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Capitolo 1 - La visita di Zeddai
Secondo la stanza degli orologi la storia può dirsi terminata e il racconto può iniziare. Il vecchio Yuz si
prenderebbe ore a spiegare la differenza tra storia e racconto, ma io non sono lui. La stanza degli orologi,
forse, ha aspettato fino a ora perché sia io e non lui a vergare le pagine.
Per i primi anni di Valerius Demoire devo rivolgermi agli appunti presi da Yuz, però, appunti ormai
piuttosto difficili da leggere, non fosse altro che per l'inchiosto ai gusci d'insetto che usava. Valerius
Demoire è nato nell'anno meccanico 1857, nell'unica città che valga la pena ricordare, ovvero Londra.
Padre incerto, madre improbabile che lo ha abbandonato sui gradini di una chiesa ancora in fasce, in uno
degli Anni della Fame. Le istituzioni lo affidarono a uno dei tanti, affollati orfanotrofi del tempo.
Non esiste nessun dato rilevante sui primi anni di vita, dopotutto non ne esistono mai. L'esistenza
nell'orfanotrofio deve essere stata dura, soprattutto perché, già all'età di otto anni, Valerius deve aver
necessariamente cominciato a manifestare le sue peculiari capacità di ragionamento che l'hanno poi
portato dove lo hanno portato. Ma un'altra caratteristica di Valerius è sempre stata la sua straordinaria
capacità di adattamento e resistenza. Valerius non è mai stato un debole. E se anche questo lo ha
condannato, lo ha anche protetto, in molti casi.
All'età di 12 anni, in visita all'orfanotrofio, si presentò il professor Zeddai, uno degli artefici della vittoria
inglese nella guerra del Vapore contro i francesi. Non è chiaro cosa ci facesse lì, la fonte più accreditata
dice che una sua sorella prestasse opera nell'istituto, ma è inutile riportare dati inesatti. Per qualche
ragione fortunata il professor Zeddai si ritrovò a parlare con Valerius e, da genio a genio, riconobbe
subito le incredibili capacità del bambino.
Fino a quel momento nessuno aveva mai voluto adottare Valerius e le possibilità che questo avvenisse si
erano ormai assottigliate tanto che l'orfanotrofio era ormai pronto a tenerlo con sé fino ai 14 anni, come
previsto dalla legge. Zeddai non provò ad adottarlo, non subito, pensando che quello che aveva in mente
non dovesse passare per un atto così intimo e personale. Decise di avviare le pratiche per fare di Valerius
suo figlio solo quando la legge glielo impese, lasciandogli quella come unica strada per partecipare
attivamente nell'educazione del ragazzo.
Cyrus Zeddai non si fece mai chiamare padre da Valerius, Valerius, da parte sua, non sentì mai l'esigenza
di chiamare padre lui. Fra loro intercorreva solo un documento formale di cui si sarebbero presto
dimenticati entrambi, una volta immersi nei loro progetti comuni.
Capitolo 2 - L'ingresso all'Achademia
Valerius entrò nell'Achademia Superior Mathematicha di Londra due mesi dopo che le pratiche di
adozione da parte di Zeddai furono concluse. L'Achademia, per quanto fosse un istituto prestigioso, non
ebbe il coraggio di contrariare il celeberrimo professore rifiutando il suo rampollo adottivo. Valerius entrò
in uno dei templi mondiali della tecnologia e della scienza applicata con un anno di anticipo sull'età
minima per accedervi e avendo alle spalle l'approssimativa istruzione ricevuta in orfanotrofio.
Le sue rocambolesche origini furono tenute parzialmente nascoste e il suo ingresso nell'istituto fu gestito
con discrezione, ma troppo evidente era l'abisso di maniere e educazione che lo distingueva dal resto
degli studenti, la spremitura più pregiata delle classi elevate della società inglese. Non è difficile pensare
a Valerius come una specie di ladro in un deposito di oggetti preziosi, un selvaggio proveniente da
un'ambiente quasi incivile, abbandonato a sé stesso in mezzo a tanto sangue nobile.
Possiamo ora giudicare la mossa del professor Zeddai come avventata. I primi mesi di Achademia quasi
spezzarono il povero Valerius che, bloccato dal mondo che lo circondava, non poteva far esplodere le sue
incredibili doti. Non esiste nessuna documentazione, nessun dato relativo a ciò che gli permise di
sopravvivere. Mi piace ipotizzare che, una notte, egli si sia trovato a doversi guardare in faccia e decidere
se arrendersi a ciò che gli stava accadendo o lottare. Scelse di lottare, evidentemente, e trovò modo di
estrarre i suoi artigli.
Valerius si chiuse in sé stesso. Rifiutò il contatto con i compagni, si tenne sempre a debita distanza dai
professori, spese la maggior parte del suo tempo chiuso nelle sue stanze. Contestualmente, la sua
conoscenza cresceva. In una settimana colmò il suo divario rispetto a tutti gli altri della sua età per quello
che riguardava le scienze matematiche. In altre due settimane aveva acquisito tutte le nozioni che gli
venivano richieste nelle materie scientifiche. Rivelò e sfruttò un buon orecchio musicale e ostentò un
grande talento nella scherma.
Rimase indietro in tutte le materie umanistiche, mostrando scarsa capacità di prosa e disinteresse per la
letteratura. Questo gli fu rapidamente perdonato in un istituto come l'Achademia, sebbene gli lasciò
addosso una scarsa capacità di esprimersi e un'oratoria grezza, priva di virtù.
Capitolo 3 - La situazione internazionale
Yuz si é raccomandato molto che in questo libro io descriva anche la situazione internazionale. "Non
sappiamo per quanto tempo lo leggeranno" soleva ripetere "e un giorno dimenticheranno". Se non si ha
presente la situazione internazionale del mondo negli anni di Valerius niente di quello che fece lui e gli
altri del suo tempo può essere chiaro.
L'anno che Valerius cominciava l'Achademia la guerra del vapore era finita ormai da 10 anni.
L'Inghilterra e la Germania erano riuscite, congiunte, a respingere le ambizioni espansionistiche della
Francia e dei suoi lacché. Il prezzo pagato per riuscirci, però, risultò insostenibile, e non solo nei termini
delle vite umane perse.
L'Inghilterra aveva speso tutte le sue risorse nella costruzione del primo esercito meccanico della storia.
Di esso non gli rimase quasi nulla, alla fine del confltto, come non gli rimase di che sfamare il suo
popolo. Vi furono anni durissimi in cui tutti dovettero fare sacrifici. L'Inghilterra dovette rinunciare a
qualsivoglia ambizione militare, incapace a tenere insieme la nazione e, nel contempo, armarsi
nuovamente.
Il collasso delle ambizioni francesi mandò in pezzi la Francia dal punto di vista politico. Dalla fine della
guerra si avvicendarono due repubbliche e una monarchia. Sempre negli anni di giovinezza di Valerius la
Francia era in mano a una repubblica che però, in gran parte, era pilotata da eminenze grige tedesche.
Questa situazione umiliante fece nascere un movimento nazionalista, supportato dal poco esercito che
ancora i francesi avevano, noto come "I moschettieri di ferro".
E la Germania? Per quanto trionfatrice, continuava a patire l'isolamento dovuto all'Eresia dei Mutanti. La
guerra del vapore fece sì che l'Inghilterra non gli fosse più nemica e gli consegnò la Francia come scudo,
ma tutti gli altri paesi la guardavano minacciosi in attesa di un suo passo falso.
Queste le condizioni del tempo. Condizioni condannate a mutare. E accadde nel peggiore dei modi.
Capitolo 4 - L'incontro con Yuz
Fu all'Achademia che Valerius incontrò per la prima volta Yuz. Ovviamente Yuz non gli si presentò per
quello che era per ragioni noiose a chiarire. Si fece riconoscere semplicemente come direttore dell'istituto
Bilance e Misurazioni dell'Achademia, un prestigioso organo scientifico con una lunga tradizione che
però aveva ormai perso lo smalto di un tempo. Negli anni meccanici, in cui la scienza si misurava nelle
tonnellate di metallo che si riusciva a muovere e nei litri di carburante che si sapeva bruciare, non
rimaneva molto spazio per dare retta a chi distingueva il femtometro dal picometro.
Valerius si presentò all'istituto per il suo primo tirocinio, all'inizio dell'estate. Il modo in cui era arrivato
all'Achademia e il suo travolgente successo negli studi avevano già sollevato fin troppo rumore. Per
questo scese di seppellirsi lì dove, sicuramente, non avrebbe potuto fare niente clamoroso.
Vi era però un problema: Yuz odiava profondamente Zeddai, come ci si può odiare solo tra scienziati. Era
ferma idea di Yuz che la boria del collega superasse di gran lunga il suo genio e che quindi meritasse
disprezzo, nonostante tutti i successi raggiunti. Inutile dire cosa potesse pensare del suo rampollo
raccomandato, entrato agli studi per capriccio, probabilmente altrettanto altezzoso.
Oltre a ciò, come si poteva rimanere affascinati da Valerius? Un ragazzo che si era fatto alto, ma dai
lineamenti grossi del contadino, dallo sguardo sfuggente, spesso troppo basso. Privo di qualsiasi interesse
nel curare la propria persona. Incapace di sostenere un discorso, sempre pronto a rifugiarsi nel mugugno.
Anche quando punzecchiato su argomenti a lui congeniali, impossibilitato a esporre correttamente la sua
conoscenza.
Ma Yuz non odiò Valerius, non lo odiò mai. Se aveste mai conosciuto Yuz vi sarebbe facile capire
perché. Semplicemente, dopo aver accettato la richiesta di tirocinio del ragazzo lo accantonò in un
angolo, dove metteva sempre i tapini che, per varie ragioni, si ficcavano nel suo buco per ottenere crediti
scolastici. Lo prese per un impiegato, un paio di braccia robuste al suo servizio, un cameriere.
Ahimè, Yuz non ha mai ammesso di essersi sbagliato, allora. Ma anche qui, per capire perché, vi sarebbe
bastato viverci un po' assieme.
Capitolo 5 - Il tensiometro di Gamedio
E poi un giorno Yuz notò Valerius. Non che volesse, ma probabilmente in quel momento aveva poco a
cui pensare. La mente di Yuz tendeva ad accumulare informazioni casuali, quando non era abbastanza
impegnata.
Chiamò Valerius poco prima che finisse la sua giornata all'istituto.
