novembre 2014 - Affari di Gola

9 771826 772006
40009
Supplemento al n. 41 de “La Rassegna” del 13 novembre 2014 - Giuseppe Ruggieri direttore responsabile Editrice: La Rassegna S.r.l. - via Borgo Palazzo 137, Bergamo
Poste Italiane S.p.A. Spedizione in Abbonamento Postale - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art. 1, comma 1, DCB Bergamo - € 2,60
novembre 2014
Bergamo città:
gennaro e pia - tel. 035.242513
roof garden San Marco - tel. 035.366111
hoStaria relaiS San lorenzo - tel. 035.237383
Sweet irene - tel. 035.217372
Provincia:
trattoria viSconti - ambivere - tel. 035.908153
hotel Milano - Castione della Presolana - tel. 0346.31211
trattoria nano - Foresto Sparso - tel. 035.930095
de fireM roStec - Misano di Gera d’adda - tel. 0363.84380
la capreSe - Mozzo - tel. 035.4376661
villa pighet - Ponteranica - tel. 035.516355
riStorante poSta - Sant’Omobono Terme - tel. 035.851134
villa delle ortenSie - Sant’Omobono Terme - tel. 035.851114
della torre - Trescore Balneario - tel. 035.941365
la conca verde - Trescore Balneario - tel. 035.940290
cadei - Villongo - tel. 035.927565
NOVEMBRE 2014
SOMMARIO
www.affaridigola.it
6
5
PENNA ALL’ARRABBIATA
Ospitalità ed enogastronomia
meritano più rispetto!
6
L'APPROFONDIMENTO
Tutto il fascino del gran bollito
10 LETTERE
A proposito della pizza col buco...
12 TENDENZE
12
Export, la difficile partita dei vini italiani
16 LA TAVOLA ALTERNATIVA
Frutta e ortaggi,
che fatica salvare la biodiversità
26
20 L'INIZIATIVA
Ritorna Trentacinqueuro.it
... e anticipa le feste!
Direzione e Redazione: La Rassegna S.r.l. via Giuseppe Mazzini, 24- 24128 Bergamo - tel. 035 213030
- fax 035 224572 - [email protected] - Direttore responsabile: Giuseppe Ruggieri - In redazione:
Anna Facci - Opinionista: Pier Carlo Capozzi - Editrice: La Rassegna S.r.l., via Borgo Palazzo, 137 24125
Bergamo - Presidente: Ivan Rodeschini - Pubblicità:
La Rassegna srl - via Giuseppe Mazzini, 24- 24128
Bergamo - tel. 035 213030 - fax 035 224572 - info@
larassegna.it - Abbonamenti: www.larassegna.it tel. 035 4120304 Registrazione Tribunale di Bergamo N° 48 del 22 novembre 2001 - Collaboratori: Lara Abrati, Leo Bartoli, Marco Bergamaschi, Laura Bernardi
Locatelli, Leonardo Bloch, Laura Ceresoli, Fulvio Facci, Riccardo Lagorio, Roberta Martinelli, Lelia Parisi,
Rossana Pecchi, Fabrizio Pirola, Pierluigi Saurgnani,
Rosanna Scardi, Giordana Talamona, Donatella Tiraboschi - Impaginazione: Videocomp, Bg - Stampa: Litostampa Istituto Grafico, Bg
22 TRADIZIONI
Bergamo golosa, fasti e declino
del "Cinamomo confetto"
24 FACECOOK
Albergo e ristorante a due passi dal mare,
a Creta la nuova vita di Isabella e Alessandro
26 L'EVENTO
La Bergamo buona e sostenibile
fa centro al Salone del Gusto
BETTI è azienda leader nel settore della Distribuzione Beverage.
BETTI è azienda all’avanguardia che rende più semplice il lavoro nel suo
bar, ristorante o locale pubblico.
Seleziona costantemente prodotti di alta qualità.
Conserva i prodotti in un magazzino coibentato a temperatura ed umidità controllate.
Fornisce e manutiene gli impianti di spillatura.
È certificata UNI EN ISO 9001:2008
IMPORTAZIONE E DISTRIBUZIONE BEVERAGE
www.betti.net
Q U AT T R O E R R E
Ospitalità ed enogastronomia
meritano più rispetto!
di Pier Carlo Capozzi
C
om’è possibile che ci abbiano ridotti così?
Noi che siamo, da sempre, il punto di riferimento nel
mondo per quanto concerne accoglienza e ristorazione.
Eppure stiamo faticando un casino, sono troppe le aziende del
comparto che da mesi stanno adoperando i risparmi di una
vita di sacrifici per ripianare bilanci che non sorridono più.
E, attenzione, non per improvvisa incapacità di chi manda
avanti la baracca.
Drammaticamente perché la gente (leggasi anche: la clientela) ha sempre più paura, esce sempre meno, spende quello che può, appare sinceramente frastornata.
E mentre si aspetta che le promesse si traducano in fatti concreti, c’è da confrontarsi
sempre con mille diavolerie legislative, pastoie burocratiche mai dipanate, editti che
sembrano fatti apposta per scoraggiare
qualsiasi imprenditore armato di buonissima volontà. Perché?
Perché, per esempio, arriva una tassa pubblicitaria per un cartello che indica il parcheggio?
Perché un ristorante deve pagare un’enormità di tassa per i rifiuti?
Perché si continua a tassare le aziende
dell’ospitalità con la vergognosa “gabella di
soggiorno” e non si mantiene la parola data intensificando i controlli sull’abusivismo
ormai imperante?
Eppure i datori di lavoro del settore sono
disciplinati e seguono, obtorto collo, anche
i corsi per la sicurezza, il primo soccorso,
l’antincendio. Sono obbligati a farlo. Le associazioni di categoria, e bisogna ascrivergliene il merito, organizzano corsi eccellenti, con docenti anche simpatici, aperti al dialogo. Si tratta
di occasioni importanti, indubbiamente di crescita. Però ci si
va, insisto, obtorto collo, non precisamente col cuore leggero e
con lo spirito dei giorni migliori.
Proviamo a chiedercene il motivo: forse, molto semplicemente, il datore di lavoro annota che gli obblighi si intensificano e
gli sgravi mai. E questo non lo rende felice.
Avrebbe bisogno di semplificazioni nell’assumere gente, anche solo nei periodi in cui serve.
Abbiamo invece l’idea che aleggi sempre lo spettro dei controlli e delle sanzioni (terrificanti), quelle sì sempre in auge. Ma
un ragionamento che tenga conto del momentaccio che si sta
passando tutti (imprenditori e mano d’opera) quello no, non
ne vediamo la volontà di prenderlo in considerazione.
Ciononostante, in giro, ci sono facce coraggiose. Da Nord a
Sud. Sono stato in Puglia, ho fatto un salto a Gioia del Colle,
terra natìa di mio padre e, per una combinazione davvero bizzarra, ho incontrato per strada mio cugino Germano. Sono
stato immediatamente suo ostaggio e mi ha portato a pranzo
all’Osteria del Borgo Antico, regno di Ottavio Surico, giovane
chef, e di sua moglie Miriam, in sala. È stato un incontro, personale ed enogastronomico, straordinario: nella cucina di questo fenomeno c’è
tutta la tradizione e la capacità di reinventarla in maniera delicata e vincente.
Ha proposte per spostarsi altrove, Ottavio, ma noi speriamo proprio che non lo
faccia, perché c’è bisogno di gente come
lui nel suo paese. Però bisogna che il suo
paese capisca l’importanza di avere nel
proprio territorio un’opportunità del genere e che gli agevoli il più possibile la
giornata lavorativa. Credo si possa chiamare meritocrazia. È per questo che c’è
da indignarsi quando mettono i bastoni tra le ruote. E non lo fanno a chi ruba
l’appartamento alla vecchietta momentaneamente all’ospedale. Lo fanno per
chi lavora da una vita, magari seguendo
le tradizioni di famiglia, cercando di portare avanti un messaggio fondamentale
di tipicità. Al di là delle promesse più o
meno sterili e delle aspettative per l’Expo che verrà, l’ospitalità e l’enogastronomia del nostro Paese, da sempre un fiore all’occhiello anche
in termini di occupazione, merita più riguardo e maggiore attenzione.
Non perché si debba essere raccomandati, ma perché queste
sono professioni che storicamente ci riescono meglio di altre.
E che hanno fatto dell’Italia il paese invidiato che è. Dove riusciamo perfino a gabbare due ragazze straniere che apprezzano un trancio di pizza orribile. Perché mangiato a Venezia.
Ecco chi si dovrebbe perseguire, quei mascalzoni che ci offuscano la nomea. Ma gli altri no. Quelli come Ottavio e migliaia
come lui, no. E cominciassero tutti gli enti locali, a partire dai
nostri, a chiedersi cosa potrebbero fare per premiare i virtuosi.
Che sono tanti. E sono la nostra luce in fondo al tunnel.
PENNA ALL’ARRABBIATA
novembre 2014
[email protected]
5
L'APPROFONDIMENTO
di Laura Bernardi Locatelli
Tutto il fascino
del gran bollito
Al ristorante il rito del carrello
non tramonta, ma anche in casa,
spiegano i macellai,
è una tradizione che vale
la pena riscoprire, «perché
non è necessario essere
degli chef per riuscire a portare
in tavola un ottimo piatto»
C
on i primi freddi e le prime nebbie autunnali torna la voglia di bollito: diversi tagli
di carne deliziosi e fumanti, brodi eccellenti oltre che corroboranti e salse che
conquistano la vista ancor prima che il
palato, poste come una tavolozza di colori a contrasto con il bruno di manzo e
bue, il rosa della lingua e il candore di
gallina e cappone.
I consigli dei macellai
«La scelta delle carni è essenziale per un
I consigli dei macellai per l’acquisto delle carni sono il primo segreto
alla base di un bollito misto di successo. «È un piatto di grande tradizione, che va riscoperto - sottolinea
Ettore Coffetti, presidente del Gruppo Macellai dell’Ascom -. Purtroppo
molti rinunciano a prepararlo perché
richiede tempi lunghi. Per un buon
bollito misto sono necessari il massimo rispetto dei tempi di cottura e
l’impiego di tagli diversi dal manzo
al vitello, oltre a gallina e maiale:
lingua, cappello del prete, arista e
vitello sono i più richiesti. Aggiungere ossi dà un gusto in più anche al
6
brodo. La gallina, cucinata a parte, e
il cotechino arricchiscono il “carrello”, e non è difficile organizzarsi per
preparalo a casa».
Elio Algeri, consigliere del Gruppo
Ascom, titolare della storica macelleria di Nembro inaugurata nel 1958
da papà Luigi (per tutti Enrico), invita a mettersi ai fornelli e a riscoprire
il gusto del ricco piatto autunnale:
«Non bisogna essere grandi chef per
preparare un gran bollito, basta scegliere con cura le carni e rispettare
a fiamma dolce i tempi e le regole
di cottura. È un piatto che tutti, anche i giovani, ripropongono in questa
Ettore Coffetti
novembre 2014
Il carrello principesco del bollito misto, con carni servite
e tagliate in sala davanti al commensale secondo rituali e
sequenze precise, ha contribuito a costruire la fortuna di
diversi locali ed ancora oggi non mancano ristoranti pronti
a dedicare alla ricetta serate speciali. Il piatto è presente,
con diverse interpretazioni, in tutta la tradizione italiana,
specialmente al nord, e si cucina da sempre in ogni casa.
Oggi è la portata delle feste dati i lunghi tempi di cottura
delle carni e la preparazione delle varie salse d’accompagnamento.
Ma è un investimento “a lungo termine” perché ogni volta
che si cucina il bollito si hanno altri pranzi e cene assicurate: il brodo è il massimo per preparare risotti e con gli
avanzi di carne si possono inventare nuovi piatti, basta fare saltare i bocconcini in padella con della salsa di pomodoro oppure utilizzarli freddi in insalata con cipolla rossa
o, ancora, trasformarli in gustose polpette.
Il primo pensiero, parlando di bollito, va alla sua interpretazione piemontese e ai buoi dalla stazza mastodontica
che ogni anno si sfidano a Carrù e Moncalvo. In Piemonte
la ricetta del bollito ruota attorno al magico numero sette.
Una vera e propria cabala: sette sono i tagli di carne e sette le salse di contorno. Al di là delle differenze regionali,
un bollito che si rispetti deve comunque sempre proporre
del buon manzo - per i puristi il bue -, una gallina o un cappone e della carne di maiale, dal cotechino allo zampone.
A tavola non deve mancare il sale, meglio se a scaglie o
grosso, pronto ad insaporire la carne tagliata, magari innaffiata da un filo di brodo. Un filo di extravergine dal sapore deciso è l’ideale per chi voglia gustare al meglio la
carne, anche solo prima di testare il connubio con le varie
salse di contorno.
buon risultato»
Elio Algeri
Elio Cazzaniga
stagione, lasciandosi spesso consigliare». I tagli più indicati hanno venature di grasso: «Muscolo, testina,
aletta, biancostato e pesce sono tra
i più indicati - continua Algeri -. La
lingua resiste nonostante la disaffezione alle frattaglie e la gallina dà
sempre una marcia in più al brodo. Il
cotechino o lo zampone sono fondamentali per servire un vero e proprio
bollito misto».
Elio Algeri, che si occupa direttamente della macellazione oltre che
della lavorazione di carni suine, seleziona capi da piccoli allevamenti
della Val Seriana e a volte riesce ad
aggiudicarsi qualche capo eccezionale: «Ho appena macellato un bue
ingrassato a lungo fino a raggiungere
7
L'APPROFONDIMENTO
la stazza di 570 chili: le carni sono
uniche, ideali per un bollito davvero eccellente, che fortunatamente
stanno andando a ruba», spiega con
l’orgoglio di chi, assieme all’alleva-
Anche in Bergamasca c’è chi ha scelto di allevare il bue grasso
di razza piemontese: la società agricola Kelig di Nembro,
fornitrice della macelleria Algeri
tore, è riuscito a portare in Bergamasca un pezzo di quella tradizione ormai mandata avanti, in barba
alle logiche iper-produttive, solo in
Piemonte.
Il bollito misto impazza anche nella Bassa: Elio Cazzaniga, titolare
della storica macelleria che si appresta a compiere 120 anni di Canonica d’Adda, continua a servire
grandi pezzi di carne, pronti a tuffarsi nell’acqua bollente: «Con i primi cenni d’autunno il bollito misto
è tornato alla grande nei menù casalinghi – rileva -. Il mio consiglio
contempla diversi tagli, ma manzo
castrato (dalla coda all’aletta, dal
biancostato al pesce, dal muscolo
al geretto) e scottona non devono
mancare. I veri gourmand ricercano
parti più grasse e gelatinose, davvero eccezionali bollite, ma la maggior
parte della gente ricerca tagli magri.
La gallina ingentilisce il brodo come
un pezzo di punta di vitello con l’osso. A fianco della pentola con il bollito misto non manca mai quella con
il cotechino o il musetto o, ancora
meglio, il piedino del maiale».
8
QUI PIEMONTE
A CARRÙ IL BUE
GRASSO È PERSINO
UN MONUMENTO
Ogni anno, da 104 anni a questa parte, Carrù rinnova
il tradizionale appuntamento della Fiera del Bue Grasso, un mercato competitivo che porta in piazza i buoi
piemontesi più mastodontici, veri e propri trattori delle Langhe. Perfino un monumento celebra “il Bue” a
Carrù, porta d’la Langa: una scultura in pietra raffigurante un paio di buoi che trascinano un pesante aratro. Nessuna guerra, alluvione e carestia è riuscita ad
interrompere nemmeno per un anno la fiera dedicata al
“bue grasso” che dura dal 1910. Allora un veterinario
di Carrù, Benedetto Borselli, riuscì a convincere alcuni
allevatori a riservare ai buoi non più in grado di lavorare nei campi per ragioni di vecchiaia un paio di anni di
riposo e di buon cibo affinché potessero ricostituire le
masse muscolari ed ingrassare per essere vendute come bestie da carne. L’esperimento diede ottimi risultati e nacque così la fiera che da evento atteso da tutti
gli allevatori si è ormai trasformata in un forte richiamo
turistico. Il tempo in cui i campi si aravano con i buoi è
passato da un pezzo, ma cresce il numero di allevatori
che si dedicano a questi capi di bestiame, che crescono con cura anche per 4-6 anni, pronti a mettersi alla
prova nella sfida con la loro montagna di muscoli.
novembre 2014
L’esperto del bollito
Cravero: «In cottura fondamentale
il rapporto solido-liquido»
Se il bollito di bue grasso si gusta ancora per le feste, specialmente a dicembre
in concomitanza con la fiera, Carrù è riuscita nella difficile sfida di “destagionalizzare” il bollito. Grazie anche allo spirito di gruppo che anima l’associazione di
ristoratori “Piacere Carrù, Manzi e buoi
dei paesi tuoi” che promuove diverse
iniziative e menù a prezzi convenzionati,
nel paese di Luigi Einaudi il bollito si serve tutto l’anno. Al Vascello d’Oro - storico locale fondato nel 1887, da 32 anni
gestito da Beppe Cravero, con la moglie
Lidia, i figli Marco ed Elena e il cognato
Carlo Bella ai fornelli - il pentolone del
bollito misto «è sempre sul putagè». «La
tipicità vince su tutto, anche sulle temperature primaverili ed estive - spiega Beppe Cravero -. Il turista non bada al termometro: chi fa chilometri per venire a
Carrù vuole gustare il nostro bollito, che
è in carta tutto l’anno». Il carrello qui non
si ferma mai e non conosce crisi: «Negli
ultimi anni sono cresciuti la domanda e
l’interesse per il bue grasso: ormai gli
allevatori hanno anche sei buoi, quando per tradizione si dedicavano a farne
crescere uno o al massimo due. I costi
restano ancora davvero elevati, tanto
da non garantire una totale remunerazione all’allevatore che è animato dalla
passione e dalla tradizione più che dal
business».
