febbraio 2014 - Flash Magazine

IL MENSILE DELLA NUOVA CIOCIARIA
Flash Magazine
communications
Simone Morano Phographer
Spedizione in Abbonamento postale gruppo III/70 • € 2,00 • COPIA OMAGGIO
FEBBRAIO 2014 • ANNO XXV
ARTE CULTURA POLITICA ATTUALITÀ SPORT SPETTACOLO
Martina
Di Palma
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FROSINONE
Tel. 0775.89881
L’amore
è la forza
che fa muovere
il mondo
Copyright Promograph Comm Sas - 0775212261
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FEBBRAIO 2014
EDITORIALE
POLITICA
ABBRUZZESE
A TUTTO CAMPO
INTERVISTE
7
8-9
11
12-13
14-15
FLASH MAGAZINE COMMUNICATIONS
PRESIDENTE ONORARIO
Angelo Mauro D’Angelo
DIRETTORE RESPONSABILE
Nicandro D’Angelo
CAPOREDATTORE CENTRALE
Massimo Sergio
GARANTE DEL LETTORE
Angelo Mauro D’Angelo
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il 05/02/2014
EDITRICE
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03100 Frosinone - Tel. 0775.212261 r.a.
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38-39
40-41
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E FINANZA
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FEBBRAIO
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MITOLOGIA
IL RACCONTO
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L’OPINIONE
LEX
ISTRUZIONE
16-17
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20
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GEOLOGIA
TERRITORIO
E AMBIENTE
MEDICINA
E PREVENZIONE
EVENTI
CELEBRAZIONI
PSICOLOGIA
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CULTURA
MUSICALE
VI RACCONTIAMO
ALATRI
RECENSIONI
CAFFÈ PER
L’ANIMA
ARTE
STORIA
FILOSOFIA
E FEDE
SPORT
Sommario
COLLABORANO
angelo mauro d’angelo, massimo sergio, mauro sabetta, antonio di tacco, amedeo brogli,
claudia ambrosetti, gabriele sabetta, simone sergio, mauro d’angelo, mario cerroni, enzo
rossi, giorgia gazzetti, jago, kaukoff, emanuela crescenzi, mario catullo gentilcore, rodolfo
coccia, chiara carla napoletano, barbara turriziani, cesare marinacci, franco turriziani,
nicola casato, costantino ferrara, simone morano, roberto marini, lucio lucchetti, bianca
santoro, ilaria antonucci, luigi bracaglia morante, leonardo manzari, lucia mancini, silvano
ciocia, giovanni grande, elda altobelli, gabriele maniccia, grey estela adames
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editoriale
DALLA FINESTRA DEL CAMPANILE
di Nicandro D’Angelo
L’amore è la forza che fa muovere il mondo
Q
uesto è un mese speciale! Per questo il mio editoriale
deve essere speciale! Voglio mantenermi lontano e
non parlare della politica, degli inciuci, della concussione, degli arresti eccellenti, degli incontri carbonari del
malaffare, di come alcuni “loschi” politici pensano, ancora,
di gabbare il cittadino, privo ormai di ogni difesa. Insomma
lontano da questo pentolone, pieno di sporcizie umane, che
bolle ma non asciuga i contenuti, divenuti inossidabili. Voglio, invece, parlare della copertina. Essa vuole avere due
scopi: il primo la bellezza femminile, atto di amore che “è la
forza che fa muovere il mondo”; il secondo: la purezza. Affascinante la modella della nostra copertina, bella nella sua
eleganza la Martina rivolge lo sguardo lontano, trasmettendo
il suo fascino sull’altare della festa degli innamorati. Bravo
il nostro fotografo, Simone Morano, che ha colto i momenti
più belli mentre lei posava. Non a caso ho riportato in questo
mio editoriale il capolavoro di Canova, Amore e Psiche (del
1788), dove l’intrecciarsi dei corpi ricercano l’equilibrio e
l’armonia. Le due figure sono disposte diagonalmente e divergenti tra loro. Questa disposizione piramidale dei due
corpi è bilanciata da una speculare forma triangolare costituita dalle ali aperte di Amore. Le braccia di Psiche invece
incorniciano il punto focale, aprendosi a mo’ di cerchio
attorno ai volti. All’interno del cerchio si sviluppa una
forte tensione emotiva in cui il desiderio senza fine di
Eros è ormai vicino allo sprigionamento. L’elegante fluire
delle forme sottolinea la freschezza dei due giovani
amanti: è qui infatti rappresentata l’idea del bello di Canova; ovvero sintesi tra il bello naturale, come la nostra
modella di copertina, ed il bello ideale. Forse proprio la
ricerca dell’equilibrio, che dovrebbe spingere i poteri
dello Stato ad una maggiore armonia nell’interesse dei Cittadini, che ancora agognano la
bellezza di sentirsi orgogliosamente italiani e non delle risse all’interno del
Parlamento.
Amore e Psiche
Antonio Canova (1788-1793)
Louvre, Parigi
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anni d’informazione
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Politica
Ottaviani e Attaianese ai ferri corti
«Sao ko kelle terre, per kelle fini que ki contene, trenta anni
le possette parte Sancti Benedicti. » (Capua, marzo 960)
Riguardava una lite sui confini di proprietà tra il monastero di Montecassino e un
piccolo feudatario locale, Rodelgrimo d’Aquino. Con questo documento tre testimoni, dinanzi al giudice Arechisi, deposero a favore dei Benedettini, indicando con
un dito i confini del luogo che era stato illecitamente occupato da un contadino dopo
la distruzione dell’abbazia nel 885 da parte dei saraceni.
di Nicandro D’Angelo
FATTO - LA QUERELLE
on volevo scomodare i quattro
placiti cassinesi, ossia le quattro
testimonianze giurate, né pensare che si arrivi tra Attaianese e Ottaviani, ad una lite in Tribunale, come
successe tra i Benedettini e il contadino,
ma le polemiche di questi giorni lasciano intravedere un conflitto di interessi che, se dovesse venire a mancare
un po’ di diplomazia, l’Università di
Cassino e il Comune si troverebbero davanti ad un giudice del Tribunale. Il
fatto è che il Magnifico Rettore dell’Università di Cassino, Ciro Attaianese
e il sindaco di Frosinone, Nicola Ottaviani, sono in lite (decreto ingiuntivo)
per il mancato pagamento dell’importo
N
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di 600,000 euro, dovuto dal comune di
Frosinone all’Ateneo cassinate. Ottaviani, in una requisitoria al vetriolo,
scrive: “Il Rettore Attaianese ignora,
sapendo di ignorare, quali siano le necessità dell’offerta formativa universitaria di un capoluogo. Del resto, mi
sembra che in questi anni preferisca più
fare una lotta sterile contro le istituzioni, che non cercare di far integrare
l’università di Cassino con la zona alta
della provincia di Frosinone”. Non si
ferma, Ottaviani: “La materia della formazione universitaria è una questione
molto seria e duole, fino a diventare
drammatico e grottesco, rilevare come
si arrivi a chiedere 600.000 euro al Comune capoluogo, senza prima aver illu-
strato gli eventuali benefici apportati al
territorio frusinate, basandosi soltanto
sulla scorta di una convenzione pastrocchiata, mai approvata dal Consiglio comunale. O forse Attaianese
dimentica l’ultimo rapporto diffuso e
pubblicato da Almalaurea, che ha condotto la consueta indagine annuale
sulle facoltà universitarie e sugli esiti
occupazionali dei laureati dopo il conseguimento del titolo di studio, secondo
la quale l’Università di Cassino ha registrato la peggiore performance tra
tutti gli Atenei italiani con un tasso di
disoccupazione dei laureati, a tre anni
dal conseguimento del titolo di studio,
del 25,4%. Interrogato sul motivo di
questo poco lusinghiero risultato dal
sito controcampus.it,, il Rettore, anziché
abbozzare una risposta congrua sui motivi di tale fallimento, si è cimentato
nello sport italico per eccellenza, ovvero lo scaricabarile, attribuendo la
colpa allo Stato reo di non investire nei
giovani. Per formazione professionale
sono abituato esclusivamente a valutare
fatti e risultati. E i fatti dicono che l’impegno dell’Università di Cassino su
Frosinone è andato progressivamente
ridimensionandosi considerato che l’offerta formativa si è drasticamente ridotta nel tempo con la chiusura
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anni d’informazione
ingloriosa, ad esempio, del corso di
conservazione dei beni culturali e museali. Promuovere un decreto ingiuntivo
contro il Comune di Frosinone per
600.000 euro, scambiando le casse comunali come una sorta di salvadanaio
per l’Ateneo cassinate, altro non è la
conferma di una impostazione assolutamente singolare, che si commenta peraltro da sé, sul modo di intendere il
profilo della coesione sociale ed istituzionale. Del resto, – continua – in Italia
le università normalmente danno al territorio molto di più di quel che ricevono, ma, evidentemente, il Rettore
Attaianese ignora anche questo”.
serà questa impostazione si può tornare ad un dialogo più costruttivo?
“Certamente si! La linea da seguire è
questa. Se l’Università di Cassino vorrà
sposare questa impostazione saremo
ben lieti di camminare assieme, altrimenti faremo come a Piacenza dove
convivono varie istituzioni universitarie
in regime di sana concorrenza e con
evidenti ricadute per il territorio in termini di crescita economica, sociale e
culturale”. A proposito di Accademia di
Belle Arti, una domanda che vorremmo
rivolgere al direttore professor Fiorletta: “E’ possibile fare dei Corsi di
pittura serali, in Accademia?”. Intanto, ritornando sulla querelle, anche il
consigliere comunale Fulvio Benedetti,
attacca, affermando: “La presenza a
Frosinone se legata ad un progetto di
crescita dell’offerta formativa o alla
prospettiva di Polo universitario autonomo, prospettiva che negli ultimi anni
è stata notevolmente ridimensionata.
Giusto rivendicare un impegno concreto da parte dell’ateneo, perché l’interesse della città deve essere
prevalente. Alla luce dell’azione legale
mossa dall’ateneo cassinate, ritengo
fondamentale che la Giunta si attivi immediatamente per chiarire le reali intenzioni dell’Università di Cassino a
proseguire l’attuale percorso, sottoscrivendo per il Polo di Frosinone, il proprio impegno per una crescita (in
qualità e qualità) dell’offerta formativa”. Per il consigliere comunale, però,
altrettanto fondamentale è, in mancanza
di riscontro da parte dell’ateneo cassi-
nate, “attivare ogni canale istituzionale
per aprire la città a nuovi atenei. Il tutto
con estrema attenzione: Frosinone non
può permettersi di rinunciare alla prospettiva di un Polo universitario”.
Le opposizioni non si fanno attendere e
Iacovissi, segretario cittadino del Psi,
entra in gamba tesa con una sua dichiarazione: “Dobbiamo, purtroppo, constatare
come, ancora una volta, dinanzi alle legittime sollecitazioni delle forze di opposizione – riferendosi alla maggioranza
del Consiglio comunale – gli esponenti
di questa Giunta reagiscano in modo
scomposto ed evidentemente nervoso.
Ma tant’è lo stile non si acquista al supermercato. Le osservazioni pacate che
ho rivolto al Sindaco affinché venisse
scongiurata qualunque ripercussione
sugli studenti del polo accademico a
causa della querelle che oppone l’Amministrazione comunale all’Ateneo cassinate, sono state prese a pretesto per
intavolare una polemica priva di senso”.
Conclusioni
Di fronte a queste considerazioni la nostra Redazione rivolge un caloroso invito affinché la querelle instaurata tra le
parti possa trovare una soluzione per il
bene della nostra città che in tanti anni
non ha avuto quel ruolo che avrebbe dovuto avere al posto di Cassino. Le colpe
e le responsabilità sono di tutti, sia di
una classe politica che non ha saputo instaurare un buon dialogo con l’Università la Sapienza, facendo in modo che
tutto andasse sulla città martire di Cassino, sia dell’incapacità e sordità dell’intellighenzia nostrana.
Avvocato Ottaviani, al di là di questo
scambio amorevole tra lei e il Rettore,
quali proposte ha per una Università
degna di questo nome per Frosinone?
“Noi stiamo lavorando affinché su Frosinone ci sia un’offerta formativa universitaria degna di un capoluogo e di
alto livello, con corsi capaci di attrarre
studenti del territorio e di fuori provincia. L’esperienza dell’Accademia dei
Belle Arti di Frosinone ci insegna che,
quando i corsi proposti sono di qualità
e ben strutturati, richiamano studenti
dai quattro angoli della terra”.
Sindaco se il Magnifico Rettore spo-
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anni d’informazione
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Cultura
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Lazio meridionale
ABBRUZZESE
a tutto campo!
Abbruzzese faceva l’occhiolino a
Silvio Ferraguti: oggi è una realtà
L’ex presidente di Federlazio scende
in campo! di G.E.A.
N
on era sornione, né tanto meno distratto, il presidente di Federlazio, Silvio Ferraguti, nel work shop
all’Amministrazione provinciale, organizzata da
Abbruzzese, sull’utilizzo dei Fondi Europei destinati alle
Piccole e Medie imprese; ospite d’onore, il Vicepresidente
Antonio Tajani. Allora era ancora Presidente, ma già nel
suo intervento lasciava intravedere l’accesso alla politica.
Noi l’avevamo intuito, ma le bocche cucite di Abbruzzese
e Tajani, non rilasciando, dichiarazioni in tal senso, non ci
permettevano di riportarle. Sabato 24 gennaio, a distanza di
pochi giorni, all’Hotel Cesari, al convegno di FI, organizzato dall’instancabile vice presidente della commissione
Sviluppo Economico , Lavoro e PMI, della Regione Lazio,
si scioglieva la riserva e veniva fuori dal cilindro: Silvio
Ferraguti. Con l’emozione di chi realmente ha fatto una
scelta coraggiosa, Ferraguti, lasciando dopo 25 anni il
mondo delle associazioni e degli imprenditori, scende in
campo sotto l’egida aurea di Abbruzzese e la guida di Silvio Berlusconi. La facciata era la titolazione “Nuove stra-
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anni d’informazione
tegie di sviluppo per l’Italia centrale” ma invero era preparare la platea che conta alle prossime candidature delle Europee. Infatti, grande assente Antonio Tajani, che
certamente non intendeva prendere lezioni di economia
politica da Fazzone o da Armando Cusani. Non nascondiamo, però, che Abbruzzese, navigato uomo politico, ha
chiosato: “Le candidature saranno decise solamente dal
presidente Berlusconi, di concerto con i coordinatori regionali”. Ritornando al candidato “in pectore” Ferraguti
al solo accenno “Cambio vita ed entro in politica” ha premiato l’uomo che si è battuto per anni per le imprese
iscritte alla Federlazio, e che conosce bene le criticità del
mondo del lavoro, in quanto parte intrinseca del suo ruolo
di ex Presidente e di imprenditore. Certo che lo stesso Cusani, nel suo intervento, ha ribadito che quello che possiamo fare è chiedere al senatore Fazzone un impegno
forte affinché sia un candidato, espressione del territorio,
alle imminenti Europee. Nelle sue dichiarazioni, l’ex presidente Ferraguti, ha precisato: “Se ho deciso di dimettermi, prima di entrare ufficialmente in Forza Italia, è
perché Federlazio è sempre stata, e resterà, equidistante
dalla politica. La mia decisione muove da una ferma volontà di poter dare un valido contributo a questo territorio,
anche grazie all’esperienza maturata in 25 anni di vita associazionistica”. Siamo alle prime battute, ma già si intravede una forte battaglia tra i due contendenti: Pallone, del
Nuovo Centro Destra, e Ferraguti di Forza Italia.
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Intervista
Intervista a
A
Marcia Sedoc
vevo sentito parlare della Sedoc, ma non l’avevo conosciuta personalmente. Qualche giorno fa in una mostra
nella città di Frosinone, dove esponeva nella Villa Comunale la pittrice Grey Est, l’ho conosciuta dopo la recitazione di un monologo intitolato: “Non mi resta nient’altro che la speranza”. Ne ho apprezzato, anzi ne abbiamo
apprezzato, l’ardore e il pathos in una sua immedesimazione, che ai miei occhi, è sembrato un fatto a lei accaduto. No!
Non era presente al fatto, - lei mi diceva- ma era tanta l’intensità e la passione profusa nel monologo che ai presenti sembrava essere la protagonista. Come non essere di questo avviso, quando descriveva la scena del “naufragio”, la donna che
piange la morte del marito con il figlio nelle braccia.. Questa è oggi Maria Sedoc!
Prima di passare all’intervista la vorrei presentare, a chi non la conoscesse, nelle sue vesti di qualche anno fa.
di Nicandro d’Angelo
La Sedoc ha fatto parte del gruppo “Cacao Meravigliao” nel programma “Indietro tutta” di Renzo Arbore. Lei, bellissima, nel fintobrasiliana che reclamizzava l’immagine cacao e che tanti spettatori
l’hanno potuto ammirare nelle sue performance e nelle sue sensuali
movenze insieme alle altre ragazze Coccodè. E poi come cantante
ballerina e attrice di cinema e di teatro. Ha preso parte nelle miniserie
Tv I Vigili Urbani e il commissario Corso. Nel cinema ha lavorato
con il regista Federico Fellini in Ginger e Fred e poi per Lamberto
Bava in Le foto di Gioia; non disdegnando in Snack Bar Budapest di
Tinto Brass e per Claudio Bonivento in Le giraffe.
Maria Sedoc nasce in Suriname (ex colonia olandese), la prima infanzia la trascorre ad Amsterdam per poi vivere in Italia dal 1985. Laurea
in lingue, diploma di recitazione e arte drammatica, indossatrice, cantante, attrice di cinema e teatro, la Sedoc diventa presidente dell’Associazione culturale Fajaloby che si occupa di organizzazione di
eventi e talents scout. Infine operatrice presso lo sportello “Integrazione per immigrazione” del municipio 8 di Roma. Nel 2004 riceve
l’attestato di apprezzamento come “Lavoratrice per la pace nel Vaticano e successivamente nel 2009 il diploma come ambasciatrice della
pace alla Camera dei Deputati di Roma. Oggi impegnata fortemente
nel favorire l’integrazione per immigrazione.
L’Intervista
Marcia, lei nasce come showgirls, attrice di teatro, di cinema, ottenendo
grande successo. Quale è stato il momento più bello e interessante della
sua carriera?
“Il momento più interessante è stato
quando ho recitato in Teatro a Roma,
come protagonista femminile, lo spettacolo: Antonio e Cleopatra. Ero appena
arrivata a Roma, e recitare per due ore il
testo di Shakespeare, con la regia di
Riccardo Vanuccini è stato entusiasmante.
La cosa più bella è diventata, quando
sono stata chiamata dalla RAI per la
trasmissione Indietro tutta (Cacao Meravigliao).
12
Lei è stata animatrice del concorso
Miss Africa in Italia, iniziativa che,
fra gli altri scopi, è volta a favorire
l’integrazione di culture e tradizioni
completamente diverse fra di loro. Ne
vuole parlare?
“E stata una bella esperienza per dare la
possibilita alle ragazze dell’Africa Nera
di emergere nel mondo della moda, che
purtroppo sono ancora tanto discriminate per il colore della pelle, e far conoscere il Paese che le ospita mostrando il
loro uso e costume”.
Nella mia prefazione ho citato il monologo da lei recitato durante la mostra della pittrice Grey Est. Quali
emozioni lei ha provato e prova
quando lo recita?
“Devo dirle, caro Direttore, che la storia
che racconto nel monologo, la sento profondamente nel mio cuore, anche perché,
come lei sa, svolgo un’attività presso lo
sportello di integrazione dell’immigrazione al Comune di Roma, dove diamo
consulenze gratuite a tante persone che
hanno fatto lo stesso viaggio con il barcone. Quindi la sento mia comprendendo
molto bene il loro stato d’animo. É giusto
rappresentare in Teatro queste tragedie”.
Ho avuto il piacere di intervistare la
sua amica pittrice Grey Est che ha
così formulato una sua risposta : “ La
pittura mi emoziona, mi colma, penso
mi nobilita…, è diventata una vera vocazione, quasi come la religione.. e
come la religione fa riscontrare l’es-
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anni d’informazione
sere umano con la parte più elevata di
se…” Come interpreta questo pensiero dell’artista?
“Come la interpreto? La condivido,
anche perché sono una religiosa e
quando le cose si fanno con amore, purezza, lealtà e generosità d’animo, come
fa la Grey Est, si ricevono emozioni che
ti rimangono dentro. Ancor più conoscendo la Grey Est, che stimo come una
gran professionista e un forte talento”.
Qualche anno fa lei ha scritto un libro
dal titolo: “I buoni muoiono giovani”.
E’ un libro di aforisma sui bambini e
sull’amore. Lei sa benissimo che un
aforisma è una breve frase che condensa – similmente alle antiche locuzioni latine, un principio specifico del
sapere filosofico o morale. Eppure
Gesù ha amato e ama profondamente
i bambini. Egli era felice quando gli
venivano presentati. Lei, invece, mi
sembra, che dia un’altra interpretazione. E’ così?
“No so dare un’altra interpretazione,
perche i bambini sono la nostra felicità
e sono ancora puri e senza nessuna macchia di peccato. Io sono diventata nonna
da poco, di 2 gemelli, Isidro e Chiara:
sono bellissimi e sono la mia gioia. Il titolo del libro I BUONI MUOIONO
GIOVANI e dedicato ai bambini che nascono Hiv positivo. Senza la cura non
arriverebbero a tre anni. I ricavati, dalla
vendita, sono stati devoluti per combattere l’AIDS.
giorni nell’affrontare i problemi delle
persone che vengono a chiedere un sostegno o una parola di speranza?
“Ho scelto questo quartiere perché è
quello più difficile, dove hanno più bisogno di me e che si riscontra un afflusso maggiore di stranieri che vivono
in questa frazione di Roma, e, mi creda,
lo faccio con tanto amore e determinazione. Certo non è facile, i problemi
sono tanti, io con lo staff, cerchiamo di
fare il possibile. La cosa importante è
che esiste non differenza di nazionalità.
Aiutiamo anche i cittadini italiani che si
trovino in difficoltà”.
Ieri, attrice, oggi un ruolo completamente opposto: portatrice di amore
verso le persone che soffrono e hanno
bisogno del suo aiuto. Quale metamorphosis è avvenuta in lei?
“L’amore cogente verso i deboli e coloro che soffrono”.
Lei si sente completamente integrata?
“Si! Mi sento italiana e non vedo la differenza del colore della pelle”.
Cosa c’è dietro l’angolo di Marcia
Sedoc?
“Tante cose. In primis ho ancora tanta
voglia di combattere e di fare. Di aiutare, di dare amore, affetto è quello che
più sento e di dare di più e non di ricevere. Inoltre nel 2014 farò le selezioni
del Cantagiro nella Tuscia, Reggio Emilia e Milano. In secundum fare un programma Tv web, in diretta, con Flower
Terry c_you tv world express, il 16 febbraio 2014. Sarà un evento per beneficenza intitolato STARS FOR PEACE
IN THE WORLD per i cani abbandonati e i bambini malati di tumore e i
bambini orfani del SURINAME, dove
presenterò insieme al Dr. Feelx e Antonio Giuliani e organizzato da Ass.
Acam vip Ass.Fajaloby.
Come vede e vive il processo di integrazione in Italia. Quali leggi dovrebbero essere cambiate per dare a tutti
i migranti il diritto di cittadinanza?
“Io penso che lei fa riferimento alla
legge Bossi - Fini. Io personalmente la
vivo bene come tanti altri, forse dovrebbe essere rivisitata, intanto come
punto di partenza mi ha permesso di far
nascere la mia associazione: FAJALOBY Italia Olanda Suriname. Ancor
più che lavoro da 7 anni come volontaria alla frazione TOR BELLA MONACA (Roma) al servizio di chi è meno
fortunato di me e qui abbiamo anche un
punto d’ascolto”.
Lei svolge il suo volontariato in uno
dei quartieri più “difficili” della capitale: Tor Bella Monaca. Perché questa
scelta e quali emozioni prova tutti i
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anni d’informazione
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Intervista
L’elicottero a comando remoto (UAS),
porta idrante in un sistema integrato.
Brevetto su Studio e progetto dell’Ing. Felice Campanelli
“Un efficace contributo contro la piaga degli incendi”
O
rmai siamo avvezzi a sentire le doglianze e le urla di coloro che sono vittime di
incendi, a volte dolosi, sul nostro pianeta ma a nulla valgono le raccomandazioni
per trovare soluzioni idonee affinché questa piaga sociale venga ad eliminarsi o
quantomeno a ridursi. Spesso i politici, coadiuvati dalla sordità di tecnici, non prendono
in considerazione brevetti per modelli di utilità per far in modo che i danni provocati
dagli incendi possano essere aggrediti senza causare vittime o mettere a rischio l’incolumità degli addetti ai lavori. Il caso vuole che abbiamo nella nostra Redazione l’Ing. Campanelli (Gino) che ha brevettato un modello di utilità internazionale, (PCT) Patent
Cooperation Treaty, che ci illustrerà le funzioni e l’importanza di questa sua invenzione
che ha fatto scalpore ma non ha dato le risposte sperate. Ignorantia non excusat.
di Nicandro D’Angelo
L’intervista
Ing. Campanelli, ci vuole spiegare
questo suo progetto?
“E’ opportuno fare una premessa per far
capire ai non addetti ai lavori di cosa
stiamo parlando. Gli attuali mezzi disponibili, per attacchi diretti, contro gli incendi boschivi avvengono con mezzi
terrestri che sono autoveicoli dotati di serbatoi d’acqua di capacità non superiore a
qualche centinaia di litri e di pompe
di vario tipo con adeguata prevalenza
e portata e con mezzi aerei ad ala
fissa (Canadair) o con mezzi aerei ad
ala mobile (elicotteri) che vengono
effettuati gli interventi di spegnimento. Il primo, mi riferisco al Canadair, è un bimotore che dispone nella
fusoliera di due serbatoi di oltre 2.600
litri ciascuno che possono essere
riempiti oltre che a terra (in aeroporto
di base) direttamente da uno specchio
d’acqua mediante caricamento della
durata di pochi secondi. Una volta
riempiti i serbatoi l’azione di spegnimento viene effettuata ad una velocità non inferiore a 30 metri sopra la
chioma degli alberi, vuotando i serbatoi. Il secondo (mezzi aerei ad ala
mobile) trattasi di elicotteri di adeguata potenza e capacità di sollevamento di un carico d’acqua tra 1000 e
2000 litri, ma pur con accesso nel
luogo dell’incendio, in presenza di
vento o di fiamme che creano vorticosi movimenti d’aria, o di linee elettriche, il loro impiego può diventare
pericoloso”.
14
Allora?
“Allora possiamo sostituire i Canadair o
elicotteri ad ala mobile, o integrarli, con
un elicottero telecomandato”
Ossia?
“L’elicottero telecomandato porta idrante,
presentato come modello di utilità e pubblicato dall’ufficio Internazionale di Ginevra in data 30.04.2009 con il numero
W0 2009/054015 con priorità al
24.10.2007 a completamento della procedura PCT (Patent Cooperation Trety), potrebbe essere realizzato e prodotto nello
spegnimento di incendi di boschi e consentire minimi rischi per gli addetti ai lavori. Allo stato attuale mentre esistono
elicotteri ed aeromobili attrezzati per spegnimento incendi, non ne esistono di
equipaggiati con idrante per azione continua e diretta sui focolari, mentre
sono già in produzione elicotteri di
minore potenza e portata pilotati telecomandati ma non abilitati a tale
scopo”
Ingegnere lei parlava di rischi
nell’intervento di Canadair o
degli elicotteri ad ala mobilie durante lo spegnimento degli incendi, quali e come evitarli?
“Veda, quando si interviene per
spegnere incendi con i mezzi aerei,
tipo Canadair o elicotteri, c’è sempre un fattore rischio durante
l’azione di spegnimento quali: la
cadenza dei lanci, la distanza dall’aeroporto per il decollo, la distanza degli specchi d’acqua
dall’incendio, il forte vento, la necessità di effettuare ulteriori passaggi in zone impraticabili per i
mezzi; allora con l’azionamento
mirato e continuo del getto d’acqua,
che potrà essere indirizzato con un
dispositivo sensibile alle temperature senza nessuna dispersione, potremmo dare un forte contributo
all’efficacia dello spegnimento .”
25
anni d’informazione
Quali i vantaggi nell’utilizzo di questo
elicottero a comando remoto (UAS) con
il porta idrante in un sistema integrato?
“In primis la riduzione rischio per l’incolumità del personale a bordo dell’elicottero pilotato; non sono mancati episodi di
incidenti che hanno causato la perdita
degli equipaggi e ovviamente degli aerei;
poi la possibilità di contemporanea azione
coordinata in loco di più gruppi di abbinamento; la semplicità e potenzialità degli
interventi e adeguato controllo della relativa efficienza nel domare l’incendio
anche se applicato in più punti; maggiori
possibilità di assunzione di ottimale posizionamento dei gruppi rispetto all’avanzata dell’incendio; consente di evitare
l’intervento di persone (forestale, vigili
del fuoco e volontari) subito a valle della
direzione di propagazione dell’incendio a
volte disposto per l’abbattimento di alberi,
decespugliamento e di intervenire là dove,
persone, automezzi ed abitazioni risultino
a rischio di pericolo per l’avanzare delle
fiamme”.
