IL MONDO CAPOVOLTO L’inasprimento della politica israeliana sull’immigrazione Figli di un Dio Minore Il dramma dei Falasha, ebrei d’Etiopia di Giulio ALBANESE T ratti gentili che rispecchiano un temperamento affabile: pelle dorata, occhi dolcissimi e lineamenti nobili. Professano la fede di Abramo, dunque sono ebrei, anche se vengono dall’Etiopia. Chiamati, comunemente, falasha, disdegnano questo appellativo perché in aramaico, la lingua di Gesù, ha un’accezione fortemente negativa, significando “esiliato” o “straniero”. Preferiscono invece sentirsi dire che sono “Beta Israel” (Bïta ‘IsrÇ’ïl in lingua ge’ez; ???? ????? in ebraico). Letteralmente, significa Casa di Israele, un’espressione che la dice lunga sul forte senso di appartenenza al popolo ebraico. Alcuni rabbini ritengono che essi siano discendenti della tribù perduta di Dan, quinto figlio di Giacobbe che ebbe da Bila, ancella di Rachele. Secondo alcuni studiosi, questa peculiare etnia deriverebbe, storicamente, dalla fusione tra le popolazioni africane e quegli ebrei fuggiti dal proprio Paese in Egitto ai tempi della distruzione di Gerusalemme nel 587 a.C. o in successive migrazioni della diaspora ebraica. La tradizione ufficiale, invece, fa risalire la loro primogenitura all’unione tra il re Salomone e la regina di Saba che diede alla luce Menelik. Sta di fatto che, proprio per questa ragione, i falasha sono sempre stati visti con sospetto dai fautori dell’ortodossia ebraica, in quanto l’appartenenza al popolo eletto avviene in forma matrilineare, essendo la donna colei che trasmette il sangue dei padri. Ma leggendo la Bibbia, è evidente che la Regina di Saba non fosse ebrea, pertanto, in teoria, sostengono i rigoristi, neanche i discendenti africani dovrebbero esserlo. Dunque, da questo punto di vista, vi sarebbe stata una forzatura, da parte dei falasha, nel rivendicare la purezza delle loro origini, in contrasto con il pensiero inflessibile di certe scuole rabbiniche. Una cosa è certa: al di là di tutte queste disquisizioni, siamo di fronte ad un classico esempio di diaspora. Il dato religioso che rende peculiare la loro identità, infatti, è, rappresentato dal fatto che i falasha siano sempre riusciti a mantenere la fede ebraica, anche dopo la cristianizzazione del regno di Aksum, nel quarto secolo d.C., mantenendo a lungo la loro autonomia sociopolitica. In seguito, purtroppo, subirono non poche persecuzioni e furono addirittura costretti a trovare riparo nei pressi del Lago Tana, nell’Etiopia settentrionale e lì riuscirono a resistere a diversi tentativi di sterminio tra il 15° e il17°. Il loro canone biblico è nella lingua etiope ge’ez, dunque non in ebraico. Inoltre, anche se non seguono rigorosamente le prescrizioni talmudiche (quelle legate alla trasmissione e discussione orale della Torah), aderiscono a tutte le consuetudini legate alla tradizione ebraica, che sono peraltro seguite in Etiopia anche dai cristiani copti, che praticano gli stessi loro digiuni e hanno abitudini alimentari simili a quelle dei falasha. Per fuggire dalle difficoltà economiche e politiche, nel corso della seconda metà del Novecento, ai tempi della “guerra fredda” il governo di Tel aviv li fece trasferire in massa (a metà degli anni Ottanta) dall’Africa, quando gli ebrei russi erano ancora costretti a stare al di là della Cortina di Ferro. Comunque, sebbene fossero ebrei della diaspora, con le carte in regola per essere integrati nel giovane Stato d’Israele, già a partire dagli anni Novanta vennero alla ribalta della cronaca internazionale. La ragione è da ricercare in una serie di episodi di razzismo da parte proprio di quella società che più di tutte, a seguito della nascita dello Stato coll’effige della stella di Davide, si qualifica tuttora per la sua multi nazionalità. In effetti, da allora sono state numerosissime le discriminazioni a cui questo “resto africano d’Israele” è stato sottoposto: a scuola, nel lavoro, addirittura ghettizzati nelle città di Rehovot, Kiryat Malachi, Beer Sheva e Haifa. La realtà è allucinante se si pensa che 50 mila su 130 mila falasha oggi vivono di assistenza sociale, in gravi condizioni d’indigenza. Come se non bastasse, sono molti i casi di proprietari di immobili che si rifiutano di affittare a questi ebrei dalla pelle nera perché considerati male- ducati troppo rumorosi e poco attenti all’igiene personale e domestica. Uno dei più recenti episodi di esclusione sociale, che ha fatto davvero clamore, riguarda Pnina Tamano-Shata, primo membro della Knesset di origine etiope, a cui è stato rifiutato di donare il sangue in un’autoemoteca del Magen David Adom, la Croce Rossa israeliana. La motivazione ufficiale, stando a quanto riferito dagli stessi infermieri, con una certa altezzosità, alla Tamano-Shata, è che “la signora in questione avrebbe un tipo molto particolare di sangue: ebreo-etiope”. Dunque, vi sarebbe una sorta di rocambolesca incompatibilità con quei pazienti, anch’essi ebrei, che provengono da altre aree geografiche. Naturalmente, le proteste dei falasha non si sono lasciate attendere e molti parlamentari della Knesset hanno espresso solidarietà nei confronti della deputata, scioccati dalle menzogne messe in giro da una propaganda segregazionista studiata a tavolino. Tutto sarebbe da attribuire ad un quanto mai controverso regolamento del ministero della Salute secondo cui sono tassativamente proibite donazioni di sangue da persone a presunto rischio di virus Hiv. Oltre agli israeliani residenti in Inghilterra, Irlanda o Portogallo per lunghi periodi durante l’epidemia della Mucca Pazza, chiunque sia appena rientrato da viaggi nell’Africa centrale, nel sud-est asiatico e nei Caraibi e gli omosessuali, vi sarebbero nella lista anche i nativi dell’Africa, dunque i falasha. Secondo il Professor Steven Kaplan, docente di religione comparata e studi sull’Africa presso la Hebrew University di Gerusalemme, “i falasha vivono un atipico status di rifugiati nel proprio Paese, come in un limbo”. Comunque, la questione dei falasha non fa onore allo Stato ebraico, soprattutto se si considera che ha messo fine, lo scorso 28 agosto, all’ultima campagna di rimpatrio degli ebrei d’Etiopia avviata nel 2010. Un provvedimento da cui si evince l’inasprimento della politica israeliana sull’immigrazione. Per quarant’anni, grazie soprattutto alle generose donazioni delle comunità ebraiche statunitensi, i campi di transito raggruppati nella città di Gondar, nell’Etiopia Settentrionale, hanno rappresentato il canale di accesso per tornare alla terra dei Patriarchi. Si chiude dunque un’epoca, quella della