solenne i funerali, la Casa Editrice Garzanti del Gruppo Editoriale Mauri Spagnol pubblica due discorsi pronunciati dal grande leader in due momenti cruciali della sua vita. Il primo, nel 1963, durante il processo di Rivonia che lo vede imputato del pesantissimo reato di tradimento e terrorismo, momento in cui Mandela si dichiara pronto a morire pur di continuare la sua sfida per la pace e per l’uguaglianza. Un discorso appassionato di un uomo che, anche nel frangente più drammatico della sua vita mostra straordinario coraggio nel denunciare gli episodi di terribile violenza da parte del regime dell’apartheid nei confronti di una popolazione nera schiavizzata. La determinazione insieme alla chiarezza e al carisma con cui Mandela si rivolge ai suoi accusatori, rivela la rara personalità di un leader dall’animo mite e al contempo forte come una roccia. Il suo secondo discorso pubblicato, risale al giorno della sua liberazione (dopo 26 anni di carcere durissimo) un giorno di grande festa e di commozione collettiva. Nelson Mandela ripete con la medesima mitezza e forza le stesse – identiche parole pronunciate nell’aula di tribunale. Due discorsi destinati a rimanere epocali, a segnare la storia del Sudafrica e dell’intera comunità internazionale. L’eccezionale testimonianza di vita e l’eredità del primo presidente democraticamente eletto dalla Repubblica Sudafricana sono quelli da cui ha preso il titolo questo bel – incisivo testamento spirituale pubblicato da Garzanti. 11 cosmesi e Salute: mercato in evoluzione STILI DI VITA STILI DI VITA di Nicola Saluzzi Al fondatore e presidente di GUNA, industria simbolo dell’omeopatia italiana, Alessandro Pizzoccaro, abbiamo rivolto alcune domande. GUNA è nata per produrre e distribuire prodotti omeopatici, un settore difficile in Italia, soprattutto in mancanza di un quadro normativo. Quali sono state le tappe significative? La tappa essenziale fu quella dell’incontro con mia moglie con la quale ho condiviso da subito la passione per l’Omeopatia. Con un pizzico di coraggio e d’incoscienza, guidati dalla passione, abbandonammo le rispettive occupazioni ed iniziammo la nostra avventura che ci ha portati a creare, a 30 anni di distanza, quella che oggi è la prima azienda omeopatica italiana. Iniziammo come distributori in esclusiva di importanti aziende straniere, successivamente ci rendemmo conto che per realizzare le nostre idee sarebbe stato necessario avere un laboratorio di produzione. Fu così che nel 1989 creammo il primo laboratorio omeopatico autorizzato dal Ministero della Salute. La nostra proposta terapeutica incontrò sempre più il favore dei medici, farmacisti e pubblico tant’è che nel 1995 ci trasferimmo in un laboratorio più grande fino ad arrivare nel 2008 nell’attuale 12 ecoIDEARE - Gennaio 2014 sede produttiva. Contemporaneamente affiancammo ai farmaci omeopatici integratori, cosmetici, medical device, tutti caratterizzati da innovazione, efficacia e mancanza di effetti collaterali. Oggi siamo presenti con distributori in oltre 30 Paesi nel mondo e abbiamo una filiale negli Stati Uniti, dove abbiamo registrato 70 medicinali omeopatici presso l’FDA. Certificazione biologica, codice etico aziendale, cultura, cooperazione, impegno alla sostenibilità. Quali progetti per il futuro? Proseguire nel cammino intrapreso, perché riteniamo la coerenza un valore e non vediamo questo genere di attività come “subordinato” alla situazione di mercato. La vera sfida per i prossimi due anni è fare in modo che questi valori “permeino” sempre più l’azienda a tutti i livelli: la sostenibilità è nel nostro core-business, dal momento che produciamo farmaci naturali, efficaci e senza effetti collaterali, e deve essere un metodo di lavoro che orienta tutta la strategia di impresa. Siamo un’impresa ma riteniamo che i buoni affari possano andare d’accordo con l’impegno per lasciare ai nostri figli un mondo migliore di quello che abbiamo trovato noi. Quando avete introdotto i prodotti cosmetici? L’inserimento dei cosmetici è stata un’evoluzione naturale della nostra crescita. Parte della nostra proposta medica si rivolge alla medicina estetica attraverso l’utilizzo di prodotti omeopatici iniettabili in bio-mesoterapia. Gli stessi medici dermatologi che fanno parte del nostro gruppo scientifico ci propongono soluzioni coerenti con la nostra impostazione basata sull’innovazione, efficacia e assenza di effetti collaterali. Da 10 anni è attiva anche la produzione dermocosmetica. Nella cosmesi bio, la concorrenza è a maggioranza straniera. Ci può dire se il plus di essere italiana incide nella scelta di GUNA da parte del cliente? All’estero l’immagine italiana nell’estetica e nel buon gusto è molto elevata. I cosmetici made in Italy hanno un appeal di per sé; se poi sono di qualità, il successo è automatico. In Italia i nostri consumatori generalmente hanno fiducia che un prodotto nostro non tradisce, sia esso farmaco, presidio, integratore o cosmetico. Pertanto sia nei paesi esteri in cui distribuiamo che in Italia, riteniamo di trovarci in una situazione particolarmente favorevole. 13 < Aloe Vera - Foto di Smit Il settore bio della cosmesi e della detergenza si affianca al bio agroalimentare. A differenza di quest’ultimo che dopo travagliati decenni di vuoto legislativo o di leggi insufficienti, oggi gode di una normativa europea all’altezza della sua importanza, la bio cosmesi in Italia è certificata su base volontaria, e, nonostante la recessione economica, cui siamo ormai abituati, pare goda di una discreta salute. Infatti, da poche decine di aziende dedicate oggi si contano alcune centinaia di operatori che hanno scelto di produrre secondo i criteri eco e bio. Ciò significa che la domanda seppure di nicchia, ha una sua consistenza. Il soggetto certificatore che ebbe la buona intuizione di trasferire su un altro settore la conoscenza acquisita con i prodotti dell’agricoltura, ha vinto una scommessa e soprattutto ha fatto da apripista per altri soggetti. Così, a distanza di poco più di dieci anni dalla prima certificazione eco bio dei prodotti cosmetici in Italia, questo segmento si è sviluppato in modo che prima nessuno poteva immaginare. Ad apporre il primo “bollino” eco bio è stato ICEA Istituto Certificazione Etica Ambientale, il cui direttore, in queste pagine descrive il fenomeno, che peraltro segue l’esempio di altri paesi europei. Ora, c’è da domandarsi qual è l’origine di tale evoluzione. Come per il cibo, anche i prodotti di bellezza hanno l’età dell’uomo e si può affermare che, essendo ottenuti dalla lavorazione per lo più di vegetali, sono di provenienza naturale. E’ stata l’introduzione della chimica e la sua applicazione industriale e massiva che nel tempo ci ha costretto a distinguere i prodotti “naturali” dal resto, ed è maturata la consapevolezza dei rischi per la salute dell’uomo (oltre ai danni all’ambiente) che derivano dal suo uso sregolato. Per molti anni, la comunicazione pubblicitaria ha favorito l’industria (per la verità non solo quella cosmetica). Il primo intervento legislativo a tutela della salute del consumatore si è avuto con la legge 713/1986 che impone la descrizione di tutti gli ingredienti nel prodotto cosmetico. L’industria farmaceutica e della cosmetologia sono rami diversi dello stesso mondo produttivo, che si basa sulla ricerca chimica e le nuove tecnologie. Le imprese (molte multinazionali) generano fatturati enormi. Da qui, sommariamente, possiamo tracciare un parallelo tra il mondo della medicina e della cosmesi convenzionali e quello delle cure e delle terapie alternative dove i nuovi protagonisti sono gli operatori delle Medicine Non Convenzionali (MNC) che, nonostante le molteplici iniziative, ancora non hanno una legge nazionale. Nelle “discipline bio-naturali” termine stabilito dalla Comunità Europea, rientrano: l’agopuntura, la fitoterapia, la medicina omeopatica, l’omotossicologia, la medicina antroposofica, la farmacoterapia tradizionale cinese, la farmacoterapia ayurvedica, la medicina manuale. Orientamenti e approcci diversificati, molti dei quali fondati su concezioni filosofiche e spirituali tramandate dalla cultura e dalla tradizione orientali. Antiche discipline si combinano con le moderne conoscenze scientifiche, le cui proposte curative tendono principalmente a riportare in un equilibrio naturale il rapporto tra corpo, mente e spirito. E dove imperativo è il ricorso (o il ritorno) all’uso di prodotti naturali. Grazie all’informazione e alla nuova visione culturale del consumatore si è affermato un nuovo stile di vita, improntato al benessere psico-fisico e al vivere naturale con un’alimentazione sana (bio), affidandosi alle medicine non convenzionali associate a tecniche di rilassamento (yoga, massaggio), per finire all’uso di prodotti per il corpo e per la casa ecosostenibili. Questo è il mondo che ci viene presentato nella sezione dedicata al benessere della fiera BIOFACH, che in termini economici, rappresenta un mercato dalle prospettive incoraggianti, come ci dimostra l’esempio di GUNA. A suo tempo fu dura convincere il presidente dell’Associazione Italiana Agricoltura Biologica, un uomo semplice, concreto e tutto di un pezzo, tra i maggiori esperti italiani nella concimazione organica, a spendere il nome e il marchio dell’associazione per avviare un percorso di certificazione nel settore della cosmesi, il regno del fatuo e superfluo. Immaginate quanto si arrabbiò quando arrivammo a certificare i profumi e i dentifrici per cani ottenuti da ingredienti dell’agricoltura biologica. Nel 1993, quando ho iniziato a lavorare nel settore del bio, certo non immaginavo di arrivare a questo. A quel tempo chi avesse pronosticato, da li a pochi anni, i prodotti biologici sempre disponibili nei supermercati a prezzi pure accessibili si prendeva certamente del visionario. Gli esponenti più intransigenti del circuito del biologico volevano addirittura imporre nei disciplinari di produzione del biologico un esplicito divieto alla vendita nei supermercati. A volte, pensando alle (troppe) deroghe ai principi originari del biologico, mi viene il dubbio che avessero pure ragione. I supermercati, la grande distribuzione ma sopratutto il dettaglio specializzato con superfici superiori ai 200 mq sono però i soggetti che hanno trascinato con maggiore intensità i consumi dei prodotti biologici e contano, anche in questa fase di recessione generalizzata, crescite del fatturato annuale che arrivano addirittura a superare i 10 punti percentuali. Il settore della cosmesi e detergenza bio e naturale, sono perfettamente in onda con una crescita annuale costante compresa tra il 4-10%. Questo era esattamente il futuro preconizzato da coloro che all’interno dell’Aiab insistevano per spendere il marchio e, quindi, anche la reputazione dell’associazione in questo settore che appariva a molti etereo, quanto estraneo al mondo agricolo. Quali sono le ragioni che hanno convinto Aiab a scendere in campo nella cosmesi, fino ad arrivare alla creazione di un Istituto dedicato alla certificazione di tutte le produzioni, food e non food, con valore etico ambientale? I cosmetici naturali, così come i tessuti bio o, in diversi casi, anche i materiali per la Bioediliza rappresentano un’ottima opportunità di 14 ecoIDEARE - Gennaio 2014 valorizzazione dei prodotti agricoli in settori che garantiscono margini ben superiori a quello dell’agroalimentare. Una buona crema cosmetica ha un costo industriale di 6-7 euro al Kg. L’incidenza del costo della materia prima nella definizione del prezzo finale è quindi irrisoria e i margini di investimento in qualità e promozione molto più ampi di quelli concessi al settore agroalimentare. Perché allora non orientare parte della produzione agricola: miele, propoli, olii essenziali, piante officinali ad un settore più renumerativo? Questa opzione era già stata perseguita da diverse aziende di medie e piccole dimensioni che vantavano l’impiego di ingredienti naturali o biologici, senza controllo alcuno. Ogni azienda perseguiva una sua logica e filosofia produttiva, a volte molto ferrea e intransigente, in altri casi puramente speculativa. Il tutto alimentava un mercato, magari remunerativo, ma condannato a sopravvivere nei mercati e nel dettaglio specializzato. Era facile imbattersi in cosmetici che di “naturale” avevano certamente l’aspetto esteriore, probabilmente contenevano anche alcuni ingredienti dell’agricoltura biologica o del commercio equo che, però, convivevano con i peggiori conservanti e tensioattivi chimici, scelti dai pochi laboratori terzisti che si occupavano della produzione sulla base di criteri puramente economici. Un contesto, quindi, affamato di regole in grado di salvaguardare e valorizzare il lavoro delle aziende più serie e virtuose che hanno immediatamente abbracciato le prime iniziative di normazione e certificazione volontaria partite in Francia (Cosmebio e Ecocert) e Germania (BiDH) e poi in Italia, prima con Aiab con la certificazione “Eco Bio” ereditata poi da org). Il primo nasce dal confronto tra le principali associazioni e enti di certificazioni europei (Ecocert, Cosmebio, BiDH, ICEA e Soil Association), il secondo nasce dalla defezione di alcuni marchi storici leader in Germania nella cosmesi naturale. Entrambi i disciplinari, pur con diversa intensità, puntano a responsabilizzare e coinvolgere maggiormente nei controlli le multinazionali che producono le materie prime oltre che superare, non senza difficoltà, i particolarismi e rendite di posizione consolidate nell’arco di un decennio dai marchi e disciplinari privati nazionali. Non a caso anche ISO, l’ente normativo internazionale, per conto della Comunità Europea, ha attivato un gruppo di lavoro che ispirandosi agli stessi principi ha coinvolto anche i rappresentanti di paesi emergenti come India, Brasile e Corea. Al momento nessuno auspica un intervento dello stato, così invasivo così come è avvenuto come nel settore alimentare. Alcune esperienze di estensione della normativa dei prodotti alimentari bio al settore cosmetico, vedi Stati Uniti (NOP) e Brasile, non hanno dato buoni risultati perché, trasponendo alla cosmesi additivi e conservanti del settore alimentari, limitano enormemente le possibilità tecnologiche a pochi prodotti molto grossolani. Tutti condividono, invece, l’utilità di una definizione di legge condivisa atta a tutelare nei principali mercati internazionali i prodotti cosmetici “naturali” e “biologici” dalla concorrenza sleale e dalle molteplici e, spesso strumentali, declinazioni nell’uso del termine “bio”. Un cenno merita il settore della detergenza, più giovane e meno maturo, anche per quanto attiene i sistemi di certificazione. A differenza della cosmesi il mercato è conteso da poche imprese, delle quali una (Ecover) è leader incontrastato di livello mondiale. Il detergente bioecologico si orienta su prodotti ecocompatibili, efficaci e sicuri per l’uomo e per l’ambiente, realizzato con ingredienti derivati da materie prime di origine vegetale o minerale e con materie prime biologiche e/o equosolidali. Ancora il tasso di penetrazioIcea, seguita da altre organizzazioni del settore (Ccpb, ne di questi prodotti è pari al 3%. Nel dettaglio specializBioagricert, Ecogruppo, QC). zato sono già molto diffusi anche nella versione alla spina La certificazione “Eco Bio” ha cambiato le carte in tacon confezioni ricaricabili. Si iniziano a vedere esperienze vola e ha permesso un cambio di paradigma, si è passati di vendita nei canali della GDO dove, fino ad oggi ,gli dal cosmetico “SENZA” (senza sles, paraben free, ecc.) unici prodotti con requisiti ecologici sono quelli certificati al cosmetico “CON”: Ecolabel. Recentemente è stata fondata l’associazione The A. prodotti agricoli e zootecnici primari da agricoltura Greenway to life (www.thegreenwaytolife.org), fondata biologica certificati (secondo le modalità previste del dai principali produttori italiani, francesi, tedeschi e il leadisciplinare); der di mercato Ecover che, per la prima volta, si approccia B. sostanze chimiche di origine naturale o derivanti da alla certificazione di prodotto in conformità al disciplinare chimica verde, selezionate sulla base di criteri di sosteni- internazionale implementato dall’associazione che ha bilità ambientale e salubrità; arricchito lo standard con un codice etico che fissa un tetto C. test clinici obbligatori, per prevenire effetti allergici perfino i per compensi dei dirigenti (non più di 20 volte lo indesiderati stipendio base dei lavoratori dell’azienda). D. etichette con informazioni e claim veritieri supportati da test clinici o bibliografia scientifica attendibile E. un sistema di controllo e certificazione indipendente con accreditamenti internazionali, che rende pubbliche le regole, le liste delle aziende e dei prodotti certificati (inclusi gli ingredienti) e risponde ai quesiti posti dai consumatori. Un progetto molto impegnativo, ma di successo (oggi possiamo contare su centinaia di aziende