Videomessaggio del Santo Padre Francesco per la “Campagna contro la fame nel mondo” lanciata dalla Caritas Internationalis Cari fratelli e care sorelle, oggi sono lieto di annunziarvi la “Campagna contro la fame nel mondo” lanciata dalla nostra Caritas Internationalis e comunicarvi che intendo dare tutto il mio appoggio. Questa confederazione, insieme a tutte le sue 164 organizzazioni-membro, è impegnata in 200 Paesi e territori del mondo e il loro lavoro è al cuore della missione della Chiesa e della sua attenzione verso tutti quelli che soffrono per lo scandalo della fame con cui il Signore si è identificato quando diceva: “Avevo fame e mi avete dato da mangiare”. Quando gli apostoli dissero a Gesù che le persone che erano giunte ad ascoltare le sue parole erano anche affamate, egli li incitò ad andare a cercare il cibo. Essendo poveri essi stessi, non trovarono altro che cinque pani e due pesci, ma con la grazia di Dio arrivarono a sfamare una moltitudine di persone, raccogliendo persino gli avanzi e riuscendo così a evitare ogni spreco. Siamo di fronte allo scandalo mondiale di circa un miliardo, un miliardo di persone che ancora oggi soffrono la fame. Non possiamo girarci dall’altra parte e far finta che questo non esista. Il cibo a disposizione nel mondo basterebbe a sfamare tutti. La parabola della moltiplicazione dei pani e dei pesci ci insegna proprio questo: che se c’è volontà, quello che abbiamo non finisce, anzi ne avanza e non va perso. Perciò, cari fratelli e care sorelle, vi invito a fare posto nel vostro cuore a questa urgenza, rispettando questo diritto dato da Dio a tutti di poter avere accesso ad una alimentazione adeguata. Condividiamo quel che abbiamo nella carità cristiana con chi è costretto ad affrontare numerosi ostacoli per soddisfare un bisogno così primario e al tempo stesso facciamoci promotori di un’autentica cooperazione con i poveri, perché attraverso i frutti del loro e del nostro lavoro possano vivere una vita dignitosa. Invito tutte le istituzioni del mondo, tutta la Chiesa e ognuno di noi, come una sola famiglia umana, a dare voce a tutte le persone che soffrono silenziosamente la fame, affinché questa voce diventi un ruggito in grado di scuotere il mondo. Questa campagna vuole anche essere un invito a tutti noi a diventare più consapevoli delle nostre scelte alimentari, che spesso comportano lo spreco di cibo e un cattivo uso delle risorse a nostra disposizione. E’ anche un’esortazione a smettere di pensare che le nostre azioni quotidiane non abbiano un impatto sulle vite di chi - vicino o lontano che sia - la fame la soffre sulla propria pelle. Vi chiedo, con tutto il cuore, di appoggiare la nostra Caritas in questa nobile Campagna, per agire come una sola famiglia impegnata ad assicurare il cibo per tutti. Preghiamo che Dio ci dia la grazia di vedere un mondo in cui mai nessuno debba morire di fame. E chiedendo questa grazia vi do la mia benedizione. Cibo: merce o bene comune? Paolo Foglizzo, redattore di Aggiornamenti Sociali Traccia dell’intervento Il tema del cibo si trova all’incrocio di una serie di paradossi che permettono di illuminare le contraddizioni della società contemporanea globale e le tensioni fra opportunità e rischi che il nostro mondo si trova ad affrontare. L’intervento ne passerà in rassegna alcuni: eccesso vs accesso: in un mondo dove la produzione di cibo supera il fabbisogno alimentare, il permanere della malnutrizione evidenzia come la tutela efficace del diritto passi attraverso la garanzia della possibilità di accesso al cibo; si tratta di una tensione che investe anche altre risorse fondamentali (dai farmaci alle opportunità offerte da Internet); scarsità vs spreco: accanto alla malnutrizione il mondo registra un livello impressionante di spreco di risorse alimentari; questo fenomeno chiama in causa sia gli stili di vita personali, sia i meccanismi di base di funzionamento del sistema agroalimentare; speculazione vs produzione: la speculazione su prodotti finanziari che hanno come base le derrate agricole produce oscillazioni di prezzo che mettono a repentaglio la sicurezza alimentare delle fasce più povere della popolazione mondiale; si tratta di un nodo cruciale in un sistema economico globale sempre più finanziarizzato; sapere vs potere: le nuove tecnologie che consentono la produzione di OGM intersecano in profondità la filiera agroalimentare. Si tratta di una questione estremamente controversa, sia dal punto di vista dei possibili rischi per l’uomo e l’ecosistema (principio di precauzione), sia per gli effetti sui produttori agricoli determinati dai meccanismi di tutela della proprietà intellettuale. EXPO 2015 può rivelarsi una occasione propizia e feconda di mettere a tema queste contraddizioni e tensioni, in modo da comprenderle meglio e poter così elaborare proposte di soluzione che tengano conto di tutte le parti in causa e di tutti gli aspetti del problema, in modo da promuovere vil bene comune di tutti i cittadini del mondo. ALCUNE INDICAZIONI BIBLIOGRAFICHE PER L’APPROFONDIMENTO ‐ FAO: <www.fao.org>; in particolare The State of Food Insecurity in the World (rapporto annuale); Food Wastage Footprint: Impacts on Natural Resources (2013) ‐ Indice globale della fame (rapporto annuale, ediz. italiana a cura di CESVI), <www.cesvi.org/cosa‐facciamo/food‐right‐now/ghi>; ‐ card. Peter K. A. Turkson, Intervento a The World Food Prize, 17 ottobre 2013, <www.iustitiaetpax.va/content/giustiziaepace/it/attivita/presidente/2013/world‐food‐ prize‐2013‐‐des‐moines‐16‐18‐october‐‐2013‐.html> (tr. it. in corso di pubblicazione su Aggiornamenti Sociali) ‐ Tintori C., «I paradossi del cibo», in Aggiornamenti Sociali, 1 (2014), 12‐16 ‐ Piziali S., «L’Indice globale della fame 2011», in Aggiornamenti Sociali, 3 (2012), 235‐242 Paolo Foglizzo Redattore di Aggiornamenti Sociali, Fondazione Culturale San Fedele di Milano Nato a Torino nel 1964, si è laureato in Economia presso l’Università della stessa città, dove ha svolto il servizio civile nell’ambito della cooperazione allo sviluppo presso LVIA – Lay Volunteer International Association. In seguito ha conseguito la Licenza (Master) in Dottrina ed etica sociale alla Pontificia Università Gregoriana di Roma e ha lavorato per tre anni al Segretariato per la Giustizia Sociale della Curia generalizia della Compagnia di Gesù, sempre a Roma (www.sjweb.info/sjs). Membro del Gruppo di Studio “Etica e finanza” presso l’Ufficio nazionale per i problemi sociali e il lavoro CEI dal 2001 al 2008. Dal 2001 fa parte della redazione di Aggiornamenti Sociali (www.aggiornamentisociali.it), dove si occupa in particolare dei temi economici e di dottrina sociale della Chiesa, e coltiva la riflessione sul rapporto fra etica, antropologia ed economia, e l’impegno per la promozione della giustizia. Oltre agli articoli apparsi su Aggiornamenti Sociali, assieme a Carlo Casalone ha curato il volume Volare alla giustizia senza schermi. Un percorso interdisciplinare oltre l’equità (con premessa di C. M. Martini, Vita e pensiero, Milano 2007). Dal 2007 all’impegno editoriale affianca quello di direttore amministrativo di A Piccoli Passi, cooperativa sociale di Milano che eroga servizi a persone con disabilità e anziani, e alle loro famiglie. …e riempirono dodici ceste Expo 2015 interpella la società civile ed ecclesiale Sabato 22 febbraio 2014 PANE DI GIUSTIZIA, PANE CONDIVISO Schema della relazione Luca Moscatelli Il riferimento al cibo attraversa tutta la Sacra Scrittura. Volendo restare nell’ambito biblico e considerata l’imponenza del materiale, mi limiterò a mettere in evidenza alcuni snodi essenziali con particolare considerazione per la figura del pane. 1. Il dono e il compito (creazione) La pubblicazione recente del Card. Scola, Cosa nutre la vita? Expo 2015, ci risparmia di tratteggiare il quadro di riferimento biblico e dottrinale generale. Rimandando al testo per la completezza del discorso, qui sottolineo brevemente tre punti: Cibo come dono (condiviso). Gen 1,29-30 Dominio (condiviso) dell’uomo come mite custodia dei viventi. Gen 1,26-28 / Gen 2,15 Peccato e indigenza; digiuno e conversione. La storia come dramma. Gen 3,17-19 2. Pane donato (esodo) L’esodo intende valere come struttura fondamentale della rivelazione e insieme dell’esperienza credente, sia per il Primo che per il Nuovo Testamento. In esso la dialettica «dono / mancanza» viene articolata fin dai primi passi nel deserto della libertà: Es 16,1-5. Esperienza della liberazione e «tentazione» della mancanza La manna: pane donato che non deve essere accumulato La cura paterna di Dio come fondamento della possibilità della fraternità dei figli. La preghiera per il pane: chiedere (Padrenostro); ringraziare (benedizione della mensa); condividere (comando dell’elemosina) 3. Pane rubato (profeti) La penuria di pane, che a molti costa la fame, non è soltanto una dura necessità della vita. E’ soprattutto una scandalosa mancanza di condivisione fraterna, capace di intaccare e pervertire anche quella fede religiosa che pure sia vissuta in maniera formalmente ineccepibile. La denuncia profetica ne smaschera l’ipocrisia. Lo scandalo della fame dei (molti) poveri causata dall’ingordigia dei (pochi) ricchi. Is 58,1-11 Il pane della Parola di Dio. Is 55,9-11 Il banchetto messianico. Is 30,19-24 4. Pane e fame: la «prova» della fede (vangeli) Il pane e la fame, come simboli della vita umana (donata e insieme sempre precaria), punteggiano la vicenda di Gesù nei suoi passaggi cruciali. Essi costituiscono la «prova» 1 della fede: il dono del pane conferma la fiducia nella cura paterna di Dio; l’esperienza della fame la mette invece in discussione. E’ per questo che nei vangeli la figura del «pane» è legata a quella della tentazione / prova almeno in tre momenti narrativamente decisivi: all’inizio della vita pubblica di Gesù (la prima di tre tentazioni nel deserto); nello snodo centrale del racconto (doppia moltiplicazione dei pani); nei pressi dell’epilogo (cena pasquale / eucaristia). Tentazioni (Mc 1,12-13). Come sappiamo da Mt 4 e Lc 4 Gesù rifiuta di togliersi la fame da sé trasformando i sassi in pane. In ogni caso alla fine viene «servito», cioè nutrito, dall’alto. Affidandosi al Padre (alla sua parola e alla sua cura) resiste alla tentazione, suscitata dalla penuria, di credersi abbandonato. E così ritrova Dio come suo Padre. Due moltiplicazioni dei pani (e dei pesci), e tra una e l’altra un passaggio stretto (Mc 6,34-43; 7,24-30; 8,1-9). o Moltiplica pani per la fame di Israele. E’ una attualizzazione dell’esodo e insieme una anticipazione del banchetto messianico. C’è una doppia ambiguità: alcuni penseranno che Gesù è venuto a togliere la fame per sempre (vedi Gv 6); quasi tutti – tranne Gesù – pensano che sarà tolta la fame di Israele (dodici ceste di avanzi!). Istruito forse dalla sovrabbondanza della resa invia a forza i suoi verso i pagani ma la cosa non riesce o Ritiratosi in territorio pagano Gesù nega il pane alla donna pagana. E’ tentato dal tenere d’acconto il pane soltanto per i suoi / per Israele, vista la fatica che gli costa accreditare presso di loro un’immagine buona di Dio. E questa tentazione fa regredire la sua fede. Si rende conto, invece, che del pane di Dio ce n’è per tutti o Moltiplica pani per tutti (sette ceste di avanzi!) senza che il testo avverta che Gesù e i suoi sono rientrati