INFOR#PIME - Missione

INFOR PIME
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N. 195
PIME - Via Guerrazzi, 11 - 00152 Roma
Marzo 2014
La tribuna libera di opinioni dei Confratelli
Carissimi Confratelli,
siamo più o meno nel periodo della Pasqua. Da queste pagine gli
auguri sinceri a ciascuno di noi: che il fascino e l’anima di tutta la nostra vita e, in particolare, del nostro impegno di “predicare il Vangelo
a ogni creatura”, sia sempre Lui, questo Gesù grande e importante
come nessun altro al mondo!
Qualche mese fa mi è capitato di trovare, su Internet, questa...
diciamo “interessante preghiera” inviata, da un altro continente, al responsabile di una nostra missione in Africa. Era corredata dalla foto
di un sacerdote dal sorriso ampio e suadente. Non dubito della retta
intenzione dell’autore di questa impresa, però, siccome InforPime è,
come sta scritto qui in alto, e anche altrove, la “tribuna libera di opinioni dei confratelli”, mi permetto di esprimere anch’io qualche opinione, in attesa che qualcuno, più edotto e con più esperienza di me,
mandi il suo contributo per chiarirci le idee meglio che si può.
Ecco il testo tradotto alla lettera.
“Preghiera di protezione contro tutte le azioni demoniache
Nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. Amen.
Allontanati, Satana, da me e dai miei famigliari, eleviamo il nostro
scudo della fede contro di te e ti resistiamo con la spada dello Spirito
Santo, la parola di Dio che proclama il tuo giudizio come dio falso, accusatore e torturatore dei figli dell’Altissimo.
Annunciamo che le tue opere sono distrutte nella vita nostra e dei
nostri famigliari, compagni di gruppo e servi dei ministeri.
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Con la forza del Sangue di Gesù Cristo (Segno della Croce) respingiamo e spezziamo tutte le disgrazie maligne, maledizioni, incantesimi,
rituali, poteri psichici, opere di stregoneria mandate per sconfiggere o
distruggere le nostre vite e ministeri. Resistiamo a tutti i poteri demoniaci inviati contro di noi da chicchessia. Ordiniamo a tutti i poteri del
male che ritornino immediatamente nel luogo da dove sono venuti. Nel
nome di Gesù benediciamo coloro che ci hanno maledetti. Mandiamo
loro lo Spirito Santo perché li convinca dei loro peccati e li porti alla
Sua Luce e li avvolga nella misericordia del Dio vivo.
Così sia, nel nome del Signore, nostro Dio, Gesù Cristo. Amen.
San Michele Arcangelo, difendeteci nel combattimento, siate nostro
rifugio contro le malvagità e le insidie del demonio!!!
San Michele Arcangelo, proteggeteci!!!”.
Sia ben chiaro: io non ho, in nessun modo, né la volontà, né la
cultura, né il coraggio per entrare nella discussione sull’esistenza o
meno del demonio come entità personale intrinsecamente cattiva, seduttore e torturatore degli uomini oltre che antagonista di Dio in
tutto. Ci mancherebbe! Ho solo dei grossi dubbi, di due tipi: su questa
specie di “preghiera” in sé e sulla convenienza di diffonderla in Africa
(e non solo).
I miei dubbi su questa specie di “preghiera”.
Ricordo quando, sessant’anni fa, mi trovavo, giovane alunno, nel
nostro seminario di Monza, si parlava di un seminarista che ogni
tanto, durante lo studio, tentava di scacciare il demonio con queste
parole mormorate sottovoce: “Va’ via, porcone!”. Dal fatto che ripetesse questo “esorcismo” molto spesso si potrebbe dedurre che si trattasse di un demonio non particolarmente ubbidiente... Ma mi chiedo,
prima di tutto: questo attribuire al demonio tutte le tentazioni che ci
possono capitare, invece di individuarne le cause nel nostro ambiente
e soprattutto in noi stessi, non sarà un “alibi”? Ma lasciamo perdere
questo caso patetico e particolare.
Piuttosto, mi viene un dubbio: se il demonio è quest’essere così
forte e temerario da osare addirittura lottare contro Dio, sarà davvero
terrorizzato da “esorcismi” come questa preghiera? Di essere trafitto
“dalla spada dello Spirito Santo”? Certo, a determinate persone essa
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può anche fare impressione e dare addirittura sicurezze, ma sarà davvero qualcosa di valido da proporre loro? Al demonio non verrà da ridere al sentirsi dare ordini simili, con simili minacce?
In questa “preghiera” si dice: “Annunciamo che le tue opere sono
distrutte nella vita nostra e dei nostri famigliari, compagni di gruppo e
servi dei ministeri”. Ben vengano questi annunci edificanti, che però
devono, nel modo più sicuro, corrispondere alla verità, perché altrimenti diventano un punto debole, facilmente attaccabile da questo
bruttone di demonio, come lo chiamava una mamma, parlandone al
suo bambino...
Poi si dice: “Con la forza del Sangue di Gesù Cristo (Segno della
Croce) respingiamo e spezziamo tutte le disgrazie maligne, maledizioni,
incantesimi, rituali, poteri psichici, opere di stregoneria mandate per
sconfiggere o distruggere le nostre vite e ministeri. Resistiamo a tutti i
poteri demoniaci inviati contro di noi da chicchessia”. Francamente,
vedere nella vita delle persone questo susseguirsi di impressionanti
stranezze demoniache mi rende seriamente perplesso. Proprio in questi giorni è venuta a trovarmi, disperata, perché non ha più da vivere,
una povera persona che, da una città del Nord, si è trasferita da queste
parti in seguito ai consigli di un sacerdote, per evitare le... negatività
che venivano dal maligno. Ma insomma!... Ecco, mi sembra che in
questa “preghiera” queste negatività siano elencate accuratamente in
modo che si sappia a cosa siamo esposti tutto il santo giorno. Ma sarà
davvero così? E comunque, se nella nostra vita ci sono davvero disgrazie o difficoltà, invece di tentare di liberarcene con formule alle quali
si attribuisce una forza “infallibile”, non sarebbe il caso, anche qui,
di andare a fondo delle cose, ragionandoci su e cercandone seriamente
le cause che, guarda caso, potrebbero anche risiedere in noi stessi e
non in “incantesimi” o “opere di stregoneria” o “negatività” ecc. causati da altri? Ancora una volta: la nostra vita sarà davvero condizionata, senza soste, dalle forze di Satana?
Ho, poi, un altro serio dubbio su questo modo di pregare. Ma se
davvero si tratta di lotta contro lo spirito del male, invece di lanciargli
solo imperiosi e perentori ordini, anche nel nome di Gesù e con l’aiuto
dell’Arcangelo S. Michele, non sarebbe meglio chiedere a Dio stesso
di liberarci da questa peste? Gesù ce lo aveva detto (vedi Matteo, 17):
per essere più forti dei demoni occorre o essere Gesù stesso, oppure
ricevere, come gli Apostoli, il potere da Lui che non ha parlato di…
improperi terrorizzanti, ma di digiuno, di preghiera e di una fede davvero seria!
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Perplessità sulla convenienza di diffondere questa “preghiera”
in Africa.
In Africa, almeno in certi posti, tutto quello che riguarda la religione tradizionale viene, con facilità, attribuito “in toto” a Satana e
alle sue manovre. Ora, opporsi alla religione tradizionale (perché
“opera del demonio”) con questo tipo di mezzi, mi sembra fuorviante.
Credo che ci siano ben altri ragionamenti da fare, e chiarimenti da
dare, per evitare confusioni e risentimenti per nulla costruttivi.
Inoltre in Africa (ma non solo lì) è fin troppo diffusa la mentalità
che vede ovunque maledizioni, incantesimi, negatività, stregonerie,
malocchi... (in Guinea-Bissau si parla di “praga” o di “djanfa”). Perfino
nella nascita di gemelli o di piccoli albini... Non è, inoltre, segreto per
nessuno che ovunque vengono uccisi poveri esseri innocenti accusati
di stregoneria. Ricordo, quando ero ancora in Guinea-Bissau si è saputo di un caso nell’area di Farim in cui, accusati di stregoneria, sono
stati uccisi due giovani sposi con il loro figlioletto... Non troppi secoli
fa succedeva perfino dalle nostre parti!...
Purtroppo tra coloro che diffondono idee del tutto distorte a riguardo del demonio e dei suoi poteri, ci sono anche certe sette “evangelicali”, diffuse soprattutto in alcuni Paesi africani, che vedono la sua
presenza ovunque, in modo particolare nei bambini un po’ vivaci o...
diversamente abili, facilmente classificati come “indemoniati” e
quindi sottoposti a dolorosi quanto criminali “esorcismi”, naturalmente in cambio di soldi.
Ecco, stando così le cose, personalmente ritengo che chi davvero
fa parte della Chiesa (“Famiglia di Dio”) abbia compiti ben più positivi
e profondi di quello di far vedere satana ovunque e di tentare di combatterlo con formule... invincibili, senza prima tentare seriamente di
vederci chiaro anche alla luce della scienza e poi di chiedere umilmente e realisticamente a Dio il suo aiuto. E, comunque, prima di annunciare il Vangelo con tutti i suoi corollari, renditi onestamente e
intelligentemente conto di chi ti sta davanti!...
C’è, comunque, un punto, in questa “preghiera”, che trovo abbastanza edificante: quando dice: “Nel nome di Gesù benediciamo coloro
che ci hanno maledetti. Mandiamo loro lo Spirito Santo perché li convinca dei loro peccati e li porti alla Sua Luce e li avvolga nella misericordia del Dio vivo.” Mi resta, però, qualche dubbio su questo
“mandiamo” loro lo Spirito Santo... Ci sono uomini che hanno questo
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potere, o “mandare lo Spirito Santo” è unicamente competenza e privilegio di Dio?
Questo è quanto penso io. Come detto già all’inizio, adesso aspettiamo che altri portino il loro prezioso e illuminante contributo.
La lettera di Capodanno del Padre Superiore Generale.
All’inizio del nuovo anno il P. Superiore generale ha inviato a ciascuno di noi la sua lettera di riflessioni e di auguri. Gliene siamo grati.
Quanto agli auguri, da queste pagine, anche se con molto ritardo, contraccambiamo di tutto cuore. Quanto alle riflessioni, personalmente
le trovo molto giuste. Mi permetto, con la speranza di sottolinearle
meglio, di aggiungere un pensiero. È permesso?
Il P. Superiore scrive, tra le altre, due affermazioni che a me sembrano particolarmente significative:
1 “Se la nostra affettività non è diretta verso Dio, colui che ci ama,
colui da cui dobbiamo sentirci amati e colui che dobbiamo amare, allora
essa si dirigerà altrove”.
2 “Se la nostra affettività non trova delle comunità serene e accoglienti, non trova dei confratelli capaci di ascoltare e di guidare sulla
giusta via, non trova comprensione e calore umano (amicizia vera) di
chi ci sta intorno, allora si dirigerà altrove e anche la nostra vocazione
missionaria verrà meno”.
La prima di queste due affermazioni ci richiama in modo particolare alla più importante delle caratteristiche che il nostro amore
verso Dio deve avere: quello della totalità e quindi della lealtà senza...
se e senza ma. Se non c’è lealtà o autenticità totale c’è il pericolo del
sentimentalismo dalle parole ampollose ma sterili che non portano a
nulla. E basta.
Lealtà che vuol dire anche volontà di pensare a tutte le cose in
profondità. Per esempio, è ben vero che certe cose, in sé stesse, potranno anche non essere peccato. Ma siamo seri! Non causeranno in
altri imbarazzanti pensieri? Non ci sarà il rischio che, anche nell’interessato, causino prima subdole e poi perniciose tempeste ormonali
che oscurano la vista e uno si trova nella nebbia da cui diventa poi un
problema uscire ancora in buono stato? Se ami Dio davvero e leal5
mente, queste cose le tieni intelligentemente presenti. Per di più potrebbe anche capitare che certe cose oggi come oggi non sono, al limite, neppure avvertite come di particolare importanza. Ma, con il
passare del tempo potrebbero causare dubbi e ripensamenti e, di conseguenza, anche qualche perturbazione nei rapporti con Dio e con la
Chiesa...
È anche vero che le trasgressioni dovute ad affettività la gente le
comprende e perdona più facilmente, anche perché di affettività c’è,
nel mondo, una certa... inflazione. Ma ancora una volta: intelligenza
e lealtà! Anche se ne parlerà in lungo e in largo, difficilmente la gente
lascerà di essere credente perché, diciamo, qualcuno è deboluccio
nell’affettività. Ma, attenzione! Facilmente finirà per concludere che,
in fondo, si predica sì bene, ma poi, quanto a razzolare, si fa quello
che si può. Allora, se questo comandamento non è poi così importante
da essere preso sul serio fino in fondo, perché dovrebbero esserlo gli
altri, comprese le verità di Fede? Per cui, se le cose stanno così, si continua ad annuire con la testa, ma poi si fa quello che si può. E la fede
si adatterà e diventerà appunto quella del “si fa quello che si può”. Ma
questa è lealtà nei confronti di Dio e dei suoi diritti? La fede che un
missionario annuncia con la parola, la deve confermare anche con la
sua vita, perché diventi davvero anima di tutto e trasformi ogni uomo
in un’immagine credibile di Dio.
C’è poi un’illusione su cui aprire gli occhi: quelle del “segreto”.
Chi è leale nei confronti di Dio e anche del suo prossimo, è anche intelligentemente realista: i segreti non esistono, anzi certi segreti formano, in certi incontri, ampio materiale di... succulenta informazione
reciproca. Naturalmente del tutto... umanamente comprensibile, ma
non per questo meno pericoloso per le convinzioni religiose. Inoltre,
diventa facilmente materiale di prima scelta per eventuali futuri ricatti
ed estorsioni che, con la voglia e, diciamo, spesso anche la necessità
di soldi che c’è in giro, se già capitano quando non c’è nessun fondamento, figurarsi quando invece questo fondamento c’è!
E comunque deve restare fermo un principio: invece di discutere
sui dieci comandamenti, cosa è più e cosa è meno, sarebbe molto più
saggio concentrarsi sul riassunto che Gesù ci ha chiaramente proposto: “Amerai il tuo prossimo come te stesso” (Mt 22,39). Cioè, cercherai di fare agli altri sempre soltanto del bene e del male assolutamente
a nessuno, nel totale amorevole rispetto verso tutti e anche perché la
sua fede non ne soffra.
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Quanto alla seconda frase del P. Superiore, riportata qui sopra:
anche questa è molto chiara e, sempre per lealtà nei confronti di Dio
e della sua volontà, va presa, essa pure, molto sul serio, da parte di
tutti. Davvero: in una comunità in cui non c’è rispettosa, edificante
attenzione reciproca, cultura dell’ascolto, del dialogo, della volontà di
apprezzare il lavoro degli altri, insomma, della disponibilità all’amicizia fraterna, ma prevale quella del contraddire e basta, o del menefreghismo, o della maldicenza istituzionalizzata, è molto difficile che
certi fiori crescano e resistano. Uno si deprime, si stufa e, come dice
il P. Superiore, si dirigerà altrove. Anche a questo proposito gli esami
di coscienza vanno fatti con... lealtà. Se no, perfino le nostre santissime Messe, magari arricchite di predica altisonante e trascinatrice,
restano solo dei vuoti inutili bla bla bla e ogni giorno rischia di essere
un giorno perduto! Dio e anche i confratelli meritano di più!
Dove comincia l’evangelizzazione?
Ricordo nella mia esperienza missionaria
una cosa fondamentale che mi è stata insegnata
fin dall’inizio. Il saluto che diamo alle persone, il
modo con cui rispondiamo a un messaggio che ci
viene mandato attraverso il nostro indirizzo
e-mail, le risposte che diamo quando ci chiamano
al telefono e l’atteggiamento che abbiamo verso
le persone che per la prima volta entrano nelle nostre case e nelle nostre chiese, è già evangelizzazione..., se tutto ciò è fatto con gioia e serenità.
P. Ferruccio Brambillasca
nel messaggio di Capodanno 2014
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Se il chicco di grano non muore...
Intervista a P. José Estêvão Magro (del Brasile, studente a Roma)
Ancora una volta ci troviamo davanti a un testo limpido come una
goccia di rugiada al sole. Grazie, Padre Estêvão! È degno di nota dall’inizio alla fine. Una sottolineatura particolare meritano queste affermazioni: “Ognuno di noi porta con sé una ricchezza quasi inesauribile
di doni”. È vero. Beato il missionario che si accorge di questa realtà e,
alla luce di Dio, la sa apprezzare in sé e negli altri! Vedrà meraviglie.
Poi questa: “Rimanevo entusiasta nel vedere tante persone che dedicavano loro tempo a servizio degli altri”. Anche questa la dice lunga
su cosa merita davvero il nostro impegno di vita. Infine ci ricorda
quello che Gesù stesso ha, a suo tempo, detto, con parole che valgono
per sempre: “Se il chicco di grano caduto in terra non muore, rimane
solo; se invece muore, produce molto frutto”. E poi, l’importanza dello
scrivere sulla missione, con entusiasmo, e del leggere!...
1. P. Estêvão, tu sei uno dei nostri giovani Padri brasiliani;
sei nato e cresciuto in un mondo affascinante, così diverso da altri
paesi ma totalmente noto a Dio che là ti ha guardato e chiamato.
Raccontaci qualcosa della tua infanzia, del bene ricevuto dai tuoi
cari e dalla natura stessa, del tuo primo incontro con Dio...
È vero! Sono nato in un mondo affascinante e bello: in una terra
davvero accogliente che, per lunghi anni, ha visto arrivare tanti immigranti, tante famiglie che venivano con un unico sogno, quello di
lavorare e di costruirsi una storia. Mi raccontava mio nonno: «Appena
si arrivava, ci si metteva subito a lavorare: a coltivare i campi, costruire le case di argilla e legno... Quanta lotta, quanta fatica, ma
anche quanta gioia!». Gioia perché si vedeva lo spuntare della primavera di nuovi tempi...
Diversi anni sono passati (ormai siamo alla terza generazione),
e oggi, in quella terra incontriamo un piccolo paese, nascosto tra le
colline, cresciuto nella semplicità della vita contadina e al suono della
campana della chiesa dedicata a San Sebastiano. Le nostre famiglie
hanno coltivato la terra, è vero, ma soprattutto, hanno saputo coltivare una vita di fede attraverso la preghiera quotidiana del rosario,
della santa Messa e una vita di fraternità (si aiutavano gli uni gli altri,
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sempre si trovava del tempo per dare una mano a chi ne aveva più bisogno). La mia famiglia, come le altre, viveva in campagna e si occupa
della coltivazione di caffè. Nella piccola proprietà, dove avevano costruito una chiesetta, tutte le domeniche le famiglie dei dintorni si radunavano per le funzioni liturgiche. I miei facevano i catechisti
animando la vita della comunità ecclesiale di base. Una vita semplice
ma ricca nel saper condividere i propri doni e di metterli a servizio.
I valori cristiani hanno aiutato a plasmare un ambiente propizio per
la vita della famiglia nella quale sono cresciuto. Mi ricordo che, sia io
che i miei fratelli, avevamo i vestiti belli, così chiamati, per andare
alla Messa, e li mettevamo soltanto in quella occasione ed era, ogni
volta, una festa!