licenziatarie e migliaia di prodotti certificati), che è riuscito a superare alcuni importanti ostacoli tipici della cosmesi italianamente: la necessità di prodotti molto performanti e profumati, la tradizionale diffidenza dei dermatologi nei confronti del prodotto naturale e un sistema di controllo pubblico non tanto efficiente. Non è mancato il confronto con i nostri cugini europei, che ha portato allo sviluppo di due disciplinari internazionali: COSMOS standard (www.cosmos-standard.org) e NATRUE (www.natrue. > Erbe Officinali di Alessandro Pulga Direttore Tecnico ICEA < Biancospino - Foto di Vincenzo Lerro Cosmesi: un percorso naturale? STILI DI VITA 15 DOSSIER AMBIENTE E TERRITORIO Gli scenari del consumo del suolo a cura di: Mario Allodi, Andrea Marziani, Andrea Cassone 16 eco IDEARE - Gennaio 2014 < Basilicata - Villaggio Marinagri - Insediamento turistico in via di realizzazione sul litorale jonico sulla foce del fiume Agri - Foto di Lucania 17 > Civitella Alfedena Abruzzo - Foto di Luca Moiana AMBIENTE E TERRITORI > Cantieri Milano Expo - CityLife “turbinio viario a somma zero”, o meglio ci si muove avanti e indietro parecchie volte prima di raggiungere il casello e poi dopo per collegarsi con la viabilità ordinaria: ma tutto ciò avviene senza una logica che lo spieghi! Con ogni prodi Mario Allodi babilità l’incapacità cronica di far rispettare le regole di velocità ha fato pensare di realizzare curve di uscita percorribili, anche ad 80 Km orari, “Il disastro ai danni del paesaggio non sta tanto nello scandalo dei grandi abusi e dei mostri edilizi, quanto nell’erosione conti- pur essendo il limite 40 Km orari: così se qualnua, quotidiana, che si manifesta sotto i nostri occhi e rischia di cuno non rispetta le regole non finisce nei campi! cancellare il confine tra città e campagna.” Rapporto 2009 sullo Ma la vera analisi riguarda le superfici occupate dall’uscita con i suoi annessi e connessi. Dopo stato del paesaggio” della Società Geografica Italiana” la riflessione ho provato a paragonare le uscite e Tutto nasce dall’osservazione come strumento di valutazione; alcuni svincoli con altri siti di cui si ha percezione in sostanza si tratta di effettuare il passaggio fondamentale fra il “guardare” ed il vedere”. Oggi si è orientati a pensare al viag- della dimensione per far cogliere meglio come gio, alle vacanze, come momenti legati ad una partenza e ad un stiamo sprecando territorio e come lo consumiamo malamente. arrivo e ciò non ci fa soffermare sul vero viaggio, sul tragitto. Credo che sia necessario, per fermare questo Alcuni mezzi di locomozione anche se rapidi come il treno e cattivo uso del territorio, avviare una massiccia l’auto permettono di effettuare l’osservazione dei luoghi, del campagna di educazione della popolazione territorio, del paesaggio. Si aggiunga a tutto questo che il lavoro di tutti noi ci fa immagi- insegnando al cittadino la “grammatica” e la nare paesaggi inesistenti frutto della pubblicità o dei salvascher- “sintassi” dei luoghi attraverso le quali si colga come possono essere combinati fra loro i segni mi dei nostri computer o delle mete di vacanza dei depliant; del paesaggio. Tornare indietro è molto difficile, muoversi per ragioni di lavoro ci fa percorrere distrattamente neo-rotatorie su cui si affacciano centri commerciali, fabbriche forse impossibile (soprattutto a quale “indietro” ci si dovrebbe ispirare?), l’analfabetismo sul sapere tutte uguali nella struttura, per non parlare dei dettagli (carteldei luoghi è forse il vero male italiano che se lonistica moltiplicata, guardrail semidistrutti, cordoli e marciapiedi fatti per pedoni inesistenti – chi passeggia nelle aree indu- superato potrebbe dare nuovi strumenti per una rinascita economica del paese basata sulla qualità striali o nel suburbio della città?). Poi comincia ad intravedersi con la crisi economica il nuovo paesaggio dell’abbandono fatto del paesaggio. di aree industriali dismesse e di un corredo urbano annesso che patisce fatiscenze molto rapide. Ma ritorniamo all’osservazione; è proprio attraverso di essa Mario Allodi, architetto, impegnato che il pensiero mi ha fatto soffermare sugli usi di territorio e di ambientalista, si occupa della progetconseguenza sulla mutazione dei paesaggi dell’autostrada A4 tazione di spazi verdi. Ha realizzato numerose pubblicazioni di carattere Torino-Milano e delle aree Expo sulla tangenziale milanese. divulgativo sui temi del verde per Se ci si muove rapidamente, non si colgono le trasformazioni diffondere la cultura della natura e che ha avuto l’asse autostradale, prima con l’ampliamento di del paesaggio. E’ responsabile da corsie e poi con l’arrivo dell’alta velocità Milano-Torino che ha molti anni di una scuola d’arte e di comunicazione visiva, dov’è attivo costretto il rifacimento dei cavalcavia e delle uscite autostradali. un corso di formazione biennale di Proprio queste ultime colpiscono e in particolare alcune fra progettazione dei giardini. queste, l’uscita autostradale Novara ovest è diventata un vero SCORIE DI PAESAGGIO, PAESAGGIO FATTO DI SCORIE 18 ecoIDEARE - Gennaio 2014 TERRITORIO CHE SPARISCE, ECONOMIA CHE SCOMPARE di Andrea Marziani Già nel 1933, il grande economista J.M. Keynes asseriva “… la regola autodistruttiva di calcolo finanziario governa ogni aspetto della vita. Distruggiamo le campagne perché le bellezze naturali non hanno valore economico. Probabilmente saremmo capaci di fermare il sole e le stelle perché non ci danno alcun dividendo.” “Crescita economica” e “sviluppo” sono la via obbligata per creare posti di lavoro; è questo ormai l’imperativo categorico a cui il decisore politico rimanda ineluttabilmente nel motivare le scelte di governo della risorsa suolo. In tal modo, attraverso una delle abituali semplificazioni che anestetizzano la comunicazione, si sottrae al dibattito pubblico un tema estremamente complesso e gravido di implicazioni sul futuro di un bene comune e non riproducibile. Lo sfruttamento delle potenzialità del suolo quindi, come generatore di benessere, di ricadute positive sulla comunità coinvolta, che viene indotta a convertire un elemento costitutivo del paesaggio in opportunità di profitto o, alla meno peggio, di rivalutazione della rendita. Senza evocare i cambi di destinazione d’uso dei terreni, da agricoli a edificabili, ceduti dagli amministratori in cambio di oneri di urbanizzazione, spesso non resi effettivamente esigibili. Si pensi alla possibilità per un agricoltore, di quadruplicare la rendita agricola del proprio appezzamento convertendo lo stesso suolo al posizionamento di pannelli fotovoltaici. La coazione a realizzare velocemente un “utile”, estraendo valore dal suolo e dal territorio, offusca qualsiasi tentativo di riflessione sulle conseguenze sul paesaggio e sul territorio a breve, a medio e a lungo termine. Sembra inevitabile il rcorso ad un’unica opzione secondo la quale lo sfruttamento, rapido ed esteso, rappresenti la via al ripristino di un barlume di prosperità che risollevi dalla crisi. Tutto ampiamente confermato dall’autorevolezza degli opinion makers di volta in volta interpellati per suffragare le scelte cosiddette strategiche (la tav su tutte, ma anche, il più attuale piano di cementificazione della Sardegna – 3.000.000 di metri cubi quale “motore” di sviluppo o ancora, il previsto allentamento – nella legge di stabilità - dei vincoli esistenti per facilitare la Andrea Marziani. Dopo molti anni nel campo dell’orientamento, si occupa di formazione. Coordina le attività didattiche di una scuola del Comune di Milano nell’ambito della comunicazione ed arte visiva, in particolare specializzata in progettazione del giardino e del paesaggio. Si occupa con passione ai temi legati al giardino e al paesaggio partecipando ad iniziative e viaggi di approfondimento costruzione di centri commerciali e stadi…). Il prodotto di questa deriva è peraltro sotto gli occhi di tutti; dissesti idrogeologici, unità di paesaggio irrimediabilmente profanate e deturpate, conurbazioni che per vaste aree geografiche si snodano senza soluzione di continuità tra centri urbani collegati da vie di flusso stradale… E tutto ciò, il più delle volte, per “produrre lavoro solo per il tempo necessario a liquidare una tornata elettorale” (come scrive M. Fois in una amara critica rivolta ai conterranei nell’accettare il cemento selvaggio). L’uso del suolo, determina il destino del paesaggio, un bene comune a cui non si guarda ancora come ad una risorsa vitale per la comunità. Quando un amministratore costruisce un porto turistico che impatta sull’ambiente costiero, quando si concedono diritti di edificabilità per un outlet o per un centro commerciale (peraltro tipiche incarnazioni dei non-luoghi di Augé), si operano decisioni giustificate da un ritorno economico, ma non “guardano” al fatto che il segno sull’ambiente e sul paesaggio sono cicatrici indelebili. Il tempo necessario per recuperare alla coltivazione un terreno su cui si è costruito (e si è magari successivamente demolito) è stimato in circa 100 anni. Ogni scelta in questa direzione rivela tutto il suo peso sulle generazioni future, senza contare che viene determinata da personale politico o da amministratori che sono comunque sottratti, all’eventuale responsabilità di risultati sciagurati. 19 Se poi consideriamo la credibilità complessiva di cui ha dato saggio negli ultimi tempi la rappresentanza politico-aministrativa (convalidata dai dati di gradimento della classe politica nei sondaggi), c’è veramente di che preoccuparsi. Certo, tra le cause fondamentali di tutto ciò vi è il combinato disposto di due fenomeni: da un lato, la cosiddetta “finanziarizzazione del suolo” che prospetta all’investitore la possibilità di estrarre valore dalla risorsa suolo, trasformandola in titolo che può liberamente circolare nel sistema finanziario. Dall’altro lato, l’attitudine collettiva che porta a considerare il paesaggio un concetto sostanzialmente privo di consistenza, privo di “utilità” e, conseguentemente alienabile senza negoziazione alcuna in cambio di asserite opportunità di sviluppo economico del territorio. Insomma, una forte spinta alla moltiplicazione della rendita, suggellata da un patto scellerato tra amministratori e operatori economici, mai adeguatamente arginata da una attenzione della collettività ai “beni comuni”. Come immaginare una svolta? E’ pensabile un futuro in cui ricostituire prospettive di sviluppo economico che agiscano altre leve che valorizzino la risorsa paesaggio preservandone l’integrità e il rapporto armonico con l’elemento antropico? Forse, una prospettiva verso cui orientare gli sforzi, oltre all’introduzione di norme che impediscano drasticamente l’ulteriore consumo di territorio limitando nuove possibilità edificatorie esclusivamente alla riconversione di siti già “costruiti”, potrebbe essere rappresentata dalla molteplicità di parti d’Italia che oggi appare dimenticata e marginale per essere stata lasciata in lento abbandono a causa della difficoltà del vivere. Si tratta dell’universo pulviscolare delle comunità che non sono riuscite a resistere con economie locali basate su lavori e attività caratterizzate da un propria originaria durezza, perdendo progressivamente ciò che oggi definiamo forza competitiva. Tra le vicende a cui si può guardare positivamente, interessa segnalare un primo caso di recupero di borgo-comunità che ha vissuto il declino per poi rinascere successivamente grazie ad alcune fortunate circostanze. Si tratta nello specifico della rinascita di Civitella Alfedena, un borgo situato nel territorio del Parco nazionale degli Abruzzi, attraversato dalla triste parabola del declino e della marginalizzazione, culminate nell’abbandono da parte degli abitanti per l’insostenibilità delle condizioni socio economiche. In anni recenti, i vincoli alla trasformazione e allo stravolgimento imposti dalla legge che tutela l’area del Parco, unitamente allo sforzo di alcuni nel riscoprire tradizioni e qualità del genius loci, hanno favorito un’inattesa ripresa della comunità, con un fenomeno di ripopolamento del luogo che ne ha rovesciato favorevolmente il destino. Un caso “virtuoso”, in cui condizioni particolarmente avverse, sono state superate anche grazie all’investimento nel Parco come luogo deputato alla rivitalizzazione del territorio e all’innovazione delle economie locali per consentire la conservazione dell’ambiente e la fruizione di sentieri, centri visita, musei. Vi sono poi situazioni in cui stupisce lo stabilirsi di un rapporto quasi “magico” tra uomo e ambiente. E’ il caso della Val 20 ecoIDEARE - Gennaio 2014 ^Provenza - Francia - Foto di Valter Giumetti AMBIENTE E TERRITORIO Bavona in Svizzera; si tratta di un luogo in cui la natura sembra ostentare un suo tratto di particolare inospitalità, segnato da una bellezza primordiale, che scandisce una coesistenza difficile fra uomo e ambiente circostante. Di questo caso preme evidenziare il modo quasi emblematico in cui si instaura un difficile equilibrio tra uomo e natura; una situazione in cui il limite alla violazione dell’ambiente, è sostanzialmente imposta dalle condizioni circostanti. Una sorta di costrizione al rispetto dell’ambiente. La valle, stretta e poco soleggiata, è invasa da enormi massi che in epoche diverse si sono staccati dalle montagne circostanti. In questo contesto, l’equilibrio paesaggistico è plasticamente rappresentato dal modo in cui gli abitanti (solo per i mesi dell’anno climaticamente meno ostili) hanno costruito le case “fondendone” quasi la forma con i massi. Persino orti e spazi comunicanti sembrano “ritagliati” nello spazio disegnato da questi massi ciclopici. Il caso, oltre che per la sua singolarità, merita di essere citato anche per il suo valore simbolico, una sorta di richiamo alla innata capacità dell’essere umano di trovare in sé la mediazione ideale nello stabilirsi del suo rapporto con il paesaggio. Terza situazione, ancora differente, ma fortemente economy è rappresentata dal caso della valorizzazione di un genius loci in Francia nella regione della Provenza nella zona di coltivazione della lavanda, diventata la leva di una filiera economica che tiene insieme paesaggio, trasformazione produttiva, commercio e turismo. Un caso di successo e di capacità di valorizzare risorse ambientali e paesaggistiche da assumere a modello. Il sito è meta di viaggi e visite in cui si attraversa un paesaggio suggestivo, caratterizzato dal segno delle coltivazioni della pianta in cui trovano posto anche tracce e vestigia del passato storico oltre a centri abitati che hanno mantenuto un loro profilo coerente con le bellezze naturali. Un ulteriore elemento di pura matrice economica è costituito dalla vendita al dettaglio dei prodotti realizzati con gli estratti della lavanda che rappresentano una valorizzazione economica alimentata dal contesto. In conclusione, riferendoci a quest’ultimo caso non possiamo esimerci dal citare una notizia (recentemente riportata in un bel articolo dello scorso novembre sul Fatto Quotidiano, a firma di C. Soffici), emblematica della particolare specializzazione in cui noi italiani sembriamo non avere rivali: l’autolesionismo. La scorsa primavera sono stati in esposizione per alcuni mesi al British Museum, su concessione della Sovrintendenza Archeologica di Napoli, 250 reperti di Ercolano e Pompei. Si sono registrati afflussi record e incassi multimilionari per l’organizzazione, con decine di italiani in coda e con altri, disperati, per non aver prenotato e per essere stati esclusi dalla possibilità di vedere a Londra un millesimo di quello che potrebbero vedere a casa. La mostra è risultata la terza esposizione per importanza da quando il museo ha aperto la propria attività, fin dal 1753. Mentre legioni di stranieri si recavano a vedere la mostra (anziché andare direttamente a Pompei ed Ercolano), i curatori inglesi preparavano filmati e organizzavano dirette on-line per le scuole del regno… Volendo, il modo ci sarebbe… 21 <Val Bavona - Svizzera - Foto di Wasserfall b. Foroglio < Milano - Cantiere Porta Nuova - Garibaldi IL CONSUMO DEL SUOLO NEL PIANO TERRITORIALE DI COORDINAMENTO DELLA PROVINCIA DI MILANO Andrea Cassone, architetto e tecnico del verde, ha studiato e pratica l’Arte dei Giardini e la progettazione di Parchi e spazi verdi; ha contribuito all’affermazione e alla divulgazione della Bioarchitettura in Italia. E’ socio AIAPP (Associazione Italiana di Architettura del Paesaggio) e INBAR (Istituto Nazionale di Bioarchitettura). AMBIENTE E TERRITORIO (62.620 ha) del territorio provinciale; i dati (luglio 2012), elaborati dal MISURC, dai PGT e dal PTCP, dicono invece il 37,8% (59.556 ha) del territorio provinciale è urbanizzato. Arrotondando, nella Provincia di Milano – probabile futura Area Metropolitana – 4 mq su 10 mq sono urbanizzati, cioè il quaranta per cento del territorio. Per fotografare la realtà al dato, molto alto, si deve aggiungere la descrizione della percezione effettiva del