in Israele. Ormai è chiaro per Gesù che l’orizzonte della salvezza (della paternità di Dio) riguarda l’umanità intera L’ultima cena (Mc 14,17-24). Ormai sarà lui stesso il pane spezzato per nutrire la fede dei discepoli. Ma cosa penseranno del Padre i suoi e gli altri davanti alla croce del Figlio (tradimento / rinnegamento; scandalo; derisione)? Questa è la grande tentazione… Sempre un pane donato dovrà riconfermarci nella fiducia verso il Padre. Egli vuole la vita sempre, comunque, per chiunque 5. Il degrado del Tempio tra ladri e vedove impoverite L’uccisione di Gesù, decisa dai capi religiosi e ratificata dagli occupanti romani, dipende dal suo annuncio del Regno in parole e opere, cioè dal suo mostrare la paternità di Dio per tutti e la fraternità come possibilità universale. L’ultimo atto, quello che decide la sua morte, è costituito dai giorni passati a insegnare nel Tempio di Gerusalemme. Qui Gesù si scontra con i capi di Israele e denuncia un sistema che sfregia il volto paterno di Dio. Due episodi incorniciano i giorni presso il Tempio: la sua «purificazione» e l’incontro con la vedova povera. Dopo questi giorni Gesù uscirà dal Tempio e non vi rientrerà più. Anzi, ne annuncerà la distruzione (Mc 13). Mc 11,15-18. La presenza di Dio è tradita se il suo accesso è negato a qualcuno o condizionato al denaro 2 Mc 12,38-44. La devozione al Tempio può chiedere il dono della vita? Gesù è ammirato dalla dedizione della vedova, ma insieme la indica ai suoi quale vittima di un sistema crudele che perverte il volto vero di Dio 6. «Ho spezzato il mio corpo come fosse pane» (E. Hillesum) Il cibo è dono che rivela Dio come Padre; Dio è Padre di tutti; la condivisione del cibo diviene allora simbolo di una condivisione dell’esistenza (fino al dono di sé) che attesta la creaturale fraternità degli umani e la paternità di Dio. Termino evocando la finale del Diario di Etty Hillesum, dove il suo itinerario spirituale di ritrovamento di Dio, che è insieme itinerario di piena condivisione della sventura ebraica, approda a un’immagine eucaristica: «Ho spezzato il mio corpo come fosse pane…» Qualche riferimento per approfondire ANGELO SCOLA, Cosa nutre la vita? Expo 2015, Centro ambrosiano PAPA FRANCESCO, Evangelii gaudium JOSÈ LUIS SICRE, Profetismo in Israele, Borla ETTY HILLESUM, Diario 1941-43, Adelphi LUCA MOSCATELLI, Pane, esodo, missione. Meditazioni su Marco 6-8, in www.lucamoscatelli.it Luca Moscatelli, nato a Como il 15-02-1960, ha due figlie, Ester e Rachele. Maturità scientifica, Baccalaureato in Teologia, Licenza in Teologia. Lavora presso la Curia Arcivescovile di Milano, Ufficio per la pastorale missionaria. E’ consulente a Roma per Missio e a Verona per il Centro Unitario Missionario della CEI (CUM). E’ cultore in particolare di Esegesi biblica. 3 editoriale Stefano Femminis Direttore di Popoli - [email protected] - @stefanofemminis Expo 2015, ultima chiamata Poco più di un anno, meno di 500 giorni. Non è lontano, ormai, l’appuntamento con l’Expo di Milano (inizierà il 1° maggio 2015, terminando sei mesi dopo), un evento che intende guardare ben oltre l’orizzonte lombardo o italiano. È vero, per colpa della tendenza - ormai cronica nel nostro Paese - a concentrarsi sul proprio ombelico, in questi anni di avvicinamento il dibattito si è focalizzato perlopiù su questioni non certo di respiro universale: la scelta del luogo in cui realizzare l’esposizione, la definizione della governance dell’evento, l’individuazione delle infrastrutture necessarie, il reperimento dei finanziamenti, ecc. Ma se nel 2008 Milano ottenne l’assegnazione, molto merito va proprio all’orizzonte globale del progetto, alla scelta di un tema capace di parlare all’intera umanità: il cibo, il modo di produrlo e distribuirlo, le sue dimensioni economiche e tecnologiche, ma anche quelle culturali ed etiche. Un tema trasversale, multidisciplinare, con al cuore una sfida precisa: nutrire il pianeta (come chiede il titolo stesso dell’esposizione), sapendo che la fame nel mondo non è certamente un problema di quantità complessiva di cibo. Le statistiche Fao dimostrano che dagli anni Ottanta a oggi è aumentata la quota di cibo pro capite nel mondo. Il problema è nella distribuzione e nell’accesso: a molti il cibo non arriva o non L’esposizione milanese dovrà essere molto possono acquistarlo; altri più di una fiera globale. È un ultimo appello (una minoranza) ne hanno per l’umanità: vogliamo davvero costruire in abbondanza, tanto da un mondo senza fame? sprecarlo. L’Expo - a cui sono al momento iscritti 142 Paesi, che raccolgono l’88% della popolazione mondiale - sarà allora un’occasione irripetibile, una sorta di ultimo appello per l’umanità: vogliamo davvero costruire un mondo senza fame? Come intendiamo farlo? In questo senso anche la Chiesa potrà dare un contributo determinante: non già offrendo risposte preconfezionate, ma indicando la direzione verso cui andare, presentando le proprie buone pratiche, creando le condizioni per un dialogo costruttivo tra i vari attori in gioco: governi, organismi internazionali, imprese, Ong. Un piccolo, ma paradigmatico esempio viene dal Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace e dal suo presidente, il cardinale Peter Appiah Turkson. Invitato negli Stati Uniti a partecipare a due eventi in qualche modo contrapposti - poiché promossi da un’organizzazione apertamente contraria agli Ogm e da una apertamente favorevole -, ha rivolto ai due diversi uditori un discorso molto simile (i testi sono disponibili, in inglese, sul sito del Consiglio): non ha cercato il facile applauso, non ha dato benedizioni, né lanciato anatemi, ma ha offerto una serie di criteri etici per arrivare a un corretto discernimento e a un’azione conseguente. Ha offerto in sostanza un percorso per raggiungere l’obiettivo ultimo: la difesa e la valorizzazione della persona e del bene comune. «Si tratta di salvare l’uomo, si tratta di edificare l’umana società»: lo proclamava la Gaudium et Spes (n. 3) e lo ricorda spesso - parlando di «nuovo umanesimo» - anche l’arcivescovo della stessa Milano, il cardinale Angelo Scola. Ditelo, diciamolo, a chi è ancora convinto che l’Expo sarà una questione di padiglioni, alberghi e flussi turistici. FEBBRAIO 2014 Popoli 1 editoriale I paradossi del cibo Chiara Tintori Redazione di Aggiornamenti Sociali <[email protected]> P oco più di un anno ci separa da Expo 2015, l’Esposizione universale dal titolo «Nutrire il pianeta. Energia per la vita», che si terrà a Milano dal 1° maggio al 31 ottobre 2015. Un tema come il cibo rimanda immediatamente a interrogativi di ampia portata, economici, politici, culturali ed etici, sulle sfide che il mondo affronta in campo alimentare: come garantire a ogni uomo e a ogni donna il diritto al cibo? In che modo ridurre gli sprechi? Come mantenere il valore culturale del cibo senza scadere in omologazioni appiattenti? In preparazione all’appuntamento del 2015, la nostra Rivista intende offrire riflessioni su questo tema, tenendo presenti le contraddizioni che investono il nostro rapporto con il cibo, a loro volta rivelatrici dei paradossi che viviamo nelle relazioni con gli altri esseri umani e con il pianeta. In questa sede ci limiteremo a porre attenzione su tre contraddizioni: il problema dell’accesso al cibo e dell’eccesso di cibo; lo spreco di viveri; il prezzo e il valore degli alimenti. Pur sapendo che altri paradossi – come ad esempio trasformare il cibo in carburanti – sono aspetti altrettanto importanti, concluderemo con alcune indicazioni per il cammino verso Expo 2015. Accesso ed eccesso Secondo il Rapporto FAO The State of Food Insecurity in the World 2013. The Multiple Dimensions of Food Security (Lo stato dell’ insicurezza alimentare nel mondo 2013. Le dimensioni multiple della sicurezza alimentare), nel mondo 842 milioni di persone sono denutrite e oltre 2 milioni di bambini muoiono ogni anno 12 Aggiornamenti Sociali gennaio 2014 (12-16) editoriale per mancanza di cibo. Il diritto al cibo, in termini di quantità e qualità, e il diritto a vivere liberi dalla fame, sebbene affermati sia dalla Dichiarazione universale dei diritti umani (1948, art. 25) sia dalla Dichiarazione del Millennio (2000), non sono ancora goduti da tutta l’umanità, malgrado gli sforzi compiuti negli ultimi vent’anni abbiano portato a una diminuzione del numero di persone che nel mondo soffrono la fame. A fronte di questo dramma, registriamo il paradosso che si stanno diffondendo le conseguenze legate a rapporti distorti con il cibo (bulimia e anoressia), ma soprattutto l’eccessiva e disordinata alimentazione che porta all’obesità. Secondo i dati diffusi dall’OMS (Organizzazione mondiale della sanità) nel marzo 2013, a livello mondiale l’obesità è raddoppiata: ci sono oggi 1,4 miliardi di adulti in sovrappeso e 500 milioni di obesi; il 65% della popolazione mondiale vive in Paesi dove le conseguenze dell’eccesso di cibo fanno più vittime della malnutrizione. I due Paesi dove il fenomeno dell’obesità è più diffuso sono le isole del Pacifico, Samoa e Kiribati, seguite da USA, Germania ed Egitto; l’Italia è al 73esimo posto di questa classifica. Le preoccupazioni legate all’assunzione eccessiva di cibo riguardano le patologie (disturbi cardiovascolari, ischemie, diabete, ecc.) a cui con maggiore frequenza vanno incontro le persone obese. Tuttavia, se la malnutrizione è imposta, l’obesità per sovralimentazione è indotta da un sistema distorto di consumo e di pubblicità; per questo fin dall’età scolare si stanno attivando campagne educative per incentivare stili di vita più corretti. Cibo a perdere La FAO, nel rapporto Food Wastage Footprint: Impacts on Natural Resources del 2013 (L’ impronta ecologica degli sprechi alimentari: l’ impatto sulle risorse naturali), ha stimato che a livello mondiale lo spreco alimentare è pari a 1,3 miliardi di tonnellate all’anno, circa un terzo della produzione totale di cibo destinato al consumo umano. Le cause sono molteplici: fattori climatici e ambientali che possono portare alla rovina di un raccolto; standard estetici e qualitativi, che spesso conducono all’eliminazione quei prodotti che non rispecchiano canoni specifici, dal momento che spesso il cibo viene valutato per l’aspetto e non per le sue reali caratteristiche nutrizionali; leggi di mercato che determinano la maggiore o minore convenienza nella raccolta di un prodotto; comportamenti dei consumatori, che spesso gettano cibi perfettamente commestibili solo per mancata informazione sulle etichettature di scadenza. Secondo il Rapporto FAO, il 54% degli sprechi si verifica “a monte”, durante I paradossi del cibo 13 la fase di produzione, raccolto e stoccaggio degli alimenti; il 46% avviene invece “a valle”, nel corso delle fasi di trasformazione, distribuzione e consumo. Si stima che, in termini monetari, la perdita e lo spreco globali di cibo ammontino a mille miliardi di dollari americani, un terzo dei quali si perdono nei Paesi in via di sviluppo; “risparmiare cibo” comporterebbe quindi un miglioramento della sicurezza alimentare e nutrizionale anche in queste aree. Il fatto che il cibo sia diventato relativamente poco costoso per la maggior parte della popolazione dei Paesi sviluppati e che al suo acquisto sia destinata una bassa percentuale del reddito familiare, fa sì che i consumatori non percepiscano la convenienza