Appunti dalle lezioni di Elettronica per le Radiofrequenze Bruno Neri 1 Premessa La presente edizione contiene, in forma di bozza, gli appunti tratti dal corso di Elettronica per le Radiofrequenze da me tenuto per circa dieci anni nell’ambito del Corso di Laurea in Ingegneria Elettronica. Si tratta di una formulazione preliminare che necessita certamente di una profonda revisione sia dal punto di vista dei contenuti che da quello della veste editoriale. Ho preferito procedere ad una stampa in questa forma non definitiva per due motivi principali: il primo consiste nel fatto che desideravo onorare l’impegno preso con gli studenti dell’A.A. 2008/2009 a produrre un testo, sia pure preliminare, prima dell’inizio della stagione degli esami; il secondo discende dal fatto che il corso verrà tenuto nella forma attuale ancora solo per un anno a causa dell’avvento del nuovo ordinamento dei Corsi di Studi in Ingegneria Elettronica che nell’AA 2010/2011 si estenderà anche alla Laurea Magistrale. Pertanto: ora o mai più. E allora, in attesa di riunire e riorganizzare il materiale didattico prodotto in questi anni per i corsi di Elettronica per le Radiofrequenze, Circuiti Integrati a Microonde, Elettronica dei Sistemi Mobili di Telecomunicazione al fine di renderlo idoneo e funzionale al nuovo ordinamento, mi è sembrato opportuno cominciare a dargli forma “leggibile” per gli studenti sia per avere una prima base su cui lavorare, sia per accogliere suggerimenti, critiche, richieste di modifiche e integrazioni. Questi appunti rappresentano, quindi, il primo passo di questo lavoro che richiederà certamente diversi mesi per essere condotto a termine. Invito, pertanto, tutti coloro che, trovandosi a leggere queste poche pagine, lo ritenessero opportuno, a farmi pervenire le loro critiche, osservazioni e segnalazioni. Un ringraziamento ed un riconoscimento particolare sono dovuti a due ex studenti del corso che mi hanno dato una mano riversando in formato elettronico con attenzione e competenza gli appunti presi a lezione: l’Ing. Martina Mincica per i Capitoli 1, 2, 3, 4, 6 e l’Ing. Alessandro Fonte per il Capitolo 5. Bruno Neri 2 Introduzione I sistemi a radiofrequenza, tipicamente sistemi di ricetrasmissione dell’informazione, operano in un campo di frequenze molto esteso (oltre 6 decadi) che va da alcune decine di Kilohertz (KHz) fino a diverse decine di Gigahertz (GHz). L’allocazione delle diverse applicazioni e servizi in un particolare range di frequenza, oltre che da motivi di carattere “storico”, dipende, ovviamente, da considerazioni di carattere tecnologico. Mentre le applicazioni più datate, come, ad esempio, la radiodiffusione in modulazione di ampiezza, hanno occupato fin dall’inizio, anche per motivi legati alla disponibilità di componentistica attiva e passiva, il range di frequenze più basso (fino a qualche decina di Megahertz (MHz)) le applicazioni più recenti (telefonia mobile, Wireless Local Area Network (WLAN)) occupano la parte alta del range delle radiofrequenze (dal GHz in su). Applicazioni ormai in stato avanzato di studio e sperimentazione (come , ad esempio, i radar anticollisione per autoveicoli) andranno ad occupare intervalli di frequenza appositamente allocati nel range delle decine di GHz e presto conosceranno una diffusione capillare simile a quella che ha caratterizzato in questi anni la telefonia cellulare. Tutto ciò è reso possibile dagli straordinari sviluppi che ha subito la tecnologia dei semiconduttori (silicio in particolare) dall’inizio degli anni ‘90 e che ha portato, in pochissimo tempo, a disporre di componenti attivi integrati a basso costo (bipolari e MOS) con frequenze di transizione superiori al centinaio di GHz. E’ questo certamente uno dei fenomeni che più pesantemente hanno caratterizzato l’evoluzione della tecnologia e, di riscontro, del costume nell’ultima decade. E’ nata e si è rapidamente ampliata una nuova branca dell’elettronica e delle telecomunicazioni che viene ormai universalmente individuata con un neologismo entrato di forza in quasi tutte le lingue “WIRELESS”. Tali sistemi hanno la funzione di trasferire a distanza, in modalità wireless, ovvero “senza fili”, l’informazione, codificata attraverso una grandezza fisica s(t) variabile nel tempo. Il campo delle radiofrequenze è quello delle frequenze di interesse per i collegamenti radio e si estende da qualche decina di kilohertz fino alle centinaia di gigahertz. La parte superiore di questo intervallo di frequenze, tipicamente quella all’interno della quale le lunghezze d’onda sono confrontabili con le dimensioni dei componenti e dei circuiti utilizzati, è quella delle Microonde. Con la riduzione e la miniaturizzazione l’estremo inferiore del campo delle microonde si è spostato negli anni da qualche centinaio di megahertz (lunghezza d’onda nel range dei metri) a qualche gigahertz (lunghezza d’onda di qualche decina di centimetri). In testi di qualche anno fa si parla di microonde già al di sopra dei 300MHz. In Fig. 1.1a è rappresentato l’asse delle frequenze con la 3 denominazione convenzionale delle diverse gamme di frequenza, mentre in Fig. 1.1b sono rappresentate le lunghezze d’onda corrispondenti. 30KHz 300KHz 3MHz 30MHz 300MHz 3GHz 30GHz f LF MF HF VHF UHF (SHF) (EHF) Fig. 1a 1Km λ 100m 10m 1m 10cm 1cm Fig. 1b LF: low-frequency MF: medium-frequency HF: high-frequency VHF: very high-frequency UHF: ultra high-frequency SHF: super high-frequency EHF: extra high-frequency Come è noto la frequenza f e la lunghezza d’onda λ sono legate dalla relazione λ = v dove v è la f velocità della luce nel mezzo di propagazione del fenomeno. Considerando onde che viaggiano nel vuoto (v = 3·108 m/s), otteniamo che a 300 MHz corrispondono onde con λ = 1m ecc. come rappresentato in Fig. 1.1b Fino agli anni ’60 le dimensioni tipiche dei circuiti e dei componenti elettronici erano di qualche centimetro perciò si parlava di microonde per λ< 1 m. Al giorno d’oggi le dimensioni dei dispositivi si sono molto ridotte. Per dispositivi integrati le zone attive sono addirittura dell’ordine del µm. Comunque le dimensioni di un circuito integrato dipendono in definitiva dal package che sarà di qualche mm fino a qualche cm. Per questo motivo si comincia a parlare di microonde con frequenze superiori ad alcuni GHz. 4 Obiettivo del Corso di Elettronica per la Radiofrequenze è la descrizione dei principi di funzionamento, dei circuiti e delle architetture, dei sistemi di radiocomunicazione. I sistemi di radiocomunicazione servono, come già detto, a trasferire un’informazione a distanza senza fili. L’informazione, nella sua accezione più generale, è rappresentata da una grandezza fisica s(t) che varia in funzione del tempo. Tale grandezza, prima di essere trasmessa a distanza mediante le onde elettromagnetiche, deve subire una serie di elaborazioni che la rendono idonea alla trasmissione. Innanzi tutto è necessario trasformare la grandezza fisica in un segnale elettrico. Questa funzione viene assolta dal blocco denominato trasduttore. s(t) Trasduttore e(t) Tipicamente il segnale elettrico e(t) in banda base è contenuto in un range frequenziale che va da da qualche Hz a qualche MHz. Un segnale a queste frequenze non è adatto ad essere trasmesso a distanza in quanto sarebbero necessarie antenne di dimensioni paragonabili o maggiori alla lunghezza d’onda e quindi di diverse decine di metri. Il segnale elettrico viene perciò “traslato” a frequenze maggiori “mescolandolo” con un segnale a radiofrequenza del quale modulerà la fase, l’ampiezza o ambedue. Questa operazione viene effettuata da un sottosistema denominato “modulatore”. Prima di arrivare all’antenna che trasmetterà il segnale modulato è necessario amplificarlo adeguatamente. A seconda delle applicazioni il segnale trasmesso avrà una potenza che potrà variare da poche decine di milliwatt fino a diverse centinaia di kilowatt ed oltre. In Fig. 1.2 è rappresentata questa parte del trasmettitore. L’oscillatore locale genera la portante a radiofrequenza da “mescolare” al segnale in banda base. mixer e(t) Modulatore antenna TX Power Amplifier Oscillatore Locale Fig. 2 5 antenna RX Il segnale trasmesso raggiunge il ricevitore con una potenza molto inferiore a quella di trasmissione a causa dell’attenuazione geometrica e delle perdite nel mezzo di trasmissione. In alcuni casi il segnale ricevuto avrà una potenza di poche decine di femtowatt (1fW= 10-15 W): tanto basta ad ottenere una ricezione intelligibile, ovvero ad essere in grado di ricostruire l’informazione trasmessa con una probabilità di errore accettabile. L’antenna si presenta come un generatore di segnale (il segnale ricevuto) con una impedenza interna (l’impedenza di antenna) in ingresso ad un amplificatore a basso rumore. Il primo blocco attivo in ricezione è perciò un amplificatore a radiofrequenza a basso rumore. Il segnale amplificato, che è ancora un segnale modulato a radiofrequenza, è adesso abbastanza “robusto” da essere elaborato dal blocco successivo che ha la funzione di riportarlo in banda-base (eventualmente dopo una o più traslazioni in basso in frequenza). Questa operazione avviene all’interno del demodulatore in Fig. 1.3 e’(t) Demodulatore O.L . Fig. 3 Dopo un’elaborazione in banda-base il segnale può esser eventualmente riportato nella forma della grandezza di origine. Elaborazione banda-base s’(t) Trasduttore Fig. 4 Nel sistema di radiocomunicazione vi saranno parti a radiofrequenza ed altre in banda base (queste ultime, in genere, dedicate all’elaborazione digitale del segnale). In questo corso ci occuperemo esclusivamente delle parti a radiofrequenza e di quelle che immediatamente le precedono e seguono nella catena di rice-trasmissione, ovvero i modulatori e i demodulatori, come indicato in Fig. 5. 6 s(t) TRASD. MOD PA LNA Radiofrequenze Fig. 5 7 DEMOD Elab TRASD Capitolo 1 Amplificatori a radiofrequenza Il primo blocco attivo di un sistema di ricezione è l’amplificatore di antenna che, essendo sempre un amplificatore a basso rumore, viene solitamente indicato con l’acronimo LNA (Low Noise Amplifier). Si tratta di un amplificatore che lavora con un range dinamico (rapporto tra la potenza del massimo segnale amplificabile con basse distorsioni e quella del minimo segnale intelligibile) molto ampio (anche maggiore di 100 dB) introducendo, al contempo, il minor contributo possibile al rumore. La principale caratteristica di un amplificatore è la capacità di introdurre un guadagno di potenza significativamente maggiore di 1. Gli amplificatori a radiofrequenza sono caratterizzati da guadagni di potenza generalmente compresi tra 15 e 25 dB. 1.1 Caratterizzazione dei quadripoli In generale può essere visto come un quadripolo (sistema a due porte), di fatto un terminale di ingresso e uno di uscita sono spesso collegati a massa quindi si riduce ad un tripolo in cui la porta di ingresso e quella di uscita hanno un nodo a comune. P(t) vi(t) LNA vu(t) Power R P(t ) = V 2 (t ) R Si può dimostrare che bastano 4 parametri per caratterizzare un tripolo. Un esempio tipico è la caratterizzazione mediante i parametri h definiti dal sistema di equazioni: 8 v1 = hi ⋅ i1 + hr ⋅ v 2 i2 = h f ⋅ i1 + ho ⋅ v 2 i1 i2 + v1 + v2 _ _ matrice a parametri ibridi hi H = h f I parametri ha sono ricavabili dalle seguenti definizioni operative hi = hf = v1 i1 = [Ω] hr = v2 = 0 i2 v2 : adimensionale v2 = 0 ho = v1 v2 i2 v2 : adimensionale i1 = 0 = [Ω-1] i1 = 0 Questi parametri sono detti ibridi perché non hanno tutti la stessa dimensione. Per misurarli si devono realizzare sia cortocircuiti (v = 0) che circuiti aperti (i = 0). I set di parametri possibili sono molteplici : h, z, y, s, ABCD. La scelta si fa sia in base alle modalità operative di misura, che possono risultare più o meno “comode” a seconda della frequenza di lavoro, sia in base alla potenzialità messe a disposizione del progettista da ciascun set di parametri. Anche queste potenzialità dipendono dalla frequenza e dalla specificità degli obiettivi che il progetto deve conseguire. Ad esempio un circuito aperto in bassa frequenza è facilmente ottenibile “tagliando” un filo di connessione o una pista. In realtà, i due monconi a distanza limitata tra loro rappresentano una capacità, ovvero una reattanza che, ad alte frequenze, fa si che i due fili non possono più essere considerati un circuito aperto. 1pF @ 1GHz costituisce una reattanza pari a 1 ≅ 160Ω 2π ⋅ 10 9 ⋅ 10 −12 Operativamente in alta frequenza un circuito aperto è difficilmente realizzabile. 9 hr ho Un circuito chiuso può a sua volta introdurre un’induttanza. Qualche mm di filo corrisponde a un’induttanza dell’ordine del nano Henry, ovvero una reattanza di alcuni ohm nel range delle microonde. 1nH @ 1GHz costituisce una reattanza pari a 2π ⋅ 10 9 ⋅ 10 −9 ≅ 6.28Ω A frequenze molto elevate anche i cortocircuiti diventano difficilmente realizzabili. Nel campo delle radiofrequenze il set di parametri più utilizzato in passato è stato quello dei parametri Y che, negli ultimi anni, ha ceduto il passo ad un altro set di parametri: i parametri S utilizzati estensivamente nel campo delle microonde. Per facilitare l’approccio ad una disciplina abbastanza specifica come quella della progettazione a radiofrequenza e microonde, si utilizzerà nel seguito il set di parametri Y che, per la sua “somiglianza” con altri set di parametri utilizzati in corsi di base (parametri h e Z, per esempio) permette una più immediata comprensione e facilità di utilizzo. 1.1.1 Parametri Y I parametri Y mettono in relazione le correnti di ingresso e uscita con le rispettive tensioni. i1 = y I ⋅ v1 + y R ⋅ v 2 i2 = y F ⋅ v1 + y O ⋅ v 2 y Y = I yF yR : [Ω-1] si tratta di ammettenze y O Definizioni operative: yI = yF = i1 v1 i2 v1 yR = v2 = 0 yO = v2 =0 i1 v2 v1 = 0 i2 v2 v1 = 0 Per misurarli si realizzano solo cortocircuiti. I parametri Y sono i duali dei parametri Z. v1 = z I ⋅ i1 + z R ⋅ i 2 v 2 = z F ⋅ i1 + z O ⋅ i2 z Z= I zF zR : [Ω] si tratta di impedenze z O In questo corso ci concentreremo sull’uso dei parametri Y. 10 I pedici stanno per: I: input relativo al rapporto tra grandezze in ingresso O: output relativo al rapporto tra grandezze in uscita F: forward relativo all’effetto dell’ingresso sull’uscita R: reverse relativo all’effetto dell’uscita sull’ingresso Esempi di calcolo di parametri Y Nel seguito sono riportati alcuni esempi di calcolo di parametri Y. Es: i1 Yx i2 + v1 - + v2 - Yx i1 yI = yF = i1 v1 v2 = 0 i2 v1 v2 =0 + v1 - =Yx =-Yx i2 (i 2 = −i1 v Il quadripolo è simmetrico. v2=0 2 =0 ) yo=yi yr=yf Il fatto che il quadripolo sia simmetrico equivale a dire che le due porte possono essere scambiate. Cosa diversa è l’essere la matrice delle ammettenze simmetrica rispetto alla diagonale principale. Ciò accade per tutte le reti reciproche: lo sono certamente le reti costituite da resistenze, induttanze, capacità, mutue e linee di trasmissione. La presenza di componenti attivi (transistors) in genere dissimmetrizza la matrice. Proprietà di quadripoli caratterizzati da parametri Y Due quadripoli collegati in parallelo e caratterizzati dalle proprie matrici di parametri Y, hanno una matrice Y complessiva data dalla somma delle due singole. 11 I1A + V1A I2A + V2A YA _ _ I1B + V1B I2B + V2B YB _ _ I1A YA YRA YOA I 1B = YIB ⋅ V1B + YRB ⋅ V2 B I 2 B = YFB ⋅ V1B + YOB ⋅ V2 B Y YB = IB YFB YRB YOB + V2A - - I1B + V1 - Y Y A = IA YFA I2A + V1A I1 I 1 A = YIA ⋅ V1 A + YRA ⋅ V2 A I 2 A = YFA ⋅ V1 A + YOA ⋅ V2 A I2B + V1B YB - I 1 = I 1 A + I 1B I 2 = I 2 A + I 2B V1 = V1 A = V1B I2 + V2B I 1 = YI ⋅ V1 + YR ⋅ V2 I 2 = YF ⋅ V1 + YO ⋅ V2 + V2 - - YRA + YRB YI Y +Y YA = IA IB = YFA + YFB YOA + YOB YF YR YO V2 = V2 A = V2 B Come esempio di applicazione di quanto appena visto, consideriamo un quadripolo con reazione di tensione parallelo. Il collegamento dell’ammettenza di reazione Yx equivale a porre in parallelo al quadripolo di partenza un quadripolo caratterizzato dai seguenti parametri Y YIx = Y X = YOx YFx = −Y X = YRx 12 Yx I1 I2 + V1 - + V2 - Yp Pertanto i parametri Y del quadripolo risultante saranno: YItot = YIp + Y X YFtot = YFp − Y X YRtot = YRp − Y X YOtot = YOp + Y X Un quadripolo è detto unilaterale se YR=0 I 1 = YI ⋅ V1 + YR ⋅ V2 YR = I1 V1=0 I1 V2 misura l’effetto dell’uscita V2 sull’ingresso I1 V1 = 0 I2 + V2 - YR=0 I1=0 Le equazioni che descrivono il funzionamento di un quadripolo secondo i parametri Y sono: I 1 = YI ⋅ V1 + YR ⋅ V2 I 2 = YF ⋅ V1 + YO ⋅ V2 13 Il circuito equivalente a parametri Y è il seguente: I2 I1 + YI V1 + YRV2 YO YFV1 - V2 - Su questo circuito equivalente è possibile calcolare alcune funzioni di trasferimento quali, ad V2 V1 esempio, il Guadagno di tensione : AV = Poichè : V2 = − I2 Y ⋅V =− F 1 YL YO + YL AV = − YF YO + YL Osservazione: il guadagno di tensione risulta dipendere dal carico e non dall’impedenza di sorgente. La la sorgente di segnale in ingresso è schematizzabile in 2 modi: ZS + + IS YS + VS - V1 - Norton V1 Thevenin Le ammettenze di ingresso YIN e di uscita YOUT sono facilmente calcolabili. L’ammettenza di ingresso : YIN = I 1 YI ⋅ V1 + YR ⋅ V2 Y ⋅Y = = YI − R F dipende dal carico YL V1 V1 YO + YL L’ammettenza d’uscita : YOUT = YO − YR ⋅ YF dipende dall’ammettenza di sorgente YS. YI + YS 14 YL Se il quadripolo è unidirezionale (YR=0) YIN=YI ; YOUT=YO In radiofrequenza non si può trascurare la YR , come spesso accede alle basse frequenze, perciò i quadripoli non sono mai unidirezionali. La presenza di una YR≠0 rende di fatto il sistema reazionato in quanto lìuscita risente dell’effetto dell’ingresso e viceversa. Questo può determinare l’instabilità cioè l’instaurarsi di oscillazioni spontanee in assenza di qualunque sollecitazione. E’ possibile calcolare il guadagno di corrente : AI = I2 YF ⋅ YL = I 1 YI ⋅ (YO + YL ) − YR ⋅ YF Vediamo come si può unilateralizzare un quadripolo, ovvero annullare la reazione dell’uscita sull’ingresso. Per ottenere tale risultato si può reazionare il quadripolo con una ammettenza YX al fine di ottenere un nuovo quadripolo caratterizzato dai seguenti parametri Y: YX YIt = YI + YX YOt = YO + YX YFt = YF − YX Q YRt = YR − Y X . Se YX=YR → YRt=0 Questo non è sempre possibile utilizzando un bipolo passivo al posto di Yx. In tal caso, infatti, Yx avrà parte reale positiva e l’unilateralizzazione sarà possibile solo se YR ha parte reale positiva. Se GR<0 (quadripolo con elementi attivi) → non è possibile unilateralizzare il quadripolo con la tecnica prima descritta. Osservazione: si noti che collegando tra ingresso e uscita l’ammettenza YX cambia non solo il valore di YRt, ma anche quello dei rimanenti parametri Y. 1.2 Guadagni di Potenza A radiofrequenza si definiscono diversi tipi di guadagni di potenza secondo quanto descritto nel seguito: 15 YS + VS - YL=GL+jBL Guadagno operativo di potenza : G P = PL Pin Guadagno di potenza disponibile : G A = PAout PAin Dove PL rappresenta la potenza media sul carico, Pin quella in ingresso al quadripolo, PAout quella disponibile sulla sua uscita e PAin quella disponibile del generatore di segnale. La massima potenza disponibile è la massima potenza che un generatore con impedenza interna a parte reale positiva può fornire ad un carico di valore opportuno. Dato un generatore VG con impedenza interna ZG, se realizziamo l’adattamento complesso coniugato ZL=ZG* otteniamo il massimo trasferimento di potenza dal generatore al ZG + VG - carico. Questo vale solo se Re{ZG}>0. In caso contrario la potenza trasferibile al carico non è ZL superiormente limitata dell’impedenza di e scegliendo un valore carico “prossimo” a (- ZG) è possibile, in linea di principio, ottenere potenze in uscita “grandi quanto si vuole”. Ciò a scapito delle garanzie di stabilità del sistema che può, in tal caso, presentare le condizioni per l’innesco di oscillazioni secondo quanto indicato dalle condizioni di Barkhausen all’innesco. Se (VG, ZG ) è l’equivalente di Thevenin di una rete attiva, ZG può essere a parte reale negativa, ovvero: Z G = − RG + jX G In questo caso se scegliamo Z L = − Z G = RG − jX G si ottiene IG = VG ZG + Z L ∞ e la potenza dissipata su ZL risulterebbe infinita. Perciò la coincidenza tra potenza disponibile e massima potenza erogabile vale solo per generatori con impedenza interna a parte reale positiva. 16 Nel seguito, a prescindere dal segno della parte reale dell’impedenza interna, indicheremo col termine “potenza disponibile” la potenza erogata su un carico ZL=ZG*. La potenza disponibile in ingresso è quella del generatore di segnale. Si possono ripetere, ovviamente, le stesse considerazioni fatte in precedenza. In particolare se, detta ZIN l’impedenza di ingresso del quadripolo, risulta Z IN = Z S* con Z S = R S + jX S Z IN = RS − jX S allora il generatore di segnale trasferisce in ingresso al quadripolo una potenza pari a quella disponibile del generatore, PAin, che può essere calcolata come segue: ZS + VS - IS = 1 N.B. RS = ℜ{Z S } = ℜ YS V2 V 2 = M valore efficace di VS 2 V2 V2 I M = M2 = 2 M 2 Z R +X ZIN VSM V = SM RS + jX S + RS − jX S 2 RS PAin = 2 RS ⋅ I S2 V SM = 2 8 RS La potenza disponibile in uscita PAout si calcola sull’equivalente di Thevenin dell’uscita ZOUTh + VOUTh - ZL 2 VOUTh PAout = coincide con la massima potenza erogabile solo se Re{ZOUTh}>0 8 ROUTh P Il guadagno di potenza disponibile G A = Aout è un rapporto di potenze virtuali. PAout coincide con PAin la potenza effettiva sul carico solo se ZL=ZOUT*. In generale le potenze effettive sono minori di quelle disponibili. 17 Non è detto che sia sempre possibile adattare contemporaneamente ingresso e uscita del quadripolo, infatti il sistema: YIN (YL ) = YS* * YOUT (YS ) = YL Può non avere soluzione. Il terzo tipo di guadagno che si definisce è il Guadagno di trasduttore : . GT = PL PAin Esso rappresenta un rapporto tra un flusso di potenza reale (PL) ed uno virtuale. Poichè PL = GT ⋅ PAin , GT è quella quantità che moltiplicata per la potenza disponibile dà la potenza sul carico, ovvero, note le caratteristiche del generatore di segnale ed il valore di GT è immediatamente possibile calcolare la potenza sul carico. Nel seguito ricaveremo, a partire dalla definizione, l’espressione del GP. GP = PL PIN 1 1 N.B. RL = ℜ ≠ YL G L YL + + V1 - + V2 - BIN 1 G IN V12M PIN = G IN 2 1 GL 2 GL = AV G IN 2 GL YF = G IN YO + YL 2 GL G IN Discutiamo il segno di GP: - PL solitamente è positivo perché si fa riferimento a carichi passivi - PIN può anche essere negativo (flusso di potenza uscente) se RIN<0 → GP ha lo stesso segno di GIN 18 RL V2 - V22M I 22M PL = GL = RL 2 2 Quindi : V G P = 2 M V1M BL XL YF GP = YO + YL 2 GL G IN dipende solo da YL quindi è una funzione della terminazione d’uscita : GP (YL) Con opportune elaborazioni, a partire dalla definizioni possiamo calcolare il guadagno di potenza disponibile e quello di trasduttore. Si ottiene: 2 GA = YF G S { ℜ (YO YS + YO YI − YR YF )(YI + YS ) * } dove YS = GS + jXS ammettenza interna del generatore di segnale GT = 4G S G L YF 2 (YS + YI )(YO + YL ) − YRYF 2 Osservazioni: - GA non dipende dal carico ma solo dalla sorgente GA (YS) - GT dipende sia dal carico che dalla sorgente GT (YS,YL) Con impedenze di carico e di sorgente passive e impedenze di ingresso e di uscita a parte reale positiva, risulta: - PAout ≥ PL GT ≤ GA - PAin ≥ PIN GT ≤ GP 19 1.3 Stabilità incondizionata Definizioni e criteri: 1) Un sistema è stabile se a fronte di una sollecitazione finita in durata e ampiezza genera un’uscita fnita in ampiezza e durata. 2) Un oscillatore è un sistema in grado di produrre una forma d’onda periodica in assenza di sollecitazioni. 