"Quello è il tensiometro di Gamedio che ti avevo affidato ieri?" chiese, indicando un complesso
macchinario appoggiato su un tavolaccio.
"Si signore." rispose Valerius, abbastanza apatico.
"Ti avevo chiesto di smontarlo, inventariarne i pezzi e riporlo in una cassa, giusto?"
Il giovane si mise sulla difensiva "Signore, avevo capito che potevo farlo per la fine della settimana e..."
"No, no, non sto dicendo che sei in ritardo, ma... stamattina non lo stavi smontando?"
"Esatto, signore."
"E adesso è montato?"
Valerius sembrò avere una specie di scatto irritato. "Mentre concludevo il lavoro sono arrivati quegli
studenti... quelli che chiedevano il vostro aiuto. Hanno fatto molta confusione... temevo che qualche
pezzo fosse andato perduto... così per sicurezza ho rimontato lo strumento. Volevo.. essere sicuro."
Yuz era una maschera. Da sempre bravissimo a nascondere i sentimenti assunse quasi un cipiglio
annoiato. "E... hai trovato i disegni per rimontarlo, quindi?"
"No, signore, non sapevo ce ne fossero."
"E come hai fatto a ricomporlo?"
Valerius scrollò le spalle. Ora, finito tutto, è abbastanza chiaro che quello che lo frenò nella sua
giovinezza fu il fatto di non capire cosa rappresentava il suo talento. "Lo avevo smontato io..."
"Bene..." concluse Yuz. Poi aggiunse, in una sorta di rimorso di coscienza "Molto scrupoloso.
Ammirevole."
Valerius annuì. "Grazie, signore."
Yuz lasciò tornare il ragazzo ai suoi affari e uscì dall'istituto. Lasciò un complesso calcolo a metà ed è
una cosa che poche volte aveva fatto prima nella sua vita. Cercando di non apparire troppo frettoloso o
troppo preoccupato si diresse a passo spedito verso l'ufficio del rettore.
Capitolo 6 - Il rettore dell'Achademia
Il rettore e Yuz stavano uno davanti all'altro, lasciando che le ondate di disagio rimbalzassero fra loro
come una sorta di risacca emotiva.
Yuz non sopportava il rettore dell'Achademia come non sopportava qualunque autorità si credesse
superiore a lui o pensasse di avere il diritto di controllarlo. Il rettore, di contro, era irritato dal modo in cui
Yuz gestiva il suo istituto, come un piccolo feudo di cui era monarca assoluto e in cui nessuno poteva
mettere becco.
Facevano di tutto per non incrociarsi, ma quello che aveva visto Yuz era così clamoroso che si era fatto la
violenza di presentarsi al cospetto del rettore. "Ha capito la situazione?" gli chiese, dopo avergli esposto il
breve aneddoto su Valerius che ho narrato prima.
Il rettore scosse lentamente la testa. "Non capisco il punto, professore."
"Ha smontato il tensiometro di Gamedio. E poi lo ha rimontato. Alla perfezione. Completamente
funzionante. E ha 14 anni."
"In realtà l'unica cosa che noto è che per intrattenere i suoi tirocinanti trova esercizi piuttosto meschini"
Yuz cercò di mantenere la calma. Dentro di lui ribolliva, ma sapeva come comportarsi. Non sarebbe
caduto nella trappola intellettuale del suo nemico. "Almeno sa cos'è il tensiometro di Gamedio?"
"Certo che lo so. Uno stupido giocattolo inventato da Gamedio secoli fa. Un ridicolo groviglio di
ingranaggi e pulegge che rende complessissima un'attività di calcolo semplicissima."
"Eccola la parola chiave! Complessissima! Quell'oggetto è un delirio! Chiunque sia stato così stupido da
cercare di capire come funzionasse è quasi impazzito. E il giovane Demoire lo ha smontato e poi
rimontato!"
Il rettore tacque e guardò fuori dalla finestra, come se stesse valutando se gettarsi di sotto, tanto per
chiudere il dialogo avendo l'ultima parola. Poi però decise altrimenti. "Capisco che possa averla
impressionata."
"E sappiamo chi è il giovane Demoire..." Yuz fece sì che quel "chi" risultasse spigoloso all'udito del suo
interlocutore.
Il rettore conosceva bene i litigi tra Yuz e Zeddai, dei noiosi circhi che gli avevano portato solo grane.
Ora che cominciava a vedere dove il professore lo stava portando sentì un brivido gelido lungo la schiena
e il salto dalla finestra gli apparve terribilmente allettante. "Credo debba sottintendere un po' meno,
professore..." disse, facendo finta di non capire, sperando di spegnere le battute ad effetto di Yuz.
"Il professor Zeddai ci ha messo tra i piedi una sua... creatura... una specie di folletto... o genio... o
demone. E lo ha fatto con uno scopo. Quell'uomo combatteva guerre fino a qualche anno fa. Come
possiamo sapere cosa sta tramando ora? Con quel potenziale mostruoso a disposizione!"
Il rettore scavò una vera e propria trincea di apatia. "E?"
Yuz non era tipo paziente. Si pentì di essere corso dal rettore come una lavandaia isterica. Pensava che
persino quello stupido barbogio lo avesse appoggiato se gli avesse presentato onestamente la situazione.
Evidentemente si sbagliava e stava solo perdendo tempo. E perdere tempo era la cosa che Yuz odiava di
più. Sbottò: "Mi sembra di capire che la faccenda non le interessa" disse tagliente "comunque sappia che
terrò sotto controllo la situazione. Quando... QUANDO non SE vorrà avere notizie potrà averne da me."
Il rettore provò a replicare, cercando di contrastare quella battuta troppo irriverente, ma Yuz scivolò via
dal suo ufficio prima che ci riuscisse.
Capitolo 7 - L'irrequietezza di Valerius
Naturalmente, dopo l'episodio del tensiometro Yuz iniziò a raccogliere dati su Valerius in modo quasi
maniacale, senza farsi scrupolo di violare la privacy del ragazzo per acquisire informazioni. A mia
disposizione, qui, ho all'incirca ogni passo egli abbia mosso negli anni dell'Achademia, ogni esame abbia
sostenuto, ogni interrogazione. Per darvi un resoconto esauriente di cosa accadde potrei semplicemente
trascrivervi quanto scritto dal mio vecchio mentore, non sarà mai possibile un maggior livello di dettaglio.
Peccato che quegli anni furono noiosi e poveri di avvenimenti. Valerius arrivò rapidamente a
sopravanzare tutti i suoi coetanei e anche le classi successive alla sua. Divorò tutta la conoscenza che
l'Achademia poteva dargli, arrivando in fondo al ciclo di studi con anni di anticipo. La burocrazia, però,
non gli riconobbe il merito, trascinandolo avanti al lento passo dei suoi compagni. Questo lo rese
progressivamente sempre più frustrato, nervoso e chiuso in sé. La vita dell'Achademia lo annoiava,
disprezzava i suoi compagni così inferiori, l'ambiente chiuso dell'istituto lo privava degli stimoli che gli
erano ormai così necessari per crescere.
Si sfogava nella scherma. Valerius era un buon spadaccino, anche se non il migliore. La scherma, quindi,
divenne l'unica sfida ancora aperta per lui nonché una formidabile valvola di sfogo.
Il maestro di spade dell'Achademia, un belga di nome Didier Marcustade, sembrò capire la sua situazione
e prese abitudine a punzecchiarlo, provocarlo e portarlo alla sfida. Alcuni degli incontri di scherma fra i
due furono memorabili e raccontati tra gli studenti negli anni.
Ma Valerius era un animo inquieto, presto fu anche colto a combattere duelli illegali con ragazzi più
grandi in cui lui e i suoi avversari rimanevano feriti, anche in modo grave. Cominciò a collezionare
punizioni e giorni di consegna nelle sue stanze.
Nonostante il rettore non avesse accettato gli avvertimenti di Yuz e non fosse preoccupato di quello che
Valerius avrebbe potuto fare, comunque il ragazzo divenne per lui un cruccio, dal punto di vista
disciplinare. Da un punto di vista aveva il miglior allievo della sua scuola, dall'altro un'incontrollabile
testa calda.
Fu il padre adottivo di Valerius, Cyrus Zeddai, a risolvere il problema, probabilmente nel modo sbagliato.
Capitolo 8 - Valerius lascia l'Achademia
E il giorno che Zeddai decise il destino di Valerius e gli fece lasciare l'Achademia, Yuz era nuovamente
dal rettore e il rettore aveva nuovamente voglia di buttarsi dalla finestra.
"Cosa la preoccupa?" gli chiese l'eminenza massima dell'istituto, prendendolo in contropiede, prima
ancora che potesse lamentarsi. "Temeva quel ragazzo come un flagello... e ora quel ragazzo smetterà di
essere sotto il nostro stesso tetto. Ed è ancora qui?"
Lo stato d'animo di Yuz era ben diverso da quello con cui aveva inveito contro il rettore la prima volta.
Provava la latente angoscia del genitore o del tutore che vede scapparsi via il suo allievo. Non aveva
intrattenuto nessun rapporto diretto con Valerius dopo la fine del suo tirocinio, così agiva Yuz, ma
comunque si era legato a lui con un affetto che sicuramente è disdicevole per chi ha il dovere di
raccontare. Di fronte a quell'invettiva così cinica, si limitò ad abbassare la testa. "Ce lo ha lasciato come
un pacco... ora se lo riprende... non è una pianta da far maturare in serra, è un ragazzo. E non penso sia
giusto che faccia quello che vuole di lui."
"E' suo padre e comunque qui Valerius non aveva più nulla da fare. Il professor Zeddai sicuramente è la
cosa migliore che può capitare a una mente come la sua."
"No" Yuz tirò fuori la perentorietà della verità assoluta "non lo è."
Il rettore sospirò, almeno sarebbe stata l'ultima discussione che avrebbero avuto sull'argomento. "Il
professor Zeddai sta per partire per l'Argentina. La nostra nazione aiuterà la colonia spagnola in un
enorme piano di valorizzazione del territorio. Ha il compito di progettare un vasto sistema di irrigazione
per migliorare i campi e aumentare la produttività del paese. E' un impegno lodevole e ambizioso in cui
Valerius può sicuramente aiutarlo. Non vedo per lui miglior luogo dove crescere e mettere in pratica
quello che ha imparato qui."