consumo di suolo, poiché la misurazione non entra nel merito del “tipo” di urbanizzazione. L’effetto “urban sprawl” e la onnipresenza di infrastrutture di ogni tipo e genere porta ad una percezione del territorio per cui l’urbanizzato appare maggiore di quanto rilevabile quantitativamente. Da qui nascono il senso di disordine, spaesamento, degrado che sono all’origine della disaffezione e della degenerazione dei territori costruiti (a cui è veramente difficile assegnare un nome, sono territori indefinibili, talvolta e paradossalmente persino privi persino della dignità dei “non luoghi”). Le previsioni di Piano (PTCP). Il PTCP esplicita innanzitutto i criteri dei provvedimenti di contenimento del fenomeno, poi regola a tal fine (atti- Considerazioni finali. Benchè studiato e predisposto secondo criteri di analisi largamente condivisibili il piano sembra prendere in considerazione prevalentemente i dati quantitativi relativi al consumo di suolo, senza entrare nel merito della qualità dei territori, di cui i suoli agricoli e naturalistici sono una parte tanto importante. Per qualità dobbiamo intendere qualcosa di essenzialmente extra-qualitativo, la qualità è la “forma” di un territorio, è ciò che, per esempio, ne fa un paesaggio. Gli strumenti di pianificazione territoriale, raramente si confrontano con i temi “formali”, i temi del paesaggio ed è sicuramente un limite dello strumento “piano”. Il loro approfondimento è invece sempre più necessario, e richiede nuovi strumenti poiché si tratta di temi intimamente connessi alla percezione degli spazi, alla loro organizzazione. Rimandando al nostro precedente scritto, già citato, torniamo allora a sottolineare che il problema del consumo di suolo o dell’alterazione dei suoli è anche e largamente un problema di percezione; si può infatti agevolemente constatare che l’impatto del dato quantitativo è amplificato, nella realtà, dallo stato di profondo disordine del territorio, uno stato indefini- vità normativa) la trasformazione urbanistica. Il principale criterio di contenimento del fenomeno è la regolamentazione dell’attività di trasformazione urbanistica. L’attività di potenziamento, incentivazione e promozione delle destinazioni naturalistiche e agricole, pur presente e notevole, sembra occupare una posizione secondaria nell’espressione degli obbiettivi di piano. Le Norme di attuazione del Piano prevedono per i Comuni restrizioni importanti (che prevedono anche l’azzeramento) delle possibilità di trasformazione urbanistica che implichino consumo di suolo. Per essere ammissibili esse saranno subordinate a condizioni precise come, per esempio attraverso l’analisi delle aree urbanizzate e da urbanizzare, l’impegno al riuso di almeno il 30% delle aree dismesse o da recuperare, il miglioramento della concentrazione degli insediamenti, l’attuazione di almeno l’80% delle previsioni di trasformazione. Le amministrazioni comunali potranno anche, una tantum, calcolare la percentuale ammessa di nuovo consumo di suolo, sulla base di indicatori di sostenibilità (densità insediativa, mix funzionale, gestione acque meteoriche, aree verdi ecologiche, energie rinnovabili). bile che la tradizionale suddivisione in paesaggi urbani, rurali, silvestri non è più da tempo in grado di descrivere. Occorrono quindi nuovi strumenti di lettura e nuove politiche di intervento, che permettano di comprendere la ragione profonda del disordine (intimamente connesso, a nostro parere, alla mobilità, automobilistica e alla facilità di approvvigionamento energetico), di provvedere poi ad azioni indirizzate alla formazione di un nuovo ordine, poiché è proprio un ordine ciò che manca. Ordine da perseguire ripristinando, potenziando, tutelando e conservando l’integrità dei terreni agricoli e ancora naturalisticamente intatti; delimitando rigorosamente i centri urbani, favorendo e incentivando piani di “riassorbimento” dell’edificato in essi, attraverso demolizioni/ricostruzioni; governando, qui sì con rigorose politiche di piano, le reti infrastrutturali, che non dovrebbero più “correre” dietro esigenze drammatiche e impreviste, ma invece ordinare e limitare dei fenomeni, come il traffico automobilistico, dalla natura ambigua; fenomeni che sono sì espressione di ricchezza ma che in pari tempo, se non governati e limitati, sono all’origine della disgregazione di qualsiasi ordine territoriale (dissolvendo e uniformando gli antichi paesaggi). 22 ecoIDEARE - Gennaio 2014 I terreni naturali o agricoli sono l’oggetto del consumo, consumo che si manifesta attraverso la sottrazione di superficie a causa dell’urbanizzazione crescente. Per arginare il fenomeno, Il DDL - proposto dai Ministri delle politiche agricole alimentari e forestali, per i beni culturali e dello sviluppo economico ed infrastrutture tendeva ad ostacolare la trasformazione (l’alterazione) dei suoli attraverso il divieto al mutamento di destinazione d’uso per le superfici agricole, in alcuni casi specifici ben definiti (per esempio nel caso delle superfici oggetto di aiuti economici); perseguiva poi la valorizzazione dei suoli agricoli e la promozione dell’agricoltura anche al fine di favorire il recupero di nuclei abitati rurali. La salvaguardia dei suoli naturali non coltivati e di quelli agricoli veniva considerata urgente e tale da richiedere un’azione rapida ed energica. L’azione si sarebbe potuta articolare nel fissare un limite massimo al consumo di suolo (estensione massima di superficie agricola consumabile; salvaguardia della destinazione agricola dei suoli); nel reperire risorse per la gestione del territorio e la riduzione del rischio idrogeologico attraverso la destinazione di parte dei proventi derivanti dall’attività edilizia alla qualificazione dell’ambiente e del paesaggio; nel porre infine all’attenzione pubblica il problema del deficit alimentare del territorio nazionale, rispetto alla popolazione insediata. L’insufficienza della produzione agricola (e la conseguente mancata riqualificazione delle colture) è grave e pericolosa, in prospettiva futura, ma soprattutto incomprensibile pensando a un territorio, come quello italiano, che potenzialmente è il giardino d’Europa. Il consumo di suolo, nel PCPT della Provincia di Milano, è misurato attraverso il confronto dei dati forniti dai Comuni (MISURC – Mosaico Informatizzato degli Strumenti Urbanistici Comunali) e dal DUSAF (Destinazione d’Uso dei Suoli Agricoli e Forestali). Secondo i dati 2009 forniti dalle carte DUSAF, le aree antropizzate (cioè, consumate) occupano il 39,76% 23 Cesano (MI)> Il Piano Territoriale di Coordinamento della Provincia di Milano (PCPT) è un piano urbanistico la cui nuova redazione è stata assunta dal Consiglio Provinciale il 7 Giugno 2012, le cui controdeduzioni alle osservazioni e alla verifica regionale sono state approvate il 29 Agosto 2013 e che è stato infine trasmesso al Consiglio Provinciale, per la sua definitiva approvazione, il 9 Settembre 2013. Il PCPT tratta direttamente il problema del consumo del suolo. Prima di entrare nel merito del Piano è utile riportare la definizione di “consumo del suolo” su cui esso si basa. Il “consumo del suolo”. Il consumo del suolo è “un processo”, qualificato come “antropico”, che prevede la “trasformazione” di superfici naturali o agricole. Più precisamente - con riferimento al Consiglio dei Ministri n.54 del 16 Novembre 2012, tenutosi sotto la Presidenza di Mario Monti, che approvava un Disegno di legge quadro in materia di valorizzazione delle aree agricole e di contenimento del suolo, (DDL), sulla spinta dello sgomento per le alluvioni di quel periodo – il consumo di suolo è il “risultato di un processo” di impermeabilizzazione, urbanizzazione ed edificazione, per fini estranei all’attività agricola. In un nostro precedente contributo, pubblicato su questa rivista, dal titolo “Il suolo in Lombardia diventa sempre più sterile, come possiamo rallentare questo processo di alterazione”, si è cercato di spiegare perché il termine “consumo del suolo” è, a nostro parere, insoddisfacente e perché l’espressione può essere fuorviante e poco rappresentativa del reale processo in atto. E’ un’espressione “forte”, ma ambigua, poiché propone una lettura negativa di un’azione, il consumo, del tutto naturale e a cui tutti partecipiamo. Perciò preferiremmo che si impiegasse il termine alterazione: tuttavia poiché “consumo di suolo” è un’espressione ormai d’uso corrente, la impiegheremo qui anche se con riserva. Usmate (MI)> di Andrea Cassone AMBIENTE E TERRITORI Come salvare l’Alta Valle Camonica di Dario Sonetti Edolo, un piccolo centro in provincia di Brescia, grazie alla realtà associazionistica locale OTE è d’esempio per la salvaguardia del territorio e la maggiore consapevolezza dei valori dei beni comuni. 5.000 anime e un territorio che almeno al turista di passaggio appare piacevole, lontano dalle speculazioni edilizie invasive di località vicine rinomate per la villeggiatura come Ponte di Legno o l’Aprica e per questo considerato meno ambito da chi viene da fuori. Che problemi ci possono essere in un luogo come questo - dove si ha meno ricchezza ma più tranquillità, rispetto alle tante realtà disastrose che costellano il nostro Paese che valga la pena evidenziare per cui combattere una battaglia civica coinvolgendo la popolazione e le Istituzioni locali? Il problema in Alta Valle Camonica è salvaguardare il territorio, da considerare scrigno di valori e beni da condividere in nome di una qualità di vita e di una identità comunitaria, che rischiano di perdersi negli inganni di un benessere che raggiungono anche queste quote e che alla fine portano beneficio solo a pochi investitori speculatori. I costi di queste operazioni privatistiche, ricadono però sull’ambiente e sul paesaggio, beni comuni che subiscono i danni maggiori e vengono stravolti nei loro connotati e loro salubrità. I cittadini assistono, molti indifferenti o incoscienti, altri preoccupati e indignati. Qui, nel 2009, è sorto l’OTE, Osservatorio Territoriale Edolese, da un gruppo di amici che si ritrovano dopo tanti anni, alcuni con un’esperienza di vita maturata altrove, ma rimasti legati al luogo d’origine, tutti accomunati da una sensibilità ambientalista apartitica, ma desiderosi di difendere un territorio con aspetti paesaggistici rilevanti e caratterizzanti la storia stessa del posto. La scommessa dei fondatori dell’OTE è stata quella di rimettere nelle mani della gente il futuro della propria terra, trasmettendo il messaggio che la comunità ha una voce che può farsi sentire e che deve essere ascoltata da chi la amministra attraverso scelte e decisioni più consone al 24 ecoIDEARE - Gennaio 2014 concetto di bene comune. Già con una prima discesa in piazza - per una raccolte firme da inviare al futuro sindaco, in occasione della passate elezioni amministrative, per un’azione di salvaguardia e rivalorizzazione di un’area critica del territorio e di promozione del paese - ci si è resi conto della difficoltà di entrare nella fiducia e partecipazione dei cittadini non usi a questo genere di iniziative, tendenzialmente individualisti tipico delle genti di montagna. Gli slogan accattivanti che accompagnavano la petizione erano: “Ricordatevi che la maggioranza degli edolesi deve ancora nascere!” e “Rispettiamo la saggezza e l’amore dei nostri nonni per la terra!” Più che contrariate, le persone erano disorientate da un’azione simile e disilluse che potesse servire. Ciononostante, furono raccolte alcune centinaia di firme che, successivamente all’elezione, furono consegnate alla massima autorità del paese. Rincuorati dal risultato, l’OTE fu ufficialmente fondato e la prima richiesta alla nuova Amministrazione cittadina fu un questionario da rivolgere a tutta la popolazione per sondarne l’opinione e gli umori su alcuni temi che riguardavano la funzionalità urbana e il valore che dava al proprio territorio. I dati raccolti sarebbero anche serviti per la stesura del nuovo Piano di Governo Territoriale (PGT) in forma partecipata. Nel frattempo, aveva avuto successo la richiesta dell’OTE a Italia Nostra di inserire la Piana e la Costa di Edolo nella Lista dei Paesaggi Sensibili. I dati ottenuti dal questionario mostravano una propensione dei cittadini che avevano risposto, a salvaguardare il territorio e a dare maggior importanza ai valori ambientali (circa il 70%). Forte anche di questi risultati l’OTE ha richiesto per l’area critica l’istituzione a Parco agricolo o PLIS (Parco Locale di Interesse Sovracomunale) presentando un suo proget- molto lucrosi. Conseguenza ne è stato il sorgere di molti impianti di captazione dell’acqua, a causa di una regolamentazione obsoleta che non tiene conto del paesaggio e dell’ecologia dei corsi d’acqua. Si è aperta una nuova raccolta di firme che solo a Edolo ha visto un migliaio di cittadini aderire alla petizione in pochi giorni. Altra importante iniziativa che vede l’OTE tra i suoi promotori è la creazione di un Biodistretto per promuovere in Valcamonica un’attività agricola biologica e sostenibile anche economicamente, rivolta ai giovani. Il progetto è partito l’autunno scorso a Edolo, concretandosi con la creazione dell’Associazione VALCAMONICA BIO che oggi raggruppa circa venti piccoli produttori biologici della valle. Nuovi progetti per l’OTE nel 2014, tra questi il coinvolgimento delle scuole, dalle primarie all’Università della Montagna (che a Edolo ha la sua sede, essendo un distaccamento della Statale di Milano). Scelta mirata per trasmettere ai giovani la consapevolezza dei valori autentici per creare un modello di benessere che non sia quello consumistico attuale. Lo scorso ottobre è stato realizzato un evento che ha coinvolto i bambini delle scuole primarie, organizzando incontri in classe su argomenti di natura e ambiente collegati ad uscite sul territorio e piantumazione di alberelli nel nuovo Parco, intestati con una targhetta a tutti i nuovi nati. Mentre, per i ragazzi più grandi è stato organizzato un concorso di disegno e fotografia dal tema “il nuovo Parco e come rappresentarlo attraverso le immagini”. La conclusione e premiazione del progetto avverrà a maggio 2014, in occasione di una Festa che vedrà ancora gli alberi e la Natura al centro dell’interesse. All’Università della Montagna, invece, verrà organizzato un convegno dal titolo “Il Valore della <Fiume Oglio Natura - Economia ed Ecologia: un matrimonio che s’ha da fare”, dando to. Nel frattempo, sono state innumerevoli le iniziative particolare attenDario Sonetti biologo, è stato Professore dell’OTE rivolte alla popolazione per informarla delle zione alla corretta associato afferente alla Facoltà di Bioscienze azioni intraprese, come convegni e incontri sul territogestione di Riserve e Biotecnologie presso l’Università di Modena rio, volti a trasmettere consapevolezza del valore dei e Reggio Emilia dove tra l’altro ha insegnato e Parchi naturali propri beni comuni. La buona partecipazione di questi Neurobiologia, Biologia del benessere, Funanche su un piano zioni biologiche integrate e Parchi e Percorsi anni è servita all’OTE per avvicinarsi maggiormente ai economico. naturalistici. E’ socio fondatore e Presidente cittadini, dando anche maggior fiducia alle persone nei dal 2009 dell’Osservatorio Territoriale Edolese risultati dell’atto partecipativo. A sostegno della creazio- Infine, è allo studio www.osservatorioedolese.it nell’Alta Valle un Premio per gli ne del Parco, l’OTE è ridisceso in piazza raccogliendo Camonica per la difesa del territorio montano e ottenendo, in questa occasione, una quantità maggiore studenti della sede dal consumo di suolo e la valorizzazione della Universitaria di cultura, del paesaggio e delle tradizioni locali. di firme di cui l’Amministrazione pubblica ha dovuto Edolo che protener conto. Il risultato tangibile è stato l’inserimento, durranno tesi sul nel 2012, del Parco dell’Ogliolo e della Rocca di Mu nel Piano di Governo del Territorio. Ma le battaglie non Parco Comunale e il territorio edolese. Nel frattempo, finiscono mai, l’OTE partecipa oggi attivamente ad altre il Comune ha tratto dei riconoscimenti lusinghieri per la nuova politica ambientale, anche frutto della collaboraimportanti iniziative che coinvolgono, oltre il Comune zione aperta con l’OTE: è stato insignito della prestigiosa di Edolo tutta l’Alta Valle. In particolare, si è chiesto Bandiera Verde di Legambiente e del premio “Un Bosco insieme ad una ventina di altre Associazioni camune, ai Governi di Provincia e Regione, una moratoria affinché per Kyoto” per iniziative ambientali di sostenibilità e tutela del territorio, attuate ed in corso di attuazione, da venga istituito un ordinamento chiaro per le richieste parte dell’Amministrazione locale. di captazione di acqua da fiumi e torrenti per costruire Le azioni proposte dalla comparsa dell’OTE sembrano, nuove centraline idroelettriche, soprattutto da parte di al momento, vincenti e di esempio per altre realtà locali. privati che vedono in questa forma di produzione energetica una grossa possibilità d’investimento e guadagno, Sulle orme dell’OTE sono nate altre associazioni simili come l’Osservatorio Territoriale Darfense che sta difensfruttando un bene che deve essere considerato di tutti: dendo il proprio territorio per gravi problematiche aml’acqua. L’OTE, in particolare, si sta opponendo a un bientali locali, oltre che per il problema delle centraline. progetto di centralina lungo il fiume Ogliolo, proprio Si sta, inoltre creando un sistema a rete di appoggio recinel cuore del nuovo Parco che vedrebbe un torrente ad proco tra le Associazioni a dimostrazione che la popolaalta valenza paesaggistica e naturalistica ridotto ad un zione può partecipare alla gestione del proprio territorio, rigagnolo maleodorante. Quello delle centraline idroecollaborando con le Amministrazioni più lungimiranti lettriche è un problema comune ad altre valli alpine. Il fenomeno è nato su un’onda nazionale di promozione di e che le scelte di utilizzo del territorio determinano la qualità della vita che non viene solo da ciò che si può energie rinnovabili che doveva essere virtuosa, ma che possedere, ma da come si è capaci di vivere con ciò che per gli interessanti incentivi statali promessi, ha creato l’occasione, soprattutto per imprese private, di fare affari ci circonda, in un rapporto più armonico ed equilibrato. E non è poco di questi tempi! 