IL MENSILE DELLA NUOVA CIOCIARIA Flash Magazine communications Simone Morano Phographer Spedizione in Abbonamento postale gruppo III/70 • € 2,00 • COPIA OMAGGIO FEBBRAIO 2014 • ANNO XXV ARTE CULTURA POLITICA ATTUALITÀ SPORT SPETTACOLO Martina Di Palma Località Le Lame Via Asi,4 FROSINONE Tel. 0775.89881 L’amore è la forza che fa muovere il mondo Copyright Promograph Comm Sas - 0775212261 FARMACIA PALLESCHI OMEOPATIA • FITOTERAPIA • DIETETICI • DERMOCOSMESI Farmacia dott.ssa Maria Palleschi Frosinone • Via Marittima 208/210 • tel. 0775.251351 FEBBRAIO 2014 EDITORIALE POLITICA ABBRUZZESE A TUTTO CAMPO INTERVISTE 7 8-9 11 12-13 14-15 FLASH MAGAZINE COMMUNICATIONS PRESIDENTE ONORARIO Angelo Mauro D’Angelo DIRETTORE RESPONSABILE Nicandro D’Angelo CAPOREDATTORE CENTRALE Massimo Sergio GARANTE DEL LETTORE Angelo Mauro D’Angelo ARCHIVIO FOTOGRAFICO Promograph Communication sas PROGETTO GRAFICO Promograph Frosinone finito di stampare il 05/02/2014 EDITRICE Promograph Communication sas DIREZIONE E REDAZIONE viale America Latina, 8 03100 Frosinone - Tel. 0775.212261 r.a. tel/fax 0775/212261 38-39 40-41 42-43 44-45 ECONOMIA FISCO E FINANZA ALMANACCO DI FEBBRAIO MODA MITOLOGIA IL RACCONTO www.flashmagazineonline.it e-mail: [email protected] e-mail: [email protected] e-mail: [email protected] e-mail: [email protected] Aut. Tribunale di FR n.199 Iscritto Registro Nazionale della Stampa n.4866 - ROC 3347 Iscritto presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri al n.2926 del 23/08/1990 Questo periodico è associato all’Unione Italiana Stampa Periodica stampa: Gescom S.p.A - Viterbo Spedizione: abbonamento postale gruppo III/70 Gli articoli firmati esprimono l’opinione dei rispettivi autori. Manoscritti e foto, anche se non pubblicati, non si restituiscono. Non è consentita la riproduzione anche se parziale dei testi, delle fotografie, nonchè della grafica pubblicitaria senza la preventiva autorizzazione scritta della Testata. Le proposte di collaborazione ed il relativo materiale redazionale sono da ritenersi a titolo gratuito, unitamente al relativo materiale pubblicitario in assenza di preventivo accordo scritto. 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Per questo il mio editoriale deve essere speciale! Voglio mantenermi lontano e non parlare della politica, degli inciuci, della concussione, degli arresti eccellenti, degli incontri carbonari del malaffare, di come alcuni “loschi” politici pensano, ancora, di gabbare il cittadino, privo ormai di ogni difesa. Insomma lontano da questo pentolone, pieno di sporcizie umane, che bolle ma non asciuga i contenuti, divenuti inossidabili. Voglio, invece, parlare della copertina. Essa vuole avere due scopi: il primo la bellezza femminile, atto di amore che “è la forza che fa muovere il mondo”; il secondo: la purezza. Affascinante la modella della nostra copertina, bella nella sua eleganza la Martina rivolge lo sguardo lontano, trasmettendo il suo fascino sull’altare della festa degli innamorati. Bravo il nostro fotografo, Simone Morano, che ha colto i momenti più belli mentre lei posava. Non a caso ho riportato in questo mio editoriale il capolavoro di Canova, Amore e Psiche (del 1788), dove l’intrecciarsi dei corpi ricercano l’equilibrio e l’armonia. Le due figure sono disposte diagonalmente e divergenti tra loro. Questa disposizione piramidale dei due corpi è bilanciata da una speculare forma triangolare costituita dalle ali aperte di Amore. Le braccia di Psiche invece incorniciano il punto focale, aprendosi a mo’ di cerchio attorno ai volti. All’interno del cerchio si sviluppa una forte tensione emotiva in cui il desiderio senza fine di Eros è ormai vicino allo sprigionamento. L’elegante fluire delle forme sottolinea la freschezza dei due giovani amanti: è qui infatti rappresentata l’idea del bello di Canova; ovvero sintesi tra il bello naturale, come la nostra modella di copertina, ed il bello ideale. Forse proprio la ricerca dell’equilibrio, che dovrebbe spingere i poteri dello Stato ad una maggiore armonia nell’interesse dei Cittadini, che ancora agognano la bellezza di sentirsi orgogliosamente italiani e non delle risse all’interno del Parlamento. Amore e Psiche Antonio Canova (1788-1793) Louvre, Parigi 25 anni d’informazione 7 Politica Ottaviani e Attaianese ai ferri corti «Sao ko kelle terre, per kelle fini que ki contene, trenta anni le possette parte Sancti Benedicti. » (Capua, marzo 960) Riguardava una lite sui confini di proprietà tra il monastero di Montecassino e un piccolo feudatario locale, Rodelgrimo d’Aquino. Con questo documento tre testimoni, dinanzi al giudice Arechisi, deposero a favore dei Benedettini, indicando con un dito i confini del luogo che era stato illecitamente occupato da un contadino dopo la distruzione dell’abbazia nel 885 da parte dei saraceni. di Nicandro D’Angelo FATTO - LA QUERELLE on volevo scomodare i quattro placiti cassinesi, ossia le quattro testimonianze giurate, né pensare che si arrivi tra Attaianese e Ottaviani, ad una lite in Tribunale, come successe tra i Benedettini e il contadino, ma le polemiche di questi giorni lasciano intravedere un conflitto di interessi che, se dovesse venire a mancare un po’ di diplomazia, l’Università di Cassino e il Comune si troverebbero davanti ad un giudice del Tribunale. Il fatto è che il Magnifico Rettore dell’Università di Cassino, Ciro Attaianese e il sindaco di Frosinone, Nicola Ottaviani, sono in lite (decreto ingiuntivo) per il mancato pagamento dell’importo N 8 di 600,000 euro, dovuto dal comune di Frosinone all’Ateneo cassinate. Ottaviani, in una requisitoria al vetriolo, scrive: “Il Rettore Attaianese ignora, sapendo di ignorare, quali siano le necessità dell’offerta formativa universitaria di un capoluogo. Del resto, mi sembra che in questi anni preferisca più fare una lotta sterile contro le istituzioni, che non cercare di far integrare l’università di Cassino con la zona alta della provincia di Frosinone”. Non si ferma, Ottaviani: “La materia della formazione universitaria è una questione molto seria e duole, fino a diventare drammatico e grottesco, rilevare come si arrivi a chiedere 600.000 euro al Comune capoluogo, senza prima aver illu- strato gli eventuali benefici apportati al territorio frusinate, basandosi soltanto sulla scorta di una convenzione pastrocchiata, mai approvata dal Consiglio comunale. O forse Attaianese dimentica l’ultimo rapporto diffuso e pubblicato da Almalaurea, che ha condotto la consueta indagine annuale sulle facoltà universitarie e sugli esiti occupazionali dei laureati dopo il conseguimento del titolo di studio, secondo la quale l’Università di Cassino ha registrato la peggiore performance tra tutti gli Atenei italiani con un tasso di disoccupazione dei laureati, a tre anni dal conseguimento del titolo di studio, del 25,4%. Interrogato sul motivo di questo poco lusinghiero risultato dal sito controcampus.it,, il Rettore, anziché abbozzare una risposta congrua sui motivi di tale fallimento, si è cimentato nello sport italico per eccellenza, ovvero lo scaricabarile, attribuendo la colpa allo Stato reo di non investire nei giovani. Per formazione professionale sono abituato esclusivamente a valutare fatti e risultati. E i fatti dicono che l’impegno dell’Università di Cassino su Frosinone è andato progressivamente ridimensionandosi considerato che l’offerta formativa si è drasticamente ridotta nel tempo con la chiusura 25 anni d’informazione ingloriosa, ad esempio, del corso di conservazione dei beni culturali e museali. Promuovere un decreto ingiuntivo contro il Comune di Frosinone per 600.000 euro, scambiando le casse comunali come una sorta di salvadanaio per l’Ateneo cassinate, altro non è la conferma di una impostazione assolutamente singolare, che si commenta peraltro da sé, sul modo di intendere il profilo della coesione sociale ed istituzionale. Del resto, – continua – in Italia le università normalmente danno al territorio molto di più di quel che ricevono, ma, evidentemente, il Rettore Attaianese ignora anche questo”. serà questa impostazione si può tornare ad un dialogo più costruttivo? “Certamente si! La linea da seguire è questa. Se l’Università di Cassino vorrà sposare questa impostazione saremo ben lieti di camminare assieme, altrimenti faremo come a Piacenza dove convivono varie istituzioni universitarie in regime di sana concorrenza e con evidenti ricadute per il territorio in termini di crescita economica, sociale e culturale”. A proposito di Accademia di Belle Arti, una domanda che vorremmo rivolgere al direttore professor Fiorletta: “E’ possibile fare dei Corsi di pittura serali, in Accademia?”. Intanto, ritornando sulla querelle, anche il consigliere comunale Fulvio Benedetti, attacca, affermando: “La presenza a Frosinone se legata ad un progetto di crescita dell’offerta formativa o alla prospettiva di Polo universitario autonomo, prospettiva che negli ultimi anni è stata notevolmente ridimensionata. Giusto rivendicare un impegno concreto da parte dell’ateneo, perché l’interesse della città deve essere prevalente. Alla luce dell’azione legale mossa dall’ateneo cassinate, ritengo fondamentale che la Giunta si attivi immediatamente per chiarire le reali intenzioni dell’Università di Cassino a proseguire l’attuale percorso, sottoscrivendo per il Polo di Frosinone, il proprio impegno per una crescita (in qualità e qualità) dell’offerta formativa”. Per il consigliere comunale, però, altrettanto fondamentale è, in mancanza di riscontro da parte dell’ateneo cassi- nate, “attivare ogni canale istituzionale per aprire la città a nuovi atenei. Il tutto con estrema attenzione: Frosinone non può permettersi di rinunciare alla prospettiva di un Polo universitario”. Le opposizioni non si fanno attendere e Iacovissi, segretario cittadino del Psi, entra in gamba tesa con una sua dichiarazione: “Dobbiamo, purtroppo, constatare come, ancora una volta, dinanzi alle legittime sollecitazioni delle forze di opposizione – riferendosi alla maggioranza del Consiglio comunale – gli esponenti di questa Giunta reagiscano in modo scomposto ed evidentemente nervoso. Ma tant’è lo stile non si acquista al supermercato. Le osservazioni pacate che ho rivolto al Sindaco affinché venisse scongiurata qualunque ripercussione sugli studenti del polo accademico a causa della querelle che oppone l’Amministrazione comunale all’Ateneo cassinate, sono state prese a pretesto per intavolare una polemica priva di senso”. Conclusioni Di fronte a queste considerazioni la nostra Redazione rivolge un caloroso invito affinché la querelle instaurata tra le parti possa trovare una soluzione per il bene della nostra città che in tanti anni non ha avuto quel ruolo che avrebbe dovuto avere al posto di Cassino. Le colpe e le responsabilità sono di tutti, sia di una classe politica che non ha saputo instaurare un buon dialogo con l’Università la Sapienza, facendo in modo che tutto andasse sulla città martire di Cassino, sia dell’incapacità e sordità dell’intellighenzia nostrana. Avvocato Ottaviani, al di là di questo scambio amorevole tra lei e il Rettore, quali proposte ha per una Università degna di questo nome per Frosinone? “Noi stiamo lavorando affinché su Frosinone ci sia un’offerta formativa universitaria degna di un capoluogo e di alto livello, con corsi capaci di attrarre studenti del territorio e di fuori provincia. L’esperienza dell’Accademia dei Belle Arti di Frosinone ci insegna che, quando i corsi proposti sono di qualità e ben strutturati, richiamano studenti dai quattro angoli della terra”. Sindaco se il Magnifico Rettore spo- 25 anni d’informazione 9 Cultura PETER THOMAS ROTH UN ASSAGGIO DI QUELLO CHE PUOI TROVARE NEL NOSTRO REPARTO COSMETICO ORTIGIA PROFUMI DI SICILIA Ortigia è l’Essenza della Sicilia-una sintesi degli odori inebrianti, i colori e il mistero più grande del Mediterraneo. 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Abbruzzese faceva l’occhiolino a Silvio Ferraguti: oggi è una realtà L’ex presidente di Federlazio scende in campo! di G.E.A. N on era sornione, né tanto meno distratto, il presidente di Federlazio, Silvio Ferraguti, nel work shop all’Amministrazione provinciale, organizzata da Abbruzzese, sull’utilizzo dei Fondi Europei destinati alle Piccole e Medie imprese; ospite d’onore, il Vicepresidente Antonio Tajani. Allora era ancora Presidente, ma già nel suo intervento lasciava intravedere l’accesso alla politica. Noi l’avevamo intuito, ma le bocche cucite di Abbruzzese e Tajani, non rilasciando, dichiarazioni in tal senso, non ci permettevano di riportarle. Sabato 24 gennaio, a distanza di pochi giorni, all’Hotel Cesari, al convegno di FI, organizzato dall’instancabile vice presidente della commissione Sviluppo Economico , Lavoro e PMI, della Regione Lazio, si scioglieva la riserva e veniva fuori dal cilindro: Silvio Ferraguti. Con l’emozione di chi realmente ha fatto una scelta coraggiosa, Ferraguti, lasciando dopo 25 anni il mondo delle associazioni e degli imprenditori, scende in campo sotto l’egida aurea di Abbruzzese e la guida di Silvio Berlusconi. La facciata era la titolazione “Nuove stra- 25 anni d’informazione tegie di sviluppo per l’Italia centrale” ma invero era preparare la platea che conta alle prossime candidature delle Europee. Infatti, grande assente Antonio Tajani, che certamente non intendeva prendere lezioni di economia politica da Fazzone o da Armando Cusani. Non nascondiamo, però, che Abbruzzese, navigato uomo politico, ha chiosato: “Le candidature saranno decise solamente dal presidente Berlusconi, di concerto con i coordinatori regionali”. Ritornando al candidato “in pectore” Ferraguti al solo accenno “Cambio vita ed entro in politica” ha premiato l’uomo che si è battuto per anni per le imprese iscritte alla Federlazio, e che conosce bene le criticità del mondo del lavoro, in quanto parte intrinseca del suo ruolo di ex Presidente e di imprenditore. Certo che lo stesso Cusani, nel suo intervento, ha ribadito che quello che possiamo fare è chiedere al senatore Fazzone un impegno forte affinché sia un candidato, espressione del territorio, alle imminenti Europee. Nelle sue dichiarazioni, l’ex presidente Ferraguti, ha precisato: “Se ho deciso di dimettermi, prima di entrare ufficialmente in Forza Italia, è perché Federlazio è sempre stata, e resterà, equidistante dalla politica. La mia decisione muove da una ferma volontà di poter dare un valido contributo a questo territorio, anche grazie all’esperienza maturata in 25 anni di vita associazionistica”. Siamo alle prime battute, ma già si intravede una forte battaglia tra i due contendenti: Pallone, del Nuovo Centro Destra, e Ferraguti di Forza Italia. 11 Intervista Intervista a A Marcia Sedoc vevo sentito parlare della Sedoc, ma non l’avevo conosciuta personalmente. Qualche giorno fa in una mostra nella città di Frosinone, dove esponeva nella Villa Comunale la pittrice Grey Est, l’ho conosciuta dopo la recitazione di un monologo intitolato: “Non mi resta nient’altro che la speranza”. Ne ho apprezzato, anzi ne abbiamo apprezzato, l’ardore e il pathos in una sua immedesimazione, che ai miei occhi, è sembrato un fatto a lei accaduto. No! Non era presente al fatto, - lei mi diceva- ma era tanta l’intensità e la passione profusa nel monologo che ai presenti sembrava essere la protagonista. Come non essere di questo avviso, quando descriveva la scena del “naufragio”, la donna che piange la morte del marito con il figlio nelle braccia.. Questa è oggi Maria Sedoc! Prima di passare all’intervista la vorrei presentare, a chi non la conoscesse, nelle sue vesti di qualche anno fa. di Nicandro d’Angelo La Sedoc ha fatto parte del gruppo “Cacao Meravigliao” nel programma “Indietro tutta” di Renzo Arbore. Lei, bellissima, nel fintobrasiliana che reclamizzava l’immagine cacao e che tanti spettatori l’hanno potuto ammirare nelle sue performance e nelle sue sensuali movenze insieme alle altre ragazze Coccodè. E poi come cantante ballerina e attrice di cinema e di teatro. Ha preso parte nelle miniserie Tv I Vigili Urbani e il commissario Corso. Nel cinema ha lavorato con il regista Federico Fellini in Ginger e Fred e poi per Lamberto Bava in Le foto di Gioia; non disdegnando in Snack Bar Budapest di Tinto Brass e per Claudio Bonivento in Le giraffe. Maria Sedoc nasce in Suriname (ex colonia olandese), la prima infanzia la trascorre ad Amsterdam per poi vivere in Italia dal 1985. Laurea in lingue, diploma di recitazione e arte drammatica, indossatrice, cantante, attrice di cinema e teatro, la Sedoc diventa presidente dell’Associazione culturale Fajaloby che si occupa di organizzazione di eventi e talents scout. Infine operatrice presso lo sportello “Integrazione per immigrazione” del municipio 8 di Roma. Nel 2004 riceve l’attestato di apprezzamento come “Lavoratrice per la pace nel Vaticano e successivamente nel 2009 il diploma come ambasciatrice della pace alla Camera dei Deputati di Roma. Oggi impegnata fortemente nel favorire l’integrazione per immigrazione. L’Intervista Marcia, lei nasce come showgirls, attrice di teatro, di cinema, ottenendo grande successo. Quale è stato il momento più bello e interessante della sua carriera? “Il momento più interessante è stato quando ho recitato in Teatro a Roma, come protagonista femminile, lo spettacolo: Antonio e Cleopatra. Ero appena arrivata a Roma, e recitare per due ore il testo di Shakespeare, con la regia di Riccardo Vanuccini è stato entusiasmante. La cosa più bella è diventata, quando sono stata chiamata dalla RAI per la trasmissione Indietro tutta (Cacao Meravigliao). 12 Lei è stata animatrice del concorso Miss Africa in Italia, iniziativa che, fra gli altri scopi, è volta a favorire l’integrazione di culture e tradizioni completamente diverse fra di loro. Ne vuole parlare? “E stata una bella esperienza per dare la possibilita alle ragazze dell’Africa Nera di emergere nel mondo della moda, che purtroppo sono ancora tanto discriminate per il colore della pelle, e far conoscere il Paese che le ospita mostrando il loro uso e costume”. Nella mia prefazione ho citato il monologo da lei recitato durante la mostra della pittrice Grey Est. Quali emozioni lei ha provato e prova quando lo recita? “Devo dirle, caro Direttore, che la storia che racconto nel monologo, la sento profondamente nel mio cuore, anche perché, come lei sa, svolgo un’attività presso lo sportello di integrazione dell’immigrazione al Comune di Roma, dove diamo consulenze gratuite a tante persone che hanno fatto lo stesso viaggio con il barcone. Quindi la sento mia comprendendo molto bene il loro stato d’animo. É giusto rappresentare in Teatro queste tragedie”. Ho avuto il piacere di intervistare la sua amica pittrice Grey Est che ha così formulato una sua risposta : “ La pittura mi emoziona, mi colma, penso mi nobilita…, è diventata una vera vocazione, quasi come la religione.. e come la religione fa riscontrare l’es- 25 anni d’informazione sere umano con la parte più elevata di se…” Come interpreta questo pensiero dell’artista? “Come la interpreto? La condivido, anche perché sono una religiosa e quando le cose si fanno con amore, purezza, lealtà e generosità d’animo, come fa la Grey Est, si ricevono emozioni che ti rimangono dentro. Ancor più conoscendo la Grey Est, che stimo come una gran professionista e un forte talento”. Qualche anno fa lei ha scritto un libro dal titolo: “I buoni muoiono giovani”. E’ un libro di aforisma sui bambini e sull’amore. Lei sa benissimo che un aforisma è una breve frase che condensa – similmente alle antiche locuzioni latine, un principio specifico del sapere filosofico o morale. Eppure Gesù ha amato e ama profondamente i bambini. Egli era felice quando gli venivano presentati. Lei, invece, mi sembra, che dia un’altra interpretazione. E’ così? “No so dare un’altra interpretazione, perche i bambini sono la nostra felicità e sono ancora puri e senza nessuna macchia di peccato. Io sono diventata nonna da poco, di 2 gemelli, Isidro e Chiara: sono bellissimi e sono la mia gioia. Il titolo del libro I BUONI MUOIONO GIOVANI e dedicato ai bambini che nascono Hiv positivo. Senza la cura non arriverebbero a tre anni. I ricavati, dalla vendita, sono stati devoluti per combattere l’AIDS. giorni nell’affrontare i problemi delle persone che vengono a chiedere un sostegno o una parola di speranza? “Ho scelto questo quartiere perché è quello più difficile, dove hanno più bisogno di me e che si riscontra un afflusso maggiore di stranieri che vivono in questa frazione di Roma, e, mi creda, lo faccio con tanto amore e determinazione. Certo non è facile, i problemi sono tanti, io con lo staff, cerchiamo di fare il possibile. La cosa importante è che esiste non differenza di nazionalità. Aiutiamo anche i cittadini italiani che si trovino in difficoltà”. Ieri, attrice, oggi un ruolo completamente opposto: portatrice di amore verso le persone che soffrono e hanno bisogno del suo aiuto. Quale metamorphosis è avvenuta in lei? “L’amore cogente verso i deboli e coloro che soffrono”. Lei si sente completamente integrata? “Si! Mi sento italiana e non vedo la differenza del colore della pelle”. Cosa c’è dietro l’angolo di Marcia Sedoc? “Tante cose. In primis ho ancora tanta voglia di combattere e di fare. Di aiutare, di dare amore, affetto è quello che più sento e di dare di più e non di ricevere. Inoltre nel 2014 farò le selezioni del Cantagiro nella Tuscia, Reggio Emilia e Milano. In secundum fare un programma Tv web, in diretta, con Flower Terry c_you tv world express, il 16 febbraio 2014. Sarà un evento per beneficenza intitolato STARS FOR PEACE IN THE WORLD per i cani abbandonati e i bambini malati di tumore e i bambini orfani del SURINAME, dove presenterò insieme al Dr. Feelx e Antonio Giuliani e organizzato da Ass. Acam vip Ass.Fajaloby. Come vede e vive il processo di integrazione in Italia. Quali leggi dovrebbero essere cambiate per dare a tutti i migranti il diritto di cittadinanza? “Io penso che lei fa riferimento alla legge Bossi - Fini. Io personalmente la vivo bene come tanti altri, forse dovrebbe essere rivisitata, intanto come punto di partenza mi ha permesso di far nascere la mia associazione: FAJALOBY Italia Olanda Suriname. Ancor più che lavoro da 7 anni come volontaria alla frazione TOR BELLA MONACA (Roma) al servizio di chi è meno fortunato di me e qui abbiamo anche un punto d’ascolto”. Lei svolge il suo volontariato in uno dei quartieri più “difficili” della capitale: Tor Bella Monaca. Perché questa scelta e quali emozioni prova tutti i 25 anni d’informazione 13 Intervista L’elicottero a comando remoto (UAS), porta idrante in un sistema integrato. Brevetto su Studio e progetto dell’Ing. Felice Campanelli “Un efficace contributo contro la piaga degli incendi” O rmai siamo avvezzi a sentire le doglianze e le urla di coloro che sono vittime di incendi, a volte dolosi, sul nostro pianeta ma a nulla valgono le raccomandazioni per trovare soluzioni idonee affinché questa piaga sociale venga ad eliminarsi o quantomeno a ridursi. Spesso i politici, coadiuvati dalla sordità di tecnici, non prendono in considerazione brevetti per modelli di utilità per far in modo che i danni provocati dagli incendi possano essere aggrediti senza causare vittime o mettere a rischio l’incolumità degli addetti ai lavori. Il caso vuole che abbiamo nella nostra Redazione l’Ing. Campanelli (Gino) che ha brevettato un modello di utilità internazionale, (PCT) Patent Cooperation Treaty, che ci illustrerà le funzioni e l’importanza di questa sua invenzione che ha fatto scalpore ma non ha dato le risposte sperate. Ignorantia non excusat. di Nicandro D’Angelo L’intervista Ing. Campanelli, ci vuole spiegare questo suo progetto? “E’ opportuno fare una premessa per far capire ai non addetti ai lavori di cosa stiamo parlando. Gli attuali mezzi disponibili, per attacchi diretti, contro gli incendi boschivi avvengono con mezzi terrestri che sono autoveicoli dotati di serbatoi d’acqua di capacità non superiore a qualche centinaia di litri e di pompe di vario tipo con adeguata prevalenza e portata e con mezzi aerei ad ala fissa (Canadair) o con mezzi aerei ad ala mobile (elicotteri) che vengono effettuati gli interventi di spegnimento. Il primo, mi riferisco al Canadair, è un bimotore che dispone nella fusoliera di due serbatoi di oltre 2.600 litri ciascuno che possono essere riempiti oltre che a terra (in aeroporto di base) direttamente da uno specchio d’acqua mediante caricamento della durata di pochi secondi. Una volta riempiti i serbatoi l’azione di spegnimento viene effettuata ad una velocità non inferiore a 30 metri sopra la chioma degli alberi, vuotando i serbatoi. Il secondo (mezzi aerei ad ala mobile) trattasi di elicotteri di adeguata potenza e capacità di sollevamento di un carico d’acqua tra 1000 e 2000 litri, ma pur con accesso nel luogo dell’incendio, in presenza di vento o di fiamme che creano vorticosi movimenti d’aria, o di linee elettriche, il loro impiego può diventare pericoloso”. 14 Allora? “Allora possiamo sostituire i Canadair o elicotteri ad ala mobile, o integrarli, con un elicottero telecomandato” Ossia? “L’elicottero telecomandato porta idrante, presentato come modello di utilità e pubblicato dall’ufficio Internazionale di Ginevra in data 30.04.2009 con il numero W0 2009/054015 con priorità al 24.10.2007 a completamento della procedura PCT (Patent Cooperation Trety), potrebbe essere realizzato e prodotto nello spegnimento di incendi di boschi e consentire minimi rischi per gli addetti ai lavori. Allo stato attuale mentre esistono elicotteri ed aeromobili attrezzati per spegnimento incendi, non ne esistono di equipaggiati con idrante per azione continua e diretta sui focolari, mentre sono già in produzione elicotteri di minore potenza e portata pilotati telecomandati ma non abilitati a tale scopo” Ingegnere lei parlava di rischi nell’intervento di Canadair o degli elicotteri ad ala mobilie durante lo spegnimento degli incendi, quali e come evitarli? “Veda, quando si interviene per spegnere incendi con i mezzi aerei, tipo Canadair o elicotteri, c’è sempre un fattore rischio durante l’azione di spegnimento quali: la cadenza dei lanci, la distanza dall’aeroporto per il decollo, la distanza degli specchi d’acqua dall’incendio, il forte vento, la necessità di effettuare ulteriori passaggi in zone impraticabili per i mezzi; allora con l’azionamento mirato e continuo del getto d’acqua, che potrà essere indirizzato con un dispositivo sensibile alle temperature senza nessuna dispersione, potremmo dare un forte contributo all’efficacia dello spegnimento .” 25 anni d’informazione Quali i vantaggi nell’utilizzo di questo elicottero a comando remoto (UAS) con il porta idrante in un sistema integrato? “In primis la riduzione rischio per l’incolumità del personale a bordo dell’elicottero pilotato; non sono mancati episodi di incidenti che hanno causato la perdita degli equipaggi e ovviamente degli aerei; poi la possibilità di contemporanea azione coordinata in loco di più gruppi di abbinamento; la semplicità e potenzialità degli interventi e adeguato controllo della relativa efficienza nel domare l’incendio anche se applicato in più punti; maggiori possibilità di assunzione di ottimale posizionamento dei gruppi rispetto all’avanzata dell’incendio; consente di evitare l’intervento di persone (forestale, vigili del fuoco e volontari) subito a valle della direzione di propagazione dell’incendio a volte disposto per l’abbattimento di alberi, decespugliamento e di intervenire là dove, persone, automezzi ed abitazioni risultino a rischio di pericolo per l’avanzare delle fiamme”. In sintesi, perché ancora non viene preso in considerazione questo suo Brevetto progettuale da parte degli Enti competenti quali: Vigili del Fuoco, Forestale, e Protezione Civile e dai Ministeri a cui viene affidata la competenza in materia? “Bella domanda la sua! La risposta è complessa ma cerco di sintetizzarla. Sotto l’aspetto tecnico il Brevetto richiede il forte coinvolgimento di un costruttore di sistemi UAS che costruisca il prototipo che, fra parentesi, può essere venduto nella sua versione finale anche all’estero, (esempio negli USA) e in ogni luogo dove esistono Centrali nucleari; perché mi è stato detto, da più esperti, che esistendo tale elicottero telecomandato si sarebbero potuti spegnere i reattori di Fukushima senza rischi per le persone. Il mio brevetto ha suscitato notevole interesse in ENAC, in EASA, nei Vigili del Fuoco di Frosinone e nelle maggiori autorità Aereonautiche Europee, giudicandolo “innovativo”, ma fin ora non c’è stata risposta”. 