UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PADOVA DIPARTIMENTO DI SCIENZE ECONOMICHE ED AZIENDALI “M.FANNO” CORSO DI LAUREA IN ECONOMIA E MANAGEMENT PROVA FINALE “LA CULTURA DEL MIGLIORAMENTO CONTINUO: IL CASO CAREL INDUSTRIES” RELATORE: CH.MO PROF. ANDREA FURLAN LAUREANDO: MICHELE ORLANDIN MATRICOLA N. 1022097 ANNO ACCADEMICO 2013 – 2014 INDICE INTRODUZIONE ............................................................................................ 1 CAPITOLO I: CAREL INDUSTRIES SPA .................................................. 2 1.1. L’AZIENDA................................................................................................................. 2 1.1.1. Presentazione ......................................................................................................... 2 1.1.2. Mission e order winning factors ............................................................................ 2 1.2. TRASFORMAZIONE LEAN ........................................................................................ 4 1.2.1. Il piano di cambiamento ........................................................................................ 4 1.2.2. I 5 principi del Lean Thinking ............................................................................... 5 1.2.3. Il cambiamento organizzativo ............................................................................... 7 CAPITOLO II: LA CULTURA DEL MIGLIORAMENTO CONTINUO.................................................................................................... 10 2.1. GLI INSEGNAMENTI DI TOYOTA .......................................................................... 10 2.1.1. Il kata del miglioramento..................................................................................... 10 2.1.2. Il kata del coaching .............................................................................................. 13 2.1.3. Spunti di riflessione ............................................................................................. 14 2.2. IL CASO CAREL INDUSTRIES ................................................................................ 14 2.2.1. Strategia: dall’Hoshin Kanri all’X-Matrix .......................................................... 14 2.2.2. Problem solving: il ciclo PDCA .......................................................................... 19 2.2.3. Complementarietà Kaizen - Kaikaku .................................................................. 22 2.2.4. I gruppi di miglioramento .................................................................................... 23 2.2.5. Coaching .............................................................................................................. 28 2.2.6. I team di progetto................................................................................................. 30 CAPITOLO III: PROGETTO DI MIGLIORAMENTO “GESTIONE INTEGRATA DEI CORRIERI”................................................................... 32 3.1. PLAN ......................................................................................................................... 33 3.1.1. As is ..................................................................................................................... 33 3.1.2. Problemi............................................................................................................... 37 3.1.3. To be .................................................................................................................... 38 3.2. DO ............................................................................................................................. 42 3.2.1. Il Visible Planning ............................................................................................... 42 3.3. CHECK ..................................................................................................................... 45 3.4. ACT ........................................................................................................................... 46 3.4.1. Il prossimo step .................................................................................................... 46 CONCLUSIONI ............................................................................................. 49 RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI E SITOGRAFICI ................................ 51 RINGRAZIAMENTI ..................................................................................... 53 INTRODUZIONE “Non possiamo pretendere che le cose cambino, se continuiamo a fare le stesse cose… L’inconveniente delle persone e delle nazioni è la pigrizia nel cercare soluzioni e vie di uscita (Albert Einstein). In tempi di crisi il problema di fondo per molte aziende è la riluttanza al cambiamento. Il cambiamento comporta instabilità ed incertezza, poiché rappresenta l’abbandono della quotidianità e delle certezze accumulate negli anni. Spesso le imprese preferiscono stare a guardare adottando una rischiosa modalità di attesa, autocondannandosi così al fallimento. Fortunatamente esistono altre realtà che invece innovano continuamente e migliorano giorno per giorno: una di queste è Carel Industries. Il seguente elaborato mira a descrivere la centralità della cultura del miglioramento continuo al fine di realizzare una trasformazione lean di successo. Sviluppare una “mentalità da Kaizen” consente infatti di avanzare passo dopo passo verso gli obiettivi di lungo periodo, adattandosi continuamente alle mutevoli condizioni del contesto competitivo. Nel capitolo 1 si presentano l’azienda Carel, la sua mission e i fattori critici di successo. Si descrive inoltre il piano di cambiamento in ottica lean. Il capitolo 2 rappresenta il cuore dell’elaborato e tratta il tema del miglioramento continuo mediante un confronto fra Carel e Toyota, la madre della produzione snella. Il primo paragrafo descrive il kata del miglioramento e il kata del coaching, le routine fondamentali grazie a cui Toyota migliora costantemente. Il secondo paragrafo è invece dedicato al caso Carel Industries e ne illustra i modelli di riferimento, nonché la loro applicazione mediante gli strumenti che ne derivano. Il capitolo 3 infine, descrive un progetto di miglioramento realizzato durante l’esperienza di stage in azienda. L’obiettivo è quello di riconfigurare l’intero processo di spedizione, in modo da rimuoverne gli sprechi. Si tratta di un esempio pratico che consente di evidenziare il metodo, il modo di pensare e di agire, attraverso i quali Carel migliora i propri processi. 1 CAPITOLO I: CAREL INDUSTRIES SPA 1.1. L’AZIENDA 1.1.1. PRESENTAZIONE Carel Industries S.p.A. nasce nel 1973 a Brugine, in provincia di Padova, ed attualmente rappresenta una delle più importanti realtà a livello mondiale nei settori della refrigerazione, del condizionamento e dell’umidificazione dell’aria, specializzata nella realizzazione di sistemi di regolazione, supervisione e telegestione. L’azienda possiede 14 filiali commerciali sparse in tutto il mondo, le quali operano direttamente per l’area geografica di loro competenza rispondendo gerarchicamente all’headquarters di Brugine. Oltre a ciò, sono in essere rapporti commerciali privilegiati con 7 società affiliate, coordinate dalle filiali. Gli stabilimenti produttivi sono 5, situati a Brugine, Suzhou (Cina), San Paolo (Brasile) e Manheim (USA). La crescita negli anni è stata costante sotto tutti i punti di vista: fatturato, quota di mercato e numero di dipendenti. Il fatturato consolidato del 2013 sfiora i 170 milioni di euro, mentre il personale ammonta oggi a circa 1000 unità. Carel opera nel mercato Business-to-Business e i suoi principali clienti sono grandi OEM (Original Equipment Manufacturer), VAR (Value Added Reseller) e installatori; senza contare i numerosi clienti finali degli impianti di umidificazione, nonché i supermercati per quanto concerne la refrigerazione e il condizionamento. 1.1.2. MISSION E ORDER WINNING FACTORS La mission esplicitata dall’azienda è la seguente: “Carel offre soluzioni innovative nell’umidificazione e nei sistemi di controllo per il mercato HVAC/R sforzandosi di anticipare le necessità dei propri clienti, permettendo loro di ottenere risultati di livello superiore attraverso soluzioni personalizzate. Ciò significa migliorare la propria expertise nelle varie applicazioni usando tecnologia all’avanguardia e operando con un approccio globale, al fine di essere riconosciuta leader di mercato.” 2 L’obiettivo è quello di presidiare e supportare i mercati mediante una rete di vendita il più possibile diretta a livello mondiale. Una delle linee strategiche più efficaci dell’azienda è infatti quella di agire localmente con un approccio globale, secondo il principio “think global, act local”. La ricerca di una collaborazione stretta con il cliente e la creazione di un team interno che gestisca la coprogettazione, è la soluzione che permette all’impresa di mantenere relazioni durature con i propri interlocutori, producendo un costante stimolo alla ricerca di un miglioramento continuo. Non a caso “Customer first – Il Cliente prima di tutto” è il primo valore dell’organizzazione e corrisponde alla prima lettera dell’acronimo Carel. La figura a fianco riassume i valori su cui l’azienda si fonda ed è presente sulle pareti di tutti gli stabilimenti, in modo da orientare ogni membro del gruppo verso la medesima direzione. L’innovazione è invece confermata dai grandi investimenti in Ricerca e Sviluppo (oltre il 6% del fatturato nel 2013) e dal fatto che circa il 20% del personale opera nello staff dedicato. Fiore all’occhiello della ricerca Carel è il Centro Sperimentale Termodinamico, diretto personalmente dall’Amministratore Delegato del gruppo, l’Ing. Luigi Nalini. Gli aspetti più importanti della recente attività di R&D riguardano il tema del risparmio energetico, attuato mediante una gestione coordinata e intelligente delle apparecchiature. Sotto questo aspetto, occorre sottolineare l’importanza esercitata dal cosiddetto “distretto del freddo”, attualmente uno dei maggiori del mondo. Nel territorio circostante le numerose imprese che operano nel settore delle macchine frigorifere contribuiscono infatti allo sviluppo dell’azienda, la quale trova fra loro non solo fornitori e clienti, ma soprattutto l’ambiente migliore per la crescita e l’innovazione. Oltre all’elevata flessibilità e all’innovazione costante, le esigenze espresse dal mercato HVAC/R (Heating Ventilation Air-Conditioning Refrigeration) riguardano standard di qualità sempre più elevati e tempi di consegna sempre più ridotti. Riassumendo quindi, gli “order winning factors”, ovvero i fattori competitivi critici per raggiungere il successo nel business di riferimento (Slack, Chambers e Johnston, 2010), risultano: - Flessibilità: da un lato consente l’elevata personalizzazione dei prodotti (mix flexibility), dall’altro agevola l’innovazione (product flexibility); 3 - Qualità: consente di fornire prodotti senza difetti; - Velocità: permette di avere un lead time breve e di conseguenza di aumentare il livello di servizio per il cliente. 1.2. TRASFORMAZIONE LEAN 1.2.1. IL PIANO DI CAMBIAMENTO Per rispondere alle criticità del mercato di riferimento, l’azienda avvia nel 2007 un piano di cambiamento in ottica lean. La Lean Production rappresenta un nuovo modo di concepire la produzione, atto a conferire una maggiore flessibilità all’impresa attraverso una radicale riconfigurazione del flusso del valore. Il pensiero alla base della filosofia lean è racchiuso nella seguente frase: “a way to do more and more with less and less – less human effort, less equipment, less time and less space – while coming closer and closer to providing customers with exactly what they want” (Womack e Jones, 2003, pag.15). Occorre sottolineare che nel momento in cui viene avviata la trasformazione, le performance del gruppo sono già buone. Carel tuttavia, adottando una visione di lungo periodo, vede in tale cambiamento l’opportunità di ottenere in futuro un vantaggio competitivo nei confronti dei concorrenti. Il vertice, dopo aver constatato che il nuovo modello si adatta molto bene al contesto nel quale l’impresa si trova ad operare, decide di effettuare una completa riorganizzazione adottando un approccio sistemico. La trasformazione compiuta dell’azienda può essere suddivisa in tre fasi: Strumenti: nella prima fase vengono applicati i 5 principi fondamentali del Lean Thinking, nonché le tecniche che ne derivano (Kanban, 5S, Heijunka, SMED, ecc.). Sistema: la seconda fase rappresenta un vero e proprio cambiamento organizzativo, segnato dal passaggio da una struttura gerarchico-funzionale ad una matriciale, fatta di processi e Centri di Competenza (CDC). Cultura: l’ultimo passaggio, considerato il più difficile, riguarda la diffusione della cultura del miglioramento continuo a tutti i livelli dell’organizzazione. 