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Poste italiane spa - spedizione in a. p. D.L. 353/03 (conv. L. 46/04) art. 1 comma 1, NE/VR
settimanale diretto da luigi amicone
anno 20 | numero 12 | 26 marzo 2014 |  2,00
EDITORIALE
PIAZZE OVUNQUE, E NOI CON I NOSTRI SMARTPHONE
Com’è andata la rivolta democratica?
Non male, peccato che sia un disastro
Y
es we can, forward.
Avanti, il potere siamo noi. Tutto quello che siamo
stati capaci di fare, con tutto il nostro potere occidentale e personale,
del presidente dell’hashtag #lovesilove, è una casino che metà basta.
La piazza come simbolo della “rivoluzione democratica”. E, dunque, piazze
ovunque. Piazze in Egitto. Piazze in Tunisia. Piazze in Libia. Piazze in Turchia. Piazze in Ucraina (e adesso anche in Crimea). Ovunque ci sia folla in
piazza, là siamo noi, in effigie, con i nostri tweet e amicizie Fb, la nostra velocità di retorica col cancelletto, la nostra narrazione obamiana di un mondo
in rete, in movimento, che guarda avanti ed è in partnerhip col cambiamento in 140 caratteri. Ovunque “ggiovani”, ovunque uguaglianze, ovunque notizie tagliate sulle emozioni. Bè, com’è è andata la rivoluzione? Non male.
Peccato per i generali al Cairo. Peccato per i 140 mila morti a Damasco. Peccato per la guerra civile in Libia, la destabilizzazione in Tunisia, il caos dalla Somalia alla Nigeria. E adesso tocca all’Europa. Che spingendosi a irretire
Mosca fino a puntellare un colpo di Stato a Kiev, s’è portata l’orso in Crimea.
Insomma, il can can delle primavere arabe è finito con migliaia e migliaia di
fuggiaschi, disperati, spolpati, imbarcati a forza e buttati a mare da schiavi- il can can delle primavere
arabe è finito con migliaia e
sti e trafficanti di esseri umani.
Adesso vediamo come va in Ucrai- migliaia di MORTI, PROFUGHI,
na. Dopo che senza ragionare (come di- disperati, schiavi. Adesso
ce Stephen Cohen citato nel Taz & Bao, vediamo come va in Ucraina
esemplare di quel poco di sinistra che
non gareggia all’olimpiade della stupidità), cervelloni Usa e Ue sono andati a Kiev come le milanesi Iene e il foggiano Vladimiro sono andati a Sochi.
Pensando di dare una lezione a Putin. A chi? Una volta si insegnava che una
notizia va scritta sulla base delle famose cinque regole (chi, cosa, quando,
dove e perché). Soprattutto si insegnava che tutto quello che pensa chi scrive non è una notizia. Adesso notizia è tutto ciò che ha boatos di sentimento. Di conseguenza succede che procuriamo guai peggiori di quelli che vorremmo contribuire a rimediare (poiché l’informazione sarebbe anch’essa
una forma di incivilimento e di emancipazione).
Infine, europei e americani approvano sanzioni e cacciano la Russia dal
G8. Però non spiegano perché non costringono il nuovo governo di Kiev ad
aprire un’inchiesta sull’eccidio di piazza Maidan. Nemmeno ora che il ministro degli Esteri estone Urmas Paet conferma di aver informato l’alto rappresentante della politica estera Ue Catherine Ashton di fonti ucraine secondo
le quali «più che (il presidente deposto Viktor) Yanukovich, dietro ai cecchini pensano ci sia qualcuno della nuova coalizione». E che dicono i nostri eroi
occidentali adesso che l’ultimo presidente dell’Urss, beniamino dei democratici e premio Nobel per la pace Mikhail Gorbaciov, si spinge ancora più
in là di Putin? «Il referendum in Crimea ha corretto un errore storico. La Crimea era diventata parte dell’Ucraina in base alle leggi sovietiche, cioè le leggi del partito comunista, senza chiedere al popolo. Ora il popolo ha deciso da
solo di correggere quell’errore. Questa decisione dovrebbe essere festeggiata, non sanzionata». Però Obama dice che «la Russia è isolata dal
mondo». Può essere. A meno che sia lui a vivere su un altro pianeta.
FOGLIETTO
Non stare sereno.
Le guerre interne alle
procure (come quella in
atto a Milano) ricadono
su tutti. Capito Renzi?
I
l commento più diffuso al conflitto tra il procuratore aggiunto
di Milano Robledo e il procuratore capo Bruti Liberati è che è un
fatto senza precedenti. Forse è senza
precedenti che un contrasto così forte
sia stato consegnato ai media, che
l’esposto di Robledo sia finito in redazione prima che al Csm, e che tutto ciò
esca da uno degli uffici giudiziari più
importanti d’Italia. Ma tutti gli ultimi
trent’anni sono stati attraversati da
lacerazioni feroci interne a procure
e tribunali. È il caso di rassegnarsi?
No, a condizione di tenere i piedi per
terra. Realismo impone non già di fare
il tifo per l’uno o l’altro contendente,
bensì di identificare i nodi che, a ogni
latitudine del paese, provocano liti paralizzanti, i cui danni ricadono su tutti
gli italiani. Obbligatorietà dell’azione
penale, responsabilità disciplinare dei
magistrati, meccanismo di elezione
del Csm, nomine dei capi degli uffici:
fino a quando le scelte di governo e
parlamento su tali voci continueranno
a latitare, in ossequio al mantenimento
dello status quo imposto dal correntismo della magistratura, sarà impossibile garantire una applicazione della
legge penale percepita come equa e
imparziale, intervenire sulla toga che
non fa il suo dovere (quello disciplinare
è l’unico livello sanzionatorio potenzialmente efficace; la responsabilità civile
è una presa in giro), contare su una
magistratura che badi più all’applicazione della legge che agli orientamenti
del Csm. Renzi dice che farà la riforma
del lavoro a prescindere da Cgil e
Confindustria? Non si fermi: affronti
le questioni-chiave della giustizia a
prescindere dai diktat di frange dell’associazionismo in toga. Venir meno ai
propositi enunciati sul fronte del lavoro
assicura disoccupazione elevata. Continuare a vivacchiare sul fronte giudiziario assicura giustizia denegata.
Alfredo Mantovano
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SOMMARIO
08 PRIMALINEA SPOSALI E SII SOTTOMESSO | FERRARESI
NUMERO
anno 20 | numero 12 | 26 marzo 2014 |  2,00
Poste italiane spa - spedizione in a. p. d.l. 353/03 (conv. l. 46/04) art. 1 comma 1, ne/Vr
settimanale diretto da luigi amicone
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Ecco perché l’informazione
si sta condannando
a vendere emozioni
LA SETTIMANA
16 INTERNI BONANNI E IL JOBS ACT DI RENZI | MARGRITA
Foglietto
Alfredo Mantovano...........5
Speciale
Capitale umano..................... 26
Passeggiata in libreria
Lodovico Festa.......................42
Presa d’aria
Paolo Togni.................................... 46
Mamma Oca
Annalena Valenti............... 47
Post Apocalypto
Aldo Trento................................... 52
Sport über alles
Fred Perri...........................................54
14 COPERTINA L’ASCIA NEL CUORE
EMANUELE BOFFI
Cartolina dal Paradiso
Pippo Corigliano.................. 55
Mischia ordinata
Annalisa Teggi........................58
RUBRICHE
22 L’INTERVISTA GIUSEPPE RECCHI | RIGAMONTI
36 ESTERI L’EUROPA E I SUOI ERRORI | CASADEI
Stili di vita.......................................... 46
Per Piacere....................................... 49
Motorpedia........................................50
Lettere al direttore...........54
Taz&Bao................................................56
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settimanale di cronaca, giudizio,
libera circolazione di idee
Anno 20 – N. 12 dal 20 al 26 marzo 2014
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REDAZIONE: Laura Borselli, Rodolfo Casadei
(inviato speciale), Caterina Giojelli,
Daniele Guarneri, Pietro Piccinini
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#LOVEISLAW
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DA NEW YORK MATTIA FERRARESI
Foto: Corbis
Sposali e sii
sottomesso
Obama e il fronte arcobaleno sono pronti a tutto
pur di spostare la battaglia per i “nuovi diritti” dai
parlamenti ai tribunali. Perché? Vallo a trovare un
giudice disposto a giocarsi reputazione e carriera
con una sentenza controcorrente. La favola della
“legge anti-gay” dell’Arizona e la sua vera morale
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aborto o un cittadino di fronte alla leva
obbligatoria?
In America da anni si moltiplicano
denunce e dispute legali contro pasticceri che rifiutano di guarnire torte nuziali per sposi dello stesso sesso e altri esercenti che pongono obiezioni di coscienza ai clienti. Sono casi gravidi di implicazioni che vanno ben oltre l’ambito specifico del matrimonio omosessuale (un
ristorante kosher può rifiutarsi di servire carne di maiale o sta discriminando
qualcuno? Ci sono centinaia di migliaia
di esercizi commerciali che fanno affari in linea con il credo dei proprietari,
anche in ambiti che nulla hanno a che
fare con le questioni sensibili di matrimonio e famiglia) e mettono in discussione il rapporto fra Stato e religione così
com’è fissato nel primo emendamento
alla Costituzione: lo stato deve proteggere la libertà di religione, e allo stesso
tempo deve guardarsi dall’introduzione di una religione di Stato. La posta in
gioco è altissima: ha a che fare con l’ordinamento stesso dello Stato e mette in
discussione i confini della libertà personale che il potere dovrebbe difendere.
Libertà religiosa o solo di culto?
Come ha notato di recente il governatore della Louisiana, Bobby Jindal, il sempreverde escamotage usato dai legali
dell’amministrazione Obama di fronte
a tutte le controversie di questo genere
consiste nel «ridurre la libertà religiosa e
semplice libertà di culto». Le convinzioni
religiose sono rispettate dallo Stato nella
misura in cui non escono dalla sagrestia
o dalla moschea, dalla sinagoga o dal tem-
Foto: Corbis
A
lla fine di febbraio la
governatrice dell’Arizona, Jan Brewer, ha posto
il veto a un disegno di
legge sulla libertà religiosa approvato dal parlamento dello stato e che aveva scatenato infinite polemiche a livello nazionale. La legge prevedeva di chiarire il confine fra libertà di coscienza e diritto a
un trattamento equo in quei casi, sempre più numerosi, in cui certe pratiche
commerciali ledono le convinzioni religiose di chi le pratica. Un fotografo che
non approva il matrimonio fra persone
dello stesso sesso è obbligato a fare un
servizio fotografico al ricevimento di due
gay o può rifiutarsi in nome del suo credo religioso? Può invocare l’obiezione di
coscienza come un medico di fronte a un
#LOVEISLAW PRIMALINEA
Il procuratore generale eric Holder
dà battaglia a qualunque disposizione
contraddica la visione di obama.
È stato lui A ordinare ai tribunali
federali di non difendere la legge
sul matrimonio uomo-donna, ancora
prima che la corte suprema
la Dichiarasse incostituzionaLE
Foto: Corbis
e dai giornali liberal, New York Times in
testa, e una volta passata questa versione
delle cose anche la governatrice Brewer,
una repubblicana che non teme di dare
battaglia ai democratici sui terreni di
scontro più caldi, non poteva che chinare la testa e porre il veto per salvare quel
che restava della sua immagine pubblica.
Del resto, anche il senatore John McCain
e Mitt Romney, gli ultimi due sfidanti di
Obama, avevano chiesto a Brewer di fermare la legge discriminatoria e retrograda, richieste che testimoniano il generale
allontanamento del partito repubblicano
dalle posizioni sociali tradizionali.
pio. Se hanno un impatto sulla vita pubblica – è il caso degli esercizi commerciali – non si tratta più di libertà religiosa del commerciante ma di inaccettabile
discriminazione del cliente. L’Obamacare
ha sancito questo orientamento giuridico pur senza codificarlo chiaramente con
una legge votata dal Congresso. È stato
sufficiente un tratto di penna del potere
esecutivo per decretare che tutti gli istituti d’ispirazione religiosa ma con funzione pubblica (scuole, università, ospedali
eccetera) devono offrire ai propri dipendenti un’assicurazione sanitaria che offra
anche contracettivi e farmaci abortivi. E
la libertà religiosa? Quella si applica soltanto ai soggetti religiosi nel senso più
stretto del termine, quelli che si occupano della cura delle anime e discettano di
princìpi religiosi in chiave puramente
teoretica e devozionale. Se s’azzardano ad
applicarli diventano cittadini come tutti
gli altri, dotati per decreto del dovere inalienabile di sottostare a pratiche contrarie alla propria coscienza.
Il disegno di legge dell’Arizona è stato
oggetto di un grandioso attacco concentrico, con tanto di boicottaggi intimidatori da parte di grandi aziende come Delta Airlines, che adombrava la possibilità
di disertare gli scali dello stato, e minacce del Super Bowl di togliere a Phoenix la
partita più importante dell’anno, foriera
di prestigio e introiti. È stata rappresentata come una disputa fra omofobi e tolleranti, fra barbari e civilizzati. Autorevolissimi esponenti del governo hanno detto
che la legge autorizzava la discriminazione degli omosessuali, affermazione cavalcata a rotta di collo dalle associazioni gay
La ricerca del caos giuridico
«La nostra società sta attraversando molti
cambiamenti – ha detto Brewer – e tuttavia credo che questa legge crei più problemi di quanti ne risolva. La libertà religiosa è un valore centrale per l’America e per
l’Arizona, ma lo è anche la non discriminazione». La più importante associazione per i diritti civili, l’Aclu, ha tirato un
sospiro di sollievo per la decisione ragionevole della governatrice assieme a tutti
gli altri soggetti che combattono il cancro
della discriminazione: «Siamo lieti che la
governatrice abbia fermato questa disgraziata legge, e che i negozi dell’Arizona siano aperti a tutti».
Peccato però che la legge attualmente in vigore non impedisca affatto ai commercianti dello stato di rifiutarsi di servire clienti omosessuali o altre categorie
in nome della propria coscienza. Alcuni
comuni hanno imposto leggi in questo
senso, ma non c’è una legge statale che
effettivamente impedisca una scelta che,
a seconda dei punti di vista, è una oscurantista discriminazione o una difesa della coscienza personale.
L’Arizona è uno degli stati che ha recepito, nel 1999, la legge federale sulla libertà religiosa approvata negli anni della
presidenza Clinton sotto il nome di Reli|
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PRIMALINEA #LOVEISLAW
gious Freedom Restoration Act (Rfra).
Allora Washington era arrivata a elaborare uno strumento legislativo per chiarire
i confini dell’obiezione di coscienza dei
titolari di esercizi per motivazioni religiose a seguito di una serie di sentenze
e controsentenze a vari livelli che avevano ingarbugliato ancora di più il problema. Alcune parti fondamentali del Rfra
sono state dichiarate incostituzionali dalla Corte suprema per via di un conflitto di
attribuzione dei poteri, ma i singoli stati
hanno mantenuto le proprie disposizioni
in materia. Oggi per molti versi si stanno
riproponendo, a suon di denunce e sentenze, le stesse condizioni di confusione
giuridica sulla libertà religiosa che l’America ha affrontato alla fine degli anni
le, ma il fronte liberal si è strenuamente
opposto all’iniziativa, arrivando a distorcere il contenuto della riforma per rappresentarlo come chiaramente e inequivocabilmente omofobo. Un complotto dei conservatori più razzisti. Messa di fronte alla
scelta libertà contro omofobia, cosa volete che scelga una pur combattiva governatrice che non ha nemmeno l’appoggio del
suo partito sul tema?
Lo stesso ragionamento vale per tutti
i giudici d’America che si trovano a dirimere controversie analoghe. Affermare
il principio egalitario per via giudiziaria
è estremamente più conveniente per gli
attivisti dei diritti civili: i tribunali sono
influenzati dalla cultura circostante più
di quanto lo siano i parlamenti, ed è raro
il primo tentativo legislativo di fare chiarezza sulla
questione della libertà religiosa è stato affondato
con una campagna pretestuosa. e CON GRAVI MINACCE DI
ritorsione DA PARTE di grandi aziende E DEL SUPER BOWL
Novanta, complicate questa volta dall’ondata di legalizzazioni del matrimonio gay
e dalla riforma sanitaria di Obama, che
fanno sorgere conflitti giuridici inediti.
Mistificazione riuscita
L’Arizona è il primo stato che ha affrontato il problema dal punto di vista legislativo (come negli anni Novanta aveva fatto il
Congresso, pur con esiti non proprio esaltanti dal punto di vista della tenuta costituzionale) nel tentativo di aggiornare la
legge alle mutate condizioni sociali. Prima che uno sconosciuto giudice in New
Mexico, in Oregon o chissà dove ancora
faccia scuola, si sono detti deputati e senatori, meglio che si chiarisca il problema
con una riforma. Tanto più che allo stato
attuale i commercianti possono tranquillamente discriminare clienti gay. Dal punto di vista dell’ordinamento dei poteri il
ragionamento è difficilmente contestabi12
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trovare un giudice oggi in America disposto a giocarsi reputazione e carriera con
un pronunciamento controcorrente. Il
dibattito parlamentare è irto di ostacoli, le posizioni piene di sfumature e, infine, c’è sempre una maggioranza di voti
da trovare, il che rende il processo ancora
più complicato.
Alexander Hamilton, il padre del federalismo americano, diceva che il potere
giudiziario è il più debole dei tre, perché
a questo non spetta «la forza né la volontà, ma solamente il giudizio». Nella battaglia culturale di oggi il potere giudiziario appare invece come il più forte dei tre
poteri, tanto che il primo tentativo legislativo di fare chiarezza sulla questione capitale della libertà religiosa è stato affondato con una campagna pubblica pretestuosa e vagamente intimidatoria
(il Super Bowl porta un indotto di centinaia di milioni di dollari alla città ospite,
minacciare di annullarlo a causa del passaggio di una legge, qualunque essa sia, è
un gesto di ritorsione che ha un impatto
notevole). Meglio dunque passare dal più
debole dei poteri diventato il più forte,
quello che ha “soltanto” l’enorme potere
del giudizio su questioni dirimenti per la
società americana e occidentale.
L’attivismo del procuratore
L’attivismo giudiziario, poi, non è una
grande novità nell’America di Barack
Obama e del fedelissimo procuratore
generale, Eric Holder, quello che ha ordinato ai tribunali federali di non difendere
la legge sul matrimonio come unione fra
un uomo e una donna prima ancora che
la Corte suprema lo dichiarasse incostituzionale. Holder dà battaglia a qualunque
disposizione contraddica la visione del
mondo dell’Amministrazione ed è stato
informalmente incaricato dal presidente
che prometteva trasparenza nel governo
di coordinare la caccia a giornalisti troppo attivi e propalatori di “leak” contro
l’amministrazione. Le battaglie del procuratore vanno della riduzione delle pene
per i reati di droga, che concepisce come
pretestuose disposizioni per penalizzare
gli afroamericani, alla battaglia contro la
Corte suprema che ha diminuito le garanzie che gli stati del Sud sono tenuti presentare a Washington per dimostrare che
l’accesso al voto è uguale per tutti i cittadini. Anche qui Holder è convinto che il
rilassamento sia soltanto un sotterfugio
per tornare all’esclusione degli afroamericani dalle urne praticato maliziosamente anche dopo il passaggio delle leggi per
i diritti civili.