25 anni d’informazione 15 L’Opinione di Massimo Sergio Una città da cani E’ ingiustizia dire di un uomo cattivo: ha il cuore di un cane; H o scoperto che Frosinone è una città ad alta vocazione canina, possiamo quindi definirla pomposamente cinofila. Voglio dire che i residenti di qualsiasi sesso, età e ceto sociale prediligono accompagnarsi ad un animale fedele come il cane, nelle sue variegate taglie e razze. Lo tengono in casa, negli appartamenti condominiali cittadini e gli affibbiano nomi umani come Luigi, Filippo, Antonio, Michele o Giandomenico e li trattano ancor più con affetto ed attenzioni al pari di un figlio o di un parente più prossimo. Non sarebbe più giusto e adatto dar loro dei nomi da cani e trattarli da animali quali sono, senza star lì a sbaciucchiarli ed accarezzarli troppo da vicino col fondato rischio di prendere virus e parassiti indesiderati?! Ormai, anche la recente normativa del regime condominiale (Legge n. 220/2012 con efficacia dal 18 giugno 2013) ha concesso il “diritto di asilo” a tutti gli animali domestici. Vale a dire che il regolamento di condominio votato in assemblea non può vietare di detenere animali domestici. Prima di tale riforma, coloro che gradivano tenere in casa animali di varie specie e dimensioni, lo facevano sempre in forma molto riservata, quasi da carbonari, segretamente, ma con l’evidente approvazione degli altri condòmini ed anche dell’amministratore. Oggi tutto è cambiato, e i caseggiati urbani delle nostre città si sono riempiti di animali d’ogni genere. Ma, si sa, l’uomo è un essere pensante e deambulante in proprio, con tutti i suoi difetti e i suoi pregi. Poi diciamo pure che soprattutto nei rapporti di condominio vengono fuori i difetti e i vizi più deteriori, diventando così un uomo temibile. Vuole avere ragione e quello che egli fa è sempre ben fatto! Ma come in una medaglia v’è un rovescio, anche nella quotidianità della vita condominiale il libero accesso degli animali domestici non deve far venire meno il diritto di ciascun condòmino di usare e di godere a suo piacimento delle cose di proprietà comune nel rispetto del pari diritto di uso e di godimento degli altri. E così, l’uso del cortile o di altri spazi co16 sarebbe più giusto, invece, dire di un cane cattivo: ha il cuore di un uomo. muni per farvi circolare il proprio cane senza le cautele richieste dall’ordinario e normale criterio di prudenza (in giurisprudenza si parla di “comportamento del buon padre di famiglia”) costituisce oltre che una mancanza di rispetto delle libertà altrui, una ingiustificata limitazione del diritto che gli altri condòmini hanno sui medesimi spazi. Similmente, quando l’animale viene lasciato libero di scendere o di salire le scale senza alcuna custodia, così da mettere in pericolo l’incolumità di coloro, condòmini o terzi, che si trovassero in quel momento sulle scale o sui pianerottoli. Diciamo che taluni condòmini preferiscono avere un maggior rispetto per i loro diritti piuttosto che quello di osservare i doveri che loro competano. Il discorso cambia, ma di pochissimo, quando il proprietario di un cane affronta le strade cittadine. Molti, anzi troppi padroni di cani si comportano incivilmente nel passeggiare sui marciapiedi cittadini, ove dopo il loro spensierato passaggio lasciano una scia di olezzanti profumi ed una sostanziosa pre- senza di bisognini corporali canini. Non li raccolgono passando ad altro e facendo finta di niente in una indiscussa inciviltà di fondo. D’altra parte non hanno in tasca né guanti nè buste di plastica con relativa paletta per poter sopperire alla bisogna. Sono troppi, ripeto, costoro che girano per la città indisturbati infangandola ed insudiciandola ancor più. Eppure qualche anno fa, l’assessore preposto all’ambiente piazzò per la città alcuni raccoglitori riservati proprio alle esigenze canine. Ma loro continuano ad agire così, ben consapevoli di non essere redarguiti né multati ignominiosamente dai vigili urbani. O perché per le vie cittadine non ne trovi nemmeno uno a pagarlo a peso d’oro o se ne incontri qualcuno si mostra insofferente come se non fosse affatto affar suo. L’estate scorsa, e quello che sto per dirvi ne è solo un piccolo esempio, quando per le piazze e le strade della città impazzava quasi ogni sera l’estate frusinate, specialmente nei pressi della piazza Vittorio Veneto, ove si svolgeva il festival dei conservatori italiani, numerosi cani con i relativi padroni nell’incontrarsi davano luogo ad una rumorosa sarabanda di scontri con pedissequa cagnareccia sonora, creando non poco danno a chi si esibiva sul palco. Questa è l’educazione dei possessori di animali domestici, che tenevano in non cale (se non rispondevano con brutte parole) anche qualche sparso reclamo da parte degli astanti. Ci si mettevano, poi, in tutto questo scompiglio canino anche i bambini con relativi genitori o anche senza, che avevano preso la strada pubblica per un luogo preferito ove svolgere, sempre rumorosamente con strepiti e schiamazzi vari, i loro giochi. Insomma una continua e fastidiosa cagnareccia bestiale ma anche umana. V’era anche la presenza di qualche coppia di vigili urbani, che noncurante di quanto succedeva davanti ai suoi occhi era attratta dalle note melodiose delle orchestre e dei complessi che ogni sera si alternavano lì, sul palco eretto in piazza, in quello che, secondo qualcuno, a torto o a ragione, è diventato o è da considerarsi il salotto buono della città… 25 anni d’informazione L’Opinione di Gabriele Sabetta Letta e Napolitano ripetono che il peggio è passato… ma siamo proprio sicuri? I l 2013 si è concluso senza alcuna rassicurazione su un eventuale ritorno dell’economia mondiale a quella che una volta era considerata un’andatura di crescita “regolare”. Piuttosto che accenni di ripresa, si avvertono i segnali di una stagnazione che potrebbe durare decenni, caratterizzata da recessione, calo degli investimenti e salari reali sempre più bassi. L’Europa sta affondando in un lungo periodo di povertà, disoccupazione di massa, esclusione sociale, aumento della disuguaglianza e della disperazione collettiva come risultato del programma di austerità dettato dalla UE, dal FMI e dalla BCE. Le conseguenze a lungo termine di questa crisi devono ancora emergere e i relativi, catastrofici effetti di tale condizione saranno ravvisabili negli anni venturi anche qualora l’economia fosse soggetta ad improbabili impennate di miglioramento – situazione ipotetica, questa, quasi certamente irrealizzabile a fronte dell’attuale status quo. Gli ultimi dodici mesi hanno visto una politica monetaria senza precedenti, con particolare riferimento ad un programma di quantitative easing posto in essere tanto dalla Federal Reserve quanto dalla Banca Centrale del Giappone: migliaia di miliardi di dollari sono stati forniti a tassi praticamente nulli alle grandi banche e agli enti finanziari. Queste pianificazioni sono state realizzate con la convinzione che mirassero a stimolare l’economia e il suo corso, ma di fatto gli unici beneficiari risultano essere gli speculatori finanziari: mentre l’economia statunitense è cresciuta ad un tasso medio di appena il 2,3% negli ultimi quattro anni, il mercato azionario viaggia a livelli da record. Questa crescita del parassitismo finanziario si riflette nel raddoppio della ricchezza dei miliardari globali dal 2009. Il flusso di denaro che viene fornito ai mercati finanziari come conseguenza delle azioni della 25 anni d’informazione FED e delle altre Banche Centrali sta probabilmente ponendo le basi per un altro crollo finanziario che si può ragionevolmente prospettare come più grave di quello del 2008. Chi aveva previsto un risollevamento dell’economia statunitense in vista del 2014 potrà senza alcun dubbio evidenziare un calo del tasso di disoccupazione ufficiale, senza tuttavia rilevare che la maggior parte dei nuovi posti di lavoro prevede un salario significativamente più basso e condizioni deplorevoli e che gran parte del “miglioramento” delle statistiche è dovuto ad un numero crescente di persone che, depresse e sfiduciate, abbandonano la forza lavoro. Uno degli indicatori chiave della situazione economica mondiale è la crescente divergenza tra l’accumulo dei profitti e il livello degli investimenti, forza motrice per l’espansione dell’economia reale: anziché impiegare gli utili per finanziare l’espansione della produzione, le aziende utilizzano sempre più la loro liquidità per finanziare ri-acquisti di azioni proprie al fine di promuovere i valori patrimoniali, fornendo così i profitti finanziari per hedge fund, banche e case d’investimento, i maggiori azionisti delle grandi imprese. Quanto esposto appare inoltre accompagnato da un’importante “ristrutturazione” di portata globale, come si può notare a titolo di esempio nel settore delle automobili, che ha assistito alla chiusura di fabbriche e di altri impianti: in combinazione con l’impatto dei programmi di austerità in corso di attuazione da parte di tutti i governi (in conformità con i dettami delle banche), la ristrutturazione sta imponendo una grave devastazione sociale. Appena due giorni dopo la costituzione di un nuovo governo di grande coalizione a Berlino, il Cancelliere Angela Merkel ha partecipato ad un vertice UE a Bruxelles in cui ha chiarito che il nuovo governo tedesco esige che l’Unione sorvegli l’attuazione e l’intensificazione delle politiche di austerità antisociali che stanno distruggendo le economie del sud Europa a tutto vantaggio delle imprese tedesche. La Merkel ha affermato che nuovi “accordi” tra Stati membri e Commissione Europea – quest’ultima braccio esecutivo dell’Unione egemonizzata da Berlino – includeranno vaste “riforme” del mercato del lavoro, dell’istruzione, della ricerca, della pubblica amministrazione e del sistema di sicurezza sociale. Si tratta, in sostanza, di obblighi progettuali soggetti ad un controllo pesantemente intrusivo da parte della Commissione Europea (cioè del Governo tedesco), che si riserverà l’esclusiva di valutare ed approvare l’ammissibilità dei finanziamenti di soccorso. La Merkel si tiene stretto l’Euro (che favorisce le esportazioni tedesche), ma affonda definitivamente ogni speranza di “solidarietà intra-europea” – polverizzando i filantropici ideali che hanno ispirato il massonico progetto dell’Europa unita. Berlino, infatti, non accetterà di privarsi di una quota ingente del suo PIL per effettuare trasferimenti verso i Paesi economicamente dissestati – per pagare cioè gli emolumenti principeschi e gli sprechi della nostra casta di politici inefficienti e corrotti. Questo significa che i sogni degli europeisti e dei federalisti sono destinati a sciogliersi come neve al sole. Letta, Napolitano, Saccomanni e Renzi hanno contezza della gravità di tutto questo? 17 Via Maremmana III via Casilina San Cesareo (RM) Simone Morano Photographer i l r a c n ia G a in r b a S raio 2014 Miss Flash Febb Istruzione L’istituto 4 Comprensivo di Frosinone all’avanguardia con il Progetto di “Laboratorio Artistico” Il dirigente scolastico, Prof. Giovanni Guglielmi, e la professoressa Antonella D’Emilia, coordinatrice del progetto sono le forze trainanti di un dialogo interculturale insieme alla pittrice latino-americana Grey Est. O spite della nostra Redazione è la professoressa Antonella D’Emilia da quindici anni impegnata in progetti scolastici di scambi culturali e a carattere interculturale con le scuole italiane ed europee e coordinatrice di partneriati internazionali su progetti di dialogo interculturale. Laureata in Scienze dell’Educazione su una tesi di pedagogia interculturale con il Prof. Santarone dell’Università Roma 3. di Nicandro D’Angelo L’Intervista Professoressa D’Emilia, ci vuole parlare del suo ruolo nell’ambito scolastico dove lei insegna? “Sono insegnante di inglese, vicaria da alcuni anni presso l’istituto Comprensivo di Frosinone 4, che si interessa di progettazione che coinvolge studenti e docenti. L’ambito privilegiato della progettazione è il contesto interculturale, linguistico europeo ed extraeuropeo, integrazione e inclusione per formare gli studenti che si sentiranno in futuro dei cittadini del mondo. Uomini e donne con mentalità aperta, disponibili all’incontro con l’altro, consapevoli che ogni diversità culturale e personale rappresenta un arricchimento dell’individuo”. Lei ha parlato di integrazione ed inclusione. Può spiegare questo concetto? “Il concetto di inclusione va oltre l’integrazione. Ciò significa libertà da barriere e contemporaneamente obiettivo della piena integrazione rispetto ad ogni tipo di diversità o di differenza. Sono, questi, entrambi concetti che hanno a che vedere con la reciprocità delle relazioni tra persone diverse e differenti che si arricchiscono reciprocamente attraverso lo scambio del proprio bagaglio personale di 20 esperienze maturate”. Il concetto di inclusione è, forse, più penetrante rispetto a quello di integrazione? “E’ senz’altro più penetrante perché ha una valenza emotiva ed affettiva ed ha un’ampiezza ed una profondità legata al pieno riconoscimento di valorizzazione delle caratteristiche personali di ciascuno e di tutti e dunque di qualunque tipo di diversità”. Come mai la scelta cade su Grey Est? “Perché Grey Est incarna un’ inclusione che abbraccia l’arte pittorica, come Ambasciatrice delle diversità, inoltre rappresenta una promozione culturale perchè l’arte ci accomuna sposando un linguaggio universale”. Lei mi ha detto, prima dell’intervista, che il suo Istituto ha promosso una collaborazione con la pittrice Grey Est. Ce ne vuole parlare? “ Si tratta dell’attivazione di laboratori artistici per l’inclusione e per l’interculturalità, destinati ai bambini dai 5 ani ai 13 anni”. Sembra quasi un parolone dire “Laboratori Artistici” mi fa immaginare un Cenacolo dove pittori sono lì a dipingere e creare opere d’arte. In sostanza, professoressa D’Emilia, quale ruolo ha questa figura all’interno del progetto? “La Grey Est costituirà l’opportunità per gli alunni di guardare oltre il loro piccolo mondo, di costruire ponti verso la conoscenza di altri mondi, altre culture, altre realtà, attraverso la sua arte e il calore dei suoi colori”. Alla fine del percorso laboratoriale gli alunni avranno modo di esprimere i valori portandoli su una tela? “Penso proprio di sì! Il risultato concreto si avrà attraverso la realizzazione di un’opera pittorica realizzata dai ragazzi insieme ai docenti, sotto il coordinamento della pittrice Grey Est. Tutti gli alunni e ciascuno di essi avrà la possibilità di portare il proprio personale contributo artistico alla realizzazione dell’opera, espressione finale del concetto di integrazione ed inclusione. L’opera verrà presentata ed esposta in primavera durante un evento scolastico”. 25 anni d’informazione Condominio CONDOMINIO: RIFORMA… DELLA RIFORMA S ulla Gazzetta Ufficiale n. 300 del 23.12.2013 è stato pubblicato il decreto legge n. 145 del 23.12.2013: Interventi urgenti di avvio del piano “Destinazione Italia”, per il contenimento delle tariffe elettriche e del gas, per la riduzione dei premi RC-auto, per l’internazionalizzazione, lo sviluppo e la digitalizzazione delle imprese, nonché misure per la realizzazione di opere pubbliche ed EXPO 2015, entrato in vigore il successivo 24.12.2013. Esso decreto prevede delle novità in materia di condominio (a correzione della recente riforma), su richiesta da parte delle associazioni di categoria. Invero, l’art. 1 comma 9, integra appunto la citata riforma della disciplina del condominio negli edifici, di cui alla legge 11.12.2012 n. 220 e precisamente: a) con Regolamento del Ministro della giustizia saranno determinati i requisiti necessari per esercitare l’attività di formazione degli amministratori di condominio nonché i criteri, i contenuti e le modalità di svolgimento dei corsi, ai sensi e per gli effetti del novellato art. 71-bis, primo comma, lettera g), delle disposizioni di attuazione del codice civile, il quale non aveva, al riguardo, previsto una regolamentazione della materia; b) al modificato art. 1120, secondo comma, n. 2 del codice civile sono state soppresse le parole “per il contenimento del consumo energetico degli edifici”; ciò comporta che le assemblee, per deliberare le opere di risparmio energetico, senza attestato e diagnosi, dovranno approvare le relative delibere con la maggioranza degli intervenuti e i 2/3 del valore millesimale dell’edificio (quella ordinariamente prevista per le innovazioni, assai alta e difficilmente raggiungibile); c) al nuovo testo dell’art. 1130, primo comma n. 6 del codice civile, dopo le parole “nonché ogni dato relativo alle condizioni di sicurezza” sono inserite le seguenti “delle parti comuni dell’edificio”; quindi, i condomini sono sollevati dal dover comunicare i dati sulla sicurezza delle loro unità immobiliari, che erano stati loro richiesti da molti amministratori in questi primi mesi di vigenza della riforma; d) al riformato art. 1135, primo comma n. 4, del codice civile è aggiunto il seguente periodo “se i lavori devono essere eseguiti in base a un contratto che ne prevede il pagamento graduale in funzione del loro progressivo stato di avanzamento, il fondo può essere costituito in relazione ai singoli pagamenti dovuti”; al riguardo, deve essere precisato che la novella aveva indotto alcuni a ritenere che per eseguire lavori di una certa importanza fosse necessario, 25 anni d’informazione da parte dell’amministratore, prima di dare il via alle opere, incassare tutta la somma necessaria, con la conseguenza che i lavori stessi non sarebbero iniziati se tutti i condomini non avessero pagato quanto di loro spettanza; ora, invece, si prevede che il fondo in parola possa essere costituito anche per gradi; appare ovvio che il problema non è stato completamente risolto ma almeno attenuato; e) al nuovo art. 70 delle disposizioni di attuazione del codice civile, dopo le parole “spese ordinarie” sono aggiunte le seguenti “L’irrogazione della sanzione è deliberata dall’assemblea con le maggioranze di cui al secondo comma dell’articolo 1136 del Codice”; spetta, quindi, appunto all’assemblea – con la maggioranza degli intervenuti e almeno la metà del valore dell’edificio – decidere le sanzioni (una somma fino ad euro 200,00 e, in caso di recidiva, fino ad euro 800,00) in caso di infrazioni al regolamento di condominio; all’amministratore toccherà unicamente applicarle. Nel prossimo numero di FLASH daremo notizie sulla conversione in legge del decreto di cui sopra. 21 Crimine IL DELINQUENTE NATO SECONDO LO STUDIOSO DELLA CRIMINOLOGIA DELL’OTTOCENTO Prima parte D eve essere subito precisato che venne messo in evidenza dallo studioso della criminologia quel malessere sociale dell’ottocento che tante importanza possedette rispetto alle categorie del benessere e della salute in seno alle classi lavorative dell’epoca. Dalle casistiche e dalle statistiche di tipo descrittivo della biotipologia umana del tempo emersero infatti ordini di doglianze che solo in futuro poterono acquisire la loro più esatta determinazione causale e che consentirono di venir interpretate come affezioni dovute a malnutrizione generalizzata. Ovviamente in questa sede non possiamo indugiare a descrivere circostanzialmente la situazione, ma é sufficiente prendere in esame in proposito un testo dell’epoca o un manuale di psichiatria dello stesso periodo per cogliere la realtà di quel fenomeno malnutritivo ed alienativo che corrispondesse a quella famosa pellagra che tanto contribuì alla pletora delle istituzioni manicomiali. D’altro canto è ben naturale che da queste quote di denutriti, di alienati e di destinati alla emarginazione sociale discendessero le casistiche criminali dell’ottocento le quali non tanto portavano su di sé le stigmate della degenerazione umana quanto piuttosto della indigenza alimentare cronica, quella indigenza che nelle nazioni sottoposte a vicissitudini belliche realizzava il suo plenum tanto con decessi per ipoalimentazione cronica e con congiunte malformazioni a genesi alimentare, quanto con quadri alienativi e contegni criminali possedenti il plenum dell’equivoco “degerazione-criminalitá”. Qui invero non possiamo dimenticare gli studi di Lombroso sulle malformazioni ossee e sulle stigmate criminali, ma non dobbiamo nemmeno trascurare la circostanza che se di consimili malformazioni fu pieno l’ ottocento ed il primo novecento, in successione di tempo, allorché la società poté garantire un minimum di equa nutrizione per le 25 anni d’informazione Cesare Lombroso classi non abbienti, si ebbe la totale scomparsa di tali quadri le cui ultime vestigia oggi ritroviamo pressoché esclusivamente nel terzo mondo. L’unico merito di tutto ciò fu però quello di portare l’attenzione dello studioso sull’uomo, individuando in questo quelle occasioni di criminalità che in passato erano rimaste costantemente senza una sostanziale motivazione esplicativa. Certo le idee lombrosiane e dei suoi epigoni furono subito battute in breccia dalle critiche dei tecnici, non potendo la criminalità albergare soltanto nelle costituzioni asteniche, nei soggetti malformati, ma è anche vero che la circostanza alimentò gli interessi tanto ad una considerazione psicologica e sociologica del crimine quanto alla determinazione di quest’ultimo in ambito giuridico, quell’ambito nel quale il crimine sino a quel momento vi era stato conservato alla stregua di un assioma della realtà non abbisognevole di chiarimenti. Oggi, rivedendo a tali riguardi i contenuti tecnici delle ricerche dell’epoca, è difficile frenare un impulso alla derisione, tanto delle premesse quanto delle conclusioni, di non poche investigazioni scientifiche, ma davvero non si possono deridere i risultati di quei criminologi che, studiando i livelli intellettivi delle popolazioni carcerarie, vi reperivano il 97% di deboli di mente e onestamente non si può farlo quando le aliquote degli analfabeti nazionali si aggiravano sull’80% e quando per di più le vite reclutate per le carceri appartenevano alle aliquote di lavoratori non qualificati. Ma così deve dirsi altresì nei confronti della delinquenza alcoolopatica quando si abbia presente che il vinismo era la via comune finale di quell’ indigenza cronica alla sopravvivenza che caratterizzò l’intero secolo XIX e non soltanto in Italia. Una domanda che sorge ora e che, dopo quanto si è detto sin qui, appare inevitabile, riguarda però la maggiore o minore possibilità che il secolo in discorso aveva di contrastare i già criticati epiloghi della criminologia scientifica del tempo non apparendo prima face giustificabile l’epilogo che ne conseguì. In sostanza, il biologismo del XIX secolo fu ingenuo e quel che più conta atteso il Patrimonio culturale dell’epocapiù che ingenuo fu acritico e la fu non tanto perché non tenne conto delle tradizioni culturali anteriori, quanto perché rifiutò queste ultime, viziato da ideologie biologistiche. Invero l’onere biologistico nella storia dell’umanità fu una realtá di fatto inaccantonabile, cosi come lo è ancora al presente, ma ciò che dobbiamo lamentare per l’‘800 fu che lo stesso si impose a livello ideologicamente dominante con ciò comportandosi in misura tale da sopprimere ogni critica più sensata. continua 23 Istruzione di G.E.A. Scuola Quando l’eccellenza… Un altro importante riconoscimento per l’Istituto Comprensivo ‘Frosinone 3’ S abato 18 gennaio alle ore 16.00, presso l’aula magna dell’Istituto Tecnico Commerciale di Frosinone, sono stati premiati i vincitori della 2a edizione del concorso d’informatica, rivolto a tutti gli alunni delle scuole medie della provincia. Tra i 150 partecipanti si sono distinti tre studenti dell’Istituto Comprensivo Frosinone 3’: al 1° posto si è classificato Francesco Bracaglia Morante, mentre Marco Costantini e Matteo Spaziani hanno conquistato, a pari merito, il 3° posto. I tre finalisti frequentano da circa un anno il corso ECDL (european computer driving licence), promosso dalla Scuola Media ‘ex Ricciotti’. Qualche mese fa un altro alunno ha dato lustro alla scuola, raggiungendo un importante traguardo: Jacopo Nannini si è classificato 2° al ‘Campionato nazionale di cultura generale’, patrocinato dall’Associazione dei giornalisti italiani. Durante la cerimonia di premiazione il ragazzo ha ricevuto un iphone, mentre alla scuola sono stati assegnati 3.000 euro, con i quali è stata acquistata una LIM, scelta dettata dall’esigenza di dotare di lavagne interattive tutte le aule dell’istituto: le future classi prime potranno utilizzare questo strumento didattico innovativo, come molte classi già fanno. In una scuola spesso marginalizzata e poco incentivata, sono propri i brillanti risultati che si trasformano in una forte motivazione a continuare ad offrire il meglio, confermando la qualità dell’intervento didattico del corpo docente che trova compimento in un POF ricco e articolato. Tra le attività più caratterizzanti ricordiamo il corso di cinese, in collaborazione con l’Istituto “Confucio” ( Università “La Sapienza” di Roma ); il corso curricolare di Latino; il corso propedeutico di Greco; il progetto L2 per alunni stranieri; il laboratorio teatrale di Davide Fishanger. Si tratta di iniziative che vogliono rispondere alle esigenze di una scuola nuova, adeguate alla cultura tecnologica senza tralasciare le discipline umane, per concorrere ad una completa formazione dei giovani di oggi, uomini di domani. 