4 I già buoni risultati e la mancanza di problemi che richiedano un intervento urgente, consentono di introdurre i principi della filosofia lean passo dopo passo. Ciò si dimostra un grande vantaggio in quanto permette alle persone di abituarsi gradualmente al nuovo modo di lavorare e di pensare. 1.2.2. I 5 PRINCIPI DEL LEAN THINKING Affinché la trasformazione abbia successo, l’azienda deve far propri i 5 principi del Lean Thinking: 1) VALUE Il valore può essere definito solamente dal punto di vista del cliente finale. Il compito dell’azienda è quello di capire ciò che conta per il consumatore in termini di caratteristiche del prodotto/servizio, in modo tale da fornire un output in grado di soddisfare esattamente le sue esigenze. 2) VALUE STREAM Il flusso di valore per un dato prodotto consiste nell’insieme di azioni necessarie per trasformare le materie prime in prodotto finito. L’analisi del flusso di valore permette di distinguere le attività in tre tipologie: 5 - Attività a valore, le quali generano un valore percepito e riconosciuto dal cliente, disposto a pagare perché siano effettuate; - Attività non a valore ma necessarie, che pur non conferendo valore al prodotto sono obbligatorie per l’impresa; - Attività non a valore, cioè sprechi eliminabili immediatamente. La Lean Manufacturing è prima di tutto un sistema per l’eliminazione degli sprechi e la mappatura dei flussi consente di metterne in luce enormi quantità. 3) FLOW Dopo aver indentificato il valore per il cliente, mappato il flusso per un dato prodotto o famiglia di prodotti ed eliminato le attività inutili, è necessario far scorrere senza interruzioni le restanti attività a valore. Il pensiero snello rovescia il tradizionale modo di ragionare a lotti che implica scorte lungo il processo, forte specializzazione dei dipendenti e alti lead time, in favore di un flusso continuo. I compiti infatti, possono quasi sempre essere eseguiti in modo più efficiente se il prodotto viene lavorato ininterrottamente dalla materia prima al prodotto finito. L’obiettivo è quello di eliminare le scorte di processo, rendere gli operatori multifunzionali e ridurre il lead time. 4) PULL La produzione deve essere subordinata all’effettivo manifestarsi della domanda. Bisogna produrre ciò che vuole il cliente nel momento in cui lo richiede e nella quantità voluta. Nessuna attività deve essere intrapresa senza una specifica richiesta del cliente. Oggi questo diventa fondamentale di fronte ad una domanda sempre più instabile, non solo dal punto di vista quantitativo, ma anche sul piano della volatilità delle preferenze. 5) PERFECTION Il Lean Thinking non prevede alcun tipo di benchmark con i concorrenti, occorre puntare direttamente alla perfezione. Questa rappresenta una provocazione, una sfida che deve essere interpretata nel senso di miglioramento continuo (Kaizen in giapponese). Una volta eliminati gli sprechi il processo deve ripartire per cercarne di nuovi, in modo da migliorare ancora. 6 1.2.3. IL CAMBIAMENTO ORGANIZZATIVO In Carel i 5 principi del Lean Thinking si traducono in linee guida organizzative quali: Forte orientamento ai processi e non alle funzioni; Ottimizzazione continua dei processi; Obiettivi trasversali di tempo, costo e qualità per il cliente; Rapidità decisionale, decentramento delle responsabilità; Integrazione tra le unità; Interfunzionalità delle persone; Organizzazione “corta”, vicina all’azione. L’applicazione della filosofia lean non è indifferente all’organizzazione generale dell’azienda, la quale deve essere reattiva e flessibile, quindi piatta e multilivello (Graziadei, 2006). Questo spinge Carel a realizzare un secondo step fondamentale dopo l’applicazione dei principi e delle tecniche snelle, ovvero un radicale cambiamento della propria struttura organizzativa. La trasformazione è guidata da un comitato Commitee) direttivo (Steering che progetta l’evoluzione dell’impresa secondo le linee guida dettate dalla lean, disegna le strategie di mercato e tecnologiche, alloca le risorse ai vari flussi. Il comitato supervisiona i Value Team, che con il loro lavoro mettono in pratica il cambiamento. A supporto dei team vi è il Lean Development Office (LDO), formato da “esperti lean” che hanno il compito di facilitare l’assimilazione della nuova filosofia. Il LDO ha quindi il ruolo di insegnante e di guida nei confronti delle altre figure presenti in azienda. Per rendere i processi più snelli e flessibili è necessaria una trasformazione dalla tradizionale organizzazione per funzioni ad una struttura matriciale, composta da processi e Centri di Competenza. Come si nota dalla figura sottostante, l’organigramma funzionale precedentemente adottato da Carel presenta delle barriere, tali per cui il valore giunge al cliente con difficoltà. 7 Ogni funzione infatti, guarda al cliente solamente dal proprio punto di vista e si concentra unicamente sui propri obiettivi. Emerge una difficoltà nella comunicazione tra i reparti, così come nello scambio di informazioni. La soluzione adottata da Carel è quindi una struttura per processi in cui le funzioni non scompaiono ma diventano Centri di Competenza, mentre a sparire sono le barriere tra esse. Ora il valore fluisce verso il cliente senza difficoltà mediante i processi, gestiti da un “Process Owner”. I Centri di Competenza forniscono invece le proprie conoscenze tecniche specialistiche. Oltre al flusso di valore dunque, anche la comunicazione è più efficace e le informazioni si diffondono più velocemente. La crescita professionale diventa specialistica/verticale nei CDC e manageriale/orizzontale lungo i processi. 8 Il risultato di questa riorganizzazione è rappresentato nella figura seguente: Nell’attuale organigramma di Carel sono presenti tre unità di staff (Risorse Umane, Finanza e Organizzazione) e tre macro-processi (Sviluppo prodotto, Operations, Marketing e vendite) che racchiudono i vari sotto-processi. Il vertice aziendale è costituito dal Consiglio di Amministrazione ma la guida vera e propria di tutto il gruppo è affidata al Direttore Generale, a cui devono afferire le varie unità di staff e i processi operativi. In particolare, nell’Organization si collocano la Qualità e il Lean Development Office. La nuova struttura favorisce pertanto la collaborazione tra i suoi membri, i quali potendo gestire l’intero processo propongono soluzioni migliori. Tutti lavorano insieme per raggiungere obiettivi comuni, senza più il vincolo delle barriere funzionali. 9 CAPITOLO II: LA CULTURA DEL MIGLIORAMENTO CONTINUO 2.1. GLI INSEGNAMENTI DI TOYOTA 2.1.1. IL KATA DEL MIGLIORAMENTO “Non c’è genialità alla Toyota; facciamo soltanto quel che crediamo sia giusto, cercando di migliorare ogni giorno qualcosa, passo dopo passo. Ma quando piccoli miglioramenti si accumulano per 70 anni, diventano una rivoluzione” (Katsuaki Watanabe – Ex Presidente Toyota). Lo step più difficile, ma allo stesso tempo più importante per realizzare una trasformazione lean di successo, riguarda la diffusione della cultura del miglioramento continuo a tutti i livelli dell’impresa. Molte aziende implementano in maniera ottimale le tecniche lean, tuttavia non ottengono gli incrementi di performance sperati. I “tools” infatti, sono molto semplici da applicare e soprattutto sono universali, replicabili in qualsiasi tipo di organizzazione (Womack, Jones e Roos, 1993). Allora perché nessuno riesce ad avvicinarsi ai livelli di performance dell’azienda nipponica? Il motivo risiede nel fatto che gli strumenti sono solo la parte visibile del sistema manageriale Toyota, mentre le routine di pensiero e di azione che vi stanno alla base rimangono totalmente invisibili. Il suo vero vantaggio competitivo non è dato dall’utilizzo di tecniche particolari, bensì dalla capacità del sistema e delle persone di adattarsi velocemente alle condizioni del mercato. È la cultura del miglioramento continuo la fonte del suo successo, la quale a differenza delle tecniche non può essere copiata dall’esterno. Ecco spiegato il motivo per cui l’azienda apre continuamente le sue porte, anche di fronte ai concorrenti. Molto probabilmente i manager scuoteranno la testa e si chiederanno perché gli ospiti siano interessati alle soluzioni sviluppate per i loro problemi specifici che, non appena si verifica un cambiamento nel mercato, potrebbero non essere più efficaci. Bisognerebbe invece concentrarsi sui mezzi, non sui risultati, e cercare di capire come fa Toyota a sviluppare quelle contromisure. Focalizzarsi sulle soluzioni e adottare un orientamento all’implementazione non rende adattiva un’organizzazione, anzi impedisce l’evoluzione e lo sviluppo delle capacità delle persone. L’ambiente economico nel quale un’impresa si trova ad operare cambia continuamente. La strada da percorrere da dove si è a dove si vuole arrivare è una zona grigia, piena di problemi ed ostacoli che si scoprono solamente durante il percorso. Poiché non si può prevedere il futuro, la miglior cosa che si può fare è conoscere il metodo con cui affrontare il cammino. Il miglioramento continuo consiste proprio nell’abilità di muoversi verso uno stato desiderato attraverso un territorio ignoto e non prevedibile, essendo sensibili e reagendo alle reali 10 condizioni del terreno (Rother, 2010). Questa capacità di evoluzione e continuo miglioramento rappresenta forse la migliore garanzia per un vantaggio competitivo duraturo e per la sopravvivenza di un’impresa. Piccoli passi incrementali permettono di imparare lungo la strada, fare aggiustamenti e scoprire il percorso per raggiungere gli obiettivi. La sola innovazione tecnologica non è sufficiente per rimanere competitivi, in quanto non si realizza di frequente e può essere imitata dai concorrenti. Essa produce pertanto un vantaggio, ma temporaneo. Dopo poco tempo il processo tende di nuovo a degradare, scivolando indietro. Per tali ragioni l’unico modo per rimanere leader nel proprio business è combinare gli sforzi diretti all’innovazione con un incessante miglioramento continuo, che consente di evitare la regressione andando avanti, anche se per piccoli passi. Mike Rother, un ingegnere e ricercatore americano, nel suo libro “Toyota Kata” (2013) illustra il kata del miglioramento e il kata del coaching, le routine fondamentali attraverso cui Toyota sviluppa una mentalità e una cultura organizzativa basate sull’adattamento e il miglioramento continuo. “Kata” in giapponese significa abitudine, routine, modo di fare qualcosa. Il kata del miglioramento consiste in un processo articolato in 4 fasi: AVERE UNA VISIONE DI LUNGO TERMINE Una visione è una descrizione in senso ampio della condizione che si vorrebbe raggiungere nel futuro. È necessario che tutti i membri dell’organizzazione la abbiano ben chiara e che tutti siano indirizzati verso di essa. Una direzione di lungo periodo aiuta infatti a focalizzare il modo di pensare e di agire verso uno scopo. In assenza di ciò, le proposte verrebbero valutate in maniera del tutto indipendente, con il rischio che non risultino in linea con la visione. “Bisogna pensare alle grandi cose mentre si fanno quelle piccole in modo che tutte le piccole vadano nella giusta direzione” (Alvin Toffler). DEFINIRE LO STATO ATTUALE La definizione dello stato attuale avviene mediante l’analisi del processo. Tale analisi richiede di recarsi sul posto di lavoro e di mappare il flusso di valore, in modo da evidenziare eventuali sprechi. Occorre inoltre raccogliere tutte le informazioni necessarie per poter poi definire una condizione obiettivo appropriata. 11 La maggior parte dello sforzo di problem solving avviene in questa fase, al fine di capire le cause che hanno portato al problema. La comprensione della situazione attuale infatti, avviene in modo così profondo e diretto da far sì che la soluzione diventi praticamente ovvia. DEFINIRE LA CONDIZIONE OBIETTIVO Una condizione obiettivo descrive uno stato futuro desiderato, da raggiungere entro una determinata data e rappresenta fondamentalmente una risposta alla seguente domanda: “Come si vorrebbe che funzionasse il processo analizzato?”