magma 16 febbraio 2014

16 febbraio 2014
Maria (Milli) Virgilio
La legge «sul femminicidio»
di prossima pubblicazione su MAGMA
1. Un primo passo?
Come legge « sul femminicidio» viene comunemente identificata la prima
parte del decreto legge 14 agosto 2013, n. 93, convertito con modificazioni
in legge 15 ottobre 2013, n. 119 recante: «Disposizioni urgenti in materia di
sicurezza e per il contrasto della violenza di genere, nonché in tema di
protezione civile e di commissariamento delle province»1.
E’ la parte - composta dai primi sei articoli (da art. 1 a 5 bis) su 19 - che
costituisce il Capo I, intitolato “Prevenzione e contrasto della violenza di
genere”, inserita in un testo normativo, che tratta anche altre materie, tra
loro assai eterogenee2, come già il titolo stesso indica.
Il decreto era stato deliberato alla seduta dell’8 agosto 2013. Ma il
testo è stato conosciuto solo alla sua pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale n.
191 del 16 agosto 2013. Il comunicato stampa subito diffuso (n. 19 dell’8
agosto) illustrava sinteticamente i contenuti del decreto, che prontamente
veniva
denominato «sul femminicidio», alla stregua della espressa
indicazione mediatica del Presidente del Consiglio.
Il decreto provvisorio con forza di legge è entrato in vigore il giorno
dopo la pubblicazione, e cioè il 17 agosto3, dando inizio al periodo dei
sessanta giorni utili per la conversione in legge, pena la perdita di efficacia fin
dall’inizio.
Il testo governativo - benché criticatissimo sotto tutti i profili4 - era
stato tuttavia ritenuto meritevole della conversione, cioè emendabile5, tanto
che - al di là delle censure (sia sulla scelta incostituzionale del decreto
governativo provvisorio con forza di legge sia sulle singole disposizioni) e al
1
Per un esame della legge dal particolare profilo dell’autodeterminazione femminile rinviamo al nostro contributo di
prossima pubblicazione “Legislazioni a contrasto della violenza maschile contro le donne e autodeterminazione
femminile” in “Diritto e genere. Analisi interdisciplinare e comparata”, a cura di S. Scarponi, Cedam, Padova 2014, ora
nel sito mariavirgilio.wordpress.com.
2
Il contrasto con il principio della omogeneità, sancito dalla L. n. 400/1988 e costituzionalizzato dalla Corte
Costituzionale, ha suscitato vibrate proteste parlamentari (Sen. Finocchiaro e Sen. Giannini)
3
Solo l’arresto obbligatorio in flagranza per maltrattamenti e atti persecutori (art. 2, c. 1, c) sarebbe entrato in vigore
dalla data di conversione (art. 2, c. 4).
4
I lavori parlamentari di commissione (comprese le audizioni) e di assemblea sono consultabili al sito del Parlamento.
5
Nessuno alla Camera ha proposto la non conversione totale e solo un emendamento ha proposto la soppressione
dell’intero capo contro la violenza di genere (è quello n. 1.66 presentato dai deputati del Movimento 5 Stelle); mentre al
Senato il Movimento 5 Stelle ha posto una pregiudiziale di incostituzionalità, bocciata alla votazione.
1
di là delle espressioni di voto in aula6 - tutte le forze parlamentari hanno
scelto la strada della presentazione in Commissione e in Assemblea di
emendamenti a scopo migliorativo: ben 414, solo in prima battuta!
L’acceleratissimo lavoro di conversione ha occupato solo uno dei due
rami del Parlamento, la Camera dei Deputati (che il 9 ottobre ha approvato
con modificazioni il ddl 1540C ), mentre il Senato è stato posto di fronte al
fatto compiuto7 e in data 11 ottobre ha dovuto approvare, senza poter
modificare, pena la decadenza del decreto8. Convertito con numerosissime
modificazioni in legge n. 119 del 2014, è stato pubblicato in Gazz.Uff. n. 242
del 15 ottobre 2013.
Nonostante le modifiche, il testo finale è stato sottoposto a concordi e
serrate critiche da parte dei tecnici (Pistorelli, 2013) e ha creato (e sta
creando) notevoli incertezze interpretative negli operatori, ma è stato
positivamente accolto, ai livelli istituzionali, come un primo effettivo passo
verso una futura disciplina organica (articolata e finanziata) per prevenire e
contrastare la violenza maschile contro le donne e come un primo
adeguamento del nostro sistema giuridico agli obblighi internazionali (non
tanto della Convenzione di Istanbul 11 maggio 2011 “Council of Europe
Convention on preventing and combating violence against women and
domestic violence”, ratificata dall’Italia con legge n. 77 del 27 giugno 20139,
quanto piuttosto della direttiva 2012/29/UE del Parlamento europeo e del
Consiglio, che istituisce norme minime in materia di diritti, assistenza e
protezione delle vittime di reato10), nonché come mantenimento di un
impegno governativo e parlamentare assunto nei confronti delle donne sul
tema della violenza di genere.
Sul punto si è sviluppata una dinamica singolare, eppure analoga a
quella della legge n. 66 del 1996 “Norme contro la violenza sessuale”, nel
senso che la determinazione legislatrice - coagulatasi sulla volontà di non
potersi sottrarre a esercitare il potere legislativo (ora “contro il
femminicidio” allora contro la violenza sessuale) a prescindere dai contenuti
6
Anche chi alla votazione finale si è astenuto ha poi rivendicato di aver partecipato fattivamente al lavoro di
miglioramento.
7
Sen. Schifani, Capogruppo PdL: “Non si verifichi più”.
8
Salvo poi dichiarare che il testo definitivo era censurabile e da ulteriormente migliorare: «Malgrado ci siano degli
errori»; «provvederemo ad inserire delle modifiche nel testo che stiamo esaminando sulla stessa materia in
Commissione». Così il Presidente della Commissione Giustizia al Senato (www.repubblica.it, 11 ottobre 2013)
9
La traduzione italiana è inesatta e fuorviante in più punti a cominciare dal titolo che correttamente dovrebbe essere «per
prevenire e contrastare la violenza contro le donne e la violenza domestica ».
10
Tutte le vittime di tutti i reati. Il recepimento da parte degli Stati membri dell’Unione Europea è previsto entro il 16
novembre 2015.
2
- ha prevalso su ogni criterio di buona qualità legislativa, come la tempistica
dimostra e le critiche tecniche attestano11.
2. La decretazione d’urgenza
Prima di esaminare il contenuto del nuovo testo legislativo, non
possiamo tacere qualche considerazione di metodo e di contesto.