24 25 anni d’informazione Istruzione di Lucia Mancini L’EUROPA RISPONDE ALLE ESIGENZE DEI GIOVANI DI PREPARAZIONE AL LAVORO L’ “ERASMUS” COME NUOVO PROGRAMMA DELL’UNIONE EUROPEA PER L’ISTRUZIONE, LA FORMAZIONE, LA GIOVENTU’ E LO SPORT N ella scuola secondaria quando si parla di orientamento universitario e di progetti relativi all’Europa la parola d’ordine è “ERASMUS”: European Region Action Scheme for the Mobility of University Students. Si tratta di un progetto nato nel 1986-19787 che prevede che uno studente italiano possa studiare in un’università straniera o effettuare un tirocinio nei Pesi dell’Unione Europea per un periodo compreso tra 3 e 12 mesi, usufruendo di una borsa di studio che, oltre alla somma in denaro, comprende l’iscrizione gratuita all’università ospitante. In questo modo si offre una squisita occasione ai giovani di incontrare l’Europa e di avere reali possibilità di consolidare una formazione culturale, specialistica e tecnica spendibile anche e soprattutto all’estero, a partire dalle nazioni europee più vicine all’Italia. Da almeno trent’anni ormai anche le scuole, soprattutto le superiori, effettuano scambi culturali soprattutto con Francia, Germania, Inghilterra e i Paesi dell’Est, secondo le possibilità offerte all’altro progetto ad esso collegato, il “COMENIUS: si tratta di un programma settoriale europeo che fa parte del Lifelong Learning Program, che promuove lo sviluppo del valore delle diversità culturali e linguistiche in tutta Europa, basandosi sulla mobilità tra allievi, scuole e docenti coinvolti in attività educative congiunte e raccordandosi con gli altri programmi scolastico “Leonardo Da Vinci” e “Grundtvig”. Nascono così lavori didattici di interscambio, in cui si accolgono le proposte dei docenti stranieri, si visitano opportunamente le scuole e gli ambienti in cui si fruisce dell’insegnamento per poi ricambiare l’hospitalitas, accogliendo a loro volta, spesso presso le famiglie degli studenti che hanno effettuato lo scambio culturale, i ragazzi stranieri che vengono a conoscere i luoghi italiani della scuola, della cultura ma anche del divertimento. Da giovani, si sa, si parla una stessa lingua, che non è necessariamente l’inglese, bensì quella ancor più internazionale di svago, musica, ballo, distrazione, comunanza di interessi: la scuola semplicemente fornisce loro un’opportunità in più, ossia quella di poter considerare come fertilissimo terreno di scambio anche la cultura, lo studio e le dinamiche che lo animano, il processo di valutazione degli apprendimenti, ma soprattutto un apprendimento permanente. E’ ovvio che per realizzare questo intento sia necessario lo strumento della lingua inglese, che al pari del latino nel mondo romano, è il linguaggio di scambio comune tra tutti i popoli. Così, negli anni scolastici precedenti l’attenzione dei docenti italiani e stranieri era rivolta soprattutto alla conoscenza e alla diffusione delle proprie metodologie didattiche, nell’ottica di uno scambio osmotico estremamente propositivo. Ne sono esempio le tecniche valutative e di verifica della didattica italiana che si sono fondate su metodologie sempre più simili a quanto accade all’estero: i test somministrati subito dopo la lezione a risposta chiusa, le statistiche e le immediate strategie di recupero “ad personam” per quanti non avessero seguito le tappe graduali del processo di insegnamento e di apprendimento. A partire dal primo gennaio 2014 sono entrate in vigore delle disposizioni integrative e delle innovazioni che modificano in parte il Regolamento (UE) N. 1288/2013 varato dal Parlamento Europeo e dal Consiglio dell’11 dicembre 2013. Di importante rilievo è innanzitutto la volontà espressa dal- 25 anni d’informazione l’Europa che tutte le scuole straniere riescano a raccordarsi tra di loro secondo un sistema unico e omogeneo di “didattica europea”. Recita infatti il secondo paragrafo del suddetto Regolamento: “Le relazioni di valutazione hanno sottolineato l’importanza di tessere rapporti più stretti tra i programmi dell’Unione e gli sviluppi politici nel settore dell’istruzione, della formazione e della gioventù, hanno espresso l’auspicio che l’azione dell’Unione sia articolata in modo tale da soddisfare meglio il paradigma dell’ “apprendimento permanente”, e hanno insistito perché si adotti un approccio più semplice, di più agevole utilizzo e più flessibile all’attuazione di quest’azione e si ponga fine alla frammentazione dei programmi di cooperazione internazionale nell’ambito dell’istruzione superiore”. Dunque si riconosce un valore internazionale alla didattica delle scuole che deve assumere la connotazione di “europea” fondandosi sul “metodo aperto di coordinamento” (“OMC”), ossia su un metodo intergovernativo che istituisce un quadro di cooperazione tra gli Stati membri, le cui politiche nazionali possono essere dirette ad alcuni obiettivi comuni. Tale metodo necessita degli “strumenti dell’Unione per la trasparenza e il riconoscimento”, ossia di strumenti che consentano alle parti interessate di comprendere, valutare e, se del caso, riconoscere i risultati dell’apprendimento e le qualifiche in tutta l’Unione. Ecco allora che si può parlare di una didattica pensata alla luce di una “cooperazione transnazionale”, alla quale si aggiungono le novità dell’attività sportiva, il collegamento diretto dell’apprendimento con le aziende e con le concrete opportunità lavorative per una “mobilità di talenti” che tenga conto anche di un futuro impiego nelle aziende. “Onde colmare il divario tra le conoscenze acquisite con l’istruzione e la formazione, le abilità e competenze richieste nel mondo del lavoro, e per aumentare le possibilità di impiego dei giovani, sono necessari tirocini e apprendistati di qualità, inclusi quelli nelle micro imprese e nelle piccole e medie imprese. Nello specifico, il programma riguarda i seguenti ambiti: a) l’istruzione e la formazione a tutti i livelli, in una prospettiva di apprendimento permanente, secondo i progetti relativi ai diversi ordini di scuole: l’istruzione scolastica di base (Comenius), l’istruzione superiore (Erasmus), l’istruzione superiore internazionale (Erasmus Mundus), l’istruzione e la formazione professionale (Leonardo da Vinci) e l’apprendimento degli adulti (Grundtvig); b) la gioventù (Gioventù in azione), in particolare nel contesto dell’apprendimento non formale e informale; c) lo sport, in particolare quello praticato a livello amatoriale. Iniziamo intanto a dare una giusta definizione di ciò che è l’“apprendimento permanente”. Con tale termine s’intende “ogni istruzione generale, istruzione e formazione professionale, apprendimento non formale e apprendimento informale (ossia che avviene attraverso attività sia pianificate dai docenti – inclusi i corsi di sostegno – sia quelle attività quotidiane connesse alla famiglia, al lavoro o al tempo libero) intrapresi nelle varie fasi della vita, che diano luogo a un miglioramento delle conoscenze, delle capacità e delle competenze o della partecipazione alla società in una prospettiva personale, civica, culturale, sociale e/o occupazionale, inclusa l’offerta di servizi di consulenza e orientamento”. continua 25 Geologia di Mario Catullo FRANE NELLA CITTA’ di FROSINONE Capitolo secondo Parte seconda CARATTERI GEOMETRICI L e frane cittadine rispecchiano nei relativi caratteri morfometrici due principali classi di fenomeni, differenziabili per la profondità dei movimenti di versante interessati. Ai dissesti superficiali, che coinvolgono coltri di scivolamento con spessori limitati ed inferiori ai dieci metri di profondità, possiamo assegnare le frane del settore nord-est cittadino. Viceversa, le frane di natura più profonda, con spessori superiori ai dieci metri, di cui un esempio rappresentativo è quella che occupa la conca di Viale Napoli, sono situate nel quadrante sud-est della cartografia cittadina. Il motivo del fatto è duplice, ovvero legato sia alla diversità litologica delle coperture sommitali e quindi alla differenza del materiale di colluvium vallivo accumulato, che ai depositi di alluvium, lasciati dal fiume Cosa, nella sua storia geologica, sul 26 bordo dei suoi terrazzi fluviali. Mentre nell’area sud abbiamo movimenti di versante a morfologie areali estese, nel settore nord le superfici interessate sono più ridotte ed hanno un tipico carattere puntuale con aspetti di fenomeni localizzati che, anche quando sono diffusi in zona a macchia di leopardo, non hanno mai il carattere di continuità laterale e quindi di grande estensione. Un fattore morfometrico significativo consiste nel rapporto tra la lunghezza dell’asse longitudinale, nel verso della linea di massima pendenza (asse gravitazionale), e quello trasversale. Alcune frane (ad esempio quella di Viale Napoli) sono molto estese nel verso della massima acclività del versante ed implicano rotazioni e traslazioni della massa interessata con controllo del movimento da parte della resistenza basale. Altre, invece, (vedi zona Colle Marte) sono circa equiestese nelle due direzioni principali e, quindi, sono assimilabili a colate epidermiche di materiale quasi omogeneo. Il carattere viscoso, pur accomunando i due movimenti e, quindi, la loro intrinseca capacità di trascinare e coinvolgere gli strati immediatamente adiacenti, ha una spiccata differenza nei due casi: a Viale Napoli il moto di pendio ha una natura più profonda, spiegabile con la trasmissività idraulica delle litologie locali a forte carattere psammitico, mentre a Colle Marte le masse coinvolte sono solo quelle più superficiali, per la bassa trasmissività idraulica della preponderante componente lutitica che si incontra negli strati superiori. Quando poi si innescano i primi fenomeni di creep nelle coltri di copertura, questi tendono nel tempo ad annullare l’apporto dato dalla coesione alla stabilità del pendio, in modo tale 25 anni d’informazione Geologia che il relativo valore iniziale si riduce solo a quella residuo. In concomitanza con un aumento della piovosità, si determina un rapido aumento delle pressioni interstiziali che porta il pendio nelle condizioni di resistenza di picco, tipiche della rottura stessa. In concreto, l’unica possibilità realistica ed efficace rimane, in questo caso, il monitoraggio, che permette di individuare la fase di incremento della velocità di deformazione del pendio, che di solito precede lo scatenarsi del disastro. Strumento principe in queste determinazioni, rispetto a tutte le altre misure accessorie topografiche, estensimetriche, fessurimetriche, resta l’inclinometro, perché fornisce dati completi e non equivoci sui principali parametri della massa interessata (superfici di scivolamento, geometria, direzioni, profondità, velocità). PARAMETRI MECCANICI Non esistono, allo stato attuale, tecniche alternative all’uso degli inclinometri per risolvere questo tipo di problemi, se non quello di usare il metodo di Jackobson’s basato su rilevamenti in situ, ma a frana già avvenuta !! Ausilii utili allo scopo sono anche i sondaggi geognostici e la ricerca delle superfici di scivolamento, attraverso il calcolo matematico effettuato con i metodi dell’equilibrio limite. misure inclinometriche. Possiamo dire che, escludendo quelli localizzati a Colle Marte (presso il laghetto di Maniano) 25 anni d’informazione ed a Viale Napoli (nella valle Olivastro), ogni altra frana cittadina include piccoli volumi localizzabili nell’ordine di 10.000 mc ed aventi energie potenziali comprese tra i 200-300 milioni di joule. Queste frane modeste e puntuali sono quelle che bordano la riva sinistra del Cosa e sono quasi tutte dovute a fenomeni di scalzamento al piede, operato dall’erosione fluviale. Sono generalmente dissesti impostati su limitate aree di pendio molto acclivi e spesso costituite da materiali di accumulo o di risulta di origine antropica, con superfici di scorrimento ad arco di cerchio. A volte le coperture superficiali sono di tipo eluviale a carattere limo-sabbioso e ricoprono alternanze ritmiche di arenarie ed argille marnose. Naturalmente, l’intensità dell’erosione è governata dal materiale trasportato dalla corrente fluviale e dalle sue proprietà abrasive, oltre che dalla velocità della corrente di trascinamento. Tuttavia, essendo il gradiente fluviale percentuale inferiore all’1%, il fattore preponderante diventa il trasporto solido in sospensione ed il suo relativo grado di durezza. Di solito questo materiale è costituito da residui scabrosi ed angolosi, nati dal disfacimento delle arenarie, a monte del tratto cittadino. A grandi linee, il Cosa asporta materiale (erosione laterale di sponda sinistra) più intensamente nel tratto finale (zona Fornaci e Colle del Vescovo) del suo corso. Quì raggiunge la sua massima portata solida, prima di confluire nel Sacco, in contrada Pantana, poco oltre il confine sud del territorio comunale, dove è situato il suo livello di base. Morfologicamente, proprio l’erosione laterale differenziale ha generato la conformazione collinare arenacea sulla sponda sinistra del Cosa (dove sorge il centro storico della città), mentre sulla sponda destra predomina una morfologia a penepiano, ricoperta dalle alluvioni dello stesso fiume e da quelle del Sacco. Sulla riva destra, pur essendo meno evidenti i fenomeni erosivi, esistono tuttavia problemi di tenuta delle sponde fluviali, compromesse dall’incuria e dalla urbanizzazione selvaggi. Infatti negli anni ‘50 la città si è estesa a macchia d’olio. Partendo dal primitivo centro storico in collina, abitazioni e industrie sono aumentate fino ad occupare tutta la vallata sottostante. Così si è avuta un’intensa opera di disboscamento delle sponde fluviali, per far posto ad opere di urbanizzazione accessorie. Ogni anno, dopo le prime piogge invernali, si è assistito in città al rito atavico del transennamento delle zone cittadine, dove si sono generati i primi limitati scoscendimenti e dissesti. Stagione dopo stagione i problemi lasciati insoluti si sono sommati tanto da pervenire agli attuali inquietanti eventi di proporzioni notevoli e devastanti, ai quali ancor oggi non è stato posto l’abbrìvio di un qualsivoglia urgentissimo intervento. (continua) 27 Ambiente e territorio di Bianca Santoro Il silenzio assordante degli amministratori U n noto quotidiano nazionale “Italia Oggi”, che ogni anno pubblica le classifiche di vivibilità dei capoluoghi di provincia, ci continua a declassare: siamo all’87° posto cioè tra le ultime. E il silenzio dei nostri Amministratori ci fa preoccupare non poco. Ho scritto vari articoli sulle carenze, deficienze, trascuratezze, difetti, disdicevoli e incomprensibili situazioni del nostro territorio, per suscitare una qualche significativa reazione, ma tutto scorre come acqua, sulla pelle dei cittadini, e tutto rimane come ieri ma speriamo non domani. Ciò nonostante non voglio interrompere il discorso sulla “città”, considerandolo soltanto un mero saggio lamentoso, con qualche proposta inascoltata. La mia professione consentirebbe di trattare tutta la questione con perizia legislativa e normativa, in quanto, come ha dimostrato la distorta e spontanea trasformazione territoriale, la legge sul governo del territorio non viene applicata neanche in parte (forse poco comprensibile e poco adatta alle esigenze dei cittadini?). I Piani Regolatori, laddove sono stati adottati, risalgono alla notte dei tempi, sia perché è stato difficile per gli Amministratori locali dare regole precise e fare scelte discutibili, sia perché la Regione Lazio, che si è sempre mantenuta il potere di esame e giudizio degli strumenti urbanistici, ha artatamente burocratizzato la procedura di approvazione, con tempi lunghissimi. E allora quale è stata la conseguenza? gli abusi più o meno legittimati. E questo non è giusto perché in democrazia è necessario che l’Ente pubblico conosca le esigenze dei cittadini, le governi e non crei distorte situazioni di privilegi. Lo Stato, forse cosciente del degrado in cui versano soprattutto le periferie e altre zone critiche delle città, con apposito dispositivo di legge promulgò, nel 1998, i cosiddetti “contratti di quartiere”, come programmi innovativi per il recupero edilizio, economico e sociale di aree degradate. Nella loro articolazione erano finalizzati a favorire, con la partecipazione anche di interventi privati, la dotazione infrastrutturale e il recupero edilizio, incrementando così l’occupazione, sviluppando l’integrazione sociale e l’adeguamento dell’offerta abitativa. Ebbene, come ha rilevato ultimamente anche la Corte dei Conti, sono stati un fallimento, sia per il mancato utilizzo dei fondi messi a disposizione dallo Stato (soltanto tra il 50e il 60%) e sia per gli interventi spesso inutili e/o incompleti. I fondi, gestiti per lo più dall’ATER (Azienda Territoriale Edilizia Residenziale) ex Istituto Case Popolari, (per inciso siamo i primi al mondo capaci di cambiare le denominazioni agli Enti, ai Ministeri, agli Assessorati ecc. senza modificare nulla della poca efficienza e burocratizzazione), sono serviti per continuare a costruire o a riparare o a ristrutturare solo “case”. Gli altri Enti, i Comuni, in particolare, hanno fatto le 28 comparse, senza denunciare questo vergognoso spreco di potenzialità finanziarie, che potevano costituire un elemento fondamentale per il recupero del territorio e il coinvolgimento dei privati per migliorare la vivibilità delle città. In alcuni casi, di cui ho conoscenza diretta, si è partiti con coinvolgenti e apprezzabili obiettivi: realizzazioni di centri per attività associative; rivitalizzazione economica e promozione sociale per la gestione di molteplici attività (pub, piccola ristorazione, libro-discoteca, commercio, ecc); riqualificazione del tessuto residenziale. Gli unici interventi avviati sono stati gli ultimi (costruzioni e riqualificazioni edilizie da parte dell’Ater) per gli altri è solo previsione e gli Amministratori comunali tacciono. Osserviamo, ora, alcune gravi carenze della “città” di Frosinone. Negli anni dal 25 anni d’informazione dopoguerra, in poi, sono state costruite tante case popolari (edilizia residenziale pubblica) e, spesso questi agglomerati, sono stati chiamati quartieri, (es: Selva Piana, Colle Timio, Cavoni) ma si può sostenere, senza alcun dubbio, che di quartiere non hanno i presupposti, perché è sempre stato inteso come nucleo autonomo per funzionalità e fisionomia all’interno di un agglomerato urbano. Con i “contratti” citati qualcosa si poteva fare, ad esempio: la sistemazione delle aree, spesso incolte, rimaste senza destinazione, per impiantare giardini; la realizzazione di centri sociali e civici; la sistemazione viaria e l’arredo urbano; la pedonalizzazione permanente di aree centrali; il recupero di edifici impropriamente costruiti (alti, bassi, casupole, villette, capannoni, depositi, lattoniere, ecc.) unificando le tipologie per creare un vero tessuto urbano; la creazione di piccole scuole per l’infanzia; marciapiedi percorribili; piste ciclabili e quant’altro per renderle comunità organizzate. E questo compito sarebbe stato abbastanza semplice, se si fosse ricorso, anche alla partecipazione attiva dei cittadini e alla perequazione urbanistica. Ma era necessario un forte impegno degli Amministratori. Passiamo ora a riconsiderare, almeno in parte, la situazione viaria della “città”, (forse mi ripeterò, non avendo constatato alcun cambiamento di rotta). La rete viaria di Frosinone è insufficiente, irrazionale, degradata e trascurata. Mi spiego meglio: negli ultimi decenni sono state costruiti pochissimi tronchi viari e alcuni anche pericolosi, (vedi il collegamento tra p.le Gramsci e via Napoli), non è stato affrontato nella giusta misura il grave problema del collegamento tra la città alta e quella bassa, è reso ancor più difficile dalla interruzione del viadotto 25 anni d’informazione “Biondi” (e si ignora per quanto tempo), e non certo è risolto con un ridicolo ascensore, con il rebus del suo funzionamento o con l’utilizzo delle solo vecchissime strade (via Casilina, via Gaeta, viale Mazzini e via Ciamarra) tra l’altro non collegate da strade trasversali. Cosa dire, poi, degli stradoni (corso Francia e corso Lazio) che finiscono nel nulla o quasi (forse per non contrastare interessi privati?). Dove, poi, si è costruito negli avvallamenti, fra le colline, le strade di accesso si innestano, con assurde pendenze, sulle vie principali, sopra citate, e non sono state realizzate reti viarie nuove, di fondovalle. Non si prende in considerazione l’importante flusso che dalla stazione raggiunge i luoghi di maggior interesse come, ad esempio, il Conservatorio. A proposito vorrei segnalare l’indifferenza verso quegli studenti, con i loro ingombranti strumenti, e i professori che arrivando a Frosinone con treno o autobus a piazzale Kambo vogliono raggiungerlo a piedi, passando per un sottopasso della via Monti Lepini, all’altezza dell’Agenzia delle Entrate, lungo un percorso lasciato, in modo vergognoso, alle erbacce, alla sporcizia e ad altri innominabili residuati. Quanto costerebbe sistemarlo, per renderlo, almeno, decentemente pedonale? Questo è un caso emblematico della trascuratezza e dell’indifferenza. Cosa dire, poi, delle strade di cresta che servono centinaia di abitazioni e che in molti tratti sono pericolose perchè strette, instabili, senza banchine o marciapiedi o altri ripari e quindi impercorribili anche a piedi (se si ha qualche inconveniente all’auto, è necessario proseguire, anche spingendo a mano il mezzo, perché mancano aree di sosta). Un doveroso accenno, poi, ai continui avvallamenti su quasi tutte le strade principali, risultanti dai mal raccordati chiusini alla pavimentazione stradale, che creano disagi e pericoli. Per concludere, perché gli Amministratori vecchi e nuovi, solo in campagna elettorale ci coinvolgono, sommergendoci di programmi, ma poi insediatisi lasciano i cittadini nella quasi totale ignoranza di cosa fanno, cosa vogliono fare e quanto non possono realizzare, motivandone il perché? 29 MEDICINA Rubrica a cura del Prof. Dr. Leonardo Manzari Medico Chirurgo - Specialista Otorinolaringoiatra a Chirurgia Cervico Facciale Membro del Board della Prosper Maniere Society I disturbi dell’equilibrio rappresentano una frequente richiesta di consulto al medico di base, al pronto soccorso o allo specialista otorinolaringoiatra, in particolare da parte di pazienti anziani, nei quali le vertigini possono influire significativamente sulla qualità della vita quotidiana provocando cadute ed eventuali lesioni traumatiche. L’iter diagnostico-terapeutico del paziente vertiginoso può risultare altamente complesso come pure sostanzialmente semplice nel caso del quadro morboso di più frequente riscontro in ambito clinico, che oggi viene più propriamente denominato labirintolitiasi ma che in passato è stato definito anche vertigine parossistica posizionale benigna, canalolitiasi, cupololitiasi, vertigine posizionale, ecc. La labirintolitiasi è oggi considerata la forma in assoluto più frequente di vertigine isolata (in assenza di sintomi neurologici e/o uditivi), che affligge tutte le età ed incide forse con una maggiore prevalenza nel sesso femminile. E’ la sindrome vertiginosa a più elevata prevalenza, costituendo da sola circa il 20% delle vertigini osservate in un ambulatorio di otoneurologia “generale”. L’ipotesi causale più accreditata si basa sulla dislocazione di materiale inorganico (otoliti), normalmente posizionato sulla macula dell’utricolo (che rappresenta uno dei 2 sensori di accelerazione lineare del labirinto vestibolare) In questo mese continuiamo il nostro viaggio nelle principali patologie che affliggono l’organo labirintico vestibolare dell’orecchio interno. Stavolta affronteremo il tema della Labirintolitiasi, altrimenti definita come vertigine parossistica posizionale benigna, canalolitiasi, cupololitiasi, vertigine posizionale, ecc. La Labirintolitiasi rappresenta una forma nosologica più o meno invalidante che in ogni caso altera la qualità della vita di chi ne risulta affetto . La Labirintolitiasi (Fig.1) , all’interno dei canali semicircolari potendo depositarsi sulla sostanza cupolare dei recettori ampollari (cupolo-litiasi) o rimanere flottante nel loro interno (canalo-litiasi).Fig.2 La causa del distacco è comunque sconosciuta. Ad oggi si ipotizza ragionevolmente, dopo studi post-mortem su pazienti che hanno sofferto di questo forma nosologica, una causa virale. Sta emergendo inoltre l’idea che tale patologia possa colpire soggetti affetti da osteoporosi, e tale considerazione giustifica ampiamente il dato epidemiologico, sesso femminile più colpito del maschile nella quinta , sesta decade di vita. La malattia si caratterizza essenzialmente per l’insorgenza di crisi vertiginose di notevole intensità e breve durata indotte da variazioni della postura del soggetto; solitamente si associa l’instabilità posturale cronica che spesso rappresenta la fase tardiva del quadro clinico. L’esordio della vertigine è scatenato da movimenti rapidi sia del corpo (passaggio dal clino all’ortostatismo e viceversa, piegamenti, flessioni, ecc.) che della sola testa (rotazione ed estensione del capo, ecc.). I pazienti riferiscono solitamente le vertigini al momento di coricarsi o di alzarsi dal letto, al momento di allacciarsi le scarpe, nel sollevare e/o volgere bruscamentente il capo (girandosi nel letto da un fianco all’altro, …). La crisi vertiginosa è spesso molto intensa ed accompa- Fig. 2 In questa immagine è possibile identificare il materiale otoconiale distaccatosi dalla macula dell’utricolo e presente nei canali semicircolari o adesa ad una struttura sensoriale presente nei canali stessi e denominata cupula. Per tale ragione, se il materiale otoconiale risulta adeso alla cupula si definirà la malattia come cupulolitiasi, altrimenti se gli otoconi saranno liberi di flottare nel liquido presente nel canale, endolinfa, la malattia sarà definita come canalolitiasi. 30 Fig.1 La macula dell’utricolo, fotografia ottenuta con microscopio elettronico. L’organo di senso presente nell’orecchio interno, da cui si distaccano i cosiddetti otoliti. Questi ultimi liberi di flottare nel labirinto vestibolare possono terminare in uno dei 3 canali dell’equilibrio e dar luogo alla sintomatologia tipica della malattia . gnata da un corteo sintomatologico neuro-vegetativo importante (nausea, vomito, sudorazione profusa, raramente diarrea, ecc.) che contribuisce a spaventare se non terrorizzare il paziente. E’ per questo motivo che spesso il malato riferisce erroneamente una vertigine di lunga durata (anche giorni) e tende a mantenere la posizione supina per paura di rivivere le sensazioni vertiginose. L’evidente natura posizionale della sintomatologia rappresenta quindi un elemento che dovrebbe in ogni caso far scaturire la necessità di uno specifico iter diagnostico semeiologico (effettuazione delle manovre diagnostiche per VPP). Purtroppo, non sempre questa caratterizzazione qualitativa della vertigine emerge con chiarezza anche da un interrogatorio anamnestico ben condotto: alcuni pazienti, infatti, dopo la fase di esordio clinico, evitano (prima volontariamente, poi inconsciamente) specifiche posture o l’effettuazione di movimenti rapidi per limitare al massimo l’insorgenza della crisi. Spesso, questi pazienti descrivono principalmente una condizione di instabilità posturale subcontinua (e non la vertigine posizionale!) che li porta ad “irrigidire” il collo, ad eseguire i movimenti con notevole cautela, a dormire in posizioni “viziate”. Purtroppo, tale condizione, per le peculiari caratteristiche funzionali del sistema vestibo- 25 anni d’informazione Medicina lare, favorisce un circolo vizioso per il quale la sintomatologia vertiginosa, seppure qualitamente e quantitativamente differente, tende a persistere nel tempo. La rigidità nucale, per contro, induce quasi costantemente una cefalea gravativa subcontinua, elemento che può far erroneamente interpretare la vertigine nell’ambito delle forme propriocettive (leggasi vertigine “da cervicale”), che per i neuro-otologi rappresentano oggi, in contrasto al pensiero purtroppo ancora dominante e diffuso in ambito non specialistico, una causa assolutamente rara di vertigine. La diagnosi della labirintolitiasi è basata sull’effettuazione di alcuni specifici test semeiologici, le cosiddette “manovre diagnostiche di posizionamento”, che nella cosiddetta “fase attiva” (di durata variabile da giorni a settimane) permettono l’evocazione del patognomonico (nistagmo parossistico posizionale (NyPP). Si deve sottolineare che “patognomonico” è un termine medico (derivato dal sostantivo greco pathos = malattia e dal verbo greco ghignosko = conoscere, riconoscere) che si riferisce a segni o sintomi che consentono di riconoscere una malattia, nel senso che sono associati univocamente ad essa, cioè tipici di essa e non di altre. Pertanto è necessario che il clinico riconosca il nistagmo, movimento oculare tipico, della malattia nella fase acuta. L’esame semeiologico non strumentale del paziente in fase acuta, o in vicinanza di questa, è un momento di fondamentale importanza poiché permette di rilevare segni che possono non essere più apprezzabili in momenti successivi. Essa va effettuata con l’ausilio di speciali attrezzature come gli occhiali di Frenzel oppure un sistema di video nistagmoscopia. (Fig.3) L’osservazione tardiva del paziente può condizionare un più complesso e costoso iter diagnostico strumentale che spesso si limita ad escludere altre forme di vertigine piuttosto che ad avvalorare l’ipotesi diagnostica di labirintolitiasi. La terapia della Labirintolitiasi è costituita da un trattamento riabilitativo specifico che prevede l’effettuazione di particolari manovre di posizionamento del paziente (le cosiddette “manovre liberatorie o di riposizionamento del materiale otoconiale”, di queste discuteremo nel prossimo numero , ndr ), rivolte a ripristinare una corretta dinamica funzionale dei recettori canalari. L’impostazione di un corretto trattamento terapeutico non può che basarsi su una preliminare fase diagnostica rivolta ad identifi- 25 anni d’informazione care il tipo di coinvolgimento canalare, ovvero “quale dei sei canali è affetto?”