. Non è necessario che tale condizione sia da subito dettagliata, in quanto è possibile approfondirla man mano che si avanza, affrontando gli ostacoli e i problemi. UTILIZZARE IL PDCA PER RAGGIUNGERE LA CONDIZIONE OBIETTIVO Una volta definita la condizione obiettivo occorre superare gli ostacoli che si incontrano nel raggiungerla. A prescindere da quanto sia precisa la pianificazione, si deve necessariamente mettere in conto che la strada verso lo stato futuro non è del tutto chiara, è una zona grigia. Questo è del tutto normale, pertanto si devono fare degli aggiustamenti lungo il cammino. Poiché il percorso è incerto e non può essere previsto con certezza, occorre fare affidamento alla sperimentazione e al metodo scientifico. Il PDCA rappresenta infatti il mezzo per attraversare la zona grigia e caratterizza un’organizzazione che apprende. Ogni ostacolo superato lungo il cammino rappresenta una fase di apprendimento. Il kata del miglioramento consiste quindi in una sorta di PDCA “globale” che controlla il risultato, la cui fase DO è composta da tanti cicli PDCA molto brevi. Ogni passo in avanti verso la condizione obiettivo è un ciclo e allo stesso tempo un’esperienza. Le fasi vengono praticate ripetutamente fino a diventare naturali ed automatiche. Come insegna la psicologia, per acquisire nuove abitudini è preferibile fare pratica di determinati comportamenti per un breve periodo di tempo ma frequentemente, piuttosto che in sessioni più lunghe ma meno frequenti. 12 La regola secondo la quale si impara facendo, attraverso l’esperienza, ha dato origine al seguente modello di cambiamento: 2.1.2. IL KATA DEL COACHING Per instaurare e diffondere il kata del miglioramento in tutta l’organizzazione, è necessario che gli individui siano formati e assistiti da qualcuno che ne abbia già acquisito il metodo. Tale ciclo di insegnamento in Toyota viene chiamato kata del coaching e consiste in una sorta di dialogo tra maestro e allievo. Ad ogni dipendente è affidato un coach che funge da guida nella realizzazione di miglioramenti reali. L’azienda è convinta infatti che il modo migliore per apprendere non sia partecipare a corsi e seminari, bensì essere supportati attivamente durante l’esecuzione delle attività quotidiane. L’allievo quindi lavora sul problema, mentre il maestro ha il compito di farlo avanzare con il metodo prescritto dal kata del miglioramento. Elemento fondamentale di tale processo è che sia l’allievo stesso a scoprire le cose. Il maestro può insegnare in metodo ma deve accettare la soluzione sviluppata, anche nel caso in cui ve ne sia una più corretta. Condurre l’allievo verso una soluzione bloccherebbe la crescita delle sue capacità. L’obiettivo in Toyota non è quello di trovare subito la contromisura migliore, quanto piuttosto di sviluppare nelle persone la capacità di risolvere i problemi. Il punto chiave è che il livello raggiunto dall’allievo riflette la capacità attuale dell’organizzazione, e pertanto non deve essere nascosto. È fondamentale capire sempre il più chiaramente possibile qual è la vera condiziona attuale. Occorre infine sottolineare che, in Toyota, il kata del coaching non è un’attività affidata esclusivamente alla funzione Risorse Umane. È parte del lavoro di tutti i giorni in ogni area e sono i manager e i supervisori i primi a dover insegnare tale routine ai loro collaboratori. Ciò significa ovviamente che i manager devono essere i primi esperti nell’uso del kata del miglioramento. 13 2.1.3. SPUNTI DI RIFLESSIONE In Toyota il modo in cui agire per portare avanti il processo di miglioramento è definito dal kata, mentre l’oggetto del miglioramento è aperto e varia in base a ciò su cui si sta lavorando. In parte è l’opposto dell’approccio seguito dalle aziende che cercano di imitarla. Queste ultime infatti definiscono l’argomento, ovvero le tecniche lean come i sistemi Kanban o Heijunka, lasciando poi ciascuno decidere autonomamente sul metodo con cui muoversi per migliorare. L’implementazione delle tecniche snelle è sicuramente necessaria per implementare la filosofia lean, ma non sufficiente per realizzare una trasformazione snella di successo che garantisca un vantaggio competitivo nel lungo periodo. Per questo occorre cambiare gli schemi di ragionamento e di comportamento delle persone, sviluppando un’attitudine al problem solving e al miglioramento continuo. Ciò significa cambiare la cultura dell’impresa e questo ovviamente richiede tempo. Bisogna spostare l’attenzione dagli strumenti alle persone, passando dall’approccio di General Motors del XX secolo: “il nostro business non è fare automobili, ma fare soldi”, a quello che da sempre ispira Toyota: “produciamo persone, prima di produrre automobili”. Per questo compito non esiste una spiegazione valida per ogni organizzazione (Rother, 2013). Nessuno può fornire direttamente la soluzione perché, come succede nel caso di qualsiasi condizione obiettivo impegnativa, la strada per raggiungerla è rappresentata da una zona grigia. Ogni azienda deve sperimentare e costruire il sistema più adatto alla sua specifica situazione. L’unica cosa universale e replicabile in qualunque contesto è il metodo scientifico utilizzabile per attraversare quella zona grigia: il ciclo PDCA. 2.2. IL CASO CAREL INDUSTRIES 2.2.1. STRATEGIA: DALL’HOSHIN KANRI ALL’X-MATRIX Come insegna Toyota, il primo requisito fondamentale per sviluppare il kata del miglioramento è avere una visione di lungo periodo, in modo da allineare gli sforzi di tutti in un’unica direzione. Una delle maggiori difficoltà che oggi si riscontrano nelle grandi aziende tuttavia, è quella di riuscire a mantenere un legame diretto fra la strategia sviluppata dal top management e l’attività operativa. Il problema diventa ancora più critico se lo scopo è quello di diffondere in tutta l’organizzazione la cultura del miglioramento continuo. Se ciascun dipendente non segue l’esempio proveniente dall’alto infatti, risulta impossibile sviluppare una “mentalità da 14 Kaizen”. Per questo motivo è indispensabile pianificare a dovere prima di agire e individuare un modello adatto a tale scopo. Il modello scelto da Carel per realizzare il piano di cambiamento in ottica lean è l’Hoshin Kanri, descritto da Thomas L. Jackson nel suo libro “Hoshin Kanri for the Lean Enterprise” (2006). L’Hoshin Kanri (tradotto dal giapponese “controllo ragionato della direzione”) è un approccio gestionale integrato che combina management strategico e management operativo, legando il conseguimento degli obiettivi del vertice aziendale all’attività operativa. Esso viene associato in particolare al Change Management e molto spesso viene indicato anche con l’espressione “Policy Deployment”. Si tratta di una sorta di bussola in grado di allineare gli obiettivi della direzione (Strategy) con i piani del middle management (Tactics) e il lavoro svolto da tutti i dipendenti (Operations). Da un lato fornisce un metodo per la creazione di un sistema di comunicazione globale fra tutti i livelli, consentendo l’eliminazione degli sprechi causati da una direzione incoerente e da una scarsa comunicazione. Dall’altro è uno strumento di pianificazione in grado di favorire il miglioramento continuo (Kaizen) e allo stesso tempo anche l’innovazione radicale (Kaikaku). Tutti i piccoli miglioramenti realizzati quotidianamente dagli individui, se orientati verso un unico scopo, vengono a sommarsi ottenendo un enorme impatto positivo per l’azienda nel suo complesso. Il concetto è basato sul principio che l’organizzazione migliore è quella che riesce a sfruttare al meglio il potenziale creativo di tutti i suoi dipendenti. L’impresa diventa una comunità con obiettivi comuni, in cui ogni partecipante ha un contributo fondamentale da dare. Alle base vi è l’idea che ogni individuo è il vero esperto nel proprio lavoro e nella propria mansione. La gente vuole essere ascoltata, vuole percepire di essere rispettata e crescere per migliorare la propria attività e le proprie competenze. L’applicazione di tale metodo gestionale comporta due conseguenze: in primo luogo necessita di una struttura chiara con ruoli e responsabilità ben definiti; in secondo luogo richiede di concentrarsi sullo sviluppo delle persone, con l’obiettivo di aumentarne la soddisfazione e di stimolarne la creatività. Le persone lavorano meglio se hanno uno scopo, se capiscono non solo quello che devono fare, ma anche perché è importante farlo. Inoltre se ad ogni livello gli individui iniziano a chiedersi quali sono i problemi, ovvero qual è la differenza tra lo stato attuale e lo stato obiettivo, allora potranno sviluppare un piano efficace per la loro attività. I dettagli del piano saranno diversi per ogni area dell’impresa, ma tutti allineati alla strategia 15 grazie all’Hoshin Kanri. L’obiettivo fondamentale risulta quindi sviluppare un’abilità al problem solving da parte di tutti i membri dell’organizzazione. Tale modello presenta uno schema generale molto simile al PDCA, tant’è che può essere considerato come la sua applicazione al processo di gestione. La differenza sostanziale riguarda la durata del ciclo: annuale per l’Hoshin e molto più breve per il PDCA. Le fasi del ciclo di Hoshin sono le seguenti: - Focalizzazione (corrispondente alla fase Act): in questa fase il top management identifica gli obiettivi strategici; - Allineamento (Plan): le risorse e le priorità delle singole Business Unit vengono allineate agli obiettivi identificati; - Integrazione (Do): comporta l’integrazione degli obiettivi strategici nella pratica operativa quotidiana e il loro inserimento in un piano di implementazione; - Reazione (Check): l’implementazione degli obiettivi viene monitorata ed eventualmente modificata. Il feedback viene poi utilizzato nella pianificazione annuale successiva. Si tratta di un processo che consente di integrare tre momenti fondamentali di un programma di miglioramento: Nel realizzare l’intero processo di pianificazione strategica e di implementazione nel periodo (annuale), lo Steering Commitee e il middle management sono guidati da uno strumento chiamato X-Matrix. La matrice in questione permette di evitare che il management perda di vista i fondamenti dell’Hoshin Kanri, consentendo di verificare immediatamente in un unico documento la coerenza fra strategia e livello operativo. È uno standard di riferimento che aiuta a selezionare le poche e vitali priorità strategiche per l’azienda e a tradurle in piani d’azione per l’anno successivo. Garantisce inoltre la revisione periodica delle prestazioni. 16 L’X-Matrix utilizzata da Carel è rappresentata e descritta di seguito: Visione: Nella pianificazione strategica la visione rappresenta la proiezione di uno scenario futuro che rispecchia gli ideali, i valori e le aspirazioni di chi fissa gli obiettivi e incentiva all’azione. Il termine sottintende l’insieme degli obiettivi di lungo periodo definiti dal top management, nonché l’interpretazione del ruolo futuro dell’azienda e l’evoluzione del contesto competitivo di riferimento. Un “vision statement” efficace dovrebbe essere chiaro e facilmente memorizzabile, contenere frasi d’effetto, riferirsi ad aspirazioni future ma comunque verosimili. Mission: La mission di un’organizzazione è il suo scopo ultimo, la giustificazione della sua esistenza e al tempo stesso ciò che la contraddistingue da tutte le altre. Il “mission statement” è il “manifesto” della missione, simile alla visione ma più focalizzato sul presente. La visione è una guida operativa che può essere vista come una strategia di lungo periodo e molto spesso di riduce ad uno slogan. La mission consiste invece in una guida pratica all’azione e dovrebbe spiegare chi è l’azienda, cosa vuole fare e perché vuole farlo. 17 Drivers: I drivers vengono ricavati dalla mission e rappresentano le linee guida del percorso di sviluppo. Pilastri: Sono i fondamenti irrinunciabili sui quali si regge l’organizzazione e i principi inderogabili in cui crede. Ogni elemento dell’X-Matrix si basa su di essi. Attività/Progetti: Sono tutte le attività e i progetti definiti per il periodo annuale. Devono essere classificati in base alla fattibilità in termini di facilità/costo e in funzione dell’impatto sulla vision/mission aziendale. Nell’elenco vengono prima inseriti i progetti ereditati dall’anno precedente e successivamente vengono ordinate le attività con priorità crescente. Una volta individuati i progetti se ne indica l’Owner e se ne stabiliscono gli strumenti di gestione. In azienda il processo di definizione delle attività inizia nel mese di settembre e prevede la convocazione dell’Owner al fine di comunicargli il progetto e i relativi obiettivi, nonché un’analisi per stimare le tempistiche necessarie, le risorse del team e i KPI (Key Performance Indicator). Questo avviene per tutti i progetti ed entro il mese di novembre. Entro Dicembre si provvede infine alla compilazione dell’X-Matrix. Carichi di lavoro: Viene indicato il carico di lavoro in termini di ore uomo a settimana. KPI: Occorre indicare i KPI con i quali l’attività viene monitorata e la correlazione esistente con le singole attività e con i drivers. Avanzamento: Vengono indicate le “milestones” previste per il progetto e gli eventuali spostamenti effettuati periodicamente. Sono previsti infatti degli avanzamenti mensili tra il Plant Manager e i singoli Owner, al fine di valutare lo stato dei progetti. Vi è poi un avanzamento trimestrale tra Plant manager, Direttore Operations e Direttore Organization. Fondamentali risultano i legami fra le parti di cui si compone la matrice. Ogni singola attività deve essere collegata in modo evidente agli obiettivi e ad uno o più indicatori. Gli obiettivi 18 strategici devono poi essere opportunamente declinati verso il basso in indicatori via via più operativi. Il piano d’azione, definito ad un livello macro in fase di Policy Deployment, viene successivamente sviluppato in un Master Plan di progetto, in cui i tempi e le attività vengono scomposti al livello di dettaglio operativo necessario. 