di evitare gli sprechi. Al contrario vi è un interesse commerciale a non scoraggiare lo spreco, poiché esso permette di aumentare i consumi e quindi di far “girare” l’economia, favorendo così la distorsione del sistema alimentare. «Ma sprecare cibo è la cosa più malata che il mondo degli umani abbia concepito. Fame e spreco sono due facce di una logica che vorrebbe imporre alle nostre campagne di produrre ancora di più (spesso usando anche la fame nel mondo come causa motivante), di aumentare la competitività delle agricolture nazionali, inseguire l’export piuttosto che il benessere dei propri cittadini. Si arriva così all’assurdità per cui il Messico importa il 33% del mais che consuma, e l’Indonesia in alcuni anni il 40% del riso. Paesi che sono la culla di una biodiversità incredibile, soprattutto se si guarda ai loro prodotti simbolo (mais e riso)» (C. Petrini, Cibo e libertà. Slow Food: storie di gastronomia per la liberazione, Giunti-SlowFood Editore, Torino 2013, p. 60). Lo spreco di cibo trascina indirettamente quello di altre risorse utilizzate nella filiera agricola (acqua, energia, fertilizzanti, fitofarmaci, ecc.) e contribuisce inoltre ad aumentare la quantità di rifiuti da smaltire, con notevoli impatti ambientali (ad esempio in termini di emissioni di anidride carbonica): una vera e propria «filiera di sprechi». Dal prezzo al valore Come ogni prodotto sul mercato, oggi il cibo è giudicato per il suo prezzo e non per il suo valore. Prima dell’acquisto, la domanda giusta dovrebbe essere: «Quanto vale questo alimento?» e non solo: «Quanto costa?», perché spesso il prezzo finale – pensiamo a frutta e verdura, ma ancor di più a prodotti tropicali come caffè e cacao – cela ingiustizie nella retribuzione dei produttori e dei lavoratori della terra. In Italia, come nel resto del mondo, milioni di lavoratori delle campagne non vedono ancora rispettati i propri diritti elementari e talvolta i nostri consumi possono rivelarsi complici di questo sfruttamento. 14 Chiara Tintori editoriale Inoltre ogni cibo è portatore di un valore culturale, di una storia che è quella del luogo da cui proviene, di chi lo ha lavorato, ed è espressione della varietà della natura (come la biodiversità e le varietà autoctone). Sempre di più in una società multietnica come la nostra i diversi alimenti, le abitudini alimentari e i sapori celano patrimoni culturali difficilmente omologabili, perché rimandano ai legami con la propria terra e a valori quali la condivisione – quella del cibo consumato insieme ne è archetipo simbolico – la convivialità e l’ospitalità. Recuperare il valore del cibo significa considerarlo non solo dal punto di vista economico e smettere di trattarlo come una fra le tante materie prime, su cui lanciare spregiudicate speculazioni finanziarie. Queste provocano oscillazioni nei prezzi di molti prodotti agricoli (grano, riso, mais, zucchero, ecc.), per lo più slegate dalle dinamiche della produzione agricola, che rischiano di far saltare gli equilibri alimentari di intere popolazioni che dipendono da tali derrate, in qualità di produttori o di consumatori. Verso Expo 2015 Siamo coscienti che non esistano soluzioni immediate a tali paradossi, tuttavia ciascuno può fare la sua parte, cominciando a prestare attenzioni concrete a chi ancora non ha accesso sufficiente all’alimentazione (un esempio è la recente campagna «Una sola famiglia umana, cibo per tutti», promossa da Caritas Internationalis), assumendo stili di vita più sani – per quanto è nelle proprie possibilità – e che tengano conto del valore del cibo e quindi del modo di acquistare e consumare. Esiste un altro livello di impegno: quello culturale, sociale e politico. Nel tempo che ci separa da Expo, come Rivista intendiamo creare opportunità per riflettere e dialogare su come il cibo rappresenti un asse fondamentale nel percorso di costruzione di una società più giusta e sostenibile. Insieme ad altri partner (Arcidiocesi di Milano, Caritas Ambrosiana, Caritas Internationalis, Caritas Italiana, Expo 2015 s.p.a., Fondazione Lanza, Intervita, Popoli) e con il patrocinio della Presidenza del Consiglio dei Ministri e del Centro regionale di informazione delle Nazioni Unite (UNRIC), promuoveremo nell’autunno 2014 un ciclo di tre seminari su: cibo, ambiente e stili di vita; diritto al cibo, cibo e diritti; cibo, culture e religioni. In preparazione abbiamo lanciato un call for paper (cfr Aggiornamenti Sociali, 12 [2013] 877-878), a cui possono rispondere tutti coloro che a vario titolo fanno ricerca o operano in questo campo. Le proposte vanno presentate entro il 31 gennaio 2014 (info: <[email protected]> e <www.aggiornamentisociali.it>). I paradossi del cibo 15 Nella linea dell’approfondimento del significato culturale, sociale e politico del tema del cibo, un primo importante stimolo è venuto dall’arcivescovo di Milano, card. Angelo Scola, che vi ha dedicato il tradizionale discorso alla città in occasione della solennità del patrono, sant’Ambrogio, il 6 dicembre 2013. Expo 2015 rappresenta una sfida a valorizzare al massimo i molteplici significati dell’alimentazione e dell’energia, «proponendo al mondo una visione culturale e nuovi stili di vita in cui i significati tecnico-scientifici e umanistici, quelli sociopolitici ed etici, quelli culturali e religiosi sappiano convivere efficacemente» (Scola A., Cosa nutre la vita? Expo 2015, Centro Ambrosiano, Milano 2013, p. 22). Il cammino verso Expo si nutre della dimensione dell’umanesimo, delle relazioni tra le persone all’interno di un progetto condiviso, e l’appuntamento del 2015 non sarà un punto di arrivo, ma di passaggio grazie al quale acquisire maggiore consapevolezza anche sui paradossi che si celano nel nostro rapporto con il cibo, auspicando un cambiamento delle nostre pratiche e nuove politiche per la promozione del cibo come bene comune universale. 16 Chiara Tintori Il diritto all’alimentazione – la sfida dei diritti umani nel 21° secolo Giornata mondiale dell’alimentazione 16 ottobre 2007 www.fao.org Una famiglia che va a dormire affamata ogni notte viene guardata in genere con compassione. Ma, con il rafforzarsi in tutto il mondo dello status giuridico del diritto all’alimentazione, lo sguardo lanciato verso i membri di questa famiglia sta cambiando. Non sono più visti attraverso la lente della carità, Le persone più vulnerabili – coltivatori privi di terre, ma come persone che trovano ostacoli nel abitanti di quartieri urbani degradati, persone che vivono realizzare un loro diritto umano fondamentale. in estrema povertà – trarrebbero i maggiori benefici dalla in zone belliche, malati di HIV/AIDS e persone che vivono concretizzazione del diritto all’alimentazione. Ma sarebbe I paesi in tutti i continenti stanno riconoscendo sempre un vantaggio per tutta la società. più il diritto all’alimentazione e stanno adottando azioni specifiche per aiutare le loro popolazioni a realizzare Un mondo in cui il diritto all’alimentazione sia una realtà questo diritto. Una promessa fatta nel 20° secolo sta per tutti è un mondo in cui le persone di ogni livello sono acquistando slancio per essere concretizzata nel 21°. parte attiva della società, possono far sentire la loro voce sulle politiche di governo e chiedere ai loro leader di agire. È un mondo in cui i governi devono rendere conto delle proprie azioni e in cui le risorse sono distribuite ed utilizzate in modo più equo e sostenibile. Realizzare il diritto all’alimentazione significherebbe anche onorare l’impegno, assunto nel corso del Vertice mondiale sull’alimentazione del 1996, di dimezzare entro il 2015 il numero dei sottonutriti e conseguire il primo Obiettivo di sviluppo del Millennio, ossia dimezzare entro il 2015 la percentuale di persone afflitte da fame ed estrema povertà. Ciò che il diritto all’alimentazione è – e ciò che non è Per il solo fatto di nascere, ogni essere umano ha diritto all’alimentazione. Non deve fare niente per “meritarlo”, è un diritto acquisito alla nascita. Tuttavia, ciò non significa che una persona possa incrociare le braccia e chiedere cibo gratis. Ognuno è tenuto a fare tutto il possibile per realizzare il proprio diritto all’alimentazione. I paesi firmatari del Patto internazionale sui diritti economici, sociali e culturali devono, da parte loro, assicurarsi che questo diritto sia accessibile a tutti coloro che vivono all’interno dei loro confini. Più in generale, i governi devono creare condizioni di pace, stabilità, libertà e prosperità in cui le persone siano in grado di nutrirsi con dignità. Anche senza un obbligo legale, i governi hanno l’obbligo morale di garantire la libertà dalla fame. Il diritto all’alimentazione è stato formalmente riconosciuto nel primo documento internazionale sui diritti dell’uomo, la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo adottata dalle Nazioni Unite nel 1948, e si è gradualmente rafforzato nel tempo, tramite l’adozione di appositi provvedimenti a livello nazionale ed internazionale (vedi riquadro Cronologia legale del diritto all’alimentazione). Una definizione più elaborata di questo diritto è stata data nel 1999 con il Commento generale 12 del Comitato sui diritti economici, sociali e culturali dell’ONU, incaricato di supervisionare l’attuazione del Patto. Il Commento precisa che il diritto ad un’alimentazione adeguata viene realizzato «quando ogni uomo, donna e bambino, da solo o in comunità con altri, dispone in qualsiasi momento dell’accesso fisico ed economico ad un’alimentazione adeguata o ai mezzi per procurarsela». I governi devono creare le condizioni per attuare questo diritto, adottando politiche e provvedimenti che consentano alle persone di coltivare o acquistare cibo a sufficienza. Cosa si intende per alimentazione “adeguata”? Si intende una quantità e una varietà di cibo sufficiente a soddisfare tutti i bisogni nutritivi per una vita sana ed attiva. Il diritto all’alimentazione è più del diritto ad un’alimentazione di base o ad un apporto calorico sufficiente. Il Patto chiede la realizzazione progressiva del diritto all’alimentazione nella massima misura possibile in base alle risorse disponibili. Anche i paesi che non conoscono una crescita economica possono realizzare progressivamente il diritto all’alimentazione eliminando gli ostacoli che persone o collettività possono incontrare. Cronologia legale del diritto all’alimentazione La prima affermazione del credo secondo cui ogni essere umano nasce con il diritto intrinseco all’alimentazione viene attribuita ad un famoso discorso del 1941 di Franklin Roosevelt, Presidente degli Stati Uniti d’America. Si trattava del cosiddetto “discorso sulle quattro libertà”: libertà di parola, libertà di culto, libertà dal bisogno e libertà dalla paura. Dopo la Seconda guerra mondiale, molti paesi hanno abbracciato il principio delle quattro libertà. Libertà che furono incluse nella Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, adottata nel 1948 in una delle prime iniziative dell’Assemblea generale delle nuove Nazioni Unite. L’articolo 25 della Dichiarazione riguarda specificamente il diritto all’alimentazione: «Ogni individuo ha diritto ad un tenore di vita adeguato a garantire la salute e il benessere per sé e la propria famiglia, con particolare riguardo all’alimentazione…». La Dichiarazione è divisa in due trattati, uno sui diritti civili