Caso clinico Titolo articolo anche lungo [ Tutto su ] Raffaele Arigliani1 Annarita Goglia2 1 Pediatra, Direttore Scientifico IMR, Benevento 2 Pedagogista, Docente IMR, Benevento I minori che hanno vissuto in ambienti violenti imparano ad essere violenti. È questo il punto di partenza del nostro ragionamento che ci condurrà ad affermare con forza come il riconoscere quali siano i bisogni del bambino sia la prima strada affinché i loro diritti diventino cultura e consapevolezza diffusa, orizzonte irrinunciabile dell’impegno civile per la non violenza e per uno sviluppo del minore completo e sano. È ben noto in letteratura come l’esposizione alla violenza durante l’infanzia favorisca l’incremento di comportamenti violenti durante l’adolescenza (Thormberry, 2004), così come è più probabile che la violenza nelle relazioni con il partner si manifesti se si è cresciuti in contesti violenti (Sudermann, Jaffe 1993). I bam- AreaPediatrica | Vol. 15 | n. 2 | aprile-giugno 2014 Una Pediatria consapevole deve puntare al benessere globale del bambino, riconoscendo e promuovendone i diritti irrinunciabili. 61 Dalla violenza sui minori ai bisogni irrinunciabili del bambino Tutto su Dalla violenza sui minori ai bisogni irrinunciabili del bambino Di 674.000 donne e madri italiane che hanno subito violenze ripetute dal partner ben il 61,4% ha dichiarato che i figli hanno assistito ad uno o più di questi episodi. bini esposti e testimoni di violenza domestica possono addirittura presentare gli stessi sintomi ed effetti a lungo termine dei bambini che sono vittime di violenza diretta (US Department of Health, 2000). È altrettanto vero che l’aver subito violenza domestica può anche indurre un adolescente ad essere vittima di prevaricazioni e di violenza da parte dei coetanei (Mohr, 2007). In altri termini, prendendo spunto dalle risultanze dei suddetti studi, non si può non esser d’accordo nell’affermare che violenza genera violenza, senza dimenticare che la violenza provoca danni allo sviluppo psicofisico del bambino, favorendone altresì la sua vulnerabilità ed isolamento sociale. AreaPediatrica | Vol. 15 | n. 2 | aprile-giugno 2014 62 M a se può apparire in prima battuta scontato quanto sopra detto, non è altrettanto intuitivo immaginare, nella società di oggi così fortemente evoluta e civilizzata, come la violenza e le sue modalità di espressione ‒ in particolar modo sui bambini e sugli adolescenti ‒ sia uno dei fenomeni maggiormente diffusi di cui spesso poco si parla o meglio di cui spesso poco si può parlare. Da un’indagine dell’ISTAT del 2007 è emerso, infatti, come il 93% delle violenze domestiche non sia stato denunciato; si assiste in sostanza ad abusi che si celano, per la paura delle vittime, nel doloroso e drammatico silenzio delle mura domestiche. La stessa indagine ha rilevato anche che di 674.000 donne e madri italiane che hanno subito violenze ripetute dal partner ben il 61,4% ha dichiarato che i figli hanno assistito ad uno o più di questi episodi. In un tale contesto, la strada verso una nuova consapevolezza dei diritti del minore attraverso la non violenza e il riconoscimento dei suoi irrinunciabili bisogni appare quanto mai necessaria ed obbligata. Già nel 1996 la 49° Assemblea Mondiale della Sanità dichiarava che “la violenza è un problema di salute pubblica di fondamentale importanza e in progressiva espansione in tutto il mondo” e nel 2002 l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) definiva la violenza come “l’uso intenzionale di forza fisica o di potere […] che ha come conseguenza o che abbia un elevato grado di probabilità di determinare un danno fisico, psicologico, l’alterazione dello sviluppo, la deprivazione”. La stessa OMS riconosce come abuso o maltrattamento sull’infanzia tutte “le forme di maltrattamento fisico e/o affettivo, abuso sessuale, incuria o trattamento negligente, nonché sfruttamento sessuale o di altro genere che provocano un danno reale o potenziale alla