I buoi di Carrù sono un vero e proprio
richiamo turistico: gli allevatori custodiscono segreti per ingrassare i colossali
bovini e i ristoranti si impegnano a valorizzare in cucina le carni pregiate. Non
mancano alcune dritte per preparare al
meglio la ricetta tradizionale: «Il bue è
buono dalla testa alla coda, al punto che
un bollito senza testina non è certo un
vero bollito», continua Cravero. Anche al
bue, come al cavallo, si guarda in bocca:
«Il manzo ha solo sei denti. Un vero bue
deve avere otto denti, la massima dentatura bovina, che si raggiunge attorno ai
quattro anni e mezzo d’età. Un bue grasso da premio ha in genere non meno di
cinque anni e mezzo».
Quanto alla preparazione a casa, è fondamentale rispettare il rapporto solidoliquido: «La quantità di carne domina il
potere della bollitura. Le proporzioni sono 1 di solido e 2 di liquido: un chilo di
carne vuole al massimo due litri di acqua. I profumi vanno aggiunti, come la
carne, al momento dell’ebollizione: la
carne deve essere quasi loggiata nella
casseruola. I tempi di cottura sono più o
meno gli stessi per i pezzi dello stesso
animale. Un manzo di 15 mesi richiede
un’ora e mezza, mentre il bue grasso ne
esige ben quattro. La fiamma deve essere dolce».
Per il gran bollito misto alla piemontese avremo sul fuoco un pentolone e tre
pentole: «Biancostato, punta di petto,
reale, testina, muscolo anteriore o stinco e cappello del prete andranno nella
stessa grande pentola; la gallina o il cappone, il cotechino o il piedino e la coda
saranno cotti in tre pentole separate». Il
bollito viene servito sul classico carrello,
accompagnato da due o tre contorni, dalle patate lesse a spinaci e carote, e dalle sette magiche salse della tradizione
piemontese. «Le salse non vanno mai
poste sopra la carne ma servite a lato –
precisa il ristoratore -, in modo che ognuno possa comporre da sé una tavolozza
di colori e sapori ad attorniare le carni. Il
bagnetto verde e rosso sono imprescindibili, così come le salse piccanti, dalla
senape al rafano. La tradizione cuneese
propone poi salse particolari come la cugnà, a base di mosto di Dolcetto e pere
Martin Sec, e la salsa d’avie a base di
miele allungato con il brodo del bollito,
impreziosito da noci e nocciole, e lasciata cuocere per dieci minuti sul fuoco».
9
LETTERE
La vera sfida in tavola è rendere
il consumatore più consapevole
G
entile Pier Carlo Capozzi,
scrivo riferendomi al Suo articolo “Report, non tutte le pizze riescono col
buco” pubblicato su Affari di Gola di
ottobre, ringraziandoLa per aver dato
risalto alla triste realtà che vede non
soltanto il nascere ed il sopravvivere,
ma addirittura il proliferare di pizzerie
condotte da improbabili pizzaioli.
Tuttavia, secondo me, se si vuole valutare seriamente la questione, occorre ribaltare la prospettiva con la
quale viene considerata, nel senso
che le “nefandezze che ammorbano
il mondo dei pizzaioli di poco scrupolo e di inesistente professionalità” di
cui Lei scrive, ci sono e continueranno
ad esserci fintantoché è il consumatore stesso che, con le sue scelte, ne
decreta la nascita e la sopravvivenza,
cioè fintantoché il consumatore non
sarà in grado di scegliere consapevolmente cosa si appresta a mangiare!
Mi permetto di esprimere questa considerazione perché opero nel settore
ristorazione da ormai trent’anni; non
nasco pizzaiolo ma mi sono progressivamente avvicinato a questo mondo con grande passione e profondo
rispetto per la tradizione.
Dietro la mia pizza c’è un grande impegno: l’impasto, che da sempre produco con farina di tipo 1, viene ripreso
più volte e lievitato per più di 48 ore.
I condimenti sono scelti scrupolosamente, la pizza è quindi condita con
pelati San Marzano e mozzarella fiordilatte acquistata quotidianamente
da un caseificio a Km zero.
Infine la pizza è cotta in forno a legna
alimentato rigorosamente con ceppi
di faggio.
Ed il risultato qual è?
Nonostante il tempo e l’impegno che
quotidianamente dedico (nonché ai
costi che sostengo) per ottenere una
pizza con certe caratteristiche (in termini di digeribilità, genuinità ed ovviamente di gusto), il
mio locale si affolla, guarda
caso, la serata in cui ho deciso di far pagare la pizza a metà prezzo! Nonostante i prezzi
alla carta siano nella media.
Personalmente Le dico che
rattrista profondamente vedere che le persone che la
sera della promozione mangiano la mia pizza apprezzandone le qualità, sono le stesse
che nelle altre serate si rivolgono a quelle pizzerie “concorrenti”, che il più delle volte
di Everisto*
Dalla pizza "ciambella" alla capasanta virtuale
C
aro Pier Carlo ti scrivo… sembrerebbe questo un incipit
alla Lucio Dalla e, d’altra parte, la canzone del compianto genio bolognese che parla anche d’amicizia, ben si addice
ad introdurre il mio testo in risposta ad un amico caro come
sei tu per me.
Ma andiamo oltre le attestazioni di stima e affetto e veniamo
al punto.
Leggendo il tuo articolo nel numero di ottobre dal titolo: “Report, non tutte le pizze riescono col buco”, nel quale commenti la puntata Rai incentrata su pizza e dintorni, hai stimolato i
miei ricordi e mi è venuta voglia di contribuire alla causa.
Il tuo resoconto di una scampagnata in Brianza con tanto di cena a base di pizza con il buco, mi ha riportato alla memoria un
episodio capitato pure a me nella terra di Ariberto da Intimiano
e Rosa e Olindo. Il mio file dei ricordi lo aveva fermamente censurato. Ora però dopo aver goduto della tua sagace e sempre
autorevole penna, considero il veto caduto in prescrizione e mi
addentro nel racconto di un convivio a dire poco problematico.
Siamo nell’autunno 2012 e io e la mia compagna rientriamo di
sera da un impegno in Oltrepò. Dopo aver scartato alcuni locali - perché “tanto sulla strada qualcosa di meglio puoi sempre
10
trovare” - e aver esitato troppo a lungo in tempo limite infilo il veicolo nel parcheggio di un ristorante pizzeria ancora aperto e ben illuminato. Vista l’ora, sembra
messo lì dalla provvidenza. Scendiamo speranzosi ed
entriamo.
L’accoglienza del patron è familiar-goliardica, non ci fa
sentire il peso dell’ora tarda, tuttavia ci dice che il forno
della pizza è già fuori servizio e per quanto concerne la
parte ristorante sarebbe meglio lasciar fare alla cucina.
Visto l’orario non dissentiamo e ci lasciamo guidare.
Apriamo con un poco appetibile culatello, che mangiamo senza troppe ritrosie, vista la fame, e poco dopo ci viene solennemente annunciata la specialità del giorno: Capesante al
gratin.
Cerco di dimenticare il simil culatello e, pensando al nostro arrivo in zona Cesarini, non faccio storie, ma temo la mal parata.
Infatti l’arrivo di due piatti con gusci colmi oltre il bordo di pane
impregnato d’olio, strinato in superficie e dall’odore di Fantic
Motor, confermano i miei timori. Ci guardiamo a dir poco perplessi nell’attesa che uno dei due si azzardi per primo a cercare nell’untuoso scrigno il mollusco jacobaeus. Ma già dopo
novembre 2014
impiegano un impasto a lievitazione
diretta, prodotto con farina di tipo 0
quando non 00, strutto, additivi e migliorativi vari, condimenti scadenti e
provenienti da chissà dove, etc. etc.,
solo perché le loro pizze costano 1 o
2 euro di meno!
Nonostante questo sia professionalmente molto demotivante e da imprenditore mi porti inevitabilmente
a pormi delle domande, io ho deciso
di non piegarmi alla pura logica commerciale ma di continuare a crede-
re che da cose buone non possano
che originarne altre altrettanto buone.
Siamo quello che mangiamo.
Non possiamo quindi prescindere da
una sana alimentazione, se vogliamo
godere di buona salute e benessere.
Forse, se il consumatore avesse un’educazione alimentare tale da permettergli di scegliere e capisse o quantomeno si chiedesse cosa sta veramente mangiando, probabilmente
“prezzo”e “gusto” non sarebbero più
gli unici parametri a determinare la
sua scelta.
Se questo accadesse, ci sarebbe una
sorta di selezione “darwiniana” dei
pizzaioli e la pizza, ovunque la si mangiasse, tornerebbe ad essere, meritatamente, patrimonio culinario (e culturale) dell’Italia.
La passione per l’argomento in questione mi porterebbe a dire ancora
tante cose ma credo che anche in
questo caso la pratica valga molto
più di tanta teoria perciò, qualora si
trovasse a passare per Bergamo, sarei felice di poterLe far assaggiare la
mia pizza.
Un ristoratore
(lettera firmata)
Caro ristoratore,
il suo scoramento è anche quello di tanti altri colleghi ristoratori.
L'educazione alimentare dei consumatori, anche per opera della stampa
di settore, è in atto ormai da un bel po' e credo che, a questo punto,
chi vuol restare "ignorante" lo faccia per scelta precisa.
Concordo in pieno con lei: continui a credere che da cose buone non
possano che nascerne di altrettanto buone.
E prosegua imperterrito per la sua strada.
Non se ne pentirà.
Pier Carlo Capozzi
le prime titubanti incursioni con
la forchetta dentro il misterioso
scarbuntito composto, scopro
che quest’ultimo deve
essere rimasto altrove. Della capasanta ci han portato solo il guscio riempito di pane zuppo di un brodo che sa vagamente di
vongole decongelate e olio d’officina!
E il frutto di mare dov’è? Forse rapiti da estasi creativa alla
Pietro Lemann, hanno ideato al posto dell’uovo la capasanta
apparente? O magari nel tentativo di emulare Ferran Adrià, si
sono elevati andando addirittura oltre. E, anziché la capasanta scomposta, hanno realizzato la capasanta scomparsa? Sono domande di non poco conto…
Ora, che i nostri vicini pronipoti di Marco d’Oggiono, fossero
degli industriosi ideatori non avevo dubbi, ma che, dopo l’invenzione del buco con la pizza intorno e della chiave a brugola (non scherzo! Andate a documentarvi sul meccanico Egidio
Brugola da Lissone…), siano arrivati all’invenzione della capasanta virtuale, è il sigillo che attesta definitivamente un Dna
dalla forte impronta creativa, un fatto d’elezione! Ma ritorniamo seri. No, non ce l’ho con quelli di là dell’Adda ovvio, anzi
mi stanno pure simpatici, e poi il dramma è che non ci sono
differenze di area geografica. Dovunque, lungo il nostro stivale, si incontrano operatori del settore che si arrogano il diritto
di pigliare per i fondelli l’utenza.
E questo proprio mentre le tematiche sulla tutela dei prodotti italiani d’eccellenza, in casa nostra e nel mondo, è più che
mai d’attualità. Pertanto a chi non volesse prestarsi ad essere
buggerato, suggerirei di non indugiare nel rammentare a certi
furboni della ristorazione che la conchiglia di San Giacomo non
è solo un contenitore da rasare di pane bruno imbrombato di
olio da carretto, o tutt’al più da gamberi liofilizzati e farci trecento servizi, come le gamelle di quando ero a Silandro nel 5°
Alpini. A rigor di scienza, oltre che di gastronomia, lì ci dovrebbe essere un mollusco, e se mi dici capasanta ce la voglio vedere dentro! Diciamoglielo, sarà un monito per una prossima
volta, oltre che tutela per avventori futuri.
E allora caro Pier, dopo un bel po’ di tempo che non ci troviamo a tavola, sei ufficialmente invitato ad un convivio. Io e te.
Andremo alla scoperta di cose buone, magari di una bella pizza fatta con farina integrale e lievito naturale e un piatto di capesante con il mollusco dentro, perché no, fresco e corrispondente al guscio stesso. Non mi riferivo certo ad altre scoperte
come quelle per le quali abbiamo scritto, le risate sull’argomento ce le siamo già fatte al telefono, ma a pensarci bene ci
sarebbe da piangere.
* Dietro questo pseudonimo si cela un noto ristoratore bergamasco
11
TENDENZE
di Giordana Talamona
Export, la difficile
partita dei vini italiani
Parlano due operatori che stanno promuovendo il meglio della nostra
enologia in Asia e Usa. "Siamo di fronte a due mercati complessi.
Ci sono ampi margini per migliorare, ma paghiamo come sempre
la nostra incapacità di fare sistema"
Da sinistra Marco Cassani e Giorgio Rodoni
S
12
i sono conosciuti sui banchi di scuola dell'International
School of Milan, in un ambiente multiculturale dove il motto “for a world without frontiers” è quanto di meglio possa
esserci per sentirsi cittadini del mondo. Marco Cassani e
Giorgio Rodoni, poco meno che trentenni, viaggiano da oltre due anni in lungo e in largo per gli Stati Uniti e l'Asia
promuovendo l'export di food and wine italiano con la loro
azienda, Italian Heritage. “Nel corso dei nostri viaggi e durante la nostra permanenza a Londra per gli studi universitari - spiega Cassani - abbiamo spesso notato la mancanza di prodotti italiani che rispecchiassero l’autenticità e la
qualità che il nostro Paese può offrire. Quasi per scherzo
ci siamo detti, perché non occuparcene noi?”. E così hanno fatto. Marco, una laurea in Economics and International Business e un master in Investment and Finance, si
occupa del mercato americano, mentre Giorgio, laureato
in Biology and Business Management, con un master in
International Business, si è specializzato nell'export verso l'Oriente.
Mercati complessi, nei quali non è facile orientarsi, non
fosse altro che per le accise e le quantità minime richieste da ciascun importatore. “La difficoltà principale sta
nel riuscire a collegare la domanda con l'offerta - spiega
Cassani a proposito del mercato americano -. È normale
che una piccola cantina faccia molta più fatica a farsi notare negli Stati Uniti, senza contare che raramente vengono apprezzate produzioni di nicchia. Tra i vari ostacoli da
superare, inoltre, c'è quello tecnico, ovvero il trasporto
stesso e le varie registrazioni necessarie per l'esportazione negli Usa. Esiste, infine, una concorrenza spietata sui
prezzi, in ragione della presenza non solo dei vini locali,
ma anche di quelli francesi”.
Se è complesso il mercato americano, quello asiatico si
rivela ancor più articolato. “In Asia la conoscenza del vino
italiano è più ridotta rispetto all'America - spiega Giorgio
Rodoni -. Sono praticamente ignoti i vini italiani, eccetto
i grandi nomi come Banfi, Zonin, Fontanafredda e pochi
altri. I vini francesi la fanno da padrone sulla fascia alta,
mentre per quella medio bassa sono gli australiani ad essere ben posizionati”.
Il mercato a stelle e strisce - È chiaro che un viticoltore
medio-piccolo rischi di fare la parte di Davide contro Golia,
se paragonato ai numeri dei grandi brand industriali. Eppure nulla è perduto, sempre che si badi alla qualità. “Dipende tutto dal tipo di vino e dall'importatore per gli Usa
novembre 2014
zionali dei ristoranti. Questi distributori nazionali danno
al ristoratore una soluzione completa di prodotti, dal sale
da cucina alla frutta e verdura, sino al vino. Questo fa sì
che nella carta dei vini siano presenti oltre dieci Cabernet Sauvignon, tutti della Napa Valley. E questo trend
non può che incidere sul gusto del consumatore finale”.