migrazione di massa dei falasha. L’ufficio del primo ministro ha fatto sapere che altre possibili candidature saranno esaminate, da ora in poi, caso per caso e che “il ricongiungimento delle famiglie e le specifiche questioni umanitarie” saranno valutate in sede di commissione. Il governo di Tel aviv vorrebbe così riorientare le proprie risorse finanziarie per migliorare le condizioni di vita dei falasha che già si trovano in Israele. Una spiegazione poco convincente che nasconde la discriminazione razziale di alcune frange della società israeliana, nei confronti di uomini e donne, figli di un Dio minore. Anno XV, n. 2 - Febbraio 2014 mensile della comunità Ecclesiale N. di registrazione 276 del 7.2.2000 presso il Tribunale di Frosinone. DIRETTORE RESPONSABILE: Domenico Pompili DIRETTORE: Raffaele Tarice IN REDAZIONE: Claudia Fantini Per inviare articoli: Claudia Fantini Via Sanità, 22 03011 Alatri - Tel. 348.3002082 e-mail: [email protected] RESPONSABILE DISTRIBUZIONE Bruno Calicchia AMMINISTRATORE Giovanni Straccamore HANNO COLLABORATO: Giulio Albanese, Elio Ambrosetti Augusto Cinelli, Carlo Costantini, Maria Grazia Costantini, Roberto Martufi, Giorgio Alessandro Pacetti, Sabrina Quatrana EDITORE Diocesi di Anagni-Alatri FOTOCOMPOSIZIONE E STAMPA Tipografia Editrice Frusinate srl Frosinone ANNO XV N. 2 FEBBRAIO 2014 Spedizione in a.p. art. 2 comma 20c legge 662/96 filiale Frosinone - Spedito il 22 Gennaio 2014 - www.diocesianagnialatri.it a l l ’ii n t e r n o . . . FOTO NOTIZIA Fraternità, fondamento e via per la pace Pag. 3 Speciale Verso un mondo migliore Pagg. 6-7 Progetto Policoro ad Assisi Pag. 8 M ettere mano ai confino delle parrocchie di una grande parte della Diocesi può essere vista come una scelta azzardata. Di fronte alla riduzione del numero dei presbiteri e alla necessità di dare al Comune di Alatri, in particolare nel centro storico, un servizio pastorale più organizzato e organico, si è sentita l’esigenza di mettere mano ai confini delle parrocchie. In questa ottica il Vescovo S. Ecc. Mons. Lorenzo Loppa ha reso ufficiale, durante la celebrazione in onore di San Sisto I papa e martire, il nuovo assetto pastorale della città di Alatri. Parrocchie che fino ad ora si erano estese fino alle periferie più estreme si ridimensionano lasciando parte del territorio a comunità che geograficamente risultano più vicine e più conformi alla mentalità delle persone. Il nuovo assetto pastorale, che interessa la città di Ala- PRIMO PIANO NUOVO ASSETTO PASTORALE Mons. Loppa ridisegna le parrocchie di Alatri tri, non andrà sicuramente ad invadere il campo di qualcuno o a stravolgere e sconvolgere le varie strutture ma, nella misura in cui è stato pensato, andrà a favorire e garantire l’intervento sulla popolazione da parte delle comunità parrocchiali. Il ridimensionamento prevederà la formazione di quattro zone pastorali: il centro di Alatri, la zona che interessa la comunità della Santa Famiglia, la zona che coinvolgerà la parrocchia Santa Maria della Mercede in località La Fiura e la zona che comprende la parrocchia Immacolata Concezio- ne in località Collelavena. Questa divisione in zone permetterà di ridefinire i confini parrocchiali e garantirà un lavoro di insieme su alcune tematiche particolari atte a formare: un consiglio pastorale interparrocchiale, così da pensare in sintonia il lavoro da compiere; una pastorale famigliare, una pastorale giovanile, una caritas comune, pensate e organizzate dal comune accordo delle varie zone. Elemento di insieme sarà ancora la formazione degli animatori, comune per tutti e, per garantire un servizio liturgico funzionale, una riorganiz- zazione delle messe. Questo non sta a dire che quanto fatto fino ad ora sia stato poco utile o poco fruttuoso ma sta a significare che, dati i tempi in cui viviamo, un lavoro di insieme risulta più proficuo e riesce a diventare più a misura di uomo. Sicuramente questo lavoro porterà i suoi frutti anche se all’inizio potrà incontrare le sue naturali difficoltà, entrare in una nuova dinamica richiede sempre il suo tempo, ma dalla collaborazione e dalla disponibilità di tutti si riuscirà a dare un nuovo volto alla città di Alatri. Roberto MARTUFI 100 NOTIZIE 2 “Educatori nella fede, capolavori di speranza” N elle comunità parrocchiali sono in corso itinerari di iniziazione cristiana i cui destinatari sono bambini, preadolescenti e adolescenti, di età compresa tra i 7 e i 14 anni, che si preparano a ricevere il Sacramento dell’Eucaristia e il Sacramento della Confermazione. Il Vescovo Lorenzo ha più volte manifestato ai parroci l’esigenza di programmare un percorso di formazione specifica dei catechisti che “è straordinariamente importante e merita un’attenzione più decisa e puntuale”. Per questo l’Ufficio Catechistico Diocesano propone un percorso formativo per catechisti di base e animatori della catechesi, dal titolo “Educatori nella fede, capolavori di speranza” e che si volgerà presso il Centro Pastorale di Fiuggi il 15 e 16 marzo 2014. Questo itinerario vuole essere un piccolo passo nella direzione indicata dal Vescovo e si propone di aiutare i catechisti a riscoprire la motivazione del proprio servizio nella Chiesa e, in particolare, nella comunità locale di appartenenza, e favorire una maggiore conoscenza reciproca attraverso il dialogo e il confronto in vista di una prassi catechistica condivisa a livello diocesano. Una condizione favorevole è costituita dalla presenza di catechisti che mostrano una forte motivazione nel percorrere un itinerario per il raggiungimento della situazione desiderata. La sfida è passare da catechisti isolati e affannati per la ricerca di sussidi e metodologie, ad un’équipe di catechisti che vivano un’esperienza personale di riscoperta della propria fede e di una comunione fra loro e con la Chiesa locale. L ’AA G E N D A Domenica 2 febbraio Anagni, Cattedrale, ore 17.00 FESTA DELLA VITA RELIGIOSA Celebrazione Eucaristica presieduta dal Vescovo FEBBRAIO Giovedì 20 febbraio Anagni, Seminario Vescovile, ore 9.00 TERZO GIOVEDI’ DEL CLERO Con Don Salvatore Soreca, aiutante di studio dell’U.C.N. 100 NOTIZIE Febbraio 2014 PIGLIO: Cinquanta anni di professione di padre Angelo Di Giorgio O.F.M. F esta grande nel convento di San Lorenzo per padre Angelo di Giorgio, Rettore del Convento, che ha festeggiato i cinquanta anni di professione con i bambini della scuola materna “Giuseppe ed Elvira Corbi” dell’Istituto Comprensivo “Ottaviano Bottini” di Piglio, che hanno fatto visita ai due presepi presenti nel complesso francescano: uno nella chiesa di San Lorenzo e l’altro quello