2. Il Papa Francesco, anche lui, come sei tu, nipote di emigranti italiani, ci ha detto più volte che deve gran parte della crescita della sua Fede alla nonna. Qual è, a questo proposito, la tua
più bella esperienza?
I miei genitori, essendo dei leader di comunità ecclesiale di base,
hanno sempre trasmesso a noi figli una bella testimonianza d’impegno pastorale. La Chiesa in Brasile è molto dinamica in questo
aspetto. Offre una varietà di servizio pastorale e sociale che permette
ai battezzati di impegnarsi nell’evangelizzazione e nella promozione
della vita. I miei sempre ci portavano insieme a loro quando dovevano
fare delle conferenze o qualche convegno. Addirittura, quando c’erano
incontri di formazione di tre giorni, ci andavamo tutti, si chiudeva la
casa e si stava via per tutto il weekend.
3. Tu hai scritto pensieri molto belli a proposito della famiglia come è nel piano di Dio, dove a un certo momento il bambino
incontra la persona di Gesù come un componente della famiglia
stessa e i due non si perdono più di vista. Potresti scrivere ancora
qualcosa per i lettori di InforPime, anche perché la famiglia è e
deve sempre essere un ambiente privilegiato per la presentazione
dei tesori del Vangelo.
Si, è vero! La famiglia è l’ambiente privilegiato per la trasmissione
della fede, per vivere l’incontro con la persona di Gesù. Nella famiglia
si vivono le prime relazioni interpersonali in cui sperimentiamo d’essere amati e chiamati ad amare. Questa diventa un’esperienza, direi,
fondamentale su cui maturano i valori della fede.
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La mia famiglia, per me, è stata e lo è ancora, un vero dono di
Dio. Durante la Prima Santa Messa che ho celebrato, il 29 agosto
2010, ho voluto ringraziare il Signore per il dono della famiglia. Per
questo ho scelto come tema: “Famiglia, riserva e laboratorio di vocazioni!”, perché credo che sia nella famiglia che nascono e si coltivano
le diverse vocazioni specifiche. Infatti, a casa mia siamo in quattro
fratelli e sorelle: due si sono sposati e due si sono consacrati a servizio
del popolo di Dio nella Chiesa.
4. Certamente Dio lo sa meglio, ma, secondo te, cosa, durante la tua vita di giovane, è stato determinante nella tua scelta
di dire “sì” alla chiamata di Dio, non solo alla vita come Sacerdote, ma anche a quella come Missionario?
Come dicevo prima, da piccolo ho sempre avuto l’occasione di
conoscere le attività pastorali e rimanevo entusiasta nel vedere tante
persone che dedicavano loro tempo a servizio degli altri. Avevo una
bella amicizia con il parroco della mia parrocchia, un sacerdote missionario religioso e, attraverso di lui e della sua congregazione ho potuto fare un’esperienza missionaria nel nord-est del Brasile, in una
realtà molto povera, dove spesso manca anche l’acqua. Questa esperienza popolare di missione mi ha fatto riflettere, mi ha lasciato inquieto... e mi domandavo se potevo fare qualcosa per aiutare quella
gente.
In quel periodo leggevo volentieri, come faccio ancora oggi, le
testimonianze dei missionari sulla rivista «Mundo e Missão» del
PIME in Brasile. Vedevo le loro esperienze di lasciare tutto per dedicarsi, per tutta la vita, a servizio dei più bisognosi. Pur in mezzo
a tante fatiche e sofferenze erano evidenti i segni di gioia e di realizzazione sul loro volto. Queste testimonianze mi causavano un
desiderio forte di lasciare tutto per avventurarmi oltre le colline del
mio piccolo paese. Quella voglia di conoscere il mondo nascosto
dietro le colline e di dare il mio contributo non mi hanno mollato
fino al giorno in cui ho deciso di intraprendere il cammino di formazione nel Seminario del Pime.
5. Tu sei stato molto a contatto con la stampa missionaria.
Secondo te, per essere all’altezza del suo compito, come dovrebbe essere? In altre parole, come può piacere e convincere?
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Sono convinto che le testimonianze missionarie che ritraggono
la vita ordinaria in missione siano di un valore particolare, capace di
trasformare la vita di chi si avvicina, di sensibilizzare missionariamente la dinamica pastorale della Chiesa e, senz’altro, di ravvivare e
rinnovare l’ardore missionario dei confratelli di istituto. A proposito
della stampa missionaria, sento con dispiacere che, quasi sempre, l’attività di diffusione e propagazione dei nostri canali di informazione
missionaria si riduca all’impegno dei missionari che vi lavorano (che
li producono). Invece, credo che sia un compito di tutti, fare arrivare
alla nostra gente l’informazione missionaria. Un bell’esempio lo abbiamo nella testimonianza di vita di Pauline-Marie Jaricot, fondatrice
della Pontificia Opera della Propagazione della Fede (POPF). Il suo
contato con l’evangelizzazione in terra di missione tramite l’informazione missionaria ha suscitato l’iniziativa di convocare e di entusiasmare le amiche per pregare e raccogliere offerte per le missioni.
6. Non sei ancora stato a lavorare in una missione vera e propria. Però, con certezza, hai esperienza di convivenza con missionari. Secondo te, quali sono le caratteristiche più belle del
nostro lavorare insieme, tra di noi, e anche del lavorare per gli
altri, a stretto contatto con loro? Che cosa apprezzi di più?
Il fatto di lavorare insieme è, per noi “pimini”, una risorsa (se lo
sapremmo valorizzare). Ognuno di noi porta con sé una ricchezza
quasi inesauribile di doni. L’internazionalizzazione dell’Istituto ci
rende più consapevoli di questo. Poter mettere in comune quello che
siamo è un arricchimento della missione di ciascuno. Certo, questo
comporta anche molta fatica. Non è facile per niente collaborare con
qualcuno che non mi è simpatico. Ho esperimentato anch’io questa
fatica e, con la preoccupazione di non compromettere l’attività missionaria, ho cercato di sdrammatizzare questi momenti di conflitto
dando loro giusto peso e importanza. Le attività missionarie non devono mai essere ostacolate dai nostri capricci personali. Ma vale
anche la pena ricordare che i momenti di crisi o di conflitto sono delle
opportunità di crescita personale e comunitaria.
I miei primi tre anni di ministero sacerdotale missionario li ho
vissuti in Brasile a servizio dell’animazione missionaria. Mi occupavo
del Centro missionario a Ibiporã (PR), da dove partivo per raggiungere altre località con altri animatori missionari. Un’esperienza ricca
di incontri, accompagnando i giovani nel discernimento vocazionale
e collaborando con gli organismi missionari della Conferenza Episco11
pale (CNBB). La collaborazione con le Pontificie Opere Missionarie è
stata per me, come per altri missionari del Pime, di grande aiuto. Accompagnavo nello Stato del Paraná, nel sud del Brasile, i gruppi della
Gioventù Missionaria, appartenente alla Pontificia Opera della Propagazione della Fede. Sono convinto che sia molto valida la collaborazione con altri organismi missionari. Le PP.OO.MM. sono una
risorsa di strumenti missionari che accomunano la stessa spiritualità
missionaria. «Le Pontificie Opere Missionarie sono lo strumento principale per infondere nei cattolici, fin dalla più tenera età, uno spirito
veramente universale e missionario, per favorire un’adeguata raccolta
di sussidi a vantaggio di tutte le missioni e secondo le necessità di ciascuna» (Ad Gentes, 1971, n. 3). Esse hanno il compito di intensificare
lo spirito missionario nel Popolo di Dio, esortando alla preghiera e a
piccoli sacrifici quotidiani».
7. Finora sei stato a contatto di molti Sacerdoti e Missionari.
Puoi dirci qualcosa di qualcuno che ti è stato particolarmente di
esempio buono e ha lasciato tracce in te?
Mi ricordo volentieri della testimonianza entusiasmante di missione che trasmetteva P. Giorgio Paleari. Quando parlava dell’attività
missionaria, dell’evangelizzazione in terra di primo annuncio, dell’avventura del missionario, aveva un brillio intenso negli occhi. Parlava
con il cuore ed esprimeva passione; una passione capace di condurre
a consumare tutte le forze senza mai mollare. Come diceva: «Il missionario è come un pellegrino!».
8. Questo Papa finora ha già detto e fatto molte cose che
hanno positivamente stupito il mondo intero. Secondo te, noi
missionari, cosa possiamo imparare da lui?
Sarebbe bello poter imparare il suo modo semplice di comunicare; saper dire le cose grandi, essenziali alla vita ma di modo accessibile a tutti.
9. Tu sei Sacerdote da pochi anni. In questa tua vita sacerdotale, quali ti sembrano i momenti più belli e gratificanti e che
apprezzi di più? E come vedi il tuo futuro?
Tra le diverse esperienze belle vissute in questi anni, posso individuarne, in modo particolare, due. La prima è il Sacramento della
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Riconciliazione, nel quale alcune persone si sono avvicinate con il
cuore aperto, portando la loro fatica e la loro sofferenza, e, per la grazia di Dio, si sono rinnovate nella speranza. La seconda esperienza,
anch’essa molto bella, è stata quella di accompagnare dei giovani nel
loro cammino di discernimento. Vedere, attraverso l’esperienza del
giovane, l’azione di Dio operante nella sua vita, chiamandolo a realizzare qualcosa di grande e bello, è stupendo!
Il mio futuro, come lo vedo? Più che puntare lo sguardo su che
cosa farò o dove andrò come paese di missione, cerco di tener alto il
desiderio di assumere, ogni giorno, lo stile di vita missionario, quello
di Gesù di Nazareth. Il «dove» e il «come» verranno come conseguenze.
Il brano di Vangelo che ho scelto in occasione della mia ordinazione presbiterale e che diventa un programma di vita per me è: «Se
il chicco di grano caduto in terra non muore, rimane solo; se invece
muore, produce molto frutto» (Gv 12, 24). L’evangelista Giovanni usa
un’immagine contadina molto semplice per affermare qualcosa di veramente grande. L’immagine proposta da Giovanni ci aiuta a contemplare il mistero di Gesù di Nazareth: il Figlio di Dio, facendosi uomo
come noi, ha fatto della sua esistenza una continua offerta, sino alla
fine (la morte sulla croce). Non si può produrre vita senza dare la propria. La vita è frutto dell’amore e non sgorga se l’amore non è pieno,
se non giunge al dono totale. Amare è darsi senza lesinare, fino a sparire, se necessario. Nella metafora del chicco che muore in terra, la
morte è condizione perché si liberi tutta l’energia vitale che contiene;
la vita che vi è racchiusa si manifesta in una forma nuova. La morte
di cui parla Gesù non è un avvenimento isolato, ma il culmine di un
processo di donazione di se stesso. È l’ultimo atto di una donazione
costante, che sigilla definitivamente la dedizione rendendola irreversibile.
Dare la propria vita, condizione per la fecondità, è la misura suprema dell’amore. Gesù spiega ai discepoli che tale dedizione non è
per l’uomo una perdita, ma il massimo guadagno; non significa frustrare la propria vita, ma portarla al suo completo successo. Il timore
di perdere la vita è il grande ostacolo alla dedizione; Gesù avverte che
porre limite all’impegno per l’attaccamento alla vita è condurla al fallimento. L’unica linea di sviluppo per l’uomo è l’attività dell’amore;
egli ne raggiungerà il culmine quando l’amore giungerà alla sua
espressione suprema. L’amore leale consiste nel dimenticare il proprio
interesse e la propria sicurezza, e nel continuare a lavorare per la vita,
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la dignità e la libertà dell’uomo, nonostante le condizioni di morte:
un contesto di guerra, di fame, di estrema povertà, di corruzione politica. Gesù per dare vita è disposto a dare la sua propria. Così mostra
la grandezza e la forza del suo amore.
Il missionario come il chicco di grano è chiamato a morire per
produrre frutto. Bisogna perdere la propria vita per trovarla. Credo
che l’esperienza di lasciare la propria terra, la famiglia, la propria cultura, le sue sicurezze, sia soltanto conseguenza di una decisione maggiore: quella di amare. “Non c’è un amore più grande che dare la vita
per gli amici”. È l’intimità con il mistero della croce di Cristo a sorreggere l’essere del missionario. Croce che riceviamo nel giorno dell’invio missionario con le seguenti parole: “Ecco il compagno
indivisibile delle tue fatiche apostoliche; il tuo sostegno nei pericoli e
nelle difficoltà; il tuo conforto nella vita e nella morte”.
10. I tuoi genitori sono lontani e il tuo pensiero certamente
corre spesso a loro. Essi hanno il merito di averti condotto all’incontro con Dio e di averti, poi, aiutato a rimanergli vicino. Pensando soprattutto a questo, cosa diresti loro adesso?
Ai miei, direi GRAZIE! Un grazie per la bella testimonianza di
fede che mi hanno offerto lungo il mio cammino, rendendomi uomo
libero per intraprendere decisioni e fare delle scelte importanti nella
vita. Mi sono stati sempre vicini, mantenendo una giusta e matura distanza per non incorrere nel pericolo di appesantire o condizionare
la vita missionaria. A loro, un ricordo sempre nella preghiera.
11. Hai davanti a te tutta una vita che ti auguriamo lunga e
ricca di successi nel bene. Poi, quando Dio vorrà, arriverà il
giorno dell’incontro con lui. Pensandoci adesso, cosa vorresti potergli dire in quel momento felice?
Direi un grazie per la stupenda vocazione che mi è stata donata.
Le vocazioni sono belle, ma la vocazione missionaria è straordinaria!
E aggiungerei che, se ci fosse la possibilità di una seconda vita, mi
piacerebbe essere ancora chiamato alla vita missionaria.
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Myanmar, verso una presenza stabile?
P. Livio Maggi
Fino a non molti anni fa, il Pime andava in Birmania (oggi Myanmar) per evangelizzare e per contribuire a dare origine a una Chiesa
locale, vera “Famiglia di Dio”. Là hanno speso tutta la loro vita,
anche fino al sacrificio supremo, missionari ammirabili, di altissimo
profilo umano e spirituale. È giusto conservare nell’onore la loro memoria, continuare a farla conoscere e vivere di essa. È uno dei motivi
per tornare in quella nostra antica missione. Ce ne sono altri: continuare l’evangelizzazione cominciata; dare una mano fraterna alle
Chiese locali nell’impegno a favore del loro popolo e, allo stesso
tempo, nel dovere di trasmettere, nel mondo intero, la Fede ricevuta.
Così gli Atti della XIV AG a riguardo di una possibile presenza
in Myanmar:
«33. In Myanmar il PIME ha una lunga tradizione di presenza
che stata interrotta per motivi politici. Si è comunque preservata una
presenza attraverso New Humanity (NH) e aiuti puntuali alla Chiesa
locale la quale non ha mai cessato di richiedere la nostra presenza.
Dati i recenti cambiamenti geopolitici, si studi la possibilità
di una presenza stabile di missionari del PIME nel Paese.
La seguente programmazione, che l’AG propone quindi per il
primo periodo di questo mandato, a questo stesso riguardo, afferma:
Cir. Thailandia – Myanmar – Cambogia: esplorare la possibilità
di una presenza stabile di missionari del PIME in Myanmar e qualora
fosse possibile mettere in atto questa presenza».
Come riportato sopra, l’AG ha preso delle decisioni riguardo al
Myanmar e ad una possibile nuova presenza stabile in quel paese.
A tale scopo la DG ha chiesto a P. Barnabas Arockiasamy dell’India,
P. Vincent Lazum del Myanmar e a P. Livio Maggi, la disponibilità per
iniziare questo cammino di “esplorazione” e di “presenza stabile”.
Dunque la DG, rispondendo al mandato dell’AG, vuole far partire
questo progetto: avviare una presenza stabile di missionari del
Pime in Myanmar, dove l’ultimo è stato P. Paolo Noè, morto nel 2007.
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È bene ricordare come questa decisione non significa iniziare dal
nulla. Come detto sopra, in Myanmar stiamo lavorando da anni con
la presenza di NH e il servizio d’insegnamento presso il seminario di
Taunggyi che coinvolge ogni anno almeno sei-sette confratelli, seppur
in un tempo limitato.
Non si parte quindi dal nulla. La simpatia dei Vescovi e del clero
locale nei nostri confronti per ora sembra vera e sincera; inoltre ben
sette confratelli, provenienti dal Myanmar, stanno già lavorando nelle
missioni (BRS, GB, PNG, FL)… Non partiamo proprio da zero!
È evidente che si tratta di un progetto che è bene non pubblicizzare troppo e di cui è meglio parlarne con discrezione e attenzione
fuori dagli ambiti dell’Istituto; le incognite sono ancora molte e i problemi da affrontare nei prossimi mesi sono innumerevoli; i tempi potrebbero essere lunghissimi, speriamo… non interminabili!
Per questo nulla ancora è stato reso pubblico da parte dei Superiori. Serviranno alcune ricognizioni ed anche l’aiuto dei confratelli
della Circoscrizione di riferimento, ovvero la Thailandia, per dare più
forma ad una bozza di progetto iniziale e per meglio essere ufficializzato da parte del Superiore Generale stesso.
Siamo dunque convinti che per ora è bene mantenere un “basso
profilo” già a partire da questa prima fase di ricerca e studio delle fattibilità.
Non sappiamo bene quello che si riuscirà a fare: c’è entusiasmo
e voglia di fare; questo è certo.
Una domanda qua e là ricorre non senza insistenza: perché tornare in Myanmar? Quali le ragioni per riaprire la nostra presenza?
Le nostre chiese fondate dai nostri missionari hanno fatto passi da gigante; e allora? Perché tornare? Solo per rincorrere una nostalgia?
Per cercare vocazioni?
È fuori dubbio che dobbiamo “dare ragione” di questo rientro in
una nazione che ha mandato via i missionari nel 1965 e dove la chiesa
locale ha saputo rimaner fedele al mandato e radicarsi sempre più nei
popoli del Myanmar. E allora perché? Non si poteva continuare così?
Non è certamente una risposta che dobbiamo dare subito e tanto
meno la dobbiamo dare noi stessi, solo perché incaricati. È piuttosto una
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risposta che dobbiamo cercare assieme. Ci permettiamo solo di dire che
siamo in sintonia col cammino fatto fino ad ora negli ultimi venti anni.
Abbiamo cercato di curare le relazioni con la Chiesa locale,
dando il nostro aiuto dove potevamo darlo e secondo le necessità dei
vescovi. Nel passato abbiamo aiutato nell’aggiornamento del seminario teologico di Yangon e della sua biblioteca. Da molti anni siamo
presenti nel seminario intermedio di spiritualità a Taunggyi, per alcuni tempi (qualche anno fa) anche con la presenza prolungata seminascosta di un padre spirituale oltre che con i corsi intensivi di due tre settimane che tuttora proseguono. Infatti, come ricordato, ogni
anno, durante l’estate sei-sette confratelli si alternano nell’insegnamento e nella predicazione.