"Zeddai le ha detto personalmente di questi progetti?"
"Assolutamente. Abbiamo parlato prima che portasse via il ragazzo."
"Mentiva. E lo sappiamo entrambi."
Il rettore trattenne un'emozione. Impossibile sapere quale fosse, finché la teneva stretta fra le labbra
chiuse. Poteva essere anche la consapevolezza, quella con cui avrebbe dato ragione a Yuz. "E' un eroe
della nazione. Non dubito dei suoi comportamenti."
"E' un freddo assassino della guerra del Vapore."
"L'abbiamo vinta, quella guerra."
Yuz non parlò più. Era stato già infantile presentarsi lì. Come avrebbe potuto il rettore fermare quello che
stava accadendo? Che senso avrebbe avuto, per l'Achademia, mettersi contro l'eminente Zeddai? Yuz,
forse per la prima volta nella sua lunga vita, quel giorno si era sentito ferito e vulnerabile e questo lo
aveva fatto comportare in modo irrazionale. Sfogatosi con il rettore, però, cominciava a vedere
lucidamente quello che sarebbe accaduto e questo lo calmò. "La guerra non è finita." si limitò a dire "La
guerra non è nemmeno ancora cominciata."
Dalla mia attuale posizione dovrei condannare Yuz, ma non lo farò. Siano altri a giudicare il suo
comportamento. Sarebbe pedante riportare qui il nostro codice, ribadire che mai e poi mai i nostri Calcoli
devono essere resi noti alle persone comuni. Pedante e meschino.
I Calcoli, persino i nostri, sono sempre e solo Calcoli. Quello che stava avvenendo nel cuore di Yuz quel
giorno era qualcosa di molto differente.
Capitolo 9 - La morte di Zeddai
Chi fu colpevole della morte di Cyrus Zeddai, il grande genio della guerra del Vapore?
La florida rivoluzione di Soras, il gaucho argentino reinventatosi generale, che dopo aver ribaltato il
governo spagnolo dell'Argentina ha invaso il campo dove il professore lavorava? Bhe, sicuramente è stata
la spada di un suo uomo a trafiggerlo, ma è stato un gesto così casuale, così irrazionale che non si può
considerarlo la causa della sua morte.
L'Inghilterra, che ha mandato lui e i suoi uomini allo sbaraglio in una nazione straniera, amica ma
instabile, senza opportune difese? Soras non aveva un vero esercito, ma una banda di predoni, sarebbe
bastato un reparto di Dragoni per fermarlo. Ma Dragoni non se ne trovavano allora, in quel luogo
dimenticato da Dio.
Gli argentini, che non l'hanno saputo avvertire della venuta di Soras e non hanno organizzato la sua fuga?
Bhe, visto il modo in cui le truppe spagnole a difesa del governo sono state massacrate probabilmente
sarebbe quasi irriverente attribuire a loro qualche colpa.
E se la colpa della morte di Cyrus Zeddai andasse attribuita a Cyrus Zeddai stesso? Al suo smisurato ego,
che gli ha fatto pensare di poter attraversare l'oceano per usare le sue macchine e far fiorire un paese? Alla
sua follia, di credere di poter andare in giro come se fosse invulnerabile, ammantato del suo splendente
nome? Alla sua arroganza che probabilmente gli ha fatto tenere la testa alta finché la lama di un brigante
non gli ha strappato il suo ultimo respiro?
E se le colpe fossero anche peggiori?
Non esistevano, al tempo, Calcoli su Zeddai. Troppo piccolo, troppo erratico, troppo misterioso perché si
potessero fare. Ma oggi sappiamo, abbiamo semplicemente conoscenza di ciò che accadde e sappiamo
che Zeddai meritò ciò che accadde.
Perché, nonostante fosse carico dei peccati della guerra del Vapore, nonostante millantasse il desiderio di
rendere il mondo un posto migliore, Cyrus Zeddai andò in Argentina per degli scopi che oggi noi
disapproviamo. E quello che fece, forse, gli attirò addosso Soras. Quello che rappresentò in quel luogo
invocò la distruzione e la punizione su di lui.
Furono i peccati di Cyrus Zeddai, gli ultimi che poté compiere da uomo, a cambiare per sempre la vita di
Valerius.
Capitolo 10 - Il segreto del granaio
Valerius stava in piedi contro un muro, la spada insanguinata di chissacchì in mano. Ai suoi piedi i due
briganti che avevano provato ad avere ragione di lui, morti. Davanti a lui, Soras il generale in persona,
con in mano una lunga pistola e un brutto ghigno sulla faccia.
"Fai ciò che ti conviene di più, ragazzo." disse Soras.
"Non so cosa sia." rispose lui, in perfetto spagnolo, una delle quattro lingue che aveva imparato
all'Achademia. Non aveva paura. Questo faceva parte del suo straordinario essere.
"Arrenditi a me. Non ti ucciderò. La florida rivoluzione non uccide ragazzini."
Valerius gettò a terra la spada, sicurissimo che Soras lo avrebbe comunque ammazzato. Dopotutto non
vedeva, in ogni caso, via d'uscita da quella situazione. Soras invece gli venne vicino, scavalcando senza
troppe cerimonie i cadaveri dei suoi uomini e poi lo colpì alla guancia con due forti manrovesci, resi
pesanti dal calcio della sua pistola. Valerius barcollò e crollò in avanti, Soras lo prese per una spalla. "Tu
non sei di qui, ragazzo. E anche se sei solo un bamboccio forse mi puoi spiegare."
Soras prese a guidare Valerius per l'accampamento dove lui e la squadra di Zeddai erano sistemati, ormai
devastato dai rivoluzionari. Il ragazzo, ancora intontito dalle percosse, si lasciò trascinare senza opporre
resistenza.
L'accampamento degli scienziati al seguito di Zeddai era piazzato nei pressi di una fattoria e di un campo
dove si sarebbe installata parte della rete di irrigazione che si stava progettando. Soras portò Valerius
dietro la fattoria, però, presso un enorme granaio discosto da tutti gli altri edifici.
"Cosa posso spiegarti?" biascicò Valerius, mentre due uomini di Soras aprivano le porte del granaio.
Il generale non disse niente, ma lo trascinò dentro. Nel granaio non vi era grano, non mi era, in realtà,
niente che riguardasse una fattoria. Addossato a un muro, appoggiato lì come un vecchio addormentato,
c'era invece un enorme gigante di metallo. Era una creatura grottesca, dalla sagoma umana, ma mostruosa
per dimensioni e proporzioni. Intorno a lui, a mò di corte, una serie infinita di strumenti scientifici
tintinnanti e apparati di misurazione e controllo. Da diversi degli apparati uscivano tubi larghi quanto il
braccio di un uomo, che si infilavano da qualche parte nel ventre del mostro.
"Che diavoleria infernale è questa?" chiese Soras.
Valerius guardò l'essere. Qualcosa di mosse in lui. Un movimento dell'animo più forte della paura di
morire. Tra le molte cose che aveva letto e studiato nel suo periodo all'Achademia c'erano, ovviamente,
tutti gli scritti di Zeddai e anche molti appunti che il professore gli aveva personalmente passato. Sorrise.
"Questo è... il motivo per cui mi terrai in vita."
Soras lo scrollò come fosse un gatto bagnato "E perché sei così certo di questo, bamboccio?"
"Perché posso farlo funzionare."
Capitolo 11 - La florida rivoluzione
La florida rivoluzione di Soras non potrà essere archiviata come il moto sedizioso di un brigante in un
paese dimenticato da Dio, perché era la conclusione di qualcosa di più grande. E l'inizio di qualcosa di più
terribile.
Alla fine del diciottesimo secolo i movimenti indipendentisti erano stati soffocati nel sangue, ma non
erano realmente morti. Erano rimasti nell'ombra a osservare gli effetti sul lungo periodo dei danni che
avevano prodotto sugli equilibri internazionali.
Tutte le nazioni, per mantenere il controllo sulle loro colonie, avevano dovuto irrigidirsi e potenziare le
loro capacità offensive e difensive. Nel contempo, erano state costrette a divenire inflessibili anche sul
fronte interno. Chi dovette irrigidirsi di più fu la Francia, tanto che, dopo l'abdicazione di re Carlo X,
trovò nel suo successore Sergio I un dittatore feroce che zittì con la forza dei moschetti il malcontento
popolare e ristrutturò la nazione sotto un ferreo regime militare.
Questo clima rovente partorì la Prima Guerra del Vapore, il mostruoso conflitto che consumò l'Europa
lasciandola indifesa di fronte alle sfide del futuro.
Durante la Guerra del Vapore le colonie erano state coinvolte nel conflitto come parte attiva, lottando le
une contro le altre secondo le bandiere dei loro padroni. Questo le aveva indebolite quanto aveva
indebolito gli stati d'Europa, ma aveva anche lasciato tempo e spazio a una nuova, più bruciante spinta
indipendentista di crescere e serpeggiare tra le folle. La florida rivoluzione d'Argentina fu il primo frutto a
maturare di questo nuovo albero di rabbia.
Impossibile stabilire come mai tutto cominciò dal generale Soras e dalla sua compagnia ribelle. Probabile
che l'endemica debolezza della Spagna, la sua sudditanza nei confronti dell'incerto governo francese e la
malgestione delle terre abbiano reso l'Argentina il posto più adatto per intraprendere una campagna
indipendentista.
Rimane però incomprensibile anche per i nostri Calcoli qualcos'altro, però. Come mai Cyrus Zeddai
scelse l'Argentina per i suoi progetti? Quali erano i complotti e gli intrighi che lo portarono in Argentina?
Cosa lo indusse a consegnare all'Argentina e quindi a Soras la sua macchina infernale?
Visto che non vi è risposta logica non rimane che una conclusione: Cyrus Zeddai era completamente
pazzo.
Capitolo 12 - Morgan e il gigante
Il colonnello Morgan soffriva il caldo e gli insetti. Guardare la sterminata pampa davanti a sé gli faceva
venire da vomitare. Troppo spazio, troppo libero, non riusciva a considerarlo tutto. Gli faceva male la
testa.
Il governo spagnolo, quando Soras aveva preso in mano le armi, se l'era fatta sotto. La Spagna, dopo la
guerra del Vapore, non aveva più nulla, soprattutto perché la sua grande alleata, la Francia, era stata
sconfitta. Ma l'Inghilterra aveva voglia di diventare amica di tutti e poi Soras aveva versato anche sangue
inglese. Se la Spagna aveva bisogno di una mano l'Inghilterra gliela avrebbe data. Il colonnello Morgan e
la sua unità di duecento fanti erano quella mano.