storico, realizzato negli anni ’50 dal Servo di Dio padre Quirico Pignalberi in un locale del convento. Un “ad majora” a Padre Angelo da parte della comunità francescana di San Lorenzo e della Redazione. Giorgio Alessandro Pacetti Anno XV Numero 2 A LA CATTEDRA ll’inizio di ogni anno un trittico di celebrazioni liturgiche si incarica di rendere più grata e solida la nostra fede in un non facile e tranquillo cammino di vita. Mi riferisco alle solennità di Maria SS. Madre di Dio (1 gennaio) e dell’Epifania (6 gennaio), come alla festa del Battesimo del Signore (quest’anno il 12 gennaio). Sono quasi tre squilli di tromba che ci accolgono nel nuovo anno e ci regalano un cuore e uno sguardo da figli, pronti a misurare e valutare il tempo con la sapienza che viene dall’alto e, soprattutto, a nutrire i giorni che ci vengono donati con scelte e comportamenti evangelici. La gioia di una salvezza offerta a tutti, uno sguardo luminoso per riconoscere continuamente una Presenza nella vita di tutti i giorni e nelle persone meno fortunate, la certezza di condividere con tutti la vocazione e il cammino verso lo stesso adempimento che è il Regno di Dio, sono alcuni importanti elementi che possono e devono preparare un’umanità più filiale e fraterna. Soprattutto è importante la coscienza di far parte di un’unica stessa famiglia … “In questo mio primo Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace, desidero rivolgere a tutti, singoli e popoli, l’augurio di un’esistenza colma di gioia e di speranza. Nel cuore di ogni uomo e di ogni donna alberga, infatti, il desiderio di una vita piena, alla quale appartiene un anelito insopprimibile alla fraternità, che sospinge verso la comunione con gli altri, nei quali DEL VESCOVO 47a Giornata Mondiale della Pace FRATERNITÀ, FONDAMENTO E VIA PER LA PACE 1 gennaio 2014 troviamo non nemici o concorrenti, ma fratelli da accogliere ed abbracciare.” Sono le prime parole del Messaggio di Papa Francesco per la 47^ Giornata mondiale della pace. Da quasi cinquant’anni il Messaggio pontificio per il della Liturgia della Chiesa) con cui entriamo nel nuovo fascio di giorni che ci vengono donati. Quest’anno il Messaggio del S. Padre è particolarmente significativo: nel cuore di ogni essere umano c’è il sogno alimentato Primo gennaio assume un rilievo di primissimo piano nella dote di luci, nel bagaglio di suggestioni ed indicazioni (come quelle dalla speranza di una vita piena nella comunione senza ombre con gli altri; a sostegno e come anima di questo sogno c’è l’ane- 3 lito insopprimibile alla fraternità che ci mette in relazione con gli altri come fratelli da accogliere e amare; alla radice di questa fraternità c’è la paternità di Dio: “Non si tratta di una paternità generica, indistinta e storicamente inefficace, bensì dell’amore personale, puntuale e straordinariamente concreto di Dio per ciascun uomo (cfr Mt 6,25-30)” (n. 3). Tale fraternità umana è stata ed è continuamente rigenerata in e da Gesù Cristo con la sua Pasqua di morte e di risurrezione. Gesù riprende dal principio il progetto del Padre, ristabilisce l’Alleanza tra Dio e l’umanità, abbatte ogni muro di separazione e di inimicizia tra gli uomini (cfr Ef 2,14-16). Si pone come sorgente e principio di comunione con Lui e tra di noi, offrendoci la forza straordinaria della Sua Pasqua che non cura solo le nostre ferite, ma ci fa partecipi della vita trinitaria, figli nel Figlio attraverso il dono dello Spirito. “Chi accetta la vita di Cristo e vive in Lui, riconosce Dio come Padre … e vede in Dio il Padre di tutti … In Cristo, l’altro è accolto e amato come figlio o figlia di Dio, come fratello o sorella, non come un estraneo, tantomeno come un antagonista o addirittura un nemico”: così puntualizza Papa Francesco sempre al n. 3 e poi continua: “Nella famiglia di Dio, dove tutti sono figli di uno stesso Padre, e perché innestati in Cristo, figli nel Figlio, non vi sono «vite di scarto». Tutti godono di un’eguale e intangibile dignità”. È una delle affermazioni più forcontinua a pag. 4 4 LA CATTEDRA DEL VESCOVO Febbraio 2014 continua da pag. 3 ti e centrali del Messaggio, è come l’architrave di tutto ciò che il S. Padre propone. Di conseguenza abbiamo chiari e inequivocabili il punto di partenza e la strada per arrivare alla pace. La globalizzazione – come ci ricorda Benedetto XVI in “Caritas in veritate” (n. 13) – ci rende vicini, ma drammatica del suo tradimento. La coscienza di essere figli nel Figlio, figli dello stesso Padre per il dono dello Spirito, ci porta a invertire la scelta di Caino, ad amare gli altri non solo come esseri umani titolari di diritti, ma anche come viva immagine di Dio Padre redenta dalla Pasqua di Gesù Cristo. Al- more donato da Dio che ci consente di accogliere e vivere pienamente la fraternità” (n. 10). E’ inutile quasi aggiungere che ogni discorso, ogni progetto, ogni ideale che ci proponiamo deve essere vissuto “a corto raggio”, nella normalità della vita quotidiana, all’interno del tempo del nostro orolo- re in questo primo scorcio del 2014: ritrovare il volto degli altri come quello di fratelli o sorelle, figli di uno stesso Padre, figli nel Figlio. È il modo più bello anche di rendere grazie per la vita, per la fede, per l’affetto di cui siamo fatti segno, per le cose da niente, per quello che ci fa soffrire, per ciò che ci non ci rende fratelli. Alla grave lesione dei diritti umani fondamentali, alle tante guerre fatte di scontri armati e di mezzi non meno distruttivi per persone, famiglie e imprese, bisogna aggiungere molte situazioni di povertà e ingiustizia che denotano l’assenza di una cultura della solidarietà che alimenta la mentalità dello “scarto” e induce al disprezzo e all’abbandono dei più deboli … Il racconto di Caino e Abele (cfr Gen 4,1-16), commentato da Papa Francesco al n. 2, insegna che l’umanità porta inscritta in sé una vocazione alla fraternità, ma anche la possibilità lora la coscienza filiale e fraterna conferisce al nostro sguardo sul mondo un nuovo criterio per interpretarlo e trasformarlo. La fraternità è premessa per sconfiggere la povertà (cfr. n. 5), per uscire dalla crisi finanziaria ed economica (cfr. n. 6), per superare i conflitti (cfr. n. 7), per sconfiggere la corruzione e il crimine (cfr. n. 8), per custodire e coltivare la natura, amministrandola responsabilmente e mettendola a servizio dei fratelli, comprese le generazioni future (cfr. n. 9). “La fraternità ha bisogno di essere scoperta, amata, sperimentata, annunciata e testimoniata. Ma è solo l’a- gio. A conforto di ciò vada un’affermazione chiara e decisa di Papa