Abbiamo avviato “NH Myanmar” e da molti anni ormai (più o
meno quindici) sta lavorando in diversi luoghi e in diversi campi in
Myanmar. Lo scopo era mantenere una presenza per continuare idealmente il lavoro fatto dai nostri missionari e continuare una relazione
con i Vescovi e le amministrazioni, in tempi in cui la comunicazione
era molto più difficile di ora ed era impossibile entrare.
Abbiamo accolto inoltre ben sette confratelli ormai nelle nostre
fila. Già l’abbiamo ricordato.
La scelta dell’AG di studiare le modalità per avviare una presenza
stabile in Myanmar non è altro che continuare la stessa logica che ci
ha accompagnato nelle scelte in questi anni.
Non sarà certamente una presenza numerosa, ma si desidera una
presenza discreta e significativa. Significativa per il Pime che ritorna
così in uno dei luoghi delle sue prime missioni. È solo da ieri lA notizia della prossima beatificazione di P. Vergara e del catechista Isidoro,
riconosciuti martiri per la fede. Assieme a Vismara e ad altri morti e
sepolti in Myanmar, rappresenta un grande pezzo di storia dell’Istituto. Un’occasione per ritrovare radicalità, motivazioni e impegno per
l’Istituto?
Questo “ritorno” potrebbe essere anche un’apertura ad una
nuova missione e ad un nuovo stile di missione nel sud-est asiatico?
Ma anche la presenza di sette confratelli birmani nel Pime dà ragione a questa scelta; un aiuto alla chiesa e a possibili vocazioni per
il servizio alla chiesa missionaria.
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Le ragioni non sono esaurite e magari per alcuni non sono sufficienti.
Per ora ci impegniamo a studiare e cercare le possibilità concrete, se ce ne sono. Con la certezza che le motivazioni si approfondiranno.
Consigli, suggerimenti e… soprattutto preghiere sono ben accette. Ed anche altro.
Desideriamo comunque che sia un progetto di cui l’Istituto è a
conoscenza e da tutto l’Istituto seguito; e non appaia come qualcosa
di segreto e riservato alla conoscenza di pochi. Pur nella discrezione
dovuta.
Cercheremo dunque di far conoscere l’evoluzione delle cose mantenendo aggiornato l’Istituto su quanto si sta facendo. Fosse anche
quello di dire: abbiamo lavorato senza risultati, i tempi non sono ancora maturi.
Lo psicologo di fama, Franz Müller, sostiene che importante non è il peso di un bicchiere pieno d’acqua in sé
stesso, ma il tempo durante il quale lo si tiene in mano. “Infatti – afferma – se lo sollevo per un minuto, non è un problema. Se lo sostengo per un’ora, il braccio mi farà male.
Se lo sollevo per tutto il giorno, il mio braccio sarà intorpidito e paralizzato. In ogni caso, il peso del bicchiere non
cambia, ma più a lungo lo sostengo, più pesante mi diventa” E continua: “Gli stress e le preoccupazioni della vita
sono come quel bicchiere d’acqua. Se ci pensate per un momento, non accade nulla. Pensateci un po’ più a lungo e incominciano a far male. E se ci pensate per tutto il giorno,
vi sentirete paralizzati e incapaci di far qualunque cosa.
È importante ricordarsi di lasciare andare i nostri stress.
Alla sera, il più presto possibile, posiamo i nostri fardelli.
Non portiamoceli addosso per tutta la sera e tutta la notte.
Ricordiamoci di posare il bicchiere d’acqua!”.
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Fede e carità, fonte della Missione
P. Luca Galimberti (Bangladesh, Rettore della Casa Generalizia)
Il Padre Luca, in occasione della Giornata Missionaria, era stato
invitato al convegno missionario dell’Anno della fede organizzato
dalla Chiesa della Regione Umbra e che aveva questo titolo: “L’Umbria ha un cuore vivo e missionario”. Di questo possiamo solo rallegrarci con questa Regione e augurarle che continui così e che non
sia la sola, mentre a proposito dell’intervento di P. Luca è importante sottolineare che, davvero, la fonte della Missione è costituita
da Fede e da Carità e da nessun altro motivo. Fede senza riserve,
anche di amicizia, in quel Gesù che per ogni uomo, in particolare
per ogni missionario, è più del padre e della madre, e Carità senza
limiti nei confronti di Dio e di ogni sua immagine su questa terra,
per poco che gli somigli...
Fede e la Carità: due parole, due dimensioni che fanno parte del
“tesoro” della nostra vita, perché sono dimensioni che interpellano il
senso stesso della nostra esistenza, che ci coinvolgono interiormente,
innanzitutto come persone: affidarci a qualcuno ci permette di camminare nella vita senza paura; imparare ad amare ed essere amati ci
permette di crescere in umanità e di andare oltre il nostro limite.
Ma come queste due dimensioni sono state presenti nella storia
del popolo di Dio, a partire dalle prime comunità di credenti fino alle
comunità cristiane di oggi, favorendo quell’ apertura e quello slancio
missionario che ne ha caratterizzato il cammino? Un cammino d’obbedienza ed un desiderio che la Chiesa ha sempre rinnovato e custodito con la fiducia nel Signore, rispondendo al dono del suo Spirito
che la spinge ad andare, la porta ad iniziare.
Credo sia questo uno dei motivi del nostro essere qui ad Assisi,
presenti a questo convegno missionario, cioè il voler tornare a ricordare una storia, ripensare a quei volti che alla storia appartengono,
per sentirci a nostra volta parte di un cammino, per continuare in un
compito che alla fine dovrà essere consegnato ad altri perché ne siano
a loro volta i protagonisti. E vi siano frutti, in modi e in forme che
neppure noi ora sappiamo prevedere, ma che – fidandoci – certamente
verranno. Frutti necessari all’umanità e di cui la nostra terra non può
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fare a meno: pace, convivenza, soccorso reciproco, perdono – che è il
potersi riconciliare –, fraternità. Doni preziosi da invocare ed intessere, giorno dopo giorno, preziosi anche per la stessa vita della Chiesa.
La Fede
È necessario fermarsi e ricordare una storia e dei volti concreti
perché quando parliamo di fede anche la Sacra Scrittura ci parla attraverso un lungo elenco di nomi, di persone, di uomini e donne che
hanno vissuto con fede: hanno compiuto scelte, affrontato e promosso cambiamenti, corso dei rischi, subìto l’isolamento, accettato
incontri e nuove esperienze di legami nati proprio attraverso il loro
partire, hanno dato la loro disponibilità ad iniziare, a lasciare il conosciuto per aprirsi al nuovo, al mistero di un’intuizione, di una convinzione, di una parola udita come “eccedente” la loro vita.
Nella Lettera agli Ebrei (Ebr 11) troviamo lo scorrere dei nomi
di testimoni che “per fede” vissero e operarono scelte concrete: da
Abele a Noè, Abramo e Sara, Giacobbe e via via fino a Maria e ai discepoli di Gesù. Potremmo aggiungere ad essi anche San Francesco e
Santa Chiara, la Beata Madre Teresa, Frère Roger di Taizè e tanti altri
ancora. Uomini e donne con una fede sincera e appassionata, sono
stati capaci di mettere in gioco tutto, di giocarsi in prima persona
senza calcoli, senza altre sicurezze, perché il mondo può e deve cambiare.
E nelle pieghe della storia, (lo trovo nella mia stessa esperienza
in paesi, situazioni, culture differenti…) pur nel silenzio e distanti dai
riflettori dei media, continuano ad esistere altrettanti testimoni nascosti di questa stessa fede che sanno affidare la loro vita, che sanno
lasciare ciò che rassicura, che non trovano la loro forza nella presunzione o nelle ricchezze, ma sanno intuire strade inesplorate per superare conflitti, accostare i fratelli, dividere ciò che possiedono, ridare
speranza nei luoghi della disperazione…
E per noi... da dove iniziare?
Non ci si può accontentare della casa, della regione, dei campi
posseduti o delle nostre chiese antiche cioè in fondo del nostro vivere
già benedetti, perché la fede chiede di dare una risposta all’ingiustizia,
di confrontarsi con la povertà; bisogna trovare forme di vita che sazino la nostra fame di essere fratelli e compagni in umanità. La sete
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di legami autentici, di rapporti paritari che offrano stima e collaborazione. Relazioni volute, cercate, perfino costruite con pazienza.
Missione, allora, è tornare all’essenzialità del Vangelo e della
vita, senza paura proprio per la fede nel Dio che “provvede”, e quindi
andare… partire…
Ma verso dove? Siccome in questo nostro pianeta quasi tutto è
ormai conosciuto ed esplorato, raggiunto ed appartenente a nazioni
definite, ora più di un tempo capiamo come la missione debba essere
quella di andare non verso un luogo, ma verso l’umanità, verso l’altro
diverso da me, verso i confini di un mistero che ci unisce nonostante
la differenza della lingua, il colore della pelle, il cibo, le mentalità così
diverse, le esperienze religiose molteplici.
Nella storia dei Vangeli, l’andare, – la missione –, è stato per Gesù
la ricerca dell’umanità, cominciando dal visitare i luoghi di questa
umanità perduta, diventando via via uomo tra gli uomini, “uno di
casa” (la vicenda di Zaccheo ne è un esempio o il cercare delle parabole: il pastore alla ricerca della pecora smarrita nel deserto o la
donna che ricerca in tutta la casa la moneta perduta, il padre che attende il figlio con un amore instancabile e che esce incontro all’altro
ancora lontano […].
E se il nostro Dio cerca noi, vivere da figli suoi significa prepararsi a cercare ed incontrare uomini e donne perduti: nella
chiusura di una legge,… a causa di un potere che uccide, …dentro una
religione che rende schiavi e umilia; o perduti… nella sofferenza di
vite che senza alcuna colpa si trovavano nella miseria più nera, oppresse dalla malattia incurabile, o chiuse nel dolore di una fine, oppure altre volte perdute per propria colpa, in balia del male e del
peccato.
La missione ha bisogno di coraggio: e il coraggio va chiesto in
dono, insieme al dono della “gentilezza”, “della dolcezza”, come chiedeva S. Vincenzo de’ Paoli. Niente di grande nella vita è spontaneo e
sappiamo quanto sia difficile anche solo essere amabili per un’intera
giornata, ed insieme coraggiosi e forti !
Potremmo allora tornare ad uno stile di vita più missionario, perché pacifici, attenti, curiosi… Mi viene in mente nella vita di San Francesco il suo rapporto con i malati o con i ricchi suoi compagni d’armi.
E chi più di voi qui saprà proseguire la strada del poverello d’Assisi
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(di cui il Santo Padre ha voluto il nome per imitarlo), chi più di voi
ne ha il diritto e ne conosce la storia da mostrare al mondo come via
coraggiosa della missione?
La Carità
Se la fede dà slancio al desiderio di andare oltre se stessi, c’è un
fuoco che anima il cammino e può dare calore al nostro andare incontro ai fratelli… C’è un solo modo, infatti, per rendere tangibile il
volto di un Dio che è Padre, ed è quello di “essere misericordiosi come
Egli è misericordioso”… (Lc 7, 36 ss).
Proviamo insieme a comprendere quest’altro mistero.
C’è un breve racconto di un famoso scrittore e grande viaggiatore, Jack London, che è tratto dalla raccolta “Grande Nord” ed è intitolato “Farsi un fuoco”. È un racconto breve che voglio però narrare
anche a voi, per partire da un bisogno squisitamente umano e giungere a comprendere con quale cuore può esserci chiesto di vivere
anche la missione.
“Una carovana di cercatori sta marciando verso un giacimento
d’oro dello Yukon, quando una terribile tempesta di neve la disperde.
C’è un uomo che è rimasto SOLO in mezzo ad uno sconfinato accecante
nulla. Ha freddo, ha fame, ha perso tutti i suoi bagagli. Quell’uomo ha
adesso una sola cosa da fare, se vuole sperare di sopravvivere: farsi un
fuoco prima che cali la notte. La storia è il racconto di come quest’uomo riesca a procurarsi il necessario per accendere il suo fuoco.
(Il freddo – la solitudine – la paura di morire – la ricerca tragica di
un modo per sopravvivere... ma andiamo avanti). Alla fine della giornata, stremato dalla fatica, ci riesce. Accende il suo piccolo falò a ridosso di uno sperone di roccia e si pone in attesa di ciò che lo salverà.
Non è il calore del falò, non è solo quello che serve all’uomo per salvarsi
la vita. Anzi lui sa che, sfinito com’è, non passerà molto tempo che, al
calore del falò, si addormenterà. E così, non più alimentato, il fuoco si
consumerà e lui morirà congelato senza neppure accorgersene. (A nulla
serve aver trovato la propria sopravvivenza se si è soli contro il gelo…).
L’uomo ha acceso quel fuoco per un’altra ragione ancora: spera ardentemente che qualche sopravvissuto della carovana veda la luce e il fumo.
E così accade. E i due uomini potranno ancora essere vivi la mattina
dopo. Passeranno la notte accanto al fuoco parlando di ogni cosa. Per
dimenticare la fame, per stare svegli, per attizzare continuamente la
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fiamma. Si racconteranno cose vere e cose inventate; non importa se
sia vero o no ciò che si dicono: quella notte l’unica verità del mondo è
nella loro stessa vita. In quella veglia le storie che ascolteranno sono sicuramente le migliori che la vita che hanno vissuto poteva mettere a
loro disposizione. Ciò che conta è che raccontano con tutta la passione
che hanno, credendo l’uno nell’altro e nel sole che finalmente sorgerà al
mattino. Per questa notte i due sconosciuti, dispersi nel gelo, saranno
amici per la pelle, indissolubilmente legati da un unico destino. E la
mattina saranno ancora svegli e vivi e, se avranno fortuna, ci sarà veramente il sole e potranno rimettersi in marcia cercando qualcosa per
sfamarsi, un punto all’orizzonte dove dirigersi. Verrà il momento che si
separeranno e probabilmente anche quello in cui scorderanno la faccia
uno dell’altro. Ma non potranno mai dimenticare quella notte di veglia,
persino quando non ricorderanno più neppure una parola di ciò che si
sono detti”.
Ecco la storia di Farsi un fuoco è tutta qui.
Abbiamo bisogno di un altro per poter sopravvivere, per tener
vivo il fuoco che scalda la nostra vita, per superare la notte e il gelo;
abbiamo bisogno del coraggio di avvicinarci all’altro, di condividere
la storia della nostra vita e il racconto di ciò che di più bello cui è stato
donato di sperimentare, di intuire. Abbiamo bisogno dei racconti di
altri per restare svegli, di poterci fidare di un altro per scoprire in lui
un fratello con cui condividere il fuoco. e ascoltare le sue storie e imprimere nel cuore i volti, i racconti di vita, le storie di altri perché
l’alba giunga a ridarci speranza. Nessun giudizio ci è richiesto, nessuna differenza tra noi e chi incontriamo, la stessa dignità e lo stesso
timore di non farcela da soli. Nessuna resistenza a condividere ciò che
abbiamo faticosamente costruito e racimolato, nessuna pretesa di
possedere le cose o le persone, anzi l’estrema libertà di chi condivide
la vita intera senza voler trattenere nulla per sé, per il domani, la gioia
di aprirsi insieme al futuro custodendo in sé i volti e le storie di tutti
coloro che ci sono stati compagni di viaggio.
Vivere la Missione con questa libertà, con la benevolenza di chi
non sa diffidare, non giudica, non misura se non in modo sovrabbondante sperando che con la stessa misura “pigiata, scossa e traboccante” (Lc 7,38) sarà a lui stesso misurato significa avvicinarsi al fuoco
che è l’Amore stesso di Dio.
La missione senza il dono della carità può nascondere tentazioni
di potere, di dominio, di dipendenza, di distanza.
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Vivere la missione con il fuoco della carità significa, invece, abbattere ogni steccato tra le persone, riconoscere a tutti la stessa dignità
e perciò lo stesso incondizionato rispetto, porsi a fianco di ogni uomo
e donna ascoltandone le storie e insieme a loro cercare le vie per cancellare l’ingiustizia e la povertà che umilia. Avere un cuore grande e
generoso nel comprendere, nell’accogliere, nel perdonare. Cercare le
condizioni per costruire relazioni paritarie, autentiche, libere, aperte
al dialogo e alla cooperazione.
Ed essere pronti a lasciare per ripartire…
Poiché l’amore che Gesù propone nel Vangelo è scandaloso per
la sua radicalità (Lc 6,17) che spinge oltre il buon senso (“Se amate
quelli che vi amano che merito ne avete?) e propone la gratuità massima (“Amate i vostri nemici, fate del bene e prestate senza sperare
nulla…”), siamo tentati di scioglierlo in un quotidiano senso comune
che ci allontana dalla trasparenza delle parole del nostro Maestro.
Ma non ci sono dubbi né altre interpretazioni possibili; ad esempio di fronte a fratelli e sorelle che fuggono, che perdono la vita per
un sogno che li conduce lontano dalla loro terra, che cercano una vita
più dignitosa approdando alle coste del nostro paese… non c’è altra
risposta se non quella a cui ci invita il Vangelo, cioè quella di un’accoglienza che rassicuri e dia solidarietà, di un impegno per la giustizia
che attraversi le scelte di ciascuno di noi, di un calore che ciascuno di
noi può donare e condividere.
E in questa radicalità la Missione deve farsi profezia: “Ho sentito
il grido del mio popolo” (Es 3), così il missionario, colui che cammina
nelle periferie, sente il grido di tanti che vivono in condizioni di miseria, se ne fa carico, lo porta su di sé e cerca la via verso la “Terra Promessa”, verso una terra in cui tutti vivano dignitosamente. Portare il
grido degli ultimi con umiltà e testardaggine, con la stessa com-passione di Dio e la determinazione di chi denuncia le ingiustizie, può
aprire strade di comunione dentro la comunità degli uomini e realizzare il sogno di un’umanità nuova, finalmente unita nella Pace.
Sia questo il nostro cammino, il dono che chiediamo per noi e
per tutti coloro che vivono la missione, sia questo il sogno che sostiene
il nostro impegno…
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P. Luigi Pezzoni, medico
e missionario dei lebbrosi
P. Piero Gheddo
Molteplici sono le forze capaci di tenere in piedi e di orientare nel modo
giusto la vocazione di un missionario. La prima è certamente la lealtà
nei confronti di Dio, nell’ubbidienza e nell’amore senza riserve. La seconda può essere l’esempio dell’entusiasmo, della generosa abnegazione di confratelli, sempre preoccupati solo di essere bravi e di fare il
bene. Non c’è nessuno di cui non ci siano cose buone da raccontare,
ma ce ne sono alcuni che ne hanno davvero riempita una vita straordinaria e importante, come nel caso del P. Pezzoni. Grazie, Padre
Gheddo per averci raccontato qualcosa di lui: un prezioso servizio!