e politici e uno sui diritti economici, sociali e culturali. Il diritto all’alimentazione è incluso nel Patto internazionale sui diritti economici, sociali e culturali adottato dall’Assemblea generale dell’ONU nel 1966 ed entrato in vigore nel 1976. Ad oggi, sono 156 i paesi che lo hanno ratificato. L’articolo 11 del Patto riconosce «il diritto di ogni individuo ad un tenore di vita adeguato... con particolare riguardo ad un’alimentazione adeguata» e «il diritto fondamentale di ogni individuo alla libertà dalla fame ...». Una volta ratificato, il Patto diventa legalmente vincolante per lo stato ratificante; il governo deve quindi prendere misure adeguate per la sua progressiva realizzazione, adottando e applicando apposite leggi. Nel tempo, con l’applicazione di tali normative e la giurisprudenza dei tribunali chiamati a risolvere le controversie in materia, questo diritto si sta gradualmente rafforzando e consolidando all’interno dei sistemi giuridici nazionali. I paesi in cui questo diritto è stato affermato con forza sono ora in procinto di vedere la fame diminuire nella propria popolazione, come nell’esempio dell’India citato nel testo. Come raggiungere l’obiettivo Ogni individuo deve agire nel suo piccolo, ma tre obblighi devono essere osservati dai paesi che hanno ratificato il Patto. Essi devono: O r ispettare questo diritto, ossia evitare di adottare misure che impediscano alle persone di realizzare il loro diritto all’alimentazione; O p roteggere questo diritto, facendo in modo che nessuno lo tolga ad altri; O g arantire questo diritto, in due modi: i governi devono favorire le azioni che rafforzino l’accesso e l’uso delle risorse; ed inoltre, se le persone non sono in grado di realizzare il diritto all’alimentazione per cause che siano fuori del loro controllo, devono fornire i mezzi affinché ciò accada. Rispettare il diritto all’alimentazione significa, ad esempio, che un governo non può confiscare la terra o deviare corsi d’acqua usati per l’agricoltura nelle zone con deficit alimentare senza una valida ragione o senza un’adeguata contropartita. Proteggere tale diritto significa, ad esempio, che prima di rilasciare permessi o concessioni per un’attività industriale, ad esempio di disboscamento, le autorità devono verificare e garantire che tali attività non finiscano con l’impedire l’accesso all’alimentazione o a mezzi di sussistenza. Facilitare il diritto significa adottare misure di più vasta portata, come le riforme agricole, ove esse si rendano necessarie, o l’informazione delle persone sui loro diritti. L’obbligo di intervenire direttamente, estremo rimedio quando gli sforzi del governo per rispettare, proteggere e facilitare il diritto si mostrano inadeguati, include misure come sussidi o aiuti alimentari. Sul piano internazionale, il diritto all’alimentazione è salito alla ribalta nel 2004 con l’adozione unanime da parte del Consiglio della FAO delle “Voluntary Guidelines on the Progressive Realization of the Right to Adequate Food in the Context of National Food Security” (“Linee guida volontarie a sostegno della realizzazione progressiva del diritto ad un’alimentazione adeguata nel contesto della sicurezza alimentare nazionale”), conosciute informalmente come “Linee guida sul diritto all’alimentazione”. Queste linee guida forniscono un aiuto concreto ai governi per adempiere i loro obblighi (vedi riquadro Linee guida sul diritto all’alimentazione: uno strumento pratico). Affermare il diritto all’alimentazione, paese per paese La maggior parte delle azioni volte a trasformare in realtà il diritto all’alimentazione avvengono a livello nazionale, dove risultano fondamentali la volontà politica e il rispetto delle norme internazionali. Trasformare l’impegno in realtà significa adottare normative a favore dell’attuazione del diritto e realizzare politiche e programmi concreti. Fra i paesi che stanno operando in tal senso ricordiamo Bolivia, Guatemala, Indonesia, Mali, Mozambico, Nepal e Uganda. Il Brasile costituisce un valido esempio di paese che ha intrapreso azioni globali per realizzare il diritto all’alimentazione (vedi riquadro Il successo del Brasile: il ruolo del governo e della società civile). In India, l’impegno a favore del diritto all’alimentazione è aumentato dal 2001 con una causa intentata da una ONG attiva nel campo delle libertà civili in Rajasthan. L’azione mirava a imporre l’obbligo dell’utilizzo delle riserve alimentari del paese per la prevenzione della fame durante una siccità molto estesa. La Corte suprema indiana deve ancora emettere il verdetto finale, ma nel frattempo ha emesso una serie di importanti sentenze provvisorie, grazie alle quali è stato formalmente riconosciuto il diritto all’alimentazione: è stato imposto ai governi centrale e dello stato in questione di adottare apposite misure, che comportavano l’utilizzo di risorse pubbliche, per migliorare la situazione. La Corte ha anche ordinato ai governi di informare la popolazione interessata sul diritto legale all’alimentazione. Queste sentenze hanno avuto importanti effetti pratici, determinando l’attuazione del programma di distribuzione del pranzo nelle scuole dell’India, obbligatorio per tutti i bambini nelle scuole elementari statali o finanziate dallo stato. Si tratta del più grande programma alimentare scolastico al mondo, grazie al quale vengono distribuiti ogni giorno più di 50 milioni di pasti caldi. In Sudafrica la costituzione del 1994, adottata dopo l’apartheid, è molto progressista. Nella carta dei diritti, si precisa che: «ogni individuo ha il diritto di avere accesso a … acqua e cibo in quantità sufficienti …». Specifica che lo stato è tenuto a garantire ad ogni bambino il diritto ad un’adeguata nutrizione. Dalla costituzione è nata anche una commissione per i diritti umani, incaricata di vigilare su tutti i diritti umani, di indagare sulle denunce di violazione, di cercare eventuali risarcimenti a tali violazioni e di sensibilizzare la popolazione sui diritti umani. Si sta inoltre cercando di sviluppare un quadro normativo riguardante il diritto all’alimentazione. Anche nei paesi sviluppati i tribunali interpretano e tutelano il diritto all’alimentazione. La corte suprema elvetica, ad esempio, in un caso riguardante immigrati clandestini, ha riconosciuto nel 1996 il diritto alle condizioni minime di base, tra cui l’alimentazione, per prevenire situazioni in cui le persone «si trovino a dover mendicare, una condizione indegna di un essere definito umano». Linee guida sul diritto all’alimentazione: uno strumento pratico L’adozione unanime delle Linee guida sul diritto all’alimentazione da parte del Consiglio della FAO nel 2004 è stata una delle tappe più importanti nella storia del diritto all’alimentazione: è stato infatti proprio in questa occasione che la comunità internazionale si è accordata per la prima volta sul pieno significato di questo diritto. Queste linee guida colmano il divario fra il riconoscimento legale e l’effettiva realizzazione del diritto, offrendo un corpus coerente di raccomandazioni strategiche a governi, società civile e altri partner. Le 19 linee guida riguardano la politica di sviluppo economico, le questioni legali e istituzionali, la politica agricola e alimentare, la nutrizione, la sicurezza alimentare e la tutela dei consumatori, l’opera di educazione e sensibilizzazione, le reti sociali di sicurezza, le situazioni di emergenza e la cooperazione internazionale. Costituiscono un valido ambito per una politica nazionale integrata per la sicurezza alimentare. La svolta Josué de Castro, Brasile, Chairman del Consiglio della FAO dal 1951 al 1955, alla XII Sessione della Conferenza della FAO a Roma, novembre 1963. «Fame significa esclusione», scriveva Josué de Castro (1908-1973), il famoso medico brasiliano, attivista contro la fame nel mondo. «Esclusione dalla terra, dal lavoro, dalla paga, dal reddito, dalla vita e dalla cittadinanza. Se una persona arriva al punto di non avere nulla da mangiare, è perché tutto il resto gli è stato negato. È una forma moderna di esilio. Di morte durante la vita». Con queste parole, il dottor de Castro riassumeva la disperazione di ognuno degli 854 milioni di affamati in tutto il mondo. Ognuno di loro è una persona che non è riuscita a realizzare il proprio diritto ad un’adeguata alimentazione e ad essere libera dalla fame. Il mondo è in grado di produrre cibo sano e sufficiente per tutti. Da ormai venti anni gli stati riconoscono sempre più questo loro obbligo e adottano misure per realizzare questo diritto umano. La Giornata mondiale dell’alimentazione rappresenta un’occasione a livello locale, nazionale ed internazionale per approfondire il dialogo e aumentare la solidarietà sul diritto fondamentale all’alimentazione. Il successo del Brasile: il ruolo del governo e della società civile Il Brasile costituisce un valido esempio di paese che ha intrapreso azioni globali per realizzare il diritto all’alimentazione. O BRASIL QUE COME AJUDANDO O BRASIL QUE TEM FOME Dagli anni ’80, dopo che un massiccio movimento della società civile ha contribuito al ritorno della democrazia nel paese, i brasiliani continuano ad esercitare pressione sul governo per la realizzazione dei diritti umani. L’impegno a favore del diritto all’alimentazione è iniziato con la Prima conferenza nazionale su alimentazione e nutrizione del 1986, che faceva parte del processo di stesura della nuova costituzione. L’impegno si è ulteriormente sviluppato nel 2003 con l’elezione del Presidente Luiz Inácio Lula da Silva, artefice del programma Fome Zero (Fame Zero), che prevede 31 azioni e progetti, portati avanti in diversi ministeri, miranti a garantire l’accesso al cibo, ad aumentare i redditi delle famiglie e promuovere le aziende agricole familiari. Nel 2005 il programma poteva contare su un bilancio di 6 miliardi di dollari statunitensi. Una delle componenti chiave di Fame Zero è la bolsa família (sovvenzione familiare), un sussidio mensile che aiuta attualmente 12 milioni di famiglie povere. Un programma alimentare scolastico distribuisce pasti a 37 milioni di bambini. Altre componenti del programma sono: il Consiglio nazionale per la sicurezza alimentare e nutrizionale, che riferisce direttamente al presidente e che svolge un’attività di consulenza su politiche e linee guida per realizzare il diritto all’alimentazione; un sistema di sorveglianza su fame e malnutrizione; una commissione di vigilanza sulle violazioni del diritto all’alimentazione; ed il cosiddetto “Pubblico Ministero”, un’autorità indipendente dai poteri esecutivo, legislativo e giudiziario e che ha facoltà di proporre azioni legalmente vincolanti per porre rimedio a violazioni dei diritti umani. Nel 2006 è stata adottata la legge federale sulla sicurezza alimentare e nutrizionale, che ha stabilito un sistema nazionale di sicurezza alimentare e nutrizionale per garantire il diritto all’alimentazione. dalla creazione di orti urbani ad azioni di sostegno della riforma agraria. Sono più di 1 000 i gruppi della società civile che hanno stilato rapporti per la 30 a sessione del Comitato sui diritti economici, sociali e culturali nel 2003. La combinazione fra una politica progressista di governo e la risolutezza della società civile ha garantito una vasta accettazione della legittimità del diritto all’alimentazione in Brasile. “Azione