25 AMBIENTE E TERRITORI NIENTE COMUNIONE A CHI INQUINA di Roberto Bonsaglio Così ha detto il cardinale di Napoli Sepe che ha manifestato il pensiero della Chiesa nei riguardi della “ Terra dei fuochi”. 26 eco“Gomorra” IDEARE --Gennaio 2014 < Frame film Foto di Canburak Alla voce dell’illustre prelato, con altrettanta veemenza, si è unito pure l’arcivescovo di Acerra che ha detto “chi inquina è nostro nemico”. Padre Patriciello, parroco della zona e motore della marcia dei centomila cittadini per dire no al biocidio, ha chiesto alle istituzioni di non ”fare finta di non vedere. Ora sarebbe un vero sacrilegio”. Quindi la Chiesa, non sussurra ma grida tutta la sua indignazione verso il piano criminale che da anni la camorra sta portando avanti nella piana dei campi Flegrei, area molto abitata e ad alta produzione agroalimentare. Questa zona, oggi, è tristemente chiamata la “Terra dei fuochi”, titolo di un capitolo del libro “Gomorra” di Roberto Saviano che anticipava questo disastro ecologico ed umano che si stava perpretando ai danni della collettivita’ nell’area che si estende fra Napoli e Caserta, divenuta una delle discariche illegali, abusive più grandi ed inquinantii del nostro Paese. In particolare, il triangolo Acerra, Nola, Marigliano. I cumuli di rifiuti, illegalmente riversati nelle campagne, o ai margini delle strade, vengono incendiati dando luogo a roghi i cui fumi si diffondono nell’atmosfera ed il liquame si insinua nelle falde acquifere circostanti. Gli esami dell’Arpa della Campania segnalano una forte presenza di sostanze tossiche, tra cui diossina, veleni, ammoniaca, zinco,cromo, un vero campionario di metalli pesanti. Arrosto di catrame, così qualcuno ha definito questo enorme danno ecologico ed ambientale. Tutto questo scempio, con la regia della Camorra ed in particolare del clan dei casalesi, ha avuto conferma, dagli interrogatori, (poi seguiti dal pentimento del capoclan Carmine Schiavone,) realizzati nel 1995, ma diffusi solo oggi dopo aver tolto il segreto di Stato: verbali desecretati nei quali si parla, fra le altre atrocità, con dettagli che non danno adito a dubbi delle centinaia di tonnellate di liquame e rifiuti tossici riversate e sotterrate in questa area. Se l’ecomafia ha provveduto allo smaltimento, quali erano i luoghi di provenienza del materiale tossico? Sempre a detta di Schiavone una piccola parte dalla stessa regione Campania, il resto dalle aziende del Nord Italia e Nord Europa. Si accettava di tutto, compreso residui di materiale nucleare ... Il gioco risultava essere semplice, la criminalita’ comprava i fondi agricoli della zona che venivano trasformati in enormi buche pronte ad accogliere i camions di rifiuti che arrivavano, ovviamente, di notte. Un lavoro che non poteva passare inosservato Un business miliardario con profitti di 600/700 milioni al mese. Da anni gli abitanti della zona, una delle maggiori entita’ abitative reclamavano e denunciavano i continui malori e morti per tumore causati dall’ambiente insano. Erano e sono essenzialmen- te i bambini ad essere colpiti da questi veleni. A nulla sono servite le battaglie dei genitori e la scesa in piazza degli abitanti. E ci sono volute le dichiarazioni di un pentito di mafia per portare alla ribalta la “Terra dei fuochi”. I danni commerciali e di immagine, oltre alla salute, sono enormi: una piana produttiva fra le più attive della nostra penisola ridotta ad un immondezzaio inavvicinabile. Tutta la produzione casearia è da buttare: aziende con marchi affermati hanno visto ritornare le loro merci, poiché prodotte in questa zona, fino ad arrivare al divieto di importazione da parte di alcuni Stati, leggi il Giappone con la mozzarella. Il pericolo è che qualche malintenzionato o imprenditore di pochi scrupoli bypassi le regole ed usi questi scarti malati per farne commercio. Le autorità e la task force messa in atto affermano che le falde acquifere sono già state individuate e messe in quarantena e che la piana è sotto controllo, anzi invitano a non screditare tutta la produzione. Fidatevi di noi, ma come si fa a fidarsi di una Amministrazione Pubblica che per anni non ha avuto dubbi su questa convivenza ? Per fronteggiare questo enorme pericolo ed evitare che si moltiplichino altre terre dei fuochi, il Governo ha emanato un decreto legge con il quale bruciare i rifiuti, oggi , è reato penale. Una risposta tardiva che pone molti interrogativi e ci riporta a quanto avvenuto a Napoli qualche anno fa con “munnezza selvaggia”: una città bloccata e sommersa dai rifiuti. Di chi la colpa? Dobbiamo aspettare che il prossimo pentito di mafia ci racconti come stanno le cose ? Il nuovo sindaco di Napoli, DeMagistris, ha promesso “ obiettivo zero immondizia” C’è da credergli? Buon lavoro, dunque! 27 ALIMENTAZIONE CONSUMO DI SUOLO, A RISCHIO LE COLTURE DI QUALITA’ del suolo è anche individuato con il termine di impermeabilizzazione per l’effetto che ciò può rivestire in ambito idrogeologico. La perdita di suolo agricolo nazionale è di circa 21 ettari ogni giorno, a livello europeo perdiamo all’incirca 100.000 ettari ogni anno, equivalente all’area corrispondente alla città di Berlino; a livello Ue i Paesi che consumano più suolo dell’Italia sono la Spagna (48 ettari/giorno), Germania (27 ettari/giorno) e Francia (35 ettari/giorno). Sempre a livello europeo tale sottrazione di suolo è stata stimata in una perdita produttiva pari a circa 6 milioni di tonnellate equivalenti di frumento; fra il 1990 e il 2006 gli stati dell’Ue, a seguito della sottrazione di suolo agricolo, hanno perso all’incirca l’1% della loro capacità potenziale di produzione agricola. E’ stato anche calcolato che, in virtù dei differenziali di resa produttiva, la perdita di 1 ettaro dell’Europa Centrale comporti la messa a coltura di circa 10 ettari in altre aree, oggi meno produttive. di Fabrizio Piva Amministratore Delegato CCPB La sostenibilità non è certo un tema “di oggi”, fin da prima che il biologico fosse disciplinato nel 1991 da un Regolamento CEE. l’attenzione verso la sostenibilità dei processi produttivi era forte e proprio il biologico nasce anche sulla scia di questa attenzione e preoccupazione. Come Italia dal 1990 al 2000, la SAT (Superficie Agricola Totale) è diminuita dell’8%, mentre la SAU (Superficie Agricola Utilizzata) è diminuita del 2,3%. Il territorio artificializzato è pari al 7,1% del territorio nazionale contro una media europea del 4,3% ed è aumentato in questo decennio dell’1,8%. La perdita di suolo è stata di circa 28.000 ettari/anno. Tali conseguenze ed i differenziali di resa fra terreni più o meno fertili portano alla necessità di dover inaugurare processi di pianificazione territoriale che tengano conto della fertilità dei suoli e di un approccio multifattoriale. < Discariche abusive nei cantieri di Maruzzella (NA) - Foto di Valeria Gentile Oggi, vi è solo maggiore consapevolezza e quello che trent’anni orsono sembrava materia per esperti, è divenuto patrimonio comune di molti consumatori e cittadini. Il cambiamento climatico, esperienza che ognuno ha potuto fare, la scarsità di acqua pulita e potabile, sono solo alcune degli aspetti che hanno un impatto concreto sui consumatori e che hanno instillato negli stessi l’opinione che dobbiamo salvaguardare l’unico Pianeta di cui disponiamo. Accanto all’acqua l’altra grande risorsa “scarsa” è il suolo o meglio la superficie su cui coltivare i prodotti di cui ci nutriamo e di cui entriamo in contatto. Pensiamo solo alle fibre tessili per i nostri abiti, le materie prime per le nostre “bio plastiche”, le sostanze naturali di cui sono composti oggi molti prodotti della cosmesi naturale o anche le materie prime che servono a produrre parte dell’energia che “fa muovere” il mondo. In una situazione di domanda crescente, dovuta sia al miglioramento delle condizioni economiche di molti paesi ad economia in fase di sviluppo che alla maggiore pressione demografica, il concetto di sostenibilità non è più solamente ridotto alla sfera ambientale e qualitativa, ma anche e soprattutto a quella quantitativa. La crescita demografica, che si prospetta al 2050 possa raggiungere 9 miliardi di persone, già oggi pone sfide epocali al mondo dell’agroalimentare, imponendo una crescita delle rese produttive e la necessità di 28 ecoIDEARE - Gennaio 2014 porre a coltura terreni che, ancora oggi, dovrebbero essere abbandonati. La richiesta di risorse naturali “biocapacità”, a livello mondiale, ha sorpassato la disponibilità delle medesime. Queste misure raggiunsero l’equilibrio fino alla seconda metà degli anni ’70, a partire da quel periodo, la quantità di risorse necessarie a soddisfare le esigenze di una persona ha raggiunto nel 2007 l’equivalente di 2,7 ettari, quando la disponibilità di risorse disponibili per persona arriva a 1,8 ettari, ovvero il cittadino medio ha un’impronta econogica che supera la biocapacità di circa il 25%. Ciò ha comportato che il cittadino medio dell’UE e del Nord America ha un’impronta ecologica che rispettivamente assomma a 4,9 e 10 ettari, quando la media mondiale disponibile è di 1,8 ettari. Da ciò si può notare come già oggi lo squilibrio fra mezzi disponibili e domanda siano nettamente a sfavore dei primi e come l’innovazione tecnologica e la razionalizzazione nel consumo delle risorse debbano essere applicate per soddisfare le esigenze di una popolazione in forte crescita e in squilibrio. A questo si deve aggiungere nei paesi ad economia sviluppata, fra cui il nostro, un progressivo consumo di terreni per usi extra-agricoli.Tutto ciò porta a squilibri economici, situazioni di neocolonialismo, impoverimento dei paesi già di per sé poveri, occupazione di suolo con infrastrutture che in molti casi generano dissesto idrogeologico, perdita di risorse naturali e di biodiversità, riduzione della produzione agricola e, nel caso dell’Italia, minori potenzialità per l’ottenimento di prodotti di elevata qualità fra cui riscontriamo sia i prodotti tipici che quelli biologici. In questo modo si riduce, da un lato, uno degli “asset” portanti del nostro export e del nostro “Made in Italy” nel mondo e, dall’altro, si peggiora la qualità della vita delle persone incidendo negativamente sul paesaggio e sulle risorse con un’elevata densità abitativa in alcune aree, le più fertili e produttive, ed un progressivo spopolamento in altre aree, poco fortunate sul piano manifatturiero e infrastrutturale. L’assenza di una programmazione territoriale, che negli ultimi decenni abbia tenuto conto dello sviluppo armonico del paese, ha portato ad un progressivo consumo di suolo per abitante che, secondo fonti ISPRA, a partire dal 1956 al 2010 è passato ad 170 a 340 mq/abitante. In termini percentuali, dal 1956 al 2010, il consumo di suolo è passato dal 2,8 al 6,9% con differenze fra Regioni che volendo citare le più significative vanno da meno del 2% in Valle d’Aosta, al 10% in Veneto, al 12% in Lombardia ed al 4% in Abruzzo. Ragionando per macroaree il Nord ha raggiunto nel 2010 una media di consumo di poco superiore al 7%, mentre il sud Italia è di poco inferiore al 6%. Analizzando questi dati avendo davanti la cartina d’Italia, si può notare come le aree più fertili delle pianure siano quelle che hanno subito il maggior utilizzo per scopi extra agricoli. Il livello di “copertura” Il suolo non può essere considerato alla stregua di un semplice substrato inerte ma piuttosto una risorsa “finita” e vitale che, grazie alla sua fertilità, consente di mettere a disposizione materie prime necessarie allo sviluppo armonico delle popolazioni. Ciò deve far riflettere sulla necessità che solo i suoli dotati di una fertilità più bassa debbano essere destinati ad usi extra agricoli, come si debbano ristrutturare le aree non agricole eventualmente abbandonate prima di procedere alla “urbanizzazione” di nuove aree. Altro elemento da tenere in considerazione è la necessità che la pianificazione sia il frutto dell’apporto di più amministrazioni; non può essere più consentito che ogni singola amministrazione comunale pianifichi le proprie aree produttive e gli insediamenti commerciali ed abitativi in modo del tutto indipendente dalle altre amministrazioni confinanti. E’ necessario che “in primis” si utilizzino le aree inutilizzate e che poi si pianifichi le aree in modo sinergico cercando di ridurre al minimo lo spreco di suolo. Così come oggi si è affermata la lotta allo spreco del cibo, è necessario che si annulli anche lo spreco del suolo e ciò che deve guidare la pianificazione non deve essere la speculazione edilizia, ma la salvaguardia della risorsa suolo, essenziale per il futuro delle collettività. Da questo punto di vista la Commissione UE ha definito una “roadmap” che dovrà condurci ad azzerare entro il 2015 i consumi di suolo, un obiettivo incoraggiante che ci deve vedere tutti coinvolti al fine di salvaguardare gli spazi rurali e la produttività che ci consente di mantenere e sviluppare l’ottenimento dei nostri migliori prodotti di qualità apprezzati, e in molti casi imitati, in tutto il mondo. 29 Vini biologici, biodinamici, naturali? Purchè buoni! di Pier Francesco Lisi giornalista enogastronomico ed enologo Se fino a venti anni fa c’era il vino e basta, oggi ne abbiamo per tutti i gusti, le idee (o forse le ideologie) e le tasche: vino biologico, biodinamico, naturale, libero, senza solfiti, verde o ecologico, vegan. 