Il 12 novembre scorso è morto ad Hyderabad, capitale dello Stato
di Andhra Pradesh, il padre dott. Luigi Pezzoni (1931-2013), per 47
anni missionario in India, fondatore della prima parrocchia a Nalgonda (oggi diocesi) e del “Leprosy Health Centre”. È riuscito ad entrare in India nel 1966 perché infermiere diplomato e specialista per
la cura dei lebbrosi; più avanti, con studi ed esami in India, è poi diventato dottore in medicina. Sacerdote del Pime nel 1958, giunto in
missione a Warangal nel 1966, dopo tre mesi di studio dell’inglese
nella casa del vescovo, mons. Alfonso Beretta lo manda a Nalgonda
con fratel Pasqualino Sala a imparare il telegu, lingua locale dell’Andhra. C’era già una chiesetta costruita da padre Carlo Bonvini e una
piccola casa parrocchiale, ma Pezzoni era il primo prete residente a
Nalgonda, dove c’erano già quattro suore indiane “Little Flowers”
(fondate da padre Silvio Pasquali), cinque famiglie di battezzati e vicino alla città tre piccoli villaggi di cristiani.
Padre Luigi sapeva poco l’inglese e quasi nulla di telegu, ma non
era uomo da starsene chiuso in casa a studiare. Aveva un carattere
aperto, gioioso, un volto sorridente e il carisma di fare amicizia con
tutti e di farsi voler bene. Con Pasqualino pregavano molto e si butta
subito in moto a visitare i villaggi, adattandosi a mangiare come gli
indiani, a dormire per terra su una stuoia di bambù nelle capanne di
paglia e fango, a bere acqua di fiume; aveva recepito la tradizione missionaria del Pime con grande spirito di sacrificio. Soprattutto suona
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la fisarmonica e richiama bambini e ragazzi. In villaggi poverissimi,
dove non succede mai niente, il passaggio del padre bianco è un avvenimento straordinario da ricordare, commentare, raccontare ad
altri. Ai più poveri, cioè i fuori casta (i “paria”) il missionario porta
medicine, visita i lebbrosi e li cura per quanto può.
Fin dall’inizio padre Pezzoni, con l’aiuto di fratel Pasqualino,
parla di Gesù e di Maria, porta la Buona Notizia che è nato il Salvatore
dell’uomo. In quell’ambiente di villaggi e di Chiesa nascente, Luigi è
un vulcano di novità e di iniziative per la promozione umana della
sua gente, grazie anche ai generosi aiuti che gli venivano dall’Italia e
dal suo paese natale di Palosco (Bergamo), dov’è ancora molto ricordato e il 17 novembre scorso ho celebrato una Messa di suffragio nella
grande chiesa parrocchiale strapiena. Veniva da un famiglia profondamente religiosa: tre sorelle tutte suore e quattro maschi, uno
sposato e tre sacerdoti, uno dei quali è missionario in Nicaragua.
I risultati dei suoi primi dieci anni di Nalgonda (1966-1976) sorprendono i confratelli missionari. Aveva trovato un migliaio di cristiani e
ne lasciava 10.000 in 53 villaggi, con 70 catechisti da lui formati.
Il catecumenato di tre anni lo facevano le suore catechiste “Little Flowers” di p. Silvio Pasquali. Nel 1966 Nalgonda è eretta in diocesi e nel
territorio evangelizzato da padre Luigi il primo vescovo indiano,
mons. Matthew Cheriankunnel del Pime, erige tre nuove parrocchie.
Oggi la diocesi di Nalgonda ha 74.150 cattolici su 6.025.347 abitanti
e un’estensione di 32.161 kmq; 65 parrocchie, 80 chiese (in muratura),
un centinaio di sacerdoti diocesani, 17 sacerdoti religiosi, 362 suore.
La forza di questi numeri, per una diocesi che non ha ancora 50 anni,
rivela la bontà della semina fatta dai missionari del Pime.
Nel 1974 padre Pezzoni porta in India le prime due suore spagnole (conosciute in Spagna dove aveva studiato leprologia) e poi due
nuove ogni anno. “Questo permesso straordinario l’ho ottenuto – mi
raccontava nel 2005 – incontrando la primo ministro Indira Gandhi
nel 1974, attraverso una sua amica di Hyderabad. Indira mi ha chiamato a Delhi e le ho spiegato il mio piano di formare suore e tecniche
indiane per i lebbrosi. È stata contenta e mi ha dato otto visti per le
spagnole, venivano due all’anno. Le suore Francescane dell’Immacolata di Valencia oggi hanno 300 suore anziane in Spagna e più di 70
suore giovani in India; una di queste, suor Ambika, sta imparando
l’italiano, già scrive lettere ai benefattori e mi fa da segretaria”.
Pezzoni ha fondato a Nalgonda una cittadina cristiana, con molte
opere caritative ed educative. Il villaggio di Shanti Nagar (Villaggio
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della Pace) con 100 casette per i lebbrosi ed ex-lebbrosi, casa e noviziato per le suore, casa per gli ospiti, un ospedale di 200 letti, una bella
e grande chiesa (usata anche come aula comunitaria dai lebbrosi),
una fattoria con campi coltivati e allevamento di animali da macello,
quattro officine che danno lavoro a uomini e donne ex-lebbrosi (falegnameria, meccanica, calzoleria, artigianato e fabbricazione di arti
artificiali per handicappati), un “boarding” (ostello) per un centinaio
di studenti che vengono dai villaggi, una scuola con 500 alunni, molti
figli di lebbrosi, ma ormai la lebbra guarisce, se presa a tempo. Diceva
Pezzoni: “Con l’aumento dell’igiene e della nutrizione, la lebbra è
molto diminuita: si usa una combinazione di varie medicine e il bambino che ha qualche macchia sul corpo guarisce in un anno e non gli
rimane più niente. Abbiamo due-tre nuovi casi al mese, una volta
erano decine”. Inoltre, p. Pezzoni ha esteso il suo servizio anche ad
altri villaggi dell’Andhra Pradesh, aiutando 3.500 ragazzi e 5.000 malati di lebbra. Quest’anno circa 5.000 bambini poveri e figli di pazienti
hanno ricevuto dal missionario una borsa di studio. Uno degli ultimi
progetti lanciati da p. Pezzoni è la costruzione di un nuovo ospedale
per la cura dell’Aids. Esso ospiterà 100 posti letto, darà possibilità di
day-hospital con assistenza e distribuzione dei farmaci ai malati
esterni, e comprenderà anche un ostello per studenti in visita o tirocinio presso la struttura. Iniziati nel 2012, i lavori saranno terminati
nel 2015.
Fin dall’inizio, p. Pezzoni ha combinato il lavoro sanitario con
quello pastorale, costruendo una trentina di chiese e cappelle e altre
opere. Dal 1977 padre Luigi ha optato per rimanere nel lebbrosario,
riconosciuto e premiato dal governo dell’Andhra Pradesh, e si è dedicato totalmente a lebbrosi ed ex-lebbrosi, sostenuto dal finanziamento
dei suoi progetti da parte degli amici e del Pime e dell’Ufficio aiuto
missioni (Uam) del Centro missionario Pime di Milano. Altri generosi
aiuti dalla rete dei suoi amici in Italia, ai quali mandava frequenti lettere e relazioni sulle sue attività; e soprattutto dal segretario di Paolo
VI, mons. Pasquale Macchi, suo grande amico, che gli ha mandato
anche due statue di Manzù, una di Paolo VI e una di Gandhi, poste in
due nicchie sulla facciata della grande chiesa che ha costruito nella
sua cittadella. Dal 2003 padre Pezzoni ha costruito per la diocesi di
Nalgonda i primi edifici del “Junior College Paolo VI” (Università cattolica), anche questo finanziato da mons. Macchi, che funziona con
500 alunni, a capo del quale c’è un giovane sacerdote diocesano.
Anche quest’opera ha lo scopo di offrire ai cristiani e ai fuori casta
una Università, perché in quelle statali è difficile per loro trovare
posto. In una delle sue ultime lettere, datata agosto 2013, p. Pezzoni
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scriveva: “Continuiamo con gioia e amore il nostro servizio a tutti coloro che hanno bisogno del nostro aiuto. Non solo: ogni sera recitiamo
il S. Rosario per tutti in modo che Dio doni il suo aiuto a tutti coloro
che ne hanno bisogno”.
Il fratello Giuseppe ha inviato questa aggiunta: “Il 15 novembre
il funerale è stato un trionfo di partecipazione, con la presenza di autorità religiose, civili, decine di sacerdoti, il vescovo di Nalgonda, una
ventina di missionari del PIME, varie televisioni e testate di giornali.
Ma soprattutto la gente a lui cara: lebbrosi, poveri e bambini. Un politico presente (sarà una presunzione) ha detto testualmente che l’affluenza e la partecipazione al funerale è seconda solo a quello di
Madre Teresa di Calcutta. Il Padre è stato sepolto a lato della Chiesa
voluta e finanziata da Mons. Macchi. Luogo visitabile da tutti e in
qualsiasi ora”.
No ai doganieri pastorali
Tante volte «siamo controllori della fede invece di diventare
facilitatori della fede della gente». Ed è qualcosa, ha aggiunto il
Santo Padre, che «è cominciato al tempo di Gesù, con gli apostoli».
Si tratta di «una tentazione che noi abbiamo; quella di impadronirci, di appropriarci del Signore». E ancora una volta il
Papa è ricorso a un esempio: il caso di una ragazza madre che va
in chiesa, in parrocchia, chiede di battezzare il bambino e si sente
rispondere «da un cristiano o da una cristiana»: no, «non puoi, tu
non sei sposata». E ha continuato: «Guardate questa ragazza che
ha avuto il coraggio di portare avanti la sua gravidanza» e di non
abortire: «Cosa trova? Una porta chiusa. E così capita a tante. Questo non è un buon zelo pastorale. Questo allontana dal Signore,
non apre le porte. E così quando noi siamo su questa strada, in
questo atteggiamento, noi non facciamo bene alla gente, al popolo
di Dio. Ma Gesù ha istituito sette sacramenti e noi con questo atteggiamento ne istituiamo l’ottavo, il sacramento della dogana pastorale».
Papa Francesco nell’Omelia a Santa Marta del 25 maggio 2013,
in L’Osservatore Romano , n. 120/2013
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Occasioni mancate
P. Carlo Torriani (India)
Grazie, Padre Carlo, per questo breve ma denso contributo. Quello
dell’internazionalità è uno degli impegni e servizi più nobili che il nostro
Istituto si è assunto, anche se le difficoltà, le sfide e le provocazioni non
mancano. Non si deve mai abbassare la guardia, sia per scoprire le
nuove opportunità, sia per non camminare alla cieca, ma lasciandoci
davvero e sul serio guidare da Dio, il primo protagonista di ogni nostro
sforzo per fare cose valide perché sia conosciuto e amato, anche per
mezzo della... internazionalizzazione fatta come si deve, nella Sua luce.
La situazione è questa: nella circoscrizione Pime India ci sono
ora una trentina di membri, in maggioranza naturalmente sono indiani, solo cinque sono di origine italiana (Francesco Sartori arrivato
1966, Carlo Torriani 1969, Orlando Quintabà 1969, Enrico Meregalli
1974, Antonio Grugni 1975) ed uno di origine statunitense (James
Fannan 2007); l’età di questi sei va da 66 a 79 e quindi scompariranno
in fretta. L’ideale di un istituto internazionale che lavora per l’integrazione è di avere delle comunità il più possibile internazionale. L’ultimo arrivato in India per lavorare nelle missioni è P. Francesco Raco
nel 1980, ma nel 2011 è andato in Papua. Dopo il 1980 sono venuti in
India pochi membri per insegnare nei seminari, per qualche anno, ma
solo uno è riuscito a rimanere, James Fannan, arrivato nel 2007 che
però deve andare e venire ogni anno con visto turistico valido 10 anni.
Il problema dunque è questo: come mantenere in India l’internazionalità dell’Istituto?
Dobbiamo dire che l’India attira i missionari, ma, per ragioni svariate, non riescono a rimanerci. Facciamo un po’ di storia con alcuni
casi di missionari attirati in India.
Nel 1964 P. Giorgio Bonazzoli viene in India per studiare Sanscrito.
Riesce a rimanere in India venticinque anni fino al 1989 al servizio del
Maharaja di Varanasi. Poi ritorna in Italia e va a insegnare in Papua.
Nel 1969 P. Giancarlo Politi viene in India come studente, ma
dopo un anno decide di andare ad Hong Kong.
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Negli Anni ’70 P. Antonio Salafia viene in India per studiare musica indiana. Si unisce alla Lok Seva Sangam per curare i lebbrosi,
decide di studiare medicina a Bangalore, gli si chiede di uscire dall’Istituto, perché il diritto canonico non lo permette. Lui si sposa ed è
ancora in India a curare i lebbrosi, come chirurgo della mano, nel
Vimala Dermatological Centre a Varsova.
Nel 1976 P. Alessandro Sacchi e P. Tagliabue Renato vengono ad
Hyderabad, ma nell’81 ed 82 ritornano in Italia. Con loro ci sono
anche P. Augustine Mundupalakal ed il Dr. Antonio Grugni. Quest’ultimo riesce a rimanere in India nella Lok Seva Sangam, diventa sacerdote e continua a curare i lebbrosi.
Ci sono poi quelli che sono venuti in India come insegnanti di
italiano aiutando nei nostri seminari come P. Francesco Rapacioli e
P. Ferruccio Brambillasca, nel 1993. P. Rapacioli sarebbe rimasto
molto volentieri in India e stava cercando d’inserirsi nella Lok Seva
Sangam, ma arrivò l’ordine di lasciare l’India nel 1997. Padre Brambillasca preparò una tesi pubblicata in un libro: The Indian Theology
of the Cross, un lavoro magistrale, che dimostra la sua vasta conoscenza della tradizione indù e buddista, la famigliarità con i loro libri
sacri e la sua vocazione per l’India. Perché non è rimasto in India?
L’ultimo venuto in India come insegnante d’italiano e rettore del
seminario di Pune è P. Raffaele Manenti, dal 1998 al 2005. Veniva dalla
Thailandia dove era stato per 11 anni dal ’87 al ’98. È comprensibile
quindi che sia tornato in Thailandia.
L’ultimo a tentare è stato P. Simone Caelli arrivato nel 2005 per
studiare Storia del Cristianesimo all’università di Chennai appoggiandosi al nostro seminario... Nel 2010 è andato nelle Filippine.
Possiamo anche accennare ad alcuni padri del Bangladesh che
sono venuti spesso in India alla ricerca delle radici culturali del Bengala come P. Arturo Speziale, P. Nicola Manca che è venuto in India a
partecipare e ad organizzare viaggi e convegni di dialogo interreligioso, P. Giovanni Belloni come pellegrino in vari ashram e per ricevere la diksha nell’ashram di Shantivan da P. Bede Griffith.
La domanda che ci facciamo ora è: perché tutti questi non hanno
voluto o non sono riusciti a rimanere in India?
Non si vuole fare un processo a nessuno, ma se qualcuno di quelli
menzionati volesse intervenire per chiarificare, per suggerire, per in30
dicare come sarebbe possibile mantenere l’internazionalità in India,
penso che i superiori gradirebbero i loro contributi.
Da parte mia ripeto un suggerimento di cui avevo già parlato e
scritto tempo fa su Inforpime: tutti i nostri aspiranti missionari dovrebbero scegliere, appena entrano nel Pime, una missione o una nazione per diventare un esperto e un appassionato della missione in
quella nazione, deciso a spendere la vita per entrarci e per rimanerci
a qualsiasi condizione. Se uno fa una scelta simile, prima o poi troverà
anche la via ed il modo per realizzarla. Siamo in pochi e dobbiamo
specializzarci, i missionari “tuttofare” finiscono per non far niente.
...Tra poco sarà tempo di lasciare la Guinea-Bissau; abbiamo avuto l’occasione, la fortuna di vivere qualche settimana in alcune realtà che, se pure con interessi diversi
– salute, educazione, sviluppo rurale, pastorale, ecc. –
operano in questo paese. Francescani, Oblati, Consolata,
Pime, Giuseppini... con loro abbiamo condiviso il lavoro, il
cibo, la preghiera, il pensiero, il clima, constatando con
quanta dedizione e sacrificio coltivino quotidianamente la
loro vocazione accomunati nello sforzo di diffondere il
“seme” con l’unica loro speranza che non vada tutto disperso sulla strada, tra i rovi, soffocato dalla mala erba o
mangiato dagli uccelli. “Vi mando come agnelli tra i lupi”,…
Non abbiamo visto nessuno appartenente a questo genere
di fauna… abbiamo però constatato le numerosissime sette
religiose che sorgono in ogni angolo della città e dei villaggi
disgregando gli stessi nel loro tessuto comunitario; la criminalità senza scrupoli legata al diffondersi della droga,
malattie un tempo sconosciute, perdita del senso della famiglia: missionari e missionarie sono chiamati a fronteggiare anche questi nuovi fenomeni sociali con infinita
pazienza e fede.
Daniele Romelli, tecnico, collaboratore dei missionari,
postato su Facebook il 17 novembre 2013. Grazie!
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Come una lanterna viva...
Tommaso Ricci, papà adottivo di Govindo
Il testo che segue è stato proposto a InforPime dal nostro confratello
Padre Giovanni Musi. Si tratta del discorso tenuto da un papà durante il funerale di Govindo, suo giovane figlio adottivo venuto
dall’India, affetto da una malattia rara che gli impediva di crescere
e preso in adozione proprio per questo. È un testo di straordinaria
sensibilità e intensità e si riferisce a opere della misericordia collegate con l’evangelizzazione. Anche per questo sembra importante
che queste cose siano conosciute e apprezzate anche da tutti noi
missionari: non siamo soli, ma attorno e assieme a noi succedono,
nel bene, cose inimmaginabili.
Siete venuti in tanti a onorare mio figlio e allora, sfidando le lacrime in agguato e la voce malferma, voglio dirvi qualche parola al
cospetto di Govindo.
Quella di Govindo è stata una storia avventurosa, drammatica,
bellissima e misteriosa. E interrogando questo mistero in questi giorni
mi si è fissata in cuore l’immagine, indelebile, di venerdì scorso, il
giorno della sua morte: tutta la mia famiglia in ginocchio, in lacrime
e in preghiera, attorno al letto di Govindo che ci lasciava. Ecco dunque
una prima risposta, un primo pezzo di quel mistero: Govindo, come
una lanterna viva, ha tenuto insieme la mia famiglia.
Poi in quella stessa immagine ho visto anche un piccolo patriarca
che, dal suo letto di morte, con i suoi occhi da bambino posati su di
noi benché mezzi nascosti da una maschera ad ossigeno non adatta
per il suo piccolo viso, diceva: “Vi ho rifornito di amore fino ad oggi,
continuerò a farlo anche dopo”. È per questo che non di strazio vi voglio parlare, ma di gratitudine. E ho tanti “grazie” da dire.
Innanzitutto grazie a Te, Signore della vita, che hai chiamato all’esistenza Govindo. Senza di Te, Govindo non poteva esserci. Tu gli
hai disegnato un destino pieno di sorprese, scritto con tante matite
colorate, con tante persone.
E ci hai anche ridetto attraverso di lui il Tuo sistema preferito, il
Tuo trucco per farti trovare: Tu nascondi le gemme più preziose della
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Tua creazione in involucri da poco (anche se Govindo era bellissimo),
poveri, fragili, malati. In involucri spesso rifiutati. Come disse la sister
all’orfanotrofio a Calcutta a mia moglie Marina: “Non prendete un
bambino sano, prendete uno di quelli che nessuno vuole”. E che affare
abbiamo fatto! Grazie, Signore.
