Dossier - Caritas Ambrosiana

 Videomessaggio del Santo Padre Francesco
per la “Campagna contro la fame nel mondo”
lanciata dalla Caritas Internationalis
Cari fratelli e care sorelle,
oggi sono lieto di annunziarvi la “Campagna contro la fame nel
mondo” lanciata dalla nostra Caritas Internationalis e comunicarvi che intendo dare
tutto il mio appoggio.
Questa confederazione, insieme a tutte le sue 164 organizzazioni-membro, è impegnata
in 200 Paesi e territori del mondo e il loro lavoro è al cuore della missione della Chiesa
e della sua attenzione verso tutti quelli che soffrono per lo scandalo della fame con cui il
Signore si è identificato quando diceva: “Avevo fame e mi avete dato da mangiare”.
Quando gli apostoli dissero a Gesù che le persone che erano giunte ad ascoltare le sue
parole erano anche affamate, egli li incitò ad andare a cercare il cibo. Essendo poveri
essi stessi, non trovarono altro che cinque pani e due pesci, ma con la grazia di Dio
arrivarono a sfamare una moltitudine di persone, raccogliendo persino gli avanzi e
riuscendo così a evitare ogni spreco.
Siamo di fronte allo scandalo mondiale di circa un miliardo, un miliardo di persone che
ancora oggi soffrono la fame. Non possiamo girarci dall’altra parte e far finta che questo
non esista. Il cibo a disposizione nel mondo basterebbe a sfamare tutti.
La parabola della moltiplicazione dei pani e dei pesci ci insegna proprio questo: che se
c’è volontà, quello che abbiamo non finisce, anzi ne avanza e non va perso.
Perciò, cari fratelli e care sorelle, vi invito a fare posto nel vostro cuore a questa
urgenza, rispettando questo diritto dato da Dio a tutti di poter avere accesso ad una
alimentazione adeguata.
Condividiamo quel che abbiamo nella carità cristiana con chi è costretto ad affrontare
numerosi ostacoli per soddisfare un bisogno così primario e al tempo stesso facciamoci
promotori di un’autentica cooperazione con i poveri, perché attraverso i frutti del loro e
del nostro lavoro possano vivere una vita dignitosa.
Invito tutte le istituzioni del mondo, tutta la Chiesa e ognuno di noi, come una sola
famiglia umana, a dare voce a tutte le persone che soffrono silenziosamente la fame,
affinché questa voce diventi un ruggito in grado di scuotere il mondo.
Questa campagna vuole anche essere un invito a tutti noi a diventare più consapevoli
delle nostre scelte alimentari, che spesso comportano lo spreco di cibo e un cattivo uso
delle risorse a nostra disposizione. E’ anche un’esortazione a smettere di pensare che le
nostre azioni quotidiane non abbiano un impatto sulle vite di chi - vicino o lontano che
sia - la fame la soffre sulla propria pelle.
Vi chiedo, con tutto il cuore, di appoggiare la nostra Caritas in questa nobile Campagna,
per agire come una sola famiglia impegnata ad assicurare il cibo per tutti.
Preghiamo che Dio ci dia la grazia di vedere un mondo in cui mai nessuno debba morire
di fame.
E chiedendo questa grazia vi do la mia benedizione.
Cibo: merce o bene comune? Paolo Foglizzo, redattore di Aggiornamenti Sociali Traccia dell’intervento Il tema del cibo si trova all’incrocio di una serie di paradossi che permettono di illuminare le contraddizioni della società contemporanea globale e le tensioni fra opportunità e rischi che il nostro mondo si trova ad affrontare. L’intervento ne passerà in rassegna alcuni:  eccesso vs accesso: in un mondo dove la produzione di cibo supera il fabbisogno alimentare, il permanere della malnutrizione evidenzia come la tutela efficace del diritto passi attraverso la garanzia della possibilità di accesso al cibo; si tratta di una tensione che investe anche altre risorse fondamentali (dai farmaci alle opportunità offerte da Internet);  scarsità vs spreco: accanto alla malnutrizione il mondo registra un livello impressionante di spreco di risorse alimentari; questo fenomeno chiama in causa sia gli stili di vita personali, sia i meccanismi di base di funzionamento del sistema agroalimentare;  speculazione vs produzione: la speculazione su prodotti finanziari che hanno come base le derrate agricole produce oscillazioni di prezzo che mettono a repentaglio la sicurezza alimentare delle fasce più povere della popolazione mondiale; si tratta di un nodo cruciale in un sistema economico globale sempre più finanziarizzato;  sapere vs potere: le nuove tecnologie che consentono la produzione di OGM intersecano in profondità la filiera agroalimentare. Si tratta di una questione estremamente controversa, sia dal punto di vista dei possibili rischi per l’uomo e l’ecosistema (principio di precauzione), sia per gli effetti sui produttori agricoli determinati dai meccanismi di tutela della proprietà intellettuale. EXPO 2015 può rivelarsi una occasione propizia e feconda di mettere a tema queste contraddizioni e tensioni, in modo da comprenderle meglio e poter così elaborare proposte di soluzione che tengano conto di tutte le parti in causa e di tutti gli aspetti del problema, in modo da promuovere vil bene comune di tutti i cittadini del mondo. ALCUNE INDICAZIONI BIBLIOGRAFICHE PER L’APPROFONDIMENTO ‐
FAO: <www.fao.org>; in particolare The State of Food Insecurity in the World (rapporto annuale); Food Wastage Footprint: Impacts on Natural Resources (2013) ‐
Indice globale della fame (rapporto annuale, ediz. italiana a cura di CESVI), <www.cesvi.org/cosa‐facciamo/food‐right‐now/ghi>; ‐
card. Peter K. A. Turkson, Intervento a The World Food Prize, 17 ottobre 2013, <www.iustitiaetpax.va/content/giustiziaepace/it/attivita/presidente/2013/world‐food‐
prize‐2013‐‐des‐moines‐16‐18‐october‐‐2013‐.html> (tr. it. in corso di pubblicazione su Aggiornamenti Sociali) ‐
Tintori C., «I paradossi del cibo», in Aggiornamenti Sociali, 1 (2014), 12‐16 ‐
Piziali S., «L’Indice globale della fame 2011», in Aggiornamenti Sociali, 3 (2012), 235‐242 Paolo Foglizzo Redattore di Aggiornamenti Sociali, Fondazione Culturale San Fedele di Milano Nato a Torino nel 1964, si è laureato in Economia presso l’Università della stessa città, dove ha svolto il servizio civile nell’ambito della cooperazione allo sviluppo presso LVIA – Lay Volunteer International Association. In seguito ha conseguito la Licenza (Master) in Dottrina ed etica sociale alla Pontificia Università Gregoriana di Roma e ha lavorato per tre anni al Segretariato per la Giustizia Sociale della Curia generalizia della Compagnia di Gesù, sempre a Roma (www.sjweb.info/sjs). Membro del Gruppo di Studio “Etica e finanza” presso l’Ufficio nazionale per i problemi sociali e il lavoro CEI dal 2001 al 2008. Dal 2001 fa parte della redazione di Aggiornamenti Sociali (www.aggiornamentisociali.it), dove si occupa in particolare dei temi economici e di dottrina sociale della Chiesa, e coltiva la riflessione sul rapporto fra etica, antropologia ed economia, e l’impegno per la promozione della giustizia. Oltre agli articoli apparsi su Aggiornamenti Sociali, assieme a Carlo Casalone ha curato il volume Volare alla giustizia senza schermi. Un percorso interdisciplinare oltre l’equità (con premessa di C. M. Martini, Vita e pensiero, Milano 2007). Dal 2007 all’impegno editoriale affianca quello di direttore amministrativo di A Piccoli Passi, cooperativa sociale di Milano che eroga servizi a persone con disabilità e anziani, e alle loro famiglie. …e riempirono dodici ceste
Expo 2015 interpella la società civile ed ecclesiale
Sabato 22 febbraio 2014
PANE DI GIUSTIZIA, PANE CONDIVISO
Schema della relazione
Luca Moscatelli
Il riferimento al cibo attraversa tutta la Sacra Scrittura. Volendo restare nell’ambito biblico
e considerata l’imponenza del materiale, mi limiterò a mettere in evidenza alcuni snodi
essenziali con particolare considerazione per la figura del pane.
1. Il dono e il compito (creazione)
La pubblicazione recente del Card. Scola, Cosa nutre la vita? Expo 2015, ci risparmia di
tratteggiare il quadro di riferimento biblico e dottrinale generale. Rimandando al testo per
la completezza del discorso, qui sottolineo brevemente tre punti:
 Cibo come dono (condiviso). Gen 1,29-30
 Dominio (condiviso) dell’uomo come mite custodia dei viventi. Gen 1,26-28 / Gen
2,15
 Peccato e indigenza; digiuno e conversione. La storia come dramma. Gen 3,17-19
2. Pane donato (esodo)
L’esodo intende valere come struttura fondamentale della rivelazione e insieme
dell’esperienza credente, sia per il Primo che per il Nuovo Testamento. In esso la dialettica
«dono / mancanza» viene articolata fin dai primi passi nel deserto della libertà: Es 16,1-5.
 Esperienza della liberazione e «tentazione» della mancanza
 La manna: pane donato che non deve essere accumulato
 La cura paterna di Dio come fondamento della possibilità della fraternità dei figli. La
preghiera per il pane: chiedere (Padrenostro); ringraziare (benedizione della
mensa); condividere (comando dell’elemosina)
3. Pane rubato (profeti)
La penuria di pane, che a molti costa la fame, non è soltanto una dura necessità della vita.
E’ soprattutto una scandalosa mancanza di condivisione fraterna, capace di intaccare e
pervertire anche quella fede religiosa che pure sia vissuta in maniera formalmente
ineccepibile. La denuncia profetica ne smaschera l’ipocrisia.
 Lo scandalo della fame dei (molti) poveri causata dall’ingordigia dei (pochi) ricchi. Is
58,1-11
 Il pane della Parola di Dio. Is 55,9-11
 Il banchetto messianico. Is 30,19-24
4. Pane e fame: la «prova» della fede (vangeli)
Il pane e la fame, come simboli della vita umana (donata e insieme sempre precaria),
punteggiano la vicenda di Gesù nei suoi passaggi cruciali. Essi costituiscono la «prova»
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della fede: il dono del pane conferma la fiducia nella cura paterna di Dio; l’esperienza della
fame la mette invece in discussione. E’ per questo che nei vangeli la figura del «pane» è
legata a quella della tentazione / prova almeno in tre momenti narrativamente decisivi:
all’inizio della vita pubblica di Gesù (la prima di tre tentazioni nel deserto); nello snodo
centrale del racconto (doppia moltiplicazione dei pani); nei pressi dell’epilogo (cena
pasquale / eucaristia).
 Tentazioni (Mc 1,12-13). Come sappiamo da Mt 4 e Lc 4 Gesù rifiuta di togliersi la
fame da sé trasformando i sassi in pane. In ogni caso alla fine viene «servito», cioè
nutrito, dall’alto. Affidandosi al Padre (alla sua parola e alla sua cura) resiste alla
tentazione, suscitata dalla penuria, di credersi abbandonato. E così ritrova Dio
come suo Padre.