In sintesi, perché ancora non viene
preso in considerazione questo suo Brevetto progettuale da parte degli Enti
competenti quali: Vigili del Fuoco, Forestale, e Protezione Civile e dai Ministeri a cui viene affidata la competenza
in materia?
“Bella domanda la sua! La risposta è complessa ma cerco di sintetizzarla. Sotto
l’aspetto tecnico il Brevetto richiede il
forte coinvolgimento di un costruttore di
sistemi UAS che costruisca il prototipo
che, fra parentesi, può essere venduto
nella sua versione finale anche all’estero,
(esempio negli USA) e in ogni luogo dove
esistono Centrali nucleari; perché mi è
stato detto, da più esperti, che esistendo
tale elicottero telecomandato si sarebbero
potuti spegnere i reattori di Fukushima
senza rischi per le persone. Il mio brevetto
ha suscitato notevole interesse in ENAC,
in EASA, nei Vigili del Fuoco di Frosinone e nelle maggiori autorità Aereonautiche Europee, giudicandolo “innovativo”,
ma fin ora non c’è stata risposta”.
25
anni d’informazione
15
L’Opinione
di Massimo Sergio
Una città da cani
E’ ingiustizia dire di un
uomo cattivo: ha il cuore
di un cane;
H
o scoperto che Frosinone è una
città ad alta vocazione canina,
possiamo quindi definirla pomposamente cinofila. Voglio dire che i residenti di qualsiasi sesso, età e ceto sociale
prediligono accompagnarsi ad un animale
fedele come il cane, nelle sue variegate taglie e razze. Lo tengono in casa, negli appartamenti condominiali cittadini e gli
affibbiano nomi umani come Luigi, Filippo, Antonio, Michele o Giandomenico
e li trattano ancor più con affetto ed attenzioni al pari di un figlio o di un parente
più prossimo. Non sarebbe più giusto e
adatto dar loro dei nomi da cani e trattarli
da animali quali sono, senza star lì a sbaciucchiarli ed accarezzarli troppo da vicino col fondato rischio di prendere virus
e parassiti indesiderati?! Ormai, anche la
recente normativa del regime condominiale (Legge n. 220/2012 con efficacia dal
18 giugno 2013) ha concesso il “diritto di
asilo” a tutti gli animali domestici. Vale a
dire che il regolamento di condominio votato in assemblea non può vietare di detenere animali domestici. Prima di tale
riforma, coloro che gradivano tenere in
casa animali di varie specie e dimensioni,
lo facevano sempre in forma molto
riservata, quasi da carbonari, segretamente, ma con l’evidente approvazione
degli altri condòmini ed anche dell’amministratore. Oggi tutto è cambiato, e i caseggiati urbani delle nostre città si sono
riempiti di animali d’ogni genere. Ma, si
sa, l’uomo è un essere pensante e deambulante in proprio, con tutti i suoi difetti e
i suoi pregi. Poi diciamo pure che soprattutto nei rapporti di condominio vengono
fuori i difetti e i vizi più deteriori, diventando così un uomo temibile. Vuole avere
ragione e quello che egli fa è sempre ben
fatto! Ma come in una medaglia v’è un rovescio, anche nella quotidianità della vita
condominiale il libero accesso degli animali domestici non deve far venire meno
il diritto di ciascun condòmino di usare e
di godere a suo piacimento delle cose di
proprietà comune nel rispetto del pari diritto di uso e di godimento degli altri. E
così, l’uso del cortile o di altri spazi co16
sarebbe più giusto, invece,
dire di un cane cattivo:
ha il cuore di un uomo.
muni per farvi circolare il proprio cane
senza le cautele richieste dall’ordinario e
normale criterio di prudenza (in giurisprudenza si parla di “comportamento del
buon padre di famiglia”) costituisce oltre
che una mancanza di rispetto delle libertà
altrui, una ingiustificata limitazione del
diritto che gli altri condòmini hanno sui
medesimi spazi. Similmente, quando l’animale viene lasciato libero di scendere o di
salire le scale senza alcuna custodia, così
da mettere in pericolo l’incolumità di coloro, condòmini o terzi, che si trovassero
in quel momento sulle scale o sui pianerottoli. Diciamo che taluni condòmini preferiscono avere un maggior rispetto per i
loro diritti piuttosto che quello di osservare
i doveri che loro competano. Il discorso
cambia, ma di pochissimo, quando il proprietario di un cane affronta le strade cittadine. Molti, anzi troppi padroni di cani si
comportano incivilmente nel passeggiare
sui marciapiedi cittadini, ove dopo il loro
spensierato passaggio lasciano una scia di
olezzanti profumi ed una sostanziosa pre-
senza di bisognini corporali canini. Non li
raccolgono passando ad altro e facendo
finta di niente in una indiscussa inciviltà
di fondo. D’altra parte non hanno in tasca
né guanti nè buste di plastica con relativa
paletta per poter sopperire alla bisogna.
Sono troppi, ripeto, costoro che girano per
la città indisturbati infangandola ed insudiciandola ancor più. Eppure qualche anno
fa, l’assessore preposto all’ambiente
piazzò per la città alcuni raccoglitori riservati proprio alle esigenze canine. Ma loro
continuano ad agire così, ben consapevoli
di non essere redarguiti né multati ignominiosamente dai vigili urbani. O perché per
le vie cittadine non ne trovi nemmeno uno
a pagarlo a peso d’oro o se ne incontri
qualcuno si mostra insofferente come se
non fosse affatto affar suo. L’estate scorsa,
e quello che sto per dirvi ne è solo un piccolo esempio, quando per le piazze e le
strade della città impazzava quasi ogni sera
l’estate frusinate, specialmente nei pressi
della piazza Vittorio Veneto, ove si svolgeva il festival dei conservatori italiani, numerosi cani con i relativi padroni
nell’incontrarsi davano luogo ad una rumorosa sarabanda di scontri con pedissequa
cagnareccia sonora, creando non poco
danno a chi si esibiva sul palco. Questa è
l’educazione dei possessori di animali domestici, che tenevano in non cale (se non
rispondevano con brutte parole) anche
qualche sparso reclamo da parte degli
astanti. Ci si mettevano, poi, in tutto questo
scompiglio canino anche i bambini con relativi genitori o anche senza, che avevano
preso la strada pubblica per un luogo preferito ove svolgere, sempre rumorosamente
con strepiti e schiamazzi vari, i loro giochi.
Insomma una continua e fastidiosa cagnareccia bestiale ma anche umana.
V’era anche la presenza di qualche coppia
di vigili urbani, che noncurante di quanto
succedeva davanti ai suoi occhi era attratta
dalle note melodiose delle orchestre e dei
complessi che ogni sera si alternavano lì,
sul palco eretto in piazza, in quello che, secondo qualcuno, a torto o a ragione, è diventato o è da considerarsi il salotto buono
della città…
25
anni d’informazione
L’Opinione
di Gabriele Sabetta
Letta e Napolitano ripetono che il peggio
è passato… ma siamo proprio sicuri?
I
l 2013 si è concluso senza
alcuna rassicurazione su un
eventuale ritorno dell’economia mondiale a quella che
una volta era considerata
un’andatura di crescita “regolare”. Piuttosto che accenni di
ripresa, si avvertono i segnali di
una stagnazione che potrebbe
durare decenni, caratterizzata
da recessione, calo degli investimenti e salari reali sempre
più bassi. L’Europa sta affondando in un lungo periodo di
povertà, disoccupazione di
massa, esclusione sociale, aumento della disuguaglianza e
della disperazione collettiva
come risultato del programma di austerità dettato dalla UE, dal FMI e dalla
BCE. Le conseguenze a lungo termine di
questa crisi devono ancora emergere e i
relativi, catastrofici effetti di tale condizione saranno ravvisabili negli anni venturi anche qualora l’economia fosse
soggetta ad improbabili impennate di miglioramento – situazione ipotetica, questa,
quasi certamente irrealizzabile a fronte
dell’attuale status quo.
Gli ultimi dodici mesi hanno visto una politica monetaria senza precedenti, con particolare riferimento ad un programma di
quantitative easing posto in essere tanto
dalla Federal Reserve quanto dalla Banca
Centrale del Giappone: migliaia di miliardi di dollari sono stati forniti a tassi
praticamente nulli alle grandi banche e
agli enti finanziari. Queste pianificazioni
sono state realizzate con la convinzione
che mirassero a stimolare l’economia e il
suo corso, ma di fatto gli unici beneficiari
risultano essere gli speculatori finanziari:
mentre l’economia statunitense è cresciuta ad un tasso medio di appena il 2,3%
negli ultimi quattro anni, il mercato azionario viaggia a livelli da record. Questa
crescita del parassitismo finanziario si riflette nel raddoppio della ricchezza dei
miliardari globali dal 2009. Il flusso di denaro che viene fornito ai mercati finanziari come conseguenza delle azioni della
25
anni d’informazione
FED e delle altre Banche Centrali sta probabilmente ponendo le basi per un altro
crollo finanziario che si può ragionevolmente prospettare come più grave di
quello del 2008. Chi aveva previsto un risollevamento dell’economia statunitense
in vista del 2014 potrà senza alcun dubbio
evidenziare un calo del tasso di disoccupazione ufficiale, senza tuttavia rilevare
che la maggior parte dei nuovi posti di lavoro prevede un salario significativamente più basso e condizioni deplorevoli
e che gran parte del “miglioramento”
delle statistiche è dovuto ad un numero
crescente di persone che, depresse e sfiduciate, abbandonano la forza lavoro.
Uno degli indicatori chiave della situazione economica mondiale è la crescente
divergenza tra l’accumulo dei profitti e il
livello degli investimenti, forza motrice
per l’espansione dell’economia reale: anziché impiegare gli utili per finanziare
l’espansione della produzione, le aziende
utilizzano sempre più la loro liquidità per
finanziare ri-acquisti di azioni proprie al
fine di promuovere i valori patrimoniali,
fornendo così i profitti finanziari per
hedge fund, banche e case d’investimento,
i maggiori azionisti delle grandi imprese.
Quanto esposto appare inoltre accompagnato da un’importante “ristrutturazione”
di portata globale, come si può notare a titolo di esempio nel settore delle automobili, che ha assistito alla chiusura di
fabbriche e di altri impianti: in
combinazione con l’impatto dei
programmi di austerità in corso
di attuazione da parte di tutti i
governi (in conformità con i dettami delle banche), la ristrutturazione sta imponendo una grave
devastazione sociale.
Appena due giorni dopo la costituzione di un nuovo governo di
grande coalizione a Berlino, il
Cancelliere Angela Merkel ha
partecipato ad un vertice UE a
Bruxelles in cui ha chiarito che il
nuovo governo tedesco esige che
l’Unione sorvegli l’attuazione e
l’intensificazione delle politiche
di austerità antisociali che stanno
distruggendo le economie del sud Europa
a tutto vantaggio delle imprese tedesche.
La Merkel ha affermato che nuovi “accordi” tra Stati membri e Commissione
Europea – quest’ultima braccio esecutivo
dell’Unione egemonizzata da Berlino – includeranno vaste “riforme” del mercato
del lavoro, dell’istruzione, della ricerca,
della pubblica amministrazione e del sistema di sicurezza sociale. Si tratta, in sostanza, di obblighi progettuali soggetti ad
un controllo pesantemente intrusivo da
parte della Commissione Europea (cioè
del Governo tedesco), che si riserverà
l’esclusiva di valutare ed approvare l’ammissibilità dei finanziamenti di soccorso.
La Merkel si tiene stretto l’Euro (che favorisce le esportazioni tedesche), ma affonda definitivamente ogni speranza di
“solidarietà intra-europea” – polverizzando i filantropici ideali che hanno ispirato il massonico progetto dell’Europa
unita. Berlino, infatti, non accetterà di privarsi di una quota ingente del suo PIL per
effettuare trasferimenti verso i Paesi economicamente dissestati – per pagare cioè
gli emolumenti principeschi e gli sprechi
della nostra casta di politici inefficienti e
corrotti. Questo significa che i sogni degli
europeisti e dei federalisti sono destinati a
sciogliersi come neve al sole. Letta, Napolitano, Saccomanni e Renzi hanno contezza della gravità di tutto questo?
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Via Maremmana III
via Casilina San Cesareo (RM)
Simone Morano Photographer
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raio 2014
Miss Flash Febb
Istruzione
L’istituto 4 Comprensivo
di Frosinone all’avanguardia
con il Progetto di “Laboratorio Artistico”
Il dirigente scolastico, Prof. Giovanni Guglielmi,
e la professoressa Antonella D’Emilia,
coordinatrice del progetto sono le forze
trainanti di un dialogo interculturale insieme
alla pittrice latino-americana Grey Est.
O
spite della nostra Redazione è la professoressa Antonella D’Emilia da quindici anni impegnata in progetti scolastici
di scambi culturali e a carattere interculturale con le scuole italiane ed europee e coordinatrice di partneriati internazionali su progetti di dialogo interculturale. Laureata in Scienze dell’Educazione su una tesi di pedagogia interculturale con il Prof. Santarone dell’Università Roma 3.
di Nicandro D’Angelo
L’Intervista
Professoressa D’Emilia, ci vuole
parlare del suo ruolo nell’ambito
scolastico dove lei insegna?
“Sono insegnante di inglese, vicaria da
alcuni anni presso l’istituto Comprensivo di Frosinone 4, che si interessa di
progettazione che coinvolge studenti e
docenti. L’ambito privilegiato della progettazione è il contesto interculturale,
linguistico europeo ed extraeuropeo, integrazione e inclusione per formare gli
studenti che si sentiranno in futuro dei
cittadini del mondo. Uomini e donne
con mentalità aperta, disponibili all’incontro con l’altro, consapevoli che ogni
diversità culturale e personale rappresenta un arricchimento dell’individuo”.
Lei ha parlato di integrazione ed inclusione. Può spiegare questo concetto?
“Il concetto di inclusione va
oltre l’integrazione. Ciò significa libertà da barriere e contemporaneamente obiettivo della
piena integrazione rispetto ad
ogni tipo di diversità o di differenza. Sono, questi, entrambi
concetti che hanno a che vedere
con la reciprocità delle relazioni
tra persone diverse e differenti
che si arricchiscono reciprocamente attraverso lo scambio del
proprio bagaglio personale di
20
esperienze maturate”.
Il concetto di inclusione è, forse, più
penetrante rispetto a quello di integrazione?
“E’ senz’altro più penetrante perché ha
una valenza emotiva ed affettiva ed ha
un’ampiezza ed una profondità legata al
pieno riconoscimento di valorizzazione
delle caratteristiche personali di ciascuno e di tutti e dunque di qualunque
tipo di diversità”.
Come mai la scelta cade su Grey Est?
“Perché Grey Est incarna un’ inclusione
che abbraccia l’arte pittorica, come Ambasciatrice delle diversità, inoltre rappresenta una promozione culturale
perchè l’arte ci accomuna sposando un
linguaggio universale”.
Lei mi ha detto, prima dell’intervista,
che il suo Istituto ha promosso una
collaborazione con la pittrice Grey
Est. Ce ne vuole parlare?
“ Si tratta dell’attivazione di laboratori
artistici per l’inclusione e per l’interculturalità, destinati ai bambini dai 5 ani ai
13 anni”.
Sembra quasi un parolone dire “Laboratori Artistici” mi fa immaginare
un Cenacolo dove pittori sono lì a dipingere e creare opere d’arte. In sostanza, professoressa D’Emilia, quale
ruolo ha questa figura all’interno del
progetto?
“La Grey Est costituirà l’opportunità
per gli alunni di guardare oltre il loro
piccolo mondo, di costruire ponti verso
la conoscenza di altri mondi, altre culture, altre realtà, attraverso la sua arte e
il calore dei suoi colori”.
Alla fine del percorso laboratoriale
gli alunni avranno modo di esprimere
i valori portandoli su una tela?
“Penso proprio di sì! Il risultato concreto si avrà attraverso la realizzazione di un’opera pittorica
realizzata dai ragazzi insieme ai
docenti, sotto il coordinamento
della pittrice Grey Est.
Tutti gli alunni e ciascuno di
essi avrà la possibilità di portare
il proprio personale contributo
artistico alla realizzazione dell’opera, espressione finale del
concetto di integrazione ed inclusione.
L’opera verrà presentata ed esposta in primavera durante un
evento scolastico”.
25
anni d’informazione
Condominio
CONDOMINIO: RIFORMA…
DELLA RIFORMA
S
ulla Gazzetta Ufficiale n. 300 del 23.12.2013 è stato
pubblicato il decreto legge n. 145 del 23.12.2013: Interventi urgenti di avvio del piano “Destinazione Italia”, per il contenimento delle tariffe elettriche e del gas, per
la riduzione dei premi RC-auto, per l’internazionalizzazione,
lo sviluppo e la digitalizzazione delle imprese, nonché misure
per la realizzazione di opere pubbliche ed EXPO 2015, entrato in vigore il successivo 24.12.2013. Esso decreto prevede
delle novità in materia di condominio (a correzione della recente riforma), su richiesta da parte delle associazioni di categoria. Invero, l’art. 1 comma 9, integra appunto la citata
riforma della disciplina del condominio negli edifici, di cui
alla legge 11.12.2012 n. 220 e precisamente:
a) con Regolamento del Ministro della giustizia saranno determinati i requisiti necessari per esercitare l’attività di formazione degli amministratori di condominio nonché i
criteri, i contenuti e le modalità di svolgimento dei corsi,
ai sensi e per gli effetti del novellato art. 71-bis, primo
comma, lettera g), delle disposizioni di attuazione del codice civile, il quale non aveva, al riguardo, previsto una
regolamentazione della materia;
b) al modificato art. 1120, secondo comma, n. 2 del codice civile sono state soppresse le parole “per il contenimento del
consumo energetico degli edifici”; ciò comporta che le assemblee, per deliberare le opere di risparmio energetico,
senza attestato e diagnosi, dovranno approvare le relative
delibere con la maggioranza degli intervenuti e i 2/3 del
valore millesimale dell’edificio (quella ordinariamente
prevista per le innovazioni, assai alta e difficilmente raggiungibile);
c) al nuovo testo dell’art. 1130, primo comma n. 6 del codice
civile, dopo le parole “nonché ogni dato relativo alle condizioni di sicurezza” sono inserite le seguenti “delle parti
comuni dell’edificio”; quindi, i condomini sono sollevati
dal dover comunicare i dati sulla sicurezza delle loro unità
immobiliari, che erano stati loro richiesti da molti amministratori in questi primi mesi di vigenza della riforma;
d) al riformato art. 1135, primo comma n. 4, del codice civile
è aggiunto il seguente periodo “se i lavori devono essere
eseguiti in base a un contratto che ne prevede il pagamento graduale in funzione del loro progressivo stato di
avanzamento, il fondo può essere costituito in relazione ai
singoli pagamenti dovuti”; al riguardo, deve essere precisato che la novella aveva indotto alcuni a ritenere che per
eseguire lavori di una certa importanza fosse necessario,
25
anni d’informazione
da parte dell’amministratore, prima di dare il via alle opere,
incassare tutta la somma necessaria, con la conseguenza che
i lavori stessi non sarebbero iniziati se tutti i condomini non
avessero pagato quanto di loro spettanza; ora, invece, si prevede che il fondo in parola possa essere costituito anche per
gradi; appare ovvio che il problema non è stato completamente risolto ma almeno attenuato;
e) al nuovo art. 70 delle disposizioni di attuazione del codice
civile, dopo le parole “spese ordinarie” sono aggiunte le seguenti “L’irrogazione della sanzione è deliberata dall’assemblea con le maggioranze di cui al secondo comma
dell’articolo 1136 del Codice”; spetta, quindi, appunto all’assemblea – con la maggioranza degli intervenuti e almeno
la metà del valore dell’edificio – decidere le sanzioni (una
somma fino ad euro 200,00 e, in caso di recidiva, fino ad
euro 800,00) in caso di infrazioni al regolamento di condominio; all’amministratore toccherà unicamente applicarle.
Nel prossimo numero di FLASH daremo notizie sulla
conversione in legge del decreto di cui sopra.
21
Crimine
IL DELINQUENTE NATO
SECONDO LO STUDIOSO
DELLA CRIMINOLOGIA
DELL’OTTOCENTO
Prima parte
D
eve essere subito precisato che
venne messo in evidenza dallo
studioso della criminologia quel
malessere sociale dell’ottocento che
tante importanza possedette rispetto alle
categorie del benessere e della salute in
seno alle classi lavorative dell’epoca.
Dalle casistiche e dalle statistiche di
tipo descrittivo della biotipologia
umana del tempo emersero infatti ordini
di doglianze che solo in futuro poterono
acquisire la loro più esatta determinazione causale e che consentirono di
venir interpretate come affezioni dovute
a malnutrizione generalizzata. Ovviamente in questa sede non possiamo indugiare a descrivere circostanzialmente
la situazione, ma é sufficiente prendere
in esame in proposito un testo dell’epoca o un manuale di psichiatria
dello stesso periodo per cogliere la realtà di quel fenomeno malnutritivo ed
alienativo che corrispondesse a quella
famosa pellagra che tanto contribuì alla
pletora delle istituzioni manicomiali.
D’altro canto è ben naturale che da queste quote di denutriti, di alienati e di destinati alla emarginazione sociale
discendessero le casistiche criminali
dell’ottocento le quali non tanto portavano su di sé le stigmate della degenerazione umana quanto piuttosto della
indigenza alimentare cronica, quella indigenza che nelle nazioni sottoposte a
vicissitudini belliche realizzava il suo
plenum tanto con decessi per ipoalimentazione cronica e con congiunte
malformazioni a genesi alimentare,
quanto con quadri alienativi e contegni
criminali possedenti il plenum dell’equivoco “degerazione-criminalitá”.
Qui invero non possiamo dimenticare
gli studi di Lombroso sulle malformazioni ossee e sulle stigmate criminali,
ma non dobbiamo nemmeno trascurare
la circostanza che se di consimili malformazioni fu pieno l’ ottocento ed il
primo novecento, in successione di
tempo, allorché la società poté garantire
un minimum di equa nutrizione per le
25
anni d’informazione
Cesare Lombroso
classi non abbienti, si ebbe la totale
scomparsa di tali quadri le cui ultime
vestigia oggi ritroviamo pressoché
esclusivamente nel terzo mondo.
L’unico merito di tutto ciò fu però
quello di portare l’attenzione dello studioso sull’uomo, individuando in questo quelle occasioni di criminalità che
in passato erano rimaste costantemente
senza una sostanziale motivazione
esplicativa. Certo le idee lombrosiane e
dei suoi epigoni furono subito battute
in breccia dalle critiche dei tecnici, non
potendo la criminalità albergare soltanto
nelle costituzioni asteniche, nei soggetti malformati, ma è anche vero che
la circostanza alimentò gli interessi
tanto ad una considerazione psicologica e sociologica del crimine quanto
alla determinazione di quest’ultimo in
ambito giuridico, quell’ambito nel quale
il crimine sino a quel momento vi era
stato conservato alla stregua di un assioma della realtà non abbisognevole di
chiarimenti. Oggi, rivedendo a tali riguardi i contenuti tecnici delle ricerche
dell’epoca, è difficile frenare un impulso alla derisione, tanto delle premesse quanto delle conclusioni, di non
poche investigazioni scientifiche, ma
davvero non si possono deridere i risultati di quei criminologi che, studiando i
livelli intellettivi delle popolazioni carcerarie, vi reperivano il 97% di deboli
di mente e onestamente non si può farlo
quando le aliquote degli analfabeti nazionali si aggiravano sull’80% e quando per
di più le vite reclutate per le carceri appartenevano alle aliquote di lavoratori
non qualificati. Ma così deve dirsi altresì
nei confronti della delinquenza alcoolopatica quando si abbia presente che il vinismo era la via comune finale di quell’
indigenza cronica alla sopravvivenza che
caratterizzò l’intero secolo XIX e non
soltanto in Italia. Una domanda che sorge
ora e che, dopo quanto si è detto sin qui,
appare inevitabile, riguarda però la maggiore o minore possibilità che il secolo
in discorso aveva di contrastare i già criticati epiloghi della criminologia scientifica del tempo non apparendo prima
face giustificabile l’epilogo che ne conseguì. In sostanza, il biologismo del XIX
secolo fu ingenuo e quel che più conta atteso il Patrimonio culturale dell’epocapiù che ingenuo fu acritico e la fu non
tanto perché non tenne conto delle tradizioni culturali anteriori, quanto perché rifiutò queste ultime, viziato da ideologie
biologistiche. Invero l’onere biologistico
nella storia dell’umanità fu una realtá di
fatto inaccantonabile, cosi come lo è ancora al presente, ma ciò che dobbiamo
lamentare per l’‘800 fu che lo stesso si
impose a livello ideologicamente dominante con ciò comportandosi in misura
tale da sopprimere ogni critica più sensata.
continua
23
Istruzione
di G.E.A.
Scuola
Quando l’eccellenza…
Un altro importante riconoscimento per
l’Istituto Comprensivo ‘Frosinone 3’
S
abato 18 gennaio alle ore 16.00, presso l’aula magna dell’Istituto Tecnico Commerciale di Frosinone, sono stati premiati
i vincitori della 2a edizione del concorso d’informatica, rivolto a tutti gli alunni delle scuole medie della provincia. Tra
i 150 partecipanti si sono distinti tre studenti dell’Istituto Comprensivo Frosinone 3’: al 1° posto si è classificato Francesco
Bracaglia Morante, mentre Marco Costantini e Matteo Spaziani hanno conquistato, a pari merito, il 3° posto. I tre finalisti frequentano da circa un anno il corso ECDL (european computer driving licence), promosso dalla Scuola Media ‘ex Ricciotti’.
Qualche mese fa un altro alunno ha dato lustro alla scuola, raggiungendo un importante traguardo: Jacopo Nannini si è classificato 2° al ‘Campionato nazionale di cultura generale’, patrocinato dall’Associazione dei giornalisti italiani. Durante la cerimonia di premiazione il ragazzo ha ricevuto un iphone, mentre alla scuola sono stati assegnati 3.000 euro, con i quali è stata
acquistata una LIM, scelta dettata dall’esigenza di dotare di lavagne interattive tutte le aule dell’istituto: le future classi prime
potranno utilizzare questo strumento didattico innovativo, come molte classi già fanno.
In una scuola spesso marginalizzata e poco incentivata, sono propri i brillanti risultati che si trasformano in una forte motivazione
a continuare ad offrire il meglio, confermando la qualità dell’intervento didattico del corpo docente che trova compimento in
un POF ricco e articolato. Tra le attività più caratterizzanti ricordiamo il corso di cinese, in collaborazione con l’Istituto “Confucio” ( Università “La Sapienza” di Roma ); il corso curricolare di Latino; il corso propedeutico di Greco; il progetto L2
per alunni stranieri; il laboratorio teatrale di Davide Fishanger.
Si tratta di iniziative che vogliono rispondere alle esigenze di una scuola nuova, adeguate alla cultura tecnologica senza tralasciare le discipline umane, per concorrere ad una completa formazione dei giovani di oggi, uomini di domani.
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25
anni d’informazione
Istruzione
di Lucia Mancini
L’EUROPA RISPONDE ALLE ESIGENZE
DEI GIOVANI DI PREPARAZIONE AL LAVORO
L’ “ERASMUS” COME NUOVO PROGRAMMA
DELL’UNIONE EUROPEA PER L’ISTRUZIONE,
LA FORMAZIONE, LA GIOVENTU’ E LO SPORT
N
ella scuola secondaria quando si parla di orientamento universitario e di progetti relativi all’Europa la parola d’ordine
è “ERASMUS”: European Region Action Scheme for the
Mobility of University Students. Si tratta di un progetto nato nel
1986-19787 che prevede che uno studente italiano possa studiare in
un’università straniera o effettuare un tirocinio nei Pesi dell’Unione
Europea per un periodo compreso tra 3 e 12 mesi, usufruendo di una
borsa di studio che, oltre alla somma in denaro, comprende l’iscrizione gratuita all’università ospitante. In questo modo si offre una
squisita occasione ai giovani di incontrare l’Europa e di avere reali
possibilità di consolidare una formazione culturale, specialistica e
tecnica spendibile anche e soprattutto all’estero, a partire dalle nazioni europee più vicine all’Italia. Da almeno trent’anni ormai anche
le scuole, soprattutto le superiori, effettuano scambi culturali soprattutto con Francia, Germania, Inghilterra e i Paesi dell’Est, secondo
le possibilità offerte all’altro progetto ad esso collegato,
il “COMENIUS: si tratta di un programma settoriale
europeo che fa parte del Lifelong Learning Program,
che promuove lo sviluppo del valore delle diversità culturali e linguistiche in tutta Europa, basandosi sulla mobilità tra allievi, scuole e docenti coinvolti in attività
educative congiunte e raccordandosi con gli altri programmi scolastico “Leonardo Da Vinci” e “Grundtvig”.
