PARERE PRO-VERITATE SULLA RICONDUCIBILITÀ DEL C.D. DISASTRO AMBIENTALE ALL’ART. 434 C.P.* di Giovanni Maria Flick I 1. L’art. 434 c.p., con la rubrica “crollo di costruzioni o altri disastri dolosi” nel capo I del titolo VI del libro II del c.p., punisce al comma 1 con la reclusione da 1 a 5 anni “chiunque, fuori dai casi preveduti dagli articoli precedenti [dagli artt. 422-433 di detto capo] commette un fatto diretto a cagionare il crollo di una costruzione o di una parte di essa ovvero un altro disastro, se dal fatto deriva pericolo per la pubblica incolumità”. Al comma 2 è prevista la reclusione da 3 a 12 anni “se il crollo o il disastro avviene”; il verificarsi dell’evento rappresenta una circostanza aggravante1 o una fattispecie autonoma di reato2. L’art. 449 c.p. prevede l’ipotesi colposa per chi “cagiona per colpa un incendio o un altro disastro preveduto dal capo primo di questo titolo”. La previsione dell’“altro disastro” (il c.d. disastro innominato, in contrapposizione alla specificità dei fatti previsti nella prima parte dell’art. 434 c.p. e negli articoli precedenti del medesimo capo) “è destinata a colmare ogni eventuale lacuna … nelle norme concernenti la pubblica incolumità … specie in vista dello sviluppo assunto dalla attività industriale e commerciale”: così la Relazione al progetto definitivo del c.p., nel richiamare la funzione di chiusura svolta dall’art. 434 c.p. rispetto a tale specificità.3 2. La genericità della formula “altro disastro” ha sollevato perplessità sul rispetto del princìpio di determinatezza della norma penale ex art. 25 2 Cost., da parte dell’art. 434 c.p.4: e ciò perché a fronte della genericità dell’espressione “disastro” la norma si limita a una descrizione a carattere negativo (“altro” e quindi diverso dalle altre ipotesi Il presente parere, reso in data 30 ottobre 2014, viene pubblicato con il consenso del richiedente e dell’estensore, che è stato relatore ed estensore della motivazione della sentenza della Corte Costituzionale numero 327 (depositata in data 1 agosto 2008) richiamata nella richiesta di parere. 1 Secondo l’opinione prevalente: cfr. per tutti, BENINI, Art. 434 in Codice penale. Rassegna di giurisprudenza e dottrina, diretta da LATTANZI e LUPO, vol. IV, 2000, p.319. 2 Secondo un’opinione minoritaria: cfr. CORBETTA, Delitti contro l’incolumità pubblica, in Trattato di diritto penale – Parte speciale, diretto da MARINUCCI e DOLCINI, Vol. II, tomo I, 2003, p. 636. 3 In dottrina, per tutti, CORBETTA, Delitti cit., p. 584, e GARGANI, Reati contro l’incolumità pubblica, 2008, p. 451; in giurisprudenza, Cass. 7629/2006. 4 Per tutti, cfr. già MARINUCCI, Crollo di costruzioni, in Enciclopedia del Diritto, vol. XI, 1962, p. 411; CORBETTA, Art. 434 in Codice penale commentato a cura di MARINUCCI e DOLCINI, vol. I, 2006, p. 3243; FIANDACA MUSCO, Diritto penale – Parte speciale, 2007, p. 514; GARGANI, Reati cit., p. 168. * Via Serbelloni, 1 | 20122 MILANO (MI) | Telefono: 0289283000 | Fax: 0292879187 | [email protected] Editore Luca Santa Maria | Direttore Responsabile Francesco Viganò 2010-2014 Diritto Penale Contemporaneo di disastro descritte nel medesimo capo). Non v’è nella norma – a differenza della prima parte di essa (il crollo) e degli articoli precedenti – alcun riferimento alla sfera di attività da cui il disastro deve scaturire, alla tipizzazione della condotta di danneggiamento con cui esso venga provocato, al tipo di disastro, all’ambito di attività in cui quest’ultimo si verifichi, all’intenzione e alle finalità dell’agente. Insomma, si assume che nell’art. 434 c.p. non v’è alcuna indicazione sui connotati della condotta punibile; e che l’evento verso cui è diretta l’attività del reo è identificato con il termine vago di disastro senza ulteriori specificazioni. In una fattispecie a forma libera o causalmente orientata, come quella dell’art. 434 c.p., la descrizione del fatto incriminato si esaurirebbe dunque in due nozioni (“disastro” e “pericolo per la pubblica incolumità”) eccessivamente generiche5. Si teme perciò che la fattispecie venga strumentalizzata e snaturata nell’applicazione concreta, per assicurare copertura penale a fenomeni di nuova emersione, privi di una adeguata disciplina ad hoc, ma ritenuti di particolare gravità sociale o effettivamente tali: così da trasformare il “disastro innominato” in una figura indistinta, idonea a coprire qualsiasi offesa che coinvolga l’incolumità della collettività.6 Seguirebbe a ciò la violazione dei due obiettivi perseguiti dal fondamentale princìpio di determinatezza ex art. 25 2 Cost.: evitare che il giudice assuma un ruolo creativo, in contrasto con la riserva di legge assoluta in materia penale, individuando i confini tra lecito e illecito in luogo del legislatore; garantire la libera autodeterminazione individuale e la percezione a priori delle conseguenze giuridicopenali della propria condotta, da parte del destinatario della norma.7 3. Nell’esperienza applicativa per lungo tempo la fattispecie del disastro innominato ha trovato soltanto applicazioni sporadiche e prive di rilievo mediatico, soprattutto in ipotesi di disastri automobilistici.8 Dalla metà degli anni ’80 l’art. 434 c.p. ha iniziato ad essere applicato a vicende di ben altro spessore qualitativo e quantitativo, legate a fonti di pericolo inimmaginabili all’epoca di redazione del c.p., con particolare riferimento alla problematica del c.d. disastro ambientale. Come è noto, manca una norma incriminatrice ad hoc, di cui è stata più volte sollecitata e progettata senza esito l’introduzione nel nostro sistema penale, anche e soprattutto in attuazione di indicazioni dell’Unione Europea9. A fronte di tale inerzia, Cfr. per tutti CORBETTA, Delitti cit., p. 612. Il c.d. mass disaster: cfr. GARGANI, Reati cit., p. 163, 454, 460. 7 Cfr. per tutti, in giurisprudenza costituzionale, sentenze n. 5/2004 e 364/1998; in dottrina, MARINUCCI DOLCINI, Corso di diritto penale, 3^ ed. Milano, 2001, p. 199 s. 8 Cfr., ad esempio, Cass. II, 3 febbraio 1995 in G.P., 1995, II, c. 725, e già Cass. II, 8 giugno 1954, in G.P., 1954, II, c. 997. 