. E’ la cosiddetta caratterizzazione clinica della labirintolitiasi, che deve essere condotta da personale medico adeguatamente esperto nelle diverse forme di labirintolitiasi. Solitamente il trattamento riabilitativo, soprattutto se effettuato nella fase acuta della malattia, risulta efficace in più dell’80% dei casi, sebbene spesso possano essere ne- Fig.3 I sistemi di video nistagmoscopia . Gli strumenti necessari e di ausilio nella diagnostica della labirintolitiasi, necessari per verificare la cosiddetta fase attiva della malattia. cessarie più sedute terapeutiche. Sia durante la fase diagnostica che quella terapeutica, può scatenarsi la crisi vertiginosa,addirittura a volte più intensa di quella registrata dal paziente durante l’esordio della sintomatologia. E’ sempre prudente, prima di ogni manovra diagnostico-terapeutica, valutare attentamente il livello di ansia del paziente e la presenza di condizioni morbose pre-esistenti (soprattutto cardiopatie gravi) e informare adeguatamente il paziente sul significato e sulle possibili conseguenze del trattamento stesso. Nell’evoluzione naturale della Labirintolitiasi si identifica una “fase attiva” ed una “fase inattiva”, di durata imprevedibile, in cui può persistere una vaga sintomatologia vertiginosa subcontinua e/o una instabilità posturale con tendenza alla risoluzione spontanea.In caso di pazienti anziani, patologie neurologiche, patologie osteo-muscolari, ecc. la fase tardiva può protrarsi a lungo. Poiché la disfunzione vestibolare nell’anziano può associarsi a quella cervicale e/o multisensoriale (riduzione dell’acuità visiva e della motilità oculare, artrosi, osteoporosi, interazioni farmacologiche, disturbi cognitivi e dell’affettività), è importante tentare di abbreviare il più pos- sibile sia la fase attiva che quella tardiva della VPP con un approccio terapeutico multidisciplinare (trattamenti riabilitativi fisiatrici e farmacologici di supporto) per evitare cadute accidentali dalle conseguenze mediche e socio-economiche importanti. In una minoranza di pazienti, il trattamento riabilitativo della labirintolitiasi risulta totalmente inefficace o si assiste alla ricorrenza ravvicinata di fasi attive che rispondono al trattamento riabilitativo solo per una breve periodo temporale (anche pochi giorni). In questo caso, può essere opportuno verificare giornalmente l’efficacia del trattamento terapeutico (trattamento intensivo), tentare una riabilitazione strumentale e attivare un iter diagnostico di approfondimento laboratoristico e neuroradiologico. La diagnosi differenziale, soprattutto con patologie della sfera vestibolare centrale, si impone, infatti, nei confronti dei casi che non rispondono al trattamento riabilitativo. La diagnosi ed il trattamento della Labirintolitiasi può coinvolgere pertanto numerose figure professionali (medico di famiglia, otologo/otoneurologo, neurologo, oculista, internista, medico d’urgenza, geriatra, fisiatra, ecc.) ed assorbire rilevanti risorse in termini di costi e tempo. La Labirintolitiasi è una malattia nel 40-50% dei casi ricorrente, ovvero fasi di benessere si alternano ad episodi di VPP. Non sono ancora attualmente noti fattori di rischio o scatentanti la recidiva e pertanto non è ipotizzabile alcun trattamento preventivo. Più della metà delle forme di Labirintolitiasi deve essere considerata idiopatica; una causa presunta può essere individuata in caso di una pre-esistente degenerazione dell’utricolo (malattia di Ménière, processi infiammatori dell’orecchio medio ed interno, neurolabirintiti virali, ecc.). Solo per le forme post-traumatiche in cui esista un rapporto temporale certo di causa – effetto (come per i traumi cranici minori e maggiori, colpo di frusta, interventi di otoneurochirurgia, interventi odontoiatrici, barotraumi, ecc.), l’eziologia può considerarsi nota. La Labirintolitiasi si è infine dimostrato avere una stretta correlazione epidemiologica (e forse eziologica) con alcune patologie quali l’emicrania e la tiroidite autoimmune oltre come detto sopra anche con l’osteoporosi. Considerate l’elevata incidenza e la frequente ricorrenza del quadro morboso, è molto probabile che altri oppure più fattori possano rappresentare degli elementi concausali. 31 E’ PARTITA LA nche quest’anno il centro Otovision, A con lo staff formato da ottici-optometristi e audio protesisti, ha iniziato una campagna di prevenzione per tutti coloro che hanno o presumono di avere problemi inerenti la vista e l’udito. Noi abbiamo intervistato la responsabile del Centro, la signora Marcella Molella che ci ha concesso questa intervista. di G.E.A. Sig.ra Marcella lei, ogni anno, attua un programma di prevenzione per la cura della vista e udito. Perché? “Molte delle condizioni di rischio per la popolazione, in particolar modo nella nostra provincia, si possono contrastare con adeguate attività di prevenzione o di cura, prevenendo opportunamente alcuni fattori di rischio e favorendo l’invecchiamento attivo. La prevenzione della perdita di vista e udito, sono oggi perseguibili con interventi di provata efficacia”. Le persone, in mancanza di capacità di comunicazione, sono fattore a rischio e peggiorano la loro qualità della vita? “Assolutamente sì! Le disabilità legate a vista e udito condizionano e peggiorano notevolmente la loro qualità della vita. I problemi di vista costituiscono un importante fattore di rischio per le cadute. Già nel 1997, l’OMS ha lanciato un programma d’azione per eliminare i problemi di vista evitabili entro il 2020” Allora come intervenire? “Fornire un’assistenza appropriata alle persone con problemi visivi e uditivi. A Frosinone e nella nostra provincia quante persone hanno problemi di vista e di udito? “Dai contatti che abbiamo possiamo affermare che circa l’8% riferisce di non vedere bene e di non indossare gli occhiali. Spesso notiamo che le persone che hanno questo problema percettivo sono quelle a rischio e quelle con segni di fragilità e anche tra i disabili; per l’udito è importante avere un chiaro ascolto per far in modo che 32 il cervello possa elaborare informazioni corrette”. E tra le persone anziane? “Anche in questa fascia le oscillazioni sono tra il 8/9%” Lei ha sempre sostenuto che gli occhi sono lo specchio dell’anima, ci vuole spiegare questa sua massima? “Sappiamo tutti che non c’è mezzo di comunicazione che li possa sostituire. Senza dubbio è uno dei cinque sensi più importanti del nostro organismo”. Vogliamo parlare dell’udito? “Certamente!” Quanto vale l’udito? “7 italiani su dieci considerano il senso dell’udito importante quanto quello della vista; eppure il 65% di intervistati non adotta nessuna misura per prevenire eventuali disturbi”. Come lo spiega? “Da una mancanza di attenzione da parte degli interessati, che a volte trascurano il problema”. In questi due mesi di prevenzione, i test è gratuito? “Certamente sì! Chi deve venire a fare il test? “A mio avviso tutti, dai bambini ai grandi, ossia tutti coloro che hanno difficoltà nel leggere, scrivere o non sentire perfettamente”. 25 anni d’informazione CAMPAGNA DI PREVENZIONE Ti aspettiamo! • Occhiali vista e sole • Lenti a contatto • Ausili auditivi • Tappi antirumore e tappi per piscina • Programmi di prevenzione • Assistenza totale • Prodotti garantiti • Pagamenti personalizzati • Analisi dell’efficienza visiva e uditiva • Fornitura Asl/Inail agli aventi diritto • Controllo e assistenza anche a domicilio FROSINONE Via monti Lepini km 1,200 Tel. 0775.290922 Via Aldo Moro, 30 Tel. 0775.872471 A FEBBRAIO E MARZO VI ASPETTIAMO PER UN TEST GRATUITO DELL’UDITO E DELLA VISTA 25 anni d’informazione CASSINO Via Arigni, 9 Tel 0776.302817 Numero verde 800-500569 33 L’Opinione di Mario Cerroni L’Italia senza carismi M i viene in aiuto, in questo scritto, la poesia del poeta romanesco Carlo Alberto Salustri, più conosciuto con lo pseudonimo di Trilussa, anagramma del cognome. La poesia ha come titolo “La politica”: “Ner modo de pensa’ c’è un gran divario: mi padre è democratico cristiano, e, siccome è impiegato ar Vaticano, tutte le sere recita er rosario; de tre fratelli, Giggi ch’è er più anziano è socialista rivoluzionario, io invece so monarchico, ar contrario de Ludovico ch’è repubblicano. Prima de cena liticano spesso piè via de sti principi benedetti: chi vo qua, chi vo la..... pare un congresso! Fanno l’ira di Dio! Ma appena mamma ce dice che so cotti gli spaghetti semo tutti d’accordo ner programma.” La poesia fa, a distanza di decenni-era del 1915-la fotografia precisa di come la politica negli anni,- nonostante i gridati rinnovamenti, mai avvenuti-non sia cambiata: ogni principio, ogni idea, ogni posizione, strillata nel giorno prima, a cena o a pranzo tutto trova livellamento ed un accordo, quando c‘è da dividersi la torta; quando si devono trovare i modi ed i mezzi per continuare a dissanguare i cittadini, con gabelle, proprie del periodo medievale. Quando il signore o signorotto di turno, oltre a pretendere il diritto della prima notte, voleva sempre più soldi, affamando fino alla morte tanta gente. Oggi, in modi diversi, in tempi diversi, si continua a lacerare il tessuto sociale, chiedendo soldi ora per la casa, ora per i servizi di nettezza urbana, usando termini che confondono sempre più la gente: imu, tares, iuc. Che fantasia questi tecnici!!!. Grazie ad una politica piccola. E’ vero che non bisogna mettere nel mazzo dello scontento, della critica 25 anni d’informazione tutti i politici, collocati nei diversi livelli di responsabilità, ma è altrettanto vero che loro non fanno nulla o pochissimo per cambiare. Loro continuano a vivere nei privilegi come se nulla fosse: il signore è chiuso nel castello fortificato, mentre la plebe è affamata, sbattuta, quasi, sul lastrico. Di chi le responsabilità? In Italia non esiste, per alcune caste, la parola responsabilità. Per loro c’è l’immunità, l’ intoccabilità, come era ai tempi dei signorotti medioevali. La casta non si tocca,si perpetua, si tramanda da padre in figlio con tutti i tantissimi privilegi. Chi è stato a creare tale situazione? Io non c’ero, non sono stato io: colpa dell’Europa, della Germania. Mai nessuno che dice: ho sbagliato. Diversi politici, da decenni alla guida del nostro Paese, in diverso modo, si presentano a noi sottomessi, a noi sudditi sfiniti, a noi creduloni-, con una faccia da.., con l’arroganza dell’ intoccabilità e quindi di una nuova verginità politica, sociale e morale. Loro sono sicuri che noi, ottusi, dimentichiamo subito tutto: stiamo lì a tifare per questo o per quello, dimenticando che questo o quello sono stati causa che ha aggravato la crisi del sistema Italia. Come succedeva nel basso medioevo, nei periodi più bui del nostro paese. Loro hanno capito, -dopo l’incapacità del grillismo di “rivoluzionare” in senso costruttivo il sistema, dopo la verifica sulla incapacità dei cosiddetti “forconi”di movimentare masse “oceaniche”- che noi non siamo per la rivoluzione: ci parliamo addosso, critichiamo, ci lamentiamo, aspettiamo il salvatore, poi tutto finisce intorno al classico piatto di...lenticchie. Ecco, perché non vogliono fare la legge elettorale o comunque rinviarla il più possibile, nonostante il pressing di Renzi, il quale rischia di finire nelle sabbie mobili della palude romana, che tutto vuole cambiare senza cambiare. I poteri forti ed occulti che, da decenni condizionano la vita sociale, finanziaria e di sistema dell’Italia, anche per colpa di una certa politica subalterna, asservita, vogliono continuare a comandare in qualunque modo e mezzo. In Italia, da un pezzo, si legge in un articolo del professor Luigino Bruni, “l’insufficienza morale e civile del nostro tempo è anche la conseguenza dell’espulsione dei carismi dalla vita pubblica.” E quando mancano i carismi “l’economia, la politica e la società si smarriscono, perché manca loro la risorsa essenziale della gratuità.” 35 Eventi celebrativi di Massimo Sergio La fucilazione nel Curvone Lungo viale Giuseppe Mazzini, che conduce verso l’ospedale Umberto Primo, in quel del capoluogo ciociaro, esiste un tratto abbastanza impegnativo consistente in un angolo a centoottanta gradi che tutti familiarmente chiamiamo “il Curvone”. Là, il giorno dell’Epifania anno domini 1944, tre giovani reclute di origini toscane furono fucilate dai nazi/fascisti, per cui quel tratto di curva è stato ufficialmente denominato Largo dei Tre Martiri Toscani. Quei tre giovanissimi rispondevano ai nomi di Pierluigi Bianchi, Giorgio Grassi e Luciano Lavacchini e furono obbligati all’arruolamento come previsto nel cosiddetto bando del Maresciallo Rodolfo Graziani, ministro della R.S.I., per evitare ulteriori tragiche conseguenze. Furono avviati nel sud d’Italia, sul martoriato fronte di Cassino, ed adoperati per lavori di sterro stradale dalle armate tedesche, che tentavano di rafforzare le difese per arginare la lenta ma dirompente avanzata degli Alleati. Assieme ad essi, altri dieci ragazzi di varia estrazione sociale e provenienti da varie località, che avevano subìto la stessa sorte, si accordarono a fuggire, non mettendo in conto i rischi e i risvolti tragici di una tale decisione. Ma quasi subito furono catturati subendo un sommario processo di disobbedienza militare e diserzione. La sorte ebbe il suo crudele e beffardo corso facendo prescegliere i nomi dei tre toscani da fucilare, mentre gli altri dieci ragazzi furono deportati ai lavori forzati in Germania. Ora sono trascorsi settanta anni da quel tragico e toccante evento e la Banca Popolare del Frusinate, in persona del suo Vice Presidente, Domenico Polselli, ha voluto ricordare alla popolazione ciociara quel fatidico giorno dell’Epifania, con un toccante discorso/racconto ed una sobria ma commossa manifestazione commemorativa. Nell’anno 2003 uno dei dieci superstiti, di nome Angiolino Terrinazzi, per voler realizzare un suo sogno, si 36 diede da fare per poter erigere un monumento in memoria die quei tre giovani toscani martiri di guerra. Grazie all’impegno dell’allora presidente provinciale dell’ANPI, prof. Virginio Reali, e delle amministrazioni locali, sia provinciale che comunale, tutti si mossero in tal senso per addivenire alla realizzazione di quanto desiderato e sognato dal Terrinazzi. Si sa che l’Istituto Bancario frusinate è ad alta vocazione localistica, sempre maggiormente attenta alle tradizioni culturali, storiche, geografiche, socio-economiche del territorio, a testimoniare i valori di libertà e di giustizia che l’intera popolazione ciociara ha sostenuto e messi in atto. Si ricorda infatti ancor più l’impegno della Banca Popolare del Frusinate nel commissionare ad un valido artista e scultore come il Maestro Alberto Spaziani l’ideazione e la realizzazione di quel monumento che fosse di imperituro mònito alle genti in avvenire. Tale opera scultorea, di bella fattura e di facile leggibilità fu inaugurata dieci anni or sono, lo stesso giorno dell’Epifania. Il dr. Domenico Polselli, nel suo discorso ha sottolineato, a terminare, che tutto questo dimostra la vicinanza della Banca alla gente che intenda ricordare e celebrare eventi di tale spessore e “un impegno che auspico possa essere una esortazione a non dimenticare, una esortazione ad operare affinchè, soprattutto i giovani, abbiano la consapevolezza della storia e delle vicende di cui la nostra terra è testimone, per costruire insieme un futuro migliore”. E’ anche notorio che la Banca Popolare del Frusinate, nei suoi variegati impegni civili, e non solo, svolge opera meritoria proponendo ai suoi clienti la pubblicazione di volumi finemente rilegati ed ampiamente documentati, come quello di quest’anno che è dedicato alla “Regola e san Benedetto” riproposta in edizione limitata e pregiata nel pensiero e nelle parole di Gregorio Magno. Ma di questo leggerete, in altra parte del prossimo numero di marzo, in quanto riportato nell’articolo scritto dalla nostra attenta collega Barbara Turriziani, che vi invito a tenere nel debito conto e riflessione. 25 anni d’informazione Psicologia di Ilaria Antonucci - Psicologa e psicoterapeuta Lo psicologo nella scuola “I nostri studenti che vanno male (studenti ritenuti senza avvenire) non vengono mai soli a scuola. In classe entra una cipolla: svariati strati di magone, paura, preoccupazione, rancore, rabbia, desideri insoddisfatti, rinunce furibonde, accumulati su un substrato di passato disonorevole, di presente minaccioso, di futuro precluso. Guardateli, eccoli che arrivano, il corpo in divenire e la famiglia nello zaino. La lezione può cominciare solo dopo che hanno posato il fardello e pelato la cipolla. Difficile spiegarlo ma a volte basta solo uno sguardo, una frase benevola, la parola di un adulto, fiduciosa, chiara ed equilibrata per dissolvere quei magoni, alleviare quegli animi, collocarli in un presente rigorosamente indicativo. Naturalmente il beneficio sarà provvisorio, la cipolla si ricomporrà all’uscita e forse domani bisognerà ricominciare daccapo. Ma insegnare è proprio questo: ricominciare fino a scomparire come professori. Se non riusciamo a collocare i nostri studenti nell’indicativo presente della nostra lezione, se il nostro sapere e il piacere di servirsene non attecchiscono su quei ragazzini e su quelle ragazzine, nel senso botanico del termine, la loro esistenza vacillerà sopra vuoti infiniti[...]E non è poco un anno di scuola andato in malora: è l’eternità in un barattolo.” (Daniel Pennac) La scuola, assieme alla famiglia, è l’istituzione più importante per la promozione del benessere fisico, psicologico e sociale dell’individuo. A scuola si impara a stare in mezzo agli altri, a relazionarsi all’adulto ma, in una maniera unica e, probabilmente, irripetibile, al coetaneo. E’ in questo luogo, così legato ad ansie, preoccupazioni e insicurezze che si impara a “soffrire con l’altro” ed a comprendere fino in fondo le proprie e le altrui paure. La scuola, però, è anche il luogo della condivisione di emozioni positive e molte delle esperienze umane vissute in quegli anni risultano fondamentali anche quando “si diventa grandi”. Senza farci trascinare da discorsi retorici, potremmo dire che molto, se non moltissimo, è cambiato nel corso dei decenni. Tante sono le problematiche venute fuori all’interno dell’istituzione scolastica, che non fanno altro che rispecchiare le innumerevoli problematiche “nuove” vissute dalla società. Troppe volte, come è normale che sia, ci si trova impotenti, o quantomeno in difficoltà, nel gestire queste situazioni a cui si è poco abituati. Un esempio per tutti potrebbe essere rappresentato dalla problematicità di due patologie all’ordine del giorno nella scuola, come i disturbi dello spettro autistico e l’ADHD (sindrome da deficit di attenzione ed iperattività). Spesso gli insegnanti sono poco supportati dai servizi e, molto più spesso, non sono affatto 25 anni d’informazione coadiuvati dalla famiglia del bambino (quest’ultima può usufruire di pochi strumenti psicologici e sociali e molto spesso ha difficoltà ad accettare di avere un problema). In alcuni casi la diagnosi viene effettuata tardivamente e questo fatto genera ancora maggiori difficoltà d’intervento. Aggiungendo a tutto ciò che si è detto finora la sempre più delicata e pressante tematica del fenomeno del bullismo, ci si rende conto di quanto sia importante l’introduzione della figura dello psicologo nella scuola. Esso rappresenta o potrebbe rappresentare un ponte tra docenti/alunni, docenti/genitori, genitori/alunni. Sarebbe in grado di aiutare gli adulti a comprendere come i ragazzi si relazionino al proprio ruolo, alle interrogazioni, ai compiti in classe; oppure potrebbe essere utile ad indagare se questi ultimi hanno scelto la scuola che frequentano in piena autonomia o sotto un’influenza esterna. Le competenze di un esperto estraneo alla realtà di quella scuola potrebbe lavorare sulle aspettative genitoriali, spesso all’origine di problematiche adolescenziali nascoste. Lo psicologo potrebbe aiutare tutti i diversi “attori” a capirsi, come in una grande famiglia in cui si fa fatica a comprendere il punto di vista altrui. Non a caso spesso, in questo articolo, ho coniugato i verbi al modo condizionale. Troppe volte, infatti, una figura indispensabile in un’istituzione fondamentale per la formazione globale dell’individuo, non è affatto presente o, se presente, non gode del giusto valore. In molte scuole c’è il problema dei fondi ma, troppe volte, si dà priorità ad altro, reputando un intervento psicologico qualcosa di accessorio. Quando, invece, la scuola si dà questa possibilità, ci si può trovare di fronte a tre situazioni: l’esperto viene considerato un valido aiuto (questa sarebbe la condizione auspicabile ma, purtroppo, poche volte viene messa in pratica); lo si considera indesiderato oppure può accadere che venga delegato alla risoluzione di tutti problemi, senza cercare una proficua e sincera collaborazione con lui. Un bravo psicologo, nel momento in cui è chiamato in causa, dovrebbe fare in modo di presentarsi, con umiltà e saggezza, non come colui che, portatore della verità assoluta, vuole imporre, con freddezza ed arroganza, il suo sapere e la sua maniera di fare. Nemmeno, però, deve farsi trascinare, in maniera acritica, nei meccanismi e nelle dinamiche, a volte patologiche, dell’ambiente. L’introduzione, inoltre, di uno sportello di Ascolto Psicologico all’interno della scuola è/sarebbe una grande opportunità per aiutare e sostenere i ragazzi nel processo, difficoltoso e complesso, della crescita, soprattutto nel periodo adolescenziale. Molte scuole si sono avvalse di questo strumento di aiuto, che rappresenta uno spazio privato di ciascuno studente, un luogo in cui poter essere liberi ed in cui potersi sentire ascoltati e capiti. 37 Economia, Finanza e Fisco Il Rev. Ment. Come strumento di diffusione dei know how aziendali I “ l lavoro rappresenta per la gran ria, aperta e disponibile ai cambiaparte delle persone, la principale menti rispetto alle generazioni preceI giovani non conoscono occasione di relazioni interperdenti. abbastanza per essere prudenti sonali e di interazione con la società L’ingresso di questa ultima generanella sua articolazione economicozione nel mondo del lavoro mette in e perciò tentano l’impossibile, produttiva, nelle sue regole, nelle difficoltà le tradizionali politiche di raggiungendolo, generazione sue pratiche e nelle sue criticità. Il gestione del personale, rendendo evidopo generazione. posto di lavoro è il luogo in cui con dente il problema del management alta frequenza e continuità, ognuno del mix generazionale. Pearl Buck è chiamato a confrontarsi con perLe imprese devono ripensare i propri sone diverse da sé. tradizionali modelli di gestione e sviluppare risposte adeguate Dal modo in cui si compongono queste differenze dipendono alle aspettative di tutte le classi di lavoratori, per preservare non solo il clima all’interno dell’azienda in generale ma il benessere organizzativo di chi è agli inizi e di chi si trova anche il concreto funzionamento dei team di lavoro. in procinto di uscire dal mondo del lavoro . Facciamo un esempio delle generazioni dei lavoratori che si Le imprese che vogliono approfittare delle “veloci” opportupossono trovare all’interno di una Piccola – Media Impresa: nità offerte dai mercati di oggi non possono investire escluPatriarchi: cresciuti durante la grande depressione, il periodo sivamente sull’ultima generazione presente nel mercato del fascista; la maggior parte ora in pensione, ma quelli ancora atlavoro. Hanno bisogno delle altre generazioni che possono tivi sul lavoro ricoprono ruoli di grande responsabilità e in apportare le proprie esperienze: la produttività e lo stacanogrado di esercitare un notevole potere. Questa generazione è vismo dei Baby boomers, la capacità di creare e gestire gruppi quella che reagisce con disagio ai cambiamenti, avendo sofdella generazione X. ferto sconvolgimenti epocali nella propria vita. I valori che contraddistinguono questi lavoratori sono il rispetto dell’autorità, la fedeltà ai datori di lavoro ed il duro lavoro. Baby Boomers: il gruppo più numeroso, si è affacciata al lavoro negli anni 70. Resi competitivi dal loro stesso numero, hanno recepito dai genitori la propensione al lavoro, della carriera e del potere. Hanno investito tutto sul lavoro, sacrificando soprattutto la propria vita privata. I valori che caratterizzano la generazione sono l’ottimismo, la crescita personale, il lavoro, il fare squadra. Generazione X: cresciuti tra gli anni 80 e 90 in un periodo economicamente turbolento, caratterizzato da trasformazioni profonde nei modelli di sviluppo e nelle strutture produttive. Cresciuti per lo più da soli, o da genitori divorziati, in compagnia di TV e Gruppi musicali. Una generazione caratterizzata da pragmatismo, tolleranza, ma anche da padronanza tecnologica, con capacità di pensare in modo globale, e di ricercare un equilibrio tra lavoro e vita privata. Generazione Y: i lavoratori di età inferiore ai 32 anni, bravi nel lavoro in team dotati di capacità informatiche multi-tasking, con buona padronanza delle lingue straniere, attenti alla dimensione etica, la generazione più qualificata della sto- ” 38 25 anni d’informazione Bisogna quindi intervenire attivando iniziative di scambio generazionale e di cross-fertilization tra giovani e over 50 per dare voce alle diverse età. Una delle iniziative che ha portato notevoli benefici nelle organizzazioni in cui la tecnologia è un fattore chiave di successo è il Reverse Mentoring. Si tratta di una relazione di tutoraggio invertita dove le persone più giovani vengono affiancate a lavoratori più esperti con lo scopo di acquisire nuovi apprendimenti. Uno schema di relazione così impostato offre diversi piani di lettura come, ad esempio, la possibilità che i lavoratori appartenenti alla generazione dei boomers possano sviluppare una cultura della diversità, una visione più globalizzata e una gestione del lavoro in team diversa da quella per loro prevalente. (Schaufeli, Salanova, Gonzalez-Roma & Bakker, 2002 - The measurement of engagement and burnout: A two sample confirmatory factor analytic approach. Journal of Happiness Studies) Accanto a questo non si può tralasciare l’importanza che un processo di reverse mentoring può avere nei confronti dei millenials, con benefici quali ad esempio un più immediato accesso alle informazioni, apprezzamento, stima, soddisfazione e sviluppo personale (P. Chaudhuri & K. Ghosh, 2011). Il Reverse Mentoring trova le sue origini in America nella General Electric , dove è stato messo in pratica per introdurre internet nei processi aziendali. (http://www.scribd.com/doc/29528276/Reverse-Mentoring) Un processo di Reverse Mentoring ha trovato efficacia nei processi aziendali in cui è richiesto un più immediato accesso alle informazioni, è necessaria una reciproca stima, soddisfazione ed apprezzamento nei team, sviluppare una cultura della diversità, una visione più globalizzata ed una gestione del lavoro in team diversa da quella prevalente per il senior (Mentee). “Ogni generazione si crede più intelligente della generazione precedente e più saggia della generazione successiva.” George Orwell Un programma di Reverse Mentoring deve nascere inizialmente da una piano strategico formalizzato sull’improvement delle risorse umane. I fondamenti per la riuscita di programma di reverse mentoring prevedono il coinvolgimento di tutte le più importanti figure aziendali; la sua attuazione prevede le seguenti fasi: selezione dei mentori, formazione, preparazione e l’accreditamento dei mentori, l’abbinamento fra mentori e mentee, definizione del programma personalizzato, la valutazione dei risultati. La forma più usuale di realizzazione è quella dell’One-toOne mentoring che prevede degli incontri faccia a faccia, vi sono poi group mentoring, programmi di scambio e forme miste, sia diretti che a distanza. Sono quindi vaste le modalità di attuazione ed altrettanto ampie le tecniche per gestire le sue