 Due moltiplicazioni dei pani (e dei pesci), e tra una e l’altra un passaggio stretto (Mc
6,34-43; 7,24-30; 8,1-9).
o Moltiplica pani per la fame di Israele. E’ una attualizzazione dell’esodo e
insieme una anticipazione del banchetto messianico. C’è una doppia
ambiguità: alcuni penseranno che Gesù è venuto a togliere la fame per
sempre (vedi Gv 6); quasi tutti – tranne Gesù – pensano che sarà tolta la
fame di Israele (dodici ceste di avanzi!). Istruito forse dalla sovrabbondanza
della resa invia a forza i suoi verso i pagani ma la cosa non riesce
o Ritiratosi in territorio pagano Gesù nega il pane alla donna pagana. E’
tentato dal tenere d’acconto il pane soltanto per i suoi / per Israele, vista la
fatica che gli costa accreditare presso di loro un’immagine buona di Dio. E
questa tentazione fa regredire la sua fede. Si rende conto, invece, che del
pane di Dio ce n’è per tutti
o Moltiplica pani per tutti (sette ceste di avanzi!) senza che il testo avverta che
Gesù e i suoi sono rientrati in Israele. Ormai è chiaro per Gesù che
l’orizzonte della salvezza (della paternità di Dio) riguarda l’umanità intera
 L’ultima cena (Mc 14,17-24). Ormai sarà lui stesso il pane spezzato per nutrire la
fede dei discepoli. Ma cosa penseranno del Padre i suoi e gli altri davanti alla croce
del Figlio (tradimento / rinnegamento; scandalo; derisione)? Questa è la grande
tentazione… Sempre un pane donato dovrà riconfermarci nella fiducia verso il
Padre. Egli vuole la vita sempre, comunque, per chiunque
5. Il degrado del Tempio tra ladri e vedove impoverite
L’uccisione di Gesù, decisa dai capi religiosi e ratificata dagli occupanti romani, dipende
dal suo annuncio del Regno in parole e opere, cioè dal suo mostrare la paternità di Dio per
tutti e la fraternità come possibilità universale.
L’ultimo atto, quello che decide la sua morte, è costituito dai giorni passati a insegnare nel
Tempio di Gerusalemme. Qui Gesù si scontra con i capi di Israele e denuncia un sistema
che sfregia il volto paterno di Dio.
Due episodi incorniciano i giorni presso il Tempio: la sua «purificazione» e l’incontro con la
vedova povera. Dopo questi giorni Gesù uscirà dal Tempio e non vi rientrerà più. Anzi, ne
annuncerà la distruzione (Mc 13).
 Mc 11,15-18. La presenza di Dio è tradita se il suo accesso è negato a qualcuno o
condizionato al denaro
2

Mc 12,38-44. La devozione al Tempio può chiedere il dono della vita? Gesù è
ammirato dalla dedizione della vedova, ma insieme la indica ai suoi quale vittima di
un sistema crudele che perverte il volto vero di Dio
6. «Ho spezzato il mio corpo come fosse pane» (E. Hillesum)
Il cibo è dono che rivela Dio come Padre; Dio è Padre di tutti; la condivisione del cibo
diviene allora simbolo di una condivisione dell’esistenza (fino al dono di sé) che attesta la
creaturale fraternità degli umani e la paternità di Dio.
Termino evocando la finale del Diario di Etty Hillesum, dove il suo itinerario spirituale di
ritrovamento di Dio, che è insieme itinerario di piena condivisione della sventura ebraica,
approda a un’immagine eucaristica: «Ho spezzato il mio corpo come fosse pane…»
Qualche riferimento per approfondire
ANGELO SCOLA, Cosa nutre la vita? Expo 2015, Centro ambrosiano
PAPA FRANCESCO, Evangelii gaudium
JOSÈ LUIS SICRE, Profetismo in Israele, Borla
ETTY HILLESUM, Diario 1941-43, Adelphi
LUCA MOSCATELLI, Pane, esodo, missione. Meditazioni su Marco 6-8, in
www.lucamoscatelli.it
Luca Moscatelli,
nato a Como il 15-02-1960, ha due figlie, Ester e Rachele.
Maturità scientifica, Baccalaureato in Teologia, Licenza in Teologia.
Lavora presso la Curia Arcivescovile di Milano, Ufficio per la pastorale missionaria.
E’ consulente a Roma per Missio e a Verona per il Centro Unitario Missionario della CEI (CUM).
E’ cultore in particolare di Esegesi biblica.
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editoriale
Stefano Femminis
Direttore di Popoli - [email protected] -
@stefanofemminis
Expo 2015,
ultima chiamata
Poco più di un anno, meno di 500 giorni. Non è lontano, ormai,
l’appuntamento con l’Expo di Milano (inizierà il 1° maggio 2015,
terminando sei mesi dopo), un evento che intende guardare ben oltre
l’orizzonte lombardo o italiano. È vero, per colpa della tendenza - ormai
cronica nel nostro Paese - a concentrarsi sul proprio ombelico, in questi
anni di avvicinamento il dibattito si è focalizzato perlopiù su questioni
non certo di respiro universale: la scelta del luogo in cui realizzare
l’esposizione, la definizione della governance dell’evento, l’individuazione
delle infrastrutture necessarie, il reperimento dei finanziamenti, ecc.
Ma se nel 2008 Milano ottenne l’assegnazione, molto merito va proprio
all’orizzonte globale del progetto, alla scelta di un tema capace di parlare
all’intera umanità: il cibo, il modo di produrlo e distribuirlo, le sue dimensioni
economiche e tecnologiche, ma anche quelle culturali ed etiche. Un tema
trasversale, multidisciplinare, con al cuore una sfida precisa: nutrire il pianeta
(come chiede il titolo stesso dell’esposizione), sapendo che la fame nel mondo
non è certamente un problema di quantità complessiva di cibo.
Le statistiche Fao dimostrano che dagli anni Ottanta a oggi è aumentata
la quota di cibo pro capite nel mondo. Il problema è nella distribuzione
e nell’accesso: a molti il
cibo non arriva o non
L’esposizione milanese dovrà essere molto
possono acquistarlo; altri
più di una fiera globale. È un ultimo appello
(una minoranza) ne hanno
per l’umanità: vogliamo davvero costruire
in abbondanza, tanto da
un mondo senza fame?
sprecarlo.
L’Expo - a cui sono al momento iscritti 142 Paesi, che raccolgono l’88%
della popolazione mondiale - sarà allora un’occasione irripetibile, una sorta
di ultimo appello per l’umanità: vogliamo davvero costruire un mondo
senza fame? Come intendiamo farlo? In questo senso anche la Chiesa potrà
dare un contributo determinante: non già offrendo risposte preconfezionate,
ma indicando la direzione verso cui andare, presentando le proprie buone
pratiche, creando le condizioni per un dialogo costruttivo tra i vari attori in
gioco: governi, organismi internazionali, imprese, Ong.
Un piccolo, ma paradigmatico esempio viene dal Pontificio Consiglio
della Giustizia e della Pace e dal suo presidente, il cardinale Peter Appiah
Turkson. Invitato negli Stati Uniti a partecipare a due eventi in qualche
modo contrapposti - poiché promossi da un’organizzazione apertamente
contraria agli Ogm e da una apertamente favorevole -, ha rivolto ai due
diversi uditori un discorso molto simile (i testi sono disponibili, in inglese,
sul sito del Consiglio): non ha cercato il facile applauso, non ha dato
benedizioni, né lanciato anatemi, ma ha offerto una serie di criteri etici
per arrivare a un corretto discernimento e a un’azione conseguente. Ha
offerto in sostanza un percorso per raggiungere l’obiettivo ultimo: la difesa
e la valorizzazione della persona e del bene comune. «Si tratta di salvare
l’uomo, si tratta di edificare l’umana società»: lo proclamava la Gaudium et
Spes (n. 3) e lo ricorda spesso - parlando di «nuovo umanesimo» - anche
l’arcivescovo della stessa Milano, il cardinale Angelo Scola.
Ditelo, diciamolo, a chi è ancora convinto che l’Expo sarà una questione di
padiglioni, alberghi e flussi turistici.
FEBBRAIO 2014 Popoli 1
editoriale
I paradossi del cibo
Chiara Tintori
Redazione di Aggiornamenti Sociali
<[email protected]>
P
oco più di un anno ci separa da Expo 2015, l’Esposizione universale dal titolo «Nutrire il pianeta. Energia per la vita», che
si terrà a Milano dal 1° maggio al 31 ottobre 2015. Un tema
come il cibo rimanda immediatamente a interrogativi di ampia portata, economici, politici, culturali ed etici, sulle sfide che il mondo
affronta in campo alimentare: come garantire a ogni uomo e a ogni
donna il diritto al cibo? In che modo ridurre gli sprechi? Come
mantenere il valore culturale del cibo senza scadere in omologazioni
appiattenti? In preparazione all’appuntamento del 2015, la nostra
Rivista intende offrire riflessioni su questo tema, tenendo presenti
le contraddizioni che investono il nostro rapporto con il cibo,
a loro volta rivelatrici dei paradossi che viviamo nelle relazioni
con gli altri esseri umani e con il pianeta.
In questa sede ci limiteremo a porre attenzione su tre contraddizioni: il problema dell’accesso al cibo e dell’eccesso di cibo; lo
spreco di viveri; il prezzo e il valore degli alimenti. Pur sapendo che
altri paradossi – come ad esempio trasformare il cibo in carburanti – sono aspetti altrettanto importanti, concluderemo con alcune
indicazioni per il cammino verso Expo 2015.
Accesso ed eccesso
Secondo il Rapporto FAO The State of Food Insecurity in the
World 2013. The Multiple Dimensions of Food Security (Lo stato
dell’ insicurezza alimentare nel mondo 2013. Le dimensioni multiple della sicurezza alimentare), nel mondo 842 milioni di persone
sono denutrite e oltre 2 milioni di bambini muoiono ogni anno
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Aggiornamenti Sociali gennaio 2014 (12-16)
editoriale
per mancanza di cibo. Il diritto al cibo, in termini di quantità e
qualità, e il diritto a vivere liberi dalla fame, sebbene affermati sia
dalla Dichiarazione universale dei diritti umani (1948, art. 25) sia
dalla Dichiarazione del Millennio (2000), non sono ancora goduti da
tutta l’umanità, malgrado gli sforzi compiuti negli ultimi vent’anni
abbiano portato a una diminuzione del numero di persone che nel
mondo soffrono la fame.
A fronte di questo dramma, registriamo il paradosso che si stanno diffondendo le conseguenze legate a rapporti distorti con il cibo
(bulimia e anoressia), ma soprattutto l’eccessiva e disordinata alimentazione che porta all’obesità. Secondo i dati diffusi dall’OMS
(Organizzazione mondiale della sanità) nel marzo 2013, a livello
mondiale l’obesità è raddoppiata: ci sono oggi 1,4 miliardi di adulti
in sovrappeso e 500 milioni di obesi; il 65% della popolazione
mondiale vive in Paesi dove le conseguenze dell’eccesso di cibo
fanno più vittime della malnutrizione. I due Paesi dove il fenomeno dell’obesità è più diffuso sono le isole del Pacifico, Samoa e
Kiribati, seguite da USA, Germania ed Egitto; l’Italia è al 73esimo
posto di questa classifica.
Le preoccupazioni legate all’assunzione eccessiva di cibo riguardano le patologie (disturbi cardiovascolari, ischemie, diabete, ecc.)
a cui con maggiore frequenza vanno incontro le persone obese. Tuttavia, se la malnutrizione è imposta, l’obesità per sovralimentazione
è indotta da un sistema distorto di consumo e di pubblicità; per
questo fin dall’età scolare si stanno attivando campagne educative
per incentivare stili di vita più corretti.
Cibo a perdere
La FAO, nel rapporto Food Wastage Footprint: Impacts on Natural Resources del 2013 (L’ impronta ecologica degli sprechi alimentari:
l’ impatto sulle risorse naturali), ha stimato che a livello mondiale
lo spreco alimentare è pari a 1,3 miliardi di tonnellate all’anno,
circa un terzo della produzione totale di cibo destinato al consumo umano. Le cause sono molteplici: fattori climatici e ambientali
che possono portare alla rovina di un raccolto; standard estetici e
qualitativi, che spesso conducono all’eliminazione quei prodotti che
non rispecchiano canoni specifici, dal momento che spesso il cibo
viene valutato per l’aspetto e non per le sue reali caratteristiche nutrizionali; leggi di mercato che determinano la maggiore o minore
convenienza nella raccolta di un prodotto; comportamenti dei consumatori, che spesso gettano cibi perfettamente commestibili solo
per mancata informazione sulle etichettature di scadenza. Secondo
il Rapporto FAO, il 54% degli sprechi si verifica “a monte”, durante
I paradossi del cibo
13
la fase di produzione, raccolto e stoccaggio degli alimenti; il 46%
avviene invece “a valle”, nel corso delle fasi di trasformazione, distribuzione e consumo. Si stima che, in termini monetari, la perdita
e lo spreco globali di cibo ammontino a mille miliardi di dollari
americani, un terzo dei quali si perdono nei Paesi in via di sviluppo;
“risparmiare cibo” comporterebbe quindi un miglioramento della
sicurezza alimentare e nutrizionale anche in queste aree.