3) Il criterio di Barkhausen dice che, se esiste una frequenza f0 alla quale: βA f = f0 ∠β A =1 f = f0 =0 βA f = f = 1 0 Allora il sistema è in grado di auto sostenere, in assenza di sollecitazioni, una oscillazione a frequenza f0. 4) Se le condizioni di Barkhausen all’innesco sono verificate, ovvero se: βA f = f0 ∠β A ≥1 f = f0 =0 Allora nel sistema si innesca una oscillazione a frequenza iniziale f0 che si auto esalta. Se per un dato quadripolo ad una frequenza f0 collegando in ingresso e uscita tutte le possibili coppie di impedenze a parte reale positiva non si ottengono mai le condizioni di BArkhausen all’innesco, allora si dice che il quadripolo è incondizionatamente stabile alla frequenza f0. Se esiste almeno una coppia di impedenze in corrispondenza delle quali si verificano tali condizioni, allora il quadripolo si dice potenzialmente instabile. Un quadripolo potenzialmente instabile ha guadagno di trasduttore non superiormente limitato. Si può dimostrare che il verificarsi delle condizioni sulle impedenze di ingresso e di uscita riportate nel seguito coincide con l’incondizionata stabilità. Definizione equivalente di stabilità incondizionata: ∀YS : ℜ{YS } ≥ 0 ⇒ YOUT : ℜ{YOUT } > 0 ∀YL : ℜ{YL } ≥ 0 ⇒ YIN : ℜ{YIN } > 0 20 Lo dimostriamo solo in un senso, ovvero dimostriamo che il verificarsi delle condizioni suddette è necessario alla stabilità incondizionata. Ovvero, dimostriamo che se una di queste due condizioni non si verifica il quadripolo è potenzialmente instabile e può essere utilizzato per realizzare un oscillatore. Se esiste YS : ℜ{YOUT } < 0 ⇒ ℜ{Z OUT } = ROUT < 0 ZOUTh + ZL VOUTh YS - Scegliendo ZL= -ZOUTh con si ZL RL= -ROUTh > 0 realizza una maglia d’uscita con impedenza nulla e, pertanto, IOUT → ∞. Ovvero, a fronte di una sollecitazione finita, alla frequenza f0, si ottine una risposta non finita, oppure, detto in altri termini, la corrente nella maglia può essere diversa da zero al tendere a zero della sollecitazione. Si ottiene, pertanto, un oscillatore a frequenza f0 . . I OUT = VOUTh Z OUTh + Z L - per VOUTh → 0 IOUT è finita - per VOUTh ≠ 0 e finita IOUT → ∞ . Calcoliamo adesso il βA di un quadripolo caratterizzato a parametri Y, utilizzando il teorema di scomposizione. YS YI YRV2 YFV1 YO YL Per prima cosa dobbiamo individuare un taglio e, quindi, un anello di reazione. Il quadripolo è intrinsecamente reazionato tramite la YR la quale riporta in ingresso l’effetto dell’uscita. 21 IP + YS YI V1 + YR V2 YFV1 + YP VR - - + VP - YO YL V2 - Con il taglio effettuato individuiamo la reazione. βA = YP = VR VP 1 ZP VR = − βA = A= VS = 0 ZP = VP IP VU VP β= VS = 0 VR VU VS = 0 1 1 ρ = + (1 − β A) Z P Zi α V ρ = 0 → Z P = Zi = P IP YP = YO + YL VS = 0 YF V1 YF =− YO + YL YO + YL YRV 2 − YS + YI V2 = V P YF YR dipende dal carico YL a dal generatore di segnale YS (YI + YS )(YO + YL ) verifiche : - quadripolo unilaterale (YR=0) : βA=0 non c’è reazione - cortocircuitando l’uscita (V2=0) : βA=0 (YL → ∞) - cortocircuitando l’ingresso l’ingresso (V1=0) : βA=0 (YS → ∞) Il βA ci permette di analizzare in termini analitici le condizioni di Barkhausen. Si tratta di verificare se esiste una coppia YS,YL che soddisfa il sistema: β A(YS , YL ) = R > 1 ∠β A = 0 β A(YS , YL ) = R R ∈ℜ >1 Dal sistema, mediante elaborazioni di una certa complessità che in questa sede non vengono riportate, si ricava un criterio basato sul cosiddetto Fattore di Stern K definito nel seguito. Se K= 2( g I + g S )( g O + g L ) >1⇒ ℜ{YR YF } + YR YF Il sistema NON ha soluzione, ovvero, fissati due valori di gS e gL che rendono K>1 , non esiste soluzione al sistema qualunque sia la coppia di bS e bL dove: YS = g S + jbS YL = g L + jbL 22 In altri termini, una volta trovate gS,gL che rendono K>1, anche variando le parti immaginarie le condizioni di Barkhausen all’innesco alla frequenza f0 non potranno essere verificate. Osservazione: se la condizione sul K vale per una data coppia di valori di gS,gL vale sicuramente anche per valori maggiori, essendo gi>0 e go>0. Questo perchè partiamo dal presupposto che go>0, gi>0 altrimenti il quadripolo sarebbe potenzialmente instabile. Infatti si otterrebbe: YIN = YI − Y R YF YO + YL scegliendo YL→ ∞ (corto circuito) => YIN=YI (con parte reale negativa). Scegliendo YS=-YI (con parte reale positiva) si otterrebbe una maglia ad impedenza nulla con ovvie conseguenze sulla stabilità, ovvero: YL → ∞ verifica le condizioni di Barkhausen. YS = −YI K è una funzione crescente di gS e gL. Il denominatore è la somma di una parte reale e del modulo dello stesso vettore che è maggiore sia della parte reale che di quella immaginaria. Perciò il denominatore è sicuramente positivo. La condizione sul fattore di Stern è molto utile alle radiofrequenze. Gli accoppiamenti capacitivi e induttivi spuri possono far variare le parti reattive delle impedenze di sorgente e di carico e generare oscillazioni, ma questo non accade se K>1. K>1 non equivale a dire che il quadripolo è incondizionatamente stabile perché si riferisce ad una particolare coppia (gS,gL). Se calcoliamo K nella situazione peggiore gS=0, gL=0 e verifichiamo che esso risulta positivo, sicuramente continuerà ad esserlo per ogni coppia gS>0, gL>0 ovvero il quadripolo risulterà incondizionatamente stabile In altri termini, i quadripoli che verificano la condizione: 2g I gO > 1 sono certamente Incondizionatamente Stabili ℜ{YR YF } + YR YF 2 g I g O > ℜ{YR YF } + YR YF YR YF > 2 g I g O − ℜ{YR YF } il segno della disuguaglianza non cambia se il termine a destra è positivo si ottiene la seguente relazione che definisce anche il cosiddetto Fattore di Linvill : C= YR YF 2 g I g O − ℜ{YR YF } <1 0 ≤ C < 1 ⇒ quadripolo Incondizionatamente stabile! 23 Un quadripolo è incondizionatamente stabile se e solo se il fattore di Linvill è compreso tra 0 e 1. Caso particolare : YR=0 → C=0 quadripolo unilaterale situazione di marginale stabilità,va trattata separatamente gI > 0 si controlla se ⇒ I .S . gO > 0 Il fattore di Stern dipende da gS e gL quindi non può essere fornito dal costruttore il quale, in genere, fornisce il fattore di Linvill al variare della frequenza. Il range di frequenze in cui C è compreso tra 0 e 1 è il range di frequenze in cui il quadripolo è caratterizzato da Incondizionata Stabilità (IS). 1.3.1 Effetto della stabilità incondizionata sui guadagni Dalla IS discende che, qualunque sia la coppia di impedenze di carico e di sorgente, purchè a parte reale positiva, risulta: ℜ{YIN } > 0 ℜ{YOUT } > 0 Pertanto: GP > 0 GA > 0 GT > 0 GT ≤ G P Le condizioni : sono certamente verificate GT ≤ G A E’ possibile dimostrare che, se un quadripolo è incondizionatamente stabile, è possibile realizzare contemporaneamente l’adattamento complesso coniugato in ingresso e in uscita, ovvero esiste (ed è unica) la soluzione del sistema di equazioni: YIN (YL ) = YS* * YOUT (YS ) = YL Se YR=0 (quadripolo unilaterale) il sistema ha sicuramente soluzione: YS = YI* * YL = YO Se il quadripolo non è I.S. il sistema non ha soluzione. 24 E’ anche possibile dimostrare che i valori di YS e YL soluzioni del sistema coincidono con il punto di massimo della funzione GT(YS, YL), ovvero sono i valori di ammettenza di sorgente e di carico che massimizzano il guadagno di trasduttore. Detto ancora in altri termini; se si studia GT come una funzione di 4 variabili e limitatamente al caso gL>0, gS>0, la ricerca del massimo ha soluzione e la soluzione è unica se e solo se il quadripolo è incondizionatamente stabile, ovvero: ∃(YSopt ; YLopt ) : GT (YSopt ; YLopt ) = GT max ⇔ il quadripolo è I.S. 1.3.2 Ricerca del massimo guadagno Il problema di ricerca del massimo è prettamente analitico e non lo trattiamo nel dettaglio. Le ammettenze ottime di carico e sorgente, ovvero quelle che massimizzano GT, sono anche quelle che realizzano l’adattamento complesso coniugato in ingresso e uscita. * YIN (YLopt ) = YSopt * YOUT (YSopt ) = YLopt Si dimostra che se YSopt = G Sopt + jB Sopt , YLopt = G Lopt + jB Lopt allora: [2 g I g O − ℜ{YRYF }]2 − YR YF G Sopt = 2 2gO B Sopt = −bI + ℑ{YR YF } 2gO G Lopt = G Sopt gO gI B Lopt = −bO + ℑ{YR YF } 2g I Se sostituiamo YSopt e YLopt nella formula del GT si ricava il GTmax. GT max = YF 2 g I g O − ℜ{YR YF } + 2 [2 g I g O − ℜ{YR YF }]2 − YRYF nel caso in cui : -YR=0 → GT = 4G S G L YF 2 (YS + YI )(YO + YL ) 2 -gi,go>0 → I.S. 2 → GT = GTUmax Y YO* = YL → GT max = F * 4g I gO YI = YS 25 2 Talvolta si usa il GTMAX come fattore di merito di un componente attivo anche nel caso di quadripoli non unilaterali, sebbene esso non abbia un significato ben individuabile. Quando si progetta un amplificatore il generatore e il carico sono fissati. In genere viene richiesto di massimizzare il guadagno di trasduttore e/o di minimizzare la cifra di rumore. Per fare ciò si possono utilizzare opportune reti di adattamento M1 ed M2 in figura che fanno si che il quadripolo “veda” le ammettenze opportune al conseguimento dell’obiettivo fissato a specifica. M1 M2 1.4 Reti di adattamento I quadripoli utilizzati come trasformatori di impedenza prendono il nome di Reti di Adattamento. Tali reti dovranno avere le seguenti caratteristiche: • Essere passive per non introdurre ulteriori stadi con componenti attivi che sono causa di dissipazione di potenza e introduzione di rumore; • Essere non dissipative (ovvero prive di resistenze) per non causare attenuazione di potenza e non introdurre sorgenti di rumore termico; Esse risultano, quindi, necessariamente reciproche (fatto salvo l’improbabile caso di impiego di componenti passivi non isotropi, quali, ad esempio, le ferriti che dissimmetrizzano la matrice delle impedenze della rete). 1.4.1 Teorema fondamentale delle reti di adattamento Ipotesi: se un quadripolo è passivo, non dissipativo e reciproco e su una delle due porte si realizza l’adattamento complesso coniugato, Tesi: anche sull’altra porta si ottiene adattamento complesso coniugato. 26 Z1 PIN + V1 - Z2 POUT ZIN Dimostrazione: Per ipotesi: Z IN = Z 1* ⇒ PIN = PAin = V12M = potenza in ingresso 8 R1 Z IN = Z 1* ⇒ Z OUT = Z 2* La rete è passiva, quindi POUT ≤ PIN Non dissipativa, quindi POUT = PIN POUT = I 22M R2 2 perciò V12M = 4 R1 R2 I 22M Spegniamo V1 e usiamo la reciprocità inserendo un generatore di tensione in serie a Z2. I1 Z2 + V2 - Z1 P1 P1 = I 12M 1 = 2 V2 M 4 R1 R2 I 12M = V22M 4 R1 R2 P2 V22M R1 V22M = potenza che fluisce sul carico Z1 4 R1 R2 2 8 R2 Rete passiva, non dissipativa → P2=P1 Il generatore V2 sta erogando una potenza pari a quella disponibile perciò sta lavorando in condizioni di adattamento complesso coniugato ovvero. Z OUT = Z 2* C.D.D. Abbiamo così dimostrato che l’adattamento c.c. in ingresso ad una reta passiva, non dissipativa e reciproca garantisce l’adattamento c.c. anche in uscita. 27 Corollario: il guadagno di potenza disponibile di una rete passiva non dissipativa e reciproca è unitario. Dimostrazione: PAin GA = ZS PAout PAin ZOUT* ZIN=ZS* Si sceglie ZL in modo da realizzare l’adattamento C.C. in uscita. In base al teorema prima dimostrato, questo comporta adattamento C.C. anche in ingresso: sotto queste condizioni, quindi, il generatore di segnale eroga la massima potenza, ovvero quella disponibile PAin . Essa è anche la massima potenza erogabile sul carico, essendo la rete passiva, e quindi coincide con la potenza disponibile del generatore di Thevenin in uscita, ovvero con PAOUT. Quindi: PIN = POUT ⇒ PAin = PAout ⇒ G A = 1 1.4.2 Quadripoli in cascata Calcoliamo, adesso, il guadagno di trasduttore di 2 quadripoli in cascata che sarà utile in seguito per valutare l’effetto dell’inserimento delle reti di adattamento in ingresso e in uscita. ZS + VS - GTtot = Q1 Q2 ZL P PL P = L ⋅ Ain 2 = GT 2 G A1 PAin1 PAin 2 PAin1 Se fossero 3: GTtot = G A1G A 2 GT 3 N −1 In generale GTtot = GTN ∑ G An n =1 Utilizzando i risultati prima ottenuti, è possibile valutare l’effetto dell’introduzione di reti di adattamento sul guadagno di trasduttore dell’amplificatore così ottenuto. 28 POUT PIN YS PAin M1 PL YSV YL M2 Q YLV POUT PIN PAin M1 PL M2 Q YLV YSV Vediamo come si modificano le potenze GTtot = P PL = OUT = G A1GTQ = GTQ , essendo GA1 = 1 in quanto guadagno di potenza disponibile di PAin PAin una rete di adattamento (v. corollario) e GTQ = GT(YSV, YLV). In altri termini: il guadagno di trasduttore dell’amplificatore con le reti di adattamento coincide con quello del quadripolo attivo, calcolato in corrispondenza delle ammettenze viste che sono diverse da quelle di sorgente e di carico YS e YL rispettivamente. Si possono, quindi, scegliere valori opportuni per YSV e YLV in modo da ottenere il valore di GT desiderato. Il problema, quindi, si riduce a quello di progettare opportunamente le reti di adattamento in modo da trasformare YS e YL in YSV e YLV rispettivamente. 1.4.3 Trasformazioni parallelo-serie e viceversa. Dato una gruppo RC parallelo è possibile trovare l’equivalente serie ad una frequenza fissata. RS RP CP CS 29 RP jω C P RP R (1 − jωRP C P ) ZP = = = P R P + jω C P 1 + jω R P C P 1 + ω 2 RP2 C P2 Z S = RS + 1 1 = RS − j jωC S ωC S Definiamo QP = ωRP C P fattore di qualità ZP = RP RP2 C P RP RP QP2 j ω 2 RP2 C P2 1 ω − j = − = − j ωC P 1 + QP2 1 + QP2 1 + QP2 1 + QP2 ωC P 1 + QP2 1 + QP2 Affinché le due reti siano equivalenti devono avere la stessa parte reale e la stessa parte immaginaria. RS = RP 1 + QP2 CS = CP 1 + QP2 QP2 N.B. L’equivalenza vale solo ad una frequenza in quanto in QP compare la pulsazione ω. 1.4.4 Fattori di Qualità E’ opportuno, a questo punto, fare qualche riflessione sul fattore di qualità Q dei circuiti risonanti sia di tipo serie che di tipo parallelo. Circuito RLC parallelo |Z| R Z R C L R 2 f1 30 f2 f Esiste una frequenza alla quale si ha risonanza: 1 = ω 0 L . Il gruppo LC risulta un circuito ω0C aperto. L’ammettenza vista è nulla, l’impedenza vista → ∞ Per f > f0 la capacità predomina nel parallelo ∠Z > 0 Per f < f0 l’induttanza predomina nel parallelo ∠Z < 0 Le frequenze f1 ed f2 alle quali l’impedenza diminuisce di 3dB rispetto a |Z|max individuano la banda passante del circuito. f2-f1=B Q≡ f0 fattore di qualità: al crescere di Q la banda B si restringe, a parità di frequenza centrale. B Q = ω 0 RC = R ω0 L ω0 = 1 pulsazione di risonanza LC C= 1 ω 02 L Se immaginiamo di alimentare il gruppo RLC con una corrente sinusoidale alla frequenza di risonanza, nel gruppo LC passa comunque corrente anche se il generatore vede un’impedenza infinita. In L e in C passano correnti uguali in modulo e opposte in segno (sfasate di 180°). Nel caso del circuito RLC serie il fattore di qualità Qs è definito come segue L QS = R C |Z| ω L 1 = 0 fattore di qualità ω 0 RC R R f • QS elevato significa una banda passante stretta ω 0 L >> R • Q elevato significa ω 0 C >> R 1.4.5 Esempi Supponiamo di avere una resistenza di 100Ω e di volerla trasformare in una da 50Ω a f0=100MHz. Si può ottenere questo risultato interponendo una rete di adattamento M opportunamente dimensionata. Si mette in parallelo a Rp = 100 Ω una capacità Cp di valore opportuno in modo tale che l’equivalente serie sia costituito da una capacità CS in serie ad una resistenza RS = 50 . 31 R P = R S + RS Q P2 M 100Ω QP = R P − RS 100 − 50 = =1 RS 50 50Ω . Dal valore di QP appena determinato si ricava CP e, quindi CS come indicato nel seguito CS RP=100Ω Q P = ωR P C P CP RS=50Ω CP = QP = 15 pF ωR P Per neutralizzare l’effetto di CS basta mettere in serie un’induttanza che risuoni con CS alla frequenza di interesse. CS = CP CS LX − LX = 1 + Q P2 = 30 pF Q P2 1 + ωL X = 0 ωC S 1 ≅ 80nH ω CS 2 Con una capacità di 15pF e un’induttanza di 80nH alla frequenza di lavoro abbiamo trasformato la resistenza da 100Ω in una da 50Ω. LX 100Ω CP 32 RVout=50Ω Esaminiamo, adesso, il caso duale: si vuole trasformare una resistenza in una di valore maggiore. A tal fine si useranno le proprietà della trasformazione serire-parallelo. Descriviamo subito con un esempio questo tipo di trasformazione. Esempio: 100Ω → 200Ω @ 100MHz In maniera duale a quanto fatto in precedenza individuiamo i valori di RP e CP dell’equivalente parallelo a partire da quello serie CS CP RS ( R P = RS 1 + QS2 RP − RS = RS 200 − 100 =1 100 1 ωR S C S RS = 100Ω RP = 200Ω RP QS = QS = CS = ) CP = CS QS2 1 + QS2 1 ≅ 15.9 pF ωR S C S CS LX RS CP RP CP = CS QS2 ≅ 8 pF 1 + Q S2 L’aggiunta dell’induttanza LX in parallelo a CP ha la funzione di neutralizzare la parte immaginaria: B P + B X = 0 → ωC P − 1 1 = 0 → LX = 2 ≅ 300nH ωL X ω CP Quindi la rete di adattamento sarà costituita anche in questo caso da una squadra LC: 33 CS 200Ω 100Ω LX La rete seguente è in grado di effettuare la trasformazione 100Ω → 200Ω: vediamo cosa accade delle tensioni 15.9pF 300nH R V1S=V1Mcos(ωt) + V1S - Poiché, come abbiamo dimostrato, la potenza disponibile non cambia. 2 2 V V PAin = PAout ⇒ ThM = 1M 8 ⋅ 200 8 ⋅ 100 Ne consegue che VThM = 2V1M , ovvero la tensione equivalente di Thevenin in uscita risulta maggiore di quella in ingresso. Si è verificata un’amplificazione di tensione anche senza componenti attivi. Il gruppo LC si comporta come un trasformatore di impedenza, ma, contemporaneamente, come un “amplificatore” (sarebbe più corretto parlare di “trasformatore”) di tensione. 1.4.6 Procedimento standard per il progetto di reti di adattamento Con le reti di adattamento si può trasformare una qualunque ammettenza passiva in una qualunque altra purchè passiva. Nel seguito si individuerà una possibile procedura per ottenere il risultato suddetto, con lo scopo di dimostrare che tale trasformazione è sempre possibile. La procedura indicata è solo una delle tante che possono essere messe in atto: la rete per la trasformazione di impedenza non è unica. Y1 = G1 + jB1 Y2 = G 2 + jB2 Zi = 1/Yi 1 G ℜ{Z i } = ℜ = 2 2 Yi Gi + Bi 34 1 1 < G1 G 2 1° caso: trasformazione in salita da SERIE a PARALLELO jX1 jB1 1 G1 R1 Innanzi tutto si ricava l’impedenza Z1 Z 1 = R1 + jX 1 = G1 B −j 2 1 2 2 G + B1 G1 + B1 2 1 Quindi ci riconduciamo al caso precedentemente studiato di trasformazione di resistenza neutralizzando la parte reattiva con l’aggiunta, in serie, di una di pari modulo e segno opposto. R1 jX1 -jX1 A questo punto applichiamo il procedimento già visto. CS RS RP CP RP = 1 G2 Si tratta di una trasformazione in salita: verifichiamo se RP > R1: R1 = G1 1 1 ≤ < = RP OK! 2 G + G2 G1 G2 2 1 La parte reale desiderata è stata così ottenuta. Per quella immaginaria bisogna aggiungere in parallelo a CP una suscettanza BX tale che B X + BP = B2 35 -jX1 CS Y1 Infine sostituiamo alla serie 1 −j − jX 1 un’unica ωC S reattanza di valore BX Esempio: Y1 = (100 + j 50)mS → Y2 = (10 − j 20)mS @ f0 = 150MHz 1 1 = 10Ω < = 100Ω G1 G2 Z1 = R1 = 8Ω G1 B − j 2 1 2 = (8 − 4 j )Ω 2 G + B1 G1 + B1 2 1 -j4Ω X 1 = − 4Ω j4Ω CS CP 8Ω RP RP=100Ω QS = 100 − 8 = 3.39 QS2 = 11.5 8 QS = 1 ωR1C S CS = 1 1 = = 39.14 pF ωR1QS 8 ⋅ 150 ⋅ 10 6 ⋅ 3.39 QS2 CP = CS = 36 pF 1 + QS2 B X + ωC P = −20mS CP RP BX B X = −ωC P − 20mS = −53.9mS suscettanza negativa → induttanza 1 BX = − L X = 19.6nH ωL X X = 4− 1 = −23.2Ω ωC S reattanza negativa → capacità CTOT = − 1 = 45.7 pF ωX CTOT Y1 LX 36 Y2 1 1 > G1 G2 2° caso: trasformazione in discesa da PARALLELO a SERIE La procedura è esattamente duale: si calcola Z2 = 1/Y2 1 G1 R2 1 G2 jB1 jX2 jB2 jX2 CP R2 -jB1 Z2 = R S = R2 = QP = CP = XX = G2 G + B22 2 2 G2 B −j 2 2 2 2 G + B2 G 2 + B2 2 2 G 1 1 1 > R2 = 2 2 2 < < G1 G2 + B2 G2 G1 1 − R2 G1 ωC P = R2 G1 QP G1 ω → CS 1 − X2 ω0C S XX BTOT = C P // − jB1 BTOT BTOT = − j 37 1 − jB1 ωC P jXX Abbiamo, pertanto, dimostrato che è sempre possibile utilizzando due elementi reattivi, trasformare, ad una certa frequenza, qualunque ammettenza in qualunque altra. 1.4.7 Limiti di utilizzo di elementi passivi E’ opportuno fare alcune considerazione sulle prestazioni di induttanze e capacità alle alte frequenze. Gli elementi reattivi mantengono il comportamento previsto soltanto entro un certo range frequenziale, al di fuori del quale la schematizzazione di un bipolo reattivo è più complicata rispetto alla sola induttanza o capacità. • Un condensatore reale si schematizza aggiungendo in serie alla capacità una resistenza e un’induttanza che tengono conto degli effetti di perdita. Alle alte frequenze gli effetti di perdita si accentuano. - dissipazione di potenza: la corrente si addensa in superficie (effetto pelle), la sezione appare inferiore perciò si rileva un aumento di resistività. - accoppiamenti magnetici dovuti agli avvolgimenti dei fili elettrici: al crescere della frequenza la componente induttiva può sovrastare quella capacitiva. • Un induttore reale si schematizza aggiungendo in parallelo all’induttanza una capacità e una resistenza. Gli effetti resistvi e capacitivi sono dovuti al fatto che le spire hanno dimensioni non nulle e si accentuano con la frequenza In entrambi i casi si avrà risonanza per una certa frequenza oltre la quale il comportamento dell’elemento reattivo non è più quello previsto dalla semplice schematizzazione con L o C. 38 caso parallelo caso serie fr f fr f Ogni componente reattivo va utilizzato al di sotto della propria frequenza di risonanza indicata dal costruttore. Più è alto il valore nominale della capacità o dell’ induttanza, più è bassa la frequenza di risonanza fr e minore sarà il range di frequenze in cui il bipolo può essere utilizzato. A puro titolo di esempio si citano alcuni valori indicativi per componenti commerciali: C = 1µF → fr = 100 MHz C = 1nF → fr = 1 GHz L ≅ 100nH ⇒ f r ≅ 1GHz 1.5 Il rumore nei componenti e negli amplificatori. Premessa: La trattazione presentata nel seguito non ha alcuna pretesa di rigore e viene proposta in questa forma solo per ovviare alla completa assenza, nei corsi che precedono quello di Elettronica per le Radiofrequenze, di uno spazio dedicato ai processi stocastici (segnali aleatori). Sarebbe quella la sede correttamente deputata all’introduzione ed all’elaborazione dei concetti di Probabilità, Variabile Aleatoria, Processo stocastico, Funzione di autocorrelazione e Densità spettrale di potenza. Nel seguito si seguirà un approccio alternativo a quello tradizionale che non può assolutamente essere considerato sostitutivo dello stesso. L’approccio scelto ha, come unico vantaggio, quello di permettere di concentrare in poche ore di lezione l’esposizione di alcuni concetti di base dai quali non si può prescindere se si vuole introdurre la definizione di Cifra di Rumore, indispensabile per il progetto di amplificatori a radiofrequenza. Si rimanda, pertanto, lo studente al modulo di Teoria dei Segnali Aleatori per una trattazione che possa considerarsi completa e rigorosa, a differenza di quella presentata nel seguito che risulta, in talune parti, puramente intuitiva e, in qualche punto, approssimativa. 