Che siano questioni a sfondo razziale
o in sospetto di omofobia repubblicana,
l’apparato giudiziario dell’amministrazione ha strategie efficaci per affermare
la propria idea di società attraverso un
capillare popolo giuridico politicamente
non proprio neutrale. n
l’ascia
nel cuore
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A
lla fine hanno dovuto buttarla in
caciara per togliersi dall’imbarazzo di aver preso una topica. E
così, una volta scoperto che il video The
First Kiss altro non era che la réclame di
una marca d’abbigliamento – un video visto da sessanta milioni di utenti, dico: sessanta milioni sono gli abitanti dell’Italia
–, sono nate sulla rete le parodie: coi cani
che si usmano il deretano, gli adolescenti
imbranati che non sanno da che parte cominciare, le coppie intente nel first handjob (la traduzione la lasciamo al lettore).
In fondo, anche la battutaccia smargiassa
e scurrile è una forma di difesa. Difesa da
che? Dall’essere stati gabbati a credere che
l’amore è un sentimento spontaneo.
Un passo indietro. Qualche settimana fa su Youtube viene caricato un video
in bianco e nero della regista Tatia Pilieva. Vi compaiono coppie tipificate variamente assortite: c’è il ragazzo tatuato
con la signora di mezza età, la figliola
con la camicetta leopardata e il giovane
manager in giacca e cravatta, lui e lui,
lei e lei. Sappiamo solo che sono perfetti sconosciuti cui è stato chiesto di darsi
un bacio. Frasi di circostanza, sorrisi imbarazzati, convenevoli. Poi i corpi si avvicinano, le mani si sfiorano, una colonna
sonora incalzante suggella l’avvinghiarsi di braccia, baci sempre più appassionati, mordicchiamenti vari. «È la prova
che il colpo di fulmine esiste», sentenziano i siti online di mezzo mondo. Condivisioni, commenti, passaparola fanno il
resto. Pure il presidente Barack Obama
pare abbia apprezzato. D’altronde, il video è l’esatta trasposizione dell’interpretazione maggioritaria che viene data alla parola “amore”. Ricordate? Love
is love, l’amore è amore. Anzi, #LoveIsLove, tutto attaccato e col cancelletto, così
che sia più facile condividerlo sui social
network, farne una bandierina da sventolare, slogan che ci faccia sentire tutti
aderenti alla medesima community esistenziale.
Poi si scopre che era una pubblicità.
Uno spot. Sessanta milioni che pensavano fosse amore, si sono risvegliati con
una marca di vestiti che cerca di piazzargli la maglietta della salute. Ma c’è del
genio in questa operazione di marketing
che non ha fatto altro che sfruttare l’ideologia corrente sull’amore: è spontaneità, non conta il sesso o la religione, il colore della pelle, il peso, l’altezza, che tu
sia bello o brutto, che ci conosciamo o
meno. Love is love, e tanto basta.
la tirannia dell’hashtag
La grande bellezza
del “bacio spontaneo” era
solo un’insulsa réclame
|
DI EMANUELE BOFFI
In pochi giorni le appassionate effusioni
tra presunti sconosciuti immortalate nel
video The First Kiss hanno conquistato su
Youtube oltre 60 milioni di visualizzazioni
e commenti entusiasti. Finché non si è
scoperto che era uno spot pubblicitario
I pubblicitari non hanno fatto altro
che chiedere l’assenso su quel che già
raccoglie il maggior consenso. Cos’altro deve fare uno spot se non suscitare
un’emozione per ingolosirci su un prodotto? E noi ci siamo cascati, come quel
famoso signore che al supermercato non
accettava di scambiare il suo fustino di
detersivo di marca per due contenitori
anonimi. Abbocchiamo alle réclame, ma
non nella vita di tutti i giorni. Chiunque
di noi incontrasse per strada uno sconosciuto che ci vuole baciare, correrebbe
a chiamare il 118, soprattutto in tempi
di femminicidi imperanti. E la reazione normale sarebbe questa (l’avvisare la
neurodeliri), non l’altra (farsi tampinare
da uno che non abbiamo mai visto). Ma
questo è quello che faremmo, non quello in cui diciamo di credere. Quello che
professiamo online è che l’amore è un
sentimento leggero, spontaneo, che va
gustato nell’attimo perché non dura per
sempre. E quindi non vale la pena impegnarsi, perché poi subentra la delusione
e, si sa, gli amori che durano tutta la vita c’erano al tempo dei nonni, mica oggi che c’è Facebook. Così, visto che viviamo dentro questa bolla che ci fa credere
che l’amore è solo un flirt, i pubblicitari ne approfittano per piazzarci il fustino in mano. E noi, come allocchi, ce ne
teniamo uno anziché due, pensando che
sia la cosa più ragionevole.
Ma se solo per un attimo uscissimo da
Youtube e dalla prigionia dell’hashtag e
tornassimo a considerare il fatto che il
colpo di fulmine non basta, che l’amore è fatica e dedizione, sacrificio e conquista, il nostro bacio, all’estraneo, non
lo daremmo mai. Se lo vuole, se lo deve
conquistare. Perché esiste una cosa antica e preziosa che si chiama intimità. E
non è a buon mercato.
(Uno degli altri video che hanno girato sulla rete, dopo la “grande delusione”
che The First Kiss era una bufala, è stato
“Il bacio tra sconosciuti, quello vero”. La
rivista Vice ha fatto incontrare una ventina di persone che non si erano mai viste e ha chiesto loro di replicare l’esperimento. Non erano attori e fotomodelli,
come quelli del video originale. Erano
persone comuni, alcune anche piuttosto impresentabili. Per ogni bacio hanno
intascato 23 euro. A conferma che, oltre
all’amore vero, esiste solo quello a pagamento. Almeno un baratto onesto, più
dignitoso di quello “spontaneo”).
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INTERNI
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IL SEGRETARIO IN CAMPO
| Foto: Corbis
Adesso è ora
di cambiare
«Il sindacato non può solo protestare. Deve anche indicare
una prospettiva al paese». Bonanni detta la linea della Cisl e
punge Renzi. «Se preferisce l’antagonismo di Landini è affar
suo». E tira le orecchie alla Camusso. «I contratti a termine
aumentano le garanzie dei lavoratori. Sono altri i problemi»
|
DI MARCO MARGRITA
|
| 26 marzo 2014 |
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Da OlTRE CINQUaNT’aNNI
laVORIamO PER la TUa SICUREZZa
SUllE FERROVIE ITalIaNE
GRUPPO ROSSI (GCF & GEFER) V i a l e d e l l ’O c e a n O a t l a n t i c O n . 190, 00144 R O m a
T E l . +39.06.597831 - F a x +39.06.5922814 - E - m a I l g c f @ g c f . i t - g e f e R @ g e f e R . i t
IL SEGRETARIO IN CAMPO INTERNI
Il premier Matteo Renzi alla conferenza stampa dello scorso 12 marzo in cui
ha esposto le misure che il governo adotterà in tema di tasse, scuola e lavoro
Foto: Ap/LaPresse
R
affaele Bonanni, segretario
confederale della Cisl, sarà
uno degli ospiti di spicco
al congresso del Movimento Cristiano Lavoratori. Una
presenza la sua, all’assise
Mcl, che sembra confermare che i tentativi per un lavoro unitario dei grandi soggetti sociali e popolari d’ispirazione cattolica non si sono interrotti. E con il segretario, Tempi fa il punto sul tema del lavoro, questione che oggi ha assunto una centralità nel dibattito pubblico, anche per
gli annunciati provvedimenti governativi.
«Noi abbiamo – chiarisce Bonanni – giudicato positivamente le prime mosse del
governo Renzi. Da tanti anni la Cisl sollecita un intervento choc sulle tasse che
stanno strangolando l’economia italiana
e le famiglie. Ecco perché l’annuncio del
governo di abbassare le tasse ai lavoratori
è sicuramente un segnale importante che
farà bene ai consumi e anche alle imprese. Noi chiediamo che anche per i pensionati, soprattutto quelli al minino, ci sia un
intervento di riduzione delle tassazioni.
Questa è la strada per risollevare la nostra
economia e creare più occupazione. Aspettiamo di vedere le buste paga dei lavoratori di maggio. Se Renzi non dovesse mantenere la promessa, sarebbe sicuramente
un boomerang per l’esecutivo. Ma noi crediamo che lui farà il possibile per portare
avanti questa nuova politica e le riforme di
cui il paese ha bisogno da almeno vent’anni». Un’apertura di credito che non elimina le frizioni – specie dopo le affermazioni del premier nell’intervista a Fabio Fazio
– con le organizzazioni sindacali. «Renzi –
punge il segretario confederale – è giovane ed esuberante ma farebbe bene a essere
più cauto sul ruolo delle parti sociali nelle
società complesse. Il presidente del Consiglio dovrebbe favorire sempre il dialogo e
non alimentare le contrapposizioni ideologiche. Non si governa un paese come l’Italia senza la ricerca di una maggiore coesio-
«RENZI DEVE CAPIRE CHE
NON SI GOVERNA UN PAESE
SENZA IL COINVOLGIMENTO
DEI SINDACATI NELLE SCELTE
DI POLITICA ECONOMICA.
MA SIA CHIARO, A NOI NON
INTERESSA UN RUOLO DI
FACCIATA COME RITUALITà»
ne sociale e il coinvolgimento dei sindacati e delle altre associazioni di categoria nelle scelte, anche impopolari, di politica economica. Ma sia chiaro: a noi non interessa
la concertazione di facciata come ritualità,
come una passerella nella quale alla fine
non si decide niente. Se Renzi preferisce
le posizioni conservatrici e antagonistiche
di Landini è un problema suo. Ce ne faremo una ragione. Noi chiediamo solo che
ci sia rispetto per le posizioni del sindacato e dei lavoratori. Renzi non faccia di ogni
erba un fascio. Prenda esempio dal modello di partecipazione “renano” e dal rapporto che lega tutti i governi tedeschi alle parti sociali. Per il resto, la Cisl continuerà a
giudicare l’azione del governo dai risultati
che arriveranno concretamente ai lavoratori. Non faremo sconti a questo esecutivo,
come non ne abbiamo mai fatto agli altri».
E per quanto riguarda la questione dei contratti a termine così come sono stati proposti nel Jobs Act di Renzi, Bonanni è di parere completamente opposto alla collega
Susanna Camusso. Secondo la Cgil aumentano la precarietà, per la Cisl «aumentano le garanzie dei lavoratori». «Il contratto a termine – spiega Bonanni – fornisce il
massimo delle garanzie possibili a un lavoratore: tutela previdenziale, sistema retributivo, sicurezza. Invito Susanna Camusso
a concentrare le forze su quella che ritengo
la vera emergenza in tema di occupazione
precaria: contrastiamo insieme il mondo
delle false partite Iva, dei co.co.pro. e dei
lavoratori senza tutele».
La guida della Cisl, dal canto suo, non
nega che sia necessario un ripensamento
del ruolo del sindacato. «In questi anni, –
spiega a Tempi – abbiamo realizzato accordi importanti con le nostre controparti, in
un percorso coerente di riforme del mondo del lavoro per favorire la competitività
del sistema produttivo. Ultimamente siamo riusciti anche a regolare, insieme
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INTERNI IL SEGRETARIO IN CAMPO
IL XII CONGRESSO NAZIONALE DI MCL
«Lavoro, Europa, gender, difesa della vita.
Cattolici, dobbiamo uscire dalle riserve»
anche alla Cgil, il tema della rappresentanza nei posti di lavoro, argomento su cui
sarebbe sbagliato intervenire per legge. Ma
questo certamente non è sufficiente. Noi
pensiamo che il sindacato oggi sia di fronte a un bivio: non basta solo protestare o
rivendicare condizioni migliori per i lavoratori e i pensionati. Oggi dobbiamo indicare una prospettiva nuova al nostro paese, favorendo con gli accordi aziendali e
territoriali nuovi investimenti e la creazione di posti di lavoro».
Continuare sulla linea di Todi
C’è la consapevolezza che i governi devono
affrontare grandi questioni: «Il problema
delle tasse troppo alte, dei costi dell’energia, delle infrastrutture insufficienti, di
una burocrazia che va riformata dalle fondamenta, di una giustizia civile troppo lenta». Su questo, ammette Raffaele Bonanni,
«anche le parti sociali devono fare la propria parte, allargando il bacino della contrattazione in una logica di sussidiarietà e partecipazione dei lavoratori al capitale delle aziende. Dobbiamo cambiare il
nostro modello capitalistico, farlo uscire
dal familismo e dal ricatto della finanza,
delle assicurazioni e delle banche. I lavoratori e le imprese devono collaborare per
innalzare il livello della produzione e ridistribuire gli utili in maniera più equa. Questa è la battaglia della Cisl. Per fare questo
occorre un sindacato più partecipativo,
più snello e autonomo da tutti gli schieramenti politici. E su questo fronte la Cisl
non ha da imparare niente da nessuno».
Sul fronte delle collaborazioni con le
altre organizzazioni cattoliche la Cisl non
si tira indietro. Si pensi al Forum di Todi.
«È stato una straordinaria esperienza che
ha prodotto risultati importanti nella riorganizzazione dell’offerta politica e nella
valorizzazione del ruolo essenziale dell’associazionismo ispirato ai valori cristiani.
Dobbiamo rilanciare tutti insieme questo impegno, perché la società italiana è
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Il Movimento Cristiano Lavoratori (Mcl) celebrerà, dal 21 al 23 marzo,
presso l’Ergife Palace Hotel di Roma, il suo XII congresso nazionale. Un congresso
che giunge al termine di una stagione che ha visto il Movimento riflettere suelle
realtà di base e sulla recente stagione dei congressi regionali. Un titolo, quello
dell’assise, decisamente programmatico: “Per un’economia a servizio dell’uomo:
il lavoro primo fattore di ripresa. Realizzare le riforme per garantire democrazia e giustizia sociale”. Il presidente nazionale Carlo Costalli spiega che «questo
congresso è un momento in cui vogliamo lanciare un messaggio forte alla società
e ai cattolici, troppo spesso autoreclusi a contemplare e maledire la loro irrilevanza nella scena pubblica. È importante mettere al centro la questione del lavoro
nell’ottica di un’economia al servizio della persona. L’assenza di lavoro è una di
quelle periferie, per usare le parole del Papa, su cui dobbiamo sentirci interpellati
ad agire». Il Mcl vuole essere «una realtà di servizio all’uomo, nella società e nella
Chiesa. Per questo abbiamo voluto un congresso aperto dove interverranno il
cardinale Angelo Comastri, il segretario della Cisl Raffaele Bonanni e il patriarca
latino di Gerusalemme, monsignor Fouad Twal».
Questo è un tempo denso di sfide, continua il presidente, «in cui testimoniare la
validità e l’attualità della Dottrina Sociale della Chiesa cattolica. Il Movimento continua a sostenere necessaria, recuperando il meglio dello spirito di Todi, una ripresa
dell’azione sociale e politica dei cattolici. L’assenza di una lista unitaria, alle elezioni
europee, di quanti fanno riferimento all’europopolarismo è sicuramente un’occasione perduta. Dobbiamo, comunque, impegnarci per dare un segnale forte di presenza, tanto rispetto alla questione sociale quanto ai temi etici: pensiamo all’ideologia
di genere o alla difesa della vita. Il servizio al bene comune richiede di metterci in
campo, di non starcene tranquilli nelle riserve. C’è lo spazio per una collaborazione
nella realizzazione di riforme (istituzionali e sociali); le realtà popolari non possono
non cercare di dare spazio alle loro proposte».
[mm]
in una fase di transizione politica, istituzionale, sociale ed economica. Lo abbiamo
chiarito più volte: non tocca a noi lanciare nuovi movimenti politici. Ma i cattolici
impegnati nel sociale hanno il diritto e il
dovere di indicare una prospettiva di riforme economiche e sociali, stimolando la
partecipazione delle persone e sollecitando la formazione di una nuova classe dirigente in grado di guidare il paese. Ci faremo sentire nei prossimi mesi e lo faremo
con grande determinazione e unità».
In vista delle elezioni europee, quale messaggio manda il sindacato alle forze politiche che si apprestano a cominciare la campagna elettorale? «Noi siamo convinti che vada rilanciato con forza il processo di integrazione politica a livello europeo. Questa è la chiave per uscire da questo
gioco pericoloso sull’euro che ha prodotto
solo sfiducia dei cittadini nei confronti delle istituzioni europee. La politica italiana
dovrebbe fare una battaglia forte per pun-
tare a questo traguardo storico degli Stati Uniti d’Europa. Bisogna che la Bce possa giocare un vero ruolo, divenire un prestatore di ultima istanza. E questo si potrà
realizzare solo se alle spalle avrà un forte
potere politico unitario». Una vera unità
politica continentale che non può non passare attraverso un cambio di passo rispetto
all’imposizione dell’austerity. «Serve una
svolta rispetto alle ricette fin qui confezionate da Fmi, Bce e Commissione per smontare quell’impalcatura che ha reso gli stati
europei prigionieri della finanza e dei banchieri, e i poteri democratici sempre più
deboli. La svolta resta l’armonizzazione
dei regimi fiscali da contrapporre al rigore tout court, evitando il dumping fiscale
e le situazioni di degrado che colpiscono i
più deboli in Europa. Speriamo che i partiti parlino e si confrontino su questi veri
temi durante la campagna elettorale per il
rinnovo del parlamento europeo e non delle solite beghe di casa nostra». n
L’INTERVISTA
LE NUOVE ENERGIE
Giuseppe
Recchi
«Pianificare il futuro per evitare l’inesorabile
declino». Per il presidente di Eni questo vuol
dire prendere sul serio «lo shale gas che
in America sta dando parecchi benefici
e rivedere i sussidi concessi alle rinnovabili»
U
nited Rentals, la più grande compagnia al mondo per il noleggio
di attrezzature edili e lavori cantieristici ha deciso di comprare National Pump, la seconda azienda del Nord America specializzata nel noleggio di pompe idrauliche e leader indiscusso del mercato finale del settore Oil&Gas. Secondo l’agenzia
Reuters il motivo è che a Stamford, in Connecticut, dove ha
sede il quartier generale di United Rentals, i vertici del gruppo sarebbero
intenzionati a non farsi scappare l’El Dorado delle nuove energie, ovvero lo
shale gas e lo shale oil, il gas e il petrolio naturale intrappolati negli scisti
argillosi a migliaia di metri sottoterra. Idrocarburi che fino a pochi anni fa
erano totalmente inestraibili, ma che ora, grazie alle rivoluzionarie scoperte di George P. Mitchell, il pioniere del fracking, possono essere portati alla
luce con procedimenti ingegneristici che prevedono il pompaggio di acqua
ad alta pressione mista a reagenti chimici nei giacimenti del sottosuolo,
la conseguente fratturazione delle rocce (fracking) e quindi l’emersione in
superficie della preziosa fonte energetica.