E’ difficile non condividere la censura che la scelta del decreto
12
legge sia incostituzionale e abbia illegittimamente privato la collettività di
un momento di confronto democratico. La illegittimità è duplice,
innanzitutto per la eterogeneità dei contenuti del decreto, accresciuta dalla
Camera in sede di convenzione (vedi nota 2), tanto da essere definita legge
anti-NO TAV, omnibus, fritto misto e macedonia.
Secondariamente, non sussistono i requisiti previsti dalla
Costituzione per emanare decreti con forza di legge, cioè le circostanze
straordinarie di necessità e urgenza. A giustificazione infatti, il preambolo
del decreto non porta alcun dato oggettivo, ma si limita a enunciare il
“susseguirsi di eventi di gravissima efferatezza in danno di donne”. Ed è da
questo che trae il “conseguente” “allarme sociale”, che - a sua volta - ha reso
necessario “inasprire per finalità dissuasive, il trattamento punitivo per gli
autori”.
La natura strutturale stessa del fenomeno che si vuole contrastare
si pone in contraddizione con la straordinarietà richiesta dalla Costituzione
per i decreti-legge. E che la violenza di genere contro le donne sia
“strutturale” lo affermano gli strumenti internazionali, a cominciare dalla
Convenzione di Istanbul, appena ratificata dall’Italia, nel suo preambolo. Non
è sostenibile quindi alcun carattere di emergenzialità in proposito.
L’unico presupposto accampato a sostegno della straordinaria
necessità e urgenza è costituito da una indimostrata asserzione statistica e
criminologica (un vago e ascientifico “susseguirsi di eventi”) che risulta anche
contraddittoria con la portata del decreto, il quale contiene poi sia
l’assegnazione al Ministro dell’interno del compito di elaborare annualmente
(art 3) “un’analisi criminologica della violenza di genere” e sia la previsione di
una raccolta strutturata dei dati del fenomeno inserita nel Piano
11
Non trattiamo l’argomento politico - perché squisitamente tale - che il decreto “doveva” essere convertito perché il
Governo Letta in carica non poteva patire smentite.
12
I successivi rilievi riprendono il testo depositato alla audizione 11 settembre 2013 dinanzi alla Camera - Commissioni
riunite Affari Costituzionali e Giustizia resa dalla sottoscritta quale presidente dell’associazione GIUdIT - Giuriste
d’Italia.
3
straordinario (art. 5). Insomma il presupposto del decreto ne costituisce
anche l’oggetto, e, per di più, deve ancora essere dimostrato!!!!!
Né sussiste l’urgenza: la gravità del fenomeno la conosciamo non
da oggi, ma da anni, almeno dal 2006, anno di riferimento della indagine
ISTAT: gli unici dati ufficiali raccolti.
E’ inoltre errata la prospettazione di aumenti e recrudescenze dei
fatti di violenza denunciati. Non abbiamo i dati ufficiali per potere affermarlo
perché invano chiediamo da anni che i dati vengano ufficialmente raccolti. Li
aspettiamo dalla Direttiva Prodi Finocchiaro del 1997 e dal disegno di legge
Pollastrini – Bindi n. 2169 del 2007! Anzi dalle raccolte non ufficiali risulta il
contrario, cioè emergono dati stabili negli ultimi anni, e pure in leggera
diminuzione sia per le denunce (e querele) di violenze sessuali (purtroppo
l’accorpamento in una unica fattispecie non consente di distinguere i fatti di
stupro da quelli di minore gravità) sia per gli assassini di donne da parte di
uomini con cui sono in relazione di intimità (per comparare occorrerebbe
selezionare i delitti secondo criteri omogenei). La sostanza della valutazione
non è diversa se la focalizziamo sui delitti di stalking. E’ vero che è elevato il
numero delle querele presentate per questo delitto: secondo i dati
pubblicizzati nell’agosto 2013 dal Ministero dell’interno, sono 38.142
dall’entrata in vigore della legge 38/2009; nel 73% dei casi depositate da
donne. Ma occorre considerare che molti fascicoli aperti vengono poi
archiviati: tra il 15 e il 30% per remissione di querela e tra il 30 e il 60% per
infondatezza o mancanza degli elementi costitutivi previsti dalla legge. Così
risulterebbe dalle valutazioni dei pubblici ministeri (Virgilio, 2013) .
Dunque il tema della modifica legislativa doveva essere portato
esclusivamente nella sede parlamentare e nella pienezza del potere
parlamentare (non con i limiti di una legge di conversione).
Tali rilievi sulla scelta del decreto legge potrebbero apparire inutili
visto che la legge è ormai in vigore. Ma potrebbero pur sempre essere
sollevati in giudizio incidenti di illegittimità costituzionale...
3. Il linguaggio legislativo
Passando alla analisi dei contenuti della legge occorre premettere che,
contrariamente alla denominazione, nessuna norma si riferisce ai
femminicidi/femicidi perchè nessuna delle norme si riferisce agli assassini di
donne da parte di uomini con cui sono in relazione di intimità o prossimità.
Peraltro la sola norma che si riferisce (anche) all’omicidio è la “circostanza
aggravante” comune dell’art 61 codice penale; ma concerne tutti i delitti
4
(non colposi) contro la vita e l’incolumità individuale, ivi compreso l’omicidio
(art. 575 c.p.), e dunque prescinde dal genere, comprendendo anche gli
omicidi di donne nei confronti di uomini. Quindi la denominazione è
ingiustificata, a meno di non voler sostenere che qualunque modifica della
legge penale (sia sostanziale che processuale) in materia di violenza svolga
di per sé funzione di prevenzione dei cd. femicidi/femminicidi.
Uno specifico rilievo va rivolto al linguaggio utilizzato nel decreto, che
appare spesso improprio. Le norme sono tutte neutre rispetto al genere,
perfino quelle che si riferiscono alla donna in stato di gravidanza (“persona”
in stato di gravidanza!?!?). Il vocabolario usato è oscillante e incerto. Si
alternano indifferentemente violenza di genere, donne e violenza domestica.
Ma la violenza di genere è riferita non solo alle donne e dunque dovrebbe
essere precisata quanto a destinatari, qualora si voglia intendere violenza di
genere contro le donne. Violenza sessuale è abbinata alla violenza di genere
e poi allo stalking: come se violenza sessuale e stalking non costituissero
violenza di genere contro le donne. Quanto alla nozione di violenza
domestica riprende sì la definizione di Istanbul, ma è stata caricata di un
ulteriore requisito restrittivo: gli atti “non episodici”. Eppure il glossario
legislativo sarebbe importante sia sul piano della certezza e chiarezza del
diritto sia su quello del messaggio simbolico culturale connesso alla
innovazione normativa: lo presuppone la Convenzione di Istanbul che
esordisce proprio con una serie di “definizioni”.
4. Le modifiche normative in materia penale e non.
I nodi della legge (nella parte che ci occupa) si articolano su livelli
diversi, che richiedono considerazioni differenziate.