39 In Elettronica si definisce col termine “Rumore” una variazione aleatoria della grandezza fisica sotto osservazione della quale non è possibile fornire una descrizione deterministica. In alcuni casi, però, di tali fluttuazioni aleatorie è possibile fornire una descrizione di tipo statistico. Indicando con x(t) il fenomeno aleatorio (o Processo stocastico) che si sovrappone al valore deterministicamente dato della grandezza sotto esame, si può definire il suo valor quadratico medio come segue: 2 1 T →∞ T x(t1 , T ) = lim ∫ t1 +T t1 x 2 (t )dt In generale il valore quadratico medio dipenderà dall’istante iniziale t1 e dalla durata del tempo di osservazione T. Se, per T “abbastanza grandi” il risultato dell’operazione di integrazione non dipende da T e da t1, allora diremo che il processo x(t) è stazionario rispetto al suo valore quadratico medio. Molte delle sorgenti di rumore presenti nei materiali e nei dispositivi elettronici godono della proprietà della stazionarietà rispetto ad alcuni parametri statistici (come il valore quadratico medio, oppure il valor medio). Se x(t) rappresenta la tensione ai capi di una resistenza R, allora la potenza istantanea P(t) dissipata sulla resistenza e quella media P0 sono date da: + x(t) P (t ) = R x 2 (t ) R 1 T →∞ T - P0 = lim T ∫ 0 x 2 (t ) x 2 (t ) dt = R R potenza media 1.5.1 Sorgenti di rumore Le sorgenti di rumore nei materiali e nei dispositivi per l’elettronica si dividono in 2 categorie 1. Intrinseche : sono ineliminabili in quanto scaturiscono dalle modalità stesse di funzionamento del dispositivo 2. Estrinseche : possono essere ridotte o eliminate con una particolare cura nella produzione dei materiali e dei dispositivi. Si tratta di sorgenti di rumore legate alla presenza di difetti e impurità. Tra le sorgenti di rumore intrinseco ricordiamo: Rumore termico: è presente sotto forma di fluttuazione di tensione aleatoria ai capi di ogni conduttore con resistenza R ed è dovuto al fatto che i portatori di carica sono soggetti ad agitazione termica e la loro distribuzione lungo il conduttore è variabile. 40 Shot noise: è dovuto al fatto che a livello microscopico la corrente che attraversa una barriera di potenziale ha un comportamento granulare e gli istanti di attraversamento dei singoli portatori di carica sono tra di loro indipendenti. La corrente è rappresentabile mediante una serie di delta di Dyrac a istanti casuali di cui si conosce solo il numero medio per unità di tempo (il quale determina la componente DC della corrente che attraversa la giunzione). La sorgente di rumore estrinseco (o in eccesso) più diffusa è il rumore flicker o 1/f: Rumore flicker: ha uno spettro la cui energia è concentrata alle basse frequenze. Dipende dalla presenza di impurità e difetti del reticolo cristallino, perciò è strettamente legato al processo tecnologico. 1.5.3 Densità spettrale di potenza Definiamo come segue la densità spettrale di potenza (o spettro di potenza) Sx(f): Immaginiamo di disporre di un filtro ideale con risposta in frequenza diversa da zero solo tra ω1 = 2πf1 e ω2 = 2πf2 + |H(ω)| + x(t) xu(t) - - ω1 ω2 ω La densità spettrale di potenza del processo aleatorio x(t) (DSP) è definita dalla seguente relazione: f2 ∫ S ( f )df x = xu2 (t ) f1 Ovvero, il suo integrale tra f1 ed f2 coincide col valore quadratico medio del segnale aleatorio xu(t) che si otterrebbe filtrando x(t) col filtro ideale di cui sopra. Se x(t) è la tensione ai capi di una resistenza R e si sceglie f2=f1+df, allora SX(f)df è il valore quadratico medio della tensione di uscita al filtro → δ xu2 (t ) in un intorno infinitesimo di f1. Questo spiega la denominazione di “densità spettrale di potenza” la quale si V 2 misura in (se x(t) =[V]), oppure in Hz A2 (se x(t) = [A]). Hz 41 Nel caso in cui Sx(f) non dipenda dalla frequenza, ovvero sia costante, il processo X(t) ed il suo spettro si dicono “bianchi”. Per un processo aleatorio bianco in ogni intervallo di frequenze l’uscita dipende solo dall’ampiezza dell’intervallo ∆f : xu2 (t ) = S X 0 ∆f Si è detto che ad una resistenza è associata una fluttuazione aleatoria di tensione (rumore termico) rappresentato con un generatore eT in figura. Nyquist ha dimostrato che il rumore termico è bianco e che la sua densità spettrale di potenza ST è data da: . eT +R ST = 4KTR Più in generale Nyquist ha dimostrato che un bipolo generico di impedenza Z = R+jX può essere rappresentato mediante un’impedenza non rumorosa con in serie un generatore di tensione con densità spettrale di potenza pari a S T = 4 KTR +Z = R+jX Z noiseless Si deve ancora a Nyquist il seguente teorema: Dato un processo stocastico x(t) in ingresso ad un sistema caratterizzato da una risposta in frequenza H(ω), la densità spettrale di potenza Su(f) del segnale aleatorio in uscita xu(t) è data da: xi(t) H(ω) xu(t) Su = Si H (ω) 2 Prima di proseguire diamo qualche indicazione circa l’ordine di grandezza delle quantità che abbiamo introdotto. Es: R=1KΩ 42 su una finestra di 1Hz il valore quadratico medio del generatore di tenzione aleatoria che [ rappresenta il rumore termico è dato da xu2 (t ) = S T ∆f = 4 KTR∆f = 4 2 nV 2 ] Il valore efficace è, ovviamente: x eff = S x ∆f xeff = xu2 (t ) = 4nV dà una misura del valore efficace: in questo caso equivale a quello di una sinusoide di ampiezza 1nV. Rumore di corrente Finora abbiamo sempre fatto riferimento ad un processo stocastico con le dimensioni di una tenzione (generatore di tensione di rumore), ma esistono delle sorgenti di rumore che è più immediato rappresentare con un generatore stocastico di corrente. Un esempio è il rumore shot o “rumore di giunzione”. Il rumore shot si rappresenta con un generatore di corrente aleatorio con densità spettrale di potenza che dipende dalla corrente media che scorre nella giunzione, in parallelo alla resistenza differenziale che rappresenta la giunzione medesima. Io Es: Io=1mA rd A2 S I = 2qI o Hz in A2 pA S I = 3.2 ⋅ 10 S I = 17 Hz Hz Si tratta di fenomeni che su 1Hz di banda danno un valore efficace di corrente di decine di picoAmpere. − 22 1.5.4 Rumore flicker Si riscontra in moltissimi i fenomeni fisici, non solo elettrici. La sua densità spettrale di potenza è del tipo : K 0.8 ≤ γ ≤1.2 fγ Si osserva in dispositivi attraversati da una componente di corrente continua sia passivi che attivi. Sf (f )= Dipende dalla presenza di difetti nei materiali e di impurità ed è uno dei parametri che qualificano la bontà di un componente elettronico. In genere ad una certa frequenza lo spettro ha una dipendenza crescente con la corrente. Si somma al rumore bianco di fondo (termico e shot) che è 43 sempre presente col suo spettro costante. Da una certe frequenza in su, detta frequenza d’angolo fC, il rumore bianco prevale sul flicker che risulta trascurabile. 10 log S f ( f ) Scala bilogaritmica fc può assumere valori in un range molto ampio Hz ÷ MHz log fc f fo Il rumore flicker diminuisce con l’area attiva del dispositivo (maggiore è l’area, minore il rumore). Alle radiofrequenze il rumore flicker è pressocchè trascurabile in quanto il punto d’angolo si trova, in genere, molto più in basso del range di frequenze di interesse. Nella zona alta delle frequenze di lavoro si osserva una componente di rumore divergente (cresce con ω2) non tanto perché sia generata da una sorgente con caratteristiche di questo tipo, bensì a causa di effetti filtranti dei componenti reattivi intrinseci e parassiti su sorgenti originariamente bianche. 10 log S f ( f ) SH ∝ f log fc 2 f fo La curva per il suo andamento è detta “a vasca da bagno”. Nel caso di dispositivi a basso rumore per basse frequenze, per un componente attivo di ottima 2 nV qualità ci si può attendere un punto d’angolo intorno a 3Hz e un rumore bianco di 0.8 . Hz 1.5.6 Cifra di rumore Un amplificatore, a causa delle sorgenti di rumore presenti al suo interno, presenterà, tipicamente, un rapporto segnale rumore in uscita peggiore (minore) di quello in ingresso. Nel migliore dei casi 44 il rapporto segnale rumore rimarrà invariato. L’effetto di degrado di tale rapporto introdotto dall’amplificatore si misura mediante un parametro denominato “Cifra di Rumore” indicato, in genere, con la sigla NF (Noise Figure). ZS en1 + Q vs(t) vu(t) eT in1 en2 - NF = Potenza ⋅ di ⋅ Rumore ⋅ totale ⋅ in ⋅ uscita Potenza ⋅ di ⋅ Rumore ⋅ in ⋅ uscita ⋅ dovuto ⋅ a ⋅ Z S In genere si misura in dB 10log(NF) Il rumore in uscita dovuto a ZS corrisponde al rumore che si avrebbe in uscita se Q fosse noiseless, ovvero se agisse solo la sorgente di rumore termico di ZS. In tal caso la cifra di rumore sarebbe unitaria. In generale NF≥1, NFdB≥0dB. Il rumore totale in uscita si ottiene integrando la DSP di rumore in uscita su tutta la banda di interesse. Se la banda di interesse è ridotta o si vuole definire una cifra di rumore puntuale ad una certa frequenza (o spot), NF è un rapporto di DSP Si può dimostrare che un quadripolo rumoroso è equivalente, ai fini di una determinata uscita, ad una rete priva di generatori interni con un generatore di tensione e di corrente opportuni in ingresso. en + -- in + vu(t) - Noise less I generatori di rumore equivalenti esterni possono essere descritti mediante le DSP associate. V 2 Sen ; Hz A2 Sin 4 Hz Data una sorgente di rumore in serie ad un bipolo ZS, se chiudiamo il circuito in serie ad un’impedenza ZS*, la tensione ai suoi capi sarà: 45 + eT -- + vD ZS vD = ZS* eT e e RS = T RS = T 2 RS 2 Z + ZS * S vD 1 = eT 2 -- Sv D = SeT 4 1 2 è la funzione di trasferimento tra eT e vD Poiché questa scelta è quella che realizza l’adattamento complesso coniugato, essa è anche quella che permette di trasferire sul carico la massima potenza disponibile. P= Sv D ∆f SeT ∆f v D2 (t ) = = ha le dimensioni di una potenza. R 4R R Nel caso di rumore termico la densità spettrale di potenza disponibile (che si misura in W/Hz) è data da: SA = SeT 4 KTR W = = KT Densità Spettrale di Potenza disponibile. 4R 4R Hz Più in generale, dato un generatore di rumore di tensione in serie e un’impedenza si definisce la sua densità spettrale di potenza disponibile come segue: S AX = ZS SX 4 RS + x(t) - La potenza disponibile PA nell’intervallo di frequenza f1-f2 è data da: f2 PA= ∫S AX df [W] Potenza disponibile f1 Rappresenta la massima potenza che il generatore di rumore può cedere a un carico nell’intervallo f2-f1 . tale risultato si consegue in condizioni di adattamento c.c. 46 Il rumore totale in uscita è dovuto sia al quadripolo (sorgenti en,in) sia all’impedenza del generatore di segnale che è affetta da rumore termico eT, mentre il rumore in uscita dovuto a ZS dipende solo da eT. Sotto certe condizioni, dette “di indipendenza” tra i diversi processi aleatori, lo spettro del processo risultante si ottiene semplicemente sommando i singoli spettri. Lo stesso vale, quindi, per le potenze di rumore. eT en +- +- ZS Noise less in NF = N UeT + N Uenin N UeT = 1+ NUQ N Uin N Uin = S AeT GT ∆f potenza di rumore in uscita dovuto all’ingresso NUQ = Se n + Sin Z S 4RS 2 GT ∆f en en ++ - S AQ = Sen + Sin Z S 2 ZS 4 RS inZS in +- ZS Le condizioni, dette “di indipendenza” tra en e in, sono, in genere, rispettate fino a fT/10 dove fT è la frequenza di taglio del transistore. Per la cifra di rumore si ottiene, in definitiva: NF = 1 + Se n + Si n Z S 2 4 KTR S 1.5.7 Progetto di amplificatori a basso rumore. Vogliamo progettare un amplificatore a basso rumore (LNA -Low Noise Amplifier-) NF dipende dal quadripolo, attraverso Sen ed Sin, e dal generatore di segnale, attraverso ZS. Progettare a basso rumore, una volta scelto il dispositivo attivo, equivale a individuare la terminazione ottima per quando riguarda il rumore, ovvero, quella che minimizza NF. Procediamo, 47 quindi, alla ricerca del minimo al variare di ZS, osservando che, certamente, NF sarà minimo per XS=0. NF = 1 + ( ) Se n + RS2 + X S2 Si n 4 KTR S Si cercano gli zeri della derivata prima ( ) 2 d (NF ) = 2 RS Sin 4 KTR S − Sen 2+ RS Sin 4 KT = 0 dR S (4 KTR S ) Z ON = RON = Sen Sin → ( ) 4 KT RS2 Sin − Se n = 0 V A Poiché ZS è, di norma, fissata dalle specifiche di progetto, bisognerà introdurre delle reti di trasformazione di impedenza tra la sorgente e l’ingresso dell’amplificatore per far si che esso veda l’impedenza ottima dal punto di vista del rumore. Per valutare l’effetto di tali reti su NF utilizziamo una formula dovuta a Friis che permette di calcolare la cifra di rumore globale di una rete costituita dalla cascata di due o più quadripoli. Con ovvio simbolismo si ottiene per la cifra di rumore totale NFTOT Q1 NFTOT = NF1 + Q2 NF2 − 1 NF3 − 1 + + ... G A1 G A1G A 2 La formula di Friis mostra in termini analitici una considerazione ovvia: per minimizzare la cifra di rumore totale di un sistema, bisogna usare come primo stadio quello a cifra di rumore più bassa ed assicurarsi che introduca un guadagno quanto maggiore possibile. Nel caso in cui Q1 sia una rete di adattamento (passiva, reciproca e non dissipativa) la sua cifra di rumore NF1 sarà unitaria (non contiene generatori interni di rumore) come anche il suo guadagno di potenza disponibile GA1. Pertanto NFTOT=NFQ2 Ovvero la cifra di rumore totale coincide con quella del quadripolo attivo. Si può facilmente dimostrare, infine, che laa cifra di rumore così come è stata definita, coincide col rapporto tra il rapporto segnale rumore in ingresso e quello in uscita: 48 Si NF = Su Ni Nu quindi NF = 1 ⇒ Si Su = Ni Nu Riusciamo a controllare NF ottimizzando la terminazione in ingresso tramite un’opportuna rete di adattamento che non deteriora la cifra di rumore. ZSon ZL* M1 Q M2 ZL Dimensioniamo M1 per trasformare l’impedenza di sorgente in quella ottima per il rumore. Se, poi, vogliamo massimizzare il guadagno, dimensioniamo M2 in modo da avere adattamento complesso coniugato in uscita (quando ciò sia possibile), oppure seguiamo i criteri delineati in precedenza nel caso di progetto a ZS fissata e quadripolo potenzialmente instabile. Infine, per calcolare la potenza di rumore in uscita su una certa banda ∆f ricordiamo che: NF = NuTOT NuTOT = Nu in KT ⋅ GT ∆f E, quindi, la potenza totale di rumore in uscita sarà: NuTOT = NF ⋅ KT ⋅ GT ∆f 49 Capitolo 2 Oscillatori a radiofrequenza Gli oscillatori sono sistemi in grado di generare autonomamente senza sollecitazioni esterne una forma d’onda periodica. Se la forma d’onda è sinusoidale, si parla di oscillatori sinusoidali. La teoria degli oscillatori è basata sul Teorema di Scomposizione e sulle condizioni di Barkhausen. Condizioni di Barkhausen: βA f = 1 0 ∠β A = 0 In generale per un quadripolo caratterizzato a parametri Y è possibile calcolare il β A e trovarlo diverso da zero anche se non è presente una rete di retroazione esterna al quadripolo medesimo. Questo grazie all’effetto di retroazione dell’uscita sull’ingresso attraverso il parametro YR . YS YI YRV2 YO YL βA = YFV1 YR YF (YI + YS )(YO + YL ) 2.1 Configurazioni di oscillatori Nel caso in cui il quadripolo sia un transistore bipolare i suoi parametri Y possono essere ricavati dal circuito di Giacoletto. Ad esempio per un BJT in configurazione CE si ottiene: CT + v1 - rb’e Cb’e YIe = gmvb’e 1 + jω (C b 'e + CT ) rb 'e YFe = g m − jωCT + v2 - YOe = jωCT YRe = − jωCT Vogliamo vedere sotto quali condizioni, scegliendo opportunamente YS e YL riusciamo a realizzare un oscillatore, ovvero a far si che le condizioni di Barkhausen vengano soddisfatte.. 50 Partiamo da YS=0 ingresso aperto e YL=0 uscita aperta e verifichiamo la posizione di fasori che rappresentano in numeratore ed il denominatore del β A . Infatti condizione necessaria è che i due fasori risultino sovrapposti in modo tale da ottenere fase nulla per il β A . ℑ YOeYIe βA = YR YF YI YO ℜ{YIe } > 0 YOe YIe ℑ{YIe } > 0 La situazione è quella rappresentata in figura dalla quale risulta evidente ℜ che il β A ha fase diversa da zero.. ℜ{YFe } > 0 YRe YReYFe YFe ℑ{YFe } > 0 Aggiungiamo adesso YS,YL scegliendoli in modo da far si che i fasori del numeratore e del denominatore risultino sovrapposti. In figura ℑ sono rappresentati due fasori YS,YL permettono YI di conseguire il che risultato suddetto, infatti la “punta” del vettore YI + YO YS si trova sulla retta di YF e quella di YO+YL sulla retta di YR YF YL ℜ YS YR Sia YS che YL sono pure suscettanze negative (conduttanza nulla). Si tratta quindi di due induttanze di valore opportuno da porre in parallelo all’ingresso e all’uscita. 51 A questo punto è garantito il verificarsi della condizione sulla fase e, per ottenere le condizioni di innesco, bisognerà che sia garantita anche quella sul βA > 1 La configurazione di oscillatore così ottenuta viene denominata oscillatore di HARTLEY a emettitore comune. Nella figura seguente è rappresentato il circuito completo di rete di polarizzazione dell’oscillatore di Hartley in configurazione CE. Bisogna osservare che aggiungendo il carico RL l’ammettenza YL non risulta più puramente immaginaria e, pertanto il vettore YO+YL non risulta più sovrapposto a YR. Per compensare ciò bisognerà scegliere una YS, sempre puramente induttiva, ma di valore maggiore (induttanza minore) rispetto al caso precedente, come si può desumere dalla costruzione grafica in figura. ℑ YO YI ℜ YR YL YF 52 Esiste anche una variante a base comune dell’oscillatore di Hartley, come mostrato in figura. Il circuito completo di rete di polarizzazione dell’oscillatore di Hartley in configurazione CB è il seguente: VCC RFC RFC CA R1 L1 R2 CB RFC RFC • • • RE CBE RL L2 CA evita che L1 cortocircuiti collettore ed emettitore CB porta la base a massa alla frequenza di lavoro CBE evita che L2 cortocircuiti l’emettitore a massa L’oscillatore di Hartley necessita di due induttanze esterne, mentre può essere preferibile limitare l’uso degli induttori che risultano ingombranti, costosi e poco accurati. In questi casi è conveniente una seconda configurazione di oscillatore detta di Colpitts . A tale configurazione si perviene aggiungendo tra collettore e base una induttanza (che risulta in parallelo alla capacità CT) scelta in modo che sia 53 ω o L << 1 ω o CT Si possono calcolare, adesso, come nel seguito indicato i parametri del quadripolo risultante L CT rb’e Cb’e gmvb’e YIt = βA = YR YF (YI + YS )(YO + YL ) RL 1 1 + jω (C b 'e + C 'T ) + rb 'e jω L 1 = g m − j ωC T − jω L ωL 1 1 YOt = jωCT + = j ωC T − jω L ωL YFt = g m − jωCT − 1 1 = − j ωC T + jω l ωL Nella figura seguente sono riportati i fasori che rappresentano i diversi parametri Y nell’ipotesi che YRt = − jωCT − risulti ω o L < 1 ω o (CT + C b 'e ) 1 e, di conseguenza, negativa la parte immaginaria di Yit On analogo procedimento al caso di Hartley scegliamo YS,YL in modo da sovrapporre i vettori: Yit+YS e Yot+YL rispettivamente a YFt e YRt ovvero, utilizziamo due capacità YL = jωC1 YS = jωC 2 Si ottiene in tal modo l’oscillatore di Colpitts ad emettitore comune. 54 ℑ YRtYFt YRt YL YFt YS ℜ YIt YOtYIt YOt L C1 RL C2 Il circuito completo di rete di polarizzazione dell’oscillatore di Colpitts in configurazione CE è rappresentato in figura: 55 La C in serie ad L serve per il punto di riposo Analogamente a quanto fatto per quello di Hartley si può costruire una versione dell’oscillatore di Colpitts a base comune come in figura: Il circuito completo di rete di polarizzazione dell’oscillatore di Colpitts in configurazione CB è il seguente: 56 2.2 Analisi e progetto di un Oscillatore di Colpitts Vogliamo dimensionare un oscillatore di Colpitts a base comune adottando alcuni accorgimenti che rendono la frequenza di oscillazione indipendente dalle caratteristiche del componente attivo (ovvero dai suoi parametri Y). Utilizziamo nello studio il Teorema di Scomposizione per individuare un anello e calcolare il relativo guadagno β A . Facciamo alcune ipotesi: Z in >> 1 ω 0 (C 2 + C1 ) 57 Questa ipotesi equivale a supporre trascurabile la corrente in Zin, ovvero a supporre la tensione Vin quasi uguale a quella che si avrebbe a vuoto ( Z in → ∞) . Sotto questa condizioni: Z p = R L // L // βA = 1 CS CS = C1C 2 C1 + C 2 Vr Vp Vin = V p I in = Vin C1 V p = Z in C1 + C 2 Z in I 2 = AI I in YF YL AI = YI (YO + YL ) − YR YF βA = C1 C1 + C 2 Vr = − I 2 Z p = − C1 V p AI Z p C1 + C 2 Z in C1 AI Vr =− Zp Vp C1 + C 2 Z in Facciamo ancora un’ipotesi: AI ≈ −1 Si tratta di un’ipotesi ragionevole, sia pure da verificare, poiché AI rappresenta il guadagno di corrente di un amplificatore a base comune. Supponiamo ancora che Zin sia reale, ovvero Z in = Re ∈ ℜ Anche questa ipotesi andrà poi verificata. Sotto queste ipotesi: βA ≈ C1 Z p C1 + C 2 Re Per avere ∠β A = 0 ⇒ β A ∈ ℜ ⇒ Z p ∈ ℜ Allora: βA = C1 R L C1 + C 2 Re f = f0 Zp è reale solo alla frequenza di risonanza f0=ω0/2π del gruppo LC ovvero 1 ω0 = ⇒ Z p = RL I LC S Tale frequenza (che impone la condizione sulla fase) risulta, pertanto, indipendente dalle caratteristiche del componente attivo. Perché si inneschi l’oscillazione, comunque, è necessario verificare anche la condizione sul modulo del β A . 58 Verifichiamo, adesso, se e sotto quali condizioni le ipotesi assunte strada facendo risultano verificate. Yin = YIb − YRbYFb YOb + YL YRb trascurabile → In prima approssimazione Yin ≈ YIb Ad esempio, nel caso del transistore 2N4957 alla frequenza di 100 MHz risulta Z in ≈ 20Ω e, inoltre, Zin ≈ 1/ YIb non è reale. Per far sì che l’ipotesi di lavoro utilizzata sia verificata possiamo aggiungere una Re in serie a Zin molto maggiore del modulo di quest’ultima, in modo tale che risulti: ' ' Z in ∈ ℜ Ad esempio: Re=200Ω Z Z in = Z in + Re ≈ Re Il guadagno d’anello diventa, allora: βA ≈ C1 RL C1 + C 2 Re Perché sia rispettata la condizione sul modulo del β A deve essere certamente R L > Re Perché risulti 1 << Re scegliamo: C1 = C 2 = 100 pF ⇒ C S = 50 pF e, di conseguenza: ω (C 2 + C1 ) L= 1 ≈ 50nH ω CS 2 0 Perché sia βA > 1 ⇒ RL > 400Ω Poichè il carico è, di norma, fissato dalle specifiche di progetto, se risulta R L < 400Ω bisognerà interporre una rete di trasformazione di impedenza per garantire un valore della resistenza vista maggiore di 400 Ω . Proviamo a fare una verifica interessante: calcoliamo l’impedenza vista da RL guardando verso l’uscita dell’oscillatore nelle condizioni di β A =1 . 59 Vin = VG Zv RL = VG IG IG = I2 + I p = I2 βA f = f = 0 C1 C1 + C2 Ip f = f= C1 RL C1 + C 2 Re =0 IG = − C1 VG C1 + C 2 Re VG = − C1 + C 2 Re C1 R L = β A ⋅ Re C1 + C 2 C1 R L = − β A ⋅ Zv RL β A ≈ 1 ⇒ Zv R L f = f0 = − RL Se sono verificate le condizioni di Barkhausen, allora RL vede un’impedenza d’uscita dell’oscillatore pari a –RL, ovvero l’impedenza totale della maglia di uscita, alla frequenza di oscillazione, risulta nulla. Il circuito dell’oscillatore di Colpitts completo della rete di polarizzazione è, pertanto, il seguente: 60 2.3 Autoregolazione dell’ampiezza Lo studio dei meccanismi attraverso i quali l’oscillazione, una volta innescatosi, dà origine ad un fenomeno di autoregolazione dell’ampiezza investe l’analisi del funzionamento non lineare del componente attivo ed è, pertanto, estremamente difficoltosa da condurre in senza l’aiuto di un simulatore circuitale evoluto. Possiamo, però, fornire in questa sede una descrizione intuitiva di tali meccanismi che non ha, certamente, alcuna pretesa di rigore. Supponiamo che l’oscillazione si sia innescata e che la VBE assuma un andamento sinusoidale di ampiezza crescente intorno al suo valor medio iniziale VBEQ come in figura: IB Punto di riposo VBEq VBE t Quando l’ampiezza dell’oscillazione supera il valore VBEQ-VT, essendo VT la tensione di soglia, la giunzione base-emettitore va in interdizione per una frazione crescente del periodo e, di conseguenza, la corrente IB risulta tagliata in basso come in figura. 