Grazie alla Madonna, che in tutti questi anni, densi di problemi
e di tribolazioni, che non sono mancate, e anche di gioie e di allegria,
non ci ha mai fatto mancare nulla, ha tenuto tutta la mia famiglia
sotto il Suo manto protettivo. Ci tengo a ringraziarla qui, in questa
chiesa dedicata alla Vergine del Carmelo, alla Madonna della Traspontina, di cui sono devoto perché è la mia parrocchia. E, dovete sapere,
che Govindo ha avuto un’apparizione di questa venerata Madonna.
Qui devo aggiungere un grazie a Mario, membro della Confraternita
dello scapolare, che ogni anno porta in processione nel quartiere di
Borgo la bella statua della Madonna che vedete nella Cappella lì a sinistra. Bene, non posso dimenticare quella volta che Mario fece fermare la Madonna sotto casa mia, abitiamo al primo piano, perché
vide da sotto Govindo affacciato in braccio a me. E così la Madonna
ci ha salutato appena fuori della finestra, ci ha quasi guardati in faccia
e ci fu uno spontaneo applauso dei fedeli in processione. Non posso
dimenticare questo gesto di benevolenza. Dunque grazie a Mario, che
conosco appena di vista e grazie alla Vergine Maria.
Govindo ha avuto tanti amici. Lo vediamo anche oggi in questa
chiesa così piena. Ma oggi si prega per lui in varie parti del mondo, a
Buenos Aires, a Gerusalemme, a Calcutta, a Milano. Anche in Africa
e perfino in Cina. Per tutti ne voglio ringraziare alcuni: il Coro che ha
addolcito questa liturgia. Grazie. Gli amici della prima ora – come la
nostra padrona di casa, Paola, che nei primi tempi, quando io e Marina dovevamo lavorare, ha portato con la sua macchina Gogo a riabilitazione, grazie Paola – e quelli dell’ultima ora, come don Mario, il
sacerdote che abbiamo chiamato venerdì per l’Estrema Unzione e lui
invece ha proposto di cresimarlo, regalando così a Govindo una madrina in extremis come Sister Elena, che si trovava lì al capezzale ed
è stata nominata lì, sul campo. Grazie, don Mario. E poi tanti amici
non solo miei e di Marina, ma anche dei miei figli, i quali hanno esibito sempre Gogo come una medaglia e l’hanno fatto conoscere a tutti
i loro amici, che ora vedo qui. Grazie. E poi grazie a voi colleghi di lavoro, miei e di Marina, che in questi anni mi avete spesso chiesto
come stava Gogo, che in questi giorni mi avete inondato di sms (ho
cercato di rispondere a tutti). In ogni messaggio c’era una stilla di affetto sincero. Vi ringrazio.
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Govindo, appunto Gogo, è arrivato in una famiglia numerosa,
ma era anche circondato da famiglie numerose. Perciò ha avuto tanti
parenti. Troppi per menzionarli tutti. Ma qualcuno lo voglio ricordare,
innanzitutto le due nonne: la nonna Liliana che lo ha preceduto qualche mese fa andando a fare un picchetto d’onore di famiglia in Paradiso, e la nonna Klara, che è qui, e ha condiviso fino all’ultimo le ansie
e le gioie di Govindo. Gli zii li salto perché sono troppi, così anche i
cugini.
Voglio invece spendere due parole sui nipotini di Govindo, i figli
dei cugini nati in questi dodici anni e che guardavano questo strano
bambino che non cresceva, che restava sempre uguale mentre loro
ogni anno diventavano più grandi; che non mangiava per bocca come
loro bensì tramite un tubo; che, negli ultimi anni, aveva anche un po’
di barba ma una corporatura più piccola della loro. Facevano, all’inizio, timorosi, qualche domanda perplessa, poi, alla fine, Gogo è diventato per tutti una presenza familiare su cui riversavano il loro
affetto di bambini. Grazie ai nipotini di Bruxelles e di Milano.
Da ultimo grazie a mia sorella Margherita e a suo marito Maurizio, a Nicola e Gigina di Gallipoli per essersi assunti davanti alla legge
l’impegno di occuparsi di Govindo nel caso della scomparsa dei suoi
genitori adottivi. Grazie anche a voi, senza le vostre firme Govindo
non sarebbe arrivato.
Govindo – lo abbiamo sentito nell’omelia di padre Bernardo – ha
avuto tante mamme. Quella Celeste l’ho già ringraziata. Voglio qui ringraziare la mamma carnale, che io non conosco. Tu hai abbandonato
tuo figlio, sicuramente in preda all’angoscia, non so perché, forse la
malattia incurabile, d’altra parte in India con un sistema sociale così
diverso dal nostro… forse altro. Non so, forse ci pensi ancora. Sicuramente ti è costato molto. Grazie perché non lo hai soppresso, lo hai
dato a chi poteva farlo vivere. Stai sicura che Gogo ora pensa anche
al tuo bene e anche noi preghiamo per te.
E qui siamo arrivati ad una mamma potente, madre di tantissimi
figli, come Madre Teresa. Cara Madre, ti devo delle scuse perché in
questi giorni d’intenso dolore in cui ho pregato tanto ed ho chiesto di
pregare perché Govindo ci fosse risparmiato, mi sono sentito un po’
in conflitto di preghiera con te. Ho infatti avuto il sospetto che tu invece pregassi perché avevi voglia di tornare a giocare con lui come accadeva nell’ultimo anno della tua vita, quando Govindo
all’orfanotrofio era diventato un po’ la tua mascotte. E ho immaginato
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che in Cielo si fosse aperto un arbitrato, quale preghiera deve vincere?
Naturalmente non c’è stato nessun arbitrato e le tue preghiere hanno
vinto perché tu, Beata, conosci il vero bene delle persone e di Govindo.
Un bene che ha come misura l’infinito Bene e che spacca, supera,
i criteri umani, anche quelli buoni e sinceri dei nostri affetti più profondi. Grazie Madre a te ed alle tue figlie che hanno voluto tanto bene
a Govindo, da Sister Shanta che lo imboccava col riso all’orfanotrofio
di Shishu Bavan a Sister Elena madrina di Cresima.
Ultima mamma è arrivata Marina, mia moglie. Grazie Marina!
Questa parte della storia di Govindo è iniziata con te, nel novembre
di 14 anni fa quando hai incontrato Govindo a Calcutta, dove ti aveva
mandato il tuo direttore per un servizio su Madre Teresa – grazie
anche a te direttore, sei stato strumento inconsapevole, se non avessi
inviato Marina Govindo non sarebbe arrivato –. Da uno di quegli
slanci del tuo cuore generoso, che ho imparato ormai a conoscere in
questi quasi trenta anni di matrimonio, è fuoriuscito quello sguardo
d’intesa tra te e Govindo che è all’origine del suo arrivo nella nostra
famiglia. Ho conosciuto poi da vicino le tue angosce, le tue premure,
le tue tenerezze, le tue fatiche di mamma. Grazie, Marina, per tutto
questo.
In appendice a Marina non posso non ringraziare i miei splendidi
figlioli, la vice mamma Maria, la primogenita, che ha accudito il fratellino quando papà e mamma erano al lavoro e le donne erano di riposo. A proposito, grazie anche a loro, a Nella, Marya, Dorina, Halina;
grazie alla assennata Angela che, a differenza di tutti noi, si è assunta
l’onere di fare le punture di antibiotico nel corpicino gracile del fratellino in questi ultimi giorni. Noi non osavamo, lei ha preso il coraggio a due mani e le ha fatte; grazie a Cristina, che è stata la cantante,
la fotografa, lo vestiva per le foto, e quindi è stata modista per Gogo;
grazie a Luigi, il compagno prediletto di giochi.
Da ultimo un doppio grazie a te, figlio mio. Mi hai fatto sentire
un papà prescelto da Dio stesso, mi hai fatto sentire un papà migliore
di quello che ero, non mi hai mai lesinato un sorriso, mi hai sempre
cercato con le tue braccia, ti sei sempre avvinghiato al mio collo,
anche quando non ero d’umore giusto. Mi hai reso, insieme coi tuoi
fratelli, un papà felice. Grazie figlio mio.
Il secondo grazie te lo preannuncio soltanto. La mia anima così
appesantita da peccati, incoerenze, aridità, non può competere con la
tua, così pura, limpida, innocente e perciò vicinissima a Dio. Però ho
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ancora una carta da giocare, sono tuo padre, mi devi l’obbedienza.
Ti chiedo perciò di aiutarmi a trasformare, d’ora innanzi, questo vuoto
che ci annichilisce, vero Marina?, in qualcosa di buono, in una nuova
forma di quel bene che tanto ci hai regalato. Tu sei un figlio buono e
so che lo farai. E io allora verrò a dirti il mio secondo grazie, quello
definitivo, di persona, quando Iddio vorrà. Ciao figliolo amato.
Carissimo padre Ermanno,
ti scrivo perché questa ieri sera e questa mattina (favorito
anche da un incidente al computer) mi sono letto buona parte di
InforPime di dicembre e sento proprio il piacere e il dovere di
complimentarmi con te e i tuoi collaboratori. Il bollettino è diventato una rivista del Pime e sul Pime, veramente fatta e scritta bene,
con tanto materiale, notizie confidenze e storie di missionari che
oggi non si trovano da nessun’altra parte, anche perché i missionari scrivono poco o almeno molto, molto meno di una volta. Ad
esempio, questa volta, la bella storia di padre Giulio Mariani raccontata da lui stesso, dove si vede che il buon Dio ci prende per
mano e ci guida proprio tutta la vita. E poi le testimonianze di altri
missionari (i due consiglieri generali, altro esempio), che “tirano
su il morale”, come mi dice un confratello.
Tu adesso svolgi un’opera di animazione missionaria fra i
missionari e spero anche tra i nostri seminaristi, indispensabile
per ciascuno di noi, che dobbiamo essere altrettanti testimoni
della bella e gloriosa Tradizione pimina di missionarietà e di santità. Ciascuno di noi deve ripetere quel che ha detto recentemente
Papa Francesco: “Io conto poco e valgo poco, ma parlo in nome
di Gesù Cristo il Salvatore”. Proprio lui che alla domanda “Chi è
lei?” di padre Spadaro, ha risposto: “Io sono un peccatore”. Partendo da questa identità che ci accomuna tutti, anche noi, piccoli
e poveri, facciamo il nostro cammino verso il Paradiso. Infor Pime
è una delle stelle che ci guida per farci ritrovare la giusta via che
riporta a Gesù. Grazie ancora e Buon Anno dal tuo padre Piero
Gheddo.
Grazie, P. Gheddo! Questa lettera, abbastanza personale,
è pubblicata unicamente nella speranza che sia di incoraggiamento a scrivere le cose grandi e belle che Dio opera anche in
ciascuno di noi e per mezzo nostro, perché sono seme di entusiasmo, di desiderio di fedeltà e anche di vocazioni...
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Sarà come se Dio cullasse mio figlio…
Lettera di P. Paolo Ballan (Bangladesh, ora nella D.G.)
Congratulazioni, Padre Paolo, per quello che questa mamma ti ha
detto: “Padre lo tenga tra le sue mani sarà come se Dio cullasse mio
figlio tra le sue braccia”. Incredibile quello che persone semplici e
buone sono capaci di scoprire! Davvero: “Beati i puri di cuore!...”.
E anche grazie per avercelo raccontato, perché resta una giusta
sfida per ogni missionario: quello di essere per tutti nient’altro che
un’immagine di Dio. Più autentica possibile.
Roma, 20 dicembre 2013
Carissimi,
scrivo questi auguri di Natale a tutti voi con un po’ di malinconia
per la mia missione in Bangladesh. In questi giorni mi capita di immaginare il lavoro e l’attesa che sempre ha accompagnato il periodo
di Avvento a Mirpur. Un tempo denso di impegni nella preparazione
della novena di Natale, della festa pre-natalizia del 16 dicembre, il lavoro per decorare la Chiesa e il compaund della parrocchia ed infine
le celebrazioni del Natale, con incluso la festa del 31 dicembre, del
primo gennaio e dell’Epifania.
Tutta questa attività mi manca un po’, anche se quest’anno il mio
avvento si è caratterizzato delle visite fatte alle missioni del Pime in
Amapá ed ad alcune del Brasile Sud. Altro clima, ma anche qui si è
percepita la voglia di Natale, ovvero il desiderio che Gesù possa essere
scoperto, incontrato e abbracciato. Natale ci mette davanti agli occhi
la tenerezza straordinaria di Dio che si fa “impotenza” come quella di
un bambino appena nato, ma che attrae per essere abbracciato come
ogni neonato esige e chiede a chi lo ama.
Sento ancora la forte emozione che provai nel tenere in braccio
un bambino nato da due ore che la mamma mi ha messo nelle mani:
“Padre lo tenga tra le sue mani, sarà come se Dio cullasse mio figlio
tra le sue braccia”.
Queste commoventi parole di quella giovane mamma bengalese
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mi si sono impresse nel cuore. “Sarà come se Dio cullasse mio figlio
tra le sue braccia”. Qui sta tutto il segreto e la gioia della missione e
del sacerdozio. Permettere alla gente di sentire che Dio vuole cullarli,
prendersi cura essere loro vicino (Gesù è l’Emmanuele = Dio con noi).
Essere questo segno di Dio in mezzo alla gente è ciò che ho visto
palpitare nel cuore dei miei confratelli in missione nell’Amapá e in
Brasile Sud. Questo è sempre stato il mio desiderio mentre ero in
mezzo alla mia gente a Mirpur.
Natale è scoprire di essere coccolati da Dio che si è fatto presenza
in mezzo a noi, ma è anche l’incredibile scoperta che Dio si è fatto
neonato nel suo figlio Gesù per consentire a noi uomini di coccolarlo
tra le nostre braccia.
Un cuore umile e misericordioso vale, davanti
a Dio, più di qualsiasi opera umana, fosse anche
la costruzione della più grande e bella cattedrale.
La nostra vita ha senso quando amiamo Dio
con tutte le nostre forze, ci lasciamo amare da Lui
e con Lui collaboriamo in ogni bene.
Chi fa il bene è una immagine di Dio su questa terra. Non deve aspettarsi la riconoscenza
degli uomini, ma Dio lo ama perché vive in Lui.
La vita di ogni uomo è fatta di giorni: se
ognuno di essi è gradito a Dio, vale la pena vivere.
Ogni giorno della nostra vita è un’opportunità
unica e irripetibile per costruire qualcosa di bello
per Dio e per l’umanità, con la preghiera, l’esempio, le parole e le opere.
Ragionamenti di un missionario anonimo
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“Voi siete il nostro Gesù della strada”
Lettera di P. Maurizio Bezzi (Cameroun)
Questa lettera, pur così breve, è un vero gioiello. Certo, tutto il bene
o il male che avremo fatto a uno dei piccoli di questo mondo, lo
avremo fatto a Lui. E già questo è uno di quei pensieri che, a chi li
prende sul serio, cambiano la vita. Ma in queste poche righe c’è
un’altra verità, ed è questa meravigliosa frase: «“Voi siete il nostro
Gesù della strada” ci diceva un giorno Gol con gli occhi spalancati
e un bel sorriso». È certamente eroico chiedere a Gesù la grazia di
dargli testimonianza fino a morire per lui. Ma forse più eroico ancora è la volontà di essere “il Gesù degli altri uomini”, per emarginati che siano, sulle strade della vita. Se noi missionari non siamo
anche questo, cosa siamo?
Yaoundè - Cameroun, Natale 2013
Carissimi amici,
“Dio ci è diventato così vicino che Egli stesso è un uomo: questo
ci deve sconcertare e sorprendere sempre di nuovo! Egli è così vicino
che è uno di noi” (Benedetto XVI).
Guardando l’esperienza vissuta quest’anno direi proprio che questo fatto “Dio con noi” non finisce mai di sorprenderci.
La vita al Centro Edimar è ricca di testimonianze che altro non
sono che il dilatarsi di una Presenza che agisce attraverso la nostra
unità e la nostra povertà umana. Siamo spesso testimoni impotenti
di un grido di dolore che chiede di essere accolto e offerto al Padre
che ci ama.
È il grido di giovani che vedono la vita scappar loro di mano
dopo anni, a volte decenni, vissuti nel vuoto e nella violenza della
strada e della prigione.
È il dramma di persone che si chiedono: “Dov’è la vita che,
vivendo, abbiamo perso?”.
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Papa Francesco nella Lumen Fidei (53) ha scritto: “La fede non
è un rifugio per gente senza coraggio, ma la dilatazione della vita”.
Il coraggio di stare di fronte a tanto dolore. Il coraggio di prendere
un ragazzo per mano, tirarlo fuori dal branco che lo disumanizza e, tra
la sorpresa generale, metterlo di fronte alla verità di sé che sua madre gli
rianima all’altro capo del telefono, magari a più di 1000 Km. di distanza.
Bill ha colto bene la nostra posizione e la proposta che ne deriva
quando, pensando alla sua storia piena di odio contro tutto e tutti,
constatava che l’esperienza vissuta con noi l’ha aiutato a riconciliarsi
con se stesso e a intraprendere un cammino positivo.
Ola, invece, ha vissuto un travaglio di 3 anni. Ci ha guardati, sfidati, ascoltati, prima di decidere di consegnarci il “macete” col quale
avrebbe voluto vendicare quella ferita inguaribile inflittagli al braccio
sinistro: “Perdono, non mi vendico più – ci ha detto con le lacrime
agli occhi –. Adesso mi sento più leggero. Libero”.
Tempo fa, durante l’assemblea settimanale, avevamo scelto come
tema la frase del Vangelo: “Conoscerete la verità e la verità vi farà liberi”. Iba che da anni frequenta il Centro ha detto in modo lapidario:
“Senza educazione non si può gustare né la verità né la libertà”.
L’emergenza educativa è sempre di attualità.
Pat ha vissuto i suoi 12 anni di vita avventurosa tra la strada, le
bravate e la prigione, coronati, però, da un immenso regalo: vedendolo arrivare da lontano quasi raccogliendo le forze che gli restavano,
suo padre gli è corso incontro e l’ha abbracciato. La suora che ha assistito alla scena non ha potuto che pensare alla bella parabola del figlio prodigo attualizzata.
Queste e tante altre sono le sorprese che Dio suscita tra noi, incoraggiandoci in un’avventura certamente non facile, ma sempre bella
e appassionante.
“Voi siete il nostro Gesù della strada”, ci diceva un giorno Gol
con gli occhi spalancati e un bel sorriso.
Il nostro desiderio è di essere sempre all’altezza di questa grande domanda che i ragazzi di strada e tutti coloro che incontriamo manifestano.
A tutti un carissimo saluto. Auguri. E grazie.
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Con fede concreta e integrità umana
Lettera di P. Giosuè Bonzi (Hong Kong)
Questa lettera è una breve sintesi di un enorme complesso di attività, tutte a favore di nostri fratelli che hanno un posto solo nel
cuore di Dio e in quello di quegli uomini... diversamente misericordiosi, fatti davvero a sua immagine. Grazie, P. Giosuè! Ci hai
ricordato che l’evangelizzazione ha, come primo attore, Dio stesso,
che indica a ciascun missionario disponibile nelle sue mani, quale
testimonianza e attività concreta desidera e si aspetta da lui. Così,
per opera sua, anche il prendersi fraternamente cura di quelli che
la società distrattamente considera “ultimi” diventa, per chi ha
occhi per vedere, vera e propria evangelizzazione e invito ad allargare gli orizzonti del proprio cuore...