dinamiche. Per l’Azienda ciò significa: un miglioramento delle performance dei collaboratori, l’aumento della soddisfazione, la diffusione della cultura organizzativa con positivi risvolti sulle possibilità di aggredire nuovi mercati e generare profitto. Area Outsourcing Zeta Consulting srl tai i c i l b b u La P randi. g e r a t fa diven Falla anche tu ! Il Mensile della nuova Ciociaria Communications www.flashmagazineonline.it e-mail [email protected] T 0775 212261 r.a. M 340 3890538 - 328 4368602 25 anni d’informazione 39 I giorni senza nome Cantando, o Grazie, degli eterei pregi di che il cielo v’adorna, e della gioia che vereconde voi date alla terra,belle vergini! a voi chieggo l’arcana armonïosa melodia pittrice della vostra beltà; sì che all’Italia afflitta di regali ire straniere voli improvviso a rallegrarla il carme. Ugo Foscolo, Le Grazie Barbara Turriziani A llorquando l’ispirato Romolo decise di fare di un villaggio sparuto in cima ad un colle una città a tutti gli effetti, circondata da mura sante e inviolabili, sentì altresì l’esigenza di dare sistemazione al trascorrere dei giorni e al susseguirsi delle stagioni. Adottò, dunque, un calendario lunare composto da dieci mesi con inizio al primo plenilunio di primavera e lasciò senza nome le fredde e buie giornate invernali che si consumavano senza gloria tra i rigori dell’inverno. Fu Numa Pompilio a dare loro la dignità, dedicandone ventinove a Giano bifronte e ventotto a Februus. Erano, questi ultimi, i giorni dei rituali di purificazione che avevano il loro apice il 14, nel calendario odierno, dedicato a San Valentino, protettore degli innamorati. Ancora oggi però, Febbraio è il mese dell’introspezione e della purificazione fisica e spirituale; il 2, infatti, si celebra la Candelora, in ricordo della Presentazione al Tempio di Gesù Bambino e della contestuale Purificazione di Maria che, secondo le usanze ebraiche dell’epoca, doveva avvenire quaranta giorni dopo la nascita. Povero dal punto di vista agricolo, nel medioevo Febbraio era rappresentato come un gruppo di per- 40 sone che siede attorno ad un camino, in attesa che la neve si sciolga. Il cielo serale è teatro di mutamenti, le costellazioni invernali declinano verso ovest, mentre ad Est il Leone annuncia già l’approssimarsi della primavera. Le stelle faranno da sfondo ad una serie di eventi celesti che coinvolgono i più vicini corpi del nostro Sistema Solare. Due in particolare, non facilissimi da seguire ma che meritano sicuramente l’impegno che gli dedicherete per osservarli: il passaggio del piccolo asteroide 2012 DA14 che ci “saluterà” da vicino la sera del 15 Febbraio e la congiunzione Mercurio – Marte appena dopo il tramonto dell’8 Febbraio, una piccola sfida vista la scarsa altezza sull’orizzonte dei due pianeti che saranno avvolti nella luce del crepuscolo. Non serviranno strumenti ottici per godersi invece il “sorriso” della Luna crescente nelle sere di metà mese; il primo quarto del 6 si completerà nel plenilunio del 15, quando l’astro brillerà sull’orizzonte occidentale appena dopo il tramonto. La nostra Stella, invece, dalla superficie sconquassata da violente, quanto affascinanti da osservare, tempeste magnetiche, guadagnerà sempre più spazio nel cielo, regalandoci un’abbondante ora di luce nell’arco del mese, marciando solerte verso la Primavera. Se il primo, infatti, sorge alle 7:16 e tramonta alle 17:25, il ventotto anticipa la levata alle 6:40 e posticipa il tramonto alle 17:59. Astrologicamente poi, nella notte tra il 19 e il 20, il Sole lascia il segno dell’Acquario per entrare in quello dei sensibili ed emotivi Pesci. Tra le Date da ricordare, il 6 febbraio 1778, giorno di nascita del poeta di Zante, Ugo Foscolo, una delle più ispirate ed eminenti penne del neoclassicismo, chi non sta in questo momento rispolverando qualche suo verso immortale? I Sonetti, le Odi, il carme Dei Sepolcri, il romanzo epistolare ‘ Ultime Lettere di Jacopo Ortis’, sono solo alcuni esempi della sua prolifica opera, vanto assieme a Dante, Leopardi, Manzoni della nostra letteratura. Il 15 febbraio 1564, veniva al mondo 450 anni fa Galileo Galilei, padre del metodo scientifico moderno e soprattutto strenuo difensore della rivoluzione copernicana e della teoria eliocentrica. Lo stesso giorno di qualche secolo più tardi, nasce negli Usa, il fumettista a suo modo rivoluzionario, Matt Groening, autore della fortunata, pungente ed ironica serie animata ‘The Simpson’. 100 anni fa, il 22 febbraio 1914, nacque il biologo e medico italiano Renato Dulbecco, Nobel per la Medicina nel 1975. Nel 1539, in Febbraio, si spense una delle figure più importanti del panorama politico e culturale rinascimentale italiano, la marchesa Isabella d’Este di Mantova, fine mecenate di artisti e filosofi, tra cui Ludovico Ariosto che alla sua corte compose l’Orlando Furioso. A lei si ispira il consiglio di lettura, Rinascimento privato di Maria Bellonci, vincitore del Premio Strega nel 1986. Un’ autobiografia immaginaria che ripercorre gli anni salienti del Rinascimento italiano attraverso un punto di vista privato, dall’interno della corte del Ducato di Mantova. La narrazione è immaginata come un lungo flash-back che avviene nel 1533, quando Isabella quasi sessantenne sta 25 anni d’informazione Almanacco di febbraio scrivendo le sue memorie, in una Stanza detta degli Orologi, nel Palazzo Ducale di Mantova. Il suo motto era ‘Nec spe, nec metu’, ‘nè speranza, nè timore’ , quella che si dice donna di carattere. Nasce in febbraio anche l’eccelso artista impressionista Pierre Auguste Renoir, il 25 del mese, nel 1841 a Limoges in Francia e a lui è dedicata l’opera d’arte del mese, Ballo a Bougival, olio su tela del 1883. La scena si svolge in un caffé all’aperto del subborgo parigino Bougival appunto, sui margini della Senna. È tipico dei pittori impressionisti raffigurare scene di vita mondana dei parigini di fine Ottocento. L’uso di colori molto vivaci e seducenti evidenzia quel senso di piacere provato dalla coppia che danza e che domina l’opera. Il volto della donna, dai capelli rossi incorniciati dal cappellino vermiglio, attira subito l’attenzione dell’osservatore su entrambi i personaggi. L’atmosfera genuina e divertita che si respira ben inneggia all’amore e ai festeggiamenti carnevaleschi che caratterizzano il mese. Anche il suggerimento per il film da rivedere resta in tema di baldorie festanti e coglie l’occasione per omaggiare i 60 anni dell’attore americano John Travolta, nato il 18 febbraio 1954, protagonista della pellicola: Grease- Brillantina. Il musical del 1972, ambientato con nostalgia e un pizzico di ironia, negli anni 50, quelli delle magliette attillate, delle giacche di pelle, delle gonne a campana e della brillantina nei capelli, ci racconta la storia d’amore tra Danny e Sandy cui fa da sfondo uno spumeggiante mix di rock scatenato e coreografie irresistibili. ‘Summer Nights’, ‘Hopelessly Devoted to You’, ‘You’re The One That I Want’ sono divenuti oramai classici che non conoscono tempo. Nel mese di Febbraio, i giardini, i boschi e i campi, subiscono un lento risveglio, le pratoline sbocciano nei campi, mentre i crochi fanno capolino anche tra la neve. È il mese di numerose bulbose: ciclamini, narcisi e tulipani tornano a fiorire. Lo stesso “Febbraio” in giapponese significa letteralmente: “mese in cui si vedono i fiori di prugno”, ma non solo il prugno si ingemma, alcuni tipi di magnolia o albero dei tulipani, il viburno e le splendide camelie caratterizzano il mese con le loro variegate fioriture. I fiori per eccellenza, però, sono le violette e le primule, quest’ultime, in numerosissime varianti di colori e specie, sono una corro- 25 anni d’informazione August Renoir, Ballo a Bougival olio su tela 1883 borante sferzata d’energia per chi confida nella cromoterapia. C’è chi ne mangia le foglioline verdi in insalata, chi fa tisane con i fiori essiccati, chi sfrutta le radici e i rizomi, io le tengo nei vasetti accanto le finestre per deliziarmi semplicemente della loro vista. Così come gli antichi romani insegnano, non c’è momento migliore di Febbraio per cominciare a prendersi cura del proprio corpo ed eliminare accumuli di tossine e molesti sovrap- pesi. Chi si affida alla fitoterapia e vuole depurare l’organismo con il delicato aiuto delle erbe, sa che la betulla è ciò che serve all’uopo, per le sue innumerevoli virtù. Gli estratti, gli infusi e le tinture di betulla trovano indicazione oltre che nella sindrome premestruale, nella prevenzione della calcolosi renale, negli edemi da insufficienza cardiaca, in presenza di ipertensione arteriosa, vertigini, anche di edemi degli arti inferiori da insufficienza venosa e cellulite. È da sottolineare che l‘assunzione di preparati a base di betulla è controindicata in caso di allergia all’Aspirina, insufficienza cardiaca e renale ed ipersensibilità accertata verso uno o più componenti. Così come è preferibile evitarne l’uso in gravidanza e durante l’allattamento. L’Infuso con le foglie essiccate si può filtrare e bere durante il giorno, rispettando le proporzioni: 2-4 g per tazza d’acqua bollente, lasciare in infusione per 10 minuti. Per la Ricetta del mese, invece, vi sottopongo un primo piatto ricco e sapido, per il menù di San Valentino o per quello di Giovedì Grasso; i Fini Fini di Championnet si potranno comunque degustare, tradizionalmente, a conclusione della sfilata storica di Martedì Grasso, per le vie del centro di Frosinone, mentre il perfido generale brucia sul rogo insieme a tutte le nostre angosce! Ravioli di noci Ingredienti: 350 gr. di farina integrale; 250 gr. di spinaci; 2 uova; sale; burro; pomodorini freschi. Per il ripieno: 1 cipolla; 2 gambi di sedano; 1 uovo; 170 gr. di noci; 1 spicchio d’aglio; basilico, prezzemolo; sale, pepe. Preparazione della ricetta: Mescolate la farina con il sale e formate un vulcano dove al centro metterete le 2 uova con gli spinaci precedentemente lavati molto bene, lessati, strizzati e tritati. Mescolate bene fino ad ottenere un impasto che non si attacchi; poi lasciate riposare per 30 minuti. Intanto preparate il ripieno tritando la cipolla, il sedano, le erbe, le noci, l’aglio unite il sale, il pepe e l’uovo. Mescolate bene il tutto e formate delle palline. Stendete la pasta e dividetela in 2 parti; in una parte mettete ogni 3 cm. una pallina di ripieno e poi sovrapponete la parte di pasta lasciata libera comprimendo bene ai lati. Con una rotellina tagliate dei ravioli; lasciate riposare per 30 minuti e poi cuoceteli in acqua salata per 10 minuti. Scolate e conditeli con burro fuso e pomodorini. 41 Febbraio... Carnevale, San Valentino...Eleganza! Moda di Emanuela Crescenzi C are amiche eccoci giunte a febbraio, mese di San Valentino, di carnevale e di pomeriggi gelidi, ma gradevoli per passeggiate all'aria aperta....finiti i saldi ci si ritrova a fare i conti con armadi zeppi e ancora più insicurezza sugli outfit da adottare. Regola n. 1 eleganza, eleganza, eleganza...mai trascurare i dettagli e curarli nei minimi particolari; regola n.2 avete gli specchi, quindi usateli prima di uscire; terza ed ultima regola, lasciate gli addobbi agli spaventapasseri, non ingoffatevi con capi inutili. A gennaio abbiamo assistito ad eventi importanti quali le sfilate di Milano, Parigi e Firenze con a Palazzo Pitti, anche quest'anno l'eleganza più assoluta, ha fatto da padrona, nella prossima stagione vedremo capi super classici rivisitati con tessuti e fantasie moderne, ci sarà un ritorno della pelle in tutti i colori possibili ed un rilancio dei tessuti preziosi e ricamati a mano, lo stile si avvicina molto a quello anni '40 e '50 con tailleur ed abiti aderenti e strutturati adatti a varie tipologie strutturali, l'importante è seguire semplici accortezze e giocare sulle lunghezze per mascherare polpacci pronunciati o l'uso di cinte strettissime per inventarsi un punto vita inesistente o ancora l'uso di pullover con maniche a tre quarti per mascherare braccia da scaricatrice di porto, e qui scatta il divieto assoluto di usare canottiere al di fuori delle palestre per non sembrare sexy come peppa pig..... ritorno eccellente sarà anche il classico cappotto di cammello, sia da uomo che da donna abbinato ai guanti di pelle.... Anche la moda uomo ha fatto un salto di qualità, puntando su eleganza e ricercatezza, finalmente rivedremo l'uomo con giacche e pantaloni eleganti, cappotti classici e pantaloni aderenti, completati da accessori di tendenza quali borse, sciarpe e cappellini, una collezione che ricolloca l'uomo in primo piano e non come sfondo alla donna come è stato negli ultimi anni, nascosto da buste della spesa e bambini in braccio a fare da spola a mogli in tacco a spillo.... se è vero quello che diceva qualcuno che siamo ciò che mangiamo, vi consiglio di essere trend anche in quello, trascorrendo le vostre serate all' Equinox pub a Castelmassimo per gustare i mitici panini xl ed xxl particolari e curati come se fossero l'outfit per una serata di gala, ogni settimana anche la gara the king of food, non mancate...... Anche per questo mese vi saluto e vi do appuntamento al prossimo con i consigli per la primavera, baci Emanuela 42 25 anni d’informazione Moda di Federica Spaziani Testa Romantic Tulle C arissime amiche, questo mese ecco per voi un’idea originale e facilmente adattabile per un look quotidiano, da giorno o da sera, a seconda dei colori e degli accessori scelti, come anche al giorno più romantico dell’anno: San Valentino. Sto parlando della gonna di tulle. Sì, proprio il bellissimo tutù che indossano anche le ballerine di danza classica, ma in versione più easy... In fondo, non fu l’allora Carrie Bradshaw a proporci qualche look caratterizzato proprio dal romanticismo, la delicatezza, la leggerezza e dall’eleganza della tulle skirt? In questi ultimi tempi la gonna di tulle è diventato uno di quei capi di abbigliamento ricercati ed esclusivi, da indossare in molte occasioni e circostanze. È molto amata soprattutto dalle ragazze, che la scelgono spesso nel classico colore rosa cipria, proprio come quello delle ballerine, ma anche in nero e blu scuro, per avere un effetto più elegante e misterioso.Vediamo insieme, dunque, come realizzare due nuovi look della settimana utilizzando proprio la gonna di tulle. Look da giorno con la gonna di tulle Romantico e chic, il primo look è composto da una gonna di tulle rosa da accompagnare con una giacca classica e molto bon ton, una t shirt grigia o comunque dai colori neutri. Come sempre qualche accessorio per condire il tutto e in un attimo sarete perfette, sempre sui toni pastello. Look da sera con la gonna di tulle Sexy e fascinoso, il secondo look prevede una gonna di tulle nera o blu notte , da indossare con una maglia o un top eleganti ed aderenti, per avere un effetto sensuale ed elegante al tempo stesso. Accessori in tonalità argentate e perlescenti. Scarpe rigorosamente con il tacco, per slanciare la figura. La gonna di tulle è poi adatta, care lettrici, ai fisici più esili e longilinei come a quelli più formosi e burrosi...quindi non esitate ad acquistarla! Appuntamento al prossimo mese! 25 anni d’informazione 43 Mitologia norrena di barbara Turriziani Il racconto Il principe Galdor Narmolanya Q uando dalle fessure delle leggere imposte di betulla filtrò il primo chiarore della rosata aurora invernale, Galdor si voltò, pigro, nelle calde e morbide coperte del suo giaciglio, tessute, con lana e benedizioni, da sua madre Eámanë la scorsa estate. Avrebbe goduto ancora un po’ di quel tepore, si disse, nonostante fuori il nuovo giorno lo attendesse. Avrebbe continuato a poltrire, gustandosi, dietro le palpebre, la fin troppo lusinghiera sensazione di orgoglio mista ad esultanza che deriva da una grande vittoria. Accarezzando con ricercata grazia la soffice cedevolezza della coperta, sorrideva compiaciuto al ricordo degli ultimi eventi che lo avevano visto vincitore e che la sua gente aveva cantato a lungo la scorsa notte nella sala delle feste, attorno ai grandi fuochi di Imbolc. Le sue gesta, secondo gli usi, erano state celebrate in raffinate melodie, che solo i Liosalfar, gli elfi della luce, con le loro splendide voci sanno intonare, mentre fuori, gli alberi le avevano sussurrate al vento del nord, propagando il canto sul candido manto che nutre la terra e sulle calme acque della baia di Isafjordur, silenti testimoni delle aurore boreali. Non la gloria tributatagli che pure lo divertiva, portava il sorriso sul suo volto ma la consapevolezza che il suo Territorio, la sua gente non erano più in pericolo. Le dolci pendici di bianco immacolate che si distendono nel buio della lunga notte invernale fino al Grande Mare e che in primavera rifulgono di colori e vita e così i fiordi rocciosi guardiani delle terre fin dalla 44 creazione, il suo popolo, celato agli uomini come da lungo tempo oramai e la sua storia avrebbero potuto continuare a esistere, in pace. L’impresa era riuscita, i tentativi di invadere il regno erano stati bloccati. Nessun mostro meccanico avrebbe profanato la valle di Galgaharaun. Nessuna riprovevole lingua nera, vomitata da un grossolano, rumoroso carro ferrato, avrebbe profanato il sentiero nella foresta. Nessun albero centenario sarebbe stato toccato da asce umane. Particolarmente fiero di ciò si rigirò ancora nel letto e alla mente guizzò, d’un baleno, il ricordo della conversazione avuta qualche giorno indietro con il nodoso vecchio Sorbo della collina, cui piaceva ricordare i giorni perduti. Gli parlò di quando l’isola era popolata di floride foreste di betulle dal fusto snello e dalle fronde leggere, interamente sterminate dall’uomo per costruire case ormai marcite e barche da pesca su cui il tempo ha avuto ragione. Gli spiegò di quanto potesse essere pericoloso lasciar agire i figli di Miogaror e come poter avere la meglio su di loro, lui, che aveva visto formarsi le rocce e i fiordi della Baia, quando il mondo tremò e si squarciò permettendo al mare di addentrarsi nella terraferma. Galdor non aveva assistito a quegli eventi remoti ma conosceva bene i violenti sconquassi della sua terra e gli sbuffi provenienti dalle ime profondità incandescenti. Con i suoi giovani amici, in barba alle raccomandazioni delle balie, nelle tiepide giornate di inizio estate, correva spesso presso le bolle, divertendosi a saltare su di esse poco prima dell’esplosione. I nobili guerrieri dagli infallibili archi di tasso, ne ridevano accondiscendenti ma inevitabili erano le penitenze delle nutrici da scontare. Sua madre, Signora delle colline sapeva leggere nella sua mente e soave come il fresco manto di biancospino che la avvolgeva nei festeggiamenti solenni insinuava nei suoi pensieri la voce suasiva che lo spingeva a migliorarsi sempre per eguagliare in abilità e destrezza suo padre, il saggio Beren, re degli elfi dell’isola di Islant. Questo accadeva molto tempo fa, quando egli era ancora fanciullo e non aveva ancora cominciato il suo percorso di guerriero. L’arco ricavato per lui dal flessibile ramo di tasso dal suo maestro e la spada forgiata nelle caverne di fuoco dalle abili mani dei fabbri erano divenuti ormai i suoi più fidi compagni e il desiderio di proteggere il suo popolo era divenuto la più pressante delle sue responsabilità, naturalmente e tenacemente come lo sbocciare del croco nella neve. Tergiversare nel letto per qualche attimo ancora non avrebbe compromesso il suo impegno, i confini erano controllati dalla sua guardia, serratamente e instancabilmente, come da tempo immemore accadeva, poichè gli uomini nel corso del tempo avevano inventato nuove armi con cui infierire contro la natura e le sue prodigiose creature di cui il suo popolo era guardiano e custode. Con un rapido balzo, si alzò in piedi, pronto ad affrontare un nuovo giorno. Avrebbe corso fino alla Baia e scandagliato le scoscese rive dei fiordi di Isafjordur con rinnovato orgoglio. 25 anni d’informazione I nauguriamo questo mese una nuova rubrica con l’intento di esulare, al- meno per lo stringato tempo di due pagine, dalla realtà che ci circonda e trovare conforto in un altrove che non conosce né tempo né spazio: la mitologia, il fascino del sedimento culturale che caratterizza le civiltà antiche di tutto il mondo e le loro peculiari risposte alla necessità di conoscenza dell’essere, del divenire dell’uomo e dell’universo. L’aggettivo appropriato per classificare il genere letterario mitologico è lo stesso che nel Timeo (XVIII, 52b), il suo dialogo mitologico per eccellenza, Platone usò per qualificare la terra di nessuno tra essere e non essere, tra essere e divenire, il ragionamento informale sulla materia e sullo spazio che è di per sé informe, cioè non determinato da nessun eidos. La mitologia è, in questo senso, un incrocio tra essere e sapere, una forma discorsiva, terza, tra ontologia e epistemologia, tra sensibilità e intellettualità, con poco di entrambe. Diamo avvio dunque a un viaggio ‘avventuroso‘ tra saghe, leggende, racconti e personaggi che si perdono nelle nebbie del tempo e che ci pongono di fronte ad un quesito secolare: i miti sono resoconti di avvenimenti storici, tramandati di generazione in generazione, via via sottoposti ad un procedimento fantastico che ha cristallizzato dettagli inverosimili e assunto specifiche peculiarità simboliche, così come asseriva Evemero, o sono assolutamente privi di fondatezza storica e rappresentano insegnamenti morali espressi in forma metaforica, come diceva Plotino? Il filosofo Giambattista Vico suppose che il mito fosse nato dalle caratteristiche proprie dei primi uomini: simili a “fanciulli”, i nostri progenitori, anziché formulare concetti astratti, avrebbero espresso la loro visione del mondo mediante immagini poetiche. Comunque la si pensi, lo smisurato bagaglio di storie, accumulato nei secoli in ogni paese, merita di essere sondato. Così, prendendo spunto dalle programmazioni cinematografiche, dal ricco filone fantasy che prospera nelle librerie e soprattutto dalla notizia che in Islanda si è rinunciato alla costruzione di un’autostrada per non invadere il territorio degli Elfi, cominciamo col presentare questi ultimi, personaggi della mitologia norrena, o nordica, appartenenti alla religione tradizionale pre-cristiana dei popoli scandinavi, inclusi quelli che co- 25 anni d’informazione lonizzarono l’Islanda e le Isole Fær Øer, dove le fonti scritte furono sistemate. L‘elfo, dal norreno alf[a]r è uno spiritogenio, simbolo delle forze dell’aria, del fuoco, della terra, dell’acqua e dei fenomeni atmosferici in generale. Gli Elfi sono molto simili agli umani, alti e magri ma forti e velocissimi, volto pulito, sereno, orecchie leggermente a punta. Sono descritti con una grande vista e un udito molto sensibile. Non hanno barba, hanno capelli neri o argentei e occhi grigi che si dice penetrino la persona fino a conoscerne i pensieri, dotati di telepatia. Hanno voce splendida e chiara. Sono intelligenti ed armoniosi, con grande rispetto per i quattro elementi e per la natura. Talvolta alcuni possono essere capricciosi e talvolta benevoli con l’uomo che li rispetta, possono donare oggetti magici a coloro che sono puri di cuore e spirito e che desiderano aiutare. Sanno forgiare spade e metalli, fino alla conoscenza della magia. In origine pare siano stati concepiti come anime di defunti, poi furono venerati anche come potenze che favorivano la fecondità. Di qui la distinzione, fra Døkkálfar, “elfi delle tenebre“, e Liósálfar, “elfi della luce“. Abitano principalmente sugli alberi o in alcune foreste nascoste. Nutrono una grande considerazione per la natura, concepita come una entità, un gran spirito eterico, madre di tutti gli esseri. Riescono a camminare senza lasciare tracce, sono immuni alle malattie e resistono alle temperature estreme. Gli elfi hanno vita lunga, invecchiando senza che la loro bellezza venga intaccata dal tempo. Si dice che siano immortali ma non invulnerabili alle ferite di spade, frecce e ai veleni, e che quindi possano essere uccisi. Molteplici sono le leggende legate a questa figura mitologica, alcune delle quali parlano delle cattiverie che essi compiono nei confronti degli uomini e dei rapimenti dei bambini umani. Gli elfi hanno una forte gerarchia al capo della quale stanno le regine e i re delle colline delle fate, riconoscibili perché spesso ricoperti da un fresco manto di biancospini. Shakespeare nei suoi lavori teatrali fa riferimento molto spesso agli elfi, come nella commedia Sogno di una notte di mezza estate ma chi ne narra la storia in maniera mirabile è J.R.R.Tolkien, ne Il Silmarillion « [...] in quell’ora si destarono i Figli della Terra, i Primogeniti d’Ilúvatar. Presso il lago illuminato dalle stelle di Cuiviénen, L’Acqua del Risveglio, essi si levarono dal sonno d’Ilúvatar; e, mentre se ne stavano ancora silenziosi presso Cuiviénen, i loro occhi videro per prima cosa le stelle del cielo.», essi sono infatti gli Eldar, il popolo delle stelle. Se nella notte presterete orecchio, il loro canto alla luna potrete udire. 