61 Lo stesso accade per le correnti IC e IE. Questo fenomeno fa sì che il valor medio di tali correnti, inizialmente pari, rispettivamente, a IBQ, ICQ, IEQ, tenda a crescere. Poiché la componente di valor medio di una corrente non può attraversare, a regime, i condensatori di accoppiamento e bypass, essa deve richiudersi attraverso le maglie resistive causando una caduta in continua in eccesso rispetto a quella che si aveva a riposo. Per questo motivo la tensione di base VB tende a diminuire e quella di emettitore VE tende a crescere: in altri termini , la tensione VBE diminuisce. Si ottiene, in tal modo, un fenomeno di depolarizzazione della base e la retta intorno alla quale si sviluppa l’andamento di VBE tende a spostarsi verso sinistra, facendo sì che la frazione di periodo durante la quale il transistore è in zona attiva tenda a diminuire. Ci si potrebbe chiedere, a questo punto, per quale motivo si è supposto che la componente variabile della tensione VBE continui a presentare un andamento sinusoidale. La risposta sta nel fatto che, tale componente, essendo la base a massa per le variazioni, è dovuta alla componente variabile della tensione VE e, quindi, è una partizione della tensione ai capi del gruppo LCS alimentato dalla corrente pulsante IC ( si ricordi che la IC ha lo stesso andamento della IB). Se ipotizziamo, come è opportuno fare, che il gruppo RLLC sia caratterizzato da un elevato valore del fattore di qualità Q, ecco, allora, che le componenti armoniche della corrente IC , filtrate dal gruppo RLLC che risuona alla frequenza di oscillazione, non causano caduta di tensione apprezzabile su RL e solo la prima armonica contribuisce a tale tensione che risulta, pertanto, quasi sinusoidale. VB VE I B ↑⇒ V B ↓ I E ↑⇒ V E ↑ IE 62 VBE ↓⇒ I B 2.4 Oscillatori controllati in tensione Per ottenere un oscillatore la cui frequenza sia controllabile/modulabile mediante una tensione si utilizzano elementi circuitali che presentano una capacità variabile con la tensione di polarizzazione, ovvero, dei varicap. Esistono moltissime soluzioni circuitali di questo tipo: ne esaminiamo in dettaglio una tra le tante che prende il nome di Oscillatore di Clapp. VS rappresenta la tensione modulante (o di controllo), mentre l’induttanza RFC è un corto circuito alle basse frequenze ed è un circuito aperto alle radiofrequenze, pertanto, isola l’oscillatore vero e proprio dalla parte di controllo. Il diodo polarizzato in inversa attraverso la batteria E si comporta come una capacità variabile. Il gruppo LCV serie presenta una reattanza pari a jωL + L 1 − ω 2 LCV 1 − ω 2 LCV 1 = = − j jωCV jωCV ωCV Se CV CV : ωL > 1 ωCV allora si tratta di una reattanza induttiva e la configurazione risultante è quella di Colpitts a base comune con la possibilità di modulare tale reattanza mediante la tensione VS. Si ottiene, in definitiva, un oscillatore controllato in tensione o VCO (Voltage Controlled Oscillator). 63 Esaminiamo più in dettaglio come avviene la modulazione della capacità CV e, quindi della frequenza di oscillazione. Z→∞ RFC CA Ro RS VS E In continua la tensione ai capi del diodo è VCOQ = RL E. RL + RO Nel range di frequenze di VS , CA può essere considerato un corto circuito, pertanto al valore continuo della R0 VS RL + RO E’ questa componente variabile che modifica in maniera dinamica il valore di CV il quale riosulta VCQ si aggiunge una componente variabile VCOQ (t ) = legato alla tensione di controllo da una relazione del tipo di quella riportata nella figura Per piccole variazioni di VS si ottiene una modulazione “quasi” lineare della frequenza di oscillazione intorno alla frequenza centrale. 2.5 Oscillatori al quarzo Consideriamo l’oscillatore di Colpitts studiato in precedenza. Alla frequenza di risonanza f0 Alla frequenza di risonanza f0 abbiamo 1 = ω 0 L . Oltre a C1 e C2 ci sono altre componenti reattive ω0CS che contribuiscono a determinare il valore effettivo della reattanza capacitiva in parallelo a quella induttiva dovuta all’induttanza L. C’è da aggiungere, inoltre, che C1 e C2 sono note con una certa 64 indeterminazione a causa delle tolleranze di produzione e, per finire, il loro valore può dipendere dall’invecchiamento e dalle condizioni ambientali. X XL C1 CT Re RE C2 -XC f0 f Nella figura precedente è rappresentata la soluzione grafica che permette di individuare la frequenza di innesco. A causa, però, degli effetti appena citati, sulla capacità effettiva CS bisogna prevedere un certo grado di indeterminazione e di variabilità, pertanto, ciò che si può affermare è che con alta probabilità la curva che rappresenta la sua reattanza al variare della frequenza sarà contenuta tra due curve limite che da tali indeterminazioni e variabilità dipendono. La situazione è rappresentata nella figura seguente dalla quale si evince che anche la frequenza di oscillazione, piuttosto che essere un valore ben preciso, risulterà compresa tra un minimo e un masssimo. Infine, se anche l’induttanza presenta una certa variabilità il range che contiene la frequenza effettiva di innesco risulta ulteriormente allargato come si evince dalla figura seguente: 65 Se immaginiamo, adesso, di sostituire l’induttanza con un bipolo induttivo la cui reattanza varia molto velocemente nell’intorno di f0 la situazione è quella rappresentata in figura. Più ripido è l’andamento della reattanza equivalente induttiva, minore sarà l’effetto della indeterminazione e della variabilità della reattanza equivalente CS. Il risultato sarà un oscillatore con frequenza di innesco accurata e stabile. Queste caratteristiche possono essere riscontrate nei quarzi. Il quarzo è un materiale che presenta caratteristiche piezoelettriche. Applicando una forza tra due facce di un parallelepipedo di materiale piezoelettrico e, quindi, causando una micro deformazione, si rileva sulle facce ortogonali una differenza di potenziale. L’effetto piezoelettrico è reversibile, ovvero, applicando una tensione, si osserva una micro deformazione. Da un punto di vista elettrico, se si metallizzano due facce non contigue di un cristallo di quarzo e si applicano ad esse degli elettrodi, l’impedenza vista tra tali terminali è rappresentabile mediante il circuito equivalente semplificato in figura. In realtà nel quarzo reale sono presenti anche degli elementi in grado di 66 dissipare potenza media che andrebbero rappresentati aggiungendo delle resistenze al circuito semplificato di figura. L’impedenza ZQ vista ai capi è calcolata nel seguito. 1 1 Ls + C s 1 + LC S s 2 S CP s ZQ = = 1 1 LC S C P s 2 + (C P + C S )s Ls + + CS s CP s Z Q ( jω ) = 1 − LC S ω 2 C C jω (C P + C S )1 − L S P ω 2 CS + CP 1 LC S 1 E una frequenza di risonanza parallelo: ω P2 = C C L P S CP + CS Definiamo una frequenza di risonanza serie: ω S2 = 2 ω 1 − ω S Quindi: Z Q = ω 2 jω (C S + C P )1 − ω P Risulta sempre CP >> CS, (ad esempio CP = 103~105 CS) pertanto ωP, sebbene sempre maggiore di ωS, in realtà è molto prossima a quest’ultima. 67 Per ω→0: comportamento capacitivo, |Z| → ∞, circuito aperto ∠Z = − Tra ωS e ωP: comportamento induttivo, ∠Z = + π 2 Per ω→∞: comportamento capacitivo, |Z| → 0, corto circuito ∠Z = − π 2 , π 2 Se si tiene conto degli elementi di perdita, trascurati in precedenza, l’effettivo andamento del modulo e della fase di ZQ risultano modificati come in figura, ma, se ωS e ωP risultano molto vicine tra loro, l’effetto di garantire una frequenza di oscillazione dipendente quasi esclusivamente dalle caratteristiche del quarzo permane. 68 I quarzi possono essere realizzati a basso costo di produzione con accuratezza delle frequenze ωS e ωP molto elevate, stabili nel tempo e indipendenti dalla temperatura. Sostituendo all’induttanza un quarzo si possono realizzare, a basso costo, oscillatori con frequenza di risonanza affetta da errori estremamente bassi (poche parti per milione o anche meno). Un esempio circuitale è rappresentato in figura. L’aggiunta di una capacità variabile consente di effettuare un tuning molto fine nell’intervallo tra ωS e ωP. I quarzi sono disponibili sul mercato per frequenze di risonanza da alcune centinaia di KHz fino al centinaio di MHz. Oscillatori al quarzo in ambiente termostatato permettono stabilità in frequenza di frazioni di parti per milione o di qualche parte per miliardo (10-9). 69 Capitolo 3 Mixer Un mixer è un sistema che, alimentato da due o più segnali in ingresso, presenta in uscita un segnale contenente prodotti non lineari dei segnali di ingresso. In generale il segnale di uscita può essere rappresentato da una somma di termini ciascuno dei quali è una potenza di ordine diverso della combinazione lineare dei segnali di ingresso. Nella sua realizzazione più semplice le porte di ingresso sono due e l’uscita contiene un solo termine proporzionale al prodotto tra i due segnali applicati agli ingressi. Per motivi “storici” e in dipendenza da quella che risulta essere l’applicazione più frequente del mixer nei sistemi a radiofrequenza, le due porte di ingresso prendono il nome di “porta a radiofrequenza” e “porta dell’oscillatore locale”, mentre quella di uscita prende il nome di “porta a frequenza intermedia”. In figura è rappresentata l’applicazione classica del mixer utilizzato per traslare in basso la frequenza del segnale ricevuto dall’antenna di un ricevitore. LNA R.F. MIXER O.L. F.I. VRF (t ) = VRFM cos(ω RF t ) VOL (t ) = VOLM cos(ω OL t ) O.L . VFI (t ) = ∑ a n,m cos(nω OL − mω RF )t n ,m Il mixer “mescola” i 2 segnali di ingresso in maniera non lineare producendo segnali a frequenze diverse, fra cui f FI 1 = f RF − f OL ed f FI 2 = f RF + f OL . Se l’obiettivo è quello di traslare in basso il segnale ricevuto dall’antenna, si selezionerà la frequenza fFI1 alla quale daremo nel seguito il nome di “frequenza intermedia”. Consideriamo il caso di un segnale VRF(t) modulato in ampiezza a doppia banda laterale (DSB) con portante fRF , applicato all’ingresso a radiofrequenza del mixer e sia f OL la frequenza del segnale monocromatico applicato sulla porta dell’oscillatore locale. Il risultato è la traslazione dello spettro alla frequenza differenza e alla frequenza somma (quest’ultima non rappresentata in figura). 70 f FI f RF f OL f V RF (t ) = V AM [1 + m a x(t )]cos(ω RF t ) Vediamo più in dettaglio e con qualche esempio come una non linearità possa dare origine al termine prodotto. A tal fine supponiamo che il mixer si comporti come un sistema senza memoria ovvero la cui tensione di uscita xu(t) all’istante t dipende solo dal valore assunto allo stesso istante dalle tensioni di ingresso xi(t) e non dai valori assunti negli istanti precedenti. Nel caso di due soli ingressi, x1 e x2, immaginando di poter approssimare con una espansione polinomiale la dipendenza non lineare di xu(t) dagli ingressi potremo scrivere: xu = a1 ( x1 + x2 ) + a 2 ( x1 + x2 ) 2 + a3 ( x1 + x2 ) 3 + ... Nel caso più semplice di due soli segnali di ingresso VRF e VOL con VRF (t ) = VRFM cos(ω RF t ) VOL (t ) = VOLM cos(ωOLt ) xi = V RF (t ) + VOL (t ) sviluppando il termine quadratico si ottiene: 2 2 V RF VOL V V M a2 x = a2 (1 + cos(2ω RF t )) + M (1 + cos(2ω OL t )) + 2 RFM OLM cos((ωOL − ω RF )t ) + cos((ωOL + ω RF )t ) 2 2 2 2 i Un circuito che realizza in maniera estremamente semplice questo risultato è il FET, grazie alla sua caratteristica parabolica. Nel seguito è rappresentato un mixer a FET nel quale il gruppo LC è dimensionato in modo da risuonare alla frequenza fFI= (ωOL − ω RF ) /2π. Si osservi che in continua risulta VGSo = − E , mentre la tensione gate-source è data da VGS (t ) = − E + V RF (t ) − VOL (t ) nell’ipotesi che la capacità CA si comporti come un corto circuito alla radiofrequenza e l’induttanza di blocco come un circuito aperto. Sotto queste condizioni la corrente di drain, fornita dalla ben nota equazione parabolica per VGS compreso tra 0 e la tensione di pinch-off VP, contiene un termine dipendente dal quadrato della differenza tra VGS(t) e VOL(t). 71 ID IDSS VD VP V I D = I DSS 1 − GS VP ID = 2 ( I DSS 2 VP − 2VGSVP + VGS2 VP2 ) Sviluppando il doppio prodotto si ottiene: − 2V RFM VOLM 1 [cos((ω OL + ω RF )t ) + cos((ωOL + ω RF )t )] 2 L’ampiezza della componente a frequenza intermedia f FI = f OL − f RF risulta essere data da: VFI M = I DSS VRFM VOLM RL . V P2 3.1 Parametri caratterizzanti In generale un mixer si caratterizza mediante un certo numero di parametri. Il più importante è il Guadagno di Conversione GC (o il suo inverso: la perdita di conversione CL) definito come il rapporto tra la potenza della componente a frequenza intermedia e la potenza disponibile del segnale a radiofrequenza: GC = PFI PARF 72 Si noti che PFI non rappresenta tutta la potenza che si misura sulla porta a f FI sulla quale sono presenti anche altre componenti frequenziali oltre a quella a fFI, ma solo quella dovuta a quest’ultima componente. Nel caso del FET prima esaminato: I DSS V RFM VOLM R L ) 2 2 VP PFI = 2 RL ( PARF = 2 V RF M GC = 4 8 RS 2 2 I DSS VOL M VP4 RL RS Si osservi che il guadagno di conversione non dipende dal segnale a radiofrequenza e, pertanto, la componente a frequenza intermedia, a VOLM costante, risulta proporzionale, secondo la costante GC, a quella a radiofrequenza, ovvero PFI = GC PARF A radiofrequenza si usa esprimere la potenza in dB milliwatt (dBm = 10 volte il logaritmo della potenza misurata in milliwatt). In tal caso si ottiene PFI dBm = 10 LogPFI [mW ] = 10 LogGC + 10 LogPARF [mW ] = GC Se si riporta su un grafico PFI dBm in funzione di PARF dBm dB + PARF dBm si ottiene l’andamento descritto in figura: 10 log(PFI [mW ]) 1W→0dB 1000mW→10log103→30dBm 10dB / dec GC dB ( ) 10 log PARF [mW ] Un altro parametro importante è il punto di compressione a 1 dB (o 1dBCP) che si ricava attraverso il seguente esperimento: si alimenta la porta a radiofrequenza con un segnale di ampiezza via via 73 crescente e, ogni volta, si misura la potenza a frequenza intermedia; il risultato delle misure si riporta in grafico (linea continua in figura). Il grafico costruito per via sperimentale presenta una deviazione dall’andamento lineare previsto. Il punto di compressione a 1 dB è il valore della potenza disponibile a radiofrequenza in cui la curva sperimentale si discosta di 1 dB dall’andamento lineare a tratteggio. 1dB 1dBCP Di fatto è come se GC, da un certo valore di PARF in poi, cominciasse a diminuire. Si tratta di un effetto in genere dovuto a non linearità di ordine superiore i cui effetti, oltre un certo livello del segnale a radiofrequenza, non possono più essere trascurati. Di norma il mixer viene usato con una PARF tale da mantenere il funzionamento al di sotto del punto di compressione (da 3 a 6 dB sotto 1dBCP). Isolamento. Un altro parametro, o meglio una famiglia di parametri, e l’Isolamento che fornisce anch’esso una misura dello scostamento da un comportamento ideale. Il mixer si usa prevalentemente per traslare un segnale ad una frequenza desiderata e, su ciascuna porta è desiderabile avere, per diversi motivi, soltanto la componente che a quella porta compete. In realtà, ciò non accade (si pensi a tutte le componenti diverse da quella a frequenza intermedia presenti sulla porta a fFI). L’isolamento fornisce una misura della deviazione da questo comportamento ideale. 74 . MIXER R.F. F.I. O.L. Si possono definire fino a 6 tipi di isolamento, anche se, sostanzialmente, solo 3 sono di effettivo interesse. Cominciamo col definire l’isolamento I RFFI della porta a RF sull’uscita a FI come il rapporto tra la potenza disponibile a radiofrequenza e la potenza della componente a radiofrequenza PA sulla porta a FI: I RFFI = 10 log RF PRFFI Gli altri due isolamenti di interesse sono I OLFI , I OLRF definiti, con ovvio simbolismo, dalle seguenti relazioni: P ARF P OLFI I OLFI = 10 log PA I OLRF = 10 log OL POLRF POLFI è la potenza della f OL misurata sulla porta a FI POLRF è la potenza della f OL misurata sulla porta a RF L’effetto dell’OL sulla porta a RF può essere particolarmente “fastidioso” nei ricevitori in quanto rappresenta una componente alla frequenza dell’oscillatore locale che “fluisce” verso l’ingresso del ricevitore. Poiché quello dell’oscillatore locale è sempre un segnale di notevole potenza (anche qualche decina di dBm) di fatto un isolamento non infinito, nei confronti di questa componente, può essere indice di un segnale che viaggia in direzione dell’antenna e che da questa può essere irradiato con ovvie conseguenze negative in termini di interferenze e inquinamento elettromagnetico. Il costruttore del mixer fornisce questi parametri all’interno di range frequenziali ben determinati per le tre porte. Ciascun isolamento viene misurato in condizioni ben specificate. In figura è rappresentata la configurazione circuitale per la misura di IRFFI: 50Ω + VRF - MIXER 50Ω O.L . 75 In uscita a frequenza f RF si osserva una componente di V ampiezza RFM dalla quale si ricava PRFFI 3.2 Mixer a moltiplicatore Invece che utilizzando una non linearità, l’operazione di mescolamento (o mixaggio, con un brutto neologismo) si può realizzare mediante dei moltiplicatori. Il caso più frequente è quello della moltiplicazione per un’onda quadra q(t) che ha frequenza fondamentale pari a fOL. In figura è rappresentata q(t) insieme col suo sviluppo in serie di Fourier. q(t) 1 ω0 = 2π T0 t q (t ) = ∞ 1 +∑ 2 n =1 π sin n 2 T0 n π con (nω 0t ) 2 Il circuito in figura permette di ottenere in uscita una tensione proporzionale al prodotto di VS(t) per l’onda quadra q(t): Immaginiamo di aprire e chiudere il tasto con periodo T0 π sin n ∞ RL 1 2 +∑ vu (t ) = VS con(nω 0 t ) π R L + R S 2 n =1 n 2 Per ottenere il risultato è necessario che il tasto sia comandato da un fenomeno periodico all frequenza dell’oscillatore locale. Si può ottenere il risultato col circuito rappresentato nella figura seguente che assume il nome di Mixer a diodi singolarmente bilanciato. VOL è una tensione periodica di forma qualunque purchè di ampiezza sufficiente a mandare alternativamente in conduzione o in interdizione i diodi. Nel semiperiodo in cui VOL è alta, considerando Vγ=0 (trascurabile), tutti e quattro i diodi conducono ed è come se il tasto fosse chiuso, nell’altro semiperiodo risultano interdetti ed è come se il tasto fosse aperto. Nel seguito si effettuerà il calcolo del guadagno di conversione e l’isolamento per questo mixer. : 76 PFI PARF GC = con RS=RL=50Ω V RF (t ) = V RFM cos (ωRF t ) 1 2 V FI (t ) = V RF (t )q (t ) PFI = V RF2 1 V RFM 2 cos (ω 0 − ω RF 2 4 π ) ω0 = 2π T0 M 4 ⋅ 2π 2 R L P ARF = GC = V FI M = V RF2 M 8R S V RF2 M 8R S 2 2 4 ⋅ 2π R L V RF M = 4 π2 ≅ 0.1 Solo il 10% della potenza a radiofrequenza viene convertita a FI: il GC è basso! Se adesso calcoliamo l’isolamento della radiofrequenza sulla porta a frequenza intermedia otteniamo V RF −FI = V RFM 4 I RF −FI = P ARF PRF −FI = V RF2 16 ⋅ 2R L M =4 8R S V 2 RF M ¼ della potenza disponibile a RF si ritrova in uscita sulla porta a FI. L’isolamento è scadente e corrisponde al fatto che una aliquota significativa della potenza a radiofrequenza non viene convertita, ma ricompare in uscita. Per migliorare le prestazioni di questo mixer sia in termini di 77 guadagno che di isolamento, si utilizza una configurazione opportunamente modificata in cui compare un’onda quadra bipolare (con valor medio nullo) a differenza di quella unipolare con valor medio ½ utilizzata prima. E’, infatti, la presenza della componente continua nello sviluppo di q(t) a degradare l’isolamento. 3.2.1 Mixer a diodi doppiamente bilanciato Si tratta di una delle configurazioni più frequentemente utilizzate, quanto meno in realizzazioni ibride (non integrate). In essa la moltiplicazione per l’onda quadra bipolare rappresentata in figura π sin n 2 q q (t ) = 2 ∑ cos(nω0t ) ∞ n =1 n π 2 è ottenuta con lo schema circuitale di principio seguente V FI (t ) = V RF (t ) RL RL + RS 1 2 q q (t ) = V RF (t )q q (t ) A cui corrisponde un’ampiezza della componente a frequenza intermedia pari a V FI M = V RF M 211 2 π 22 PFI = V RF2 M 2π 2 R L E, quindi un guadagno di conversione pari a: GC = V RF2 2 M 8R S 2 2π R L V RF M = 4 π2 ≅ 0.4 In questo caso tutti e tre gli isolamenti di interesse risultano, nel caso ideale, infiniti. Mentre il mixer precedente era bilanciato solo nei riguardi dell’OL (singolarmente bilanciato), questo lo è sia nei riguardi dell’OL sia nei riguardi dell’RF (doppiamente bilanciato). La realizzazione circuitale sfrutta un ponte a diodi come in figura 78 1 D RL RS 2:1 2 1:2 C VRF A VOL 4 3 B RL + VFI - I diodi conducono a coppie per effetto del segnale di comando sulla porta dell’oscillatore locale. Quando VOL è nel semiperiodo positivo conducono i diodi 2 e 3 (VA=VB), mentre i diodi 1 e 4 sono interdetti (VFI=VCB). Quando VOL è nel semiperiodo negativo conducono i diodi 1 e 4 (VD=VA), mentre i diodi 2 e 3 sono interdetti (VFI=VCD) A parte un coefficiente moltiplicativo, il segnale viene trasferito sulla porta a FI per metà periodo col suo segno e per metà perido cambiato di segno. Dal punto di vista del primario (porta a RF) esso vede sempre sul secondario una resistenza RL in entrambe i semiperiodi. La resistenza RL viene riportata sul primario moltiplicata per il quadrato del rapporto spire. Nel seguito, con ovvio simbolismo, sono riportati i passaggi che conducono al calcolo del guadagno di conversione. 4 5 2 = V RFM 5 V 1M = V RF M V 2M 2 5 V FI M = V RF M 2 21 4 = V RF M π 2 5π GC = trasformatore della porta RF: essa viene moltiplicata per l’onda quadra e si ritrova ai capi Pertanto: V RF2 V2M è l’ampiezza della tensione sul secondario del del carico RL sulla porta a FI. M 25π 2 16 8R S 64 1 = ≅ ⇒ −6dB 2 2 2R L V 4 25π RF M Questo tipo di mixer in configurazione ibrida trova applicazione fino a diversi GHz. Si possono trovare le caratteristiche funzionali di diverse famiglie di mixer basati su questa topologia sul sito: www.minicircuits.it. 79 CAPITOLO 4 RICEVITORI Un ricevitore radio è un sistema in grado di ricevere, amplificare e demodulare un segnale radio avente caratteristiche prefissate in termini di occupazione di banda e di schema di modulazione, all’interno di una o più gamme (intervalli) di frequenza. Per fare ciò il ricevitore deve essere in grado almeno di: 1) ricevere il segnale elettromagnetico mediante un’antenna; 2) amplificarlo mediante un amplificatore a radiofrequenza con cifra di rumore adeguata; 3) filtrare il singolo canale che si desidera ricevere, introducendo una attenuazione di livello adeguato nei confronti di tutti gli altri segnali; 4) demodularlo estraendo dal segnale modulato le stesse informazioni contenute nel segnale in banda base prima della sua modulazione e trasmissione. 