Lo scout tornò indietro. "Niente in vista, signore."
Morgan si trattenne dal tirargli un pugno, come sempre. Odiava gli scout. Troppo giovani, cazzo ci
facevano con un fucile in mano, a rischiare la vita? "Allora non ci resta che avanzare."
"Avanzare, signore?" chiese il tenente Thompson. Secondo la catena di comando era suo preciso dovere
contraddirlo "Senza sapere come è lì avanti?"
"Soras ha dei guerriglieri male armati. Se ci attaccherà non lo farà in campo aperto. Dobbiamo
attraversare questa prateria maledetta e avere punti di riferimento o impazziremo. In marcia, passo
normale. Cerchiamo di non schiattare sotto il sole, ma non facciamo nemmeno notte."
"Agli ordini, signore."
Si mossero. Non come un sol uomo, però. L'unità era alla caccia di Soras già da giorni e la disciplina
cominciava a sciogliersi sotto il sole. Avrebbero combattutto bene, comunque. Morgan non aveva il cuore
di riprenderli per i bottoni impolverati.
La pampa era immensa e tutta uguale. Era come stare fermi con la fatica di camminare. Un lungo incubo
verde. Poi, a un certo punto, cominciarono a vedere delle sagome, sullo sfondo, come per prenderli in
giro. Ancora decine di chilometri prima di... qualcosa.
"Paese del cazzo." salmodiò piano Morgan. Anche l'Inghilterra aveva verdi prati, ma finivano a un certo
punto.
In quel momento si sentì un basso rombo, come un colpo di tamburo, ma molto più diffuso e molto più
sordo. Poi un altro rombo, un terzo e un quarto. Ritmati, i rombi continuarono, ritmati, sempre più forti,
come se si stessero avvicinando.
"Dei passi." disse qualcosa dalle linee. Il colonnello Morgan non lo ascoltò. Era un'idea stupida. Ma la sua
pelle formicolava "Armi in mano" ordinò.
Dietro di lui, lo sferragliare dei suoi uomini che si armavano si perse nei rombi, sempre più decisi.
"Signore..." provò a dire Thompson, indicando un punto.
Thompson stava indicando una delle colline all'orizzonte, una di quelle che aveva notato anche Morgan.
Solo che la collina si stava muovendo. Si stava muovendo verso di loro.
Morgan guardò impietrito la sagoma delinearsi: testa, braccia, gambe, un torso massiccio. Almeno venti
metri d'altezza.
"Signore..." disse ancora Thompson.
Morgan sentì che era quel momento che capita ogni tanto ai comandanti, in guerra. Quel momento in cui
c'è una cosa, e una sola cosa che può salvarti la vita, mentre tutte le altre porteranno te e i tuoi uomini a
morire. Tu sei quello che deve dire quale sia quella cosa.
"Signore..." provò per la terza volta Thompson, con una ottusità tale che lui fu tentato di mandarlo
affanculo. Facile dire signore. Il suo ruolo era dire signore. Lui invece doveva scegliere.
Il rimbombo cambiò. La sagoma, il mostro, stava correndo verso di loro.
"Ritirata." disse Morgan, lasciando cadere il fucile "Ritirata, per l'amore di Dio"
Capitolo 13 - Morgan e Yuz
Sono costretto a tornare a parlare di Yuz. Se questa storia l'avesse raccontata Yuz, probabilmente lui si
sarebbe tolto dalla narrazione. Ma l'avrebbe fatto per pietà di sé stesso. Yuz è scomparso convinto di aver
avuto delle colpe. Cancellarsi dalla storia di Valerius sarebbe stata per lui sia una punizione sia la
redenzione da quelle colpe.
Per me è diverso. Yuz non era colpevole e io sono qui per chiarirlo.
Nelle mani del mio vecchi mentore c'erano i Calcoli e le incredibili notizie che arrivavano da oltreoceano.
Erano passate ormai settimane da quando era stata riportata la notizia della morte di Zeddai e del suo
figlio adottivo. Yuz ne era rimasto sinceramente ferito e aveva impiegato tutte le sue risorse per ottenere
dettagli sull'accaduto, invano. I frammenti che era riuscito a raccogliere, però, lo avevano sempre spinto a
continuare a cercare, nel tentativo di capire cosa fosse successo veramente.
Per questo si presentò alla caserma dove era rientrato il colonnello Morgan, dopo la disastrosa spedizione
in Argentina, pretendendo di parlargli con tutta la sua autorità di scienziato dell'Achademia. I Calcoli
avevano bisogno di conferma o quantomeno di altri dati.
Morgan era un uomo tarchiato, muscoloso, massiccio e la sua espressione era impenetrabile. Solo un
continuo tic dello zigomo lasciava intendere che era un sopravvissuto. "Ho parlato con molte persone"
disse, accogliendo Yuz "ma uno come lei... non riesco nemmeno a capire perché è qui."
"Sono direttore dell'istituto Bilance e Misurazioni dell'Achademia e la scienza è molto interessata
all'accaduto."
"Interessata a cosa? Vuole che le ripeta quanto era alto?"
"Voglio che mi spieghi semplicemente cos'era."
Morgan provò a parlare, ma le parole gli intasarono la bocca. Si mise a respirare forte col naso, come in
preda a un soffocamento. "Fanculo" disse alla fine "Fanculo. Non lo so cos'era. Se l'avessi capito,
probabilmente gli avrei sparato. Invece non l'ho capito e solo la metà dei miei uomini è morta. La metà,
capito? Fossi rimasto a capire, sarebbe morta anche l'altra metà."
Yuz giocò il tutto per tutto. Aveva fatto i Calcoli, prima di andare alla caserma, ed era consapevole che
col gesto che intendeva compiere c'erano buone possibilità che venisse arrestato e chiuso in una cella per
il resto dei suoi giorni. Ma a quel punto i Calcoli non gli bastavano.
Tirò fuori dalle sue vesti un foglio e lo mise sulla scrivania davanti al colonnello. "Era questo?"
Il colonnello guardò il foglio, poi Yuz, poi il foglio. Non capì. Forse si rifiutò di capire. In ogni caso fu
quello che salvò il mio mentore dalla prigione. "Come fa ad averlo?"
"Prima risponda, la prego."
"Sembra... sembra il suo fottuto ritratto."
Yuz, con un rapido spasmo, accartocciò il foglio, ne fece una palla e gli diede fuoco sulla punta di una
candela, poi lo gettò nel camino, ad arricciarsi e annerire. "Mi è stato molto prezioso, colonnello."
"Ma... ma cosa... mi ha fatto vedere?"
Gli occhi di Yuz dardeggiavano di rabbia. Rabbia nei confronti dell'autore di quel disegno: Cyrus Zeddai.
"Come le dicevo, le ho fatto vedere della scienza. Scienza che mi interessa particolarmente."
Capitolo 14 - La lettera di dimissioni di Yuz
Egregio rettore illustrissimo,
secondo lo Statuto della Nostra Nobilissima Istituzione, l'Achademia, le presento con questa lettera
firmata di mio pugno e controfirmata da un testimone le mie dimissioni da direttore dell'istituto Bilance e
Misurazioni, ritirandomi anche da tutti gli altri ruoli onorifici e non che mi sono stati in questi anni
assegnati. Allego le raccomandazioni per chi, in ogni mansione, può secondo me succedermi.
So perfettamente che, nonostante questa lettera sarà valida come documento ufficiale, lei avrà cura di
mantenerne privati i dettagli, quindi mi permetto di prendermi alcune righe in cui dirimere alcune
questioni, antipatiche, sorte tra di noi.
L'ho sempre rispettata almeno nella misura in cui so che lei rispetta me, ma è evidente che le nostre
personalità sono entrate spesso in conflitto e anche dove razionalmente vi era una via di uscita abbiamo
spesso evitato di imboccarla, per ragioni personali.
Le chiedo perdono per ogni noia le ho dato in passato e allo stesso modo non provo rancore per niente di
ciò che mi ha fatto.
Coda di questo nostro conflitto, la vicenda di Valerius Demoire, il ragazzo del professor Zeddai. Ho
insistito perché gli desse attenzioni e lo ha ignorato, le ho chiesto di trattarlo con cura particolare e l'ha
lasciato nelle stie dove teniamo le altre galline, ho cercato di convincerla a imporsi, quando Zeddai lo ha
strappato al nostro istituto e ha deciso, invece, di rimanere in disparte.
Potrebbe credere che voglia qui rinfacciarle la morte di Valerius, ma non è così. Sarei una persona crudele
perché ho percepito, incontrandola, che la vicenda l'ha toccata. Non quanto ha toccato me, ma comunque
profondamente.
Qui voglio dirle che Valerius non è morto.
Si, la ritenga una mia ossessione. Abbiamo avuto indietro le spoglie del professor Zeddai, quindi è
inequivocabile quale sia stato il suo destino. Di Valerius non abbiamo seppellito niente. Ciò permette che
un'idea così strampalata attecchisca nella mia mente. E' così che pensa vero? Ma le cose stanno
diversamente, potrei dimostrarglielo, ma, per questo, ci sono impedimenti.
Valerius non è morto e la sua sopravvivenza è il principale motivo delle mie dimissioni. Forse lei non si
convincerà mai che ho ragione, ma vorrei che un giorno, in futuro, torni su queste mie parole, quando gli
eventi le avranno dato occhi nuovi per leggerle.
Con rispetto,
Yuzebner Ich Deshall
Capitolo 15 - Yuz va in Argentina
Nei giorni in cui Soras entrava a Buenos Aires trionfante per accettare il titolo di Presidente
dell'Argentina per acclamazione, Yuz si aggirava per le campagne della medesima nazione.
Per arrivare dove era in quel momento, Yuz aveva dovuto affrontare svariate avventure e dare fondo a
tutte le sue doti, ma questa comunque non è la storia di Yuz quindi non parleremo di queste vicende. E
l'assurdità del suo viaggio aveva fatto di lui un personaggio assurdo: un vecchio e rinomato professore
universitario, carico di tutta la conoscenza dell'occidente, in giro per campi con l'abbigliamento di un
gaucho, ovvero poncho drappeggiato sulle spalle, pantaloni larghi e cappellaccio. Se era vero che questa
sottospece di costume appariva bizzarra addosso a lui, in realtà lo rendeva quasi invisibile alle persone
che incontrava, in quanto riusciva a farlo sembrare un qualsiasi viandante.