Francesco nelle battute finali dell’esortazione apostolica “Evangelii Gaudium”. Il Pontefice, parlando dello stile mariano dell’evangelizzazione e della forza rivoluzionaria della tenerezza e dell’affetto, guardando a Maria come modello esemplare, così si esprime: “In lei vediamo che l’umiltà e la tenerezza non sono virtù dei deboli ma dei forti, che non hanno bisogno di maltrattare gli altri per sentirsi importanti” (n. 288). La “grande” pace è frutto di tante piccole scelte quotidiane. È un impegno da prende- consola, per tutto ciò che – nonostante le ombre – rende bella la nostra vicenda di cristiani e di uomini. “Dona a chi ami ali per volare, radici per ritornare, motivi per rimanere”: è una frase attribuita al Dalai Lama che mi ha molto colpito. Può essere applicata all’amicizia. Mi piace attribuirla a Dio e al suo amore per noi. Mi piace soprattutto riferirla al nostro servizio agli altri, qualunque sia il nostro ruolo e la nostra responsabilità: “Il servizio è l’anima di quella fraternità che edifica la pace” (n. 10). + Lorenzo Loppa Anno XV Numero 2 VITA DI COMUNITA , 5 L’articolo di Avvenire del 9 gennaio 2014 L’abbraccio a don De Sanctis: i 95 anni dove li hai nascosti? Da sessantacinque anni nella chiesa di Santa Maria Assunta di Augusto CINELLI «N ovantacinque anni? E dove li ha nascosti?». Tra lo stupore e l’ammirazione, si è rivolto proprio così il 9 gennaio papa Francesco a monsignor Alessandro De Sanctis, sacerdote con il più longevo servizio pastorale svolto nella stessa parrocchia in Italia, dal momento che ha speso i suoi ben 72 anni da prete tutti nella comunità di Santa Maria Assunta di Filettino, il comune più alto del Lazio, diocesi di Anagni-Alatri e provincia di Frosinone. Bergoglio ha incontrato l’anziano sacerdote, accompagnato da alcuni collaboratori della parrocchia, al termine dell’udienza generale in piazza San Pietro e, cono- sciuta la bella età di don Alessandro, 95 anni compiuti lo scorso 26 dicembre, si è lasciato andare alla battuta sopra riportata, vista l’invidiabile forma fisica del sacerdote. Il quale ha brevemente parlato del suo lungo ministero al Papa argentino, invitandolo a far visita al piccolo paese tra i monti Simbruini in cui dice Messa da una vita. «Speriamo un giorno», ha sussurrato il Pontefice, aggiungendo: «Santo uomo, preghi per me!». Per monsignor De Sanctis è stata un’emozione particolare. «Un incontro bellissimo - racconta - sono davvero grato al Signore per il lunghissimo tempo al suo servizio come sacerdote e per avermi donato la gioia di conoscere ben sette Pontefici». Un record anche questo, molto probabilmente, per il parroco di Filettino, il cui arco di vita per la precisione è coinciso con otto pontificati, visto che quando nasceva, nel 1918, sul soglio di Pietro c’era Benedetto XV. «Ovviamente non lo ricordo - puntualizza don Alessandro - mentre da Pio XI a Francesco ho avuto la grazia di vederli tutti. Ricordo soprattutto la carezza che mi diede Pio XI, quando ricevette nel 1931 noi alunni del Seminario minore di Anagni». Prima di ieri, l’ultimo incontro con un Papa era stato quello a Castel Gandolfo con Benedetto XVI, il 23 settembre 2012, nell’anno in cui il prete di Filettino festeggiava il 70° di sacerdozio. Ad ogni anniversario di ordinazione tut- ta la comunità cristiana e civile del comune del Frusinate si stringe intorno al suo storico parroco per una festa speciale. Ogni volta è un riannodare il filo della memoria fino a quel 12 luglio 1942, quando don Alessandro veniva ordinato presbitero nella chiesa parrocchiale di Vallepietra, suo paese di origine, dall’allora vescovo di Anagni Attilio Adinolfi. Fu subito mandato come vice parroco a Filettino, dove da ragazzo aveva finito la scuola elementare. Il 27 marzo 1949 divenne parroco di Santa Maria Assunta, dove ancora oggi, a 65 anni di distanza, continua a celebrare messe, amministrare sacramenti e promuovere attività, senza alcun coadiutore. Trivigliano, 15 Dicembre 2013 LA COMUNITÀ INAUGURA I LAVORI DI RISTRUTTURAZIONE NELLA CHIESA DI SANT’ANNA ALLA PRESENZA DEL VESCOVO L’ esultanza è stata la nota della terza domenica di Avvento, chiamata “Gaudete”, sia per il Natale del Signore, ormai vicino, sia per la presenza del nostro amato Vescovo Lorenzo, accorso per festeggiare con noi e con il nostro Parroco Don Francesco Guagliani, la nuova disposizione del Tabernacolo, all’interno di questa chiesa a cui la comunità è molto legata. Alcuni giovani del paese si sono adoperati per dare una nuova visione del Santissimo, inserendolo in un bassorilievo che mette in risalto la semplicità della struttura stessa, la statua di S. Anna, che prima era soltanto appoggiata ad un lato dell’altare, è stata collocata in una nicchia; una grande croce in legno, donata dal coro della parrocchia, è stata sospesa sull’altare. In questa splendida cornice e di fronte a un’assemblea colma di emozione, il Vescovo, sulle parole di San Giacomo, ha esortato i partecipanti ad operare con pazienza, sincerità e costanza fino alla venuta del Signore, intendendo non solo la parusia, la venuta finale, ma il Signore che irrompe, che viene nella nostra vita e ha pregato dunque affinché anche noi, come Giovanni Battista, possiamo renderci umili messaggeri della sua venuta e possiamo preparare la “sua via” con fede sincera sulle strade che percorriamo quotidianamente. Gesù crea una nuova umanità. È una palingenesi, un rinnovamento, una nuova creazione, ma è necessario accoglierlo con animo povero e ben disposto. E quale momento migliore per farlo di quello che stiamo vivendo. “Se ci diamo la mano i miracoli accadranno e il giorno di Natale durerà tutto l’anno”. Giovanni Rodari. Al termine della Messa molte famiglie, insieme a don Francesco, hanno condiviso il pranzo e momenti ricreativi, facendo esperienza della “Domenica insieme”, come su invito del Vescovo, nella Lettera Pastorale, di vivere la Domenica come giorno del Signore, giorno della Chiesa e giorno dell’uomo. Sabrina Quatrana i t n a r g i M e Special Il messaggio di Papa Francesco Verso un mondo migliore La 100esima Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato È passato un secolo da quando, nel 1914, allo scoppio della Prima Guerra mondiale, commosso dalla drammatica situazione di migliaia di rifugiati e profughi e di persone e famiglie espulse dai Paesi europei tra loro belligeranti, Benedetto XV scrisse a tutti i Vescovi italiani invitandoli a celebrare in ogni parrocchia una Giornata di preghiera e di solidarietà per i migranti. Da allora, ogni anno, in Italia prima e poi in tutto il mondo, questa Giornata è diventata