4.1 Ricevitore supereterodina L’architettura ampiamente più diffusa della parte frontale (dall’antenna al demodulatore) di un ricevitore è quella nota come Supereterodina che risolve nella maniera più economica e tecnologicamente abbordabile il problema dell’elevata selettività richiesta in molte applicazioni. Per selettività si intende la capacità del ricevitore di trattare il segnale che si desidera ricevere in maniera “differenziata” da quelli che, invece, costituiscono interferenza e, pertanto, dovrebbero essere idealmente eliminati. Questa architettura, affermatasi fin dagli inizi dello sviluppo della radio, fu ideata da Lucien Levy nel 1917 ma fu brevettata da Edwin Howard Armstrong nel 1918. Questi fece sua l'idea di Levy che solo nel 1928, dopo una lunga vertenza giudiziaria, venne riconosciuto come legittimo inventore. L'utilizzo di una batteria di filtri a frequenza fissa, uno per ciascuna delle “stazioni” che si vogliono ricevere, sarebbe antieconomico e fornirebbe un numero limitato di stazioni ricevibili. D'altro canto realizzare un solo filtro a frequenza variabile che copra tutto lo spettro radio sarebbe troppo difficile e costoso (specialmente con le tecnologie disponibili agli albori della radio). Sì pensò, quindi, fin dagli inizi ad un sistema in grado di convertire le frequenze ricevute ad una 80 frequenza fissa chiamata frequenza intermedia fFI alla quale operano tutti i circuiti di filtraggio e demodulazione successivi. Questo risultato si ottiene utilizzando un mixer e scegliendo opportunamente la frequenza fOL con il quale far “battere” il segnale ricevuto applicandola sulla porta del mixer riservata all’oscillatore locale. Posizionando intorno alla frequenza fFI un filtro selettivo, sarà poi possibile filtrare il segnale desiderato, eliminando tutti quelli che si trovano fuori dalla banda del filtro. Per ottenere lo stesso risultato sarebbe, altrimenti, necessario utilizzare un filtro passa banda con frequenza centrale pari a fRF da posizionare subito dopo l’antenna o il LNA (v. figura). Questa seconda soluzione è estremamente difficile e più costosa da realizzare. È, infatti, molto complicato dal punto di vista tecnologico, realizzare filtri altamente selettivi (ad alto fattore di qualità) che presentino, al contempo, frequenza centrale variabile. Filtro passa-banda Tanto per fissare le idee, immaginiamo di voler selezionare un singolo canale per una comunicazione secondo il più diffuso standard di telefonia mobile: il GSM. In questo caso la larghezza di banda di un canale è 200 KHz , mentre la frequenza centrale può essere intorno ai 2 GHz. Per ottenere il risultato sarebbe necessario un filtro a frequenza variabile su tutta la gamma di frequenze assegnata al segnale (da 30 a 60 MHz a seconda degli standard) con Q=10.000: si tratta di una soluzione non realizzabile in pratica a causa del limite non superiore a qualche centinaio del fattore di qualità di componenti reattivi (induttanza o capacità) di valore variabile. Quindi, invece di spostare il filtro sulle frequenze volute si fa la cosa opposta: si trasla il segnale a bassa frequenza dove può essere filtrato più agilmente. Per traslare il segnale lo si moltiplica per un’oscillazione a frequenza opportuna in modo che uno dei prodotti della moltiplicazione (tipicamente il segnale a frequenza differenza) cada in corrispondenza della frequenza intermedia prescelta. Infatti, gli oscillatori variabili sono più facilmente realizzabili dei filtri a frequenza variabile. Lo schema base di un ricevitore supereterodina è rappresentato in figura 81 LNA MIX AFI OL Questa architettura, ampiamente la più diffusa da quasi 90 anni, introduce, però, un problema: quello della frequenza immagine. Infatti, sia il canale che si desidera ricevere, sia qualunque altro interferente situato in posizione simmetrica a questo, rispetto alla frequenza dell’oscillatore locale, vengono traslati, per effetto della moltiplicazione, in corrispondenza della frequenza intermedia. Per comprendere meglio il problema conviene descrivere un esempio specifico e fare riferimento ad uno standard relativo ad un servizio esistente. Utilizziamo, a questo fine, lo standard per la radiodiffusione in modulazione di ampiezza ad onde medie. Al servizio è destinata la banda che va da 540 kHz ÷ 1.6 MHz, sulla quale sono identificati 106 canali distanzianti di 10 KHz. Ciascun canale “ospita” un segnale a radiofrequenza modulato in ampiezza da un segnale audio la cui banda va da 300 Hz a 4.5 kHz (v. figura). Per selezionare un singolo canale si dovrebbe disporre di un filtro con frequenza centrale variabile nel range [540 kHz ÷ 1.6 MHz] dotato di un fattore di qualità: Q ≅ f 0max B f RF = 1.6MHz > 160 10kHz Un dispositivo di questo tipo risulterebbe irrealizzabile oppure estremamente costoso. Si adotta, pertanto la soluzione supereterodina. Per ottimizzare la realizzazione del filtro a frequenza intermedia, le associazioni di costruttori hanno deciso di utilizzare tutti la stessa frequenza 82 intermedia: fFI = 455 kHz . Si è ottenuta, in tal modo, una forte riduzione dei costi dovuta all’ovvio effetto di una economia di scala. 4.1.1 Problema della frequenza immagine Vediamo, adesso, in cosa consiste il problema della frequenza immagine fIM. Il mixer oltre a traslare il canale a fRF a frequenza fFI = fOL-fRF trasla nella stessa posizione sull’asse delle frequenze anche il segnale a frequenza fIM tale che fIF = fIM - fOL. (v. Figura) Pe risolvere il problema, basta inserire, prima del mixer, un filtro che introduca una attenuazione adeguata in corrispondenza della frequenza immagine a 1450 kHz. L’architettura del front end viene, dunque, modificata come in figura: LNA MIX AFI OL Il filtro per la frequenza immagine (di norma denominato “filtro a radiofrequenza” per distinguerlo da quello contenuto nell’amplificatore a frequenza intermedia detto anche “filtro di canale”) deve avere selettività adeguata e attenuare la fIM di una quantità che varia da una trentina ad una settantina di dB, a seconda delle applicazioni. Esso deve essere “accordato” con l’oscillatore locale e variare la sua frequenza centrale di pari passo a quella generata da quest’ultimo. Gli intervalli (o gamme di frequenza) occupati dal segnale 83 a radiofrequenza, dall’oscillatore locale e dalla frequenza immagine, sono riportati con ovvio simbolismo in figura. BIM BOL BRF fFI = 455 kHz 540 995 1450 1600 2055 2510 fRF є 540 ÷ 1600 kHz : BRF fOL є 995 ÷ 2055 kHz : BOL fOL = fRF + fFI fIM є 1450 ÷ 2510 kHz : BIM fIM = fOL + fFI Come si può osservare, l’intervallo della radiofrequenze (BRF ) e quello della frequenza immagine (BRF) sono parzialmente sovrapposti e questo impedisce, sia pure a livello teorico, di utilizzare un filtro a frequenza fissa con banda passante corrispondente all’intervallo BRF in Figura e banda bloccata corrispondente all’intervallo BIM. Nel caso in cui la frequenza intermedia fosse risultata abbastanza elevata da fari si che i due intervalli risultassero sufficientemente lontani, il filtro a radiofrequenza avrebbe potuto essere a frequenza fissa. Per quanto riguarda il filtro a radiofrequenza, le realizzazioni più semplici prevedono l’utilizzo di una topologia del tipo in Figura Dove la capacità variabile era ottenuta, in tempi passati, modificando, mediante la rotazione di una manopola di sintonia, la geometria di un condensatore ad armature piane, attualmente con l’utilizzo di un varicap. In ambedue i casi, comunque, risulterebbe difficile ottenere dei valori del fattore di qualità QV > 30. Valori del fattore di qualità significativamente più elevati possono essere ottenuti nel caso di filtri a parametri concentrati (L/C/R) a frequenza centrale fissa: QF ~ 100 ÷1000. Molto meglio si può fare 84 con filtri monolitici, come quelli al quarzo, che permettono di superare agevolmente il valore di 1000. 4.1.2 Architettura supereterodina a doppia conversione Sembrerebbe risolto, con il ricevitore supereterodina e l’utilizzo del filtro a radiofrequenza, il problema della ricezione selettiva del canale. Le cose, invece, non stanno esattamente così poiché la scelta della fFI può comportare delle complicazioni. Facciamo, ancora una volta, riferimento ad un caso reale: il servizio di comunicazione tra stazione a terra e aeromobili. A questo servizio è assegnata la banda la banda 117 ÷ 136 MHz. La banda destinata a ciascun canale è pari a 10 kHz. Immaginiamo di disporre di filtri RF a Q variabile con un Q massimo pari a QV = 30 e filtri a frequenza centrale fissa con QF = 100 . Lo schema del front end supereterodina è quello seguente: QV QF LNA MIX Elimina la fIM AFI OL La frequenza intermedia fFI è legata al fattore di qualità del filtro AFI e alla larghezza di banda del singolo canale Bch. QF = f FI ⇒ f FI = QF Bch = 100 × 10kHz = 1MHz Bch Dovremmo, quindi, per ricevere le frequenze nell’intervallo [117 ÷ 136] MHz, traslare il canale da ricevere a 1MHz. La banda coperta dall’OL sarà [118 ÷ 137] MHz e l’intervallo delle frequenze immagine sarà [119 ÷ 138] MHz. Quanto appena detto è schematizzato nella figura seguente: BIM BOL fFI f(MHz) 1 117 118 119 85 136 137 138 Gli intervalli di frequenza della delle fIM e della fRF si sovrappongono: per questo è necessario utilizzare un filtro a RF con frequenza centrale variabile il quale presenterà, però, un Qmax = 30. In tal caso la banda passante BFRF sarà ricavabile come segue: QV = f RFmax BFRF ⇒ BFRF = f RFmax QV = 136MHz = 4.5MHz 30 Pertanto la fIM che si trova a 138 MHz, quindi dentro la banda del filtro RF, e non viene attenuata, mentre si desidera, tipicamente, introdurre un’attenuazione della fIM di almeno 40dB. Il problema si risolve modificando la struttura proposta nella maniera rappresentata in Figura dove è rappresentata una architettura del tipo “a doppia conversione”. Il principio di funzionamento è descritto nel seguito. Si passa, utilizzando un mixer ed un oscillatore locale a frequenza variabile, ad una prima frequenza intermedia, superiore rispetto a quella finale alla quale si realizza il filtraggio di canale. Quindi si opera una seconda traslazione tra la prima e la seconda frequenza intermedia utilizzando un oscillatore locale a frequenza fissa. Il fatto che fFI1 sia molto maggiore di fFI2 permette di “allontanare” la frequenza immagine della prima conversione così da poter ridurre la selettività richiesta al filtro a RF. . fc LNA fRF MIX1 AFI1 fFI1 OL1 MIX1 AFI1 fFI2 OL2 Vediamo un possibile dimensionamento dei blocchi del front end. In uscita dall’AFI2 , centrato sulla frequenza centrale fFI2, avremo il canale che si desidera ricevere. Il valore di questa frequenza intermedia è fissato dalla relazione: f FI 2 = QF ⋅ Bch = 1MHz (con QF=100). La prima frequenza intermedia fFI1 si ricava imponendo che la frequenza immagine della prima conversione fIM1 sia “sufficientemente lontana dal canale che si desidera ricevere centrato su fRF. Per esempio: f IM1 = 1.5 ⋅ f FRF = 204 MHz 86 (si è assunto f FRF = 136 MHz che è la situazione peggiore). fFI f fRF fOL fIM L’oscillatore locale si troverà a metà strada tra fRF e fIM f − f IM 204 − 136 f FI1 = RF = MHz = 34 MHz . Esso deve coprire un intervallo di frequenze tra fOLmin 2 2 e fOLmax fOLmin = 117 + 34 = 151MHz fOLmax = 136 + 34 = 170 MHz L’oscillatore locale 2 produrrà una frequenza fissa pari a 35MHz: esso deve permettere la traslazione di segnale in posizione fissa a 34MHz(fFI1) e lo portarlo a 1MHz. Potrebbe ancora verificarsi il problema della frequenza imagine sulla seconda conversione: è opportuno verificare che ciò non accada. Il filtro AFI1 deve essere in grado di reiettare la seconda frequenza immagine fIM2. E’ un filtro a frequenza fissa con BAFI1 = 340kHz = f FI1 Q = Q > 100 pertanto 34MHz 100 La fIM2 è chiaramente fuori dalla banda del filtro che presenterà dei fianchi molto ripidi (Q>100) e, pertanto verrà pesantemente attenuata. Per una valutazione esatta bisognerebbe, comunque, conoscere con precisione la tipologia e l’ordine del filtro utilizzato. f 1 34 35 36 Potrebbe accadere ( anche se è estremamente raro) che due conversioni non siano sufficienti, in tal caso si può arrivare a 3 o più. L’attuale disponibilità di filtri monolitici a frequenza centrale fissa e a basso costo scongiura, di fatto, questa eventualità. 87 4.2 Filtri monolitici passivi Esistono diverse tecnologie per realizzare filtri a frequenza fissa con caratteristiche particolarmente spinte in termini di selettività. Fra queste la più diffusa, anche per il costo abbastanza contenuto, è quella basata sull’utilizzo di cristalli di quarzo opportunamente sagomati. Il materiale utilizzato ha caratteristichistiche piezoelettriche, ovvero a fronte dell’applicazione di una tensione tra due facce di un parallelepipedo il materiale piezoelettrico presenta una microdeformazione e, viceversa, se, applicando una forza opportuna si causa una deformazione, allora si osserva su direzioni ortogonali a quelle della deformazione, una differenza di potenziale. Si tratta, di fatto, di un sistema in grado di trasformare sollecitazioni elettriche in meccaniche e viceversa. La struttura di un filtro al quarzo è rappresentata in maniera schematica in figura. + + Vin Vu La sollecitazione meccanica causata dall’applicazione di una tensione variabile Vin tra due metallizzazioni deposte ad una estremità del cristallo di quarzo, si propaga attraverso lo stesso e viene rilevata tra due placche metalliche poste all’altra estremità sotto forma di tensione variabile Vu. - - Il comportamento del sistema è molto selettivo in frequenza ed il modulo della risposta Vu/Vin ha un andamento del tipo rappresentato in figura. I filtri al quarzo, da unto di vista elettrico, possono essere schematizzati con una rete a scala in cui i tratti orizzontali sono costituiti da circuiti risonanti serie e quelli verticali da circuiti risonanti parallelo, ambedue alla stessa frequenza di risonanza f0. LS CS CS LS + . + Vin LP Vu CP - - 88 Il filtro viene caratterizzato inserendolo RS + Vout VS in un circuito del tipo in figura con RS = RL= 50Ω RL - In corrispondenza di f0 un filtro ideale dovrebbe fornire un valore dell’asttenuazione pari a 0 dB ovvero un guadagno di trasduttore GT = 1. In realtà si hanno perdite dell’ordine di 1 dB per i filtri al quarzo e di 2-4 dB per i filtri ceramici (una tipologia molto simile, ma con prestazioni inferiori a fronte di un minor costo). I filtri ceramici si trovano in commercio da 100 kHz fino a qualche decina di MHz mentre quelli al quarzo hanno un range più ampio, da 100 kHz fino a oltre 100 MHz. Il fattore di qualità Q definito come rapporto tra la frequenza centrale e la banda passante è, al massimo, di qualche centinaio per i filtri ceramici e di qualche migliaio per quelli al quarzo. Sebbene abbiano dimensioni di pochi millimetri non sono compatibili con le tecnologie di fabbricazione dei circuiti integrati e, pertanto, non sono integrabili. Quindi l’uso di un filtro al quarzo nella catena di ricezione costringe ad uscire fuori dal chip, filtrare e rientrare. Si hanno così costi elevati di realizzazione, consumo di potenza per pilotare i circuiti capacitivi connessi alla presenza dei pad di ingresso e uscita dal chip e, inoltre, un aumento delle dimensioni ed una riduzione dell’affidabilità. Tabella riassuntiva Perdite Frequenze (Hz) Qmax Prezzo Al quarzo 1 dB 105 ÷ 108 2000 ~€ Ceramici 3-4 dB 105 ÷ 106 500 ~ 0.50 € Un’altra tipologia di filtri monolitici per radiofrequenza è quella dei Filtri SAW (Surface Acustic Wave) . Si tratta di blocchi di materiale piezoelettrico su cui sono realizzate metallizzazioni con opportune geometrie interdigitate che permettono di ottenerere una risposta in frequenza selettiva e sagomata in maniera particolare. Sono disponibili in commercio fino a frequenze di qualche GHz.. 4.3 Parametri caratterizzanti di un ricevitore I principali parametri che caratterizzano il front end di un ricevtore sono elencati e brevemente descritti nel seguito. Selettività: misura la capacità del ricevitore di reiettare i canali indesiderati. 89 Si misura come segue: con un generatore si impone un certo segnale a frequenza fRF e si rileva la potenza in uscita dall’AFI in condizioni di perfetta sintonia (potenza massima in uscita). Quindi, mantenendo la sintonia dell’oscillatore locale si varia la frequenza del segnale in ingresso di una quantità ∆f e si rileva la nuova potenza del segnale in uscita dall’AFI senza modificare la sintonia. Adesso il segnale in uscita all’AFI non è più centrato su fFI, ma spostato di una quantità pari a ∆f e, di conseguenza, l’uscita risulta attenuata rispetto al caso precedente.. La selettività è data dal rapporto, espresso in dB, di queste due potenze rispetto al ∆f (ad es: 30dB a 100kHz). Sensibilità: è la potenza disponibile in ingresso che garantisce un rapporto segnale-rumore prefissato sull’uscita a frequenza intermedia. S FI =R N FI In uscita dall’AFI si ha un segnale a cui è sovrapposto del rumore. Il segnale è intelligibile se il rapporto segnale-rumore è maggiore di una certa soglia. Un valore abbastanza frequente di tale soglia può essere 10. Variando l’ampiezza del segnale in ingresso si cerca il valore in corrispondenza del quale il rapporto segnale-rumore in uscita è proprio quello voluto (ad es:10). La potenza disponibile corrispondente a tale ampiezza stabilisce la sensibilità. SiRF Cifra di rumore: con ovvio simbolismo si definisce come segue NFRIC = su FI NiRF Nu FI Reiezione alla frequenza immagine Si definisce con un esperimento. Si mette in ingresso un generatore di segnale a frequenza fRF. Si sintonizza l’OL e si misura la potenza sull’uscita a frequenza intermedia PFIRF. Senza cambiare la sintonia si manda in ingresso un segnale alla frequenza immagine fIM si rimisura il nuovo valore della potenza sull’uscita a frequenza intermedia PFIIM. 90 P - Si definisce la reiezione alla frequenza immagine come 10 ⋅ log FIRF . PFIIM Allo stesso modo si opera inviando in ingresso, invece che la frequenza immagine, quella intermedia fFI. Si definisce, con ovvio simbolismo la reiezione alla frequenza intermedia come P 10 ⋅ log FIRF PFIFI . Il fatto che la fFI sia presente sull’uscita a frequenza intermedia è dovuto ad un cattivo isolamento della porta a radiofrequenza su quella a frequenza intermedia del mixer. 4.4 Esempi di ricevitori per alcuni servizi di radiotrasmissione In questa sezione esaminiamo alcuni esempi di ricevitori per determinati standard trasmissivi. 4.4.1 Ricevitore per radiodiffusione in modulazione di ampiezza a onde medie. Questo standard prevede di utilizzare un range di frequenze fra 540 kHz ÷ 1.6 MHz. Ciascuno canale porta l’informazione modulata in ampiezza a doppia banda laterale con portante relativa ad un segnale audio la cui banda va da 300 Hz a $.5 kHz e, pertanto, occupa una banda di 9 kHz. Le frequenze centrali di canali adiacenti distano 10 kHz. Nel dimensionare il front end partiamo dall’ipotesi, realistica ai tempi in cui lo standard è nato, di poter disporre per il filtraggio a frequenza intermedia di filtri con QF = 50. Sotto queste condizioni la frequenza centrale fFI dello stadio a frequenza intermedia è data dalla seguente relazione: QF = f FI ⇒ f FI = QAFI ⋅ Bch = 450kHz Bch si usa fFI ~ 455 kHz (per un accordo tra i costruttori) Talvolta il LNA non viene utilizzato su questo tipo di applicazione poiché nel range di frequenze assegnate al servizio i disturbi sono di livello elevato e la potenza disponibile del segnale in antenna deve essere abbastanza alta per permettere la ricezione, per cui non è richiesta bassa cifra di rumore. MIX AFI OL 455 MHz 91 DEMOD In tal caso il filtro a radiofrequenza è seguito direttamente dal mixer.La demodulazione del segnale AM si effettua con un rivelatore asincrono costituito da un circuito identico al raddrizzatore a filtro capacitivo a singola semionda. Demodulatore a rivelatore di inviluppo Questo tipo di demodulatore è detto asincrono perché non richiede la ricostruzione della portante. Forniamo alcune indicazioni per il suo corretto dimensionamento: RC è la costante di tempo con cui il condensatore si scarica sulla resistenza R quando il diodo si sgancia. R deve essere di valore abbastanza elevato affinchè la costante di tempo τ =RC causi una scarica sufficientemente lenta. Poiché durante la scarica la tensione sul diodo è VC = Vmax e deve avere τ − t τ si >> TFI = 2p/fFI affinché la tensione VC non si allontani in maniera significativa dall’inviluppo (vedi figura). Quindi : RC >> 2π ω FI VAM 1 + ma x ( t ) x ( t ) < 1 ma < 1 C R VAFI = VAM (1 + ma x ( t ) ) cos (ω FI t ) Esempio: C = 0.1 µF (elevata) ωFI ~ 2π500 kHz TFI = 2µs → τ = 10 TFI = 20µs RC = τ → R = τ/C = 200Ω 92 La costante di tempo τ, comunque, deve avere anche un limite superiore altrimenti la scarica risulterebbe troppo lenta e la tensione VC non riuscirebbe a seguire l’inviluppo; in altri termini, il demodulatore tenderebbe a funzionare come rivelatore di picco. Per valutare il massimo valore di t compatibile con un corretto funzionamento del demodulatore imponiamo la condizione che la velocità di scarica sia, in modulo, maggiore della “velocità” con la quale varia l’inviluppo, ovvero della derivata rispetto al tempo dell’inviluppo medesimo. Supponiamo, per semplificare, che l’inviluppo abbia andamento cosinusoidale con pulsazione W. inviluppo Scarica troppo lenta Scarica troppo veloce x ( t ) = cos ( Ωt ) si considera t* come l’istante di inizio della scarica ∂ ( inviluppo ) = −VAM ma Ω sin ( Ωt *) ∂t ∂ ∂ V −t ( scarica ) = VAM (1 + ma cos ( Ωt *) ) e τ = − AM (1 + ma cos ( Ωt *) ) ∂t ∂t τ Si impone la seguente condizione: VAM τ (1 + m a cos ( Ωt *) ) > VAM ma Ω sin ( Ωt *) ⇒ τ < Per ogni t* si ottiene un τ 1 + ma cos ( Ωt *) ma Ω sin ( Ωt *) diverso: affinchè la condizione sia sempre verificata è necessario e sufficiente che lo sia in corrispondenza del valore di t* per cui l’espressione a destra della disuguaglianza è minima. ovare il τ che corrisponde al minimo. Si cerca il minimo in funzione di t*: 93 ∂ 1 + ma cos ( Ωt *) 2 = 0 ⇒ −ma Ω sin ( Ωt *) ma Ω sin ( Ωt *) − (1 + ma cos ( Ωt *) ) ma Ω cos ( Ωt *) = 0 ∂t ma Ω sin ( Ωt *) cos ( Ωt *) −ma2 Ω2 sin 2 ( Ωt *) − ma Ω 2 cos ( Ωt *) − ma2 Ω2 cos 2 ( Ωt *) = 0 ⇒ ma 1 + ma Il valore di t* per cui si ottiene il minimo è quello per cui: cos ( Ωt *) = −ma In corrispondenza si ottiene: τ< 1 − ma2 ma Ω 1 − ma2 = 1 − ma2 ma Ω Nel caso in cui il segnale non sia monocromatico, la valutazione di massimo si fa sostituendo a Ω la Ωmax del segnale. τ max = 1 − ma2 ma ma Ω max τ min 0.9 ⇒ τ max 1 2Ω max 100 µ s 20 µ s Facciamo adesso alcune considerazioni sull’ampiezza che l’inviluppo deve assumere per una corretta rivelazione. Immaginando di utilizzare n diodo al germanio con Vγ = 0.3 V, deve risultare vIN = v AFI = VAM 1 + ma x ( t ) cos (ω FI t ) > Vγ ∀t L’inviluppo varia con x(t) e sappiamo che |x(t)| < 1 quindi nel caso peggiore x(t) = -1 VAM(1-0.9) > 3V = 10Vγ → VAM > 30V Per ottenere questo risultato, ovvero un amplificatore a frequenza intermedia con ampiezza massima della tensione di uscita pari a 30 V, bisognerebbe utilizzare una tensione di alimentazione ancora maggiore: soluzione incompatibile con i limiti di ingombro, peso e autonomia di qualunque sistema portatile. Per ovviare a questo inconveniente si può utilizzare un altro tipo di rivelatore: quello sincrono. Rivelatore sincrono. Questa soluzione è descritta in figura 94 MIX RF AFI FI OL LIM OL Filtro passa-basso che elimina le componenti a 2ωFI Moltiplicando VAFI = VAM 1 + ma x ( t ) cos (ω FI t ) per cos(ωFIt) l’inviluppo viene moltiplicato per 1 1 + cos ( 2ω FI t ) 2 un termine del tipo Il filtro passa basso elimina la componente dell’inviluppo modulata a frequenza 2 fFI Il limitatore si realizza con un semplice comparatore, ovvero con un sistema avente la seguente caratteristica ingresso uscita che, alimentato col segnale modulato, genera un’onda quadra come quella rappresentata in figura, mediante la quale si può pilotare, ad esempio, un mixer a diodi doppiamente bilanciato che funge da moltiplicatore. Vu Segnale modulato AM Vo Vi t -Vo t In tal caso il moltiplicatore necessita di una tensione > 2Vγ per funzionare correttamente. 