- prosegue
Cassani -. Per
un vino dal prezzo
contenuto, l'importatore ha bisogno di un certo volume,
mentre per prodotti di pregio si può parlare anche di quantità limitate. Nel nostro caso, per esempio, non c'è un minimo perché consolidiamo prodotti di diverse cantine. Va
da sé, ovviamente, che la registrazione presso la Fda (Food and Drug Administration, ndr) comporta dei costi, sia
per l'importatore che per la cantina influenzando, di fatto,
le potenziali quantità”.
Per lavorare nel mercato Usa, infatti, ogni importatore
dev'essere in possesso di una licenza per ciascuno Stato, lo stesso dicasi se vuole distribuire anche i prodotti.
“Come quasi tutto negli Stati Uniti, le tasse variano da
Stato a Stato e non incidono in maniera esponenziale precisa Cassani -. Non ci sono accise, ma quello che incide maggiormente è il cambio euro-dollaro. Ad esempio,
una bottiglia che costa 5 euro in Italia, costerebbe 6,72
dollari negli Stati Uniti, escludendo il trasporto e un eventuale ricarico dell'importare (del potenziale distributore) e
dell'enoteca. Di massima, bisogna considerare che il vino
costa all’importatore, tenuto conto i costi di import, quasi
il doppio per i vini sotto i 10 euro. Va da sé che salendo
di prezzo i costi incidono meno, ma allo stesso tempo c’è
meno mercato per quella fascia di prodotto”.
A conti fatti, dunque, la qualità media dei vini italiani presenti nel mercato americano è prevalentemente bassa o
medio-bassa, soprattutto negli Stati centrali molto meno
cosmopoliti. “In genere quello che troviamo nella nostra
Gdo è praticamente equivalente a quello che si può trovare nella maggior parte delle enoteche Usa. Ovviamente esistono delle eccezioni che si concentrano su prodotti di nicchia e sull'alta qualità. Fortunatamente, infatti, il
mercato si sta evolvendo e apprezza sempre di più vini
particolari e di fasce più alte. Questa evoluzione è anche dovuta alla crescita del mercato delle microbreweries, che hanno innalzato la ricerca del prodotto autentico
e di qualità”.
Nella fascia medio-alta sono i Supertuscan, i Barolo, Brunello e i vari Prosecchi a fare la parte del leone. Anche i
vitigni internazionali sono molto apprezzati, soprattutto
perché i prodotti francesi prima, e quelli della Napa Valley
adesso, agiscono da trend setter. “I prodotti della Napa
sono incentivati sia dallo Stato che dai grandi fornitori na-
Il mercato d'Oriente - Se posizionarsi nel mercato americano sembra un'impresa titanica, la situazione diventa ancor più complicata in Asia. Per non perdere tempo
e denaro, dunque, è bene affidarsi a professionisti che
conoscano direttamente il complesso mosaico commerciale d'Oriente. Secondo Rodoni per i prodotti di nicchia,
ad esempio, è più strategico concentrarsi su mercati già
affermati come Giappone, Taiwan, Hong Kong e Singapore, perché la clientela media è più disposta ad accettare
prodotti particolari, non necessariamente di marchi noti.
In quei mercati, infatti, la qualità media dei vini italiani è
superiore a quelli presenti nel mercato a stelle e strisce.
In Cina, considerato da molti il nuovo Eldorado per i vini
made in Italy, la lotta si fa ancor più agguerrita. “Le potenzialità in Cina sono praticamente infinite, ma non è come
dirlo - prosegue Rodoni -. È necessario, infatti, trovare il
canale e il segmento di mercato giusti, prima di lanciarsi
a capofitto nell'impresa, soprattutto se si mira ad avere
un rapporto consolidato e duraturo. Inoltre, non è semplice lavorare con il mercato cinese perché le nostre culture
commerciali sono estremamente diverse. D'altra parte la
Cina è un mercato giovane, nel quale solo un piccolo segmento di popolazione è preparato ad accettare prodotti
occidentali, e anche quella nicchia si concentra principalmente sui grandi brand”.
Penetrare il mercato cinese si rivela un'impresa complicata anche per le regolamentazioni, le dinamiche “particolari” e le accise che nei mercati più maturi sono assenti.
Senza contare che in Cina la qualità dei vini italiani è, in
genere, medio-bassa con picchi di livello alto, dov'è facile
trovare nomi altisonanti come Gaja. “I vini francesi sono
di gran lunga quelli più popolari, - continua Rodoni - assieme a quelli australiani che, da qualche anno a questa
parte, stanno crescendo in popolarità”. Nella carta dei
vini dei ristoranti asiatici è tutto un fiorire di Bordeaux,
Champagne, Cabernet Sauvignon e Syrah sia australiani
che della Napa Valley, oltre qualche vino cileno e sudafricano. “Molto raramente si trovano dei vini italiani, se non
i Chianti e Brunello di grandi marche”.
Come invertire il trend? Se come abbiamo visto i mercati asiatici e americani sono estremamente complessi e
frammentati, per riuscire a spingere il made in Italy in maniera credibile occorrerebbe il “famoso sistema Italia”,
che sulla carta piace tanto alle Istituzioni e ai territori vinicoli, ma che di fatto stenta a decollare.
“Purtroppo l'Italia è molto più individualista rispetto ad
altri Paesi, come ad esempio la Francia - spiegano Cassani e Rodoni - e per questo motivo il lavoro di Consorzi e
Camere di Commercio non riesce a difendere l'autenticità
del prodotto italiano, rendendo più difficile la penetrazione del mercato”.
13
IL PROGETTO
Un nuovo modo per scoprire le cantine, grazie alla collaborazione
tra Consorzio di Tutela, Turismo Bergamo e Promoisola
Valcalepio, ora c'è anche
il wine tour in pullman
I
14
l Consorzio Tutela del Valcalepio, Turismo
Bergamo e Promoisola hanno deciso, in
collaborazione con la Regione Lombardia
e con la Camera di Commercio di Bergamo
di creare una nuova opportunità per tutti gli
appassionati di enogastronomia, siano essi
residenti in Bergamasca o turisti, italiani e
stranieri.
Ogni sabato, dalle 14 alle 19, verrà organizzato un Wine Tour in pullman che porterà gli
ospiti in visita a due aziende vitivinicole del
territorio. Le aziende si alterneranno nell'ospitare i visitatori con un calendario
che sarà pubblicato e aggiornato di
settimana in settimana sulla pagina facebook “Consorzio Tutela
Valcalepio” e mensilmente sul
sito www.valcalepio.org.
Il pullman par tirà dal piazzale
della Malpensata, a Bergamo, e
rientrerà nello stesso punto alle
19. In tutto cinque ore di visita
che permetteranno di conoscere
da vicino il mondo del Valcalepio, assaggiare i vari prodotti e
comprendere l'evoluzione di un
territorio.
Il progetto del wine tour nasce
del resto proprio allo scopo di
coinvolgere nella vita enologica
bergamasca il maggior numero
possibile di turisti e appassionati. Per raggiungere tale obiettivo
il tour sarà disponibile in doppia
lingua (italiano e inglese) e sarà
guidato da un sommelier Ais, un
esper to che accompagnerà gli
ospiti alla scoperta del panorama vinicolo bergamasco, spie-
gherà la sua storia enologica
e scenderà nello specifico
dei singoli prodotti.
Un’idea che assume
una rilevanza ancora
maggiore se si pensa a quel che accadrà l'anno prossimo,
al palcoscenico che
una kermesse come
Expo, a Milano, sarà
in grado di offrirà ad un
territorio limitrofo come quello
orobico.
È un’occasione da non perdere, quindi, e la sfida è quella di coinvolgere
nel tour enogastronomico il maggior
numero di appassionati e turisti che
arriveranno da tutto il mondo.
Ad inaugurare l’iniziativa sono stati
la Cantina Sociale Bergamasca
di San Paolo d’Argon e l’azienda
agricola Tallarini di Gandosso, entrambe oggetto di viste lo scorso
25 ottobre.
Partecipare al wine tour è semplicissimo: è sufficiente iscriversi
attraverso l’indirizzo e-mail [email protected] o contattare
il Consorzio al numero telefonico
035.953957 e si riceveranno tutte
le informazioni necessarie.
La partecipazione è aperta anche a
gruppi di persone, previo contatto
con il Consorzio per poter organizzare al meglio le esigenze dei visitatori. Il costo del tour è stato fissato
a 25 euro a persona.
novembre 2014
LA MANIFESTAZIONE
Gli artisti del gusto
protagonisti a GourmArte
Appuntamento dal 29 novembre al 1° dicembre alla Fiera di Bergamo.
La regione ospite quest'anno sarà la Sardegna
O
livicoltori che commissionano opere
da tenere tra gli olivi, artisti come Ugo
Nespolo che creano installazioni da
ammirare tra le vigne, ristoranti che diventano gallerie di quadri e chef che
si ispirano a tele d'autore per creare
nuovi piatti. L'arte cerca sempre più la
compagnia del cibo e del vino. Perché
i buongustai, oltre al buono cercano il
bello. Cucina e arte riunite in un unico
spazio: succede nei grandi musei, dove
si punta al palato del visitatore, stuzzicandolo con piatti prelibati che riecheggiano la mostra in corso in ambienti
che corredano la struttura museale.
Ma dove troviamo questo binomio vincente? Nel mondo ci sono ristoranti di
livello che operano nei musei di rango
a partire dal Guggenheim di New York,
ma quello che Promoberg propone rappresenta qualcosa di unico. Giocando
sull’acronimo: gourmet e arte, si propone la terza edizione di GourmArte, la
fusione perfetta tra il bello dell’arte e il
buono della cucina dal 29 novembre al
1° dicembre alla Fiera di Bergamo.
Il format della parte “gourmand” dell’evento darà la possibilità a ghiottoni e
gourmettari di alternare la degustazione di specialità enogastronomiche
lombarde ad altre, provenienti da terri-
tori extra, ma “naturalizzate lombarde”
o ancora di assaggiare vini che fanno
parte del patrimonio vitivinicolo della
regione Lombardia. Un programma nutritissimo, appositamente ideato per
consentire a tutti i cultori della buona
tavola di assaggiare il meglio della proposta enogastronomica a prezzi accessibili, ma anche un “educational tour”
tra le cose buone che potrà concludersi
anche con l’acquisto dei prodotti degustati con un comodo sistema di asporto, predisposto all’uscita del percorso.
La zona ristorante, attrezzata con cucine a vista, è invece dedicata agli “Interpreti del Gusto”: cuochi e ristoratori
che hanno contribuito a elevare e divulgare il buon nome della ristorazio-
ne lombarda in Italia e nel mondo. Qui,
con una selezione di piatti e di cuochi
ogni giorno diversa, si potranno gustare le specialità che hanno reso celebri
Felice Lo Basso di Unico (Milano), Stefano Masanti del Cantinone di Madesimo, Marco Sacco del Piccolo Lago di
Verbania, e molti altri. In un contesto di
eleganza e relax, degno di un ristorante
stellato. Un’altra grande novità golosa
dell’edizione 2014 è rappresentata dalla regione ospite: ad animare GourmArte ci saranno i migliori produttori e gli
chef di un territorio dalla tradizione
enogastronomica straordinaria: la Sardegna. Accanto a GourmArte, un altro
evento tutto da gustare: artisticamente parlando, s’intende. Bergamo Arte
Fiera, dove si avrà la possibilità di ritrovare, tra le molte opere che saranno
esposte, la modernità degli artisti che,
spesso e volentieri utilizzano elementi
relativi al cibo e alla tavola creando opere originali e di tendenza. È il caso delle
tavole di Daniel Spoerri con la sua “Eat
Art”, che rappresenta in questo senso
una delle più geniali creazioni. Uno capace di rendere immortali e famose tavole apparecchiate e piatti sporchi.
15
LA TAVOLA ALTERNATIVA
di Laura Ceresoli
Frutta e ortaggi,
che fatica salvare la biodiversità
Non sono solo le logiche della produzione industriale e della grande
distribuzione ad aver portato sulla soglia dell’estinzione tante varietà.
«Anche i consumatori non sono così propensi ad assaggiare ciò
che si allontana dai gusti standard», dice il seed saver Giambattista Rossi.
E pensare che tra i prodotti dimenticati ci sono pomodori più ricchi
di vitamina A e C e un fagiolo che non provoca gonfiori
C'
era un tempo in cui le pesche si raccoglievano liberamente dagli alberi, nelle
minestre dei contadini faceva capolino il fagiolo monachello e il basilico
non era solo un’insipida foglia verde,
ma una piantina capace di solleticare
le narici con il suo intenso profumo.
Un’epoca in cui i pomodori conservavano ancora il loro originario colore giallo
paglierino simile all’oro e le civiltà contadine sapevano far festa per un buon
raccolto di frumento. Oggi, di quegli anni resta solo un lontano ricordo. I vasti
Lo chef
terreni agricoli hanno lasciato spazio ai
bancali dei supermercati dove la scelta
di frutta e verdura è limitata a una nicchia selezionata di marchi.
A decretarne il successo sono state le
industrie alimentari che hanno privilegiato la coltivazione di alcune varietà
a scapito di altre che, seppur gustose
e saporite, sono andate via via scomparendo.
A svelare questi retroscena è Giambattista Rossi che nel suo orto conservativo riproduce in purezza biodiversità
che corrono il rischio di estinguersi. Il
coordinatore del gruppo Civiltà contadina di Bergamo è un salvatore di piante
rare o, per dirla all’inglese, un “seeds
saver” la cui missione è quella di ricercare e diffondere sementi rare di varietà primitive legate alle coltivazioni locali. Relatore a un incontro formativo organizzato all’iSchool di via Ghislandi a
Bergamo, Rossi ha guidato gli studenti
attraverso un viaggio nel passato alla riscoperta di quei valori contadini, ormai
sopiti, basati sulla condivisione e la li-
CORNALI: «I CLIENTI DOVREBBERO FARSI QUALCHE
Cotte, crude o alla griglia, anche le varietà dimenticate potrebbero contribuire a rendere
un piatto insolito. Ma solleticare i palati dei bergamaschi, così attaccati alle loro radici
e ai gusti tradizionali, non è una missione sempre possibile. A spiegare l’evoluzione di
frutti e ortaggi alternativi, dall’orto alla padella, è Mario Cornali. Chef del ristorante Collina di Almenno San Bartolomeo, ma anche scrittore, appassionato d’arte e docente
dell’iSchool di Bergamo, questo cuoco orobico è un profondo conoscitore del territorio,
della cultura e dei prodotti locali.
Cosa ne pensa dell’utilizzo delle biodiversità per creare piatti alternativi?
«Non c’è un ortaggio o un frutto che non
possa essere cucinato, secondo me. Le
biodiversità dovrebbero essere inserite in
un contesto di normalità. L’unico problema è la reperibilità e la conservazione di
queste varietà. Bisogna fare educazione
e formazione sui prodotti. Pensiamo, ad
esempio, al mais di rostrato rosso di Rovetta. Slow Food ha dimostrato come la
16
Mario Cornali
farina di questo mais, rigorosamente macinata in un mulino a pietra con certificazione biologica, si presti alla preparazione
dei più svariati piatti. È una farina meno
collosa ma che ha più sapore perché ha
determinate caratteristiche. Eppure molta
gente ancora non la conosce».
Gli chef dovrebbero cambiare il loro approccio verso la cucina?
«Sì, altrimenti si rischia di cadere in operazioni commerciali dove si cucina un piatto
novembre 2014
Giambattista Rossi
bertà. Tuttavia, la progressiva scomparsa di questa infinita varietà di ortaggi,
cereali, legumi e frutti dalle tavole dei
bergamaschi non è solo attribuibile alle scelte commerciali della grande distribuzione ma anche all’attitudine del
consumatore, sempre più appiattito
verso gusti standard: «Non tutti i clienti, quando vanno al ristorante, amano la
sorpresa – spiega Rossi –, la maggior
parte della gente non è pronta a mangiare un pomodoro che ha un giusto diverso da quello che si compra al supermercato. Quando uno chef si ingegna
per cucinare piatti con le biodiversità
non è detto che il successo sia assicurato. Serve curiosità da parte del commensale e una certa propensione a
sperimentare e a scoprire la novità, altrimenti è inutile. Ricordo che qualche
anno fa la nostra associazione aveva
fornito a un noto cuoco di Bergamo una
particolare varietà di mandarini siciliani. Avrebbe voluto farne una salsa ma
poi ha rinunciato perché quegli agrumi
erano troppo saporiti e i suoi clienti non
avrebbero apprezzato un sapore così
diverso da quello a cui erano abituati».