Quella dello shale gas è una vera e propria rivoluzione, come sono soliti definirla in Eni, le cui conseguenze geostrategiche sono destinate a interessare molti paesi. Soprattutto in Asia e in Europa. L’agenzia internazionale per l’Energia dell’Ocse (Iea), infatti, calcola che i paesi del Medio Oriente
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DI MATTEO RIGAMONTI
Giuseppe Recchi, nato
nel 1961, è presidente
di Eni dal maggio 2011
saranno costretti a esportare in futuro il 90 per cento del proprio petrolio in Asia. Con la Cina e l’India a
farla da padroni tra i compratori. E l’avvento del gas
d’argilla potrebbe addirittura affrancare, almeno in
parte, molti Stati del Vecchio continente dalla dipendenza dal gas russo. Gli Stati Uniti stanno già sperimentando i benefici dello shale e, secondo la Iea, a
partire dal 2020 dovrebbero diventare autosufficienti
per il gas naturale e ridurre ad appena il 30 per cento le importazioni di greggio. E soprattutto, se gli
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L’INTERVISTA GIUSEPPE RECCHI
L’ATTACCO DI SERGIO ROMANO
Gli incubi ambientalisti ci
escludono dalla modernità
Stati Uniti sono riusciti a superare la crisi del 2007,
è anche merito del gas di scisto che nel 2000 rappresentava solo l’1 per cento del gas naturale consumato, mentre nel 2012 era circa il 25 per cento e si stima che possa superare il 50 per cento nel 2030. Intanto, in attesa che l’America conquisti la tanto agognata indipendenza energetica e possa diventare uno
dei più solidi paesi esportatori di gas naturale, quello che è certo è che il notevole risparmio sul costo
dell’energia generato grazie allo shale gas ha già permesso di risollevare le sorti dell’industria chimica a
stelle e strisce, dell’acciaio, dell’alluminio, dell’automotive, delle costruzioni e delle infrastrutture.
E mentre anche la Cina ha cominciato a verificare la disponibilità di shale gas nel suo territorio,
chi arranca è l’Europa, imprigionata tra i ritardi e i
nazionalismi delle politiche energetiche dei singoli stati, l’assenza di una politica energetica comunitaria e gli oneri di una sconsiderata campagna a
sostegno delle rinnovabili che finora è già costata 60
miliardi di euro in sussidi. A raccontare a Tempi le
prospettive che lo shale gas ha già aperto agli americani e potrebbe squadernare davanti agli occhi talvolta increduli di noi europei è Giuseppe Recchi, presidente di Eni, la prima azienda italiana, nonché uno
dei global player in «quell’ingranaggio affascinante e
complesso che è il mercato dell’energia».
Presidente, nel suo libro, Nuove Energie. Le sfide per
lo sviluppo dell’Occidente, lei ha scritto che «non c’è
crescita senza energia». Che ruolo possono giocare
le «nuove energie» nella sfida per la ripresa e la fuoriuscita dalla crisi?
Un ruolo senza dubbio fondamentale, perché
senza energia non solo non c’è crescita, ma si rischia
persino il declino. Ed è questo un pericolo che tanto
l’Europa quanto l’Italia devono a ogni costo scongiurare. Soltanto che, per allontanare questa indesiderata prospettiva dall’orizzonte, non c’è che una semplice soluzione da adottare: pianificare gli interventi.
Proprio come stanno facendo da anni gli Stati Uniti
e la Cina con lo shale gas e lo shale oil. Mentre l’Europa sul tema ha ancora molto da fare. E ciò, nonostante queste risorse siano presenti in larga parte
anche nel sottosuolo del Vecchio continente, specie
in Polonia, Francia e Regno Unito, oltre che in Russia ed Ucraina. Ma l’Europa, a differenza dell’America e di Pechino, non pare nemmeno essersi accorta
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La «rivoluzione energetica» del gas di scisto
è raccontata da Giuseppe Recchi, presidente di Eni,
nel suo libro Nuove Energie. Le sfide per lo sviluppo
dell’Occidente, scritto per la collana i Grilli di
Marsilio Editori, con prefazione di Sergio Romano.
In centocinquanta pagine che scorrono come un
romanzo, Recchi ricostruisce, facendo ricorso ad
autorevoli dati e significativi aneddoti frutto della
sua personale esperienza nel settore energetico, le
principali scoperte che hanno portato dall’esplorazione dei primi giacimenti di petrolio nella seconda
metà dell’Ottocento alla rivoluzione innescata
solo una decina di anni fa da George P. Mitchell,
il pioniere del fracking. Che è il nome inglese della
tecnica di fratturazione o frantumazione idraulica,
che ha permesso l’estrazione del gas dagli scisti
argillosi, rocce a bassa permeabilità situate molto
al di sotto della superficie terrestre e impregnate
di gas (shale gas) e petrolio (shale oil). «La portata
della rivoluzione innescata da Mitchell è enorme»,
scrive senza ricorrere a mezzi termini Recchi. Dal
«NEGLI STATI UNITI LO SHALE
GAS HA GIà OFFERTO UNA
POSSIBILITà DI IMPIEGO
A 2 MILIONI DI PERSONE
E IL VALORE AGGIUNTO
RAPPRESENTA 2 PUNTI
PERCENTUALI DEL PIL»
che la domanda di energia nel resto del mondo sia
in crescita continua, trainata proprio dal fabbisogno
cinese. Se non vogliamo essere condannati all’inesorabile declino, sarebbe molto meglio non rinunciare
a pianificare il futuro.
A quanto ammonta, se è possibile stimarlo, il gap
tra America ed Europa sullo sfruttamento dei giacimenti di shale gas?
È un ritardo fortissimo. Perché da noi i giacimenti di shale gas non mancano affatto, anche se, si stima, in misura inferiore: fatta 1 la quantità di risorse
disponibili in Europa, si può dire che negli Stati Uniti è pari a 1,5 e in Cina a 2,5 volte quella del Vecchio
continente. Ma ciò che manca è il consenso politico
per sfruttare quelle risorse. Non è un caso, infatti,
se gli Stati Uniti perforano ogni anno 20 mila pozzi,
il libro
2008 si è «registrato un boom senza precedenti
di produzione domestica americana di shale gas».
Tanto che «oggi gli Stati Uniti potrebbero mettersi
in concorrenza con paesi da cui prima dipendevano
strettamente, come Qatar o Nigeria».
Ma lo shale gas «esiste in quantità più o meno
rilevanti anche in Argentina, Algeria, Messico,
Egitto, Ucraina e pure in Europa», che però «finora
è rimasta al palo». E ciò, nonostante paghi «per
l’elettricità i prezzi più alti del mondo, in parte
anche a causa di costosissimi sussidi alle rinnovabili». Un «handicap ingiustificato ed eliminabile» da
parte dell’Europa che, secondo l’ex ambasciatore
a Mosca e ora editorialista del Corriere della Sera,
Romano, è ancora troppo «lenta, esitante, assillata
dalla paura della modernità e da incubi ambientalisti». Incubi ingiustificati, che però corrono il rischio
di farci perdere il treno di una delle più importanti
rivoluzioni energetiche degli ultimi duecento anni.
Molto più delle costosissime e sopravvalutate
energie rinnovabili. Il gas naturale, spiega infatti
Recchi, «è oggi il solo candidato a ricoprire il ruolo
di alternativa possibile al carbone e al petrolio per
la generazione dell’elettricità». [mr]
mentre da noi in Europa si sono fatti una cinquantina di pozzi in Polonia e i risultati dal punto di vista
minerario sono stati deludenti. Ed è un peccato, perché in America lo shale gas ha già offerto una possibilità di impiego a 2 milioni di persone, compreso
l’indotto, e il valore aggiunto prodotto rappresenta
ormai circa 2 punti percentuali del Pil a stelle e strisce. Per fare un altro esempio, il trasporto ferroviario utilizzato per trasportare il greggio è passato nel
2008 da 10 mila vagoni cisterna che si sono moltiplicati fino a raggiungere i 400 mila nel 2013. E anche
la manifattura ne ha beneficiato enormemente in
termini di risparmio sui costi della bolletta energetica, guadagnandone sia in termini di produttività sia,
come conseguenza, di competitività sul mercato globale. Tanto che le imprese americane hanno cominciato a riportare la produzione, che in precedenza
avevano delocalizzato, in patria.
È un ritardo che l’Europa può ancora colmare?
È necessario che l’Unione Europea adotti una
politica comunitaria in materia capace di disciplinare con intelligenza lo sfruttamento dei giacimenti esistenti o i cosiddetti non-convenzionali come lo
shale gas. Per esempio, non c’è ancora in Europa un
ente rappresentante degli interessi di tutti i paesi
europei in materia energetica, ma le decisioni sono
ancora appannaggio dei singoli Stati. Forse, è ora di
cambiare passo. Bisognerebbe poi rivedere la formu-
NUOVE
ENERGIE
Giuseppe
Recchi
Marsilio
157 pagine
13 euro
la dei sussidi concessi alle energie rinnovabili, che,
stanti le tecnologie attuali, non sono ancora autosufficienti e i cui costi hanno avuto ripercussioni sulle bollette dei cittadini e delle imprese. In Italia, per
esempio, le rinnovabili hanno ricevuto nel 2013 oltre
11 miliardi di euro che rappresentano il 18 per cento del costo della bolletta. I benefici in riduzione di
anidride carbonica che derivano dall’uso di energie
verdi sono stati assorbiti dall’ampio uso di carbone,
oggi molto economico. Un’altra grave disparità che
va superata è rappresentata dal fatto che, mentre in
America il proprietario di un terreno lo è anche del
sottosuolo, in Europa non è così e spesso l’unica soluzione per raggiungere i giacimenti rimane l’esproprio da parte dello Stato.
La tecnica estrattiva dello shale gas, la fratturazione idraulica, desta ancora qualche preoccupazione
oltreoceano e i gruppi anti fracking sono presenti
anche in Europa. Lei cosa ne pensa?
Quanto al rispetto dell’ambiente, gli Stati Uniti non sono secondi a nessuno dei paesi dell’Unione Europea e hanno introdotto una normativa severa per regolare le modalità di estrazione. Anzi, spesso sono ben più attenti e premurosi di noi europei.
Ad ogni modo la tecnologia è la migliore risposta ai
problemi dello sviluppo e le soluzioni individuate
consentono di limitare l’emissione di Co2 e di utilizzare l’acqua impiegata per la fratturazione in piena
sicurezza, senza inquinare l’ambiente.
L’Italia, che è priva di giacimenti di shale gas, cosa
può fare per superare la crisi?
L’Italia ha un costo dell’energia che non solo è
superiore a quello dell’America ma che è tra i più elevati in Europa. E non può più permettersi di dipendere per l’85 per cento delle risorse energetiche
dall’estero. A maggior ragione quando detiene ampi
giacimenti petroliferi inutilizzati. Si calcola, infatti, che la mancata concessione dei diritti di estrazione sia costata al paese 40 miliardi di euro di mancati incassi in vent’anni per i diritti minerari e circa
100 miliardi di euro, nello stesso periodo, per acquisti fatti all’estero che si sarebbero potuti risparmiare. Dobbiamo poi fare tutto il possibile per incentivare il risparmio energetico sia in casa sia in azienda,
per esempio differenziando i prezzi in base agli orari
oltre che aumentare la diversificazione degli approvvigionamenti costruendo nuovi rigassificatori. n
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SPECIALE
CAPITALE UMANO
Dal primo maggio partirà in Italia il programma
europeo Garanzia giovani. L’assessore regionale
Valentina Aprea ha chiaro l’obiettivo da
raggiungere: «Assicurare che la transizione
dalla scuola al lavoro avvenga entro 4 mesi»
I
l premier Matteo Renzi, durante la
conferenza stampa a Palazzo Chigi nata sotto l’hashtag #lasvoltabuona, ha annunciato la tanto
attesa partenza del Piano di attuazione
italiano della Garanzia giovani. La Youth
Guarantee è il programma europeo che
mira a favorire l’occupazione e l’avvicinamento dei giovani al mercato del lavoro attraverso una serie di misure, a livello nazionale e territoriale, volte a facilitare l’orientamento, la formazione e l’inserimento al lavoro dei giovani tra i 15 e
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25 anni. Per realizzare le finalità previste
dalla Garanzia e per elaborarne il Piano
italiano di attuazione è stata istituita una
Struttura di missione, di cui fanno parte
il ministero del Lavoro e delle politiche
sociali, Isfol e Italia Lavoro, il ministero
dell’Istruzione, il ministero dello Sviluppo economico, il ministero dell’Economia, il Dipartimento della gioventù, l’Inps e Unioncamere, Province Autonome e
Province e le Regioni. Soprattutto queste
ultime avranno il compito di declinare
territorialmente le indicazioni contenute
all’interno del Piano di attuazione.
Il Presidente del Consiglio Renzi ha
indicato come data d’inizio del programma il prossimo 1°maggio e ha annunciato che il governo ha intenzione di estendere il programma fino ai 29 anni. L’Europa ha espresso il suo parere: nulla in
contrario all’estensione del programma
ma le risorse destinate all’Italia rimangono invariate. «Anche Regione Lombardia si schiera con l’Europa – commenta
Valentina Aprea, assessore all’Istruzione,
formazione e lavoro. L’estensione si rivelerà interessante se finanziata a livello
nazionale. I fondi ricevuti – complessivamente 1,5 miliardi di euro, finanziati con
567 milioni di Fse (Fondo sociale europeo), 378 milioni di cofinanziamento
nazionale e 567 milioni dalla Yei (Youth
Employment Initiative) sono già stati tutti ampiamente destinati e sembrano essere appena sufficienti».
Foto: Olycom
la sfida si gioca
in lombardia
Valentina Aprea, assessore
all’Istruzione, formazione e
lavoro in Regione Lombardia
dano proprio i finanziamenti
Secondo il Governo la quota di Fse
sarebbe da ripartire in proporzione alle
risorse che saranno effettivamente gestite dalle amministrazioni centrali e regionali. Quindi il 93,4 per cento del cofinanziamento Fse, pari a 530 milioni, dovrebbe essere computato sui Por Fse (Programmi operativi regionali) e solo il 6,6 per
cento nell’ambito dei Pon (Programmi
operativi nazionali) Fse. Per Regione Lombardia questo significa un impatto di circa 67 milioni di euro sul Por Fse e proprio
alla luce di questi dati, insieme alle altre
Regioni, abbiamo dichiarato inaccettabile la proposta del Governo e chiediamo
che il cofinanziamento Fse sia totalmente a carico dei Pon.
Altro punto aperto con il Governo è la
flessibilità regionale
Meglio rimanere nel range indicato
dall’Unione Europea, cioè sotto i 25
anni?
Sì, credo che ci sia più possibilità di
riuscita se le risorse rimangono queste.
Regione Lombardia è già pronta a partire
dal 1° maggio, con interventi mirati per
la fascia d’età indicata dall’Europa. Che
Gli standard di servizio del Piano
nazionale e la programmazione delle
risorse nella convenzione devono rappresentare una cornice di riferimento, cui le
Regioni aderiscono con margini di flessibilità rispetto alle proprie caratteristiche,
alle politiche già attivate e alle strategie.
Tema altrettanto caldo è quello della contendibilità, che rappresenta un principio condiviso: un giovane può partecipare al programma in qualsiasi Regione, a
prescindere dalla propria residenza. Vanno però esplicitate con maggiori dettagli
i tempi e le modalità di compensazione.
In ultimo il nodo comunicazione
Il ministero del lavoro sta ipotizzando
un’azione diretta e centrale per la comunicazione, l’intervento sui sistemi infor-
Foto: Olycom
«amplieremo la Dote Unica Lavoro con una fascia di
aiuto dedicata ai 140 mila Neet presenti in Lombardia
e ai 70 mila ragazzi che hanno terminato gli studi»
in Lombardia equivale a circa 70 mila studenti e 140 mila Neet (giovani che non
studiano e non lavorano).
mativi e l’assistenza tecnica. Le Regioni
ritengono però necessario avere un budget autonomo per questi interventi.
Con il Governo ci sono alcune questioni
rimaste in sospeso. Lei e i suoi colleghi
avete incontrato il ministro del Lavoro
Giuliano Poletti e avete espresso alcune perplessità, molte di queste riguar-
In Regione Lombardia il suo assessorato ha dato vita a un modello di politiche attive per il lavoro virtuoso e che
funziona bene: la Dote unica lavoro.
Partendo da qui, quali saranno i crite-
ri del Piano di Regione Lombardia per
applicare Garanzia giovani? E quali gli
obiettivi?
Noi amplieremo la Dote Unica Lavoro – attualmente le fasce sono quattro –
con una quinta fascia d’intensità di aiuto
completamente dedicata ai Neet, anche
perché i dati in nostro possesso mostrano che nei primi 5 mesi di attivazione
della Dul sono stati presi in carico 4.790
giovani tra i 15 e i 24 anni su un totale di
18.850 persone. Estenderemo poi l’azione
attraverso un accreditamento di secondo livello delle scuole, dei centri di formazione professionale e le università che
hanno già un rapporto stabile e proficuo
con il mondo del lavoro, per consentire
loro la presa in carico e l’erogazione dei
servizi. L’obiettivo è raggiungere il maggior numero possibile di Neet che, come
detto, in Lombardia sono circa 140 mila,
e quasi tutti i 70 mila ragazzi che hanno
terminato gli studi superiori o universitari. È importante dare fiducia ai giovani e far sì che la transizione dalla scuola
al lavoro avvenga nei tempi europei, cioè
entro i 4 mesi dal diploma o dalla laurea.
Si spera così che i giovani, entrando in
un circuito virtuoso di aziende, istituzioni e agenzie per il lavoro, possano maturare esperienze di lavoro (tirocinio, stage,
apprendistato) e arrivare poi a una vera
occupazione e al loro primo contratto in
tempi rapidi. Ecco perché Garanzia giovani rappresenta un buon inizio. Spesso
molti giovani si presentano davanti a un
datore di lavoro con il curriculum immacolato. Ora, invece, grazie a questo nuovo programma, daremo la possibilità ai
ragazzi d’iniziare a costruire un portfolio
di competenze, il famoso libretto formativo, e avere più carte da giocare durante
i colloqui in azienda.
Potremo finalmente competere con gli
standard europei?
Ce lo auguriamo. Le agenzie di formazione lavoreranno proprio in questo senso, preparandosi a offrire più formazione
linguistica, aziendale e di diritto del lavoro, per completare al meglio il curriculum di studi dei nostri ragazzi.
Paola D’Antuono
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SPECIALE CAPITALE UMANO
L’ALLEATO
DEI GIOVANI
Il programma europeo nato per combattere la
disoccupazione under 25 si affianca all’esperienza
di Gi Group. «Supportiamo le persone nei tempi
e nei modi adeguati per dare inizio a un percorso
di successo». Intervista a Stefano Colli-Lanzi
Come s’inserirà Gi Group all’interno di
questo programma?
Continueremo con la nostra strategia e lo faremo più di prima, mettendo a
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| 26 marzo 2014 |
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disposizione del Progetto le nostre agenzie sul territorio e tutte le competenze del
Gruppo. Per svolgere bene questo mestiere, infatti, occorre saper accompagnare le
aziende in tutte le fasi necessarie, dall’individuazione all’inserimento dei candidati, certo, ma non solo: bisogna soprattutto avere le giuste competenze per supportare le persone nei tempi e nei modi
più adeguati a dare inizio a un percorso di successo. Da questo punto di vista,
abbiamo già potuto maturare importanti sinergie al nostro interno in situazioni abbastanza simili – affrontate ad esempio in Lombardia – e abbiamo tutta l’intenzione di sfruttare queste preziose esperienze con il massimo impegno per conseguire i risultati che la Youth Guarantee si prefigge.
re il lavoro occorre innanzitutto far ripartire le imprese, che generano occupazione. Ma questo discorso ci porterebbe lontano. Si tratta, però, questo sì, di una
grandissima opportunità per dare inizio,
finalmente, alle politiche attive in Italia.
La Youth Guarantee ha poi il pregio di
costituire, nel breve, una soluzione – per
quanto solo iniziale – alla disoccupazione giovanile e, contemporaneamente, un
esperimento pilota capace di testare le
modalità migliori per sviluppare, appunto, le politiche attive nel nostro paese.