salute, alla sopravvivenza, allo sviluppo o alla dignità del bambino, nell’ambito di una relazione di responsabilità, fiducia o potere”. P iù scientificamente, si possono distinguere, a seconda della natura dell’abuso, varie tipologie di violenza nell’infanzia: fisica, sessuale, psicologica, assistita, patologia della cura. La violenza fisica comprende le azioni non accidentali di un adulto nei confronti di un minore, tramite l’utilizzo inappropriato e incontrollato della propria forza fisica. Queste aggressioni variano dalla forma più lieve (spintoni, schiaffi, etc.) fino a forme più gravi (uso di cinture o bastoni). Di solito la violenza fisica non è un evento unico o isolato, bensì fa parte di un insieme, di un modello di atti intenzionali e ripetuti. L’abuso sessuale infantile è un tipo di violenza nella quale un adulto o un ragazzo coinvolge un minore in un’attività sessuale per la quale non è ancora psicologicamente maturo. L’adulto abusante, nel 40% dei casi in genere una persona familiare/ conoscente/significativa per il minore, sfrutta la relazione affettiva proponendo un’attività sessuale inappropriata all’età del bambino, a volte mascherata da attività ludica, comprendendo tra queste anche l’ascolto o la visione di situazioni a sfondo sessuale. L’immaturità del bambino non gli consente di elaborare questa violenza e gli fa generare dei ricordi che lo condizioneranno nella sua vita sia livello relazionale sia a livello affettivo. La violenza psicologica, la più frequente e maggiormente sottovalutata all’interno dei nuclei familiari, è l’insieme di manifestazioni frequenti e persistenti che minacciano lo sviluppo e l’integrità psicologica del minore. Comprende gli aspetti affettivi e Tutto su Dalla violenza sui minori ai bisogni irrinunciabili del bambino Decalogo dei diritti del bambino Ogni bambino ha diritto: 1ad essere amato incondizionatamente Comportamenti a volte apparentemente naturali e normali esprimono, se reiterati e frequenti, violenza psicologica. AreaPediatrica | Vol. 15 | n. 2 | aprile-giugno 2014 cognitivi della violenza infantile che ma vede, sente o è consapevole di atti 2a sviluppare pienamente il proprio potenziale umano e sociale; derivano dal ripetersi di comportaviolenti che possono essere di natura menti aggressivi verbali e non verbali. fisica, psicologica o sessuale compiuti 3all’integrità fisica (cure in gravidanza, Questi “messaggi negativi” rimangoverso una persona per lui di riferialimentazione adeguata, ambiente confortevole, assistenza medica); no registrati nella psiche del minomento o significativa. Come detto re, condizionando fortemente la sua precedentemente, i bambini esposti 4ad accudimento amorevole e continuativo da caregiver vita. La frequenza e la regolarità dei alla violenza domestica possono predi riferimento con adeguata messaggi negativi hanno un’influensentare gli stessi sintomi ed effetti a conoscenza dell’infanzia, all’interno di un ambiente sociale za molto maggiore che l’atto in sé, lungo termine dei bambini che sono aperto e accogliente, in contatto con altri bambini, in cui vi sia perché creano un modello comportavittime di violenza diretta. supporto alla genitorialità fragile; mentale predominante nel rapporto, Ultima tipologia nell’ambito della ad esempio madre-figlia, provocanclassificazione delle violenze nell’in5di ricevere l’amore di entrambi i genitori, di vedere l’amore circolare do, con molta probabilità, notevoli fanzia è rappresentata dalle cosiddetnel suo ambiente familiare e in particolare tra i genitori; danni nello sviluppo affettivo, emote patologie della cura. Queste si rifetivo e cognitivo del minore. Accariscono alle cure inadeguate da parte 6al contatto fisico amorevole dai suoi de così che comportamenti a volte dei genitori che possono provocare genitori: coccole, carezze, baci, etc.; apparentemente naturali e normali violenza psicologica sul minore. Nel 7di conoscere le proprie origini, esprimano, se reiterati