Hong Kong, Natale 2013
Carissimi tutti,
sono lieto di farvi partecipi degli eventi che più mi hanno coinvolto nei tre mesi appena trascorsi. Con voi ringrazio il Signore per la
salute sempre buona, entro i limiti dei quasi settantaquattro anni
d’età, e per la permanente disponibilità a “uscire” e ad “andare” per
farmi evangelizzare e condividere con tutti la Buona Notizia che il
Padre ci conosce e ci ama così come siamo, per condurci verso la pienezza della Vita. I più deboli e i più “piccoli” sono ottimi compagni di
viaggio e di avventura. Un Papa, che, fedele al nome scelto e che ogni
giorno dimostra di essere tutto sbilanciato in favore di questi ultimi,
con gesti e parole di estrema concretezza, regala una provvidenziale
spinta e un quotidiano incoraggiamento.
Ringrazio di cuore tutti quelli che ho potuto incontrare nel mesetto trascorso, tra settembre e ottobre, in Italia. Trovare la propria
casa natale chiusa e fredda non è il massimo dei conforti, ma è davvero
bello abbandonarsi al Padre che si prende cura di alimentare i passerotti e di vestire i gigli, e trovare a San Giovanni Bianco e in Val Brembana e Taleggio, a Diano Marina, a Sotto il Monte, a Milano, a Busto
Arsizio, in quel di Bergamo, in quel di Biella e in altre località, sempre
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una porta che si apre, un’accoglienza sorridente, un piatto fin troppo
invitante (ciao dieta!)… è stata un’esperienza troppo bella. Grazie! Ho
trovato l’unica sorella che mi è rimasta e il marito sempre vivaci a dispetto delle novanta primavere o poco meno; i due fratelli ultraottantenni con non pochi malanni da affrontare ogni giorno, ma allietati
dalla vivacità delle famiglie che crescono attorno a loro; ho fatto visita
alle tre sorelle nei rispettivi cimiteri dislocati in tre regioni (Lombardia,
Piemonte, Liguria) e l’incontro con il vivacissimo Filippo, il quarto
della quarta generazione, e con Matteo, il trentunesimo dei pro-nipoti
(se non vado errando nel conteggio...) che sta crescendo bene nel
grembo di Sonia e di cui la tecnica moderna mi ha svelato il visetto di
allegro nuotatore. Tutti loro mi hanno fatto apprezzare la bellezza misteriosa del ciclo della Vita nella sua estensione che non si blocca in
una tomba o in un grembo materno, ma vola in direzione dell’Eterno.
Macao, SAR (Special Administrative Region della Cina),
11-12 Ottobre
Dopo solo due giorni dal mio ritorno a Hong Kong, accompagno
tutti i membri delle quattro Case Famiglia della Fu Hong Society
(FHS), compresi molti volontari, a Macao per uno scambio con la locale FHS e per celebrarne il suo Decimo Anniversario. Ne visitiamo i
tre centri che offrono attività lavorative per portatori di varie forme
di disabilità: attività diurne per persone adulte con handicap intellettuale e assistenza a ex pazienti di ospedali psichiatrici per il loro pieno
reinserimento nella comunità. Condividiamo momenti di mutua conoscenza e di gioiosa fratellanza, illustrando il progetto della Fuhong
Casa Famiglia. Trascorriamo la notte in un’accogliente casa di ritiri
spirituali, localizzata in una baia incantevole sull’isola di Coloane, e
il mattino seguente celebro la S. Messa con la partecipazione di tutti,
mettendo in risalto la spiritualità che anima e guida il nostro stare insieme come membri di una vera famiglia.
St. Paul’s House of Prayer, Nuovi Territori, Hong Kong,
4-8 Novembre
Partecipo con diversi confratelli del PIME agli Esercizi Spirituali
Annuali per Sacerdoti e Diaconi della Diocesi di Hong Kong, con la
presenza del Vescovo, il cardinale John Tong, predicati dall’arcivescovo
di Manila, cardinale Antonio Tagle, che ci guida in modo magistrale,
coinvolgente e vivacizzato da saggio umorismo, con abbondanza di
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fatterelli ed esempi concreti, nella meditazione sul tema della Nuova
Evangelizzazione, intesa soprattutto come Nuova Trasmissione della
Fede in un mondo caratterizzato dalla cultura del postmoderno, in cui
l’uomo contemporaneo si trova ad affrontare situazioni di volatilità,
incertezze, complessità e ambiguità. Come preti, siamo chiamati a vivere con fede concreta e integrità umana, personale e relazionale. E il
card. Tagle l’ho visto come uno che, ferrato e preparatissimo nella dottrina, abile nel comunicare, con umiltà e semplicità disarmante, testimonia nel tratto concreto della vita quanto insegna a parole.
Cambogia,
19-26 Novembre
Lo scorso marzo avevo iniziato l’impegno preso con il direttore
di New Humanity (NH) di trovare delle persone qualificate e con
grande esperienza nel campo della riabilitazione e assistenza di portatori di disabilità fisica e intellettuale, disposte a spendere tempo
nella formazione professionale del personale locale di NH, accompagnandovi la D.ssa Eria Li, che conosco da 30 anni nella FHS, e facendo con lei un primo studio delle attività svolte da NH in Cambogia.
Grazie soprattutto all’impegno entusiastico di Eria, è stato possibile
reclutare tre specialiste nel campo dell’assistenza sociale, della terapia
occupazionale e della terapia del linguaggio. Lo scorso mese sono ritornato là per rivedere assieme alla Missionaria Laica Cristina Togni,
che vi lavora da 17 anni, i vari servizi nelle zone di Kandal e di Kompong Chhenang, preparando il terreno per l’arrivo, nelle settimane
successive, delle specialiste Eria Li, Polly Yeung, Ho-Yan e Margaret
Pang che hanno fatto, e due stanno ancora facendo, un lavoro magnifico, con dichiarata soddisfazione degli operatori locali e del coordinatore di NH, Santiago De Col.
Macao, Fu Hong Society
Decimo Anniversario, Due Giorni di Studio,
28-29 Novembre
Presentazione di un certificato di gratitudine ai relatori provenienti da università di Macao, Hong Kong, Nanjing (PRC) e Taipei
(Taiwan). Il tema era: “L’inclusione delle persone con disabilità nel
mondo del lavoro e nella comunità”.
Francio Mak, dopo una vita spesa come impiegato del Caritas
Medical Centre, dove sono stato cappellano per 12 anni, godendo della
sua assistenza nelle attività liturgiche della cappella, andato in pen43
sione, partecipa da 10 anni nella conduzione della Casa Famiglia Concordia come “Elder Brother” (Fratello Maggiore), risiedendo nella
stessa casa anche di notte, eccetto il sabato-domenica quando presta
servizio nella parrocchia di San Lorenzo, dove io celebro le Messe festive, prestando servizio come Ministro Straordinario dell’Eucaristia
e portando la Comunione a domicilio a una trentina di malati, spendendo buona parte della giornata festiva.
Questo piccolo “grande” uomo è stato insignito recentemente, in
una cerimonia pubblica, del titolo di “Outstanding Volunteer” (Volontario Eccezionale). Siamo tutti felici di questo fratello nato piccolo di
statura fisica, ma cresciuto come un gigante nella statura umana, spirituale.
Serata di Premiazione di “AsiaTV (ATV) 2013 Hong Kong Loving
Hearts” (Le dieci Persone il cui Amore disinteressato ha
maggiormente toccato la comunità di Hong Kong nel 2013),
30 Novembre
Uno dei dieci premiati in televisione al termine di questa campagna lo scorso anno era stato un mio confratello del PIME, P. Franco
Mella, da sempre pubblicamente alla ribalta sul fronte dei diritti umani,
con impegno quotidiano al fianco dei più deboli e delle vittime del potere costituito e in scioperi della fame e dimostrazioni varie. In primavera, quest’anno, alcuni amici, in particolare Giuseppe Salaroli detto
Pippo, mi hanno fatto pressione perché accettassi di essere nominato
come uno dei candidati nella campagna della ATV. Solo dopo le suppliche insistenti dei genitori dei nostri amici con handicap e di alcuni
membri della FHS, ho deciso di farlo per il bene della nostra causa comune a favore dei più deboli, diedi il consenso. I “nominati” erano inizialmente più di cento. In agosto una troupe della ATV venne ad
intervistarmi, in cinese-cantonese, qui all’Encounter Casa Famiglia. Nel
frattempo l’ufficio centrale della FHS aveva consegnato agli studi televisivi diverso materiale fotografico, alcuni video degli anni passati e documenti storici dell’archivio. Poi venni invitato negli Studi della ATV
per la registrazione di una intervista, alla presenza di una giuria composta da tre donne, un uomo e un pubblico di giovani. In settembre,
mentre mi trovavo in Italia, la televisione mandò in onda le nostre storie
registrate invitando i telespettatori a registrarsi e a votare le storie per
loro più toccanti. Mi comunicarono che la mia storia era stata la più
votata ed ero entrato nel gruppo ristretto dei primi trenta. Quando in
ottobre rientrai in Hong Kong, fui subito pressato per un’altra registra44
zione con gli altri ventinove selezionati negli studi televisivi, alla presenza di una giuria più vasta e della stampa. Ognuno di noi, sempre in
cantonese, doveva salire sul palco e spiegare i motivi e sentimenti del
suo impegno di amore verso il prossimo. Ci fu consegnato un certificato, firmato dal chairman del Legislative Council (Parlamento della
Regione ad Amministrazione Speciale) di HK. Poi andarono in onda
per due settimane le nostre 30 storie con l’invito a votare. Intanto io ero
di nuovo fuori HK, in Cambogia. Al ritorno dovetti nuovamente andare
negli studi televisivi e spendere quasi cinque ore, con prove, consegna
dei due biglietti aerei della Cathay Pacific da usare entro un anno solo
in Asia, cena e dalle 19:30 alle 22 in diretta TV per la premiazione, alla
presenza di tante autorità politiche e personaggi della cultura e dello
spettacolo. Quelli della ATV, lo scoprii solo mentre ero in diretta, avevano fatto un patto di farmi una sorpresa, tenendomi all’oscuro del fatto
che ero tra i primi dieci (mi diranno poi che avevo avuto la votazione
più alta) e che al momento della premiazione entrava in scena un
gruppo di portatori di handicap mentale di un centro della FHS, con
un lumino elettrico in mano, cantando una canzone cantonese che
canto spesso anch’io perché, significativamente, invita ad accendere
una piccola luce e a condividerla, dandosi la mano, con gli altri.
Sono lieto che la faccenda sia andata a buon fine e che, richiedendo un po’ d’umiltà nel mettere in mostra le proprie difficoltà di
udito e di padronanza della lingua, il ritorno è una testimonianza, piccola ma valida, anche a nome di tutti gli altri missionari, del clero e
dei fedeli di HK, che la Chiesa non è per il potere, ma per il servizio:
quotidiano, semplice e concreto, al fianco di chi potere non ha.
Nanjing Fangzhou (Arca di Nanchino),
Inaugurazione Ufficiale del nuovo “Sunshine Center”,
18 Dicembre
Il 27 novembre, a Macao, incontro Sr. Maria Zheng, la direttrice
dell’Arca di Nanchino che mi porge l’invito ufficiale, a nome del vescovo della Chiesa Ufficiale di Nanjing, e delle autorità dell’Arca, di
partecipare alla cerimonia di inaugurazione del nuovo centro il 18 dicembre 2013.
Faccio un salto di tre giorni a Nanchino e rivedo con gioia portatori di handicap mentale, operatori e volontari. Il centro, in operazione da un mese circa, ospita cinquanta allievi diurni e circa
quaranta residenziali.
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Nel pomeriggio vengo accompagnato alla città di Changzhou, a
120 Km. da Nanjing, dove incontro uno dei due giovani preti e una
delle suore incaricati della pastorale in quella città in grande espansione, per vedere due nuove chiese, in stile modernissimo, non ancora
completate, una delle quali emerge dalle acque, come l’Arca di Noè.
Unito a tutta la mia gente qui attorno, auguro a tutti Buon Natale
e un Anno Nuovo ricolmo della Gioia del Vangelo!
Frammenti di un altro mondo
Gesù è mediatore, cioè sta nel mezzo, tra questo mondo e il
mondo di DIO. Dunque bisognerà fare attenzione a tutto ciò che
dice. Alcune affermazioni sono molto comprensibili, perché fanno
parte del nostro mondo, ma altre sono come lampi da un altro
mondo, e proprio perché di breve durata, possono passare inosservate. E invece sono utilissime per penetrare un po’ il mondo divino per il quale siamo stati creati.
Sono sprazzi di luce che meritano di essere accolti, e da cui
si può tentare di andare oltre, sapendo che il mondo da cui provengono è infinitamente vasto e luminoso. Gesù un visionario:
esattamente, ma un visionario che coniuga mirabilmente il nostro
mondo con l’altro mondo, vede l’uno e l’altro.
“Voi che siete cattivi” (Lc 11,13): meraviglioso! Gesù fa un
confronto tra i padri del suo tempo e il Padre suo. La differenza è
tale per cui Gesù non dice che il Padre celeste è “più buono” degli
altri padri, ma la bontà di DIO Padre è talmente grande che, in
confronto, la bontà degli altri padri è cattiveria. Questo non lo abbiamo mai pensato. E questo è solo un saggio di come vede Gesù
la realtà. Occorre utilizzare questo criterio per valutare tutto. Gesù
apprezza la realtà quotidiana, ma nello stesso tempo vede (= ha
esperienza) un’altra Realtà, talmente luminosa che quasi oscura
la nostra realtà. E non ha timore di chiamarla con il suo nome,
non per disprezzo, ma perché è tale. A noi suona come una svalutazione del nostro mondo. Invece dovremmo essere molto cauti.
Noi non sentiamo il peso della realtà divina, per cui sopravvalutiamo questo mondo. Viviamo in una illusione continua. Gesù è di
qua e di là dal confine, noi siamo solo di qua. Tutti.
P. Silvano Magistrali
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Fare spazio a Lui...
Lettera di P. Fernando Cagnin (Cina)
Una lettera breve e semplice, ma che ci ricorda una verità fondamentale: “Gesù ci ha amati e salvati non con un’idea, ma facendosi
uomo”. Anche noi missionari, se vogliamo essere davvero Suoi discepoli e Suoi testimoni, non possiamo che essere come Lui: uomini perfetti che non vanno incontro ad altri uomini solo con idee
e precetti, ma prima di tutto donando se stessi nell’attenzione agli
altri, nella benevolenza e nell’edificazione.
Cina, Natale del Signore 2013
Carissimi Amici, Buon Natale!
Mi attrae tanto l’atmosfera festiva di fine d’anno! A ripensarci,
ho un grande interrogativo: ai nostri tempi, in cui sembra che sia stata
freddata la coscienza e i suoi sensori, che significato ha parlare di Natale? È vero, siamo tutti presi dalla crisi, dal desiderio di un cambiamento, infastiditi dai discorsi che non realizzano un bel niente e
perfino vedo molti indignati, inaspriti e disillusi di fronte ad ogni
forma di entusiasmo e sentimento. Proviamo però, per un momento,
a scrollarci di dosso tutto questo, riprendiamoci la coscienza e cominciamo a riflettere con intelligenza e fede, rivalutando le nostre esperienze più belle ed esploriamo ancora che senso ha, proprio per me,
il Natale del Signore!
L’esperienza più bella che mi passa per la mente è il “vero innamoramento di due persone”! Fossero anche lontane l’una dall’altra
come il cielo e la terra, certamente il loro amore non diminuisce ed è
per questo che, chi si ama, si fa vivo scrivendo o esprimendosi anche
con “segni” fino al momento dell’incontro in cui la gioia sfocia in una
festa arricchita da regali condivisi con i familiari e gli amici.
Il Natale è proprio lo scoccare di questo evento dove due persone
– l’essere umano e Dio – si sono cercati, amati, inviandosi tanti “segni”
e, alla fine, si sono “mossi uno verso l’altro” e si sono incontrati con
una gioia incontenibile, un affetto irresistibile, in un evento che cambierà la storia per sempre, incuranti delle difficoltà trascorse, nella
semplicità, come quella del presepio, spontanea e celebrata aperta47
mente con tutti, pastori, re magi, popoli vicini e lontani, e perfino con
gli angeli del Cielo in festa!
Natale è l’evento che manifesta la grandezza dell’incontro
d’amore tra Dio e le sue creature!
Lasciatemi ripetere che Gesù ci ha amati e salvati non con
un’idea, ma facendosi uomo; e poi non è venuto per farsi vedere per
un momento di gloria come i grandi della terra. Gesù ha continuato
a stare con noi fino a morire d’amore, per poi risorgere per noi. Pur
facendosi uomo, è rimasto Dio fino alla “fine”.
Chi Lo incontra non può che essere così entusiasta e felice da raccontarlo a tutti, proprio come cerchiamo di fare anche noi missionari.
Da questo incontro con Lui viene tutta la nostra energia e, anche quest’anno, mi piace farvi partecipi dei tanti fatti di crescita dell’Huiling,
dove lavoro ormai da diversi anni. Oltre all’apertura del “Panificio Emmaus” che dà lavoro a un gruppo di persone diversamente abili mentali,
abbiamo avviato anche un grande “forno a legna” nella fattoria. Si è
poi aperto un nuovo centro che ospita giovani disabili a Hangzhou (vicino a Shanghai) e si è fatto lì uno spettacolo all’ “Hangzhou Grand
Theatre” con più di 1300 spettatori. C’è stato pure un riconoscimento
per il cortometraggio inviato al “Festival del Cinema Nuovo” di Gorgonzola. Si è poi riusciti a registrare la “Fondazione dell’Huiling”. Infine
abbiamo festeggiato il premio internazionale “Vittorino Colombo” consegnato alla fondatrice Teresa Meng Weina il 20 ottobre scorso ad Albiate. Ovviamente c’è una miriade di piccoli gesti di amore che vengono
da voi, dagli operatori e dai giovani dell’Huiling, da noi missionari e
dalla Chiesa cinese locale che accompagna con il catecumenato adulti
e bambini alla fede cristiana. Abbiamo avuto anche la gioia di vedere
un nostro ex operatore ordinato sacerdote locale. Qui davvero si percepisce che la fede, la speranza e la carità abbattono “l’eclissi di Dio” e
fanno provare che l’incontro con Lui produce un cambiamento di vita.
In questo periodo spesso si parla di doni di Natale e si spera in
qualcosa! Quale sarà il migliore dono da scegliere? Vorrei suggerirvi
il regalo di “fare spazio dentro il vostro cuore” per accogliere il Suo
amore, per andare incontro a Lui, proprio a Lui, che ancora viene incontro a noi. Il mio augurio più sincero è quello di “lasciarci incontrare da Lui” e Lui ci farà provare la letizia che “per noi e per la nostra
salvezza discese dal Cielo”!
Auguri di un lieto Natale del Signore e di un sereno Anno nuovo.