Aprire la mente verso nuove frontiere
del gusto consente di scoprire un mondo parallelo dove non sono soltanto
i pomodori Cuore di bue, i Ramati e i
San Marzano a farla da padrone. I peperoncini sono verdi, gialli, rossi, viola,
a campana, a forma di cornetto e tra i
fagioli borlotti e cannellini sono soltanto una minima parte di quanto la natura può offrire. Pensiamo per esempio al
fagiolo del Tone. Trovato in località Rova del comune di Gazzaniga da Antonio
Ghilardini, detto Tone, da cui ha preso
il nome, questo legume è l’ingrediente
principe della trippa dei morti, piatto
tradizionale di Caravaggio.
Negli orti conservativi dei seeds savers si possono trovare ortaggi talmente
sorprendenti da sembrare il frutto delle
più moderne ibridazioni: un pomodoro
con quattro volte più vitamina A degli altri e uno con il doppio di vitamina C; una
zucca capace di conservarsi a temperatura ambiente per oltre due anni; un
fagiolo che non provoca sgradevoli gonfiori; un cocomero di grandi dimensioni
immune a tutte le comuni malattie della
sua specie; una melanzana che cresce
anche in montagna ed è priva del suo
caratteristico gusto amarognolo. E la lista è ancora lunghissima. Insomma, i
semi devono tornare alla terra per poi
riempire le nostre tavole e nutrire con
gusto. Per far sì che non si estinguano
e possano essere passati ai posteri, è
necessario continuare a condividerli e
a tramandarli. Serve, però, una costante attenzione alla loro tutela: «Salvare
rare varietà di ortaggi italiani tramandate da generazioni può permetterci di
affrontare le manipolazioni senza controllo – conclude Rossi –. La tutela delle biodiversità può però diventare un
grosso problema nel momento in cui
la coltivazione degli ogm avviene all’aperto e può esserci contagio da una
pianta transgenica a una autoctona. È
necessario mantenere una distanza significativa fra i campi coltivati con biotecnologie e quelli biologici, l’impollinazione casuale infatti rischia di danneggiare e far sparire le colture biologiche,
rendendo impossibile la coesistenza
fra le due diverse colture». Essere conservatori di semi è un compito spesso
impegnativo e richiede assistenza e
preparazione. Civiltà contadina fa prestiti di semi ai soci che vogliono diventare custodi di vecchie varietà. A fine
stagione i semi vanno restituiti con il
doppio della quantità prestata affinché
si possa continuare a elargire ad altri
soci. Il coltivatore deve restituire
un seme pulito, sano, e,
naturalmente, senza ibridazioni.
DOMANDA IN PIÙ SU CIÒ CHE C’È NEL PIATTO»
alternativo solo per scopi promozionali. Pensiamo alla moda del
Kamut. Ce lo hanno propinato come una varietà alternativa. Ci
hanno fatto credere che hanno scoperchiato un sarcofago e hanno trovato una mummia con in mano un seme di kamut, ma alla
fine è solo un marchio».
Lei ama dialogare con i suoi clienti?
«Quando si parla di terra mi piace usare il termine “alleanza”.
Io ho bisogno dell’alleanza di chi frequenta il mio ristorante affinché capisca le caratteristiche del prodotto. Non è un fatto solo tecnico ma anche etico, culturale e rurale. Nel mio piccolo ho
sempre cercato di coinvolgere il cliente. Qualcuno, anni fa, mi ha
persino chiesto: “Ah, ma nel lago ci sono ancora i pesci?”. Oppure: “Esiste un mais in natura che non è quello che trovo al supermercato nel pacchetto già macinato?”. Questo la dice lunga
sul grado di consapevolezza dell’utenza».
Cosa si può fare per sensibilizzare di più i clienti sul tema delle biodiversità?
«C’è bisogno della partecipazione di più soggetti: cuochi, scuole,
ristoratori, produttori ma anche e, soprattutto, del cliente. Dob-
biamo diventare tutti protagonisti del cerchio. Se uno produce ma non c’è chi cucina, manca
un tassello. Idem se uno produce,
c’è chi cucina ma non c’è chi mangia.
Oppure se c’è chi mangia ma manca chi
produce. Tutti devono contribuire. Il frequentatore abituale di locali è determinante, dovrebbe
imparare a essere più curioso e farsi una domanda in più su
quello che trova a tavola».
Ma quando i clienti assaggiano un ortaggio diverso da quello che sono soliti trovare sui bancali del supermercato sono
aperti alla novità?
«Molti purtroppo hanno gusti standard. Spesso chi viene al ristorante ha già un’idea ben precisa di quello che vuole mangiare e se il giusto che trova nel piatto non è quello che si aspetta
è facile che storca il naso. Il pomodoro non è sempre lo stesso
pomodoro. Dobbiamo accettare questo per far sì che si ritorni a
utilizzare la biodiversità in cucina».
17
L'AZIENDA
di Leo Bartoli
Dalla ricotta alle classiche mozzarelle fior di latte, dalle burrate
fino alle scamorze e provole affumicate: tutto il mondo vaccino
della pasta filata dà il meglio in via Spino grazie alla famiglia Cavaliere
N
18
"Dal Casaro",
la tradizione pugliese
ha messo radici a Bergamo
el caseificio di città (eccezione nel panorama caseario nostrano) una famiglia
trapiantata dalla Puglia lavora senza sosta: si fanno
i formaggi di notte e si vendono di giorno. “Poi, ogni
tanto, si dorme anche, ma
solo quando abbiamo finito
le consegne”, scherza, Ruggiero Cavaliere, primogenito
di una famiglia che un anno
e mezzo fa ha lasciato Barletta per una combinazione
legata al padre, che per motivi di salute non poteva più
proseguire nella sua attività
(un avviato studio di commercialista), ed è approdata
in blocco a Bergamo, dove
già risiedeva una zia, decidendo di aprire un’attività
già iniziata da uno dei figli:
“un caseificio al nord per
esaltare i nostri prodotti e
lavorare solo con ingredienti
di prima qualità”.
“I sacrifici ci sono stati spiega Ruggiero -, i primi
mesi non ci siamo fermati
un attimo: abbiamo seminato, come si suol dire, facendo conoscere ai locali
del territorio le nostre mozzarelle, scamorze, burrate.
Sapevamo che per sfondare
in un mercato già consolidato, occorreva proporre un
prodotto superiore, senza
scendere a compromessi
con la qualità e la freschezza delle materie prime: e così è stato”.
L’avvio della produzione,
dopo aver ristrutturato e attrezzato ad hoc un capannone in via Spino 10 (dietro
all’Eurospin), porta una data simbolica: il 23 settembre del 2013, giorno di San
Padre Pio, di cui papà Giuseppe è profondamente devoto, è partita l’attività del
caseificio "Dal Casaro", che
ogni notte lavora quasi 800
litri di latte di montagna, prima qualità. Una volta stabi-
lita la dimora (ma come è
difficile trovare a Bergamo
una casa per sei…”, spiegano loro), i Cavaliere si sono
subito divisi i compiti: papà
Giuseppe è amministratore
unico della società, mamma
Liliana si occupa del piccolo spaccio per la vendita al
dettaglio accanto al caseificio, Alberto, 26 anni, ma
con già alle spalle una buona esperienza nel settore
(oltre a una laurea in Economia e Commercio), coadiuvato dalle sorelle Cristina
(24) e Tiziana (22), mentre
a Ruggiero spetta un altro
compito delicatissimo, la
novembre 2014
responsabilità commerciale.
“Tutti sono ruoli delicati, fondamentali - spiega Ruggiero -,
mio fratello e le mie sorelle lavorano instancabilmente il latte tutta la notte, a volte dalle
11 della sera prima, fino alle
6-7 del mattino, per soddisfare le esigenze della clientela
che io, macinando centinaia
di chilometri al giorno per la
Bergamasca in questi mesi,
sono riuscito a far crescere”.
Dalla ricotta alle classiche
mozzarelle fior di latte, alle
burrate, fino alle scamorze e
provole affumicate: tutto l’universo vaccino della pasta filata, confezionato nelle apposite vaschette, viene elaborato
dai Cavaliere che pur lascian-
i ristoranti più noti di città e
provincia.
“A tutti il nostro prodotto era
piaciuto subito: c’era per alcuni l’ostacolo del prezzo, perché una mozzarella di qualità
non può essere pagata alla
stregua di una scadente. Il
mercato spesso abbonda di
situazioni borderline, con scadenze ballerine e soprattutto
alcune cagliate estere congelate che a nostro parere non
tutelano a sufficienza il consumatore. Per questo noi proponiamo sempre materie prime
al top e dopo una prima fase
di rodaggio, devo dire che Bergamo sta cominciando a recepire il nostro messaggio”.
Tra i primi a dare fiducia ai Cavaliere è stato Stefano Consonni di Città Alta, poi Alfredo
Elzi di Porta Osio: adesso si
sono aggiunti tra gli altri anche 30 Polenta all’Oriocenter,
molte pizzerie tra cui Marechiaro, La Torre e Basilico, oltre ad alcuni “santuari” della
storia della ristorazione orobica come la Brughiera, Arri’s
do una scadenza di qualche
giorno, consigliano i clienti “di
consumarli il giorno stesso o
al massimo quello dopo, per
assaporare tutta la freschezza del prodotto, senza neanche farli transitare dal frigo:
tanto se il giorno dopo ne avete ancora voglia, in poche ore
ve li riportiamo a casa”. Molta produzione su ordinazione,
quindi, che adesso coinvolge
tanti negozi e sta facendosi
largo anche tra le pizzerie e
Bar, da Giuliana, il Giopì e la
Margì, mentre proseguono le
trattative anche con altri locali: ad esempio dall’Hotel
Milano di Bratto sono venuti
personalmente in caseificio
a comprare dei prodotti. “Se
pensiamo che siamo al lavoro
solo da 14 mesi, il bilancio è
sicuramente positivo: la cosa
più bella è aver aiutato a far
crescere presso i nostri clienti
la vera cultura della mozzarella italiana di qualità”.
L’INDAGINE
Bar, il caffè al centro
dell’esperienza
anche per i giovani
Ben il 96% dei giovani d’oggi frequenta il bar, per il
30% è un’abitudine quotidiana e la maggior parte di
questi lo vive come un’esperienza di relax e momento per incontrare e conoscere nuove persone. È il dato emerso dalla prima ricerca dell’Osservatorio Illy
sul caffè nella cultura giovanile – Young Coffee Culture, nata dall’esigenza dell’azienda di individuare
le attitudini delle nuove generazioni nei confronti del
bar e del consumo di caffè, in seguito ai cambiamenti economici e sociali che hanno coinvolto il mondo
intero. Di fronte alla rivoluzione della food & drink experience, il rito del caffè – dice l’indagine effettuata
sul campione 18-34 anni – non cambia, ma si modifica il modo in cui questo viene vissuto.
Oltre a frequentare i bar, l’80% dei giovani dichiara di
averne uno preferito (il 39% indica in due/tre il numero di bar o locali preferiti, ma il 29,2% ne ha uno solo) e di andarci con gli amici (60,5%). Amano anche
starci a lungo, tra i 15 e i 45 minuti (42,5%), ma anche un’ora (21,8%) e il relax (58,6%) e l’incontro con
gli amici (33,7%), a qualsiasi ora, sono i tratti salienti dell’esperienza. Prima, tra le occasioni di fruizione,
viene la colazione (54,2%) e, all’interno del paniere
dei consumi al bar, il caffè raccoglie il 53% di massima importanza. Il caffè costituisce, così, anche per
i giovani l’esperienza-principe del consumo al bar (il
92% beve il caffè al bar), mentre l’happy hour sembra aver ormai perso smalto nell’immaginario giovanile (solo il 10,4% lo indica come esperienza al
bar). Quanto al prodotto, l’origine delle materie prime conquista il centro dell’esperienza (il 60%), l’espresso classico rimane l'archetipo delle tipologie
(per il 66%) e la crema/schiumetta è sempre gradita (48%). Tra i giovani la triade virtuosa per il futuro
dell’offerta comprende musica, personale gentile ed
efficiente, caffè di qualità.
19
L'INIZIATIVA
L’INIZIATIVA
"
Ritorna Trentacinqueuro.it
... e anticipa le feste!
Ed è già Natale... anticipiamo le feste", questo è lo slogan
che accompagna l'iniziativa commerciale.
Per 35 giorni, infatti, dal 5 novembre al 10 dicembre, i ristoranti bergamaschi aderenti al gruppo creato a inizio anno
er 35 giorni, infatti, dal 5 novembre al 10 dicembre i risto(consultabili sul sito www.trentacinqueuro.it) proporranno
ranti aderenti al gruppo creato a inizio anno (consultabili
pasti completi a 35 euro tutto compreso.
sul sito www.trentacinqueuro.it) proporranno pasti comple“Visto il successo della precedente iniziativa - dice Nicola
ti a 35 euro tutto compreso.
Zanini, coordinatore del gruppo - abbiamo pensato di ripro“Ed è già Natale…anticipiamo le feste”, questo è lo slogan
porci nuovamente per 35 giorni, anticipando le festività natache accompagnerà questa iniziativa commerciale.
lizie”. “Ricordo quando ero ragazzo - prosegue il ristoratore
«Visto il successo della precedente iniziativa - dice Nicola
di Borgo Santa Caterina - quando le festività natalizie al ristoZanini, coordinatore del gruppo - abbiamo pensato di riranteproporci
non si limitavano
ai soli
dieci
giornianticipando
che precedevano
il
nuovamente
per 35
giorni,
le festività
Natale”.
“Ora
le
cose
sono
cambiate
per
una
serie
di
motivi
natalizie”. “Ricordo quando ero ragazzo - prosegue il ristopiù oratore
menodinoti,
da Santa
qui l’idea
quindi- quando
di proporre
questa natainiBorgo
Caterina
le festività
ziativa
in
tale
periodo,
abbiamo
voglia
di
stimolare
la
gente
lizie al ristorante non si limitavano ai soli dieci giorni che
ad uscire
di più eiltornare
precedevano
Natale».a frequentare i nostri ristoranti a
prezzi
vantaggiosi”.
«Ora le cose sono cambiate per una serie di motivi più o
“Permeno
il 2015
inoltre
- anticipa
Zanini
stiamo già
pensando
a
noti,
da qui
l’idea quindi
di- proporre
questa
iniziativa
qualcosa
nuovo. Siamo
un voglia
folto gruppo
e probabilmente
in talediperiodo,
abbiamo
di stimolare
la gente ad
qualche
nuova
insegna
aderirà
ai nostri progetti,
insieme a
uscire
di più
e tornare
a frequentare
i nostriedristoranti
dobbiamo
a promuoverci anche al di fuori del territoprezzi riuscire
vantaggiosi».
rio bergamasco.
contattoZanini
con tre
grossi gruppi
pre«Per il 2015 Siamo
inoltre in
- anticipa
- stiamo
già pensansentidonella
bergamasca
al fine
di creare
collaborazioni
per la
a qualcosa
di nuovo.
Siamo
un folto
gruppo e probabilmente qualche
nuova
insegna
aderirà
ai nostri
promozione
del gruppo
e del
nostro
territorio
nelleprogetti,
provinceed
insieme
dobbiamo
riuscire
a promuoverci
anche
al di fuori
limitrofe.
Pensiamo
infatti
che anche
attraverso
l’enogastrodelpassi
territorio
bergamasco.
Siamo
in contatto
con tre
grossi
nomia
il rilancio
della nostra
economia
e nello
specifigruppi
presenti
nella bergamasca al fine di creare collaboco del
settore
del turismo”.
razionieatte
alla promozione
del gruppo earchitettonico
del nostro territo“Bergamo
provincia
hanno un patrimonio
ed
rio
nelle
province
limitrofe.
Pensiamo
artistico invidiabile e con lo sviluppo che c’è stato negli
ultiinfattidell’aeroporto
che anche attraverso
l’enomi anni
“Caravaggio”
gastronomia
passi
il
rilancio
della
sarebbe un vero peccato non sfrutnostra
economia
e
nello
specifico
tarlo appieno. I nostri ristoranti del settore del turismo».