Nascono così lavori didattici di interscambio, in cui si accolgono le
proposte dei docenti stranieri, si visitano opportunamente le scuole
e gli ambienti in cui si fruisce dell’insegnamento per poi ricambiare
l’hospitalitas, accogliendo a loro volta, spesso presso le famiglie
degli studenti che hanno effettuato lo scambio culturale, i ragazzi
stranieri che vengono a conoscere i luoghi italiani della scuola, della
cultura ma anche del divertimento. Da giovani, si sa, si parla una
stessa lingua, che non è necessariamente l’inglese, bensì quella ancor
più internazionale di svago, musica, ballo, distrazione, comunanza di
interessi: la scuola semplicemente fornisce loro un’opportunità in
più, ossia quella di poter considerare come fertilissimo terreno di
scambio anche la cultura, lo studio e le dinamiche che lo animano,
il processo di valutazione degli apprendimenti, ma soprattutto un apprendimento permanente. E’ ovvio che per realizzare questo intento
sia necessario lo strumento della lingua inglese, che al pari del latino
nel mondo romano, è il linguaggio di scambio comune tra tutti i popoli. Così, negli anni scolastici precedenti l’attenzione dei docenti
italiani e stranieri era rivolta soprattutto alla conoscenza e alla diffusione delle proprie metodologie didattiche, nell’ottica di uno scambio osmotico estremamente propositivo. Ne sono esempio le
tecniche valutative e di verifica della didattica italiana che si sono
fondate su metodologie sempre più simili a quanto accade all’estero: i test somministrati subito dopo la lezione a risposta chiusa,
le statistiche e le immediate strategie di recupero “ad personam” per
quanti non avessero seguito le tappe graduali del processo di insegnamento e di apprendimento. A partire dal primo gennaio 2014
sono entrate in vigore delle disposizioni integrative e delle innovazioni che modificano in parte il Regolamento (UE) N. 1288/2013
varato dal Parlamento Europeo e dal Consiglio dell’11 dicembre
2013. Di importante rilievo è innanzitutto la volontà espressa dal-
25
anni d’informazione
l’Europa che tutte le scuole straniere riescano a raccordarsi tra di
loro secondo un sistema unico e omogeneo di “didattica europea”.
Recita infatti il secondo paragrafo del suddetto Regolamento: “Le
relazioni di valutazione hanno sottolineato l’importanza di tessere
rapporti più stretti tra i programmi dell’Unione e gli sviluppi politici
nel settore dell’istruzione, della formazione e della gioventù, hanno
espresso l’auspicio che l’azione dell’Unione sia articolata in modo
tale da soddisfare meglio il paradigma dell’ “apprendimento permanente”, e hanno insistito perché si adotti un approccio più semplice,
di più agevole utilizzo e più flessibile all’attuazione di quest’azione
e si ponga fine alla frammentazione dei programmi di cooperazione
internazionale nell’ambito dell’istruzione superiore”. Dunque si riconosce un valore internazionale alla didattica delle scuole che deve
assumere la connotazione di “europea” fondandosi sul “metodo
aperto di coordinamento” (“OMC”), ossia su un metodo intergovernativo che istituisce un quadro di cooperazione tra gli
Stati membri, le cui politiche nazionali possono essere
dirette ad alcuni obiettivi comuni. Tale metodo necessita degli “strumenti dell’Unione per la trasparenza e il
riconoscimento”, ossia di strumenti che consentano alle
parti interessate di comprendere, valutare e, se del caso,
riconoscere i risultati dell’apprendimento e le qualifiche in tutta l’Unione. Ecco allora che si può parlare di
una didattica pensata alla luce di una “cooperazione transnazionale”,
alla quale si aggiungono le novità dell’attività sportiva, il collegamento diretto dell’apprendimento con le aziende e con le concrete
opportunità lavorative per una “mobilità di talenti” che tenga conto
anche di un futuro impiego nelle aziende. “Onde colmare il divario
tra le conoscenze acquisite con l’istruzione e la formazione, le abilità
e competenze richieste nel mondo del lavoro, e per aumentare le possibilità di impiego dei giovani, sono necessari tirocini e apprendistati
di qualità, inclusi quelli nelle micro imprese e nelle piccole e medie
imprese. Nello specifico, il programma riguarda i seguenti ambiti:
a) l’istruzione e la formazione a tutti i livelli, in una prospettiva di
apprendimento permanente, secondo i progetti relativi ai diversi ordini di scuole: l’istruzione scolastica di base (Comenius), l’istruzione superiore (Erasmus), l’istruzione superiore internazionale
(Erasmus Mundus), l’istruzione e la formazione professionale (Leonardo da Vinci) e l’apprendimento degli adulti (Grundtvig); b) la
gioventù (Gioventù in azione), in particolare nel contesto dell’apprendimento non formale e informale; c) lo sport, in particolare
quello praticato a livello amatoriale. Iniziamo intanto a dare una giusta definizione di ciò che è l’“apprendimento permanente”. Con tale
termine s’intende “ogni istruzione generale, istruzione e formazione
professionale, apprendimento non formale e apprendimento informale (ossia che avviene attraverso attività sia pianificate dai docenti
– inclusi i corsi di sostegno – sia quelle attività quotidiane connesse
alla famiglia, al lavoro o al tempo libero) intrapresi nelle varie fasi
della vita, che diano luogo a un miglioramento delle conoscenze,
delle capacità e delle competenze o della partecipazione alla società
in una prospettiva personale, civica, culturale, sociale e/o occupazionale, inclusa l’offerta di servizi di consulenza e orientamento”.
continua
25
Geologia
di Mario Catullo
FRANE
NELLA CITTA’
di FROSINONE
Capitolo secondo
Parte seconda
CARATTERI GEOMETRICI
L
e frane cittadine rispecchiano
nei relativi caratteri morfometrici due principali classi di fenomeni, differenziabili per la
profondità dei movimenti di versante
interessati. Ai dissesti superficiali, che
coinvolgono coltri di scivolamento con
spessori limitati ed inferiori ai dieci
metri di profondità, possiamo assegnare le frane del settore nord-est cittadino. Viceversa, le frane di natura più
profonda, con spessori superiori ai
dieci metri, di cui un esempio rappresentativo è quella che occupa la conca
di Viale Napoli, sono situate nel quadrante sud-est della cartografia cittadina. Il motivo del fatto è duplice,
ovvero legato sia alla diversità litologica delle coperture sommitali e
quindi alla differenza del materiale di
colluvium vallivo accumulato, che ai
depositi di alluvium, lasciati dal fiume
Cosa, nella sua storia geologica, sul
26
bordo dei suoi terrazzi fluviali. Mentre
nell’area sud abbiamo movimenti di
versante a morfologie areali estese,
nel settore nord le superfici interessate
sono più ridotte ed hanno un tipico carattere puntuale con aspetti di fenomeni localizzati che, anche quando
sono diffusi in zona a macchia di leopardo, non hanno mai il carattere di
continuità laterale e quindi di grande
estensione. Un fattore morfometrico
significativo consiste nel rapporto tra
la lunghezza dell’asse longitudinale,
nel verso della linea di massima pendenza (asse gravitazionale), e quello
trasversale. Alcune frane (ad esempio
quella di Viale Napoli) sono molto
estese nel verso della massima acclività del versante ed implicano rotazioni e traslazioni della massa
interessata con controllo del movimento da parte della resistenza basale.
Altre, invece, (vedi zona Colle Marte)
sono circa equiestese nelle due direzioni principali e, quindi, sono assimilabili a colate epidermiche di materiale
quasi omogeneo. Il carattere viscoso,
pur accomunando i due movimenti e,
quindi, la loro intrinseca capacità di
trascinare e coinvolgere gli strati immediatamente adiacenti, ha una spiccata differenza nei due casi: a Viale
Napoli il moto di pendio ha una natura
più profonda, spiegabile con la trasmissività idraulica delle litologie locali a forte carattere psammitico,
mentre a Colle Marte le masse coinvolte sono solo quelle più superficiali,
per la bassa trasmissività idraulica
della preponderante componente lutitica che si incontra negli strati superiori. Quando poi si innescano i primi
fenomeni di creep nelle coltri di copertura, questi tendono nel tempo ad annullare l’apporto dato dalla coesione
alla stabilità del pendio, in modo tale
25
anni d’informazione
Geologia
che il relativo valore iniziale si riduce
solo a quella residuo. In concomitanza
con un aumento della piovosità, si determina un rapido aumento delle pressioni interstiziali che porta il pendio
nelle condizioni di resistenza di picco,
tipiche della rottura stessa. In concreto,
l’unica possibilità realistica ed efficace
rimane, in questo caso, il monitoraggio, che permette di individuare la fase
di incremento della velocità di deformazione del pendio, che di solito precede
lo scatenarsi del disastro.
Strumento principe in queste determinazioni, rispetto a tutte le altre misure
accessorie topografiche, estensimetriche, fessurimetriche, resta l’inclinometro, perché fornisce dati completi e
non equivoci sui principali parametri
della massa interessata (superfici di
scivolamento, geometria, direzioni,
profondità, velocità).
PARAMETRI MECCANICI
Non esistono, allo stato attuale, tecniche alternative all’uso degli inclinometri per risolvere questo tipo di
problemi, se non quello di usare il metodo di Jackobson’s basato su rilevamenti in situ, ma a frana già avvenuta
!! Ausilii utili allo scopo sono anche i
sondaggi geognostici e la ricerca delle
superfici di scivolamento, attraverso il
calcolo matematico effettuato con i
metodi dell’equilibrio limite. misure
inclinometriche. Possiamo dire che,
escludendo quelli localizzati a Colle
Marte (presso il laghetto di Maniano)
25
anni d’informazione
ed a Viale Napoli (nella valle Olivastro), ogni altra frana cittadina include
piccoli volumi localizzabili nell’ordine
di 10.000 mc ed aventi energie potenziali comprese tra i 200-300 milioni di
joule. Queste frane modeste e puntuali
sono quelle che bordano la riva sinistra
del Cosa e sono quasi tutte dovute a fenomeni di scalzamento al piede, operato dall’erosione fluviale. Sono
generalmente dissesti impostati su limitate aree di pendio molto acclivi e
spesso costituite da materiali di accumulo o di risulta di origine antropica,
con superfici di scorrimento ad arco di
cerchio. A volte le coperture superficiali sono di tipo eluviale a carattere
limo-sabbioso e ricoprono alternanze
ritmiche di arenarie ed argille marnose. Naturalmente, l’intensità dell’erosione è governata dal materiale
trasportato dalla corrente fluviale e
dalle sue proprietà abrasive, oltre che
dalla velocità della corrente di trascinamento. Tuttavia, essendo il gradiente
fluviale percentuale inferiore all’1%, il
fattore preponderante diventa il trasporto solido in sospensione ed il suo
relativo grado di durezza. Di solito
questo materiale è costituito da residui
scabrosi ed angolosi, nati dal disfacimento delle arenarie, a monte del tratto
cittadino. A grandi linee, il Cosa
asporta materiale (erosione laterale di
sponda sinistra) più intensamente nel
tratto finale (zona Fornaci e Colle del
Vescovo) del suo corso. Quì raggiunge
la sua massima portata solida, prima di
confluire nel Sacco, in contrada Pantana, poco oltre il confine sud del territorio comunale, dove è situato il suo
livello di base. Morfologicamente, proprio l’erosione laterale differenziale ha
generato la conformazione collinare
arenacea sulla sponda sinistra del Cosa
(dove sorge il centro storico della
città), mentre sulla sponda destra predomina una morfologia a penepiano,
ricoperta dalle alluvioni dello stesso
fiume e da quelle del Sacco. Sulla riva
destra, pur essendo meno evidenti i fenomeni erosivi, esistono tuttavia problemi di tenuta delle sponde fluviali,
compromesse dall’incuria e dalla urbanizzazione selvaggi. Infatti negli anni
‘50 la città si è estesa a macchia
d’olio. Partendo dal primitivo centro
storico in collina, abitazioni e industrie
sono aumentate fino ad occupare tutta
la vallata sottostante. Così si è avuta
un’intensa opera di disboscamento
delle sponde fluviali, per far posto ad
opere di urbanizzazione accessorie.
Ogni anno, dopo le prime piogge invernali, si è assistito in città al rito atavico del transennamento delle zone
cittadine, dove si sono generati i primi
limitati scoscendimenti e dissesti.
Stagione dopo stagione i problemi lasciati insoluti si sono sommati tanto da
pervenire agli attuali inquietanti eventi
di proporzioni notevoli e devastanti, ai
quali ancor oggi non è stato posto l’abbrìvio di un qualsivoglia urgentissimo
intervento.
(continua)
27
Ambiente e territorio
di Bianca Santoro
Il silenzio assordante
degli amministratori
U
n noto quotidiano nazionale “Italia Oggi”, che ogni anno
pubblica le classifiche di vivibilità dei capoluoghi di provincia, ci continua a declassare: siamo all’87° posto cioè
tra le ultime. E il silenzio dei nostri Amministratori ci fa preoccupare non poco. Ho scritto vari articoli sulle carenze, deficienze,
trascuratezze, difetti, disdicevoli e incomprensibili situazioni del
nostro territorio, per suscitare una qualche significativa reazione,
ma tutto scorre come acqua, sulla pelle dei cittadini, e tutto rimane come ieri ma speriamo non domani. Ciò nonostante non
voglio interrompere il discorso sulla “città”, considerandolo soltanto un mero saggio lamentoso, con qualche proposta inascoltata. La mia professione consentirebbe di trattare tutta la
questione con perizia legislativa e normativa, in quanto, come ha
dimostrato la distorta e spontanea trasformazione territoriale, la
legge sul governo del territorio non viene applicata neanche in
parte (forse poco comprensibile e poco adatta alle esigenze dei
cittadini?). I Piani Regolatori, laddove sono stati adottati, risalgono alla notte dei tempi, sia perché è stato difficile per gli Amministratori locali dare regole precise e fare scelte discutibili, sia
perché la Regione Lazio, che si è sempre mantenuta il potere di
esame e giudizio degli strumenti urbanistici, ha artatamente burocratizzato la procedura di approvazione, con tempi lunghissimi.
E allora quale è stata la conseguenza? gli abusi più o meno legittimati. E questo non è giusto perché in democrazia è necessario
che l’Ente pubblico conosca le esigenze dei cittadini, le governi
e non crei distorte situazioni di privilegi. Lo Stato, forse cosciente
del degrado in cui versano soprattutto le periferie e altre zone critiche delle città, con apposito dispositivo di legge promulgò, nel
1998, i cosiddetti “contratti di quartiere”, come
programmi innovativi per il recupero edilizio,
economico e sociale di aree degradate. Nella
loro articolazione erano finalizzati a favorire,
con la partecipazione anche di interventi privati, la dotazione infrastrutturale e il recupero
edilizio, incrementando così l’occupazione,
sviluppando l’integrazione sociale e l’adeguamento dell’offerta abitativa. Ebbene, come ha
rilevato ultimamente anche la Corte dei Conti,
sono stati un fallimento, sia per il mancato utilizzo dei fondi messi a disposizione dallo Stato
(soltanto tra il 50e il 60%) e sia per gli interventi spesso inutili e/o incompleti. I fondi, gestiti per lo più dall’ATER (Azienda Territoriale
Edilizia Residenziale) ex Istituto Case Popolari, (per inciso siamo i primi al mondo capaci
di cambiare le denominazioni agli Enti, ai Ministeri, agli Assessorati ecc. senza modificare
nulla della poca efficienza e burocratizzazione), sono serviti per continuare a costruire o
a riparare o a ristrutturare solo “case”. Gli altri
Enti, i Comuni, in particolare, hanno fatto le
28
comparse, senza denunciare questo vergognoso spreco di potenzialità finanziarie, che potevano costituire un elemento fondamentale per il recupero del territorio e il coinvolgimento dei
privati per migliorare la vivibilità delle città. In alcuni casi, di cui
ho conoscenza diretta, si è partiti con coinvolgenti e apprezzabili
obiettivi: realizzazioni di centri per attività associative; rivitalizzazione economica e promozione sociale per la gestione di molteplici attività (pub, piccola ristorazione, libro-discoteca,
commercio, ecc); riqualificazione del tessuto residenziale. Gli
unici interventi avviati sono stati gli ultimi (costruzioni e riqualificazioni edilizie da parte dell’Ater) per gli altri è solo previsione e gli Amministratori comunali tacciono. Osserviamo, ora,
alcune gravi carenze della “città” di Frosinone. Negli anni dal
25
anni d’informazione
dopoguerra, in poi, sono state costruite tante case popolari (edilizia residenziale pubblica) e, spesso questi agglomerati, sono
stati chiamati quartieri, (es: Selva Piana, Colle Timio, Cavoni)
ma si può sostenere, senza alcun dubbio, che di quartiere non
hanno i presupposti, perché è sempre stato inteso come nucleo
autonomo per funzionalità e fisionomia all’interno di un agglomerato urbano. Con i “contratti” citati qualcosa si poteva fare,
ad esempio: la sistemazione delle aree, spesso incolte, rimaste
senza destinazione, per impiantare giardini; la realizzazione di
centri sociali e civici; la sistemazione viaria e l’arredo urbano; la
pedonalizzazione permanente di aree centrali; il recupero di edifici impropriamente costruiti (alti, bassi, casupole, villette, capannoni, depositi, lattoniere, ecc.) unificando le tipologie per
creare un vero tessuto urbano; la creazione
di piccole scuole per l’infanzia; marciapiedi percorribili; piste ciclabili e quant’altro per renderle comunità organizzate.
E questo compito sarebbe stato abbastanza semplice, se si fosse ricorso, anche
alla partecipazione attiva dei cittadini e
alla perequazione urbanistica. Ma era necessario un forte impegno degli Amministratori. Passiamo ora a riconsiderare,
almeno in parte, la situazione viaria della
“città”, (forse mi ripeterò, non avendo
constatato alcun cambiamento di rotta).
La rete viaria di Frosinone è insufficiente,
irrazionale, degradata e trascurata. Mi
spiego meglio: negli ultimi decenni sono
state costruiti pochissimi tronchi viari e
alcuni anche pericolosi, (vedi il collegamento tra p.le Gramsci e via Napoli), non
è stato affrontato nella giusta misura il
grave problema del collegamento tra la
città alta e quella bassa, è reso ancor più
difficile dalla interruzione del viadotto
25
anni d’informazione
“Biondi” (e si ignora per quanto tempo), e non
certo è risolto con un ridicolo ascensore, con il
rebus del suo funzionamento o con l’utilizzo delle solo vecchissime strade (via Casilina, via Gaeta, viale Mazzini e via Ciamarra) tra l’altro non collegate da strade trasversali. Cosa dire,
poi, degli stradoni (corso Francia e corso Lazio) che finiscono
nel nulla o quasi (forse per non contrastare interessi privati?).
Dove, poi, si è costruito negli avvallamenti, fra le colline, le
strade di accesso si innestano, con assurde pendenze, sulle vie
principali, sopra citate, e non sono state realizzate reti viarie
nuove, di fondovalle. Non si prende in considerazione l’importante flusso che dalla stazione raggiunge i luoghi di maggior interesse come, ad esempio, il Conservatorio. A proposito vorrei
segnalare l’indifferenza verso quegli studenti, con i loro ingombranti strumenti, e i professori che arrivando a Frosinone con
treno o autobus a piazzale Kambo vogliono raggiungerlo a
piedi, passando per un sottopasso della via Monti Lepini, all’altezza dell’Agenzia delle Entrate, lungo un percorso lasciato, in
modo vergognoso, alle erbacce, alla sporcizia e ad altri innominabili residuati. Quanto costerebbe sistemarlo, per renderlo, almeno, decentemente pedonale? Questo è un caso emblematico
della trascuratezza e dell’indifferenza. Cosa dire, poi, delle
strade di cresta che servono centinaia di abitazioni e che in molti
tratti sono pericolose perchè strette, instabili, senza banchine o
marciapiedi o altri ripari e quindi impercorribili anche a piedi
(se si ha qualche inconveniente all’auto, è necessario proseguire, anche spingendo a mano il mezzo, perché mancano aree
di sosta). Un doveroso accenno, poi, ai continui avvallamenti
su quasi tutte le strade principali, risultanti dai mal raccordati
chiusini alla pavimentazione stradale, che creano disagi e pericoli. Per concludere, perché gli Amministratori vecchi e nuovi,
solo in campagna elettorale ci coinvolgono, sommergendoci di
programmi, ma poi insediatisi lasciano i cittadini nella quasi totale ignoranza di cosa fanno, cosa vogliono fare e quanto non
possono realizzare, motivandone il perché?
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MEDICINA
Rubrica a cura del Prof. Dr. Leonardo Manzari
Medico Chirurgo - Specialista Otorinolaringoiatra
a Chirurgia Cervico Facciale
Membro del Board della Prosper Maniere Society
I
disturbi dell’equilibrio rappresentano
una frequente richiesta di consulto al
medico di base, al pronto soccorso o allo
specialista otorinolaringoiatra, in particolare
da parte di pazienti anziani, nei quali le vertigini possono influire significativamente
sulla qualità della vita quotidiana provocando cadute ed eventuali lesioni traumatiche. L’iter diagnostico-terapeutico del paziente vertiginoso può risultare altamente
complesso come pure sostanzialmente semplice nel caso del quadro morboso di più
frequente riscontro in ambito clinico, che
oggi viene più propriamente denominato labirintolitiasi ma che in passato è stato definito anche vertigine parossistica posizionale
benigna, canalolitiasi, cupololitiasi, vertigine
posizionale, ecc. La labirintolitiasi è oggi
considerata la forma in assoluto più frequente di vertigine isolata (in assenza di sintomi neurologici e/o uditivi), che affligge
tutte le età ed incide forse con una maggiore
prevalenza nel sesso femminile. E’ la sindrome vertiginosa a più elevata prevalenza,
costituendo da sola circa il 20% delle vertigini osservate in un ambulatorio di otoneurologia “generale”. L’ipotesi causale più accreditata si basa sulla dislocazione di
materiale inorganico (otoliti), normalmente
posizionato sulla macula dell’utricolo (che
rappresenta uno dei 2 sensori di accelerazione lineare del labirinto vestibolare)
In questo mese continuiamo il nostro viaggio nelle principali patologie che affliggono
l’organo labirintico vestibolare dell’orecchio interno. Stavolta affronteremo il tema della
Labirintolitiasi, altrimenti definita come vertigine parossistica posizionale benigna, canalolitiasi, cupololitiasi, vertigine posizionale, ecc.
La Labirintolitiasi rappresenta una forma nosologica più o meno invalidante che in
ogni caso altera la qualità della vita di chi ne risulta affetto .
La Labirintolitiasi
(Fig.1) , all’interno dei canali semicircolari
potendo depositarsi sulla sostanza cupolare
dei recettori ampollari (cupolo-litiasi) o rimanere flottante nel loro interno (canalo-litiasi).Fig.2 La causa del distacco è comunque sconosciuta. Ad oggi si ipotizza
ragionevolmente, dopo studi post-mortem
su pazienti che hanno sofferto di questo
forma nosologica, una causa virale. Sta
emergendo inoltre l’idea che tale patologia
possa colpire soggetti affetti da osteoporosi,
e tale considerazione giustifica ampiamente
il dato epidemiologico, sesso femminile più
colpito del maschile nella quinta , sesta decade di vita. La malattia si caratterizza essenzialmente per l’insorgenza di crisi vertiginose di notevole intensità e breve durata
indotte da variazioni della postura del soggetto; solitamente si associa l’instabilità posturale cronica che spesso rappresenta la
fase tardiva del quadro clinico. L’esordio
della vertigine è scatenato da movimenti rapidi sia del corpo (passaggio dal clino all’ortostatismo e viceversa, piegamenti, flessioni,
ecc.) che della sola testa (rotazione ed estensione del capo, ecc.). I pazienti riferiscono
solitamente le vertigini al momento di coricarsi o di alzarsi dal letto, al momento di allacciarsi le scarpe, nel sollevare e/o volgere
bruscamentente il capo (girandosi nel letto
da un fianco all’altro, …). La crisi vertiginosa è spesso molto intensa ed accompa-
Fig. 2 In questa immagine è
possibile identificare il materiale otoconiale distaccatosi
dalla macula dell’utricolo e
presente nei canali semicircolari o adesa ad una struttura
sensoriale presente nei canali
stessi e denominata cupula.
Per tale ragione, se il materiale otoconiale risulta adeso
alla cupula si definirà la malattia come cupulolitiasi, altrimenti se gli otoconi saranno
liberi di flottare nel liquido
presente nel canale, endolinfa,
la malattia sarà definita come
canalolitiasi.
30
Fig.1 La macula dell’utricolo, fotografia ottenuta
con microscopio elettronico. L’organo di senso presente nell’orecchio interno, da cui si distaccano i cosiddetti otoliti. Questi ultimi liberi di flottare nel labirinto vestibolare possono terminare in uno dei 3
canali dell’equilibrio e dar luogo alla sintomatologia
tipica della malattia .
gnata da un corteo sintomatologico neuro-vegetativo importante (nausea, vomito, sudorazione profusa, raramente diarrea, ecc.) che
contribuisce a spaventare se non terrorizzare
il paziente. E’ per questo motivo che spesso
il malato riferisce erroneamente una vertigine
di lunga durata (anche giorni) e tende a mantenere la posizione supina per paura di rivivere le sensazioni vertiginose. L’evidente
natura posizionale della sintomatologia rappresenta quindi un elemento che dovrebbe in
ogni caso far scaturire la necessità di uno
specifico iter diagnostico semeiologico (effettuazione delle manovre diagnostiche per
VPP). Purtroppo, non sempre questa caratterizzazione qualitativa della vertigine emerge
con chiarezza anche da un interrogatorio
anamnestico ben condotto: alcuni pazienti,
infatti, dopo la fase di esordio clinico, evitano
(prima volontariamente, poi inconsciamente)
specifiche posture o l’effettuazione di movimenti rapidi per limitare al massimo l’insorgenza della crisi. Spesso, questi pazienti descrivono principalmente una condizione di
instabilità posturale subcontinua (e non la
vertigine posizionale!) che li porta ad “irrigidire” il collo, ad eseguire i movimenti con
notevole cautela, a dormire in posizioni “viziate”.
Purtroppo, tale condizione, per le peculiari
caratteristiche funzionali del sistema vestibo-
25
anni d’informazione
Medicina
lare, favorisce un circolo vizioso per il quale
la sintomatologia vertiginosa, seppure qualitamente e quantitativamente differente,
tende a persistere nel tempo. La rigidità nucale, per contro, induce quasi costantemente
una cefalea gravativa subcontinua, elemento
che può far erroneamente interpretare la vertigine nell’ambito delle forme propriocettive
(leggasi vertigine “da cervicale”), che per i
neuro-otologi rappresentano oggi, in contrasto al pensiero purtroppo ancora dominante e diffuso in ambito non specialistico, una
causa assolutamente rara di vertigine. La diagnosi della labirintolitiasi è basata sull’effettuazione di alcuni specifici test
semeiologici, le cosiddette
“manovre diagnostiche di posizionamento”, che nella cosiddetta “fase attiva” (di durata
variabile da giorni a settimane)
permettono l’evocazione del
patognomonico (nistagmo parossistico posizionale (NyPP).
Si deve sottolineare che “patognomonico” è un termine medico (derivato dal sostantivo
greco pathos = malattia e dal
verbo greco ghignosko = conoscere, riconoscere) che si riferisce a segni o
sintomi che consentono di riconoscere una
malattia, nel senso che sono associati univocamente ad essa, cioè tipici di essa e non di
altre. Pertanto è necessario che il clinico riconosca il nistagmo, movimento oculare tipico, della malattia nella fase acuta. L’esame
semeiologico non strumentale del paziente
in fase acuta, o in vicinanza di questa, è un
momento di fondamentale importanza poiché permette di rilevare segni che possono
non essere più apprezzabili in momenti successivi. Essa va effettuata con l’ausilio di
speciali attrezzature come gli occhiali di
Frenzel oppure un sistema di video nistagmoscopia. (Fig.3) L’osservazione tardiva del
paziente può condizionare un più complesso
e costoso iter diagnostico strumentale che
spesso si limita ad escludere altre forme di
vertigine piuttosto che ad avvalorare l’ipotesi diagnostica di labirintolitiasi.
La terapia della Labirintolitiasi è costituita
da un trattamento riabilitativo specifico che
prevede l’effettuazione di particolari manovre di posizionamento del paziente (le cosiddette “manovre liberatorie o di riposizionamento del materiale otoconiale”, di
queste discuteremo nel prossimo numero
, ndr ), rivolte a ripristinare una corretta dinamica funzionale dei recettori canalari.
L’impostazione di un corretto trattamento
terapeutico non può che basarsi su una preliminare fase diagnostica rivolta ad identifi-
25
anni d’informazione
care il tipo di coinvolgimento canalare, ovvero “quale dei sei canali è affetto?”. E’ la
cosiddetta caratterizzazione clinica della
labirintolitiasi, che deve essere condotta da
personale medico adeguatamente esperto
nelle diverse forme di labirintolitiasi.