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Le mete fissate sono state raggiunte
Lettera di P. Benito Di Pietro (Amazonas)
In questa breve lettera il Padre Benito fa conoscere agli Amici che
sostengono le sue opere, e anche a noi, le cose belle che il Signore
non cessa di realizzare ovunque nel mondo, accettandoci come
suoi collaboratori. Lo può davvero dire ogni missionario: “Grandi
cose ha fatto e continua a fare il Signore anche in questo suo piccolo servo e per mezzo suo”. Quanto poi alla continuazione delle
opere cominciate con la preoccupazione di essere di aiuto a qualcuno che Dio vede e segue, la cosa migliore è non cessare di affidare
tutto a Lui. Come anche P. Benito ci suggerisce.
Parintins, fine d’anno 2013
Carissimi Stefano e Dionisia e soci dell’Associazione “Il Grillo”,
Vi mando il mio saluto amico da questa “Casa di Accoglienza
Santa Rita”, tanto cara a tutti noi, che cresce sempre più raggiungendo fra non molto l’età di maggiorenne, 18 anni. È un miracolo visibile a tutti quest’opera benedetta dal Signore e coltivata da tutti voi.
Le vogliamo bene e l’amiamo con tutto il cuore e continuiamo ad alimentarla perché produca ancora frutti in abbondanza.
Stiamo arrivando alla fine di un altro anno civile, quando cerchiamo di fare il bilancio del cammino percorso nel periodo scolastico
adeguandoci al programma ufficiale del Paese.
L’abbiamo programmato seconde le previsioni oggettive, orientati dalle esperienze degli anni precedenti e l’abbiamo affidato al Signore perché potessimo tenere il ritmo proposto.
Nel condurre il programma, l’impegno della classe dirigente e insegnante è stato positivo, pur risentendo del momento critico che attraversiamo sia dal punto di vista finanziario sia da quello morale,
etico e religioso. Stimoliamo la formazione dei giovani tramite i valori
umani, etici e cristiani, tenendo presente quanto chiede la Costituzione Federale al n. 227 dello Statuto dell’Adolescente: “Bisogna assicurare agli adolescenti il diritto alla vita, alla salute, all’alimentazione,
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alla professionalizzazione, alla cultura, all’apprendistato, alla dignità,
alla libertà ed evitare la violenza, l’oppressione, lo sfruttamento...”.
Possiamo ringraziare il Signore che le mete fissate sono state raggiunte. La presenza degli alunni è stata continua (220 in tutto, essendo
metà di sesso maschile e metà di sesso femminile) con pochissime deficienze. E possiamo anche vantarci, perché altre istituzioni scolastiche lamentano molte desistenze durante l’anno.
La nostra scuola risente dello spirito accogliente di chi la conduce e di chi ci lavora. Non è un semplice edificio, ma una “casa che
accoglie” e gli adolescenti si sentono come in famiglia, anzi possiamo
dire, meglio ancora, perché la maggioranza delle famiglie oggi hanno
il nome ma non la vita. Con tutti i programmi che lo Stato promuove
per la scuola, con tanti vantaggi anche con stimoli monetari, molti
sono gli adolescenti che preferirebbero venire da noi, ma le strutture
non comportano un numero maggiore di quello che accogliamo. Inoltre sta diventando difficile sostenere questa nostra istituzione a causa
della crisi finanziaria che ha colpito l’Italia da cui provengono i benefattori. La stessa Associazione “Il Grillo”, fondata e vitalizzata dai carissimi coniugi Stefano e Dionisia, a cui sin dall’inizio avete
provveduto con i mezzi finanziari per la costruzione delle strutture
materiali e la loro manutenzione, per l’alimentazione e il materiale
scolastico e per la gratificazione, secondo le leggi, a quanti ci lavorano.
Da qualche anno a causa della crisi, sentiamo diminuita tale assistenza. Abbiamo cercato altre vie con abbastanza comprensione.
Siamo ricorsi pure all’appoggio dello Stato di Manaus, che per due
anni ci ha fornito derrate e materiale scolastico. Quest’anno però la
collaborazione è stata sospesa. Né io né il nostro vescovo che è in contatto continuo col Governo siamo riusciti a far continuare almeno tale
assistenza. C’è però qualche speranza di riuscirci. Per il prossimo
anno.
Carissimi amici, vi ho parlato col cuore di questa meravigliosa
opera che il Signore ci ha ispirato. Siamo nelle mani della Provvidenza
che certamente suscita disposizioni generose perché il seme gettato
in terra buona possa dare frutti nei nostri giovani. Essi trascorrono
due anni con noi e, arricchiti nella formazione della loro persona secondo i valori etici e religiosi e avendo appreso attività professionali,
si immettono nel mondo del lavoro o continuano gli studi, dando testimonianza di una crescita che altrimenti non avrebbero ottenuta.
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Ciò che più ci preoccupa è la parte finanziaria. Alla fine di ogni mese,
dobbiamo gratificare il personale che offre la sua preparazione a questa gioventù che i genitori ci hanno affidata. La vostra collaborazione
è preziosa e ve ne siamo grati e il Signore farà la sua parte.
Termino con gli auguri per un santo Natale, che ci fa contemplare il Bimbo, nostra salvezza e per un nuovo anno benedetto e pieno
di sogni da realizzare.
Un sacerdote africano chiedeva un giorno a
Mons. Zoa, Arcivescovo africano di Yaoundé, nel Camerun, di non ammettere più altri missionari stranieri, perché ormai i sacerdoti locali erano sufficienti.
Mons. Zoa rispose: “Abbiamo una fede certamente molto viva e ne ringraziamo il Signore, ma è
una fede emozionale, superficiale, non ancora penetrata in profondità nel nostro popolo e forse anche in
noi stessi. Se non avessimo più missionari stranieri,
sono convinto che in venti o trent’anni torneremmo
sotto gli alberi a fare sacrifici agli spiriti. I missionari
non servono solo per occupare le parrocchie e per
portarci aiuti economici da Chiese più ricche, ma soprattutto ci tengono collegati e ci portano il respiro
della Chiesa universale che ha una storia e una tradizione ben diverse dalle nostre”.
P. Piero Gheddo
“Missione senza se e senza ma”, pag. 196
Questo episodio, per niente isolato, meriterebbe, da parte di tutti i missionari, la più profonda
attenzione, in vista sia del proprio comportamento,
sia della formazione che si da! (N.d.R.).
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Crescere nell’amore di Gesù e dei piccoli
Lettera di P. Gian Paolo Gualzetti (Bangladesh)
Grazie, Padre Gian Paolo, per questa bella lettera ricca di notizie e
di spunti anche per chi conosce solo altre missioni. Informarci a
vicenda di come vanno e viviamo le situazioni delle nostre missioni
è certamente un prezioso arricchimento che ci incoraggia a comprenderci, ad apprezzarci e anche ad aiutarci di più, fosse anche
solo con delle riflessioni scritte sulla carta. Per esempio, in questa
lettera: la stima reciproca tra i missionari; le parole fraterne per le
comunità di coloro che, nelle nostre mani, cercano l’incontro con
Dio; l’attenzione per i piccoli, i poveri e i sofferenti... Oh, certo,
anche i soldi hanno la loro importanza, ma l’attenzione alle persone
viene prima e soprattutto viene prima l’idea che è nella Provvidenza
di Dio che “noi viviamo, ci muoviamo ed esistiamo”...
Dhaka, 26 dicembre2013
Carissimi amici, pace e bene nel Signore Gesù.
Sono alla PIME House di Dhaka per passare qualche ora insieme
ai confratelli pimini della diocesi di Dhaka.
Un’occasione per raccontarci le gioie e le preoccupazioni che la
nostra vita missionaria non ci fa mancare. È il mio secondo Natale in
Bangladesh tra i lavoratori della zona di Zirani. Messa notturna tutti
ben imbacuccati per proteggersi dal pungente vento e Messa mattutina riscaldata dal sole che ha fatto breccia tra la nebbia e dallo straboccante numero di persone che hanno riempito ogni dove del nostro
centro. Sono in moltissimi che hanno rinunciato a malincuore ad imbarcarsi per il viaggio verso i propri villaggi, vista l’incertezza e l’imprevedibilità degli annunci di blocchi stradali e scioperi proclamati
dalle più svariate fazioni. Ma andiamo con ordine riprendendo in
mano il calendarietto.
Giugno 2013: Hostel & Garments.
Di rientro dall’esperienza dell’Assemblea Generale mi trovo la richiesta di Fratel Massimo Cattaneo di ospitare sei ragazze del corso
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di garments (laboratorio di abbigliamento) per aiutarle ad inserirsi in
qualche ditta della zona. Con p. Biplob facciamo i nostri contatti.
Sulle prime c’è un po’ di freddezza e sospetto: “A chi fanno capo questi
due di cui, per di più, uno è straniero?”, comprensibilissimo dopo gli
incendi e la tragedia della Rana Plaza, ma una volta spiegata la finalità
del nostro centro, l’accoglienza si fa cordiale e in alcuni casi si riesce
a fare una visita completa al complesso lavorativo. Con l’insegnante
del corso della NTS di Suihari facciamo le nostre valutazioni e le nostre proposte alle ragazze che devono affrontare un test di assunzione.
Anche le suore Mariangela e Pauline sono coinvolte in questo delicato
inserimento perché tutte le ragazze sono giovanissime e alla loro
prima esperienza lavorativa. Sono contento che anche l’ostello femminile stia decollando con quello stile familiare che sostiene le fatiche
dei turni di lavoro ordinario e quello straordinario che non manca
quasi mai.
Luglio 2013: Giovani e Missione.
Anche quest’anno i missionari del Pime e le suore dell’Immacolata ospitano i giovani del cammino “Giovani e Missione” e del Mex,
studenti universitari della Cattolica. Tre di loro, Giovanni il biondo,
Alessandro l’artista e Cristian il tecnico polivalente, sono qui a Zirani
per ben 15 giorni e poi si sposteranno a Kawachola da p. Baio. Le altre
coppie invece faranno tappa da noi solo per due o tre giorni. Dialogare
con loro è sempre stimolante e arricchente perché non mancano mai
domande o osservazioni che ti spronano ad andare a fondo su quello
che stai facendo e a volte ti illuminano aspetti ai quali, nonostante gli
anni di permanenza in Bangladesh, non avevi dato molta importanza.
Una bella ventata di gioventù, di allegria e di desideri.
Agosto 2013: Pellegrinaggio e saluto a p. Paolo Ballan.
Prima di rientrare in Italia per il servizio nel team della nuova
Direzione Generale, p. Paolo Ballan ha voluto salutare i suoi parrocchiani con un bel pellegrinaggio cittadino dedicato all’anno della fede.
Ben 13 pullman ci hanno accompagnato nelle quattro tappe dove a
turno i piccoli, i giovani, le copie e i gruppi di servizio e preghiera
hanno dato la loro testimonianza di fede e di gioia. Significativo il
percorso scelto partendo dalla parrocchia di Mirpur (prima tappa)
che è nata nel 2007 da quella di St. Christina (seconda tappa) che a
sua volta era sorta nel 1989 dalla divisione con la parrocchia storica
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di Tejgaon (terza tappa) con la sua antica chiesa di stile portoghese
del 1600 che nonostante la veneranda età fa sempre riferimento alla
cattedrale di Dhaka, meta del nostro pellegrinaggio. Quello che colpisce subito è il numero dei pellegrini e la loro bella partecipazione che
con ordine (cosa non così scontata) e religioso ascolto rendono ogni
momento proposto preghiera, proclamazione e condivisione. Anche
le omelie proposte da p. Paolo hanno il sapore di un testamento-mandato che dopo ben otto anni di presenza tra loro si sente tutto l’afflato
e la passione di chi vuole il loro bene, crescere nell’amore di Gesù e
dei piccoli. Non mancano i lavoratori del centro di Zirani, due
pullman, anche loro si sentono legati a questi luoghi e soprattutto a
p. Paolo che ha dato molto per lo sviluppo del centro e soprattutto per
i contatti con ciascuno di loro condividendo gioie e sofferenze e molti
cammini personali e di copia. Grazie p. Paolo.
Settembre 2013: Corso economi in Thailandia.
Bangkok, settimana di formazione per gli economi PIME sparsi
nelle missioni. Da qualche mese sono stato nominato economo del
Bangladesh, imprevisto o scherzo della vita… e così c’è sempre qualcosa da imparare e mi sa che mio papà se la rida un po’ con la mamma
in cielo per quando mi diceva, ai tempi del seminario, se nel nostro
iter formativo c’era anche un po’ di ragioneria per tenere in ordini i
conti dell’istituto, e io, nella mia ignoranza, sbolognai il suo suggerimento con un perentorio “non è materia per missionari!!!”. Ora spero
che mi dia una mano con questa partita doppia, che non è tanto una
partita con andata e ritorno, ma è la partita di far tornare i conti e
non solo, proprio perché in questi giorni ci hanno chiesto di vigilare
e stimolare sull’uso dei beni e sulla sobrietà da vivere nelle nostre comunità e missioni. Speriamo di non essere dei farisei patentati in
cerca solo della legge da far osservare agli altri, ma invece sappiamo
lasciarci ispirare dal Vangelo per orientare le nostre scelte di condivisone con e per le persone che ci sono affidate o che bussano alle nostre
comunità.
Ottobre 2013: Formazione e Sacramenti.
Il centro di Gesù lavoratore non è una parrocchia, ma non può
fare a meno di rispondere alle esigenze dei giovani e delle nuove famiglie. Quindi corsi matrimoniali di gruppo (uno in avvento e l’altro in
primavera) o personali, a seconda dei tempi dei turni di lavoro o dei
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matrimoni proposti al proprio villaggio. C’è chi non ha ancora ricevuto
i sacramenti, Battesimo compreso, perché la venuta a Dhaka per lavoro lo ha tagliato fuori dal percorso di fede della propria famiglia.
E quindi colloqui a tutte le ore del giorno per venire incontro ai loro
turni di riposo soprattutto ora che anche il venerdì non è più sacro
visti i turni straordinari che vengono pianificati senza possibilità di
contrattazione. Anche i bambini non mancano, e quindi si cerca di
dare tutta l’attenzione possibile preparando il quartetto alla prima comunione e i grandicelli, una decina, al sacramento della Confermazione. Anche quest’ultimo sacramento ci dona la possibilità di vivere
momenti insieme ai ragazzi e ragazze di Mirpur con la giornata di ritiro a Zirani e la celebrazione a Mirpur. Come ben potete immaginare non sono solo. Con me ci sono tre suore, un catechista e
qualche volontario da Mirpur che dedicano energie, tempo, passione
per vivere un’esperienza di accoglienza e di accompagnamento nel
cammino di fede.
Novembre 2013: Pendolare a Mirpur.
Dopo la partenza di p. Paolo Ballan mi è stato proposto di fare
da spalla a p. Meli, responsabile della formazione dei giovani studenti candidati PIME a Mirpur, in attesa dell’arrivo del nuovo
parroco, p. Quirico Martinelli, impegnato nelle consegne della parrocchia di Suihari al nuovo parroco, p. Gianni Zanchi rientrato dopo
ben 18 anni di Direzione Generale. Quindi vita da pendolare fino ai
primi di dicembre. Non vi nascondo che mi è costato non poco accettare la proposta, non tanto per i chilometri da fare, ma per il timore di dover ritornare dopo 6 anni nella comunità che ho servito
per ben 12 anni e di usare un filtro di lettura della situazione molto
datato senza tener conto dei cambiamenti e delle liete novità portate
dall’amico p. Paolo. D’altro canto giustamente qualcuno mi fa notare
che sotto sotto mi fa anche piacere ritornare a Mirpur: ritrovare
compagni di viaggio nella fede, poter baciare i neonati di neo mamme
che a suo tempo erano le ragazzine che scorrazzavano nella veranda,
sforzarsi di passare il test dei giovani barbuti che mi chiedono “ti ricordi il mio nome?”, scherzare sulla barba che si fa bianca… Però devo
stare attento a non farmi prendere la mano scegliendo la parte più
facile, dimenticando che sono ancora tante le famiglie e i giovani di
Zirani da scovare e visitare. Prego il Signore Gesù che mi benedica
in queste settimane per essere un piccolo strumento nelle sue mani
per infondere fiducia e speranza nei parrocchiani alle prese con gli
inevitabili timori e resistenze che ogni passaggio di persona comporta.
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Dicembre 2013: Situazione precaria ed esplosiva.
I lavoratori dei garments sono ormai stufi di aspettare il tanto
auspicato aumento nella busta paga dopo la tragedia della Rana Plaza.
I partiti del governo e quelli dell’opposizione non riescono a dialogare
per concordare le prossime elezioni politiche. I processi interminabili
dei crimini di guerra (1971) stanno emanando le prime condanne a
morte o all’ergastolo dividendo il paese e generando nuovi martiri islamici. Sono notizie che senz’altro sono giunte anche a voi e sono tra i
motivi principali dei continui disordini, scioperi e blocchi stradali che
impediscono il regolare svolgersi degli esami di fine anno, mettono in
ginocchio l’economia del paese e mietono vittime innocenti tra la
gente. Sembra un bollettino di guerra il report del giornale The Daily
Star: dal 25 novembre al 18 dicembre, 120 persone uccise, 385 i feriti,
293 i poliziotti feriti, 392 i veicoli danneggiati, 479 quelli incendiati,
1.617 bombe esplose, 895 persone arrestate. Senza contare i treni deragliati e le persone ricoverate per ustioni e i bambini usati per danneggiare. Ma pare che nessuno abbia a cuore il bene del Paese.
Internazionalmente ci sono stati alcuni interventi di mediazione tra
le parti, ma per ora il dialogo non decolla. Nemmeno la morte di Mandela, nonostante i paginoni di elogio per la sua vita e le sue scelte, è
riuscito a far riflettere i capi politici del paese per cercare vie nuove
di riconciliazione. Vi assicuro che, come chiesa, non siamo in pericolo, ma il Paese vive momenti drammatici che sentiamo nostri e
quindi vi chiedo una preghiera.
Potevo evitare di concludere così la lettera, ma mi pare che anche
per questo il nostro Padre nei Cieli ha mandato il suo Figlio in mezzo
a noi, affinché la sua tenerezza e la sua misericordia sia fatta conoscere a tutti e quindi anche a noi dice di non tirarci indietro, di non
stare alla finestra a fare gli spettatori, ma di stare in mezzo facendo
la nostra e soprattutto la sua parte, illuminati dal suo Spirito.
Auguri di buon Natale e grazie per l’amicizia e la vicinanza che
mi donate. Un fraterno abbraccio a ciascuno. In comunione.
Una comunità missionaria animata dal dialogo fraterno e
dall’apprezzamento reciproco è una vera benedizione per la
Chiesa è per il mondo intero.
Missionario anonimo
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“...A chi mi contraria, io gli sparo”
Lettera di P. Adriano Pelosin (Thailandia)
In ogni parte del mondo le cose belle da vedere ci sono e, come nel
caso della Thailandia, sono molte. Per esempio i templi buddisti,
così maestosi e misteriosi insieme, costruiti con incredibile fede e
pazienza da artigiani di altri tempi... Ma molto più bello ancora è
quello che succede nel segreto dell’interno di questi luoghi di meditazione e di preghiera: i monaci che distribuiscono a bambini poveri parte del loro cibo raccolto mendicando per strada. Se Padre
Adriano non ce l’avesse raccontato, a chi sarebbe venuto in mente?