95 Controllo automatico del guadagno. Esaminiamo, adesso, un problema tipico dei ricevitori per segnali modulati in ampiezza: quello del fading. .Poichè le caratteristiche del canale variano in maniera imprevedibile per diverse ragioni, l’ampiezza della portante è soggetta ad una variabilità che può essere anche di ordini di grandezza nel giso di pochi minuti (ad esempio nel caso di un ricevitore su un mezzo che si muove ad alta velocità in ambiente urbano), In realtà VAM è una funzione del tempo lentamente variabile: VAM = VAM(t). Si tratta, comunque, di fluttuazioni molto lente il cui spettro è centrato intorno alla continua e si estende, al massimo, fino a frequenze di qualche Hertz (v. figura).. VAM(ω) ω Il problema si risolve utilizzando un anello di controllo che prende il nome di controllo automatico del guadagno (CAG). Si tratta di prelevare dall’uscita demodulata un segnale proporzionale all’ampiezza della portante ed utilizzarlo per controllare il guadagno dell’AFI, come schematicamente rappresentato in figura. Ovviamente il sistema deve agire in modo tale che, a fronte di un aumento dell’ampiezza della portante il guadagno dell’AFI venga ridotto e,viceversa, esso venga aumentato a fronte di una diminuzione. Bisogna utilizzare un amplificatore con guadagno controllabile mediante una tensione. Si ottiene il risultato, ad esempio, usando la tensione VAM per controllare il punto di riposo di un 96 transistore il cui gm viene, in questo modo, modificato opportunamente agendo, in tal modo, sul guadagno totale dell’AFI. Tenuto conto di tutte le osservazioni fatte in precedenza circa la necessità di controllare l’ampiezza della portante in uscita all’AFI, si perviene ad uno schema circuitale del tipo rappresentato in figura in cui l’ampiezza VAM(t) viene utilizzata per modificare il punto di riposo del transistore 1 dell’AFI. DEMODULATORE MIX RF AFI FI ABF OL LIM OL VAM(t) VAM ( t ) 1 + ma x ( t ) Vcc RL R1 DEMOD VFI=VIN 1 Ic2 R2 VAM(t) 2 97 4.4.2 Ricevitore per radiodiffusione in modulazione di frequenza Un segnale linearmente modulato in frequenza dal segnale x(t) ha la seguente forma: VFM ( t ) = VFM cos (ω RF t + θ ( t ) ) t dove θ ( t ) = ω D ∫ x ( t ) dt . ϕi ( t ) = ω RF t + θ ( t ) rappresenta la fase istantanea e la sua derivata la 0 pulsazione istantanea il cui scostamento dalla pulsazione della portante è dato da: θ& ( t ) = ω D x ( t ) Per convenzione, si assume che che |x(t)| < 1 in modo tale che la quantità ωD<<wRF rappresenti la massima deviazione della pulsazione istantanea dalla pulsazione della portante wRF. Definiamo: fD = ωD deviazione di frequenza 2π D= fD indice di modulazione Bm Bm : banda del segnale modulante x(t) Calcolare lo spettro del segnale non è facile. Per valutare la banda occupata dal segnale modulato si sfrutta una relazione dovuta a Carson che, sotto certe ipotesi, permette di individuare l’intervallo di frequenze, detto banda di Carson BC, che contiene buona parte dell’energia del segnale modulato: BC = 2 Bm ( D + 1) Come esempio di riferimento analizziamo lo standard che regola il servizio di radiodiffusione FM. L’intervallo di frequenze assegnato al servizio dal Piano Nazionale delle fequenze è compreso tra 88 e 108 MHz . Risulta, inoltre: Bm = 30 Hz ÷ 15kHz BC = 180kHz D= BC −1 5 2 Bm D= fD ⇒ fD Bm 75kHz Esaminiamo una possibile procedura di dimensionamento del front end il cui schema a blocchi è rappresentato nella seguente figura. Come si vedrà, in questo caso, almeno in linea di principio, il filtro a radiofrequenza può essere fisso dal momento che il range della radiofrequenza e quello della frequenza immagine risultano separati. 98 LNA MIX AFI OL Il filtro a frequenza intermedia che immaginiamo contenuto all’interno dell’AFI è, come nel caso precedente, quello che seleziona il canale che si desidera ricevere. Supponiamo anche questa volta che, per renderne possibile la realizzazione a basso costo il suo fattore di qualità sia QF ~ 50, pertanto risulta fFI = QFBC ~ 10MHz Per mantenere il range della frequenza immagine separato da quello della radiofrequenza (vedi figura) le associazioni di costruttori concordarono agli inizi un valore di fFI = 10.7MHz. ∆fOL ∆fIM ∆fRF 109.4 10.7 88 98.7 108 f 118.7 129.4 Questa scelta, come già detto, consente di usare come filtro di antenna un filtro a frequenza fissa che faccia passare tutto l’intervallo ∆fRF reiettando quello ∆fIM. L’utilizzo per il filtro a radiofrequenza di un filtro fisso (eventualmente di tipo monolitico) permette di contare su una forte reiezione nella banda bloccata (dove cade la frequenza immagine) e, quindi, di immaginare una soluzione a singola conversione. Una volta traslato il segnale a frequenza fFI = 10.7MHz e filtrato il singolo canale, il demodulatore deve estrarre l’informazione che s causate dalle variazioni delle caratteristiche del canale. Se si fa passare il segnale VFM AFI = VFM A cos (ω FI t + θ ( t ) ) attraverso un derivatore si ottiene in uscita VFM A ω FI + θ& ( t ) sin (ω FI t + θ ( t ) ) ovvero, un segnale modulato in ampiezza oltre che in frequenza (si ricordi che wD<wRF e, quindi ω FI + θ& ( t ) > 0 ). 99 Tramite un rivelatore d’ampiezza si può estrarre l’inviluppo e, quindi, la sua componente variabile proporzionale a x(t). In definitiva il demodulatore può essere realizzato secondo lo schema a blocchi di figura:: AFI VFM A ω FI + θ& ( t ) RIVEL INVIL DERIV Si ottiene in uscita un segnale proporzionale all’inviluppo θ& ( t ) = ω D x ( t ) Mediante un filtro passa alto con limite inferiore di banda di alcuni Hertz, si può eliminare la componente continua . VFM Aθ& ( t ) = VFM A ω D x ( t ) Per risolvere il problema del fading che rende VFMA una funzione dipendente, sia pure lentamente, dal tempo ( VFM A = VFM A ( t ) ) si fa passare il segnale modulato, prima della demodulazione, attraverso un limitatore che produce in uscita un’onda quadra di ampiezza 2V0 picco-picco indipendentemente dall’ampiezza della portante. Vu V0 AFI Vi LIMIT. VU Vi -V0 La tensione a onda quadra VU così ottenuta ( si ricordi che si tratta, comunque, di un’onda quadra modulata in frequenza a banda stretta) si filtra con un filtro passa banda centrato sulla frequenza fFI in modo da filtrare la componente spettrale centrata sulla prima armonica. 100 3ωFI ωFI In definitiva AFI lo schema 5ωFI a blocchi del LIM Vf demodulatore DERIV Passa-banda a frequenza fissa diventa il seguente: RIV. INV. Passa-alto per eliminare la continua Non è richiesto il controllo automatico del guadagno purchè l’ampiezza della portante sia in grado di mandare in saturazione l’uscita del limitatore. Ampiezza minima della portante Esaminiamo adesso una possibile soluzione circuitale per la realizzazione del derivatore. Si potrebbe usare un circuito derivatore basato sull’utilizzo di un amplificatore operazionale a larga banda come in figura: dvi dt dv vu = − RC i dt i (t ) = C Oppure un amplificatore trans-conduttivo con carico induttivo come realizzato mediante un FET come in figura 101 . Il circuito equivalente, con le consuete ipotesi, è il seguente: Dove vu = − g m vgs jω L ovvero id = g m vgs dvgs vu = − Lg m dt Il “guadagno” del derivatore è il rapporto tra il modulo della tensione di ingresso e quello della tensione di uscita, ovvero wFILgm. 102 Il guadagno di rivelazione del sistema è tanto più elevato quanto più la retta è inclinata, ovvero quanto più L è grande. In realtà e facile dimostrare che il carico induttivo può essere sostituito da una qualunque impedenza ZQ il cui modulo risulti essere una funzione lineare della frequenza solo nella banda occupata dal segnale modulato. Questa funzione può essere assolta da un filtro RLC con una frequenza di risonanza prossima, ma non uguale a fFI. Se fFI cade nella zona a sinistra della frequenza di risonanza in cui la pendenza di |ZQ(f)| risulta molto maggiore di L, si ottiene un significativo aumento del “guadagno” del derivatore (vedi figura) senza utilizzare induttanze di valore improponibile a causa degli ingombri e delle inevitabili perdite dovute alla componente resistiva degli avvolgimenti utilizzati. Eventualmente al posto del carico risonante si potrebbe anche usare un quarzo (filtro monolitico) che presenta un Q elevato e, di conseguenza, fianchi estremamente ripidi della funzione |ZQ(f)| . Vu L RS vF C R CA RFC E0 FM Stereo Come è noto la maggior parte delle stazioni che utilizzano questo servizio trasmettono un segnale audio stereofonico. Per garantire la compatibilità tra stazioni trasmittenti in monofonia e in 103 stereofonia e ricevitori predisposti, oppure non per la ricezione di segnali streofonici, si opera una particolare codifica del segnale a partire da un segnale somma (canalle destro+ canale sinistro) e da un segnale differenza (canale destro – canale sinistro). Il segnale differenza viene modulato in ampiezza senza portante intorno ad una frequenza di 38 kHz e, quindi, sommato al segnale somma. Il segnale così ottenuto (che occupa una banda di 53 kHz) viene quindi modulato in frequenza alla portante di trasmissione in modo da ottenere una banda di Carson di 180 kHz e, quindi, da occupare la stessa banda di un canale monofonico. 4.4.3 Ricevitori per telefonia cellulare E’ opportuno fornire, in questa sede, alcune indicazioni sull’architettura dei ricevitori destinati a questo tipo di servizio. Si tratta, in genere, di ricevitori integrati su singolo chip (almeno per quanto riguarda la parte di front end), destinati a lavorare a frequenze che vanno da 900 MHz ad lcuni GHz a seconda dei casi. Ricevitore e trasmettitore vengono integrati sullo stesso chip e prendono il nome di Transceiver. Facciamo riferimento allo standard più diffuso al momento della stesura di questi appunti: lo standard GSM. Esso adotta un metodo di accesso al canale di tipo FDM (Frequency Division Multiplexing) con una ripartizione fra 8 utenti in suddivisione temporale (TDMA) all’interno di ogni canale. Ovvero ciascun canale, della larghezza di 200 kHz, è utilizzato da 8 utenti che lo occupano a turno utilizzando a rotazione slot temporali di 9 ms ciascuna. Questa complessità è necessaria per avere una buona efficienza spettrale visti l’affollamento della banda. Questa gestione apparentemente complessa della risorsa “canale” è realizzabile a basso costo solo grazie ad un livello di integrazione molto spinto. Tipicamente un ricevitore può essere realizzato con due soli chip quello del Transceiver e quello per l’elaborazione in banda base. In teoria, poiché si può usare la stessa tecnologia per i due chip, sarebbe possibile una soluzione single chip che, però, non viene di solito utilizzata a causa delle forti interferenze che la parte di elaborazione digitale causerebbe sul ricevitore. Mediante un dispositivo denominato duplexer, che 104 in questo caso è, sostanzialmente, un commutatore, si può utilizzare la stessa antenna per trasmettere e ricevere. Infatti, sebbene la sensazione che ha l’utente è quella di una comunicazione full duplex, in realtà gli slot temporali dedicati alla trasmissione sono separati da quelli dedicati alla ricezione sullo stesso terminale mobile.. Per la banda GSM con frequenza centrale attorno ai 900 MHz esaminiamo una soluzione con architettura supereterodina come quella in figura: Il passa banda dopo il duplexer ha la funzione di eliminare i blockers e di introdurre una prima attenuazione nei confronti della frequenza immagine. I due filtri dopo il LNA ed il mixer hanno la funzione di attenuare la frequenza immagine e di selezionare il singolo canale che si vuole ricevere, rispettivamente. Si dovrà realizzare un filtraggio molto selettivo intorno a 900 MHz ed uno intorno alla fFI (in genere tra 40 e 70 MHz). A questo valore della fFI si perviene immaginando di utilizzare un filtro di canale di tipo monolitico e con un fattore di qualità di qualche centinaio. Si ricorre a filtri monolitici che non sono compatibili con la tecnologia integrata e, pertanto il segnale deve essere portato fuori dal chip, filtrato e reintrodotto all’interno per le successive elaborazioni. Tutto ciò comporta costi di realizzazione e montaggio aggiuntivi, oltre a richiedere un budget di potenza 105 non trascurabile a causa dell’elevato valore di corrente necessario per pilotare a queste frequenze le capacità inevitabilmente connesse alla presenza dei pad di ingresso/uscita dal chip. Per ovviare ad alcuni degli inconvenienti dell’architettura supereterodina, derivanti, prevalentemente, dalla necessità di un elevato grado di integrazione, sono state proposte soluzioni alternative.. Architettura omodina. In questo caso la frequenza intermedia è nulla in quanto l’oscillatore locale lavora alla stessa frequenza della portante. Il segnale viene quindi traslato in continua perciò il filtro di canale è un passa-basso. Il problema della frequenza immagine non sussiste. Il filtro passa basso che agisce come filtro di canale, anche se molto selettivo, è comunque integrabile perché lavora a 200kHz e può essere realizzato con tecnologie compatibili con l’integrazione (ad esempio mediante la tecnica dei condensatori commutati). Un problema potrebbe essere quello dell’accoppiamento dell’oscillatore locale con l’ingresso del ricevitore che è sintonizzato sulla stessa frequenza (omodina vuol dire proprio questo). Essendo il primo un segnale di notevole potenza e l’accoppiamento controllato da fenomeni aleatori (tipo la posizione del ricevitore, l’orientamento dell’antenna, ecc,) questo fenomeno può produrre in uscita al mixer una tensione “quasi continua” (DC offset) nociva alla corretta demodulazione. Un altro problema abbastanza serio è costituito dal rumore flicker il cui spettro si concentra intorno alla continua (vedi figura): 106 Per limitare questo problema si dovrebbe lavorare con un AFI in grado di filtrare l’intervallo che va dalla continua fino alla frequenza di corner del rumore flicker, ovvero, utilizzare un valore della fFI di alcune centinaia di kHz: tipicamente f FI = 200kHz ÷ 1MHz . Questa scelta porta ad una architettura diversa denominata “Low IF”. Architettura LOW-IF: Questa architettura è caratterizzata da un valore della frequenza intermedia talmente basso da rendere praticamente impossibile la realizzazione del filtro a radiofrequenza che risulta troppo “prossima” alla frequenza immagine. Oltre ad essere estremamente selettivo il filtro dovrebbe a frequenza centrale variabile.perchè il range RF si sovrappone al range IM. Il problema si risolve eliminando il filtro per la frequenza immagine (rimane la necessità di un filtro RF esterno per eliminare i blockers prima del LNA) ed utilizzando un particolare tipo di mixer denominato “ Mixer a Reiezione della Frequenza Immagine” che è in grado di trattare in maniera differenziata il canale centrato sulla fRF , che si trova a sinistra della frequenza dell’oscillatore locale, da quello centrato sulla fIM che si trova in posizione simmetrica a destra. In figura è schematizzato l’intero transceiver integrato che non richiede alcuna uscita intermedia dal chip e permette di conseguire enormi vantaggi in termini di costo, ingombro, consumo ed affidabilità. DUP LNA fIF fIM reietta l’up-link PA fRF AFI LOW IF 100kHz÷1MHz B.B. 20dBm TX 107 CAPITOLO 5 Anelli ad aggancio di fase (Phase Locked Loop) Il PLL (Phase Locked Loop – anello ad aggancio di fase) è un sistema reazionato la cui uscita è un segnale con frequenza pari a quella del segnale di ingresso ed una relazione di fase fissa rispetto a questo. La forma d’onda del segnale di uscita (ovvero il suo contenuto armonico) può essere diversa da quella del segnale di ingresso. Ad esempio: segnale di ingresso a onda quadra, segnale di uscita sinusoidale agganciato alla prima armonica di quello di ingresso. Il PLL è molto usato nei sistemi di telecomunicazioni, ad esempio come sintetizzatore di frequenza o per estrarre componenti spettrali da segnali periodici complessi. In questo capitolo dapprima sarà illustrato il funzionamento di un semplice PLL, e successivamente saranno illustrate alcune applicazioni. 5.1 Generalità In figura è mostrato lo schema a blocchi semplificato di un PLL. L’anello ad aggancio di fase è costituito da un Phase Detector (PD), che da in uscita un segnale di livello proporzionale allo sfasamento fra il segnale in ingresso e quello in uscita al PLL; un filtro passa basso (F(s)), solitamente realizzato con una rete RC a polo dominante a bassissima frequenza; un oscillatore controllato in tensione (VCO – Voltage Controlled Oscillator), il cui segnale di uscita ha una frequenza che si scosta da quella di “riposo” del VCO di un valore proporzionale al livello del segnale al suo ingresso VC(t). La frequenza di riposo del VCO (detta anche frequenza libera di oscillazione) è definita come la frequenza di oscillazione per VC(t) = 0. Fig. 5.1 Schema a blocchi di un PLL 108 Il segnale in uscita al VCO è dato da: vO (t ) = VOM cos ω0t + θ O ( t ) dove VOM è l’ampiezza dell’oscillazione dell’uscita del VCO, ω0 è la pulsazione di riposo e θO ( t ) è un termine di fase aggiuntivo dipendente da vC (t ) attraverso una semplice relazione che definiremo nel seguito. Se vC (t ) = 0 il segnale di uscita del VCO ha pulsazione pari a ω0 , se vC (t ) ≠ 0 allora la pulsazione di uscita si discosta da ω0 di un valore proporzionale a vC (t ) . La pulsazione istantanea del segnale in uscita dal VCO, per definizione, è pari a: ωi = ω0 + dθ O dt dove: dθ O = K D vC (t ) dt Questa relazione, con K D costante caratteristica del VCO, stabilisce la dipendenza tra Vc(t) e θ0(t). Integrando i membri a sinistra e a destra si ottiene: t θO (t ) = K D ∫ vC (τ )dτ 0 Infine, passando alla trasformata di Laplace, si ha che: ΘO ( s ) = KD VC ( s ) s Gli ingressi del Phase Detector sono i segnali in ingresso ed in uscita al PLL, vS (t ) e vO (t ) . 109 vS (t ) = VSM cos [ω0t + θ S (t ) ] vO (t ) = VOM cos [ω0t + θO (t ) ] Il segnale in uscita al Phase Detector è un segnale di ampiezza proporzionale alla differenza fra gli argomenti dei segnali in ingresso. Nel dominio dei segnali trasformati: VE ( s) = K E [ Θ S ( s) − ΘO ( s )] = K E Θ E ( s) dove Θ S ( s ) e ΘO ( s ) sono rispettivamente le trasformate di Laplace delle fasi dei segnali in ingresso al Phase Detector, Θ E ( s ) è la trasformata di Laplace della differenza fra le fasi e K E è la costante caratteristica del PD. Sia F ( s ) la risposta in frequenza del filtro passa-basso; il segnale in uscita al filtro è pari a: VC ( s) = VE ( s ) F ( s) = K E ( s) [ Θ S ( s) − ΘO ( s) ] F ( s) L’uscita del filtro F ( s ) è l’ingresso del VCO; dunque l’uscita del VCO è data da: ΘO ( s ) = KD K VC ( s ) = D K E [ Θ S ( s ) − ΘO ( s )] s s Con semplici passaggi si arriva all’espressione della funzione di trasferimento del PLL, H ( s ) , che lega la fase del segnale in uscita al VCO con la fase del segnale in ingresso al PLL. Θ O ( s ) [ s + K D K E F ( s ) ] = K D K E F ( s )Θ S ( s ) H ( s) = ΘO ( s ) K D K E F (s) = ΘS ( s) s + K D K E F ( s) 5.2 Risposta al gradino di fase e di frequenza Si supponga che ad un certo istante la fase del segnale in ingresso abbia una variazione a gradino pari a ∆θ . La trasformata di Laplace del segnale di ingresso è, quindi, 110 ∆θ . La risposta al gradino s di fase del PLL sarà pari a ∆θ H ( s ) . Il teorema del valore finale consente di valutare il valore che s assumerà la fase del segnale in uscita al PLL a regime, ovvero quando il transitorio si sarà esaurito. lim θ O (t ) = lim s t →∞ s →0 ∆θ ∆θ K D K E F ( s ) = ∆θ H ( s ) = lim s s → 0 s s s + K D K E F ( s) Dunque dopo un transitorio, la fase del segnale in uscita al PLL tende ad agganciarsi alla nuova fase del segnale in ingresso (figura 5.2). Figura 5.2: Fase del segnale in uscita al PLL θO (t ) in risposta ad un gradino della fase del segnale in ingresso θ S (t ) . L’andamento esatto del transitorio dipende, ovviamente, dall’andamento della funzione F(s), ma il valore finale è, comunque, ∆θ. Gradino di frequenza La funzione di trasferimento del PLL che lega le frequenze dei segnali in uscita ed in ingresso al PLL è la medesima di quella che lega le fasi: ΩO ( s ) sΘO ( s ) K D K E F (s) = = = H ( s) Ω S ( s ) sΘ S ( s ) s + K D K E F ( s ) 111 dove ΩO ( s ) e Ω S ( s ) sono le trasformate di Laplace delle pulsazioni del segnale di uscita e di quella del segnale di ingresso al PLL rispettivamente. Si supponga che la pulsazione istantanea del segnale in ingresso al PLL (che inizialmente si supponga essere pari a ω0 ) subisca una variazione brusca pari a ∆ω : vS (t ) = VSM cos (ω0 + ∆ω ) t La trasformata di Laplace del gradino di frequenza è pari a ∆ω . Come già visto nel caso del s gradino di fase, applicando il teorema del valore finale, si vede come la frequenza del segnale di uscita a regime tende ad agganciarsi a quella dell’ingresso (figura 4.3). lim ωO (t ) = lim s t →∞ s →0 ∆ω ∆ω K D K E F ( s ) H ( s ) = lim s = ∆ω s →0 s s s + K D K E F ( s) Fig. 5.3: Risposta del PLL al gradino di frequenza A regime (per t → ∞ ) dunque, la pulsazione del segnale di uscita avrà un valore ωi ≠ ω0 ; ciò vuol dire che il segnale in ingresso al VCO sarà vC (t ) ≠ 0 , e più precisamente VC ( s ) K D = ∆ω . Il segnale in ingresso al VCO a regime sarà pari a: 112 VC (t ) = K E [ Θ S (0) − ΘO (0)] F (0) Sostituendo a VC ( s ) il termine ∆ω , si ha: KD ∆ω = K D K E [ Θ S (0) − ΘO (0)] F (0) Θ S (0) − ΘO (0) = ∆ω K D K E F (0) Affinché il PLL assuma la stessa fase a regimedel segnale in ingresso, deve essere Θ S (0) − ΘO (0) = 0 . Da quest’ultima espressione si può vedere che l’unico modo affinché il PLL possa agganciare la fase del segnale in ingresso di riferimento anche ad una pulsazione ωi ≠ ω0 è che risulti F (0) → ∞ . Un quadripolo che ha un guadagno che tende all’infinito per s → 0 è l’integratore, che ha una risposta del tipo: F (s) = A0 s Esso può essere approssimato, ad esempio con un amplificatore operazionale, come mostrato in figura 5.4. L’integratore di figura 5.4, nel range di frequenza in cui è utilizzabile il metodo del cortoi circuito virtuale, presenta una funzione di trasferimento pari a: AI ( s ) = − 1 R1Cs Figura 5.4: Schema di un integratore realizzato con un amplificatore operazionale. 113 5.3 Sintetizzatori di frequenza Una delle applicazioni più diffuse del PLL è il sintetizzatore di frequenza. Si realizzano in questo modo sistemi in grado di sintetizzare un insieme discreto di valori di frequenza che possono trovare impiego nei casi più disparati, dalle applicazioni audio (ad esempio strumenti musicali elettronici) fino a quelle radio del range dei GHz o delle decine di GHz. I sintetizzatori di frequenza sono di due tipi: quelli ad N intero e quelli ad N frazionale. Nel seguito verrà esaminato solo il primo tipo. In figura 5.5 è mostrato lo schema a blocchi di un sintetizzatore a N intero. Figura 5.5: Schema a blocchi di un sintetizzatore di frequenza Si ha che: ωQ M = ω0 N ⇒ ω0 = N ωQ M (4.1) Esso consente, al variare di N, di ottenere, a partire da una oscillazione generata mediante un oscillatore stabile (in genere un oscillatore al quarzo), un set di frequenze caratterizzate dalla stessa stabilità relativa dell’oscillatore di riferimento e distanti l’una dall’altra di una quantità pari a ωQ M che rappresenta, quindi, la risoluzione in frequenza del sintetizzatore. Si osservi che il P.D. lavora ad una frequenza pari alla risoluzione ed a fronte di una variazione dell’ingresso è necessario un tempo almeno dello stesso ordine di grandezza del periodo 2πM ωQ perché l’uscita vada a regime. 114 5.4 Modulatore di frequenza indiretto In questo caso l’oscillazione di riferimento viene fornita da un oscillatore stabile (ad esempio un oscillatore al quarzo) ed il segnale modulante x(t) viene prima integrato, quindi inserito nell’anello di controllo attraverso un sommatore. ∫ Con riferimento alla figura, i segnali nei diversi punti del sistema e le rispettive trasformate sono date dalle seguenti relazioni: Passando alle trasformate: x(s) Da cui passando alla forma in jω ω si ricava: Se sono rispettate le seguenti ipotesi: 115 1) F(jω) di tipo passa basso con valore alle basse frequenza pari a F0 e limite superiore di banda ωFMAX; 2) Segnale modulante x(t) con spettro nullo a sinistra di ωFMAX (Pertanto funzione di trasferimento del PLL approssimabile alla forma passa basso a singolo polo ωP per tutto il range di frequenza interessato dal segnale modulante); dove ωXMAX è “la massima frequenza contenuta nel segnale 3) modulante” ovvero lo spettro di x(t) si annulla a destra di ωXMAX; allora risulta: Ovvero: E, pertanto, si può concludere che lo scostamento istantaneo di frequenza dell’uscita del PLL risulta proporzionale al segnale modulante, ovvero l’uscita v5 del PLL è un segnale modulato linearmente in frequenza da x(t). 5.5 Demodulatore di frequenza Se il segnale vs(t) in figura è modulato in frequenza dal segnale x(t), vogliamo dimostrare che vc(t) è proporzionale al segnale modulante x(t). Passando alle trasformate: 116 Poiché Si ottiene: Passando alla forma in jω e sotto le stesse ipotesi assunte nel paragrafo precedente si ottiene: E, pertanto, vc(t) risulta proporzionale al segnale modulante, ovvero l’operazione di demodulazione è stata correttamente effettuata. 