Solitamente il trattamento riabilitativo, soprattutto se effettuato nella fase acuta della
malattia, risulta efficace in più dell’80%
dei casi, sebbene spesso possano essere ne-
Fig.3 I sistemi di video nistagmoscopia . Gli
strumenti necessari e di ausilio nella diagnostica
della labirintolitiasi, necessari per verificare la
cosiddetta fase attiva della malattia.
cessarie più sedute terapeutiche. Sia durante
la fase diagnostica che quella terapeutica,
può scatenarsi la crisi vertiginosa,addirittura
a volte più intensa di quella registrata dal paziente durante l’esordio della sintomatologia. E’ sempre prudente, prima di ogni manovra diagnostico-terapeutica, valutare
attentamente il livello di ansia del paziente
e la presenza di condizioni morbose pre-esistenti (soprattutto cardiopatie gravi) e informare adeguatamente il paziente sul significato e sulle possibili conseguenze del
trattamento stesso. Nell’evoluzione naturale
della Labirintolitiasi si identifica una “fase
attiva” ed una “fase inattiva”, di durata imprevedibile, in cui può persistere una vaga
sintomatologia vertiginosa subcontinua e/o
una instabilità posturale con tendenza alla risoluzione spontanea.In caso di pazienti anziani, patologie neurologiche, patologie
osteo-muscolari, ecc. la fase tardiva può
protrarsi a lungo. Poiché la disfunzione vestibolare nell’anziano può associarsi a quella
cervicale e/o multisensoriale (riduzione
dell’acuità visiva e della motilità oculare,
artrosi, osteoporosi, interazioni farmacologiche, disturbi cognitivi e dell’affettività), è
importante tentare di abbreviare il più pos-
sibile sia la fase attiva che quella tardiva
della VPP con un approccio terapeutico
multidisciplinare (trattamenti riabilitativi fisiatrici e farmacologici di supporto) per evitare cadute accidentali dalle conseguenze
mediche e socio-economiche importanti. In
una minoranza di pazienti, il trattamento riabilitativo della labirintolitiasi risulta totalmente inefficace o si assiste alla ricorrenza
ravvicinata di fasi attive che rispondono al
trattamento riabilitativo solo
per una breve periodo temporale (anche pochi giorni). In
questo caso, può essere opportuno verificare giornalmente
l’efficacia del trattamento terapeutico (trattamento intensivo), tentare una riabilitazione
strumentale e attivare un iter
diagnostico di approfondimento laboratoristico e neuroradiologico. La diagnosi differenziale, soprattutto con
patologie della sfera vestibolare centrale, si impone, infatti,
nei confronti dei casi che non
rispondono al trattamento riabilitativo. La diagnosi ed il
trattamento della Labirintolitiasi può coinvolgere pertanto
numerose figure professionali (medico di
famiglia, otologo/otoneurologo, neurologo,
oculista, internista, medico d’urgenza, geriatra, fisiatra, ecc.) ed assorbire rilevanti risorse in termini di costi e tempo. La Labirintolitiasi è una malattia nel 40-50% dei
casi ricorrente, ovvero fasi di benessere si alternano ad episodi di VPP. Non sono ancora
attualmente noti fattori di rischio o scatentanti la recidiva e pertanto non è ipotizzabile
alcun trattamento preventivo. Più della metà
delle forme di Labirintolitiasi deve essere
considerata idiopatica; una causa presunta
può essere individuata in caso di una pre-esistente degenerazione dell’utricolo (malattia
di Ménière, processi infiammatori dell’orecchio medio ed interno, neurolabirintiti virali,
ecc.). Solo per le forme post-traumatiche in
cui esista un rapporto temporale certo di
causa – effetto (come per i traumi cranici minori e maggiori, colpo di frusta, interventi di
otoneurochirurgia, interventi odontoiatrici,
barotraumi, ecc.), l’eziologia può considerarsi nota. La Labirintolitiasi si è infine dimostrato avere una stretta correlazione epidemiologica (e forse eziologica) con alcune
patologie quali l’emicrania e la tiroidite autoimmune oltre come detto sopra anche con
l’osteoporosi. Considerate l’elevata incidenza e la frequente ricorrenza del quadro
morboso, è molto probabile che altri oppure
più fattori possano rappresentare degli elementi concausali.
31
E’ PARTITA LA
nche quest’anno il centro Otovision,
A
con lo staff formato da ottici-optometristi e audio protesisti, ha iniziato una
campagna di prevenzione per tutti coloro che
hanno o presumono di avere problemi inerenti
la vista e l’udito. Noi abbiamo intervistato la responsabile del Centro, la signora Marcella Molella che ci ha concesso questa intervista.
di G.E.A.
Sig.ra Marcella lei, ogni anno, attua un programma
di prevenzione per la cura della vista e udito. Perché?
“Molte delle condizioni di rischio per la popolazione,
in particolar modo nella nostra provincia, si possono
contrastare con adeguate attività di prevenzione o di
cura, prevenendo opportunamente alcuni fattori di rischio e favorendo l’invecchiamento attivo. La prevenzione della perdita di vista e udito, sono oggi
perseguibili con interventi di provata efficacia”.
Le persone, in mancanza di capacità di comunicazione, sono fattore a rischio e peggiorano la loro qualità della vita?
“Assolutamente sì! Le disabilità legate a vista e udito
condizionano e peggiorano notevolmente la loro qualità
della vita. I problemi di vista costituiscono un importante fattore di rischio per le cadute. Già nel 1997,
l’OMS ha lanciato un programma d’azione per eliminare
i problemi di vista evitabili entro il 2020”
Allora come intervenire?
“Fornire un’assistenza appropriata alle persone con problemi visivi e uditivi.
A Frosinone e nella nostra provincia quante persone
hanno problemi di vista e di udito?
“Dai contatti che abbiamo possiamo affermare che circa
l’8% riferisce di non vedere bene e di non indossare gli
occhiali. Spesso notiamo che le persone che hanno questo problema percettivo sono quelle a rischio e quelle
con segni di fragilità e anche tra i disabili; per l’udito è
importante avere un chiaro ascolto per far in modo che
32
il cervello possa elaborare informazioni corrette”.
E tra le persone anziane?
“Anche in questa fascia le oscillazioni sono tra il 8/9%”
Lei ha sempre sostenuto che gli occhi sono lo specchio
dell’anima, ci vuole spiegare questa sua massima?
“Sappiamo tutti che non c’è mezzo di comunicazione che
li possa sostituire. Senza dubbio è uno dei cinque sensi
più importanti del nostro organismo”.
Vogliamo parlare dell’udito?
“Certamente!”
Quanto vale l’udito?
“7 italiani su dieci considerano il senso dell’udito importante quanto quello della vista; eppure il 65% di intervistati non adotta nessuna misura per prevenire
eventuali disturbi”.
Come lo spiega?
“Da una mancanza di attenzione da parte degli interessati, che a volte trascurano il problema”.
In questi due mesi di prevenzione, i test è gratuito?
“Certamente sì!
Chi deve venire a fare il test?
“A mio avviso tutti, dai bambini ai grandi, ossia tutti coloro che hanno difficoltà nel leggere, scrivere o non sentire perfettamente”.
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33
L’Opinione
di Mario Cerroni
L’Italia senza carismi
M
i viene in aiuto, in questo
scritto, la poesia del poeta romanesco Carlo Alberto Salustri, più conosciuto con lo pseudonimo
di Trilussa, anagramma del cognome.
La poesia ha come titolo “La politica”:
“Ner modo de pensa’
c’è un gran divario:
mi padre è democratico cristiano,
e, siccome è impiegato ar Vaticano,
tutte le sere recita er rosario;
de tre fratelli,
Giggi ch’è er più anziano
è socialista rivoluzionario,
io invece so monarchico, ar contrario
de Ludovico ch’è repubblicano.
Prima de cena liticano spesso
piè via de sti principi benedetti:
chi vo qua, chi vo la.....
pare un congresso!
Fanno l’ira di Dio!
Ma appena mamma
ce dice che so cotti gli spaghetti
semo tutti d’accordo
ner programma.”
La poesia fa, a distanza di decenni-era
del 1915-la fotografia precisa di come
la politica negli anni,- nonostante i gridati rinnovamenti, mai avvenuti-non
sia cambiata: ogni principio, ogni idea,
ogni posizione, strillata nel giorno
prima, a cena o a pranzo tutto trova livellamento ed un accordo, quando c‘è
da dividersi la torta; quando si devono
trovare i modi ed i mezzi per continuare a dissanguare i cittadini, con gabelle, proprie del periodo medievale.
Quando il signore o signorotto di turno,
oltre a pretendere il diritto della prima
notte, voleva sempre più soldi, affamando fino alla morte tanta gente.
Oggi, in modi diversi, in tempi diversi,
si continua a lacerare il tessuto sociale,
chiedendo soldi ora per la casa, ora per
i servizi di nettezza urbana, usando termini che confondono sempre più la
gente: imu, tares, iuc. Che fantasia questi tecnici!!!. Grazie ad una politica piccola. E’ vero che non bisogna mettere
nel mazzo dello scontento, della critica
25
anni d’informazione
tutti i politici, collocati nei diversi livelli di responsabilità, ma è altrettanto
vero che loro non fanno nulla o pochissimo per cambiare. Loro continuano a
vivere nei privilegi come se nulla fosse:
il signore è chiuso nel castello fortificato, mentre la plebe è affamata, sbattuta, quasi, sul lastrico. Di chi le
responsabilità? In Italia non esiste, per
alcune caste, la parola responsabilità.
Per loro c’è l’immunità, l’ intoccabilità,
come era ai tempi dei signorotti medioevali. La casta non si tocca,si perpetua, si tramanda da padre in figlio con
tutti i tantissimi privilegi. Chi è stato a
creare tale situazione? Io non c’ero,
non sono stato io: colpa dell’Europa,
della Germania. Mai nessuno che dice:
ho sbagliato. Diversi politici, da decenni alla guida del nostro Paese, in diverso modo, si presentano a noi sottomessi, a noi sudditi sfiniti, a noi
creduloni-, con una faccia da.., con
l’arroganza dell’ intoccabilità e quindi
di una nuova verginità politica, sociale
e morale. Loro sono sicuri che noi, ottusi, dimentichiamo subito tutto:
stiamo lì a tifare per questo o per
quello, dimenticando che questo o
quello sono stati causa che ha aggravato la crisi del sistema Italia.
Come succedeva nel basso medioevo,
nei periodi più bui del nostro paese.
Loro hanno capito, -dopo l’incapacità
del grillismo di “rivoluzionare” in
senso costruttivo il sistema, dopo la verifica sulla incapacità dei cosiddetti
“forconi”di movimentare masse “oceaniche”- che noi non siamo per la
rivoluzione: ci parliamo addosso, critichiamo, ci lamentiamo, aspettiamo il
salvatore, poi tutto finisce intorno al
classico piatto di...lenticchie. Ecco,
perché non vogliono fare la legge elettorale o comunque rinviarla il più possibile, nonostante il pressing di Renzi,
il quale rischia di finire nelle sabbie
mobili della palude romana, che tutto
vuole cambiare senza cambiare. I poteri forti ed occulti che, da decenni condizionano la vita sociale, finanziaria e
di sistema dell’Italia, anche per colpa
di una certa politica subalterna, asservita, vogliono continuare a comandare
in qualunque modo e mezzo. In Italia,
da un pezzo, si legge in un articolo del
professor Luigino Bruni, “l’insufficienza morale e civile del nostro tempo
è anche la conseguenza dell’espulsione
dei carismi dalla vita pubblica.” E
quando mancano i carismi “l’economia, la politica e la società si smarriscono, perché manca loro la risorsa
essenziale della gratuità.”
35
Eventi celebrativi
di Massimo Sergio
La fucilazione
nel Curvone
Lungo viale Giuseppe Mazzini, che
conduce verso l’ospedale Umberto
Primo, in quel del capoluogo ciociaro,
esiste un tratto abbastanza impegnativo
consistente in un angolo a centoottanta
gradi che tutti familiarmente chiamiamo
“il Curvone”. Là, il giorno dell’Epifania
anno domini 1944, tre giovani reclute di
origini toscane furono fucilate dai
nazi/fascisti, per cui quel tratto di curva
è stato ufficialmente denominato Largo
dei Tre Martiri Toscani. Quei tre giovanissimi rispondevano ai nomi di Pierluigi Bianchi, Giorgio Grassi e Luciano
Lavacchini e furono obbligati all’arruolamento come previsto nel cosiddetto
bando del Maresciallo Rodolfo Graziani, ministro della R.S.I., per evitare
ulteriori tragiche conseguenze. Furono
avviati nel sud d’Italia, sul martoriato fronte di Cassino, ed
adoperati per lavori di sterro
stradale dalle armate tedesche,
che tentavano di rafforzare le difese per arginare la lenta ma dirompente avanzata degli Alleati.
Assieme ad essi, altri dieci ragazzi di varia estrazione sociale
e provenienti da varie località,
che avevano subìto la stessa sorte, si accordarono a fuggire, non mettendo in
conto i rischi e i risvolti tragici di una
tale decisione. Ma quasi subito furono
catturati subendo un sommario processo
di disobbedienza militare e diserzione.
La sorte ebbe il suo crudele e beffardo
corso facendo prescegliere i nomi dei
tre toscani da fucilare, mentre gli altri
dieci ragazzi furono deportati ai lavori
forzati in Germania. Ora sono trascorsi
settanta anni da quel tragico e toccante
evento e la Banca Popolare del Frusinate, in persona del suo Vice Presidente,
Domenico Polselli, ha voluto ricordare
alla popolazione ciociara quel fatidico
giorno dell’Epifania, con un toccante
discorso/racconto ed una sobria ma
commossa manifestazione commemorativa. Nell’anno 2003 uno dei dieci superstiti, di nome Angiolino Terrinazzi,
per voler realizzare un suo sogno, si
36
diede da fare per poter erigere un monumento in memoria die quei tre giovani toscani martiri di guerra. Grazie
all’impegno dell’allora presidente provinciale dell’ANPI, prof. Virginio Reali,
e delle amministrazioni locali, sia provinciale che comunale, tutti si mossero
in tal senso per addivenire alla realizzazione di quanto desiderato e sognato dal
Terrinazzi. Si sa che l’Istituto Bancario
frusinate è ad alta vocazione localistica,
sempre maggiormente attenta alle tradizioni culturali, storiche, geografiche,
socio-economiche del territorio, a testimoniare i valori di libertà e di giustizia
che l’intera popolazione ciociara ha sostenuto e messi in atto. Si ricorda infatti
ancor più l’impegno della Banca Popolare del Frusinate nel commissionare ad
un valido artista e scultore come il
Maestro Alberto Spaziani l’ideazione e
la realizzazione di quel monumento
che fosse di imperituro mònito alle
genti in avvenire. Tale opera scultorea,
di bella fattura e di facile leggibilità fu inaugurata dieci anni or
sono, lo stesso giorno dell’Epifania. Il dr. Domenico Polselli, nel
suo discorso ha sottolineato, a terminare, che tutto questo dimostra
la vicinanza della Banca alla gente
che intenda ricordare e celebrare
eventi di tale spessore e “un impegno che auspico possa essere una
esortazione a non dimenticare, una
esortazione ad operare affinchè, soprattutto i giovani, abbiano la consapevolezza della storia e delle vicende di cui
la nostra terra è testimone, per costruire
insieme un futuro migliore”.
E’ anche notorio che la Banca Popolare
del Frusinate, nei suoi variegati impegni civili, e non solo, svolge opera meritoria proponendo ai suoi clienti la
pubblicazione di volumi finemente rilegati ed ampiamente documentati,
come quello di quest’anno che è dedicato alla “Regola e san Benedetto” riproposta in edizione limitata e pregiata
nel pensiero e nelle parole di Gregorio
Magno. Ma di questo leggerete, in altra
parte del prossimo numero di marzo, in
quanto riportato nell’articolo scritto
dalla nostra attenta collega Barbara
Turriziani, che vi invito a tenere nel debito conto e riflessione.
25
anni d’informazione
Psicologia
di Ilaria Antonucci - Psicologa e psicoterapeuta
Lo psicologo nella scuola
“I
nostri studenti che vanno male (studenti ritenuti senza avvenire) non vengono
mai soli a scuola. In classe entra una cipolla: svariati strati di magone, paura,
preoccupazione, rancore, rabbia, desideri insoddisfatti, rinunce furibonde,
accumulati su un substrato di passato disonorevole, di presente minaccioso, di futuro
precluso. Guardateli, eccoli che arrivano, il corpo in divenire e la famiglia nello zaino.
La lezione può cominciare solo dopo che hanno posato il fardello e pelato la cipolla.
Difficile spiegarlo ma a volte basta solo uno sguardo, una frase benevola, la parola
di un adulto, fiduciosa, chiara ed equilibrata per dissolvere quei magoni, alleviare
quegli animi, collocarli in un presente rigorosamente indicativo. Naturalmente il beneficio sarà provvisorio, la cipolla si ricomporrà all’uscita e forse domani bisognerà
ricominciare daccapo. Ma insegnare è proprio questo: ricominciare fino a scomparire
come professori. Se non riusciamo a collocare i nostri studenti nell’indicativo presente
della nostra lezione, se il nostro sapere e il piacere di servirsene non attecchiscono su
quei ragazzini e su quelle ragazzine, nel senso botanico del termine, la loro esistenza
vacillerà sopra vuoti infiniti[...]E non è poco un anno di scuola andato in malora: è
l’eternità in un barattolo.” (Daniel Pennac)
La scuola, assieme alla famiglia, è l’istituzione più importante per la promozione
del benessere fisico, psicologico e sociale
dell’individuo. A scuola si impara a stare
in mezzo agli altri, a relazionarsi all’adulto ma, in una maniera unica e, probabilmente, irripetibile, al coetaneo. E’ in
questo luogo, così legato ad ansie, preoccupazioni e insicurezze che si impara a
“soffrire con l’altro” ed a comprendere
fino in fondo le proprie e le altrui paure.
La scuola, però, è anche il luogo della
condivisione di emozioni positive e molte
delle esperienze umane vissute in quegli
anni risultano fondamentali anche quando
“si diventa grandi”. Senza farci trascinare
da discorsi retorici, potremmo dire che
molto, se non moltissimo, è cambiato nel
corso dei decenni. Tante sono le problematiche venute fuori all’interno dell’istituzione scolastica, che non fanno altro che
rispecchiare le innumerevoli problematiche “nuove” vissute dalla società. Troppe
volte, come è normale che sia, ci si trova
impotenti, o quantomeno in difficoltà, nel
gestire queste situazioni a cui si è poco
abituati. Un esempio per tutti potrebbe essere rappresentato dalla problematicità di
due patologie all’ordine del giorno nella
scuola, come i disturbi dello spettro autistico e l’ADHD (sindrome da deficit di attenzione ed iperattività). Spesso gli
insegnanti sono poco supportati dai servizi e, molto più spesso, non sono affatto
25
anni d’informazione
coadiuvati dalla famiglia del bambino
(quest’ultima può usufruire di pochi strumenti psicologici e sociali e molto spesso
ha difficoltà ad accettare di avere un problema). In alcuni casi la diagnosi viene effettuata tardivamente e questo fatto
genera ancora maggiori difficoltà d’intervento. Aggiungendo a tutto ciò che si è
detto finora la sempre più delicata e pressante tematica del fenomeno del bullismo,
ci si rende conto di quanto sia importante
l’introduzione della figura dello psicologo
nella scuola.
Esso rappresenta o potrebbe rappresentare
un ponte tra docenti/alunni, docenti/genitori, genitori/alunni. Sarebbe in grado di
aiutare gli adulti a comprendere come i ragazzi si relazionino al proprio ruolo, alle
interrogazioni, ai compiti in classe; oppure potrebbe essere utile ad indagare se
questi ultimi hanno scelto la scuola che
frequentano in piena autonomia o sotto
un’influenza esterna. Le competenze di
un esperto estraneo alla realtà di quella
scuola potrebbe lavorare sulle aspettative
genitoriali, spesso all’origine di problematiche adolescenziali nascoste. Lo psicologo potrebbe aiutare tutti i diversi
“attori” a capirsi, come in una grande famiglia in cui si fa fatica a comprendere il
punto di vista altrui. Non a caso spesso, in
questo articolo, ho coniugato i verbi al
modo condizionale. Troppe volte, infatti,
una figura indispensabile in un’istituzione
fondamentale per la formazione globale
dell’individuo, non è affatto presente o, se
presente, non gode del giusto valore. In
molte scuole c’è il problema dei fondi ma,
troppe volte, si dà priorità ad altro, reputando un intervento psicologico qualcosa
di accessorio. Quando, invece, la scuola
si dà questa possibilità, ci si può trovare
di fronte a tre situazioni: l’esperto viene
considerato un valido aiuto (questa sarebbe la condizione auspicabile ma, purtroppo, poche volte viene messa in
pratica); lo si considera indesiderato oppure può accadere che venga delegato alla
risoluzione di tutti problemi, senza cercare una proficua e sincera collaborazione
con lui. Un bravo psicologo, nel momento
in cui è chiamato in causa, dovrebbe fare
in modo di presentarsi, con umiltà e saggezza, non come colui che, portatore della
verità assoluta, vuole imporre, con freddezza ed arroganza, il suo sapere e la sua
maniera di fare. Nemmeno, però, deve
farsi trascinare, in maniera acritica, nei
meccanismi e nelle dinamiche, a volte patologiche, dell’ambiente. L’introduzione,
inoltre, di uno sportello di Ascolto Psicologico all’interno della scuola è/sarebbe
una grande opportunità per aiutare e sostenere i ragazzi nel processo, difficoltoso
e complesso, della crescita, soprattutto nel
periodo adolescenziale. Molte scuole si
sono avvalse di questo strumento di aiuto,
che rappresenta uno spazio privato di ciascuno studente, un luogo in cui poter essere liberi ed in cui potersi sentire
ascoltati e capiti.
37
Economia, Finanza e Fisco
Il Rev. Ment.
Come strumento di
diffusione dei know how
aziendali
I
“
l lavoro rappresenta per la gran
ria, aperta e disponibile ai cambiaparte delle persone, la principale
menti rispetto alle generazioni preceI giovani non conoscono
occasione di relazioni interperdenti.
abbastanza per essere prudenti
sonali e di interazione con la società
L’ingresso di questa ultima generanella sua articolazione economicozione nel mondo del lavoro mette in
e perciò tentano l’impossibile,
produttiva, nelle sue regole, nelle
difficoltà le tradizionali politiche di
raggiungendolo, generazione
sue pratiche e nelle sue criticità. Il
gestione del personale, rendendo evidopo generazione.
posto di lavoro è il luogo in cui con
dente il problema del management
alta frequenza e continuità, ognuno
del mix generazionale.
Pearl Buck
è chiamato a confrontarsi con perLe imprese devono ripensare i propri
sone diverse da sé.
tradizionali modelli di gestione e sviluppare risposte adeguate
Dal modo in cui si compongono queste differenze dipendono
alle aspettative di tutte le classi di lavoratori, per preservare
non solo il clima all’interno dell’azienda in generale ma
il benessere organizzativo di chi è agli inizi e di chi si trova
anche il concreto funzionamento dei team di lavoro.
in procinto di uscire dal mondo del lavoro .
Facciamo un esempio delle generazioni dei lavoratori che si
Le imprese che vogliono approfittare delle “veloci” opportupossono trovare all’interno di una Piccola – Media Impresa:
nità offerte dai mercati di oggi non possono investire escluPatriarchi: cresciuti durante la grande depressione, il periodo
sivamente sull’ultima generazione presente nel mercato del
fascista; la maggior parte ora in pensione, ma quelli ancora atlavoro. Hanno bisogno delle altre generazioni che possono
tivi sul lavoro ricoprono ruoli di grande responsabilità e in
apportare le proprie esperienze: la produttività e lo stacanogrado di esercitare un notevole potere. Questa generazione è
vismo dei Baby boomers, la capacità di creare e gestire gruppi
quella che reagisce con disagio ai cambiamenti, avendo sofdella generazione X.
ferto sconvolgimenti epocali nella propria vita. I valori che
contraddistinguono questi lavoratori sono il rispetto dell’autorità, la fedeltà ai datori di lavoro ed il duro lavoro.
Baby Boomers: il gruppo più numeroso, si è affacciata al lavoro negli anni 70. Resi competitivi dal loro stesso numero,
hanno recepito dai genitori la propensione al lavoro, della
carriera e del potere. Hanno investito tutto sul lavoro, sacrificando soprattutto la propria vita privata. I valori che caratterizzano la generazione sono l’ottimismo, la crescita
personale, il lavoro, il fare squadra.
Generazione X: cresciuti tra gli anni 80 e 90 in un periodo
economicamente turbolento, caratterizzato da trasformazioni
profonde nei modelli di sviluppo e nelle strutture produttive.
Cresciuti per lo più da soli, o da genitori divorziati, in compagnia di TV e Gruppi musicali. Una generazione caratterizzata da pragmatismo, tolleranza, ma anche da padronanza
tecnologica, con capacità di pensare in modo globale, e di ricercare un equilibrio tra lavoro e vita privata.
Generazione Y: i lavoratori di età inferiore ai 32 anni, bravi
nel lavoro in team dotati di capacità informatiche multi-tasking, con buona padronanza delle lingue straniere, attenti
alla dimensione etica, la generazione più qualificata della sto-
”
38
25
anni d’informazione
Bisogna quindi intervenire attivando iniziative di scambio generazionale e di cross-fertilization tra giovani e over 50 per
dare voce alle diverse età.
Una delle iniziative che ha portato notevoli benefici nelle organizzazioni in cui la tecnologia è un fattore chiave di successo è il Reverse Mentoring. Si tratta di una relazione di
tutoraggio invertita dove le persone più giovani vengono affiancate a lavoratori più esperti con lo scopo di acquisire nuovi
apprendimenti.
Uno schema di relazione così impostato offre diversi piani di
lettura come, ad esempio, la possibilità che i lavoratori appartenenti alla generazione dei boomers possano sviluppare una
cultura della diversità, una visione più globalizzata e una gestione del lavoro in team diversa da quella per loro prevalente.
(Schaufeli, Salanova, Gonzalez-Roma & Bakker, 2002 - The
measurement of engagement and burnout: A two sample
confirmatory factor analytic approach. Journal of Happiness
Studies) Accanto a questo non si può tralasciare l’importanza
che un processo di reverse mentoring può avere nei confronti
dei millenials, con benefici quali ad esempio un più immediato
accesso alle informazioni, apprezzamento, stima, soddisfazione e sviluppo personale (P. Chaudhuri & K. Ghosh, 2011).
Il Reverse Mentoring trova le sue origini in America nella General Electric , dove è stato messo in pratica per introdurre internet nei processi aziendali.
(http://www.scribd.com/doc/29528276/Reverse-Mentoring)
Un processo di Reverse Mentoring ha trovato efficacia nei
processi aziendali in cui è richiesto un più immediato accesso
alle informazioni, è necessaria una reciproca stima, soddisfazione ed apprezzamento nei team, sviluppare una cultura della
diversità, una visione più globalizzata ed una gestione del lavoro in team diversa da quella prevalente per il senior (Mentee).
“Ogni generazione si crede più intelligente della generazione precedente e più saggia della generazione successiva.”
George Orwell
Un programma di Reverse Mentoring deve nascere inizialmente da una piano strategico formalizzato sull’improvement
delle risorse umane. I fondamenti per la riuscita di programma di reverse mentoring prevedono il coinvolgimento
di tutte le più importanti figure aziendali; la sua attuazione
prevede le seguenti fasi: selezione dei mentori, formazione,
preparazione e l’accreditamento dei mentori, l’abbinamento
fra mentori e mentee, definizione del programma personalizzato, la valutazione dei risultati.
La forma più usuale di realizzazione è quella dell’One-toOne mentoring che prevede degli incontri faccia a faccia, vi
sono poi group mentoring, programmi di scambio e forme
miste, sia diretti che a distanza.
Sono quindi vaste le modalità di attuazione ed altrettanto
ampie le tecniche per gestire le sue dinamiche.
Per l’Azienda ciò significa: un miglioramento delle performance dei collaboratori, l’aumento della soddisfazione, la diffusione della cultura organizzativa con positivi risvolti sulle
possibilità di aggredire nuovi mercati e generare profitto.
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I giorni senza nome
Cantando, o Grazie, degli eterei pregi di che il cielo v’adorna, e della gioia
che vereconde voi date alla terra,belle vergini! a voi chieggo l’arcana
armonïosa melodia pittrice della vostra beltà; sì che all’Italia
afflitta di regali ire straniere voli improvviso a rallegrarla il carme.
Ugo Foscolo, Le Grazie
Barbara Turriziani
A
llorquando l’ispirato Romolo decise di fare di un villaggio sparuto
in cima ad un colle una città a
tutti gli effetti, circondata da mura sante e
inviolabili, sentì altresì l’esigenza di dare
sistemazione al trascorrere dei giorni e al
susseguirsi delle stagioni. Adottò, dunque,
un calendario lunare composto da dieci
mesi con inizio al primo plenilunio di primavera e lasciò senza nome le fredde e
buie giornate invernali che si consumavano senza gloria tra i rigori dell’inverno.