una tappa fondamentale del Magistero della Chiesa sulle migrazioni. Quest’anno, Papa Francesco ci invita a leggere le migrazioni come una risorsa per costruire un mondo migliore. Di fronte alla paura e ai pregiudizi, alle crescenti discriminazioni nei confronti dei migranti, allo sfruttamento che scade in una rinnovata tratta degli schiavi, Papa Francesco invita anzitutto le nostre comunità cristiane a costruire un alfabeto e uno stile di vita diverso, che aiuti a passare nelle nostre città “da una cultura dello scarto a una cultura dell’incontro”. Lo sviluppo integrale della persona e dei popoli chiede di impegnarsi oggi, anche in Italia, in due direzioni. Anzitutto rafforzare e non indebolire – come sta avvenendo nel nostro Paese e in Europa – le risorse della cooperazione internazionale, che aiutano persone e famiglie a non lasciare il proprio Paese. Inoltre, superare situazioni vergognose in cui vengono accolti o vivono i migranti anche in Italia. Cari fratelli e sorelle! Le nostre società stanno sperimentando, come mai è avvenuto prima nella storia, processi di mutua interdipendenza e interazione a livello globale, che, se comprendono anche elementi problematici o negativi, hanno l’obiettivo di migliorare le condizioni di vita della famiglia umana, non solo negli aspetti economici, ma anche in quelli politici e culturali. Ogni persona, del resto, appartiene all’umanità e condivide la speranza di un futuro migliore con l’intera famiglia dei popoli. Da questa constatazione nasce il tema che ho scelto per la Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato di quest’anno: “Migranti e rifugiati: verso un mondo migliore”. Tra i risultati dei mutamenti moderni, il crescente fenomeno della mobilità umana emerge come un “segno dei tempi”; così l’ha definito il Papa Benedetto XVI (cfr Messaggio per la Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato 2006). Se da una parte, infatti, le migrazioni denunciano spesso carenze e lacune degli Stati e della Comunità internazionale, dall’altra rivelano anche l’aspirazione dell’umanità a vivere l’unità nel rispetto delle differenze, l’accoglienza e l’ospitalità che permettano l’equa condivisione dei beni della terra, la tutela e la promozione della dignità e della centralità di ogni essere umano. Dal punto di vista cristiano, anche nei fenomeni migratori, come in altre realtà umane, si verifica la tensione tra la bellezza della creazione, segnata dalla Grazia e dalla Redenzione, e il mistero del peccato. Alla solidarietà e all’accoglienza, ai gesti fraterni e di comprensione, si contrappongono il rifiuto, la discriminazione, i traffici dello sfruttamento, del dolore e della morte. A destare preoccupazione sono soprattutto le situazioni in cui la migrazione non è solo forzata, ma addirittura realizzata attraverso varie modalità di tratta delle persone e di riduzione in schiavitù. Il “lavoro schiavo” oggi è moneta corrente! Tuttavia, nonostante i problemi, i rischi e le difficoltà da affrontare, ciò che anima tanti migranti e rifugiati è il binomio fiducia e speranza; essi portano nel cuore il desiderio di un futuro migliore non solo per se stessi, ma anche per le proprie famiglie e per le persone care. Che cosa comporta la creazione di un “mondo migliore”? Questa espressione non allude ingenuamente a concezioni astratte o a realtà irraggiungibili, ma orienta piuttosto alla ricerca di uno sviluppo autentico e integrale, a operare perché vi siano condizioni di vita dignitose per tutti, perché trovino giuste risposte le esigenze delle persone e delle famiglie, perché sia rispettata, custodita e coltivata la creazione che Dio ci ha donato. Il Venerabile Paolo VI descriveva con queste parole le aspirazioni degli uomini di oggi: «essere affrancati dalla miseria, garantire in maniera più sicura la propria sussistenza, la salute, un’occupazione stabile; una partecipazione più piena alle responsabilità, al di fuori da ogni oppressione, al riparo da situazioni che offendono la dignità umana; godere di una maggiore istruzione; in una parola, fare conoscere e avere di più, per essere di più» (Lett. enc. Populorum progressio, 26 marzo 1967, 6). Il nostro cuore desidera un “di più” che non è semplicemente un conoscere di più o un avere di più, ma è soprattutto un essere di più. Non si può ridurre lo sviluppo alla mera crescita economica, conseguita, spesso, senza guardare alle persone più deboli e indifese. Il mondo può migliorare soltanto se l’attenzione primaria è rivolta alla persona, se la promozione della persona è integrale, in tutte le sue dimensioni, inclusa quella spirituale; se non viene trascurato nessuno, compresi i poveri, i malati, i carcerati, i bisognosi, i forestieri (cfr Mt 25,31-46); se si è capaci di passare da una cultura dello scarto ad una cultura dell’incontro e dell’accoglienza. Migranti e rifugiati non sono pedine sullo scacchiere dell’umanità. Si tratta di bambini, donne e uomini che abbandonano o sono costretti ad abbandonare le loro case per varie ragioni, che condividono lo stesso desiderio legittimo di conoscere, di avere, ma soprattutto di essere di più. È impressionante il numero di persone che migra da un continente all’altro, così come di coloro che si spostano all’interno dei propri Paesi e delle proprie aree geografiche. I flussi migratori contemporanei costituiscono il più vasto movimento di persone, se non di popoli, di tutti i tempi. In cammino con migranti e rifugiati, la Chiesa si impegna a comprendere le cause che sono alle origini delle migrazioni, ma anche a lavorare per superare gli effetti negativi e a valorizzare le ricadute positive sulle comunità di origine, di transito e di destinazione dei movimenti migratori. ... La realtà delle migrazioni, con le dimensioni che assume nella nostra epoca della globalizzazione, chiede di essere affrontata e gestita in modo nuovo, equo ed efficace, che esige anzitutto una cooperazione internazionale e uno spirito di profonda solidarietà e compassione. È importante la collaborazione ai vari livelli, con l’adozione corale degli strumenti normativi che tutelino e promuovano la persona umana. ... È importante poi sottolineare come questa collaborazione inizi già con lo sforzo che ogni Paese dovrebbe fare per creare migliori condizioni economiche e sociali in patria, di modo che l’emigrazione non sia l’unica opzione per chi cerca pace, giustizia, sicurezza e pieno rispetto della dignità umana. Creare opportunità di lavoro nelle economie locali, eviterà inoltre la separazione delle famiglie e garantirà condizioni di stabilità e di serenità ai singoli e alle