9 Oltre al monito contenuto nella sentenza n. 327 del 2008 della Corte Costituzionale e infra, nota 42, cfr. già TUFARELLO, I delitti ambientali, 2008, 441 segg.; VERGINE, Nuovi orizzonti del diritto penale ambientale?, in 5 6 2 la giurisprudenza ha rinvenuto nelle previsioni degli artt. 434 e 449 c.p. lo strumento per la repressione degli episodi di inquinamento più gravi e allarmanti sul piano sociale. Questa tendenza ha avuto origine con la vicenda della nube tossica provocata dal guasto ad un reattore e diffusa in un’ampia area circostante con danni alla vegetazione e lesioni di varia entità a persone e animali10. Essa ha trovato ulteriori applicazioni in altre fattispecie di nubi o fumi tossici fuoriusciti da stabilimenti industriali11 o provocati da incendio di ammassi ingenti di rifiuti12. 4. Tale tendenza si è ulteriormente sviluppata non soltanto attraverso l’affermazione della riconducibilità all’art. 434 c.p. di macroeventi di danneggiamento dell’ambiente a carattere violento e dirompente; ma anche attraverso l’affermazione della riconducibilità ad esso di fenomeni di progressiva, imponente contaminazione dei suoli, delle acque o dell’aria con sostanze pericolose per la salute, attuata tramite condotte reiterate e diluite nel tempo13. A proposito della vicenda c.d. del Petrolchimico di Porto Marghera – che costituisce il primo momento significativo di quest’ultima evoluzione giurisprudenziale – si afferma che il “disastro innominato” può anche non avere caratteristiche di immediatezza e può realizzarsi in un arco di tempo prolungato senza essere subito percepibile. Ad avviso della giurisprudenza di legittimità, non occorre cioè che si verifichi un “macroevento”: un fatto tipico che si esaurisca di per se stesso in un arco di tempo ristretto e con il verificarsi di un evento di grande evidenza immediata come il crollo, il naufragio, il deragliamento etc.14. Occorre ed è sufficiente che si verifichi una compromissione – riguardante la situazione ambientale o un luogo diverso quale l’ambiente di lavoro – della sicurezza, della salute e di altri valori della persona e della collettività, comportante una lesione della pubblica incolumità. La Cassazione ha recentemente confermato questa prospettiva, affermando che l’imponente contaminazione di siti, realizzata mediante l’accumulo sul territorio o lo sversamento in acqua di rifiuti pericolosi, è atta a configurare il “disastro innominato” allorchè per la durata in termini temporali e per l’ampiezza in termini spaziali Ambiente & sviluppo, 1, 2009, p. 2005 segg.; VAGLIASINDI, La direttiva 2008/99/CE e il Trattato di Lisbona: verso un nuovo volto del diritto penale ambientale italiano, in Dir. comm. internaz., fasc. 3, 2010, p. 449 segg.; DE SANTIS, La tutela penale dell’ambiente dopo il D.Lgs. n. 121/2011 di attuazione della direttiva 2008/99/CE, in Resp. civ. e prev., fasc. 2, 2012, p. 668 B. 10 C.d. vicenda ICMESA, cfr. Cass. IV, 23 maggio 1986, von Zwehl in Cass. pen., 1988, p. 1250. 11 Tribunale Busto Arsizio, 8 agosto 2001, in Lav. pen. oggi, 2002, p. 588 segg. 12 Cass. IV, 20 febbraio – 18 maggio 2007 n. 19342/07 e già C. d’Appello Venezia, 9/12/05 n. 1710 in Riv. giur. ambiente, 2006, p. 968. 13 Cfr. in particolare Cass. IV, 17 maggio 2006, n. 4675, in Dir. prat. lav. 14 Cfr. in particolare per un richiamo a una critica specifica, sotto molteplici profili, a tale affermazione, GARGANI, Reati cit., p. 179 segg. 3 dell’attività di inquinamento, essa assuma connotati di eccezionale gravità, generando un concreto pericolo per la salute di un numero indeterminato di persone15. La Suprema Corte ha affermato in tali occasioni ed a proposito del c.d. disastro ambientale che il termine “disastro” designa un evento straordinariamente grave e complesso, anche se non eccezionalmente immane. Si richiedono per esso un carattere di diffusione prorompente; l’eccezionalità della dimensione dell’evento, che desti un esteso senso di allarme; una condotta di immutatio loci idonea in concreto a mettere in pericolo l’ambiente attraverso un danno di eccezionale gravità, seppure con effetti non necessariamente irreversibili; una potenza espansiva del nocumento e l’attitudine a esporre al pericolo collettivamente un numero indeterminato di persone. Non occorre invece che il fatto abbia direttamente prodotto collettivamente la morte o le lesioni alle persone. 5. La questione di costituzionalità sollevata dal Tribunale di Santa Maria Capua Vetere e decisa dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 327 del 2008 – della quale sono stato relatore ed estensore della motivazione – concerne un’imputazione ex art. 434 c.p. per un’ipotesi tipica di “disastro ambientale”, causata dolosamente “in un’ampia zona territoriale, utilizzando … numerosi terreni agricoli come discariche abusive di un’imponente massa di rifiuti pericolosi ‘estremamente inquinanti’ il terreno e l’ecosistema”16. Il giudice a quo deduce la violazione del princìpio di “tassatività-precisione” dal fatto che i delitti dagli articoli da 427 a 433 c.p. si riferiscono alla dimensione e alla gravità degli effetti prodotti da una condotta adeguatamente descritta e agli esiti di situazioni tipiche secondo nozioni di comune esperienza. Nell’art. 434 c.p. invece dal disastro innominato sarebbe assente qualsiasi delimitazione della condotta, dell’evento primario e del settore della vita sociale in cui collocare il fatto. La norma incriminatrice – oltre a non descrivere la condotta – non determinerebbe in modo adeguato né l’evento primario (il “disastro”), né gli ulteriori eventi di pericolo (il “pericolo per la pubblica incolumità”) o di danno (la verificazione del “disastro”) che perfezionano o aggravano il delitto. Ad avviso del giudice rimettente, le formule elastiche censurate esaurirebbero l’intera descrizione del fatto tipico, senza alcun possibile ausilio interpretativo. Quest’ultimo non potrebbe venire né dalle altre ipotesi di disastro previste dal titolo VI del capo I, oltretutto inapplicabili per la clausola di sussidiarietà che introduce il disastro innominato; né dalla voluntas legis, che privilegia le esigenze di integrale penalizzazione sulle istanze di certezza del diritto e di contenimento dell’arbitrio Cfr. in tal senso Cass. II, 14 luglio-13dicembre 2011, n. 46189/11, con richiamo ai precedenti di Cass. III, 16 gennaio-29 febbraio 2008, n. 9418/08, e di Cass, V, 11 ottobre-7dicembre 2006, n. 40330/06 in termini. 