30 ecoIDEARE - Gennaio 2014 < Foto di Antonio Popone ALIMENTAZIONE Un paio di anni fa mi è capitato di partecipare a un convegno tecnico di enologia. Ha preso la parola uno dei più importanti e famosi enologi italiani, apprezzato in tutto il mondo, che ha delineato scherzosamente una figura pittoresca che si aggira nell’ambiente del vino: l’enologo (o il viticoltore) biodinamico. Capelli abbastanza lunghi e un po’ arruffati, abbigliamento informale da gentiluomo di campagna e, soprattutto, in qualunque sede ed occasione, scarponi pesanti “da vigna”, rigorosamente infangati. Un’immagine scherzosa ma che fotografa una tendenza del vino diffusa negli ultimi anni. Un vero ginepraio in cui il consumatore ha difficoltà ad orientarsi: per questo, cercheremo di dare alcune coordinate per orientare i nostri acquisti e, in ultima analisi, le nostre bevute. Il vino biologico Partiamo dal vino biologico o da agricoltura biologica, così come riconosciuto dalla normativa europea appena da pochi anni. Se infatti l’agricoltura bio esiste dal lontano 1991, il vino biologico, ha una vita ben più breve, poco più di un anno. Prima esisteva una sola denominazione: “vino ottenuto da uve da agricoltura biologica”. Una formula lunga e un po’ contorta per spiegare al consumatore che quel vino era fatto esclusivamente con uve provenienti da vigneti controllati e certificati perché coltivati secondo i principi dell’agricoltura biologica. Il controllo, per capirci, si fermava sulla soglia della cantina, quando le uve vendemmiate venivano scaricate per avviare la vinificazione. Ora c’è un regolamento (n.203/2012) che si occupa anche della vinificazione, vietando l’uso di una serie di sostanze chimiche e di pratiche fisiche per la vinificazione. Le norme prevedono anche un abbassamento della soglia ammessa per la solforosa, presente nel vino sotto forma di solfiti, dannosi per la salute e allergenici. Da quando è nato ufficialmente, il vino biologico ha subito attacchi, numerosi e spesso, apparentemente, immotivati. C’è forse un po’ di gelosia da parte di altri produttori di vini “naturali” o anche la paura che la forza del biologico, accettato e apprezzato da milioni di consumatori, tolga spazio di mercato ad altri vini. Fatto sta che gli attacchi hanno spinto FederBio, la Federazione nazionale del biologico, a reagire per far conoscere e apprezzare questi vini, a partire dall’ultimo Vinitaly. Nella prossima edizione 2014 dovrebbe anzi nascere un “Vinitaly bio”, una sezione esclusivamente dedicata a questi vini. I vini naturali Si tratta di una categoria relativamente ampia di vini, e quindi di vignaioli, che in molti casi fanno riferimento ad associazioni che si riconoscono in un manifesto, in una carta o in alcune norme comuni. Spesso si tratta di produttori seri e di vini interessanti. In alcuni casi, però, in nome di una presunta naturalità si accettano vini con difetti, alcune volte decisamente imbevibili. Vini che non accettano critiche proprio in nome della loro originalità e genuinità. Alcuni dei manifesti dei produttori naturali sono seri e ben fatti, altri sono francamente discutibili, molto “filosofici” e assai poco concreti; in quasi tutti i casi il limite fondamentale è quello del controllo. Chi garantisce che un determinato disciplinare sia rispettato? Questa è la forza e, al tempo stesso, il limite di un sistema come quello dell’agricoltura biologica. In altri casi dietro disciplinari fantasiosi e molto “ad effetto”, si scoprono sorprendentemente grandi aziende vitivinicole che lasciano dubbi sulle possibilità di adattarsi a queste nuove filosofie. Operazioni di enomarketing, ben confezionate per consumatori più o meno sprovveduti, magari grazie al comunicatore di turno? Ci sono anche i biodinamici Molti consumatori hanno imparato a conoscere e apprezzare i prodotti dell’agricoltura biodinamica, un tipo particola31 re di agricoltura biologica, nata dalle idee dell’austriaco Rudolph Steiner. Un’agricoltura basata su una visione filosofica del rapporto tra la terra e gli organismi viventi, come le piante. Se il biodinamico incontra ancora molte perplessità nel mondo scientifico, in campo enologico ci sono aziende di prestigio, a partire dalla Francia, che hanno fatto questa scelta, con vini di altissima qualità. In Italia possiamo trovare i vini certificati Demeter (l’associazione internazionale del biodinamico), che da agosto 2013 fanno riferimento a un nuovo standard per la vinificazione, più restrittivo rispetto al regolamento UE sul vino bio. Ci sono anche produttori, però, che si professano biodinamici e in molti casi lo sono, anche seriamente, senza però avere alcun tipo di certificazione. Basta fidarsi! Anfore, lieviti selvaggi e dintorni Nel variegato mondo del vino “naturale” c’è spazio per tantissime idee, soluzioni fantasiose e novità, spesso rispolverate dal passato. Così alcune aziende affinano i loro vini migliori in otri di terracotta. Si magnificano le doti particolarissime del vino affinato nella terracotta, salvo scoprire che virtù molto simili sono quelle del cemento, più umile, meno raffinato ma anche molto meno costoso. Altro filone di “ritorno al passato”, quello della fermentazione spontanea con i lieviti selvaggi, cioè quelli naturalmente presenti sulle uve ma anche nei locali della cantina. Una pratica antichissima: così nacque il vino, se stiamo alla Bibbia, al tempo di Noè. Da alcuni decenni i progressi microbiologici hanno diffuso l’uso di lieviti selezionati che si acquistano e poi si usano nella propria cantina. Lieviti che garantiscono ottimi risultati ma che spesso aiutano un po’ a “barare”, a caratterizzare il vino con qualche aroma particolare legato appunto al lievito, più che al tipo di vitigno o di uvaggio. In alcune aziende il ritorno alla fermentazione spontanea è unito a sofisticati controlli di laboratorio, mentre in altri casi la pratica è più libera. Lieviti selezionati da demonizzare a tutto vantaggio dei buoni, vecchi lieviti naturali? Secondo alcuni sì ma, molto dipende dalla filosofia con cui viene fatto un determinato vino. Ci sono fior di vini che usano lieviti selezionati, senza per questo penalizzare la caratterizzazione data dal vitigno e dalla “terra”. Allo stesso modo, la fermentazione spontanea non garantisce da sola vini originali, ben fatti, con carattere. Tante le novità enologiche anche in campo ambientale. Le bottiglie ri-riempibili, le etichette in carta riciclata stampate con inchiostri ecologici, la rinnovata diffusione del vino in dame come metodo per risparmiare e inquinare meno sono solo alcuni esempi. Senza solfiti o vegan? Sul fronte salutista si segnalano i vini senza solfiti. Una nuova frontiera che insegue consumatori sempre più attenti alla salute e quindi alle allergie e alle intolleranze ai solfiti, sostanza presente anche in altri alimenti, come frutta conservata e crostacei. L’anidride solforosa, il composto che dà origine ai solfiti nel vino, era nota fin dal tempo dei Romani ed è usata in modo generalizzato in enologia da moltissimi anni. Una sostanza molto utile in cantina ma poco amica della salute. Per fare vini senza solfiti le ricette sono varie e in alcuni casi addirittura coperte da brevetto. C’è chi usa le virtù antisetti- che dell’ozono e chi sfrutta la combinazione oculata di buone pratiche. Negli ultimi anni c’è stato un vero boom di questi vini, non solo nel mondo del biologico. Anche in questo caso la linea guida è una sola: un vino senza solfiti deve essere buono, anche se magari può avere una vita più breve in cantina (i solfiti hanno tra i vari ruoli proprio quello di proteggere il vino nel tempo). Discorso ancora diverso per i vini vegan, prodotti senza alcun uso di sostanze di origine animali, come albumine, proteine del latte o colla di pesce. Consigli per gli acquisti Come orientarsi in questa giungla enologica? Il primo consiglio, indispensabile, è quello di assaggiare e basarsi in prima battuta sulle proprie sensazioni. Nessun vino ha un valore, sia esso biologico, biodinamico, naturale o ecologico, se è cattivo, se ha dei difetti evidenti, se non regge a un minimo di conservazione. Una cosa è farsi il vino per conto proprio, per noi e i nostri amici, e allora magari accetto anche qualche difettuccio. Ma se il vino deve essere venduto, magari anche a caro prezzo, non è mai accettabile che abbia qualche difetto, che in sintesi non sia buono. Il vino, peraltro, non è più nella nostra società un alimento fonte indispensabile di calorie, come nella civiltà contadina di appena 60 o 70 anni fa. La regola benedettina, basata sull’alternanza tra la preghiera e il duro lavoro dei campi (Ora et labora), ammetteva mezzo litro di vino a pranzo e a cena. Una fonte di calorie anche per i nostri contadini di pochi decenni fa, quando ancora il lavoro manuale soprattutto in campagna era massacrante. Oggi il vino si consuma per piacere, per diletto, per gusto, spesso anche per status symbol. Anche se andrebbe sempre consumato durante i pasti, aumentano i consumi nuovi, dall’apericena all’happy hour. Se il vino è un piacere, non ha senso condannarsi a bere vini cattivi, anche se sono fatti dal guru enologico del momento. Secondo consiglio. Comprando un vino biologico so precisamente che cosa compro perché le norme bio sono codificate e conosciute ormai da moltissimi consumatori. Anche in questo caso troverò vini più o meno buoni, vini di di nicchia o di grande produzione, bottiglie per la tavola di tutti i giorni e vini per le grandi occasioni. In ogni caso il simbolo del biologico europeo, la (brutta) fogliolina stilizzata formata da dodici stelle, ci dice chiaramente come è stato fatto quel vino. E negli altri casi, come mi regolo? Diciamo che non possiamo fare altro che fidarci, del viticoltore ma anche dei nostri sensi. In alcuni casi, in nome della naturalità, del ritorno alle origini o della garanzia offerta dall’enogastronomo di turno, troviamo vini imbevibili o comunque venduti a prezzi decisamente esagerati. Sta al consumatore decidere come regolarsi. Da un’idea di Pier Francesco Lisi, sono partiti i corsi Biodegustando, grazie alla collaborazione con l’associazione di viticoltori bio ProBio Lazio. Quattro serate, una prima parte teorica dedicata a tutti gli aspetti del vino bio (dalla coltivazione alle etichette, dall’ambiente alla salute) e all’ABC della degustazione guidata. Conclude una visita a una cantina bio, per vedere dal vivo la realtà di questa produzione. Dopo Roma, Biodegustando porterà i corsi anche in altre città: Bologna, Bari e Milano. www.biodegustando.it 32 ecoIDEARE - Gennaio 2014 < Degustazione vini Con Biodegustando conosci e degusti i vini biologici ASSOCIAZIONE VEGETARIANA ITALIANA ALIMENTAZIONE scelta vegetariana un passo verso un mondo migliore di Carmen Nicchi Somaschi < coppa di insalata - Foto di Biosara Spesso mi sono sentita chiedere quale sia la motivazione che induce a questo tipo di scelta e se le motivazioni possono essere diverse: per un motivo del tutto banale, ad esempio, non si ama il sapore della carne, o per salute, o per emulazione, o per moda. Io penso si debba essere vegetariani per coerenza. Il vegetarismo è un atto doveroso verso noi stessi. Se vogliamo veramente stare bene è necessario ascoltare il nostro corpo, il nostro pensiero e le nostre emozioni e alla fine ci rendiamo conto che per stare bene è necessario essere coerenti con noi stessi. Quindi è logico diventare vegetariani se si amano gli animali, se si ama la natura, se si è convinti dell’importanza di vivere in modo sostenibile, se si crede nella pace. Recenti studi hanno dimostrato che la carne è uno dei maggiori responsabili dell’inquinamento del nostro pianeta. Basti pensare che per la produzione di un chilo di carne di manzo occorrono 10 chili di mangimi e 15.500 litri d’acqua, il che comporta l’emissione di una quota di anidride carbonica paragonabile a quella prodotta da un’automobile che percorre 250 chilometri. Non ha senso quindi andare in bicicletta per non inquinare e poi mangiare un panino al prosciutto! E dicasi altrettanto per quanto riguarda la fame nel mondo. Non possiamo liberarci la coscienza con atti di rammarico alla vista di bambini che muoiono di fame e non prendere atto che solo modificando le nostre abitudini alimentari potremo avere un impatto ambientale e sociale molto minore. Jean Mayer, una nutrizionista di Harvard, stima che la sola riduzione del 10% di produzione di carne risparmierebbe una quantità di cereali tale da sfamare 60 milioni di persone. Per fortuna è oramai evidente che il luogo comune che soltanto la carne contiene le proteine necessarie all’uomo è una menzogna derivata dall’ignoranza. Legumi come i fagioli, le lenticchie, la soia e i ceci, contengono, in proporzione, più proteine di una bistecca. Questi miti delle proteine animali e di eventuali carenze alimentari, legati alla nostra scelta alimentare, stanno crollando e chi vuole stare bene inizia a capire che il non nutrirsi di carne dà benefici. Per questo mi sento di affermare che la vera motivazione del vegetarismo è la Coerenza, basta solo fare un passo avanti a tavola e nelle nostre abitudini. Il primo passo verso il vegetarismo è l’eliminazione dalla nostra tavola di tutto ciò che comporta l’uccisione di animali. Con l’occasione, desidero sottolineare che i pesci sono animali! Alcuni pensano di essere vegetariani pur mangiando pesce, in realtà chi mangia pesce non può definirsi vegetariano. Il pesce è un animale e la sua sofferenza, quando viene pescato e costretto a stare fuori dall’acqua, è paragonabile a quella di qualunque altro animale terrestre. Vi invito a fare un piccolo viaggio nel mondo VEG per capire meglio questa scelta. Lacto-ovo-vegetariano: consumo cereali, legumi, verdura, frutta, latticini, uova e miele. Praticamente tutto quello che non comporta l’uccisione diretta dell’animale, naturalmente si consiglia un consumo minimo di latticini e uova, nei formaggi esigiamo il caglio vegetale, le uova allevamenti bio. Lacto vegetariano: consumo cereali, legumi, verdura, frutta, latticini e miele. Per molti l’uovo è considerato un simbolo di vita e come tale in alcune religioni orientali viene sconsigliato nell’alimentazione. Vegan o vegano: consumo cereali, legumi, verdura, frutta. Escludono ogni alimento di origine animale Crudisti: consumo cereali, legumi, verdura, frutta. Si cibano al 80% di alimenti crudi, a volte qualcuno consuma formaggio lavorato a crudo, cioè non sottoposto all’innalzamento della temperatura. Fruttariani: consumano prevalentemente frutta, tra cui molta frutta secca e disidratata. Ho sempre sostenuto che i Veg, qualunque scelta alimentare fatta, dal lacto-ovo-vegetariano al fruttariano, non sono migliori degli altri, ma sicuramente queste sono scelte di alimentazione spesso legate a stili di vita che aiutano a migliorare il mondo. Il vegetarismo è un passo importante per la nostra vita, per quella degli animali e del pianeta. C’è chi inizia piano facendo tappe per abituarsi e chi invece di colpo mette il piede deciso sul primo gradino, ognuno ha i suoi tempi, abitudini e metodi, l’importante e fare questo primo gradino. Vivi con coerenza! 33 di Marco Masini Una moltitudine di criteri e una normativa sempre in evoluzione e per alcuni aspetti poco chiara non facilita la standardizzazione e la qualità del risultato. Il consumo dell’energia è un tema molto caro e molto caldo per il nostro Paese. Con un consumo primario, da varie fonti, di circa 180 Mtep/anno (milioni di tonnellate equivalenti di petrolio), l’Italia rappresenta il 6% di tutti i consumi della Unione Europea. Di questi, giusto per ricordarcelo, solo il 20% circa deriva da produzione rinnovabile, erratica, mentre il resto viene da gas naturale, petrolio e carbone. Queste ultime, il 76% del globale, per sopperire alla parziale indisponibilità delle fonti rinnovabili nel corso delle 24ore, sono spesso sovradimensionate in termini di stoccaggio e utilizzo. Analizzando i consumi primari di energia per fonte, è possibile notare che negli ultimi dieci anni il consumo di petrolio è diminuito del 34 ecoIDEARE - Gennaio 2014 21,7%, diminuzione dovuta principalmente alle scelte energetiche del nostro Paese, che hanno privilegiato il gas naturale e la generazione elettrica. Nel trasformare i circa 180Mtep di energia primaria in energia disponibile per le strutture, si perde per strada circa il 22% dell’approvvigionato e del prodotto, a causa di perdite ed inefficienze di produzione, trasporto e stoccaggio. Guardando l’altro lato della medaglia, il lato dei consumi finali, il settore del residenziale e del terziario è responsabile del 32,1% del bilancio energetico complessivo, e di tale aliquota, circa i due terzi sono dovuti alla climatizzazione. Si può quindi ben comprendere l’importanza di ag- < Mountain Dwellings - Copenhagen - Denmark - BIG Bjarke Ingels Group - Foto ArchiTeam Certificare l’efficienza: più facile dirsi che farsi gredire il tema dell’efficienza nel consumo dell’energia negli edifici. La comunità europea, con la direttiva denominata EPBD – Energy Performance Building Directive, diede, già nel lontano 2002, impulso alla realizzazione di edifici a basso consumo, indicando alcuni criteri di calcolo per contabilizzare l’energia primaria consumata e di conseguenza l’efficienza degli edifici. La normativa in materia di certificazione energetica degli edifici è stata introdotta in Italia nel d.lgs. 19 agosto 2005, n. 192, recante le disposizioni di attuazione della direttiva 2002/91/CE sul rendimento energetico dell’edilizia. Successivamente il D.lgs. 311/06, in vigore dal 2/2/2007, aggiorna la materia con “disposizioni correttive al D.lgs.192/05”. Ma, come sempre, in Italia l’evoluzione normativa non procede in modo semplice. Tra il 2007 ed il 2009 vi sono stati altri provvedimenti che hanno provveduto a correzioni, aggiornamenti, precisazioni e disposizioni tampone. Tra questi, in essere, si ricordano il D.lgs. 30 maggio 2008, n. 115 (recante Attuazione della direttiva 2006/32/CE relativa all’efficienza degli usi finali dell’energia e i servizi energetici e abrogazione della direttiva 93/76/CEE) e il D.l. 25 giugno 2008, n. 112, convertito nella l. 6 agosto 2008, n. 133 (prevedendo, l’obbligo di allegazione dell’attestato di certificazione energetica agli atti traslativi a titolo oneroso, nonché l’obbligo di consegna e/o messa a disposizione dello stesso a favore del conduttore). Finalmente, con il DM 26 giugno 2009 vengono emesse le “linee guida nazionali”, e con il D.lgs. 3 marzo 2011, n.28 in vigore dal 27/03/11 si ha la “Attuazione della direttiva 2009/28/CE sulla promozione dell’uso dell’energia da fonti rinnovabili, recante modifica e successiva abrogazione delle direttive 2001/77/CE e 2003/30/CE. (11G0067)”. Ovviamente non poteva mancare il Decreto 22/11/2012, “Modifica del decreto 26/06/2009, recante: «Linee guida nazionali per la certificazione energetica degli edifici.», senza dimenticare che già dal 2005 si doveva procedere alla certificazione energetica degli edifici, introdotta come principio dalla Legge 10/91. Insomma, l’Italia ha atteso il 2010 per accogliere la Certificazione Energetica, nella sua rinnovata versione 2010/31/CE, ma nel frattempo, prima