Va premesso che l’intervento legislativo si sviluppa solo nella materia
penale (e - ancora una volta - nella chiave della sicurezza pubblica13), perché
l’iniziativa legislativa intrapresa dall’esecutivo ha scelto di muovere il suo
(primo?) passo dalle norme di diritto penale, sostanziale e processuale.
Fanno eccezione le due norme programmatiche e di indirizzo sul «Piano
13
Il titolo del decreto dice solo “sicurezza” , ma poi preambolo e articolato chiariscono che è alla sicurezza pubblica e di
polizia che il Governo si riferisce; del resto basta leggere i titoli delle ultime leggi in materia: Legge 23 aprile 2009, n. 38,
conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 23 febbraio 2009, n. 11, recante Misure urgenti in materia di
sicurezza pubblica e di contrasto alla violenza sessuale, nonché in tema di atti persecutori; Legge 15 luglio 2009, n. 94,
Disposizioni in materia di sicurezza pubblica; Legge 17 dicembre 2010, n. 217, conversione in legge, con modificazioni,
del decreto legge 12 novembre 2010 n. 187 recante Misure urgenti in materia di sicurezza; Decreto legge 16 agosto
2013 n. 93 recante Disposizioni urgenti in materia di sicurezza e per il contrasto della violenza di genere, nonché in tema
di protezione civile e di commissariamento delle province.
5
d’azione», gli artt. 5 e 5 bis, che tuttavia sono ancora in attesa delle norme
attuative necessarie, così come l’art. 4, che prevede la particolare normativa
di “tutela per gli stranieri vittime di violenza domestica”, che anch’essa
necessita di essere integrata con norme applicative per poter essere
effettiva. Rinviamo pertanto alla loro lettura, sottolineando che l’art. 5
prevede il «Piano d’azione straordinario contro la violenza sessuale e di
genere»14, che in sede di conversione è stato ampliato e – finalmente –
finanziato (anche se scarsamente: 10 milioni di euro per l’anno 2013),
mentre la norma successiva (art. 5 bis) disciplina le «Azioni per i centri
antiviolenza e le case-rifugio», finanziate con incremento di 10 milioni di
euro per l’anno 2013, 7 milioni per il 2014 e 10 milioni a decorrere dall’anno
2015. Come già detto, questo filone di norme sarà rilevante solo quando la
loro attuazione sarà stata implementata. Anche per questo, nel corso dei
lavori parlamentari hanno preso parola soprattutto associazioni femminili e
centri antiviolenza , sia per ottenere dal Parlamento quei finanziamenti che il
Governo non aveva neppur minimamente previsto sia per rivendicare il ruolo
di interlocutori privilegiati nella materia.
Concentriamo dunque la nostra indagine sulle restanti tre norme (artt.
1, 2 e 3), che incidono con modifiche varie sulla normativa penale,
prevalentemente su quella processuale.
Innanzitutto soffermiamoci sulla scelta di Governo (e Parlamento) che
- in questo “primo passo” - hanno voluto muovere dal diritto penale.
Occorreva invece interrogarsi sulla funzione sociale del diritto penale per
verificarne l’idoneità e i limiti a normare la violenza di genere contro le
donne (o, più chiaramente, la violenza maschile contro le donne). E’
certamente il diritto dotato della più forte carica simbolica, ma anche il più
debole intrinsecamente quanto a capacità di incidere sui rapporti di potere.
Lo è innanzitutto in generale per la sua caratteristica di esemplarità. E lo è
ancor più nella specifica materia della violenza maschile contro le donne.
La legge penale, nel distinguere lecito e illecito, non solo svolge una
funzione sociale sul piano simbolico, ma adempie anche a una funzione
sociale strumentale di prevenzione generale e speciale delle condotte
illecite, che sposta radicalmente il fuoco dell'interesse dal piano generale e
universale di tutte/i le/gli individue/i a quello della responsabilità personale
del singolo soggetto.
Regolare una certa materia tramite la penalizzazione di taluni
comportamenti comporta necessariamente la criminalizzazione degli autori
(alcuni autori). E, in questa materia, si criminalizza non un estraneo, ma - se è
vero che la violenza viene prevalentemente da vicino - un individuo in
14
Formula criticabile, dato che la violenza sessuale è certamente già compresa nella violenza “di genere”.
6
posizione di prossimità, se non di intimità: il marito, il convivente,
quell'individuo cui ci lega (o ci ha legato) una relazione. Per questo il diritto
penale lancia un messaggio simbolico forte, idoneo a affermare e imporre
valori (e soprattutto a vedere universalmente imposti alla generalità dei
consociati i valori di chi quell'istanza ha proposto, peraltro con implicito
riconoscimento politico delle/dei proponenti). Ma, contemporaneamente, il
diritto penale rimanda alla concreta applicazione - pur sempre esemplare e
non generalizzata - della norma precettiva a singoli individui e ai loro vissuti,
così incidendo sulle relazioni intersoggettive, le cui vicende personali si
intrecciano con le vicende processuali.
D’altronde (spesso il legislatore non lo considera!) non solo il senso di
messaggio e di simbolo, ma anche l’effettività della regola penale sono tutti
affidati alla struttura stessa con cui la norma penale è configurata e
impostata: contano il momento definitorio, l’entità della pena misurata in
proporzione agli altri reati, la scelta degli istituti e degli strumenti
processuali, che fissano e iscrivono nella norma scritta i contenuti e i limiti
dell'intervento statale, realizzando così la penalizzazione sia in astratto sia selettivamente - in concreto.
Si aggiunga che la differenziazione tra i fatti meritevoli di pena e quelli
penalmente irrilevanti (dunque la delimitazione della violenza penalmente
sanzionata) è realizzata dall’ordinamento non soltanto attraverso il giudizio
di tipicità, ma anche attraverso altri istituti. Alcuni incidono sulla punibilità in
modo diretto (le cause di non punibilità); altri incidono in modo indiretto,
impedendo la pronuncia di condanna. Per esempio, l’ambito di operatività
della querela ci indica in quali casi il legislatore abbia affidato all’interesse
privato, anziché a quello pubblico, lo jus puniendi, cioè il confine tra il
punibile e il non punibile. E’ dunque la querela che viene a determinare - in
concreto - la punibilità del fatto e segna così il confine delle condotte
penalmente punite; in questi casi la meritevolezza della pena non è stabilita
in via definitiva dal legislatore, ma è da questi delegata all’individuale
apprezzamento del soggetto che ha subito l’offesa.