2.2.2. PROBLEM SOLVING: IL CICLO PDCA Il secondo (ma ancora più importante) modello di riferimento per Carel è il ciclo di Deming (PDCA). In molte aziende i problemi non sono qualcosa da portare alla luce del sole e men che meno da portare di fronte al proprio capo. In queste realtà una frase che si sente molto spesso pronunciare dai dirigenti è la seguente: “non vogliamo problemi, vogliamo risposte!”. Naturalmente le persone imparano di conseguenza a non affrontare le complicazioni, bensì ad aggirarle e ad andare avanti sperando che non si ripresentino. Nell’attuale contesto sociale ed economico, in continuo mutamento, il modo in cui un’azienda si pone di fronte alle difficoltà rappresenta un fattore critico per il suo successo o per il suo fallimento. L’unico modo per rimanere al passo e non scivolare indietro è migliorare continuamente. Senza problemi tuttavia, non esiste miglioramento né apprendimento. Per migliorare i problemi non devono più essere interpretati come qualcosa di negativo, devono invece essere considerati come opportunità di miglioramento. “No problem is a problem”. Ecco che la storica frase pronunciata da Toyota assume significato. Alla base del miglioramento continuo vi è prima di tutto l’attitudine al problem solving. Per un’organizzazione lo sviluppo di tale capacità da parte di tutti i suoi membri rappresenta un’enorme vantaggio competitivo, in quanto consente di aumentare l’efficienza, eliminare gli sprechi e migliorare continuamente. Inoltre è una qualità difficilmente imitabile dalla concorrenza, quantomeno nel breve periodo. L’attitudine al problem solving infatti, non è una caratteristica comune agli individui e richiede molto tempo per essere assimilata. Può essere sviluppata solamente tramite la conoscenza e abituandosi ad affrontare i problemi con metodo. 19 Il ciclo di Deming, o PDCA, nasce in Giappone negli anni cinquanta e rappresenta un metodo scientifico per la risoluzione dei problemi. L’ideatore è lo statista americano W. Edwards Deming che inventò tale approccio osservando il modo di lavorare degli scienziati secondo lo schema “ipotesi-attuazione-verifica-nuova ipotesi”. Il termine PDCA deriva dalle iniziali delle 4 fasi che lo contraddistinguono: Plan: nella prima fase di pianificazione occorre innanzitutto individuare i problemi. Si descrive pertanto la situazione attuale, per esempio mappando il processo. Ciò consente di metterne in evidenza le criticità. Una volta individuate le si analizza per cercare di identificarne le cause. Si procede quindi con la definizione delle azioni necessarie per la loro risoluzione, dei metodi da utilizzare e dei target da raggiugere. Infine si individuano anche gli indicatori e gli strumenti di controllo che verranno poi utilizzati nella fase Check. Do: consiste nell’attuazione, entro la data stabilita, di ciò che è stato pianificato. Check: si verificano le azioni intraprese mediante gli indicatori definiti nella fase Plan, i quali consentono di individuare eventuali divari tra il target ed i risultati raggiunti. Si verifica inoltre che la fase Do sia stata attuata nei tempi previsti. Se gli obiettivi sono stati tutti soddisfatti si procede con la fase Act, altrimenti è necessario ripetere un nuovo ciclo PDCA sullo stesso problema. Act: quest’ultima fase prevede la standardizzazione delle soluzioni ottenute, in modo tale da rendere consolidate le azioni correttive ed evitare che il problema riemerga. Si provvede inoltre a formare il personale in merito alle nuove procedure. Come indicato dalla figura il processo non è fine a se stesso ma è un ciclo continuo; ogni fase inizia quando termina la precedente e l’individuazione di nuovi problemi porta all’attivazione di un nuovo PDCA, facendo ricominciare la sequenza. Il ciclo di Deming è una metodologia di validità universale in quanto consente di affrontare in maniera rigorosa e sistematica qualsiasi attività. Rende la risoluzione dei problemi una procedura scientifica e stimola il pensiero critico. È uno strumento di problem solving che può essere esteso a tutte le fasi manageriali e operative ed è, allo stesso tempo, un modello per promuovere la cultura del miglioramento continuo attraverso l’eliminazione degli sprechi. 20 Ogni ciclo va vissuto come un’esperienza di apprendimento. Il metodo scientifico infatti non fornisce immediatamente le risposte corrette, consente piuttosto di porsi le domande giuste. Carel applica il PDCA costantemente in ogni attività di Kaizen e in tutti i progetti Kaikaku. In ogni stabilimento inoltre ci sono cantieri di miglioramento su più livelli, ciascuno dei quali fornisce input al livello superiore ed inferiore. Ciò comporta diverse tipologie di riunioni, definite sulla base della frequenza degli incontri e delle persone coinvolte: - Fire Fighting: è l’intervento immediato degli operatori che di fronte ad un problema fermano la linea. Vi può essere poi un eventuale supporto da parte dei Centri di Competenza. - Primo livello: è una riunione che avviene quotidianamente e che coinvolge il Value Stream Leader e i Responsabili di linea. L’oggetto dell’incontro consiste nel valutare l’andamento delle linee e nel pianificare eventuali azioni correttive. - Secondo livello: tale riunione avviene con frequenza settimanale ed ha la funzione di analizzare l’andamento dell’intera value stream, nonché l’avanzamento delle azioni di miglioramento. Oltre al Value Stream Leader vi partecipano i Change Agent, esperti dei principi e delle teniche lean, e i rappresentati dei Centri di Competenza, suddivisi in Qualità, Tempi e Metodi, TPM, Test e Ingegneria di Produzione. - Terzo livello: sono coinvolti tutti i Value Stream Leader, il Plant Manager, il responsabile della Qualità e i Responsabili dei CDC. L’obiettivo è quello di valutare, con frequenza mensile, l’avanzamento di azioni riferite all’intera value stream. Si controlla in particolare se gli obiettivi sono stati raggiunti. Si tratta di un approccio di gestione innovativo chiamato “PDCA a 3 livelli”, grazie al quale ogni livello manageriale nell’area Operations prende le sue decisioni secondo il metodo 21 scientifico. Carel si distingue quindi dalla maggior parte delle altre aziende in cui la gestione viene considerata un’attività a sé stante e il miglioramento un extra da realizzare saltuariamente. Come insegna Toyota invece, management e miglioramento continuo devono diventare la medesima cosa. Se adottando il modello dell’Hoshin Kanri l’obiettivo è quello di allineare tutti verso un obiettivo comune, il PDCA rappresenta il filo conduttore che mantiene in asse il sistema. Sviluppando un’attitudine al problem solving, la diffusione della cultura del miglioramento continuo non sembra più un compito impossibile. Se un individuo vede il suo superiore ragionare attraverso il metodo scientifico, molto probabilmente inizierà a seguirlo. Si tratta di un ciclo di apprendimento continuo, simile al kata del coaching di Toyota. Ciò a dimostrazione ulteriore del fatto che l’esempio deve partire dall’alto, ovvero deve essere il top management in questo caso a credere per primo nella trasformazione lean, nei suoi principi e negli strumenti che ne derivano. Solo così anche i dipendenti si convinceranno, il modo di pensare diventerà prassi e nel tempo si radicherà nella cultura dell’organizzazione. 2.2.3. COMPLEMENTARIETÀ KAIZEN - KAIKAKU Esistono due forme diverse di miglioramento, spesso considerate alternative: il Kaizen ed il Kaikaku. Kaizen in giapponese è la combinazione di due termini, “Kai” che significa cambiamento e “Zen” che vuol dire in meglio. Esso avviene quotidianamente e per piccoli passi. Al contrario Kaikaku in giapponese è sinonimo di innovazione, la quale avviene in maniera radicale, con cambiamenti di maggiore entità e su base non continua. Dopo un periodo in cui i ricercatori sembravano aver assunto una posizione favorevole alla contrapposizione tra questi due approcci, oggi si concorda in merito alla loro complementarietà. Ciò è fondamentale in particolar modo nei mercati turbolenti, come quelli ad alta intensità tecnologica in cui Carel si trova ad operare. Uno dei fattori di successo per l’azienda è proprio quello di riuscire a combinare al meglio i due differenti approcci al miglioramento, garantendo un progresso costante nel tempo e difficile da copiare. Da un lato l’innovazione garantisce lo sviluppo tecnico e permette di incrementare o quantomeno mantenere la propria quota di mercato; dall’altro il miglioramento continuo che avviene giorno per giorno consente di stabilizzare il processo evolutivo e di mantenere a distanza i concorrenti, rendendo difficile l’imitazione. 22 In Carel il processo di miglioramento senza fine avviene grazie al lavoro combinato di gruppi di miglioramento e team di progetto, al fine di coinvolgere quante più persone possibili. I gruppi di miglioramento sono diffusi in tutta l’azienda e interessano soggetti appartenenti alla medesima area di lavoro. La loro è un’attività di Kaizen, il cui obiettivo è rimuovere gli sprechi quotidianamente attraverso il ciclo di Deming. Essi sono permanenti, risolto un problema ne affrontano un altro, sempre relativo all’area di appartenenza. I team di progetto invece vengono designati dalla Direzione, la quale in fase di pianificazione strategica assegna loro determinate attività di tipo Kaikaku. Si tratta di squadre interfunzionali in cui collaborano temporaneamente persone provenienti da aree diverse, scelte sulla base delle loro conoscenze e dell’esperienza maturata. Una volta terminato il progetto, il team viene sciolto. Ogni attività di innovazione getta le basi per un successivo miglioramento continuo. Per tale ragione il Kaikaku può essere considerato precursore del Kaizen. Nella gestione dei gruppi di miglioramento e dei team di progetto risultano fondamentali due elementi che fungono da standard di riferimento: il PDCA e il Visual Management. Nei paragrafi seguenti viene descritta la loro applicazione nell’attività di Kaizen. Il capitolo 3 ne descrive invece l’applicazione in un progetto Kaikaku. 2.2.4. I GRUPPI DI MIGLIORAMENTO L’attività di Kaizen svolta dai gruppi di miglioramento viene guidata da una serie di strumenti di Visual Management, i quali hanno l’obiettivo di facilitare l’utilizzo del PDCA da parte del personale. Il fine ultimo è quello di trasformare il processo di problem solving in una routine standard o, in altri termini, in un kata. Durante il confronto tra i dipendenti, molto spesso emergono i seguenti problemi: non si riesce a dire quello che si pensa, quello che si dice non viene capito dagli altri, le informazioni scambiate all’interno del gruppo sono molto confuse, ecc. Ciò comporta errori e perdite di tempo. 23 Il Visual Management comprende tutte quelle tecniche che favoriscono la visualizzazione di informazioni e messaggi da trasferire, rendendoli chiari, condivisi e immediatamente a disposizione di tutti. Crea i presupposti per un confronto oggettivo basato su qualcosa di concreto, aumenta la sinergia e semplifica il raggiungimento dei risultati. La gestione visiva è come una lingua universale che consente alle persone di comunicare, migliorando i tempi di reazione dell’organizzazione e orientando gli sforzi di tutti all’individuazione e allo studio dei temi critici. Può essere realizzata in molti modi che vanno dai semplici post-it a soluzioni più sofisticate quali ad esempio i tabelloni luminosi. In quest’ultimo caso tuttavia, la gestione diventa più complessa e lo strumento può diventare una barriera al cambiamento. I post-it invece presentano numerosi vantaggi: hanno dimensioni ridotte e quindi obbligano a sintetizzare i concetti, si possono spostare o riscrivere velocemente, può essere associato un diverso significato a ciascun colore. Il visible qui rappresentato è un modello standard utilizzato in azienda da tutti i gruppi di miglioramento. 