Il fatto che il cibo sia diventato relativamente poco costoso per
la maggior parte della popolazione dei Paesi sviluppati e che al suo
acquisto sia destinata una bassa percentuale del reddito familiare, fa
sì che i consumatori non percepiscano la convenienza di evitare gli
sprechi. Al contrario vi è un interesse commerciale a non scoraggiare lo spreco, poiché esso permette di aumentare i consumi e
quindi di far “girare” l’economia, favorendo così la distorsione del
sistema alimentare.
«Ma sprecare cibo è la cosa più malata che il mondo degli umani
abbia concepito. Fame e spreco sono due facce di una logica che
vorrebbe imporre alle nostre campagne di produrre ancora di più
(spesso usando anche la fame nel mondo come causa motivante),
di aumentare la competitività delle agricolture nazionali, inseguire
l’export piuttosto che il benessere dei propri cittadini. Si arriva così
all’assurdità per cui il Messico importa il 33% del mais che consuma, e l’Indonesia in alcuni anni il 40% del riso. Paesi che sono la
culla di una biodiversità incredibile, soprattutto se si guarda ai loro
prodotti simbolo (mais e riso)» (C. Petrini, Cibo e libertà. Slow
Food: storie di gastronomia per la liberazione, Giunti-SlowFood Editore, Torino 2013, p. 60). Lo spreco di cibo trascina indirettamente
quello di altre risorse utilizzate nella filiera agricola (acqua, energia,
fertilizzanti, fitofarmaci, ecc.) e contribuisce inoltre ad aumentare la
quantità di rifiuti da smaltire, con notevoli impatti ambientali (ad
esempio in termini di emissioni di anidride carbonica): una vera e
propria «filiera di sprechi».
Dal prezzo al valore
Come ogni prodotto sul mercato, oggi il cibo è giudicato per il
suo prezzo e non per il suo valore. Prima dell’acquisto, la domanda
giusta dovrebbe essere: «Quanto vale questo alimento?» e non solo:
«Quanto costa?», perché spesso il prezzo finale – pensiamo a frutta e
verdura, ma ancor di più a prodotti tropicali come caffè e cacao – cela
ingiustizie nella retribuzione dei produttori e dei lavoratori della terra.
In Italia, come nel resto del mondo, milioni di lavoratori delle campagne non vedono ancora rispettati i propri diritti elementari e talvolta
i nostri consumi possono rivelarsi complici di questo sfruttamento.
14
Chiara Tintori
editoriale
Inoltre ogni cibo è portatore di un valore culturale, di una
storia che è quella del luogo da cui proviene, di chi lo ha lavorato, ed è espressione della varietà della natura (come la biodiversità e le varietà autoctone). Sempre di più in una società multietnica
come la nostra i diversi alimenti, le abitudini alimentari e i sapori
celano patrimoni culturali difficilmente omologabili, perché rimandano ai legami con la propria terra e a valori quali la condivisione
– quella del cibo consumato insieme ne è archetipo simbolico – la
convivialità e l’ospitalità.
Recuperare il valore del cibo significa considerarlo non solo dal
punto di vista economico e smettere di trattarlo come una fra le
tante materie prime, su cui lanciare spregiudicate speculazioni finanziarie. Queste provocano oscillazioni nei prezzi di molti prodotti
agricoli (grano, riso, mais, zucchero, ecc.), per lo più slegate dalle
dinamiche della produzione agricola, che rischiano di far saltare
gli equilibri alimentari di intere popolazioni che dipendono da tali
derrate, in qualità di produttori o di consumatori.
Verso Expo 2015
Siamo coscienti che non esistano soluzioni immediate a tali
paradossi, tuttavia ciascuno può fare la sua parte, cominciando a
prestare attenzioni concrete a chi ancora non ha accesso sufficiente
all’alimentazione (un esempio è la recente campagna «Una sola famiglia umana, cibo per tutti», promossa da Caritas Internationalis),
assumendo stili di vita più sani – per quanto è nelle proprie possibilità – e che tengano conto del valore del cibo e quindi del modo di
acquistare e consumare.
Esiste un altro livello di impegno: quello culturale, sociale e politico. Nel tempo che ci separa da Expo, come Rivista intendiamo creare opportunità per riflettere e dialogare su come il cibo rappresenti
un asse fondamentale nel percorso di costruzione di una società più
giusta e sostenibile. Insieme ad altri partner (Arcidiocesi di Milano,
Caritas Ambrosiana, Caritas Internationalis, Caritas Italiana, Expo
2015 s.p.a., Fondazione Lanza, Intervita, Popoli) e con il patrocinio
della Presidenza del Consiglio dei Ministri e del Centro regionale di
informazione delle Nazioni Unite (UNRIC), promuoveremo nell’autunno 2014 un ciclo di tre seminari su: cibo, ambiente e stili di
vita; diritto al cibo, cibo e diritti; cibo, culture e religioni. In
preparazione abbiamo lanciato un call for paper (cfr Aggiornamenti
Sociali, 12 [2013] 877-878), a cui possono rispondere tutti coloro che
a vario titolo fanno ricerca o operano in questo campo. Le proposte
vanno presentate entro il 31 gennaio 2014 (info: <[email protected]> e <www.aggiornamentisociali.it>).
I paradossi del cibo
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Nella linea dell’approfondimento del significato culturale, sociale
e politico del tema del cibo, un primo importante stimolo è venuto
dall’arcivescovo di Milano, card. Angelo Scola, che vi ha dedicato il
tradizionale discorso alla città in occasione della solennità del patrono,
sant’Ambrogio, il 6 dicembre 2013. Expo 2015 rappresenta una sfida
a valorizzare al massimo i molteplici significati dell’alimentazione e
dell’energia, «proponendo al mondo una visione culturale e nuovi stili
di vita in cui i significati tecnico-scientifici e umanistici, quelli sociopolitici ed etici, quelli culturali e religiosi sappiano convivere efficacemente» (Scola A., Cosa nutre la vita? Expo 2015, Centro Ambrosiano,
Milano 2013, p. 22).
Il cammino verso Expo si nutre della dimensione dell’umanesimo, delle relazioni tra le persone all’interno di un progetto condiviso, e l’appuntamento del 2015 non sarà un punto di arrivo,
ma di passaggio grazie al quale acquisire maggiore consapevolezza
anche sui paradossi che si celano nel nostro rapporto con il cibo,
auspicando un cambiamento delle nostre pratiche e nuove politiche
per la promozione del cibo come bene comune universale.
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Chiara Tintori
Il diritto all’alimentazione –
la sfida dei diritti umani nel 21° secolo
Giornata mondiale dell’alimentazione
16 ottobre 2007
www.fao.org
Una famiglia che va a dormire affamata
ogni notte viene guardata in genere con
compassione. Ma, con il rafforzarsi in tutto
il mondo dello status giuridico del diritto
all’alimentazione, lo sguardo lanciato verso i
membri di questa famiglia sta cambiando. Non
sono più visti attraverso la lente della carità,
Le persone più vulnerabili – coltivatori privi di terre,
ma come persone che trovano ostacoli nel
abitanti di quartieri urbani degradati, persone che vivono
realizzare un loro diritto umano fondamentale.
in estrema povertà – trarrebbero i maggiori benefici dalla
in zone belliche, malati di HIV/AIDS e persone che vivono
concretizzazione del diritto all’alimentazione. Ma sarebbe
I paesi in tutti i continenti stanno riconoscendo sempre
un vantaggio per tutta la società.
più il diritto all’alimentazione e stanno adottando azioni
specifiche per aiutare le loro popolazioni a realizzare
Un mondo in cui il diritto all’alimentazione sia una realtà
questo diritto. Una promessa fatta nel 20° secolo sta
per tutti è un mondo in cui le persone di ogni livello sono
acquistando slancio per essere concretizzata nel 21°.
parte attiva della società, possono far sentire la loro
voce sulle politiche di governo e chiedere ai loro leader di
agire. È un mondo in cui i governi devono rendere conto
delle proprie azioni e in cui le risorse sono distribuite ed
utilizzate in modo più equo e sostenibile.
Realizzare il diritto all’alimentazione significherebbe
anche onorare l’impegno, assunto nel corso del Vertice
mondiale sull’alimentazione del 1996, di dimezzare entro
il 2015 il numero dei sottonutriti e conseguire il primo
Obiettivo di sviluppo del Millennio, ossia dimezzare entro
il 2015 la percentuale di persone afflitte da fame ed
estrema povertà.
Ciò che il diritto all’alimentazione è –
e ciò che non è
Per il solo fatto di nascere, ogni essere umano ha diritto
all’alimentazione. Non deve fare niente per “meritarlo”, è un diritto
acquisito alla nascita. Tuttavia, ciò non significa che una persona
possa incrociare le braccia e chiedere cibo gratis. Ognuno è tenuto a
fare tutto il possibile per realizzare il proprio diritto all’alimentazione.
I paesi firmatari del Patto internazionale sui diritti economici, sociali
e culturali devono, da parte loro, assicurarsi che questo diritto sia
accessibile a tutti coloro che vivono all’interno dei loro confini.
Più in generale, i governi devono creare condizioni di pace,
stabilità, libertà e prosperità in cui le persone siano in grado di
nutrirsi con dignità. Anche senza un obbligo legale, i governi hanno
l’obbligo morale di garantire la libertà dalla fame.
Il diritto all’alimentazione è stato formalmente riconosciuto
nel primo documento internazionale sui diritti dell’uomo, la
Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo adottata dalle
Nazioni Unite nel 1948, e si è gradualmente rafforzato nel tempo,
tramite l’adozione di appositi provvedimenti a livello nazionale
ed internazionale (vedi riquadro Cronologia legale del diritto
all’alimentazione).
Una definizione più elaborata di questo diritto è stata data
nel 1999 con il Commento generale 12 del Comitato sui diritti
economici, sociali e culturali dell’ONU, incaricato di supervisionare
l’attuazione del Patto. Il Commento precisa che il diritto ad
un’alimentazione adeguata viene realizzato «quando ogni uomo,
donna e bambino, da solo o in comunità con altri, dispone
in qualsiasi momento dell’accesso fisico ed economico ad
un’alimentazione adeguata o ai mezzi per procurarsela». I governi
devono creare le condizioni per attuare questo diritto, adottando
politiche e provvedimenti che consentano alle persone di coltivare
o acquistare cibo a sufficienza.
Cosa si intende per alimentazione “adeguata”? Si intende una
quantità e una varietà di cibo sufficiente a soddisfare tutti i bisogni
nutritivi per una vita sana ed attiva. Il diritto all’alimentazione è
più del diritto ad un’alimentazione di base o ad un apporto
calorico sufficiente.
Il Patto chiede la realizzazione progressiva del diritto
all’alimentazione nella massima misura possibile in base alle risorse
disponibili. Anche i paesi che non conoscono una crescita economica
possono realizzare progressivamente il diritto all’alimentazione
eliminando gli ostacoli che persone o collettività possono incontrare.
Cronologia legale del diritto all’alimentazione
La prima affermazione del credo secondo
cui ogni essere umano nasce con il diritto
intrinseco all’alimentazione viene attribuita
ad un famoso discorso del 1941 di Franklin
Roosevelt, Presidente degli Stati Uniti
d’America. Si trattava del cosiddetto
“discorso sulle quattro libertà”: libertà di
parola, libertà di culto, libertà dal bisogno
e libertà dalla paura.
Dopo la Seconda guerra mondiale, molti
paesi hanno abbracciato il principio delle
quattro libertà. Libertà che furono incluse
nella Dichiarazione universale dei diritti
dell’uomo, adottata nel 1948 in una delle
prime iniziative dell’Assemblea generale
delle nuove Nazioni Unite. L’articolo 25
della Dichiarazione riguarda specificamente
il diritto all’alimentazione:
«Ogni individuo ha diritto ad un
tenore di vita adeguato a garantire
la salute e il benessere per sé e la
propria famiglia, con particolare
riguardo all’alimentazione…».