Potrà, dunque, muovere il mercato “attivando” le persone, che è esattamente ciò
che serve. La Garanzia, inoltre, parla chiaro: occorre che pubblico e privato lavorino per (e vengano remunerati solo se raggiungono) l’obiettivo del “placement”,
«le nostre agenzie avranno la capacità di conciliare
le esigenze di flessibilità delle imprese con quelle,
fondamentali, di continuità di reddito per le persone»
È stato da poco diffuso il programma
italiano con durata 2014-2020. Quali sono le impressioni di Gi Group sulle
indicazioni date? Le sembra che quella
delineata sia la strada giusta per far ripartire il lavoro?
Credo di sì. Anche se per far riparti-
cioè della collocazione di ognuno dei candidati in un percorso professionale o formativo adeguato. E questo è davvero decisivo, anche culturalmente, per non rimanere paralizzati in discussioni ideologiche come, ahimè, è troppo spesso avvenuto in questi anni.
Foto: AP/LaPresse
«O
particolarmente intenso a supporto dei giovani. E questo in mille modi diversi: attraverso momenti di orientamento, selezionandoli e avviandoli al lavoro
attraverso una capillare presenza di agenzie sul territorio, collaborando ovunque
con le istituzioni e, in particolare, lavorando insieme ad alcune Regioni». Stefano Colli-Lanzi, amministratore delegato di Gi Group, spiega quella che negli
ultimi quattro anni è stata la principale
strategia del Gruppo. E che ora avrà un
alleato in più. Si chiama “Youth Guarantee” (Garanzia giovani) ed è un programma europeo che nasce per favorire l’occupabilità e l’avvicinamento dei giovani
under 25 al mercato del lavoro. Un percorso costituito da una serie di misure, a
livello nazionale e territoriale, che prevede che i giovani di questa fascia d’età possano ricevere un’offerta di lavoro, di prosecuzione negli studi oppure di apprendistato o di tirocinio entro i quattro mesi
successivi il conseguimento del titolo di
studio oppure dall’inizio del periodo di
disoccupazione.
periamo in modo
Stefano ColliLanzi, ad di Gi
Group, spiega
qual è stata
la strategia del
Gruppo negli
ultimi 4 anni
e quali sono gli
aspetti positivi
e fondamentali
della Youth
Guarantee
Foto: AP/LaPresse
«i problemi sono molti: mancano maestri. chi non fa
il liceo non è considerato. e c’è un disallineamento
tra offerta scolastica e fabbisogno professionale»
Garanzia giovani cambierà il tradizionale ruolo dell’agenzia per il lavoro?
ti fondamentali di continuità di reddito
per le persone.
Aiuterà certamente il sistema a evolvere verso una maggiore cura del candidato e una migliore condivisione delle
informazioni disponibili, sia per quanto riguarda la domanda che l’offerta di
posti di lavoro. Il ruolo delle agenzie
rivestirà sempre più il carattere di utilità pubblica e di gestore di flessibilità “buona”. Il contratto di somministrazione delle agenzie costituisce infatti il
miglior antidoto a quelle forme di precarizzazione dell’occupazione, soprattutto
giovanile, che tanto male hanno fatto in
questi anni. Mi riferisco soprattutto alla
necessità di limitare l’uso del contratto
a progetto, delle partite Iva, dell’associazione in partecipazione e di tutte le forme di para-dipendenza che consentono
di scavalcare le regole adottando cattive
pratiche e contratti meno remunerativi
e tutelanti per i lavoratori e meno contributivi per le casse dello Stato. Le agenzie, al contrario, hanno la capacità di
conciliare le legittime esigenze di flessibilità delle imprese con quelle parimen-
Il programma è rivolto ai cosiddetti
Neet, ragazzi tra i 15 e i 25 anni che non
lavorano e non cercano un’occupazione.
In qualità di agenzia per il lavoro vi è sicuramente capitato di confrontarvi con
questi giovani. Cosa li scoraggia e quali
sono i loro principali limiti?
Li scoraggia il fatto che non vi siano
maestri da seguire e che solo raramente
incontrino persone competenti nell’accompagnarli in questa difficile condizione. E questo è un problema davvero grave. Il contesto, poi, non li aiuta di certo: il
fatto che chi non fa il liceo sia considerato uno scolaro “di serie b” e che la laurea
– qualsiasi essa sia – venga spesso percepita come un punto di arrivo, da cui esigere il diritto a un posto di lavoro “a livello”, e non il punto di partenza per costruire un percorso professionale, certamente non li mette nelle migliori condizioni
per affrontare il mondo del lavoro. Senza considerare il problema del disallineamento tra offerta scolastica e fabbisogno
professionale. I limiti che vedo, in sintesi,
derivano soprattutto da una carenza di
educazione, presente anche nelle scuole
e nelle famiglie, dal grave disallineamento tra ciò che vi si insegna e ciò che occorre davvero.
E cosa si potrebbe fare invece per i
trentenni, la generazione che viene definita spesso “smarrita”?
Non so se siano smarriti, certo è che
l’attuale mercato del lavoro, come si diceva, difficilmente offre continuità. Occorre certamente supportarli ad accrescere
la propria employability (la capacità di
una persona di ottenere e mantenere l’occupazione, ndr), accompagnandoli in un
percorso professionalizzante e formativo: non si finisce mai di imparare. E spingerli a mettersi in gioco, a fare il più possibile esperienze lavorative valide, anche
all’estero.
Qual è l’auspicio di Gi Group per il prossimo futuro?
Che ognuno possa fare bene la propria parte – operatori di settore e governo inclusi – per consentire ai nostri giovani di svolgere un percorso, apprendere bene un mestiere e, così, generare valore, per sé e per tutti. Che, cioè, si impari
dagli errori commessi e si costruiscano
le condizioni per uno sviluppo sostenibile, capace di offrire opportunità di crescita a ciascuno.
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SPECIALE CAPITALE UMANO
DALLA BOTTEGA
AL DESIGN
INDUSTRIALE
Nel cuore della Brianza, patria dell’arredo,
dallo scorso settembre sorge una scuola nata dal
connubio tra FederlegnoArredo e Aslam, che
insegna ai ragazzi a lavorare il legno e trasmette
loro la necessità di acquisire competenze commerciali
N
el cuore della Brianza, a Camnago di Lentate sul Seveso, un ricco vociare mischiato al rumore
di trapani e avvitatori rompe il
silenzio ordinato di un palazzo che sorge ai piedi della ferrovia. Al suo interno,
superati corridoi e ascensori un po’ asettici e seriosi, ci s’imbatte nel nuovo Polo
formativo del legno arredo. Inaugurata il
12 settembre del 2013, questa struttura è
il frutto del connubio tra FederlegnoArredo e Aslam (Associazione scuole lavoro alto milanese) e nasce come risposta
concreta all’esigenza occupazionale della filiera legno arredo di uno dei fondamentali distretti dell’arredamento italiano, la Brianza.
Il primo corso a partire è quello per
formare operatori del legno ed è rivolto
ai ragazzi che hanno terminato le scuole
medie inferiori ed è attualmente frequentato da undici studenti. Ragazzi che provengono dalla cintura milanese e da quella brianzola, figli di esperienze e famiglie
diverse e che hanno scelto d’imparare un
mestiere. Come tutti gli adolescenti sono
timidi e poco propensi alle chiacchiere,
preferiscono che a raccontare la loro esperienza siano i prodotti che sono riusciti
a realizzare. Come la loro prima opera,
«un portapenne realizzato in legno massello, completamente a mano. Non crede-
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vo di riuscire a farcela ma grazie al prof e
alle sue dritte alla fine avevo tra le mani
il mio oggetto», racconta Mirko, 14 anni e
un sogno, «entrare presto in una grande
azienda come operatore del legno».
Un sogno che accomuna anche i suoi
compagni di viaggio, tutti ragazzi di età
compresa tra i 14 e i 16 anni. I più grandi arrivano da altre esperienze che non
li hanno soddisfatti, come Alessandro:
«Ho iniziato a studiare come meccanico,
poi ho capito che non faceva per me e ho
deciso di iscrivermi qui ed è stata la scel-
chinari. Ad aiutarli e assisterli ci sono una
decina d’insegnanti, architetti, professionisti, falegnami in pensione che hanno
preso a cuore il progetto e i ragazzi e hanno deciso di mettersi in gioco.
Gita con obiettivo
I ragazzi sono costantemente seguiti da
un tutor di Aslam, che conosce le loro
storie personali, gestisce i rapporti con i
familiari e li accompagna nelle loro prime esperienze sul campo. Come la gita
in montagna che racconta Mirko, il più
in tutto 990 ore all’anno divise equamente tra materie
classiche e laboratori. obiettivo del primo
anno: imparare a usare gli utensili tradizionali
ta giusta». Mirko, Alessandro e i loro compagni di scuola studiano al Polo formativo tutte le mattine, sabato escluso, e tre
pomeriggi alla settimana. In tutto 990 ore
di studio annuali equamente divise tra
l’apprendimento delle materie classiche,
come matematica, italiano, inglese, storia
eccetera. L’altra metà delle ore sono destinate all’area tecnico-professionale, laboratorio e tecnologie del legno. L’obiettivo
più ambizioso del primo anno è imparare l’utilizzo degli utensili base del mestiere, lavorando cioè senza l’ausilio dei mac-
loquace della compagnia: «Siamo andati
tre giorni in montagna con l’obiettivo di
realizzare una slitta. Ci hanno suddiviso
in due gruppi e hanno indetto una gara
per stabilire quale fosse la slitta migliore». Alla fine la squadra vincitrice non è
ancora stata proclamata, ma due slitte
sono state costruite: perfettamente funzionanti e aderenti al progetto iniziale,
«anche se – racconta Alessandro – forse
avremmo dovuto cambiare materiale e
abbassarle anche un pochino, erano troppo alte e pesanti».
È stata costituita la
Fondazione “Istituto Tecnico
Superiore del Sistema Casa nel
made in Italy Rosario Messina”:
due anni per diventare tecnici
del prodotto, del marketing
e dell’internazionalizzazione
nel settore legno arredo
Alcuni momenti
delle lezioni pratiche
che si svolgono
nel Polo formativo
del legno arredo
(Camnago di Lentate
sul Seveso) nato
nel settembre 2013
grazie all’iniziativa
di FederlegnoArredo
e Aslam (Associazione
scuole lavoro
alto milanese)
A coordinare la sede per Aslam c’è
Giovanni Toffoletto, figura di riferimento
per i ragazzi e che non nasconde una certa soddisfazione per l’andamento di questo primo anno: «Ci siamo confrontati
con famiglie motivate, che hanno deciso
di darci fiducia e di assecondare i desideri
dei loro figli. E poi ogni ragazzo ha il suo
passato e la sua voglia di diventare adulto e misurarsi con il mondo del lavoro».
Tra di loro c’è anche Kledi, studente
albanese di 15 anni arrivato in Italia a settembre, senza conoscere una parola della
nostra lingua e lasciando gran parte della
sua famiglia nel paese d’origine. «È venuto da noi – racconta Giovanni – perché ha
voglia di imparare un mestiere per essere
autonomo e sostenere economicamente i
suoi familiari. In questi mesi ha dimostrato un’incredibile voglia di fare e di migliorare e proprio per questo ci stiamo muovendo per permettergli di poter entrare
qualche ora in azienda per misurarsi con
il lavoro vero». Per gli altri, invece, l’inserimento in azienda attraverso uno stage
avverrà a partire dal secondo anno. Anche
se tutti hanno già avuto la possibilità di
visitare alcune ditte e vedere da vicino
come funziona il mondo lavorativo di un
operatore del legno. Il risultato di queste
visite è stato un entusiasmo sincero e la
voglia di “mettere le mani in pasta” il prima possibile.
Prima però c’è ancora tanto da imparare: tre anni sono infatti necessari per
ottenere la Qualifica di operatore del
legno, mentre studiando un quarto anno
si ottiene il Diploma tecnico. Entrambi i
certificati sono riconosciuti su tutto il territorio nazionale.
A fianco dei professionisti
Ma la sfida educativa e professionale di
FederlegnoArredo e Aslam non si ferma
qui. Lo scorso febbraio è stata costituita ufficialmente la Fondazione “Istituto
Tecnico Superiore del Sistema Casa nel
made in Italy Rosario Messina”, che, nella sede di Lentate, consentirà di ricevere
un diploma (valido su tutto il territorio
nazionale) di Tecnico superiore per il prodotto, il marketing e l’internazionalizzazione nel settore legno arredo. Un corso
biennale di livello post-secondario articolato in duemila
ore di attività didattica, di cui
seicento dedicate allo stage.
Un percorso studiato per formare una figura commerciale,
fortemente richiesta dal mercato del lavoro, che opererà
con l’intento di promuovere
prodotti del made in Italy inerenti alla filiera. Una filiera di
cui dovrà conoscere i processi di produzione e le caratteristiche tecniche. Il corso permetterà anche di sviluppare
la capacità di pianificare le strategie commerciali, sopratutto in ambito internazionale, di predisporre un piano marketing e
comunicazione del prodotto, di studiarne
il posizionamento nel segmento di mercato attraverso l’analisi di settore, la ricerca
delle tendenze e delle potenzialità offerte dai nuovi media digitali. Molta attenzione sarà rivolta allo studio della lingua
inglese e di un’eventuale altra lingua.
Per l’insegnamento della parte tecnico professionale saranno coinvolti professionisti provenienti dalle realtà aziendali
della zona. Il territorio sarà protagonista
anche dei tirocini formativi, che si svolgeranno all’interno delle ditte e che costituiranno il 30 per cento delle ore complessive di formazione.
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SPECIALE CAPITALE UMANO
IL FUTURO
IN UNA
SCELTA
Decidere l’università non è facile. Assecondare
i desideri o le necessità del mercato del lavoro?
«La Cattolica, sempre più, fornisce le competenze
utili ai ragazzi per essere competitivi nel mondo
post laurea». Perché la teoria non basta più
U
na giornata dedicata agli studenti
dell’ultimo anno delle superiori
e alle loro famiglie. «Perché oggi
più che mai c’è una crescente attenzione alla scelta universitaria».
La professoressa Antonella Sciarrone Alibrandi, pro rettore dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, snocciola soddisfatta
i risultati dell’Open day, che quest’anno,
con oltre 6 mila presenze, ha fatto registrare numeri da record.
Qual è il bilancio della giornata?
L’ottimo risultato dell’Open day 2014
è in linea con il trend positivo che la
manifestazione ha fatto registrare negli
ultimi anni e rispetto al quale concorrono molteplici fattori. Il successo dell’iniziativa mostra innanzitutto l’attenzione e
l’interesse dei ragazzi per l’offerta formativa dell’Università Cattolica: un’offerta
fondata su solide basi teoriche ma anche
aperta a innovazioni nei contenuti e nei
metodi didattici. Ed è anche un’offerta
caratterizzata da una forte internazionalizzazione, sempre più richiesta dagli
studenti come confermato dall’interesse
intorno all’International Day e dal fatto
che, nell’anno 2012/13, ben 132 programmi di mobilità internazionale (LaTE, Summer Programs ecc.) hanno portato più di
2.000 studenti dell’Università Cattolica
a compiere una esperienza all’estero. Il
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risultato dell’Open day si spiega anche in
ragione di una crescente attenzione, sia
degli studenti sia delle loro famiglie, alla
scelta universitaria. Ed è una scelta compiuta non solo sulla base dell’offerta formativa ma anche in funzione della qualità delle strutture, dei servizi, del complessivo ambiente di apprendimento. Sotto questo profilo, la Cattolica è percepita
come un contesto ove ci si preoccupa della formazione della persona mettendo da
sempre – anche nelle scienze quantitative
– l’uomo al centro. Non va dimenticato,
infine, che oltre all’Open day la Cattolica
offre agli studenti degli ultimi anni delle
superiori una serie di strumenti di “avvicinamento” all’università, fra cui una frequentatissima area web a loro dedicata,
per conoscere, capire e approfondire i dif-
«L’open day era rivolto anche ai genitori perché in
un contesto sociale non facile i ragazzi Sempre di
più chiedono un sostegno familiare nella decisione»
ferenti percorsi formativi all’interno dei
quali non è sempre facile orientarsi.
Il successo di quest’anno è dovuto anche all’organizzazione di un incontro
dedicato alle famiglie. Come mai avete
sentito la necessità di rivolgervi ai genitori e non solo agli studenti?
L’idea di un incontro rivolto agli studenti e alle loro famiglie nasce da una
constatazione semplice. Sempre più spesso, in un contesto sociale non facile e di
fronte a una realtà di atenei assai articolata, i ragazzi che si affacciano all’università richiedono un sostegno familiare per
«esperienze all’estero, tirocini formativi,
stage, il nostro studentwork. sono tutti
strumenti che aiutano gli studenti a
trovare lavoro entro 12 mesi dalla laurea»
to e vario sia il ventaglio delle agevolazioni economiche di cui i nostri studenti
possono fruire.
Questi sono anni delicati: la disoccupazione giovanile è alle stelle e la laurea
ormai sembra non bastare più per garantire “un posto fisso”. Spesso, anzi,
i giovani sono accusati di assecondare
troppo i loro desideri e poco le necessità
del mercato del lavoro. Qual è il suo punto di vista sull’argomento?
In un periodo di crisi generalizzata,
ma ancor prima in un contesto lavorativo come quello attuale, è innegabile che
il mito del “posto fisso” – soprattutto per
i “lavoratori della conoscenza” – si allontani sempre di più. È anche vero però che
in un mondo globalizzato e interconnesso come quello di oggi, sono aumentate le possibilità di fare esperienze a livello internazionale, di entrare in contatto con ambienti differenti da quelli in
cui si è cresciuti e ci si è formati, con tutto vantaggio per la circolazione di idee.
Credo che, in un momento come questo, i ragazzi debbano essere incoraggiati – a partire dalle famiglie – a interpretare la realtà con creatività e immaginazione, nonché a seguire con passione e convinzione le loro inclinazioni senza preoccuparsi eccessivamente del “posto fisso”. Dal canto nostro, in università dobbiamo impegnarci sempre più per fornire ai nostri studenti, oltre a solide basi
teoriche, anche una serie di competenze
(linguistiche, informatiche, psicologiche,
e altre ancora) che li rendano competitivi
sul mercato e soprattutto capaci di leggere la realtà nei diversi contesti, nonché di
risolvere i problemi concreti che la medesima pone.
decidere il loro percorso formativo. Consapevoli che si tratta di una decisione
importante e che richiede un impegnativo investimento di tempo e di risorse. In
Università Cattolica vogliamo mettere i
nostri futuri studenti e le loro famiglie in
condizione di compiere la scelta in modo
consapevole e sulla base di informazioni complete e chiare. Per questa ragione
abbiamo voluto spiegare che cosa significa studiare in Cattolica, a quanto ammontano le rette universitarie e quanto eleva-
Oggi cosa manca alla formazione universitaria per riempire il gap tra lo studio – la famosa “teoria” – e il mondo del
lavoro, con le sue regole e la pratica?