16 Così l’esposizione in fatto della Corte, par. 1.1. 15 4 giudiziale17; né dal diritto vivente, perchè la norma avrebbe conosciuto solo sporadiche, remote e discutibili applicazioni giurisprudenziali, secondo il rimettente18. 6. La Corte Costituzionale ha dichiarato non fondata la questione di costituzionalità19 rilevando in primo luogo che “la verifica del rispetto del princìpio di determinatezza della norma penale va condotta non già valutando isolatamente il singolo elemento descrittivo dell’illecito, ma raccordandolo con gli altri elementi costitutivi della fattispecie e con la disciplina in cui questa si inserisce” (punto 4 della motivazione in diritto). In secondo luogo nella specie – ad avviso della Corte (punto 5 della motivazione in diritto) – concorrono a precisare la valenza del concetto di disastro, ancorchè in se scarsamente definita: sia la funzione di chiusura dell’art. 434 c.p. per la parte relativa al disastro innominato; sia la necessaria omogeneità, sul piano delle caratteristiche strutturali, fra l’altro disastro e quelli “tipici … compresi [con il primo] nel capo relativo ai delitti di comune pericolo mediante violenza”. In terzo luogo, accanto all’omogeneità tra disastro innominato e disastri tipici (cfr. punto 6 della motivazione in diritto) la Corte sottolinea la necessità e la possibilità – per superare il dubbio di costituzionalità – di rinvenire in questi ultimi dei tratti distintivi comuni che “illuminino e circoscrivano la valenza del concetto di genere ‘disastro’”; e richiama a tal fine il c.d. procedimento di “analogia esplicita”20. La Corte conclude al riguardo che – al di la delle caratteristiche particolari delle singole figure di disastro tipico – l’analisi d’insieme del capo I del titolo VI consente di pervenire ad una nozione unitaria di disastro, qualificata sotto un duplice e concorrente profilo: dimensionale e sul piano della proiezione offensiva; quantitativo e qualitativo. Sotto il primo profilo si richiede un evento distruttivo di proporzioni straordinarie, anche se non necessariamente immani, atto a produrre effetti dannosi, gravi, complessi ed estesi. Sotto il secondo profilo, l’evento deve provocare un pericolo per la vita o per l’integrità fisica di un numero indeterminato di persone; senza che peraltro sia richiesta anche l’effettiva verificazione della morte o delle lesioni di uno o più soggetti. Cfr. la Rel. min. L’ordinanza richiama l’ipotesi del plagio, il cui difetto di tassatività sarebbe stato evidenziato da un’unica e assai controversa ipotesi di applicazione: Corte Cost. n. 96 del 1981 (segnalo di aver partecipato, quale difensore, alla discussione della relativa questione di costituzionalità).. 19 Cfr. la motivazione della sentenza n. 327 del 2008. 20 Con riferimento esplicito al disastro innominato, cfr. MILOCCO, nota a GIP Tribunale Santa Maria Capua Vetere 8 novembre 2004, in Riv. giur. ambiente, 2005, p. 884; GIUNTA, I contorni del “disastro innominato” e l’ombra del “disastro ambientale” alla luce del princìpio di determinatezza, in Giur. Cost., fasc. 4, 2008, p. 359 B. In termini generali, cfr. ROMANO Commentario al codice penale, Vol. I, 3^ ed., 2004, p. 49; MANTOVANI, Diritto penale. Parte Generale, 2007 p. 70; MARINUCCI DOLCINI, op. cit., p. 181; FIANDACA MUSCO, op. cit., p. 108. 17 18 5 Tale nozione – rileva la Corte – corrisponde alla nozione elaborata dalla dottrina21. Essa corrisponde altresì alla nozione concretamente adottata dalla giurisprudenza di legittimità, formatasi con indirizzo risalente e costante: sia in rapporto alla fattispecie del disastro innominato (doloso o colposo); sia in relazione agli altri delitti contro la pubblica incolumità nei quali viene in rilievo tale concetto. La Corte sottolinea che il diritto vivente non può comunque colmare l’originaria carenza di precisione del precetto penale, per non tradire la duplice funzione del princìpio di precisione (la preclusione alla creazione della norma da parte del giudice; la conoscibilità preventiva e ab origine della norma da parte dei destinatari). Tuttavia – a differenza del giudice rimettente – la Corte ritiene apprezzabile nella specie la prima fra le indicazioni del diritto vivente da parte della giurisprudenza dianzi citata, che conferma la possibilità di identificare la puntuale valenza di un’espressione normativa in se ambigua – come il disastro innominato nell’art. 434 c.p. – attraverso un ordinario percorso ermeneutico. La Corte peraltro non fa propria e non condivide (oltretutto in difetto di una richiesta esplicita di esame sul punto, da parte del giudice rimettente) l’ulteriore sviluppo in corso, da parte della giurisprudenza, volto a ricomprendere nell’ambito del disastro innominato (cfr. sul punto infra, par. III – 7 e 8) anche il disastro ambientale, inteso come progressiva contaminazione di suoli e acque con sostanze pericolose per la pubblica incolumità e per la salute, tramite condotte reiterate e diluite nel tempo. 7. Sotto il profilo della proiezione offensiva – che concorre con quella dimensionale nella definizione unitaria del genus di disastro, comprensiva sia di quelli tipici, sia di quello innominato ex art. 434 – la Corte rileva che è in se sufficientemente definito (punto 7 della motivazione in diritto) “il pericolo [concreto] per la pubblica incolumità”, in cui si compendia il momento dell’offesa all’interesse protetto dalla norma. L’incolumità pubblica deve intendersi come un bene che riguarda la vita e l’integrità fisica delle persone (quest’ultima comprensiva della salute); esse vengono messe a repentaglio per un numero indeterminato di persone in correlazione alla capacità diffusiva degli effetti dannosi dell’evento “disastro”22. È appena il caso di rilevare che, se certamente non è indeterminato il concetto di pericolo per la vita e l’incolumità fisica di una persona, la stessa conclusione vale anche per l’ipotesi in cui il pericolo venga riferito a una pluralità di persone non preventivamente individuabili. Al riguardo, si è precisato che l’indeterminatezza dei Cfr. per tutti CORBETTA, Delitti cit., p. 630; ROSSETTI, nota a Corte d’Appello Venezia 9 dicembre 2005 n. 1710, in Riv. giur. ambiente, 2006, p. 968; BENINI, Art. 434 cit., Aggiornamento vol. III, 2005, p. 484 segg. Dopo la sentenza n. 327 della Corte, ed a commento di quest’ultima, cfr. anche GIUNTA, I contorni del «disastro innominato» e l’ombra del princìpio di determinatezza, in Giur. cost., fasc. 4, 2008, p. 3539 B. 22 Per l’indicazione concorde della dottrina in tal senso, cfr. BENINI, Art. 434, in Codice Penale a cura di Padovani, 2007, p. 2831 segg.; CORBETTA, Delitti cit., p. 616 segg.; FIANDACA MUSCO, op. cit., p. 493 segg.; GARGANI, Reati cit., p. 61 segg.; MARINUCCI, op. cit., p. 414 segg. Per i lavori preparatori del c.p. cfr. la Relazione al progetto definitivo del c.p., p. 212. 