collettività. Infine, guardando alla realtà dei migranti e rifugiati, vi è un terzo elemento che vorrei evidenziare nel cammino di costruzione di un mondo migliore, ed è quello del superamento di pregiudizi e precomprensioni nel considerare le migrazioni. Non di rado, infatti, l’arrivo di migranti, profughi, richiedenti asilo e rifugiati suscita nelle popolazioni locali sospetti e ostilità. Nasce la paura che si producano sconvolgimenti nella sicurezza sociale, che si corra il rischio di perdere identità e cultura, che si alimenti la concorrenza sul mercato del lavoro o, addirittura, che si introducano nuovi fattori di criminalità. I mezzi di comunicazione sociale, in questo campo, hanno un ruolo di grande responsabilità: tocca a loro, infatti, smascherare stereotipi e offrire corrette informazioni, dove capiterà di denunciare l’errore di alcuni, ma anche di descrivere l’onestà, la rettitudine e la grandezza d’animo dei più. In questo, è necessario un cambio di atteggiamento verso i migranti e rifugiati da parte di tutti; il passaggio da un atteggiamento di difesa e di paura, di disinteresse o di emarginazione - che, alla fine, corrisponde proprio alla “cultura dello scarto” - ad un atteggiamento che abbia alla base la “cultura dell’incontro”, l’unica capace di costruire un mondo più giusto e fraterno, un mondo migliore. ... La Chiesa, rispondendo al mandato di Cristo “Andate e fate discepoli tutti i popoli”, è chiamata ad essere il Popolo di Dio che abbraccia tutti i popoli, e porta a tutti i popoli l’annuncio del Vangelo, poiché nel volto di ogni persona è impresso il volto di Cristo! Qui si trova la radice più profonda della dignità dell’essere umano, da rispettare e tutelare sempre. Non sono tanto i criteri di efficienza, di produttività, di ceto sociale, di appartenenza etnica o religiosa quelli che fondano la dignità della persona, ma l’essere creati a immagine e somiglianza di Dio (cfr Gen 1,26-27) e, ancora di più, l’essere figli di Dio; ogni essere umano è figlio di Dio! In lui è impressa l’immagine di Cristo! Si tratta, allora, di vedere noi per primi e di aiutare gli altri a vedere nel migrante e nel rifugiato non solo un problema da affrontare, ma un fratello e una sorella da accogliere, rispettare e amare, un’occasione che la Provvidenza ci offre per contribuire alla costruzione di una società più giusta, una democrazia più compiuta, un Paese più solidale, un mondo più fraterno e una comunità cristiana più aperta, secondo il Vangelo. Le migrazioni possono far nascere possibilità di nuova evangelizzazione, aprire spazi alla crescita di una nuova umanità, preannunciata nel mistero pasquale: una umanità per cui ogni terra straniera è patria e ogni patria è terra straniera. Cari migranti e rifugiati! Non perdete la speranza che anche a voi sia riservato un futuro più sicuro, che sui vostri sentieri possiate incontrare una mano tesa, che vi sia dato di sperimentare la solidarietà fraterna e il calore dell’amicizia! A tutti voi e a coloro che dedicano la loro vita e le loro energie al vostro fianco assicuro la mia preghiera e imparto di cuore la Benedizione Apostolica. Dal Vaticano, 5 agosto 2013 FRANCESCO 8 VITA DI COMUNITA , Febbraio 2014 28° Corso di Formazione Nazionale Progetto Policoro ad Assisi Affrontiamo insieme la disoccupazione giovanile S i è appena concluso il 28° corso nazionale del progetto Policoro ad Assisi; molte sono oggi le regioni coinvolte che comprendono 161 animatori di comunità rappresentanti le diverse diocesi d’Italia. Voi vi domanderete: cos’è il Progetto Policoro? La chiesa, di fronte alla grave crisi del lavoro in particolare giovanile, vuole farsi vicina ai giovani, donando il segno di speranza testimoniato dal vangelo e reso concreto nella persona di Cristo che vuole entrare a far parte della vita di ognuno di noi. Il progetto dona lavoro ai giovani? No, non è esattamente così. Purtroppo conosciamo tutti la grande crisi economica che stiamo vivendo e, in questo periodo, avere delle sicurezze lavorative sembra quasi un sogno. Noi, animatori di comunità del progetto Policoro, cerchiamo di dare speranza e di sconfiggere il senso di scoraggiamento. Ogni persona ha dei talenti che non può tenere nascosti ma che deve far fruttare. Ogni giovane ha il diritto e dovere di scoprire i propri talenti e le proprie capacità. Nei giovani cerchiamo di sviluppare la volontà di mettersi in gioco, anche e soprattutto insieme ad altri, perché è proprio la sinergia di persone diverse che fa crescere e realizzare cose che da soli non potremmo fare. Nel concreto cosa facciamo? Cerchiamo di offrire alla comunità diocesana un’opportunità per affrontare il problema della disoccupazione giovanile in una prospettiva di evangelizzazione e di promozione umana, stimolando le varie pastorali e le aggregazioni laicali a lavorare “a rete” in un’ottica di sinergia e di collaborazione reciproca; aiutare le Chiese locali ad interagire con rapporti di reciprocità, in spirito di solidarietà e di vicendevole integrazione, diffondendo una nuova cultura del lavoro basata sull’autoimprenditorialità e sulla cooperazione, uno studio approfondito del territorio per evidenziarne i punti di forza e di debolezza, animazione territoriale nelle scuole, nelle parrocchie e in diocesi, accompagnamento dei giovani all’orientamento, alla formulazione de CV, alla ricerca attiva del lavoro, alla realizzazione di gesti concreti… insomma, diffondiamo la cultura d’impresa e l’idea che il lavoro non è solo un mezzo per “fare soldi”, ma un luogo di edificazione personale e sociale attraverso il quale continuiamo la creazione che Dio ha iniziato e ci ha poi affidato! Dobbiamo aiutare i nostri giovani a credere e lottare per questo paese; probabilmente il particolare momento storico ci invita ad andare via dalla nostra terra, dall’Italia ma se non siamo noi giovani a lottare per questo paese chi lo farà al nostro posto? Che futuro lasciamo ai nostri figli? A volte sembra che tutto ciò che facciamo non serva a niente ma in realtà non è così, ogni seme seminato bene alla fine porta frutto. Mi piace concludere con la frase di Don Mario Operti, direttore della pastorale sociale e del lavoro, che insieme alla pastorale giovanile e la Caritas ha dato animo alla realizzazione di questo progetto, “non esistono formule magiche per creare lavoro ma occorre investire nel cuore e nelle menti delle persone. Oggi, dal 1995, il progetto Policoro (Policoro deriva dalla città di Policoro in provincia di Matera) continua ad esistere, grazie alle molte imprese sorte che hanno dato lavoro a molti, molti