117 CAPITOLO 6 Amplificatori di potenza e trasmettitori Lo stadio trasmettitore di un sistema di ricetrasmissione deve essere in grado di effettuare almeno le seguenti operazioni sul segnale in banda base: 5) utilizzarlo per modulare in modulo e/o in fase la portante; 6) filtrare eventuali componenti spurie frutto della modulazione; 7) amplificare il segnale modulato per portarlo al livello di potenza richiesto dalle specifiche della particolare applicazione; 8) trasmetterlo utilizzando un’antenna con un diagramma di radiazione appropriato. Non sempre le operazioni indicate ai punti 1-3, che sono logicamente separate, vengono effettuate da blocchi circuitalmente separati e posti in cascata, talvolta l’operazione di modulazione e quella di amplificazione di potenza vengono effettuate contemporaneamente all’interno di un unico stadio: in questo caso si parla di modulazione ad alto livello. Quando, invece, si può individuare uno stadio di modulazione separato da quello di amplificazione, allora si parla di modulazione a basso livello. Lo schema a blocchi di massima di un trasmettitore che utilizza un modulatore a basso livello è rappresentato in figura. Nella fattispecie, si tratta di un trasmettitore a conversione diretta, in quanto la modulazione avviene alla stessa frequenza della portante di trasmissione. Nel caso in cui vi sia, prima dell’antenna, un mixer utilizzato per una traslazione in alto della frequenza, allora si parla di trasmettitori a doppia conversione o, più in generale, a conversione multipla. e(t) Modulatore Power Amplifier Oscillatore Locale . 118 Mentre l’architettura dello stadio di modulazione dipende, ovviamente, dal tipo di modulazione utilizzata, l’amplificatore di potenza presenta alcune caratteristiche comuni a tutti gli stadi di potenza e, quindi, indipendenti dal tipo di modulazione. Come si vedrà nel seguito, comunque, il fatto che la modulazione agisca sull’ampiezza del segnale o sul suo argomento (modulazioni ad inviluppo costante) pone delle condizioni imprescindibili sulla scelta dell’amplificatore di potenza. 6.1 Amplificatori di potenza In un sistema di ricetrasmissione il power amplifier (PA) è presente esclusivamente in trasmissione. Le potenze che esso sarà chiamato a gestire, nel caso in cui si tratti di un amplificatore allo stato solido, vanno da qualche mW (10dBm) fino a centinaia di watt (20dB=50dBm). Per potenze superiori si utilizzano componentistica e soluzioni circuitali diverse il cui studio non è contemplato tra gli obiettivi del presente corso. I problemi nuovi che sorgono in amplificatori destinati a trattare potenze da alcune decine di mW in su sono abbastanza diversI da quelli che caratterizzano gli amplificatori per piccoli segnali. Ne daremo nel seguito una rapida rassegna facendo riferimento all’utilizzo di transistori bipolari, sebbene questi ultimi possano essere, e sempre più frequentemente ciò accade, sostituiti da transistori MOS oppure da MESFET. 6.1.1 Definizioni Iniziamo la trattazione introducendo e, in qualche caso, definendo alcune caratteristiche tipiche degli amplificatori di potenza. 1. Linearità Una potenza di 1 W su un carico di 50 Ω equivale a una tensione/corrente pari a PL = 1W = 1W = 2 V UM 2 ⋅ 50 2 I Um 2 ⇒ V UM ≅ 10V ⋅ 50 ⇒ I UM ≅ 200mA Il comportamento non lineare dei componenti attivi, in queste condizioni, non può essere trascurato 2. Efficienza di conversione: l’efficienza di conversione η = PU PE è il rapporto tra la potenza utile in uscita PU e la potenza erogata dalle batterie PE. Essa fornisce una misura del rendimento col quale la potenza erogata 119 dalle batterie viene convertita in potenza utile del segnale trasmesso. Ovviamente risulta sempre: η ≤1 E’ opportuno osservare che un elevato valore dell’efficienza di conversione oltre che risultare vantaggioso dal punto di vista del consumo di potenza e dell’autonomia delle batterie, ha come conseguenza la riduzione della dissipazione sul componente attivo con evidenti vantaggi sul suo costo e su quello di eventuali sistemi necessari ad asportare il calore generato al suo interno onde evitarne il danneggiamento irreversibile. 3. Fattore di utilizzo: il fattore di utilizzo θ u = PU V CE max I C max è il rapporto tra la potenza utile ed il prodotto tra i valori massimi istantanei della tensione VCE e della corrente di collettore. Sebbene tale prodotto abbia le dimensioni di una potenza, non rappresenta alcun potenza effettivamente osservabile nell’amplificatore. Infatti, essendo VCEmax e ICmax, rispettivamente, il massimo valore della tensione collettore emettitore e della corrente di collettore non esiste alcun istante del ciclo di funzionamento in cui queste due grandezze risultano contemporaneamente assumere il loro valore massimo. θu ha, piuttosto, il significato di fattore di merito: più esso è grande più significa che, a parità di potenza sul carico, il prodotto VCEmaxICmax risulta piccolo. In altri termini, a parità di potenza utile in uscita, il transistore sarà chiamato a sopportare tensioni/correnti massime più piccole. Di fatto questo significa che il transistore, a parità di potenza utile, avrà un costo inferiore poiché ad esso saranno richieste prestazioni più limitate. I transistori per applicazioni di potenza possono sopportare dissipazioni di centinaia di watt. 4. Classi di funzionamento Come si vedrà nel seguito, per motivi di efficienza, si ricorre, talvolta, a soluzioni circuitali nelle quali il transistore si trova in zona attiva solo per una frazione del periodo. Si definisce, allora, l’angolo di circolazione θ come la metà della frazione di periodo, misurata il radianti, durante il quale il transistore è in zona attiva. A seconda del valore di θ si parlerà di amplificatore in classe A (θ=π), in classe B (θ=π/2), in classe C (θ<π/2), oppure in classe ΑΒ (π/2<θ<π). 120 - classe A: θ = π - classe B: θ = π/2 - classe AB: π/2 < θ < π - classe C: 0 < θ < π/2 Nel seguito esamineremo alcune configurazioni circuitale e modalità di funzionamento tra le più diffuse e, per ciascuna, calcoleremo i parametri prima definiti. Si continuerà a fare riferimento al caso di amplificatori a transistori bipolari, ma, quanto segue, con ovvie trasformazioni, può applicarsi al caso di componenti attivi diversi. 6.1.2 Amplificatore in classe A Si tratta di una configurazione ben nota e sempre utilizzata dagli amplificatori per piccolo segnale. Nella figura seguente è rappresentato il circuito corrispondente con una rete di polarizzazione semplificata dalla eliminazione della resistenza di emettitore RE che è stata omessa, sia per semplicità di calcolo, sia perché lìobiettivo che ci prefiggiamo è quello di verificare quale sia la massima efficienza di conversione conseguibile con questa soluzione: la RE, dissipando potenza in continua non utile alla trasmissione, non può far altro che ridurre l’efficienza. Possiamo immaginare valori tipici della corrente di collettore nel range delle centinaia di milliampere o maggiori. Nei transistori di potenza il guadagno di corrente hFE è piccolo rispetto a quello degli amplificatori per piccolo segnale. 121 Infatti, per sopportare elevati valori di corrente dovranno avere aree attive molto grandi e, su superfici così ampie, è più difficile garantire spessori di base molto piccoli, requisito necessario ad un alto valore di hFE che, in genere, è nell’intervallo 10 ÷ 100. A questi valori di corrente di collettore il ruolo stabilizzante della RE è svolto già parzialmente dalla resistenza parassita di dispersione. Dall’analisi della maglia di ingresso e con l’utilizzo della caratteristica di ingresso del componente attivo si ricava il valore della corrente di base a riposo IBQ. La retta di carico statico è verticale e, in continua, VCEQ = VCC , pertanto, il valore di IBQ fissa il punto di riposo P(VCEQ,ICQ). Il punto istantaneo di funzionamento P[VCE(t),IC(t)] si muove su una retta con pendenza − 1 RL = tg (ϕ ) vce = - RL ic V CE (t ) = V CE Q + v ce (t ) ic + Vce - RL I C (t ) = I C Q + i C (t ) 122 ∆V CE = − ∆I C R L A partire dal punto di riposo una variazione di vce(t) determina una variazione di ic(t) che fa muovere il punto istantaneo di lavoro sulla retta di carico dinamica rappresentata in figura. Se la sollecitazione è simmetrica lo spostamento lungo la retta sarà simmetrico. Finchè il transistore è in zona attiva si considereranno costanti i suoi parametri differenziali e pari ai loro valori medi. L’escursione massima della VCE(t) e della IC(t) dipendono dall’inclinazione della retta di carico dinamico e, quindi , dal valore della RL. Si può facilmente dimostrare che, nell’ipotesi di poter considerare trascurabile la tensione di saturazione VCESAT, il valore di RL per cui si può consegnare al carico la massima potenza è RL= VCEQ/ICQ. . Le diverse condizioni sono rappresentate nella figura seguente nella quale la retta di carico dinamica di massima potenza è rappresentata con tratto più solido e corrisponde al suddetto valore di RL Sotto queste condizioni calcoliamo l’efficienza di conversione: η = PU precisando ch PU è la PE potenza utile sul carico, ovvero quella relativa alla frequenza di trasmissione di prima armonica. Ai fini del calcolo, quindi, non si considerano né eventuali componenti in continua né quelle derivante da componenti armoniche di ordine superiore rispetto alla fondamentale. Sotto queste condizioni risulta: 123 PU = 2 VCC 2 RL Se trascuriamo la potenza dissipata in base e sulle resistenze di polarizzazione di base (comunque piccola rispetto alle altre potenze in gioco), PE dipende solo dalla corrente ICQ e dalla tensione di alimentazione. Infatti, una eventuale componente variabile (comunque non presente a causa del blocco introdotto dall’induttanza RFC) essendo a valor medio nullo non produrrebbe alcun contributo alla potenza media erogata dalla batteria. Pertanto: PE = VCC I CQ Quindi: Ovvero η= 2 VCC 1 1 = 2 R L VCC I CQ 2 la massima efficienza di conversione è del 50%. E’ opportuno osservare che quello calcolato è il valore massimo che si ottiene solo in presenza di un segnale abbastanza ampio da causare la massima escursione della VCE e della IC. Se l’ampiezza del segnale è minore, poiché la potenza erogata dalla batteria è indipendente dal segnale, si ottiene un valore minore di h. Di fatto l’efficienza dipende dall’ampiezza del segnale. Calcoliamo, adesso, il fattore di utilizzo a partire dalla sua definizione: 124 θu = PU VCE max I C max Per l’amplificatore in classe A risulta: θu = 2 VCC V R 1 1 = CC L = = 0.125 2 R L 2VCC 2 I CQ 8 R L VCC 8 6.1.3 Amplificatore in classe B Per migliorare l’efficienza di conversione bisogna esplorare modalità di funzionamento diverse da quelle tipiche della classe A caratterizzata da una erogazione di potenza da parte delle batterie indipendente dalla presenza o meno del segnale. Esaminiamo nel seguito un esempio di amplificatore in cui i singoli componenti attivi operano in classe B (θ = π/2). Si tratta di una configurazione tra le più diffuse negli stadi di potenza che va sotto il nome di Amplificatore pushpull. VCC RS vs + _ 1 vu 2 RL Ipotesi di lavoro: - Vγ = 0 - Transistori PNP ed NPN con caratteristiche simmetriche -VCC Risulta evidente che i due transistori non potranno essere contemporaneamente in zona attiva poiché sono caratterizzati dallo stesso valore della tensione base-emettitore e, di conseguenza, quando questa è positiva risulterà 1 in zona. attiva e 2 in interdizione, quando è negativa il viceversa. Analizziamo la situazione a riposo, ovvero per vs = 0I transistori risultano ambedue interdetti, infatti, se, per assurdo, ipotizziamo che 1 sia in zona attiva ( e 2 interdetto) avremo corrente in RL e, di conseguenza VE1 > 0 → VB1 = VE1 + Vg > 0 . 125 La corrente di base risulterà IB1 = -VB1/RS < 0 ovvero corrente di base negativa in un transistore NPN in zona attiva: conclusione ovviamente non accettabile. Lo stesso ragionamento potrebbe farsi a partire dall’ipotesi di 1 interdetto e 2 in zona attiva, pertanto l’unica soluzione possibile è che ambedue i transistori risultino interdetti. In definitiva, a riposo: A riposo per il transistore 1: vu = 0 → VCE1 = VCC IC = 0 → punto di riposo VCE1 = VCC I CQ1 = 0 Lo stesso vale per il transistore 2: VCE 2 = −VCC I CQ 2 = 0 Esaminiamo adesso cosa accade se vs è sinusoidale. Nella figura seguente sono indicate la tensione Vs e le correnti di collettore (quella del transistore 2 è rappresentata con segno opposto a quello convenzionale e risulta, pertanto positiva). Nel semiperiodo positivo conduce 1 e 2 è interdetto. Il transistore 1 funziona in configurazione inseguitore di emettitore e, se RL(hfe+1)>>hie+RS , risulta VU ≈VS La corrente sul carico è IL = IC1 126 Nel semiperiodo negativo conduce 2 e 1 è interdetto Il transistore 2 funziona in configurazione inseguitore di emettitore e, se RL(hfe+1)>>hie+RS , risulta ancora: VU ≈VS La corrente sul carico è IL = -IC2 Ciascun transistore funziona in classe B. Il punto istantaneo di lavoro del transistore 1 percorre la traiettoria tracciata a tratto continuo nella figura seguente: IC1 Max ampiezza consentita al segnale IC1max Il segnale può non avere la massima ampiezza consentita Retta con pendenza: -1/RL VCC I° semiperiodo VCE1 II° semiperiodo Nota: In figura la corrente IC2 è rappresentata col verso convenzionale e, pertanto, risulta di segno opposto a quello della figura precedente. Calcoliamo adesso l’efficienza di conversione η = PU . Anche in questo caso la calcoliamo in PE corrispondenza della massima escursione consentita al punto istantaneo di funzionamento senza entrare in zona di saturazione. Il calcolo viene fatto ancora una volta supponendo trascurabile la tensione di saturazione VCESAT. PU = 2 I CM RL 2 I CM max = VCC RL 127 Per quanto riguarda la potenza erogata, bisogna tenere conto del fatto che ci sono due batterie. Pertanto: PE = VCC Dove I CM π I CM π ⋅2 è il valor medio della sinusoide raddrizzata a singola semionda. Quindi: η = 2 I CM I Rπ V πRL π π RL = CM L ⇒ η max = CC = ≅ 0.78 ⇒ 78% RL 4VCC 4 2 2 ⋅ VCC I CM 4VCC In conclusione: in classe B l’efficienza di conversione massima migliora del 28% rispetto a quella ottenibile in classe A , mentre la potenza dissipata sui due transistori, a parità di potenza utile, risulta più che dimezzata (meno di ¼ su ciascun transistore rispetto alla classe A). Passiamo al calcolo del fattore di utilizzo: θ u = PU VCE max I C max VCE max = VCC I CE max = Quindi: θ u = VCC RL 2 VCC RL 1 = = 0.25 2 RL 2VCCVCC 4 Il fattore di utilizzo aumenta, ma, dal punto di vista del fattore di costo non è direttamente confrontabile con quello della classe A poiché bisogna tenere conto del fatto che, nel push-pull, sono necessari 2 transistori invece che 1. 6.1.4 Amplificatore in classe C Passiamo adesso ad esaminare il caso del funzionamento in classe C. In realtà l’analisi che seguirà sarebbe applicabile a qualunque classe di funzionamento e i casi prima esaminati (Classe A e B) potrebbero essere visti come casi particolari. Ciononostante la topologia circuitale utilizzata per tale analisi trova, di fatto, applicazione, quanto meno a fini dell’efficienza di conversione, quasi esclusivamente nel caso di funzionamento in classe C e, pertanto. lo schema circuitale corrispondente va spesso sotto la denominazione di amplificatore in classe C. In realtà, partendo dallo schema generale mostrato in figura, variando il valore della batteria di polarizzazione EB si può lavorare in ciascuna della quattro classi di funzionamento possibili. Per ottenere il funzionamento in classe C dobbiamo fare in modo che risulti θ < π/2. 128 Nell’ipotesi di CA di valore sufficientemente elevato e caduta trascurabile su RS, si ottiene: VB = Vs + E B VS = VSM cos(ωt ) vBE VT EB ωt ICM IC ωt θ Se immaginiamo la caratteristica di ingresso del transistore caratterizzata da un valore della tensione di soglia VT al di sotto del quale le correnti di base e di collettore risultano nulle (il discorso può essere esteso a transistori MOS), si può osservare quanto segue: 129 EB < VT π EB > VT I C ≠ 0 per θ > 2 Se: EB − VSM < VT EB = VT EB − VSM > VT ⇒ classe C ⇒ classe AB ⇒ classe B ⇒ classe A Prendiamo come riferimento il funzionamento in classe C. E B < VT (ovviamente supporremo EB+VSM>VT altrimenti il transistore risulterà sempre interdetto). A riposo il transistore è interdetto (VS = 0) VB = VSM cos(ω 0 t ) + E B ⇒ VB = E B < VT V = 0 SM I C = 0 : VCE = VCC Applichiamo un segnale di ampiezza tale che risulti VSM +EB > VT IC ≠ 0 per un intervallo pari ad una frazione del periodo. Il suo valor medio sarò diverso da zero e lo indicheremo con IC0. Dal bilancio delle correnti al nodo di collettore, con ovvio simbolismo, risulta: I RFC − I C − I CA = 0 I CA = I RFC − I C L’induttanza RFC è un blocco per le radiofrequenze e le rispettive armoniche, quindi è attraversata solo dalla componente continua IC0, infatti la corrente ICA che attraversa il condensatore avrà componente continua nulla. IC è periodica e, quindi, sviluppabile in serie di Fourier con un termine continuo IC0 più tutte le armoniche. Risulta: I RFC = I C 0 = I C il valor medio della IC coincide con la corrente erogata dalla batteria 130 Detta iC(t) la componente a valor medio nullo della corrente di collettore, risulta : IC = IC0 +iC IRFC=IC0 ICA=IRFC-IC= iC(t) Ovvero la corrente nel condensatore CA è l’opposto della componente variabile della corrente di collettore. Il gruppo RLC viebe dimensionato in modo da risuonare alla frequenza della fondamentale e, pertanto, alla frequenza di risonanza, LC è un circuito aperto. ω0 L = 1 → ω0 = ω0C 1 LC La 1a armonica della ICA passa tutta nel carico RL. Le armoniche successive si ripartiscono nei tre rami R, L e C in proporzione inversa al modulo dell’impedenza di ciascun ramo. Ad esempio, per quanto riguarda la 3a armonica si ha: 3ω0 L = 9 1 3ω0C Pertanto la corrente in C predomina su quella in L (è 9 volte maggiore). Per le armoniche superiori la differenza è ulteriormente accentuata a favore della componente che scorre i C rispetto a quella che scorre in L. Se si tiene conto del valore del fattore di qualità Q definito come: Q = ω 0 RL C = RL 1 ω0C Al crescere di Q ( per esempio per Q = 10) risulta RL >> 1 e, pertanto, per tutte le armoniche ω0 C superiori alla prima si può trascurare nel parallelo con C l’effetto di RL e concludere che 131 l’impedenza vista decresce con l’ordine dell’armonica N come la reattanza 1/(Nw0C). Poiché anche l’ampiezza delle armoniche dello sviluppo in serie della corrente decrescono con N risulta evidente che, se Q è abbastanza elevato, allora le componenti armoniche della tensione ai capi del gruppo RLC risultano evanescenti rispetto alla fondamentale e, pertanto, la tensione sul carico è quasi sinusoidale. In maniera sintetica si dice che il gruppo RLC esercita un effetto filtrante sulla ICA tale da ottenere sul carico una tensione sinusoidale pur essendo il gruppo RLC alimentato con una corrente pulsata. In altri termini le componenti armoniche superiori vengono mandate a massa passando attraverso la reattanza capacitiva e producono una tensione ai capi di RLC trascurabile rispetto alla fondamentale. La funzione del gruppo RLC è quella di filtrare la corrente pulsata per ottenere una tensione sinusoidale di ampiezza: VUM = I C1M RL , dove IC1M è l’ampiezza della 1° armonica dello sviluppo in serie di Fourier della IC. Anche in questo caso l’efficienza di conversione dipende dall’ampiezza del segnale da cui dipendeil valore di IC1M. In particolare, si osserva che il valore di IC1M è limitato dalla saturazione del componente attivo. Infatti l’andamento della tensione di collettore è quello in figura: si evince che, per evitare la saturazione (VC=0) deve essere: I C1M RL < VCC In corrispondenza del valore di IC1M massimo ricavabile dalla precedente disuguaglianza si ottiene la massima efficienza di conversione. Se si riporta tale efficienza in funzione dell’angolo di circolazione si ottiene l’andamento in figura: 132 Che sembrerebbe indurre alla scelta di valori dell’angolo di circolazione tendenti a 0 per massimizzare l’efficienza. In realtà , però, bisogna tenere conto anche di un altro parametro: il fattore di utilizzo θu il cui andamento in funzione di θ è riportato in figura. Per θ→0 si ha θu→0 Si osservi che θu = PU a parità di PU se θu→0 ⇒ VCE max I C max →∞ VCE max I C max Ovvero il transistore è chiamato a sopportare tensioni e/o correnti che tendono all’infinito. Poiché ciò non è ammissibile, è necessario utilizzare valori di θ significativamente maggiori di 0. Questo stato di cose è chiaramente comprensibile se si osserva che il transistore trasmette potenza al carico solo negli intervalli di tempo in cui è IC ≠ 0. Se lo deve fare in tempi che rappresentano frazioni trascurabili del periodo, allora il picco di corrente dovrà avere valore massimo estremamente elevato (al limite la corrente dovrebbe essere una delta di Dirac se l’angolo di circolazione tendesse a zero): questo spiega come mai il fattore di utilizzo tenda a zero al diminuire di θ oltre un certo limite. Un buon compromesso si ha per θ ≈ 60° che fornisce un ηMAX ≈ 85%. Gli amplificatori in classe C vengono utilizzati per potenze fino ad alcune centinaia di watt e frequenze prossime al GHz. Nel campo delle microonde (da qualche GHzin su) non si trovano amplificatori in classe C perché gli effetti capacitivi intrinseci non permettono, di fatto, di interdire il transistore. Contrariamente a quanto accade per gli amplificatori in classe A e B , quelli in classe C non possono essere utilizzati per amplificare segnali modulati in ampiezza poiché il loro comportamento nei riguardi dell’ampiezza del segnale di ingresso non è lineare. 133 6.1.5 Amplificatore in classe D L’amplificatore in classe D fa parte di una classe di amplificatori detti “ad alta efficienza”, capaci, almeno in linea teorica, di lavorare con efficienza di conversione unitaria. Per fare ciò si deve ridurre al minimo la potenza dissipata sul componente attivo, facendo in modo, al limite, che VCE(t) IC (t) = 0 per ogni t. Quindi quando il dispositivo attivo è in conduzione (IC ≠ 0) la tensione ai suoi capi deve essere nulla, mentre quando la tensione è diversa da zero esso deve risultare interdetto (corrente nulla). In altre parole il suo comportamento deve essere simile a quello di un interruttore. Lo schema di principio di un amplificatore in classe D è rappresentato in figura: La tensione che aziona l’interruttore è un’onda quadra derivata da una sinusoide: V0 cos(ω 0 t ) . Il gruppo RLC serie risuona alla pulsazione ω0 e si suppone sia caratterizzato da un valore di Q abbastanza elevato (Q>10). Q= T0 = ω0 L RL 2π ω0 = 1 ; ω0 = ω 0 CR L 1 LC è il periodo di commutazione del tasto tra le posizioni 1 e 2. La tensione VC risulta, pertanto, un’onda quadra di ampiezza VCC e valor medio VCC/2. Il suo andamento è rappresentato nella figura seguente. Si osservi che alla frequenza della fondamentale il gruppo LC risuona serie e, pertanto, si comporta come un corto circuito. Ciò significa che la com ponente di prima armonica di VC e quella della tensione ai capi del carico RL sono uguali. 