21 6 soggetti esposti a pericolo si collega alla diffusività di quest’ultimo ed esprime perciò non una qualità dell’offesa, ma una peculiarità della dinamica lesiva: nel senso che è impossibile e non necessario stabilire a priori quali e quante persone (sia pure appartenenti a una cerchia circoscritta) saranno coinvolte dagli effetti della condotta; o comunque nel senso che quest’ultima si presta a colpire qualsiasi fra i soggetti che si trovino nella sfera di operatività del disastro23. 8. La Corte ha invece formulato conclusivamente (punto 9 della motivazione in diritto) l’auspicio che fattispecie come quella in discussione nel giudizio a quo – avente ad oggetto l’utilizzazione di “numerosi terreni agricoli come discariche abusive di un’imponente massa di rifiuti pericolosi, estremamente inquinanti il terreno e l’ecosistema” – formino “oggetto di autonoma considerazione da parte del legislatore penale”. Tali fattispecie infatti sono “attualmente ricondotte, con soluzioni interpretative non sempre scevre da profili problematici, al paradigma punitivo del disastro innominato e tra esse segnatamente l’ipotesi del cosiddetto disastro ambientale”. L’auspicio della Corte vale a delimitare con chiarezza il richiamo di essa al diritto vivente. Questo ultimo è ritenuto dalla Corte apprezzabile e accettabile come contributo interpretativo all’art. 434 c.p., per definire con sufficiente precisione la nozione di disastro innominato; esso è ritenuto invece discutibile e problematico nell’ulteriore affermazione della giurisprudenza di legittimità che ricomprende nel disastro innominato anche il c.d. disastro ambientale, come sopra specificato. I due momenti interpretativi sono fra loro distinti e diversi per natura, oggetto e finalità. La Corte – come da richiesta del giudice rimettente – si è limitata a (e non poteva che) affrontare il primo soltanto di essi, con il vaglio richiestole sul rispetto dell’art. 25 comma 2 Cost. sotto il profilo della sufficiente determinatezza della norma. È noto infatti, per consolidata giurisprudenza costituzionale, che la dichiarazione di incostituzionalità di una norma non può fondarsi sulla possibilità che di essa venga proposta un’interpretazione contrastante con la Costituzione; ma deve fondarsi sulla impossibilità che di quella norma venga proposta un’interpretazione non contrastante con quest’ultima. Nella specie si trattava di verificare se l’art. 434 c.p., nonostante l’elasticità della sua formulazione normativa, possa (e quindi debba) essere interpretato cogliendone con sufficiente precisione la portata applicativa. Altro e diverso problema è quello di interpretare in concreto la norma, nell’applicazione di essa ad un determinato fatto, dilatandone indebitamente la portata e travalicando i limiti della sua possibile interpretazione. In sostanza, una cosa è verificare e decidere se l’art. 434 c.p. consenta di pervenire ad una definizione unitaria e sufficientemente precisa del disastro innominato, anche alla stregua delle indicazioni offerte dal c.d. diritto vivente. Altra cosa è Cfr. sul punto CORBETTA, Artt. 422 e 423 in Codice penale commentato, cit., vol. II, 2^ ed., 2006, p. 3179 segg.; GARGANI, Reati cit., p 102. 23 7 verificare e decidere se queste ultime vadano ratificate altresì nel loro sviluppo ulteriore, teso a ricomprendere nel disastro innominato anche il disastro ambientale come dianzi descritto, in termini di inquinamento. 9. É largamente maggioritario in dottrina24 l’orientamento volto ad escludere dall’ambito di previsione dell’art. 434 le ipotesi di disastro ambientale come quelle richiamate: sia dal giudice che ha sollevato la questione di costituzionalità decisa con la sentenza n. 327 del 2008; sia dal capo di imputazione della presente vicenda, in termini sostanzialmente analoghi (contaminazione di siti con materiale inquinante, determinata tramite condotte prolungate o reiterate nel tempo). L’orientamento dottrinale, ampiamente motivato, muove dalla critica alla tendenza della giurisprudenza di legittimità a tutelare l’interesse leso dall’eco-disastro come vulnus all’ambiente. Quest’ultimo è insufficientemente tutelato; e una giurisprudenza definita in realtà creativa ritiene di poter coprire l’esigenza di tutela sfruttando le maglie larghe dell’art. 434 c.p., per contrastare i fenomeni di inquinamento più gravi e socialmente più allarmanti. La dottrina citata contesta alla giurisprudenza creativa in tema di disastro ambientale di aver elaborato una clausola generale a valenza analogica, rappresentata dal disastro innominato; quest’ultimo viene interpretato come una clausola di adeguamento automatico del sistema a nuove fenomenologie di danno e di pericolo per la salute collettiva. Si sarebbe così realizzata una sorta di progressione offensiva dal danno ambientale al massimo livello del disastro, trascurando a favore di un’esigenza di difesa sociale il profilo modale dell’offesa previsto dall’art. 434 c.p. ed anteponendo alla esigenza di certezza della norma penale quella della tutela di beni primari (ambiente e salute). Anzi, parte della dottrina ritiene che la pur condivisibile conclusione della Corte Costituzionale sulla possibilità di una corretta ricostruzione interpretativa del disastro innominato nell’art. 434 c.p., abbia in qualche modo favorito o quanto meno non Cfr. in tal senso CORBETTA, Delitti cit., p. 633; PIERGALLINI, Danno da prodotto e responsabilità