Per tutte queste caratteristiche la c.d. primazia del diritto penale
presenta - in tema di violenza maschile contro le donne - limiti negativi e
criticità ardue. Solo nel 2001 l’intervento statale, fino a quel momento
esclusivamente penale, riuscì a superare i confini penalistici e approdò alle
«misure contro la violenza nelle relazioni familiari» (L. 4 aprile 2001 n. 154,
subito ritoccata con L. 6/11/2003 n. 304) che, finalmente prevedendo gli
ordini di protezione del giudice civile, ampliarono e migliorarono
significativamente lo strumentario giuridico a disposizione (varcando le
soglie del diritto penale, anche sulla scorta delle esperienze maturate dagli
ordinamenti di altri paesi). Ma non si regolamentarono i centri e solo nel
2007 fu finanziato un «Piano antiviolenza».
7
Da allora le modifiche normative in materia sono state realizzate quasi
esclusivamente nella logica della sicurezza pubblica, intervenendo sul diritto
penale, prevalentemente tramite l’inasprimento del trattamento
sanzionatorio.
Ora, nei tre articoli di diritto penale con cui inizia la nuova legge,
possiamo distinguere tre filoni conduttori: il primo è quello ispirato
all’inasprimento delle pene; il secondo comprende vari istituti di cd “tutela”
(che vanno dalla audizione protetta con il vetrospecchio all’avviso alla parte
offesa della prossima scarcerazione del violento); il terzo - che riteniamo il
filone più significativo e più «forte» della modifica legislativa, nonché
maggiormente espressivo della filosofia di fondo che lo ha ispirato - si
esprime in un rafforzamento del potere pubblico a scapito della
autodeterminazione delle donne e si articola in tre modifiche:
1) la caratteristica di irrevocabilità attribuita (in taluni casi) alla querela per
stalking;
2) l’incremento dei poteri della polizia giudiziaria con l’attribuzione della
nuova misura dell’allontanamento urgente nei casi di violenza domestica;
3) l’estensione dell’ammonimento questorile, già previsto per lo stalking, alle
condotte di violenza domestica.
5. Inasprire il trattamento punitivo degli autori
L’art. 1 contiene le norme più scopertamente repressive,
appositamente previste per “inasprire” il trattamento degli autori. Il
proposito dell’inasprimento è stato attuato attraverso la configurazione di
varie aggravanti, così collocandosi in linea di discontinuità con altre recenti
modifiche che erano invece intervenute sulle fattispecie base: la pena dello
stalking nell’estate 2013 è stata elevata da 4 a 5 anni15; quella dei
maltrattamenti nel 2012 era stata elevata da 5 a 6 anni con la c.d. legge di
Lanzarote16.
I delitti interessati alle modifiche sono quelli di maltrattamenti,
violenza sessuale e atti persecutori, ma anche -più in generale- tutti i delitti
non colposi contro la vita e l’incolumità individuale e contro la libertà
personale. Tra le circostanze considerate (minore età, donna/persona in
stato di gravidanza, legami o relazione affettiva anche senza convivenza) si
15
La L. 9 agosto 2013 n. 94 «Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 1 luglio 2013 n. 78, recante
disposizioni urgenti in materia di esecuzione della pena», ha aumentato le pene per il reato di stalking, così consentendo
l’applicazione anche a tale reato della custodia cautelare in carcere (pena della reclusione non inferiore nel massimo a 5
anni)
16
Legge Lanzarote 1 ottobre 2012, n. 172. Ratifica ed esecuzione della Convenzione del Consiglio d'Europa per la
protezione dei minori contro lo sfruttamento e l'abuso sessuale, fatta a Lanzarote il 25 ottobre 2007, nonchè norme di
adeguamento dell'ordinamento interno.
8
distingue quella della violenza cd. assistita (inflitta ai minori non destinatari
diretti delle violenze, ma presenti alle stesse), complesso problema che
richiederebbe ben altre coordinate azioni non solo di diritto penale e non
certo attraverso la previsione di una aggravante (per aver “commesso il fatto
in presenza di un minore degli anni diciotto”).
L’inasprimento delle pene non ha – purtroppo – alcun carattere
innovativo, perché è ormai divenuto il consueto illusorio snodo degli
interventi legislativi penali (anche) a contrasto della violenza di genere
contro le donne. Infatti - in questo campo - è ormai storicamente e
scientificamente assodato che aumentare le pene non realizza alcuna
funzione deterrente perché non scalfiscono l’aspettativa e il senso di
impunità degli autori. Men che meno può aver effetti dissuasivi un aumento
della pena che venga strutturata attraverso la configurazioni di aggravanti,
cioè attraverso un elemento “accidentale “ del reato base.
Eppure tale scelta non ha trovato nessun sostanziale contrasto in sede
parlamentare, come risulta dalla lettura delle audizioni e dalla analisi degli
emendamenti proposti. Si è trattato di una convinta condivisione oppure di
una acritica assuefazione ad un modello di politica criminale, ormai
dominante? In proposito, è interessante ricordare come nel 1996 - per la
legge n. 66 contro la violenza sessuale (Virgilio, 1996 a e b) - era stato
proprio l’aumento delle pene a rappresentare la chiave di volta
dell’intervento pubblico statale, perché seppe determinare la trasversalità
parlamentare indispensabile per raggiungere l’approvazione; eppure
inizialmente e per lungo tempo - durante il ventennio dei lavori preparatori l’innalzamento non era previsto e neppure ipotizzato. Allora l’istanza di
penalità fu risolutiva e valse a far ritenere prioritaria (rispetto a ogni altra
istanza o contenuto) la volontà di legiferare, raggiungendo comunque
l’accordo su un testo. Fu in tale clima che si potè arrivare alla
mediazione/compromesso sulla questione per tanti anni controversa - e
discussa dentro e fuori il Parlamento - della procedibilità d’ufficio (rimase la
affermazione formale come regola della procedibilità a querela sempre
irrevocabile, come era già nel Codice penale 1930, ma furono talmente
aumentati i casi di procedibilità d’ufficio che da eccezionali diventarono, in
sostanza, la regola effettiva).
6. Misure di protezione e di tutela
Tra le modifiche dell’art. 2, ne troviamo due che hanno portata generale:
9
- informazione alla parte offesa ( tutte e per tutti i reati) della possibilità di nominare un
difensore e di fruire del patrocinio a spese dello stato (art. 101 c.p.p.)
- sottrazione di alcune competenze penali del giudice di pace per i reati di percosse e
lesioni non superiori a 20 giorni (art. 4 disp. comp. GdiP) se commessi - sinteticamente contri familiari, conviventi e affini
Portata generale, anche se riferita a tutti i “delitti commessi con violenza alla
persona17”, hanno anche :
- obbligo di immediata comunicazione alla parte offesa della revoca e sostituzione delle
misure cautelari e, ancor prima, della relativa richiesta al giudice da parte del pubblico
ministero o dell’imputato nei procedimenti aventi ad oggetto delitti commessi con
violenza alla persona (art. 299 c.p.p.)