«Bergamo e provin-
P
cia hanno un patrimonio architettonico ed artistico invidiabievidenzia
Zanini
- sono
un’eccellenza
sono un’attrattiva
le e con lo
sviluppo
che
c’è stato neglie ultimi
anni dell’aero-da
non
sottovalutare.
le un
nostre
sono
porto
“Caravaggio”Spesso
sarebbe
verotavole
peccato
nonfrequentate
sfruttarlo
daappieno.
turisti, anche
che scelgono
di trascorrere
qualI nostri stranieri,
ristoranti sono
un’eccellenza
e sono un’attrattiva
sottovalutare.
le le
nostre
tavole
sono
che
nottedaa non
Bergamo
per poterSpesso
gustare
nostre
specialità.
frequentate
da turisti,
anche
stranieri,
che scelgono
di
Anche
attraverso
di noi deve
passare
la promozione
del tertrascorrere
qualche
notte a ad
Bergamo
ritorio,
che deve
continuare
essere,per
ed poter
anchegustare
più, tralele
nostreprincipali
specialità.
Ancheeconomiche”.
attraverso di noi deve passare la
nostre
risorse
del territorio, che deve
essere,
I promozione
ristoratori Trentacinqueuro.it
hannocontinuare
quindi le ad
idee
molto
ed
anche
più,
tra
le
nostre
principali
risorse
economiche».
chiare sulle loro iniziative, ora non resta che aspettare il
I ristoratori
TRENTACINQUEURO.IT
quindi
le idee
2015
per vedere
cosa verrà messo inhanno
scena,
intanto
però
molto
chiare
sulle
loro
iniziative,
ora
non
resta
che
aspetnon fatevi sfuggire questi 35 giorni per vivere un’emozione
tare
il 2015 aderenti.
per vedere cosa verrà messo in scena, intannei
ristoranti
to però non fatevi sfuggire questi 35 giorni per vivere
un’emozione nei ristoranti aderenti.
Per ulteriori informazioni visita il sito:
www.trentacinqueuro.it
20
oppure invia
una e-mail a:
[email protected]
L'ESPOSIZIONE UNIVERSALE
novembre 2014
Rota: "L'Expo? Un'occasione
da cogliere facendo sistema"
I
L'ex presidente del Consorzio Tutela
Valcalepio è il nuovo delegato
per l'Esposizione milanese:
"Non ha senso dividersi sul vino.
A Milano dobbiamo andare tutti insieme"
l Consorzio Tutela Valcalepio è ben consapevole dell’imperdibile occasione di promozione e divulgazione offerta da un
evento come Expo 2015. Proprio in vista della kermesse di
rilevanza internazionale - interamente incentrata sul tema
“Nutrire il pianeta” - e consapevoli dell’importanza ricoperta
dall’alimento vino all’interno dell'Esposizione universale e del
ruolo fondamentale che l’enologia svolge sul territorio Bergamasco, il Consiglio direttivo del Consorzio Tutela Valcalepio
ha deciso di creare una struttura in grado di agire in maniera
snella ed efficace sul piano Expo 2015. A questo scopo si è
scelto di incaricare un membro del Comitato esecutivo, Enrico Rota, ad agire per delega del presidente. Rota si occuperà
della gestione dei rapporti istituzionali e della strutturazione
dei progetti che il Consorzio Tutela Valcalepio intende portare
avanti nel corso del prossimo anno in nome di tutti i produttori orobici, associati e non. “Ci siamo confrontati e dopo opportune considerazioni - ha affermato il presidente Medolago
Albani - abbiamo identificato la persona più adatta a ricoprire
questo ruolo”. Enrico Rota, che ha ricoperto la carica di presidente del Consorzio nello scorso triennio, si è detto estremamente attratto da questo incarico. “Sono pronto a farmi carico
di tutte le responsabilità che questo ruolo comporta - ha sottolineato -. Le idee sono tante e l’aspetto fondamentale è trasformarle in progetti realizzabili e promozionalmente interessanti. Il Consorzio di Tutela farà la sua parte e la farà sino in
fondo. Da sempre invitiamo tutti i vitivinicoltori a far sistema,
chiedendo di abbandonare quelle superflue prese di posizio-
ne che, troppe volte, servono solo a soddisfare interessi individuali. Il motto coniato a metà del 2011 - "uniti si può" - non è
uno slogan pubblicitario, ma un convinto e necessario modus
operandi. Lo ripeto con estrema convinzione: all’Expo dobbiamo andare tutti insieme. Qui non si tratta di stilare classifiche
o dare punteggi, questi li lasciamo a coloro che tutto pensano
meno che alla vera difesa e valorizzazione del territorio e dei
suoi prodotti". "Come Consorzio - ha aggiunto Rota - stiamo lavorando con la nostra Camera di Commercio per una presenza
del vino bergamasco a Milano. E sicuramente il progetto di un
Fuori Salone del vino a Bergamo merita grande attenzione. La
nostra città vuole e può essere una vera protagonista e abbiamo istituzioni capaci e motivate per fare bene. Inoltre, sarà interessante valutare altre proposte, nate in seno al Consorzio o
giunte da terzi, perché mai come in questa circostanza, ribadisco, è fondamentale lavorare tutti assieme. Infine, fondamentale sarà trovare quelle giuste intese con le Associazioni di categoria dei commercianti, Ascom e Confesercenti, in modo da
generare dei valori aggiunti necessari per impreziosire l’offerta
enoturistica della nostra città e provincia, percorso già iniziato
con i Wine Tour in capo al Consorzio”.
ALBERGHI, L’ASCOM RACCOGLIE
DATI PER L’APP DI EXPO
La Regione Lombardia sta sviluppando
all’interno dell’Ecosistema digitale E015
un’applicazione web e mobile che aggregherà all’interno di un unico sistema tutti i
dati (relativi a musei, teatri, strutture sportive, strutture di rilevanza turistica e servizi ricettivi) che saranno visualizzati da chi accederà all’applicazione. L’Ascom di Bergamo
sta collaborando al progetto per aggiornare
e implementare le informazioni a disposizione sul versante delle strutture ricettive. Il
servizio è gratuito. L’associazione si incarica di raccogliere, aggiornare e caricare i dati
degli alberghi associati, iniziando con le informazioni utili di base richieste e una foto
in formato digitale dell’albergo.
Le attività interessate a partecipare possono scaricare del sito www.confcommercio.bg.it l’apposita scheda e inviarla debitamente compilata all’Ascom (fax 035
249848; email [email protected]) oppure
compilare la form direttamente online.
21
TRADIZIONI
Bergamo golosa,
fasti e declino
del "Cinamomo
confetto"
di Leonardo Bloch
T
ra le ragioni gastronomiche di irresolutezza esistenziale,
il secolare dilemma a riguardo di quale sia, tra una scaglia di cacio ed una fetta di torta, l’ideale coronamento
di un lauto convivio si distingue come quella di più chiara
cifra bergamasca. La tacita preferenza che dalle nostre
parti viene accordata al formaggio ha, tanto per cambiare, radici assai antiche. Fu infatti la dietetica medievale
ad attribuire ai latticini un chiaro primato sopra ogni altra
opzione di chiusura del pasto, in virtù della loro proprietà
di sigillare lo stomaco agevolando la digestione.
Per contro la pasticceria è un’arte di fioritura relativamente recente, il cui tardivo sbocciare trova motivazione
nell’indisponibilità lungo gran parte del corso della storia
di dolcificanti a buon mercato. Sino infatti al momento in
cui, agli inizi dell’ottocento, fu messo a punto il procedimento industriale per la sua raffinazione dalle barbabietole, lo zucchero figurava tra gli ingredienti più esotici e
costosi. In passato la voglia di dolce delle classi meno
abbienti trovava dunque appagamento nell’utilizzo in cucina di miele e frutta passita, ma nella pratica lo spettro
delle variazioni che era possibile declinarne risultava inevitabilmente piuttosto ristretto.
Si prenda ad esempio il ricettario del Cocho Bergamasco,
da cui si ricava una puntuale raffigurazione della nostra
gastronomia nel periodo a cavallo tra sei e settecento.
Delle 62 pietanze di cui si dà conto nel testo, solamente
tre possono essere ascritte a pieno titolo alla famiglia dei
dessert. Muovendo a ritroso nei secoli, ancor più episodica risulta nei trattati di cucina rinascimentali e medievali la comparsa di autentiche preparazioni di pasticceria.
Del resto lo zucchero passava all’epoca per essere una
spezia buona su ogni piatto: “non esiste vivanda che lo
rifiuti”, sentenziava nel quattrocento l’autorevole gastroumanista Platina, a cui il botanico Costanzo Felici ribatteva ancor più categoricamente che “il zuccaro non guasta
mai minestra”.
Ciò non significa che cinquecento anni fa i dolciumi fossero del tutto sconosciuti. Scorrendo i menù dei banchetti
nobiliari del tempo, si evince anzi che manicaretti di chiaro marchio zuccherino trovassero spazio tanto all’inizio
22
quanto all’epilogo dei convivi. Nelle occasioni più formali
capitava infatti di dare fuoco alle polveri addentando cialdoni, ciambelle, e pinocchiati. E dopo che in coda alle portate principali erano stati serviti formaggio e frutta candita, l’arrivo in sala di vino e confetti speziati segnalava con
discrezione ai commensali che fosse ormai sopraggiunta
l’ora di levare le tende.
Sorprenderà forse apprendere che proprio all’elitario dominio della confetteria rinascimentale pertiene quello
che tra i prodotti alimentari bergamaschi fu di gran lunga
il primo ad assurgere a notorietà planetaria. La sua presenza è documentata nel XVI secolo sulle più raffinate tavole d’Europa: nel 1568 figura nientemeno che tra le imbandigioni dei festeggiamenti per le nozze di Guglielmo di
Baviera con Renata di Lorena - evento di punta per il jet
set dell’epoca. Il trattato di scalcheria (1584) di Giovan
Battista Rossetti ne attesta altresì il gradimento presso una corte di alto profilo quale quella Estense, mentre
un’epistola di Torquato Tasso lascia intendere che il poeta ne ricevesse regolari forniture addirittura a Napoli.
Stiamo parlando del Cinamomo Confetto di Bergamo, il cui
fulgido apogeo si consumò nel fugace intervallo di appena mezzo secolo. A descriverne autorevolmente caratteristiche e modalità di preparazione è il concittadino Paolo
Suardi, compilatore del manuale di riferimento (il “Thesaurus Aromatariorum”) delle arti speziali ed aromatarie
del cinquecento. La corteccia della cannella, privata del
coriaceo strato esterno, veniva tagliata a sottili filamenti. Questi andavano scaldati a temperature crescenti con
ripetute aggiunte di zucchero, di modo che fossero ricoperti da molteplici strati di glassa. La fama dei confetti
così ottenuti fu certificata da Giovanni da Lezze, capitano
di Bergamo alla fine del XVI secolo, il quale riferiva che
la città “lavora confetterie in eccellenza di confetioni de
ogni sorte in gran quantità et specialmente de cinamomi si
mandano per tutte le città circonvicine, et la maggior par-
novembre 2014
te a Venezia”. Ancora il Suardi riportava invece tentativi di contraffazione azzardati da speziali di pochi scrupoli, assai probabilmente forestieri, che provavano a riprodurre il pungente
aroma della cannella utilizzando della più economica polvere
di zenzero.
Singolare consorteria quella degli aromatari: oggi non sapremmo se inquadrarli tra i pizzicagnoli, i farmacisti o i pasticceri.
Zucchero e spezie trovavano infatti impiego tanto in cucina
quanto nella preparazione di medicamenti e confetti. A metà
del cinquecento la corporazione assommava a Bergamo una
ventina di associati: un numero esorbitante per un centro di
nemmeno ventimila anime, se è vero che a Venezia – all’epoca principale piazza per lo smercio delle droghe – non si arrivava al centinaio di spezierie su una popolazione di quasi
duecentomila unità. Arduo inferire se, a giustificazione di un
così capillare presidio, i nostri concittadini di cinque secoli fa
si distinguessero per ipocondria piuttosto che per golosità.
È comunque assodato che non li si potesse certo tacciare di
spilorceria, dato che quelli di cui si discorre erano articoli dai
prezzi astronomici.
Ancorché radiose, le fortune del Cinamomo Confetto si provarono ahimè piuttosto caduche. L’affermazione della rotta navale
per le Indie che doppiava il Capo di Buona Speranza e l’afflusso di ingenti forniture dall’America centro-meridionale produssero una graduale caduta dei prezzi di spezie e zucchero, declassando nell’arco di qualche decennio il dolciume da sciccheria principesca a pasticca per quasi ogni tasca. Anche l’aulica denominazione fu presto volgarizzata nel vernacolare canelì. A Bergamo la produzione di confetti continuò a prosperare
per un paio di secoli - ancora nel 1776 nel circondario si contavano ben 85 confetturieri - per poi imboccare un rapido declino che alla fine dell’ottocento ebbe epilogo con una mesta capitolazione. E chissà che nell’era dei Presìdi Slowfood, a quasi
cinquecento anni da quel glorioso apogeo, i venti di riscoperta
dei prodotti perduti non riescano ad infondere nuovo alito vitale a questo antico lustro della nostra tradizione gastronomica.
23
FACECOOK
alla scoperta dei social chef
di Laura Ceresoli
Lei, originaria di Caravaggio, gestiva una scuola di cucina a Milano,
lui si occupava di formazione aziendale, quando la Grecia ha bussato
alla loro porta. Dall’anno scorso gestiscono Casa Doria: 18 posti letto,
una ventina di coperti e in tavola i piatti della cucina italiana e bergamasca
Albergo e ristorante a due passi
dal mare, a Creta la nuova vita
di Isabella e Alessandro
L
ontano dal caos cittadino, circondata
dalla spiaggia incontaminata di Loutra a
due passi dal mar Libico, sorge Casa Doria. Con i suoi 18 posti letto distribuiti in
8 camere e una ventina di coperti per il
ristorante, questo caratteristico albergo
situato nel sud dell’isola di Creta è gestito da un anno e mezzo dalla bergamasca Isabella Uberti Foppa, originaria di
Caravaggio, e dal marito Alessandro Pajola. Per iniziare la loro nuova vita, i due
coniugi hanno scelto un piccolo angolo
di paradiso, lo stesso che ispirò le opere
più belle di Nikos Kazantzakis, uno dei
massimi scrittori e poeti greci moderni.
Prima di approdare qui lei, laureata in
Economia e commercio all’Università
di Bergamo, gestiva una scuola di cucina a Milano. Lui, invece, si occupava
di formazione aziendale. Ma lo scorso
anno un evento imprevisto ha cambiato per sempre il loro destino: «Cercavamo un posto dove iniziare una vita 2.0,
molto tranquillo, isolato e che offrisse
delle opportunità – racconta Isabella –
e un bel giorno la Grecia ci ha cercati. A
marzo 2013, durante la fiera “Fa’ la cosa giusta”, siamo stati contattatati dai
precedenti proprietari di Casa Doria per
supportarli nella gestione del ristorante.
Quattro mesi dopo avevamo deciso di
cambiare vita e di fare di questa struttura la nostra nuova casa». Detto fatto. Oggi la coppia ha definitivamente salutato
le nebbie della Val Padana in favore del
caldo sole di Creta.
All’ombra di un confortevole pergolato
con una vista mozzafiato che si perde
sul mare, Isa e Ale amano coccolare i
propri clienti con colazioni abbondanti e
cenette a base di pasta fresca impastata a mano, deliziosi spaghetti alle zuc-
L'INTERVISTA
«A volte mi devo arrendere e preparare Casoncelli
Riesce a far conoscere la cucina bergamasca nel
mondo?
«Nel mondo forse è un po’ esagerato, anche se qui
abbiamo clienti molto eterogenei, principalmente
nord europei, ma abbiamo avuto anche diversi americani e persino una coppia di sudafricani».
Con quali piatti?
«Il piatto preferito in assoluto sono i casoncelli. Faccio anche dei biscotti con la farina della polenta per
la colazione».
A quali chef si ispira?
«Nella mia scuola di cucina ho avuto la fortuna di
conoscere davvero tanti maestri da cui ho appreso
tanto. Palma D’Onofrio, ex Prova del Cuoco e autrice
del libro e blog Sos Cuoca, non solo è stata una maestra perfetta ma è diventata una delle mia migliori
amiche».
È vero che gli stranieri hanno una visione stereotipata della cucina italiana?
«Purtroppo sì. Io qui faccio molta formazione in tal
Isabella Uberti Foppa
24
novembre 2014
chine e freschissima mozzarella di bufala. Tra le varie prelibatezze non possono
certo mancare i tradizionali casoncelli
alla bergamasca, come conferma Isabella in un suo recente post sulla sua pagina Facebook: «E dopo l’ennesima signora tedesca che lascia Casa Doria con la
mia ricetta – scrive – non mi stupirei se il
prossimo anno all’Oktoberfest servissero birra e casoncelli». E il consenso degli
amici non si fa attendere: «Secondo me
il prossimo anno l’Oktoberfest lo spostano a Casa Doria», commenta Laura. «Inventati una ricetta di pasta alla birra», le
consiglia Roberta.