La Dichiarazione è divisa in due trattati,
uno sui diritti civili e politici e uno sui
diritti economici, sociali e culturali. Il
diritto all’alimentazione è incluso nel Patto
internazionale sui diritti economici, sociali e
culturali adottato dall’Assemblea generale
dell’ONU nel 1966 ed entrato in vigore nel
1976. Ad oggi, sono 156 i paesi che lo
hanno ratificato.
L’articolo 11 del Patto riconosce «il diritto
di ogni individuo ad un tenore di vita
adeguato... con particolare riguardo ad
un’alimentazione adeguata» e «il diritto
fondamentale di ogni individuo alla libertà
dalla fame ...».
Una volta ratificato, il Patto diventa legalmente
vincolante per lo stato ratificante; il governo
deve quindi prendere misure adeguate
per la sua progressiva realizzazione,
adottando e applicando apposite leggi. Nel
tempo, con l’applicazione di tali normative
e la giurisprudenza dei tribunali chiamati a
risolvere le controversie in materia, questo
diritto si sta gradualmente rafforzando e
consolidando all’interno dei sistemi giuridici
nazionali. I paesi in cui questo diritto è stato
affermato con forza sono ora in procinto
di vedere la fame diminuire nella propria
popolazione, come nell’esempio dell’India
citato nel testo.
Come raggiungere l’obiettivo
Ogni individuo deve agire nel suo piccolo,
ma tre obblighi devono essere osservati
dai paesi che hanno ratificato il Patto.
Essi devono:
O r ispettare questo diritto, ossia evitare
di adottare misure che impediscano
alle persone di realizzare il loro diritto
all’alimentazione;
O p roteggere questo diritto, facendo in
modo che nessuno lo tolga ad altri;
O g arantire questo diritto, in due modi:
i governi devono favorire le azioni
che rafforzino l’accesso e l’uso delle
risorse; ed inoltre, se le persone non
sono in grado di realizzare il diritto
all’alimentazione per cause che siano
fuori del loro controllo, devono
fornire i mezzi affinché ciò accada.
Rispettare il diritto all’alimentazione
significa, ad esempio, che un governo non
può confiscare la terra o deviare corsi
d’acqua usati per l’agricoltura nelle zone
con deficit alimentare senza una valida
ragione o senza un’adeguata contropartita.
Proteggere tale diritto significa, ad
esempio, che prima di rilasciare permessi
o concessioni per un’attività industriale,
ad esempio di disboscamento, le autorità
devono verificare e garantire che tali
attività non finiscano con l’impedire
l’accesso all’alimentazione o a mezzi di
sussistenza. Facilitare il diritto significa
adottare misure di più vasta portata, come
le riforme agricole, ove esse si rendano
necessarie, o l’informazione delle persone
sui loro diritti. L’obbligo di intervenire
direttamente, estremo rimedio quando
gli sforzi del governo per rispettare,
proteggere e facilitare il diritto si mostrano
inadeguati, include misure come sussidi o
aiuti alimentari.
Sul piano internazionale, il diritto
all’alimentazione è salito alla ribalta nel
2004 con l’adozione unanime da parte
del Consiglio della FAO delle “Voluntary
Guidelines on the Progressive Realization
of the Right to Adequate Food in the
Context of National Food Security”
(“Linee guida volontarie a sostegno della
realizzazione progressiva del diritto ad
un’alimentazione adeguata nel contesto
della sicurezza alimentare nazionale”),
conosciute informalmente come “Linee
guida sul diritto all’alimentazione”. Queste
linee guida forniscono un aiuto concreto
ai governi per adempiere i loro obblighi
(vedi riquadro Linee guida sul diritto
all’alimentazione: uno strumento pratico).
Affermare il diritto all’alimentazione, paese per paese
La maggior parte delle azioni volte
a trasformare in realtà il diritto
all’alimentazione avvengono a livello
nazionale, dove risultano fondamentali la
volontà politica e il rispetto delle norme
internazionali. Trasformare l’impegno in
realtà significa adottare normative a favore
dell’attuazione del diritto e realizzare
politiche e programmi concreti. Fra i
paesi che stanno operando in tal senso
ricordiamo Bolivia, Guatemala, Indonesia,
Mali, Mozambico, Nepal e Uganda.
Il Brasile costituisce un valido esempio
di paese che ha intrapreso azioni globali
per realizzare il diritto all’alimentazione
(vedi riquadro Il successo del Brasile: il
ruolo del governo e della società civile).
In India, l’impegno a favore del diritto
all’alimentazione è aumentato dal 2001
con una causa intentata da una ONG
attiva nel campo delle libertà civili in
Rajasthan. L’azione mirava a imporre
l’obbligo dell’utilizzo delle riserve
alimentari del paese per la prevenzione
della fame durante una siccità molto
estesa. La Corte suprema indiana deve
ancora emettere il verdetto finale, ma
nel frattempo ha emesso una serie di
importanti sentenze provvisorie, grazie alle
quali è stato formalmente riconosciuto il
diritto all’alimentazione: è stato imposto
ai governi centrale e dello stato in
questione di adottare apposite misure,
che comportavano l’utilizzo di risorse
pubbliche, per migliorare la situazione.
La Corte ha anche ordinato ai governi di
informare la popolazione interessata sul
diritto legale all’alimentazione.
Queste sentenze hanno avuto
importanti effetti pratici, determinando
l’attuazione del programma di
distribuzione del pranzo nelle scuole
dell’India, obbligatorio per tutti i bambini
nelle scuole elementari statali o finanziate
dallo stato. Si tratta del più grande
programma alimentare scolastico al
mondo, grazie al quale vengono distribuiti
ogni giorno più di 50 milioni di pasti caldi.
In Sudafrica la costituzione del 1994,
adottata dopo l’apartheid, è molto
progressista. Nella carta dei diritti, si
precisa che: «ogni individuo ha il diritto
di avere accesso a … acqua e cibo in
quantità sufficienti …». Specifica che lo
stato è tenuto a garantire ad ogni bambino
il diritto ad un’adeguata nutrizione.
Dalla costituzione è nata anche una
commissione per i diritti umani, incaricata
di vigilare su tutti i diritti umani, di
indagare sulle denunce di violazione,
di cercare eventuali risarcimenti a tali
violazioni e di sensibilizzare la popolazione
sui diritti umani. Si sta inoltre cercando
di sviluppare un quadro normativo
riguardante il diritto all’alimentazione.
Anche nei paesi sviluppati i tribunali
interpretano e tutelano il diritto
all’alimentazione. La corte suprema
elvetica, ad esempio, in un caso
riguardante immigrati clandestini, ha
riconosciuto nel 1996 il diritto alle
condizioni minime di base, tra cui
l’alimentazione, per prevenire situazioni
in cui le persone «si trovino a dover
mendicare, una condizione indegna di
un essere definito umano».
Linee guida sul diritto
all’alimentazione:
uno strumento
pratico
L’adozione unanime delle Linee
guida sul diritto all’alimentazione
da parte del Consiglio della FAO
nel 2004 è stata una delle tappe
più importanti nella storia del diritto
all’alimentazione: è stato infatti proprio
in questa occasione che la comunità
internazionale si è accordata per la
prima volta sul pieno significato di
questo diritto.
Queste linee guida colmano il divario
fra il riconoscimento legale e l’effettiva
realizzazione del diritto, offrendo un
corpus coerente di raccomandazioni
strategiche a governi, società civile e
altri partner.
Le 19 linee guida riguardano la politica
di sviluppo economico, le questioni
legali e istituzionali, la politica
agricola e alimentare, la nutrizione,
la sicurezza alimentare e la tutela dei
consumatori, l’opera di educazione
e sensibilizzazione, le reti sociali di
sicurezza, le situazioni di emergenza
e la cooperazione internazionale.
Costituiscono un valido ambito per
una politica nazionale integrata per la
sicurezza alimentare.
La svolta
Josué de Castro, Brasile, Chairman del Consiglio
della FAO dal 1951 al 1955, alla XII Sessione della
Conferenza della FAO a Roma, novembre 1963.
«Fame significa esclusione», scriveva Josué
de Castro (1908-1973), il famoso medico
brasiliano, attivista contro la fame nel
mondo. «Esclusione dalla terra, dal lavoro,
dalla paga, dal reddito, dalla vita e dalla
cittadinanza. Se una persona arriva al
punto di non avere nulla da mangiare, è
perché tutto il resto gli è stato negato.
È una forma moderna di esilio. Di morte
durante la vita».
Con queste parole, il dottor de Castro
riassumeva la disperazione di ognuno
degli 854 milioni di affamati in tutto il
mondo. Ognuno di loro è una persona
che non è riuscita a realizzare il proprio
diritto ad un’adeguata alimentazione e
ad essere libera dalla fame. Il mondo è in
grado di produrre cibo sano e sufficiente
per tutti. Da ormai venti anni gli stati
riconoscono sempre più questo loro
obbligo e adottano misure per realizzare
questo diritto umano.
La Giornata mondiale dell’alimentazione
rappresenta un’occasione a livello
locale, nazionale ed internazionale per
approfondire il dialogo e aumentare
la solidarietà sul diritto fondamentale
all’alimentazione.
Il successo del Brasile: il ruolo del governo e della società civile
Il Brasile costituisce
un valido esempio
di paese che ha
intrapreso
azioni
globali per realizzare il
diritto all’alimentazione.
O BRASIL QUE COME AJUDANDO O BRASIL QUE TEM FOME
Dagli anni ’80, dopo che un massiccio
movimento della società civile ha
contribuito al ritorno della democrazia
nel paese, i brasiliani continuano ad
esercitare pressione sul governo per la
realizzazione dei diritti umani. L’impegno a
favore del diritto all’alimentazione è iniziato
con la Prima conferenza nazionale su
alimentazione e nutrizione del 1986, che
faceva parte del processo di stesura della
nuova costituzione.
L’impegno si è ulteriormente sviluppato
nel 2003 con l’elezione del Presidente
Luiz Inácio Lula da Silva, artefice del
programma Fome Zero (Fame Zero), che
prevede 31 azioni e progetti, portati avanti
in diversi ministeri, miranti a garantire
l’accesso al cibo, ad aumentare i redditi
delle famiglie e promuovere le aziende
agricole familiari. Nel 2005 il programma
poteva contare su un bilancio di
6 miliardi di dollari statunitensi. Una delle
componenti chiave di Fame Zero è la bolsa
família (sovvenzione familiare), un sussidio
mensile che aiuta attualmente 12 milioni di
famiglie povere. Un programma alimentare
scolastico distribuisce pasti a 37 milioni
di bambini.
Altre
componenti
del
programma
sono: il Consiglio nazionale per la
sicurezza alimentare e nutrizionale, che
riferisce direttamente al presidente e
che svolge un’attività di consulenza su
politiche e linee guida per realizzare il
diritto all’alimentazione; un sistema di
sorveglianza su fame e malnutrizione;
una commissione di vigilanza sulle
violazioni del diritto all’alimentazione; ed il
cosiddetto “Pubblico Ministero”, un’autorità
indipendente dai poteri esecutivo,
legislativo e giudiziario e che ha facoltà di
proporre azioni legalmente vincolanti per
porre rimedio a violazioni dei diritti umani.
Nel 2006 è stata adottata la legge federale
sulla sicurezza alimentare e nutrizionale,
che ha stabilito un sistema nazionale di
sicurezza alimentare e nutrizionale per
garantire il diritto all’alimentazione.
dalla creazione di orti urbani ad azioni di
sostegno della riforma agraria. Sono più
di 1 000 i gruppi della società civile che
hanno stilato rapporti per la 30 a sessione
del Comitato sui diritti economici, sociali e
culturali nel 2003.
La combinazione fra una politica
progressista di governo e la risolutezza
della società civile ha garantito una vasta
accettazione della legittimità del diritto
all’alimentazione in Brasile.