Come dicevo, oggi più che mai per
riuscire a entrare nel mondo del lavoro
occorre qualcosa di più di una solida base
teorica. Proprio per questa ragione in Università Cattolica si investe molto nell’accompagnare i ragazzi verso il mondo
lavorativo, mettendo a loro disposizione
– già negli anni degli studi universitari –
una serie di servizi e opportunità mirate
a questo preciso obiettivo. Penso alle molte opportunità di stage (curriculari e non)
e di tirocini in azienda, nonché alla possibilità di svolgere tesi di laurea con risvolti
applicativi. Sempre nella medesima prospettiva, ma anche con lo scopo di offrire
un’ulteriore modalità di sostegno economico agli studenti, mi piace ricordare che
EDUCatt (l’Ente per il diritto allo studio
del nostro Ateneo) ha concretizzato un
vero e proprio contratto di lavoro a tempo determinato destinato agli studenti
(lo StudentWork), compatibile con la vita
universitaria e con lo studio, ma prezioso per acquisire un’esperienza spendibile
dopo la laurea. È un esperimento numericamente limitato che ci sembra però
particolarmente interessante (ed è anche
l’unico esistente in Italia) e che consente di andare al di là dei preziosi tirocini
formativi pur rimanendo ancora dentro
all’ambiente universitario.
Ha avuto modo di confrontarsi con il
programma italiano “Garanzia Giovani”? Quella intrapresa dall’Unione Europea le sembra la direzione giusta per
garantire agli under 25 un’occupazione
in tempi rapidi?
Quello dell’Unione Europea è uno
sforzo importante che mette a disposizione risorse per cercare di assicurare ai
giovani con meno di 25 anni un’offerta
«qualitativamente valida» di lavoro, ma
anche di studio o di formazione, entro
4 mesi dall’uscita dal sistema di istruzione formale. È un’occasione che l’Italia
non deve lasciarsi sfuggire: il Piano italiano prevede un sistema di informazione e
di orientamento personalizzati, e in questo ambito l’università è certamente l’ambiente più adatto per preparare il giovane
anche al primo contatto con il mondo del
lavoro, dalla redazione del curriculum
al colloquio di lavoro fino all’offerta di
un’esperienza lavorativa vera e propria.
In questa direzione, come ho detto, la Cattolica, con i suoi servizi di orientamento
e di placement, è particolarmente attiva
e, si può dire, in anticipo rispetto al programma europeo. Non a caso, l’80,1 per
cento dei nostri studenti che conseguono
un titolo magistrale e il 66,4 per cento di
quelli che conseguono un titolo triennale
senza proseguire gli studi, sono impiegati a 12 mesi dalla laurea. Il nostro obiettivo è di alzare ulteriormente l’asticella
e il programma europeo può fornire un
importante supporto già in questa fase.
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SPECIALE CAPITALE UMANO
LA SCUOLA DELLE
RIVOLUZIONI
La partita della digitalizzazione è stata stravinta.
«Partecipazione e attenzione dei ragazzi sono molto
alte». E ora tocca al ciclo di studi da 4 anni anziché 5
A
bbiamo creduto nella digitalizzazione e guardando i risultati direi che abbiamo avuto
ragione». Il bilancio di questi
primi due anni di attivazione di quella che il professor Roberto Pasolini chiama rivoluzione didattica è più che positivo. Dieci classi dell’Istituto europeo Leopardi di Milano, di cui è preside, ormai
dallo scorso anno scolastico hanno detto
addio ai libri cartacei, sostituendoli con
Lim (lavagna interattiva multimediale)
e tablet. E il risultato ha riservato anche
qualche piacevole sorpresa: «Quando siamo partiti abbiamo fissato alcuni paletti,
condizioni necessarie affinché il processo
di digitalizzazione portasse risultati positivi e non avesse controindicazioni. Bisognava innanzitutto verificare che gli studenti non si lasciassero distrarre dal nuovo strumento digitale; che non si abbassassero i livelli di apprendimento; che
non ci fossero difficoltà nello studio e nella lettura dei libri digitali».
Gli studenti dell’Istituto europeo Leopardi non solo hanno rispettato i parametri fissati dal loro preside ma sono stati in
grado di raggiungere traguardi inaspettati. «C’è un esempio che mi piace fare – racconta Pasolini – e a cui stiamo ancora cercando di dare una risposta concreta. Nelle classi in cui sono stati adottati i libri di
testo digitali la capacità degli studenti di
prendere appunti è quintuplicata rispetto ai coetanei che studiano ancora su edizioni cartacee. Da un punto di vista didattico questo risultato ha una valenza estremamente importante, perché i docenti
sanno che prendere appunti aiuta a mantenere alta l’attenzione e ad avere una
maggiore concentrazione».
Se da un lato l’approccio positivo dei
ragazzi poteva apparire quasi scontato,
dall’altro la risposta degli insegnanti ha
sovvertito qualsiasi pronostico: «Ho giocato d’anticipo e sei mesi prima dell’ini-
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Dieci classi
dell’Istituto
europeo Leopardi
di Milano dallo
scorso anno
hanno detto
addio ai libri
cartacei,
sostituendoli
con Lim e tablet.
Il bilancio del
professore
e preside
dell’Istituto,
Roberto Pasolini
«Nelle classi che adottano libri di testo digitali è
quintuplicata la capacità degli studenti di prendere
appunti. un successo inaspettato per la didattica»
zio della sperimentazione ho dotato ciascun professore di un tablet, in modo che
potesse prendere confidenza con lo strumento, impratichirsi e studiarne i vantaggi, preparando le lezioni in modo più
interattivo e interessante e familiarizzando con un linguaggio più vicino agli studenti. L’insegnante è quindi entrato in
classe già padrone dello strumento e ha
vinto facilmente la paura del confronto con i ragazzi, perché è innegabile che
loro siano portati a usare la tecnologia in
maniera naturale ma è anche vero che la
usano quasi sempre per giocare. Il compito di noi docenti è insegnare il corretto
utilizzo ai fini dell’apprendimento».
Oggi sia i docenti che gli studenti
dell’Istituto Leopardi si dicono soddisfatti e il rettore assicura che nessuno avrebbe né intenzione né desiderio di tornare
indietro: «Le lezioni sono più partecipate e interattive, non subentra la noia e c’è
molta più attività di apprendimento cooperativo. Senza considerare che, con un
solo strumento che contiene tutti i libri,
nessuno studente dimentica più nulla a
casa, e per gli insegnanti questa non è
una cosa da poco».
Al vaglio dell’Istituto Leopardi c’è
anche una nuova rivoluzione: «Sappiamo
bene che in Italia ci sono alcune scuole
paritarie e altre statali che hanno dato il
via alla sperimentazione del ciclo di scuola media superiore della durata di quattro anni. Ci stiamo pensando, ma questa
è una proposta complessa che va affrontata con attenzione. Non parliamo di
una riduzione da 5 a 4 anni – se così fosse sarebbe una proposta perdente in partenza – ma di un processo, già messo in
atto con successo in altre parti del mondo, che migliori la qualità dei livelli di
apprendimento e porti i nostri studenti
a competere con i loro coetanei europei».
ESTERI
TUTTI I FLOP DI BRUXELLES
Sbagliando
si paga
Quando si tratta di intraprendere azioni collettive,
l’Europa non ne azzecca una e i conti da pagare si
allungano. È successo col tardivo salvataggio della
Grecia e con le primavere arabe. E quanto ci costerà
la decisione di sanzionare la Russia per la Crimea?
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DI RODOLFO CASADEI
ESTERI TUTTI I FLOP DI BRUXELLES
di 560 milioni di euro
come misura di accompagnamento al trattato di
associazione dell’Ucraina nel novembre scorso
l’Unione Europea fosse stata un po’ più
generosa e lungimirante, adesso non ci
troveremmo a dover prestare a Kiev 11
miliardi tanto per cominciare, con la prospettiva di aggiungerne molti di più per
evitare la bancarotta del paese. Se con la
spilorceria di allora non avessimo spinto Yanukovich a girarsi verso Mosca, che
gli offriva 15 miliardi di dollari e tariffe
scontatissime per il consumo del gas, non
avremmo avuto tutti i guai che poi sono
arrivati. Se avessimo elaborato d’accordo
con Mosca un’architettura istituzionale
e degli scambi commerciali in grado di
tenere assieme l’associazione dell’Ucraina all’Unione Europea e una sua qualche adesione all’Unione Euroasiatica alla
quale Putin tiene tanto, adesso non staremmo qui a fare a braccio di ferro col
leader russo. Se nel febbraio scorso dopo
aver concluso con Yanukovich e con le
opposizioni di Maidan un accordo che
prevedeva elezioni presidenziali anticipate, governo di coalizione, ripristino della costituzione del 2004 e riequilibrio dei
poteri fra presidente e parlamento i ministri degli Esteri di Francia, Germania e
Polonia lo avessero fatto rispettare, col
supporto di lady Ashton e di tutta l’Unione, anziché permettere che i gruppi paramilitari di Maidan costringessero il presidente in carica alla fuga e che i parlamentari cambiassero gabbana, adesso
non ci troveremmo a fare i conti di quanto potrebbe costare all’Europa imporre
sanzioni alla Russia che ha sparso truppe in Crimea.
Quando si tratta di intraprendere
azioni collettive, l’Europa sbaglia tanto,
l’Europa sbaglia spesso, e i conti da pagare si allungano. È successo col tardivo salvataggio della Grecia, è successo con le
Primavere arabe, potrebbe succedere con
la Russia se questa storia delle sanzioni
dovesse diventare una faccenda che sfugge di mano. I due nodi irrisolti dell’esperienza storica dell’Unione Europea continuano a venire al pettine: gli interessi di
politica estera dei paesi dell’Europa unita non sono allineati, e in assenza di un
vero controllo democratico dei processi
decisionali da parte dei popoli a prevalere sono gli interessi lobbistici o quelli delle nazioni più forti.
Quanto ci costerà un’escalation di
sanzioni con la Russia, che si sarebbe
potuta evitare se Bruxelles avesse avu-
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to cura di tradurre in realtà anche uno
solo dei quattro “se” elencati in apertura?
La Germania di Angela Merkel è il paese
dell’Unione che ha più da rimetterci: la
Russia fornisce a Berlino il 40 per cento
del gas di cui ha bisogno, e al quale non
può rinunciare, se vuole portare avanti il
piano di uscita dal nucleare. Il 5 per cento di tutte le esportazioni manifatturiere della Germania ha per destinazione
la Russia. L’interscambio russo-tedesco è
pari a 76,4 miliardi di euro (40,4 miliardi di importazioni russe e 36 di esportazioni tedesche) e coinvolge 6.200 imprese
germaniche. Le sanzioni metterebbero in
discussione 300 mila posti di lavoro.
In caso di sanzioni
contro la Russia, la
Germania di Angela
Merkel sarebbe il paese
dell’Unione che ha più
da rimetterci: la Russia
fornisce a Berlino il 40
per cento del gas di cui
ha bisogno. Le sanzioni
metterebbero a rischio
6.200 imprese
germaniche e 300 mila
posti di lavoro
Mosca vale più di Washington
L’altro grande paese europeo che ha molto da perdere da una messa in quarantena dei rapporti coi russi è il Regno
Unito. Una massa di liquidità di vaste proporzioni dopo
Se nel novembre scorso
la caduta del muro di Berlino
l’Unione Europea fosse
e dopo la privatizzazione di
molti monopoli statali in Russtata un po’ più generosa
sia che ha beneficiato i coside lungimirante, adesso
detti oligarchi, si è riversata
sulla city londinese. Gli oligarchi amano molto Londra, e si non ci troveremmo a dover
sono segnalati per i loro acquiprestare a Kiev 11 miliardi
sti di grandi proprietà immobiliari e squadre di calcio. Non esiste una
stima attendibile che quantifichi l’apporto finanziario russo ai bilanci delle banche londinesi e alla parcelle di avvocati, commercialisti, contabili e consulenti. Ma un punto di riferimento può essere
il fatto che alla Borsa di Londra sono quotate 70 imprese russe le cui azioni attualmente hanno un valore di 82,6 miliardi di dollari. Un altro dato significativo è
quello che riguarda le dispute presso i tribunali specializzati in diritto commerciale. La Law Society Gazette informa che nel
solo 2012 il 60 per cento di tutte le cause
discusse dalla Commercial Court britannica hanno riguardato controparti russe. tazioni e 17,5 di importazioni (energia
Non è perciò strano che, mentre il primo principalmente). Se consideriamo tutministro Cameron minaccia Mosca con ta l’Unione Europea, scopriamo che l’intoni simili a quelli della Merkel, nel suo terscambio supera i 360 miliardi di dolufficio circolino documenti ufficiali dove lari: la Russia esporta verso l’Unione per
si afferma che Londra non appoggerà un 292 miliardi di dollari, e importa per
boicottaggio commerciale né chiuderà le 169. Al confronto, l’import-export russoporte della city ai capitali russi o congele- americano è quasi 10 volte meno importante: 27 miliardi di dollari di acquisti
rà quelli già presenti.
Quanto all’Italia, nel 2013 abbiamo russi a Washington, contro un export di
toccato il massimo storico dell’inter- 11 miliardi. Insomma, l’eventuale guerscambio con Mosca e ci siamo conferma- ra commerciale dell’Occidente contro
ti secondo partner dei russi in Europa Putin che si pappa la Crimea la paghedopo la Germania. I dati definitivi non rebbe quasi tutta l’Europa.
Naturalmente la pagherebbe cara
sono ancora disponibili, ma si aggirano
attorno agli 11 miliardi di euro di espor- anche la Russia. L’Europa comprerebbe
Foto: Ansa/Dpa ; nelle pagine precedenti: European Parliament
S
e anziché offrire la miseria
Foto: Ansa/Dpa ; nelle pagine precedenti: European Parliament
Nel 2010 il salvataggio
della Grecia costò all’Europa
più del doppio di quello che
sarebbe servito: ad aprile
la Merkel non accettò la
richiesta di un pacchetto
di aiuti pari a 60 miliardi
di euro. il 2 maggio Bruxelles
sborsò 145 miliardi di dollari
il gas altrove, senz’altro a un prezzo più
alto di quello attuale una volta tolto quello russo dal mercato, mentre la Russia
non saprebbe a chi vendere la sua produzione. Secondo una proiezione del Dipartimento di economia dell’Università di
Oxford, una guerra commerciale fra Bruxelles e Mosca causerebbe un aumento
del prezzo del petrolio del 10 per cento
e del gas del 15 per cento in Europa, con
una flessione del Pil dell’Unione Europea dell’1,5 per cento da qui al 2015. Per
la Russia sarebbe molto peggio: con l’80
per cento del suo gas invenduto, Mosca
si ritroverebbe un meno 10 per cento di
Pil da qui al 2015. Un congelamento degli
asset mobiliari e immobiliari di proprietà russa in Europa sarebbe un duro colpo soprattutto per quella nomenklatura
e quegli oligarchi che hanno costituito
grossi patrimoni a Londra, Parigi, Cipro,
Costa Azzurra, eccetera. Inoltre l’export
dell’Unione verso la Russia rappresenta
solo il 7 per cento di tutte le esportazioni del blocco nel mondo, mentre l’export
della Russia verso i paesi Ue rappresenta
quasi il 50 per cento del suo totale.
Ma sottolineato questo, è anche vero
che Mosca è in grado di compiere rappresaglie: le banche europee hanno investito 180 miliardi di euro in Russia, e se gli
asset finanziari russi in Europa saranno
congelati, a quelli europei nella terra di
Putin toccherà la stessa sorte. Le sanzioni peggiorerebbero drammaticamente la
qualità della vita in Russia, ma la scomparsa del mercato russo per i manufatti
europei ucciderebbe nella culla la timida ripresa che, dopo cinque anni di crisi,
ha cominciato ad affacciarsi sull’Europa.
Economicamente la Russia, con 140 milioni di abitanti e un territorio vasto 57 volte
quello dell’Italia, è ancora un nano: il suo
Pil è praticamente identico al nostro, cioè
di poco superiore ai 2 mila miliardi di
euro. Però mentre il debito pubblico dei
paesi dell’area dell’euro è mediamente
pari al 92,7 per cento del Pil, quello rus|
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ESTERI TUTTI I FLOP DI BRUXELLES
LE DISCRIMINAZIONI IN Estonia, Lettonia e Lituania
E se Putin cominciasse a difendere
tutti i cittadini dell’ex Urss?
so è appena dell’11 per cento. Il governo
russo può usare la leva della spesa pubblica come nell’Unione Europea non è più
possibile fare. A ciò si aggiunga la storica
disponibilità al sacrificio patriottico delle masse russe quando sono in gioco gli
interessi vitali della nazione, ed ecco che
le conseguenze delle sanzioni diventano
più difficili da prevedere.
Il colpo da maestro di Obama
Non è la prima volta che l’Unione si trova nei guai per errori di valutazione di
varia origine. Nel 2010 il salvataggio della Grecia costò all’Europa più del doppio
di quello che sarebbe stato necessario perché la Merkel, timorosa di perdere voti
nelle elezioni regionali, non accettò subito la richiesta greca di un pacchetto di
aiuti pari a 60 miliardi di euro formulata
all’inizio di aprile; la speculazione internazionale si scatenò, e il 2 maggio Bruxelles dovette annunciare un intervento pari
a 145 miliardi di dollari. Il tatticismo della Merkel non servì a nulla nemmeno in
termini di politica interna: il suo partito
perse rovinosamente le elezioni in Renania settentrionale-Vestfalia. Con le Primavere arabe è andata allo stesso modo.
Quando, fra la fine del 2010 e l’inizio del
2011, sono scoppiate le proteste che avrebbero portato alla caduta dei regimi dominanti in Tunisia ed Egitto e alla guerra
civile in Libia e Siria, da 15 anni l’Unione
Europea cooperava coi paesi della sponda sud del Mediterraneo attraverso il Processo di Barcellona e dal 2008 con l’ambiziosa formula dell’Unione Mediterranea.
Aveva a bilancio per il 2011, nel capitolo
della Politica europea di vicinato destinato al partenariato euro-mediterraneo, 843
milioni di euro. Nel periodo 2007-2010
la Tunisia si era vista assegnare aiuti per
300 milioni di euro, l’Egitto nello stesso
periodo per 558 milioni. L’obiettivo degli
aiuti era lo sviluppo economico e la progressiva democratizzazione dei paesi ara40
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Adesso che con la secessione della Crimea dall’Ucraina e il suo
ritorno nel girone russo Putin ha tradotto in fatti l’assunto secondo cui la
Russia sempre offrirà protezione ai russi che vivono nei paesi sorti dalla
disgregazione dell’Urss, qualcuno comincia a preoccuparsi. E se Mosca
decidesse di suonare la sinfonia crimeana nei paesi dell’Unione Europea?
Nei tre paesi baltici che nel 1991 hanno ritrovato l’indipendenza persa
nel 1940 e che nel 2004 sono entrati a far parte dell’Unione Europea –
Estonia, Lettonia e Lituania – i residenti di origine russa sono poco più di
1 milione. Nel 1989, alla vigilia del collasso dell’Urss, negli stessi tre paesi i
residenti di origine russa erano 1 milione e 726 mila. La flessione è dovuta
anche al fatto che dopo la ritrovata indipendenza solo la Lituania ha
riconosciuto automaticamente la cittadinanza a tutti i residenti, cioè anche
a quel 9 per cento di russi che poi si sono ridotti al 5 per cento. In Estonia e
Lettonia, invece, la cittadinanza ai russi, che in quel momento costituivano
rispettivamente il 30 e il 34 per cento della popolazione totale, è stata
concessa solo attraverso un processo di naturalizzazione che comprende
un severo esame linguistico e di cultura politica. Ciò in base al principio che
le popolazioni trasferite in un territorio da un paese occupante non hanno
automaticamente diritto alla cittadinanza del paese occupato. In forza di
ciò, in Estonia e Lettonia oggi vivono ancora 384 mila non-cittadini, con
documenti d’identità e passaporti speciali, dotati dei diritti civili ma privi
di quelli politici, di quello di lavorare nella pubblica amministrazione e nelle
professioni che richiedono l’iscrizione a un albo professionale. I quali inoltre
non possono viaggiare liberamente nell’Unione Europea, non avendo un
passaporto dell’area Schengen. La grande maggioranza, anche se non la
totalità di essi, appartiene alla minoranza etnica russa.