Ma anche su Tripadvisor le recensioni
positive non si risparmiano: su 47 commenti complessivi, 28 clienti giudicano
Casa Doria “eccellente”, 10 “molto buono”, 2 “nella media”, solo 3 “scarso” e
4 “pessimo”. «Siamo stati a settembre
a Casa Doria e dire che è una meraviglia
è poco. Il cibo è squisito, curato e Isabella e Alessandro sono speciali per l’accoglienza, simpatia e esperienza. Non
vediamo l’ora di tornarci», scrive Roberta3954 da Siddi. E ancora: «I proprietari,
due giovani italiani, sono gentili, simpatici e disponibili, e comunicano la sensazione di avere a che fare con amici e non
con clienti – commenta Paolo D. di Cernusco sul Naviglio –. Il cibo (della cuoca Isa)
è italiano principalmente, molto buono e
si spende leggermente di più rispetto ad
una taverna greca, giustamente... Colazione ottima ed abbondante. Unica nota:
la mattina (siamo stati due giorni) è pieno di vespe che ti fanno compagnia mentre mangi, e la cosa può dare fastidio.
Evidentemente le trappole naturali che ci
sono non sono sufficienti».
Isabella cerca sempre di accettare i consigli degli utenti commentando con garbo e umiltà ogni puntualizzazione, sia
positiva che negativa: «Grazie mille per
la bella recensione, onesta e genuina –
ribatte –. La porta della camera è stata
la mia croce della stagione, forse adesso ce l’ho fatta a ripararla... Molto gradito anche l’apprezzamento alla colazione
che è stata attaccata in una successiva
recensione, noi ce l’abbiamo messa tutto per migliorarla. Ho in cantiere nuove
trappole naturali per le vespe, credo più
efficaci... Cercheremo di mantenere la
struttura ben calata nella realtà accontentando quelli, come te, che cercano pace e tranquillità».
alla carbonara»
senso. Gli anni trascorsi in Cucinoteca mi hanno lasciato questa eredità. Avendo solo otto tavoli (20 coperti) posso permettermi di uscire e spiegare personalmente il
menù e i piatti del giorno a tutti, cercando di lasciare delle nozioni che vadano oltre
i luoghi comuni. A volte, però, mi devo arrendere e preparare dei Casoncelli alla carbonara».
Quanto è importante Internet per promuovere la sua attività?
«Tantissimo. Casa Doria si trova in una zona molto remota e isolata di Creta e non ci
si passa per caso, ci si deve venire perché si conosce il posto».
Ha una pagina Facebook per sponsorizzare i suoi prodotti?
«Abbiamo una pagina Facebook che ci permette non solo di far conoscere l’albergo e
il ristorante ma di creare continuità con i nostri ospiti».
Cosa ne pensa delle recensioni di Tripadvisor?
«Tanti clienti arrivano a Casa Doria grazie ai commenti letti, quindi è uno strumento
per noi positivo».
Come sono cambiati la ristorazione e il rapporto con i clienti grazie ai nuovi media?
«Penso ci sia molta più conoscenza e consapevolezza. Abbiamo dei clienti che non
alloggiano da noi ma che prenotano solo un tavolo appositamente per provare gli spaghetti alle zucchine o i casoncelli».
Tornerebbe a lavorare a Bergamo?
«Adesso no, in un futuro lontano magari sì».
Chef e camerieri
“Passaporto
delle
competenze”,
lavorare
all’estero
è più facile
Esperienza internazionale e conoscenza delle lingue sono un must
del bagaglio professionale di chi
lavora nei settori dell’accoglienza e della ristorazione. Per chi è
alla ricerca di un impiego, tuttavia, può essere difficile spiegare
e dimostrare ai datori di lavoro le
caratteristiche di un ruolo specifico svolto in un altro paese, mentre questi ultimi hanno difficoltà a
comprendere le effettive competenze di un potenziale collaboratore solamente esaminandone il
curriculum. Una soluzione efficace è il "Passaporto europeo delle
competenze per il settore del turismo" (European Hospitality Skills
Passport), un’iniziativa promossa
da Eures e dalla Commissione
europea con il contributo delle
organizzazioni dei lavoratori e dei
datori di lavoro.
Con questo nuovo strumento
multilingue, disponibile sul portale Eures, i candidati alla ricerca
di un impiego possono creare il
proprio Passaporto selezionando
le competenze acquisite (confermate da reali esperienze formative e lavorative) da un apposito
elenco. Le voci selezionate vengono automaticamente tradotte
nelle lingue europee desiderate. I candidati che aggiungono il
Passaporto al proprio curriculum
possono così essere certi che i
datori di lavoro comprenderanno
esattamente le mansioni svolte
e gli insegnamenti acquisiti e, allo stesso tempo, i datori di lavoro, indicando le competenze che
stanno cercando, otterranno una
selezione filtrata di Passaporti e
profili idonei da tutta Europa.
25
L’EVENTO
di Lara Abrati
Alla kermesse internazionale di Torino i Presìdi Slow Food della latteria
di Valtorta e dell’Art Caffè, le birre artigianali e le nuove coltivazioni bio
di Elav e il pata negra de La Fenice. «Occasione per farsi conoscere
da un pubblico attento anche ai valori racchiusi in un prodotto»
La Bergamo buona e sostenibile
fa centro al Salone del Gusto
E
ra l’ormai lontano 1996 quando per la prima volta Slow
Food decise di celebrare la biodiversità e le piccole produzioni locali attraverso un grande evento internazionale.
Nasceva così a Torino il Salone del Gusto, dove esponenti
da tutto il mondo si sono dati appuntamento per raccontarsi e condividere saperi, ma soprattutto sapori.
L’evento, a cadenza biennale, è arrivato quest’anno alla
doppia cifra, festeggiando la decima edizione (dal 23 al
27 ottobre scorsi al Lingotto fiere) con più di mille espositori, poi dibattiti, conferenze, laboratori del gusto per
diffondere il più possibile tutto ciò che ruota attorno alla
cultura del cibo, in abbinata con Terra Madre, una grande occasione di incontro che accoglie delegati da tutto il
mondo.
Il tema centrale era legato all’agricoltura familiare, proprio nell’anno in cui viene celebrata dall’Onu. Il 2014 è
infatti l’anno internazionale dell’agricoltura familiare e di
I due Presìdi Slow Food bergamaschi erano rappresentati dalla Latteria Sociale di Valtorta, la cooperativa fondata nel piccolo comune
brembano nell’ormai lontano 1954.
«La nostra par tecipazione al Salone – dice Silvano Busi – è abbastanza naturale, dal momento che
produciamo l’Agrì e lo Stracchino
all’antica, entrambi Presidio Slow
Food». Il sistema Slow Food ha permesso alla Latteria di reintrodurre
la produzione dell’Agrì, che non era
scomparso del tutto, ma fino a una
decina di anni fa lo si produceva in
piccolissima quantità. «Questa è
la seconda volta che partecipiamo
al Salone del Gusto – spiega ancora Busi – la scorsa volta con inte-
26
piccola scala. «Il 70% dell’attività agricola – sostiene Piero
Sardo, presidente della Fondazione Slow Food per la Biodiversità – è di tipo familiare, per questo bisogna sostenerla
e tutelarla». Al contrario di ciò che si potrebbe pensare, l’agricoltura industriale di tipo intensivo rappresenta, a livello globale, la parte minore. L’obbiettivo è quindi quello di
mostrare quale potrebbe essere il contributo delle piccole
produzioni allo sradicamento della fame e della povertà,
ma non solo. I piccoli agricoltori rappresentano infatti l’avanguardia nella pratica dell’agricoltura sostenibile nonché una garanzia nel preservare la sicurezza alimentare.
Nel territorio bergamasco esistono moltissimi piccoli produttori agricoli che ogni giorno lavorano in questa direzione. Al Salone del Gusto la nostra provincia era rappresentata da quattro aziende che ben accolgono e si identificano nelle parole d’ordine e nella filosofia perseguita da
Slow Food, ovvero “Buono, Pulito e Giusto”.
ressanti risultati, l’ambizione è la
stessa». In effetti sono state molte
le persone che si sono fermate allo stand, curiose di cosa fosse quel
piccolo formaggio cilindrico, ma non
solo. Numerosi sono stati anche gli
stranieri stupiti dallo stracchino,
prodotto utilizzando latte crudo e
caratterizzato quindi dai tipici aromi. Abituati, loro, allo stracchino industriale, fresco, molle e prodotto
con latte pastorizzato, senza aromi
e con consistenza adesiva. Tutt’altro che lo stracchino all’antica o agli
altri stracchini prodotti nelle valli
bergamasche.
Anche il caffè ha avuto un importante ruolo nella manifestazione,
soprattutto in Terra Madre. Tre so-
no i caffè Presidio Slow Food, tutti
presenti allo stand caffetteria. Ma
i bergamaschi sono fortunati, infatti questi prodotti si possono assaggiare in città all’Art Caffè. La piccola torrefazione artigianale ha sede
a Fornovo San Giovanni, ma la caffetteria è nella centralissima piazza Pontida. «All’inizio – spiega Erminia Nodari, proprietaria insieme
al marito - non avevamo una strategia commerciale definita, avevamo però ben chiara la filosofia da
seguire, coniugando così la nostra
attività ai valori nei quali crediamo».
Questo li ha spinti a stilare un manifesto «con l’obbiettivo, nel nostro
piccolo – prosegue - di stimolare
l’uscita dall’omologazione del gu-
novembre 2014
Latteria Sociale di Valtorta
Birrificio Indipendente Elav
L'Art Caffè
sto, che purtroppo prevale quando si
attuano delle “non scelte”». È la
seconda edizione a cui partecipano, «perché – dice Erminia – i caffè prima non
erano così valorizzati».
Alla caffetteria del Salone del Gusto si è
potuto assaggiare il
caffè Huehuetenango, coltivato in una
ristretta area geografica del Guatemala, ai
confini con il Messico:
la Huehuetenango appunto, la più alta catena
montuosa non vulcanica del
Centro America. Si è potuto assaggiare anche il caffè selvatico della
foresta di Harenna, in Etiopia, che non viene coltivato, ma semplicemente raccolto. «La partecipazione al
Salone del Gusto – conclude la titolare dell’Art Caffè
– anche per questa edizione è stata un modo per farci conoscere in un ambito e a un pubblico da cui è più
facile essere capiti e apprezzati». Il prossimo banco
di prova per la piccola torrefazione sarà l’immissione
sul mercato di un nuovo prodotto, sempre in collaborazione con la Fondazione per la Biodiversità di Slow
Food: il caffè robusta di Luwero di origine ugandese.
Prima partecipazione al Salone, invece, per una realtà sempre in fermento, il birrificio indipendente Elav.
«Abbiamo partecipato come visitatori la scorsa edizione – spiega uno dei proprietari, Antonio Terzi – e ci
è piaciuto molto, infatti abbiamo avuto la possibilità
di conoscere realtà con cui poi abbiamo iniziato delle
collaborazioni. È un’ottima possibilità per interagire,
conoscere altre aziende e persone. Il nostro obbiettivo era quello». È quest’anno è andata proprio così.
«Molti i contatti scambiati – dice Roberto, del team
Elav – le persone conosciute, tanti stranieri curiosi di
sapere e assaggiare». La partecipazione di Elav al Salone del Gusto non è casuale, infatti l’azienda da tempo ha molti progetti agricoli legati alle produzioni biologiche e sostenibili.
È nata infatti l’azienda agricola Elav che in Val d’Astino lavora circa 2 ettari di terreno coltivato per il 70%
a luppolo, mentre per il restante 30% a piccoli frutti
rossi, zucca ed erbe officinali. Per ora tutto questo è
destinato alla produzione della birra, «l’obbiettivo però è riuscire a fornire i nostri due locali con i prodotti
da noi coltivati», afferma infine Antonio Terzi. Elav possiede l’Osteria della birra in Città alta e il Clock Tower
Pub a Treviglio, locali in cui è possibile assaggiare le
birre prodotte.
La quarta azienda bergamasca presente al Salone è
La Fenice, che importa e seleziona Jamon Iberico Pata Negra. La si poteva infatti trovare nel padiglione
dedicato al mercato internazionale con la possibilità
di assaggiare il pregiato prodotto appena affettato a
mano.
27
APPUNTAMENTI
29 E 30 NOVEMBRE
FINO AL 30 NOVEMBRE
I ristoranti
cremaschi
portano
in tavola
i “Sapori
nella nebbia”
Ha preso il via il 4 novembre e proseguirà
fino al 30 l’11esima edizione di “Sapori
nella nebbia”, la rassegna gastronomica
autunnale organizzata dai ristoratori delle
Tavole Cremasche, associazione che dal
1996 è impegnata nella valorizzazione
Marone, una festa
celebra l’olio novello
Sulla sponda bresciana del lago
d’Iseo, Marone accoglie la nuova
spremitura con la Festa dell’Olio
Novello, in programma il 29 e 30
novembre. Rispetto al passato,
la manifestazione si sdoppia: l’area Villa Vismara diventa un villaggio agroalimentare con stand,
assaggi, concorsi, convegni, cene
a tema e musica in un ambiente
coperto e riscaldato, mentre via
Roma ospita il meglio dell’artigianato locale con gli espositori di
Mestieri in Piazza. Tanti gli eventi
collaterali: concorsi culinari e per i
produttori di extravergine maronesi, visite guidate tra gli ulivi, al mulino, al frantoio e in norcineria, persino un trofeo in vespa tra le contrade e in nella zona degli uliveti.
Lo spazio ristoro “Dal lago alla
montagna” propone piatti tipici tra
terra e acqua dolce. Dal 15 al 30
novembre otto ristoranti accompagnano l’evento con menù dai costi
compresi tra 20 e 35 euro e un tema comune a seconda della specializzazione: il coregone o lo stinchetto di maiale abbinati all’olio
extravergine di Marone.
ISEO
dei prodotti e della cucina locali, anche
attraverso la creatività e l’innovazione degli chef. Partecipano alla manifestazione
sei ristoranti, con menù dai 25 ai 30 euro, esclusi vino, bevande e liquori. Le proposte vanno dall’insalata tiepida di lingua
e testina di vitello ai verzini in purè di zucca, dal cotechino con “pipetto” all’insalata di gallina alla Gonzagna, e poi tortelli,
ravioloni di fagianella, risotto con la zucca, minestra di riso, verze e fegatini, bollito misto, pollastra disossata, brasato,
guanciale, per finire con dolci ispirati alla
stagione, tra castagne, cachi, mandorle,
nocciole e cioccolato.
Molti degli ingredienti utilizzati sono prodotti dagli “Amici delle Tavole Cremasche”, il progetto ideato dai ristoratori
per coinvolgere artigiani, commercianti e
produttori nel comune obiettivo di far conoscere il territorio cremasco e i protagonisti della tradizione gastronomica.
Questi i locali che partecipano: Bistek
(Trescore Cremasco), Trattoria Tre Rose
(Castelleone), Il Ridottino (Crema), Hostaria San Carlo (loc. Colombare di Moscazzano), Trattoria Volpi (Nosadello di Pandino), Quin (Crema).
www.tavolecremasche.it
28
Con il treno gourmet
ai mercatini di Natale
La visita ai mercatini di Natale può avere un che di diverso se accompagnata da una piacevole escursione tra paesaggi e gastronomia. È quanto propone “Il Gusto del Natale”, uno degli itinerari del Treno dei Sapori, speciale
convoglio di Trenord sulla sponda bresciana del lago d’Iseo, con servizio di
ristorazione e guida turistica.
Il pacchetto (proposto nel fine
settimana del 6 e 7 dicembre
e in quello successivo) prevede la partenza da Iseo, l’arrivo a Pisogne con tappa alla
chiesa di Santa Maria della
Neve alla scoperta degli affreschi del Romanino e il ritorno
a Iseo per visitare i mercatini
“Natale con Gusto”. Il menù
a bordo si compone di aperitivo di benvenuto, primo piatto di stagione, piatto unico di salumi e formaggi
tipici, dessert, caffè, grappa di produzione locale, acqua minerale e degustazione di vini della Franciacorta con servizio sommelier. Il costo è di 45
euro e comprende anche la guida per l’intera giornata. Il treno è composto
da una motrice diesel e due carrozze, la struttura del mezzo è quella primo
’900 mentre gli interni, totalmente rinnovati, offrono dispositivi multimediali e un sistema di telecamere rivolte all’esterno che consentono la proiezione del paesaggio circostante sui grandi schermi interni al convoglio.
http://trenodeisapori.area3v.com
novembre 2014
DAL BRESCIANO ALL’EMILIA
È il maiale
il re delle sagre
Nella stagione tradizionalmente legata
alla macellazione del maiale e alla preparazione dei tanti prodotti della norcineria non mancano le sagre che esaltano la versatilità e il gusto della carne
suina e tutti quei piatti che ben si sposano con i rigori invernali.