- obbligatorietà della comunicazione alla parte offesa dell’avviso della richiesta di
archiviazione per infondatezza delle notizie di reato per i delitti commessi con violenza
alla persona (art. 408 c.p.p.)
In tutte queste disposizioni non vi è alcuna connotazione di genere e dunque
non ineriscono alla materia. In proposito va rilevato che, tra gli obblighi
internazionali che l’Italia deve adempiere, vi sono quelli relativi alla
valorizzazione processuale delle vittime di reato ( di qualsiasi genere e per
qualsiasi reato) e dei loro diritti , nonché della assistenza e protezione loro e
dei loro familiari. Va anche aggiunto che gli obblighi di informazione e
comunicazione mirano a soddisfare una esigenza assai sentita in materia e
cioè a fornire alla donna che ha subito violenza l’opportunità di valutare
personalmente il rischio della sua esposizione a pericolo, nei casi in cui, per
esempio, cessi la permanenza in carcere del violento (o sia revocata la
misura dell’allontanamento, ecc.). Per la verità tale esigenza di valutazione
del rischio potrebbe essere realizzata anche per altra via, per esempio
fornendo alla donna un operatore di riferimento con reperibilità telefonica,
utile per ricevere comunicazioni processuali, ma anche per richiedere
interventi d’urgenza18.
Delle restanti previsioni la maggior parte non ha caratteristiche di
originalità, trattandosi di estensioni di istituti già previsti nell’ordinamento.
Le elenchiamo:
17
La dizione ampia comprenderebbe, per esempio, anche rapina e resistenza a pubblico ufficiale., ma una prima
pronuncia ha ristretto la portata alle sole fattispecie in cui la violenza verta su un pregresso rapporto relazionale.
18
E’ quanto emerge dal confronto tra operatori svoltosi nell’ambito del progetto Europeo Daphne Lexop “Lex-operators
all together for women victims of intimate partner violence” (Virgilio, 2013a) .
10
- estensione della comunicazione al Tribunale per i minorenni ai casi di maltrattamento e
stalking in danno di minorenne (art. 609 decies c.p.)
- estensione del numero dei reati per cui le forze dell’ordine, i presidi sanitari e le
istituzioni pubbliche hanno obbligo di fornire informazioni alla vittima sui centri
antiviolenza (art. 11 legge Stalking)
- estensione allo stalking della possibilità di disporre intercettazioni telefoniche (art. 266
c.p.p.)
- estensione ad altri reati dell’allontanamento della casa familiare, nonché utilizzo del
c.d. braccialetto elettronico (art. 282 bis c.p.p.)
- estensione a maltrattamenti e stalking dell’obbligo di avvalersi dell’ausilio di un esperto
in psicologia o psichiatria infantile quando la polizia giudiziaria deve assumere sommarie
informazioni da persone minori (art. 351 c.p.p.)
- estensione a maltrattamenti e stalking dell’arresto obbligatorio in flagranza (art. 380
c.p.p.)
- estensione ai maltrattamenti delle modalità protette nell’incidente probatorio
(strutture specializzate di assistenza) già previste per la assunzione della prova che
interessa un minorenne (art. 398 c.p.p.)
- estensione a maltrattamenti e stalking del limite di una sola proroga delle indagini (art.
406 c.p.p.)
- audizione dibattimentale protetta per il minore (con l’uso di un vetrospecchio
unitamente ad un impianto citofonico), estesa anche nei casi di maltrattamenti (art. 498
c.p.p.)
- audizione dibattimentale con modalità protetta estesa anche alla persona
maggiorenne, se particolarmente vulnerabile: vetrospecchio, paravento (art. 498 c.p.p.)
- priorità assoluta nella formazione dei ruoli d’udienza e nella trattazione, estesa ai
processi per maltrattamenti, violenza sessuale e stalking (art. 132 bis Norme Att. c.p.p.)
- estensione della ammissione al patrocinio a spese dello stato anche in deroga ai limiti
di reddito ampliata ai casi di maltrattamento, lesioni aggravate e stalking (art. 76 T.U.
spese di giustizia)
In realtà l’unica disposizione con caratteristiche di originalità è quella che
prevede:
- comunicazione alla parte offesa dell’avviso della conclusione delle indagini
preliminari per i delitti di maltrattamenti e stalking (art. 415 bis c.p.p.).
Al di là dei numerosi problemi interpretativi ed applicativi19 che le singole
norme hanno creato, il filo conduttore tra queste disposizioni è costituito
dalla loro natura di disposizioni “speciali” o comunque particolari, nel senso
19
Peraltro gli oneri informativi e comunicativi sono stati posti a carico degli uffici giudiziari.
11
di fare eccezione a regole generali di procedura penale. Trattasi
prevalentemente di ampliamenti ed estensioni di strumenti già previsti per i
cd. soggetti deboli: minori, disabili, anziani. Trattasi di ritocchi al sistema, di
meri “aggiustamenti” processuali. L’unica norma originale - la comunicazione
alla parte offesa dell’avviso della conclusione delle indagini preliminari per i
delitti di maltrattamenti e stalking - non è certo particolarmente incisiva
nella pratica del processo.
Certamente sono tutte norme “di favore”, quanto alla loro portata, che
agevolano lo svolgimento processuale per la parte offesa, tuttavia
presentano anche l’aspetto negativo comune di mettere in risalto la
caratteristica di chi viene avvantaggiato come soggetto bisognoso di tutela;
dunque costituiscono e costruiscono uno statuto di “vittima”, che finisce per
gravare a sfavore della destinataria del trattamento privilegiato.
Si ripropone così la tensione tra uguaglianza e differenza di genere, insita
nella contraddizione tra gli interventi legislativi consistenti in norme speciali
e particolari a tutela di soggetti ritenuti deboli/vulnerabili (o più
correttamente, «vittime con esigenze specifiche di protezione», come si
esprime la Direttiva 2012/29/ UE) e - dall’altra - le istanze egualitarie che
quella specialità vorrebbero rifiutare, rifuggendo da ogni eccezione
discriminatoria, anche di favore (in forza di norme di “tutela”), in nome di un
riconoscimento di responsabilità soggettiva piena della cittadina donna. In
effetti l’affermazione del principio che «le donne sono persone»
comporterebbe che le condotte violente, nella misura in cui siano rilevanti
per il diritto penale20, debbano essere trattate come tutti gli altri reati, senza
differenze (Pitch, 1984, p. 112; Virgilio, 1983), garantendo lo stesso
trattamento processuale degli altri reati.
In conclusione, le “innovazioni” dell’art.2 si prospettano, rispetto all’ambizioso obiettivo proclamato della prevenzione del «femminicidio», come
strumento giuridico del tutto indiretto e mediato.