“Azione cittadinanza”, una rete che lotta
contro fame, povertà ed esclusione
sociale, ha creato più di 7 000 comitati
locali che lavorano su progetti che vanno
Per ulteriori informazioni:
Sottodivisione della Giornata mondiale dell’alimentazione
e delle iniziative speciali
Tel: +39-06-570-55361 / +39-06-570-52917
Fax: +39-06-570-53210 / +39-06-570-55249
[email protected] / [email protected]
Organizzazione delle Nazioni
Unite per l’alimentazione e
l’agricoltura (FAO)
Viale delle Terme di Caracalla
00153 Roma, Italia
www.fao.org
AD/I/A1269It/1/9.07/20000
Crediti fotografici (dall’alto in basso, da sinistra a destra): ©FAO/Giulio Napolitano;
©FAO/Pius Utomi Ekpei; ©FAO/Ivo Balderi; ©Raghu Rai/Magnum Photos per la FAO;
©FAO/Giulio Napolitano; ©FAO/Giuseppe Bizzarri; ©FAO/Giulio Napolitano; ©FAO photo;
©FAO/Pius Utomi Ekpei; ©FAO/Prakash Singh; ©FAO/Giuseppe Bizzarri; ©FAO/Giuseppe Bizzarri.
AS 12 [2005] 831-834
Schedario/ Lessico oggi
Claudio Malagoli
Sovranità alimentare
Professore di Economia agraria
nell’Università di Bologna
e Vicepresidente del Consiglio
dei Diritti Genetici
L’alimentazione è l’attività fisiologica
per eccellenza. Ognuno di noi — anche
se il Vangelo ci ricorda che «Non di solo
pane vivrà l’uomo» (Mt 4,4) — non può
fare a meno di alimentarsi, almeno due o
tre volte al giorno, ovviamente se se lo
può permettere. La sovranità alimentare
è quindi una categoria della massima
importanza: può essere intesa come il diritto di ogni popolo a definire le proprie
politiche agrarie, regolando così la produzione agricola nazionale e il mercato
locale, al fine di soddisfare la domanda
interna di alimenti.
Sovranità alimentare per qualsiasi
Paese significa sicurezza, anche dal
punto di vista degli equilibri sociali,
poiché un uomo affamato potrebbe essere disposto a tutto pur di ottenere alimenti per sé e per la propria famiglia.
Ed è esattamente per questo motivo che
ogni Paese, per quanto modesta sia la
sua disponibilità di terreni e per quanto
elevati siano i costi di produzione agricoli, non rinuncerà mai a una seppur minima sovranità alimentare. Il nostro Paese è attualmente lievemente deficitario.
Solo nei primi decenni del ’900 era completamente autosufficiente, in relazione
alla politica autarchica attuata in quegli
anni.
831
Sussidi agricoli e dumping
Purtroppo, nel mondo ci sono Paesi
che non hanno mai raggiunto una completa sovranità alimentare. In particolare,
secondo la FAO, circa 800 milioni di persone manifestano problemi di denutrizione (insufficiente apporto alimentare) e di
malnutrizione (dieta sbilanciata nei suoi
componenti). Spesso denutrizione e malnutrizione non sono causati dalla mancanza di cibo, ma da fattori di instabilità
politico-sociale, con particolare riferimento alle guerre, alle catastrofi naturali
e alle conseguenti crisi economiche. Denutrizione e malnutrizione sono da addebitare anche a una squilibrata distribuzione delle risorse e dei consumi sia a livello planetario, sia negli stessi Paesi dove queste problematiche si manifestano.
Paradossalmente, alcuni Paesi nei quali
sono presenti problemi di denutrizione,
figurano tra i principali esportatori di cibo a livello mondiale (nel 2002 l’India è
risultata il secondo esportatore mondiale
di riso dopo la Thailandia).
I Paesi dell’UE sostengono la produzione interna di alimenti mediante la
corresponsione di aiuti (sussidi) agli
agricoltori. Tali sussidi producono effettivamente un risultato di «dumping sui
prezzi». In campo economico, il dumping
832
indica una pratica commerciale di vendita sui mercati internazionali di prodotti
che eccedono la capacità di assorbimento del mercato interno, a prezzi inferiori
ai costi di produzione. Del resto i sussidi
rappresentano l’unico modo per proteggere la sovranità alimentare dei Paesi
dell’UE dalle esportazioni attuate da altri
Paesi, che, di fatto, utilizzano altre forme
di dumping per poter vendere a bassi
prezzi i loro prodotti («dumping ambientale», «dumping sociale», «dumping tecnologico», ecc.). Pertanto, numerose sono le motivazioni che possono spingere
un Paese a sovvenzionare la propria agricoltura, consapevole del fatto che una
completa liberalizzazione del mercato
globale potrebbe portarlo alla perdita
della sovranità alimentare.
Va rilevato che i sussidi agricoli sono
da più parti accusati di determinare effetti negativi sulla sovranità alimentare
dei Paesi Meno Avanzati (PMA). Una tesi
che richiede alcune precisazioni. In particolare, se le critiche ai sussidi sono relative all’impossibilità da parte di certi
PMA di poter attuare sul proprio territorio un’agricoltura moderna e competitiva
per il mercato interno a causa del dumping esercitato dall’agricoltura europea,
ben vengano queste critiche. Da un lato
però ci sono Paesi, come ad esempio
l’India, che sono grandi produttori ed
esportatori, e, dall’altro, occorre tener
conto della concreta situazione mondiale: se l’UE eliminasse i sussidi, altri Paesi, che esportano in quantità molto maggiori (come ad es. USA e Canada), ne
rimpiazzerebbero le esportazioni sussidiate. Questo almeno fino a quando non
sarà possibile giungere a un accordo
complessivo globale sulla materia: è una
questione che viene spesso posta in sede
di negoziati commerciali internazionali,
Claudio Malagoli
ma che al momento pare ben lontana da
una soluzione.
Se, invece, si vuole attribuire ai sussidi
la responsabilità dell’incremento dei problemi della fame nel mondo, questa accusa potrebbe non rispondere alla realtà, per
diversi motivi. In primo luogo, come è risaputo, il problema della fame non deriva
da insufficiente produzione alimentare,
ma da una iniqua distribuzione della ricchezza (si veda il caso di Paesi come Argentina, India, Brasile, ecc.): gli affamati
sono tali non perché la produzione di cibo
sia insufficiente, ma perché non dispongono del denaro per acquistare il cibo,
cioè perché i prezzi degli alimenti sono
troppo alti rispetto al loro reddito disponibile. Diminuire gli affamati significa,
pertanto, diminuire il prezzo degli alimenti. Ed è proprio questo l’effetto dei
sussidi tanto contestati: essi fanno diminuire il prezzo mondiale delle merci, ed è
per questo che ad esempio in sede di Organizzazione Mondiale del Commercio essi suscitano forti opposizioni da parte dei
grandi esportatori (attuali o potenziali) di
derrate alimentari.
Inoltre, pur essendo senz’altro vero
che in presenza di prodotti europei sussidiati per i PMA diventa molto difficile
esportare, è tuttavia altrettanto vero che
se esportano significa che il prezzo mondiale è superiore al prezzo interno (perché altrimenti essi venderebbero sul
mercato interno). Per gli agricoltori dei
PMA le alternative sono quindi due: o
produrre per il mercato interno, caratterizzato da prezzi più bassi e meno remunerativi, o produrre per i Paesi ricchi,
con prezzi più alti e più vantaggiosi. Pertanto, in termini generali, l’effetto delle
esportazioni da parte dei PMA è quello di
far lievitare il prezzo interno, con ulteriore aggravamento dei problemi di ap-
Sovranità alimentare
provvigionamento alimentare da parte di
coloro che non hanno il denaro per acquistare il cibo.
Le dinamiche
del commercio internazionale
Va infine ricordato che i PMA riconvertono la produzione su altri beni (ad
esempio trasformano le risaie in allevamenti di gamberetti, come sta accadendo
recentemente in India) non tanto perché
i sussidi europei fanno concorrenza alla
produzione locale di derrate alimentari,
ma piuttosto perché in questi Paesi il costo di produzione di prodotti da esportare
nei Paesi ricchi (ad es., fiori o gamberetti) è più basso di quello che si avrebbe
nei Paesi di consumo, e quindi vi è una
pressione in tal senso da parte delle
grandi multinazionali. In altre parole,
non sono le esportazioni sussidiate di
derrate alimentari a soppiantare la produzione locale rendendola troppo scarsamente remunerativa, ma i prodotti da
esportazione, sui quali è possibile realizzare guadagni maggiori che sulla produzione di cibo per il mercato locale. La
teoria del commercio internazionale ci
insegna infatti che i PMA, per affrancarsi
dalla povertà e raggiungere una certa sovranità alimentare, non dovrebbero specializzarsi nella produzione e nella vendita di prodotti da esportazione, ma dovrebbero prima di tutto e nella misura
del possibile produrre ciò che normalmente importano.
A sostegno di queste affermazioni è
il«teorema di Rybczynski», che descrive
il fenomeno di «crescita immiserente» di
un PMA fortemente specializzato nella
produzione di un bene destinato all’esportazione. Può accadere che questo
Paese, al fine di aumentare le vendite, incrementi ulteriormente la produzione di
833
quel bene, destinandovi terreni che prima
erano utilizzati per la produzione di alimenti per il mercato interno. Non necessariamente quel Paese ne trarrà i vantaggi economici sperati, in quanto l’aumento
dell’offerta può determinare una diminuzione del prezzo di mercato, che potrebbe
anche essere superiore all’incremento di
produzione. In questo modo, quel Paese,
pur avendo incrementato in termini quantitativi la vendita di quel prodotto, è più
povero, sia perché l’aumento delle quantità vendute non è in grado di compensare l’effetto negativo sui ricavi dovuto alla
diminuzione del prezzo, sia perché la
nuova destinazione dei terreni ne ha diminuito la sovranità alimentare.
Questa sorta di «trappola» scatta in
modo particolare quando ciascun Paese
decide le proprie strategie di produzione
agricola senza tener conto di ciò che faranno i suoi concorrenti: ad esempio, se
il prezzo di un certo prodotto lo rende
particolarmente remunerativo, ciascun
produttore sarà indotto ad aumentarne la
produzione; l’aumento di produzione realizzato da ciascuno è probabilmente irrilevante rispetto al mercato mondiale, e a
parità di tutte le altre condizioni, effettivamente il Paese in questione ne trarrebbe un vantaggio. Il problema è però che
a livello aggregato l’incremento della
produzione da parte di tutti i produttori è
in grado di determinare un eccesso di offerta sul mercato mondiale, e di conseguenza una diminuzione del prezzo: tutti
i produttori ne risulteranno danneggiati.
Non si tratta di un caso teorico: è già accaduto per il caffè, per il cacao, per il tè
e per altri prodotti provenienti dai PMA.
La situazione nei Paesi ricchi
Finora ci siamo occupati dei problemi
della sovranità alimentare dei PMA. Oc-
834
corre però considerare che anche i Paesi
ricchi potrebbero correre qualche rischio, ad esempio nel caso di massiccia
introduzione di Organismi Geneticamente Modificati (OGM) per la produzione di
alimenti. In particolare, essendo questi
prodotti coperti da brevetto, si potrebbe
determinare la concentrazione della proprietà del cibo in poche mani, quelle dei
monopolisti, i quali potrebbero non vendere la semente sul mercato, ma affidarla
agli agricoltori attraverso appositi contratti di coltivazione, in cui si riserverebbero la proprietà degli alimenti prodotti.
A questo punto, potrebbero fissare arbitrariamente il prezzo del cibo, a evidente
danno dei consumatori.
Per un Paese sovranità alimentare significa anche sicurezza alimentare da un
punto di vista della salute. In particolare, oggigiorno, a causa di frodi e/o di tecniche di produzione discutibili (uso di
ormoni, fitofarmaci, OGM, ecc.), la qualità del cibo a volte è messa a repentaglio, tanto che il consumatore è portato a
rifiutare un cibo anche solo per semplici
sospetti di rischi connessi al suo consumo. Il recente«virus dei polli» ne è un
esempio.
La sovranità alimentare del nostro
Paese è limitata dal fatto che i prezzi
mondiali degli alimenti sono molto bassi,
per cui si preferisce acquistare all’estero
piuttosto che produrre internamente, pur
se occorrerebbe interrogarsi anche sulla
qualità del cibo importato. Tale scelta
provoca l’abbandono dei terreni marginali — quelli sui quali non è più economicamente conveniente produrre, in
quanto i costi di produzione risultano su-
Claudio Malagoli
Per saperne di più
COLOMBO L., Fame. Produzione di cibo e
sovranità alimentare, Jaca Book, Milano
2002.