giovani, consentendo loro una realizzazione professionale e personale. Anno XV Numero 2 VITA DI COMUNITA , 9 Giornata Nazionale della Colletta Alimentare La carità non deve mai finire 135.000 volontari e 9.000 tonnellate di cibo di Elio AMBROSETTI C hiedete e vi sarà dato. Bussate e vi sarà aperto. È proprio vero! Quando ci si affida a queste parole succede sempre qualcosa! È accaduto sabato 30 novembre: 17° giornata nazionale della Colletta Alimentare 2013, indetta annualmente su iniziativa del Banco Alimentare quale diretta emanazione del movimento ecclesiale Comunione e Liberazione. Questo gesto vuole richiamarci a rispettare e tutelare la povertà e a sentire come valore primario la necessità di andare incontro ai bisogni degli altri. “Il consumismo ci ha indotti ad abituarci allo spreco quotidiano di cibo, al quale talvolta non siamo più in grado di dare il giusto valore… Quando il cibo viene condiviso in modo equo, con solidarietà, nessuno è privo del necessario, ogni comunità può andare incontro ai bisogni dei più poveri” (Papa Francesco, Udienza Generale del 5 giugno 2013). Questo appello è stato raccolto e la sfida si può dire vinta. Le cifre sono impressionanti: in Italia oltre 135.000 volontari hanno raccolto nella giornata circa 9.000 tonnellate di cibo che verranno distribuite alle oltre 8.800 strutture caritative, convenzionate con la Rete Banco Alimentare, che assistono ogni giorno oltre 1.800.000 poveri. Nella sola nostra città di Anagni l’iniziativa ha interessato 7 strutture commerciali nelle quali sono state raccolte quasi 5 tonnellate di cibo successivamente distribuito sia alla Caritas interpar- rocchiale di Anagni, sia ad altre cinque strutture caritative indicate dal Banco Alimentare stesso. Queste le cifre e le considerazioni generali! La parte più interessante è, come sempre, il vissuto della giornata. Ad Anagni, a dar man forte agli impegnati di Comunione e Liberazione, hanno contribuito, di comune accordo, oltre 100 “volontari” di altre realtà ecclesiali della città (Azione Cattolica, Cammino Neocatecumenale, Movimento dei Focolari, ecc.). Sì, si può dire che tutta la Chiesa Anagnina ha profuso in questa operazione entusiasmo e generosità. Un solo corpo con molte membra, ciascuna con le sue peculiarità; unità nella diversità: è la Chiesa di Cristo. E nella Chiesa di Cristo qualcosa succede sempre! La generosità, infatti, è stata ampiamente ricambiata dalla popolazione che, nonostante la crisi economica e le difficoltà quotidiane di tante famiglie, ha voluto dimostrare ancora una volta che è possibile fare e dare sempre qualcosa per chi è ancora di più nel bisogno. E dagli adulti e ragazzi che hanno partecipato si è potuto raccogliere testimonianze, a volte anche toccanti, di quanto sopra riferito. Sono state vinte tante perplessità, spiegati tanti dubbi e curiosità, constatati tanti ripensamenti su iniziali rifiuti. Siamo convinti che un seme sia stato gettato! Affidiamolo alle cure della Provvidenza. E molto bello è stato il ritrovarsi insieme, nei giorni seguenti, in Chiesa per la celebrazione di una S. Messa quale momento di ringraziamento e di unità. Sarà quindi necessario continuare questa opera prevedendo, nei tempi e modi opportuni, altri richiami alla generosità altrui. Il Calendario 2014 “Alatri in miniatura” è stato realizzato a scopo benefico e il ricavato è stato devoluto ai Banchi Alimentari presenti sul territorio comunale. Patrocinato dal Comune di Alatri, il calendario mostra i plastici realizzati in più di dieci anni di Maurizio Cianfrocca. Essi riproducono i monumenti più importanti e gli scorci più suggestivi di Alatri: dalla chiesa di San Silvestro a quella della Maddalena, dalla Porta Maggiore a Porta Portati e porta san Benedetto e tanti altri fino ad arrivare alla suggestiva Collegiata di Santa Maria Maggiore. Ben 34 associazioni di Alatri si sono date da fare per pubblicizzare e vendere il calendario alla cui realizzazione hanno contribuito dieci fotografi. Febbraio 10 2014 Cult Attualità E U R O P A S RIGA, CAPITALE EUROPEA DELLA CULTURA 18ESIMO PAESE CON EURO apre un 2014 intenso per SpitaleiRiga, la perla del Baltico cadella Lettonia. Da gennaio addio lats, benvenuto euro. Dal 1/1/2014 la Lettonia è il 18esimo paese del Vecchio Continente ad adottare la moneta unica. Stretta tra Lituania ed Estonia, la Lettonia è una repubblica parlamentare da 2,3 milioni di abitanti dell’Europa nord-occidentale. Ma non solo: la città sarà per tutto l’anno anche capitale europea della cultura, insieme alla svedese Umea. Riga, “gemma del Baltico” fondata nel 1201 si è svincolata dall’occupazione russa nel 1990 e siglando l’adesione all’Ue dal primo gennaio 2004. La popolazione è divisa tra la maggioranza lettone (oltre il 59%) e una nutrita minoranza russa. La poltrona del premier è vacante, dopo le dimissioni di novembre di Valdis Dombrovskis. L’avvio ufficiale del programma dei festeggiamenti culturali è stato il 18 gennaio: in commemorazione della storica catena umana che proprio il 18 gennaio 1989 attraversò le tre repubbliche baltiche di Estonia, Lettonia e Lituania per chiedere pacificamente l’indipendenza dall’Urss al collasso, è stata ricostruita un’altra catena umana, questa volta per i libri. Deputati, personaggi pubblici e comuni cittadini si sono passati gli uni con gli altri i volumi dando vita a una ‘catena per la cultura’. CONVEGNO E MOSTRA ALL’ISTITUTO “A.G. BRAGAGLIA” DI FROSINONE SULL’EX CAMPO “LE FRASCHETTE” di Carlo COSTANTINI i è svolto presso l’Istituto di Istruzione Superiore “A.G. Bragaglia” di Frosinone, un Convegno per illustrare le vicende del Campo di concentrazione “Le Fraschette” di Alatri, divenuto, dopo la guerra, Centro Raccolta Profughi. Nell’Aula Magna dell’Istituto, era stata allestita una Mostra Documentaria dal titolo “LE FRASCHETTE - DA CAMPO DI CONCENTRAMENTO A LUOGO DELLA MEMORIA”, realizzata con il contributo della Regione Lazio. La Mostra comprendeva 33 pannelli curati dalla Associazione Nazionale Partigiani Cristiani, dall’Archivio di Stato di Frosinone, da studenti del Liceo “Pietrobono” di Alatri e dall’artista Luigi Centra. Carlo Costantini, Presidente Provinciale di Frosinone dell’Associazione Partigiani Cristiani, nel ripercorrere le tragiche vicende del campo durante la 2a guerra mondiale, ha messo soprattutto in luce l’arrivo e la permanenza al campo di centinaia di slavi, in maggioranza donne, bambini e anziani, familiari dei partigiani jugoslavi, strappati alle loro case; ha illustrato l’efficace intervento in loro favore dei Vescovi di Trieste, Gorizia e Alatri e delle Suore Giuseppine di