i Comuni più virtuosi, poi le Province, infine le Regioni, si son mossi per cercare di far ordine in quello che è poi diventato un ginepraio di certificazioni e metodi di calcolo, oltre che di standard costruttivi. La difficoltà di arrivare ad una razionalizzazione sono rappresentate dal recepimento della DE con la legge 153 pubblicata sulla GUE 18/06/2010, che però non ha imposto una omogeneizzazione. Con il “192” si erano definite le metodologie di calcolo e i requisiti minimi per la prestazione energetica degli edifici e gli impianti termici per la climatizzazione invernale e per la preparazione dell’acqua calda per usi igienici sanitari facendo riferimento alle nuove UNI TS 11300. Il ginepraio si infittisce se ci riferiamo al certificato che dovrebbe attestare il consumo dell’edificio. A decorrere dal 1 gennaio 2007, come introdotto dal d. lgs. 192/05, dalle norme attuative e dalle disposizioni dell’allegato I al 311/06, condizione necessaria per accedere agli incentivi, alle agevolazioni ed agli sgravi fiscali di qualsiasi natura finalizzati al miglioramento delle prestazioni energetiche dell’edificio, dell’unità ECOABITARE immobiliare o degli impianti interessati è il possesso dell’Attestato di Certificazione Energetica dell’edificio o della unità immobiliare oggetto dei lavori di riqualificazione energetica. Ma dal 22 agosto 2008 non è più necessario allegare agli atti di compravendita immobiliare l’attestato di certificazione energetica (ACE) o l’attestato di qualificazione energetica (AQE). Allo stesso modo per i contratti di locazione (l’art. 35 comma 2 bis, del DL 112/2008 ha abrogato i commi 3 e 4 dell’articolo 6 ed i commi 8 e 9 dell’articolo 15 del DLGS 192/2005 e successive modifiche). Non sono state soppresse le restanti norme del D.Lgs 192/2005, quindi se sussistono i presupposti previsti dai commi 1bis, 1ter, 1quater dell’art. 6 del DLGS 192/2005 il venditore deve consegnare l’ACE o l’AQE. Ma la normativa regionale in materia di certificazione energetica non è stata abrogata dal DL 112/2008 (Toscana, Emilia-Romagna, Piemonte, Liguria, Lombardia) dove si prevede l’obbligo di allegare l’attestato alle compra-vendite e affitto. Dal 28 dicembre 2012, con l’entrata in vigore del decreto 22 novembre 2012, che ne abroga il relativo paragrafo contenuto nelle linee guida nazionali per la certificazione energetica, non è più possibile produrre un’autodichiarazione da parte del proprietario in sostituzione dell’attestato di certificazione energetica e per edifici esistenti con superficie inferiore ai 1000 metri quadri, in cui, a fronte della scadente qualità energetica dell’immobile, si dichiarava che l’edificio era in classe energetica G e i costi per la gestione energetica erano molto alti. Insomma, l’Italia è il Paese degli 8000 comuni e 110 province, e ciascun ente si sente padrone a casa propria, anche sull’efficienza energetica. Fermo restando il rispetto dei principi stabiliti dalle disposizioni nazionali, in materia di certificazione energetica degli edifici la competenza legislativa spetta alle Regioni. Pertanto, in tale ambito, occorre fare riferimento alle leggi regionali stabilite da ciascuna Regione. Sembra si possa affermare che rientri nella competenza dello Stato, l’emanazione di norme disciplinanti la forma e la struttura dei contratti in connessione con gli obblighi di dotazione della certificazione energetica, e l’attribuzione di sanzioni civilistiche in caso di violazione degli obblighi stabiliti dalla normativa energetica. Mentre, per quanto concerne le competenze delle Regioni, si può invece affermare che spetta loro stabilire le fattispecie per le quali sorge l’obbligo di dotazione della certificazione energetica, vale a dire cioè stabilire i presupposti oggettivi e negoziali in presenza dei quali sorge l’obbligo di allegazione. Rientra negli ambiti delle competenze regionali anche la determinazione dei requisiti, di forma e di contenuto, dell’attestato di certificazione energetica e l’individuazione dei soggetti abilitati alla redazione e al rilascio dello stesso. Le Regioni che hanno recepito la normativa comunitaria emettendo specifiche delibere su metodo di calcolo, requisiti, forma e contenuto dell’attestato di certificazione energetica, hanno anche provveduto ad istituire i relativi database online per la registrazione e la consultazione delle pratiche (ACE) nonché gli elenchi dei tecnici abilitati per la professione di certificatore. In particolare la Lombardia è stata la prima 35 Regione ad adottare un sistema di certificazione (CENED) capace di rendere immediatamente operativo l’intero meccanismo grazie non solo alla definizione di ruoli e competenze, ma anche mediante un modello di calcolo capace di garantire uniformità nell’applicazione delle regole. Anche la Regione Piemonte con l’approvazione della Legge 28 maggio 2007, n. 13 ha individuato gli indirizzi, le prescrizioni e gli strumenti volti a migliorare le prestazioni energetiche degli edifici esistenti e di nuova costruzione. Ha introdotto l’obbligo della Certificazione energetica degli edifici ed ha istituito il sistema SICEE per la gestione online dei certificati. Con l’entrata in vigore della Legge dello Stato 03/08/2013 n. 90 pubblicata sulla Gazzetta ufficiale 03/08/2013 n. 181 nel caso di contratti di vendita, di trasferimenti di immobili a titolo gratuito, di contratti di affitto e per la esposizione di annunci relativi alla compravendita gli immobili devono essere dotati di un attestato di prestazione energetica. Con la pubblicazione in Gazzetta del Decreto 63/2013, l’attestato di certificazione energetica sarà sostituito dall’attestato di prestazione energetica (Ape). In attesa dell’emanazione dei provvedimenti di recepimento della direttiva parte della Regione Piemonte e dell’aggiornamento delle Linee Guida Nazionali sarà ancora valida la redazione dell’Attestato di Certificazione Energetica in sostituzione dell’Attestato di Prestazione Energetica.Delle Regioni autonome, invece, è degna di nota la Provincia autonoma di Trento, che si è mossa autonomamente all’indomani dell’approvazione della direttiva europea 2002/91/ CE. Nell’attesa delle linee guida previste dall’art. 6 del d.lgs. n. 192/2005, è stato infatti dato incarico al Dipartimento di Ingegneria Civile e Ambientale dell’Università di Trento di elaborare una metodologia per la classificazione delle prestazioni energetiche degli edifici in regime invernale ed estivo che fosse coerente con le caratteristiche dei consumi del settore edilizio trentino. Ancora oggi si naviga a vista, con algoritmi regionali imposti o meno (come quello della regione Lombardia, che ha messo in pista un carrozzone pubblico per la realizzazione di un software che ha necessitato di molte “messe a punto” e parecchi grattacapi ai certificatori) e che permettono realmente buone prestazioni (come KlimaHaus del trentino) o mettono toppe all’esistente, dovendosi dotare del certificato energetico per la compravendita di immobili, generando la compravendita di certificati on-line a 50 euro cadauno! Secondo stime ENEA del 2004, a fronte di un costo di costruzione che in termini energetici si aggira intorno a 5,5 Tep, in Italia un’abitazione da 90÷100 m2 richiede, per il solo riscaldamento, mediamente 1 Tep all’anno. Se a quelli del riscaldamento si aggiungono anche gli altri consumi di gestione, si può concludere che in appena 3 anni un’abitazione brucia la stessa 36 ecoIDEARE - Gennaio 2014 energia necessaria a realizzarla. Intervenire sui consumi civili in termini di sostenibilità e di efficienza è quindi numericamente significativo, soprattutto in uno scenario di crescita continua del fabbisogno energetico. A tal proposito infatti le stime al 2020, redatte dalla CE sul risparmio potenziale dei consumi di energia, ammontano al 27% per gli edifici residenziali e al 30% per gli edifici commerciali. Occorre a questo punto sottolineare che, mentre nel settore commerciale le maggiori opportunità di risparmio sono offerte dal miglioramento dei sistemi di gestione dell’energia, per quello residenziale il problema cruciale è dato dalla scelta di una corretta soluzione dell’involucro edilizio. Il trend crescente in ambito europeo (con riferimento all’UE - 15) della previsione della domanda di energia da condizionamento estivo è in costante aumento. Con riferimento alla situazione italiana, che nel corso degli anni il fabbisogno energetico in termini di potenza installata (GW) per la climatizzazione estiva ha raggiunto, ed ora probabilmente anche superato, quello per il riscaldamento invernale. A causa di tutto ciò, si può dire che gli obiettivi della certificazione energetica degli edifici sono di varia natura, ma tesi, principalmente informare e rendere coscienti i proprietari degli immobili del più probabile costo energetico relativo alla conduzione del proprio “sistema edilizio” e incoraggiare interventi migliorativi dell’efficienza energetica della propria abitazione mediante consigli che abbiano un corretto rapporto costi/benefici.In questo modo anche i produttori ed i progettisti possono confrontarsi in tema di qualità edilizia offerta, ed i proprietari che apportano miglioramenti energetici importanti ma poco visibili, come isolamenti termici di pareti, tetti, etc., possono veder riconosciuti i loro investimenti con un aumento del valore del proprio immobile. Infatti, negli ultimi tempi, si sta affermando – finalmente – il concetto che l’efficienza può essere un driver per migliorare la trasparenza del mercato immobiliare fornendo agli acquirenti ed ai locatari di immobili un’informazione oggettiva e trasparente delle caratteristiche e delle spese energetiche dell’immobile. La certificazione energetica consente agli interessati di ottenere dal fornitore/venditore di un immobile informazioni affidabili sui probabili costi di conduzione il cui calcolo si basa su condizioni climatiche e di utilizzo standard, e l’acquirente può e deve poter valutare se gli conviene acquistare un immobile dal costo maggiore ma migliore dal punto di vista della gestione e manutenzione. Certificato CENED > CONCEPT NEWYORKESE E GUSTO ITALIANO A DUE PASSI DA BRERA Possibilità di AFFITTO RISCATTO Vieni a scoprire la perfetta sintesi tra l’approccio tipico dei condomini di New York (area fitness con sauna, domotica,tecnologie di risparmio energetico,salotto esterno con connessione Wi-Fi), e l’eleganza del gusto italiano. Visita il sito o contattaci direttamente.Classe A da ipe 16,56 BOVISA POLITECNICO Impianti all’avanguardia (geotermia, cogenerazione, pompe di calore...) Alta efficienza energetica Classe B ipe 44,60 Pronta Consegna CLASSIC CHOICE CONTEMPORARY CHOICE ARCO DELLA PACE via B. Castiglioni Cardinale Milano via P. 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I nuovi serramenti sono molto arretrati rispetto al filo di facciata per sfruttare l’imbotte quale protezione all’irraggiamento estivo, così come il sistema degli sporti di gronda riduce in estate il soleggiamento. Il tema della riduzione dei consumi energetici è ormai noto: l’utilizzo dell’energia porta all’esaurimento delle materie prime e delle risorse fossili e nel contempo produce un’alterazione del clima dovuto ai gas prodotti; entrambe le conseguenze generano, a loro volta, da un lato il problema del reperimento di energie alternative che siano efficaci e dall’altro la necessità di fronteggiare sconvolgimenti naturali, più o meno significativi ed in tempi più o meno lunghi (pensiamo allo scioglimento dei ghiacciai piuttosto che all’innalzamento del livello delle acque). Il problema è quindi quello di governare e limitare il fabbisogno energetico, a livello nazionale ma soprattutto a livello europeo. Peraltro, proprio la Comunità Europea ha più volte 38 ecoIDEARE - Gennaio 2014 evidenziato che «la migliore fonte enerrgetica in nostro possesso oggi è il risparmio». Tanto è vero che è stata definita anche una nuova unità dimisura proprio per indicare il risparmio energetico: il «negawatt», con cui misurare quanta energia risparmiano e quindi la riduzione dei watt rispetto ai consumi attuali. Ora, è statisticamente verificato che sono gli edifici ad essere la principale causa di consumo dell’energia, necessaria per garantire le attuali condizioni di comfort abitativo faticosamente raggiunte: in Europa, gli edifici contribuiscono per oltre il 40% ai consumi energetici totali, mentre l’IPCC (Intergovernmental Panel on Climate Change cioè, Comitato intergovernativo sul mutamento climatico) ritiene che, nel mondo, gli edifici chè proprio l’edilizia ha le chances maggiori, potendo migliorare l’efficienza energetica con sforzi non così eccessivi e in questo, dato che il parimonio esistente supera di gran lunga le prospettive di nuove realizzazioni, l’attenzione deve ricadere essenzialmente sugli edifici esistenti. I consumi energetici di un edificio esistente non isolato sono superiori anche di 8-10 volte quelli di un edificio ben isolato (nuovo o correttamente ristrutturato). Questo dato deve far riflettere su dove concentrare sforzi e risorse: se l’obiettivo principale è dunque la riduzione dei consumi energetici usuali, ciò si ottiene, in via generale, da un lato riducendo il fabbisogno degli edifici attraverso il miglioramento dell’efficienza dell’involucro e la ventilazione naturale, dall’altro migliorando l’efficienza degli impianti sia a livello di macchine e reti che di apparecchiature utilizzatrici, dall’altro ancora sfruttando efficacemente gli apporti energetici gratuiti (risorse rinnovabili), in primo luogo il sole. E’ una sfida che richiede l’utilizzo di tecnologie e soluzioni tecniche adeguate le quali sono in gran parte già esistenti e che sono tali da garantire e migliorare sensibilmente anche il comfort interno di un vastissimo parco immpbiliare esistente del tutto desueto, potendo così coniugare il benessere con il rispetto dell’ambiente. Gran parte delle costruzioni esistenti soffre di pessime prestazioni termiche, il che si traduce, oltre che in livelli di consumo inaccettabili, anche in condizioni di comfort insoddisfacenti. Qualche decennio fa, quando si era «energeticamente spensierati», si pensava di correggere le condizioni ambientali interne (poco confortevoli per via del freddo, del caldo e dei tassi di umidità) utilizzando sostanzialmente gli impianti; proprio il progressivo perfezionamento dei sistemi impiantistici e la grande disponibilità di petrolio e gas a costi accettabili nel sistema economico, ha indotto la progettazione a delegare alle reti tecnologiche il ruolo di controllore ambientale: quindi, gli edifici esistenti sono stati realizzati in un momento storico in cui il problema del comfort termico veniva risolto con il solo intervento degli impianti. Oggi sappiamo invece come sia fondamentale ridurre in modo significativo i consumi prima di poter procedere ad un’ottimizzazione con gli impianti, il cui apporto deve necessariamente essere minimizzato. Ridurre i consumi in edilizia significa in primo luogo intervenuire sull’involucro, riducendo le dispersioni termiche in inverno e gli accumuli termici in estate. La riqualificazione energetica dell’involucro edilizio comporta poi ulteriori notevoli vantaggi, oltre al citato incremento delle condizioni di comfort interno, quali la riduzione dei costi di gestione, l’aumento del valore patrimoniale, l’incremento della vita utile del fabbricato consumano circa il 30% dell’energia totale in gioco, e “last but not con un incremento di circa 3% ogni anno, dovuto sia least” il rinnovamento dell’immagine, cioè un’opporalle maggiori richieste da parte dei Paesi industrializ- tunità di riqualificare anche architettonicamente un zati sia soprattutto al (legittimo) miglioramento del oggetto edilizio e, da qui, un comparto urbano. benessere nei Paesi terzi. Le ricadute sono di immediata percezione: meno consuPiù consumi significa più inquinanti: in Lombardia il mo, meno inquinamento, meno dipendenza energetica, 50% delle emissioni inquinanti in inverno è causato meno spese, riduzione dell’»isola di calore» specie dal riscaldamento domestico, sapendo peraltro che, nelle città, più comfort, più valore, più qualità estetica. in alcune tipologie di edifici, è il raffrescamento un Senza parlare dell’enorme volano economico che un problema più significativo del riscaldamento. generale processo di riqualificazione del parimonio ediSappiamo che dall’edilizia deriva anche che circa 1/3 lizio esistente sarebbe in grado di attivare, ricordando delle emissioni complessive di gas serra. quale ruolo assolutamente prioritario ha avuto il mondo Ma se gli edifici giocano un ruolo primario nel delle costruzioni nello straordinario fenomeno di cresciconsumo lo fanno anche nel potenziale risparmio dei ta economica dell’Italia del dopoguerra. prossimi anni: quindi è lì che si deve intervenire, per- Gli interventi di riqualificazione sono considerati tali se 39 comportanto un significativo incremento delle prestazioni dell’involucro il che