Fu Numa Pompilio a dare loro la dignità,
dedicandone ventinove a Giano bifronte e
ventotto a Februus. Erano, questi ultimi, i
giorni dei rituali di purificazione che avevano il loro apice il 14, nel calendario
odierno, dedicato a San Valentino, protettore degli innamorati. Ancora oggi però,
Febbraio è il mese dell’introspezione e
della purificazione fisica e spirituale; il 2,
infatti, si celebra la Candelora, in ricordo
della Presentazione al Tempio di Gesù
Bambino e della contestuale Purificazione
di Maria che, secondo le usanze ebraiche
dell’epoca, doveva avvenire quaranta
giorni dopo la nascita. Povero dal punto
di vista agricolo, nel medioevo Febbraio
era rappresentato come un gruppo di per-
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sone che siede attorno ad un camino, in
attesa che la neve si sciolga. Il cielo serale
è teatro di mutamenti, le costellazioni invernali declinano verso ovest, mentre ad
Est il Leone annuncia già l’approssimarsi
della primavera. Le stelle faranno da
sfondo ad una serie di eventi celesti che
coinvolgono i più vicini corpi del nostro
Sistema Solare. Due in particolare, non
facilissimi da seguire ma che meritano sicuramente l’impegno che gli dedicherete
per osservarli: il passaggio del piccolo
asteroide 2012 DA14 che ci “saluterà” da
vicino la sera del 15 Febbraio e la congiunzione Mercurio – Marte appena dopo
il tramonto dell’8 Febbraio, una piccola
sfida vista la scarsa altezza sull’orizzonte
dei due pianeti che saranno avvolti nella
luce del crepuscolo. Non serviranno strumenti ottici per godersi invece il “sorriso”
della Luna crescente nelle sere di metà
mese; il primo quarto del 6 si completerà
nel plenilunio del 15, quando l’astro brillerà sull’orizzonte occidentale appena
dopo il tramonto. La nostra Stella, invece,
dalla superficie sconquassata da violente,
quanto affascinanti da osservare, tempeste
magnetiche, guadagnerà sempre più spazio nel cielo, regalandoci un’abbondante
ora di luce nell’arco del mese, marciando
solerte verso la Primavera. Se il primo, infatti, sorge alle 7:16 e tramonta alle 17:25,
il ventotto anticipa la levata alle 6:40 e posticipa il tramonto alle 17:59. Astrologicamente poi, nella notte tra il 19 e il 20, il
Sole lascia il segno dell’Acquario per entrare in quello dei sensibili ed emotivi
Pesci. Tra le Date da ricordare, il 6 febbraio 1778, giorno di nascita del poeta di
Zante, Ugo Foscolo, una delle più ispirate
ed eminenti penne del neoclassicismo, chi
non sta in questo momento rispolverando
qualche suo verso immortale? I Sonetti, le
Odi, il carme Dei Sepolcri, il romanzo
epistolare ‘ Ultime Lettere di Jacopo
Ortis’, sono solo alcuni esempi della sua
prolifica opera, vanto assieme a Dante,
Leopardi, Manzoni della nostra letteratura. Il 15 febbraio 1564, veniva al
mondo 450 anni fa Galileo Galilei, padre
del metodo scientifico moderno e soprattutto strenuo difensore della rivoluzione
copernicana e della teoria eliocentrica. Lo
stesso giorno di qualche secolo più tardi,
nasce negli Usa, il fumettista a suo modo
rivoluzionario, Matt Groening, autore
della fortunata, pungente ed ironica serie
animata ‘The Simpson’. 100 anni fa, il 22
febbraio 1914, nacque il biologo e medico
italiano Renato Dulbecco, Nobel per la
Medicina nel 1975. Nel 1539, in Febbraio, si spense una delle figure più importanti del panorama politico e culturale
rinascimentale italiano, la marchesa Isabella d’Este di Mantova, fine mecenate di
artisti e filosofi, tra cui Ludovico Ariosto
che alla sua corte compose l’Orlando Furioso. A lei si ispira il consiglio di lettura,
Rinascimento privato di Maria Bellonci,
vincitore del Premio Strega nel 1986. Un’
autobiografia immaginaria che ripercorre
gli anni salienti del Rinascimento italiano
attraverso un punto di vista privato, dall’interno della corte del Ducato di Mantova. La narrazione è immaginata come
un lungo flash-back che avviene nel 1533,
quando Isabella quasi sessantenne sta
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anni d’informazione
Almanacco di febbraio
scrivendo le sue memorie, in una Stanza
detta degli Orologi, nel Palazzo Ducale di
Mantova. Il suo motto era ‘Nec spe, nec
metu’, ‘nè speranza, nè timore’ , quella
che si dice donna di carattere. Nasce in
febbraio anche l’eccelso artista impressionista Pierre Auguste Renoir, il 25 del
mese, nel 1841 a Limoges in Francia e a
lui è dedicata l’opera d’arte del mese,
Ballo a Bougival, olio su tela del 1883.
La scena si svolge in un caffé all’aperto
del subborgo parigino Bougival appunto,
sui margini della Senna. È tipico dei pittori impressionisti raffigurare scene di vita
mondana dei parigini di fine Ottocento.
L’uso di colori molto vivaci e seducenti
evidenzia quel senso di piacere provato
dalla coppia che danza e che domina
l’opera. Il volto della donna, dai capelli
rossi incorniciati dal cappellino vermiglio,
attira subito l’attenzione dell’osservatore
su entrambi i personaggi. L’atmosfera genuina e divertita che si respira ben inneggia all’amore e ai festeggiamenti
carnevaleschi che caratterizzano il mese.
Anche il suggerimento per il film da rivedere resta in tema di baldorie festanti e coglie l’occasione per omaggiare i 60 anni
dell’attore americano John Travolta, nato
il 18 febbraio 1954, protagonista della
pellicola: Grease- Brillantina. Il musical
del 1972, ambientato con nostalgia e un
pizzico di ironia, negli anni 50, quelli
delle magliette attillate, delle giacche di
pelle, delle gonne a campana e della brillantina nei capelli, ci racconta la storia
d’amore tra Danny e Sandy cui fa da
sfondo uno spumeggiante mix di rock
scatenato e coreografie irresistibili. ‘Summer Nights’, ‘Hopelessly Devoted to
You’, ‘You’re The One That I Want’ sono
divenuti oramai classici che non
conoscono tempo. Nel mese di Febbraio,
i giardini, i boschi e i campi, subiscono un
lento risveglio, le pratoline sbocciano nei
campi, mentre i crochi fanno capolino
anche tra la neve. È il mese di numerose
bulbose: ciclamini, narcisi e tulipani tornano a fiorire. Lo stesso “Febbraio” in
giapponese significa letteralmente: “mese
in cui si vedono i fiori di prugno”, ma non
solo il prugno si ingemma, alcuni tipi di
magnolia o albero dei tulipani, il viburno
e le splendide camelie caratterizzano il
mese con le loro variegate fioriture. I fiori
per eccellenza, però, sono le violette e le
primule, quest’ultime, in numerosissime
varianti di colori e specie, sono una corro-
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anni d’informazione
August Renoir, Ballo a Bougival
olio su tela 1883
borante sferzata d’energia per chi confida
nella cromoterapia. C’è chi ne mangia le
foglioline verdi in insalata, chi fa tisane
con i fiori essiccati, chi sfrutta le radici e
i rizomi, io le tengo nei vasetti accanto le
finestre per deliziarmi semplicemente
della loro vista. Così come gli antichi romani insegnano, non c’è momento migliore di Febbraio per cominciare a
prendersi cura del proprio corpo ed eliminare accumuli di tossine e molesti sovrap-
pesi. Chi si affida alla fitoterapia e vuole
depurare l’organismo con il delicato aiuto
delle erbe, sa che la betulla è ciò che serve
all’uopo, per le sue innumerevoli virtù.
Gli estratti, gli infusi e le tinture di betulla
trovano indicazione oltre che nella sindrome premestruale, nella prevenzione
della calcolosi renale, negli edemi da insufficienza cardiaca, in presenza di ipertensione arteriosa, vertigini, anche di
edemi degli arti inferiori da insufficienza
venosa e cellulite. È da sottolineare che
l‘assunzione di preparati a base di betulla
è controindicata in caso di allergia all’Aspirina, insufficienza cardiaca e renale
ed ipersensibilità accertata verso uno o
più componenti. Così come è preferibile
evitarne l’uso in gravidanza e durante
l’allattamento.
L’Infuso con le foglie essiccate si può filtrare e bere durante il giorno, rispettando
le proporzioni: 2-4 g per tazza d’acqua
bollente, lasciare in infusione per 10 minuti. Per la Ricetta del mese, invece, vi
sottopongo un primo piatto ricco e sapido,
per il menù di San Valentino o per quello
di Giovedì Grasso; i Fini Fini di Championnet si potranno comunque degustare,
tradizionalmente, a conclusione della sfilata storica di Martedì Grasso, per le vie
del centro di Frosinone, mentre il perfido
generale brucia sul rogo insieme a tutte le
nostre angosce!
Ravioli di noci
Ingredienti: 350 gr. di farina integrale; 250 gr. di spinaci; 2 uova; sale; burro; pomodorini freschi. Per il ripieno: 1 cipolla; 2 gambi di sedano; 1 uovo; 170 gr. di
noci; 1 spicchio d’aglio; basilico, prezzemolo; sale, pepe.
Preparazione della ricetta:
Mescolate la farina con il sale e formate un vulcano dove al centro metterete le 2
uova con gli spinaci precedentemente lavati molto bene, lessati, strizzati e tritati.
Mescolate bene fino ad ottenere un impasto che non si attacchi; poi lasciate riposare
per 30 minuti. Intanto preparate il ripieno tritando la
cipolla, il sedano, le erbe, le noci, l’aglio unite il
sale, il pepe e l’uovo. Mescolate bene il tutto
e formate delle palline. Stendete la pasta e
dividetela in 2 parti; in una parte mettete
ogni 3 cm. una pallina di ripieno e poi
sovrapponete la parte di pasta lasciata libera comprimendo bene ai lati. Con una
rotellina tagliate dei ravioli; lasciate riposare per 30 minuti e poi cuoceteli in
acqua salata per 10 minuti. Scolate e conditeli con burro fuso e pomodorini.
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Febbraio...
Carnevale, San Valentino...Eleganza!
Moda
di Emanuela Crescenzi
C
are amiche eccoci giunte a febbraio, mese
di San Valentino, di carnevale e di pomeriggi gelidi, ma gradevoli per passeggiate
all'aria aperta....finiti i saldi ci si ritrova a fare i
conti con armadi zeppi e ancora più insicurezza
sugli outfit da adottare.
Regola n. 1 eleganza, eleganza, eleganza...mai trascurare i dettagli e curarli nei minimi particolari;
regola n.2 avete gli specchi, quindi usateli prima
di uscire; terza ed ultima regola, lasciate gli addobbi agli spaventapasseri, non ingoffatevi con
capi inutili.
A gennaio abbiamo assistito ad eventi importanti
quali le sfilate di Milano, Parigi e Firenze con a
Palazzo Pitti, anche quest'anno l'eleganza più assoluta, ha fatto da padrona, nella prossima stagione vedremo capi super classici rivisitati con
tessuti e fantasie moderne, ci sarà un ritorno della
pelle in tutti i colori possibili ed un rilancio dei
tessuti preziosi e ricamati a mano, lo stile si avvicina molto a quello anni '40 e '50 con tailleur ed
abiti aderenti e strutturati adatti a varie tipologie strutturali,
l'importante è seguire semplici accortezze e giocare sulle lunghezze per mascherare polpacci pronunciati o l'uso di cinte
strettissime per inventarsi un punto vita inesistente o ancora
l'uso di pullover con maniche a tre quarti per mascherare
braccia da scaricatrice di porto, e qui scatta il divieto assoluto
di usare canottiere al di fuori delle palestre per non sembrare
sexy come peppa pig..... ritorno eccellente sarà anche il classico cappotto di cammello, sia da uomo che da donna abbinato ai guanti di pelle....
Anche la moda uomo ha fatto un salto di qualità, puntando su
eleganza e ricercatezza, finalmente rivedremo l'uomo con
giacche e pantaloni eleganti, cappotti classici e pantaloni aderenti, completati da accessori di tendenza quali borse, sciarpe
e cappellini, una collezione che ricolloca l'uomo in primo
piano e non come sfondo alla donna come è stato negli ultimi
anni, nascosto da buste della spesa e bambini in braccio a fare
da spola a mogli in tacco a spillo.... se è vero quello che diceva qualcuno che siamo ciò che mangiamo, vi consiglio di
essere trend anche in quello, trascorrendo le vostre serate all'
Equinox pub a Castelmassimo per gustare i mitici panini xl
ed xxl particolari e curati come se fossero l'outfit per una serata di gala, ogni settimana
anche la gara the king of food, non mancate......
Anche per questo mese vi saluto e vi do appuntamento
al prossimo con i consigli per la primavera, baci Emanuela
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anni d’informazione
Moda
di Federica Spaziani Testa
Romantic
Tulle
C
arissime amiche, questo mese ecco per voi un’idea originale e facilmente adattabile per un look quotidiano, da
giorno o da sera, a seconda dei colori e degli accessori
scelti, come anche al giorno più romantico dell’anno: San Valentino. Sto parlando della gonna di tulle. Sì, proprio il bellissimo
tutù che indossano anche le ballerine di danza classica, ma in versione più easy...
In fondo, non fu l’allora Carrie Bradshaw a proporci qualche look
caratterizzato proprio dal romanticismo, la delicatezza, la leggerezza e dall’eleganza della tulle skirt?
In questi ultimi tempi la gonna di tulle è diventato uno di quei
capi di abbigliamento ricercati ed esclusivi, da indossare in molte
occasioni e circostanze. È molto amata soprattutto dalle ragazze,
che la scelgono spesso nel classico colore rosa cipria, proprio
come quello delle ballerine, ma anche in nero e blu scuro, per
avere un effetto più elegante e misterioso.Vediamo insieme, dunque, come realizzare due nuovi look della settimana utilizzando
proprio la gonna di tulle.
Look da giorno con la gonna di tulle
Romantico e chic, il primo look è composto da una gonna di tulle
rosa da accompagnare con una giacca classica e molto bon ton,
una t shirt grigia o comunque dai colori neutri. Come sempre
qualche accessorio per condire il tutto e in un attimo sarete perfette, sempre sui toni pastello.
Look da sera con la gonna di tulle
Sexy e fascinoso, il secondo look prevede una gonna di tulle nera
o blu notte , da indossare con una maglia o un top eleganti ed aderenti, per avere un effetto sensuale ed elegante al tempo stesso.
Accessori in tonalità argentate e perlescenti.
Scarpe rigorosamente con il tacco, per slanciare la figura.
La gonna di tulle è poi adatta, care lettrici, ai fisici più esili e longilinei come a quelli più formosi e burrosi...quindi non esitate ad
acquistarla!
Appuntamento al prossimo mese!
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Mitologia norrena
di barbara Turriziani
Il racconto
Il principe
Galdor
Narmolanya
Q
uando dalle fessure delle leggere
imposte di betulla filtrò il primo
chiarore della rosata aurora invernale, Galdor si voltò, pigro, nelle
calde e morbide coperte del suo giaciglio, tessute, con lana e benedizioni, da
sua madre Eámanë la scorsa estate.
Avrebbe goduto ancora un po’ di quel tepore, si disse, nonostante fuori il nuovo
giorno lo attendesse. Avrebbe continuato
a poltrire, gustandosi, dietro le palpebre,
la fin troppo lusinghiera sensazione di
orgoglio mista ad esultanza che deriva
da una grande vittoria. Accarezzando
con ricercata grazia la soffice cedevolezza della coperta, sorrideva compiaciuto al ricordo degli ultimi eventi che lo
avevano visto vincitore e che la sua gente
aveva cantato a lungo la scorsa notte
nella sala delle feste, attorno ai grandi
fuochi di Imbolc. Le sue gesta, secondo
gli usi, erano state celebrate in raffinate
melodie, che solo i Liosalfar, gli elfi della
luce, con le loro splendide voci sanno intonare, mentre fuori, gli alberi le avevano sussurrate al vento del nord,
propagando il canto sul candido manto
che nutre la terra e sulle calme acque
della baia di Isafjordur, silenti testimoni
delle aurore boreali. Non la gloria tributatagli che pure lo divertiva, portava il
sorriso sul suo volto ma la consapevolezza che il suo Territorio, la sua gente
non erano più in pericolo. Le dolci pendici di bianco immacolate che si distendono nel buio della lunga notte invernale
fino al Grande Mare e che in primavera
rifulgono di colori e vita e così i fiordi
rocciosi guardiani delle terre fin dalla
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creazione, il suo popolo, celato agli uomini come da lungo tempo oramai e la
sua storia avrebbero potuto continuare a
esistere, in pace. L’impresa era riuscita,
i tentativi di invadere il regno erano stati
bloccati. Nessun mostro meccanico
avrebbe profanato la valle di Galgaharaun. Nessuna riprovevole lingua nera,
vomitata da un grossolano, rumoroso
carro ferrato, avrebbe profanato il sentiero nella foresta. Nessun albero centenario sarebbe stato toccato da asce
umane. Particolarmente fiero di ciò si rigirò ancora nel letto e alla mente guizzò,
d’un baleno, il ricordo della conversazione avuta qualche giorno indietro con
il nodoso vecchio Sorbo della collina, cui
piaceva ricordare i giorni perduti. Gli
parlò di quando l’isola era popolata di
floride foreste di betulle dal fusto snello
e dalle fronde leggere, interamente sterminate dall’uomo per costruire case
ormai marcite e barche da pesca su cui il
tempo ha avuto ragione. Gli spiegò di
quanto potesse essere pericoloso lasciar
agire i figli di Miogaror e come poter
avere la meglio su di loro, lui, che aveva
visto formarsi le rocce e i fiordi della
Baia, quando il mondo tremò e si squarciò permettendo al mare di addentrarsi
nella terraferma. Galdor non aveva assistito a quegli eventi remoti ma conosceva bene i violenti sconquassi della sua
terra e gli sbuffi provenienti dalle ime
profondità incandescenti. Con i suoi giovani amici, in barba alle raccomandazioni delle balie, nelle tiepide giornate di
inizio estate, correva spesso presso le
bolle, divertendosi a saltare su di esse
poco prima dell’esplosione. I nobili guerrieri dagli infallibili archi di tasso, ne ridevano accondiscendenti ma inevitabili
erano le penitenze delle nutrici da scontare. Sua madre, Signora delle colline sapeva leggere nella sua mente e soave
come il fresco manto di biancospino che
la avvolgeva nei festeggiamenti solenni
insinuava nei suoi pensieri la voce suasiva
che lo spingeva a migliorarsi sempre per
eguagliare in abilità e destrezza suo
padre, il saggio Beren, re degli elfi dell’isola di Islant. Questo accadeva molto
tempo fa, quando egli era ancora fanciullo e non aveva ancora cominciato il
suo percorso di guerriero. L’arco ricavato
per lui dal flessibile ramo di tasso dal suo
maestro e la spada forgiata nelle caverne
di fuoco dalle abili mani dei fabbri erano
divenuti ormai i suoi più fidi compagni e
il desiderio di proteggere il suo popolo
era divenuto la più pressante delle sue responsabilità, naturalmente e tenacemente
come lo sbocciare del croco nella neve.
Tergiversare nel letto per qualche attimo
ancora non avrebbe compromesso il suo
impegno, i confini erano controllati dalla
sua guardia, serratamente e instancabilmente, come da tempo immemore accadeva, poichè gli uomini nel corso del
tempo avevano inventato nuove armi con
cui infierire contro la natura e le sue prodigiose creature di cui il suo popolo era
guardiano e custode.
Con un rapido balzo, si alzò in piedi,
pronto ad affrontare un nuovo giorno.
Avrebbe corso fino alla Baia e scandagliato le scoscese rive dei fiordi di Isafjordur con rinnovato orgoglio.
25
anni d’informazione
I
nauguriamo questo mese una nuova
rubrica con l’intento di esulare, al-
meno per lo stringato tempo di due
pagine, dalla realtà che ci circonda e trovare conforto in un altrove che non conosce né tempo né spazio: la mitologia,
il fascino del sedimento culturale che
caratterizza le civiltà antiche di tutto il
mondo e le loro peculiari risposte alla
necessità di conoscenza dell’essere, del
divenire dell’uomo e dell’universo.
L’aggettivo appropriato per classificare
il genere letterario mitologico è lo
stesso che nel Timeo (XVIII, 52b), il suo
dialogo mitologico per eccellenza, Platone usò per qualificare la terra di nessuno tra essere e non essere, tra essere e
divenire, il ragionamento informale
sulla materia e sullo spazio che è di per
sé informe, cioè non determinato da
nessun eidos. La mitologia è, in questo
senso, un incrocio tra essere e sapere,
una forma discorsiva, terza, tra ontologia e epistemologia, tra sensibilità e intellettualità, con poco di entrambe.
Diamo avvio dunque a un viaggio
‘avventuroso‘ tra saghe, leggende, racconti e personaggi che si perdono nelle
nebbie del tempo e che ci pongono di
fronte ad un quesito secolare: i miti
sono resoconti di avvenimenti storici,
tramandati di generazione in generazione, via via sottoposti ad un procedimento fantastico che ha cristallizzato
dettagli inverosimili e assunto specifiche peculiarità simboliche, così come
asseriva Evemero, o sono assolutamente
privi di fondatezza storica e rappresentano insegnamenti morali espressi in
forma metaforica, come diceva Plotino?
Il filosofo Giambattista Vico suppose
che il mito fosse nato dalle caratteristiche proprie dei primi uomini: simili a
“fanciulli”, i nostri progenitori, anziché
formulare concetti astratti, avrebbero
espresso la loro visione del mondo mediante immagini poetiche. Comunque la
si pensi, lo smisurato bagaglio di storie,
accumulato nei secoli in ogni paese,
merita di essere sondato. Così, prendendo spunto dalle programmazioni cinematografiche, dal ricco filone fantasy
che prospera nelle librerie e soprattutto
dalla notizia che in Islanda si è rinunciato alla costruzione di un’autostrada
per non invadere il territorio degli Elfi,
cominciamo col presentare questi ultimi, personaggi della mitologia norrena, o nordica, appartenenti alla
religione tradizionale pre-cristiana dei
popoli scandinavi, inclusi quelli che co-
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anni d’informazione
lonizzarono l’Islanda e le Isole Fær Øer,
dove le fonti scritte furono sistemate.
L‘elfo, dal norreno alf[a]r è uno spiritogenio, simbolo delle forze dell’aria, del
fuoco, della terra, dell’acqua e dei
fenomeni atmosferici in generale.
Gli Elfi sono molto simili agli umani,
alti e magri ma forti e velocissimi, volto
pulito, sereno, orecchie leggermente a
punta. Sono descritti con una grande
vista e un udito molto sensibile. Non
hanno barba, hanno capelli neri o argentei e occhi grigi che si dice penetrino la
persona fino a conoscerne i pensieri, dotati di telepatia. Hanno voce splendida
e chiara. Sono intelligenti ed armoniosi,
con grande rispetto per i quattro elementi e per la natura. Talvolta alcuni
possono essere capricciosi e talvolta benevoli con l’uomo che li rispetta, possono donare oggetti magici a coloro che
sono puri di cuore e spirito e che desiderano aiutare. Sanno forgiare spade e metalli, fino alla conoscenza della magia.
In origine pare siano stati concepiti
come anime di defunti, poi furono venerati anche come potenze che favorivano la fecondità. Di qui la distinzione,
fra Døkkálfar, “elfi delle tenebre“, e
Liósálfar, “elfi della luce“. Abitano
principalmente sugli alberi o in alcune
foreste nascoste. Nutrono una grande
considerazione per la natura, concepita
come una entità, un gran spirito eterico,
madre di tutti gli esseri. Riescono a
camminare senza lasciare tracce, sono
immuni alle malattie e resistono alle
temperature estreme. Gli elfi hanno vita
lunga, invecchiando senza che la loro
bellezza venga intaccata dal tempo. Si
dice che siano immortali ma non invulnerabili alle ferite di spade, frecce e ai
veleni, e che quindi possano essere uccisi. Molteplici sono le leggende legate
a questa figura mitologica, alcune delle
quali parlano delle cattiverie che essi
compiono nei confronti degli uomini e
dei rapimenti dei bambini umani.
Gli elfi hanno una forte gerarchia al
capo della quale stanno le regine e i re
delle colline delle fate, riconoscibili perché spesso ricoperti da un fresco manto
di biancospini.
Shakespeare nei suoi lavori teatrali fa riferimento molto spesso agli elfi, come
nella commedia Sogno di una notte di
mezza estate ma chi ne narra la storia in
maniera mirabile è J.R.R.Tolkien, ne Il
Silmarillion « [...] in quell’ora si destarono i Figli della Terra, i Primogeniti
d’Ilúvatar. Presso il lago illuminato
dalle stelle di Cuiviénen, L’Acqua del
Risveglio, essi si levarono dal sonno
d’Ilúvatar; e, mentre se ne stavano ancora silenziosi presso Cuiviénen, i loro
occhi videro per prima cosa le stelle del
cielo.», essi sono infatti gli Eldar, il popolo delle stelle. Se nella notte presterete orecchio, il loro canto alla luna
potrete udire.
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U
n’altra stella di prima grandezza
va ad aggiungersi al firmamento
dei grandi italiani che ci lasciano
la loro bellezza in eredità per intraprendere l’imperscrutabile viaggio verso
l’eternità. Claudio Abbado, in effetti, un
briciolo di eternità in terra lo aveva coltivato fin da bambino avvicinandosi a quel
misterioso ed ineffabile mondo della musica che si rinnova ad ogni ascolto e che
come affermavano i grandi romantici ci
permette di percepire l’infinito sentimento
che permea l’universo. Era figlio d’arte,
di Michelangelo Abbado, docente del prestigioso Conservatorio “Giuseppe Verdi”
di Milano e di Maria Carmela Savagnone
pianista, didatta e scrittrice; suo fratello
maggiore, Marcello Abbado, pianista,
compositore e poi direttore dello stesso
conservatorio milanese; la sorella Luciana
Abbado Pestalozza fondatrice del grande
Festival di MilanoMusica. Una passione
sbocciata dunque tra le mura domestiche
e fiorita al Conservatorio di Milano. Dopo
il diploma in pianoforte, si perfeziona
con il grande ed eccentrico Friedrich
Gulda mentre continua gli studi anche in
direzione d’orchestra con Antonino Votto.
Inizia la sua carriera come brillante pianista prima di dedicarsi con maggiore impegno alla direzione d’orchestra che
rappresenterà presto la sua scelta di vita.
A Vienna segue, con una borsa di studio i
corsi di perfezionamento del celebre Hans
Swarowsky mentre frequenta il coro Gesellschaft der Musikfreunde, dove assiste
alle prove dei maggiori direttori d’orchestra del tempo come Bruno Walter, George Szell e Herbert von Karajan. Nel
contempo partecipa ai corsi di perfezionamento dell’Accademia Chigiana di Siena,
tenuti da Alceo Galliera e Carlo Zecchi.
Dopo una formazione tanto completa e
complessa il debutto che lo consacra direttore avviene in seguito alla vittoria del
concorso Koussevitzky della Boston
Symphony Orchestra nel 1958, che gli
permette di porsi alla guida anche
della New York Philharmonic Orchestra.
Nel 1959 debutta a Trieste come direttore
sinfonico e nel 1960 fa il suo esordio alla
Scala e poi alla Fenice di Venezia colla-
46
Claudio Abbado
La Forza della Cultura
borando con grandi interpreti come i pianisti Alexis Weissemberg e Tito Aprea.
Nel 1963 conquista il prestigioso Premio
Mitropoulos della New York Philharmonic e la sua fama cresce rapidamente tanto
da essere invitato da Herbert von Karajan
a dirigere Mahler con i Wiener Philharmoniker al Festival di Salisburgo replicando
immediatamente alla guida della London
Symphony Orchestra. Al 1966-67 risale il
sodalizio con grandi intepreti della lirica,
come Luciano Pavarotti, Renata Scotto e
Anna Moffo, in tournée all’Expo ‘67 di
Montreal quale rappresentate dell’Italia ed
all’ Edinburgh International Festival del
1967 con i Capuleti e Montecchi di Vincenzo Bellini e la collaborazione con
Franco Zeffirelli per Aida di Giuseppe
Verdi. Nello stesso tempo giunge anche il
debutto al Royal Opera House di Londra
con Don Carlos di Giuseppe Verdi che dirige anche al Metropolitan di New York e
il primo importante contratto discografico
con il Gruppo Universal, al quale appartengono le celebri etichette Philips Classical, Decca e Deutsche Grammophon che
di recente, per gli 80 anni del maestro, ha
pubblicato un cofanetto celebrativo contenente svariati cicli sinfonici da lui diretti. Nel 1969, a soli 35 anni, è nominato
direttore musicale del Teatro alla Scala di
Milano rappresentando, dopo un iniziale
scetticismo degli addetti ai lavori, una
vera rivoluzione nella storia dell’istituzione profondamente attraversata da uno
spirito rinnovato in più direzioni; sotto la
guida di Claudio Abbado la Scala amplia
il suo repertorio introducendo autori
meno consueti per l’epoca come Schoenberg, Berg o Stravinsky ed addirittura
commissionando nuove importanti produzioni contemporanee come la Samstag
aus Licht di Karlheinz Stockhausen. Del
resto la modernità e l’avvenire sono sempre state dimensioni alleate del Maestro,
che nella Vienna, considerata luogo di
tradizione, creò, negli anni ’80, il festival
Wien Modern, per la musica contemporanea. Parallelamente al rinnovamento
del repertorio Abbado inizia una rilettura
in chiave filologica ma non dogmatica
dei grandi autori classici proponendo un
suono orchestrale riformato e la riscoperta anche di capolavori caduti nell’oblio. Elegantissimo il suo Mozart,
esemplare il suo Beethoven elastico, slanciato, non wagneriano così come il suo
meditatissimo Schubert, letto fuori dal
velo tardoromantico, ripristinato sugli
autografi, distillato alla luce di una orchestra trasparente.