Yuz aveva faticato a capire dove dovesse andare, ma, in realtà, di tutti gli aspetti dell'impresa quello fu il
più semplice. Comunque sia fremeva di diverse emozioni mentre percorreva l'ultimo sentiero del suo
viaggio e sobbalzò quando un guerrigliero gli si parò davanti, fucile spianato. "Vattene vecchio, questa
zona è vietata!"
Ovviamente Yuz parlava correntemente spagnolo. "Al contrario, signore, è la mia meta."
"Cosa intendi?" fece il soldato, già nervoso.
"Sono qui per vedere il ragazzo."
La sentinella quasi ruggì, sul punto di sparare senza troppi complimenti. La sicurezza di Yuz, però, lo
faceva vacillare. Era evidente che nessuno parlava del "ragazzo" in giro per l'Argentina, come nessuno
raccontava del mostro di ferro che aveva spianato la strada di Soras. L'anomalia della situazione era
evidentemente troppo grande per la piccola mente del rivoluzionario argentino. "Perché lo vuoi vedere?"
chiese.
"Per aiutarlo, ovviamente."
Il guerrigliero si guardò intorno. Comunque fosse Yuz gli appariva semplicemente come un vecchio
innocuo. Scrollò le spalle "Seguimi."
La base di Valerius era ancora nella fattoria dove Zeddai aveva messo in piedi i suoi studi. La maggior
parte della fattoria, però, era stata abbandonata e le attività erano ormai sfacciatamente concentrate
intorno al granaio. La guardia non si staccò mai da Yuz e lo trascinò proprio lì, al granaio, dove le porte
spalancate lasciavano intuire un ambiente bizzarro, pieno di strumentazioni e strani macchinari.
Entrando, gli occhi di Yuz si trovarono a vagare ovunque, confusi, di fronte a un numero troppo grande di
cose che non capiva. Per fermarsi, sempre più spesso, sulla colossale figura umanoide al centro di tutto,
seduta come in attesa, le orbite degli occhi vuote e le membra molli. Proprio mentre ormai il mio vecchio
amico aveva deciso di soffermarsi sull'essere, studiandone attentamente le forme, Valerius uscì da dietro
la sua schiena, a torso nudo, il corpo sudicio di polvere e olio.
"Valerius!" esclamò Yuz, con tanta foga che il suo accompagnatore sobbalzò, quasi intenzionato a
sparargli.
Valerius, invece, rimase solo immobile un secondo, prima di camminare con espressione stranita verso
l'uomo che aveva conosciuto all'Achademia.
"Valerius!" ripeté Yuz, più pacatamente "Sei vivo, come speravo."
Valerius abbassò gli occhi, preda del suo imbarazzo infantile che sarebbe stato per sempre una sua
condanna. Poi indicò l'enorme mostro alle sue spalle. "Le braccia..." disse, come fosse una giustificazione
"Il padre non ha mai capito bene come far funzionare le braccia."
Capitolo 16 - L'elegante macellaio
La creatura disegnata da Cyrus Zeddai era alta 20 metri per un peso di 400 tonnellate.
Nella sua realizzazione l'ingegneria aveva sistematicamente avuto il sopravvento su qualsiasi altra
scienza, portando a soluzioni inestetiche e, a loro modo, volgari.
Il motore principale della creatura, per esempio, si trovava nel suo deretano. Questa era stato necessario
perché, per tutela della macchina, intorno al motore stesso era stata predisposta una pesante blindatura. Se
questa fosse stata installata più in alto delle natiche il baricentro della macchina sarebbe stato troppo alto,
rendendola inguidabile.
Il motore, naturalmente, era alimentato a ignitium, l'idrocarburometallo scoperto da Zeddai, la chiave
tramite cui lo scienziato aveva vinto la guerra del Vapore. Il motore dell'essere era quattro volte più
efficiente del migliore a disposizione dell'esercito inglese, ma annecessitava di un ignitium di purezza
superiore, complicatissimo da distillare.
L'abitacolo del pilota era posto nel petto del mostro. Il pilota era in una camera imbottita, fornito di
cinque pedali e quattro leve principali, che doveva avere buona manualità per guidare. La vista era
garantita da un gioco di specchi che gli fornivano una visuale piuttosto buona intorno al corpaccio del suo
veicolo, a patto che accettasse di tenere la testa cacciata di un casco che, a parte l'ausilio di alcuni tiranti,
pesava quasi due chili.
Alla cinta dell'essere erano installate due gabbie in cui potevano essere alloggiati due mitraglieri. Posti in
posizione elevata rispetto al campo di battaglia, armati di armi pesanti che in altri contesti erano da
considerarsi fisse, erano questi due il vero potenziale offensivo della macchina, una volta sul campo di
battaglia, fatta salva la sua capacità di travolgere tutto quello che capitava sul suo cammino.
Come Valerius aveva bene intuito, invece, le sue braccia erano poco più che orpelli. Il metodo per
guidarle era macchinoso e comunque fornivano solo due gradi di libertà, uno alla spalla e l'altro al
gomito. Non c'era niente che comandasse le dita o i pugni. Un pilota abile poteva anche, chinandosi,
usarle per spazzare il suolo, come fossero mazze ferrate, ma vi erano, a parte questo, pochissimi altri usi
intelligenti.
Il motore a ignitium non si limitava a fornire una coppia che poteva essere sfruttata dal complesso
meccanismo della gambe come da altri dei sistemi principali, ma teneva anche roventi e sotto pressione i
servomeccanismi idraulici. Tutta la rete di calore che sprigionava dalle terga dell'essere, quindi, lo
percorreva per l'intero corpo e trovava scarico presso un comignolo sopra la sua testa, protetto da una
grata.
L'espressione abbozzata del cranio della creatura, assolutamente ornamentale, così come il comignolo,
una protuberanza cilindrica che saliva ben oltre la linea degli occhi, gli conferivano il ridicolo sembiante
di un uomo corrucciato con in testa una tuba.
Zeddai, nei suoi scritti, vi si riferiva spesso come all'elegante macellaio.
Capitolo 17 - L'impegno di Valerius
Valerius, se possibile, si era chiuso in sé stesso ancor più che nel periodo dell'Achademia. Sebbene non lo
facesse vedere, sebbene probabilmente rifiutasse persino il concetto, era evidente che era terrorizzato,
ferito da quello che aveva visto, terribilmente vulnerabile.
Il suo dedicarsi anima e corpo alla macchina non era solo dovuto alla sua innata fame di scienza e alla
sfida tecnica che rappresentava, ma era anche l'unica via grazie a cui riusciva a mettere ordine nei suoi
pensieri.
Non nominava mai Zeddai per nome. Lo chiamava semplicemente "il padre". Yuz, erroneamente, pensò
che l'improvvisa morte del professore gli avesse fatto realizzare il legame che li univa, ma sbagliava. Per
Valerius, Zeddai non era "suo" padre, ma era il padre del gigante di ferro e solo in quest'ottica gli
importava.
In questa situazione assurda, i progressi tecnici di Valerius, però, apparivano impressionanti.
Aveva messo ordine in tutti gli appunti di Zeddai sull'essere, li aveva ricopiati, ordinati, catalogati. Aveva
tracciato di suo pugno tutti i disegni che Zeddai aveva tralasciato, aveva rifatto tutti i suoi calcoli. E in
cima a tutto questo lavoro, aveva cominciato a produrre nuovi disegni, nuovi progetti, nuove soluzioni. In
particolare si dedicava alle braccia, ciò in cui Zeddai stesso si era dichiarato sconfitto, ma erano infiniti
gli accorgimenti e le correzioni che apportava alla struttura tutta della macchina, per migliorarla e
renderla più efficiente.
Valerius non era solo l'ingegnere che teneva in vita l'essere, ne era anche il pilota. Nessuno aveva mai
cercato di togliergli quella carica. I guerriglieri erano troppo terrorizzati dal gigante di ferro per prendersi
l'onere di guidarlo e comunque nessuno di loro aveva abbastanza cervello per comprendere il sistema di
leve e pannelli che costituiva il suo abitacolo. Solo i più temerari si lasciavano convincere a prendere
alloggio nelle gabbie per le mitragliatrici e anche loro, comunque, si rifiutavano persino di avvicinarsi alla
piccola nicchia dove erano situati i comandi principali.
Yuz, dalla sua posizione defilata, non studiava solo i confini dell'opera tecnica di Zeddai. In realtà quella
parte era quella che gli interessava meno, perché era la meno preoccupante. Quello che più gli dava
preoccupazione erano i risvolti politici di quello che era accaduto lì. Qualcuno aveva dato a Zeddai le
risorse per costruire quell'essere in Argentina. Qualcuno aveva coperto quel progetto con un piano
governativo. Qualcuno aveva intrigato perché il professore spingesse la sua scienza ben oltre era lecito
andare.
Quello che Yuz riuscì a concludere fu che il progetto del mostro di ferro non era mai stato noto al
governo inglese o a quello spagnolo. Di certo chi lo aveva sostenuto aveva agganci in entrambi, ma tutta
quella storia era ben lungi da avere una qualche copertura ufficiale.
Questo lo terrorizzava, quasi più di vedervi Valerius immerso fino al collo.
Capitolo 18 - Canterbury
"Se rendiamo la struttura più leggera, non sarà abbastanza resistente per essere utile, se la manteniamo
così pesante, tutto il sistema deve avere modo di compensare i movimenti..." Valerius cantilenava
continuamente i problemi su cui stava rimuginando, aggirandosi tra i tavolacci sui cui, come lenzuola,
erano stesi i progetti dell'elegante macellaio. Dava l'impressione di un uomo adulto, col viso scuro,
concentrato, gli occhi che guizzavano tra i vari elementi dell'officina. Eppure aveva anche diversi tratti
infantili, come il fatto che si mordesse le unghie o che, spesso, non riuscisse a focalizzarsi troppo a lungo
su una sola questione.
Yuz, per molti versi, gli era stato d'aiuto. Aveva reso il suo lavoro più razionale e aveva incanalato i suoi
ragionamenti perché fossero più precisi. Mentre, per conto suo, studiava le carte di Zeddai, dall'altra parte
era realmente un valido collaboratore, tanto che i guerriglieri avevano smesso di guardarlo con sospetto e
Valerius spesso aveva cominciato a dimostrargli una sincera simpatia.
