L’assiuolo 1897 Myricae, SEZ In campagna, XI concetti-chiave la natura- la morte e lo spaesamento dell’io metro: tre strofe di sette novenari e l’onomatopea «chiù» finale (ternario tronco), secondo lo schema di rime ababcdcd. L’assiuolo rappresenta uno dei vertici della poesia di Pascoli. L’impressionismo delle sensazioni produce una successione analogica di immagini, senza alcuna chiave di ordine razionale, fino alla trasfigurazione simbolica del dato naturalistico. Immerso nel paesaggio notturno, su cui la luna – invisibile – stende la sua luce, il soggetto prova improvvise e inquietanti sensazioni. La campagna di casa, nota e abituale, diviene per lui fonte di un progressivo turbamento emotivo che si origina tanto dallo spazio esterno (le voci misteriose della natura) quanto dalla propria interiorità, in cui risorge l’eco drammatica di un passato inconciliabile. Il colloquio dell’io spaesato e spaurito si attua con il richiamo angoscioso del verso («chiù») di un piccolo rapace notturno, l’assiuolo. ANALISI METRICA E RETORICA La tecnica simbolista L’assiuolo ci offre quasi una summa della tecnica simbolista di Pascoli attraverso l’utilizzo delle figure retoriche Alcuni esempi:– «il cielo notava in un’alba di perla», la metafora analogica ecc. «soffi di lampi», la sinestesia unisce una sensazione uditiva (il soffio) ad una visiva (la luce del lampo). «nero di nubi», la metonimia pone in primo piano l’astratto (il nero) rispetto al particolare concreto (le nubi). frufru:onomatopea. Con il successivo tra le fratte dà luogo alla figura dell’allitterazione, che intensifica l’effetto di fono simboli smo. L’immaginazione analogica produce una proliferazione di possibili significati che oltrepassa la chiarezza puntuale della logica razionale .ESEMPIO ai vv. 10-11, alla nebbia e al mare sono associati immediatamente il «latte» e il movimento del «cullare», che evocano il tempo e la dimensione dell’infanzia, il cui significato nella lirica deve essere ricostruito e interpretato dal lettore. Il fonosimbolismo Allitterazione ed onomatopea sono alcuni tra gli strumenti tecnico-linguistici usati per valorizzare la dimensione sonora del testo, costruito interamente sulla progressione di sensazioni visive e uditive: «sentivo un fru fru tra le fratte» (v. 12), oppure «squassavano le cavallette finissimi sistri» (vv. 19-20), il «chiù» ripetuto e insistente. Nella seconda strofa, dopo i primi due versi, il progressivo incupirsi delle sensazioni psicologiche è dato anche dal prevalere, a partire dal verbo «cullare» (v. 11), del suono vocalico chiuso della «u»: «fru fru», «cuore», «sussulto», «un», «fu», «singulto», «chiù». La musicalità prodotta dalle rime (regolari e ad ogni strofa con la vocale tonica comune) si avvale anche di una fitta corrispondenza di assonanze (es. -are : -atte), di consonanze (es. -atte : -ette), di rime interne (es. «cull are : m are»). La scelta di un verso raro nella tradizione della poesia italiana, il novenario, con la fissità dei suoi accenti (sempre sulla 2a, 5a e 8a sillaba) e la sintassi semplice e lineare, con rarissime subordinate, conferiscono alla lirica un ritmo disteso, regolare e cantilenante che allude a l desiderio di protezione infantile suggerito dall’immagine del «cullare del mare» al v. 11. Ad ogni chiusura di strofe il verso si spezza bruscamente nel mono sillabo tronco onomatopeico «chiù», seguito dai puntini di sospensione (del tempo, ma anche del significato): da indistinta «voce» della natura, esterna all’io, diviene «sussulto» interiore ed «eco di un grido», si specifica poi in un «singulto» e, infine, si rivela un «pianto di morte». I TEMI E I MOTIVI Lo spaesamento dell’io e il mistero doloroso della vita La natura in questo testo si fa fin da subito sfondo vago e misterioso. «Dov’era la luna?». La luna non è visibile, la nebbia stende il suo velo opaco, sulla terra e in cielo si scorgono solo il profilo dei rami degli alberi e la luce di stelle «rare». L’indeterminatezza della vista produce lo smarrimento dell’io (il pronome personale non compare mai nel testo) anche nei luoghi a lu i più cari e famigliari: l’orto di casa, la campagna circostante. Il soggetto si riduce così a pura e passiva ricezione di sensazioni prevalentemente uditive. Significativa in tal senso è l’anafora del verbo «sentivo» (vv. 11, 12, 13), ripetuto tre volte al centro del testo. Fin dall’inizio della lirica prevale il sentimento di un’oscura e minacciosa lontananza delle cose («Venivano soffi di lampi / da un nero di nubi laggiù», vv. 5-6) che esprime mistero e dolore, una sensazione di smarrimento e di spaesamento interiori. Il suono notturno del «chiù» lo richiama ripetutamente verso la lontananza di un “oltre”, di un’“al di là” rispetto a ciò che è visibile e vicino. Nel soggetto si insinua la percezione di