Periodicamente Mosca protesta per la discriminazione dei non-cittadini, ma
senza premere sull’acceleratore. Ora potrebbe cambiare politica.
bi. La Commissione Europea così presentava l’iniziativa: «Attraverso la sua Politica europea di vicinato, la Ue lavora coi
suoi vicini meridionali e orientali per raggiungere la più stretta associazione politica possibile e il maggior grado possibile di integrazione economica. Questo fine
si basa sugli interessi comuni e su valori:
democrazia, Stato di diritto, rispetto per
i diritti umani e coesione sociale. I paesi partner concordano con l’Unione Europea un piano d’azione che dimostra il
loro impegno per la democrazia, i diritti umani, lo Stato di diritto, il buongoverno, i princìpi dell’economia di mercato e
lo sviluppo sostenibile».
I fatti della Primavera araba hanno
mostrato quanto poco efficace fosse stata
quella politica e la sua pretesa condizionalità. Commentava l’Heritage Foundation americana all’indomani dei moti
nei paesi arabi: «L’Unione Europea ha pro-
mosso una girandola di iniziative politiche fallite per l’avanzamento dei diritti umani e delle riforme democratiche
in Libia e in altre parti del Nordafrica e
del Medio Oriente. L’Unione Mediterranea, di cui la Libia era osservatrice, è stata introdotta per promuovere l’integrazione economica e la riforma democratica nell’Europa meridionale, nel Nordafrica e nel Medio Oriente. Ha fallito completamente nel realizzare progressi in queste
aree». Gli americani che hanno criticato
l’Europa per i suoi insuccessi nei rapporti col mondo arabo e che oggi spingono
per sanzioni contro la Russia «che mordano» sanno di poter prendere due piccioni
con una fava: indebolire Mosca e sostituirla come fornitrice di energia all’Europa,
esportando da noi lo shale gas che hanno sviluppato negli ultimi anni. Un colpo
da maestro per Obama, dopo le scoppole
prese da Putin nel 2013. n
CULTURA
PASSEGGIATA IN LIBRERIA
Italia.
Se la Merkel
è Carlo V
Sapelli, Festa
Goware
4,99 euro
La via
maestra.
L’Europa
e il ruolo
dell’Italia
nel mondo
Napolitano,
Rampini
Mondadori
9,99 euro
LA democrazia
in Europa.
Guardare
lontano
Goulard, Monti
Rizzoli – 9 euro
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DI LODOVICO FESTA
In che guaio
ci siamo
cacciati
Moneta unica, sciagura o salvezza? Austerity,
panacea di ogni male o simbolo dell’egemonia
bottegaia tedesca? E cosa c’entra il 1914 con
il 2014? Qualche libro (serio, non complottista)
per capire come siamo arrivati a questa crisi
Foto: European Parliament
D
a qualche giorno nelle librerie elettroniche si trova il dialogo che Giulio Sapelli e io avevamo già pubblicato sul Foglio tra la fine del 2013 e l’inizio del 2014. Il titolo è Italia. Se la Merkel
è Carlo V. Sottotitolo: “Dalla resa di Milano al sacco di Roma. 1494-1527 e 19922013. Moro e Cuccia, Serenissima e Berlusconi, Clemente VII e Napolitano e altri
parallelismi” (Goware, 4.99 euro). Al centro del dialogo l’analogia – assunta pur
sottolineando le tante irriducibili differenze tra i periodi comparati – tra la crisi degli stati italiani cinquecenteschi e
quella del nostro stato unitario negli ultimi venti anni: crisi accompagnata da uno
smarrimento delle élite sia nel Cinquecento sia tra il 1992 e il 2014 e da una
parallela subalternità ad altri stati ben
più consolidati del nostro.
Non spetta a me parlare della quali-
tà di un’opera a cui ho lavorato, mi interessa indicarne però l’obiettivo centrale: uscire da analisi centrate solo sul glamour dei singoli eventi e degli stati d’animo che ne derivano inseguendo un dover
essere che produce solo luoghi comuni.
Chiedersi, invece, perché e come le vicende dell’Italia abbiano preso un certo corso, e non cercare solo le colpe dei singoli o magari quelle collettive (posizione
diffusa tra gli italiani anti-italiani) come
se la ricerca storica fosse essenzialmente
pedagogia & propaganda.
E nello spiegare le nostre vicende contemporanee credo indispensabile tenere
conto quanto condizionante – ben oltre
altre grandi nazioni europee – sia il quadro internazionale. Anche in questo caso
si tratta di astenersi dalle teorie complottistiche: i colloqui segreti, i padroni universali, i misteriosi yacht dove si deci|
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CULTURA PASSEGGIATA IN LIBRERIA
Per l’Europa!
Manifesto
per una
rivoluzione
unitaria
Cohn-Bendit,
Verhofstadt
Mondadori
10 euro
Cosa vuole
l’Europa?
Zizek, Horvat
Ombre corte
14 euro
Europa
tedesca.
La nuova
geografia
del potere
Ulrich Beck
Laterza
10,20 euro
Questa
Europa
è in crisi
J. Habermas
Laterza
11,90 euro
Dove va
il mondo?
Giulio Sapelli
Guerini
12,50 euro
Europa
sovranità
dimezzata
Antonio Pilati
Ibl libri-Foglio
10 euro
esce ora Europa tedesca. La nuova geografia del potere (Laterza, 10,20 euro). Di
un altro livello qualitativo Questa Europa è in crisi di Jürgen Habermas (Laterza, 2012, euro 11,90): qui si sente la mente del grande filosofo che va al cuore del
Spunti critici e coraggiosi
problema delle istituzioni continentali
burocratiche (anche gli europarlamentaNel nostro dialoghetto abbondano i parari sono poco più che funzionari) perché
dossi sin dal primo capitolo su Ludovico
prive di vere modalità che coinvolgano
il Moro paragonato a Enrico Cuccia: una
i cittadini.
forzatura evidente. Ma anche una via per
Venendo all’Italia, imperdibile il nuosuperare quel ragionare per luoghi comuvo saggetto di Sapelli Dove va il monni al momento predominante. Naturalmente una provocazione anche
do? (Guerini, 12,50 euro): denutile non è risolutiva: servono
so e coinciso il libro affronta
servono ricerche. Soprattutto ampi aspetti della scena globale
analisi e ricerche non estemporanee. Soprattutto sul nesso tra
e, per quel che riguarda i temi di
sul nesso tra il contesto
contesto internazionale-crisi del
questo articolo, in particolare le
internazionale e la crisi del due linee, quella tedesca e quella
nostro stato nazionale, un nesso
definito innanzitutto da come si
americana, per affrontare la crisi
nostro stato nazionale, un
è evoluto il processo di unificapost 2008, entrambe segnate da
nesso definito anzitutto da
zione europea. Su questo argoun’astrazione di fondo rispetto
mento, peraltro, la fa da padroindustriale e al concome si è evoluto il processo all’economia
na la retorica. Così saggi come
testo sociale e caratterizzate da
una certa subalternità anche culLa via maestra. L’Europa e il ruodi unificazione europea
turale rispetto alla finanza globalo dell’Italia nel mondo di Giorgio Napolitano e Federico Rampini (Mon- dalla gestione della crisi della Jugoslavia le, ma almeno quella studiata a Washingdadori, 2013, euro 9,99), o La democra- fino all’austerità che ha stremato la Gre- ton mirata allo sviluppo e non alla suicizia in Europa. Guardare lontano di Syl- cia. Non si coglie però nel loro argomen- da austerità predicata a Berlino. Sui guavie Foulard e Mario Monti (Rizzoli, 2012, tare vera densità di pensiero tipo quel- sti dell’egemonia economica tedesca scrieuro 9). Libri tanto edificanti quanto pri- la che sorresse il movimento socialista ve anche Antonio Pilati: Europa sovranità
vi di quella analisi critica oggi necessaria nell’Ottocento: la propaganda domina su dimezzata (Ibl libri-Foglio, 2013, 10 euro).
per capire il guaio in cui ci siamo caccia- un approccio critico, sia pure ideologica- In Pilati la riflessione è centrata sulla
ti. Né aiuta molto il nuovo pensiero euro- mente critico.
moneta unica, come si è man mano deterMeglio in questo senso l’elaborazio- minato l’uso di questo mezzo da parte di
peista di tipo radicale, sia quello di vecchi protagonisti come Daniel Cohn Ben- ne di Ulrich Beck, erede di un altro col- Berlino per costruire la propria egemodit che insieme a Guy Verhofstadt nel to europeista tedesco legato alla London nia provocando insieme una stagnazio2012 per Mondadori ha fatto uscire Per School of Economics come Ralf Dahren- ne innanzitutto degli stati mediterranei
l’Europa! Manifesto per una rivoluzione dorf: in Beck si trovano analisi informate, dell’Unione.
Sul tema dell’euro il saggio più rileunitaria, sia quello proposto da più nuo- un po’ troppo politically correct, ma con
vi come Slavoj Zizek e Srécko Horvat con spunti critici coraggiosi come sugli ecces- vante uscito nel 2013 è quello di un granil loro Cosa vuole l’Europa? (Ombre corte, si di egemonia della Germania. Di Beck de giurista italiano, Giuseppe Guarino.
dono le sorti delle nazioni, i club esclusivi. Basta un’attenta lettura del Financial
Times o del Wall Street Journal per seguire i movimenti della storia senza bisogno
del buco della serratura.
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2014), con la prefazione di Alexis Tsipras,
la star del momento. Nei vecchi radicali europeisti si sente la stanchezza di un
pensiero nato col nichilismo sessantottesco, divenuto furbamente ecologista e
infine riproposizione di una ipersecolarizzazione sempre più sfiatata anche
se ancora una delle vere anime di Strasburgo. I nuovi radicali europeisti hanno
almeno la vivezza (oltre a un certo talento filosofico come con Zizek) di una storia
vissuta sulla loro pelle, degli errori commessi dall’egemonia bottegaia tedesca:
UN SAGGIO
DI “VERITÁ”
SULL’EUROPA
E SULL’EURO
G. Guarino
cina
Henry Kissinger
Mondadori
18,70 euro
Già il titolo spiega la sua tesi: Un saggio
di “Verità” sull’Europa e sull’euro. Sottotitolo: “1.1.1999 il colpo di Stato – 1.1.2014
Rinascita!?”. Si tratta della magistrale
disamina di come fu tradita la lettera dei
trattati dalla burocrazia comunitaria nella semi-inconsapevolezza degli stati membri, con poi l’analisi delle conseguenze di
questo tradimento. Lo potete scaricare da
Google a costo zero.
Occidente.
Ascesa
e crisi di
una civiltà
Niall Ferguson
Mondadori
18,70 euro
I sonnambuli.
Come l’Europa
arrivò alla
Grande
Guerra
C. Clark
Laterza
29,75 euro
consapevole Angela Merkel che ha citato uno dei più bei libri sul 1914 uscito lo
scorso anno e ora tradotto anche in italiano: I sonnambuli. Come l’Europa arrivò
alla Grande Guerra di Christopher Clark
(Laterza, 29,75 euro). Lo ha fatto quasi per
esorcizzarlo, anche se l’attenzione nel
libro per l’ipertrofia prussiana è centrale.
A sostegno delle tesi della cancelliera
è uscito 1914: attacco a Occidente di Gian
Enrico Rusconi, (il Mulino, 2014, 20,40
euro), lanciato da Paolo Mieli sul Corriere
della Sera del 4 marzo scorso. Scrive Mieli
1914: attacco
a occidente
Gian Enrico
Rusconi
Il Mulino
20,40 euro
IL Silenzio
della
tirannide
A. Kojève
Adelphi
25 euro
ca e giusta critica del becerume semplificatorio, ma c’è pure indifferenza per i
rapporti di forza tra nazioni, con annessa olimpica disattenzione per un’anche
minima sovranità dell’Italia.
Per risvegliare le coscienze
In questo senso, pur respingendo tesi
comparative stupidamente semplificatrici, non si può rinunciare a investigare i
problemi che pone l’eccesso di egemonia
Il centenario della Grande Guerra
della Germania anche oggi. Molto più
di Mieli ci sembra interessante quel che
La discussione sull’Europa e sul suo ruoscriveva un gran filosofo hegelialo intanto si intreccerà con la
no, un po’ bonapartista e poi golriflessione che il centenario dell’euro ha provocato una
lista (nonché consigliere dell’Eula Prima guerra mondiale ha
ropa in formazione) come Alegià aperto. D’altra parte è da
stagnazione degli stati
xandre Kojève che in L’impero
tempo che nella discussione
mediterranei dell’Unione.
americano-anglosassone il tema
latino (ripubblicato nel Silenzio
della relazione delle contraddiil saggio di Guarino fa capire della tirannide, Adelphi, 2004,
zioni tra Prussia e Gran Breta25 euro) discuteva già nel 1947
come la pensa. il sottotitolo di come la Germania sarebbe
gna con quelle tra Cina e Stati
Uniti è sollevato, con un granridiventata la principale potenÈ: “1.1.1999 il colpo di Stato
de protagonista della diplomaza economica europea; riducenzia come Henry Kissinger che
do la Francia al rango di poten1.1.2014 Rinascita!?”
sostiene (vedi il suo Cina, Monza secondaria nell’Europa contidadori, 2011, euro 18,70) come una rela- che «La Germania del 2014, mette in chia- nentale; che gli stati-nazione erano finizione con il 1914 esista ma la contraddi- ro Rusconi, “non ha nulla in comune con ti; che c’era bisogno di “imperi”. Ma alla
zione sia dominabile, e storici come Niall quella del 1914 salvo l’eccellenza econo- base di questi imperi non ci poteva esseFerguson (così in Occidente. Ascesa e cri- mica, ma in un contesto internazionale re un’unità astratta che prescindesse da
si di una civiltà, Mondadori, 2012, euro e geopolitico inconfrontabile; il processo cultura, lingua, modi di vita e religio18,70) più pessimisti (e che lo sia anche della sua integrazione europea e occiden- ne: i nuovi imperi dovevano essere «uniil giapponese Shinzo Abe anche lui rife- tale è irreversibile, a meno di imprevedi- tà politiche transnazionali, ma formarendosi al 1914 preoccupa ancora di più). bili disastri; se esiste un problema tede- te da nazioni apparentate». Per questo,
Ma da “atlantica” la discussione sta sco, è perché esiste un problema euro- egli proponeva alla Francia di propordiventando anche molto continentale, peo, ma questo a sua volta non può esse- re un “impero latino”, che unisse econoperché una della tesi assai diffuse è che re adeguatamente compreso con l’appa- micamente e politicamente le tre granlo svilupparsi di una egemonia senza rato concettuale tradizionale con il quale di nazioni latine (Francia, Spagna e Itacontrappesi come quella di una gran- abbiamo analizzato le vicende che culmi- lia). Tesi al limite del paradosso, ma certamente che aiuta a fare i conti con quel
de nazione come la Germania non pos- nano nella Grande Guerra”».
Come sempre, in Mieli (e di riflesso in politically correct che addormentando le
sa non creare squilibri nel medio periodo difficili da gestire. Di questa tesi è ben Rusconi) c’è grande intelligenza analiti- coscienze, genera mostri. n
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STILI DI VITA
CINEMA
i problemi da affrontare
Qualche domanda al ministro
Jimmy P.,
di Arnaud Desplechin
PRESA D’ARIA
di Paolo Togni
V
orrei tornare un momento a parlare delle attività (o non attività?) del ministero dell’Ambiente. In proposito vorrei porre qualche domanda, aspettando
risposte. E comincio: perché le indagini sulla “terra dei fuochi” sono state
effettuate dalla presidenza del Consiglio (dipartimento per la Protezione Civile) e
non da chi vi sarebbe stato istituzionalmente preposto, il sistema Ispra-Arpa? Perché la centrale elettrica di Vado Ligure è stata chiusa dall’autorità giudiziaria, in
assenza dei controlli ambientali che incombevano al ministero? Perché nel Comune di Roma gli abitanti di una certa porzione della periferia (piccola, ma è gravissimo lo stesso) si sono visti impedire l’uso dell’acqua corrente, nella quale sono
stati riscontrati valori di arsenico e di altri metalli pesanti superiori agli ammissibili, e un pericoloso inquinamento organico? Che fine ha fatto la valanga di soldi stanziata per le bonifiche di Taranto, di Gela-Priolo e degli altri siti inquinati di
interesse nazionale? Che fine ha fatto la somma stellare spesa per il Sistri, proveniente oltretutto dalle tasche dei trasportatori? Sono congrui i prezzi pagati e fatti pagare per le forniture? A cosa serve la pletorica commissione per la revisione
della normativa ambientale, composta per lo più da vecchi attrezzi, inchiavardati
da decenni alle leggi che sancirono i loro privilegi e ai posti e ai compensi che ne
derivarono?
Solo gli uffici del ministero
Solo gli uffici del ministero
sarebbero in grado di rispondePOTREBBERO rispondere; ma
re; ma spesso, come l’Ispra, non
spesso non sono neanche in
sono neanche in grado di repligrado di DIRE se sono vivi o
care se sono vivi o no.
no. COMUNQUE, FIN QUANDO E SE
Per fortuna con la venuta
FARà LE COSE GIUSTE, GALLETTI
del nuovo ministro spero che
ora tutto sia cambiato, o meAVRà IL MIO PIENO SOSTEGNO
glio, spero stia cominciando a
cambiare. Ma, prima di fare scelte e varare nuovi assetti, accerti il ministro le responsabilità dei dirigenti uscenti, i quali si spera non rientreranno, e assuma i
provvedimenti conseguenti.
Il ministero dell’Ambiente dispone di poca capacità di spesa, ma gli sono intestati penetranti poteri di controllo. Certo, se non si sa usarli o non si vogliono usare sono inutili; ancor peggio sarebbe nel denegato caso in cui questi poteri venissero piegati al servizio di interessi particolari. Il nuovo ministro ha belle gatte da
pelare: incrostazioni di potere, lotte interne difficili da smontare, declinante peso
politico amministrativo del ministero nei rapporti intergovernativi: resta da dirgli che, per quanto possa contare, l’appoggio delle persone per bene ce l’ha in pieno, convinto e totale. Almeno se, e fin quando, farà le cose giuste.
[email protected]
HUMUS IN FABULA
ECOSOSTENIBILITà/1
Nuovo impianto per
la San Benedetto
È stato inaugurato il nuovo impianto fotovoltaico presso lo stabilimento di Popoli (Pescara) della Gran Guizza S.p.A., società
controllata al 100 per cento da
Acqua Minerale San Benedetto,
dove da quasi 15 anni vengono
imbottigliate acque e bevande
a marchio Guizza e Primavera.
Composto da 17.809 moduli fo-
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tovoltaici distribuiti su una superficie di 17mila metri quadrati, l’impianto avrà una potenza
di 2 MWp, per una produzione
elettrica annua prevista di circa
2.500 MWh e una riduzione di
emissioni di anidride carbonica
(Co2) di 1.279 tonnellate l’anno.
Si tratta di un importante nuovo
progetto realizzato in linea con
la filosofia di San Benedetto oggi più che mai mossa da un’ambizione di eccellenza ecofriendly
nel panorama industriale italiano, dimostrata dal costante impegno in tema di sostenibilità
ambientale e dello sfruttamento
di energia da fonti rinnovabili.