ILLUZZI L., «Dumping», in Aggiornamenti Sociali, 4 (2004) 304-308.
MALAGOLI C., «Alimenti transgenici: opportunità o rischio?», in Aggiornamenti
Sociali, 4 (2005) 284-295.
<www.foodsovereignty.org>, International NGO / CSO Planning Committee for
Food Sovereignty (Coordinamento internazionale delle ONG per la sovranità alimentare).
<www.sovranitalimentare.it>, Campagna
Italiana per la Sovranità Alimentare.
<www.viacampesina.org>, Vía Campesina (Coordinamento internazionale di movimenti di contadini).
periori ai prezzi di vendita dei prodotti
sul mercato —, con indubbie conseguenze ambientali negative per il nostro territorio: un territorio che da sempre è governato dall’agricoltura, senza la quale,
con ogni probabilità, non potrebbe mantenersi tale. In questo modo viene meno
la multifunzionalità dell’agricoltura da
tutti auspicata (salvaguardia del paesaggio, tutela dell’assetto idrogeologico, protezione della flora e della fauna, ecc.).
Tuttavia — ed è questa una nota di ottimismo — basterebbe un lieve aumento
dei prezzi di mercato dei prodotti agricoli per rendere conveniente la coltivazione di terreni attualmente marginali, rendendo reale la sovranità alimentare del
nostro Paese.
inchiesta
Ogm e fame,
la rivoluzione mancata
Sembrano avere fugato i dubbi sulla loro
pericolosità per la salute e l’ambiente, mentre
- contrariamente alle promesse - non hanno
risolto la piaga della malnutrizione. L’unica
certezza è che gli Ogm sono fonte di enormi
affari per poche multinazionali e di grandi
problemi per i piccoli coltivatori. In questo
servizio analisi, numeri e testimonianze
14 Popoli febbraio 2013
Paolo Fontana *
L’
uomo ha sempre selezionato
piante e animali favorendo,
attraverso una paziente opera d’incroci, varietà vegetali e razze
animali con caratteristiche che risultassero convenienti. Questo processo
di «domesticazione», che consiste nel
cammini di giustizia
far riprodurre quegli individui che
in modo già marcato presentano
le qualità ricercate, richiede tempi
lunghi, dettati dal ritmo naturale
delle generazioni. La lunga storia
dell’agricoltura e dell’allevamento ha
registrato, specie nel secolo scorso,
una forte accelerazione grazie all’utilizzo di nuove tecniche agricole.
Ma la svolta netta in questo modo di
procedere si è avuta con l’applicazione ai vegetali (e agli animali) delle
conoscenze biotecnologiche.
Un Organismo geneticamente modificato (Ogm) è un organismo vivente
che possiede una combinazione di
materiale genetico inedita, ottenuta
con l’utilizzo delle biotecnologie. La
manipolazione genetica modifica la
struttura e le funzioni dell’organismo
vivente e lo induce a produrre materiali biologici ad hoc. Le applicazioni
possibili spaziano in vari campi: dalla medicina alla cura della salute, dal
settore alimentare a quello chimico,
dalla zootecnia all’agricoltura. Il nostro interesse è per i vegetali Gm:
dunque ne approfondiremo la diffusione, le caratteristiche, le criticità.
SALUTE E AMBIENTE
Mentre la «creazione» in laboratorio
del primo Ogm (non vegetale) è datata 1973, i primi vegetali Gm coltivati in campo risalgono al 1996 e si
estendevano per 1,7 Mha (milioni di
ettari); nel 2011 sono stati seminati
160 Mha con Ogm, il che equivale a
un incremento di 94 volte in 15 anni. I Paesi maggiormente coinvolti
sono 29, di cui 19 in via di sviluppo
e 10 industrializzati. Il tasso di crescita per le colture biotech nei Paesi
in via di sviluppo è stato dell’11%
nel 2011 rispetto all’anno prima,
quasi il doppio rispetto ai Paesi industrializzati (+5%).
Il leader della produzione mondiale di
raccolti biotech restano gli Usa, con
69 Mha coltivati; seguono il Brasile
(30,3 Mha, +20% rispetto all’anno
precedente), l’Argentina (23,7) e l’India (10,6); in questa classifica la Cina
è sesta con 3,9 Mha e il Sudafrica
nono (2,3) (cfr Tabella pag. 16).
Le piante geneticamente modificate
più seminate sono quattro: la soia,
con 80 Mha coltivati nel mondo nel
2011; il mais con 50 Mha; il cotone e la colza, rispettivamente con
22 e 10 Mha. Altri Ogm coltivati,
ma in appezzamenti notevolmente
inferiori (qualche centinaio di migliaia di ettari), sono: barbabietola
da zucchero, erba medica, papaya
e zucca negli Usa; papaya, pioppo,
pomodoro e peperone dolce in Cina;
patata in Germania e Svezia.
Le modifiche genetiche introdotte
nelle quattro specie più coltivate
sono fondamentalmente di tre tipi: la
tolleranza agli erbicidi, la resistenza
agli insetti infestanti, o contemporaneamente le due modificazioni precedenti. Se in un campo la coltivazione è tollerante a un erbicida, sarà
più facile diserbare senza provocare
danni di crescita alla pianta; la medesima cosa vale per la resistenza
agli insetti infestanti: la coltivazione
sarà al sicuro dagli attacchi devastanti anche senza l’utilizzo preventivo di insetticidi.
Come si ottengono questi risultati?
Con la tecnologia del Dna ricombinante si introducono nelle cellule vegetali geni estranei che conferiscono
alla pianta i tratti desiderati. In questo modo ogni
Ogm è «unico»
La «creazione»
e deve essere
in laboratorio
esaminato indel primo Ogm
dividualmente
è del 1973, le
per accertarne
prime coltivazioni
l’innocuità per
sono del 1996.
la salute umana
In 15 anni gli
e per l’ambienettari coltivati
te. Oggi sono
nel mondo
disponibili in
sono quasi
commercio 121
centuplicati
varietà Gm di
mais, 48 di cotone, 30 di colza e 22
di soia, ciascuna con la valutazione
d’impatto da parte del produttore.
Tale valutazione è destinata a essere
ripetuta da organismi pubblici prima della definitiva vendita nel Paese interessato. Per quanto riguarda
l’Unione europea, l’organismo deputato a operare per la messa in commercio degli Ogm è l’Efsa (Autorità
europea sicurezza alimentare): essa
stima il rischio ed esprime un parere, ma spetta poi agli Stati membri
e alla Commissione europea la decisione finale per la commercializzazione. Gli Ogm oggi sul mercato
hanno superato entrambi gli esami
e, dunque, allo stato delle conoscenze attuali si possono considerare
sicuri per la salute pubblica e per
l’alimentazione.
Per quanto riguarda l’ambiente, due
sono i nodi critici da superare per
febbraio 2013 Popoli 15
inchiesta
evitare la diffusione nel territorio
di piante Gm: l’impollinazione con
piante equivalenti non transgeniche
e la dispersione del seme. Per evitare
entrambe potrebbero essere sufficienti adeguate precauzione agricole,
ad esempio le ridotte dimensioni
degli appezzamenti, la differenziazione delle colture confinanti e la
lontananza da luoghi in cui la flora
cresce spontaneamente (ad esemLa ricerca
pio nei boschi). In
sugli Ogm
ogni caso, per eviper risolvere
tare l’impollinail problema
zione incrociata,
della fame non
le piante Gm venè finanziata.
gono normalmenLe piante
te modificate con
sono studiate
l’ulteriore carattesecondo
ristica della «mala logica
schio sterilità»: il
del profitto
polline «fuggito»
dal campo è sterile, cioè non in grado di fecondare alcuna altra pianta.
In definitiva, con le dovute precauzioni, le contaminazioni ambientali
involontarie non dovrebbero alterare
l’ecosistema più di quanto già non
faccia l’agricoltura tradizionale con
i suoi semi selezionati e i suoi ibridi.
UNA RISPOSTA ALLA FAME?
La valutazione d’impatto degli Ogm
sulla salute umana e sull’ambiente è generalmente alquanto approfondita perché oggetto di ampio
dibattito. Viene invece spesso sottaciuto l’aspetto economico e sociale
legato alla produzione delle piante
transgeniche. Il mercato mondiale
globalizzato tende infatti a enfatizzarle e a promuoverle sia presso i
produttori sia presso i consumatori.
Le sementi Gm sono brevettate e il
loro utilizzo porta notevoli introiti
alle 18 multinazionali che le sviluppano. Inoltre la caratteristica di
essere «maschio sterili» favorisce
ulteriormente le facili tentazioni
monopolistiche poiché impone ogni
anno l’acquisto di nuove sementi.
Le implicazioni economiche e sociali meritano altre due esemplificazioni. Spesso si parla di vegetali
Gm in grado di alleviare la fame
nel mondo. Anche la Fao si è sentita
in dovere di affrontare la questione
e qualche anno fa ha stilato un
rapporto dal titolo: Biotecnologie
agricole: una risposta ai bisogni
dei poveri? Attualmente la soluzione a questa impegnativa domanda
rimane negativa; potrebbe, al contrario, avere una concreta risposta
se fossero prese in considerazione le
vere necessità alimentari dei Paesi
poveri. Si potrebbero, ad esempio,
modificare geneticamente piante
come il sorgo, il miglio, l’orzo, il
riso, arricchite di nutrienti o capaci
di crescere in condizioni climatiche
e di terreno avverse. Se questo non
accade è perché le piante Gm sono
I PAESI PRODUTTORI
principalmente studiate secondo la
logica del profitto economico dei
Paesi sviluppati.
La stessa motivazione vale per un
secondo esempio. Una delle frontiere più promettenti e meno indagate degli Ogm è la possibilità di
far produrre alle piante vari tipi di
vaccini. L’eventuale progresso in
questo campo scientifico, con la
concomitante rinuncia al brevetto,
potrebbero aprire scenari insperati
per i Paesi poveri: milioni di persone potrebbero avere facile accesso a
migliori condizioni sanitarie.
Per orientare l’uso delle piante Gm
verso un reale bene comune appare
indispensabile che esse siano integrate in un programma completo di
ricerca e sviluppo agricolo mondiale
e che esso ottenga la dovuta attenzione, anche finanziaria. La salute
e l’ambiente potranno ricevere maggiore cura quanto più gli enti pubblici si consorzieranno tra loro con
la capacità propositiva della ricerca
mirata e finalizzata. La società stessa
dovrà assumersi la responsabilità di
partecipare alla definizione degli
obiettivi della ricerca, delle priorità,
delle applicazioni e della ripartizione
dei vantaggi che ne derivano. Perché
tutto ciò possa accadere è indispensabile una riflessione pacata, ma
lontana da ogni approccio venale.
* Sacerdote, docente di Bioetica al
Seminario teologico del Pime di Monza
LE MULTINAZIONALI
PaeseArea
Sementi Ogm
(milioni di ettari)
Stati Uniti
69,0
Mais, soia, cotone, colza,
barbabietola da zucchero, alfalfa
(erba medica), papaya, zucca
Brasile
30,3
Soia, mais, cotone
Argentina
23,7
Soia, mais, cotone
10,6Cotone
India
Canada
10,4
Colza, mais, soia,
barbabietola da zucchero
3,9
Cotone, papaya, pioppo,
Cina
pomodoro, pepe dolce
Paraguay 2,8Soia
2,6Cotone
Pakistan
Sudafrica
2,3
Mais, soia, cotone
1,3
Soia, mais
Uruguay
16 Popoli febbraio 2013
FONTE: Clive James, 2011
Altri
40%
Kws
Land
(Germania) Olakes Gruppo
3%
(Usa) Linagrain
(Francia)
4%
6%
Monsanto
(Usa)
23%
Dupont
(Usa)
15%
Sygenta
(Svizzera)
9%
FONTE: Who owns nature, www.etcgroup.org, 2008
america centrale
Nel cuore dell’impero
Monsanto
Juan Antonio Mejía Guerra *
L’
rimentale nel quale promuove lo
studio della sementi transgeniche.