C’era il suo Brahms tragico, anticipazione ineluttabile della Finis Austriae.
Alla fine degli anni Sessanta risale anche
la progressiva riscoperta della produzione
di Gustav Mahler, poco noto alle sale da
concerto italiane, con l’integrale sinfonica che rappresenta anche in disco una
pietra miliare dell’interpretazione. Abbado persegue anche negli anni ’70, con
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anni d’informazione
Cultura musicale
a cura di Cesare Marinacci
le celebrazioni beethoveniane e rossiniane, la felice idea di accoppiare alla
grande produzione classica opere meno
esplorate o addirittura inedite. Ed infatti
dal punto di vista sinfonico, ad esempio i
cicli completi delle opere di Beethoven e
Brahms, sono abbinati all’esecuzione di
autori più lontani, come Mahler, Bruckner
o Strauss e le grandi perle del melodramma inserite nello stesso cartellone
con il Wozzeck di Alban Berg. Per questa
operazione totalizzante del cartellone,
sono di frequente invitati i più grandi direttori del panorama mondiale, come Karl
Böhm, Herbert von Karajan, Carlos Kleiber, Leonard Bernstein, Riccardo Muti,
Georg Solti; talvolta alla guida delle rispettive orchestre, altre volte guidando
l’Orchestra del Teatro alla Scala, destinata
a trasformarsi da orchestra prevalentemente operistica in orchestra sinfonica di
caratura internazionale, come effettivamente accadde nel 1982 con l’istituzione
ufficiale della Filarmonica della Scala. In
tutto questo, Abbado è nominato direttore
principale dei Winer Philarmoniker,
primo direttore ospite della London Symphony Orchestra intraprendendo una feconda collaborazione con la Chicago
Symphony orchestra così come con
l’Opèra di Parigi. Parallelamente all’estensione del repertorio e alla sua reinterpretazione, è molto importante l’opera
di divulgazione musicale che giunge, a
partire dal 1972, alla creazione dei Concerti per studenti e lavoratori. Lo scopo
dell’iniziativa è quello di avvicinare alla
musica e alla vita del Teatro anche le
classi sociali meno abbienti :“Nel ’68, a
Milano”, ricordava in un vecchio filmato,
“era logico che si cercasse di aprire il discorso culturale a tutti, agli studenti, agli
operai, insomma a tutti coloro che sono
poi venuti ai concerti, o magari siamo andati noi stessi nelle fabbriche… perché
era assurdo che il pubblico fosse soltanto
un’elite e basta”. E ancora: “L’esperienza
di portare la musica nelle fabbriche, all’Ansaldo, alla Breda, alla Necchi, ha
aperto a nuovi ascolti, ha smosso desideri
di conoscere”. Il progetto, sviluppato sul
modello di iniziative simili, comuni nel
nordeuropa, dura diversi anni e ha un successo notevole, godendo, fra l’altro, del
contributo incondizionato di grandi musicisti, come il pianista Maurizio Pollini.
Anche la creazione della Orchestra Gio-
25
anni d’informazione
vanile Europea porta la firma del grande
direttore in un progetto di respiro internazionale per sostenere i giovani musicisti.
Dopo aver lasciato nel 1986 la direzione
della Scala in favore di Riccardo Muti,
Abbado assume quella del prestigioso
Staatsoper di Vienna ed infine nel 1989 la
guida dei Berliner Philarmoniker chiamato a sostituire il grandissimo Herbert
Von Karajan, incarico che ricoprirà fino
al 2002. Dopo l’impegno con i Berliner si
dedica in particolare al sostegno di nuove
inedite compagini come le orchestre di
Cuba e del Venezuela, progetti nei quali
riconosce anche il valore salvifico della
musica come via di fuga dalla povertà,
dalla criminalità e dall’oppressione; inoltre si dedica alla cura delle sue creature
orchestrali, nate dalle costole delle grandi
compagini, in particolare quelle giovanili
come la European Union Youth Orchestra,
la Chamber Orchestra of Europe, la Mahler Chamber Orchestra, l’Orchestra Mozart o la nuova Orchestra del Festival di
Lucerna la cui formazione è composta
anche da alcune prime parti dei Berliner e
Wiener Philharmoniker nonchè da solisti
di fama internazionale. Col passare degli
anni, Abbado aveva scelto di lavorare unicamente con orchestre inedite o formate
prevalentemente da amici o da illustri interpreti. L’unico complesso di tradizione
cui era rimasto sempre fedele erano i suoi
Berliner Philharmoniker, dai quali tornava
ogni anno in maggio. Con la Scala, dopo
più di vent’anni di assenza, era rientrato
nel 2012 dirigendo la Filarmonica da lui
medesimo creata. Un’altra idea che gli è
sempre stata particolarmente cara era la
creazione di spazi per la musica: fu
l’anima della costruzione del nuovo Auditorium del Lingotto, a Torino, progettato da quello stesso Renzo Piano con cui
ha sognato e progettato l’Auditorium per
Bologna. Appartato, poco mondano, privo
di affettazioni e di alterigia, animato da
valori d’eguaglianza e di responsabilità
politica, Abbado era l’antidivo per eccellenza. Un uomo semplice, dall’altissima
sensibilità artistica ed umana, dall’intelligenza rigorosa. Riservato, silenzioso, accorto, credeva nell’ influenza della
cultura e nella sua potenza di essere arma
personale e collettiva, strumento di coscienza e di riscatto: qualcosa in nome di
cui lottare.
Il 30 agosto del 2013 viene nominato Senatore a vita dal Presidente Napolitano ed
anche in quel caso il suo primo gesto, in
linea con lo stile di una carriera intera, è
stato quello di devolvere l’intero compenso previsto dalla carica per creare
borse di studio alla Scuola di musica di
Fiesole.
Grande amore per l’idea di comunità,
grande spirito di giustizia sociale, Abbado non esitava però a ribadire la propria indipendenza politica: “Per comodità
alcuni mi avevano bollato come “comunista”, ma io non sono mai stato in nessun partito. Naturalmente ho le mie
opinioni, sostengo le cause che mi sembrano giuste”. Idealista, con ardore e con
lungimiranza. Sapendo che l’ideale è
sempre base di ogni battaglia, e che non
c’è sfida nobile che non possa essere intrapresa. Schivo, attento al valore e al
suono di ogni parola, più volentieri ascoltava, di rado accettava un’intervista, e
anche in quel caso erano lunghi silenzi.
Claudio Abbado tendeva più che all’esposizione, alla meditazione solitaria
ed assorta, all’ascolto più che al proclama perché, come affermava: “ascoltando s’impara, e così dovrebbe essere
anche nella vita: se tutti gli uomini conoscessero meglio la musica, le cose funzionerebbero assai meglio”.
Ed allora Maestro siamo certi che ritroverai tutti i numi della musica ad accoglierti come un vecchio amico: Bach,
Mozart, Beethoven, Brahms, Mahler,
Bartok…tutti lì ad attenderti, per regalarti
il loro infinito applauso.
47
Alatri
VI RACCONTIAMO
STORIE, CURIOSITÀ, FATTI, FATTERELLI, LEGGENDE,
PERSONAGGI E QUANT’ALTRO DI UNA CITTÀ ANTICA.
di Enzo Ross e Lucio Lucchettii
“Finalmente, dopo aver girato una collinetta, vidi dinanzi a me questa interessante
città, ricca di splendidi palazzi che dimostrano una fiorente vita cittadina nel passato.
Non avevo ancora visto una città di così bell’aspetto nei monti del Lazio”. Gregorovius
Il dono di
San Francesco
ad Alatri
L
a città di Alatri, unica al mondo,
ha avuto il privilegio di ricevere
un dono dall’uomo più povero,
umile e caritatevole dell’universo, il poverello d’Assisi. Ma andiamo per ordine. E’ tradizione e storia che San
Francesco, così come riportano Luca
Wadding e Padre Bonaventura Theuli,
grandi storici dei frati minori, sia passato per Alatri nel 1222, dopo una breve
sosta a Roma, durante il suo pellegrinaggio attraverso Subiaco per visitarvi
il sacro speco di San Bendetto, quindi
verso la Terra di Lavoro, la Calabria e
la Puglia ove era diretto per raggiungere
il santuario di San Michele Arcangelo
sul promontorio del Gargano. Sembra
ch’egli, raggiunta la citta’ dei ciclopi,
prese alloggio presso l’Ospizio dei Pellegrini di questa nostra città, e si sia profuso nelle visite a tutti gli istituti pii che
nel tempo vi operavano (famoso l’0spedale di San Benedetto e quello di San
Matteo, oltre il lebbrosario della Maddalena), servendo e confortando i poveri
reietti ivi ospitati. Grande fu la sua
opera nel grande lebbrosario eretto
presso la chiesa della Maddalena, tanto
che gli alatrensi lo supplicarono di lasciare in città qualche suo religioso per
continuare nell’opera di assistenza fisica e spirituale da lui intrapresa; tant’è
che l’allora Vescovo Giovanni V gli
offrì alla bisogna la chiesina rurale di
Sant’Arcangelo ove egli avrebbe potuto
far costruire un conventino per i suoi
frati, così come il poverello d’Assisi
fece. Ciò è confermato da un atto pubblico dell’Archivio Notarile (notaio
Nardi-Fattori) del 28 novembre 1473
48
nel quale si afferma che i frati minori
del convento di San Francesco in Alatri
fecero restaurare una chiesetta dedicata
a San Michele Arcangelo ove il Santo
dimorò. Ma i frati stettero in quel luogo
solo per pochi anni, e lo abbandonarono
a causa di incursioni vandaliche, di
guerre ed insalubrità dell’aria, avvicinandosi alle mura della città presso
quella che ora è la porta San Francesco,
luogo anch’esso abbandonato in seguito
per gli stessi motivi riparando dentro le
mura cittadine, ove attualmente vi è
porta San Francesco. Nel 1873 quel
luogo ove sorgeva la chiesina di San
Michele Arcangelo ed il piccolo convento di San Francesco di Fuori, fu venduto all’asta e vi sorsero delle case il cui
proprietario si premurò di farvi murare
una lapide commemorativa del passaggio del santo, inaugurata e benedetta nel
1927 dal Vescovo Torrini, con epigrafe
dettata niente meno dall’illustre dantista
nostro concittadino P.Luigi Pietrobono
(lapide visibile fino a qualche tempo
fa). Ma del passaggio del santo esiste
anche una prova inoppugnabile. Difatti,
uno dei cimeli/reliquie francescani più
conservati e venerati, che già di per se è
di valore dimostrativo e illustrativo di
prim’ordine intorno al transito del santo
per Alatri è il Sacro Mantello gelosamente e religiosamente custodito dai
padri conventuali nella chiesa di San
Francesco e che, si narra, il poverello
d’Assisi donò ai cittadini di Alatri prima
di riprendere il suo pellegrinaggio per il
Gargano ed in ricordo del suo passaggio. La meticolosità con cui nei secoli
la reliquia è stata custodita comprova
l’autenticità della stessa e la devozione
del popolo per essa. Il mantello del
Santo, infatti era custodito nella chiesa
di San Francesco in un’urna di legno
dorata, all’interno dell’altare di San
Carlo e di San Francesco la cui porta era
chiusa con tre chiavi, una tenuta dal Vescovo, una seconda dal padre guardiano
del convento e la terza dal Magistrato
della città, segno questo che le massime
autorità civili e religiose della città consideravano la reliquia un prezioso tesoro. Gia’ una prima ricognizione della
stessa fu operata nel 1689 dall’allora vescovo mons. Ghirardelli, ma è nel dicembre dell’anno 2001 che la Curia
Generalizia dei Frati Minori Conventuali, preoccupata dello stato della reliquia, dà incarico all’Università degli
Studi di Chieti di operare un esame
dello stato della stessa e procedere all’opportuno tempestivo intervento conservativo. Così nell’anno 2002, la
facoltà di Medicina e Chirurgia Dipartimento di Medicina e Scienze dell’Invecchiamento della stessa Università,
accettato il prestigioso incarico, procede
alla progettazione ed alla esecuzione
dell’opera di restauro e conservazione
della preziosa ed unica reliquia. Così
oggi il prezioso dono del poverello
d’Assisi alla città di Alatri è visibile ben
disteso in una teca di vetro antisfondamento multistrato a tenuta stagna nella
chiesa di San Francesco.
25
anni d’informazione
Recensione
di Massimo Sergio
FLORIANA CURTI:
SEGNI DI PROFONDA
CIVILTA’
La “pucinella”
è divenuta mamma chioccia
I
l microcosmo letterario di Floriana
Curti si arricchisce di un terzo tassello: “Davide e il soldato (Un ragazzo ebreo nella Frosinone occupata dai
tedeschi)”. Perciò dopo le prime due pubblicazioni (Caramelle e pidocchi (2004) e
La ragazza di via Quintino Sella del
2007), quest’ultima in ordine di tempo,
nel mese di luglio 2013 edita presso le
Grafiche Bianchini di Ceccano, e presentata al pubblico nel mese di settembre dell’anno scorso, esaurisce la nostra curiosità
su quanto accaduto in quella particolare
strada e nei dintorni di una Frosinone
ormai cancellata da improvvidi e malpensanti politicanti. La cui situazione disastrosa fa pronunciare e scrivere
all’Autrice nella premessa parole amare e
di sconforto: “Dopo l’abbattimento dell’ultima caserma (…) si è spento qualcosa
dentro di me: una ribellione perché nulla
si può fare per poter rimettere le cose al
proprio posto. E’ andata via la storia! Dimenticare? Non sempre ci si riesce! Scrivere sì; andare a ritroso con la mia vita,
mettere come in un mosaico i vari pezzi di
questa lunga storia forse è possibile…”.
Si conclude così la trilogìa d’uno squarcio
di vita e di esperienze adolescenziali,
avente come fil-rouge le vicissitudini
degli anni di guerra, dagli inizi al fianco
delle forze hitleriane, poi con l’occupazione tedesca ed infine con l’arrivo degli
Alleati, lento ma inesorabile, con tutte le
conseguenti distruzioni di edifici, strade
ed affetti che una guerra ha sempre comportato. Floriana adulta ha ripercorso con
la memoria quei momenti bui ma intensi
25
anni d’informazione
per la sua formazione di ragazzina adolescente, trascrivendoli e facendoceli vivere
con la sua scrittura piacevole e delicatamente leggera. “Perché – come sottolinea
Maurizio Federico nella parte finale della
prefazione – questo suo magnifico lavoro
ci ricorda che, nel momento più vergognoso della nostra storia nazionale con la
persecuzione degli ebrei da parte di italiani, ci furono altri italiani, come gli abitanti di via Quintino Sella, il soldato
Eugenio e la bella Lucia, che aiutarono e
amarono quanti erano in cerca di scampo
dagli orrori della guerra”. Floriana Curti
scrive non solo per sé e i suoi cari, ma soprattutto per gli altri, per tutti noi: è questo
un gran segno di civiltà. Perché civiltà è
essenzialmente presenza di memorie.
Quanto più numerose sono tali memorie
e, soprattutto, quanto più profonda è la coscienza di tale conoscenza, tanto pù degna
di considerazione è la civiltà. Una civiltà
progredita, come l’attuale che viviamo affannosamente, può fare affidamento su
una infinità di “ricordi”, che sono presenti
culturalmente e psicologicamente o possono essere “presentizzati” (resi presenti,
vicini a noi contemporanei, in attualità) in
un batter d’occhio attraverso la lettura o
la consultazione/riflessione di opere di
memoria, come tutti e tre i libri di Floriana Curti. Essi sono perciò indicativi
segni di profonda civiltà, di attenta cultura
storica e diaristica, alle quali attingere in
qualsiasi momento lo si desideri, con faci-
La caserma era così vicina alla nostra
veranda, quasi che tra i soldati (…) e noi,
(…) ci si poteva, come si dice,
dar la mano…”
lità irrisoria. In questa sua terza fatica,
però, la Curti s’è messa come da parte,
fuori scena, non ne è più la protagonista
ma la scrupolosa cronista, sì, la narratrice
appassionata e partecipe di quanto avviene nel quartiere, ai margini di una Frosinone
martoriata,
impegnata
a
sopravvivere con fatica ed eroicità. Ella
non solo ricorda, ma desidera, anzi vuole
ricordare, tanto da farne un culto della
propria memoria, avendone consapevolezza. Ella ricorda e non solo, ma sa di
poter ricordare e questo le dà una certa sicurezza responsabile. Dico questo per
aver avuto la possibilità in lettura di alcuni
lunghi brani del manoscritto proprio
dall’autrice stessa a casa sua, in cui si ritagliava momenti di confronto e di accertata attenzione da parte di un estraneo che
potesse giudicare ed anche in parte consigliarla da un punto di vista letterario e non
solo. Ripeto, dico questo perché conosco
ed apprezzo la sincerità delle intenzioni di
Floriana nei confronti dei lettori scettici
dei quali si preoccupava e dei tormentati
pensieri su come far terminare il lungo
racconto che poi ha portato a buon fine,
come sempre con grande determinazione,
superando anche gli ostacoli della scrittura. Vi dico comunque che non è ancora
finita l’avventura letteraria dell’amica
Floriana, perché ha in serbo ancora qualcosa di piacevole anzi allettante per i suoi
lettori affezionati: un bel volume di racconti. L’aspettiamo con ansia e con la certezza che anche quello sarà un valido
banco di prova ed un meritato sicuro successo. Un breve discorso a parte meritano
la colorata copertina e la decina, o poco
meno, di illustrazioni in bianco e nero
della pittrice Valeria Molòn, che ben descrivono le vicissitudini dei personaggi e
dei luoghi che sono il tessuto connettivo
della storia principale. Gli intensi rapporti
d’amicizia tra Davide (Paolo) ed il soldato
Eugenio, il giovane uomo sardo, ragazzo
del mare, e la storia di sguardi amorosi
con Lucia sono disegnati dalla Molòn,
come se la storia vera raccontata dalla
Curti avesse un sapore d’altri tempi rievocanti le immagini a corredo dei primi sillabari ed antologìe scolastiche che un po’
tutti noi, quando eravamo ragazzi del dopoguerra, abbiamo avuto la gioia e la fortuna di scoprire e di sfogliare. Ben
rendono tali immagini l’atmosfera di quei
tempi di guerra e di orrore di più di settant’anni or sono.
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Caffè per l’anima
di Rodolfo Coccia
Pubblicita’
per me stesso
Prendendo in prestito il titolo di una raccolta di saggi di Norman Mailer volevo sopperire alla mancanza della “fotina” in
alto a sinistra con qualche spunto autobiografico. In vita i
poeti scrivono parole, ma solo dopo la morte lasciano poesie,
e il trascorso della loro vita rimane fondamentale per comprenderne appieno il senso. Riprendendo il discorso iniziale
(quello della pubblicità) il passato dell’infanzia è fondamentale nella vita da “poeta inconsapevole”, vuoi se vissuta “angelicamente” nelle mattinate da oratorio o “diabolicamente”
nei pomeriggi Beat, tra Flipper, musica e cinema. E in tutto
questo la totale mancanza di “pallone” abbandonato in terza
elementare, a favore dei Beatles, ha contribuito senza dubbio
ad alimentare uno Spleen continuo che sarebbe stato utile in
futuro. Il termine in sé nella poesia moderna, non comporta
propriamente l’uso della scrittura, altre forme, altri gesti, altre
occasioni, possono divenire poesia, anche se nel passaggio
dall’adolescenza all’età matura, una volta ci pensava la Leva
Militare a forgiare e instradare “le migliori menti della mia
generazione”. Quella fu una buona palestra di pensiero, perché
per chi già avvezzo con la materia, trovava materiale umano
e di varia umanità su cui lavorare, e questo non comportava affatto un eccellente risultato scolastico, per me un vero disastro
fino ad allora, anche se orgogliosamente conservavo un ritaglio di giornale dove era riportavo il mio nome come vincitore
assoluto di un premio letterario istituito nelle scuole medie di
tutta la regione. Subito dopo, le varie esperienze lavorative
hanno contribuito non poco alla mia formazione poetica. La
frequentazione dell’oratorio da ragazzino mi ha lasciato un
forte legame (e richiamo) con l’Avventura e più avanti con il
Innamoramento
Premere questo tasto
per ottenere un segnale più forte.
Quando siete posizionati in un luogo
con segnale sfuggevole,
inarrivabile e debole
rilasciarlo per un segnale più forte.
50
Viaggio, tanto che una volta finito il militare la ricerca del lavoro era mirata esclusivamente al finanziamento di quest’ultimo. E quindi posso vantare per tipologia e specie di aver
fatto il fiscolaro in una fabbrica di corde, il portiere di notte e
l’aiutante cucina in albergo, il professore in un Istituto Agrario, il raccoglitore di nocciole nel viterbese e le giornate di
vendemmia nel Lazio, il rappresentante per la Findus, l’Aiutante Ufficiale Giudiziario in Tribunale. Le diverse residenze
negli anni, Lavinio, Viterbo, Frosinone, Milano, Firenze,
Roma, sono state stimolo socializzante e continuo di confronto, dialogo, linguaggio. Per ultimo, ma assolutamente primaria, la figura idealizzante e idealizzata della donna, prima
ricercata invano, poi trovata facilmente altrove, infine incontrata, stabilizzata e sublimizzata, come compagna e madre dei
miei figli. Le muse tanto cantate e decantate le lascio ai poeti
del tipo “quelli che ci credono”.
Da oltre trentacinque anni, invece mi ritrovo ad essere un geometra (diploma) che fa il ragioniere (in un Istituto di Credito)
ma che scrive di cronaca, arte e letteratura (giornalista, scrittore, poeta?). Fino all’età di quaranta anni non avevo mai
scritto una poesia, ma avevo sicuramente approfondito e approfittato abbondantemente della letteratura, della fotografia,
della musica, del viaggio geografico ed esistenziale. Il mio
primo lavoro, come dicono “quelli che ci credono”, è stata una
piccola plaquette stampata proprio al compimento dei miei
quattro decenni di vita, “Caffè per l’anima” una piccola ed essenziale raccolta mirata all’esistenziale del quotidiano, caratteristica sviluppata poi in venti anni di produzione letteraria,
teatrale e poetica, materializzati in diversi contenitori artistici,
Libri, Fotografie, Riviste, Quotidiani, Antologie, Radio
RAITV, Tele Private, Convegni, Reading, Internet, Concorsi,
Giornalismo, Teatro e due presenze (2008-2011) alla Fiera Internazionale del Libro di Torino. Oggi al compimento dei miei
sessanta anni (20 febbraio) torno a regalarmi un’altra plaquette dedicata “ Istruzioni & Garanzie” autoprodotta dalle
Edizioni RodRay, scritta in una forma di cut-up dal sapore
DADA e dallo spunto Beat, con il cruccio di non averlo potuto
stampare in ciclostile, come nella migliore tradizione Old Usa
Beat.
Per farmi gli auguri è presto (e poi porta male), ma voglio dedicare un verso ai tanti che hanno avuto la pazienza e il coraggio di arrivare a leggere queste righe, perché ricordate sempre
che al principio dell’amore c’è sempre la cosa più bella, più
importante, più desiderata di ogni poesia …l’innamoramento
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anni d’informazione
T h e l at i n l i n e
Testo di Rodolfo Coccia
Illustrazione originale di Giovanni Grande
Q
uando da bambini si giocava a dare due calci al pallone la prima unica e insormontabile discussione riguardava il ruolo di portiere da ricoprire. Nessuno lo voleva fare, e stessa malaugurata sorte toccava a
chi doveva ricoprire il ruolo di bassista nei tanti neonascenti complessini beat degli anni sessanta. In giro
c’era penuria sia di portieri che di bassisti, anzi spesso si era costretti a giocare o suonare senza portiere o senza
bassista. Ma in cuor tuo sapevi e capivi che nonostante il ruolo un po’ defilato, le due figure erano (e sono) primarie e di fondamentale importanza. Nella libera interpretazione del personaggio di Altan, Giovanni riporta
alla ribalta una figura altrimenti relegata, sempre un passo dietro rispetto agli altri, ma non solo, con l’operazione
Pimpa Bassista sembra che il ritmo si fonda con l’allegro manto a pois, mentre “l’animale parlante” con la zampetta porta il tempo, sulle note “ open and free “ di una ricercata e ritrovata Jam Session Jazz.
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Sport ad alta quota
di Gabriele Maniccia
MONTAGNA:
SETTE MODI
PER PERDERSI
E NON…
A
umentano sempre di più le persone che si perdono in montagna ed a volte a pochi
chilometri da un centro abitato. Sulla
stampa si legge che spesso i dispersi
erano anche ritenuti “esperti escursionisti”. Per costoro qualche volta, malauguratamente le cose si mettono
male e vanno a finire in brutte avventure. Attraverso la nostra esperienza e
riferendoci alle regole e raccomandazioni del Club Alpino Italiano, rappresentiamo in un elementare ma
essenziale catalogo in sette punti, il
perché ci si perde in montagna e come
si dovrebbe fare per non smarrirsi.
Punto primo: mai andare da soli soprattutto se non si conosce la zona in
cui ci si avventura, anche solo con
l’idea di un’escursione nel bosco seguendo un sentiero senza sapere dove
porta. Non conoscere i dintorni e a che
distanza si trovino i prossimi punti di
contatto con case, borghi, punti notevoli o strade percorribili, può portare
alla perdita di orientamento. Il concetto di distanza e di tempo è notevolmente diverso in montagna da quello
conosciuto camminando in città, percorrendo una strada con la propria automobile o andando a oltre cento
all’ora su un’autostrada. In montagna
su sentieri non difficili, chi è in condizioni di salute normali ed abituato a
praticare un minimo di attività fisica,
può percorrere circa tre chilometri di
52
Gabriele Maniccia
distanza in un’ora di camminata e,
nello stesso tempo di un’ora, non supera facilmente un dislivello di trecento metri. Anche su sentieri più
facili, molte persone, non ricordando
il percorso effettuato e non rendendosi
conto del tempo, tendono a farsi prendere dal disorientamento e dal panico,
per cui non ritrovano il punto di partenza.
Punto secondo: avere con sé una
mappa, sia turistica che topografica,
ma non saperla leggere al momento
necessario perché privi delle essenziali
nozioni di geografia, significa andare
nella confusione più totale. Questa carenza è molto diffusa anche tra i giovani, i quali spendendo la gran parte
del tempo in ambienti chiusi ad a contatto con oggetti ravvicinati, come
computer, telefonini, televisione, riportano una visione ridotta delle distanze reali in ambienti aperti. Infatti,
se provate a chiedere a più persone a
che distanza si trovi una strada che
cercate in città, le risposte saranno
molto diverse: da qualche centinaio di
metri a qualche chilometro. Se ripetete
l’esperimento riferendovi al tempo che
ci vuole per arrivare ad un determinato
posto, vi sentirete rispondere anche in
questo caso diversamente: chi dirà
qualche minuto, chi più di qualche decina di minuti o addirittura un’ora,
senza nessun approssimato rapporto
con la vera distanza. Quindi una cono-
scenza dei punti notevoli segnati su una
mappa, soprattutto rilevati prima di iniziare il cammino, è essenziale. Inoltre,
non sottovalutate l’allenamento a riportare
i minimi elementi di orientamento geografico tra ciò che si vede attorno a voi e ciò
che è rappresentato sulla carta.
Punto terzo: seguire i cartelli che indicano
percorsi e sentieri, attraverso colori e numeri e chiedere sempre conferme a chi
s’incontra, soprattutto se pastori o gente
del luogo. Tuttavia, negli ultimi tempi, paradossalmente è diventato più difficile
orientarsi attraversi i segnali, perché se ne
trovano di più e spesso in sovrapposizione
e confusione tra loro. La mancanza di
un’unica autorità per la gestione del territorio e soprattutto l’inefficienza dei controlli sulla preservazione della natura, fa
sì che, oltre alla storica e affidabile segnalazione del Cai, tuttora si trovino ulteriori
segnalazioni di altri enti di montagna,
come pure di associazioni ambientaliste o
locali, che tendono a personalizzare percorsi con numeri e simboli diversi. Si aggiunga che in alcune zone degli Ernici e
dei Lepini, si trovano perfino segnali lasciati da cacciatori, atleti di mountainbike, moto enduro, fuori strada e fanatici
di guerre finte che danno un’idea di come,
in mezzo a tanta confusione, ci si possa
facilmente perdere se non si sa leggere
una mappa.