cittadinanza”, una rete che lotta contro fame, povertà ed esclusione sociale, ha creato più di 7 000 comitati locali che lavorano su progetti che vanno Per ulteriori informazioni: Sottodivisione della Giornata mondiale dell’alimentazione e delle iniziative speciali Tel: +39-06-570-55361 / +39-06-570-52917 Fax: +39-06-570-53210 / +39-06-570-55249 [email protected] / [email protected] Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura (FAO) Viale delle Terme di Caracalla 00153 Roma, Italia www.fao.org AD/I/A1269It/1/9.07/20000 Crediti fotografici (dall’alto in basso, da sinistra a destra): ©FAO/Giulio Napolitano; ©FAO/Pius Utomi Ekpei; ©FAO/Ivo Balderi; ©Raghu Rai/Magnum Photos per la FAO; ©FAO/Giulio Napolitano; ©FAO/Giuseppe Bizzarri; ©FAO/Giulio Napolitano; ©FAO photo; ©FAO/Pius Utomi Ekpei; ©FAO/Prakash Singh; ©FAO/Giuseppe Bizzarri; ©FAO/Giuseppe Bizzarri. AS 12 [2005] 831-834 Schedario/ Lessico oggi Claudio Malagoli Sovranità alimentare Professore di Economia agraria nell’Università di Bologna e Vicepresidente del Consiglio dei Diritti Genetici L’alimentazione è l’attività fisiologica per eccellenza. Ognuno di noi — anche se il Vangelo ci ricorda che «Non di solo pane vivrà l’uomo» (Mt 4,4) — non può fare a meno di alimentarsi, almeno due o tre volte al giorno, ovviamente se se lo può permettere. La sovranità alimentare è quindi una categoria della massima importanza: può essere intesa come il diritto di ogni popolo a definire le proprie politiche agrarie, regolando così la produzione agricola nazionale e il mercato locale, al fine di soddisfare la domanda interna di alimenti. Sovranità alimentare per qualsiasi Paese significa sicurezza, anche dal punto di vista degli equilibri sociali, poiché un uomo affamato potrebbe essere disposto a tutto pur di ottenere alimenti per sé e per la propria famiglia. Ed è esattamente per questo motivo che ogni Paese, per quanto modesta sia la sua disponibilità di terreni e per quanto elevati siano i costi di produzione agricoli, non rinuncerà mai a una seppur minima sovranità alimentare. Il nostro Paese è attualmente lievemente deficitario. Solo nei primi decenni del ’900 era completamente autosufficiente, in relazione alla politica autarchica attuata in quegli anni. 831 Sussidi agricoli e dumping Purtroppo, nel mondo ci sono Paesi che non hanno mai raggiunto una completa sovranità alimentare. In particolare, secondo la FAO, circa 800 milioni di persone manifestano problemi di denutrizione (insufficiente apporto alimentare) e di malnutrizione (dieta sbilanciata nei suoi componenti). Spesso denutrizione e malnutrizione non sono causati dalla mancanza di cibo, ma da fattori di instabilità politico-sociale, con particolare riferimento alle guerre, alle catastrofi naturali e alle conseguenti crisi economiche. Denutrizione e malnutrizione sono da addebitare anche a una squilibrata distribuzione delle risorse e dei consumi sia a livello planetario, sia negli stessi Paesi dove queste problematiche si manifestano. Paradossalmente, alcuni Paesi nei quali sono presenti problemi di denutrizione, figurano tra i principali esportatori di cibo a livello mondiale (nel 2002 l’India è risultata il secondo esportatore mondiale di riso dopo la Thailandia). I Paesi dell’UE sostengono la produzione interna di alimenti mediante la corresponsione di aiuti (sussidi) agli agricoltori. Tali sussidi producono effettivamente un risultato di «dumping sui prezzi». In campo economico, il dumping 832 indica una pratica commerciale di vendita sui mercati internazionali di prodotti che eccedono la capacità di assorbimento del mercato interno, a prezzi inferiori ai costi di produzione. Del resto i sussidi rappresentano l’unico modo per proteggere la sovranità alimentare dei Paesi dell’UE dalle esportazioni attuate da altri Paesi, che, di fatto, utilizzano altre forme di dumping per poter vendere a bassi prezzi i loro prodotti («dumping ambientale», «dumping sociale», «dumping tecnologico», ecc.). Pertanto, numerose sono le motivazioni che possono spingere un Paese a sovvenzionare la propria agricoltura, consapevole del fatto che una completa liberalizzazione del mercato globale potrebbe portarlo alla perdita della sovranità alimentare. Va rilevato che i sussidi agricoli sono da più parti accusati di determinare effetti negativi sulla sovranità alimentare dei Paesi Meno Avanzati (PMA). Una tesi che richiede alcune precisazioni. In particolare, se le critiche ai sussidi sono relative all’impossibilità da parte di certi PMA di poter attuare sul proprio territorio un’agricoltura moderna e competitiva per il mercato interno a causa del dumping esercitato dall’agricoltura europea, ben vengano queste critiche. Da un lato però ci sono Paesi, come ad esempio l’India, che sono grandi produttori ed esportatori, e, dall’altro, occorre tener conto della concreta situazione mondiale: se l’UE eliminasse i sussidi, altri Paesi, che esportano in quantità molto maggiori (come ad es. USA e Canada), ne rimpiazzerebbero le esportazioni sussidiate. Questo almeno fino a quando non sarà possibile giungere a un accordo complessivo globale sulla materia: è una questione che viene spesso posta in sede di negoziati commerciali internazionali, Claudio Malagoli ma che al momento pare ben lontana da una soluzione. Se, invece, si vuole attribuire ai sussidi la responsabilità dell’incremento dei problemi della fame nel mondo, questa accusa potrebbe non rispondere alla realtà, per diversi motivi. In primo luogo, come è risaputo, il problema della fame non deriva da insufficiente produzione alimentare, ma da una iniqua distribuzione della ricchezza (si veda il caso di Paesi come Argentina, India, Brasile, ecc.): gli affamati sono tali non perché la produzione di cibo sia insufficiente, ma perché non dispongono del denaro per acquistare il cibo, cioè perché i prezzi degli alimenti sono troppo alti rispetto al loro reddito disponibile. Diminuire gli affamati significa, pertanto, diminuire il prezzo degli alimenti. Ed è proprio questo l’effetto dei sussidi tanto contestati: essi fanno diminuire il prezzo mondiale delle merci, ed è per questo che ad esempio in sede di Organizzazione Mondiale del Commercio essi suscitano forti opposizioni da parte dei grandi esportatori (attuali o potenziali) di derrate alimentari. Inoltre, pur essendo senz’altro vero che in presenza di prodotti europei sussidiati per i PMA diventa molto difficile esportare, è tuttavia altrettanto vero che se esportano significa che il prezzo mondiale è superiore al prezzo interno (perché altrimenti essi venderebbero sul mercato interno). Per gli agricoltori dei PMA le alternative sono quindi due: o produrre per il mercato interno, caratterizzato da prezzi più bassi e meno remunerativi, o produrre per i Paesi ricchi, con prezzi più alti e più vantaggiosi. Pertanto, in termini generali, l’effetto delle esportazioni da parte dei PMA è quello di far lievitare il prezzo interno, con ulteriore aggravamento dei problemi di ap- Sovranità alimentare provvigionamento alimentare da parte di coloro che non hanno il denaro per acquistare il cibo. Le dinamiche del commercio internazionale Va infine ricordato che i PMA riconvertono la produzione su altri beni (ad esempio trasformano le risaie in allevamenti di gamberetti, come sta accadendo recentemente in India) non tanto perché i sussidi europei fanno concorrenza alla produzione locale di derrate alimentari, ma piuttosto perché in questi Paesi il costo di produzione di prodotti da esportare nei Paesi ricchi (ad es., fiori o gamberetti) è più basso di quello che si avrebbe nei Paesi di consumo, e quindi vi è una pressione in tal senso da parte delle grandi multinazionali. In altre parole, non sono le esportazioni sussidiate di derrate alimentari a soppiantare la produzione locale rendendola troppo scarsamente remunerativa, ma i prodotti da esportazione, sui quali è possibile realizzare guadagni maggiori che sulla produzione di cibo per il mercato locale. La teoria del commercio internazionale ci insegna infatti che i PMA, per affrancarsi dalla povertà e raggiungere una certa sovranità alimentare, non dovrebbero specializzarsi nella produzione e nella vendita di prodotti da esportazione, ma dovrebbero prima di tutto e nella misura del possibile produrre ciò che normalmente importano. A sostegno di queste affermazioni è il«teorema di Rybczynski», che descrive il fenomeno di «crescita immiserente» di un PMA fortemente specializzato nella produzione di un bene destinato all’esportazione. Può accadere che questo Paese, al fine di aumentare le vendite, incrementi ulteriormente la produzione di 833 quel bene, destinandovi terreni che prima erano utilizzati per la produzione di alimenti per il mercato interno. Non necessariamente quel Paese ne trarrà i vantaggi economici sperati, in quanto l’aumento dell’offerta può determinare una diminuzione del prezzo di mercato, che potrebbe anche essere superiore all’incremento di produzione. In questo modo, quel Paese, pur avendo incrementato in termini quantitativi la vendita di quel prodotto, è più povero, sia perché l’aumento delle quantità vendute non è in grado di compensare l’effetto negativo sui ricavi dovuto alla diminuzione del prezzo, sia perché la nuova destinazione dei terreni ne ha diminuito la sovranità alimentare. Questa sorta di «trappola» scatta in modo particolare quando ciascun Paese decide le proprie strategie di produzione agricola senza tener conto di ciò che faranno i suoi concorrenti: ad esempio, se il prezzo di un certo prodotto lo rende particolarmente remunerativo, ciascun produttore sarà indotto ad aumentarne la produzione; l’aumento di produzione realizzato da ciascuno è probabilmente irrilevante rispetto al mercato mondiale, e a parità di tutte le altre condizioni, effettivamente il Paese in questione ne trarrebbe un vantaggio. Il problema è però che a livello aggregato l’incremento della produzione da parte di tutti i produttori è in grado di determinare un eccesso di offerta sul mercato mondiale, e di conseguenza una diminuzione del prezzo: tutti i produttori ne risulteranno danneggiati. Non si tratta di un caso teorico: è già accaduto per il caffè, per il cacao, per il tè e per altri prodotti provenienti dai PMA. La situazione nei Paesi ricchi Finora ci siamo occupati dei problemi della sovranità alimentare dei PMA. Oc- 834 corre però considerare che anche i Paesi ricchi potrebbero correre qualche rischio, ad esempio nel caso di massiccia introduzione di Organismi Geneticamente Modificati (OGM) per la produzione di alimenti. In particolare, essendo questi prodotti coperti da brevetto, si potrebbe determinare la concentrazione della proprietà del cibo in poche mani, quelle dei monopolisti, i quali potrebbero non vendere la semente sul mercato, ma affidarla agli agricoltori attraverso appositi contratti di coltivazione, in cui si riserverebbero la proprietà degli alimenti prodotti. A questo punto, potrebbero fissare arbitrariamente il prezzo del cibo, a evidente danno dei consumatori. Per un Paese sovranità alimentare significa anche sicurezza alimentare da un punto di vista della salute. In particolare, oggigiorno, a causa di frodi e/o di tecniche di produzione discutibili (uso di ormoni, fitofarmaci, OGM, ecc.), la qualità del cibo a volte è messa a repentaglio, tanto che il consumatore è portato a rifiutare