e frequenti, caso che le cure siano carenti, si parla di essere accettato incondizionatamente, rispettato, violenza psicologica. Basti pensare di incuria: un genitore, ad esempio, stimato, valorizzato; agli atteggiamenti con cui si sminuche non si occupa o si mal occupa, isce o si svaluta un bambino (“Mamanche se in grado di farlo, dello svi 8di essere ascoltato, di potersi esprimere, di essere compreso ma dice che non so fare niente”, “Da luppo del bambino relativamente alla per il linguaggio tipico del suo stadio di sviluppo; te non mi posso aspettare niente di salute, educazione, sviluppo affettibuono”), o le situazioni in cui un mivo, nutrizione, protezione e sicurezza 9 di ricevere doni, parole nore viene ignorato (ad esempio un delle condizioni di vita. A differenza di incoraggiamento, sostegno, fiducia, momenti speciali solo per lui; bambino che rientra a casa da scuola, dell’incuria, può anche accadere che saluta i genitori e nessuno di questi le cure, anche se effettuate, non ririsponde al saluto, oppure un adulto sultino adeguate al momento evolu10 che siano valorizzate le sue specifiche “differenze”, che preferisce all’interno di un gruptivo, non rispettando così le esigenze attitudini, abilità, propensioni. po un bambino a scapito di altri), o evolutive del minore; in tal caso si ancora un comportamento con cui si assiste alla patologia della discuria. ricatta un bambino (“Se non mangi Un esempio potrebbe essere un bamnon ti voglio più bene”, “Se non vai a Messa sono triste bino di sei anni al quale la madre somministra solo dieta e mi viene da piangere”). lattea o cibi frullati o un minore su cui i genitori nutrono Altra forma di violenza è la violenza assistita: questa molteplici aspettative irrazionali caricandolo di attività avviene quando il minore non è vittima diretta di violenza, da svolgere con ottimi risultati da perseguire, magari con 63 e senza misura; Tutto su Dalla violenza sui minori ai bisogni irrinunciabili del bambino Non si può prescindere dall’interazione adulto-neonato in quanto unico vero processo che accompagna e modella tutte le fasi di sviluppo del bambino. l’obbligo di primeggiare nel gruppo. L’ipercura, al contrario, si manifesta quando i genitori offrono cure eccessive al loro figlio, cure che possono andare dall’iperprotezionismo fino a forme patologiche gravi come la sindrome di Münchhausen. Questa è una grave forma di ipercura nella quale il bambino è sottoposto a continui e inutili accertamenti clinici e cure inopportune su iniziativa della madre, la quale è convinta che il proprio figlio sia malato. La madre, avendo cura del figlio malato, diventa una “brava madre” e si sente considerata dai medici e dalla propria famiglia. AreaPediatrica | Vol. 15 | n. 2 | aprile-giugno 2014 64 D alla descrizione appena fatta delle varie tipologie di violenza nell’infanzia e riprendendo, al contempo, la definizione dell’OMS sull’abuso o maltrattamento infantile, emerge con forza sempre, a fattore comune, la responsabilità latente di una classe di adulti scarsamente consapevoli di quali siano i reali e irrinunciabili bisogni del minore. D’altronde, in tale ambito, non si può prescindere dall’interazione adulto-neonato in quanto unico vero processo che accompagna e modella tutte le fasi di sviluppo del bambino la cui identità si svilupperà nel confronto con “l’altro da sé”. E la base “naturale” di questa interazione, così importante in quanto funzionale ai vari bisogni del bambino che mutano durante le epoche della sua vita, saranno le dinamiche di empatia, ovvero la capacità di vedere, almeno un po’, il mondo dal punto di vista dell’altro, mentre l’altro percepisce di essere guardato, rispettato, accettato, visto e, almeno un po’, compreso. L’ interazione adulto-neonato dovrebbe quindi essere “naturalmente” empatica, ma poiché non è così scontato che avvenga, si dovrà fare in modo che diventi necessariamente empatica. Stern ha dimostrato, infatti, che un