significa, ad esempio: - in inverno, collocare elevati spessori di materiali coibenti sulle chiusure verticali opache (pareti) impiegando sistemi di facciata ad isolamento compatto (cosiddetto cappotto termico) o ventilato (cosiddetta facciata ventilata) e utilizzare serramenti ad alte prestazioni energetiche (telai isolanti e vetri stratificati con intercapedine); così come iperisolare la copertura e dotarla di una meccanismo di funzionamento di tipo ventilato; - in estate utilizzare tecnologie che limitino i carichi termici nelle stagioni ad elevato soleggiamento, ad esempio utilizzando schermi solari esterni (frangisole) a protezione dell’intera facciata e/o pellicole/vetri che attenuino l’accumulo di energia termica solare nei serramenti, oppure sfruttando i moti d’aria che si innescano nelle pareti e nelle coperture ventilate per ridurre il surriscaldamento della parete causato dall’irraggiamento solare. Ma pure significa utilizzare l’energia gratuita che, in inverno, può contribuire anche in modo significativo ad innalzare la temperatura interna, adottando sistemi di sfruttamento passivo dell’energia solare (i cosiddetti sistemi solari passivi a guadagno indiretto) quali le serre solari o sistemi ad accumulo (ad es. Muro di Trombe). oppure anche adottare la trasformazione dei tetti in coperture evolute quali i «roofs pond» o, per l’attenuazione estiva, i tetti verdi o i «cool roofs». Un ulteriore aspetto cui far cenno per il miglioramento del comportamento degli edifici sotto l’aspetto della riduzione dei consumi e dell’incremento di comfort è l’adozione, anche in fase di ristrutturazione di fabbricati esistenti, di sistemi di ventilazione naturale, questione purtroppo poco considerata anche nella progettazione del nuovo. Infatti, la ventilazione naturale è una tecnica che si pone come obiettivo energetico, in situazione estiva, il controllo delle condizioni microclimatiche interne rispetto all’umidità e alla temperatura dell’aria determinandone un abbassamento dei valori (raffrescamento passivo ventilato). Oltretutto, quella che vene chiamata «ventilazione naturale controllata» contribuisce alla riduzione dei consumi energetici dati dalla ventilazione meccanica e dal condizionamento estivo, mentre i sistemi di ventilazione meccanica (purtroppo scarsamente adottati in Italia negli edfici non terziari) riducono in inverno le dispersioni termiche per ventilazione connesse all’abbassamento di temperatura interna derivante dall’apertura casuale delle finestre. In caso di ristrutturazione, la ventilazione naturale potrebbe essere ottenuta mediante l’uso di serramenti con apertura a vasistas o dotati di persiane con aperture variabili oppure adottando sistemi di controllo automatico delle aperture per ventilazione nei serramenti (attuatori d’apertura per finestre, griglie di ventilazione regolabili, controllori di flusso omeostatici), creando aperture sulle coperture degli atrii o torri di estrazione/lucernari oppure anche serre/camini solari come vani tecnici d’estrazione. Come si vede dagli accenni fatti, sono molte le tecniche, tecnologie e materiali disponibili e affidabili, non c’è che affrontare le tematiche della riduzione dei consumi energetici con un approccio adeguato e finalizzato ad un effettivo incremento della qualità del costruito e delle sue prestazioni. Il che si traduce, a valle di un processo virtuoso di riqualificazione complessiva dell’edificio, anche a ritrovare un rinnovato «look» che, grazie all’uso di tecnologie e materiali attuali, restituisce nuovi linguaggi espressivi in grado di apportare un significativo «svecchiamento» di edifici che, di fatto e senza un adeguato intervento radicale, dovrebbero avviarsi ad una degnissima dismissione. ECOABITARE Green made in Italy, il fattore chiave che unisce EcoWorldHotel a Ecoideare Prima Negli ultimi anni, stili di vita e abitudini d’acquisto guardano sempre più verso un consumo critico e consapevole, attento alle caratteristiche di sostenibilità ambientale del processo produttivo e distributivo. Le aziende italiane, di fronte a questa nuova tendenza, si trasformano offrendo prodotti e servizi “green” e cercano sul mercato società specializzate esclusivamente nella consulenza e scelta di prodotti e servizi ecologici. Per questo 6 anni fa è nato il Gruppo d’Acquisto di EcoWorldHotel, un aiuto concreto per chi desidera acquistare forniture alberghiere (ecologiche, bio, equo-solidali) e servizi con certificazioni di tipo ambientali (es. ISO 14001, emas, ecolabel, aiab), rispettosi dei principi della sostenibilità ambientale. Per essere ancora più vicine alle nuove aziende e agli affiliati, EcoWorldHotel è presente in rete con EcoWorldshop.com, una piattaforma e-commerce che riunisce oltre 1.700 eco-prodotti bio e green made in Italy, diventando il portale di riferimento per gli acquisti ecologici, sicuri e certificati in Italia. Dopo Riqualificazione della scuola primaria di Pogliano M.se (Mi): il fronte sud. Sistema di rivestimento in parte «a facciata ventilata» (in corrispondenza del basamento) e in parte «a cappotto» e serramenti in alluminio a taglio termico con vetri isolanti. L’adozione di frangisole ad ali orientabili elettricamente per controllare l’irraggiamento solare estivo e la luce si trasforma in un forte elemento di caratterizzazione architettonica dell’intervento; rivestimento dello zoccolo in mattoni di laterizio faccia a vista. L’edificio riqualificato comporta un risparmio di circa il 78% del consumo di energia primaria, passando da un fabbisogno di circa 3.150.000 W dello stato di fatto ad un valore pari a circa 670.000 W di progetto. Ma il consistente beneficio si estende anche al costo del combustibile e alla riduzione delle emissioni inquinanti. Nel primo caso, si passa da un consumo di circa 81.000 mc/anno a circa 17.000 mc/anno con un’economia di circa 34.000,00 €/anno. Riqualificazione con ampliamento di una casa per vacanze a Barni (Co). Sistema di rivestimento «a facciata ventilata» e serramenti in legno lamellare ad elevato spessore con vetri isolanti. Lo strato termoisolante in PSE ad elevato spessore è stato mascherato da un rivestimento in listelli di legno appesi che in estate determina un abbattimento dell’energia incidente solare e quindi una riduzione del surriscaldamento della facciata, effetto ottenuto anche con il frangisole orientabile utilizzato a protezione del serramento dell’ampliamento per evitare l’effetto serra. 40 ecoIDEARE - Gennaio 2014 Luigi Paolino PhD in ingegneria ergotecnica edile. Professore alla Scuola di Ingegneria Edile-Architettura del Politecnico di Milano. Si occupa di progettazione architettonica e tecnologica, con particolare attenzione alle tematiche prestazionali e alla sostenibilità. Dal 1984 svolge attività di progettista e direttore lavori. Ha ottenuto importanti riconoscimenti in premi e concorsi e molte realizzazioni sono oggetto di pubblicazioni su diverse riviste di settore. I principi etici di EcoWorldHotel sono gli stessi cui si ispira il nostro periodico d’informazione e cultura sullo sviluppo sostenibile: Ecoideare che seleziona le aziende impegnate nell’ambito dell’imprenditoria verde italiana per esserne il megafono e una guida autorevole all’economia etica e al consumo consapevole. Ecoideare offre alle strutture ricettive che si fregiano del marchio di Qualità Ambientale EcoWorldHotel, copie del periodico a disposizione degli ospiti, fornendo così uno strumento d’informazione autorevole e coerente con i principi esposti, frutto dell’attuale collaborazione appena nata, ma volta ad amplificare la “green mission” comune, sempre più condivisa sia tra le aziende operanti nel settore alberghiero che tra i consumatori/lettori, oggi più consapevoli e alla ricerca di un prodotto/servizio attento alla salvaguardia dell’ambiente. Per una fruizione eco-sostenibile e al passo con le tecnologie che permettono di non consumare carta in eccesso, Ecoideare è disponibile anche in versione on-line: www.ecoideare.it 41 Nell’ottica della tutela del territorio e della salvaguardia dell’ambiente, abbiamo fatto nostra la problematica che nasce dalla presenza sempre più consistente di animali d’affezione nel contesto urbano, dovuta in buona parte all’inurbamento delle città. Partendo dal principio che anima la zooantropologia, che attribuisce ai cani un valore sociale e tende quindi a valutare diritti e doveri sia degli animali che dei padroni, abbiamo deciso di dedicare uno spazio ai temi legati ai nostri amici a quattro zampe. di Claudia Taccani Quattro zampe a spasso… Ma posso entrare si o no ? ghi aperti al pubblico, come bar, ristoranti, negozi di abbigliamento rispetto ad altri luoghi che possiamo definire “sensibili”, come ospedali, asili, supermercati o luoghi dove viene “trattato” il cibo. In questo ultimo caso, infatti, per legge, può sussistere una limitazione all’accesso del cane per motivazioni a carattere igienico-sanitario. La Federazione Italia Diritti Animali e Ambiente e l’Anci – Associazione Nazionale Comuni Italiani, grazie ad un protocollo di intesa, hanno redatto il testo LA LEGGE A 4 ZAMPE il benessere degli animali in città” predisponendo, in particolare, all’art. 19, la possibile conduzione di cani (e di altri animali) nei locali aperti al pubblico, nei pubblici uffici e sui mezzi di trasporto mediante guinzaglio, mentre per quanto riguarda i punti di vendita al dettaglio, nonché ristoranti, bar e alberghi, la possibilità di divieto rimane a discrezione del titolare, il quale dovrà tuttavia apporre sulla porta d’ingresso apposito avviso dell’eventuale divieto. In definitiva, possiamo concludere che non vige alcun divieto a livello nazionale di accesso con Fido in un locale pubblico ma, al contrario, l’accordo tra la FIDA e l’ANCI ha rappresentato un invito, rivolto alle singole pubbliche amministrazioni, a formalizzare con tanto di regolamento \ ordinanza tale possibilità. Si consiglia, a chi vive in un Comune ( sia di piccole o grandi dimensioni) privo di una disposizione normativa specifica, di invitare la propria Amministrazione Comunale ad adottare l’Ordinanza prototipo, scrivendo al Sindaco, all’assessorato competente e all’Ufficio diritti animali (qualora presente) chiedendo che sia valutata la sua approvazione avendo riguardo alla maggiore sensibilità dell’opinione pubblica nei confronti degli animali. Concludiamo con una informazione doverosa: tutto quanto sopra riportato non è applicabile in caso di accesso in un locale, così come sui mezzi di trasporto, da parte di un non vedente con il proprio cane guida. La legge, almeno in tal caso, è chiara e univoca, predisponendo l’accesso libero e prevedendo multe salate da euro 500 fino a 2.500 in caso di trasgressione. < Miele love Cappuccino - Foto di Sabrina Romiti Tra i piaceri più belli della vita, per l’amante del cane, è quello di poter girare liberamente con il proprio amico a quattro zampe, poter andare a fare acquisti, bere un aperitivo o godersi una cena al ristorante in sua compagnia. Ma Fido può entrare liberamente nei locali pubblici o aperti al pubblico? Questo è il dilemma! Facciamo un po’ di chiarezza e vediamo cosa prevede la normativa in merito. Bisogna anzitutto effettuare una differenza tra luo- di un’ordinanza prototipo avente ad oggetto il libero accesso di cani in strutture pubbliche e luoghi aperti al pubblico. L’ordinanza prototipo è stata quindi invitata a tutti i Comuni, invitando così le pubbliche amministrazioni ad adottare, ciascuna, una disposizione di questo tipo. In tal modo, i cani avrebbero libero accesso in tutti i luoghi pubblici, ristoranti, uffici postali e possibilità di salire sui mezzi di trasposto, salvo espresse e motivate deroghe. Ma non tutti i Comuni hanno “aderito” all’iniziativa, rimanendo nel “silenzio” normativo o, al contrario, mantenendo divieti. Un buon esempio è stato dato dalla città di Milano, nella quale la scorsa estate è stata adottata un’Ordinanza di libero accesso ai cani in tutti i locali pubblici potendo, per esempio, andare a rinnovare la propria carta di identità in compagnia del proprio quattro zampe, muniti di guinzaglio e museruola, senza dimenticare il sacchettino per le deiezioni. In assenza di specifica ordinanza, invece, vige a livello nazionale il Regolamento di Polizia Veterinaria del 1959 che prevede, genericamente, “l’obbligo di guinzaglio o di museruola al cane quando si trova nelle vie o nei luoghi aperti al pubblico e di guinzaglio e museruola nei locali pubblici e nei pubblici mezzi di trasporto”. Insomma, a livello nazionale l’accesso dei cani nei luoghi pubblici non è vietato, ma non è da escludere l’eventuale sussistenza, a livello locale, di disposizioni normative che prevedano specifiche prescrizioni sull’accesso dei “pets” nei locali, come per esempio i Regolamenti comunali per il benessere degli animali. Così, per esempio, la città di Genova, nell’anno 2011 ha approvato “Il nuovo Regolamento per la tutela e Dog Bar Varese 42 ecoIDEARE - Gennaio 2014 < Foto di Sebastian43Perna Prosegue la collaborazione con l’associazione Gaia Italia e Giorgio Nebbia, uno dei padri nobili del movimento ambientalista italiano e internazionale. Giorgio Nebbia è stato -ed è ancora- uno dei protagonisti di assoluto rilievo nello studio della questione ambientale, affrontata nell’ottica del chimico, dell’economista e del merceologo. di Giorgio Nebbia [email protected] Un Servizio Idrogeologico per salvarci dalle alluvioni GIORGIO NEBBIA vegetale è stata considerata inutile; dove si pensa che siano d’intralcio alle opere “economiche”, alberi e macchia vengono estirpati o bruciati. La creazione di un Servizio Idrogeologico Nazionale consentirebbe la creazione di decine di migliaia di posti di lavoro; capisco che è forse difficile trovare dei laureati che accettino di camminare lungo i torrenti e i canali, di controllare e identificare gli ostacoli al moto delle acque, di pulire i tombini nelle città, ma ci sarà pur gente che ha voglia di farlo considerando che questo servizio è il più importante -anzi unico- sistema per evitare disastri futuri. So bene quanto sia utopistico questo quadro ma so anche quanta ricchezza e lavoro potrebbero essere mobilitati e quanti costi monetari e dolori futuri potrebbero essere evitati. Un secondo rimedio per evitare future frane e alluvioni consiste nel coraggio di dire “no” alle autorizzazioni e costruzioni di opere che intralciano il moto delle acque. Finora la “cultura” (si fa per dire) politica dei pubblici amministratori è consistita nel “portare a casa” un po’ di soldi -europei, nazionali, regionali- per “fare” qualcosa, spesso inutile: villaggi turistici rimasti deserti dopo aver tagliato boschi e colline; campi sportivi, nei quali non avrebbe giocato nessuno, costruiti nei fondo valle; piscine, in cui non avrebbe nuotato nessuno, costruite nelle golene dei fiumi; edifici pubblici del tutto inutili, quartieri di cui nessuno aveva bisogno, qualche inutile strada, pur di assicurare un po’ di affari a qualche impresa locali e qualche posto di lavoro per pochi mesi. In questa frenesia del “fare” sono stati coperti fossi e torrenti per recuperare qualche metro quadrato edificabile, sono stati imprigionati i fiumi entro pareti di cemento, ricette sicure per aumentare la velocità e la forza erosiva delle acque, l’allagamento delle zone circostante ad ogni pioggia più intensa. Il successo di una auspicabile svolta nella politica della difesa del suolo, delle acque, del territorio richiederebbe una vasta operazione di diffusione della cultura geografica per insegnare a grandi e piccini a riconoscere i fiumi e le valli e i torrenti come beni comuni, a guardare come si muove l’acqua sul territorio e dove incontra e incontrerà ostacoli e come tali ostacoli possono essere evitati o rimossi. Devo dire che sono pessimista che cose così difficili possano diventare programmi e azioni di governo, ma un filo di speranza mi resta vedendo che proprio nella disgrazia collettiva si manifestano volontà individuali di solidarietà; lo ricordo nel caso delle alluvioni del Polesine, di Firenze, della Puglia e della Sicilia, lo si è visto ieri in Toscana e nella Liguria. Le piogge provocheranno meno alluvioni e frane se governate e frenate dagli argini di una nuova, grande solidarietà nazionale. Alluvione Lucca 2009 - Foto di Alessio Catelli > < Fiume Po - Torino - Foto di Ario Gaviore Ormai due o tre volte all’anno l’Italia deve fare i conti con i danni delle alluvioni; le città allagate, i tombini intasati, i raccolti perduti, le case, i negozi, le officine pieni di fango sono diventati eventi sempre più frequenti e violenti anche a causa dei mutamenti climatici. In seguito a questi avvenimenti, che registrano il dolore in tante zone e città d’Italia, dal Nord al Sud alle isole, si può stimare in due o tre miliardi di euro all’anno il denaro pubblico necessario per risarcire i danni subiti dalle persone che hanno perduto i propri beni, le case, le possibilità di lavoro, a causa delle frane e