un cibo anche solo per semplici sospetti di rischi connessi al suo consumo. Il recente«virus dei polli» ne è un esempio. La sovranità alimentare del nostro Paese è limitata dal fatto che i prezzi mondiali degli alimenti sono molto bassi, per cui si preferisce acquistare all’estero piuttosto che produrre internamente, pur se occorrerebbe interrogarsi anche sulla qualità del cibo importato. Tale scelta provoca l’abbandono dei terreni marginali — quelli sui quali non è più economicamente conveniente produrre, in quanto i costi di produzione risultano su- Claudio Malagoli Per saperne di più COLOMBO L., Fame. Produzione di cibo e sovranità alimentare, Jaca Book, Milano 2002. ILLUZZI L., «Dumping», in Aggiornamenti Sociali, 4 (2004) 304-308. MALAGOLI C., «Alimenti transgenici: opportunità o rischio?», in Aggiornamenti Sociali, 4 (2005) 284-295. <www.foodsovereignty.org>, International NGO / CSO Planning Committee for Food Sovereignty (Coordinamento internazionale delle ONG per la sovranità alimentare). <www.sovranitalimentare.it>, Campagna Italiana per la Sovranità Alimentare. <www.viacampesina.org>, Vía Campesina (Coordinamento internazionale di movimenti di contadini). periori ai prezzi di vendita dei prodotti sul mercato —, con indubbie conseguenze ambientali negative per il nostro territorio: un territorio che da sempre è governato dall’agricoltura, senza la quale, con ogni probabilità, non potrebbe mantenersi tale. In questo modo viene meno la multifunzionalità dell’agricoltura da tutti auspicata (salvaguardia del paesaggio, tutela dell’assetto idrogeologico, protezione della flora e della fauna, ecc.). Tuttavia — ed è questa una nota di ottimismo — basterebbe un lieve aumento dei prezzi di mercato dei prodotti agricoli per rendere conveniente la coltivazione di terreni attualmente marginali, rendendo reale la sovranità alimentare del nostro Paese. inchiesta Ogm e fame, la rivoluzione mancata Sembrano avere fugato i dubbi sulla loro pericolosità per la salute e l’ambiente, mentre - contrariamente alle promesse - non hanno risolto la piaga della malnutrizione. L’unica certezza è che gli Ogm sono fonte di enormi affari per poche multinazionali e di grandi problemi per i piccoli coltivatori. In questo servizio analisi, numeri e testimonianze 14 Popoli febbraio 2013 Paolo Fontana * L’ uomo ha sempre selezionato piante e animali favorendo, attraverso una paziente opera d’incroci, varietà vegetali e razze animali con caratteristiche che risultassero convenienti. Questo processo di «domesticazione», che consiste nel cammini di giustizia far riprodurre quegli individui che in modo già marcato presentano le qualità ricercate, richiede tempi lunghi, dettati dal ritmo naturale delle generazioni. La lunga storia dell’agricoltura e dell’allevamento ha registrato, specie nel secolo scorso, una forte accelerazione grazie all’utilizzo di nuove tecniche agricole. Ma la svolta netta in questo modo di procedere si è avuta con l’applicazione ai vegetali (e agli animali) delle conoscenze biotecnologiche. Un Organismo geneticamente modificato (Ogm) è un organismo vivente che possiede una combinazione di materiale genetico inedita, ottenuta con l’utilizzo delle biotecnologie. La manipolazione genetica modifica la struttura e le funzioni dell’organismo vivente e lo induce a produrre materiali biologici ad hoc. Le applicazioni possibili spaziano in vari campi: dalla medicina alla cura della salute, dal settore alimentare a quello chimico, dalla zootecnia all’agricoltura. Il nostro interesse è per i vegetali Gm: dunque ne approfondiremo la diffusione, le caratteristiche, le criticità. SALUTE E AMBIENTE Mentre la «creazione» in laboratorio del primo Ogm (non vegetale) è datata 1973, i primi vegetali Gm coltivati in campo risalgono al 1996 e si estendevano per 1,7 Mha (milioni di ettari); nel 2011 sono stati seminati 160 Mha con Ogm, il che equivale a un incremento di 94 volte in 15 anni. I Paesi maggiormente coinvolti sono 29, di cui 19 in via di sviluppo e 10 industrializzati. Il tasso di crescita per le colture biotech nei Paesi in via di sviluppo è stato dell’11% nel 2011 rispetto all’anno prima, quasi il doppio rispetto ai Paesi industrializzati (+5%). Il leader della produzione mondiale di raccolti biotech restano gli Usa, con 69 Mha coltivati; seguono il Brasile (30,3 Mha, +20% rispetto all’anno precedente), l’Argentina (23,7) e l’India (10,6); in questa classifica la Cina è sesta con 3,9 Mha e il Sudafrica nono (2,3) (cfr Tabella pag. 16). Le piante geneticamente modificate più seminate sono quattro: la soia, con 80 Mha coltivati nel mondo nel 2011; il mais con 50 Mha; il cotone e la colza, rispettivamente con 22 e 10 Mha. Altri Ogm coltivati, ma in appezzamenti notevolmente inferiori (qualche centinaio di migliaia di ettari), sono: barbabietola da zucchero, erba medica, papaya e zucca negli Usa; papaya, pioppo, pomodoro e peperone dolce in Cina; patata in Germania e Svezia. Le modifiche genetiche introdotte nelle quattro specie più coltivate sono fondamentalmente di tre tipi: la tolleranza agli erbicidi, la resistenza agli insetti infestanti, o contemporaneamente le due modificazioni precedenti. Se in un campo la coltivazione è tollerante a un erbicida, sarà più facile diserbare senza provocare danni di crescita alla pianta; la medesima cosa vale per la resistenza agli insetti infestanti: la coltivazione sarà al sicuro dagli attacchi devastanti anche senza l’utilizzo preventivo di insetticidi. Come si ottengono questi risultati? Con la tecnologia del Dna ricombinante si introducono nelle cellule vegetali geni estranei che conferiscono alla pianta i tratti desiderati. In questo modo ogni Ogm è «unico» La «creazione» e deve essere in laboratorio esaminato indel primo Ogm dividualmente è del 1973, le per accertarne prime coltivazioni l’innocuità per sono del 1996. la salute umana In 15 anni gli e per l’ambienettari coltivati te. Oggi sono nel mondo disponibili in sono quasi commercio 121 centuplicati varietà Gm di mais, 48 di cotone, 30 di colza e 22 di soia, ciascuna con la valutazione d’impatto da parte del produttore. Tale valutazione è destinata a essere ripetuta da organismi pubblici prima della definitiva vendita nel Paese interessato. Per quanto riguarda l’Unione europea, l’organismo deputato a operare per la messa in commercio degli Ogm è l’Efsa (Autorità europea sicurezza alimentare): essa stima il rischio ed esprime un parere, ma spetta poi agli Stati membri e alla Commissione europea la decisione finale per la commercializzazione. Gli Ogm oggi sul mercato hanno superato entrambi gli esami e, dunque, allo stato delle conoscenze attuali si possono considerare sicuri per la salute pubblica e per l’alimentazione. Per quanto riguarda l’ambiente, due sono i nodi critici da superare per febbraio 2013 Popoli 15 inchiesta evitare la diffusione nel territorio di piante Gm: l’impollinazione con piante equivalenti non transgeniche e la dispersione del seme. Per evitare entrambe potrebbero essere sufficienti adeguate precauzione agricole, ad esempio le ridotte dimensioni degli appezzamenti, la differenziazione delle colture confinanti e la lontananza da luoghi in cui la flora cresce spontaneamente (ad esemLa ricerca pio nei boschi). In sugli Ogm ogni caso, per eviper risolvere tare l’impollinail problema zione incrociata, della fame non le piante Gm venè finanziata. gono normalmenLe piante te modificate con sono studiate l’ulteriore carattesecondo ristica della «mala logica schio sterilità»: il del profitto polline «fuggito» dal campo è sterile, cioè non in grado di fecondare alcuna altra pianta. In definitiva, con le dovute precauzioni, le contaminazioni ambientali involontarie non dovrebbero alterare l’ecosistema più di quanto già non faccia l’agricoltura tradizionale con i suoi semi selezionati e i suoi ibridi. UNA RISPOSTA ALLA FAME? La valutazione d’impatto degli Ogm sulla salute umana e sull’ambiente è generalmente alquanto approfondita perché oggetto di ampio dibattito. Viene invece spesso sottaciuto l’aspetto economico e sociale legato alla produzione delle piante transgeniche. Il mercato mondiale globalizzato tende infatti a enfatizzarle e a promuoverle sia presso i produttori sia presso i consumatori. Le sementi Gm sono brevettate e il loro utilizzo porta notevoli introiti alle 18 multinazionali che le sviluppano. Inoltre la caratteristica di essere «maschio sterili» favorisce ulteriormente le facili tentazioni monopolistiche poiché impone ogni anno l’acquisto di nuove sementi. Le implicazioni economiche e sociali meritano altre due esemplificazioni. Spesso si parla di vegetali Gm in grado di alleviare la fame nel mondo. Anche la Fao si è sentita in dovere di affrontare la questione e qualche anno fa ha stilato un rapporto dal titolo: Biotecnologie agricole: una risposta ai bisogni dei poveri? Attualmente la soluzione a questa impegnativa domanda rimane negativa; potrebbe, al contrario, avere una concreta risposta se fossero prese in considerazione le vere necessità alimentari dei Paesi poveri. Si potrebbero, ad esempio, modificare geneticamente piante come il sorgo, il miglio, l’orzo, il riso, arricchite di nutrienti o capaci di crescere in condizioni climatiche e di terreno avverse. Se questo non accade è perché le piante Gm sono I PAESI PRODUTTORI principalmente studiate secondo la logica del profitto economico dei Paesi sviluppati. La stessa motivazione vale per un secondo esempio. Una delle frontiere più promettenti e meno indagate degli Ogm è la possibilità di far produrre alle piante vari tipi di vaccini. L’eventuale progresso in questo campo scientifico, con la concomitante rinuncia al brevetto, potrebbero aprire scenari insperati per i Paesi poveri: milioni di persone potrebbero avere facile accesso a migliori condizioni sanitarie. Per orientare l’uso delle piante Gm verso un reale bene comune appare indispensabile che esse siano integrate in un programma completo di ricerca e sviluppo agricolo mondiale e che esso ottenga la dovuta attenzione, anche finanziaria. La salute e l’ambiente potranno ricevere maggiore cura quanto più gli enti pubblici si consorzieranno tra loro con la capacità propositiva della ricerca mirata e finalizzata. La società stessa dovrà assumersi la responsabilità di partecipare alla definizione degli obiettivi della ricerca, delle priorità, delle applicazioni e della ripartizione dei vantaggi che ne derivano. Perché tutto ciò possa accadere è indispensabile una riflessione pacata, ma lontana da ogni approccio venale. * Sacerdote, docente di Bioetica al Seminario teologico del Pime di Monza LE MULTINAZIONALI PaeseArea Sementi Ogm (milioni di ettari) Stati Uniti 69,0 Mais, soia, cotone, colza, barbabietola da zucchero, alfalfa (erba medica), papaya, zucca Brasile 30,3 Soia, mais, cotone Argentina 23,7 Soia, mais, cotone 10,6Cotone India Canada 10,4 Colza, mais, soia, barbabietola da zucchero 3,9 Cotone, papaya, pioppo, Cina pomodoro, pepe dolce Paraguay 2,8Soia 2,6Cotone Pakistan Sudafrica 2,3 Mais, soia, cotone 1,3 Soia, mais Uruguay 16 Popoli febbraio 2013 FONTE: Clive James, 2011 Altri 40% Kws Land (Germania) Olakes Gruppo 3% (Usa) Linagrain (Francia) 4% 6% Monsanto (Usa) 23% Dupont (Usa) 15% Sygenta (Svizzera) 9% FONTE: Who owns nature, www.etcgroup.org, 2008 america centrale Nel cuore dell’impero Monsanto Juan Antonio