un mistero doloroso che riguarda il sentimento angosciante del nulla e della morte. Il tema della morte: l’esclusione e la vita incompleta L’ultima strofe ci presenta una simbologia non più solo naturale ma colta e intellettuale: il suono delle cavallette è paragonato per analogia a quello dei sistri egizi, strumenti usati nelle cerimonie religiose per la resurrezione dei morti. Il loro squassare è immagine della volontà del soggetto di suonare alle «invisibili porte» che lo separano dai propri cari nell’al di là della morte. Ma la speranza del poeta di poter comunicare ancora con i defunti della sua famiglia è smentita dall’immagine finale delle «porte» che ai «tintinni» «non s’aprono più». Nel corso della lirica il soggetto dapprima perde l’orientamento fra le cose più consuete del la vita quotidiana (I strofa), poi sperimenta l’impossibilità di rifugiarsi nel ricordo idillico dell’infanzia (la «nebbia di latte», il «cullare del mare», II strofe), e alla fine deve rinunciare anche all’ultima sua illusione: quella di poter interpretare il senso della propria vita come ricongiungimento con i propri morti e come dialogo con la loro memoria (III strofe). Diviene vana anche la speranza di completare così il senso della propria e della loro esistenza, segnate invece dal trauma precoce della frattura e dalla dispersione del “nido” famigliare: «e c’era quel pianto di morte… chiù…». Onomatopea e fonosimbolismo Il termine greco onomatopoiía significa ‘creare’ (poiéo) ‘nomi’ (ónoma). ‘Onomatopea’ oggi indica la creazione di una parola che non ha alcun significato diretto (non si riferisce cioè ad alcun oggetto e non indica alcun fenomeno o condizione), ma allude a qualcosa di reale poiché ne riproduce il suono, il rumore, il verso. Nell’Assiuolo «fru fru» è l’onomatopea che suggerisce il fruscio prodotto da un animale che si muove tra i cespugli; «chiù» è la riproduzione verbale del suono prodotto dal verso dell’assiuolo. L’onomatopea è frequente nel linguaggio comune: ad esempio, chicchirichì per indicare il gallo. È una forma naturale del linguaggio infantile, pre-grammaticale: ad esempio, bau, per indicare il cane; ciuf ciuf, per dire la locomotiva del treno a vapore. L’onomatopea è una delle possibilità per creare nel linguaggio fenomeni di fonosimbolismo, cioè di allusione al significato soprattutto attraverso il suono delle parole. Pensiamo alle parole comuni miagolio, tonfo, sciacquare, fruscio, rimbombo: non sono propriamente delle onomatopee, poiché presentano un significato che si riferisce a qualcosa di esistente, ma si avvalgono tutte del particolare elemento fonico con cui riproducono la cosa significata. Nel linguaggio poetico il fonosimbolismo si costruisce con procedimenti scaltri e raffinati: ad esempio, nell’Assiuolo il verso «sentivo unfru fru tra le fratte» produce un evidente valore fonosimbolico combinando tra loro parole nelle forme dell’onomatopea e di un’accentuata allitterazione. Il linguaggio della poesia pascoliana assomiglia molto all’italiano moderno ed implica un allontanamento del Pascoli sia dal linguaggio aulico del Carducci, sia dal linguaggio alto del Leopardi. L'autore propende per il linguaggio dei Simbolisti francesi, immettendovi l’analogia, la sinestesia, e le onomatopee. Il linguaggio preciso dei fiori e degli uccelli, in molte poesie si intreccia con un linguaggio allusivo, evocativo, simbolico, fonosimbolico, così da creare un linguaggio nuovo e più moderno rispetto al linguaggio poetico tradizionale. Beatrice Panebianco scrive: «Da un punto di vista lessicale, il poeta accosta termini dotti e comuni; è sempre particolarmente preciso nel citare piante (tamerici, pruno, gelsomini) o uccelli (pettirossi, assiuoli, allodole), innovando una tradizione poetica, per cui tutti i fiori erano rose e tutti gli uccelli erano usignoli. La parola poetica è ricca di analogie e di allusioni, acquista valore evocativo e fonosimbolico, il cui suono, cioè, rinvia a un significato simbolico tale da creare emozioni e stati d’animo.». Un testo magistrale sul linguaggio pascoliano è quello di Gianfranco Contini. In un saggio del 1955, (Varianti e altra linguistica) Contini afferma che Pascoli ha usato tre tipi di linguaggio diversi: 1 linguaggio pre-grammaticale composto dalla fitta presenza di onomatopee, di interiezioni proprio degli animali e delle cose, e non degli uomini. 2 linguaggio grammaticale, derivato dall’uso poetico comune. 3 linguaggio post-grammaticale, formato dai gerghi o da lingue speciali come l’italo-americano. (Es in Italy dove mescola il dialetto lucchese, l’italiano , l’inglese e il cosiddetto “brooklino” cioè “l’inglese” parlato dagli emigranti. Secondo Contini nell’ambito del linguaggio pre-grammaticale Pascoli è un grande innovatore
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