A Fiesse (Bs), raggiunge la 24esima
edizione la “Sagra del Pursèl”, promossa dalla Pro Loco sabato 29 e domenica 30 novembre. La manifestazione vuole tenere in vita le tradizioni
popolari e promuovere le produzioni
tipiche della Bassa Bresciana, coinvolgendo allevatori, norcini, produttori d’insaccati, ma anche di formaggi
e miele. Alla “Trattoria del Pursèl” si
possono gustare le ricette a base di
maiale come in passato venivano preparate nelle cascine: salsicce, costine
con le verze, ossa e piedini, risotto con
pasta di salame e cotechino. Ospite
della manifestazione sarà chef Rubio,
guru dei piatti “di sostanza”.
Spostandosi a Modena, il 6 dicembre
c’è la “Festa dello Zampone e Cotechino”, mentre in provincia, a Castelnuovo Rangone, dal 4 al 7 dicembre si
tiene la 26esima edizione di “Superzampone”, in cui il gigantesco insaccato viene cotto in piazza in un’enorme
zamponiera di acciaio inox. La preparazione dura circa tre giorni e il peso
aumenta ogni anno.
Se il livello di colesterolo non fosse
ancora il top, il 13 e 14 dicembre si
può andare a Campagnola Emilia (Re)
dove da 15 anni la festa del Cicciolo d’Oro ripropone la tradizione della
norcineria emiliana, con un tripudio
di prodotti a base di carne di maiale
e la spettacolare cottura dei ciccioli
in grandi paioli distribuiti nella piazza.
MILANO
Cucina, pizza, pasticceria:
Cooking For Art mette
alla prova gli emergenti
Dopo le edizioni capitoline, approda a Milano Cooking For Art, evento organizzato da Witaly e Luigi Cremona nella location di via Tortona
32, con aziende vinicole ed agroalimentari che promuoveranno i loro
prodotti, territori che presenteranno le loro attrattive naturali e gastronomiche e un’area gourmet con chef di alta cucina.
In primo piano le competizioni. Le giornate di sabato 29 e domenica
30 novembre saranno dedicate alle qualificazioni del premio “Miglior
Chef Emergente Nord 2015”, che vedranno in azione i più promettenti chef under 30, e al Miglior PizzaChef Emergente Nord 2015. Domenica, dalle 9 alle 14, nell’ambito di un evento speciale dedicato
alla prima colazione, si terrà un concorso anche tra giovani pastry
chef italiani.
Lunedì primo dicembre sono in programma le finali delle varie competizioni e la presentazione della Guida Touring Alberghi&Ristoranti
d’Italia 2015.
Nell’occasione saranno assegnati i “Premi Touring” a chef
emergenti, albergatori e ristoratori del Nord Italia che meglio interpretano la filosofia
della qualità a prezzi ragionevoli.
www.witaly.it
DAL 21 AL 30 NOVEMBRE
Torino porta in piazza tutte
le forme del cioccolato
“Tutti puzzle per il cioccolato!” è lo slogan di Cioccolatò
2014, la kermesse dedicata al cioccolato made in Italy e internazionale di scena dal 21 al 30 novembre a Torino. Cuore
della manifestazione è ancora una volta piazza San Carlo,
dove viene allestito il grande Polo Cioccolato, che vedrà susseguirsi degustazioni guidate e originali corsi di cucina e di
pasticceria a tema. Nella piazza, nota anche come “salotto
torinese”, ci saranno anche spazi per incontri con esperti e
attività culturali e di animazione. Fra gli eventi, la mostra dedicata al cluster del
Cacao e Cioccolato di Expo 2015, il Gianduiotto Day, la giornata che celebra il
cioccolatino simbolo della produzione cioccolatiera piemontese, e la consegna
del Gianduiotto Award. Il Chocolate Show è invece il grande emporio del cioccolato, che permette ai visitatori di scegliere fra 4.000 referenze, presentate da
80 aziende tra piccoli artigiani, medie e grandi imprese dolciarie, nazionali e internazionali. Aree speciali sono poi la Boutique, con una raffinata selezione per
i palati più esigenti, ed Equochocolate, lo spazio dedicato al cioccolato equo
e solidale. Sono coinvolti anche i ristoranti della città che propongono creativi
“Menu tutto Cacao”.
www.cioccola-to.it
29
IL CONCORSO
Pane e snack “locali”,
le scuole professionali
sfornano nuove idee
I ragazzi del terzo anno chiamati dall’Aspan
a realizzare prodotti innovativi valorizzando
la farina della filiera territoriale
L
30
a farina di frumento locale da filiera controllata è realtà ed è il frutto del progetto fortemente voluto dall’Aspan di Bergamo per
dare vita ad un modello virtuoso di economia territoriale. Per valorizzare questo piccolo tesoro di sostenibilità, l’associazione
ha messo in gioco gli allievi del terzo anno
delle scuole di panificazione, coinvolgendo
proprio le nuove generazioni nella sfida di
creare prodotti capaci di interpretare l’evoluzione del gusto, nel rispetto della tradizione artigianale.
Il concorso “Bread in school” ha vissuto la
fase centrale durante la scorsa fiera Campionaria, quando nello stand-laboratorio
dell’Aspan si sono cimentate nella preparazione delle proprie ricette inedite quattro
classi, in altrettante serate. Cinque le categorie della gara: pane in pezzatura fino a
100 g e tra 300 e 750 g, pane o prodotto da
forno per la prima colazione, snack salato e
snack dolce. In campo le terze B ed E dell’Isb di Torre Boldone, seguite rispettivamente dai docenti Eraldo Castagna e Ivan Morosini, la terza A dell’Abf di Bergamo, con Elio
Finardi, e la terza A dell’Abf di Treviglio sotto
la guida di Massimo Ferrandi.
Tra le proposte, brioche vegane, pani con
mix di cereali attenti all’apporto nutrizionale, ma anche utilizzo di verdure dimostrano
l’attenzione alle più recenti tendenze dell’alimentazione, anche se non è stato dimenticato il lato più goloso dell’arte bianca. La
premiazione degli studenti avverrà nello
stand Aspan a Gourmarte, in fiera dal 29
novembre al primo dicembre. Nel frattempo
le ricette sono diventate patrimonio comune al quale i fornai possono attingere per le
proprie proposte.
3a Abf Bergamo
3a Abf Treviglio
3b Isb Torre Boldone
3e Isb Torre Boldone
IL RICONOSCIMENTO
C
novembre 2014
Stella Michelin al "Saraceno"
Lo chef Proto: "Uno sprone
a fare sempre meglio"
ome al solito, il commento è stringato, in pieno stile Michelin. Poche righe,
tuttavia sufficienti alla Guida rossa per
dare il senso della scelta. Quella di premiare con una "stella" il ristorante Saraceno di Cavernago: "Una cucina seria
- è il commento dell'ispettore - capace
di accostamenti creativi, realizzata con
prodotti di ottimo valore qualitativo: il
pesce è il grande protagonista del menù, bollicine e vini bianchi i suoi degni
accompagnatori. La ricchezza di sapori
nei piatti sarà il ricordo che porterete
con voi".
Facile immaginare il carico di soddisfazione di Roberto Proto, lo chef patron
che con umiltà e continua propensione
alla ricerca e alla crescita professionale ha saputo dare al Saraceno una collocazione di primo piano nel panorama della ristorazione bergamasca. La
stella Michelin premia meritatamente
questo percorso, che Proto ha affrontato con accanto la moglie Maria Morbi
e forte della preziosa collaborazione di
Salvatore, Luca, Daniele, Luca e Sony.
«Il riconoscimento - commenta lo chef si aggiunge alla recente attribuzione del
“cappello” della Guida dell’Espresso e
ci rende orgogliosi degli sforzi effettuati nella continua ricerca della qualità e
della soddisfazione al cliente. La visibilità delle guide gastronomiche è per noi
di sprone a fare sempre meglio».
Con l'edizione 2015, Bergamo non incassa tuttavia solo "gioie". Perdono infatti la stella due locali cittadini: il Roof
Garden - che evidentemente per la Guida non ha mantenuto gli standard promossi dall'allora chef Fabrizio Ferrari - e
l'Osteria di via Solata, in Città alta, rima-
sta orfana del patron Ezio Gritti, oggi ai
fornelli a Bali.
Sicché, i ristoranti bergamaschi stellati
scendono da 10 a 9. La conferma è arrivata per Frosio (Almè), Antica Osteria
del Camelì (Ambivere), Da Vittorio (tre
stelle, Brusaporto), A’Anteprima (Chiuduno), Al Vigneto (Grumello del Monte),
LoRo (Trescore Balneario), San Martino
(Treviglio) e Osteria della Brughiera (Villa d’Almè), ai quali si aggiunge la new
entry del Saraceno.
Lirica ed enogastronomia a Verona vanno a "nozze"
L’Opera lirica, una delle arti che rende l’Italia, e in modo particolare Verona, unica al mondo, si sposa con
il mondo dei sapori. Avete infatti mai immaginato di
assaporare piatti di alta cucina, preparati dai migliori chef, tra gli originali abiti di scena indossati nelle
rappresentazioni delle più importanti opere liriche?
Oppure di degustare delizie natalizie ispirate alla Traviata o al Nabucco? O, ancora, di sorseggiare un vino
leggendario nella stanza in cui è stato ospitato Napoleone Bonaparte?
Questo connubio magico tra musica lirica e cibo sarà possibile e lo si potrà vivere a Taste of Christmas
in un prestigioso palcoscenico: Amo, il museo della
Fondazione Arena di Verona collocato nella splendi-
da cornice di Palazzo Forti, nel cuore del centro storico della città. Dal 28 al 30 novembre, gli amanti e
gli esperti di musica lirica, gli appassionati del buon
cibo di qualità, di vini pregiati e chi va a caccia di ispirazioni e suggerimenti per divertirsi a preparare menù, piatti particolari e decorazioni con cui imbandire
la tavola di Natale, potranno incontrarsi in un unico
evento e vivere un’esperienza fuori dal comune. Gli
chef Elia e Matteo Rizzo (Il Desco di Verona); Nicola
Portinari (La Peca a Lonigo, Vicenza); Leandro Luppi
(Vecchia Malcesine) e Giuseppe D’Aquino (Oseleta a
Cavaion Veronese) realizzeranno un menù di tre piatti ciascuno con cui dare “un assaggio” della filosofia
e creatività che li contraddistinguono in cucina.
31
IL PREZZO FISSO
di Fulvio Facci
Sabi, il ristorante di famiglia
che impara anche dai grandi chef
Il figlio Andrea non si fa sfuggire corsi e lezioni con i guru della cucina.
«Non riproponiamo i loro piatti, ma tecniche e idee ci aiutano».
La novità è il “panfocaccia” con condimenti gourmet
F
ino al 1982 c’era un classico bar di paese con annesso il
gioco delle bocce. Si trattava di un edificio piuttosto malmesso ma Emilio Magoni e la moglie Sabina Magnanini
hanno accettato la scommessa. Lui, lasciata Selvino all’età di 15 anni, aveva all’attivo la gestione per dieci anni di
un ristorante ad Urbino; lei, originaria di Urbino, portava
con sé la tradizione della terra marchigiana per la buona
cucina.
Così è nato “Sabi”, ristorante pizzeria a Chiuduno, in via
Banzolini Storti 33. «Abbiamo fatto le cose gradualmente – racconta Emilio Magoni, che attualmente segue la sala – ma penso si sia fatto un bel lavoro. Abbiamo due sale
al piano terra, una saletta al piano superiore, più un estivo per 30 posti. Bagni e piano superiore sono raggiungibili
con l’ascensore, abbiamo anche un’ampia dispensa e ci
manca solo di ingrandire un po’ la cucina, ma lo faremo.
In totale sono 120 coperti, che per noi sono sufficienti».
Se fino al 2000 i coniugi Magoni hanno gestito il locale dividendosi i compiti, marito in sala moglie ai fornelli, con l’inizio del nuovo secolo c’è stata la novità del figlio Andrea,
all’epoca diciottenne, che voleva fare l’elettricista ma poi
ha cambiato idea. «Lavorare nel ristorante con i miei genitori non mi attirava molto – confessa –, ma poi ho provato
e mi è piaciuto. Ed eccomi qui con entusiasmo!». Andrea
Magoni non ha seguito quindi il percorso classico dell’alberghiero, ha fatto però in tempo a recuperare seguendo
con assiduità i corsi dell’Accademia del Gusto dell’Ascom.
Emilio Magoni, il figlio Andrea e la moglie Sabina
Traguardi
La passione per la cucina
vince. Marianna
si diploma ad Alma
Mentre le sue coetanee si dividevano tra la scuola di danza e gli allenamenti di pallavolo, lei amava dedicare il suo tempo libero da teenager ai
corsi di cucina e all’Accademia del Gusto di Osio Sotto arrivava accompagnata in auto dalla mamma perché non aveva l'età per la patente e le lezioni si tenevano di sera. Quello che considerava un hobby alla fine si è imposto come percorso professionale, fino a farla decidere di iscriversi al corso superiore di cucina di Alma, la prestigiosa scuola internazionale nella
32
Marianna Ziliati riceve il diploma
da Gualtiero Marchesi e dai suoi docenti
novembre 2014
Corsi su corsi, dalle basi della cucina
al vino, all’intaglio della frutta e verdura per fare degli esempi. «È stato fondamentale poter lavorare e incontrare
grandi chef come Chicco Cerea, Bartolini, Mei, Montersino – evidenzia -. Certo non bisogna pensare di portare l’alta cucina nel nostro locale, che ha una
clientela diversa. È stato importante invece apprendere nozioni e tecniche per
gestire la cucina ed utilizzare al meglio
i tempi. Un altro aspetto chiave è stato
imparare a conoscere le materie prime.
Ho letto anche molti libri su questi temi
e mi piace approfondire di volta in volta gli argomenti che mi incuriosiscono di più, costruendo il mio percorso da me».
Mentre mamma Sabi continua a sfornare i piatti della tradizione marchigiana (passatelli asciutti con tartufo bianco di Acqualagna, ad esempio) e
non solo (come gli arrosti, i brasati e il filetto o una tagliata che non mancano mai), Andrea si sbizzarrisce col pesce. «Un menù di pesce che potrei
proporre in questa stagione? Come antipasto un cestino di pasta sfoglia
con baccalà, quindi pasta e fagioli con l’astice e come secondo un guazzetto di calamaretti e code di gamberi col cuscus. Il prezzo? Dai 35 ai 45
euro, vini esclusi».
Da due anni Sabi sta proponendo anche un piatto particolare che Andrea
ha voluto chiamare panfocaccia, questo per rilanciare il settore pizzeria. «È
una tecnica che ho appreso da Simone Padoan e che mi consente di presentare una specie di pizza gourmet – spiega -. La preparazione della base
è abbastanza complessa e, con vari interventi, richiede circa cinque giorni.
Viene infornata nel padellino e guarnita con prodotti di qualità di alta cucina. Ecco quindi il panfocaccia alla catalana, al pata negra, alle acciughe
dell’Adriatico o al tartufo bianco di Acqualagna, tanto per citare i più richiesti. È una proposta sta incontrando un buon successo».
Ristorante Pizzeria Sabi
via Banzolini Storti, 33 - Chiuduno
tel. 035 838187
www.ristorantesabi.it
chiuso il lunedì sera e il martedì
reggia di Colorno (Parma), del rettore Gualtiero Marchesi. Unica bergamasca della
tornata, Marianna Ziliati, 22enne di Castel
Rozzone, ha ricevuto il diploma dalle mani del “maestro” nella cerimonia tenuta
ad inizio ottobre, dopo dieci mesi intensi,
la prima metà dei quali in aula, la seconda agli ordini del tristellato Massimiliano
Alajmo a Rubano (Pd). «Dopo il liceo e l’iscrizione all’Università – racconta – la passione per la cucina si è fatta sentire più di
tutte, ma ho anche capito che avevo bisogno di un livello di istruzione maggiore ed
ho puntato in alto. Non avendo frequentato
la scuola alberghiera ho dovuto sostenere
La Prova
Quattro primi, quattro secondi
e una buona lista di contorni.