Mejía Guerra * L’ rimentale nel quale promuove lo studio della sementi transgeniche. In El Salvador sempre la Monsanto ha acquisito la Semillas Cristiani Burkard, per 135 milioni di dollari, garantendosi il 70% del mercato di sementi in questo Paese. In Honduras, il Paese più corrotto del Centroamerica secondo Transparency International, ancora la multinazionale a stelle e strisce ha stretto una strana alleanza con il governo, grazie alla quale fornisce sementi ai piccoli agricoltori con l’avvallo e il supporto economico dello Stato, che le versa 20 milioni di dollari all’anno. America centrale - in particolare le regioni meridionali del Messico, Guatemala, El Salvador, Honduras - è diventata lo scenario principale in cui la Monsanto e altre multinazionali del settore si stanno muovendo per imporre le loro sementi transgeniche, soprattutto di mais. A Sinaloa, in Messico, il colosso statunitense ha costruito un enorme impianto per la produzione di sementi transgeniche del valore di 290 milioni di pesos (oltre 17 milioni di euro) e ne investirà altri 150 nei prossimi tre anni. Con questo impianto l’azienda vuole garantire PRIMA IL BUSINESS i semi per circa tre milioni di ettari I portavoce della Monsanto si sono dichiarati favorevoli ad aumentare di coltivazioni. In Guatemala la multinazionale la produzione di mais per evitare francese Sanofi-Aventis produce il carestie. Ora, il punto è che sicumais Starlink, che negli Stati Uniti ramente la produzione di mais è è vietato dalla Food and Drug Ad- insufficiente, ma questo è dovuto al fatto che ogni ministration dall’ottoanno si espandono le bre del 2000 (è stata la Se le varietà coltivazioni destinate prima varietà a livello primitive di all’esportazione (palmondiale non autoriz- mais dovessero ma africana, canna da zata per il consumo scomparire per zucchero, melone, cafumano). Nella città di contaminazione fè) e si riducono quelle Salamá, la Monsanto con Ogm, la per il consumo interno. possiede un centro spe- multinazionale resterebbe la padrona universale delle sementi In Honduras, negli ultimi dieci anni le coltivazioni di mais e fagioli destinate al consumo interno sono diminuite di oltre 124mila ettari, mentre quelle per prodotti da esportazione sono aumentate nello stesso periodo di 318mila ettari (dati dell’Istituto nazionale di statistica). Questa è la ragione della carestia e della scarsità di cibo per la popolazione: problemi per nulla contrastati, anzi favoriti dalle scelte politiche ed economiche. Va poi aggiunto che il predominio delle sementi Monsanto rappresenta un grande rischio per la agrobiodiversità in America centrale: solo in Messico ci sono circa 60 varieLa Monsanto sta tà primitive di facendo enormi mais e circa 14 investimenti in nel resto dell’AAmerica Centrale. merica centrale. Dal canto suo, la Se queste varietà francese Sanofidovessero scomAventis produce parire per la il mais Starlink, contaminazione che negli Stati con polline di Uniti è vietato piante transgedal 2000 niche, la Monsanto resterebbe l’unica e assoluta padrona universale delle sementi di mais. Questa drammatica ipotesi è già una realtà in alcune zone: nella valle di Yoro, in Honduras, gli operatori locali della pastorale sociale hanno denunciato che le specie locali di mais crescono ma non producono pannocchie perché sono diventate sterili dopo essere state contaminate dal polline di coltivazioni transgeniche della Monsanto. Se vogliono ottenere raccolti, questi agricoltori devono acquistare sementi transgeniche a un prezzo venti volte maggiore rispetto a quello delle varietà locali. In definitiva, il pericolo rappresentato dagli Ogm può essere maggiore dei vantaggi tanto decantati. * Docente dell’Università nazionale autonoma dell’Honduras, ricercatore di Eric, centro studi dei gesuiti honduregni febbraio 2013 Popoli 17 inchiesta AFRICA Il futuro è l’agricoltura familiare Paul Desmarais SJ * Lusaka (Zambia) gesuiti in zambia Quel «no» agli Stati Uniti N ato nel 1974, il Kasisi Agricultural Training Centre (Katc) è un centro agricolo dei gesuiti a Lusaka, Zambia. L’obiettivo di questa struttura è garantire ai contadini africani una formazione improntata ai principi dell’agricoltura ecosostenibile. Il centro organizza corsi per agricoltori e offre loro assistenza tecnica. Dispone inoltre di unità produttive nelle quali vengono effettuate ricerche in campo agricolo e zootecnico. Sin dalla nascita, il Katc ha combattuto la diffusione in Africa dei fertilizzanti chimici (sempre più utilizzati a partire dalla fine della seconda guerra mondiale) e degli organismi geneticamente modificati. In questo contesto, all’inizio degli anni Duemila, il centro è stato oggetto di duri attacchi da parte di James Nicholson, ambasciatore degli Stati Uniti in Zambia, Andrew Natsios, direttore di Usaid, e di alcuni ricercatori pro Ogm. Il Katc, infatti, insieme ad altre organizzazioni, aveva consigliato al governo zambiano di rifiutare l’offerta americana di mais Ogm distribuito dal Programma alimentare mondiale, consiglio che l’esecutivo ha fatto proprio. Ciò ha attirato le ire statunitensi, che si sono abbattute in particolar modo sull’organizzazione dei gesuiti, accusata di voler alimentare la carestia in Zambia. I religiosi hanno risposto alle critiche sostenendo che era la causa della carestia era la povertà e che non erano necessari Ogm, ma sostegni finanziari a Lusaka e aiuti che favorissero uno sviluppo ecosostenibile dell’agricoltura. Enrico Casale 18 Popoli febbraio 2013 attesta che non terranno alcun seme per ripiantarlo. In altre parole, ogni anno il contadino dovrà acquistare no dei temi legati all’utilizzo nuove sementi dalla multinazionale degli Ogm è se questi pos- che le produce. È un obbligo così cosano realmente sfamare il gente che le grandi società, come la mondo. Alcune sementi transgeniche Monsanto, assumono detective prisono studiate per poter utilizzare er- vati per controllare i contadini che si bicidi in modo da non danneggiare la sospetta utilizzino i semi ricavati da pianta; altre contengono batteri che raccolti passati. possono uccidere gli insetti. Qualcu- La nocività delle sementi Ogm è no potrà dire che con meno erbacce dimostrata sia in campo ambientale e meno insetti si otterrà una resa per sia sotto il profilo dell’alimentazioettaro maggiore. In realtà, non c’è al- ne. Gli Ogm infatti, una volta imcun Ogm che garantisca un aumento messi nell’ambiente, contaminano anche gli altri semi e rischiano di di produzione. infettare l’intera specie. A dimoVINCOLATI ALLE MULTINAZIONALI strarlo sono i danni che le sementi Ma se anche per ipotesi ammettes- Ogm hanno causato in Canada alle simo che gli Ogm garantiscono una coltivazioni tradizionali di colza. resa maggiore, non possiamo non Uno studio effettuato in Francia dal mettere in conto un forte incremento professor Séralini, pubblicato il 19 di costo di produzione per l’agricol- settembre 2012, ha dimostrato che tore. Le sementi Ogm hanno infatti i prodotti Ogm sono cancerogeni, prezzi molto alti. Per acquistarle le così come l’erbicida Round-up ready, grandi aziende agricole possono ri- il più impiegato quando le sementi correre ai prestiti bancari, ma per sono geneticamente modificate (va i piccoli contadini ciò è quasi im- detto che lo studio è stato contestato possibile. Le multinazionali giusti- da una parte della comunità scientificano l’alto costo degli Ogm con fica). Se queste tecnologie sono così la necessità di rientrare dai grandi dannose, perché le autorità dovrebinvestimenti effettuati per la ricerca. bero permetterne l’uso? Quello che non spiegano però è che In Africa l’utilizzo degli Ogm si sta i semi iniziali, aventi il patrimonio diffondendo gradualmente. Anche se genetico originale, sono stati donati è difficile tracciare una mappa esatta loro gratuitamente proprio dai con- dei Paesi che ne hanno autorizzato tadini. Così gli agricoltori non solo l’impiego perché siamo di fronte a sono stati espropriati dei loro stessi un fenomeno in continua evoluzione. Sudafrica ed Egitsemi ma, in prospettiva, diventeranno sempre più In Africa l’utilizzo to hanno certamente aperto le loro agricoldipendenti dalle multi- degli Ogm si ture alle sementi genenazionali. E questo an- sta diffondendo ticamente modificate. Il che perché gli agricoltori gradualmente. Sudafrica, in particolaall’atto dell’acquisto delle Anche se è sementi Ogm devono fir- difficile tracciare re, ha colture Ogm di mais, cotone e soia. Il mare un documento che una mappa U esatta perché siamo di fronte a un fenomeno in espansione Burkina Faso, che aveva inizialmente aperto alle nuove tecnologie, ha poi fatto retromarcia e le ha vietate. Il Kenya ha effettuato alcune ricerche, ma come il Burkina ha proibito ogni coltivazione per timore di danni alla salute dei consumatori. L’Uganda invece ha dato il via a nuove ricerche. TORNARE ALLA NATURA Nel mondo ci sono molti casi documentati che dimostrano come le piccole aziende agricole producano più cibo per ettaro che non le grandi imprese. Queste piccole aziende, tra l’altro, coltivano in un unico terreno diversi prodotti agricoli. Ciò garantisce un’alimentazione più varia ai contadini. Non solo, ma il suolo, non limitato a una sola coltura, non si impoverisce e rende di più. Negli ultimi cinque anni sono stati effettuati diversi studi che dimostrano che il futuro dell’alimentazione mondiale è nelle mani delle aziende familiari che applicano le tecniche dell’agricoltura ecologica e organica. Uno di questi studi è stato elaborato dell’International Assessment of Agriculture and Science for Technology and Development. Un altro da Olivier Shuter, esperto delle Nazioni unite per il diritto al cibo. L’esperienza al Kasisi Agricultural Training Center, in Zambia (cfr box), conferma che le piccole aziende agricole producono più cibo quando utilizzano metodi organici. In particolare i terreni coltivati a mais hanno una resa maggiore attraverso l’impiego di sistemi organici rispetto non solo a quelli coltivati utilizzando Ogm, ma anche a quelli che impiegano fertilizzanti chimici. La sicurezza alimentare è quindi garantita. Ma è garantito anche un forte risparmio di denaro perché non si devono acquistare concimi e sementi. Chiunque continui a sostenere che gli Ogm alimenteranno il mondo dice quindi una menzogna. * Kasisi Agricultural Training Centre, Lusaka (Zambia) INDIA Dolci miti, fatti amari Xavier Jeyaraj SJ * C irca tredici anni fa un mio cugino si suicidò bevendo del pesticida perché era caduto nella trappola del debito legata alle coltivazioni geneticamente modificate (Gm). Non era in grado di ripagare i debiti che aveva contratto. Le lacrime della moglie e dei due figli piccoli sono impressi nella mia memoria. Fu solo uno dei tanti casi di suicidi che avvengono ogni giorno nelle campagne in India. Secondo i dati ufficiali del governo, dal 1995 circa 250mila contadini si sono tolti la vita. «Ogni 30 minuti in India un contadino si uccide» è diventato lo slogan di un recente documentario di Micha X. Peled, Bitter Seeds, che descrive la dura realtà degli agricoltori. Ma chi è responsabile di questa calamità provocata dall’uomo? UN’ESPERIENZA PERSONALE Sono figlio di un agricoltore di un piccolo villaggio del distretto di Ramnad, nel Tamil Nadu (India del Sud). Negli anni Sessanta e Settanta mio padre e altri contadini nel villaggio