Troppe parole ma
con un bel finale
Alla fine della Seconda
guerra mondiale un soldato americano soffre di terribili crisi.
Film complesso, non facile.
Non lo è la storia, quella di
un indiano che soffre, dopo un incidente, di problemi di varia natura. Non lo
è lo stile di un regista colto come Desplechin (Pranzo di Natale) che usa molto la parola sconfinando
spesso nel verboso. E non
lo è nemmeno il taglio usato: un registro a metà tra
il dramma dell’identità e
il melodramma in cui per
HOME VIDEO
I sogni segreti
di Walter Mitty,
di Ben Stiller
La grande bellezza
Un addetto all’ufficio fotografico di Life alle prese con sogni
impossibili o quasi.
Ecco la vera grande bellezza. Un
uomo qualunque, mite e anche
un po’ pavido, che per una donna
che manco lo considera diventa
esploratore, marinaio, alpinista.
Gran bella avventura firmata e
interpretata da Stiller che centra
il suo film migliore non solo da
un punto di vista tecnico ma anche per l’originalità di una storia
che ha come orizzonte ultimo la
felicità e il compimento di sé.
ECOSOSTENIBILITà/2
La borsetta fatta coi
tappi delle bottiglie
La moda mette d’accordo uomini e donne di ogni dove desiderosi di avere un look al passo con
i tempi. Spesso un concetto dimenticato dagli stilisti è quello di
ecosostenibilità. Negli ultimi anni sembra però che molti marchi, dell’alta moda ma anche del
low cost, abbiano maturato una
coscienza green prestando particolare attenzione a sostanze,
tessuti e materiali alternativi, avvicinandosi sempre più alla cultura del riciclo. Un esempio? Il
progetto TappoBag-The Original Bottle Caps Bag si impegna
a dare nuova vita ai tappi di bottiglia. L’idea è nata dal 2012 dalla mente di Stéphanie Lazzereschi, presidente dell’associazione
Let’s Eco Party, che si è dilettata nel realizzare a mano modelli
cruelty-free di alta qualità. Sono
necessarie dalle 6 ore ai 4 giorni
di lavoro per creare ogni borsa,
a seconda che si tratti di una pochette o di un modello più grande, andando così a salvare dalle discariche dai 20 ai 200 tappi
di bottiglia, recuperati grazie alla
collaborazione dei ristoranti della provincia di Pisa.
ALLA FIERA DEL LIBRO
una buona metà del film la
vicenda si gioca tutta nel
dialogo serrato tra un antropologo esperto di nativi americani e il Jimmy interpretato con intensità da
Benicio Del Toro. Tante parole, troppe interpretazioni
freudiane rendono freddo
quello che in alcuni momenti è un grande melodramma
con al centro un uomo che
si tira in piedi grazie all’impegno e all’amicizia di un
medico. Un film interessante con il freno a mano tirato:
poca tensione con l’eccezione di un grande finale, positivo ed efficace. E stavolta
senza troppe parole inutili. visti da Simone Fortunato
Le fiabe che col
tempo migliorano
Il regista
Arnaud
Desplechin
COMUNICANDO
CIDA
Comunicare la
cultura manageriale
Nel corso della storia il ruolo di
alta dirigenza è mutato secondo le esigenze. Nell’antica Grecia
questo ruolo apparteneva ai filosofi, nella Roma antica ai consiglieri dell’imperatore. Nel tempo
le guide hanno assunto diverse forme, influendo sulle decisioni politiche, sociali ed economiche. Ora, nel XXI secolo, è il
turno dei manager. Cida – organizzazione che riunisce manager e alte professionalità per
l’Italia (www.cida.it) rappresenta gli interessi di 300 mila diri-
MAMMA OCA
di Annalena Valenti
«O
una
storia che ho sentito quando ero piccolo, e da allora ogni volta che ci ho ripensato, mi
è sembrata più bella; perché alle storie succede come a molti uomini: guadagnano col passar degli anni, e questa è una cosa che fa tanto piacere». Le
belle storie per bambini guadagnerebbero ancora di più se non le tradissero, tagliuzzandole, «perché i bambini
non si devono annoiare», banalizzandole, «perché i bambini devono poter capire tutte le parole», cambiando le traduzioni a seconda dei desideri
dell’epoca. Pensate alla fiaba sopra citata di Andersen che qui in Italia titola
Quel che fa il babbo è sempre ben fatto. Già il significato sovversivo – per riassumere trattasi di fiducia incondizionata – non lascia adito a dubbi, ma se
vedeste il danese che dice «quel che fa
papà è sempre giusto», beh, quale donna modernamente votata, oggi lo direbbe mai? Di storie e libri che cercheranno di durare nel tempo si occuperà
anche quest’anno la Fiera del libro per
ragazzi di Bologna, la più importante
del settore editoriale, che, giunta alla
51esima edizione, per la prima volta
apre le porte di un intero padiglione a
bambini e ragazzi: “Non ditelo ai grandi”, si legge all’entrata. Speriamo che a
un bambino non passi la voglia di leggere e che i grandi continuino a dire,
fare e ripensare quelle belle storie che
guadagnano col passar degli anni.
mammaoca.wordpress.com
genti d’azienda di diversi settori e mira ad accrescere il dialogo
con le istituzioni nazionali e locali grazie a un efficace investimento nella comunicazione istituzionale. Tra il 2013 e il 2014,
la Confederazione ha organizzato una road map dedicata alla
cultura manageriale come elemento fondamentale per sostenere il valore del merito e del
metodo nella gestione della attività d’impresa ma anche della attività pubblica. Quattro le
tappe fino ad oggi: Roma, Milano, Firenze e Napoli. Il presidente Silvestre Bertolini, insieme ad
autorevoli rappresentanti istitu-
ra voglio raccontarti
zionali, tra cui Gianni Pittella (vicepresidente vicario del Parlamento europeo), Severino Nappi
(assessore alle Politiche del lavoro – Campania), e Paolo Giovanni Del Nero (assessore al Lavoro – Lombardia), ha raccontato
il percorso che la nuova Cida ha
fatto in questi due anni ma soprattutto ha ribadito come il
nostro paese abbia bisogno di
competenze e di una visione del
futuro per generare una nuova
politica industriale. L’iniziativa
ha riscosso un enorme successo e sarà replicata in due nuove
città, Genova e Bologna.
Giovanni Parapini
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| 26 marzo 2014 |
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Ba’Ghetto Milky, roma
Tonno impanato e fritto
per una cena di Quaresima
IN BOCCA ALL’ESPERTO
AMICI MIEI
LIBRI
Il romanzo del Nobel
giapponese svela le
falsità dell’eutanasia
Si può dare il nome a un «bambino mostro»? Ha bisogno di un
nome un neonato che «non assomiglia nemmeno a un essere umano»? Tori-bird è convinto di no. Guardando suo figlio
nell’incubatrice e la deformità che lo affligge, scopre di non
poterlo accettare. Il pensiero
di dare il nome a una cosa che
non ha prospettive di «vita normale» lo terrorizza. Lui vorrebbe soltanto che suo figlio morisse. Tori-bird è il protagonista
di Un’esperienza personale del
premio nobel Kenzaburo Oe. Il
romanzo compie cinquant’anni dalla pubblicazione e racconta la storia tormentata di un
padre che cerca con ogni mezzo di fuggire dalla sua vita, dal
figlio e dalla sua menomazione. Oe affronta senza doppiezze e senza moralismo l’attimo di
dubbio che lo colse quando, alla
nascita del suo primo figlio affetto, come quello di Tori-bird,
da una grave patologia cerebrale, i medici gli consigliarono di
lasciarlo morire. Il romanzo non
è soltanto l’anatomia delle cause che portano una persona e
oggi un intero parlamento (Belgio) a giustificare un atto come
l’eutanasia dei bambini disabili. La scrittura di Oe non perde
tempo nell’affrontare le «sofferenze insopportabili» del neonato, ma senza incertezze infila la
questione centrale, inquadrando
la meschinità del genitore, più
in generale dell’essere umano,
di fronte a un fatto che lo lascia
traballante e lo porta a compiere una scelta. Si può accettare una verità che «risale da sola
dallo stomaco» e che impedisce
a Tori-bird di continuare a scappare oppure non affrontare la
realtà. Questa è una scelta.
di Tommaso Farina
S
i dice kasher (o kosher), si legge “conforme”. La religione
ebraica sulla cucina non transige. Perché sia conforme ai
precetti fondamentali, deve seguire certe regole: bando ai
molluschi, ai crostacei, alla carne di maiale. E, in ottemperanza a
passi dell’Antico Testamento, mai mangiare carne e latte insieme.
E al latte si apparentano i sottoprodotti, come ricotte o formaggi. Non stupisca dunque se i fratelli Dabush, maniaci della cucina ebraica e dunque vogliosi di esplorarne tutte le sfumature, per
preservare la purezza abbiano aperto nel Ghetto di Roma addirittura due ristoranti, a breve distanza l’uno dall’altro: il Ba’Ghetto
(notare il gioco di parole), che cucina carne, e il Ba’Ghetto Milky,
che invece scodella pietanze che i cattolici definirebbero “di magro”. Oggi ci occupiamo di quest’ultimo, che a conti fatti è adattissimo per pranzare fuori in un venerdì di Quaresima.
Si pranza in un ambiente elegante, caratterizzato dall’esposizione delle bottiglie dei vini rossi israeliani, delle alture del Golan
ma non solo. Libera creatività alla carta, con preparazioni ebraiche ma anche fantasie varie che contemplano l’uso del pesce, anche col formaggio, in spregio al luogo comune inossidabile.
Si può partire con buone polpettine falafel circondate da crema hummus di ceci, o con un carciofo alla giudia, un classico romano, fritto e croccante. Di primo, convince l’esecuzione della
carbonara di mare (al salmone), visto l’uovo giustamente cremoso. Altrimenti, cous cous al ragù di cernia, tonnarelli all’amatriciana di mare o con carciofi, spigola e bottarga.
Si prosegue con un gran bel piatto: la schnitzel (cotoletta) di
tonno impanata col sesamo e fritta con leggerezza, accompagnata con un tabbouleh di verdure e semola. Oppure, il baccalà con
pomodoro e pinoli. Chiusura con la torta di ricotta e visciole.
Se vi interessano, ci sono pure le pizze. Noi preferiamo il resto. Conto di circa 45 euro.
Per informazioni
Ba’Ghetto Milky
www.kosherinrome.it
Via del Portico di Ottavia, 2/a – Roma
Tel. 0668300077
Chiuso venerdì sera e sabato a pranzo
reggente nazionale vicario di Alleanza Cattolica, Alfredo Mantovano, magistrato, Francesco Belletti, presidente del Forum delle
associazioni familiari, Filippo Savarese, portavoce della Manif
pour tous Italia.
MOSTRE
Alla scoperta
del padre in Dante,
Omero e Tolkien
“Nessuno genera se non è generato”. Questo il titolo della mostra realizzata dalla Fraternità san Carlo esposta nel Salone
Rotondo del Collegio Guastalla
(Viale Lombardia, 180 – Monza).
Un percorso alla scoperta del
padre in Omero, Dante e Tolkien.
L’esposizione sarà presente fino
al 22 marzo. Orari di apertura:
tutti i pomeriggi dalle 15 alle 17
e il sabato dalle 10 alle 13.
EVENTI
Tre giorni dedicati
ai più piccoli
FONDAZIONE TEMPI
I cristiani nella
terra dell’islam
Giovedì 27 marzo alle ore 21
presso il liceo don Gnocchi di
Carate Brianza (via dei Gaggioli 2), la Fondazione Tempi in collaborazione con il Centro Culturale Péguy e l’Istituto scolastico
don Carlo Gnocchi, ha organizzato l’incontro dal titolo “Cristiani in terra d’islam”. Parteciperanno Samir Khalil Samir,
docente di islamologia presso
l’Università di Beirut e il nostro
inviato Rodolfo Casadei appena
tornato da una missione in Siria. Nel suo ultimo reportage ha
raccontato che «i cristiani sono
il principale bersaglio dei jihadisti. Il loro destino e quello della loro terra è sconosciuto, ma
in alcune zone la popolazione ha
iniziato a riconciliarsi».
INCONTRI
Il convegno di
Alleanza Cattolica
“La buona politica. I cattolici, la famiglia e il futuro dell’Italia”. Questo il titolo del convegno
promosso da Alleanza Cattolica che si terrà sabato 22 marzo a Roma, presso la sala san Pio
X di via della Conciliazione 5. Tra
i relatori, Massimo Introvigne,
Alla BraveArt Factory (via Vigevano 41, Milano, citofono 36)
arriva Kids Factory: tre giorni dedicati al mondo dei bambini. Dal 21 al 23 marzo saranno
presenti nello spazio di BraveArt giovani realtà che offrono
prodotti e servizi nuovi e creativi per i più piccoli. Scarpe, vestiti, gioielli, allestimenti e arredamento e poi corsi di musica e
di inglese. Durante l’evento sarà
possibile partecipare gratuitamente a laboratori creativi, corsi di cucina e di cake design…
Per programma e orari consultare blogbraveart.tumblr.com.
scrivere a [email protected]
o telefonare allo 0249767899.
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motorpedia
WWW.RED-LIVE.IT
A CURA DI
DUE RUOTE IN MENO
Ducati Diavel
Anche per la Ducati più controversa della storia è tempo di rinnovamento. La Diavel si aggiorna con parecchie novità a livello di motore
(pur con potenza confermata a 162 cavalli): dalla Multistrada, infatti,
arriva il Testastretta 11° DS con due candele per cilindro, per migliorare la combustione, l’efficienza e la regolarità ai bassi regimi. Altri interventi riguardano la sella più comoda per il pilota e l’arrivo di un
impianto di illuminazione full-LED. La power cruiser bolognese ha sempre fatto molto discutere, riuscendo però a mettere tutti d’accordo
quando si tratta di emozioni di guida. La versione 2015 (in vendita già
[sc]
nell’aprile 2014) promette di fare ancora meglio.
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| 26 marzo 2014 |
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La power
cruiser
bolognese ha
sempre fatto
molto discutere,
riuscendo però
a mettere tutti
d’accordo
quando si tratta
di emozioni
di guida. La
versione 2015
promette
di fare ancora
meglio
crossover compatta con trazione integrale
permanente con tre modalità di marcia
La rivoluzionaria
S-Cross della Suzuki
È
la principale novità Suzuki per il 2014, un modello fondamentale per la Casa nipponica che si schiera nel
segmento delle crossover compatte con molte carte
da giocare. La S-Cross è proposta a trazione integrale permanente oppure in versione 2WD; si scontra con i modelli bestseller con i quali condivide la lunghezza: attorno ai 430 centimetri. Dimensioni piuttosto generose per il segmento, che
si traducono in una capienza del bagagliaio di 430 litri con
5 persone a bordo, incrementabili a 440 optando per la posizione verticale degli schienali posteriori (a inclinazione variabile) e fino a 875 litri se si abbatte completamente il divanetto, frazionabile secondo la ripartizione 40/60.
Cresciuta 18 centimetri in lunghezza e 10 nel passo rispetto alla SX4, la S-Cross si distingue nettamente dalla progenitrice, tuttora a listino, grazie alla superiore qualità dei
materiali, alle finiture in linea con le rivali, alla maggiore
disponibilità di spazio a bordo e alla possibilità di regolare
lo sterzo sia in altezza sia in profondità. La vera rivoluzione
della S-Cross è legata, però, al sistema di trazione integrale
permanente integrato dall’AllGrip che permette di scegliere, mediante l’apposito comando lungo
dimensioni generose il tunnel, tra le modalità di marcia Aucon grande capienza to: Sport, Snow/Mud e Lock.
Di sicuro uno dei punti forti della Sper il bagagliaio.
consumi medi Cross è rappresentato dai consumi: nelincredibili: quasi 30 la configurazione a due ruote motrici
km/l con la versione la crossover Suzuki, senza prestare para due ruote motrici ticolare attenzione alla guida, riesce ad
da 120 cavalli avere medie chilometriche che posso(benzina o diesel) no superare agevolmente i 20 km/litro e
sfiorare i 30 km/litro. Risultato ottenuto
grazie all’alleggerimento della vettura (-55 chilogrammi rispetto alla SX-4) e a un motore made in Italy come il quattro
cilindri Turbodiesel Fiat da 1.598 cc (120 cavalli); in alternativa la S-Cross è disponibile anche con un motore a benzina
da 1.586 cc, sempre da 120 cavalli di potenza.
Tre gli allestimenti disponibili. EASY a 19.600 euro, comprende climatizzatore manuale, impianto Hi-fi con lettore
CD+MP3+Bluetooth e controllo elettronico del volume con
comandi al volante, Usb sulla consolle centrale, cruise control con comandi al volante, Esp (Controllo Stabilità Elettronico) + Tcs (Controllo della Trazione), Abs con Ebd (ripartitore elettronico della frenata) e Tpms (Sistema monitoraggio
pressione pneumatici). La STYLE offre in più l’avviamento
senza chiave, il climatizzatore automatico bizona, il sistema “hill hold control” per facilitare le partenze in salita e i
cerchi in lega da 17 pollici al prezzo base di 21.150 euro. La
TOP a 23.150 euro offre anche sensori di parcheggio anteriori e posteriori, oltre alla telecamera posteriore.
Stefano Cordara
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51
POST
APOCALYPTO
CIò CHE ci SALVA DAL DEMONIO
Senza quell’abbraccio
misericordioso anche una
madre può uccidere i figli
C
S
aro padre Aldo, non so se ha letto la notizia della mamma di Lecco che ha ucciso le sue tre
figlie. Questo fatto sconcertante mi ha lasciato una domanda: che cosa sta succedendo?
Dottor Baruffaldi
eguo sempre i suoi articoli su Tempi e conosco la sua storia. Lei è per me un punto di rife-
rimento per la sua fede, per la sua storia e soprattutto perché conosce il dolore e la miseria dell’uomo e non ne ha paura. Sono una di quelle persone che passano inosservate, oppure sono considerata da molti una persona non significativa perché troppo misera.
Questa mia miseria nasce dall’essere sola all’origine cioè dal non essere stata mai amata, mai
presa per mano da qualcun altro. Quando a 14 anni ho perso mio padre, mi sono ritrovata sola.
Mia madre è una persona che non ha mai preso coscienza dei suoi problemi, non era in grado di
aiutarmi e mi ha portato con sé laddove lei stessa cercava sostegno. Quando negli anni dell’università è scoppiata la mia crisi, la mia fragilità è diventata evidente a tutti. La mia fede e la debole coscienza della mia dignità, che consiste nell’essere voluta ed amata da un Altro, mi hanno
fatto forte e bene o male sono riuscita a stare sempre in piedi, nonostante le intemperie che si
abbattono su di me. Intemperie che prendono le sembianze di persone che non mi vogliono come amica, che mi vorrebbero togliere anche i pochi talenti che mi sono stati dati. Gente che non
è serena, che non accetta il proprio limite, che crede di aver trovato qualcuno che vale meno di
loro, e pensano che questo risolva tutti i problemi.
Sono arrivata a provare una fatica tale che spesso la mia emotività non regge, e crollo, magari facendo pena a qualcuno. Nonostante tutto questo dolore io so di esserci, e mi farebbe tanto piacere che qualcuno si accorgesse che la mia dignità non è inferiore a quella degli altri. Nella
mia stanchezza chiedo sempre a Gesù di sostenermi. Solo una cosa posso fare, amare quelli che
fanno più fatica di me e sono più soli di me. Le chiedo solo una preghiera. Se per caso avesse
tempo di rispondermi, mi farebbe molto piacere, sarebbe per me “una carezza del Nazareno”. La
ricorderò sempre nella preghiera perchè il Signore la sostenga nella prova della malattia.