Eppure, tra i ricordi più belli da conservare della Thailandia, c’è
senz’altro anche questo, di questi monaci buddisti, ma anche
quello del lavoro di misericordia spirituale e corporale dello stesso
P. Adriano...
Natale 2013
Carissimi Amici,
all’inizio dell’Avvento che ci riempie di speranza e di gioia nell’attesa del Nostro Signore che viene a salvare l’umanità, penso a tutti
voi che da anni mi siete vicini con la preghiera, il pensiero e, a volte,
con preoccupazione e anche con sostegno materiale. Senza di voi sarebbe stato difficile arrivare fino ad oggi. Il 9 di novembre scorso ho
celebrato il 35mo anniversario del mio arrivo in Thailandia.
Quest’anno devo ricordare in modo speciale una persona che mi
ha seguito con tanto amore giorno per giorno tutta la mia vita, a cui
devo tantissimo: la mia mamma Elvira che il Signore ha chiamato a
sé il 17 luglio scorso. Lei non vive più nell’attesa (Avvento) ma nella
pienezza; là dove il Signore ci libera dal peso del peccato e della paura,
e ci asciuga tutte le lacrime.
Questo è stato un anno particolare. Dopo ventisei anni di residenza nella casa del PIME a Nonthaburi dove il Signore mi ha condotto nelle baraccopoli, a iniziare le case famiglia per i bambini
abbandonati, e ad aiutare l’Istituto Missionario Thailandese a fare i
primi passi, dal 5 di maggio il Signore mi ha chiamato, attraverso un
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desiderio dell’Arcivescovo di Bangkok, a far il parroco di una piccolo
comunità cristiana a Pathumthani; la chiesa è intitolata a San Marco.
Appena arrivato ho cercato di coinvolgere i pochi cattolici nella
missione “ad gentes” cioè rivolti ai non cristiani. Qui a Pathumthani
siamo circa duecento cattolici con una popolazione di trecentomila
abitanti, la maggioranza buddisti con pochi musulmani. Ogni domenica uso le parole di Gesù nella liturgia per aiutare i fedeli a sentirsi
ispirati e felici di essere stati scelti per primi a conoscere la Buona
Notizia della salvezza, di aver sperimentato per primi la gioia del perdono e la pace interiore di sentirsi amati da Dio Padre, avere la speranza di una vita eterna in Dio. Col mio assistente, P. Rachata, e alcuni
fedeli siamo andati a visitare molte delle famiglie cattoliche, abbiamo
pregato insieme e li ho esortati a essere di buon esempio ai loro vicini
di casa che sono buddisti e a cooperare con loro in ogni progetto per
il bene comune.
Più tardi nell’anno, ancora con alcuni cattolici, abbiamo cominciato a visitare una comunità a circa dieci chilometri dalla nostra
chiesa, che si chiama Wat Sake, dal nome del tempio buddista. Le
prime persone a venirci incontro sono stati i bambini e fra di loro si
distingueva una piccola bambina molto magra, senza denti, con la
voce squillante, sorridente e vivacissima: si chiama “Fai” (Cotone).
Tutti quei bambini vengono da situazioni familiari disastrose. I loro
genitori sono in prigione per spaccio di droga, omicidio, furto, stupro
di minori, o sono usciti da casa e mai più tornati. I bambini vivono
con le nonne. Le nonne mantengono i loro nipoti raccogliendo rifiuti
per il riciclaggio, a volte ricavano abbastanza denaro per sfamare i nipotini... a volte i nipotini devono andare al tempio buddista e chiedere
ai monaci parte della loro questua mattutina. Abbiamo incontrato parecchi anziani soli, abbandonati dai loro figli; alcuni sono ammalati
e nessuno si cura di loro. La loro tristezza è grande, sfiora la disperazione. Noi passiamo molto tempo ad ascoltare le storie di questi nostri
nuovi amici. Ci aspettano ogni giorno. La signora Pa Kew (Zia Gioiello) ha tante cose da raccontarci da quando era piccola e doveva lavorare come una schiava. Ci sono certi argomenti che continua a
toccare come quando il suocero ha provato a molestarla... o quando
ha messo il veleno nel cibo di suo padre... non poteva sopportare che
il padre picchiasse la madre. O quando la nuora le ha rotto un braccio
con un bastone e quando... “questo è il mio Karma”… finisce sempre
così a conversazione (per Karma si intende la legge della retribuzione
per cui ogni azione buona ha la sua conseguenza buona e ogni azione
cattiva ha le sue conseguenze cattive). Allora beve e si ubriaca tutti i
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giorni… ma da un po’ di tempo la Pa Kew non si ubriaca più. Le siamo
stati molto vicini soprattutto durante il mese di ottobre, quando i seminaristi dell’Istituto Missionario Thailandese sono andati al Wat
Sake ogni giorno. Un giorno, dopo avere ascoltato la Pa Kew per alcune ore le ho detto che c’e una persona che può liberarla dal suo
Karma: il Signore del karma stesso. L’ho portata in chiesa di San
Marco, le ho fatto vedere il crocifisso e le ho spiegato che il Signore
del karma si e’ fatto uomo, ha preso su se stesso le azioni cattive degli
uomini e ha pagato lui stesso con la su morte, poi è risorto e ha rotto
la legge del karma per sempre... Era sorpresa e non voleva crederci..
In seguito le abbiamo comperato una buona cena ogni sera e siamo
diventati amici tanto che lei ci ha chiesto... “Ma perché vi interessate
di questa vecchia senza significato.. chi sono io per voi?… “Durante il
giorno mentre passiamo da una casa all’altra non vediamo nessun giovane.. ci dicono che sono in prigione o stanno dormendo... lavorano
di notte… spacciano droga... All’inizio delle nostre visite c’era sempre
un gruppo di donne che giocavano d’azzardo... noi non abbiamo mai
commentato... dopo due mesi non abbiamo più visto nessuno giocare
a carte… Un giovane pieno di tatuaggi e cicatrici, appena uscito di
prigione per omicidio, mezzo ubriaco, mi ha invitato a bere con lui e
i suoi amici… Mi ha detto: “So che tu, padre, vorresti farci diventare
buoni, ma io ho un modo mio... a chi mi contraria io gli sparo... l’ho
abbracciato con compassione e anche lui mi ha abbracciato mentre
gli scendeva una lacrima...”.
Dal 15 al 18 ottobre abbiamo organizzato un breve campo
scuola. L’Abate del tempio buddista gentilmente ci ha concesso di
usare un grande capannone con sedie e tavoli. Noi abbiamo provveduto a tutto il resto: maestre, libri, quaderni, penne, giocattoli, pranzo
a mezzogiorno e spuntino alle quattro. L’Arcivescovo di Bangkok ha
approvato l’acquisto di una casa sul terreno del tempio per fare le attività per i bambini e per gli anziani. Ci saranno un po’ di spese per
metterla in ordine, ma anche a questo ci penserà l’Arcivescovo che è
molto contento di questa iniziativa. Come vedete cerchiamo di rendere il Regno di Dio vicino a chi era lontano e così il Regno di Dio ci
entra sempre più profondo nel nostro cuore. Anche a voi, io e i miei
collaboratori, facciamo l’augurio di diventare vicini a chi si sente lontano in Gesù, il figlio di Dio che si è fatto vicino scendendo dal Cielo
e vivendo in mezzo a noi come uno di noi. Pregate per noi
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Non siamo soli o abbandonati...
Lettera di P. Francesco Rapacioli
(Bangladesh - Rettore del Seminario di Monza)
In questa lettera Padre Francesco affronta un argomento di cui si
parla anche nel tempo di Natale, quando, per dovere di cronaca, si
ricorda Erode, un uomo, anche lui creato a immagine di Dio per
vivere e far vivere e, invece, artefice infame di morte. Il mistero del
male: del soffrire e del far soffrire è sempre in agguato nella vita
umana. Per chi non è credente esso ha spiegazioni caso per caso.
Chi è credente ha la fortuna di vedere tutto al di là del singolo caso,
in una luce ben più ampia; di conservare, nonostante tutto, fiducia
e speranza e di riconoscere il valore dell’impegno per il bene. L’insegnamento del Natale è anche questo e fa parte di quello che annunciamo e viviamo noi stessi nella missione.
Monza 17 dicembre 2013
Carissimi amici,
Nella notte di Natale sentiremo ancora una volta queste suggestive parole: “Il popolo che camminava nelle tenebre vide una
grande luce; su coloro che abitavano in terra tenebrosa una luce
rifulse” (Is 9,1). Si può tradurre, invece che ‘‘terra tenebrosa”, “terra
dell’ombra della morte”, mentre la luce a cui si allude nel testo è quella
del re, paragonato al sole, che, secondo l’interpretazione cristiana, è
ultimamente il Messia, il Signore Gesù.
La venuta del Cristo è descritta come un evento decisivo per la
storia del mondo e per la storia di ciascuno di noi. Si associa, infatti,
spontaneamente, al tempo dell’Avvento che stiamo vivendo, la parola
speranza, una parola molto significativa, che però, necessariamente,
per non essere semplicemente una sua caricatura, ha a che fare con
le tenebre, con la morte! Questo realismo tipico della Scrittura, anche
se piuttosto ruvido e, probabilmente per tanti, di dubbio gusto, ci permette di cogliere ciò che è in gioco nel Natale. La speranza non è, infatti, semplicemente ottimismo o ingenuità, proprio perché ha a che
fare con ciò che sembra smentire radicalmente la promessa di bene e
di felicità: la morte, appunto!
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Mi piace commentare questa parola di Dio con un’altra parola apparentemente molto lontana: quella di un uomo che si dichiara non
credente. Una parola nella quale recentemente, non ricordo più bene
come, sono incappato e che mi ha colpito subito sia per l’autore che
per il tema. L’autore è Vittorino Andreoli, uno psichiatra di fama internazionale che dopo essersi dedicato alla ricerca in centri prestigiosi inglesi e americani, è tornato a lavorare in Veneto, per decidere, dopo
aver vissuto da protagonista le varie evoluzioni della psichiatria, “al fine
di continuare ad essere uomo”, di scrivere a tempo pieno, come afferma
in uno dei suoi libri. E di libri, Andreoli, ne ha scritti molti e anche di
successo, come ad esempio quella “Lettera a un adolescente”, che ha
venduto decine di migliaia di copie, o altri, come “I miei matti”, narrazione avvincente della sua vicenda professionale e umana.
Il libro di cui parlo non credo sia un bestseller, anche se certamente tantissimi lo hanno letto e apprezzato per la passione e la competenza dell’autore. Pubblicato da Rizzoli nel 2002, ha un titolo
piuttosto inquietante: “Il lato oscuro”. Parla, infatti, di alcune persone
che hanno commesso omicidi, qualche volta plurimi, che Andreoli ha
dovuto seguire come perito o per interesse professionale. I personaggi
sono famosi, come il cosiddetto mostro di Firenze e altri a me meno noti.
Prima di passare all’analisi di ogni storia con una dovizia di dettagli e particolari interessanti e sconvolgenti allo stesso tempo, Andreoli afferma di pensare di aver trovato un “tratto comune” a tutte le
storie di omicidio: “Il filo comune che corre lungo i singoli casi è proprio l’interesse per questa concezione ‘edulcorata’ della morte, che è
fondamentale per capire la violenza estrema… Gesti ‘minimi’, prosaici, proprio perché la morte non ha più nulla di drammatico o di rilevante ma è ridotta a epifenomeno, a semplice ostacolo”.
Lo psichiatra passa dunque a denunciare un diffuso modo di
porsi di fronte alla morte: “Il tempo presente ha dimenticato la morte
o meglio finge di dimenticarla – scrive. La nasconde. La riduce a spettacolo. Riportarla in televisione o al cinema significa rimuoverla, tentarne di scordame il valore tragico, quello che più coinvolge ciascuno
di noi”. Nulla di nuovo, così almeno a me sembra. Che la nostra civiltà
occidentale e tecnologica, a differenza, ad esempio di culture meno
sviluppate ma più “sapienti”, sia meno adeguata ad affrontare il
dramma della sofferenza e della morte, al punto di volerla esorcizzare,
è un dato che ritengo persino ovvio.
Il problema è che, secondo Andreoli, “la nostra percezione e concezione della morte condizionano non solo il nostro modo di esistere,
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ma anche il rispetto più o meno grande che portiamo agli altri e alla
loro esistenza”. Perché questi uomini hanno ammazzato, qualche
volta con ferocia e ripetulamente? “L’uomo ammazza – sostiene Andreoli – quando percepisce di essere vicino alla propria fine, quando
sì vive senza significato, quando si sente solo, senza nessuno, senza
una via di scampo. Uccide quando si sente morto”. Da qui la conclusione paradossale dell’autore: “Per questo è difficile non vedere in chi
ammazza anche colui che si ammazza. Ammazzando l’altro uno ammazza, di fatto, se stesso” perché “La disperazione è il fulcro dell’omicidio, quella sensazione drammatica che non lascia intravvedere
nemmeno la speranza: “di-sperare”.
In positivo, e questo è un messaggio particolarmente rilevante
per tutti noi, “la speranza è una funzione essenziale al vivere, occorre
potersi aggrappare a qualche certezza, a qualche sentimento che ci
dia sostegno. E i sentimenti sono i legami: legarsi ci fa sentire uno
parte dell’altro e quindi in qualche modo elementi di una cordata in
cui la poca forza dell’uno può essere compensata da quella dell’altro”;
infatti, “ogni significato si pone in una relazione”.
La vicenda-limite di questi uomini e donne ci ricorda dunque
una verità fondamentale: la speranza è ancorata ultimamente ai rapporti, ai legami che viviamo, senza i quali, la vita necessariamente si
svuota, perde di significato e di sapore.
E qui possiamo ricollegarci proprio al tempo liturgico dell’avvento che stiamo celebrando, che ci ricorda che la vita non è il risultato del caso o della necessità, ma ha un’origine e un fine: ha un senso!
Quello che possiamo percepire a partire dall’esperienza è confermato
dall’evento che ricorderemo nei prossimi giorni. Per cui, nonostante
la fatica, la precarietà e l’incertezza di questo tempo, la nostra speranza non è priva di fondamento, abbiamo tante ragioni per vivere e
per continuare a investire sul futuro.
A Natale tutto cambia per sempre non per una specie di magia,
ma perché, nella fede e nella speranza, noi possiamo ora affrontare la
morte. Non ci è tolta la fatica, la sofferenza e neppure l’esperienza
della morte, ma esse sono vinte dal Figlio che se ne fa carico e ci precede in questo cammino difficile e affascinante. Il Natale è davvero il
fondamento dell’umano sperare e noi non siamo soli o abbandonati,
neppure nella nostra fatica e sofferenza.
Auguro a tutti voi di trascorrere un buon Natale in famiglia, con gli
amici, nel ricordo di Colui che ci ha confermato che la vita è relazione.
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Tesori da conoscere
Diversi nostri confratelli, prima o poi, pubblicano dei libri che
costituiscono, per tutti noi, una possibilità di arricchimento e un
invito a vivere con più coscienza e responsabilità la nostra vocazione missionaria. Purtroppo non sempre si vengono a conoscere,
ed è un peccato! Per questo chiediamo agli autori, per il futuro, di
mandarne sempre una copia anche a InforPime, o almeno la notizia con una presentazione, in modo che queste piccole o grandi
ricchezze possano essere più facilmente condivise. Grazie!
Oggi ci sarebbe questo:
UN ELEFANTINO DI LEGNO
P. Ermanno Battisti
“Pro manuscripto”
(288 pagine, riccamente illustrato)
Padre Piero Gheddo scrive: «Il genere letterario preferito dai missionari reduci da decenni di vita nella loro patria adottiva sono i ricordi autobiografici, che in genere rimangono nella stretta cerchia di parenti, amici,
benefattori. “Un elefantino miracoloso” di padre Ermanno Battisti, che racconta i suoi quasi quarant’anni di Guinea Bissau (1969-2010, con una breve
parentesi in Italia), è invece uno di quei pochi volumi che si sfoglia e si legge
volentieri e merita ampia diffusione. Per due semplici e chiari motivi:
primo, perché introduce, raccontando fatti (e con circa 500 fotografie per
300 pagine!), nella comprensione profonda e amorevole della vita, cultura
e mentalità di un popolo africano; secondo, perché conduce pian piano a
conoscere le meraviglie sorprendenti che lo Spirito Santo compie là dove
nasce la Chiesa; e fa capire, in modo esperienziale, che il protagonista della
“missione alle genti” è proprio lo Spirito Santo. Il missionario, anche
quando come padre Ermanno realizza numerose e grandi opere, è solo un
piccolo e debole strumento di una forza soprannaturale, che lo sorpassa infinitamente. Per cui padre Ermanno, raccontando la sua vita, non può che
ringraziare lo Spirito Santo per tutto quello che è riuscito a fare».
L’autore aggiunge: «Io ho deciso di farmi missionario dopo aver
letto una biografia di fantasia in un libro dei Saveriani di Parma. In
questa mia biografia, invece, di fantasioso non c’è niente (di fantastico
sì) e penso possa dare delle idee a chi volesse scegliere una strada di valore per il suo futuro, come giustamente imagina il P. Gheddo. Dio è sempre in attesa di operare grandi cose! Allo stesso tempo vorrei che fosse
un incoraggiamento anche per altri missionari dalla vita così ricca. Il
bene va fatto conoscere, anche se, al momento, costa qualche soldo che
però potrebbe anche ampiamente rientrare, assieme, magari, a qualche
vocazione... Dio è più grande di noi!».
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INDICE
Se il chicco di grano non muore…
Intervista a P. José Estêvão Magro ................................... pag.
8
Myanmar, verso una presenza stabile? - L. Maggi ......... pag.
15
Fede e carità, fonte della Missione - L. Galimberti ........ pag.
19
P. Luigi Pezzoni, medico e missionario dei lebbrosi
P. Gheddo ......................................................................... pag.
25
Occasioni mancate - C. Torriani ..................................... pag.
29
Come lanterna viva… - T. Ricci ...................................... pag.
32
Sarà come se Dio cullasse mio figlio…
Lettera di P. Ballan ........................................................... pag.
37
“Voi siete il nostro Gesù della strada”
Lettera di M. Bezzi.............................................................. pag.
39
Con fede concreta e integrità umana
Lettera di G. Bonzi ........................................................... pag.
41
Fare spazio a Lui… - Lettera di F. Cagnin ...................... pag.
47
Le mete fissate sono state raggiunte
Lettera di B. Di Pietro ....................................................... pag.
49
Crescere nell’amore di Gesù e dei piccoli
Lettera di G.P. Gualzetti ................................................... pag.
52
“…A chi mi contraria, io gli sparo”
Lettera di A. Pelosin ........................................................... pag.
57
Non siamo soli o abbandonati…
Lettera di F. Rapacioli ...................................................... pag.
60
Tesori da conoscere ........................................................ pag.
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Pro manuscripto
Pubblicazione ad uso interno P.I.M.E.
[email protected]
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