7. La tutela anticipata e rafforzata
Restano da esaminare - a nostro parere- le misure più significative in
cui l’intervento del potere statale attuatosi tramite la legge n. 119/2013
esprime la sua forza. Tuttavia, come vedremo, tali istituti possono
comprimere la volontà della donna che ha subito violenza di genere;
sopravanzano il suo consenso, il suo parere e, in sintesi, la sua autonomia: o
ne prescindono o la travalicano, realizzando una limitazione
dell’autodeterminazione delle donne.
20
Sulla rilevanza della violenza ai fini del diritto penale rinviamo al nostro schema nella Appendice 5 del volume
«Stalking nelle relazioni di intimità», 2013, p. 166.
12
Ci riferiamo all’ammonimento del questore per i casi di «violenza
domestica» (art. 3 L. n. 119/2013), alla nuova norma dell’art. 384-bis.
Allontanamento d’urgenza della casa familiare attribuita alla competenza
della polizia giudiziaria e infine - è la spia più indicativa - alla irrevocabilità
ora sancita per la querela di stalking (nei casi più gravi).
L’ammonimento del questore si riferisce ai casi di «violenza
domestica» (art. 3 L. n. 119/2013) segnalati (in forma non anonima) alle
forze dell’ordine, con un duplice requisito. Devono essere fatti
specificamente riconducibili ai reati di cui agli artt. 581 nonché 582 2°
comma consumato o tentato (percosse e per le lesioni personali lievissime,
quelle con malattia non superiore a 20 giorni).
Inoltre il fatto deve essere collocabile “nell’ambito di violenza domestica”; di
cui viene fornita la definizione: “Ai fini del presente articolo si intendono per
violenza domestica uno o più atti, gravi ovvero non episodici, di violenza
fisica, sessuale, psicologica o economica che si verificano all’interno della
famiglia o del nucleo familiare o tra persone legate, attualmente o in passato
da un vincolo di matrimonio o da una relazione affettiva, indipendentemente
dal fatto che l’autore di tali atti condivida o abbia condiviso la stessa
residenza con la vittima”. Tale definizione è ripresa da quella della
Convenzione di Istanbul , ma è assai più restrittiva (perché comprende soli gli
atti gravi ovvero non episodici).
Inoltre la “misura di prevenzione” è corredata da una serie di
disposizioni in parte riprese dallo stalking e in parte ampliate (sospensione
patente, informazione all’autore sui servizi disponibili sul territorio, ecc.).
La norma, per come è strutturata, pare riguardare soprattutto i posti
di polizia presso i Pronto Soccorso sanitario/ospedalieri, i cui operatori nei
singoli fatti di percosse o lesioni potrebbero intuire la emersione di una
relazione connotata da violenza.
Ci preoccupa il fatto che l’ammonimento possa essere disposto «anche
in assenza di querela» - cioè prescindendo da una manifestazione della
donna di voler perseguire l’autore della violenza - e «sentite le persone
informate dei fatti», e dunque senza l’obbligo di sentire la donna che ha
subito le condotte di violenza domestica (salvo interpretazioni oltremodo
estensive).
L’istituto è ripreso dall’ammonimento per stalking che - alla luce dei
bilanci ormai possibili dal febbraio 2009 - ha dato buona prova, soprattutto
nei casi meno pericolosi, quelli posti in essere da soggetti non irriducibili21.
Non dissimile - ancor più accentuatamente - quanto a scarso rispetto
dell’autodeterminazione femminile, è la disposizione inserita nell’art. 2 della
legge di modifica, la nuova norma dell’art. 384-bis. Allontanamento
d’urgenza dalla casa familiare.
21
Vedi oltre sulla irrevocabilità della querela Virgilio, 2013b
13
Qui sono gli ufficiali e agenti di polizia giudiziaria a veder ampliato il ventaglio
delle misure in loro facoltà e possono disporre l’allontanamento urgente del
violento. Si applica “nei confronti di chi è colto in flagranza dei delitti di cui
all’articolo 282 - bis, comma 6, ove sussistano fondati motivi per ritenere che
le condotte criminose possano essere reiterate ponendo in grave ed attuale
pericolo la vita o l’integrità fisica o psichica della persona offesa”. Nei casi di
reato procedibile d’ufficio gli operatori potranno prescindere da ogni
manifestazione di volontà (anche contraria) della donna; solo nei casi di reati
procedibili a querela, dovranno chiedere alla donna una dichiarazione (anche
solo) orale di querela, dunque necessariamente dovranno sentirla e
consultarla22.
La misura “precautelare” si allaccia per il suo contenuto alle misure
cautelari civili e penali introdotte nel 2001 (Misure contro la violenza nelle
relazioni familiari), ma allora assegnate alla competenza del giudice (civile e
penale). Ora la opzione ha inciso sui poteri di polizia, dotandoli di uno
strumento di tutela anticipata, che mira a operare con immediatezza e nel
primo impatto con la emersione di violenza. Infatti nel contrasto della
violenza maschile contro le donne è decisivo – sovente - il primo approccio e
occorre un intervento pronto ed immediato. A tal fine in altri paesi (vedi
Regno Unito e Austria) si è provveduto a dotare le forze dell’ordine di
notevoli poteri di intervento in fase iniziale. Evidentemente a queste
esperienze si è ispirata la innovazione nostrana.
Tuttavia l’ esercizio del potere pubblico a prescindere dalla (contro la)
volontà della donna suscita notevoli perplessità, che si aggiungono a quelle
complessive su queste riforme. Infatti l’insieme delle due modifiche su
ammonimento e allontanamento d’urgenza, considerate in connessione con
l’ampliamento dell’arresto obbligatorio in flagranza, ha finito per mettere in
difficoltà gli stessi operatori di polizia soprattutto quando si trovino a
trattare casi di violenze “non episodiche”, che in realtà sono poi casi di
maltrattamenti (procedibili di ufficio). Devono quindi scegliere in un
ventaglio di misure che si caratterizzano come ben diverse tra loro:
l’ammonimento, l’allontanamento dalla casa e l’arresto in flagranza (ora
obbligatorio, e non più facoltativo). Sono stati cioè onerati di una
competenza a procedere che avrebbe imposto almeno contestualmente di
incrementare la formazione degli operatori, mentre nulla è effettivamente
previsto in merito dalla legge, tranne un generico impegno. Né si sono preventivamente - rafforzati (con tutti i necessari finanziamenti) tutta la
gamma dei servizi di sostegno indispensabili, a cominciare dai centri
antiviolenza.
22
All’art. 2 è prevista l’estensione della possibilità di giudizio direttissimo alla persona allontanata d’urgenza dalla casa
familiare ex art. 384 bis c.p.p. (art. 449 c.p.p.)