In El Salvador sempre la Monsanto
ha acquisito la Semillas Cristiani
Burkard, per 135 milioni di dollari,
garantendosi il 70% del mercato di
sementi in questo Paese.
In Honduras, il Paese più corrotto
del Centroamerica secondo Transparency International, ancora la
multinazionale a stelle e strisce ha
stretto una strana alleanza con il
governo, grazie alla quale fornisce
sementi ai piccoli agricoltori con
l’avvallo e il supporto economico
dello Stato, che le versa 20 milioni
di dollari all’anno.
America centrale - in particolare le regioni meridionali del Messico, Guatemala,
El Salvador, Honduras - è diventata
lo scenario principale in cui la
Monsanto e altre multinazionali del
settore si stanno muovendo per imporre le loro sementi transgeniche,
soprattutto di mais.
A Sinaloa, in Messico, il colosso
statunitense ha costruito un enorme impianto per la produzione di
sementi transgeniche del valore di
290 milioni di pesos (oltre 17 milioni di euro) e ne investirà altri 150
nei prossimi tre anni. Con questo
impianto l’azienda vuole garantire PRIMA IL BUSINESS
i semi per circa tre milioni di ettari I portavoce della Monsanto si sono
dichiarati favorevoli ad aumentare
di coltivazioni.
In Guatemala la multinazionale la produzione di mais per evitare
francese Sanofi-Aventis produce il carestie. Ora, il punto è che sicumais Starlink, che negli Stati Uniti ramente la produzione di mais è
è vietato dalla Food and Drug Ad- insufficiente, ma questo è dovuto al fatto che ogni
ministration dall’ottoanno si espandono le
bre del 2000 (è stata la Se le varietà
coltivazioni destinate
prima varietà a livello primitive di
all’esportazione (palmondiale non autoriz- mais dovessero
ma africana, canna da
zata per il consumo scomparire per
zucchero, melone, cafumano). Nella città di contaminazione
fè) e si riducono quelle
Salamá, la Monsanto con Ogm, la
per il consumo interno.
possiede un centro spe- multinazionale
resterebbe
la padrona
universale
delle sementi
In Honduras, negli ultimi dieci
anni le coltivazioni di mais e fagioli destinate al consumo interno
sono diminuite di oltre 124mila
ettari, mentre quelle per prodotti
da esportazione sono aumentate
nello stesso periodo di 318mila ettari (dati dell’Istituto nazionale di
statistica). Questa è la ragione della
carestia e della scarsità di cibo per
la popolazione: problemi per nulla
contrastati, anzi favoriti dalle scelte politiche ed economiche.
Va poi aggiunto che il predominio
delle sementi Monsanto rappresenta
un grande rischio per la agrobiodiversità in America centrale: solo in
Messico ci sono
circa 60 varieLa Monsanto sta
tà primitive di
facendo enormi
mais e circa 14
investimenti in
nel resto dell’AAmerica Centrale.
merica centrale.
Dal canto suo, la
Se queste varietà
francese Sanofidovessero scomAventis produce
parire per la
il mais Starlink,
contaminazione
che negli Stati
con polline di
Uniti è vietato
piante transgedal 2000
niche, la Monsanto resterebbe l’unica e assoluta
padrona universale delle sementi di
mais. Questa drammatica ipotesi è
già una realtà in alcune zone: nella
valle di Yoro, in Honduras, gli operatori locali della pastorale sociale
hanno denunciato che le specie locali
di mais crescono ma non producono
pannocchie perché sono diventate
sterili dopo essere state contaminate
dal polline di coltivazioni transgeniche della Monsanto. Se vogliono
ottenere raccolti, questi agricoltori
devono acquistare sementi transgeniche a un prezzo venti volte maggiore
rispetto a quello delle varietà locali.
In definitiva, il pericolo rappresentato dagli Ogm può essere maggiore
dei vantaggi tanto decantati.
* Docente dell’Università nazionale
autonoma dell’Honduras,
ricercatore di Eric, centro studi
dei gesuiti honduregni
febbraio 2013 Popoli 17
inchiesta
AFRICA
Il futuro
è l’agricoltura familiare
Paul Desmarais SJ *
Lusaka (Zambia)
gesuiti in zambia
Quel «no»
agli Stati Uniti
N
ato nel 1974, il Kasisi Agricultural
Training Centre (Katc) è un centro
agricolo dei gesuiti a Lusaka, Zambia.
L’obiettivo di questa struttura è garantire ai contadini africani una formazione
improntata ai principi dell’agricoltura ecosostenibile. Il centro organizza corsi per
agricoltori e offre loro assistenza tecnica.
Dispone inoltre di unità produttive nelle
quali vengono effettuate ricerche in campo agricolo e zootecnico.
Sin dalla nascita, il Katc ha combattuto la
diffusione in Africa dei fertilizzanti chimici
(sempre più utilizzati a partire dalla fine
della seconda guerra mondiale) e degli organismi geneticamente modificati. In questo contesto, all’inizio degli anni Duemila,
il centro è stato oggetto di duri attacchi da
parte di James Nicholson, ambasciatore
degli Stati Uniti in Zambia, Andrew Natsios,
direttore di Usaid, e di alcuni ricercatori pro
Ogm. Il Katc, infatti, insieme ad altre organizzazioni, aveva consigliato al governo
zambiano di rifiutare l’offerta americana
di mais Ogm distribuito dal Programma
alimentare mondiale, consiglio che l’esecutivo ha fatto proprio. Ciò ha attirato le ire
statunitensi, che si sono abbattute in particolar modo sull’organizzazione dei gesuiti,
accusata di voler alimentare la carestia
in Zambia. I religiosi hanno risposto alle
critiche sostenendo che era la causa della
carestia era la povertà e che non erano
necessari Ogm, ma sostegni finanziari a
Lusaka e aiuti che favorissero uno sviluppo
ecosostenibile dell’agricoltura.
Enrico Casale
18 Popoli febbraio 2013
attesta che non terranno alcun seme
per ripiantarlo. In altre parole, ogni
anno il contadino dovrà acquistare
no dei temi legati all’utilizzo nuove sementi dalla multinazionale
degli Ogm è se questi pos- che le produce. È un obbligo così cosano realmente sfamare il gente che le grandi società, come la
mondo. Alcune sementi transgeniche Monsanto, assumono detective prisono studiate per poter utilizzare er- vati per controllare i contadini che si
bicidi in modo da non danneggiare la sospetta utilizzino i semi ricavati da
pianta; altre contengono batteri che raccolti passati.
possono uccidere gli insetti. Qualcu- La nocività delle sementi Ogm è
no potrà dire che con meno erbacce dimostrata sia in campo ambientale
e meno insetti si otterrà una resa per sia sotto il profilo dell’alimentazioettaro maggiore. In realtà, non c’è al- ne. Gli Ogm infatti, una volta imcun Ogm che garantisca un aumento messi nell’ambiente, contaminano
anche gli altri semi e rischiano di
di produzione.
infettare l’intera specie. A dimoVINCOLATI ALLE MULTINAZIONALI strarlo sono i danni che le sementi
Ma se anche per ipotesi ammettes- Ogm hanno causato in Canada alle
simo che gli Ogm garantiscono una coltivazioni tradizionali di colza.
resa maggiore, non possiamo non Uno studio effettuato in Francia dal
mettere in conto un forte incremento professor Séralini, pubblicato il 19
di costo di produzione per l’agricol- settembre 2012, ha dimostrato che
tore. Le sementi Ogm hanno infatti i prodotti Ogm sono cancerogeni,
prezzi molto alti. Per acquistarle le così come l’erbicida Round-up ready,
grandi aziende agricole possono ri- il più impiegato quando le sementi
correre ai prestiti bancari, ma per sono geneticamente modificate (va
i piccoli contadini ciò è quasi im- detto che lo studio è stato contestato
possibile. Le multinazionali giusti- da una parte della comunità scientificano l’alto costo degli Ogm con fica). Se queste tecnologie sono così
la necessità di rientrare dai grandi dannose, perché le autorità dovrebinvestimenti effettuati per la ricerca. bero permetterne l’uso?
Quello che non spiegano però è che In Africa l’utilizzo degli Ogm si sta
i semi iniziali, aventi il patrimonio diffondendo gradualmente. Anche se
genetico originale, sono stati donati è difficile tracciare una mappa esatta
loro gratuitamente proprio dai con- dei Paesi che ne hanno autorizzato
tadini. Così gli agricoltori non solo l’impiego perché siamo di fronte a
sono stati espropriati dei loro stessi un fenomeno in continua evoluzione. Sudafrica ed Egitsemi ma, in prospettiva,
diventeranno sempre più In Africa l’utilizzo to hanno certamente
aperto le loro agricoldipendenti dalle multi- degli Ogm si
ture alle sementi genenazionali. E questo an- sta diffondendo
ticamente modificate. Il
che perché gli agricoltori gradualmente.
Sudafrica, in particolaall’atto dell’acquisto delle Anche se è
sementi Ogm devono fir- difficile tracciare re, ha colture Ogm di
mais, cotone e soia. Il
mare un documento che una mappa
U
esatta perché
siamo di fronte
a un fenomeno
in espansione
Burkina Faso, che aveva inizialmente aperto alle nuove tecnologie, ha
poi fatto retromarcia e le ha vietate. Il
Kenya ha effettuato alcune ricerche,
ma come il Burkina ha proibito ogni
coltivazione per timore di danni alla
salute dei consumatori. L’Uganda invece ha dato il via a nuove ricerche.
TORNARE ALLA NATURA
Nel mondo ci sono molti casi documentati che dimostrano come le
piccole aziende agricole producano
più cibo per ettaro che non le grandi
imprese. Queste piccole aziende, tra
l’altro, coltivano in un unico terreno
diversi prodotti agricoli. Ciò garantisce un’alimentazione più varia ai
contadini. Non solo, ma il suolo, non
limitato a una sola coltura, non si
impoverisce e rende di più.
Negli ultimi cinque anni sono stati
effettuati diversi studi che dimostrano che il futuro dell’alimentazione
mondiale è nelle mani delle aziende
familiari che applicano le tecniche
dell’agricoltura ecologica e organica.
Uno di questi studi è stato elaborato dell’International Assessment of
Agriculture and Science for Technology and Development. Un altro da
Olivier Shuter, esperto delle Nazioni
unite per il diritto al cibo.
L’esperienza al Kasisi Agricultural Training Center, in Zambia (cfr
box), conferma che le piccole aziende
agricole producono più cibo quando utilizzano metodi organici. In
particolare i terreni coltivati a mais
hanno una resa maggiore attraverso
l’impiego di sistemi organici rispetto
non solo a quelli coltivati utilizzando
Ogm, ma anche a quelli che impiegano fertilizzanti chimici. La sicurezza
alimentare è quindi garantita. Ma è
garantito anche un forte risparmio di
denaro perché non si devono acquistare concimi e sementi.
Chiunque continui a sostenere che
gli Ogm alimenteranno il mondo dice
quindi una menzogna.
* Kasisi Agricultural Training
Centre, Lusaka (Zambia)
INDIA
Dolci miti,
fatti amari
Xavier Jeyaraj SJ *
C
irca tredici anni fa un mio
cugino si suicidò bevendo
del pesticida perché era caduto nella trappola del debito legata alle coltivazioni geneticamente
modificate (Gm). Non era in grado
di ripagare i debiti che aveva contratto. Le lacrime della moglie e
dei due figli piccoli sono impressi
nella mia memoria. Fu solo uno dei
tanti casi di suicidi che avvengono ogni giorno nelle campagne in
India. Secondo i dati ufficiali del
governo, dal 1995 circa 250mila
contadini si sono tolti la vita. «Ogni
30 minuti in India un contadino si
uccide» è diventato lo slogan di un
recente documentario di Micha X.
Peled, Bitter Seeds, che descrive la
dura realtà degli agricoltori. Ma chi
è responsabile di questa calamità
provocata dall’uomo?