Punto quarto: confidare nel proprio telefonino e poi accorgersi che, una volta di-
25
anni d’informazione
Escursionisti del CAi
verso il Monte Crepacuore
spersi, il segnale non c’è più e dopo innumerevoli tentativi di chiamata, trovarsi anche con le batterie scariche. E’
ovvio che soprattutto tra le valli delle
montagne, a meno che non ci si trovi
in vicinanza di un ripetitore, i segnali
spesso siano coperti dalle rocce e dalla
fitta vegetazione. A ciò va aggiunto
che la capacità di ricezione non dipende tanto dal tipo di telefonino ma
soprattutto dal gestore telefonico cui si
è abbonati. Per questo, sarebbe sempre
prudente, in vista di una lunga escursione, avere sia una batteria di ricambio che una carta Sim aggiuntiva di un
gestore diverso. Per ultimo, potrebbe
essere consigliabile inserire, sul proprio telefonino il programma di auto
localizzazione di Google Map, in
quanto in questo modo è più facile individuare la zona della chiamata e
provvedere alle indicazioni di orientamento o di soccorso. Meno consigliabile è utilizzare in continuazione il
Gps interno al telefonino, in quanto,
anche se si è esperti, bisogna tener
conto che con questa funzione, il consumo delle batterie fa durare il telefonino poche ore.
Punto quinto: ritenere che le indicazioni del Navigatore o del Gps siano
sufficienti a toglierci dai guai. Non
basta avere il Gps se la capacità di utilizzo di questo complesso strumento
non è adeguata. Purtroppo, non è una
novità che una gran parte di escursionisti, anche in viaggi impegnativi, si
perdono per “colpa” del Gps. Il Gps
determina rotte, quote e percorsi altimetrici attraverso coordinate geografiche che richiedono però una
conoscenza molto più tecnica di
quella necessaria al comune automobilista. Va tenuto presente che un auto-
25
anni d’informazione
Ricercatori Università di Roma
sui Monti Ernici
mobilista, in caso di fermata sta sempre su una strada dove ci sono segnali
e passanti, l’escursionista a sua volta,
una volta disperso, può trovarsi senza
alcun riferimento e finire completamente disorientato se non riesce ad interpretare lo strumento satellitare.
Questo è il motivo fondamentale, per
cui questi sistemi (sia il Gps che le
carte topografiche), vanno studiati
bene prima di partire al fine di non ricorrere a loro da impreparati nel momento determinante.
Punto sesto: far sapere a qualche conoscente, dove si va e, più o meno,
quando si intende rientrare. Lasciare
segnali di ritrovamento è essenziale,
soprattutto se si va in zone nuove o in
condizioni di tempo incerto. In queste
situazioni, una buona norma di prudenza, è quella di riportare mentalmente o su un taccuino tracce di
percorso, punti di riconoscimento, attraversamento torrenti, ruderi e altro
d’indicativo, da poter ritrovare al rientro. Calcolare con prudenza le distanze
e le difficoltà del percorso in quanto, il
ritorno, per stanchezza, è sempre più
difficoltoso dell’andata e di pomeriggio, sui versanti all’ombra e specie nei
boschi, la visibilità è quasi a livello serale. E’ proprio in queste situazioni
che la perdita di orientamento è facile,
come pure le possibili cadute sul terreno scosceso e poco visibile.
Punto settimo: restare in gruppo se si
va in escursione organizzata. Molti dei
problemi in montagna accadono perché persone, prese dall’entusiasmo e
dalla voglia di dimostrare la propria
bravura, si avvantaggiano nel percorso
e fanno cose non programmate. Altre,
al contrario, qualche volta perché non
in grado fisicamente, altre volte perché
distratte, restano indietro e non ritrovano
più i compagni, creando disagi a tutta la
compagnia. Una buona educazione all’escursione di gruppo è tener conto del
fatto che non ci si può permettere di inserire obiettivi personali, una volta
iscritti al programma della giornata e soprattutto perché un gruppo, sia esso sotto
l’egida di un’istituzione escursionistica,
sia esso a titolo amichevole, in casi d’incidente prevede sempre la responsabilità
civile nei confronti degli altri di un direttore di gita o di qualcuno che si è
“messo alla testa della compagnia”.
Quindi, imparate qualcosa di più con le
carte, allenatevi con il Gps, ma soprattutto guardate attorno il panorama, osservate con curiosità tutto quello che
incontrate e … divertitevi.
Le indicazioni dell’articolo sono
tratte dall’esperienza dei componenti del Club Alpino Italiano
ed in particolare di quelli della
Sezione Mario Calderari e Giuliano Spaziani di Frosinone.
L’autore Gabriele Maniccia è
esperto di escursionismo in montagna; oltre che essere stato
Istruttore di Orientamento per il
Cai, ha compiuto esplorazioni
all’estero ed attualmente è membro della Società Geografica
Italiana.
53
L’arte allo specchio
Lo stile “Bon ton”
di Alfio Borghese,
Direttore della IV ed. della rassegna
“L’Arte visiva contemporanea”
54
Q
uarta edizione della rassegna “L’Arte Visiva Contemporanea”:
Tutto di corsa, quest’anno, per la delibera comunale arrivata in
extremis, il 31 dicembre: nonostante tutto, un calendario importante e nutrito e qualche assenza pesante, dovuta alla fretta per la stampa
e l’organizzazione. Tra le grandi mostre quella di Ernesto Biondi, vincitore, con i “Saturnali” del Gran Prix dell’Esposizione Internazionale di
Parigi del 1900, dominatore, con le sue sculture, dell’arte non solo in Ciociaria ma in tutta Europa. Accanto a Biondi, Manlio Sarra che ha dipinto
in centinaia di opere le feste paesane, i costumi e i paesaggi del sud del
Lazio ed ha fatto conoscere l’arte italiana del Novecento
in Francia, in Germania, negli Stati Uniti e in Canadà.
Altre due retrospettive meritano di essere citate: quelle di
Ettore Gualdini, affascinante pittore di Frosinone, con una
mostra dedicata alla sua seconda casa, quella delle vacanze in Croazia e di Antonio Menenti di Anagni, conosciuto e stimato per le sue opere di avanguardia. Poi, da
gennaio a dicembre 2014, le personali, prima tra tutte
quella di Patrizia Molinari, con anni di insegnamento
all’Accademia di Belle Arti di Frosinone, seguita da Palumbo, Ludovici, Spaziani, Palma, Carminucci, De Gasperis, Manciati, Del Brocco, Calabrese, Ricci, Nati,
Viparelli, Buongarzoni, Vitali, Fanfarillo, Baranska, Di
Rollo, Ciccalé, D’Amico e Carlini. E ancora: Turriziani
Colonna, la fotografa Polselli e per chiudere il 2014, tre
donne: Pollidori, Savoy e Leonardi: 30 artisti di vari stili
e tendenze, conosciuti in tutta Italia oppure noti solo qui
da noi, con grandi esperienze oppure alle prime mostre
importanti, che si presentano per la prima volta al grande
pubblico del capoluogo ciociaro. Accanto alle personali,
avvenimento centrale è la Biennale di Arte Visiva Contemporanea che presenterà un massimo di 200 artisti scelti
da 600 partecipanti, dividendoli in cinque sezioni: pittura,
scultura, installazioni, video-arte e fotografia, con premi
per ogni categoria. Una sezione speciale sarà riservata ai
giovani con meno di 21 anni, in particolare agli alunni dei
licei artistici e delle Accademie di Belle Arti. Alla Biennale è riservato il mese di aprile 2014. Il calendario della
rassegna alla Villa Comunale è stata presentata nella Sala
Consiliare del Comune di Frosinone dal Commissario
Straordinario della Provincia Giuseppe Patrizi che ha ricordato come la cultura, con i migliori talenti locali ed internazionali, restituisce alla Ciociaria quel ruolo di terra d’arte che merita. Con la cultura
– ha detto Patrizi – “si promuove il territorio e si eleva lo spirito”. A sua
volta l’Assessore alla Cultura del Comune, Gianpiero Fabrizi ha ricordato
i successi della scorsa edizione, con i quasi diecimila visitatori della Rassegna di arte visiva del 2013 e le grandi mostre di Francis Cox e di Colacicchi affiancati quest’anno da Biondi, nato a Morolo, autore del
monumento di Piazza della Libertà dedicato a Ricciotti e ai martiri della
Ciociaria. E da Sarra di Monte San Giovanni Campano, Gualdini e Menenti, che costituiscono le colonne portanti dell’arte in Ciociaria. Notevole poi l’intervento del direttore della rivista Flash Magazine, Nicandro
D’Angelo, che ha esortato la stampa ad occuparsi di più e meglio delle
iniziative quali la rassegna d’arte visiva alla Villa Comunale che, come ha
scritto il sindaco Ottaviani, rappresenta uno degli appuntamenti più qualificanti del corposo programma culturale frusinate. Secondo il Dr. D’Angelo, “la cultura è la migliore soluzione per la crescita del territorio, per
porre un argine alla crisi, per la promozione del turismo, per stimolare
l’interesse dei giovani e dare anche occupazione”.
25
anni d’informazione
Cultura e Società
di Grey Est
L’arte come veicolo d’integrazione
L’arte non ha confini: è patrimonio culturale e integrazione sociale
Secondo wikipedia:
“L’arte, nel suo significato più ampio, comprende
ogni attività umana – svolta singolarmente o collettivamente – che porta a forme creative di espressione estetica, poggiando su accorgimenti
tecnici, abilità innate e norme comportamentali
derivanti dallo studio e dall’esperienza. Nella sua
accezione odierna, l’arte è strettamente connessa
alla capacità di trasmettere emozioni e “messaggi“ soggettivi. Tuttavia non esiste un unico linguaggio artistico e neppure un unico codice
inequivocabile di interpretazione”.
Q
uesto concetto rispecchia globalmente il ruolo dell’arte, non solo
per l’individuo ma anche nel
contesto della società; quale originale esperienza tecnica e umana. L’arte è il veicolo per antonomasia: per conoscere
l’altro; il suo vissuto; le sue angosce; la
sua voglia di evadere e di sognare; le sue
impotenze; le sue paure. Ne sono un
esempio i Campi di grano con corvi
(1890) di Vincent Van Gogh oppure, il
non meno famoso, L’Urlo di Eduard
Munch (1893), tanto per citare classici
dell’arte mondiale. L’artista, per creare,
non può prescindere dall’ambiente dov’è
inmerso, in quanto è lo specchio della
propria epoca. Cosi l’artista diventa il
ponte che unisce il reale con l’irreale, la
realtà con il fatto onirico, i quali sono insiti nell’uomo e nell’artista, intesi come
coltivatori dell’orto comune dei sensi
dell’uomo. In un momento di profonda
crisi economica e sociale, non è possibile trascurare il fattore arte, perchè è ciò
che nobilita l’uomo (oltre che il lavoro);
ciò che lo fa sognare; ciò che fa elevare
il suo pensiero all’Olimpo della lucidità
dei sogni, dando ristoro alla sua anima
per poi tornare più forte alla realtà quotidiana. Quante volte è accaduto che gu-
25
anni d’informazione
ardando un’opera sentivate affiorare nel
vostro volto un lieve sorriso; o sentire
una morbida carezza nel cuore; o sentire
ancora, che quell’oggetto e quella immagine in voi evocavano qualcosa di familiare e di straordinario. Così dopo tutte
queste riflessioni non si può non ritenere
l’arte il mezzo più efficace d’integrazione, di riunione, l’anello di congiunzione tra pensieri, usi e costumi diversi
per poter conoscere e riconoscere
nell’altro qualcosa di proprio.
Cos’è l’integrazione?
Nelle scienze sociali, il termine integrazione indica l’insieme di processi
sociali e culturali che rendono l’individuo membro di una società.
Andiamo alla etimologia della parola:
integrare; cioè aggiungere.
Immaginare di aggiungere qualcosa a
un’altra già creata potrebbe far sembrare
che l’ultima aggiunta è un qualcosa in
più di cui si può fare a meno; ma se
l’oggetto aggiunto viene considerato
come un qualcosa che può portare idee,
esperienza, usi, costumi, colore, sapore
e situazioni nuove, non può che essere
un ingrediente che arrichisce e non che
impoverisce.
La parola integrazione credo che non
dovrebbe esistere perchè siamo tutti stati
“immigrati”: è nel DNA e nella storia dei
popoli. L’immigrazione è il motore della
metamorfosi dei popoli antropologicamente parlando, in quanto l’interazione
fa crescere. Quindi, credo che l’arte, da
qualunque fonte provenga, porti con sè
il suo retaggio umano e cromatico di tipo
universale e come tale unisce e ricongiunge l’uomo con l’uomo. Sono sempre
più convinta che la pittura svolga un processo di intergrazione sociale ponendo
importanti questioni di responsabilità, di
legittimità e di cittadinanza. Per questi
motivi, l’arte, nella sua più alta espressione, abbatte barriere, esclude gruppi di
emarginati, allontana le disuguaglianze.
Il rapporto che si instaura tra l’arte pittorica e i processi di integrazione diventano indispensabili per l’inclusione
culturale che esercita su altre dimensioni
– economica, sociale e politica – dell’esclusione.
Nel momento in cui l’artista si trova di
fronte alla tela, non pone incertezze e
tentennamenti, in quanto allarga i propri
orizzonti assumendo il ruolo di dimensione multimediale che riguarda il legame tra cultura e società.
55
L’arte allo specchio
di Nicola Casato
La mostra di ELENA SEVI
sangue vivo
Tenutasi dal 10 al 19 novembre dello scorso anno, a
cura di Loredana Rea, nella Villa Comunale di Frosinone, nell’ambito della 3° edizione dell’Arte Visiva
Contemporanea, promotore il prof. Alfio Borghese.
Dal titolo emblematico di “Sangue vivo” a segnare
la fragilità dell’esistenza.
Ogni volta in cui la voce del corpo entra in
estasi/ la femminilità della saggezza fiorisce/
e di rose riveste le sue parti/ che restano sognanti nella loro ritrosìa”. Wafaa Lamrani
“
I
l lavoro artistico di Elena Sevi lo si
è potutto ammirare presso lo splendido scenario della Villa Comunale
nel capoluogo e nelle sue spaziose sale
espositive illuminate a giorno per l’occasione. Diplomata in scultura presso
l’Accademia di Belle Arti di Frosinone, città dove vive e lavora, fin dal
1976 si dedica ad attività di pura ricerca facendo della scultura lo strumento privilegiato della conoscenza e
della riscoperta delle proprie radici, attraverso l’utilizzo della iconografìa
classica e di materiali tradizionali:
piombo, ferro, pietra, legno, terracotta
sia pure declinati con una continua attenzione verso la contemporaneità. E
contemporanea è sicuramente questa
mostra/ evento che ha coinvolto pubblico e critica. “Sangue vivo”, il titolo
dell’allestimento, e come dice l’artista
“a segnare la fragilità dell’esistenza”.
Sculture ma anche interventi pittorici a
creare un universo artistico di interrelazioni segniche e concettuali tra le
varie discipline, con risultati di intensa
espressività, dove alla bellezza struggente dei visi femminili si contrappone una assenza del corpo, dello
sguardo in una compostezza solenne…ieratica. Una ricerca intellet-
56
tuale contemporanea ed umana che
concettualmente presenta al nostro
sguardo un mondo femminile fatto di
ansie, di timori e soprattutto di violenze subìte. Violenze che nascono a
volte da una tradizione crudele, mortificante, che ha come oggetto il corpo e
la mente della donna. La Sevi pone all’attenzione problemi ancora vivi
come per esempio la crudele pratica
dell’infibulazione, che è una mutilazione corporea diffusa in Africa Orientale e Nord/Orientale. Essa consiste
nell’asportazione del clitoride e della
faccia interna delle grandi labbra, successivamente ravvicinate e cucite che
solo al momento del matrimonio vengono riaperte. E poi il Femminicidio,
“l’orrendo gesto” di annientamento
della donna, che riempie anche le cronache nazionali, dettato a volte da futili motivi, a volte da “presunte
immolazioni” per l’amore tradito,
molto spesso come violenza e sopraffazione gratuita e belluina. Realtà di
una cultura maschilista ancora imperante a cui Elena Sevi contrappone
sculture nella forma di scudi, di corazze, di maschere e visi armoniosi ma
senza pupille…vuoti a testimoniare
una assenza/presenza. Come nella sua
25
anni d’informazione
Lo specchio dell’arte
bellissima Atena, dea della sapienza,
dove compare una scritta “Help me!”
(Aiutami!), che testimonia la precarietà dell’arte, ma soprattutto dell’essere che preferisce a volte solo
“guardare” piuttosto che “vedere” in
profondità. Allo sguardo un discorso
chiaro, immediato, dove, come dicevamo, la precarietà dell’arte e dell’essere sono evidenti e dove la violenza
psichica, mentale e fisica espressione
di un potere mai sazio “di sangue
vivo” diventa il filo conduttore, ed il
colore rosso, simbolo di violenza in
questo caso, la traccia evidente e corrosiva. Ed è interessante leggere un
breve passo in catalogo della dotta e
attenta prof. Loredana Rea, curatrice
della mostra: “Una bellezza struggente
come filo sottile lega le une alle altre
le opere recenti di Elena Sevi, a raccontare l’impossibilità di uno stato di
grazia, che si fa precarietà tangibile,
sebbene celata dietro ogni ieratico
volto di donna, dietro ogni corazza lacerata in battaglia, dietro gli scudi
maestosi e austeri. Trapela improvvisa
dai frammenti di un’antichità contemporanea, sapientemente costruiti per
resistere alle ossessioni del presente e
suggerire una dimensione introspettiva, che oscilla tra pienezza e assenza”. Ma non solo “pensiero
profondo” nel lavoro artistico di Elena
Sevi, anche maestrìa tecnica. Partendo
dagli schemi classici della scultura,
l’artista dà un’impronta sua personale
molto evidente sia nel segno, profondo
e forte, che nelle forme plastiche, del
tutto originali,dove originali è termine
limitativo se non si tenesse conto di
quasi quarant’anni di impegno tecnico,
intellettuale e concettuale, tesi a creare
un universo artistico dalle forti tensioni umane e culturali. Usa tutti i materiali (a dimostrazione di padronanza
e amore per la materia) che la scultura
ha proposto nel tempo: piombo,
bronzo, ferro, pietra, terracotta ed usa
diverse tecniche misurandosi anche
con la scultura RAKU, un particolare
procedimento che affonda le radici
nell’Arte Orientale Giapponese e che
nel suo caso paricolare manifesta colori cangianti… nel tempo. Corazze e
scudi, visi, copricapi fantasiosi, sculture astratte sono tutti originali elementi del suo vivere… artistico.
25
anni d’informazione
Nota bio/artistica
Nata a Tecchiena di Alatri nel 1953, vive e lavora a Frosinone. Nel 1993 partecipa alla 1°
Biennale DonnArte, allestita presso l’Amministrazione provinciale di Frosinone ed il palazzoExcalibur di Manchester. Tre anni dopo viene invitata alla XII Quadriennale di Roma, con la realizzazione di una grande installazione in legno, pietre e piombo emblematicamente intitolata
“Cercle de Bois”. Nel 1997 è al 49° premio Michetti e subito dopo al XXXIII premio Vasto, ove torna nel
2010, mentre tre anni prima, nel 2007 aveva partecipato alla 52° Biennale di Venezia con Camera312.
Nel 2001 aveva effettuato due mostre personali (videoinstallazioni) presso lo Studio Arte Fuori Centro di
Roma, “Il tempo dell’anima”, ed all’Angelus Novus di L’Aquila, con “Sculture in divenire”. Ancora nel
2010 viene invitata alla Biennale dell’Incisione Italiana Contemporanea di Campobasso, dove torna nel
2012; mentre l’anno prima, nel 2011 è a Torino con Grafica Oggi. Viaggio nell’Italia dell’incisione. Nel
mese di giugno dello stesso anno è a Riga, nell’Estonia, nella sede dell’Unione d’Europa, a Sofia e a
Chisinau, con la mostra itinerante nelle più importanti capitali dell’Europa dell’Est, dal titolo The Wall. E’
anche a San Pietroburgo con un’esposizione personale composta di una ventina di sculture al Museo
Manege e nello stesso periodo è presente alla 54° Biennale di Venezia con Padiglione Tibet. Da ultimo
nel 2013 ottiene consensi significativi presso lo SculpturArt di Matera con la mostra Strong Women.
“Nelle sue opere Elena Sevi porta avanti con fermezza e coerenza il suo discorso femminista (…)
Così i suoi busti fasciati nascono bianchi e puri come la neve per trasformarsi in simboli di una violenza stupida e cieca…” (Alfio Borghese)
“…Nulla concede alla sensualità, perché l’assolutezza formale rappresenta l’unico mezzo per sfidare
lo scorrere inarrestabile del tempo, per inchiodarlo a una fissità che trascende la caducità della condizione umana e rivela quanto si nasconde nella mutevolezza delle cose, seguendo il desiderio di superare il disorientamento tra ciò che appare e cio che è…” (Loredana Rea)
“…Con l’opera di Elena Sevi ci si affaccia sul mistero del mondo e dell’essere, che ci propongono una
nuova relazione, la quale rinvia alla creazione, ad un “originario” che non è mai totalmente accessibile.
Questa è la Koinè del contemporaneo. Diverse altre discipline espressive non se ne sono accorte, e
l’arte ha assunto su di sé il compito di illuminare il cosmo: di proporsi come una ricerca di un fondamento che rileggittimi l’immagine; di diventare, in una parola, un’altra metafisica.” (Floriano De Santi)
57
L’arte allo specchio
di Lucia Mancini
Un’artista esteta che emoziona
Mariangela Calabrese
Donna, insegnante, pittrice
“M
i è sempre piaciuto spaziare con forme e tecniche
artistiche differenti, nelle
dimensioni più varie, nella ricerca dei colori, tra gli artisti del Novecento e contemporanei, prendendo come punto di
riferimento l’ Espressionismo”. Così si
presenta Mariangela Calabrese, artista e
pittrice che vive e crea le sue tele ad Alatri, con fascino, affabilità, cultura non di-
Tu menti
Ma quale domanda
58
sgiunte da emotività, “verve” e una prorompente volontà di confrontarsi con ogni
forma d’arte. Donna, madre e artista, ben
consapevole delle difficoltà in più che un
mondo di mentalità ancora maschilista
crea alle donna – tanto più artista - ogni
volta che prova a cimentarsi con i campi
più elevati dell’arte ed è costretta a scontrarsi nel quotidiano con organizzazione
di mostre, rapporti con il pubblico, difficoltà interpretative del pubblico. Non a caso ha esposto
per l’ “Arte contro il femminicidio” ed è socia dell’ “Associazione Zerotremilacento Arte
pubblica e relazionale” di Frosinone. Eppure il pubblico lei
lo coinvolge attivamente nei
suoi lavori. Ad esempio il
“Primo Libro d’artista “Come
Palomar” omaggio ad Italo
Calvino, nato dalla sua partecipazione al convegno letterario:
Una musa che non incanta? “
nel 2012 presso l’Abbazia Cistercense di Casamari in Veroli
(Fr), è il suo primo lavoro di
“arte relazionale che crea una
relazione diretta tra l’artista e
altre persone del pubblico che
contribuiscono attivamente a
completare l’opera”, come lo
definisce lei. Si tratta di 30 pagine di pitture su cui sono state
scritte delle frasi e degli aforismo tratti dalle opere di Italo
Calvino, che sono state distribuite al pubblico durante il
convegno perché tutti potessero continuare a scrivere le
proprie riflessioni a partire da
quella frase. Ne è nato un
unico racconto, ancora inedito,
e un vero e proprio Diario i cui
fogli sono diventati vere e proprie pagine di un unico libro.
Ma procediamo con ordine. La
fase iniziale della pittrice, in-
torno agli anni 1980, è stata caratterizzata
soprattutto dalla pittura figurativa, fortemente autobiografica, in cui prediligeva
l’olio su tela e i cui soggetti spaziavano
dalle figure umane preferibilmente femminili ai miti classici, in particolare il
“Mito di Leda”. Successivamente è subentrata una fase di sperimentazione di
tecniche e di dimensioni delle tele assolutamente diversificate tra di loro, anche se,
ci confessa, “ho sempre preferito l’acrilico su tela”. Ma la fase successiva è
quella di mezzo, in cui riconosce di aver
mediato lo stile figurativo iniziale con le
attuali installazioni: è la fase dell’ “Astrattismo”, che risale agli anni Duemila. E’
questa una modalità di pittura più di getto
e immediata, che le ha permesso di esprimere in modo istintivo e d’impeto quella
carica di tensione che si trova evidentemente nella sua anima, soprattutto attraverso l’uso del cromatismo “senza limiti”,
in cui il colore diventa emozione e viceversa. “L’estetica come ricerca è fondamentale per me, perché l’accostamento
dei colori deve esprimere lo stato
d’animo, ma comunque sempre senza prevaricare nella tela e senza disturbare la
visione d’insieme del quadro”, dice con
impegno e concentrazione, mal celando
tuttavia il sorriso e la mansuetudine dei
25
anni d’informazione
Lo specchio dell’arte
suoi occhi lampeggianti di chissà
quali profonde emozioni! Colpisce a tal proposito il dipinto intitolato “Tu menti”, quasi un
turbinio di emozioni che partendo
da un’oscurità laterale bluastra –
forse il dubbio di un’iniziale promessa apparentemente vera –
procede verso il centro lasciando
spazio ad un vortice di “saturazione del rosso”, con il giallo velato da linee bianche– forse nella
scoperta della menzogna, che
continua ad essere velata da una
nebulosa di dubbi che volano via
verso l’alto in una mancata risoluzione e in un infinito sconcertante di freddezza e di gelo.
Anche “Ma quale domanda” ripropone le stesse tonalità cromatiche, ma al rovescio: dal giallo,
l’affermazione e la domanda, al
rosso sempre più intenso, del
cupo pensare di una risposta impossibile, si procede invece verso
il bluastro, il dubbio oscuro o
forse la certezza del male, dell’inarrivabile, dell’insolubile.
Non a caso questi lavori sono nati
per il tema del femminicidio. Il
caos è dunque il tema dominante
dell’astrattismo della Calabrese,
sebbene talvolta compaia la figura umana
come simbolo estetico che “lo spettatore
deve ricercare e scoprire nelle sue opere,
diventandone critico e interprete fondamentale ed entrando a fare parte, in qualche modo, del dipinto stesso”, ci dice,
Installazione
affascinata dalla cooperazione tra artista
e interprete che caratterizza le tendenze
artistiche più moderne e tipiche della
mentalità dei contemporanei. E’ qui più
evidente la lezione dei suoi maestri
“ideali”: De Kooning, Warol, Hartung,
Pollock, Kandinskij nella sua passione e predilezione per i simbolisti. Oggi però ci parla di una
nuova fase: quella delle “Installazioni”. In particolare l’”Atmosfera
essenziale” è stata realizzata nel
2009 ed esposta sui Piloni a Frosinone e poi trasferita nel 2013
nella città di Veroli. rappresenta
un “Diario interiore” di grande
formato, corredato da testi e figure
che rappresentano la ricerca introspettiva dell’autrice, dove il segno
grafico è abbinato a quello cromatico. Attualmente sta preparando
una serie di installazioni che prendono spunto da alcuni passi della
“Divina Commedia” di Dante Alighieri per poi realizzare vari
grandi tele da esporre pubblicamente a Roma. Attualmente è impegnata nel progetto “Mail Art”
che coinvolge gallerie d’arte, associazioni ed enti pubblici internazionali tra cui Galerie LE LAB 3
Marseille (Francia), Igakusei
(Spagna), Atelier 5Blanks Schondorf (Germania), Centro Goodtoday Lima (Perú), Centro Culturale
Casa Mateo Ricci Ayacucho
(Perú), GalerieatelierKarl von
Monschau (Germania), Bakırköy
Parco Botanico Istambul (Turchia), ed
altre. Inoltre avremo modo di contemplare
le sue opere tra il 20 e il 28 febbraio nella
mostra intitolata “Aforismi” presso la
Villa Comunale di Frosinone. he non incanta?
L’ATTIVITA’ ARTISTICA DI MARIANGELA CALABRESE
1980-1989: mostre personali a Frosinone e provincia
1990: International Art Competition New York
1992-2010 Rassegna Arte Ciociara
Fino al 2000: Mostre collettive (tra cui Fiat Avio Colleferro, (Roma), e personali nel Lazio.
2002-2010: Mostre a Napoli e a Roma, tra cui nel 2007 la collettiva de “I cento pittori di via Margutta” di Roma.
2011 personale Esposition “Polyglotte” à l’Espace St Jaques, Clisson, Francia
2012 performance presso Abbazia Cistercense di Casamari in Veroli (Fr) con la realizzazione del 1°Libro d’artista “Come Palomar”
omaggio ad Italo Calvino, nell’ambito del convegno letterario: Una musa che non incanta?
2013 realizzazione del 5° libro d’artista nell’ambito del workshop Colouritatina, Atina (FR); Arte contro il femminincidio, Villa Comunale,
Frosinone; collettiva Via Paleario tra stelle e colori Veroli (FR); estate frusinate esposizioni in via Amendola; Arte in Corso Frosinone; Arte
contro il femminincidio, presso L. Martino Filetico, Ferentino (FR); Arte contro il femminicidio, p.zza S. Restituta, Sora (FR). Negli anni
Ottanta inoltre ha realizzato la copertina del volume “Handicap e disadattamento” per il Provveditorato agli Studi di Latina e illustrato la
guida “Due itinerari turistici di flora e fauna” per il Comune di Priverno (LT). Negli anni Ottanta a Fumone (FR) ha dipinto l’affresco Madonna
Degli Aringhi, il Portale e il Tabernacolo della Chiesa Santa Maria delle Grazie, in Alatri (FR) la Crocifissione per la Chiesa in località Porpuro.