24 Ogni gruppo viene formato in merito ai 5 principi del Lean Thinking, ai 7 sprechi e al ciclo PDCA. La parte del visible di fianco raffigurata consente di mantenere l’attenzione focalizzata su di essi. Ciascun individuo è in grado di distinguere le attività svolte quotidianamente in: attività a valore, non a valore, non a valore ma necessarie. Una volta identificato uno spreco si provvede a segnalarlo su un post-it, sul quale se ne riporta la descrizione assieme alla data della segnalazione e al nome di chi l’ha individuato. Il post-it è poi appeso sull’area contenente le nuove segnalazioni di spreco provenienti da tutti i membri del team. È prevista una riunione di avanzamento con frequenza settimanale. In ogni incontro il ruolo di moderatore viene assegnato ad un soggetto diverso, in modo da aumentare il coinvolgimento da parte di tutti. Durante le riunioni il gruppo si confronta in merito alle nuove segnalazioni di spreco. Viene preso in considerazione un problema alla volta e ne si attribuisce una valutazione da 1 (basso) a 5 (alto) a secondo del beneficio che si ricaverebbe dalla sua rimozione. Si stima inoltre, con 25 la stessa scala, l’impegno necessario per eliminarlo e si riportano gli esiti di queste due valutazioni sul post-it. Il post-it viene poi spostato sulla “Matrice importanza/difficoltà”, in corrispondenza dell’incrocio dei due valori. Come indicato nella figura infatti, la matrice presenta nell’asse X il livello di importanza (beneficio derivante dall’eventuale rimozione del problema), e il grado di difficoltà nell’asse Y (impegno richiesto per la rimozione), entrambi in scala da 1 a 5. Successivamente, quando una persona si prende in carico uno spreco per eliminarlo, deve compilare il “Piano d’azione”: Se finora il visible ha svolto la funzione di concentrare l’attenzione del personale sugli sprechi, con il “Piano d’azione” l’obiettivo è guidare lo svolgimento del ciclo PDCA per rimuoverli. 26 In ordine, nelle colonne vengono indicati: - Un numero progressivo in modo da rendere poi visibile il numero di cicli PDCA realizzati. Tale numero viene riportato sul post-it dello spreco corrispondente. Il post-it è quindi spostato dalla “Matrice importanza/difficoltà” all’area “Sprechi in corso di rimozione o rimossi”; - La categoria di spreco; - La data di presa in carico dell’attività; - La descrizione sintetica dello spreco; - Le cause dello spreco; - Le attività pianificate per eliminare lo spreco; - Il nome dell’Owner; - La data prevista per la chiusura del ciclo; - Lo stato del PDCA, colorando la porzione corrispondente alla fase in cui ci si trova. L’angolo in alto a destra rappresenta la fase Plan e così via in senso orario, fino all’ultimo angolo che rappresenta l’Act. Ogni porzione ha un proprio colore predefinito, in modo da riconoscere con un colpo d’occhio la fase in corso di realizzazione (rosso per il Plan, Arancio per il Do, Giallo per il Check e Verde per l’Act); - Eventuali note scritte su un post-it, che possono essere aggiornate ad ogni avanzamento. Una volta conclusa la fase si riporta la dicitura “annullata” e si traccia una riga nera su tutta la linea. Nella tabella “Sprechi in corso di rimozione o rimossi” sono attaccati i post-it relativi alle segnalazioni di spreco prese in carico, quelle già chiuse e quelle eliminate dopo essere state iniziate. Una volta concluso il PDCA, si traccia una riga sul post-it relativo allo spreco rimosso. Se invece l’attività viene annullata, si traccia una croce. 27 Infine ad ogni avanzamento va compilato il “Grafico PDCA”, il quale fornisce una fotografia istantanea della situazione delle diverse attività aperte e chiuse. Si tratta di un grafico con le settimane in ascissa e il numero di cicli in ordinata. Basandosi sulla colonna “Stato” del “Piano d’azione”, si colorano i rettangoli corrispondenti. I rettangoli relativi alle attività nello stesso stato vanno raggruppati: partendo dal basso sono riportati prima tutti i cicli in fase Plan (colore rosso), poi tutti quelli nella fase Do (colore arancio) e così via. La linea nera separa le attività in Act in corso da quelle chiuse. L’area del grafico al di sotto dell’asse X è invece riservata alle attività che sono state prese in carico ma poi annullate. Vengono colorati di nero tanti rettangoli quante sono le attività eliminate e tale numero viene poi riportato al di sotto, nella settimana corrispondente. In conclusione i gruppi di miglioramento consentono quindi di sviluppare un’attitudine al problem solving, praticando il PDCA nella rimozione di piccoli sprechi. Questa attitudine viene poi utilizzata, come descritto nel capitolo 3, per il miglioramento di interi processi da parte di team di progetto interfunzionali. Il miglioramento continuo infatti, una volta radicato nella cultura aziendale, rappresenta un processo che si autosostiene. 2.2.5. COACHING La creazione di un cultura organizzativa orientata al miglioramento continuo è un processo che richiede tempo, in quanto cambiare la mentalità delle persone, le loro abitudini e le tecniche utilizzate quotidianamente, non è cosa da poco. Nel percorso di cambiamento le maggiori difficoltà che Carel si trova ad affrontare riguardano lo scarso credito al progetto e la resistenza al cambiamento. Alcuni dipendenti considerano il Kaizen una nuova moda che al pari delle altre verrà dimenticata dopo poco tempo. Altri si chiedono invece perché cambiare, dato che negli anni le cose sono sempre state fatte allo stesso modo e le performance sono risultate ottime. 28 Per superare tali difficoltà l’azienda in primo luogo fa leva su una posizione ferma da parte dell’alta direzione, la quale partecipa attivamente al progetto, fornisce un sostegno concreto e mostra apertamente di appoggiare l’iniziativa e di aderire ai principi del miglioramento continuo. Poter contare su una leadership forte che tracci il percorso da seguire risulta fondamentale, in quanto fornisce credibilità all’azione. I manager ai livelli intermedi e inferiori infatti sono coloro che seguono da vicino il kata del miglioramento, ma non si avviano in quella direzione spontaneamente, bensì prendono esempio dal vertice. È il vertice che, tramite l’X-Matrix e sulla base dell’Hoshin Kanri, stabilisce e condivide con gli Owner dei processi le direttive strategiche. In secondo luogo, per favorire il cambiamento risulta fondamentale il Lean Development Office, composto da esperti di tecniche lean e del kata del miglioramento. Esso ha il compito di supportare la trasformazione sia dal punto di vista tecnico tramite competenze specialistiche, sia dal punto di vista gestionale con competenze organizzative trasversali e di Change Management. Il LDO gestisce la resistenza al cambiamento tramite la diffusione di casi di successo, influenzando il modo di agire delle persone ma senza autorità gerarchica. L’approccio utilizzato non è del tipo “Top-Down” e nemmeno di “lasciar fare” guardando solo ai risultati; si tratta piuttosto di un modello di coaching in pieno stile Toyota. È il vero “guardiano” del kata del miglioramento, responsabile della sua diffusione e della necessaria attività di insegnamento. Le risorse che ne fanno parte supportano i gruppi di miglioramento e i manager in merito all’applicazione del metodo scientifico nella rimozione degli sprechi. Per sviluppare l’attitudine al problem solving l’approccio seguito si basa su un abbinamento tra “formazione push” e “supporto pull”. La formazione d’aula viene definita “push” in quanto serve a spiegare dal punto di vista teorico cos’è il metodo scientifico, quali sono i principi del Lean Thinking e i 7 sprechi, tutti elementi che verranno applicati solamente in momenti successivi. Essa inoltre non è in grado da sola di cambiare il comportamento delle persone, ma al massimo consente di far loro acquisire una consapevolezza generale sull’esistenza dei temi trattati. Tale consapevolezza svanisce nel tempo se non è seguita da una fase pratica ripetuta costantemente. Per tali ragioni la formazione viene progettata in maniera snella, sapendo che poi ci sarà un “supporto pull” costante durante le attività di miglioramento. I Change Agent affiancano i membri dei gruppi di miglioramento in modo da insegnare loro il metodo corretto, ma senza proporre direttamente le soluzioni, proprio come avviene in Toyota. Alla base vi è infatti l’idea che i problemi debbano essere risolti solamente dove sono stati generati e direttamente dalle persone coinvolte in prima linea. 29 2.2.6. I TEAM DI PROGETTO Per quanto riguardano i team di progetto, Carel negli ultimi anni ha completamente riorganizzato la loro struttura, passando dai cosiddetti “team tradizionali” ai “team compatti”. I team tradizionali sono funzionali e molto ampi, composti anche da più di 10 persone. Ognuno lavora per svolgere una funzione, con il rischio di perdere di vista l’obiettivo finale e arrivando, a volte, a svolgere una determinata attività senza saperne il motivo. A causa dell’elevato numero di persone coinvolte, ciascuna di esse è costretta a lavorare contemporaneamente e part-time su più progetti, con conseguente riduzione dello spirito di squadra e della pressione al raggiungimento dei risultati. Inutile dire che il multitasking su più progetti e i moltissimi passaggi d’informazione richiesti costituiscono un’enorme fonte di spreco. Per migliorare la qualità, rispettare i tempi e ridurre i costi, è fondamentale fare “una sola cosa alla volta”, in quanto i setup mentali costano. Per dedicare le persone ad un solo progetto tuttavia, è condizione necessaria ridurre drasticamente il numero di risorse presenti in un team. Nascono così i team compatti, che consentono di prendere decisioni molto più rapidamente evitando i lunghi dibattiti nelle riunioni. Essi comportano un maggior coinvolgimento da parte delle persone, le quali non sono più responsabili solamente per la propria funzione, bensì vivono il progetto a 360 gradi. Questo genera motivazione, responsabilità verso il risultato finale e di conseguenza maggiore collaborazione. L’evidenza empirica dà ragione all’azienda, in quanto poche risorse che si dedicano completamente allo svolgimento delle attività, secondo una logica per processi, riescono a raggiungere risultati migliori rispetto a molte persone che lavorano part-time e secondo una logica funzionale. Questo è possibile per due ragioni: da un lato anche nei team tradizionali e dispersi si può dimostrare che sono solamente poche risorse a farsi carico della gran parte del lavoro; dall’altro vi è una forte spinta verso la multifunzionalità per le persone coinvolte. La specializzazione comporta lo svolgimento di uno specifico ruolo e crea una competenza profonda ma ristretta (una competenza ad “I”): 30 Con i team compatti l’obiettivo non è che tutti sappiamo fare tutto, bensì che ognuno rimanga specializzato nella propria area di competenza, ma allo stesso tempo sia in grado di collaborare per le altre attività richieste in un progetto. La “I” non diventa più larga, altrimenti si accorcerebbe riducendo la specializzazione. In realtà la specializzazione rimane solo che non è più esclusiva, in quanto ad essa si aggiungono altre competenze “soft” ma sufficienti per collaborare attivamente. La competenza diventa una “T” e in caso di complessità più elevate si può far ricorso al supporto dei Centri di Competenza. “Secondo la nostra esperienza non è affatto necessario che i team di progetto siano grandi come vorrebbero i manager tradizionali, anzi, quanto più ristretti li si riesce a tenere tanto meglio è. Non c’è bisogno di molta gente altamente specializzata perché la maggior parte degli uomini di marketing, progettazione, approvvigionamento e produzione hanno in realtà competenze molto più ampie di quanto abbiano mai realizzato di avere, abbiano mai ammesso e sia mai stato consentito loro di utilizzare. Quando ad un piccolo team viene dato mandato semplicemente di “fare”, abbiamo sempre verificato come i suoi componenti scoprano improvvisamente che ciascuno di essi è in grado di coprire un ventaglio di compiti più esteso di quanto gli sia mai stato consentito di fare fino ad allora. Essi fanno bene il lavoro e si divertono.” (Womack e Jones, 2003, pag.54). 