45 U n’altra stella di prima grandezza va ad aggiungersi al firmamento dei grandi italiani che ci lasciano la loro bellezza in eredità per intraprendere l’imperscrutabile viaggio verso l’eternità. Claudio Abbado, in effetti, un briciolo di eternità in terra lo aveva coltivato fin da bambino avvicinandosi a quel misterioso ed ineffabile mondo della musica che si rinnova ad ogni ascolto e che come affermavano i grandi romantici ci permette di percepire l’infinito sentimento che permea l’universo. Era figlio d’arte, di Michelangelo Abbado, docente del prestigioso Conservatorio “Giuseppe Verdi” di Milano e di Maria Carmela Savagnone pianista, didatta e scrittrice; suo fratello maggiore, Marcello Abbado, pianista, compositore e poi direttore dello stesso conservatorio milanese; la sorella Luciana Abbado Pestalozza fondatrice del grande Festival di MilanoMusica. Una passione sbocciata dunque tra le mura domestiche e fiorita al Conservatorio di Milano. Dopo il diploma in pianoforte, si perfeziona con il grande ed eccentrico Friedrich Gulda mentre continua gli studi anche in direzione d’orchestra con Antonino Votto. Inizia la sua carriera come brillante pianista prima di dedicarsi con maggiore impegno alla direzione d’orchestra che rappresenterà presto la sua scelta di vita. A Vienna segue, con una borsa di studio i corsi di perfezionamento del celebre Hans Swarowsky mentre frequenta il coro Gesellschaft der Musikfreunde, dove assiste alle prove dei maggiori direttori d’orchestra del tempo come Bruno Walter, George Szell e Herbert von Karajan. Nel contempo partecipa ai corsi di perfezionamento dell’Accademia Chigiana di Siena, tenuti da Alceo Galliera e Carlo Zecchi. Dopo una formazione tanto completa e complessa il debutto che lo consacra direttore avviene in seguito alla vittoria del concorso Koussevitzky della Boston Symphony Orchestra nel 1958, che gli permette di porsi alla guida anche della New York Philharmonic Orchestra. Nel 1959 debutta a Trieste come direttore sinfonico e nel 1960 fa il suo esordio alla Scala e poi alla Fenice di Venezia colla- 46 Claudio Abbado La Forza della Cultura borando con grandi interpreti come i pianisti Alexis Weissemberg e Tito Aprea. Nel 1963 conquista il prestigioso Premio Mitropoulos della New York Philharmonic e la sua fama cresce rapidamente tanto da essere invitato da Herbert von Karajan a dirigere Mahler con i Wiener Philharmoniker al Festival di Salisburgo replicando immediatamente alla guida della London Symphony Orchestra. Al 1966-67 risale il sodalizio con grandi intepreti della lirica, come Luciano Pavarotti, Renata Scotto e Anna Moffo, in tournée all’Expo ‘67 di Montreal quale rappresentate dell’Italia ed all’ Edinburgh International Festival del 1967 con i Capuleti e Montecchi di Vincenzo Bellini e la collaborazione con Franco Zeffirelli per Aida di Giuseppe Verdi. Nello stesso tempo giunge anche il debutto al Royal Opera House di Londra con Don Carlos di Giuseppe Verdi che dirige anche al Metropolitan di New York e il primo importante contratto discografico con il Gruppo Universal, al quale appartengono le celebri etichette Philips Classical, Decca e Deutsche Grammophon che di recente, per gli 80 anni del maestro, ha pubblicato un cofanetto celebrativo contenente svariati cicli sinfonici da lui diretti. Nel 1969, a soli 35 anni, è nominato direttore musicale del Teatro alla Scala di Milano rappresentando, dopo un iniziale scetticismo degli addetti ai lavori, una vera rivoluzione nella storia dell’istituzione profondamente attraversata da uno spirito rinnovato in più direzioni; sotto la guida di Claudio Abbado la Scala amplia il suo repertorio introducendo autori meno consueti per l’epoca come Schoenberg, Berg o Stravinsky ed addirittura commissionando nuove importanti produzioni contemporanee come la Samstag aus Licht di Karlheinz Stockhausen. Del resto la modernità e l’avvenire sono sempre state dimensioni alleate del Maestro, che nella Vienna, considerata luogo di tradizione, creò, negli anni ’80, il festival Wien Modern, per la musica contemporanea. Parallelamente al rinnovamento del repertorio Abbado inizia una rilettura in chiave filologica ma non dogmatica dei grandi autori classici proponendo un suono orchestrale riformato e la riscoperta anche di capolavori caduti nell’oblio. Elegantissimo il suo Mozart, esemplare il suo Beethoven elastico, slanciato, non wagneriano così come il suo meditatissimo Schubert, letto fuori dal velo tardoromantico, ripristinato sugli autografi, distillato alla luce di una orchestra trasparente. C’era il suo Brahms tragico, anticipazione ineluttabile della Finis Austriae. Alla fine degli anni Sessanta risale anche la progressiva riscoperta della produzione di Gustav Mahler, poco noto alle sale da concerto italiane, con l’integrale sinfonica che rappresenta anche in disco una pietra miliare dell’interpretazione. Abbado persegue anche negli anni ’70, con 25 anni d’informazione Cultura musicale a cura di Cesare Marinacci le celebrazioni beethoveniane e rossiniane, la felice idea di accoppiare alla grande produzione classica opere meno esplorate o addirittura inedite. Ed infatti dal punto di vista sinfonico, ad esempio i cicli completi delle opere di Beethoven e Brahms, sono abbinati all’esecuzione di autori più lontani, come Mahler, Bruckner o Strauss e le grandi perle del melodramma inserite nello stesso cartellone con il Wozzeck di Alban Berg. Per questa operazione totalizzante del cartellone, sono di frequente invitati i più grandi direttori del panorama mondiale, come Karl Böhm, Herbert von Karajan, Carlos Kleiber, Leonard Bernstein, Riccardo Muti, Georg Solti; talvolta alla guida delle rispettive orchestre, altre volte guidando l’Orchestra del Teatro alla Scala, destinata a trasformarsi da orchestra prevalentemente operistica in orchestra sinfonica di caratura internazionale, come effettivamente accadde nel 1982 con l’istituzione ufficiale della Filarmonica della Scala. In tutto questo, Abbado è nominato direttore principale dei Winer Philarmoniker, primo direttore ospite della London Symphony Orchestra intraprendendo una feconda collaborazione con la Chicago Symphony orchestra così come con l’Opèra di Parigi. Parallelamente all’estensione del repertorio e alla sua reinterpretazione, è molto importante l’opera di divulgazione musicale che giunge, a partire dal 1972, alla creazione dei Concerti per studenti e lavoratori. Lo scopo dell’iniziativa è quello di avvicinare alla musica e alla vita del Teatro anche le classi sociali meno abbienti :“Nel ’68, a Milano”, ricordava in un vecchio filmato, “era logico che si cercasse di aprire il discorso culturale a tutti, agli studenti, agli operai, insomma a tutti coloro che sono poi venuti ai concerti, o magari siamo andati noi stessi nelle fabbriche… perché era assurdo che il pubblico fosse soltanto un’elite e basta”. E ancora: “L’esperienza di portare la musica nelle fabbriche, all’Ansaldo, alla Breda, alla Necchi, ha aperto a nuovi ascolti, ha smosso desideri di conoscere”. Il progetto, sviluppato sul modello di iniziative simili, comuni nel nordeuropa, dura diversi anni e ha un successo notevole, godendo, fra l’altro, del contributo incondizionato di grandi musicisti, come il pianista Maurizio Pollini. Anche la creazione della Orchestra Gio- 25 anni d’informazione vanile Europea porta la firma del grande direttore in un progetto di respiro internazionale per sostenere i giovani musicisti. Dopo aver lasciato nel 1986 la direzione della Scala in favore di Riccardo Muti, Abbado assume quella del prestigioso Staatsoper di Vienna ed infine nel 1989 la guida dei Berliner Philarmoniker chiamato a sostituire il grandissimo Herbert Von Karajan, incarico che ricoprirà fino al 2002. Dopo l’impegno con i Berliner si dedica in particolare al sostegno di nuove inedite compagini come le orchestre di Cuba e del Venezuela, progetti nei quali riconosce anche il valore salvifico della musica come via di fuga dalla povertà, dalla criminalità e dall’oppressione; inoltre si dedica alla cura delle sue creature orchestrali, nate dalle costole delle grandi compagini, in particolare quelle giovanili come la European Union Youth Orchestra, la Chamber Orchestra of Europe, la Mahler Chamber Orchestra, l’Orchestra Mozart o la nuova Orchestra del Festival di Lucerna la cui formazione è composta anche da alcune prime parti dei Berliner e Wiener Philharmoniker nonchè da solisti di fama internazionale. Col passare degli anni, Abbado aveva scelto di lavorare unicamente con orchestre inedite o formate prevalentemente da amici o da illustri interpreti. L’unico complesso di tradizione cui era rimasto sempre fedele erano i suoi Berliner Philharmoniker, dai quali tornava ogni anno in maggio. Con la Scala, dopo più di vent’anni di assenza, era rientrato nel 2012 dirigendo la Filarmonica da lui medesimo creata. Un’altra idea che gli è sempre stata particolarmente cara era la creazione di spazi per la musica: fu l’anima della costruzione del nuovo Auditorium del Lingotto, a Torino, progettato da quello stesso Renzo Piano con cui ha sognato e progettato l’Auditorium per Bologna. Appartato, poco mondano, privo di affettazioni e di alterigia, animato da valori d’eguaglianza e di responsabilità politica, Abbado era l’antidivo per eccellenza. Un uomo semplice, dall’altissima sensibilità artistica ed umana, dall’intelligenza rigorosa. Riservato, silenzioso, accorto, credeva nell’ influenza della cultura e nella sua potenza di essere arma personale e collettiva, strumento di coscienza e di riscatto: qualcosa in nome di cui lottare. Il 30 agosto del 2013 viene nominato Senatore a vita dal Presidente Napolitano ed anche in quel caso il suo primo gesto, in linea con lo stile di una carriera intera, è stato quello di devolvere l’intero compenso previsto dalla carica per creare borse di studio alla Scuola di musica di Fiesole. Grande amore per l’idea di comunità, grande spirito di giustizia sociale, Abbado non esitava però a ribadire la propria indipendenza politica: “Per comodità alcuni mi avevano bollato come “comunista”, ma io non sono mai stato in nessun partito. Naturalmente ho le mie opinioni, sostengo le cause che mi sembrano giuste”. Idealista, con ardore e con lungimiranza. Sapendo che l’ideale è sempre base di ogni battaglia, e che non c’è sfida nobile che non possa essere intrapresa. Schivo, attento al valore e al suono di ogni parola, più volentieri ascoltava, di rado accettava un’intervista, e anche in quel caso erano lunghi silenzi. Claudio Abbado tendeva più che all’esposizione, alla meditazione solitaria ed assorta, all’ascolto più che al proclama perché, come affermava: “ascoltando s’impara, e così dovrebbe essere anche nella vita: se tutti gli uomini conoscessero meglio la musica, le cose funzionerebbero assai meglio”. Ed allora Maestro siamo certi che ritroverai tutti i numi della musica ad accoglierti come un vecchio amico: Bach, Mozart, Beethoven, Brahms, Mahler, Bartok…tutti lì ad attenderti, per regalarti il loro infinito applauso. 47 Alatri VI RACCONTIAMO STORIE, CURIOSITÀ, FATTI, FATTERELLI, LEGGENDE, PERSONAGGI E QUANT’ALTRO DI UNA CITTÀ ANTICA. di Enzo Ross e Lucio Lucchettii “Finalmente, dopo aver girato una collinetta, vidi dinanzi a me questa interessante città, ricca di splendidi palazzi che dimostrano una fiorente vita cittadina nel passato. Non avevo ancora visto una città di così bell’aspetto nei monti del Lazio”. Gregorovius Il dono di San Francesco ad Alatri L a città di Alatri, unica al mondo, ha avuto il privilegio di ricevere un dono dall’uomo più povero, umile e caritatevole dell’universo, il poverello d’Assisi. Ma andiamo per ordine. E’ tradizione e storia che San Francesco, così come riportano Luca Wadding e Padre Bonaventura Theuli, grandi storici dei frati minori, sia passato per Alatri nel 1222, dopo una breve sosta a Roma, durante il suo pellegrinaggio attraverso Subiaco per visitarvi il sacro speco di San Bendetto, quindi verso la Terra di Lavoro, la Calabria e la Puglia ove era diretto per raggiungere il santuario di San Michele Arcangelo sul promontorio del Gargano. Sembra ch’egli, raggiunta la citta’ dei ciclopi, prese alloggio presso l’Ospizio dei Pellegrini di questa nostra città, e si sia profuso nelle visite a tutti gli istituti pii che nel tempo vi operavano (famoso l’0spedale di San Benedetto e quello di San Matteo, oltre il lebbrosario della Maddalena), servendo e confortando i poveri reietti ivi ospitati. Grande fu la sua opera nel grande lebbrosario eretto presso la chiesa della Maddalena, tanto che gli alatrensi lo supplicarono di lasciare in città qualche suo religioso per continuare nell’opera di assistenza fisica e spirituale da lui intrapresa; tant’è che l’allora Vescovo Giovanni V gli offrì alla bisogna la chiesina rurale di Sant’Arcangelo ove egli avrebbe potuto far costruire un conventino per i suoi frati, così come il poverello d’Assisi fece. Ciò è confermato da un atto pubblico dell’Archivio Notarile (notaio Nardi-Fattori) del 28 novembre 1473 48 nel quale si afferma che i frati minori del convento di San Francesco in Alatri fecero restaurare una chiesetta dedicata a San Michele Arcangelo ove il Santo dimorò. Ma i frati stettero in quel luogo solo per pochi anni, e lo abbandonarono a causa di incursioni vandaliche, di guerre ed insalubrità dell’aria, avvicinandosi alle mura della città presso quella che ora è la porta San Francesco, luogo anch’esso abbandonato in seguito per gli stessi motivi riparando dentro le mura cittadine, ove attualmente vi è porta San Francesco. Nel 1873 quel luogo ove sorgeva la chiesina di San Michele Arcangelo ed il piccolo convento di San Francesco di Fuori, fu venduto all’asta e vi sorsero delle case il cui proprietario si premurò di farvi murare una lapide commemorativa del passaggio del santo, inaugurata e benedetta nel 1927 dal Vescovo Torrini, con epigrafe dettata niente meno dall’illustre dantista nostro concittadino P.Luigi Pietrobono (lapide visibile fino a qualche tempo fa). Ma del passaggio del santo esiste anche una prova inoppugnabile. Difatti, uno dei cimeli/reliquie francescani più conservati e venerati, che già di per se è di valore dimostrativo e illustrativo di prim’ordine intorno al transito del santo per Alatri è il Sacro Mantello gelosamente e religiosamente custodito dai padri conventuali nella chiesa di San Francesco e che, si narra, il poverello d’Assisi donò ai cittadini di Alatri prima di riprendere il suo pellegrinaggio per il Gargano ed in ricordo del suo passaggio. La meticolosità con cui nei secoli la reliquia è stata custodita comprova l’autenticità della stessa e la devozione del popolo per essa. Il mantello del Santo, infatti era custodito nella chiesa di San Francesco in un’urna di legno dorata, all’interno dell’altare di San Carlo e di San Francesco la cui porta era chiusa con tre chiavi, una tenuta dal Vescovo, una seconda dal padre guardiano del convento e la terza dal Magistrato della città, segno questo che le massime autorità civili e religiose della città consideravano la reliquia un prezioso tesoro. Gia’ una prima ricognizione della stessa fu operata nel 1689 dall’allora vescovo mons. Ghirardelli, ma è nel dicembre dell’anno 2001 che la Curia Generalizia dei Frati Minori Conventuali, preoccupata dello stato della reliquia, dà incarico all’Università degli Studi di Chieti di operare un esame dello stato della stessa e procedere all’opportuno tempestivo intervento conservativo. Così nell’anno 2002, la facoltà di Medicina e Chirurgia Dipartimento di Medicina e Scienze dell’Invecchiamento della stessa Università, accettato il prestigioso incarico, procede alla progettazione ed alla esecuzione dell’opera di restauro e conservazione della preziosa ed unica reliquia. Così oggi il prezioso dono del poverello d’Assisi alla città di Alatri è visibile ben disteso in una teca di vetro antisfondamento multistrato a tenuta stagna nella chiesa di San Francesco. 25 anni d’informazione Recensione di Massimo Sergio FLORIANA CURTI: SEGNI DI PROFONDA CIVILTA’ La “pucinella” è divenuta mamma chioccia I l microcosmo letterario di Floriana Curti si arricchisce di un terzo tassello: “Davide e il soldato (Un ragazzo ebreo nella Frosinone occupata dai tedeschi)”. Perciò dopo le prime due pubblicazioni (Caramelle e pidocchi (2004) e La ragazza di via Quintino Sella del 2007), quest’ultima in ordine di tempo, nel mese di luglio 2013 edita presso le Grafiche Bianchini di Ceccano, e presentata al pubblico nel mese di settembre dell’anno scorso, esaurisce la nostra curiosità su quanto accaduto in quella particolare strada e nei dintorni di una Frosinone ormai cancellata da improvvidi e malpensanti politicanti. La cui situazione disastrosa fa pronunciare e scrivere all’Autrice nella premessa parole amare e di sconforto: “Dopo l’abbattimento dell’ultima caserma (…) si è spento qualcosa dentro di me: una ribellione perché nulla si può fare per poter rimettere le cose al proprio posto. E’ andata via la storia! Dimenticare? Non sempre ci si riesce! Scrivere sì; andare a ritroso con la mia vita, mettere come in un mosaico i vari pezzi di questa lunga storia forse è possibile…”. Si conclude così la trilogìa d’uno squarcio di vita e di esperienze adolescenziali, avente come fil-rouge le vicissitudini degli anni di guerra, dagli inizi al fianco delle forze hitleriane, poi con l’occupazione tedesca ed infine con l’arrivo degli Alleati, lento ma inesorabile, con tutte le conseguenti distruzioni di edifici, strade ed affetti che una guerra ha sempre comportato. Floriana adulta ha ripercorso con la memoria quei momenti bui ma intensi 25 anni d’informazione per la sua formazione di ragazzina adolescente, trascrivendoli e facendoceli vivere con la sua scrittura piacevole e delicatamente leggera. “Perché – come sottolinea Maurizio Federico nella parte finale della prefazione – questo suo magnifico lavoro ci ricorda che, nel momento più vergognoso della nostra storia nazionale con la persecuzione degli ebrei da parte di italiani, ci furono altri italiani, come gli abitanti di via Quintino Sella, il soldato Eugenio e la bella Lucia, che aiutarono e amarono quanti erano in cerca di scampo dagli orrori della guerra”. Floriana Curti scrive non solo per sé e i suoi cari, ma soprattutto per gli altri, per tutti noi: è questo un gran segno di civiltà. Perché civiltà è essenzialmente presenza di memorie. Quanto più numerose sono tali memorie e, soprattutto, quanto più profonda è la coscienza di tale conoscenza, tanto pù degna di considerazione è la civiltà. Una civiltà progredita, come l’attuale che viviamo affannosamente, può fare affidamento su una infinità di “ricordi”, che sono presenti culturalmente e psicologicamente o possono essere “presentizzati” (resi presenti, vicini a noi contemporanei, in attualità) in un batter d’occhio attraverso la lettura o la consultazione/riflessione di opere di memoria, come tutti e tre i libri di Floriana Curti. Essi sono perciò indicativi segni di profonda civiltà, di attenta cultura storica e diaristica, alle quali attingere in qualsiasi momento lo si desideri, con faci- La caserma era così vicina alla nostra veranda, quasi che tra i soldati (…) e noi, (…) ci si poteva, come si dice, dar la mano…” lità irrisoria. In questa sua terza fatica, però, la Curti s’è messa come da parte, fuori scena, non ne è più la protagonista ma la scrupolosa cronista, sì, la narratrice appassionata e partecipe di quanto avviene nel quartiere, ai margini di una Frosinone martoriata, impegnata a sopravvivere con fatica ed eroicità. Ella non solo ricorda, ma desidera, anzi vuole ricordare, tanto da farne un culto della propria memoria, avendone consapevolezza. Ella ricorda e non solo, ma sa di poter ricordare e questo le dà una certa sicurezza responsabile. Dico questo per aver avuto la possibilità in lettura di alcuni lunghi brani del manoscritto proprio dall’autrice stessa a casa sua, in cui si ritagliava momenti di confronto e di accertata attenzione da parte di un estraneo che potesse giudicare ed anche in parte consigliarla da un punto di vista letterario e non solo. Ripeto, dico questo perché conosco ed apprezzo la sincerità delle intenzioni di Floriana nei confronti dei lettori scettici dei quali si preoccupava e dei tormentati pensieri su come far terminare il lungo racconto che poi ha portato a buon fine, come sempre con grande determinazione, superando anche gli ostacoli della scrittura. Vi dico comunque che non è ancora finita l’avventura letteraria dell’amica Floriana, perché ha in serbo ancora qualcosa di piacevole anzi allettante per i suoi lettori affezionati: un bel volume di racconti. L’aspettiamo con ansia e con la certezza che anche quello sarà un valido banco di prova ed un meritato sicuro successo. Un breve discorso a parte meritano la colorata copertina e la decina, o poco meno, di illustrazioni in bianco e nero della pittrice Valeria Molòn, che ben descrivono le vicissitudini dei personaggi e dei luoghi che sono il tessuto connettivo della storia principale. Gli intensi rapporti d’amicizia tra Davide (Paolo) ed il soldato Eugenio, il giovane uomo sardo, ragazzo del mare, e la storia di sguardi amorosi con Lucia sono disegnati dalla Molòn, come se la storia vera raccontata dalla Curti avesse un sapore d’altri tempi rievocanti le immagini a corredo dei primi sillabari ed antologìe scolastiche che un po’ tutti noi, quando eravamo ragazzi del dopoguerra, abbiamo avuto la gioia e la fortuna di scoprire e di sfogliare. Ben rendono tali immagini l’atmosfera di quei tempi di guerra e di orrore di più di settant’anni or sono. 49 Caffè per l’anima di Rodolfo Coccia Pubblicita’ per me stesso Prendendo in prestito il titolo di una raccolta di saggi di Norman Mailer volevo sopperire alla mancanza della “fotina” in alto a sinistra con qualche spunto autobiografico. In vita i poeti scrivono parole, ma solo dopo la morte lasciano poesie, e il trascorso della loro vita rimane fondamentale per comprenderne appieno il senso. Riprendendo il discorso iniziale (quello della pubblicità) il passato dell’infanzia è fondamentale nella vita da “poeta inconsapevole”, vuoi se vissuta “angelicamente” nelle mattinate da oratorio o “diabolicamente” nei pomeriggi Beat, tra Flipper, musica e cinema. E in tutto questo la totale mancanza di “pallone” abbandonato in terza elementare, a favore dei Beatles, ha contribuito senza dubbio ad alimentare uno Spleen continuo che sarebbe stato utile in futuro. Il termine in sé nella poesia moderna, non comporta propriamente l’uso della scrittura, altre forme, altri gesti, altre occasioni, possono divenire poesia, anche se nel passaggio dall’adolescenza all’età matura, una volta ci pensava la Leva Militare a forgiare e instradare “le migliori menti della mia generazione”. Quella fu una buona palestra di pensiero, perché per chi già avvezzo con la materia, trovava materiale umano e di varia umanità su cui lavorare, e questo non comportava affatto un eccellente risultato scolastico, per me un vero disastro fino ad allora, anche se orgogliosamente conservavo un ritaglio di giornale dove era riportavo il mio nome come vincitore assoluto di un premio letterario istituito nelle scuole medie di tutta la regione. Subito dopo, le varie esperienze lavorative hanno contribuito non poco alla mia formazione poetica. La frequentazione dell’oratorio da ragazzino mi ha lasciato un forte legame (e richiamo) con l’Avventura e più avanti con il Innamoramento Premere questo tasto per ottenere un segnale più forte. Quando siete posizionati in un luogo con segnale sfuggevole, inarrivabile e debole rilasciarlo per un segnale più forte. 50 Viaggio, tanto che una volta finito il militare la ricerca del lavoro era mirata esclusivamente al finanziamento di quest’ultimo. E quindi posso vantare per tipologia e specie di aver fatto il fiscolaro in una fabbrica di corde, il portiere di notte e l’aiutante cucina in albergo, il professore in un Istituto Agrario, il raccoglitore di nocciole nel viterbese e le giornate di vendemmia nel Lazio, il rappresentante per la Findus, l’Aiutante Ufficiale Giudiziario in Tribunale. Le diverse residenze negli anni, Lavinio, Viterbo, Frosinone, Milano, Firenze, Roma, sono state stimolo socializzante e continuo di confronto, dialogo, linguaggio. Per ultimo, ma assolutamente primaria, la figura idealizzante e idealizzata della donna, prima ricercata invano, poi trovata facilmente altrove, infine incontrata, stabilizzata e sublimizzata, come compagna e madre dei miei figli. Le muse tanto cantate e decantate le lascio ai poeti del tipo “quelli che ci credono”. Da oltre trentacinque anni, invece mi ritrovo ad essere un geometra (diploma) che fa il ragioniere (in un Istituto di Credito) ma che scrive di cronaca, arte e letteratura (giornalista, scrittore, poeta?). Fino all’età di quaranta anni non avevo mai scritto una poesia, ma avevo sicuramente approfondito e approfittato abbondantemente della letteratura, della fotografia, della musica, del viaggio geografico ed esistenziale. Il mio primo lavoro, come dicono “quelli che ci credono”, è stata una piccola plaquette stampata proprio al compimento dei miei quattro decenni di vita, “Caffè per l’anima” una piccola ed essenziale raccolta mirata all’esistenziale del quotidiano, caratteristica sviluppata poi in venti anni di produzione letteraria, teatrale e poetica, materializzati in diversi contenitori artistici, Libri, Fotografie, Riviste, Quotidiani, Antologie, Radio RAITV, Tele Private, Convegni, Reading, Internet, Concorsi, Giornalismo, Teatro e due presenze (2008-2011) alla Fiera Internazionale del Libro di Torino. Oggi al compimento dei miei sessanta anni (20 febbraio) torno a regalarmi un’altra plaquette dedicata “ Istruzioni & Garanzie” autoprodotta dalle Edizioni RodRay, scritta in una forma di cut-up dal sapore DADA e dallo spunto Beat, con il cruccio di non averlo potuto stampare in ciclostile, come nella migliore tradizione Old Usa Beat. Per farmi gli auguri è presto (e poi porta male), ma voglio dedicare un verso ai tanti che hanno avuto la pazienza e il coraggio di arrivare a leggere queste righe, perché ricordate sempre che al principio dell’amore c’è sempre la cosa più bella, più importante, più desiderata di ogni poesia …l’innamoramento 25 anni d’informazione T h e l at i n l i n e Testo di Rodolfo Coccia Illustrazione originale di Giovanni Grande Q uando da bambini si giocava a dare due calci al pallone la prima unica e insormontabile discussione riguardava il ruolo di portiere da ricoprire. Nessuno lo voleva fare, e stessa malaugurata sorte toccava a chi doveva ricoprire il ruolo di bassista nei tanti neonascenti complessini beat degli anni sessanta. In giro c’era penuria sia di portieri che di bassisti, anzi spesso si era costretti a giocare o suonare senza portiere o senza bassista. Ma in cuor tuo sapevi e capivi che nonostante il ruolo un po’ defilato, le due figure erano (e sono) primarie e di fondamentale importanza. Nella libera interpretazione del personaggio di Altan, Giovanni riporta alla ribalta una figura altrimenti relegata, sempre un passo dietro rispetto agli altri, ma non solo, con l’operazione Pimpa Bassista sembra che il ritmo si fonda con l’allegro manto a pois, mentre “l’animale parlante” con la zampetta porta il tempo, sulle note “ open and free “ di una ricercata e ritrovata Jam Session Jazz. 25 anni d’informazione 51 Sport ad alta quota di Gabriele Maniccia MONTAGNA: SETTE MODI PER PERDERSI E NON… A umentano sempre di più le persone che si perdono in montagna ed a volte a pochi chilometri da un centro abitato. Sulla stampa si legge che spesso i dispersi erano anche ritenuti “esperti escursionisti”. Per costoro qualche volta, malauguratamente le cose si mettono male e vanno a finire in brutte avventure. Attraverso la nostra esperienza e riferendoci alle regole e raccomandazioni del Club Alpino Italiano, rappresentiamo in un elementare ma essenziale catalogo in sette punti, il perché ci si perde in montagna e come si dovrebbe fare per non smarrirsi. Punto primo: mai andare da soli soprattutto se non si conosce la zona in cui ci si avventura, anche solo con l’idea di un’escursione nel bosco seguendo un sentiero senza sapere dove porta. Non conoscere i dintorni e a che distanza si trovino i prossimi punti di contatto con case, borghi, punti notevoli o strade percorribili, può portare alla perdita di orientamento. Il concetto di distanza e di tempo è notevolmente diverso in montagna da quello conosciuto camminando in città, percorrendo una strada con la propria automobile o andando a oltre cento all’ora su un’autostrada. In montagna su sentieri non difficili, chi è in condizioni di salute normali ed abituato a praticare un minimo di attività fisica, può percorrere circa tre chilometri di 52 Gabriele Maniccia distanza in un’ora di camminata e, nello stesso tempo di un’ora, non supera facilmente un dislivello di trecento metri. Anche su sentieri più facili, molte persone, non ricordando il percorso effettuato e non rendendosi conto del tempo, tendono a farsi prendere dal disorientamento e dal panico, per cui non ritrovano il punto di partenza. Punto secondo: avere con sé una mappa, sia turistica che topografica, ma non saperla leggere al momento necessario perché privi delle essenziali nozioni di geografia, significa andare nella confusione più totale. Questa carenza è molto diffusa anche tra i giovani, i quali spendendo la gran parte del tempo in ambienti chiusi ad a contatto con oggetti ravvicinati, come computer, telefonini, televisione, riportano una visione ridotta delle distanze reali in ambienti aperti. Infatti, se provate a chiedere a più persone a che distanza si trovi una strada che cercate in città, le risposte saranno molto diverse: da qualche centinaio di metri a qualche chilometro. Se ripetete l’esperimento riferendovi al tempo che ci vuole per arrivare ad un determinato posto, vi sentirete rispondere anche in questo caso diversamente: chi dirà qualche minuto, chi più di qualche decina di minuti o addirittura un’ora, senza nessun approssimato rapporto con la vera distanza. Quindi una cono- scenza dei punti notevoli segnati su una mappa, soprattutto rilevati prima di iniziare il cammino, è essenziale. Inoltre, non sottovalutate l’allenamento a riportare i minimi elementi di orientamento geografico tra ciò che si vede attorno a voi e ciò che è rappresentato sulla carta. Punto terzo: seguire i cartelli che indicano percorsi e sentieri, attraverso colori e numeri e chiedere sempre conferme a chi s’incontra, soprattutto se pastori o gente del luogo. Tuttavia, negli ultimi tempi, paradossalmente è diventato più difficile orientarsi attraversi i segnali, perché se ne trovano di più e spesso in sovrapposizione e confusione tra loro. La mancanza di un’unica autorità per la gestione del territorio e soprattutto l’inefficienza dei controlli sulla preservazione della natura, fa sì che, oltre alla storica e affidabile segnalazione del Cai, tuttora si trovino ulteriori segnalazioni di altri enti di montagna, come pure di associazioni ambientaliste