penale, 2004, p. 280 segg.; MILOCCO, op. cit., p. 884 segg.; GARGANI, Reati cit., p. 177 segg., 455, 474; MARTINI, Il disastro ambientale tra diritto giurisprudenziale e princìpi di garanzia, in La legislazione penale, 2008, p. 341 segg.; GIUNTA, op. cit., p. 3541 segg.; CASTALDI, Il ritorno del “disastro innominato” in materia ambientale, in Riv. giur. amb. 2008, p. 830 segg.; GARGANI, La protezione immediata dell’ambiente tra obblighi comunitari di incriminazione e tutela giudiziaria, in Scritti in memoria di Giuliano Marini a cura di VINCIGUERRA e DASSANO, 2010, p. 420 segg.; DE SANTIS, Diritto penale dell’ambiente. Un’ipotesi sistematica, 2012, p. 166 segg.; CORBETTA, Il “disastro” provocato dall’ILVA di Taranto, tra forzature giurisprudenziali e inerzie del legislatore, in Corr. merito, 2012, p. 10 segg.; VERGINE, Il c.d. disastro ambientale: l’involuzione interpretativa dell’art. 434 cod. pen. (parte prima), in Ambiente & sviluppo, 6/2013, p. 535 segg.; ID., op. cit. (parte seconda), 7/2013, p. 644 segg.; TARZIA, Attività organizzata per il traffico illecito di rifiuti, in Legislazione Penale, 2-2013, p. 390 segg.; PAOLI, Esposizione ad amianto e disastro ambientale: il paradigma di responsabilità adottato nella sentenza Eternit, in Cass. Pen., 2014, p. 1802 segg. Contra, ed a favore della riconducibilità del disastro ambientale all’art. 434 c.p., cfr. BALOSSI, Disastro innominato ex art. 434 cod. pen. in materia ambientale, (nota a Cass. pen. n. 9418/2008), in Ambiente & sviluppo, 2008, p. 621; RAMACCI, Il “disastro ambientale” nella giurisprudenza di legittimità, in Lexambiente.it, 2012, p. 724 segg. 24 8 adeguatamente ostacolato l’ulteriore e inaccettabile passaggio interpretativo della giurisprudenza di legittimità alla tipologia di disastro ambientale, elaborata con la svolta avviata dalla c.d. vicenda di Porto Marghera (Cass. IV, 20 febbraio-18 maggio 2007 n. 19342/07) nonostante il monito esplicito della Corte Costituzionale a tale riguardo nella sentenza n. 327 del 2008. 10. La critica dottrinale nei confronti dalla svolta operata dalla giurisprudenza si articola sostanzialmente su quattro profili: la svalutazione della condotta, segnatamente sotto il profilo della violenza; quella dell’evento primario di disastro e dell’evento successivo di pericolo per la pubblica incolumità o di danno; quella della collocazione sistematica del disastro innominato, nel rapporto fra i delitti del titolo VI (contro l’incolumità pubblica), suddivisi rispettivamente nel capo I (delitti di comune pericolo mediante violenza) e nel capo II (delitti di comune pericolo mediante frode); quella del bene protetto. Quanto al primo profilo di critica, esso si riassume nella pressoché concorde constatazione dottrinale del richiamo alla violenza quanto meno come impiego di energia fisica25: un requisito che mancherebbe nelle ipotesi di inquinamento o contaminazione progressivi nel tempo. Taluno26 desume dalla collocazione topografica dell’altro disastro la necessità di un impatto traumatico sulla realtà materiale. Altri tuttavia27 svalutano la distinzione tra violenza e frode, rispettivamente previste nell’intitolazione del capo I e del capo II del titolo VI, poiché si assume che tra i delitti del primo capo ve ne sono alcuni che esigono una condotta fraudolenta e altri invece in cui è difficile reperire una qualsiasi forma di violenza; talchè potrebbe considerarsi impiego di energia fisica anche la semplice emissione di sostanze che dia luogo ad una modifica della realtà materiale e ad un pericolo per la pubblica incolumità. Quanto al profilo dell’evento, la dottrina ritiene pressoché unanimemente che si debbano poter individuare gli estremi temporali e spaziali di un unico fatto, con una sua concentrazione che esclude la possibilità di ricondurre ad esso più micro-eventi28. Occorre un unico risultato, con una concentrazione spazio-temporale, ancorchè riconducibile a più condotte consecutive e frazionate nel tempo; non basta una consumazione frazionata e una stratificazione di micro-eventi29. Si osserva che l’evento deve essere un accadimento ben individuato, collocato nel tempo e nello spazio con caratteristiche di istantaneità, enormità e dimensioni collettive30; ancorchè sia possibile configurare un disastro innominato anche in presenza di uno iato temporale apprezzabile fra la condotta di innesco o di aggravamento del Cfr. per tutti CORBETTA, Delitti, loc. cit. PAOLI, op. loc. cit. 27 Cfr. PIERGALLINI, op. loc. cit. 28 Così GARGANI, op. loc. ult. cit. 29 Cfr. MARTINI, op. loc. cit. 30 Così PIERGALLINI, op. loc. cit. 25 26 9 rischio (magari protratta nel tempo) e l’evento pericoloso, Non è invece possibile 31 ricostruire il disastro innominato come sommatoria della pluralità di singoli accadimenti lesivi, al fine di superare le difficoltà probatorie del nesso causale fra l’emissione di sostanze nocive nell’ambiente e il verificarsi di singoli eventi dannosi di lesioni o di morte. Quanto alla collocazione sistematica e alla distinzione fra il capo I ed il capo II del titolo VI, la dottrina32 richiama fra l’altro il raffronto fra i delitti collocati nel primo e nel secondo di essi; la presenza, nei delitti di comune pericolo mediante frode, di talune fattispecie che meglio si attagliano alla tutela della salute; il carattere morfologico di istantaneità che deve avere l’evento di disastro dei delitti previsti dal capo I; il riferimento esplicito nel II capo alle ipotesi di epidemia, di avvelenamento di acque, di pericolo per la salute pubblica. Infine, quanto al profilo del bene giuridico oggetto di tutela, in dottrina 33 si contesta la possibilità di ricondurre all’art. 434 c.p., in chiave di tutela della pubblica incolumità (che non è un bene indeterminato), la tutela dell’ambiente che ha una consistenza immateriale e diffusa. Si contesta altresì34 il rilievo attribuito dalla giurisprudenza alla tutela della salute, sottolineando fra l’altro la differenza al riguardo fra i delitti del capo I e quelli del capo II, dedicati specificamente ad essa35. In tal modo, ad avviso della dottrina, si trasforma il disastro innominato da fattispecie a presidio dell’incolumità pubblica a fattispecie eventualmente