31 CAPITOLO III: PROGETTO DI MIGLIORAMENTO “GESTIONE INTEGRATA DEI CORRIERI” In Carel le attività di miglioramento sono all’ordine del giorno e coinvolgono tutti i livelli dell’organizzazione. Da un lato i gruppi di miglioramento individuano quotidianamente piccoli sprechi da eliminare nelle attività svolte dagli operatori, sia nelle linee produttive che negli uffici. Dall’altro sono in essere numerosi progetti di tipo Kaikaku in diverse aree, più radicali e di periodo più lungo. Si tratta di progetti concordati con la Direzione generale e il middle management, i quali coinvolgono interi processi o addirittura intere value stream nel caso nella produzione. L’obiettivo è quello di realizzare un miglioramento radicale ma non fine a se stesso, bensì in grado di gettare le basi per un successivo incremento di performance. È un ciclo che una volta avviato e radicato nella cultura dell’organizzazione continua all’infinito. Come descritto nel corso nell’elaborato, grazie all’Hoshin Kanri tutti i progetti e le attività quotidiane sono legati tra loro e coerenti con la strategia di lungo periodo dell’impresa. Miglioramenti radicali interessano sia la produzione, con la riconfigurazione dell’intero reparto Elettronica in 3 value stream, sia gli uffici. Gli uffici dell’area Operations (Acquisti, Logistica, Ingegneria di produzione, LDO, ecc.) sono attualmente disposti davanti alle linee produttive, in modo tale da rimuovere qualunque tipo di barriera e agevolare il supporto e la comunicazione. Qualsiasi area presenta muda nascosti che possono essere rimossi procurando enormi benefici all’azienda. I cantieri di miglioramento pertanto si diffondono velocemente dalle operations agli uffici, fino ad arrivare alla logistica e al magazzino. Per Carel l’area logistica rappresenta una parte di fondamentale importanza per due ragioni: - da un lato, in ottica lean, la gestione del magazzino è uno dei fattori principali su cui concentrare l’attenzione, al fine di garantire allo stesso tempo un basso livello delle scorte e un alto indice di rotazione; - dall’altro i rapporti con i corrieri sono molto importanti per garantire i tempi di consegna previsti. Il livello di servizio è ormai un elemento fondamentale per qualunque organizzazione, ma per un’azienda come Carel che opera nel mercato Business-to-Business lo è ancora di più. Se la consegna non avviene nei tempi stabiliti infatti, nel peggiore dei casi si può arrivare al blocco della produzione del cliente OEM. Diviene pertanto fondamentale la capacità di consegnare ciò che viene chiesto nelle giuste quantità e varietà, dove e quando viene richiesto. 32 Nel capitolo seguente si descrive il lavoro svolto da un team interfunzionale avente ad oggetto l’analisi e la riconfigurazione dell’intero processo di spedizione, con l’obiettivo di snellirlo e di eliminarne gli ingenti muda. Il progetto riguarda le spedizioni espresse comunitarie e coinvolge direttamente 3 corrieri (GLS, UPS e DHL). Come nelle attività di Kaizen svolte dai gruppi di miglioramento, anche nei progetti Kaikaku l’approccio utilizzato per affrontare i problemi è il PDCA, mentre gli strumenti di Visual Management forniscono un utile supporto nella pianificazione e nelle riunioni di avanzamento. Anche la descrizione, pertanto, segue le 4 fasi del ciclo di Deming: Plan, Do, Check, Act. 3.1. PLAN Il progetto è assegnato ad un team compatto interfunzionale composto sia da esponenti dell’ufficio Logistica-Clienti, sia da specialisti dell’IT (Information Technology). Sono poi presenti due consulenti esterni che forniscono competenze di supporto per la parte informatica. Seguendo la logica per processi dei team compatti ciascun membro del gruppo, compresi i consulenti, partecipa al progetto a 360 gradi seguendo tutte la fasi di avanzamento. L’intero progetto è guidato da un Team Leader, scelto di comune accordo fra i partecipanti. La prima fase di Plan è la più importante e richiede la maggior quantità di lavoro. Essa prevede l’analisi della situazione attuale (As is), mappando il processo al fine di indentificarne i problemi e gli sprechi. Successivamente si schematizza il nuovo processo (To be) e si stabiliscono gli obiettivi da raggiungere entro una determinata data. Si pianificano quindi le azioni necessarie per raggiungere il target, nonché le modalità di svolgimento delle riunioni di avanzamento e le verifiche da effettuare nella fase Check. 3.1.1. AS IS Per comprendere l’analisi effettuata in questo capitolo in merito al processo di spedizione, risulta utile spiegare brevemente l’intero flusso di realizzazione di un prodotto, dall’ordine alla consegna. La fase Act descrive infatti i prossimi obiettivi di miglioramento, i quali coinvolgono anche le fasi a monte rispetto alla spedizione. 33 Coerentemente con i principi del Lean Thinking, la produzione avviene secondo una logica pull. Il processo rappresentato si attiva solamente nel momento in cui si riceve un ordine da parte del cliente. L’ordine contenente articoli, quantità e data richiesta, viene codificato ed inserito nel gestionale Oracle, il quale restituisce automaticamente una data di consegna promessa. Il metodo di calcolo utilizzato dal sistema viene definito ATP (Available to Promise) e si basa sulla capacità produttiva e sulla disponibilità di materiali. Ovviamente non è sempre possibile far coincidere la data promessa con la data richiesta dal cliente. Due giorni in anticipo rispetto alla data promessa, il sistema crea l’ordine di lavoro (OdL) e inizia così la produzione. In ottica lean, l’obiettivo è infatti quello di avere una produzione il più possibile Just in time. Una volta che i prodotti sono completati, si procede con il carico logico di questi ultimi nei due software gestionali Oracle e Side-Up. Oracle è il gestionale predefinito, diffuso in ogni area dell’azienda, mentre Side-Up viene utilizzato solo in magazzino. I due software tuttavia sono opportunamente interfacciati in modo da consentire lo scambio di informazioni. Dal punto D indicato in figura inizia invece il processo di spedizione oggetto di analisi che, come si può vedere, coinvolge molte fasi del flusso complessivo. 34 L’attuale processo di spedizione è così mappato: Per comprenderne i dettagli è necessario analizzare singolarmente le fasi di cui si compone, recandosi direttamente sul posto e osservando di persona lo svolgimento delle operazioni. Come insegna Toyota, l’analisi della condizione attuale deve avvenire così in profondità da rendere le contromisure quasi scontate. Le fasi in cui è articolato il processo sono le seguenti: Imballaggio Grazie al carico logico dei prodotti finiti a sistema, Oracle li inserisce automaticamente in distribuzione, ovvero fornisce l’input per l’avvio del processo di spedizione. Nel frattempo, gli stessi prodotti finiti vengono momentaneamente depositati in magazzino in attesa di essere imballati e spediti. Ciò avviene in quanto un unico ordine del cliente può contenere articoli realizzati in diverse value stream o, addirittura, in reparti diversi. Ogni mattina il sistema invia la distribuzione all’ufficio Logistica-Clienti, il quale gestisce tutte le spedizioni in partenza dall’headquarters, sia verso i clienti che le filiali. La distribuzione è un file Excel con tutti gli ordini completati e pronti per essere spediti. I membri dell’ufficio provvedono quindi ad evaderli mediante il gestionale. L’evasione rappresenta il momento in cui si attiva il processo di spedizione vero e proprio in magazzino. Il sistema infatti invia automaticamente a Side-Up una lista di prelievo contenente la descrizione della merce da prelevare, la quantità e l’ubicazione. Sono presenti inoltre il nome e l’indirizzo del cliente, nonché il metodo con cui spedire e il nome del corriere. Vi è poi una codifica su tre colori che permette di distinguere le spedizioni secondo tre priorità diverse. Tale lista di prelievo viene stampata 35 automaticamente a fianco delle rulliere in magazzino. Gli addetti possono così prelevare la merce e procedere con l’imballo, ovviamente concentrandosi prima di tutto sulle liste più urgenti. Messa a scaffale Una volta imballati, tutti i pacchi vengono posizionati in un unico scaffale in attesa dell’etichettatura. Preparazione etichette e documenti Nel corso della giornata intanto, l’ufficio Spedizioni interno al magazzino si occupa di contattare i corrieri o direttamente i clienti, a seconda di quanto indicato nella lista di prelievo. Infatti non tutti i pacchi vengono spediti mediante corriere espresso, poiché in alcuni casi il cliente preferisce ritirare di persona con i propri mezzi. Per GLS, UPS e DHL è previsto un ritiro fisso in un orario prestabilito, mentre in tutti gli altri casi si avvisa che la merce è pronta e si concorda un orario con chi ritira. L’ufficio provvede poi a calcolare manualmente il costo di trasporto e ad inserirlo in Oracle. Procede con la creazione delle etichette, una con i dati del mittente e una con quelli del destinatario. Prepara quindi i documenti che devono essere allegati al pacco, i quali si distinguono a seconda che la spedizione sia comunitaria o meno. Per le spedizioni all’interno dell’Unione Europea è necessario solamente il Documento di trasporto (DDT), mentre la fattura viene inviata al cliente tramite mail dall’ufficio Logistica-Clienti. Per le spedizioni Extra CEE invece oltre al DDT è necessaria la fattura e, per alcuni tipi di merci, apposite dichiarazioni particolari. In quest’ultimo caso occorre pertanto che l’ufficio Spedizioni richieda la fattura all’Amministrazione. Etichettatura Nel tardo pomeriggio, una volta che le etichette e i documenti sono stati completati, gli operatori del magazzino vanno alla ricerca dei pacchi depositati a scaffale, li etichettano e ne allegano la documentazione necessaria per spedire. Riposizionamento in baia di carico I pacchi, ormai pronti per essere spediti o ritirati, vengono depositati nuovamente nella stessa baia di carico. 36 Carico Nell’ultima fase, all’arrivo del corriere o del cliente, si preleva il pacco dalla baia di carico e lo si consegna a chi ritira. L’ufficio Spedizioni infine, il giorno successivo alla partenza delle merce, fornisce ai colleghi della Logistica il tracking number delle varie spedizioni. 3.1.2. PROBLEMI La mappa del processo attuale di spedizione consente al team di progetto di evidenziare facilmente una serie di problemi e di sprechi. Dall’analisi effettuata e dal confronto con le 7 categorie di muda, emerge innanzitutto un eccessivo trasporto inutile di merci. Il pacco infatti, una volta imballato viene messo a scaffale per poi essere successivamente etichettato e riposizionato nuovamente nella baia di carico. Si tratta di una doppia movimentazione che provoca notevoli perdite di tempo per gli operatori, nonché il rischio di danneggiare la merce. È una classica attività a non valore aggiunto che il team deve riuscire ad eliminare. In secondo luogo occorre considerare il calcolo del costo di trasporto. È un’attività non a valore ma necessaria, che non può essere eliminata ma che deve essere ripensata radicalmente. Il calcolo e l’inserimento manuale in Oracle, oltre a far perdere tempo alle persone, comporta altresì un notevole rischio di errori di calcolo o di mancato inserimento nel gestionale. Per quanto concerne invece l’attività di preparazione delle etichette e dei documenti da parte dell’Ufficio Spedizioni, essa presenta il tipico funzionamento di un processo a lotti e code. Le etichette e i documenti vengono creati nel corso della giornata per tutti i pacchi e man mano che sono completati non vengono allegati alla merce, bensì rimangono fermi in ufficio fino a sera. Si crea perciò una grande scorta di materiale. Solamente nel tardo pomeriggio gli operatori si occupano di etichettare tutti i pacchi e di allegarne i documenti. Con l’etichetta in mano devono andare alla ricerca del pacco giusto, in mezzo ad altre centinaia di essi, tutti posizionati in un unico scaffale senza un preciso ordine. Emerge quindi un secondo problema, legato alla presenza di un’unica baia di carico comune per tutti i tipi di spedizione e di ritiro. Ciò comporta un’ingente perdita di tempo dovuta alla ricerca del pacco da parte degli addetti, senza contare il rischio d’errore. Questo evidenzia la 37 completa vulnerabilità del processo. Uno dei primi obiettivi derivanti dall’applicazione della filosofia lean deve invece essere la creazione di processi stabili. Con questo processo infine, ad eccezione del costo di trasporto, non viene inserita in Oracle alcuna informazione in merito alla spedizione. Il tracking number viene comunicato dal magazzino all’ufficio Logistica-Clienti solamente il giorno successivo alla partenza della merce. Molto spesso però, i clienti e le filiali richiedono tale codice il giorno stesso. In queste situazioni, l’ufficio Logistica-Clienti non può far altro che contattare l’ufficio Spedizioni e chiedere informazioni. Inutile dire che le continue comunicazioni tra uffici e le risposte alle email costituiscono uno spreco di tempo non da poco. 3.1.3. TO BE Dopo aver analizzato a fondo la situazione attuale e le relative criticità, il team si mette a lavoro per definire le azioni correttive. La collaborazione a tempo pieno fra tutti i membri del gruppo, sia gli esperti informatici che gli specialistici della logistica, porta alla nascita di un’idea innovativa in grado di cambiare radicalmente il processo di spedizione. Il nuovo modo con cui l’azienda affronta i progetti, ovvero mediante i team compatti, favorisce notevolmente la condivisione di conoscenze da parte di persone provenienti da aree molto diverse. Con i team tradizionali invece, molto probabilmente ciascuno avrebbe seguito una strada diversa per realizzare la propria funzione, senza preoccuparsi troppo del lavoro svolto dagli altri. La sinergia sviluppatasi fra la logistica e l’IT porta all’ideazione in un nuovo processo di spedizione, il quale però riguarda solo ed esclusivamente le spedizioni espresse comunitarie. L’analisi dimostra che qui vi sono le maggiori opportunità di miglioramento e i maggiori benefici ricavabili non