alluvioni. Dopo la grande alluvione di Firenze e Venezia, nel 1966, il governo diede l’incarico ad una commissione presieduta dal prof. De Marchi di indicare come evitare tali futuri disastri. La Commissione individuò le azioni da fare e indicò la necessità di investimenti per 10 mila miliardi di lire di allora, corrispondenti a circa cento miliardi di euro attuali; oggi probabilmente ne occorrerebbero molti di più perché è aumentata la fragilità del nostro territorio. Per attenuare i dolori e i costi delle alluvioni ci sono alcune cose da fare: prima di tutto opere di rimboschimento e incentivi per riportare l’agricoltura nelle zone collinari perché la cura del bosco e il paziente e rispettoso lavoro degli agricoltori sono i principali rimedi per regolare il flusso delle acque nel loro cammino dalle valli al mare. Se il suolo è coperto di vegetazione la forza di caduta delle gocce d’acqua si “scarica” sulle foglie e sui rami, che sono elastici e flessibili, e l’acqua scivola dolcemente verso il suolo e scorre sul terreno con molto minore forza erosiva e distruttiva. Occorrerebbe un Servizio Idrogeologico Nazionale che tenesse sotto continuo controllo lo stato dei corsi dei fiumi, procedesse alla pulizia e manutenzione di tutte le strade percorse dall’acqua nel suo moto verso il mare, dei fossi, dei torrenti e dei fiumi maggiori al fine di rimuovere gli ostacoli incontrati dalle acque e di tenere aperte le vie naturali del loro scorrimento. Nel dissennato uso del territorio di tanti decenni sono stati costruiti, autorizzati ed abusivi, edifici, strade, ponti, ferrovie, senza alcuna attenzione al moto delle acque, anzi alcuni rappresentano veri ostacoli al moto delle acque; per alcune opere sono stati sbancati i fianchi delle valli e sono così stati accelerati i fenomeni erosivi. Spesso dove è arrivata la presenza umana la copertura < Alluvione Sardegna 2013 - Foto di Fabrizio Bruno 44 ecoIDEARE - Gennaio 2014 45 Biblioteca della sostenibilità Il libro verde dello spreco in Italia: l’energia a cura di Andrea Segrè, Matteo Vittuari Edizioni Ambiente, pag.240, €.16,00 certiFichiamo in armonia con la natura Quando consideriamo gli sprechi di energia, alla maggior parte di noi vengono in mente lo standby degli elettrodomestici o le lampadine a basso consumo. In pochi pensano al cibo come possibile causa di inefficienze. In realtà, il settore agroalimentare consuma e spreca enormi quantità di energia, anche per smaltire quegli scarti che con tanta indifferenza prendiamo dalla tavola e buttiamo nella pattumiera. Il “libro verde dello spreco in Italia: Energia” è un libro di consapevolezza e di nuova cultura dell’ambiente che denuncia un modello insostenibile per l’Italia e auspica ad un’agricoltura “altra” sia possibile, anzi necessaria. L’insostenibile consumo di suolo L’acqua (non) è una merce. Perché è giusto e possibile arginare la privatizzazione a cura di Ciro Gardi, Nicola Dall’Olio, Stefano Salata Edicom Edizioni, pag.136, €. 20, 00 Altreconomia, 2013 - pag. 152 €. 12,00 Come fermare il consumo di suolo, nell’agenda dell’uscita dalla crisi. Per farlo gli autori partono dal delineare il senso e il significato del “consumo” di “suolo”, considerando fondamentali i fattori culturali e sociali che influenzano le di maniche di espansione urbana nel mondo. Impatti, costi e cause del consumo di suolo sono la conseguenza della corsa all’urbanizzazione a discapito del suolo, una risorsa oggi sempre più strategica e limitata. Le soluzioni tecniche, strategie e politiche per la conservazione del suolo però esistono e gli autori sono i portavoce di queste linee guide che potrebbero salvare il nostro suolo. L’acqua è ormai una merce? Con la benedizione di politici e media, l’acqua si appresta a diventare - da bene comune e diritto di tutti - un affare per pochi. Una torbida verità la cui fonte è la recente riforma dei servizi pubblici locali. Questo libro di Luca Martinelli - giornalista e redattore del mensile “Altreconomia” che ha svolto ricerche in ambito universitario sulla privatizzazione dei servizi pubblici locali - ricostruisce la storia della privatizzazione dell’acqua in Italia dal 1994 a oggi, dimostrando come e perché la gestione pubblica degli acquedotti può essere la più efficiente. Per tenere, come dice il prezioso testo inedito di Erri De Luca “il conto delle gocce”. Cure naturali e alimentazione ESSERE E FARE ECOLOGIA PROFONDA per gli animali di casa 50 consigli per rientrare nel cerchio vivente. Pratiche di riconnessione con la nataura di Luca Martinelli, CCPB CertIfICa ProdottI BIoLogICI ed eCosostenIBILI deL settore agroaLImentare e no food L’agrolimentare biologico Il biologico non food I prodotti eco-sostenibili CCPB ha gli accreditamenti e le autorizzazioni per l’attività di controllo e certificazione dei prodotti biologici, in Europa e nel mondo. CCPB opera nel settore della cosmesi, nel tessile e nelle aree verdi coltivate con metodo bio, secondo gli standard intarnazionali Natrue, GOTS, OE, Bio Habitat e i nostri standard privati. CCPB certifica i prodotti agroalimentari e non, in base a standard nazionali e internazionali quali la produzione integrata, la detergenza, la rintracciabilità di filiera, GLOBALGAP, QS, la certificazione di prodotto e quella di sostenibilità. vino critico vini naturali artigianali conviviali in italia a cura di Officina Eroica; Altreconomia, 2013 – pag. 208, €. 10,00 Il vino critico rispetta l’ambiente. E la biodiversità, è l’espressione autentica del territorio in cui è prodotto, ci racconta il lavoro dei piccoli vignaioli indipendenti. La prima guida al vino “di relazione”: 120 schede di vignaioli, 250 vignaioli indipendenti, 1.500 vini biologici biodinamici autentici, tutti gli eventi di enodissidenza e un breve testo di Luigi Veronelli. Officina Enoica è un’associazione di enodissidenti e social sommelier, che ha l’obiettivo di sostenere i vignaioli artigiani e naturali, organizzando fiere, degustazioni e iniziative culturali per stimolare un consumo critico e consapevole. Controllo e Certificazione 46 C.C.P.B. srl Società a Socio unico ecoIDEARE - Gennaio 2014 Via J. Barozzi 8 40126 Bologna, italy tel +39 051 6089811 Fax +39 051 254842 [email protected] www.ccpb.it di Laura Cutullo, Edizioni Riza, 2013 – pag. 160, €. 17,00 Un libro dedicato a chi desidera mantenere in salute i propri animali di casa (cani, gatti e conigli) utilizzando le terapie naturali in una visione olistica della vita e della cura. In modo semplice, ma rigoroso vengono prese in considerazione terapie olistiche come l’uso di erbe medicinali e fiori di Bach, rimedi omeopatici fino all’agopuntura. Non solo cura, ma il volume ci guida verso la scelta di una corretta alimentazione per i nostri “amici” più cari, perché i rimedi naturali e il buon cibo possano assicurare loro una vita sana, lunga e felice. di Stefano Fusi, Area51 Publishing Editore, 2014, e-book L’eBook dell’autore è un manuale utile per la riconnessione con la natura, propone esperienze e pratiche che insegnano a ritrovare un contatto profondo, diretto, salutare con la natura e con la nostra interiorità, già sperimentate e collaudate, ma vanno conosciute e seguite il più possibile in ogni ambito della vita quotidiana: dall’immersione sensoriale nella natura e all’immedesimazione immaginativa con gli elementi e gli animali, dalla percezione del proprio corpo in rapporto con l’ambiente alla scrittura della storia della propria bioregione, dalle pratiche ispirate alle discipline orientali per percepire l’energia vitale a quelle proprie dei popoli nativi per celebrare la fratellanza con tutti gli esseri viventi. www.naturalspirit.it 47 Ecologia in vetrina Idee, oggetti e materiali innovativi, ecocompatibili e dal design accattivante, dedicati al consumatore attento all’ambiente, ma che non rinuncia al glamour di un prodotto speciale. Something Good, qualcosa di buono per il design italiano Lo fanno quattro designer veneti (Enrica Cavarzan, Marco Zavagno, Matteo Zorzenoni e Giorgio Biscaro) lanciando un nuovo modo di fare azienda attraverso un’attività sostenibile, non in termini ambientali, ma industriali grazie ad un modello di business più leggero. Funziona così: i designer progettano un oggetto - dai complementi, agli accessori, agli articoli per la casa e ufficio – scelgono i materiali, spesso di recupero come il rame, e commissionano la produzione ad artigiani di fiducia, senza chiedere volumi di produzioni elevati, evitando così costi di magazzino per la merce in eccesso. Il realizzato viene poi venduto online. Internet è un mezzo importante per targettizzare il cliente e orientarsi verso un’ottimizzazione della produzione in base alla reale domanda. www.somethinggood.com EcoNews GREEN INNOVATION ACADEMY, La prima scuola di management per imprese sostenibili in Italia Progetto Manifattura (Rovereto, TN), il primo hub dell’economia verde italiana, lancia una nuova iniziativa dedicata ai giovani imprenditori: la Green Innovation Academy, aperta sia agli imprenditori insediati all’interno di Progetto Manifattura che a coloro che intendono avviare una nuova iniziativa imprenditoriale. L’Academy, progettata e realizzata in collaborazione con l’Università di Trento, è pensata come una scuola di management, divisa in due corsi (base+avanzato da 4 e 2 mes), mirata per apprendere sia i saperi fondamentali dell’imprenditorialità – come la classica gestione dei flussi di cassa, web-marketing e redazione di contratti– che le strategie di innovazione creativa, di gestione ecosostenbile e di marketing specifico per l’impresa green. Saperi specifici per neo-imprese nel campo della green economy, curate da docenti universitari, imprenditori del mondo della sostenibilità e specialisti con esperienza decennale». I corsi partiranno il 14 gennaio 2014, le iscrizioni si chiuderanno il 10 gennaio. Per maggiori informazioni: www.progettomanifattura.it “Bando conai” premia l’impegno concreto delle aziende italiane per gli Imballaggi eco-sostenibili Opere d’arte da indossare Quadri astratti in minisatura realizzati interamente a mano su carta pesante, arricchiti con disegni e inserti di materiali sempre nuovi e diversi diventano, grazie alla creatività del pittore e scultore Renato Giananti, inediti ciondoli, orecchini o bracciali. Una linea di gioielli, “opere uniche”, sintesi di un’esplorazione dell’artista nel campo della moda, influenzata da artisti famosi che si sono cimentati nella creazione di gioielli. E’ al grande scultore Calder che Giananti si ispira per realizzare le “caldermanie”: borse, collane, bracciali e anelli, vere opere d’arte da indossare! www.gianart.it Giunta alla 5° edizione, il Dossier Prevenzione 2013 raccoglie le iniziative delle aziende italiane, oltre 1.000.000 appartenenti al sistema consortile privato CONAI, sul tema della prevenzione dell’impatto ambientale degli imballaggi e sulle soluzioni virtuose d’intervento realizzabili tramite un “approccio intergrato e di filiera”. Il Dossier Prevenzione 2013 rientra nel progetto “Pensare Futuro” che, da quest’anno, si arricchisce di una nuova iniziativa: il “Bando CONAI” volto a premiare - con un importo pari a €200.000 - e a dare visibilità alle soluzioni di imballaggi sostenibili e innovativi immesse sul mercato italiano nell’anno 2011-13. Per partecipare al Bando, le aziende consorziate dovranno compilare, entro e non oltre il 20 febbraio 2014, un form online disponibile sul sito www.ecotoolconai.org Nino Sanremo, amico della natura L’unico in grado di offrire, da quasi trent’anni, rosai che possono essere piantati, con successo, in ogni momento durante l’arco dell’anno. Per ottenere tale risultato Nino Sanremo parte dalla scelta di un vaso biodegradabile, fabbricato mediante stampaggio, compressione e “cottura” di un impasto di fibra vegetale e cellulosa, torba bionda e acqua. Non ha fori per il drenaggio e le pareti sono permeabili all’acqua e all’aria, caratteristica che favorisce lo sviluppo e la salute delle radici dei rosai. www.ninosanremo.com VerdeVivo Bio, l’orto in VASO è ora possibile, nutrilo con un concime biologico Un concime organico-minerale consentito in agricoltura biologica che assicura alle colture una nutrizione completa e bilanciata. L’impiego di materie prime naturale rende il VerdeVivo Bio concime ideale per chi vuole, anche sul proprio balcone o terrazzo, avere prodotti naturali e trasformarli in deliziosi mini orti, riducendo la presenza di rose e ortensie per far posto a pomodoro, basilico e insalate. Gli ortaggi più adatti sono le insalate di tutti i tipi, dalle lattughe alle cicorie e soprattutto le varietà da taglio che hanno tempi di germinazione molto rapidi come, la rucola. Numerosi studi hanno evidenziato che frutta e verdura bio presentano all’analisi un alto e maggior contenuto di antiossidanti. I vegetali bio inoltre possono, previo consueto lavaggio, essere consumati addirittura con la loro pelle. Ciò permette al nostro organismo di utilizzare la maggior parte delle preziose sostanze presenti e concentrate proprio nello strato tra polpa e buccia. VerdeVivo Bio è in distribuzione nei migliori supermercati e garden italiani www.verdevivo.it 48 ecoIDEARE - Gennaio 2014 EL BALLON, un “contenitore in movimento” per chi ama muoversi in bicicletta Il progetto EL BALLON nasce nel luglio 2012 dall’idea di Katiuscia Perone e dal suo amore per il dialetto milanese e per la bici. EL BALLON in dialetto milanese sta per IL PALLONE. E’ proprio dalla forma particolare che rimanda ad un pallone che la creatrice realizza borse anatomiche - in stoffe e tessuti sempre diversi e inediti - in linea con uno stile di vita pratico ed ecologico, ideale per muoversi in città pedalando su una bici da uomo, anni Sessanta. www.facebook.com/borsaelballon BIOFACH & VIVANESS 2014, i consumatori scelgono e acquistano in modo consapevole In parallelo al Salone leader mondiale degli alimenti biologici BIOFACH, in programma a Norimberga dal 12 al 15 febbraio 2012, si svolgerà il Salone della cosmesi naturale VIVANESS. 200 espositori e oltre 40.000 visitatori previsti, una risposta sempre più “greening” dell’intero comparto cosmetico per un consumatore attento agli aspetti etici sociali, e all’ambiente. Nei quattro giorni delle manifestazioni entrambi i Saloni offrono un ricco calendario di incontri sui temi della sostenibilità nei settori food e cosmesi. www.biofach.de - www.vivaness.de 49 LE NOSTRE CONVENZIONI Per essere sempre più vicini ai nostri associati, Rinenergy ha stretto una serie di accordi per proporre sconti e convenzioni a chi presenterà la tessera, nei seguenti esercizi commerciali o aziende. Ristorante Biologico Corte Regina Viale Monza 16 Milano Tel. 02 28381873 www.cortereginabio.it Bontà Senza Limiti - Gluten Free Via Bergamo 12/a - 20135 Milano - Tel. 0287389815 Aperto mezzogiorno e sera, il Ristorante propone specialità della migliore tradizione emiliana: gnocco fritto con salumi, tortelli ripieni di verdure. Ampia scelta di vini biologici e di altissima qualità. sconto del 10% su pranzi o cene. ...al Grande Cerchio Via M. Buonarroti 8 - 20145 Milano Tel. 0248004737 - Fax: 024812079 www.algrandecerchio.it Ristorante biologico, punto di riferimento per la cucina vegetariana e vegana a cena verrà offerto il dessert o il dolce fatto in casa. Cascina Guzzafame 20083 - Vigano di Gaggiano (Mi) Tel: 02 9086659 - Fax: 02 91390495 [email protected] www.cascinaguzzafame.it Sconto del 10% sulla spesa effettuata in negozio e sconto del 10% sulla prima notte trascorsa nel Bed & Breakfast. Agriturismo La Manna di Zabbra C/da Zabbra - SP 130 al km 4.00 - 90010 Pollina( PA) Tel. 0921-910083 - Cell. 339-6328555 [email protected] - www.lamannadizabbra.com Abbuono di una notte per ogni sette di pernottamento nell’agriturismo; un pasto gratuito ogni cinque persone al ristorante biologico; per minimo 50 euro di acquisto di prodotti biologici Manna delle Madonie, spese di spedizione abbuonate; superati i 100 euro, ulteriore sconto del 10%. Naturiamo Via Caccialepori, 27 Milano Tel. 02 437498 – 392 8347597 Prodotti naturali, trattamenti olistici, corsi e seminari. Riflessologia ZU, visite omeopatiche, iridologia, fiori di Bach, Aromaterapia. Sconto del 15% su prodotti e trattamenti. EcoWorldHotel Tel 02 69008563 [email protected] www.ecoworldhotel.org Sconto del 50% per soggiorno di due notti per due persone (esclusi ponti e festività) in eco-hotel scelto tra agriturismi, B&B, alberghi e dimore storiche certificate EcoWorldHotel. Maria Scapaticci Tel. 338 798167 www.foreverliving.it Vendita diretta prodotti a base di Aloe vera: bevande, integratori alimentari, prodotti per igiene personale bellezza e protezione della pelle, controllo peso relax, igiene della casa, amici animali. Telefonando a Maria un prodotto omaggio del valore del 10% dell’ acquisto. Specialità Alimentari per celiachia e altre intolleranze. Prodotti delle migliori marche per mangiare sano senza rinunciare al gusto. 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