plurioffensiva, in mancanza di qualsiasi indicazione normativa e perciò in termini che si riverberano sulla sua indeterminatezza36. II Alla luce degli elementi richiamati in precedenza, le premesse per rispondere ai questiti rivoltimi si articolano e si riassumono nei termini che seguono: 1. Secondo l’imputazione gli indagati con lo “smaltimento di rifiuti…determinando il riversamento continuo e ripetuto nell’area…di rifiuti speciali pericolosi…interrando…bidoni e fusti…contenenti residui…sostanze tutte pericolose per la salute dell’uomo e dell’ecosistema…commettevano fatti diretti a cagionare un disastro rappresentato dall’inquinamento e dalla contaminazione dell’area…ubicata nelle immediate vicinanze del litorale marino…sulla quale venivano rinvenute altissime concentrazioni di metalli pesanti…” Cfr. CORBETTA, op. loc. ult. cit. Cfr. per tutti PIERGALLINI, op. loc. ult. cit.; CORBETTA, op. loc. ult. cit.; TARZIA, op. loc. ult. cit. 33 Cfr. in particolare PIERGALLINI, op. loc. ult. cit. 34 Cfr. MARTINI, op. loc. ult. cit. 35 Al riguardo cfr. anche specificamente CORBETTA, op. loc. ult. cit.; GARGANI, op. loc. ult. cit.; DE SANTIS, op. loc. ult. cit.; TARZIA, op. loc. ult. cit.; PAOLI, op. loc. ult. cit. 36 Cfr. sul punto in particolare, da ultimo PAOLI, op. cit., p. 1819 segg. 31 32 10 2. Tali fatti sono ricondotti all’art. 434 c.p. alla stregua di un’interpretazione giurisprudenziale della norma affermatasi a partire dalla c.d. vicenda concernente il Petrolchimico di Porto Marghera37. Tale interpretazione si differenzia dalle precedenti applicazioni della norma citata ad ipotesi di danno ambientale e da produzione, caratterizzate dal verificarsi di un avvenimento di danno materiale istantaneo, eccezionalmente grave e complesso, che esponga a pericolo l’incolumità di un numero indeterminato di persone come nel c.d. leading case di Seveso38. 3. L’evoluzione giurisprudenziale suddetta39 si è fondata sulla constatata e nota insufficienza del modello di tutela ambientale tradizionale e “anticipata”, basata sulla incriminazione di condotte tenute in difetto di autorizzazione amministrativa, in violazione di prescrizione dell’autorità o con il superamento di valori-soglia. 4. Per supplire in via sussidiaria a tale insufficienza, la giurisprudenza di legittimità e di merito40 ha ritenuto riconducibili all’art. 434 c.p. – come disastro innominato – le ipotesi di inquinamento del terreno, di diffusione di sostanze inquinanti o di interramento di rifiuti tossici, senza necessità di compromissione violenta della realtà materiale, con conseguenze di grave pericolo per la salute pubblica. Negli ultimi sviluppi di questo indirizzo si è attribuito specifico rilievo al c.d. eccezionale fenomeno epidemico rappresentato da un aumento e dall’eccesso di mortalità e di morbilità associato alla contaminazione ambientale e ritenuto conseguenza del disastro o addirittura elemento costitutivo di quest’ultimo: e ciò al fine di superare gli ostacoli legati all’accertamento del nesso di causalità individuale fra l’esposizione a sostanze inquinanti e specifici eventi di morte o malattia. 5. La concentrazione del delitto di disastro ambientale nei due aspetti del danno ambientale da inquinamento progressivo e del danno alla salute quale aumento della mortalità e della morbilità, incide sugli elementi evidenziati dalla dottrina e condivisi dalla Corte Costituzionale41 per giungere a una definizione unitaria dell’altro disastro prevista dall’art. 434 c.p., che sia compatibile con il genus dei disastri tipici del capo I Cfr. Cass. 17/5/2006 B, supra cit. Cfr. supra, note da 10 a 15. 39 Sulla quale cfr. in particolare MARTINI, op. cit., p. 342 segg.; da ultimo PAOLI, op. cit., p. 1817 segg.; TARZIA, op. cit., p. 390 segg.; DE SANTIS, Diritto penale dell’ambiente, cit., p. 171 segg. 40 Per la prima, cfr. supra, nota 38; per la seconda, cfr. da ultimo, Tribunale Torino 13/2/2012 e Corte App. Torino 3/6/2013, ivi, con nota di ZIRULIA, Processo Eternit a che punto siamo?, in Dir. pen. cont.; Tribunale Savona 11/3/2014, in Dir. pen. cont.; nonché CORBETTA, Il “disastro” provocato dall’ILVA di Taranto, loc. cit. 41 Cfr. supra, par. I-6 e 10. 37 38 11 del titolo VI; e che pertanto sia sufficientemente precisa ai fini del rispetto del princìpio di legalità. L’attuale configurazione giurisprudenziale dell’art. 434 c.p. in materia di ambiente rappresenta uno dei profili interpretativi problematici cui la Corte Costituzionale si è riferita esplicitamente nell’auspicare una autonoma considerazione da parte del legislatore penale con riferimento segnatamente all’ipotesi del c.d. disastro ambientale (punto 9 della motivazione in diritto). 6. Quanto al profilo dell’evento, si possono a mio avviso condividere le critiche della dottrina ad una ricostruzione interpretativa che elimina il requisito – richiesto dalla Corte Costituzionale – di “un evento distruttivo di proporzioni straordinarie, anche se non necessariamente immani, atte a produrre effetti dannosi gravi, complessi ed estesi”. La sostituzione del c.d. macroevento con una serie di microeventi e il suo frazionamento –attraverso il protrarsi della contaminazione nel tempo anche per lungo periodo – comportano infatti la perdita della concentrazione spaziale e soprattutto temporale dell’evento, nonché la perdita della sua puntualità e individualità. Queste condizioni sono invece richieste dagli altri disastri tipici del capo I e costituiscono perciò un requisito del genus cui appartiene anche la species del disastro innominato, nei termini della necessaria omogeneità fra i primi ed il secondo, che è condizione e premessa per la legittimità del c.d. procedimento di “analogia esplicita” (cfr. supra, par. I-6). È certamente configurabile – come osserva la giurisprudenza di legittimità42 – la distinzione tra disastro “statico” (in cui l’evento di danno si sviluppo in un periodo di tempo continuato e ben definito) e disastro “dinamico” (come il delitto di frana o di inondazione) che si origina mediante un lento sviluppo sul territorio ed è sempre suscettibile di evoluzioni ulteriori. Ma anche nel secondo caso l’eventuale dimensione temporale consistente – in cui l’evento può svilupparsi fino a raggiungere la massima espansione – non impedisce che il delitto si perfezioni in un ben determinato momento storico. La eventuale connotazione dinamica dell’evento può evolversi nel tempo in maniera imprevedibile e incontrollabile; ma il delitto si perfeziona immediatamente e ogni eventuale sviluppo successivo non influisce sull’accertamento del reato43. Questa peculiarità caratterizza tutti i tipi di disastro nominato dal capo I del titolo VI in termini di immediatezza. 