piantavano varietà tradizionali di riso e innumerevoli tipi di miglio (frumentaceo, indiano, panico, paspalo, perlato, sorgo) oltre che verdure, legumi e altri prodotti che non avevano bisogno di fertilizzanti chimici o pesticidi. Questi prodotti richiedevano solo un po’ d’acqua perché le piogge in quella zona sono scarse. Ogni famiglia possedeva piccoli appezzamenti di terra e li coltivava. Mio padre conservava i semi dal raccolto dell’anno precedente e usava come fertilizzanti concime animale e compostaggio. Oggi, invece, non c’è quasi più nessuno che coltiva questa ricca varietà di miglio o le specie tradizionali di riso e verdure, ma solo prodotti geneticamente modificati. Molti nel villaggio hanno venduto i propri terreni a basso prezzo e si sono trasferiti in città in cerca di lavoro perché la terra non produce quasi più niente, nonostante il lavoro duro. E questo a causa dell’impiego eccessivo di fertilizzanti e pesticidi. Negli anni Ottanta i contadini poco a poco hanno rinunciato alle loro consuete coltivazioni per passare alle nuove varietà di riso Gm che arrivava sul mercato. È vero che all’inizio ebbero raccolti migliori, ma avevano bisogno di più Il governo acqua e di fertiindiano ha subito lizzanti chimiuna pressione ci, anche se non enorme da parte se ne accorsero dell’industria subito. Prendebiotecnologica vano denaro in per consentire prestito e spenle sperimentazioni devano di più di modificazioni in fertilizzanti genetiche su una e pesticidi, diserie di prodotti pendevano dal mercato per le sementi e spesso, quando le piogge mancavano troppo a lungo, non trovavano altra alternativa al suicidio. PROMESSE E REALTÀ La ricerca sugli Ogm iniziò solo negli anni Ottanta, ma è diventata il principale killer di agricoltori degli ultimi trent’anni. Con una popolazione per l’80% dipendente direttamente o indirettamente dal lavoro agricolo, l’India non andava incontro a grandi rischi costringendo i contadini coltivare Ogm? febbraio 2013 Popoli 19 inchiesta E questi sono stati un vantaggio o una rovina per la nazione? I loro promotori affermano che: a) il cibo Gm riduce e risolve il problema della fame e della malnutrizione; b) abbassa i costi di produzione, l’impegno lavorativo e gli scarti; c) riduce la povertà; d) aumenta le rese in agricoltura con migliori sostanze nutritive e resistenza ai pesticidi; e) migliora la sicurezza alimentare per una popolaL’India, che negli zione in rapida ultimi trent’anni stava rapidamente crescita; f) infine, migliora diventando la la salute e la discarica degli speranza di viOgm, si è alla ta della gente. fine svegliata Sfor t u natae ha posto una mente queste moratoria di a f fe r ma z ion i dieci anni sugli sono rimaesperimenti ste dei miti di quelle aziende private che cercano il massimo dei profitti a spese dei piccoli contadini poveri. Se gli Ogm risolvessero il problema della fame non ci sarebbero 350 milioni di indiani che ogni sera vanno a letto a stomaco vuoto. E questo nonostante 53 milioni di tonnellate di frumento in eccedenza prodotte lo scorso anno. Il ministro dell’Agricoltura, Sharad Pawar, di recente ha affermato davanti al parlamento che un quinto delle scorte alimentari ogni anno viene gettato via. Perciò il problema è di conservazione e distribuzione, non di carenza di sementi. È un mito anche la riduzione dei costi di produzione, se si considera che oggi gli agricoltori dicono di spendere di più, oltre ad avere perso i terreni che li hanno sostenuti per secoli. Il governo indiano ha subito una pressione enorme da parte dell’industria biotecnologica per consentire le sperimentazioni GM su per mais, senape, canna da zucchero, riso, sorgo, pomodori, patate, banane, papaya, cavolfiori, olio di semi, melanzana, 20 Popoli febbraio 2013 ricino, soia e molte piante medicinali indigene. Sono in corso anche esperimenti sul pesce. Cosiddetti scienziati privi di scrupoli etici cercano di inserire artificialmente gene Bt in qualsiasi raccolto passi per le loro mani senza sapere se è desiderabile o meno per l’India. Potenti multinazionali hanno immesso risorse finanziarie enormi per mobilitare scienziati e media e ottenere sostegni politici. Alcuni dei principali media sono diventati marionette nelle loro mani per creare miti e raccontare menzogne lampanti. Un esempio: il Times of India ha pubblicato per due volte in tre anni un articolo di una pagina intera sostenendo che non c’era stato alcun suicidio in due villaggi del Maharashtra, anche se i contadini confermavano che in quattordici si erano tolti la vita dopo l’avvio della coltivazione del cotone Gm prodotto dalla Mahyco-Monsanto Biotech. L’articolo era comparso come una pagina pubblicitaria per cinque giorni di fila, in contemporanea con l’arrivo in parlamento nell’agosto 2011 della proposta di legge sull’Au- torità federale di regolamentazione delle biotecnologie. Molti esperimenti mostrano chiaramente che tali raccolti Gm non rispondono alle esigenze dell’India. Il Paese sta procedendo verso un’era imprevedibile di inquinamento biologico. Se l’India avesse prestato attenzione ai sistemi agricoli sostenibili delle popolazioni indigene già esistenti e fornito infrastrutture per l’irrigazione dove mancavano, avrebbe creato un modello eccezionale di agricoltura, senza suicidi, inquinamento della terra e dell’acqua. Gli Ogm continuano a minacciare le risorse genetiche locali e le conoscenze tradizionali della gente. L’India ha perso il controllo su molte piante, animali e risorse genetiche microbiche. Una banca dati biologica di 150mila piante raccolta in India si trova nel dipartimento dell’agricoltura degli Stati Uniti e l’India non ha controllo su tali risorse. LA PROTESTA DELLA SOCIETÀ CIVILE Dal 2002 i contadini indiani hanno sperimentato la coltivazione del COSA DICE LA CHIESA CATTOLICA L a posizione ufficiale della Chiesa cattolica sugli Ogm è stata chiaramente espressa qualche anno fa con la pubblicazione del Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa. I numeri 472-480 offrono una pacata disamina dell’uso delle biotecnologie, nella consapevolezza che i cristiani non possono essere indifferenti al dibattito in corso per l’importanza dei valori in gioco. Il testo accoglie la possibilità di intervenire sulla natura modificandola, ma a condizione che ci si lasci guidare dal criterio di responsabilità: viene dichiarata inaccettabile ogni leggerezza che sottovaluti le conseguenze, i rischi e le ripercussioni a lungo termine delle biotecnologie. L’impegno a valutare vantaggi, pericoli e potenzialità degli Ogm non può essere delegato ai ricercatori, ma deve impegnare i politici, i legislatori e i pubblici amministratori. Giustizia e solidarietà sono gli altri due criteri etici indicati per guidare gli operatori della ricerca e della commercializzazione degli Ogm. «Non si deve cadere nell’errore di credere che la sola diffusione dei benefici legati alle nuove biotecnologie possa risolvere tutti gli urgenti problemi di povertà e di sottosviluppo che assillano ancora tanti Paesi del pianeta» (Compendio, n. 474). La solidarietà verso i Paesi in via di sviluppo dovrebbe promuovere sia un interscambio di conoscenze che favorisca una progressiva autonomia scientifica e tecnologica, sia un’adeguata politica commerciale che porti a migliorare le condizioni alimentari e sanitarie. Il Compendio, infine, ricorda l’importante compito di una informazione prudente e obiettiva, lontana da facili entusiasmi o ingiustificati allarmismi, che permetta ai cittadini di formarsi una corretta opinione sui prodotti biotecnologici. p.f. New Delhi, maggio 2008: proteste contro le melanzane geneticamente modificate. cotone Bt e si sono trovati di fronte rispetto all’approvazione data l’ana una realtà amara fatta di malat- no prima alla produzione di brinjal tie, pesticidi e lutti nelle famiglie, (melanzana) Bt. Quando i promotori ma anche al sostegno di poche delle coltivazioni Gm hanno fatto organizzazioni per i diritti uma- ricorso presso la Corte suprema, ni e Ong che hanno formato nel questa ha istituito un comitato tec2006 una rete informale chiamata nico di esperti che ha raccoman«Coalition for Gm Free India», che dato una moratoria di dieci anni rappresenta coltivatori, sindacati e sulle sperimentazioni sul terreno organizzazioni di una quindicina delle piante transgeniche per tutti di Stati indiani. Combattono per i prodotti destinati al consumo alipreservare la ricca biodiversità e mentare finché non verranno delila conoscenze agricole tradizionali, mitati e certificati specifici siti per nonostante l’incombente «tsunami» condurre le prove con meccanismi delle imprese che cercano di privar- adeguati di monitoraggio. li in nome dei brevetti e dei diritti sulla proprietà intellettuale. La loro I GESUITI COINVOLTI battaglia contro le ricche industrie Per la Chiesa è una sfida cruciale farmaceutiche e agro-biotecnologie, formare i contadini ad apprezzare politici e media si è fatta sempre più la ricchezza del proprio patrimonio decisa. e non essere abbindolati dalle false Dopo una serie di propromesse delle aziende. teste in vari Stati, il Secondo i dati Molti gruppi ecclesiali governo federale è stato ufficiali del e i centri sociali dei costretto a rivedere la governo, dal 1995 gesuiti hanno lavorato propria strategia rispet- circa 250mila nei villaggi più remoti to alle coltivazioni Gm contadini si sono tra i coltivatori, i dalit fino a fare marcia in- tolti la vita. e gli indigeni, per prodieto nel febbraio 2010 Ma chi è muovere e preservare responsabile di questa calamità provocata dall’uomo? la ricca biodiversità della terra e proteggere i loro diritti su terra, acqua, foreste e risorse minerarie. Uno dei settori in cui i gesuiti sono in prima linea è quello della distribuzione e raccolta delle acque, nonché della riforestazione. In alcuni Stati i contadini sono stati sistematicamente istruiti sulla vermicoltura e il compostaggio, metodi per preservare la loro varietà tradizionale di semi e metodi per usare pesticidi organici e naturali. L’Istituto di ricerca entomologica del Loyola College di Chennai ha elaborato un biopesticida chiamato Ponneem, più economico e semplice nel controllo dei parassiti. In alcune scuole dei gesuiti gli studenti ricevono una formazione in questi settori: si coltivano giardini di erbe medicinali, si formano gruppi ambientalisti, si svolgono programmi di riforestazione. Alcuni gesuiti sono poi stati direttamente coinvolti nei più ampi Per la Chiesa e i movimenti pogesuiti è una sfida polari contro cruciale formare gli Ogm con i contadini ad azioni di advoapprezzare cacy in favore la ricchezza del dei contadini. proprio patrimonio L’India, che e non essere negli ultimi abbindolati dalle trent’anni stava false promesse rapidamente didelle aziende ventando la discarica degli Ogm, si è finalmente svegliata e ha posto una moratoria di dieci anni sugli esperimenti. L’auspicio è che i politici e gli studiosi non saranno intimiditi dai settori aziendali corrotti riaprendo la questione. Al contempo la società civile e i movimenti non devono esultare per i piccoli successi ottenuti ma restare in guardia per proteggere sempre le generazioni future e l’ambiente. * Vicedirettore del Segretariato per la Giustizia sociale e l’Ecologia della Compagnia di Gesù febbraio 2013 Popoli 21
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