14
Ma la previsione normativa in cui più accentuata è la prevalenza del
potere statale rispetto all’autodeterminazione femminile è sicuramente
quella - per molte/i inaccettabile - che si riferisce all’irrevocabilità della
querela per stalking. Nel decreto legge, tra le modifiche apportate all’art.
612 bis del Codice penale (atti persecutori), era previsto che la querela fosse
sempre irrevocabile. Ora, con la legge di conversione e dopo un serrato
dibattito sul punto, la disposizione è stata mitigata attraverso due correttivi .
In forza del primo, la querela per stalking è «comunque irrevocabile se il
fatto è stato commesso mediante minacce reiterate nei modi di cui all’art.
612, secondo comma », dunque solo per i fatti più gravi. Grazie al secondo,
«la remissione della querela può essere soltanto processuale», cioè resa
dinanzi al giudice, evidentemente ritenuto il solo idoneo a verificare la
volontarietà della remissione (come non condizionata da minacce, pressioni,
ricatti).
L’irrevocabilità è evidentemente ripresa dalla analoga previsione unica nell’ordinamento penale - prevista sin dal 1930 per la violenza
sessuale. Ma - attenzione - per la violenza sessuale la effettiva regola è
quella della procedibilità d’ufficio (la procedibilità a querela è ormai dal
1996 quasi una eccezione!) Invece lo stalking è perseguibile - di regola,
tranne pochissime eccezioni – a querela. Quindi la norma è fortemente
innovativa, nella misura in cui assume una portata ben più ampia e
sostanziale rispetto alla violenza sessuale. Eppure la innovazione della
irrevocabilità della querela per i casi più gravi di atti persecutori rischia di
essere controproducente, perché introduce un elemento di rigidità in una
fattispecie che sinora ha legato la sua fortuna (quanto a numero delle
denunce23) proprio alla duttilità e leggerezza (censurabili giuridicamente e
costituzionalmente per indeterminatezza - ma questo è un altro discorso,
Guerini 2013), con cui il legislatore nel 2009 aveva voluto strutturarla e
caratterizzarla: previo ammonimento questorile, pena massima di quattro
anni, procedibilità a querela per un reato considerato cd. sentinella e di ben
diversa gravità dalla violenza sessuale (e dai maltrattamenti).
Siamo certe che le donne continueranno a querelare gli atti
persecutori anche quando sapranno che il susseguente procedimento penale
non sarà più nella loro disponibilità e non saranno più libere di ritirarsi?
La nostra valutazione è che sarà inevitabilmente frenato questo
tipo di emersione (pubblica) di fatti violenti, che - si noti - nella effettività va
ben oltre gli atti persecutori, visto che spesso le donne nominano e
denunciano come stalking (cioè come violenza di natura psicologica, secondo
la configurazione dell’art.612-bis) anche altri fatti, ben più lesivi, perpetrati
23
Sono invece meno positivi gli esiti processuali, se è vero che i magistrati procuratori intervistati (Virgilio, 2013b)
quantificano nel 20-30% i casi di remissione della querela e abbandono dell’iniziativa punitiva e tra il 30-60% le
archiviazioni per carenza degli elementi del fatto tipico. Pochi sarebbero dunque i casi che arrivano a sentenza.
15
con violenza di natura fisica o sessuale. Ne consegue che la funzione della
fattispecie va ben oltre gli atti di minaccia e molestia (in cui per legge si
sostanziano gli atti persecutori), per portare ad emersione anche altri reati
ben più gravi, come maltrattamenti e violenze sessuali. Insomma il dettato
normativo della nuova legge potrebbe ostacolare l’emersione della violenza
non solo per gli atti persecutori, ma anche per gli altri delitti.
È ben vero che la revocabilità può aumentare le pressioni o, meglio,
la durata delle stesse; ma sarebbero comunque pressioni non dissimili da
quelle cui la vittima è esposta prima di presentare la querela (rilievo analogo
svolse in tema di violenza sessuale la sen. Ersilia Salvato, che sintetizzava: «la
querela irrevocabile è un non senso», Lavori Sen. 14 febbraio 1996, p. 866).
Comunque è la struttura stessa del reato che determina la esposizione
della vittima a ricatti e pressioni e che vede la donna arbitra e responsabile di
nominare l'atto come violento o meno («l’offeso è l’unico giudice
competente della speciale sua posizione», scriveva Carrara - §1554-1557 che si pronunciava per «la perseguibilità ad azione privata»): basterà che il
violento, e quanti/e con lui solidarizzano, inducano la donna -o la parte
offesa- a dichiarare che essa era, in qualche modo, consenziente, che in tal
modo verrà meno la tipicità stessa della fattispecie di reato. E per questo
motivo non c'è regime di irrevocabilità che valga a sottrarre totalmente la
donna a intimidazioni e ricatti.
Quanto ai turpi accomodamenti (da cui si vorrebbe tener esente la
donna che ha subito violenza) sono per fortuna passati i tempi in cui la
donna, parte lesa che si costituiva parte civile, era aspramente criticata se
chiedeva una monetizzazione del risarcimento danni, e non una simbolica
lira. Si replicò che è pur vero che il denaro - posta comunque l’irreparabilità
del danno da violenza - può contribuire a offrire le opportunità per una
reintegrazione di sé; e inoltre costituisce un’indubbia sanzione per chi viene
condannato (con esclusione ovviamente dei casi in cui il condannato non sia
solvibile per i quali occorrerebbe prevedere appositi fondi pubblici di
solidarietà, o simili).
E perché definire negativamente come strumentale la strategia
femminile in cui l'istanza punitiva (che esterni e riferisca una violenza
effettivamente subita) non tende a perseguire la punizione del colpevole da
parte dello Stato, ma a conseguire delle utilità concrete e immediate, per
esempio a inabilitare o allontanare il soggetto violento o a indurlo a
mantenere i propri impegni economici?
Né vale dire che la irrevocabilità graverebbe su donne che avevano già
deciso di querelare: la soggettività dei vissuti è tale che anche al
dibattimento una donna potrebbe veder un vantaggio a rinunciare alla sua
pretesa punitiva, reputandola non più attuale per sè.
16
Si aggiunga che la irrevocabilità della querela per atti persecutori
(gravi) non costituisce affatto applicazione della Convenzione di Istanbul. Al
contrario! Quando - all’art. 55 - la Convenzione tratta il tema della
procedibilità ex parte e ex officio si riferisce ad alcuni reati espressamente
indicati, formulando due specifiche eccezioni: proprio lo stalking e le
molestie sessuali.
8. Linee emergenti di politica criminale
Anche a voler intendere questo “primo passo” (sia pur tutto di diritto
penale) come davvero proiettato verso una futura azione legislativa
organica, articolata e finanziata, che spazi effettivamente a tutto campo dalla
prevenzione (a livello culturale nelle scuole, nelle professioni, ecc.) fino alla
raccolta ufficiale dei dati (sul sommerso e sull’emerso), dobbiamo
domandarci a quale filosofia sia ispirata la modifica e quali linee di politica
criminale siano state tracciate.