7. Il ricorso al criterio della omogeneità fra la condotta e l’evento dell’altro disastro di cui all’art. 434 c.p. e la condotta e l’evento dei disastri nominati del capo I del titolo VI è essenziale per legittimare una ricostruzione interpretativa del primo, la quale giunga a risultati accettabili per la precisione della norma e quindi per il rispetto 42 43 Cfr. Cass. 17/5/2006 B, supra cit. Così MARTINI, op. cit., p. 349 segg. 12 del princìpio di precisione e tassatività. Il riferimento all’omogeneità costituisce un passaggio determinante della valutazione operata dalla sentenza n. 327 del 2008 della Corte Costituzionale (cfr. il punto 6 della motivazione in diritto). Da ciò discende la necessità: che anche l’altro disastro previsto nell’art. 434 c.p. presenti le stesse connotazioni materiali proprie degli altri disastri del capo I; che esso si caratterizzi per la stessa loro “distruttività” immediata; che esso comporti una contestuale esposizione ad un pericolo per la vita e l’incolumità delle persone, direttamente riconducibile al disastro nel momento in cui si verifica; che tale esposizione al pericolo non sia invece derivabile come effetto soltanto mediato di un danno per l’ambiente e per l’ecosistema. Di ciò offre conferma testuale il riferimento dello stesso art. 434 c.p al “crollo di una costruzione o di una parte di essa”, ferme restando le condivisibili perplessità e critiche della dottrina all’accostamento riduttivo dell’altro disastro, nella norma, alla tipologia del crollo di edificio44. È il crollo (cioè la disgregazione della struttura essenziale di una costruzione) che deve avere una analogia e deve essere riconducibile come species al genus dell’altro disastro, il quale può ricomprendere un evento del tutto diverso rispetto al primo; non viceversa45. Ma la doverosa precisazione nulla toglie alle necessarie caratteristiche di istantaneità dell’evento di disastro, quali risultano anche dall’accostamento al crollo, al pari dell’accostamento agli altri disastri nominati. 8. Invece il profilo della violenza (che costituisce oggetto specifico del quesito rivoltomi) assume a mio avviso un minor rilievo e non è determinante al fine di escludere dal novero dei disastri innominati il disastro ambientale elaborato dalla giurisprudenza. Tale criterio ha assunto infatti un’estensione lata e poco selettiva. Contrariamente a quanto dedotto dal quesito esso non viene richiamato nella sentenza n. 327 del 2008 con termini espliciti e dettagliati, come quelli dedicati da quest’ultima alla definizione dell’evento; ma viene richiamato da essa soltanto attraverso il riferimento alla intitolazione del capo I del titolo VI. 9. Non v’è dubbio – come la Corte Costituzionale rileva esplicitamente (punto 6 della motivazione in diritto), anche se per incidens – che il concetto di incolumità comprende anche il riferimento alla salute, proprio perché nel suo significato filologico riguarda la vita e l’integrità fisica46. Altro e diverso problema è però quello di utilizzare soltanto strumentalmente la nozione di “pericolo per la pubblica incolumità” – che è elemento costitutivo del delitto ex Cfr. per tutti GARGANI, Reati cit., p. 418. Cfr. anche la Rel. Min. al c.p. 46 Sul punto con specifico riferimento alla sicurezza della vita, dell’integrità personale e della sanità, come beni di tutti e di ciascuno che rientrano nella nozione giuridica di pubblica incolumità, cfr. già BATTAGLIA-BRUNO, Incolumità individuale (delitti contro la), in Noviss. Dig. it., vol. VIII, 1962, p. 543. 44 45 13 art. 434 c.p., in quanto momento espressivo dell’offesa al bene tutelato, causalmente collegato alla condotta47 – per anticipare la tutela del bene ambiente e del bene salute ad un momento preliminare rispetto alle aggressioni specifiche a quest’ultimo bene, in termini di singole ipotesi di morte e lesioni; al fine di superare così le difficoltà probatorie sulla causalità individuale tra inquinamento e eventi lesivi specifici. Inoltre, sembra opportuno rilevare che il riferimento alla tutela della incolumità pubblica attraverso il riferimento alla salute pubblica, nell’interpretazione giurisprudenziale dell’art. 434 c.p., viene ricollegato esplicitamente sia alla idoneità dell’immissione di sostanze nocive nell’ambiente a provocare malattie con esiti letali, sia al richiamo di fenomeni epidemici. Al di la della esattezza o meno di questo ultimo richiamo (riferibile di norma a malattie infettive e diffusive, con capacità di trasmissione per contatto o per altro veicolo), occorre tener presente che i disastri nominati del capo I del titolo VI non presentano caratteristiche idonee a determinare l’insorgenza di malattie48; e che l’epidemia viene prevista, con altre modalità (la diffusione di germi patogeni) dall’art. 438 c.p. nell’ambito del capo II del titolo V, fra i delitti di comune pericolo mediante frode. 