o locali, che tendono a personalizzare percorsi con numeri e simboli diversi. Si aggiunga che in alcune zone degli Ernici e dei Lepini, si trovano perfino segnali lasciati da cacciatori, atleti di mountainbike, moto enduro, fuori strada e fanatici di guerre finte che danno un’idea di come, in mezzo a tanta confusione, ci si possa facilmente perdere se non si sa leggere una mappa. Punto quarto: confidare nel proprio telefonino e poi accorgersi che, una volta di- 25 anni d’informazione Escursionisti del CAi verso il Monte Crepacuore spersi, il segnale non c’è più e dopo innumerevoli tentativi di chiamata, trovarsi anche con le batterie scariche. E’ ovvio che soprattutto tra le valli delle montagne, a meno che non ci si trovi in vicinanza di un ripetitore, i segnali spesso siano coperti dalle rocce e dalla fitta vegetazione. A ciò va aggiunto che la capacità di ricezione non dipende tanto dal tipo di telefonino ma soprattutto dal gestore telefonico cui si è abbonati. Per questo, sarebbe sempre prudente, in vista di una lunga escursione, avere sia una batteria di ricambio che una carta Sim aggiuntiva di un gestore diverso. Per ultimo, potrebbe essere consigliabile inserire, sul proprio telefonino il programma di auto localizzazione di Google Map, in quanto in questo modo è più facile individuare la zona della chiamata e provvedere alle indicazioni di orientamento o di soccorso. Meno consigliabile è utilizzare in continuazione il Gps interno al telefonino, in quanto, anche se si è esperti, bisogna tener conto che con questa funzione, il consumo delle batterie fa durare il telefonino poche ore. Punto quinto: ritenere che le indicazioni del Navigatore o del Gps siano sufficienti a toglierci dai guai. Non basta avere il Gps se la capacità di utilizzo di questo complesso strumento non è adeguata. Purtroppo, non è una novità che una gran parte di escursionisti, anche in viaggi impegnativi, si perdono per “colpa” del Gps. Il Gps determina rotte, quote e percorsi altimetrici attraverso coordinate geografiche che richiedono però una conoscenza molto più tecnica di quella necessaria al comune automobilista. Va tenuto presente che un auto- 25 anni d’informazione Ricercatori Università di Roma sui Monti Ernici mobilista, in caso di fermata sta sempre su una strada dove ci sono segnali e passanti, l’escursionista a sua volta, una volta disperso, può trovarsi senza alcun riferimento e finire completamente disorientato se non riesce ad interpretare lo strumento satellitare. Questo è il motivo fondamentale, per cui questi sistemi (sia il Gps che le carte topografiche), vanno studiati bene prima di partire al fine di non ricorrere a loro da impreparati nel momento determinante. Punto sesto: far sapere a qualche conoscente, dove si va e, più o meno, quando si intende rientrare. Lasciare segnali di ritrovamento è essenziale, soprattutto se si va in zone nuove o in condizioni di tempo incerto. In queste situazioni, una buona norma di prudenza, è quella di riportare mentalmente o su un taccuino tracce di percorso, punti di riconoscimento, attraversamento torrenti, ruderi e altro d’indicativo, da poter ritrovare al rientro. Calcolare con prudenza le distanze e le difficoltà del percorso in quanto, il ritorno, per stanchezza, è sempre più difficoltoso dell’andata e di pomeriggio, sui versanti all’ombra e specie nei boschi, la visibilità è quasi a livello serale. E’ proprio in queste situazioni che la perdita di orientamento è facile, come pure le possibili cadute sul terreno scosceso e poco visibile. Punto settimo: restare in gruppo se si va in escursione organizzata. Molti dei problemi in montagna accadono perché persone, prese dall’entusiasmo e dalla voglia di dimostrare la propria bravura, si avvantaggiano nel percorso e fanno cose non programmate. Altre, al contrario, qualche volta perché non in grado fisicamente, altre volte perché distratte, restano indietro e non ritrovano più i compagni, creando disagi a tutta la compagnia. Una buona educazione all’escursione di gruppo è tener conto del fatto che non ci si può permettere di inserire obiettivi personali, una volta iscritti al programma della giornata e soprattutto perché un gruppo, sia esso sotto l’egida di un’istituzione escursionistica, sia esso a titolo amichevole, in casi d’incidente prevede sempre la responsabilità civile nei confronti degli altri di un direttore di gita o di qualcuno che si è “messo alla testa della compagnia”. Quindi, imparate qualcosa di più con le carte, allenatevi con il Gps, ma soprattutto guardate attorno il panorama, osservate con curiosità tutto quello che incontrate e … divertitevi. Le indicazioni dell’articolo sono tratte dall’esperienza dei componenti del Club Alpino Italiano ed in particolare di quelli della Sezione Mario Calderari e Giuliano Spaziani di Frosinone. L’autore Gabriele Maniccia è esperto di escursionismo in montagna; oltre che essere stato Istruttore di Orientamento per il Cai, ha compiuto esplorazioni all’estero ed attualmente è membro della Società Geografica Italiana. 53 L’arte allo specchio Lo stile “Bon ton” di Alfio Borghese, Direttore della IV ed. della rassegna “L’Arte visiva contemporanea” 54 Q uarta edizione della rassegna “L’Arte Visiva Contemporanea”: Tutto di corsa, quest’anno, per la delibera comunale arrivata in extremis, il 31 dicembre: nonostante tutto, un calendario importante e nutrito e qualche assenza pesante, dovuta alla fretta per la stampa e l’organizzazione. Tra le grandi mostre quella di Ernesto Biondi, vincitore, con i “Saturnali” del Gran Prix dell’Esposizione Internazionale di Parigi del 1900, dominatore, con le sue sculture, dell’arte non solo in Ciociaria ma in tutta Europa. Accanto a Biondi, Manlio Sarra che ha dipinto in centinaia di opere le feste paesane, i costumi e i paesaggi del sud del Lazio ed ha fatto conoscere l’arte italiana del Novecento in Francia, in Germania, negli Stati Uniti e in Canadà. Altre due retrospettive meritano di essere citate: quelle di Ettore Gualdini, affascinante pittore di Frosinone, con una mostra dedicata alla sua seconda casa, quella delle vacanze in Croazia e di Antonio Menenti di Anagni, conosciuto e stimato per le sue opere di avanguardia. Poi, da gennaio a dicembre 2014, le personali, prima tra tutte quella di Patrizia Molinari, con anni di insegnamento all’Accademia di Belle Arti di Frosinone, seguita da Palumbo, Ludovici, Spaziani, Palma, Carminucci, De Gasperis, Manciati, Del Brocco, Calabrese, Ricci, Nati, Viparelli, Buongarzoni, Vitali, Fanfarillo, Baranska, Di Rollo, Ciccalé, D’Amico e Carlini. E ancora: Turriziani Colonna, la fotografa Polselli e per chiudere il 2014, tre donne: Pollidori, Savoy e Leonardi: 30 artisti di vari stili e tendenze, conosciuti in tutta Italia oppure noti solo qui da noi, con grandi esperienze oppure alle prime mostre importanti, che si presentano per la prima volta al grande pubblico del capoluogo ciociaro. Accanto alle personali, avvenimento centrale è la Biennale di Arte Visiva Contemporanea che presenterà un massimo di 200 artisti scelti da 600 partecipanti, dividendoli in cinque sezioni: pittura, scultura, installazioni, video-arte e fotografia, con premi per ogni categoria. Una sezione speciale sarà riservata ai giovani con meno di 21 anni, in particolare agli alunni dei licei artistici e delle Accademie di Belle Arti. Alla Biennale è riservato il mese di aprile 2014. Il calendario della rassegna alla Villa Comunale è stata presentata nella Sala Consiliare del Comune di Frosinone dal Commissario Straordinario della Provincia Giuseppe Patrizi che ha ricordato come la cultura, con i migliori talenti locali ed internazionali, restituisce alla Ciociaria quel ruolo di terra d’arte che merita. Con la cultura – ha detto Patrizi – “si promuove il territorio e si eleva lo spirito”. A sua volta l’Assessore alla Cultura del Comune, Gianpiero Fabrizi ha ricordato i successi della scorsa edizione, con i quasi diecimila visitatori della Rassegna di arte visiva del 2013 e le grandi mostre di Francis Cox e di Colacicchi affiancati quest’anno da Biondi, nato a Morolo, autore del monumento di Piazza della Libertà dedicato a Ricciotti e ai martiri della Ciociaria. E da Sarra di Monte San Giovanni Campano, Gualdini e Menenti, che costituiscono le colonne portanti dell’arte in Ciociaria. Notevole poi l’intervento del direttore della rivista Flash Magazine, Nicandro D’Angelo, che ha esortato la stampa ad occuparsi di più e meglio delle iniziative quali la rassegna d’arte visiva alla Villa Comunale che, come ha scritto il sindaco Ottaviani, rappresenta uno degli appuntamenti più qualificanti del corposo programma culturale frusinate. Secondo il Dr. D’Angelo, “la cultura è la migliore soluzione per la crescita del territorio, per porre un argine alla crisi, per la promozione del turismo, per stimolare l’interesse dei giovani e dare anche occupazione”. 25 anni d’informazione Cultura e Società di Grey Est L’arte come veicolo d’integrazione L’arte non ha confini: è patrimonio culturale e integrazione sociale Secondo wikipedia: “L’arte, nel suo significato più ampio, comprende ogni attività umana – svolta singolarmente o collettivamente – che porta a forme creative di espressione estetica, poggiando su accorgimenti tecnici, abilità innate e norme comportamentali derivanti dallo studio e dall’esperienza. Nella sua accezione odierna, l’arte è strettamente connessa alla capacità di trasmettere emozioni e “messaggi“ soggettivi. Tuttavia non esiste un unico linguaggio artistico e neppure un unico codice inequivocabile di interpretazione”. Q uesto concetto rispecchia globalmente il ruolo dell’arte, non solo per l’individuo ma anche nel contesto della società; quale originale esperienza tecnica e umana. L’arte è il veicolo per antonomasia: per conoscere l’altro; il suo vissuto; le sue angosce; la sua voglia di evadere e di sognare; le sue impotenze; le sue paure. Ne sono un esempio i Campi di grano con corvi (1890) di Vincent Van Gogh oppure, il non meno famoso, L’Urlo di Eduard Munch (1893), tanto per citare classici dell’arte mondiale. L’artista, per creare, non può prescindere dall’ambiente dov’è inmerso, in quanto è lo specchio della propria epoca. Cosi l’artista diventa il ponte che unisce il reale con l’irreale, la realtà con il fatto onirico, i quali sono insiti nell’uomo e nell’artista, intesi come coltivatori dell’orto comune dei sensi dell’uomo. In un momento di profonda crisi economica e sociale, non è possibile trascurare il fattore arte, perchè è ciò che nobilita l’uomo (oltre che il lavoro); ciò che lo fa sognare; ciò che fa elevare il suo pensiero all’Olimpo della lucidità dei sogni, dando ristoro alla sua anima per poi tornare più forte alla realtà quotidiana. Quante volte è accaduto che gu- 25 anni d’informazione ardando un’opera sentivate affiorare nel vostro volto un lieve sorriso; o sentire una morbida carezza nel cuore; o sentire ancora, che quell’oggetto e quella immagine in voi evocavano qualcosa di familiare e di straordinario. Così dopo tutte queste riflessioni non si può non ritenere l’arte il mezzo più efficace d’integrazione, di riunione, l’anello di congiunzione tra pensieri, usi e costumi diversi per poter conoscere e riconoscere nell’altro qualcosa di proprio. Cos’è l’integrazione? Nelle scienze sociali, il termine integrazione indica l’insieme di processi sociali e culturali che rendono l’individuo membro di una società. Andiamo alla etimologia della parola: integrare; cioè aggiungere. Immaginare di aggiungere qualcosa a un’altra già creata potrebbe far sembrare che l’ultima aggiunta è un qualcosa in più di cui si può fare a meno; ma se l’oggetto aggiunto viene considerato come un qualcosa che può portare idee, esperienza, usi, costumi, colore, sapore e situazioni nuove, non può che essere un ingrediente che arrichisce e non che impoverisce. La parola integrazione credo che non dovrebbe esistere perchè siamo tutti stati “immigrati”: è nel DNA e nella storia dei popoli. L’immigrazione è il motore della metamorfosi dei popoli antropologicamente parlando, in quanto l’interazione fa crescere. Quindi, credo che l’arte, da qualunque fonte provenga, porti con sè il suo retaggio umano e cromatico di tipo universale e come tale unisce e ricongiunge l’uomo con l’uomo. Sono sempre più convinta che la pittura svolga un processo di intergrazione sociale ponendo importanti questioni di responsabilità, di legittimità e di cittadinanza. Per questi motivi, l’arte, nella sua più alta espressione, abbatte barriere, esclude gruppi di emarginati, allontana le disuguaglianze. Il rapporto che si instaura tra l’arte pittorica e i processi di integrazione diventano indispensabili per l’inclusione culturale che esercita su altre dimensioni – economica, sociale e politica – dell’esclusione. Nel momento in cui l’artista si trova di fronte alla tela, non pone incertezze e tentennamenti, in quanto allarga i propri orizzonti assumendo il ruolo di dimensione multimediale che riguarda il legame tra cultura e società. 55 L’arte allo specchio di Nicola Casato La mostra di ELENA SEVI sangue vivo Tenutasi dal 10 al 19 novembre dello scorso anno, a cura di Loredana Rea, nella Villa Comunale di Frosinone, nell’ambito della 3° edizione dell’Arte Visiva Contemporanea, promotore il prof. Alfio Borghese. Dal titolo emblematico di “Sangue vivo” a segnare la fragilità dell’esistenza. Ogni volta in cui la voce del corpo entra in estasi/ la femminilità della saggezza fiorisce/ e di rose riveste le sue parti/ che restano sognanti nella loro ritrosìa”. Wafaa Lamrani “ I l lavoro artistico di Elena Sevi lo si è potutto ammirare presso lo splendido scenario della Villa Comunale nel capoluogo e nelle sue spaziose sale espositive illuminate a giorno per l’occasione. Diplomata in scultura presso l’Accademia di Belle Arti di Frosinone, città dove vive e lavora, fin dal 1976 si dedica ad attività di pura ricerca facendo della scultura lo strumento privilegiato della conoscenza e della riscoperta delle proprie radici, attraverso l’utilizzo della iconografìa classica e di materiali tradizionali: piombo, ferro, pietra, legno, terracotta sia pure declinati con una continua attenzione verso la contemporaneità. E contemporanea è sicuramente questa mostra/ evento che ha coinvolto pubblico e critica. “Sangue vivo”, il titolo dell’allestimento, e come dice l’artista “a segnare la fragilità dell’esistenza”. Sculture ma anche interventi pittorici a creare un universo artistico di interrelazioni segniche e concettuali tra le varie discipline, con risultati di intensa espressività, dove alla bellezza struggente dei visi femminili si contrappone una assenza del corpo, dello sguardo in una compostezza solenne…ieratica. Una ricerca intellet- 56 tuale contemporanea ed umana che concettualmente presenta al nostro sguardo un mondo femminile fatto di ansie, di timori e soprattutto di violenze subìte. Violenze che nascono a volte da una tradizione crudele, mortificante, che ha come oggetto il corpo e la mente della donna. La Sevi pone all’attenzione problemi ancora vivi come per esempio la crudele pratica dell’infibulazione, che è una mutilazione corporea diffusa in Africa Orientale e Nord/Orientale. Essa consiste nell’asportazione del clitoride e della faccia interna delle grandi labbra, successivamente ravvicinate e cucite che solo al momento del matrimonio vengono riaperte. E poi il Femminicidio, “l’orrendo gesto” di annientamento della donna, che riempie anche le cronache nazionali, dettato a volte da futili motivi, a volte da “presunte immolazioni” per l’amore tradito, molto spesso come violenza e sopraffazione gratuita e belluina. Realtà di una cultura maschilista ancora imperante a cui Elena Sevi contrappone sculture nella forma di scudi, di corazze, di maschere e visi armoniosi ma senza pupille…vuoti a testimoniare una assenza/presenza. Come nella sua 25 anni d’informazione Lo specchio dell’arte bellissima Atena, dea della sapienza, dove compare una scritta “Help me!” (Aiutami!), che testimonia la precarietà dell’arte, ma soprattutto dell’essere che preferisce a volte solo “guardare” piuttosto che “vedere” in profondità. Allo sguardo un discorso chiaro, immediato, dove, come dicevamo, la precarietà dell’arte e dell’essere sono evidenti e dove la violenza psichica, mentale e fisica espressione di un potere mai sazio “di sangue vivo” diventa il filo conduttore, ed il colore rosso, simbolo di violenza in questo caso, la traccia evidente e corrosiva. Ed è interessante leggere un breve passo in catalogo della dotta e attenta prof. Loredana Rea, curatrice della mostra: “Una bellezza struggente come filo sottile lega le une alle altre le opere recenti di Elena Sevi, a raccontare l’impossibilità di uno stato di grazia, che si fa precarietà tangibile, sebbene celata dietro ogni ieratico volto di donna, dietro ogni corazza lacerata in battaglia, dietro gli scudi maestosi e austeri. Trapela improvvisa dai frammenti di un’antichità contemporanea, sapientemente costruiti per resistere alle ossessioni del presente e suggerire una dimensione introspettiva, che oscilla tra pienezza e assenza”. Ma non solo “pensiero profondo” nel lavoro artistico di Elena Sevi, anche maestrìa tecnica. Partendo dagli schemi classici della scultura, l’artista dà un’impronta sua personale molto evidente sia nel segno, profondo e forte, che nelle forme plastiche, del tutto originali,dove originali è termine limitativo se non si tenesse conto di quasi quarant’anni di impegno tecnico, intellettuale e concettuale, tesi a creare un universo artistico dalle forti tensioni umane e culturali. Usa tutti i materiali (a dimostrazione di padronanza e amore per la materia) che la scultura ha proposto nel tempo: piombo, bronzo, ferro, pietra, terracotta ed usa diverse tecniche misurandosi anche con la scultura RAKU, un particolare procedimento che affonda le radici nell’Arte Orientale Giapponese e che nel suo caso paricolare manifesta colori cangianti… nel tempo. Corazze e scudi, visi, copricapi fantasiosi, sculture astratte sono tutti originali elementi del suo vivere… artistico. 25 anni d’informazione Nota bio/artistica Nata a Tecchiena di Alatri nel 1953, vive e lavora a Frosinone. Nel 1993 partecipa alla 1° Biennale DonnArte, allestita presso l’Amministrazione provinciale di Frosinone ed il palazzoExcalibur di Manchester. Tre anni dopo viene invitata alla XII Quadriennale di Roma, con la realizzazione di una grande installazione in legno, pietre e piombo emblematicamente intitolata “Cercle de Bois”. Nel 1997 è al 49° premio Michetti e subito dopo al XXXIII premio Vasto, ove torna nel 2010, mentre tre anni prima, nel 2007 aveva partecipato alla 52° Biennale di Venezia con Camera312. Nel 2001 aveva effettuato due mostre personali (videoinstallazioni) presso lo Studio Arte Fuori Centro di Roma, “Il tempo dell’anima”, ed all’Angelus Novus di L’Aquila, con “Sculture in divenire”. Ancora nel 2010 viene invitata alla Biennale dell’Incisione Italiana Contemporanea di Campobasso, dove torna nel 2012; mentre l’anno prima, nel 2011 è a Torino con Grafica Oggi. Viaggio nell’Italia dell’incisione. Nel mese di giugno dello stesso anno è a Riga, nell’Estonia, nella sede dell’Unione d’Europa, a Sofia e a Chisinau, con la mostra itinerante nelle più importanti capitali dell’Europa dell’Est, dal titolo The Wall. E’ anche a San Pietroburgo con un’esposizione personale composta di una ventina di sculture al Museo Manege e nello stesso periodo è presente alla 54° Biennale di Venezia con Padiglione Tibet. Da ultimo nel 2013 ottiene consensi significativi presso lo SculpturArt di Matera con la mostra Strong Women. “Nelle sue opere Elena Sevi porta avanti con fermezza e coerenza il suo discorso femminista (…) Così i suoi busti fasciati nascono bianchi e puri come la neve per trasformarsi in simboli di una violenza stupida e cieca…” (Alfio Borghese) “…Nulla concede alla sensualità, perché l’assolutezza formale rappresenta l’unico mezzo per sfidare lo scorrere inarrestabile del tempo, per inchiodarlo a una fissità che trascende la caducità della condizione umana e rivela quanto si nasconde nella mutevolezza delle cose, seguendo il desiderio di superare il disorientamento tra ciò che appare e cio che è…” (Loredana Rea) “…Con l’opera di Elena Sevi ci si affaccia sul mistero del mondo e dell’essere, che ci propongono una nuova relazione, la quale rinvia alla creazione, ad un “originario” che non è mai totalmente accessibile. Questa è la Koinè del contemporaneo. Diverse altre discipline espressive non se ne sono accorte, e l’arte ha assunto su di sé il compito di illuminare il cosmo: di proporsi come una ricerca di un fondamento che rileggittimi l’immagine; di diventare, in una parola, un’altra metafisica.” (Floriano De Santi) 57 L’arte allo specchio di Lucia Mancini Un’artista esteta che emoziona Mariangela Calabrese Donna, insegnante, pittrice “M i è sempre piaciuto spaziare con forme e tecniche artistiche differenti, nelle dimensioni più varie, nella ricerca dei colori, tra gli artisti del Novecento e contemporanei, prendendo come punto di riferimento l’ Espressionismo”. Così si presenta Mariangela Calabrese, artista e pittrice che vive e crea le sue tele ad Alatri, con fascino, affabilità, cultura non di- Tu menti Ma quale domanda 58 sgiunte da emotività, “verve” e una prorompente volontà di confrontarsi con ogni forma d’arte. Donna, madre e artista, ben consapevole delle difficoltà in più che un mondo di mentalità ancora maschilista crea alle donna – tanto più artista - ogni volta che prova a cimentarsi con i campi più elevati dell’arte ed è costretta a scontrarsi nel quotidiano con organizzazione di mostre, rapporti con il pubblico, difficoltà interpretative del pubblico. Non a caso ha esposto per l’ “Arte contro il femminicidio” ed è socia dell’ “Associazione Zerotremilacento Arte pubblica e relazionale” di Frosinone. Eppure il pubblico lei lo coinvolge attivamente nei suoi lavori. Ad esempio il “Primo Libro d’artista “Come Palomar” omaggio ad Italo Calvino, nato dalla sua partecipazione al convegno letterario: Una musa che non incanta? “ nel 2012 presso l’Abbazia Cistercense di Casamari in Veroli (Fr), è il suo primo lavoro di “arte relazionale che crea una relazione diretta tra l’artista e altre persone del pubblico che contribuiscono attivamente a completare l’opera”, come lo definisce lei. Si tratta di 30 pagine di pitture su cui sono state scritte delle frasi e degli aforismo tratti dalle opere di Italo Calvino, che sono state distribuite al pubblico durante il convegno perché tutti potessero continuare a scrivere le proprie riflessioni a partire da quella frase. Ne è nato un unico racconto, ancora inedito, e un vero e proprio Diario i cui fogli sono diventati vere e proprie pagine di un unico libro. Ma procediamo con ordine. La fase iniziale della pittrice, in- torno agli anni 1980, è stata caratterizzata soprattutto dalla pittura figurativa, fortemente autobiografica, in cui prediligeva l’olio su tela e i cui soggetti spaziavano dalle figure umane preferibilmente femminili ai miti classici, in particolare il “Mito di Leda”. Successivamente è subentrata una fase di sperimentazione di tecniche e di dimensioni delle tele assolutamente diversificate tra di loro, anche se, ci confessa, “ho sempre preferito l’acrilico su tela”. Ma la fase successiva è quella di mezzo, in cui riconosce di aver mediato lo stile figurativo iniziale con le attuali installazioni: è la fase dell’ “Astrattismo”, che risale agli anni Duemila. E’ questa una modalità di pittura più di getto e immediata, che le ha permesso di esprimere in modo istintivo e d’impeto quella carica di tensione che si trova evidentemente nella sua anima, soprattutto attraverso l’uso del cromatismo “senza limiti”, in cui il colore diventa emozione e viceversa. “L’estetica come ricerca è fondamentale per me, perché l’accostamento dei colori deve esprimere lo stato d’animo, ma comunque sempre senza prevaricare nella tela e senza disturbare la visione d’insieme del quadro”, dice con impegno e concentrazione, mal celando tuttavia il sorriso e la mansuetudine dei 25 anni d’informazione Lo specchio dell’arte suoi occhi lampeggianti di chissà quali profonde emozioni! Colpisce a tal proposito il dipinto intitolato “Tu menti”, quasi un turbinio di emozioni che partendo da un’oscurità laterale bluastra – forse il dubbio di un’iniziale promessa apparentemente vera – procede verso il centro lasciando spazio ad un vortice di “saturazione del rosso”, con il giallo velato da linee bianche– forse nella scoperta della menzogna, che continua ad essere velata da una nebulosa di dubbi che volano via verso l’alto in una mancata risoluzione e in un infinito sconcertante di freddezza e di gelo. Anche “Ma quale domanda” ripropone le stesse tonalità cromatiche, ma al rovescio: dal giallo, l’affermazione e la domanda, al rosso sempre più intenso, del cupo pensare di una risposta impossibile, si procede invece verso il bluastro, il dubbio oscuro o forse la certezza del male, dell’inarrivabile, dell’insolubile. Non a caso questi lavori sono nati per il tema del femminicidio. Il caos è dunque il tema dominante dell’astrattismo della Calabrese, sebbene talvolta compaia la figura umana come simbolo estetico che “lo spettatore deve ricercare e scoprire nelle sue opere, diventandone critico e interprete fondamentale ed entrando a fare parte, in qualche modo, del dipinto stesso”, ci dice, Installazione affascinata dalla cooperazione tra artista e interprete che caratterizza le tendenze artistiche più moderne e tipiche della mentalità dei contemporanei. E’ qui più evidente la lezione dei suoi maestri “ideali”: De Kooning, Warol, Hartung, Pollock, Kandinskij nella sua passione e predilezione per i simbolisti. Oggi però ci parla di una nuova fase: quella delle “Installazioni”. In particolare l’”Atmosfera essenziale” è stata realizzata nel 2009 ed esposta sui Piloni a Frosinone e poi trasferita nel 2013 nella città di Veroli. rappresenta un “Diario interiore” di grande formato, corredato da testi e figure che rappresentano la ricerca introspettiva dell’autrice, dove il segno grafico è abbinato a quello cromatico. Attualmente sta preparando una serie di installazioni che prendono spunto da alcuni passi della “Divina Commedia” di Dante Alighieri per poi realizzare vari grandi tele da esporre pubblicamente a Roma. Attualmente è impegnata nel progetto “Mail Art” che coinvolge gallerie d’arte, associazioni ed enti pubblici internazionali tra cui Galerie LE LAB 3 Marseille (Francia), Igakusei (Spagna), Atelier 5Blanks Schondorf (Germania), Centro Goodtoday Lima (Perú), Centro Culturale Casa Mateo Ricci Ayacucho (Perú), GalerieatelierKarl von Monschau (Germania), Bakırköy Parco Botanico Istambul (Turchia), ed altre. Inoltre avremo modo di contemplare le sue opere tra il 20 e il 28 febbraio nella mostra intitolata “Aforismi” presso la Villa Comunale di Frosinone. he non incanta? L’ATTIVITA’ ARTISTICA DI MARIANGELA CALABRESE 1980-1989: mostre personali a Frosinone e provincia 1990: International Art Competition New York 1992-2010 Rassegna Arte Ciociara Fino al 2000: Mostre collettive (tra cui Fiat Avio Colleferro, (Roma), e personali nel Lazio. 2002-2010: Mostre a Napoli e a Roma, tra cui nel 2007 la collettiva de “I cento pittori di via Margutta” di Roma. 2011 personale Esposition “Polyglotte” à l’Espace St Jaques, Clisson, Francia 2012 performance presso Abbazia Cistercense di Casamari in Veroli (Fr) con la realizzazione del 1°Libro d’artista “Come Palomar” omaggio ad Italo Calvino, nell’ambito del convegno letterario: Una musa che non incanta? 