neonato, cresciuto da una madre depressa con scarsa capacità di dare feedback coerenti agli stimoli che vengono dal neonato (pianto, sorriso, colichette, etc.), presenta già a 3 mesi maggiore irritabilità e una ridotta mimica facciale. Se una madre depressa si sente bloccata, triste, affogata nelle proprie emozioni e bisogni, che la chiudono in se stessa, in un circuito vizioso di insoddisfazione e senso di colpa, la madre empatica è invece capace di “vedere” i bisogni e i messaggi che il neonato lancia. Il focus istintivo è su di lui e lei reagisce d’impulso, con un’infinità di modalità non verbali (mimica del viso, atteggiamento del corpo, inclinazione del collo, etc.) e azioni concrete (allattare, cambiare il pannolino, cantare una nenia, dondolarlo, etc.). Dalla reazione della mamma alle sue azioni, in uno schema di reazioni inizialmente bianco/nero che via via si arricchisce di tutte le sfumature di grigio, il neonato impara a modulare e controllare il proprio comportamento. Potrà quindi imparare l’utilità di reagire in maniera esplosiva e dirompente e incontrollabile (il bimbo capriccioso, urlante, che non dorme, etc.) o l’auspicata capacità ad un’interazione maggiormente modulata e armoniosa (sorride, gioca, partecipa, etc.) a seconda delle modalità del feedback che riceverà. Certamente il “gioco relazionale” poggia su Biologia e Genetica differenti. Brazelton nei sui studi ha mostrato come almeno quattro macrotipologie di carattere dei bimbi sono definibili e già individuabili, nelle primissime tracce, a poche settimane di vita (dominante; vivace-energicoiperattivo; sensibile-riflessivo; timido-introverso). Tale aspetto può essere utile per avere riferimenti di macroaree su cui muoversi, ma senz’altro va chiarito che ogni bimbo è una storia diversa, unica irripetibile, non racchiudibile in schemi, anche se alcune sensibilità potranno caratterizzarlo. Un rapporto educativo facilitante, quindi, sia esso da parte di un genitore o di una persona significativa o di un educatore professionale e così via non potrà, anzi non dovrà, partire dall’idea standard di “chi sia il bambino”, ma dovrà cercare di cogliere, valorizzare, lavorare sulle “differenze individuali”. Solo così un sistema educativo diventa efficace. A tal fine l’adulto ha necessità di conoscere le dinamiche psicologiche di base delle diverse epoche della vita infantile. Se ciò non accade, si rischia di parlare un linguaggio non comprensibile, con clamorosi insuccessi educativi. Ad esempio la dimensione del tempo o il ragionamento astratto non sono “comprensibili” dalle strutture mentali di un bimbo di 3 anni. Tutto su Dalla violenza sui minori ai bisogni irrinunciabili del bambino hanno bisogno di molto di più che di una semplice condizione di non deprivazione ma di relazioni efficaci di cura e promozione da parte di adulti consapevoli, che abbiano semplici e chiari modelli educativi di riferimento, capaci di declinare in azioni coerenti (adeguate alle diverse età, caratteri, situazioni) un progetto di “accudimento amorevole”. Pertanto, se è naturale esser d’accordo sui diritti primari essenziali del bimbo (cibo, igiene, cure mediche, conoscenza dell’identità genitoriale, libertà di religione, assenza di discriminazione razziale, ribaditi dall’ OMS nella Carta di New York), dobbiamo con forza sottolineare i “diritti all’accudimento amorevole”, che pure l’ OMS cita ma che vanno ulteriormente evidenziati ed esplicitati. Nessun genitore o caregiver dovrebbe avere il diritto di ignorare i bisogni irrinunciabili del bambino, poiché il non rispetto di essi da parte degli adulti è di fatto assimilabile, nelle ferite che determina, alle forme di violenza più tradizionali. Il non permettere al bimbo e poi al ragazzo di svilupparsi in serenità, il non favorire la maturazione delle sue doti naturali, il non fargli sperimentare il calore di un amore incondizionato, il non donargli relazioni empatiche, stima, valorizzazione, riconoscimento etc., sono di fatto vere violenze, fonte di dolore e infelicità, ostacolo spesso irreversibile verso l’armonico sviluppo della personalità umana e sociale del bimbo di oggi, dell’adulto di domani. Riconoscere i bisogni irrinunciabili dei bambini è la prima strada per combattere la violenza nell’infanzia in tutte le sue forme e far sì che i diritti dei bambini diventino cultura e consapevolezza diffusa, orizzonte irrinunciabile dell’impegno civile 65 . Bibliografia 1. Arigliani R. Genitori con la patente. Roma: Città Nuova, 2005. 