Ma l'enigma che preoccupava Yuz era l'unico che Valerius non era interessato a sciogliere per cui il mio
vecchio amico, un giorno, fu costretto a prendere la cosa di petto. "Chi è Canterbury, Valerius?" chiese.
Si vide distintamente il ragionamento che si spezzava nella testa del ragazzo. "Come?"
"Canterbury. Ci sono alcuni riferimenti a lui negli scritti del padre, in particolare in riferimento alle
forniture di ignitium. Deve essere una persona molto importante visto quanto ne ha procurato."
"Canterbury? Non lo ho mai ritenuto importante. Il padre fece riferimento a lui prima che partissimo,
diceva che non ci avrebbe fatto mancare niente. Se è quello da cui viene l'ingnitium così è stato."
"Una forma di ignitium incredibilmente pura."
"E solo il motore della macchina è in grado di gestirla, in quella forma. L'ammiraglia della flotta inglese,
la Principessa Adriana, si aprirebbe in due se venisse iniettato quell'ignitium nelle sue turbine"
"Hai mai pensato che Canterbury ha delle colpe in quello che vi è accaduto?"
Valerius tacque poi si avvicinò al mostro di metallo, accovacciato in un angolo. Più si sentiva vulnerabile,
più si avvicinava all'essere. "Quali sono le colpe, professore?"
"La creazione di questo essere di nascosto, all'oscuro della nostra nazione, in un luogo scarsamente
difeso, alla mercé del primo disperato con un fucile."
"Ma non pensa che, sia stato quello che è stato, doveva essere fatto?"
Yuz rinunciò a seguire il filo di quei pensieri. Il fascino di Valerius per la macchina aveva un che di
morboso, dovuto anche agli impeti della sua giovane età. Mentre pensava già di far cadere il discorso,
però, il ragazzo o stupì, parlando con grande risolutezza. "Verrà un giorno in cui incontrerò Canterbury,
professore. Gli chiederò lo scopo per cui ha fatto tutto quello che ha fatto. Ritengo sia importante."
"Perché?"
Valerius, come faceva raramente, guardò Yuz negli occhi. "Perché devo spiegargli che ora l'elegante
macellaio serve ai miei, di scopi."
Capitolo 19 - Una visita inaspettata
La mattina Yuz aveva abitudine di alzarsi molto presto e andare a passeggiare per le campagne argentine.
I primi tempi le guardie avevano tentato di andargli dietro e tenerlo d'occhio, ma alla fine si erano
convinte che era innocuo e gli avevano permesso di gironzolare senza problemi.
Per questo motivo, quando un corteo formato da otto carri raggiunse la fattoria, Yuz li vide giungere
dall'alto di una collina e si preoccupò del trambusto che stavano causando. Tutta la soldataglia lasciata
con Valerius era fuori, gridava e sparava colpi in aria.
Sebbene, riflettendo lucidamente, fosse un atto molto stupido, Yuz si precipitò giù, a vedere cosa stava
succedendo, ma due soldati che non conosceva, vestiti di lucide uniformi ufficiali con bottoni dorati e
alamari, lo bloccarono in malo modo, spintonandolo e minacciandolo con le loro armi.
"Cosa diamine succede?" chiese, affatto intimorito, reso aggressivo dall'ansia.
"Sei forse un eroe della florida rivoluzione, vecchio? Io non credo proprio! Tornatene ai tuoi campi!" lo
irrise uno dei due uomini armati.
Yuz si erse contro di lui. "Lasciatemi raggiungere Valerius o ve ne pentirete!"
"Valerius? E chi cazzo é questo Valerius?"
"Da dove provenite, sciocchi?"
Il soldato che fino a quel momento era stato zitto diede a Yuz uno spintone abbastanza forte da farlo
cadere a terra. Yuz, con l'agilità che lo aveva sempre contraddistinto, nonostante l'età, guizzò subito
nuovamente in piedi. I due tipi a quel punto sembravano pronti a venire alle mani con lui, quando corse
verso di loro uno dei guerriglieri del campo, agitando le mani. "Cosa diavolo fate?"
"Questo ridicolo vecchio deve essere ubriaco!" rispose subito uno dei soldati.
Yuz, con il suo aspetto altero e soprattutto con la confidenza che aveva acquisito presso Valerius, aveva
finito col guadagnarsi un certo rispetto presso gli uomini della fattoria. Quello che era intervenuto si
affrerrò a difenderlo. "Cosa state dicendo? Quest'uomo è un nostro collaboratore! Lasciatelo passare!"
"A cosa serve un relitto del genere nella florida rivoluzione!"
Senza troppi complimenti il guerrigliero si mise a menare sberle a entrambi. "Idioti! Idioti! Lasciate a
me!" sbraitò. Poi, prima che i due potessero reagire, prese Yuz per un braccio e lo trascinò con sé.
"Qualcuno mi vuole spiegare?" si lamentò il mio vecchio amico.
"Valerius chiede di voi! Al granaio!"
"Valerius non ha mai avuto bisogno di me! Cos'è questa storia? Cos'è questa gente tutta laccata?"
Arrivarono al granaio. Come accadeva di rado le porte erano spalancate. I carri erano tutti fermi intorno a
esso e c'era una piccola folla all'ingresso. Il guerrigliero si fece strada tra la folla, fino a far accedere a
Yuz al granaio. Dentro, incredibilmente, c'erano solo tre o quattro persone. A parte Valerius, spiccava fra
tutti un uomo molto alto, riccio, dalla pelle scura, sorridente. Splendido in un vestito estremamente
sobrio, che si ergeva al di sopra della chiassosità delle uniformi dei soldati.
Valerius, appena vide Yuz, gli andò incontro. "Professore!" lo chiamò. Poi lo portò dall'uomo alto. "Ho il
piacere di presentarle il presidente Soras."
Capitolo 20 - I piani di Soras
Il presidente e generale Soras liquidò Yuz in pochi minuti accantonandolo. Valerius parve un momento
indispettito, ma poi sembrò non farci più caso.
A Yuz non era chiaro il rapporto tra Soras e Valerius. Il grande rivoluzionario aveva tenuto Valerius per
sfruttarne la scienza, ma non sembrava trattarlo come un prigioniero, anzi. Il loro rapporto era invece più
simile a una collaborazione, dove Valerius aveva messo presto da parte il rancore per la morte di Cyrus e
per l'assalto alla fattoria e lo stesso Soras aveva deciso di dargli cieca fiducia, convinto che supportandone
gli sforzi scientifici avrebbe avuto accesso all'enorme potenziale militare che controllava. Dopotutto,
senza Valerius l'elegante macellaio non avrebbe mai mosso un passo.
Soras, per alcuni minuti, parlò con tono da comizio di quanto aveva fatto per l'Argentina e di altre vuote
questioni retoriche. Poi, con un gesto, ordinò a un uomo del suo seguito di dispiegare, sopra i disegni
tecnici di Valerius, una grande mappa del Sudamerica. Iniziò a tastarla, incombente, premendoci sopra
forte le dita.
"L'Argentina non ha ancora avuto modo di dimostrare al mondo la sua grandezza. Questa nostra nazione è
appena nata e ha bisogno di un battesimo."
Il dito del presidente scorse verso l'alto. "Questo è l'Uruguay, una colonia francese, un popolo oppresso
come era oppresso il nostro dagli spagnoli. Gente che soffre. C'è ancora gente che soffre e anche se noi
ora stiamo bene non possiamo dimenticarcene!" La frase sembrava detta apposta per i suoi biografi, ma,
sul finire, Soras alzò lo sguardo e guardò dritto Valerius negli occhi, con uno sguardo paterno. "Capisci
questo, ragazzo?"
Valerius sostenne lo sguardo e sorrise timidamente. "Si signor presidente."
Soras cominciò a tracciare ampi cerchi intorno all'Uruguay. "Da questa gente che soffre ci è giunto un
grido. Rivoluzionari come noi. Uomini liberi come noi. Ma non forti come noi. Gente che ci chiede aiuto.
Abbiamo preso accordi affinché le truppe dell'esercito argentino li raggiungano qui, nel sud del paese. Da
lì comincerà il secondo atto della Florida Rivoluzione." Nuovo sguardo su Valerius, questa volta
rafforzato da una mano sulla spalla del giovane. "E tu devi essere con loro. Sia come sia tu sei la forza del
nostro esercito, la macchina deve aiutarci una volta ancora."
L'espressione di Valerius non cambiò, ancora una volta sembrava che i sentimenti non turbassero il suo
aspetto e il suo pensiero. Era come se li avesse incatenati in qualche luogo oscuro e profondo di sé, dove
non potevano nuocere. "Si, signor presidente."
Yuz si fece avanti e guardò la cartina. Il color ruggine dei rilievi montuosi, improvvisamente, gli parve
rosso sangue. "Lei vuole invadere l'Uruguay?"
"Io voglio liberare l'Uruguay!" lo corresse piano Soras "Io voglio liberare l'intero sudamerica!"
Yuz, anni dopo, si lambiccò a lungo se considerare quell'atto come il primo della Seconda Guerra del
Vapore.
Capitolo 21 - L'elegante macellaio va in guerra
La prima preoccupazione di Soras, ma anche di Valerius, era far sì che l'elegante macellaio potesse
scendere in battaglia usando la minor quantità possibilie di ignitium. Yuz non era riuscito a farsi un'idea
di quanto fossero effettivamente vaste le riserve di carburante a disposizione della florida rivoluzione.
Non che qualcuno gli avesse vietato di accedere alle taniche, ma la composizione della formula era così
innovativa e così diversa da quella comune che non era stato capace di valutare per quanto il prezioso
liquido sarebbe bastato.
Quello che invece gli fu chiarissimo, nel vedere l'ansia con cui Valerius si mise a valutare l'uso di ogni
singola goccia, era il fatto che Canterbury, chiunque fosse, non era più disponibile a dare loro aiuto. Il che
faceva capire che, qualunque fosse il suo oscuro piano, la florida rivoluzione di Soras gli era finita in
mezzo ai piedi accidentalmente.