Mi sentivo uno
Carla
A
e
tutte sono cariche di disperazione.
Molte di esse, come quella di Carla,
spesso sono piene di una giusta e comprensibile pretesa anche nei miei confronti, perché
quando si sta male, si sta male. Perciò, chiedo
perdono a questa ragazza.
Da dove nascono questi drammi, come il rifiuto di sè stessi o perfino dei propri figli? Evidentemente dalla pazzia e dal diavolo, se mi
permettete il giudizio che do per l’esperienza che vivo. Certamente la pazzia è la ragione
principale; questa si sviluppa e cresce lì dove
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mici, mi giungono tante domande
| 26 marzo 2014 |
|
sgorbio della natura,
un complessato.
solo La certezza granitica della fede
mi ha fatto vincere
le ossessioni.
e in questo modo
Dio ha costruito
un’opera che commuove
i semplici di cuore
La benedizione
di don Aldo
a una paziente
della clinica
domina il deserto della solitudine, dove non
c’è più spazio per la persona, per l’abbraccio
all’uomo. Io stesso se non mi fossi sentito abbracciato da don Giussani non avrei mai superato le ossessioni che avevo, che quasi mi
facevano prendere per il collo e strozzare chi
mi stava vicino. Ricordo bene che un tempo
avevo paura di prendere in braccio i bambini
perché d’improvviso nasceva in me un’ossessione che mi spingeva a volerli ammazzare.
Per grazia di Dio non è mai accaduto. E credetemi, non è una barzelletta: i fatti sono fatti e dobbiamo prenderli sul serio.
La pazienza di Cristo
Certe notizie non mi sorprendono più, anche
se provocano in me un dolore immenso perché ho camminato centimentro per centimetro su questa strada irta di spine. L’ho fatto
gridando perché Gesù mi liberasse. E questo
è accaduto. Eppure le conseguenze le sento
vibrare ancora vive su di me e spesso quan-
di Aldo Trento
non immaginate cosa
voglia dire avere la
depressione. quando
stavo molto male
avevo paura a TENERE
in braccio i bambini
perché mi veniva
voglia di gettarli
giù dalla finestra
do prendo in braccio i miei bambini nella mia
testa si incrociano certi pensieri che mi fanno
paura. Capisco perfettamente cosa è successo a quella povera mamma e provo un grandissimo dolore. Quel che è accaduto risveglia in me il ricordo di quegli anni in cui non
ho mai preso in braccio un bambino perché
mi veniva l’ossessione di tirarlo sulla parete o
gettarlo dalla finestra.
Mi permetto di scrivere questi fatti così personali perché possiate rendervi conto di
quanto tutto ciò sia possibile se si è vittime di
una gravissima depressione. Ho portato per
quasi venti anni questa croce e ancora adesso, certe volte, mi lascio prendere da queste angosce. La certezza granitica della fede, dell’essere abbracciato da Gesù, ha reso
possibile la vittoria. Una vittoria che mi sorprende perché ricordo benissimo come – fino
a pochi anni fa – ero triturato da queste ossessioni. Mi sentivo una merda maleodorante,
uno sgorbio della natura, complessato e fru-
strato. Eppure mentre lottavo senza tregua
con queste ossessioni, Dio ha fatto quest’opera che commuove il mondo dei semplici di
cuore. Dio interviene sempre nella pazienza,
mediante l’abbraccio tenero di una persona.
Se quella donna fosse stata amata e abbracciata come lo sono stato io, non avrebbe fatto
quello che ha fatto.
Anche il diavolo interviene e in parte anche
lui è causa di questa pazzia. Con me vivono
due ragazzi: Pablo di 21 anni che studia medicina, e David di 9 anni. Ambedue sono passati da questa esperienza della possessione
diabolica. Tre anni fa Pablo si è trovato d’improvviso vittima di una gravissima depressione, con crisi di panico e la continua ossessione di voler uccidere la sua famiglia. Un giorno,
preso dalla rabbia, ha tentato di strangolare
il fratello maggiore che ha potuto salvarsi solo perché Dio gli ha dato la forza di fermarlo. Era talmente sconvolto che per riuscire a
riposare chiedeva ai suoi genitori di stare a
dormire nel letto con loro. Un giorno è venuto ad Asunción dove c’era di passaggio un sacerdote che vive con gli indios ed è esorcista.
Gli ha chiesto aiuto e da quel giorno si è lasciato alle spalle quelle tremende crisi. Ora è
tranquillo e vive con me benché abbia ancora
spesso problemi di sonno.
L’altro bambino che vive con me è David.
Quando entrava in crisi, nemmeno due uomini riuscivano a trattenerlo per la forza con cui
si agitava. La sera, quando lo mettevo a letto,
era preso dalla disperazione e colpendo il materasso gridava piangendo: «Diavolo, lasciami stare. Non voglio fare quello che tu mi dici
perché io sono di Gesù». Dalla bocca gli usciva la schiuma fino a quando si addormentava
estenuato. Una domenica ho deciso di battezzarlo e da quel giorno è libero e docile come
un agnellino. Immagino che molti rideranno di
quanto ho scritto, però dovete credermi perché l’ho vissuto sulla mia pelle e l’ho visto sui
volti dei miei ragazzi.
L’ultima arrivata in casa
In questi giorni, un giudice di Asunción ha
mandato qui una ragazza che oltre ai mille
problemi che ha, si divertiva a giocare con la
magia nera. Le conseguenze di questo divertimento furono tre tentati suicidi e il gusto masochista di tagliarsi le braccia con un coltello affilato. È da un mese che vive qui con noi;
come una figlia mi vuole un bene immenso.
Anche lei è stata liberata dall’abbraccio di un
padre, e ora è contenta, è serena. L’accettazione di sé è fondamentale, ma questa è possibile solo mediante un abbraccio, come è accaduto nella mia esperienza. Senza queste
braccia misericordiose tutto è possibile. Anche il fatto che una madre uccida tutti i suoi
figli. È tempo di svegliarci dal nostro comodo
e frustrante borghesismo.
[email protected]
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| 26 marzo 2014 |
53
LETTERE
AL DIRETTORE
Se il confessore timbra
il cartellino, l’assessore
prete timbra l’aborto
C
ommovente l’articolo del dottor
Totò Cuffaro a cui
va tutta la solidarietà. Sono sicuro che egli è vittima
di un esagerato accanimento giudiziario, per non dire di peggio. Incomprensibile che proprio questa persona
non sia stata almeno affidata ai servizi sociali.
Pietro Ferretti via internet
L’associazione esterna di stampo mafioso è un mostro
giuridico ma è anche un piatto tipico di Palermo. L’unica metropoli al mondo che vive di
attrazione turistica giudiziaria.
2
Ho appena telefonato alla delegata alle Pari opportunità del Comune di Milano per protestare contro lo
sfacciato uso ideologico delle istituzioni. Mi sembra inconcepibile che si
usi un ufficio comunale per fare propaganda a favore delle leggi francesi e contro quelle spagnole, per sostenere manifestazioni pubbliche di
parte e per promuovere revisioni della legge 194 in senso meno restrittivo. Sulla pagina del sito del Comune
dedicata alla “delegata alle pari opportunità” Francesca Zajczyk si legge
infatti, ad esempio, a proposito della legge francese sulle pari opportunità: «Riformula poi il testo della legge
sull’interruzione volontaria di gravidanza, eliminando il concetto di forte
disagio e permette quindi di accedere all’aborto senza il famigerato presunto pericolo psicologico o fisico per
la donna. Tutto il contrario della leg-
ge spagnola, contro cui ci batteremo
e manifesteremo proprio sabato!!!!!
Speriamo sia un vero passo avanti
nell’introdurre la VERA parità di trattamento uomo-donna, e non un provvedimento che resti solo sulla carta».
Una roba indegna! Angelo Mandelli via internet
Milano aspetta l’Expo per ritrovare un po’ di attrazione turistica alimentare invece che ideologica.
Leggendo il cardinale Walter Kasper
con la sua prassi pastorale che vorrebbe oscurare il Sacramento e il modo con cui di fatto viene presentato
l’evento Sinodo al di là delle dichiarazioni di cartello, mi sono chiesto come mai san Giovanni Battista non ha
adottato una posizione kasperiana di
apertura e di prassi pastorale diversa nei confronti di Erode e come mai
1500 anni dopo un certo san Tommaso Moro ancora si ostinava come il
di Fred Perri
ARIECCO FANTANTONIO
O
gni volta che sento parlare di Antonio Cassano mi
viene in mente quel passo dei Salmi che dice:
«Non mi sono seduto tra le brigate dei buontemponi». Cassano è un grande giocatore. Un dirigente che
l’ha avuto a bottega mi ha spiegato che è l’unico calciatore che ha la vista dall’alto sul campo. Cassano gioca come se stesse in tribuna e vede tutto, per questo fa
54
| 26 marzo 2014 |
|
aperture, assist, gol che sono impossibili per altri. Bravo. Ma non è un campione. Un campione si giudica da
altri particolari, come direbbe un profeta contemporaneo. Un campione non fa show, le sue battute sono limitate, il suo repertorio comico non si avventura oltre
certi recinti, il suo rispetto per il prossimo e per i compagni è fondamentale componente per fare gruppo. La
Foto: Ansa
Malinconia preventiva per la mancata
convocazione di Cassano al Mondiale
[email protected]
Battista a non aprirsi a una prassi pastorale di tipo kasperiano verso Enrico VIII Tudor, e così con lui anche
dei certosini dotati evidentemente di
scarsa fantasia pastorale, e anche il
vescovo Fisher…Si perché pare che
per difendere il sacramento del matrimonio per noi siano stati decapitati. Anzi, il vescovo e i monaci inglesi «hanged, drawned and quartered»,
impiccati, trascinati vivi per le strade
con le braccia legate ai cavalli e infine
squartati vivi. E tutto ciò perché hanno sbagliato la prassi pastorale? Fabio Sansonna Monza
Mi pare che il Caffarra-Kasper di
sabato 14 marzo al Foglio-Bernabéu
sia finita due a zero.
2
Con riferimento al taglio delle aliquote Irpef-Irap , vi è chi documenta che
la voce più penalizzante per imprese e
lavoratori è quella dei contributi Inps. Bruno Mardegan Milano
Una bella gara. Però l’Irap è proprio
un piatto tipico del socialismo reale,
lo Stato prende il “pizzo” sul lavoro.
2
Nel giro di pochi giorni Tempi con
Mamma e papà e il Foglio con “Maschio e femmina”. Dal testo di Grygiel
sul libretto del Foglio : «Ogni realtà
viene micidialmente colpita dalle parole il cui contenuto non le appartiene e
le viene imposto. Le parole contraffatte incatenano la realtà alle cose che le
sono estranee. È ciò che oggi succede alla realtà del matrimonio e della
famiglia». Mi è tornato alla mente un
Lacrime irrefrenabili di fronte a Giovanni Paolo II
Grazie per averci dato Wojtyla
il papa che ha abbattuto i falsi idoli
CARTOLINA DAL PARADISO
di Pippo Corigliano
S
Costanza Miriano per quattro trasmissioni su Giovanni Paolo II per RaiDue. In sala di montaggio do spettacolo mio malgrado. Appena appare Wojtyla sento un’emozione particolare e dopo qualche minuto mi
scendono lacrime irrefrenabili. Una collaboratrice provvede a un mazzetto di fazzoletti di carta. Giovanni Paolo II è stato un dono di Dio ed è anche un pezzo della vita
di ciascuno di noi: a lui sono legati ricordi, conversioni, aperture della mente e spettacoli della fede che hanno lasciato un segno duraturo. Fin dall’inaugurazione del
Pontificato, in quell’ottobre del ’78, percepimmo che stava iniziando un capovolgimento. La Chiesa sembrava assediata culturalmente, spiritualmente e anche politicamente ed ecco che il capo degli assediati gridava con voce potente, non ai suoi ma
agli assedianti: «Non abbiate paura! Spalancate le porte a Cristo!». Un vero contrattacco, una marcia che non è finita più, fino a quando il grande campione, il caro Papa,
con l’ultimo respiro ha smesso di insegnarci come si vive e come si muore. Prima di
lui la cultura dominante ancora offriva illusioni (basti pensare al mito del marxismo
e del ’68). Dopo di lui son caduti i falsi idoli. Il capitalismo selvaggio, l’individualismo
incapace d’amare, la sfrenatezza sessuale, il disprezzo della vita ora mostrano il loro
volto effimero e malvagio. Le folle di giovani mobilitate da lui continuano a seguire
i suoi successori con l’entusiasmo dell’amore. Grazie Signore per averci dato Karol!
to collaborando con
2
tellino “sportello chiuso”. Te ne fai una
ragione (e uscendo mandi qualche maledizione). Ben diverso se entri in una
chiesa cercando un confessore e dopo aver atteso un po’ ti senti rispondere con un’espressione imperturbabile: «Ma alle 11.00 io devo chiudere!».
Guardo l’orologio: segna le ore 10.47.
Alex Marongiu-Satta Ittiri (Ss)
Penso sia capitato a tutti di far la fila
all’ufficio postale e quando chiamano
il tuo numero, l’impiegata gira il car-
Periferie esistenziali con timbro del
cartellino.
verso del famoso quinto canto dell’Inferno, «libito fé licito in sua legge» Felice Ciccioli via internet
Ma sulla via dei Sir Daniel che sanno più di legge che d’onestà ci sarà
sempre un John Aggiustatutto.
Foto: Ansa
SPORT ÜBER ALLES
carriera di Fantantonio è stata un’eterna altalena, su
giù, su giù. Le discese poco ardite e le risalite.
Perché sto parlando di lui? Perché siamo di nuovo
a discutere della sua convocazione al Mondiale. Dopo
essere stato allontanato da Milan e Inter (dalla prima
se n’è andato scaricando su Galliani, dalla seconda
su Mazzarri), sta facendo un grande campionato nel
Parma. Per cui arieccolo. Ma questa volta Prandelli
non lo porterà. Già deve imbarcare sull’aereo Balotelli, Cassano no. E poi i compagni azzurri, questa volta
non lo vogliono. Però, che malinconia. Avevamo grandi attaccanti, ora l’unico che si propone come punta è
questo Matteo Renzi.
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| 26 marzo 2014 |
55
taz&bao
Ragiona
Occidente
«In una democrazia si esce dalle crisi più
drammatiche ragionando. In questo paese
(Stati Uniti, ndr) non si ragiona. Tutto quello
che c’è sono persone che dicono che Putin è un
illuso. È questa la nuova linea? Che Putin è un
illuso? No. Gli illusi sono le persone che dicono
che è Hitler. Se lui è Hitler, questa è Monaco. E se
questa è Monaco, allora dobbiamo dichiarargli
guerra domani, giusto? Sappiamo collegare i
pensieri uno con l’altro? No. Siamo preda di una
folle sindrome secondo cui Putin è il peggiore
tizio che abbiamo mai visto, quando tutto ciò
che ha fatto è stato in realtà di rimettere in piedi
la Russia. Amavamo Yeltsin perché era ubriaco
e diceva di sì a tutto. Adesso abbiamo di fronte
un tizio sobrio che ha intenzione di difendere
gli interessi russi, giusti o sbagliati che siano.
È quello che i leader nazionali sono chiamati a
fare. E i diplomatici sono chiamati a intavolare
trattative e a trovare una soluzione».
Stephen Cohen Newsweek, 10 marzo 2014
56
| 26 marzo 2014 |
| Festa a Sebastopoli per il referendum del 16 marzo sull’annessione della Crimea alla Russia: vittoria schiacciante dei voti favorevoli (foto: Corbis)
MISCHIA
ORDINATA
L’AEREO MALESE SPARITO
Il Boeing e il tremendo mistero
di quei 239 corpi mancanti
di Annalisa Teggi
«La nostra persona/ più grata fia per esser tutta quanta» (Paradiso, canto XIV)
M
io marito era in volo per l’India,
quando ho sentito la notizia di un
Boeing scomparso dai tracciati radar. La frazione di secondo che il cronista ha
impiegato per dire che era successo in Malaysia, mi è sembrata eterna. Forse è per questo
che poi ho seguito gli aggiornamenti sulla vicenda in modo meno distratto del solito. Fino al momento in cui scrivo, il mistero più
fitto rimane sulla sorte di quel volo partito l’8 marzo da Kuala Lumpur
e mai arrivato a Pechino. E a Di un morto diciamo che «è mancato», ma è più
questo si è aggiunto anche il terribile dire “mancante”; il participio presente
pasticcio sulle identità: passa- lascia aperta la ferita, non chiude la speranza
porti trafugati, persone date
per disperse che in realtà non si trovavano se Veglia dalla trincea di guerra: «Un’intesull’aereo. Identità incerte, un gigantesco ae- ra nottata/ buttato vicino/ a un compagno/
reo scomparso, 239 corpi mancanti.
massacrato/ con la sua bocca/ digrignata/ volIl mistero suscita curiosità, genera ogni ta al plenilunio/ con la congestione/ delle sue
sorta di congetture. Ma il risvolto più deli- mani/ penetrata/ nel mio silenzio/ ho scritto/
cato e tremendo della cosa, a me pare quel- lettere piene d’amore./ Non sono mai stato/
lo dei corpi mancanti. Missing. Di un morto tanto/ attaccato alla vita». Tutto è così trediciamo che «è mancato», ma quanto è più mendamente carnale, che non può che fioterribile dire che è mancante; perché il par- rirne un anelito di piena e robusta speranza.
ticipio presente lascia aperta la ferita, proE noi, invece, viviamo in un tempo paratrae indefinitamente l’attesa, non chiude la dossale, in cui si loda il carnale senza reggesperanza, e dunque impedisce che subentri re lo scandalo del corpo: per il corpo malala coscienza della perdita. In assenza di un to c’è l’eutanasia, per i difetti del corpo c’è
corpo, come si fa ad attraversare e superare la chirurgia estetica, per ovviare a compliun lutto? Mi spiazza sempre quel verso in cui cate risposte sul sesso si toglie il maschile
san Francesco loda Dio anche «per sora no- e femminile. Ma se i corpi svaniscono nella
stra morte corporale»; non riesco a stare al loro complessa materialità, anche il nostro
passo con lui, ma intuisco che si riferisca al- volo rischia di essere missing, un viaggio di
la gigantesca dignità che ha il nostro corpo, identità mancanti. Nel Paradiso Dante ricee al fatto che la completezza spirituale di uo- ve la conferma da re Salomone che, dopo il
mo passa attraverso ogni fragile esperienza Giudizio Universale, la nostra anima ricondella sua carne.
giungendosi al corpo sarà più luminosa, perE così, per quanto suoni terribile dirlo, ché solo allora la persona sarà intera. Udenstare al cospetto di un cadavere ci è neces- do questo le anime degli altri beati esultano
sario per piangere una morte; perché il do- di gioia, ma non tanto per se stessi: «che ben
lore nella sua durezza è capace di farci chie- mostrar disio d’i corpi morti: forse non pur
dere l’eterno riposo, sentendo chiaramente per lor, ma per le mamme, per li padri e per
che non si tratta di una litania per bigotti. li altri che fuor cari». Che pienezza sarebbe
L’eternità dell’anima è profondamente ine- se non ritrovassi in cielo i tratti precisi dei
rente alla finitezza del corpo. Ungaretti scris- volti che ho amato sulla terra?
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| 26 marzo 2014 |
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