Questo è quanto propone il ristorante pizzeria Sabi di Chiuduno per il menù a prezzo fisso
di mezzogiorno. Oltre al servizio
attento ed ai tovagliati in stoffa,
va sottolineata una certa originalità nell'offerta.
In occasione della nostra visita tra i primi c’erano le farfalle
al salmone, i maccheroncini al
sugo d’astice, le penne all’amatriciana e la pasta al sugo
di salmì di manzo. Tra i secondi, il baccalà alla vicentina con
polenta gialla, il bollito misto
con salsa verde, la punta ripiena con polenta e il petto di pollo
alla griglia.
Undici euro il costo del menù
completo, 8,50 euro se si sceglie solo un piatto. Sono compresi vino, acqua e caffè.
Stiamo sul pesce, indicato tra
le specialità del locale, e quindi
scegliamo i maccheroncini al
sugo di astice, il baccalà alla vicentina e gli spinaci lessi.
Tutto per un ottimo rapporto
qualità-prezzo.
un test d’ammissione e sono stata l’unica
del mio gruppo a superarlo, anche se era
solo il primo scoglio. Il programma di Alma
richiede disciplina e dedizione, in cambio
offre una visione completa della professione, compresi pasticceria e vini, e mostra,
grazie allo stage, cosa significa davvero
lavorare nell’alta cucina». Il diploma le ha
già aperto le porte di un altro tristellato,
Da Vittorio, «dove avrò la possibilità di confrontarmi anche con il catering», evidenzia
soddisfatta. Nel frattempo ha fatto proseliti in famiglia, la sorella si è infatti iscritta
al corso di sommelierie di Alma e l’idea di
collaborare, in futuro, è già lì.
33
novembre 2014
I SOMMELIER
A "Biava" il premio
speciale Tastevin
L'azienda di Scanzorosciate unica in Lombardia ad aver ottenuto
lo speciale riconoscimento assegnato della nuova guida dell'Ais
P
resentata la nuova guida dell'Associazione Italiana Sommelier che, dopo il
divorzio da Ricci-Bibenda, naviga in solitaria a vele spiegate, senza voler fare
concorrenza ad altre pubblicazioni. La
guida sarà infatti inviata esclusivamente ai soci, circa 40mila in tutta Italia, che
“in questo modo potranno approfondire
la propria conoscenza sul mondo del vino”, ha spiegato il presidente di Ais Italia, Antonello Maietta, durante la recente
conferenza stampa di lancio della guida
a Milano.
Un lavoro titanico, quello di Ais Italia, che
ha visto coinvolti 900 degustatori suddivisi in 22 commissioni che hanno selezionato 10mila etichette, sulle 28mila
pervenute. Una guida enciclopedica di
2.160 pagine, dove per ogni bottiglia è
possibile trovare i dati principali sulla
vinificazione, i vitigni, le caratteristiche
organolettiche e gli abbinamenti consigliati. Quattro le fasce di valutazione
previste, rappresentate da viti stilizzate:
1 vite corrisponde al range di punteggio
75-79, 2 viti a 80-84 punti, 3 viti a 85-89
punti e 4 viti oltre i 90 punti.
La guida promette di raccontare in lungo
e in largo l'Italia del vino, non solo quella commercialmente arcinota, ma anche
quella delle microrealtà di pregio. È questo il caso dell'azienda di Manuele Biava
di Scanzorosciate che ha ottenuto, unica
tra le aziende lombarde, il premio speciale Tastevin. Il prestigioso riconoscimento
è andato a sole 25 aziende tra le oltre
2.000 recensite, perché considerate testimoni di una produzione storica di qualità nella loro zona. “Sono onorato e fiero
di questo riconoscimento – commenta a
caldo Manuele Biava dopo la consegna
del Tastevin –, che mi ripaga di anni di lavoro qualitativo e di cura per la produzione del Moscato di Scanzo”. L'azienda di
Biava non è nuova a riconoscimenti del
genere da parte di Ais, che già da quat-
tro anni le conferisce la “Rosa d'Oro”
nella Viniplus di Lombardia, la guida delle eccellenze lombarde redatta annualmente da un'apposita commissione di
sommelier.
“La nostra è in definitiva l'azienda lombarda più premiata dalle guide Ais”, nota
Biava, che ha deciso quest'anno di non
uscire con l'annata 2014 di Moscato di
Scanzo. Una scelta sofferta, ma meditata che “testimonia il rispetto della nostra
azienda per il consumatore e per l'immagine del Moscato di Scanzo, la cui produzione di qualità dev'essere preservata”.
Oltre al Moscato di Scanzo di Biava, tra
le denominazioni d'eccellenza che hanno ottenuto il Tastevin ne troviamo altre
minori come il Vallée d’Aoste Blanc de
Morgex et de La Salle 2013 di Albert Vevey, il Derthona Timorasso Sterpi 2012
dei Vigneti Massa, il Colli di Conegliano
Torchiato di Fregona 2009 della Cantina
Produttori di Fregona, il Rossese di Dolceacqua Superiore Posaú 2012 di Maccario Dringenberg, lo Chardonnay La Bora di Kante 2006 dell'azienda Kante e il
Castelli di Jesi Verdicchio Classico Villa
Bucci Riserva 2012 dell'azienda Bucci.
g. tal.
35
LE AZIENDE INFORMANO
N
36
fa ancora centro!
Ora l'appuntamento
è con la regalistica
di Natale
ella splendida cornice di Palazzo Colleoni, a Cortenuova, si è da poco
conclusa la 4° Edizione di “Bere Betti - Vivere lo stile”, l’ormai tradizionale appuntamento dedicato al mondo beverage organizzato dalla
società Betti e C.srl di Cividate al Piano.
Con oltre 280 prodotti (tra vini, birre e distillati), proposti in degustazione agli operatori del settore Ho.Re.Ca, l’evento ha ripercorso ed amplificato il successo delle precedenti edizioni, confermando la strada
qualitativa che Betti ha deciso di percorrere sin dalla propria nascita.
L’obiettivo principale della manifestazione è stato quello di far conoscere e apprezzare prodotti esclusivi, disponibili sul nostro territorio grazie
alla struttura distributiva della Società, che si accompagnano ad uno
stile di sobrietà proprio della filosofia aziendale. In questo contesto,
Betti ha voluto enfatizzare l’importanza della condivisione da parte di
tutti i soggetti coinvolti di alcuni valori di fondo, primo fra tutti il ruolo
della conoscenza e della cultura del prodotto sul piano della salute, con
la piena consapevolezza che “chi impara a bere meglio, nel segno della
qualità, ha già fatto un passo avanti sul piano del consumo moderato
e responsabile”.
Qualità, ricerca ed innovazione sono i valori chiave d’impresa che da
oltre 80 anni guidano l’attività della Betti e C. srl. L’azienda, infatti,
è sempre stata in grado di anticipare e stare al passo con le grandi
evoluzioni dei consumi e dei pubblici esercizi, istruendo i baristi nella
spillatura di birre alla spina con l’importazione in esclusiva di marchi
tedeschi negli anni Ottanta, valorizzando i vini del territorio e le migliori
etichette dopo lo choc della vicenda metanolo. Oggi l’impresa, tra le
prime ad ottenere il marchio di certificazione di qualità Iso 9001:2008,
importa e distribuisce birre tedesche, inglesi, belghe, statunitensi ed
ha in catalogo i migliori vini italiani e francesi, grandi distillati e una
lunga lista di bevande ed acque minerali.
Le iniziative Betti non si concludono qui. Il prossimo appuntamento sarà con la Regalistica di Natale. Dalla metà di novembre, presso la sede
aziendale di Cividate al Piano, in via Roverselli 2, è allestito lo show
room con tutta l’offerta per la regalistica aziendale, comprensiva di
panettoni, torroni, cioccolati e prodotti alimentari tipici, oltre, ovviamente, a tutta la selezione beverage dell’azienda. Un’originale ed ulteriore
occasione, quindi, per poter nuovamente degustare i prodotti della 4°
edizione di “Bere Betti - Vivere lo stile” appena conclusasi.
Da sinistra Gianbattista Betti, Cesare Bellussi,
Giuseppe Betti, Luca Tacca, Stefano Betti e Giacomo Betti
IL LIBRO
novembre 2014
di Rosanna Scardi
I grandi piatti
della piccola cucina
La fatica letteraria della scrittrice bergamasca Maria Teresa Solivan
mette in evidenza le magie culinarie in uno spazio di 6 metri quadri
A
l bando costose planetarie, piastre a
induzione, forni parlanti e cucine super attrezzate. Per creare piatti che
soddisfino il palato bastano mani,
frusta e fantasia. La scrittrice bergamasca Maria Teresa Solivani va
in controtendenza. Ai cooking show,
tanto di moda con gli chef diventati vip, preferisce la semplicità delle
cucine domestiche. A competizione
e velocità, risponde con originalità e
tranquillità. Il suo ultimo libro, pubblicato quest'anno dalla casa piemontese Conti editore, non a caso si chiama “Piccola cucina abitabile”. Il sottotitolo è “Magie culinarie in 6 mq”.
L'approccio è semplice anche nella
forma: un quaderno scritto dall'autrice con sette menù completi. Alla fine,
resta anche qualche pagina bianca
per gli appunti del cuoco di casa.
“Ho voluto sfatare i falsi miti creati
dalla televisione. Sa cucinare chi lo
fa tutti i giorni, come la casalinga che
deve nutrire i propri cari, non chi si
esibisce in una gara e appare stressato e affannato come un reduce di
guerra - afferma Maria Teresa -. I piatti necessitano di tempi ben precisi,
ci vuole la giusta attenzione”. Via anche tacchi, unghie smaltate e capelli
al vento. “Conta la pulizia, il resto fa
sorridere”.
La scrittrice dimostra nel concreto
come sia possibile “sopravvivere”
anche senza possedere una cucina
stellata da 300 metri quadri. “Meglio per chi ce l'ha, ma l'importante è
usare bene gli spazi e mantenere l'ordine. Io nel mio piccolo, e senza l'aiuto di robot, riesco a fare tutto - spiega
-. Uso il piccolo tavolo come piano di
Maria Teresa Solivan
lavoro, impasto con un mattarello, tiro la pasta con la macchina a manovella che era di mia mamma”.
Vegetariana da qualche anno, cuoca
da quando ne aveva 15, Maria Teresa si diletta a preparare ogni tipo di
piatto. Non assaggia quelli a base di
carne o pesce, ma si basa sul suo olfatto e sulla vista.
C'è il menù “povero ma buono”, ideale per fare bella figura anche senza
spendere cifre folli, a base di arancini, zuppa, fagottini di pollo, pomodori ripieni, sfogliatine di pesca. Il “tipico con nostalgia” è un omaggio alla
sua terra, con la ricetta dei casonsèi
tramandata dalla nonna, l'insalata di
sedano per antipasto, il coniglio arrosto con le patate e i biscotti bruttini
alle mandorle. Per gli invitati last minute c'è “indovina chi viene a cena?”,
piatti realizzabili con materie prime
di facile reperibilità e in poco tempo:
crostoni ai funghi, spaghetti alla “diamoci una mossa” con pancetta, rosmarino e pecorino e pollo alla birra.
La variante, a base di pesce, prevede
bruschetta tonnata, risottino al salmone, merluzzo con mandorle. Per
dolce morbidone al cioccolato o mele
meringate.
Il suo piatto forte lo si trova nel “concerto di sapori”, adatto per chi ha gusti decisi: è il manzo d'Irlanda, stracotto nella birra a doppio malto e accompagnato da polenta o da purè per
chi non è bergamasco. Il consiglio è
semplice. “C'è chi pensa che l'arte
culinaria sia in tv, invece no - è il suo suggerimento -. Dobbiamo riappropriarci del nostro tempo per capire
che la moda la facciamo noi”.
37
L’ANGOLO
DEL SINGLE di Marco Bergamaschi
Spaghetti
al prosciutto di Praga
INGREDIENTI PER 1 PERSONA
PREPARAZIONE
100 grammi di spaghetti
Philadelphia Light a piacere
2 fette di prosciutto di Praga
Una manciata di rucola
Sale e pepe
Cuocete la pasta in abbondante acqua salata. Con un coltello tagliate
a tocchetti il prosciutto e tritate grossolanamente la rucola. Scolate
la pasta, ricordandovi di tenere da parte un mestolo di acqua di cottura.
Rimettete la pasta nella pentola, aggiungete il prosciutto a tocchetti,
la rucola tritata, il formaggio, l’acqua di cottura e mescolate a fuoco
spento per circa un minuto. Impiattate e gustate questa delizia.
CURIOSITÀ
Anche chi è davvero negato per l’arte culinaria, almeno una volta
nella vita ha provato a preparare gli spaghetti di Praga. Pietanza
“famosa” tra i single che puntano a una cucina veloce, rappresenta uno dei piatti più facili e gustosi di sempre. Io di solito uso la crema al formaggio Philadelphia Light, ma la ricetta può essere personalizzata con il formaggio cremoso che preferite, come quello di
capra che è un’ottima alternativa.
Il prosciutto di Praga è un salume ricavato da cosce di suino (con o
senza osso) che vengono aromatizzate, affumicate e quindi cotte a
vapore. Le carni sono rosa, piuttosto compatte, con la parte esterna di un delicato colore dorato e il suo sapore è dolce e aromatizzato. Ma non è solo gustoso: è molto digeribile e dal buon contenuto proteico, è ricco di sali minerali quali sodio, potassio e fosforo
e possiede solo il 14,7% di lipidi, percentuale che scende al 4,4%
se privato del grasso visibile. Quando lo acquistate, le fette devono
essere morbide, di colore rosato, con il grasso compatto e le fasce
muscolari ben distinte; se invece si presentano gelatinose, evitate l’acquisto, perché significa che l’umidità del prosciutto è elevata e negli ingredienti ci sono polifosfati. Una volta arrivati a casa,
ricordatevi che può essere conservato in frigorifero per un giorno,
poi comincia a perdere il suo aroma
caratteristico. Infine una piccola curiosità: qualche anno fa
durante un week end lungo a
Praga, mi era venuta voglia di
assaggiare il tipico “prosciutto
di Praga”, che lì pensavo fosse
buonissimo; in realtà ho scoperto che nessuno lo conosceva e
che questo tipo di prodotto era introvabile in tutta la Repubblica Ceca, forse
perché la sua ricetta, nata dalla tradizione gastronomica austro-ungarica, con il tempo è andata perduta.
Ma non disperate: avete voglia di gustare dell’ottimo prosciutto di
Praga? Il migliore lo trovate a Triste dove i macellai e salumieri artigiani hanno conservato nel tempo metodiche e regole che lo rendono delizioso. Se poi avete la fortuna di arrivare in città per l’aperitivo, i bar lo serviranno affettato e ancora caldo, accompagnato
da una deliziosa salsa di cren. Un’esperienza indimenticabile, che
tutti, prima o poi, dovrebbero provare.
e la storia continua...
con la quarta generazione
è Isabella Perego che prosegue l’attività di famiglia
con la vendita di vini e distillati di qualità di selezionate aziende
nazionali distribuite in esclusiva in Bergamo e provincia
Perego sas di Isabella Perego & C. via Ponte Regina, 42/c - Almè - tel. 035 637083 - cell. 340 2287116
38
BRIK HOLZ
Legna & Pellets
VARI TIPI DI PELLETS
A PARTIRE DA € 3,50 AL SACCO
PELLETS
BIOMAZE
LEGNA
DA ARDERE
SACCO DA 15 kg.
BANCALE DA 12 q.
€3,50
€160
PELLETS
FIRESTIXX
PELLETS
FIREMAX
SACCO DA 15 kg.
SACCO DA 15 kg.
€4,80
€4,25
CONSEGNA A DOMICILIO
CON PREZZI E TERMINI DA CONCORDARE
FORESTO SPARSO (BG) Via Franzi, 71
349.8716679
www.brikholz.it
Qualità
e convenienza
per mense e ristoranti
Consegne rapide e personalizzate.
Prodotti freschi, surgelati e biologici,
dall’antipasto al dessert
SEDE DI CURNO (BERGAMO)
Via Bergamo 46 - 24035 Curno (BG)
Tel. 035/462861 Fax 035/461151 - 035/618627
[email protected]
FILIALE DI CILIVERGHE DI MAZZANO (BRESCIA)
Via Padana Superiore 86-88 - 25080 Ciliverghe di Mazzano (BS)
Tel. 030/2620217 - 030/2620820 - Fax 030/2120215
[email protected]
www.alimentarimoretti.it