Veroli, chiamate da mons. Facchini per assistere specialmente le donne e i bambini rinchiusi nel Campo. Nella sua ampia relazione, relativa all’utilizzo dell’ex Campo, trasformato in Centro Raccolta Profughi, Marilinda Figliozzi autrice della seconda parte del Libro sul Campo, ha parlato delle vicende degli italiani cacciati dagli Stati dell’Africa mediterranea, Tunisia ed Egitto, e ospitati nel Campo stesso. Nel corso della manifestazione, cui hanno assistito numerosi insegnanti e alunni dell’Istituto, alcune allieve hanno letto poesie dell’artista Luigi Centra, tratte dal suo libro “I DEPORTATI” sul Campo “Le Fraschette”. È stato inoltre proiettato un documentario curato dal prof. Tiberi. Ha portato il suo saluto il Dirigente Scolastico dell’IIS prof. Fabio Giona; tra gli insegnanti presenti la vicepreside prof.ssa Maria Rosaria Villani e il prof. Mario Ritarossi. D APERTA LA CHIESA DI SAN SILVESTRO opo circa un anno la comunità parrocchiale San Silvestro può nuovamente frequentare l’antica e bellissima chiesa. Sabato 21 dicembre 2013 la chiesa era stracolma di gente: persone accorse anche da fuori città per rivedere il luogo sacro nello splendore che merita. La chiesa è stata interessata da diverse tipologie di interventi; dal tetto, agli esterni, al restauro degli affreschi e soprattutto della meravigliosa cripta, finalmente rivisitabile. Toccanti le parole del parroco don Mariano Morini che ha ripercorso le vicissitudini del luogo sacro. “I primi interventi ci furono nel 1934 - argomenta il sacerdote - poi nel 1945 dopo il bombardamento, ed infine questo intervento che spero sia l’ultimo. Don Mariano facendo intendere di non essere neofita delle argomentazioni trattate ha chiesto al sindaco Giuseppe Morini un intervento sulla strada sovrastante la navata di sinistra. I problemi di infiltrazioni di acqua e di umidità che danneggiano la chiesa sarebbero da addebitare proprio ad infiltrazioni della strada, un problema da risolvere drasticamente in modo tale da non portare grave nocumento alle strutture”. C ultura A rte M usica L etteratura S cienza S port C inema T eatro 11 Anno XV Numero 2 tur@ Attualità S C U O L A C orreva l’anno 1132, Rainolfo, conte di Alife, decise di inviare degli ambasciatori a Roma per ottenere dal Papa Anacleto II le reliquie di qualche santo con lo scopo di liberare la propria città dalla pestilenza. Anacleto concesse l’urna delle reliquie di S. Sisto agli alifani che la caricarono sul dorso di una mula per far ritorno fiduciosi ad Alife. Giunti ad un trivio, probabilmente nei pressi di Fumone, la mula non volle più saperne di proseguire per Alife e si avviò per un sentiero che conduceva ad Alatri. Nessun tentativo riuscì a far cambiare strada alla mula che si fermò nei pressi della chiesa di S. Matteo in località detta il Colubro, dove fu accolta dal Vescovo, dal clero e dal popolo alatrino. La mula proseguì il suo cammino dirigendosi senza esitazione verso l’acropoli e davanti alla cattedrale si inginocchiò aspettando che il Vescovo Crescenzio la liberasse dal suo prezioso carico. Da quel momento Alatri fu liberata dal contagio e i cittadini fecero dono agli alifani di un dito del Santo. S. Sisto aveva scelto la sua dimora: era l’11 gennaio 1132. Le reliquie di S. Sisto sono conservate nella Concattedrale di S. Paolo entro un’urna di piombo antichissima, sul cui coperchio vi è incisa la scritta: “HIC RECONDITUM EST CORPUS XYSTI PP. PRIMI ET MARTIRIS” La ricorrenza della venuta del Santo si festeggia ad Alatri l’11 gennaio con una solenne funzione religiosa, mentre, il mercoledì dopo Pasqua, l’imponente statua è portata in processione per le strade della città. Il motivo del “doppio festeggiamento” è da ricercarsi in un avvenimento storico. Nell’anno 1186, Alatri è assediata dalle truppe di Arrigo VI, figlio di Federico Barbarossa. Dopo nove giorni di resistenza i viveri e le forze cominciano a mancare e gli alatrini vanno a prostrarsi innanzi al loro Patrono San Sisto per invocare aiuto e protezione. Dopo fervide preghiere, si sentono animati da gran forza d’animo. Riunite le forze, si scagliano come leoni contro il nemico, che si dà a vergognosa fuga verso la vicina Guarcino, non resistendo all’attacco. Tutti attribuirono a San Sisto l’onore della vittoria, ed essendo il fatto accaduto nel mercoledì dopo la Santa Pasqua, decretarono che d’allora in poi quel giorno dovesse essere consacrato al loro Santo Protettore e ritenuto il più importante dell’anno. S. Sisto “gode” dunque di ben due feste, entrambe avvertite profondamente dal popolo alatrense. La statua del Santo è in legno ricoperto d’oro (la testa, il braccio e la palma sono di argento). Il suo peso è di circa 7 quintali ed essa è portata processionalmente in spalla per le vie della città da 20/25 incollatori appartenenti alla Confraternita. Una curiosità: ogni qualvolta avviene il cambio del Vescovo di Alatri, il suo primo ingresso nella città è a dorso di una mula bianca, in ricordo dell’episodio della venuta di S. Sisto. Le città di Alatri e Alife, inoltre, sono unite nella fede al Santo attraverso un gemellaggio. SAN SISTO: TRA STORIA E LEGGENDA GRAFICA E COMUNICAZIONE TECNOLOGIE CARTARIE partire dall’anno scolastico 2014-2015, sarà attivo A presso l’Istituto tecnico Sandro Pertini di Alatri, il nuovo indirizzo di istruzione tecnica “Grafica e comunicazione opzione tecnologie cartarie”, il primo Istituto cartario del centro sud. Si tratta di una scuola che crea una figura professionale polivalente caratterizzata da una buona formazione generale con competenze specifiche nel campo dell’industria della comunicazione e della carta, con particolare riferimento all’uso delle tecnologie per produrla. Il tecnico cartario è in grado di utilizzare le metodiche per la preparazione e la caratterizzazione del settore cartario, risolvere problemi teorici e sperimentali; di agire nei processi industriali dell’ambito cartario; di gestire progetti e processi dell’ambito cartario secondo le procedure e gli standard previsti dai sistemi aziendali di gestione della qualità e della sicurezza; di analizzare e monitorare le esigenze del mercato. Il diplomato in Tecnologie Cartarie trova possibile occupazione nel settore cartario e cartotecnico, nelle aziende specializzate in programmazione ed esecuzione delle operazioni di prestampa, stampa e poststampa e nell’ambito delle professioni tecniche. Potrà anche proseguire gli studi universitari in particolare nell’ambito ingegneristico. C ultura A rte M usica L etteratura S cienza S port C inema T eatro
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