L'elegante macellaio fu calato su un gigantesco carro, costruito per l'occasione con tronchi della zona, e
trascinato mediante l'uso di trattori fino alla non lontana stazione ferroviaria. Lì lo attendeva un treno
speciale, già predisposto per la sua mole, e alcune gru. Non era possibile sperare di caricarlo completo,
per cui la sua parte superiore fu sganciata dalla sua parte inferiore, mentre le braccia e le gambe furono
ripiegate in modo bizzarro e fissate con catene, per occupare meno volume. Sul treno salirono anche
Valerius, Yuz e quattrocento uomini scelti. Soras invece, col suo seguito, tornò a Buenos Aires, visto che
ormai il suo tempo come generale sul campo era finito.
Legata come un salame, la superba macchina di Zeddai era un pezzo di ferro inutile, qualunque gruppo di
briganti avrebbe potuto averne ragione, ma l'Argentina era una terra sicura per gli suoi uomini, nessuno
avrebbe osato muovere un dito contro di loro e così il suo viaggio di quattro giorni fino al confine
dell'Uruguay fu quasi piacevole e permise persino a Yuz di ammirare i paesaggi di quella nazione.
La prima stazione oltre il confine era in mano all'esercito di liberazione con cui Soras era alleato. Lì si
fermarono e furono subito informati che l'esercito coloniale francese stava rapidamente avanzando verso
di loro, per schiacciare sul nascere la ribellione. Vista la sua vicinanza dovettero tutti lavorare
freneticamente per smontare dal convoglio la macchina e rimontarla.
Ci misero un'intero giorno, era l'alba quando Valerius poté finalmente chiudersi nell'abitacolo
dell'elegante macellaio, mentre due fucilieri andavano nelle gabbie alla cinta. Ai piedi del gigante di ferro
duemila uomini armati, di cui duecento a cavallo.
Yuz non era uomo di guerra e rifiutò di portare armi, ma decise comunque di raggiungere il fronte. Date
le sue capacità e la sua natura, in realtà, non aveva molto da temere e doveva vedere Valerius in azione.
Già il suo cuore vacillò quando fu dato l'ordine di marcia e l'elegante macellaio cominciò a muoversi, col
suo passo pesante e cadenzato, il suo sguardo ottuso perso nel vuoto, il vapore che gli usciva come un
nembo di tempesta dal cranio.
L'elegante macellaio prese la testa del gruppo, sarebbe stata la prima cosa che i francesi avrebbero visto.
Camminava piano per permettere al resto delle truppe di tenere il passo. Camminava lento ma sembrava
in grado di scavalcare interi continenti.
Davanti a lui, non molto distante, l'esercito francese lo attendeva. Probabilmente aveva già cominciato a
udire i suoi passi, come era successo al colonnello Morgan. Si aspettavano il suo intervento? Sarebbero
semplicemente scappati o avrebbero tentato di lottare? Non era forse assurdo quello che stava accadendo?
Era qualcosa che doveva accadere. I Calcoli che Yuz fece poi decretarono quello. Ma non sarebbe
accaduta come loro si aspettavano.
Capitolo 22 - Nemico!
Quando a Valerius fu chiaro che lo scontro era prossimo, fece sì che il passo dell'elegante macellaio
aumentasse e staccò le truppe. Era la strategia concordata, la macchina si sarebbe fatta avanti,
scompigliando le file nemiche e l'esercito sarebbe calato su un nemico già in rotta. Per le informazioni
che avevano, l'esercito coloniale aveva a disposizione il doppio degli uomini dei rivoluzionari,
prevalentemente fanteria, quindi niente che potesse impensierire il gigante di ferro. Dopotutto era stato
calcolato che solo l'artiglieria più pesante avrebbe potuto tirarlo giù.
L'elegante macellaio lasciò quindi rapidamente indietro tutti gli uomini mentre raggiungeva la cima di
una collina che, plausibilmente, delimitava il campo di battaglia. I soldati continuavano a vederlo, tale era
la sua mole, e continuarono a marciare al suono dei suoi passi finché, d'improvviso, non lo videro
fermarsi, bruscamente.
Avvenne una cosa strana. L'elegante macellaio era fermo, immobile, sul prato, ma i suoi passi si
sentivano ancora. Il rimbombo cadenzato del metallo sulla terra continuava a rimbombare anche dopo che
l'essere meccanico aveva smesso di camminare. Come una sorta di eco, come un riverbero... o come
qualcosa di peggio.
Il comandante delle truppe cominciò a guardarsi in giro. "Cosa diavolo succede? Una staffetta! Presto!"
Tutti i ragazzi che erano preposti a fare le staffette si ritrassero un momento, come se nessuno volesse
proporsi. Tra di loro uscì Yuz, anziano, ma forse più agitato di tutti gli altri. I cavalli delle staffette erano
portati da altri cavalieri, così da lasciarli più riposati fino a che non sarebbero venuti utili, tenuti per le
briglie. Yuz, prima che chiunque potesse fermarlo, saltò in groppa la più vicino e lo lanciò al galoppo.
I passi continuavano a rimbombare. Yuz sentiva il suo cuore andare allo stesso ritmo. La sua frenesia
spaventò quasi il cavallo che si gettò avanti a rotta di collo. E alla fine, vide.
I soldati colonialisti francese avanzavano, una forza di uomini doppia di quella a disposizione dei
rivoluzionari, forse lo stesso numero di cavalli. Nessuna artiglieria.
Ma davanti a loro avanzava un gigante di metallo. Uguale e diverso dall'elegante macellaio.
Capitolo 23 - Duello con la spada
Appena Yuz vide il gigante di metallo scese da cavallo e si nascose nell'erba.
Gli era chiaro perché Valerius era rimasto immobile: Valerius non aveva mai visto una cosa del genere.
Valerius non aveva mai visto una macchina muoversi dal di fuori, paradossalmente era l'unico a non aver
visto in azione l'elegante macellaio e quindi non sapeva cosa significasse osservarlo marciare.
Probabilmente, per un primo momento, non lo riconobbe nemmeno come qualcosa di simile a lui, come
un gatto allo specchio.
Poi, però, dopo un primo momento di smarrimento, il ragazzo ripartì a tutta velocità, puntando
direttamente il suo avversario.
La creatura di metallo dell'esercito coloniale, sebbene ovviamente basata su una tecnologia analoga a
quella del macellaio, era profondamente diversa. Era più esile, tutte le sue forme erano più snelle, il suo
torace sembrava tanto stretto da non poter alloggiare un abitacolo, le sue gambe erano stecchi su cui era
agganciata solo una sottilissima blindatura.
E poi, cosa incredibile, portava una spada. Era, in realtà, poco più di una lunga sbarra di ferro,
praticamente senza taglio, ma nella mano meccanica appariva come un fioretto. La macchina la teneva
aperta sul suo fianco sinistro, esattamente come uno spadaccino, bilanciata cautamente affinché non
minacciasse il suo equilibrio globale.
Valerius contava sulla mole dell'elegante macellaio. Le maggiori dimensioni della sua macchina gli
avrebbero permesso di avere la meglio sul suo nemico semplicemente schiantandolo, travolgendo come
già faceva usualmente con le altre minacce che si mettevano sul suo cammino. Non considerò
minimamente l'arma del suo nemico. Non la considerò per presunzione. Lui e "il padre" Zeddai non erano
riusciti a cavare dalle braccia del macellaio che movimenti inconsulti, che credibilità poteva avere una
macchina del genere con in mano addirittura una spada?
Per tutte queste ragioni ciò che si limitò a fare fu aumentare al massimo la potenza erogata dalle gambe
del tuo colosso, disporre le braccia a protezione delle gabbie mitragliatrici, inclincarsi in avanti. Correre.
Correre verso il disastro.
Con l'elegante macellaio che avanzava come un treno in corsa, lo sconosciuto essere di metallo francese
non modificò assolutamente il suo comportamento, continuando ad avanzare. Quando Valerius gli fu a
portata, però, cambiò l'assetto delle gambe così da piantarsi bene sul terreno soffice, poi alzò e calò in un
unico fluido movimento la sua spada, esattamente come un spadaccino provetto. Una massa di tonnellate
e tonnellate di metallo rovente che tirava di lama con la leggerezza di una libellula. Un movimento
bellissimo.
La spada colpì l'elegante macellaio precisamente sul ginocchio, vi penetrò, si incastrò nell'articolazione. Il
movimento frenetico del colosso la aiutò a mordere i tiranti che tenevano insieme la gamba, reciderli,
avanzare. In un ruscello di scintille la spada francese attraversò completamente la giuntura, staccando di
netto l'arto.
Con la forza dell'inerzia la macchina di Valerius riuscì a fare ancora un passo, poi fu la volta di mettere a
terra la gamba ridotta a un moncherino e cedette. Crollò di lato, in un atto estremo provò a mettere le
braccia avanti, ma queste, trovandosi addosso il peso dell'intero corpo, si piegarono e si contorsero fino a
spezzarsi anche loro ai gomiti. Mentre il torace di metallo del mostro si schiantava a terra, la sua gamba
ancora funzionante continuava ridicolmente ad avanzare, in un dibattersi frenetico e assurdo contro il
suolo, che sollevava terra e fango e contribuiva a deformare ancora di più la struttura già martoriata della
povera macchina.
Forse uno spirito misericordioso, forse l'ultimo momento di lucidità di Valerius, ancora all'interno del
mostro, posero fine agli spasmi della creatura, che finì per rimanere immobile, deformata, mezza sepolta
nella terra.
Dietro questa scena desolante, il comandante dell'esercito colonialista francese pretendeva la resa.
Capitolo 24 - Tra amici?
La maggior parte dei soldati rivoluzionari si diedero alla fuga appena fu chiaro che l'elegante macellaio
era stato sconfitto. Non erano veri guerrieri, erano patetici uomini che volevano guadagnare la loro fetta
di glora nella florida rivoluzione, ma contavano di farlo camminando dietro un colosso di metallo,
attaccati alle sue gonne. Una volta realizzato di dover combattere, per di più contro un analogo titano, la
loro fedeltà alla causa era venuta meno.
Quelli che rimasero non resistettero molto. Il gigante spadaccino avanzò verso di loro e vibrò un paio di
colpi con la sua arma, sparigliando i reparti col solo spostamento d'aria. I soldati dietro di luii si
limitarono a puntare le armi contro dozzine di rivoluzionari finiti gambe all'aria.