E’ stata impegnata in opere di restauro per la Chiesa Madre S. Maria delle Grazie in Santomenna.
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anni d’informazione
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quarta ed ultima parte
L’Ariel
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03100 Frosinone
cell. 333.9883179
S.r.l.
Storia, Filosofia e Fede: Religioni a confronto
di Monica Ciotoli
PROTESTANTESIMO:
L’Alleanza Messianica Italiana e la Chiesa Evangelica Messianica di Civitanova Marche
Alta promuove studi che documentano le radici ebraiche della fede cristiana. Promuove nella chiesa l’insegnamento della cultura ebraica come aiuto per lo studio
della Bibbia, per capire e vivere meglio la fede nel nostro Signore Yeshua haMashiah
attraverso una migliore comprensione di come gli apostoli e i discepoli,…che per
primi lo hanno seguito, pensavano e vivevano, in modo che si possa, a nostra volta,
essere dei migliori testimoni della gloria del Suo Evangelo. Dà impulso e sostiene una
restaurazione del culto del tempo degli Atti degli Apostoli, con un grande interesse alle
radici ebraiche del cristianesimo e con l’uso del nome ebraico di Gesù, Yeshua.
Intervista/conversazione con Argentino Quintavalle responsabile del gruppo della Chiesa (autore di numerosi libri e
pubblicazioni in materia, tra i quali “ELEMENTI ESSENZIALI DELLA FEDE GIUDEO-CRISTIANA”;
“INTRODUZIONE ALLA TORAH ”; “YESHUA HAMASHIAH – IL MESSIA GESÙ NELLA CULTURA DEL SUO
TEMPO”/ Edizioni Centro Biblico – Lago Patria. Direttore di Shalom Journal), il quale ci spiega “principi,
fondamenti ed insegnamenti” della Chiesa Evangelica Messianica :
“ …Perché i cristiani dovrebbero conoscere l’ebraismo?
I contorni ebraici del cristianesimo del primo secolo vengono da Voi ricercati
e gradatamente restaurati nel sistema di valori della Chiesa. Perché…?”
L
a Bibbia insegna che ebrei e cristiani sono il seme di Abrahamo.
Abrahamo fu il primo ebreo e
l’apostolo Paolo nella sua lettera ai Galati non lascia dubbi sul fatto che anche
i credenti gentili sono la sua progenie
spirituale. «E se siete di Cristo, siete
dunque progenie d’Abramo; eredi, secondo la promessa» (Gal.3:29). In considerazione di ciò, noi come cristiani
siamo considerati sia figli di Dio per
grazia che figli di Abrahamo per mezzo
della fede. Per questo motivo il sistema
religioso del cristianesimo è stato storicamente e giustamente definito come
«fede giudeocristiana». La “fede” che
uno ha è un riferimento a quegli insegnamenti in cui si ripone fiducia come
verità. Prima che i cristiani possano
giungere a un consenso su ciò che è la
verità, ci deve essere un ritorno ai fondamenti della nostra fede radicata
nell’Antico Testamento – il giudaismo
biblico. Non bisogna stare in apprensione di fronte al termine “giudeo“ o
“giudaismo/ebraismo“. Il giudaismo è
il nome che gli uomini hanno dato alle
fasi di formazione della fede biblica
(Antico Testamento). Il cristianesimo è
il nome che gli uomini hanno dato alla
fase di completamento della fede biblica (Nuovo Testamento). Da questa
idea proviene il riferimento storico di
fede “giudeocristiana“. È stato opportunamente detto che il giudaismo non
25
anni d’informazione
ha bisogno del cristianesimo per spiegare la sua esistenza, ma il cristianesimo ha bisogno del giudaismo per
spiegare la sua esistenza e ciò in cui
crede. Tale conclusione è stata senza
dubbio tratta dalle parole di ammonizione che Paolo ha fatto alla Chiesa:
«non t’insuperbire contro ai rami; ma,
se t’insuperbisci, sappi che non sei tu
che porti la radice, ma la radice che
porta te» (Rom.11:18). I cristiani si
sono sempre vantati della loro superiorità spirituale sugli ebrei. Tale vanto è
sfociato nella propensione a dissociarsi
da loro e, di conseguenza, ad allontanarsi dal ricco patrimonio biblico che
Dio ha dato attraverso gli ebrei. Il nostro pensiero è stato troppo spesso: “Se
è ebreo, è rischioso, inquinato, o peggio
maledetto”. La verità è che tutto ciò che
il credente cristiano ha di caro, sia in parola che in spirito, è inerentemente
ebraico. Perché?
Perché noi siamo la progenie di Abrahamo che fu il primo ebreo, e tutte le
nostre benedizioni di verità vengono da
lui e dalla sua progenie. Per mezzo dei
giudei le benedizioni spirituali di Dio
sono disponibili per tutta l’umanità:
«…e in te saranno benedette tutte le famiglie della terra» (Gen.12:3). Consideriamo questa dichiarazione del
Signore: «…la salvazione vien dai Giudei» (Giov.4:22).
Abbiamo idea di cosa voleva dire Gesù
che la salvezza viene dai giudei?
Molti preferiscono lasciare il significato
in sospeso, avvolto nel mistero. Capire
questa breve frase potrebbe rivoluzionare lo studio della Bibbia, il rapporto
con il popolo ebraico, la visione dei propositi di Dio e il proprio destino eterno.
La salvezza è molto di più della redenzione, significa riconciliazione completa (Col.1:20). Giudaismo e
cristianesimo hanno un’origine comune
essendo stati creati dallo stesso Dio.
La questione che dovrebbe quindi sorgere è: come possono due religioni
create dallo stesso Dio, non avere
molte cose, anzi la maggior parte delle
cose, in comune? E se no, perché no?
Dobbiamo prepararci ad occuparci seriamente di molti passi della Scrittura
lungamente trascurati.
Per esempio, come spieghiamo il seguente passo del Nuovo Testamento?
«Qual è dunque il vantaggio del Giudeo? O qual è l’utilità della circoncisione? Grande per ogni maniera…»
(Rom.3:1,2).
Cosa voleva dire Paolo?
Il resto del verso ci aiuta a capire:
«…prima di tutto, perché a loro furono
affidati gli oracoli di Dio» (Rom.3:2).
Il minimo che deve essere loro riconosciuto è che dagli ebrei abbiamo ricevuto i due più preziosi doni di Dio: la
Bibbia e il nostro Messia, Gesù.
continua
61
Calcio
Dodici cartellini rossi, oltre cinquanta quelli gialli: alla fine
del campionato al Frosinone potrebbero mancare i punti
banalmente sciupati in alcune partite
TROPPE ESPULSIONI? CAPITAN FRARA:
“NON TUTTE LE ABBIAMO MERITATE”
Prima vittoria a tavolino (3-0) dopo la cancellazione della Nocerina dal torneo. Il Perugia, vincendo a Lecce, comanda la
classifica con due punti di vantaggio sui canarini.
di Franco Turriziani
fotoservizio di Federico e Tonino Casinelli
T
utti i nodi vengono al pettine,
compreso quello relativo al derby
del dieci novembre che la Nocerina ha giocato allo stadio Arechi di
Salerno. I fatti sono ormai noti ma vogliamo molto sinteticamente ricordarli.
Ai tifosi ospiti viene vietato l’ingresso
allo stadio per motivi di ordine pubblico
ed allora gli stessi tifosi fanno pressione
sui giocatori della Nocerina con pesanti
minacce perché non scendano in campo.
62
Un gruppo di ultras, qualche ora prima
dell’inizio della gara, raggiunge l’albergo che ospita la squadra e reitera la
richiesta di non giocare. Alle 14,30, la
Nocerina è in campo ma, dopo pochi
minuti, l’arbitro è costretto a fischiare
la fine della partita perché la formazione
ospite rimane in campo con sette uomini. I provvedimenti della Commissione Disciplinare sono del 29 gennaio
e parlano di illecito commesso proprio
dalla Nocerina per “comportamento
fraudolento” ai fini della interruzione
del derby. Cancellazione dal campionato è la sanzione più grave, raffica di
squalifiche per dirigenti, tecnici e diversi giocatori, conferma dei risultati
acquisiti sul campo fino alla quarta giornata del girone di ritorno ma perdita dei
rimanenti dodici incontri da giocare.
Domenica 2 febbraio, la Nocerina
avrebbe dovuto giocare al Comunale e
di qui la vittoria dei canarini a tavolino
con il risultato di tre a zero.
Grazie al successo il Frosinone in classifica raggiunge quota 42 ma il Perugia,
con i tre punti conquistati a Lecce con il
risultato pirotecnico di 4 a 3, torna al
primo posto e distanzia di due lunghezze i canarini. Al terzo posto troviamo l’Aquila con 35 punti, quindi il
Lecce a 34, il Pisa ed il Catanzaro a
quota 32, il Benevento a 31, il Pontedera a 28 e la Salernitana a 27. Se il
campionato fosse terminato domenica 2
febbraio, Il Perugia sarebbe stato promosso in serie B, mentre le altre squadre avrebbero dovuto disputare i play
25
anni d’informazione
off per il secondo posto disponibile per
salire nella serie cadetta. Ma alla fine
mancano ancora undici giornate e solo
il 4 maggio si saprà chi avrà conquistato
la promozione diretta e chi, invece,
dovrà disputare i play off. Sta di fatto
che, attualmente, sette sono i punti che
dividono il Frosinone secondo in classifica dalla diretta inseguitrice L’Aquila.
Il Lecce è a otto punti, dieci dalla capolista Perugia.
Tutto questo nonostante la raffica di cartellini rossi e gialli che non hanno permesso alla formazione di Roberto
Stellone di giocare sempre a ranghi
completi ed in alcuni casi addirittura di
finire gli incontri anche in doppia inferiorità numerica. La serie delle espulsioni (la maggior parte per doppia
ammonizione) inizia con la prima gara
di campionato con l’Ascoli in casa: i canarini vincono ma debbono giocare in
dieci per la espulsione di Crivello gli ultimi sei minuti e recupero. Secondo
turno a Pisa, uno a uno con espulsione
di Soddimo all’8 della ripresa; settima
di campionato a Viareggio (0-0) dove
Festeggiano Paganini
25
anni d’informazione
Goucher espulso nella gara
contro il Perugia
debbono lasciare il campo Frabotta al
10 della ripresa, Formato (dalla panchina) al 36 della ripresa e Blanchard al
90’; a Prato (11 turno) canarini impattano tre a tre ma finiscono in nove per i
rossi a Russo (32’ della ripresa ) e Paganini (42’ della ripresa). Nella dodicesima giornata il Frosinone ospita il
Gubbio, vince due a zero ma deve fare
a meno per un tempo di Frabotta e per
37 minuti più recupero, di Frara. Sempre in casa, nella gara contro il Perugia
(1-1) viene espulso Gucher al 34 del
primo tempo. Nel girone di ritorno, infine, ad Ascoli rosso per Gessa ad inizio
ripresa, a Barletta espulso Crivello al
14’ del secondo tempo; vittoria nella
prima partita ma sconfitta molto ma
molto dura da digerire nella seconda.
Ovviamente non parliamo dei cartellini
gialli che sono oltre cinquanta e che, se
“collezionati” dai singoli giocatori in numero stabilito dalle norme, portano alla
diffida e, quindi, alla squalifica. Del problema, comunque, parliamo con il capitano dei canarini che, a dire la verità, in
tutta la sua carriera di calciatore è incorso nel fatidico cartellino rosso soltanto una volta prima della esperienza
del campionato in corso, nella partita
contro il Gubbio. La domanda è scontata: perché tante espulsioni e perché non
si riesce ad evitare la seconda infrazione
di gioco dopo aver subìto il primo cartellino? Alessandro Frara risponde prontamente: “Nel mio caso mi assumo ogni
responsabilità anche se si è trattato della
seconda espulsione subìta in oltre trecento partite giocate in carriera. Avete
ragione, i cartellini gialli e rossi sono
molti, ma al Frosinone gli arbitri non risparmiano niente. Voglio dire, cioè, che
parecchi non erano meritati e che, in
tutte le partite, sono più numerose le irregolarità che subiamo di quelle che
commettiamo. Eppure, alla fine, siamo
noi a lasciare il campo o a portarci negli
spogliatoi il peso di un “giallo”. Non voglio con questo nascondermi con i compagni di squadra dietro un alibi. E’ anche
chiaro che dovremo fare più attenzione,
essere più tranquilli e valutare attentamente ogni situazione di gioco tenendo
presente che, molto spesso, sono gli episodi a decidere le sorti di una partita”.
Parole sagge ma i canarini riusciranno a
farne tesoro nella partite che dovranno
ancora giocare?
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Volley
di Simone Sergio
IHF VOLLEY FROSINONE
PRIME VITTORIE, MA TANTISIMA STRADA ANCORA DA FARE
D
opo aver finalmente centrato la
prima storica affermazione nella massima
serie, con un netto 3-0 ai
danni di Casalmaggiore,
nel mezzo delle sconfitte
rimediate in casa contro le
campionesse d’Italia di
Piacenza e in trasferta sui
campi di Novara e Modena, l’IHF Volley Frosinone affronta Forlì in un
autentico scontro salvezza
tra le ultime due della
classe, con le romagnole
ancora ferme a quota zero.
Purtroppo sono proprie le
bianconere ciociare a far
muovere la classifica alle
padrone di casa, regalando
loro i primi tre punti stagionali con il risultato di 31. I primi due set sono da
dimenticare per le ragazze
di coach Martinez, che incassano sonoramente il 2514 del primo set e il
successivo 25-11. La reazione d’orgoglio c’è nel
terzo parziale quando Gioli
e compagne rompono l’equilibrio durato fino alle battute finali e con tenacia
chiudono sul 26-28, riaprendo di fatto
la gara. In realtà ciò non avviene perché
le romagnole in tranquillità vanno a
chiudere sul 25-18 nel quarto set, portando a casa l’intero risultato. La necessaria reazione arriva il giorno di Santo
Stefano, quando nel capoluogo ciociaro
arriva l’Unendo Yamamay Busto Arsizio. Angeloni e compagne sfoderano
una grandissima prova di carattere e
conquistano il secondo successo in questo campionato con un indiscusso 3-0.
Le pantere bianconere mettono in
campo una prestazione tutto cuore e carattere, imponendo il proprio gioco fin
dalle battute iniziali, costringendo le
lombarde alla resa in poco più di un’ora,
nonostante i parziali possano far pen-
64
sare ad un match decisamente più combattuto (25-20, 25-22, 25-23). Spataro
con una prestazione sopra le righe (7 dei
15 muri di squadra portano la sua
firma), supportata da capitan Gioli con
16 punti e dalla rientrante Kidder con
12 punti, sono le trascinatrici della
squadra che gioca nel complesso la miglior partita della stagione. Dopo questo
successo occorre quasi un mese prima
di vedere la IHF nuovamente in campo,
vista la concomitanza delle festività natalizie e del riposo obbligatorio nel
primo turno del nuovo anno. Per rimanere in condizione le ragazze di patron
Iacobucci disputano e conquistano al
PalaBianchini di Latina la XXI edizione
della Coppa Città di Roma - Trofeo
Mimmo Fusco, dedicato alla memoria
del giornalista Rai scomparso. Nella
due giorni pontina, Gioli e
compagne hanno la meglio
rispettivamente sulle nazionali giovanili italiana
Under 19 e su quella
NCAA statunitense e portano a casa un importante
riconoscimento, con Veronica Angeloni MVP della
manifestazione. Si torna
finalmente al campionato,
con il girone d’andata che
si conclude sul campo
della Chateau d’Ax Urbino. Successo per 3-0 in
favore delle padrone di
casa che conquistano i tre
punti meritatamente. Dopo
un primo set sempre condotto e conquistato dalle
marchigiane per 25-21, nel
secondo parziale c’è una
reazione delle pantere
bianconere che provano a
riaprire la contesa, ma i
vantaggi premiano ancora
una volta la formazione di
casa 26-24. Il terzo set è di
quelli da ricordare perché
entrambe le compagini
sfoderano una grande prestazione, giocando un parziale molto
equilibrato. L’infinita serie di vantaggi,
al limite del cardiopalma, premia ancora
una volta la formazione di casa che
chiude la gara sul 35-33. Due vittorie e
ben otto sconfitte sono un bottino
troppo magro di questa prima metà di
campionato.
Lo scotto della matricola neopromossa
è stato pagato fin troppo ed è il momento di iniziare a portare a casa i risultati. La classifica, che vede le pantere
bianconere al penultimo posto a quota
6 punti, mette le ragazze di coach Martinez di fronte ad una seconda metà di
stagione difficilissima, nella quale gli
errori dovranno essere ridotti al minimo
e ogni domenica dovrà essere vissuta
come una finale, per non essere ricordata solo come una meteora.
25
anni d’informazione
Volley
di Simone Sergio
GLOBO BPF SORA
CINQUE SUCCESSI CONSECUTIVI E COPPA ITALIA SFORTUNATA
I
l mercato apre il mese della Globo
BPF Sora perché finalmente arriva
lo schiacciatore che va a sostituire
Guttmann, che ha abbondonato la squadra già da diverse settimane. Il brasiliano Allan Verissimo De Araujo, classe
1990 per 186 cm, proveniente dal club
verdeoro Funvic Taubate, esperto dei
fondamentali di seconda linea, arriva a
dare nuovo equilibrio, essendo tipologicamente giocatore molto diverso dall’ex
schiacciatore austriaco. La trasferta sul
campo di Matera dà la matematica certezza della partecipazione alla FinalFour di Coppa Italia. Finisce 0-3 per i
ragazzi di coach Fenoglio, che centrando il terzo successo consecutivo,
chiudono il girone d’andata al quarto
posto, ma a soli tre punti dalla capolista
Padova. Subito in campo il nuovo acquisto che mette a referto cifre importanti nel proprio fondamentale migliore
(81% di positività in ricezione), ma in
generale è tutta la squadra a girare nel
migliore dei modi, con Tamburo e compagni che si dimostrano superiori in
tutte le statistiche. Tranne il secondo
giocato alla pari, la prima e la terza
frazione di gioco sono un monologo
dei sorani, decisamente più motivati
a fare propria l’intera posta contro
una formazione che la precedeva in
classifica. Effettuato il turno di riposo nell’ultima partita del girone
d’andata, la Globo riprende la propria
marcia in campionato sul campo di
Potenza Picena. La seconda metà
della stagione inizia per Daldello e
soci con un tie-break vincente, che
vendica con il medesimo risultato la
gara di andata. Il 2-3 che dà il successo ai volsci arriva al termine di una
gara sostanzialmente equilibrata,
nella quale i padroni di casa partono
bene e conquistano il primo set. I ragazzi di patron Giannetti non ci
stanno e prima ristabiliscono la parità
e poi si portano avanti con il successo
nel terzo parziale. I marchigiani meritatamentre riacciuffano la parità nel
quarto set, ma nell’ultimo parziale
25
anni d’informazione
Sora fa venire fuori la maggiore caratura e porta a casa i due punti. Dopo ben
tre settimane dall’ultima partita casalinga, la Globo torna tra le mura amiche
contro il fanalino di coda Elettrosud
Brolo. L’occasione per la quinta affermazione consecutiva non sfugge di
mano ai biancoverdi che non si lasciano
impensierire dai siciliani e piazzano un
convincente 3-0 ai danni dellla compagine guidata in panchina dal tecnico ciociaro Antonio Cortese, guarda caso!, ex
allenatore delle giovanili sorane. Grazie
a questo successo, raggiunto il secondo
posto in classifica in solitario, a meno
quattro dalla vetta. Tutto facile nel
primo parziale chiuso sul punteggio di
25-15, mentre nel secondo set gli ospiti
mettono in campo grinta e determinazione che li porta a giocarsela alla pari
fino alle battute finali, quando Salgado
e compagni con il piglio della grande
squadra chiudono la contesa 25-22. Nell’ultima frazione di gioco nuova cavalcata che ricalca l’andamento del primo
set e partita chiusa sul 25-14. Allan
bagna il suo esordio casalingo con una
prestazione da 13 punti, di cui 2 ace e
69% in attacco, mentre il best scorer ancora una volta è Tamburo a quota 14,
senza poi dimenticare Tomassetti con
11. Il quinto successo consecutivo in
campionato permette alla Globo di presentarsi alle finali di Coppa Italia di
Monza in un ottimo stato di forma.
Prima della due giorni lombarda arrivano diverse novità. Salutano la compagnia il libero Marco Lo Bianco e lo
schiacciatore canadese Kyle Williamson, che per motivi differenti, non
hanno reso secondo le aspettative. Il
nuovo libero è Marco Rizzo, classe
1990 ex Brolo appena affrontato in
campionato, miglior interprete del proprio ruolo di tutta la serie A2 con il
52,3% di positività. L’atleta pugliese diventa immediatamente disponibile per
la semifinale contro la capolista del
campionato Padova, match che nel
corso degli anni sta diventando un classico della stagione. La compagine veneta, poi vincitrice del trofeo, replica il
3-0 della gara di campionato e spegne
le velleità sorane. Fiore, al rientro
dopo l’infortunio, e compagni subiscono una brutta sconfitta che non
ammette repliche. Nonostante la prestazione negativa generale ben figura
il nuovo acquisto Rizzo, subito in
campo con i nuovi compagni di
squadra, che fa segnare cifre record
con il 95% di positività e il 63% di
perfezione, ma purtroppo a poco
serve il suo grande lavoro in seconda linea. La sconfitta di Coppa
non deve far perdere di vista gli ottimi risultati conquistati finora in
campionato, coi cinque successi
consecutivi che hanno fatto scalare
la classifica e riportato i ciociari in
seconda posizione alle spalle della
bestia nera Padova. Arriva adesso
un mese decisivo per verificare le
reali capacità di questa squadra con
una serie di scontri diretti, per di più
tra le mura amiche, che diranno a
quali traguardi si potrà ambire.
65
t
e
k
s
a
B
GZC VEROLI
di Simone Sergio
SFUMATO IL SOGNO COPPA ITALIA, AVANTI TUTTI IN CAMPIONATO!
L
a trasferta sul campo della Pallacanestro Trieste porta a un nuovo successo della GZC Veroli per 62-74.
Cittadini e compagni costruiscono il proprio
vantaggio con grande intelligenza, minuto
dopo minuto, facendo crescere il proprio
margine in maniera graduale. Veroli è una
cooperativa del canestro e le statistiche dicono Samuels 15, Casella 13 e Blizzard 12
punti rispettivamente. Sette giorni dopo,
nuovo successo contro l’ultima della classe
Aget Imola. L’80-76 finale arriva al termine
di una gara in cui i giallorossi sono costretti
a sudare le cosiddette sette camicie contro
un avversario alla disperata ricerca di punti.
La svolta di una gara sempre equilibrata ar-
riva all’inizio del secondo quarto, quando
Carenza e compagni infilano un iniziale
break di 7-0 che si rivelerà decisivo per la
vittoria. Lo splendido girone d’andata giallorosso si chiude sul campo della Sigma
Barcellona. L’82-95 con il quale i giallorossi
ciociari violano il campo siciliano lascia
l’amaro in bocca perché la classifica avulsa
esclude i ragazzi di patron Zeppieri dalla
Final-Six di Coppa Italia. Il secondo posto
virtuale a quota 20, frutto di 10 successi e 5
sconfitte, in coabitazione con Biella, Torino
e Capo d’Orlando di trasforma in un quinto
posto, che causa classifica avulsa, lascia
fuori i ciociari dalle finali di Rimini. Tornando alla gara l’affermazione verolana arriva negli ultimi dieci minuti, nei quali Rossi
e compagni riescono ad imprimere quell’accelerata definitiva che permette loro di
scrollarsi di dosso i siciliani, rimasti costantementa aggrappati a pochi punti di ritardo.
Andrea Casella vince la gara da solo mettendo a referto 31 punti, 4 rimbalzi e 2 palle
recuperate, 82% nel tiro dalla lunga distanza
e 20 punti solo nei primi 17 minuti, a cui si
aggiungono le prove dei due rookie americani, Samuels autore di 14 punti e Sanders
di 13 punti corredati da 6 assists. Smaltita la
FMC FERENTINO
di Simone Sergio
ZONE BASSE DELLA CLASSIFICA
L
a stagione della FMC Ferentino sembra voler viaggiare sui binari dell’anonimato. Recuperato l’infortunato
Rodney Green, e di conseguenza salutato il
sostituto a gettoni Johnson, il cammino gigliato prosegue con la gara casalinga contro
Napoli. Nuova sconfitta, con il risultato di
67-88, per Guarino e compagni che non riescono a contenere gli avversari, che dalla
loro disputano un’ottima partita e portano a
casa un successo netto mai in discussione,
già dalle battute iniziali del match, con un
importante +21. A poco serve il rientro in
campo di Rodney Green, migliore dei suoi
con 19 punti. La trasferta sul campo di Casale Monferrato fa segnare la terza sconfitta
consecutiva, ma Mosley e compagni hanno
molto da recriminare con loro stessi perché
dopo aver chiuso la prima metà di gara in
vantaggio sul 30-35, nella terza frazione,
come da brutta abitudine, un brutto parziale
di 23-8 dei padroni di casa ribalta la situazione, dando il via per una nuova battuta
d’arresto che arriva sul 74-62. Un successo,
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seppur in rimonta, arriva sette giorni dopo
sui legni del Ponte Grande contro la Tezenis
Verona per 83-81. Al contrario delle precedenti gare, la FMC rimette in piedi la situazione che aveva preso una direzione diversa.
Dopo essersi trovata in svantaggio per tre
quarti di gara, Guarino e compagni giocano
gli ultimi dieci dell’incontro in maniera eccezionale, compiono la rimonta e vanno a
conquistare il successo con la differenza di
un canestro, al termine comunque di un
quarto di gioco convulso e sofferto.
Grande prova di Ryan Bucci, che risulta il
migliore dei suoi con 24 punti, seguito da
Green a quota 22, così come è maiuscola la
prova di William Mosley con ben 12 rimbalzi. Si chiude il girone d’andata pertanto a
quota 12, frutto di 6 vittorie e purtroppo ben
9 sconfitte. Il girone di ritorno inizia sul
campo di Torino con l’ennesima sconfitta,
questa volta con il punteggio di 84-77. Inizio
arrembante quello di Ferentino, che piazza
un affondo importante e chiude i primi 10
minuti sull’11-30. Il +19 di margine non
delusione per il mancato accesso alle finali
di Coppa, nella prima di ritorno contro
Biella, Veroli surclassa i piemontesi con un
nettissimo 88-64. Le intenzioni giallorosse
s’intuiscono fin dai primi minuti, quando un
devastante break di 15-0 dà il via ad un’altra
prestazione da incorniciare. Il vantaggio cresce con il passare dei minuti fino a diventare
il solco del definitivo +24. La striscia consecutiva di successi si ferma a quota cinque a
causa della sconfitta rimediata sul campo di
Napoli per 69-64. I giallorossi hanno da recriminare con loro stessi per non essere riusciti a centrare il successo perché, dopo aver
condotto per tre quarti il match, subiscono
la rimonta dei padroni di casa e perdono la
gara sul filo della sirena.
La trasferta in campana pone fine ad una
striscia di vittorie che mantiene comunque
questa squadra tra le grandi di questo campionato, al terzo posto in classifica ed in
piena corsa per i play-off. I successi arrivano con grandi dimostrazioni di forza e con
un atteggiamento mentale di squadra che fa
dei ragazzi di Ramondino una delle migliori
compagini dell’intera Lega Gold. Uno di
quegli avversari che sarebbe sempre meglio
evitare!
mette al riparo e il graduale recupero dei
padroni di casa e il successivo sorpasso si
compie nell’ultima frazione di gioco. Gli
ultimi minuti di gioco sono intensi e combattuti, con le due squadre a lottare su ogni pallone, ma la lotteria finale del fallo sistematico e i conseguenti tiri liberi premiano la
PMS. Il riscatto arriva nel match di sette
giorni dopo contro la Sigma Barcellona,
vinto con il punteggio di 105-87. Dopo aver
chiuso il primo quarto con un ottimo margine (+14), la Fmc subisce il recupero ospite,
che grazie ad un parziale di 5-20, si rifanno
sotto fino al -6 di metà gara. Al rientro in
campo dall’intervallo lungo, i gigliati piazzano una grande terza frazione che ristabilisce le distanze, arrivando poi al successo
sul +16 finale.
Bucci trascina i suoi con 28 punti, ben supportato da Pierich con 23 e Green con 21. La
continuità trovata nel mese precedente viene
subito interrotta da una serie di sconfitte
(quattro nelle ultime sei gare) che continuano a far veleggiare i ragazzi di coach
Gramenzi nelle zone basse della classifica e
fuori dalla zona play-off. Siamo solo all’inizio della seconda metà di stagione, ma non
si devono più lasciare troppi punti per strada.
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