solo dall’headquarters, ma anche dalle filiali del gruppo e dagli stessi clienti. Tale tipologia di spedizione inoltre, rappresenta la maggioranza assoluta fra quelle che vengono quotidianamente effettuate. Per le spedizioni Extra CEE, nonché per quelle che avvengono con corrieri minori, il processo di spedizione rimane invece quello precedente. Questo per una serie di motivi che vengono spiegati in seguito. La pianificazione effettuata prevede innanzitutto azioni semplici, quasi scontate, ma in realtà si tratta dell’applicazione dei 5 principi fondamentali della produzione snella. I principi lean infatti, non sono altro che suggerimenti razionali di azioni che ogni aziendalista dovrebbe 38 seguire per far funzionare al meglio la propria organizzazione (Womack e Jones, 2003). Il metodo con cui il team pianifica la rimozione degli sprechi e lo snellimento del processo, dimostra come la cultura del miglioramento continuo sia ormai radicata in tutta la comunità Carel. Il fatto che alcune azioni sembrino banali evidenzia invece come il metodo, ovvero il PDCA, sia divenuto una routine, o in altri termini un kata, nel modo di pensare e di agire delle persone. Il nuovo processo di spedizione si articola nel seguente modo: Imballaggio, creazione etichette e documenti, etichettatura: Anche in questo caso, l’evasione tramite Oracle da parte dell’ufficio Logistica-Clienti rappresenta l’input che attiva il processo fisico di spedizione. La lista di prelievo viene stampata automaticamente in magazzino a fianco delle rulliere. Gli operatori procedono quindi con il prelievo dei prodotti finiti e imballano il pacco. Il primo obiettivo che il team si prefissa è quello di snellire il processo, eliminando completamente le attività non a valore messe in risalto dalla mappa “As is” (ottenuta mediante l’applicazione del secondo principio lean, il Value Stream). Ecco che il primo passo diventa la rimozione dell’eccessivo e inutile trasporto di merci. Nel processo attuale infatti, i pacchi vengono imballati uno alla volta e poi messi a scaffale, ma senza essere completati. Per l’etichettatura è necessario attendere la fine della giornata, dopo che l’ufficio Spedizioni ha preparato le etichette e i DDT. L’unico modo per evitare il primo passaggio di messa a scaffale è trasformare anche l’attività di etichettatura da una logica a lotti ad una logica a flusso. Come insegna la filosofia lean (Flow, 3° principio), i compiti possono quasi sempre essere realizzati in maniera più efficiente se svolti ininterrottamente dall’inizio alla fine, senza scorte di processo. 39 Per rendere l’attività “one piece-flow” è tuttavia necessaria un’innovazione radicale. Ecco che grazie al team compatto, la condivisione dell’idea di base proveniente dalla Logistica consente all’IT di sviluppare una possibile soluzione: creare un server in grado di interfacciare i gestionali di Carel con i software dei 3 corrieri espressi di riferimento: GLS, UPS e DHL. Con il nuovo processo pertanto, una volta completato il pacco, l’operatore può inviare un segnale al server. Ciò avviene sfruttando lo stesso computer che è posizionato a fianco di ogni rulliera e che consente di stampare le liste di prelievo. La comunicazione si attiva tramite un semplice lettore bar code in grado di leggere un codice a barre presente sulla lista di prelievo. Automaticamente vengono elaborate le informazioni e in tempo reale vengono stampate entrambe le etichette e il DDT. Non è necessario alcun investimento in attrezzature poiché anche le stampanti necessarie rimangono le stesse già presenti per le liste di prelievo. Il processo di spedizione diventa quindi un flusso continuo fino al posizionamento in baia di carico, eliminando completamente un’attività a non valore aggiunto. I benefici attesi sono molteplici in quanto da un lato si riduce il trasporto di merci e di conseguenza il rischio di danneggiamento della stessa; dall’altro si riducono le possibilità di errore e il tempo perso dagli addetti del magazzino. Non è più necessario andare alla ricerca del pacco corretto con l’etichetta in mano. In secondo luogo ci si concentra sulle attività non a valore ma necessarie, quali ad esempio l’inserimento manuale del costo di trasporto e le comunicazioni fra uffici per il tracking number. Riflettendo su quanto già pianificato in merito al server, si pensa di automatizzare anche queste attività. L’intenzione infatti è quella di far sì che la comunicazione fra i software, oltre a fornire come output le etichette e il DDT, provveda anche a calcolare automaticamente il costo di trasporto e ad inserirlo in Oracle. Il sistema poi inserisce nel gestionale anche il tracking number e lo invia automaticamente al cliente via mail. I vantaggi attesi sono molti e riguardano non solo l’headquarters, ma anche le filiali del gruppo e i clienti finali. Per quanto riguarda il primo, l’ufficio Logistica-Clienti non deve più far fronte alle continue email giornaliere contenenti richieste del tracking number. Di conseguenza non sono più necessarie le comunicazioni con l’ufficio Spedizioni, con notevoli risparmi di tempo. Poiché il gestionale Oracle è diffuso in tutte le filiali, anche queste ultime ne traggono beneficio in quanto possono vedere il tracking number in tempo reale non appena parte la spedizione. Infine i clienti possono immediatamente tenere traccia del pacco, ricevendo il codice via mail. 40 Posizionamento in baia di carico Una volta che il pacco è imballato, etichettato e pronto per essere spedito, viene depositato in baia di carico. Per renderlo facilmente individuabile da parte degli operatori del magazzino, l’idea è quella di sostituire l’unico grande scaffale con 3 baie distinte, una per ogni corriere. Tutti i pacchi destinati alla spedizione tramite GLS sono quindi posizionati in un punto, tutti quelli per UPS in un altro e così via. Carico All’arrivo del corriere, grazie alle 3 distinte baie di carico, l’addetto non deve più cercare il pacco richiesto per tutto il magazzino, ma sa esattamente dove trovarlo. Occorre sottolineare come il nuovo progetto consenta di bypassare completamente l’ufficio Spedizioni, il quale non viene più coinvolto. Tutte le attività precedentemente svolte dall’ufficio vengono automatizzate e realizzate in tempo reale, senza perdite di tempo o possibilità di errore. Ecco che uno dei primi obiettivi del Lean Thinking è soddisfatto: il processo è finalmente stabile. Come affermato precedentemente, tuttavia, esso riguarda solamente le spedizioni espresse intracomunitarie per le seguenti ragioni: in primo luogo solo questi corrieri dispongono di un gestionale che può essere interfacciato con quelli di Carel. L’idea del server non può essere realizzata con i corrieri minori. In secondo luogo, solo queste spedizioni presentano numeri tali da giustificare l’idea di automatizzare il sistema. Per ultimo, non può essere applicato alle spedizioni Extra CEE per cui è richiesta la fattura. L’ufficio Spedizioni pertanto può concentrarsi solamente su questi casi, il cui processo continua ad essere quello attuale. La fase Plan si conclude con la pianificazione delle modalità di svolgimento della successiva fase Do, nonché delle verifiche da effettuare nella fase Check. Il team pensa di realizzare inizialmente quanto pianificato solamente per un corriere (GLS), che funge da test. Per tale corriere la settimana target fissata per l’avvio del nuovo processo di spedizione è la 24, corrispondente al mese di giugno. Per l’implementazione sono programmate riunioni di avanzamento con frequenza settimanale, a cui partecipano tutti i membri del gruppo. Come per ogni progetto in Carel, lo strumento che guida lo svolgimento delle riunioni è il Visible Planning. Nella fase Check sono previste due verifiche, nelle settimane 22 e 23, per testare prima di tutto la comunicazione fra i gestionali e successivamente per controllare il funzionamento 41 dell’intero processo. Occorre inoltre verificare il rispetto delle tempistiche di realizzazione delle attività. Se superate, si procede con l’implementazione definitiva e si inizia la fase Do per gli altri corrieri. Le settimane target sono 31 per UPS e 39 per DHL. 3.2. DO 3.2.1. IL VISIBLE PLANNING Con la fase Do inizia la realizzazione di quanto pianificato. Durante le riunioni di avanzamento settimanali gestite tramite il Visible Planning, ciascun membro del team si prende in carico l’esecuzione di determinate attività. Occorre tuttavia specificare che il visible viene utilizzato in tutte le fasi del ciclo di Deming e in particolare in quella di Plan. Si descrive in questa fase solo ed esclusivamente per comodità espositiva, in quanto la descrizione di come avvengono le riunioni di avanzamento è direttamente legata ad esso. Si tratta di uno strumento utilizzato per la gestione dei progetti che, come dimostrano le sue caratteristiche di seguito elencate, è basato sui 5 principi del Lean Thinking: - Elimina i muda dei progetti quali attese, ricerche di dati, problemi irrisolti, decisioni rimandate, rischi non gestiti e problemi relazionali (applicazione del 2° principio); - Il progetto non è spinto da qualcuno ma si autoregola in funzione dell’obiettivo (1°, 3° e 4° principio); - I rapporti tra i membri del team vengono gestiti in un’ottica cliente – fornitore. Ciascuno deve infatti verificare la coerenza temporale delle sue attività con quelle degli altri partecipanti (4° principio); - Risolve in anticipo i problemi creando standard per il miglioramento continuo (5° principio). Esso inoltre rende le informazioni visibili a tutti e aumenta l’importanza del contributo fornito dalle singole persone, le quali condividono le decisioni e non le subiscono. 42 Il visible utilizzato per il progetto in questione è qui rappresentato: Si tratta di un tabellone standard suddiviso in tre parti: Barashi, Pianificazione temporale e Issue Board. Il Barashi è la parte qualitativa del Visible Planning e consiste nella rappresentazione grafica degli output del progetto, quale ad esempio l’architettura del server informatico nel caso in esame. Le conoscenze “tacite” presenti nella testa delle diverse persone si materializzano in un percorso comune e condiviso. Lo scopo è catturare progressivamente il concetto di una determinata soluzione, man mano che emergono le idee dal team e vengono condivise le contromisure proposte. Il Barashi infatti viene sviluppato al termine della fase Plan, ma dev’essere poi aggiornato nel corso della fase Do. A prescindere da quanto sia precisa la pianificazione, si deve necessariamente mettere in conto che la strada verso lo stato futuro è una zona grigia e che pertanto si devono fare degli aggiustamenti lungo il cammino (Rother, 2013). Ecco che all’interno del ciclo PDCA globale del progetto in esame emergono altri cicli 43 PDCA brevi e frequenti, corrispondenti ad ogni azione realizzata verso la condizione obiettivo. La Pianificazione temporale rappresenta invece la parte quantitativa del Visible Planning e serve a supportare il team nella pianificazione iniziale e nell’avanzamento periodico delle attività. È una sorta di matrice con in ascissa le settimane e in ordinata i nomi delle risorse del gruppo. I post-it in fucsia indicano le “milestones”, cioè i macro obiettivi del progetto, i quali vengono stabiliti nella fase Plan. Per quanto riguarda la fase Do invece, ogni mercoledì l’intero team si riunisce davanti al visible per una riunione di avanzamento. La riunione viene gestita dal Team Leader che ha il compito di tenerne sotto controllo la durata fermando eventuali discussioni inutili. Durante l’incontro ciascun membro del gruppo si prende in carico una determinata attività e pianifica entro quando realizzarla. Ne scrive quindi una descrizione sintetica su un post-it giallo e lo incolla in corrispondenza dell’incrocio tra il proprio nome e la settimana target stabilita. Come affermato in precedenza, ognuno deve verificare la coerenza temporale delle sue attività con quelle degli altri. Ecco perché risulta fondamentale che tutti siano sempre presenti alle riunioni di avanzamento. La pianificazione per le proprie attività da parte di ciascun soggetto rappresenta la fase Plan del micro ciclo PDCA, mentre nel corso della settimana si procede con la fase Do. L’incontro successivo inizia con una fase di Check in cui ogni membro del team analizza l’attività realizzata. Se è stata completata viene sbarrata, mentre se non lo è ancora viene ripianificata per una data successiva. In tal caso il post-it viene spostato in avanti in corrispondenza della nuova settimana target e si disegna un rettangolo per identificarne lo spostamento. Ciò serve per dare evidenza che una risorsa potrebbe essere in difficoltà e potrebbe aver bisogno di aiuto. Le attività annullate in quanto non più necessarie vengono invece segnalate mediante una croce. 