10. Infine, la collocazione sistematica del c.d. disastro ambientale – come ricostruito dalla giurisprudenza – nel capo I del titolo VI appare una forzatura interpretativa, ove si consideri che in tutte le iniziative legislative di riforma della disciplina ambientale penale il tema è stato affrontato non già con una rimodulazione dell’art. 434 c.p. o con un intervento sul capo I del titolo VI del c.p.; bensì proponendo di inserire nel c.p. un autonomo titolo VI bis, in cui introdurre il delitto di inquinamento ambientale, l’aggravamento del danno ambientale, il delitto di disastro ambientale49. Tali iniziative non avrebbero evidentemente alcuna ragione d’essere, ove fosse condivisibile la “estensione” applicativa suggerita dalla giurisprudenza di legittimità e di merito. D’altronde è sufficiente considerare la definizione di disastro ambientale proposta dal d.d.l. n. 1345, in corso di esame presso la Camera dei Deputati – “l’alterazione irreversibile dell’equilibrio dell’ecosistema o l’alterazione la cui eliminazione risulti particolarmente onerosa e conseguibile solo con provvedimenti eccezionali, ovvero l’offesa alla pubblica incolumità in ragione della rilevanza oggettiva del fatto per l’estensione della compromissione ovvero per il numero delle persone offese o esposte a pericolo” – per cogliere Cfr. per tutti BENINI, Art. 434 in Codice penale a cura di PADOVANI, cit. p. 2832; CORBETTA, Delitti cit., p. 583 segg.; già MARINUCCI, op. cit., p. 417 segg. 48 Così PAOLI, op. cit., p. 1820 e CORBETTA, op. loc. ult. cit. 49 Cfr. gli artt. 452 bis, ter, quater del disegno di legge governativa recante “disposizione concernenti i delitti contro l’ambiente”, approvato dal Consiglio dei Ministri il 24 luglio 2007; nonché il disegno di legge n. 1345 approvato dalla Camera dei deputati il 26 febbraio 2014 e tuttora all’esame del Senato, recante “disposizioni in materia di delitti contro l’ambiente”, con la riformulazione fra l’altro dell’art. 452 bis (inquinamento ambientale) e 452 ter (disastro ambientale). 47 14 con evidenza la necessità di una tipizzazione normativa di esso, nonché l’insufficienza e la creatività della sua elaborazione in chiave soltanto giurisprudenziale. È evidente perciò anche sotto questo aspetto che l’interpretazione dell’altro disastro in termini non conformi al genus dei disastri previsti dal capo I del titolo VI e non omogenei con essi, sottovaluta un requisito fondamentale per interpretare una formula altrimenti elastica, indeterminata e soltanto negativa, al fine di ricostruire la fattispecie con una interpretazione accettabile e di delimitare tale formula normativa (altro disastro…fuori dei casi preveduti dagli articoli precedenti). III Concludendo, ritengo di poter e dover rispondere al quesito rivoltomi, nei seguenti termini: 50 A mio avviso la ricostruzione dell’art. 434 c.p. posta a premessa del capo di imputazione sottopostomi, è il frutto di una elaborazione interpretativa giurisprudenziale che oltrepassa i limiti della formulazione normativa e si risolve nella creazione di una nuova e diversa norma. Resta, peraltro, da stabilire se e come questa conclusione si rifletta sulla valutazione di sufficiente determinatezza della norma operata dalla sentenza n. 327 del 2008 della Corte Costituzionale. L’esistenza di un’interpretazione non condivisibile non comporta ovviamente, di per sé, l’incostituzionalità della norma che ne forma oggetto. Tuttavia, secondo un orientamento ormai costante della giurisprudenza costituzionale – basato sull’esigenza di rispetto della funzione interpretativa dei giudici ordinari e, al tempo stesso, sull’opportunità di evitare un “braccio di ferro” con la Corte di Cassazione – la Corte Costituzionale si arresta di fronte al diritto vivente. L’obbligo di sperimentazione dell’interpretazione “costituzionalmente conforme” – il cui mancato assolvimento da parte del giudice a quo determina l’inammissibilità della questione – viene meno, cioè, quando la lettura della norma oggetto di censura corrisponda ad un indirizzo giurisprudenziale consolidato. In tale evenienza, la Corte Costituzionale scrutina senz’altro la disposizione – e, se del caso, ne dichiara l’illegittimità costituzionale – nel significato che le viene attribuito dal diritto vivente 50. Per tutte, tra le molte, sentenze n. 183 del 2913, n. 117 del 2012 e n. 233 del 2011. 15 Si comprende, di conseguenza, come il problema del deficit di determinatezza della norma incriminatrice di cui all’art. 434 c.p. possa tornare in discussione nel caso in cui si consolidi un diritto vivente basato su premesse ermeneutiche che contraddicono i canoni sulla cui base la Corte Costituzionale ha ritenuto infondata la censura (in particolare, nella specie, il canone della necessaria omogeneità tra il disastro innominato e gli altri disastri dianzi indicati). Si potrebbe obiettare che, nella specie, l’indirizzo giurisprudenziale sulla tipologia di disastro ambientale in discussione (inquinamento progressivo), favorevole alla configurabilità del reato, era già emerso nel momento in cui la Corte si è pronunciata con la sentenza n. 327 del 2008. A ciò si potrebbe replicare che all’epoca tale indirizzo non era qualificabile in termini di diritto vivente, trattandosi di orientamento recente e ancora in via di formazione (esso aveva trovato i primi riscontri, nella giurisprudenza di legittimità, in pratica da soli due anni); e non era stato sottoposto specificamente al giudizio di essa, da parte del giudice rimettente. La Corte, d’altronde, proprio per questo – come già rimarcato – aveva ritenuto di formulare, nella motivazione della sentenza, un “caveat” sulla problematicità dell’interpretazione giurisprudenziale che andava emergendo e sulla necessità di un intervento risolutivo del legislatore (che non vi è stato). Ove si ritenesse, quindi, che, a seguito delle successive decisioni conformi di legittimità e di merito richiamate in precedenza, la soluzione interpretativa di cui si discute sia ormai assurta al rango di diritto vivente, al pari di quello precedente la c.d. svolta di Porto Marghera, a mio avviso potrebbero ravvisarsi i presupposti per una nuova valutazione della Corte Costituzionale in ordine alla sufficiente determinatezza dell’art. 434 c.p., così interpretato: e ciò sul rilievo che, almeno in questo settore – peraltro di forte valenza sociale nell’attuale momento storico, anche per il suo collegamento con i temi della criminalità organizzata (c.d. “ecomafia”); e di fronte alla perdurante inerzia del legislatore – la norma incriminatrice “vive” in un modo diverso da quello ritenuto dalla Corte stessa compatibile con la Costituzione. Ove, invece, si ritenesse che il diritto vivente non si sia ancora formato e consolidato, a mio avviso la questione dovrebbe essere riesaminata e potrebbe trovare una soluzione nella stessa sede giurisprudenziale ordinaria di legittimità, eventualmente con l’intervento delle Sezioni unite della Corte di Cassazione nella loro funzione di nomofilachia. 16
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