PRIMEPAGINE (PER BAMBINI) IL FATTO QUOTIDIANO DEL LUNEDÌ LUNEDÌ 28 LUGLIO 2014 19 MAMMAMONDO UNA CASETTA PER GRANDI PENSIERI Non ci vogliono fatica e soldi per costruire un gioco che si ricorderà. Basta un po’di cartone. Il resto ce lo mette la fantasia. Dei bambini e dei grandi, quando hanno tempo e voglia di stare insieme. DISEGNA PER NOI Disegna le notizie del mondo e della tua città che ti hanno colpito. E inviale a [email protected] Le metteremo sul sito diario di una madre qualunque Il nostro primo distacco di Maria Valeria Valerio C LASCIATE CHE I BAMBINI La danza infinita di Matisse di Tomaso Montanari Henry Matisse, La danza, seconda versione, 1909-11. San Pietroburgo, Museo dell’Ermitage L’ERMITAGE, IL CALORE DEI MUSEI Dimenticate il caldo torrido e gli acquazzoni improvvisi di questa estate impazzita. Immaginate l'inverno più rigido. Ma non quello italiano: quello russo. Immaginate le strade di San Pietroburgo: fuori ci sono dieci gradi sottozero, e il vento vi sputa in faccia la neve. E immaginate di entrare in un museo: nel museo più bello del mondo, l'Ermitage. Una volta dentro, il calore dei colori ti scioglie, mentre ti perdi su un vecchio parquet scricchiolante. Già, perché una delle cose belle dei musei è che ti proteggono: dal caldo, dal freddo, dal dedalo delle strade, dalla fretta, dall'indifferenza. Un museo è uno spazio liberato, gratuito, umano. Un pensiero in cui poter entrare, un desiderio da abitare. Solo in un museo come l'Ermitage puoi passeggiare tra le emozioni, fermarti di fronte ad una sensazione, sederti tra due ragionamenti, abbandonarti ad un’associazione di idee. Oppure puoi finire proprio in mezzo ad una danza. Una danza di tre colori: «l'azzurro del cielo, il rosa dei corpi, il verde della collina», spiegò lo stesso Matisse, il pittore che aveva creato questa danza senza fine. Per una di quelle strane associazioni da museo, ogni volta che all’Ermitage sono finito di fronte alla Danza – così indimenticabilmente colorata, quando fuori dal vetro tutto è bianco di neve e ghiaccio – ho pensato che il suo titolo vero dovesse essere: «Grazie». Immancabilmente – e senza alcuna necessità – associo quel quadro ad una delle pagine più belle della Bibbia. Dopo che il Mar Rosso inghiottì l’esercito del Faraone, Miriam, la sorella di Mosé e Aronne, «prese in mano un cembalo: dietro a lei uscirono le donne con i cembali, formando cori di danza.Miriam fece loro cantare il ritornello: “Cantate al Signore perché ha mirabilmente trionfato: ha gettato in mare cavallo e cavaliere!”». Era un grazie radicale: un grazie per la salvezza, per la vita, per la libertà di un popolo oppresso. Un grazie crudele: senza pietà e senza remore. Un grazie senza freni. Per questo non bastava dirlo, e nemmeno cantarlo: bisognava danzarlo. Ed è bello voler danzare, ogni giorno, il nostro grazie alla vita. Non c'è bisogno di particolari successi, felicità, vittorie: basta la gioia di essere nel caldo di un museo, in mezzo ad una città gelata. E se è bello voler danzare, è meraviglioso poterlo fare con i colori e la forza selvaggia della Danza di Matisse. La nostra danza quotidiana. iao mamma”. Ci siamo salutati tante volte, Luca ed io. Ma oggi è diverso: è la prima volta che a partire è lui. Lo guardo che sale sul pullman dei boy scout, vedo i suoi capelli spessi, forti, che mi pare di toccarli. Vedo lo zaino colorato sulle sue spalle, proprio lo stesso che usavo io, che ho portato con me in tanti viaggi di ragazza. Ci ho messo tutta la notte per riempirlo, sperando che in ogni oggetto ritrovasse un mio gesto. Un pensiero. Come passa veloce. Ricordo le partenze d’estate, i saluti alla stazione, all’aeroporto, quando mi avviavo e sentivo sulle spalle lo sguardo dei miei genitori che mi proteggeva e mi sospingeva. Era come un testimone da conservare e restituire al ritorno. Ora siamo mio marito ed io a guardare Luca. A chiederci quale sia il ruolo più pesante. Se quel senso di sottile tradimento, di colpa che ti accompagna alla partenza. Oppure la sensazione di abbandono, di impotenza di chi resta. Mi ricordo due dei miei quadri preferiti, “Gli stati d’animo” di quel genio straordinario che era Umberto Boccioni. “Quelli che restano” e “Quelli che vanno”. Non si distinguono chiaramente le persone, ma si intuiscono figure appena accennate, piegate, deformate forse dalla velocità, dalla distanza. Dagli stati d’animo, appunto. Si intuisce lo slancio, ma anche il peso che si deve vincere. Come un prezzo da pagare. I colori cadono giù verticali, come pioggia che ti impregna dentro. Ma tutte queste cose non possiamo dirle a Luca. “Sarà bellissimo”, è il solo messaggio che possiamo dargli. Ed è vero: le prime sere con gli amici, i falò sotto le stelle, i boschi da perlustrare con il desiderio e la paura di perdersi. Sarà bellissimo, anche se ci allontanerà un po’. E non basterà raccontarselo. Tutto il resto non si può dire. Deve bastare la certezza di sentirlo, ma di doverne ognuno portare da solo una parte. Luca lo sa, gliel’ho letto negli occhi che si sono spalancati appena il pullman si è mosso. Anche questo misura la distanza: lo spazio che ci separa, ma soprattutto quello che ci unisce. ilfattoquotidiano.it/blog / mammamondo
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