44 Si procede quindi con l’inserimento di eventuali nuove attività. Infine l’avanzamento si conclude con l’aggiornamento della Issue Board e con la discussione dei problemi in essa contenuti. La Issue Board rappresenta la terza ed ultima parte di cui si compone il Visible Planning e consiste in un tabellone suddiviso in tre sezioni verticali con le intestazioni “Open”, “In progress” e “Closed”. Essa ha il compito di tenere traccia di tutte le problematiche sorte durante la realizzazione delle attività e di favorirne una comprensione profonda e una condivisione da parte di tutti i membri del gruppo. I problemi emergenti vengono descritti sinteticamente nei post-it e posizionati nella sezione Open, in attesa di essere presi in carico. Una volta che il team decide di risolvere un problema, il post-it corrispondente viene spostato nella sezione In progress. Allo stesso modo i post-it relativi ai problemi completati vengono posizionati sotto l’intestazione Closed. Nel caso in cui vi sia un problema particolarmente rilevante che il team non riesce in alcun modo ad affrontare, si procede con la creazione di un’ulteriore sezione chiamata “Issue to the Board”, la quale serve ad accogliere le criticità da sottoporre alla Direzione. Con la fase Do termina l’implementazione delle attività per il primo corriere espresso. In questa fase occorre sottolineare la continua collaborazione tra l’azienda e GLS. Il progetto seguito infatti descrive solamente il lavoro svolto da Carel, ma allo stesso tempo per consentire la creazione di un server di comunicazione fra i rispettivi gestionali vi è un altrettanto intenso lavoro da parte di GLS. Carel mira non solo a creare una relazione di fiducia di lungo periodo con i propri clienti, ma anche con tutti gli altri stakeholders con cui entra in contatto, corrieri compresi. Questo rappresenta sicuramente un fattore che contribuisce ad agevolare l’innovazione che da sempre caratterizza l’azienda. 3.3. CHECK Nella fase Check si verificano le azioni intraprese al fine di individuare eventuali scostamenti fra il target e i risultati raggiunti. 45 Nella settimana 22 si effettua un primo test in merito alla comunicazione fra i due gestionali, con risultati confortanti. Nella settimana successiva si procede quindi con il collaudo dell’intero nuovo processo di spedizione. Per far questo al team di progetto si aggiungono anche alcuni esponenti di GLS, in modo da poter intervenire in tempo reale in caso di problemi. Il tutto funziona perfettamente secondo quanto pianificato. Infine anche il rispetto delle tempistiche risulta soddisfatto, in quanto il progetto può concludersi entro la data target prefissata, la settimana 24. Poiché gli obiettivi sono soddisfatti, il progetto per GLS avanza alla fase Act. Contemporaneamente inizia una nuova fase Do per un secondo corriere espresso, UPS. 3.4. ACT Con la fase Act si conclude il progetto per GLS. Il nuovo processo di spedizione viene standardizzato e diventa definitivamente operativo. Le soluzioni sviluppate dimostrano pienamente come uno dei fattori critici del successo dell’azienda sia la capacità di combinare assieme Kaizen e Kaikaku. Il progetto infatti abbina il miglioramento continuo, derivante dalla rimozione degli sprechi e dalla riconfigurazione del processo, con l’innovazione radicale e l’alta tecnologia, le quali trovano nell’idea del server un esempio tangibile. 3.4.1. IL PROSSIMO STEP Come sempre in Carel la conclusione di un progetto non rappresenta un punto di arrivo, bensì un nuovo punto di partenza per migliorare ancora. Il progetto qui analizzato mira semplicemente a snellire il processo di spedizione eliminando gli sprechi derivanti da attività inutili, perdite di tempo e rischi d’errore. Esso tuttavia non va ad incidere in alcun modo sul lead time di magazzino indicato nella figura di pagina 34. Il prossimo step sposta invece il focus sulla riduzione di quest’ultimo. L’azienda ha già pronta la prossima idea su cui lavorare dopo la settimana 39, data target per la conclusione del progetto anche per l’ultimo dei 3 corrieri espressi di riferimento, DHL. 46 Come affermato precedentemente, il deposito intermedio dei prodotti finiti in magazzino risulta necessario in quanto un unico ordine del cliente può comprendere articoli realizzati in diverse value stream o, addirittura, in diversi reparti. Un’analisi effettuata tuttavia, evidenza che circa il 50% degli ordini comprende prodotti provenienti da un’unica value stream. Per questi ultimi pertanto, il passaggio in magazzino rappresenta un’attività inutile che può essere eliminata. L’obiettivo è quello di sfruttare l’idea del server per spostare, per i casi qui considerati, il processo di spedizione direttamente in produzione a fine value stream, saltando il magazzino. Tuttavia per eliminare completamente la scorta intermedia tra produzione e imballaggio, ed evitare invece che il deposito venga semplicemente spostato dal magazzino alla produzione, risulta necessario automatizzare anche il processo di evasione. Ecco che il prossimo step diventa far sì che, una volta realizzati i prodotti e caricati a sistema, il gestionale provveda non solo ad inserirli automaticamente in distribuzione, ma anche ad evaderli immediatamente. Così facendo il flusso può scorrere molto più velocemente poiché tutto è realizzato in linea. 47 L’ordine ricevuto dal cliente viene codificato e inserito nel gestionale, il quale restituisce una data promessa. Due giorni prima di tale data il sistema crea l’OdL e inizia la produzione. Una volta completati, i prodotti vengono caricati nel sistema che provvede ad evaderli immediatamente. Gli operatori possono quindi procedere subito con l’imballo dei pacchi e, grazie al server, hanno già a disposizione etichette e DDT. Infine i pacchi vengono portati in magazzino e posizionati nelle specifiche baie, in attesa di essere ritirati dai corrieri. L’unico deposito rimasto è quello finale in baia di carico, mentre tutte le scorte intermedie sono eliminate. I vantaggi attesi in termini di lead time di magazzino (figura di pagina 34) prevedono una riduzione di circa due giorni. Per gli ordini che comprendono prodotti provenienti da diversi reparti dell’azienda, il processo rimane invece quello descritto nel corso dell’elaborato. Anche per questi vi sono però dei vantaggi in termini di lead time, grazie al fatto che l’evasione avviene in tempo reale e non il mattino successivo come in precedenza. Inoltre, l’ufficio Logistica-Clienti non deve più occuparsi della distribuzione, potendo concentrare l’attenzione su altre attività. 48 CONCLUSIONI La conclusione del seguente elaborato riprende la riflessione presentata nell’introduzione, in merito a quanto sia importante ma allo stesso tempo difficile cambiare per un’organizzazione, soprattutto in un mercato sempre più competitivo e turbolento. La descrizione presentata dimostra come Carel Industries rappresenti in questo un esempio di notevole successo. Oggi l’azienda ridefinisce costantemente il valore per il cliente, facendo della complementarietà fra miglioramento continuo e innovazione il suo fattore vincente. Da una lato infatti, come dimostra la riconfigurazione del processo di spedizione analizzato, ripensa continuamente i propri processi e le proprie attività, concentrandosi sulle esigenze dei clienti attuali. Dall’altro ripensa i propri prodotti, anche se in maniera meno frequente, focalizzandosi su nuovi business e sui non clienti. Ciò emerge ad esempio dall’entrata nel mercato dell’illuminazione a led con l’acquisizione della start-up Arianna. Il cambiamento segue i principi della filosofia lean ma questo avviene anche in molte altre aziende che, tuttavia, non ottengono i risultati sperati. In questa parte conclusiva si propongono alcuni fattori che probabilmente segnano il confine tra la trasformazione lean di successo di Carel e il fallimento di molte altre aziende. Innanzitutto l’azienda ha il coraggio di cambiare non solo quando le cose vanno male e si è “costretti” a farlo, ma anche quando le cose vanno bene e potrebbe sembrare non necessario. Ciò dimostra come sia fondamentale avere una visione di lungo termine, la quale non dovrebbe mai essere messa in secondo piano per ottenere benefici di breve periodo. Fra i punti di forza di vi è poi un forte attaccamento ai valori da parte di tutti i dipendenti. La capacità di mantenere l’azione legata a dei valori di fondo garantisce la connessione tra sistema azienda e sistema individuo. L’organizzazione inoltre adotta un approccio sistemico per realizzare la trasformazione lean e questo, come dimostra l’evidenza empirica, è un elemento che accomuna molte trasformazioni snelle di successo. Infine, l’elemento più importante deriva dalla capacità di andare oltre all’implementazione delle tecniche lean, spostando il focus sulle persone e sulla creazione di una cultura del miglioramento continuo. Per questo Carel prende esempio da Toyota in merito al metodo con cui migliora costantemente e risolve i problemi, mentre per le soluzioni cerca di svilupparne di proprie, adatte alla specifica situazione in cui si trova. 49 I team compatti ne sono un esempio. L’azienda sa che per essere snelli sul piano tangibile (meno scorte, meno manodopera, meno spazi, ecc.) occorre essere ridondanti sul piano intangibile, dal punto di vista funzionale, cognitivo e relazionale. Ecco che i team compatti costituiscono una soluzione appropriata in grado di spingere le persone verso la multifunzionalità. Modificare la cultura di un’organizzazione è però un compito difficile e che richiede tempo. In Carel per radicare il miglioramento continuo nella cultura organizzativa, il metodo scientifico del PDCA viene insegnato a tutti i dipendenti, al fine di creare una routine standard che consenta di affrontare giorno per giorno i problemi che si presentano. Nel mercato attuale questa rappresenta la vera sfida e il vero vantaggio che si può ricavare dalla filosofia lean: sviluppare un metodo che consenta non solo di riconoscere l’incertezza, ma di imparare a conviverci e ad abitarla. 50 RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI E SITOGRAFICI CAREL INDUSTRIES, Documentazione interna. GRAZIADEI, G., 2006. Lean Manufacturing. Come analizzare il flusso del valore per individuare ed eliminare gli sprechi. Prima edizione. Milano: Hoepli. JACKSON, T.L., 2006. Hoshin Kanri for the Lean Enterprise: Developing Competitive Capabilities And Managing Profit. Prima edizione. New York: Productivity Press. LIKER, J.K., ATTOLICO, L., 2014. Toyota Way. I 14 principi per la rinascita del sistema industriale italiano. Prima edizione. Milano: Hoepli. ROTHER, M., 2013. Toyota Kata. Gestire le persone per il miglioramento, l’adattabilità e la superiorità dei risultati. Prima edizione. Milano: McGraw-Hill. ROTHER, M., SHOOK, J., 2009. Learning to see. La mappatura del flusso del valore per creare valore ed eliminare gli sprechi. Edizione 2.1. CUOA Lean Enterprise Center. SLACK, N., CHAMBERS, S., e JOHNSTON, R., 2010. Operations Management. Sesta edizione. Harlow: Prentice Hall/Financial Times. WOMACK, J.P., JONES, D.T., 2003. Lean thinking: Banish waste and create wealth in your corporation. Seconda edizione. New York: Productivity Press. WOMACK, J.P., JONES, D.T., e ROOS, D., 1993. La macchina che ha cambiato il mondo. Quinta edizione. Milano: Rizzoli. 51 www.carel.com http://www.cuoaspace.it/2013/02/lean-e-strategia-alcune-riflessioni.html http://www.cuoaspace.it/2013/07/metodo-scientifico-e-leadership-quale-possibileconnubio.html http://www.cuoaspace.it/2014/03/la-vera-forza-della-lean-sono-le-persone-il-casoanodica-trevigiana.html http://www.cuoaspace.it/2014/03/le-contraddizioni-del-miglioramento-continuo.html http://www.cuoaspace.it/2014/05/la-ridefinizione-del-valore-per-il-cliente-e-ilrilancio-del-sistema-italia.html http://www.cuoaspace.it/2014/05/quanto-e-snella-la-produzione-snella.html http://www.qualitiamo.com/miglioramento/kaizen/introduzione.html http://www.qualitiamo.com/miglioramento/kaizen/metodologia.html http://www.qualitiamo.com/miglioramento/kaizen/miglioramento%20continuo.html http://www.qualitiamo.com/miglioramento/kaizen/principi.html http://www.qualitiamo.com/miglioramento/kaizen/risorse%20umane.html 52 RINGRAZIAMENTI Ringrazio l’Ing. Pietro Fabris e il mio tutor Marco Mantoan per la disponibilità mostrata ogni giorno nel rispondere ad ogni mia curiosità e per essere stati punti di riferimento in questa esperienza di stage. Un grande ringraziamento va inoltre a tutto l’ufficio Logistica-Clienti con Andrea, Luisa, Francesca e Graziella per tutto l’aiuto e il supporto che mi hanno fornito. Ringrazio poi il Prof. Andrea Furlan per avermi fatto appassionare al tema del Lean Thinking. Un grazie speciale va infine alla mia famiglia e a Vanessa, che mi hanno sempre incoraggiato in questi tre anni. 1 14.500 parole 53
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