2. Bettelheim B. Un genitore quasi perfetto. Milano: Feltrinelli, 1988. 3. Brazelton B. I bisogni irrinunciabili dei bambini. Milano: Raffaello Cortina Editore, 2001. 4. Cavaleri P. Vivere con l’altro. Roma: Città Nuova, 2007. 5. Chapman G. I cinque linguaggi dell’amore. Torino: Elledici, 2003. 6. Goleman D. Intelligenza Emozionale. Milano: BUR Rizzoli, 2005. 7. Milan G. Educare all’incontro. Roma: Città Nuova, 1994. 8. Roche RO. L’intelligenza Prosociale. Trento: Erickson, 2002. 9. Stern D. The Interpersonal World of the Infant. New York: Basic Books, 1987. AreaPediatrica | Vol. 15 | n. 2 | aprile-giugno 2014 N on vi è spazio per affrontare un tema così ampio, ma è importante sottolineare, in estrema sintesi, che il bambino ha diritto a ricevere cure da adulti consapevoli. Di conseguenza è responsabilità di tutti che si diffonda la cultura di “cosa vive il bambino” e di come stimolare lo sviluppo della sua intelligenza emotiva. Tali competenze dovranno essere certamente degli educatori, ma ad un livello basico andrebbero date a tutti i futuri genitori, ancor prima che il bambino nasca. Un supporto alla genitorialità, quindi, in particolar modo per quella più debole (per malattie, condizioni sociali, etc.), rientra tra i diritti del bambino: il suo sviluppo sarà strettamente dipendente dalle relazioni che egli vivrà! Conoscere le tappe di sviluppo del neonato, del bambino, dell’adolescente è, per l’educatore-genitore o l’educatore-professionista, essenziale al fine di correttamente interpretare i segnali che arrivano dal bambino, per impostare strategie e programmi educativi idonei alle diverse età, per favorire lo sviluppo di competenze sul piano cognitivo, emozionale, sociale. La consapevolezza dello stadio evolutivo neuropsicosociale potrà aiutare ad anticipare e trasformare le inevitabili “crisi”, a riconoscere i soggetti più fragili, a sospettare precocemente patologie che ne trarranno grande beneficio (dislessia, autismo, disturbi dell’apprendimento, etc.). Soprattutto l’educatore consapevole punterà a costruire processi facilitanti e lo sviluppo di quelle che Goleman indica come “competenze dell’intelligenza emotiva”. Molteplici le motivazioni culturali che rendono indispensabile l’evoluzione dell’attenzione di cura al bambino ad una visone integrata, in cui il biologico si sposi con le esigenze psico-socio-relazionali. Partiamo dalla radice di esse, dalla più antica domanda: “Chi è l’uomo”? Dal punto di vista biologico oggi possiamo senza dubbio rispondere: un essere relazionale che per svilupparsi necessità di accudimento amorevole. Tante le dimostrazioni in tal senso. Una per tutte, la Sindrome da deprivazione affettiva tristemente nota anche in anni recenti nei bambini istituzionalizzati dalla nascita negli orfanatrofi della ex Bulgaria. Tale sindrome mostra che un neonato a cui si somministrino adeguate calorie, ma non è coccolato, non accarezzato, non in contatto continuo con adulti, non cresce in peso e altezza, sviluppa tare nello sviluppo psichico e neurologico. Così come molta parte dei disagi psichici (depressione, ansia, disturbi del comportamento, etc.) o di devianza sociale hanno le radici in un mix di biologia e di situazioni ambientali con dinamiche di abbandono e carenza di accudimento. I bambini, per sviluppare adeguata autostima, empatia, senso del sé e del sociale, capacità organizzativa, fiducia
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