UN’ESPERIENZA PERSONALE
Sono figlio di un agricoltore di un
piccolo villaggio del distretto di
Ramnad, nel Tamil Nadu (India del
Sud). Negli anni Sessanta e Settanta mio padre e altri contadini nel
villaggio piantavano varietà tradizionali di riso e innumerevoli tipi di
miglio (frumentaceo, indiano, panico, paspalo, perlato, sorgo) oltre che
verdure, legumi e altri prodotti che
non avevano bisogno di fertilizzanti
chimici o pesticidi. Questi prodotti
richiedevano solo un po’ d’acqua
perché le piogge in quella zona sono
scarse. Ogni famiglia possedeva piccoli appezzamenti di terra e li coltivava. Mio padre conservava i semi
dal raccolto dell’anno precedente e
usava come fertilizzanti concime
animale e compostaggio.
Oggi, invece, non c’è quasi più nessuno che coltiva questa ricca varietà di miglio o le specie tradizionali
di riso e verdure, ma solo prodotti
geneticamente modificati. Molti nel
villaggio hanno venduto i propri
terreni a basso prezzo e si sono
trasferiti in città in cerca di lavoro
perché la terra non produce quasi
più niente, nonostante il lavoro
duro. E questo a causa dell’impiego
eccessivo di fertilizzanti e pesticidi.
Negli anni Ottanta i contadini poco
a poco hanno rinunciato alle loro
consuete coltivazioni per passare
alle nuove varietà di riso Gm che
arrivava sul mercato. È vero che
all’inizio ebbero raccolti migliori, ma avevano
bisogno di più
Il governo
acqua e di fertiindiano ha subito
lizzanti chimiuna pressione
ci, anche se non
enorme da parte
se ne accorsero
dell’industria
subito. Prendebiotecnologica
vano denaro in
per consentire
prestito e spenle sperimentazioni
devano di più
di modificazioni
in fertilizzanti
genetiche su una
e pesticidi, diserie di prodotti
pendevano dal
mercato per le sementi e spesso,
quando le piogge mancavano troppo a lungo, non trovavano altra
alternativa al suicidio.
PROMESSE E REALTÀ
La ricerca sugli Ogm iniziò solo
negli anni Ottanta, ma è diventata
il principale killer di agricoltori
degli ultimi trent’anni. Con una
popolazione per l’80% dipendente
direttamente o indirettamente dal
lavoro agricolo, l’India non andava
incontro a grandi rischi costringendo i contadini coltivare Ogm?
febbraio 2013 Popoli 19
inchiesta
E questi sono stati un vantaggio o
una rovina per la nazione?
I loro promotori affermano che: a)
il cibo Gm riduce e risolve il problema della fame e della malnutrizione; b) abbassa i costi di produzione,
l’impegno lavorativo e gli scarti;
c) riduce la povertà; d) aumenta
le rese in agricoltura con migliori
sostanze nutritive e resistenza ai
pesticidi; e) migliora la sicurezza
alimentare per
una popolaL’India, che negli
zione in rapida
ultimi trent’anni
stava rapidamente crescita; f) infine, migliora
diventando la
la salute e la
discarica degli
speranza di viOgm, si è alla
ta della gente.
fine svegliata
Sfor t u natae ha posto una
mente queste
moratoria di
a f fe r ma z ion i
dieci anni sugli
sono
rimaesperimenti
ste dei miti di
quelle aziende private che cercano
il massimo dei profitti a spese dei
piccoli contadini poveri. Se gli Ogm
risolvessero il problema della fame
non ci sarebbero 350 milioni di indiani che ogni sera vanno a letto a
stomaco vuoto. E questo nonostante
53 milioni di tonnellate di frumento in eccedenza prodotte lo scorso
anno. Il ministro dell’Agricoltura,
Sharad Pawar, di recente ha affermato davanti al parlamento che
un quinto delle scorte alimentari
ogni anno viene gettato via. Perciò
il problema è di conservazione e
distribuzione, non di carenza di
sementi. È un mito anche la riduzione dei costi di produzione, se si
considera che oggi gli agricoltori
dicono di spendere di più, oltre ad
avere perso i terreni che li hanno
sostenuti per secoli.
Il governo indiano ha subito una
pressione enorme da parte dell’industria biotecnologica per consentire le
sperimentazioni GM su per mais, senape, canna da zucchero, riso, sorgo,
pomodori, patate, banane, papaya,
cavolfiori, olio di semi, melanzana,
20 Popoli febbraio 2013
ricino, soia e molte piante medicinali
indigene. Sono in corso anche esperimenti sul pesce.
Cosiddetti scienziati privi di scrupoli
etici cercano di inserire artificialmente gene Bt in qualsiasi raccolto
passi per le loro mani senza sapere
se è desiderabile o meno per l’India. Potenti multinazionali hanno
immesso risorse finanziarie enormi
per mobilitare scienziati e media e
ottenere sostegni politici. Alcuni
dei principali media sono diventati marionette nelle loro mani per
creare miti e raccontare menzogne
lampanti. Un esempio: il Times of
India ha pubblicato per due volte in
tre anni un articolo di una pagina
intera sostenendo che non c’era stato
alcun suicidio in due villaggi del
Maharashtra, anche se i contadini
confermavano che in quattordici si
erano tolti la vita dopo l’avvio della
coltivazione del cotone Gm prodotto dalla Mahyco-Monsanto Biotech. L’articolo era comparso come
una pagina pubblicitaria per cinque
giorni di fila, in contemporanea con
l’arrivo in parlamento nell’agosto
2011 della proposta di legge sull’Au-
torità federale di regolamentazione
delle biotecnologie.
Molti esperimenti mostrano chiaramente che tali raccolti Gm non
rispondono alle esigenze dell’India.
Il Paese sta procedendo verso un’era imprevedibile di inquinamento
biologico. Se l’India avesse prestato
attenzione ai sistemi agricoli sostenibili delle popolazioni indigene
già esistenti e fornito infrastrutture
per l’irrigazione dove mancavano,
avrebbe creato un modello eccezionale di agricoltura, senza suicidi, inquinamento della terra e dell’acqua.
Gli Ogm continuano a minacciare
le risorse genetiche locali e le conoscenze tradizionali della gente.
L’India ha perso il controllo su molte
piante, animali e risorse genetiche
microbiche. Una banca dati biologica di 150mila piante raccolta in India si trova nel dipartimento dell’agricoltura degli Stati Uniti e l’India
non ha controllo su tali risorse.
LA PROTESTA
DELLA SOCIETÀ CIVILE
Dal 2002 i contadini indiani hanno sperimentato la coltivazione del
COSA DICE LA CHIESA CATTOLICA
L
a posizione ufficiale della Chiesa cattolica sugli Ogm è stata chiaramente espressa qualche anno fa con la pubblicazione del Compendio
della Dottrina Sociale della Chiesa. I numeri 472-480 offrono una pacata disamina dell’uso delle biotecnologie, nella consapevolezza che i cristiani non
possono essere indifferenti al dibattito in corso per l’importanza dei valori in
gioco. Il testo accoglie la possibilità di intervenire sulla natura modificandola,
ma a condizione che ci si lasci guidare dal criterio di responsabilità: viene dichiarata inaccettabile ogni leggerezza che sottovaluti le conseguenze, i rischi
e le ripercussioni a lungo termine delle biotecnologie. L’impegno a valutare
vantaggi, pericoli e potenzialità degli Ogm non può essere delegato ai ricercatori, ma deve impegnare i politici, i legislatori e i pubblici amministratori.
Giustizia e solidarietà sono gli altri due criteri etici indicati per guidare gli
operatori della ricerca e della commercializzazione degli Ogm. «Non si deve
cadere nell’errore di credere che la sola diffusione dei benefici legati alle
nuove biotecnologie possa risolvere tutti gli urgenti problemi di povertà e di
sottosviluppo che assillano ancora tanti Paesi del pianeta» (Compendio, n.
474). La solidarietà verso i Paesi in via di sviluppo dovrebbe promuovere sia
un interscambio di conoscenze che favorisca una progressiva autonomia
scientifica e tecnologica, sia un’adeguata politica commerciale che porti a
migliorare le condizioni alimentari e sanitarie.
Il Compendio, infine, ricorda l’importante compito di una informazione prudente
e obiettiva, lontana da facili entusiasmi o ingiustificati allarmismi, che permetta ai cittadini di formarsi una corretta opinione sui prodotti biotecnologici.
p.f.
New Delhi, maggio 2008: proteste contro
le melanzane geneticamente modificate.
cotone Bt e si sono trovati di fronte rispetto all’approvazione data l’ana una realtà amara fatta di malat- no prima alla produzione di brinjal
tie, pesticidi e lutti nelle famiglie, (melanzana) Bt. Quando i promotori
ma anche al sostegno di poche delle coltivazioni Gm hanno fatto
organizzazioni per i diritti uma- ricorso presso la Corte suprema,
ni e Ong che hanno formato nel questa ha istituito un comitato tec2006 una rete informale chiamata nico di esperti che ha raccoman«Coalition for Gm Free India», che dato una moratoria di dieci anni
rappresenta coltivatori, sindacati e sulle sperimentazioni sul terreno
organizzazioni di una quindicina delle piante transgeniche per tutti
di Stati indiani. Combattono per i prodotti destinati al consumo alipreservare la ricca biodiversità e mentare finché non verranno delila conoscenze agricole tradizionali, mitati e certificati specifici siti per
nonostante l’incombente «tsunami» condurre le prove con meccanismi
delle imprese che cercano di privar- adeguati di monitoraggio.
li in nome dei brevetti e dei diritti
sulla proprietà intellettuale. La loro I GESUITI COINVOLTI
battaglia contro le ricche industrie Per la Chiesa è una sfida cruciale
farmaceutiche e agro-biotecnologie, formare i contadini ad apprezzare
politici e media si è fatta sempre più la ricchezza del proprio patrimonio
decisa.
e non essere abbindolati dalle false
Dopo una serie di propromesse delle aziende.
teste in vari Stati, il Secondo i dati
Molti gruppi ecclesiali
governo federale è stato ufficiali del
e i centri sociali dei
costretto a rivedere la governo, dal 1995 gesuiti hanno lavorato
propria strategia rispet- circa 250mila
nei villaggi più remoti
to alle coltivazioni Gm contadini si sono tra i coltivatori, i dalit
fino a fare marcia in- tolti la vita.
e gli indigeni, per prodieto nel febbraio 2010 Ma chi è
muovere e preservare
responsabile di
questa calamità
provocata
dall’uomo?
la ricca biodiversità della terra e
proteggere i loro diritti su terra,
acqua, foreste e risorse minerarie.
Uno dei settori in cui i gesuiti
sono in prima linea è quello della
distribuzione e raccolta delle acque, nonché della riforestazione. In
alcuni Stati i contadini sono stati
sistematicamente istruiti sulla vermicoltura e il compostaggio, metodi per preservare la loro varietà
tradizionale di semi e metodi per
usare pesticidi organici e naturali.
L’Istituto di ricerca entomologica
del Loyola College di Chennai ha
elaborato un biopesticida chiamato
Ponneem, più economico e semplice
nel controllo dei parassiti.
In alcune scuole dei gesuiti gli
studenti ricevono una formazione
in questi settori: si coltivano giardini di erbe medicinali, si formano
gruppi ambientalisti, si svolgono
programmi di riforestazione. Alcuni gesuiti sono poi stati direttamente coinvolti
nei più ampi
Per la Chiesa e i
movimenti pogesuiti è una sfida
polari contro
cruciale formare
gli Ogm con
i contadini ad
azioni di advoapprezzare
cacy in favore
la ricchezza del
dei contadini.
proprio patrimonio
L’India,
che
e non essere
negli
ultimi
abbindolati dalle
trent’anni stava
false promesse
rapidamente didelle aziende
ventando la discarica degli Ogm, si è finalmente
svegliata e ha posto una moratoria
di dieci anni sugli esperimenti.
L’auspicio è che i politici e gli studiosi non saranno intimiditi dai
settori aziendali corrotti riaprendo
la questione. Al contempo la società civile e i movimenti non devono esultare per i piccoli successi
ottenuti ma restare in guardia per
proteggere sempre le generazioni
future e l’ambiente.
* Vicedirettore del Segretariato
per la Giustizia sociale e l’Ecologia
della Compagnia di Gesù
febbraio 2013 Popoli 21