Qual è il valore e la portata che dobbiamo attribuire al mutamento
normativo prodotto dal decreto governativo soprannominato “sul/contro il
femminicidio” e fortemente voluto dal Parlamento con la prospettiva di
aprire orizzonti nuovi?
L’obiettivo prospettato è evidentemente quello di incrementare e
favorire il ricorso alle istituzioni e, in particolare, al potere giudiziario da
parte di chi ha subito violenza. L’intento è agevolare le emersioni (presentare
una denuncia o una querela, ma anche rivolgersi ai servizi pubblici o ai centri
antiviolenza privati). Al contempo si vogliono limitare le remissioni di querela
(ma anche le regressioni e rinunzie all’iniziativa processuale intrapresa, e
ancora le negoziazioni e “strumentalizzazioni”).
Tuttavia le misure (penali) previste, per come sono state strutturate, benché finalizzate a far emergere il più possibile il sommerso di violenza
maschile contro le donne e a porvi fine - possono entrare in frizione con i
percorsi di autonomia femminile. In più punti - lo abbiamo visto - incidono
sulla volontà della vittima, acuendo il conflitto con il maltrattante, visto che
questi
viene
ammonito,
allontanato,
denunciato,
arrestato.
Sostanzialmente, alla donna che esterna di aver subito violenza si finisce per
imporre se e quando recidere la relazione violenta.
Quale è il senso di caricare lo Stato dell’onere di “proteggere la donna”
con una tutela anticipata e rafforzata che potrebbe essere esercitata “anche
contro lei stessa”? L’opzione governativa (e poi parlamentare) è che la
riluttanza delle donne a denunciare e querelare e - ancor più - la loro
eventuale titubanza a proseguire nel conflitto giudiziario con le loro
sopravvenute rinunce e ritrattazioni non debba essere affrontata e trattata
con azioni di sostegno alle donne stesse e col rispetto dei loro “tempi”, bensì
17
forzandole con una sorta di decisionismo istituzionale: non con loro, ma
anche contro di loro.
Si è attribuita priorità alle logiche istituzionali repressive rispetto alla
libertà femminile e ai suoi impervi tracciati. Si è ridotta l’autodeterminazione
della donna a tutto vantaggio di una logica di irrigidimento, che non ammette
e non tollera tentennamenti. Ha insomma prevalso una linea interventista,
agita attraverso gli strumenti della penalità. E questa non può non recare con
sé, inevitabilmente, il prevalere di uno spirito di efficientismo ed economia
delle attività investigative, processuali e di polizia giudiziaria, che non
sopportano – diciamolo…- perdite di tempo24; così gli operatori della legge
(tutti, non solo forze dell’ordine, ma anche magistrati e - nota bene! avvocati) sono salvaguardati dalla legge contro sprechi di energia lavorativa e
assecondati nell’evitare investigazioni, indagini, processi e mandati
professionali che non diano garanzie di realizzare senza indugi la finalità
propria.
Eppure le donne possono avere una elaborazione della violenza subita,
e quindi una maturazione della scelta di promuovere l’iniziativa punitiva, che
non può non seguire i tempi ed i percorsi soggettivi della propria
individualità. D'altronde deve essere libera, la donna, di valutare le sue
relazioni e per esempio decidere di recidere oppure di riprendere una
convivenza che aveva deciso di troncare. Inoltre, nel tempo, può maturare un
senso di estraneità rispetto alla iniziativa punitiva pur precedentemente
assunta e può venir meno nel sentire della parte lesa ogni identificazione nel
processo penale a suo tempo promosso e ora in corso.
A ben vedere, peraltro, le eventuali iniziative pubbliche di ammonire,
allontanare, arrestare (così come la procedibilità d’ufficio stessa)
presuppongono non un’incertezza bisognosa di solidarietà per risolversi, ma
una determinazione in senso negativa che deve essere superata: altre donne
e altri uomini determinino di denunciare, in nome di tutte le cittadine e i
cittadini, ciò che quella donna non ha voluto denunciare. E’ chiaro infatti che,
in presenza di una qualunque volontà punitiva dell’interessata, la differenza in concreto - tra le due iniziative (pubblica e individuale privata) viene meno;
e dunque la diversità tra i due modelli di intervento incide in concreto sul
novero delle violenze che le donne intendono «non» denunciare e non far
emergere.
Chi subisce può proporsi, appunto ( o anche) tramite l’istanza di
punizione, di troncare un vissuto di violenza. Quando invece decide di
continuare la relazione che aveva determinato di recidere, si frappone
l'ostacolo di un processo divenuto insostenibile.
24
E’ esattamente l’espressione usata nella sentenza COE 9/6/2009 Opuz c. Turchia, ove esplicitamente al punto 29 il
Capo del Servizio giuridico e dell’ordine pubblico turco lamenta che le denuncianti facessero «perdere il loro tempo» alle
forze dell’ordine.
18
In tali casi la calunnia e la falsa testimonianza vengono a costituire
l'altro polo dell’irrevocabilità della querela. Ed è sicuramente molto più
dignitosa una figura di donna che proceduralmente dichiara di voler
rinunziare a una iniziativa punitiva precedentemente assunta che non una
donna che si presenti in tribunale a rischiare la calunnia edulcorando,
smussando, sminuendo la violenza subita.
Quindi l’obiettivo di far emergere il più possibile il sommerso di violenza
(favorendo le denunce/querele e limitando le rinunzie) non può essere
spinto fino a soffocare i percorsi di autonomia femminile. Soprattutto
nell’antitesi tra autodeterminazione e ingerenza statale non possiamo
correre il rischio di veder strumentalizzata quella donna in quel processo per
una pretesa crescita della forza delle altre donne.
Del resto è indubbio che affidare ad altri il peso di assumere o coltivare
le iniziative processuali contrasta palesemente con la valorizzazione del bene
universale “persona” che, per definizione, è postulata libera e capace di
decidere per sé di iniziare o proseguire o interrompere una azione
processuale per le violenze da lei subite.
Quindi le iniziative legislative di riforma in materia dovrebbero essere
improntate a grande cautela. E tramite la legge penale non ci si possono
certo proporre ambiziosi traguardi di libertà femminile (“contro il
femminicidio”).
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2013, in materia tra l’altro di «violenza di genere» e di reati che coinvolgano
minori.
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Pitch Tamar
1984 La nuova legge sulla violenza sessuale. Alcune considerazioni, in Dei
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Virgilio Maria
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2013b Stalking nelle relazioni di intimità (a cura di), [email protected], n.
2/2012, BUP, Bologna
20