2013 realizzazione del 5° libro d’artista nell’ambito del workshop Colouritatina, Atina (FR); Arte contro il femminincidio, Villa Comunale, Frosinone; collettiva Via Paleario tra stelle e colori Veroli (FR); estate frusinate esposizioni in via Amendola; Arte in Corso Frosinone; Arte contro il femminincidio, presso L. Martino Filetico, Ferentino (FR); Arte contro il femminicidio, p.zza S. Restituta, Sora (FR). Negli anni Ottanta inoltre ha realizzato la copertina del volume “Handicap e disadattamento” per il Provveditorato agli Studi di Latina e illustrato la guida “Due itinerari turistici di flora e fauna” per il Comune di Priverno (LT). Negli anni Ottanta a Fumone (FR) ha dipinto l’affresco Madonna Degli Aringhi, il Portale e il Tabernacolo della Chiesa Santa Maria delle Grazie, in Alatri (FR) la Crocifissione per la Chiesa in località Porpuro. E’ stata impegnata in opere di restauro per la Chiesa Madre S. Maria delle Grazie in Santomenna. 25 anni d’informazione 59 quarta ed ultima parte L’Ariel Service di Scappaticci Tommaso e C. Sas Gruppo Rinascita 5 Copyright Promograph Comm Sas - 0775212261 Sono specializzate in Ingegneria naturalistica, manutenzione verde pubblico e privato. Parchi, staccionate ecc. ARIEL SERVICE sas Via Petraia, 8 03030 Santopadre Frosinone (FR) Tel/fax 0775 288791 cell. 333.9883179 GRUPPO RINASCITA Srl Piazzale De Mattheis, 27 03100 Frosinone cell. 333.9883179 S.r.l. Storia, Filosofia e Fede: Religioni a confronto di Monica Ciotoli PROTESTANTESIMO: L’Alleanza Messianica Italiana e la Chiesa Evangelica Messianica di Civitanova Marche Alta promuove studi che documentano le radici ebraiche della fede cristiana. Promuove nella chiesa l’insegnamento della cultura ebraica come aiuto per lo studio della Bibbia, per capire e vivere meglio la fede nel nostro Signore Yeshua haMashiah attraverso una migliore comprensione di come gli apostoli e i discepoli,…che per primi lo hanno seguito, pensavano e vivevano, in modo che si possa, a nostra volta, essere dei migliori testimoni della gloria del Suo Evangelo. Dà impulso e sostiene una restaurazione del culto del tempo degli Atti degli Apostoli, con un grande interesse alle radici ebraiche del cristianesimo e con l’uso del nome ebraico di Gesù, Yeshua. Intervista/conversazione con Argentino Quintavalle responsabile del gruppo della Chiesa (autore di numerosi libri e pubblicazioni in materia, tra i quali “ELEMENTI ESSENZIALI DELLA FEDE GIUDEO-CRISTIANA”; “INTRODUZIONE ALLA TORAH ”; “YESHUA HAMASHIAH – IL MESSIA GESÙ NELLA CULTURA DEL SUO TEMPO”/ Edizioni Centro Biblico – Lago Patria. Direttore di Shalom Journal), il quale ci spiega “principi, fondamenti ed insegnamenti” della Chiesa Evangelica Messianica : “ …Perché i cristiani dovrebbero conoscere l’ebraismo? I contorni ebraici del cristianesimo del primo secolo vengono da Voi ricercati e gradatamente restaurati nel sistema di valori della Chiesa. Perché…?” L a Bibbia insegna che ebrei e cristiani sono il seme di Abrahamo. Abrahamo fu il primo ebreo e l’apostolo Paolo nella sua lettera ai Galati non lascia dubbi sul fatto che anche i credenti gentili sono la sua progenie spirituale. «E se siete di Cristo, siete dunque progenie d’Abramo; eredi, secondo la promessa» (Gal.3:29). In considerazione di ciò, noi come cristiani siamo considerati sia figli di Dio per grazia che figli di Abrahamo per mezzo della fede. Per questo motivo il sistema religioso del cristianesimo è stato storicamente e giustamente definito come «fede giudeocristiana». La “fede” che uno ha è un riferimento a quegli insegnamenti in cui si ripone fiducia come verità. Prima che i cristiani possano giungere a un consenso su ciò che è la verità, ci deve essere un ritorno ai fondamenti della nostra fede radicata nell’Antico Testamento – il giudaismo biblico. Non bisogna stare in apprensione di fronte al termine “giudeo“ o “giudaismo/ebraismo“. Il giudaismo è il nome che gli uomini hanno dato alle fasi di formazione della fede biblica (Antico Testamento). Il cristianesimo è il nome che gli uomini hanno dato alla fase di completamento della fede biblica (Nuovo Testamento). Da questa idea proviene il riferimento storico di fede “giudeocristiana“. È stato opportunamente detto che il giudaismo non 25 anni d’informazione ha bisogno del cristianesimo per spiegare la sua esistenza, ma il cristianesimo ha bisogno del giudaismo per spiegare la sua esistenza e ciò in cui crede. Tale conclusione è stata senza dubbio tratta dalle parole di ammonizione che Paolo ha fatto alla Chiesa: «non t’insuperbire contro ai rami; ma, se t’insuperbisci, sappi che non sei tu che porti la radice, ma la radice che porta te» (Rom.11:18). I cristiani si sono sempre vantati della loro superiorità spirituale sugli ebrei. Tale vanto è sfociato nella propensione a dissociarsi da loro e, di conseguenza, ad allontanarsi dal ricco patrimonio biblico che Dio ha dato attraverso gli ebrei. Il nostro pensiero è stato troppo spesso: “Se è ebreo, è rischioso, inquinato, o peggio maledetto”. La verità è che tutto ciò che il credente cristiano ha di caro, sia in parola che in spirito, è inerentemente ebraico. Perché? Perché noi siamo la progenie di Abrahamo che fu il primo ebreo, e tutte le nostre benedizioni di verità vengono da lui e dalla sua progenie. Per mezzo dei giudei le benedizioni spirituali di Dio sono disponibili per tutta l’umanità: «…e in te saranno benedette tutte le famiglie della terra» (Gen.12:3). Consideriamo questa dichiarazione del Signore: «…la salvazione vien dai Giudei» (Giov.4:22). Abbiamo idea di cosa voleva dire Gesù che la salvezza viene dai giudei? Molti preferiscono lasciare il significato in sospeso, avvolto nel mistero. Capire questa breve frase potrebbe rivoluzionare lo studio della Bibbia, il rapporto con il popolo ebraico, la visione dei propositi di Dio e il proprio destino eterno. La salvezza è molto di più della redenzione, significa riconciliazione completa (Col.1:20). Giudaismo e cristianesimo hanno un’origine comune essendo stati creati dallo stesso Dio. La questione che dovrebbe quindi sorgere è: come possono due religioni create dallo stesso Dio, non avere molte cose, anzi la maggior parte delle cose, in comune? E se no, perché no? Dobbiamo prepararci ad occuparci seriamente di molti passi della Scrittura lungamente trascurati. Per esempio, come spieghiamo il seguente passo del Nuovo Testamento? «Qual è dunque il vantaggio del Giudeo? O qual è l’utilità della circoncisione? Grande per ogni maniera…» (Rom.3:1,2). Cosa voleva dire Paolo? Il resto del verso ci aiuta a capire: «…prima di tutto, perché a loro furono affidati gli oracoli di Dio» (Rom.3:2). Il minimo che deve essere loro riconosciuto è che dagli ebrei abbiamo ricevuto i due più preziosi doni di Dio: la Bibbia e il nostro Messia, Gesù. continua 61 Calcio Dodici cartellini rossi, oltre cinquanta quelli gialli: alla fine del campionato al Frosinone potrebbero mancare i punti banalmente sciupati in alcune partite TROPPE ESPULSIONI? CAPITAN FRARA: “NON TUTTE LE ABBIAMO MERITATE” Prima vittoria a tavolino (3-0) dopo la cancellazione della Nocerina dal torneo. Il Perugia, vincendo a Lecce, comanda la classifica con due punti di vantaggio sui canarini. di Franco Turriziani fotoservizio di Federico e Tonino Casinelli T utti i nodi vengono al pettine, compreso quello relativo al derby del dieci novembre che la Nocerina ha giocato allo stadio Arechi di Salerno. I fatti sono ormai noti ma vogliamo molto sinteticamente ricordarli. Ai tifosi ospiti viene vietato l’ingresso allo stadio per motivi di ordine pubblico ed allora gli stessi tifosi fanno pressione sui giocatori della Nocerina con pesanti minacce perché non scendano in campo. 62 Un gruppo di ultras, qualche ora prima dell’inizio della gara, raggiunge l’albergo che ospita la squadra e reitera la richiesta di non giocare. Alle 14,30, la Nocerina è in campo ma, dopo pochi minuti, l’arbitro è costretto a fischiare la fine della partita perché la formazione ospite rimane in campo con sette uomini. I provvedimenti della Commissione Disciplinare sono del 29 gennaio e parlano di illecito commesso proprio dalla Nocerina per “comportamento fraudolento” ai fini della interruzione del derby. Cancellazione dal campionato è la sanzione più grave, raffica di squalifiche per dirigenti, tecnici e diversi giocatori, conferma dei risultati acquisiti sul campo fino alla quarta giornata del girone di ritorno ma perdita dei rimanenti dodici incontri da giocare. Domenica 2 febbraio, la Nocerina avrebbe dovuto giocare al Comunale e di qui la vittoria dei canarini a tavolino con il risultato di tre a zero. Grazie al successo il Frosinone in classifica raggiunge quota 42 ma il Perugia, con i tre punti conquistati a Lecce con il risultato pirotecnico di 4 a 3, torna al primo posto e distanzia di due lunghezze i canarini. Al terzo posto troviamo l’Aquila con 35 punti, quindi il Lecce a 34, il Pisa ed il Catanzaro a quota 32, il Benevento a 31, il Pontedera a 28 e la Salernitana a 27. Se il campionato fosse terminato domenica 2 febbraio, Il Perugia sarebbe stato promosso in serie B, mentre le altre squadre avrebbero dovuto disputare i play 25 anni d’informazione off per il secondo posto disponibile per salire nella serie cadetta. Ma alla fine mancano ancora undici giornate e solo il 4 maggio si saprà chi avrà conquistato la promozione diretta e chi, invece, dovrà disputare i play off. Sta di fatto che, attualmente, sette sono i punti che dividono il Frosinone secondo in classifica dalla diretta inseguitrice L’Aquila. Il Lecce è a otto punti, dieci dalla capolista Perugia. Tutto questo nonostante la raffica di cartellini rossi e gialli che non hanno permesso alla formazione di Roberto Stellone di giocare sempre a ranghi completi ed in alcuni casi addirittura di finire gli incontri anche in doppia inferiorità numerica. La serie delle espulsioni (la maggior parte per doppia ammonizione) inizia con la prima gara di campionato con l’Ascoli in casa: i canarini vincono ma debbono giocare in dieci per la espulsione di Crivello gli ultimi sei minuti e recupero. Secondo turno a Pisa, uno a uno con espulsione di Soddimo all’8 della ripresa; settima di campionato a Viareggio (0-0) dove Festeggiano Paganini 25 anni d’informazione Goucher espulso nella gara contro il Perugia debbono lasciare il campo Frabotta al 10 della ripresa, Formato (dalla panchina) al 36 della ripresa e Blanchard al 90’; a Prato (11 turno) canarini impattano tre a tre ma finiscono in nove per i rossi a Russo (32’ della ripresa ) e Paganini (42’ della ripresa). Nella dodicesima giornata il Frosinone ospita il Gubbio, vince due a zero ma deve fare a meno per un tempo di Frabotta e per 37 minuti più recupero, di Frara. Sempre in casa, nella gara contro il Perugia (1-1) viene espulso Gucher al 34 del primo tempo. Nel girone di ritorno, infine, ad Ascoli rosso per Gessa ad inizio ripresa, a Barletta espulso Crivello al 14’ del secondo tempo; vittoria nella prima partita ma sconfitta molto ma molto dura da digerire nella seconda. Ovviamente non parliamo dei cartellini gialli che sono oltre cinquanta e che, se “collezionati” dai singoli giocatori in numero stabilito dalle norme, portano alla diffida e, quindi, alla squalifica. Del problema, comunque, parliamo con il capitano dei canarini che, a dire la verità, in tutta la sua carriera di calciatore è incorso nel fatidico cartellino rosso soltanto una volta prima della esperienza del campionato in corso, nella partita contro il Gubbio. La domanda è scontata: perché tante espulsioni e perché non si riesce ad evitare la seconda infrazione di gioco dopo aver subìto il primo cartellino? Alessandro Frara risponde prontamente: “Nel mio caso mi assumo ogni responsabilità anche se si è trattato della seconda espulsione subìta in oltre trecento partite giocate in carriera. Avete ragione, i cartellini gialli e rossi sono molti, ma al Frosinone gli arbitri non risparmiano niente. Voglio dire, cioè, che parecchi non erano meritati e che, in tutte le partite, sono più numerose le irregolarità che subiamo di quelle che commettiamo. Eppure, alla fine, siamo noi a lasciare il campo o a portarci negli spogliatoi il peso di un “giallo”. Non voglio con questo nascondermi con i compagni di squadra dietro un alibi. E’ anche chiaro che dovremo fare più attenzione, essere più tranquilli e valutare attentamente ogni situazione di gioco tenendo presente che, molto spesso, sono gli episodi a decidere le sorti di una partita”. Parole sagge ma i canarini riusciranno a farne tesoro nella partite che dovranno ancora giocare? 63 Volley di Simone Sergio IHF VOLLEY FROSINONE PRIME VITTORIE, MA TANTISIMA STRADA ANCORA DA FARE D opo aver finalmente centrato la prima storica affermazione nella massima serie, con un netto 3-0 ai danni di Casalmaggiore, nel mezzo delle sconfitte rimediate in casa contro le campionesse d’Italia di Piacenza e in trasferta sui campi di Novara e Modena, l’IHF Volley Frosinone affronta Forlì in un autentico scontro salvezza tra le ultime due della classe, con le romagnole ancora ferme a quota zero. Purtroppo sono proprie le bianconere ciociare a far muovere la classifica alle padrone di casa, regalando loro i primi tre punti stagionali con il risultato di 31. I primi due set sono da dimenticare per le ragazze di coach Martinez, che incassano sonoramente il 2514 del primo set e il successivo 25-11. La reazione d’orgoglio c’è nel terzo parziale quando Gioli e compagne rompono l’equilibrio durato fino alle battute finali e con tenacia chiudono sul 26-28, riaprendo di fatto la gara. In realtà ciò non avviene perché le romagnole in tranquillità vanno a chiudere sul 25-18 nel quarto set, portando a casa l’intero risultato. La necessaria reazione arriva il giorno di Santo Stefano, quando nel capoluogo ciociaro arriva l’Unendo Yamamay Busto Arsizio. Angeloni e compagne sfoderano una grandissima prova di carattere e conquistano il secondo successo in questo campionato con un indiscusso 3-0. Le pantere bianconere mettono in campo una prestazione tutto cuore e carattere, imponendo il proprio gioco fin dalle battute iniziali, costringendo le lombarde alla resa in poco più di un’ora, nonostante i parziali possano far pen- 64 sare ad un match decisamente più combattuto (25-20, 25-22, 25-23). Spataro con una prestazione sopra le righe (7 dei 15 muri di squadra portano la sua firma), supportata da capitan Gioli con 16 punti e dalla rientrante Kidder con 12 punti, sono le trascinatrici della squadra che gioca nel complesso la miglior partita della stagione. Dopo questo successo occorre quasi un mese prima di vedere la IHF nuovamente in campo, vista la concomitanza delle festività natalizie e del riposo obbligatorio nel primo turno del nuovo anno. Per rimanere in condizione le ragazze di patron Iacobucci disputano e conquistano al PalaBianchini di Latina la XXI edizione della Coppa Città di Roma - Trofeo Mimmo Fusco, dedicato alla memoria del giornalista Rai scomparso. Nella due giorni pontina, Gioli e compagne hanno la meglio rispettivamente sulle nazionali giovanili italiana Under 19 e su quella NCAA statunitense e portano a casa un importante riconoscimento, con Veronica Angeloni MVP della manifestazione. Si torna finalmente al campionato, con il girone d’andata che si conclude sul campo della Chateau d’Ax Urbino. Successo per 3-0 in favore delle padrone di casa che conquistano i tre punti meritatamente. Dopo un primo set sempre condotto e conquistato dalle marchigiane per 25-21, nel secondo parziale c’è una reazione delle pantere bianconere che provano a riaprire la contesa, ma i vantaggi premiano ancora una volta la formazione di casa 26-24. Il terzo set è di quelli da ricordare perché entrambe le compagini sfoderano una grande prestazione, giocando un parziale molto equilibrato. L’infinita serie di vantaggi, al limite del cardiopalma, premia ancora una volta la formazione di casa che chiude la gara sul 35-33. Due vittorie e ben otto sconfitte sono un bottino troppo magro di questa prima metà di campionato. Lo scotto della matricola neopromossa è stato pagato fin troppo ed è il momento di iniziare a portare a casa i risultati. La classifica, che vede le pantere bianconere al penultimo posto a quota 6 punti, mette le ragazze di coach Martinez di fronte ad una seconda metà di stagione difficilissima, nella quale gli errori dovranno essere ridotti al minimo e ogni domenica dovrà essere vissuta come una finale, per non essere ricordata solo come una meteora. 25 anni d’informazione Volley di Simone Sergio GLOBO BPF SORA CINQUE SUCCESSI CONSECUTIVI E COPPA ITALIA SFORTUNATA I l mercato apre il mese della Globo BPF Sora perché finalmente arriva lo schiacciatore che va a sostituire Guttmann, che ha abbondonato la squadra già da diverse settimane. Il brasiliano Allan Verissimo De Araujo, classe 1990 per 186 cm, proveniente dal club verdeoro Funvic Taubate, esperto dei fondamentali di seconda linea, arriva a dare nuovo equilibrio, essendo tipologicamente giocatore molto diverso dall’ex schiacciatore austriaco. La trasferta sul campo di Matera dà la matematica certezza della partecipazione alla FinalFour di Coppa Italia. Finisce 0-3 per i ragazzi di coach Fenoglio, che centrando il terzo successo consecutivo, chiudono il girone d’andata al quarto posto, ma a soli tre punti dalla capolista Padova. Subito in campo il nuovo acquisto che mette a referto cifre importanti nel proprio fondamentale migliore (81% di positività in ricezione), ma in generale è tutta la squadra a girare nel migliore dei modi, con Tamburo e compagni che si dimostrano superiori in tutte le statistiche. Tranne il secondo giocato alla pari, la prima e la terza frazione di gioco sono un monologo dei sorani, decisamente più motivati a fare propria l’intera posta contro una formazione che la precedeva in classifica. Effettuato il turno di riposo nell’ultima partita del girone d’andata, la Globo riprende la propria marcia in campionato sul campo di Potenza Picena. La seconda metà della stagione inizia per Daldello e soci con un tie-break vincente, che vendica con il medesimo risultato la gara di andata. Il 2-3 che dà il successo ai volsci arriva al termine di una gara sostanzialmente equilibrata, nella quale i padroni di casa partono bene e conquistano il primo set. I ragazzi di patron Giannetti non ci stanno e prima ristabiliscono la parità e poi si portano avanti con il successo nel terzo parziale. I marchigiani meritatamentre riacciuffano la parità nel quarto set, ma nell’ultimo parziale 25 anni d’informazione Sora fa venire fuori la maggiore caratura e porta a casa i due punti. Dopo ben tre settimane dall’ultima partita casalinga, la Globo torna tra le mura amiche contro il fanalino di coda Elettrosud Brolo. L’occasione per la quinta affermazione consecutiva non sfugge di mano ai biancoverdi che non si lasciano impensierire dai siciliani e piazzano un convincente 3-0 ai danni dellla compagine guidata in panchina dal tecnico ciociaro Antonio Cortese, guarda caso!, ex allenatore delle giovanili sorane. Grazie a questo successo, raggiunto il secondo posto in classifica in solitario, a meno quattro dalla vetta. Tutto facile nel primo parziale chiuso sul punteggio di 25-15, mentre nel secondo set gli ospiti mettono in campo grinta e determinazione che li porta a giocarsela alla pari fino alle battute finali, quando Salgado e compagni con il piglio della grande squadra chiudono la contesa 25-22. Nell’ultima frazione di gioco nuova cavalcata che ricalca l’andamento del primo set e partita chiusa sul 25-14. Allan bagna il suo esordio casalingo con una prestazione da 13 punti, di cui 2 ace e 69% in attacco, mentre il best scorer ancora una volta è Tamburo a quota 14, senza poi dimenticare Tomassetti con 11. Il quinto successo consecutivo in campionato permette alla Globo di presentarsi alle finali di Coppa Italia di Monza in un ottimo stato di forma. Prima della due giorni lombarda arrivano diverse novità. Salutano la compagnia il libero Marco Lo Bianco e lo schiacciatore canadese Kyle Williamson, che per motivi differenti, non hanno reso secondo le aspettative. Il nuovo libero è Marco Rizzo, classe 1990 ex Brolo appena affrontato in campionato, miglior interprete del proprio ruolo di tutta la serie A2 con il 52,3% di positività. L’atleta pugliese diventa immediatamente disponibile per la semifinale contro la capolista del campionato Padova, match che nel corso degli anni sta diventando un classico della stagione. La compagine veneta, poi vincitrice del trofeo, replica il 3-0 della gara di campionato e spegne le velleità sorane. Fiore, al rientro dopo l’infortunio, e compagni subiscono una brutta sconfitta che non ammette repliche. Nonostante la prestazione negativa generale ben figura il nuovo acquisto Rizzo, subito in campo con i nuovi compagni di squadra, che fa segnare cifre record con il 95% di positività e il 63% di perfezione, ma purtroppo a poco serve il suo grande lavoro in seconda linea. La sconfitta di Coppa non deve far perdere di vista gli ottimi risultati conquistati finora in campionato, coi cinque successi consecutivi che hanno fatto scalare la classifica e riportato i ciociari in seconda posizione alle spalle della bestia nera Padova. Arriva adesso un mese decisivo per verificare le reali capacità di questa squadra con una serie di scontri diretti, per di più tra le mura amiche, che diranno a quali traguardi si potrà ambire. 65 t e k s a B GZC VEROLI di Simone Sergio SFUMATO IL SOGNO COPPA ITALIA, AVANTI TUTTI IN CAMPIONATO! L a trasferta sul campo della Pallacanestro Trieste porta a un nuovo successo della GZC Veroli per 62-74. Cittadini e compagni costruiscono il proprio vantaggio con grande intelligenza, minuto dopo minuto, facendo crescere il proprio margine in maniera graduale. Veroli è una cooperativa del canestro e le statistiche dicono Samuels 15, Casella 13 e Blizzard 12 punti rispettivamente. Sette giorni dopo, nuovo successo contro l’ultima della classe Aget Imola. L’80-76 finale arriva al termine di una gara in cui i giallorossi sono costretti a sudare le cosiddette sette camicie contro un avversario alla disperata ricerca di punti. La svolta di una gara sempre equilibrata ar- riva all’inizio del secondo quarto, quando Carenza e compagni infilano un iniziale break di 7-0 che si rivelerà decisivo per la vittoria. Lo splendido girone d’andata giallorosso si chiude sul campo della Sigma Barcellona. L’82-95 con il quale i giallorossi ciociari violano il campo siciliano lascia l’amaro in bocca perché la classifica avulsa esclude i ragazzi di patron Zeppieri dalla Final-Six di Coppa Italia. Il secondo posto virtuale a quota 20, frutto di 10 successi e 5 sconfitte, in coabitazione con Biella, Torino e Capo d’Orlando di trasforma in un quinto posto, che causa classifica avulsa, lascia fuori i ciociari dalle finali di Rimini. Tornando alla gara l’affermazione verolana arriva negli ultimi dieci minuti, nei quali Rossi e compagni riescono ad imprimere quell’accelerata definitiva che permette loro di scrollarsi di dosso i siciliani, rimasti costantementa aggrappati a pochi punti di ritardo. Andrea Casella vince la gara da solo mettendo a referto 31 punti, 4 rimbalzi e 2 palle recuperate, 82% nel tiro dalla lunga distanza e 20 punti solo nei primi 17 minuti, a cui si aggiungono le prove dei due rookie americani, Samuels autore di 14 punti e Sanders di 13 punti corredati da 6 assists. Smaltita la FMC FERENTINO di Simone Sergio ZONE BASSE DELLA CLASSIFICA L a stagione della FMC Ferentino sembra voler viaggiare sui binari dell’anonimato. Recuperato l’infortunato Rodney Green, e di conseguenza salutato il sostituto a gettoni Johnson, il cammino gigliato prosegue con la gara casalinga contro Napoli. Nuova sconfitta, con il risultato di 67-88, per Guarino e compagni che non riescono a contenere gli avversari, che dalla loro disputano un’ottima partita e portano a casa un successo netto mai in discussione, già dalle battute iniziali del match, con un importante +21. A poco serve il rientro in campo di Rodney Green, migliore dei suoi con 19 punti. La trasferta sul campo di Casale Monferrato fa segnare la terza sconfitta consecutiva, ma Mosley e compagni hanno molto da recriminare con loro stessi perché dopo aver chiuso la prima metà di gara in vantaggio sul 30-35, nella terza frazione, come da brutta abitudine, un brutto parziale di 23-8 dei padroni di casa ribalta la situazione, dando il via per una nuova battuta d’arresto che arriva sul 74-62. Un successo, 66 seppur in rimonta, arriva sette giorni dopo sui legni del Ponte Grande contro la Tezenis Verona per 83-81. Al contrario delle precedenti gare, la FMC rimette in piedi la situazione che aveva preso una direzione diversa. Dopo essersi trovata in svantaggio per tre quarti di gara, Guarino e compagni giocano gli ultimi dieci dell’incontro in maniera eccezionale, compiono la rimonta e vanno a conquistare il successo con la differenza di un canestro, al termine comunque di un quarto di gioco convulso e sofferto. Grande prova di Ryan Bucci, che risulta il migliore dei suoi con 24 punti, seguito da Green a quota 22, così come è maiuscola la prova di William Mosley con ben 12 rimbalzi. Si chiude il girone d’andata pertanto a quota 12, frutto di 6 vittorie e purtroppo ben 9 sconfitte. Il girone di ritorno inizia sul campo di Torino con l’ennesima sconfitta, questa volta con il punteggio di 84-77. Inizio arrembante quello di Ferentino, che piazza un affondo importante e chiude i primi 10 minuti sull’11-30. Il +19 di margine non delusione per il mancato accesso alle finali di Coppa, nella prima di ritorno contro Biella, Veroli surclassa i piemontesi con un nettissimo 88-64. Le intenzioni giallorosse s’intuiscono fin dai primi minuti, quando un devastante break di 15-0 dà il via ad un’altra prestazione da incorniciare. Il vantaggio cresce con il passare dei minuti fino a diventare il solco del definitivo +24. La striscia consecutiva di successi si ferma a quota cinque a causa della sconfitta rimediata sul campo di Napoli per 69-64. I giallorossi hanno da recriminare con loro stessi per non essere riusciti a centrare il successo perché, dopo aver condotto per tre quarti il match, subiscono la rimonta dei padroni di casa e perdono la gara sul filo della sirena. La trasferta in campana pone fine ad una striscia di vittorie che mantiene comunque questa squadra tra le grandi di questo campionato, al terzo posto in classifica ed in piena corsa per i play-off. I successi arrivano con grandi dimostrazioni di forza e con un atteggiamento mentale di squadra che fa dei ragazzi di Ramondino una delle migliori compagini dell’intera Lega Gold. Uno di quegli avversari che sarebbe sempre meglio evitare! mette al riparo e il graduale recupero dei padroni di casa e il successivo sorpasso si compie nell’ultima frazione di gioco. Gli ultimi minuti di gioco sono intensi e combattuti, con le due squadre a lottare su ogni pallone, ma la lotteria finale del fallo sistematico e i conseguenti tiri liberi premiano la PMS. Il riscatto arriva nel match di sette giorni dopo contro la Sigma Barcellona, vinto con il punteggio di 105-87. Dopo aver chiuso il primo quarto con un ottimo margine (+14), la Fmc subisce il recupero ospite, che grazie ad un parziale di 5-20, si rifanno sotto fino al -6 di metà gara. Al rientro in campo dall’intervallo lungo, i gigliati piazzano una grande terza frazione che ristabilisce le distanze, arrivando poi al successo sul +16 finale. Bucci trascina i suoi con 28 punti, ben supportato da Pierich con 23 e Green con 21. La continuità trovata nel mese precedente viene subito interrotta da una serie di sconfitte (quattro nelle ultime sei gare) che continuano a far veleggiare i ragazzi di coach Gramenzi nelle zone basse della classifica e fuori dalla zona play-off. Siamo solo all’inizio della seconda metà di stagione, ma non si devono più lasciare troppi punti per strada. 25 anni d’informazione Riproduzione disegni – fotocopie – cancelleria www.centrocopiebortone.it FROSINONE Copyright Promograph Comm Sas - 0775212261 n. 30 Via Monti Lepini km.1350 8331 - 260451 tel. +39 0775 290779 - 83 iebortone.it e-mail: lepini@centrocop FROSINONE e Ferroviaria) Via Sacra Famiglia (Stazion tel./fax +39 0775 290253 opiebortone.it e-mail: stazione@centroc FROSINONE Via Marco Minghetti n. 25 tel. +39 0775 251340 mob. +39 3927990890 fax +39 0775 836548 opiebortone.it e-mail: minghetti@centroc
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