134 Alle armoniche superiori, nella serie tra L e C prende il sopravvento la componente induttiva che, già alla terza armonica, assume un valore di reattanza 9 volte maggiore rispetto a quello della componente capacitiva il cui effetto decresce ulteriormente al crescere dell’ordine dell’armonica. Sviluppando in serie di Fourier la tensione VC(t) si ottiene: ( ) π 1 ∞ sin n 2 + cos ( nω0t ) VCC VC = 2 ∑ nπ n =1 2 La componente continua viene bloccata dal condensatore C e, pertanto, il suo effetto sul carico è nullo. La prima armonica della tensione di uscita, in base a quanto prima osservato, risulta: VU 1M = VCC 2 π Se si calcolano le componenti armoniche superiori si ottiene, per esempio, per la terza armonica: VU 3M = VCC VU 3M = VCC 2 3π RL R L + j 3ω 0 L + 1 RL = ω0 L Q j 3ω 0 C VU 1M RL 2 2 RL ≅ VCC ≅ 1 3π ω 0 L 3π 3ω 0 L 9Q + j 3ω 0 L + Q j 3ω 0 C Con Q = 10 la componente di 3a armonica della tensione di uscita è 90 volte inferiore a quella di 1a armonica. In prima approssimazione la tensione di uscita può ritenersi sinusoidale: a partire da una sorgente di tensione continua si riesce ad ottenerne in questo modo una tensione a radiofrequenza. Più che di amplificatore è corretto parlare di un convertitore di potenza: allo stato attuale, infatti, non è possibile individuare un segnale di ingresso ed uno di uscita amplificato. Per comprendere come il sistema prima descritto possa essere utilizzato nello stadio finale di un trasmettitore è 135 necessario fare alcune considerazioni a cui verrà dedicato spazio nell’ultima parte del Caapitolo. Vediamo, adesso, come realizzare il commutatore utilizzando dei componenti attivi che lavoreranno in commutazione. Una possibile soluzione è rappresentata in figura: La VBE1 e la VBE2 sono sempre in opposizione di fase: se l’ampiezza della tensione di controllo V0 è sufficiente, alternativamente, uno dei due transistori è interdetto e l’altro è in saturazione. V0 sarà una sinusoide oppure un’onda quadra (la sua forma non ha effetti diretti sul funzionamento del sistema purchè l’ampiezza sia in grado di commutare opportunamente i transistori). Nella realtà i tempi di commutazione non saranno mai nulli, quindi si avrà comunque dissipazione di potenza sui transistori negli intervalli di tempo in cui corrente e tensione risulteranno contemporaneamente diversi da zero. Con questi sistemi non si ottiene quindi un’efficienza di conversione effettiva del 100%. Un buon risultato è considerato un valore di h = 80% a frequenze di qualche centinaio di MHz. Sebbene in prima approssimazione se il commutatore si comporta in maniera ideale ci si potrebbe aspettare ci si potrebbe aspettare un’efficienza di conversione unitaria, in realtà bisogna ricordare che, ai fini della potenza utile, anche quella dissipata sul carico, ma alla frequenza delle armoniche, è da considerarsi persa. Infatti nella definizione di potenza utile si fa, correttamente, riferimento alla sola potenza di prima armonica sul carico. E’, pertanto, opportuno, calcolare l’efficienza di conversione tenendo conto di questa considerazione. Calcoliamo l’efficienza di conversione: η = 2 VCC 4 PU = 2 π 2 RL PU PE la tensione di 1a armonica sull’uscita è: VCC Detta ICC(t) la corrente erogata dalla batteria, risulta: 136 2 π T PE = T V 1 VCC I CC ( t ) dt = CC ∫ I CC ( t ) dt ∫ T 0 T 0 Per metà periodo, quando il transistore 1 è interdetto, ICC(t) è nulla e la corrente che attraversa il carico si richiude attraverso il transistore 2 che è in saturazione. Per un calcolo rigoroso della potenza erogata bisognerebbe valutare tutte le armoniche della corrente ICC(t) e calcolare di conseguenza l’integrale che fornisce la potenza media erogata. Ma, se consideriamo trascurabili le armoniche superiori della corrente rispetto alla prima (Q→∞), allora la corrente nel carico risulta sinusoidale e, durante il semiperiodo in cui il transistore 1 conduce, la corrente ICC(t) è un arco di sinusoide coincidente con la corrente nel carico RL. Si ottiene, pertanto, quanto di seguito rappresentato: T VU 1M 1 I CC (t )dt = ∫ T 0 πRL PE = VCC VU 1M Quindi: R Lπ η= = valor medio VCC 2VCC RLπ π 2 PU 2VCC RLπ 2 = =1 PE R L π 2 2VCC Ovvero, come era ovvio attendersi, non basta ipotizzare che il commutatore non assorba potenza affinché l’efficienza di conversione risulti unitaria, bisogna anche supporre trascurabile l’effetto delle armoniche superiori e questo è vero solo se Q è abbastanza elevato. 137 6.2 Trasmettitori Lo schema a blocchi di trasmettitore rappresentato in figura, ovvero quello con modulazione a basso livello e successiva amplificazione di potenza, come detto in apertura di Capitolo, non è l’unico possibile. Ad esso si affianca la soluzione denominata “modulazione ad alto livello” che può risultare vantaggiosa in taluni casi e in dipendenza dal tipo di modulazione (di ampiezza, di angolo o mista). Il tipo di modulazione determina, inoltre, la classe di funzionamento dell’amplificatore di potenza, infatti solo quelli in classe A ed in classe B si comportano linearmente nei confronti dell’ampiezza del segnale e, quindi, sono adatti ad amplificare segnali modulati in ampiezza, però l’efficienza di conversione è bassa. Nel caso di segnale modulato in ampiezza in banda laterale singola, esso può essere posto nella forma: vSSB = x ( t ) cos (ω 0t ) + q ( t ) sin (ω 0t ) x (t ) q (t ) = x2 + q2 cos (ω 0t ) + sin (ω 0t ) x2 + q2 x2 + q2 = x 2 + q 2 cos (ω 0t + θ ( t ) ) θ ( t ) = arctg q (t ) x (t ) Dove q(t) è il segnale in uscita ad un filtro di Hilbert ideale al cui ingresso è posto il segnale modulante x(t). Come si vede, si tratta di un segnale modulato sia in ampiezza che in fase e, pertanto, sarà necessario utilizzare un amplificatore di potenza in classe A o B. L’amplificatore in classe C, invece, ha un comportamento non lineare nei riguardi dell’ampiezza del segnale di ingresso: basti pensare al fatto che, al crescere dell’ampiezza del segnale di ingresso VSM, fintanto che non risulta EB+VSM>VT l’angolo di circolazione è nullo e l’uscita rimane a zero. Superata la suddetta soglia la caratteristica di trasferimento che riporta l’ampiezza della prima armonica del segnale di uscita in funzione di quella del segnale di ingresso, è del tipo riportato in 138 figura e presenta una forte non linearità caratterizzata da una soglia inferiore e da una soglia di saturazione. L’amplificatore in classe C, pertanto, è idoneo ad amplificare segnale modulati in frequenza, ma non in ampiezza. Infine, l’amplificatore in classe D produce una forma d’onda d’uscita di ampiezza proporzionale alla tensione di alimentazione e indipendente, quindi, dall’ampiezza del segnale di ingresso utilizzato per pilotare il commutatore. Anche in questo caso l’unico utilizzo possibile sembra ristretto al caso di segnali modulati in frequenza da implementare facendo controllare il commutatore ad un segnale modulato in frequenza a basso livello di potenza. Un altro blocco circuitale presente solo nel trasmettitore è il modulatore. Limitatamente al caso di modulazioni analogiche esamineremo, nel seguito, a seconda del tipo di modulazione, le modalità realizzative del modulatore e la scelta dell’amplificatore di potenza. 6.2.1 Trasmettitori per segnali modulati in ampiezza Un segnale modulato in ampiezza può essere posto nella seguente forma: VANT = VAM 1 + ma x ( t ) cos (ω 0t ) Esistono due possibilità di realizzare il trasmettitore ciascuna con vantaggi e svantaggi caratteristici. 1. Modulazione a basso livello. Lo schema a blocchi è descritto nella figura seguente. L’uscita modulata a basso livello deve essere ibviata ad un amplificatore di potenza che, in base a quanto prima affermato, dovrà operare in classe A o in classe B. 139 x(t) x Ax(t)cos(ω0t) + APRF ma = O.L. ARF A2cos(ω0t) A1 A2 Questa soluzione è caratterizzata dai seguenti aspetti negativi: l’efficienza di conversione non sarà mai quella massima possibile in classe A o in classe B poiché questo risultato è conseguibile solo se l’ampiezza del segnale è costantemente pari a quella massima accettabile dall’amplificatore senza andare in saturazione e/o interdizione. E’ ovvio che un segnale modulato in ampiezza non può soddisfare ad ogni istante tale condizione (altrimenti sarebbe di ampiezza costante!). In ogni caso il limite del 50% e del 78% rispettivamente per le due classi suddette risulta invalicabile. Questi aspetti negativi sono controbilanciati da un aspetto positivo: si tratta di una soluzione a larga banda poiché, contrariamente al caso della classe C e D non vengono impiegati filtri selettivi. Questo rende la soluzione a basso livello idonea ad applicazioni in multiplexer frequenziale (molti canali trasmessi contemporaneamente con grande occupazione di banda), oppure nel caso in cui si debba di continuo cambiare frequenza di trasmissione spaziando su un range di frequenza razionalmente ampio (caso delle trasmissioni ionosferiche). Modulazione ad alto livello. Questa soluzione impiega un amplificatore in classe D nel quale il segnale modulante viene utilizzato per quella si chiama “modulazione per caratteristica di collettore”. Nella figura seguente è rappresentato solo il transistore 1 dell’amplificatore in classe D trattato nel paragrafo 6.1.5. VU 1M = VAM [1 + ma x(t ) ] vu ( t ) = VU 1M cos (ω0t ) 140 2 π La tensione VCC(t) di collettore si compone, adesso, di due parti: una costante VCC0 fornita dalla batteria, ed una variabile, controllata dal segnale modulante, che si somma alla prima mediante un accoppiamento a trasformatore. Ovvero: A VCC = VCC 0 + AvS (t ) = VCC 0 1 + vS (t ) VCC 0 dove la costante A dipende dal rapporto spire e da un eventuale amplificatore a bassa frequenza da interporre tra il segnale modulante ed il primario del trasformatore di accoppiamento. Ricordando che il segnale modulante varia molto lentamente rispetto alla portante, potremmo ripetere la trattazione fatta nel paragrafo 6.1.5 semplicemente sostituendo VCC(t) a VCC. La tensione di uscita (quasi sinusoidale nell’ipotesi di Q maggiore di 10) risulterebbe, in questo caso, avere un’ampiezza: VU 1M = VCC (t ) 2 π con VCC (t ) = VCC 0 [1 + A VCC 0 v s (t )] E, pertanto, se il coefficiente di modulazione risulta m a= A VCC 0 vS ( t ) < 1 si otterrà in uscita un segnale modulato in ampiezza. Questa soluzione consente di usare un amplificatore ad alta efficienza di conversione. Da osservare, infine, che l’efficienza è virtualmente unitaria indipendentemente dall’ampiezza del segnale modulante. Il problema, di fatto, viene, però, spostato sulla realizzazione ad alta efficienza dell’amplificatore di potenza a bassa frequenza, non indicato in figura, necessario per pilotare il primario del trasformatore. Infatti una aliquota considerevole della tensione VCC e, di conseguenza, un altrettanto considerevole contributo alla potenza erogata, proviene, attraverso l’accoppiamento a trasformatore, dal segnale modulante il quale deve essere opportunamente amplificato. L’amplificatore di potenza a bassa frequenza (APBF) nella figura dovrà, a sua volta, essere ad alta efficienza per non influire negativamente sull’efficienza globale del sistema. APBF vS(t) +_ 141 Esistono diverse soluzioni che consentono a basso costo di amplificare un segnale a bassa frequenza con elevata efficienza di conversione come, ad esempio, l’amplificatore in classe S. [Nota: Nell’amplificatore in classe S il segnale da amplificare viene utilizzato come soglia di un comparatore all’altro ingresso del quale viene inviata un’onda triangolare a frequenza molto più alta. Il risultato è un’onda rettangolare di valore picco-picco grande quanto si vuole (dipende dall’ampiezza della tensione di alimentazione) e con duty-cycle proporzionale all’ampiezza istantanea del segnale modulante. Filtrando con un passa basso l’onda rettangolare si riottiene la forma d’onda modulante. Si tratta di un amplificatore switching che, in base allo stesso principio che sta alla base del funzionamento ad alta efficienza dell’amplificatore in classe D, permette di funzionare con efficienza virtualmente unitaria]. Il vantaggio di questa soluzione consiste in una efficienza virtualmente unitaria e indipendente dall’ampiezza del segnale modulante. Lo svantaggio, rispetto alla soluzione a basso livello, consiste nella limitazione introdotta sulla banda passante dalla presenza del filtro ad alto Q. 6.2.2 Trasmettitori per segnali modulati in frequenza Per amplificare segnali modulati in frequenza o in fase, si adotta lo schema di modulazione a basso livello seguito da un amplificatore di potenza che può essere in una qualunque della classi prima esaminate dal momento che non ci si deve preoccupare della linearità in ampiezza. Si può scegliere quindi un amplificatore in classe C o D per avere massimizzare l’efficienza. E’ questo uno dei motivi per cui la maggior parte degli attuali standard utilizzano modulazioni ad inviluppo costante. . Per quanto riguarda i modulatori vi sono due possibili soluzioni: modulatori diretti e modulatori indiretti. Nel primo caso il segnale modulante viene utilizzato per far variare il valore di un parametro circuitale dal quale dipende la frequenza istantanea di oscillazione di un oscillatore. 142 Nel secondo caso il segnale modulante viene prima integrato e poi utilizzato per modulare in fase un oscillatore a frequenza stabile (ad esempio un oscillatore quarzato). Un esempio di questo tipo di soluzione è descritto nel paragrafo 4. e impiega un PLL. Questa seconda soluzione, a fronte di una maggiore complessità circuitale, presenta il vantaggio di una frequenza centrale (frequenza della portante) stabile e affidabile, in quanto ottenuta con un riferimento al quarzo. Nel seguito è rappresentato lo schema a blocchi di un modulatore diretto. Modulatori di frequenza diretti Il caso più diffuso di modulazione diretta è quello in cui il segnale modulante x(t) interviene su un varicap modulando il valore della capacità di giunzione. Se dal varicap (parametro circuitale) dipende la frequenza istantanea di oscillazione, si ottiene un segnale modulato in frequenza Un esempio di questa modalità di funzionamento è stato esaminato nel Cap.2 con l’oscillatore di Clapp il schema circuitale è riportato in figura. 143 A questa soluzione circuitalmente molto semplice, si accompagnano, purtroppo alcuni svantaggi: 1) la frequenza di oscillazione a riposo (in assenza di segnale modulante), ovvero la frequenza della portante, dipende dal varicap, dalle condizioni ambientali (derive termiche), dall’invecchiamento. Essa è scarsamente stabile ed affidabile; 2) la caratteristica che lega la capacità del varicap alla tensione è non lineare e, a sua volta, non lo è nemmeno quella che lega la frequenza istantanea di oscillazione al valore della capacità. In questo modo è praticamente impossibile realizzare una modulazione di frequeza lineare se non per piccolissimi valori del segnale modulante e piccolissime variazioni della capacità intorno al suo valor medio. 144 Solo per deviazioni di frequenza fD molto piccole si può linea rizzare la dipendenza della frequenza di oscillazione dal segnale modulante. Questo significa che si possono ottenere valori molto piccoli dell’indice di modulazione ( D ≈ 10-2 ÷ 10-3). Per quanto riguarda le derive della frequenza della portante si può ricorrere ad una soluzione denominata CAF (Controllo Automatico della Frequenza) la quale funziona però solo sotto certe condizioni per altro facilmente verificabili. Si osservi che le derive termiche e quelle dovute all’invecchiamento costituiscono un disturbo a bassissima frequenza che risulta sempre separato da quello del segnale modulante. Indichiamo con ε(t) tale disturbo e con ε(f) il suo spettro (v. figura seguente). ε f 1Hz Lo schema a blocchi di un anello per il controllo automatico della frequenza è riportato nella seguente figura ε Moltiplicatore di frequenza 2 + x(t) 1 3 MOD FREQ 4 xN PA 7 - 6 DISCR FREQ Inversione di polarità 145 5 X ωQ Supponiamo che il disturbo ε (t ) agisca sotto forma di un contributo additivo nel modulatore. L’espressione del segnale nei vari nodi dell’anello è riportata nel seguito per ciascun nodo: V2 = x(t ) − V7 (t ) V3 = VFM cos ω0 t + ω D ∫ [x(t ) − V7 (τ )]dτ + ω D ∫ ε (τ )dτ 0 0 t t A questo stadio si realizza un valore di dell’indice di modulazione molto minore di quello previsto dallo standard adottato per la particolare applicazione. In tal modo si può supporre lineare il modulatore. Per ottenere, poi, il valore finale di D richiesto dall’applicazione, si utilizza un moltiplicatore di frequenza per N. Il moltiplicatore per N si realizza con una o più non linearità in serie (p. es. quadratori, limitatori ecce un opportuni filtraggi per selezionare l’armonica desiderata. L’uscita del moltiplicatore di frequenza e: t V4 = VFM cos Nω0t + Nω D ∫ [x(τ ) − V7 (τ ) + ε (τ )]dτ 0 Lo spostamento in frequenza che si ottiene è N volte maggiore di quello in uscita al modulatore: f D' = ωD N ⇒ D ' = ND 2π Nell’anello di controllo viene usato come riferimento un oscillatore quarzato con pulsazione ωQ . L’uscita del mixer viene inviata ad un discriminatore (demodulatore) di frequenza. Esso genera in uscita una tensione proporzionale allo scostamento della frequenza istantanea di ingresso rispetto ad una frequenza di riferimento. Come pulsazione di riferimento del discriminatore si sceglie ωRIF = ωQ-Nω0 . Si ottiene: t V5 = V5 M cos (ωQ − Nω0 )t − Nω D ∫ [x(t ) − V7 (τ ) + ε (τ )]dτ 0 V6 = − K D Nω D [x(t ) − V7 (t ) + ε (t )] Il filtro passa basso lascia passare solo le componenti a bassisima frequenza del segnale V6, quelle dovute a ε(t). Si ottiene, pertanto: 146 V7 = K D Nω D [− V7 + ε (t )] V7 [1 + K D Nω D ] = K D Nω D ε (t ) ε (t ) − V7 = V7 = (1 + K D Nω D )ε (t ) − K D Nω D ε (t ) 1 + K D Nω D = K D Nω D ε (t ) 1 + K D Nω D ε (t ) 1 + K D Nω D Quindi: ε (t ) V3 = VFM cos(ω 0 t ) + ω D ∫ x(τ ) + dτ 1 + K D Nω D 0 t 1 + K D Nω D rappresenta il guadagno d’anello del sistema di controllo. L’effetto delle’erroe e(t) risulta attenuato di un fattore pari al guadagno di anello, rispetto al caso di modulatore ad anello aperto. Il sistema risulta reazionato nei confronti del disturbo che risulta abbattuto, mentre non lo è nei riguard del segnale modulante (questo grazie al filtro pasa basso ed alla separazione in frequenza tra segnale e disturbo). La soluzione proposta risulta efficace solo nell’ipotesi, tacitamente accettata, che solo il modulatore di frequenza introduca errore, mentre oscillatore quarzato e discriminatore di frequenza si comportino in maniera ideale. 6.2.3 Traslazione di frequenza mediante moltiplicatori Esaminiamo più in dettaglio il caso prima incontrato in cui si voglia moltiplicare per N la frequenza istantanea di un segnale modulato. Supponiamo che il valore di N sia molto elevato, come nell’esempio che segue, dove f0’ è la frequenza della portante in trasmissione Es: N = 1036 f0’ = 108 MHz f0/N MOD D xN f ’0 D’=DxN f0 = f0’/N ≈ 108 KHz Nel caso in esame il modulatore dovrebbe operare ad una frequenza di 108 kHz e, immaginando che si tratti, ad esempio, di un modulatore FM per lo standard di radiodiffusione, il segnale modulante ha una banda di 15 KHz: l’ipotesi di modulazione a banda stretta non risulta più verificata (in altri termini il segnale modulante non risulta sufficientemente “lento” rispetto alla portante f0 ). 147 Si adotta, allora, la soluzione descritta in figura in cui ad una prima moltiplicazione per N = 36 segue una traslazione in basso mediante un mixer ed una successiva moltiplicazione per N=36. Le operazioni sono chiaramente descritte in figura: t V2 = VFM cos 2π ⋅ 36 ⋅ 3 ⋅ 10 6 t + 36ω D ∫ x(τ )dτ 0 Con la seconda moltiplicazione, eliminando la componente somma, si ottiene in 3 solo il termine differenza: t V3 =V FM cos 2π ⋅ 111 ⋅ 10 6 t − 2π ⋅ 36 ⋅ 3 ⋅ 10 6 t − 36ω D ∫ x(τ )dτ 0 t = VFM cos 2π ⋅ 3 ⋅ 10 6 t − 36ω D ∫ x(τ )dτ 0 Il segnale è nuovamente centrato su 3 MHz ma con uno scostamento di pulsazione pari a 36ωD . Con una successiva moltiplicazione per N=36 si ottiene il risultato desiderato. 6.2.4 Trasmettitori per segnali modulati in SSB Il risultato della modulazione dovrà essere un segnale con uno spettro del tipo in figura. La cui espressione nel dominio del tempo è: v(t ) = VSSB [x(t )cos(ω 0 t ) + q (t )sin (ω 0 t )] Dove q(t) si ottiene mediante un filtro di Hilbert avente le caratteristiche rappresentate in figura. 148 |H(f)| 1 f x(t) H(f) q(t) <H(f) π/2 f -π/2 Supponiamo di voler modulare una portante a 30 MHz in SSB con un segnale audio la cui banda sia compresa tra 300 Hz e 4.5 kHz. Lo spettro del segnale modulante è il seguente: Modularlo intorno a 30 MHz e filtrare la banda laterale sinistra con un filtro a 30 MHz richiederebbe la disponibilità di un filtro dalle caratteristiche estremamente spinte in grado di introdurre una attenuazione di diverse decine di dB in una banda frazionale strettissima (600 Hz su 30 MHz!). Il problema può essere aggirato adottando una soluzione in due successive conversioni di frequenza: una prima traslazione intorno a 600 KHz, quindi, dopo avere eliminato con un filtro passa-alto la banda laterale sinistra, si opera una seconda traslazione ed un ulteriore filtraggio elimina banda. 149 Prima traslazione e filtraggio (si noti che la distanza tra le bande, pur essendo immutata in assoluto, risulta razionalmente molto più alta rispetto al caso della modulazione diretta a 30 MHz): Seconda traslazione A 30 MHz (adesso la banda da eliminare è distante 1.2 MHz da quella passante): Lo schema a blocchi risulta essere il seguente: 600KHz MOD AM 30MHz X 30MHz-600KHz OL La modulazione in banda laterale singola, come è noto, può essere fatta anche nel dominio del tempo a partire dall’espressione del segnale modulato SSB: v SSB (t ) = VSSB [x(t ) cos(ω 0 t ) + q (t ) sin (ω 0 t )] Da un’ispezione diretta si può ricavare il seguente schema a blocchi: 150 Il problema è quello di ricavare, a partire da un unico riferimento, le due oscillazioni sinusoidali in quadratura di fase per comandare gli oscillatori locali dei due mixer. Saranno esaminate, nel seguito, due soluzioni: una molto semplice, ma a banda stretta, l’altra, circuitalmente più complessa, ma a banda larga. Prima soluzione: analogica a banda stretta Con riferimento al semplice circuito RC in figura: vu 1 1 = vi 1 + jωRC vu 2 jωRC = vi 1 + jωRC ω0 = 1 RC f0 = 1 2πRC vu 1 vi f0 −π 4 −π π ∠ 2 π 2 f ∠ vu 2 vu 1 vi vu 2 vi vi 4 f0 151 f Sia il passa-alto che il passa basso hanno lo stesso polo Alla frequenza f0: vu2 è in anticipo su vu1 di π 2 infatti: π - Sull’uscita 1 c’è un ritardo di - Sull’uscita 2 c’è un anticipo di 4 π rispetto all’ingresso 4 rispetto all’ingresso Le due uscite hanno la stessa ampiezza. La soluzione è a banda stretta perché quanto prima osservato si verifica solo per f ≠ f0. Seconda soluzione: digitale a banda larga . Si parte da un oscillatore a onda quadra a frequenza doppia rispetto a f0 e si ricavano i due riferimenti sfasati di π/2 utilizzando due divisori realizzati con dei Flip-Flop e due filtri passa basso che estraggano la prima armonica dall’onda quadra in uscita al Flip-Flop Lo svantaggio di questa soluzione rispetto alla prima è che si deve partire da una frequenza doppia rispetto a quella desiderata e questo si paga in termini di massima velocità richiesta al circuito e di consumi. Come amplificatore di potenza per un segnale SSB che è modulato sia in fase sia in ampiezza, bisognerebbe utilizzare la classe A oppure la classe B, con conseguente limitazione sulla massima efficienza di conversione conseguibile. Una soluzione alternativa è quella denominata a “eliminazione e ricostruzione dell’inviluppo”. In questo caso dal segnale modulato SSB a basso livello vengono estratti: i) l’inviluppo e utilizzato per modulare di collettore un amplificatore in classe D; ii) un’onda quadra con fase θ ( t ) = arctg q (t ) utilizzata per comandare il commutatore. Lo schema circuitale è rappresentato in x (t ) figura e il segnale SSB amplificato viene “ricostruito” sull’uscita vu. 152 153
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