Yuz, dalla posizione che aveva conquistato, poteva provare a fuggire, ma non lo fece. Rimase acquattato
nell'erba, con i nemici che marciavano nella sua direzione, lo sguardo fisso sui rottami dell'elegante
macellaio. Gli stava a cuore il destino di Valerius, che non dava più segni di vita, intrappolato nel corpo
in rovina della sua creatura.
Mentre il grosso delle truppe francesi avanzava per sconfiggere i nemici, una squadra di genieri si mise a
lavorare intorno alla macchina caduta. La loro opera durò per quasi tutta la battaglia, ma alla fine
riuscirono a estrarre il corpo di Valerius. Valerius era vivo, si muoveva, era cosciente, ma visibilmente
intontito. Non fece resistenza e si lasciò portare via. Quando Yuz vide tutto questo uscì allo scoperto e si
consegnò spontaneamente.
Furono portati all'accampamento coloniale, situato poco distante, nei pressi di una ferrovia che,
probabilmente, aveva trasportato lo spadaccino. Yuz non poté avvicinare Valerius, che fu ricoverato semi
incosciente in una tenda ospedale. Fu invece subito portato nella tenda più grande di tutte, al centro, dove
fu accolto da un uomo dall'aria raffinata, snello, capelli castani lisci e decisamente troppo lunghi per la
moda del momento, occhi furbi. Un uomo incredibilmente giovane, dal sorriso beffardo.
Le guardie lasciarono Yuz libero appena varcata la soglia della tenda e sparirono. In questo modo lui e il
francese rimasero soli.
"Sono il conte Maurice Delatroux, per servirla"
Conte, si faceva chiamare, una sfrontatezza in quella scaglia di storia in cui la Francia era una repubblica.
"Non sta dando troppo onore a un prigioniero di guerra?" chiese cauto Yuz.
"Lei non lo è affatto, professor Zeddai. Sono molto felice di vederla ancora vivo."
Yuz si concesse di stupirsi per la durata di un battito di ciglia. Poi sorrise. "E io lieto che ne sia
compiaciuto. Sono quindi tra amici?"
Capitolo 25 - Myrmidon
"Eravamo nelle mani di Soras, ma Soras è risultato interessato ai nostri progetti. La cosa più naturale è
stata assecondarlo e procedere." Yuz parlava con cognizione di causa e sicurezza. Manipolare i fatti era
nella sua natura, dopotutto.
Maurice Delatroux, dal canto suo, trovava il dubbio una cosa plebea. "Siamo stati informati che lui non è
più riuscito a mettersi in contatto con voi. Dopotutto si basava principalmente sui suoi canali ufficiali
tramite il governo inglese."
Yuz strinse leggermente il pugno. "Canterbury."
Il conte sorrise. "Esattamente. Purtroppo è una presenza sfuggente anche per noi. Avignone lo trova
irritante. Ed è a causa sua se non siete stati informati dell'operazione in Uruguay."
"Intende il secondo colosso di metallo?"
"Orleans, precisamente. Il nostro myrmidon... le piace il termine? Presso di noi è entrato in uso comune."
"Myrmidon." masticò Yuz, sognante. Immaginava che il vero Zeddai avrebbe analizzato quel nome a
fondo, prima di accettarlo. Era un nome mitologico, imponente, lontano. Probabilmente gli sarebbe
piaciuto. "E' un buon nome."
Delatroux arrossì leggermente. "Ovviamente siamo consapevoli che la maggior parte del lavoro è il suo.
Glielo riconosceremo sempre. Ma capisce... anche i nostri scienziati ci hanno preso la mano..."
Era evidente che il conte, pur non avendo mai visto Zeddai di persona, temeva il suo smisurato ego. Per
questo era così sulla difensiva. Yuz ne approfittò. "Non c'è problema, ma al momento c'è qualcosa che mi
preoccupa di più. Il pilota del mio... myrmidon... è un mio stretto collaboratore e, nonostante la sua
giovane età, un brillante scienziato. Avrei piacere ad andarlo a trovare e scoprire come sta."
"Oh!" reagì subito il nobile francese "assolutamente! Andiamo andiamo!"
Uscirono dalla tenda. C'erano diversi capannelli di soldati e ufficiali lì intorno. Da uno dei più vicini si
staccò una figura realmente anomala in un posto del genere: si trattava di una ragazza, molto giovane,
forse sedici anni, dai lunghi capelli biondi, in una divisa da fatica maschile. Nonostante il suo fisico
apparisse forte, anche più solido di quanto avrebbe dovuto essere alla sua età, il suo volto era scavato
come da una grande fatica. Per qualche ragione teneva il braccio destro stretto contro il suo fianco, come
se non potesse muoverlo. "Conte Delatroux" chiamò, vedendoli uscire dalla tenda.
"Francine" si fermò subito il nobile. "Cosa fai in giro?"
"Ero affascinata dall'idea di poter salutare l'illustre professor Zeddai." rispose lei, piegando le ginocchia in
un abbozzo di riverenza rivolta a Yuz, una caricatura di una vera riverenza con quei vestiti.
Il mio vecchio amico, incuriosito da quell'ennesima stranezza, rispose con un inchino. "Piacere mio,
madmoiselle."
"Francine Valery Santeroche, per servirla, professore."
Delatroux lasciò esaursi i convenevoli e poi punzecchiò. "Immagino sarai interessata anche... al pilota."
Gli occhi della ragazza si illuminarono "Oh, assolutamente!"
"Stiamo andando a trovarlo, vuoi unirti a noi?"
"Con molto piacere!"
Yuz pensò alle strane persone di cui era in compagnia. Un nobile che parlava come se avesse ancora un re
da servire, godendosi i suoi intrighi di corte e non, e una ragazzina che non aveva niente a che fare con la
guerra, che vestiva come un garzone di stalla, ma che aveva ricevuto sicuramente un'educazione
superiore. Chi aveva costruito una compagine così bizzarra al di là dell'oceano? Canterbury? Avignone?
Perché la loro ossessione per i... myrmidon?
Solo lo stato di Valerius gli premeva più che rispondere a quelle domande per cui le relegò in fondo alla
propria mente, mentre entravano nella sua tenda.
Valerius era l'unico ferito ricoverato, l'unica vittima di una battaglia che non era stata combattuta. Aveva
una fasciatura a una spalla e una garza sulla guancia sinistra. Notò subito il piccolo terzetto che si
muoveva verso la sua branda e gli sorrise. "Oh, professore..." disse, fortunatamente senza tradire
l'inganno di Yuz. Poi i suoi occhi incrociarono quelli della ragazzina e li si fermarono, per un lungo
momento, bruciando di qualcosa che era tra il rispetto e la curiosità. "Sono contento che mi abbia portato
qui il pilota di quella splendida macchina, perché io lo possa conoscere" affermò.
Capitolo 26 - Una felice collaborazione
Francine, a sentire Valerius chiamarla pilota, lanciò un gridolino eccitato di gioia, ma il conte Delatroux
si mise rapidamente in mezzo: "Chi le ha dato questa informazione?" chiese, con piglio angosciato.
Valerius era al solito trincerato dietro la sua consueta apatia, acuita dalla spossatezza data dalla sconfitta.
"Vi è un solo modo per guidare un braccio meccanico con quella destrezza. Un manicotto, munito di
tiranti, in cui il pilota deve infilare il braccio. Un sistema di trasmissione del movimento che fa sì che
l'arto della macchina si comporti come l'arto umano. Si trovava tra i progetti del padre."
Francine si mordicchiava il labbro, sempre più divertita. Yuz era terrorizzato che il ragazzo potesse dire
qualcosa di sbagliato. Delatroux invece continuava a guardarlo con fare inquisitorio. Valerius continuò:
"Il padre non ha mai implementato questa soluzione perchè..." allungò una mano a toccare il braccio
destro della ragazza "...troppo rischioso per l'incolumità del pilota."
"E le è bastato uno sguardo per capire tutto questo?" continuò a chiedere, sempre agitato, Delatroux.
"Di cos'altro avrei dovuto avere bisogno?"
Yuz capì che doveva intervenire per allentare una tensione che stava diventando ingestibile. "Valerius!"
disse "Siamo stati riconosciuti. Hanno capito subito di avere davanti Cyrus Zeddai anche se abbiamo
diffuso la notizia della mia morte. E siamo tra amici! Costoro sono alleati di Canterbury!"
Il vecchio professore rimase col fiato sospeso a guardare Valerius che elaborava le informazioni. Era
ancora molto spaventato perché aveva sempre creduto, a torto, che Valerius fosse una persona semplice e
che fosse capace di applicare le sue smisurate capacità tecniche solo a problematiche di meccanica.
Invece il ragazzo aprì il volto a uno splendido sorriso, che dedicò completamente a Delatroux. "Questo
significa che potremo riprendere il nostro lavoro? Senza nuove interferenze?"
Delatroux rimase interdetto, sospeso tra due sentimenti. Da una parte Cyrus Zeddai era un tassello
talmente fondamentale dei suoi intrighi che dubitare di lui sarebbe stato catastrofico, dall'altro gli
sembrava che Valerius fosse una scheggia impazzita, nonostante il professore nutrisse cieca fiducia in lui.
Cercò comunque a sua volta di stemperare il conflitto. "Avete passato dei momenti difficili, lo capiamo.
Ma adesso tutto può tornare alla normalità."
Valerius si afflosciò sulla sua branda, fissando il soffitto. "Non sa quale gioia mi da questo!" esclamò.
"Spero di potermi rimettere in sesto rapidamente per riprendere gli studi... col professor Zeddai"
Capitolo 27 - Liaison
Sia Valerius che Francine si ripresero dai loro rispettivi mali in pochi giorni.
Nel frattempo i soldati francesi avevano caricato sia l'Orleans che i resti dell'elegante macellaio sul treno
e così partirono tutti verso la vera base dove la tecnologia dei myrmidon veniva sviluppata.
Yuz, intanto, tenendo viva la recita di Cyrus Zeddai, aveva cominciato a capire con chi aveva a che fare. I
francesi sembravano aderire alla fazione dei moschettieri di ferro, l'ala politica che osteggiava la
repubblica col sostegno dell'esercito. Sembrava che qualcuno li avesse allontanati in Uruguay per
neutralizzare la loro influenza, ma loro ne avevano avuto buon gioco per poter continuare i loro progetti
lontani dagli occhi delle potenze europee.
La base dell'Orleans era un vero e proprio paesino che i francesi avevano completamente sequestrato.
Impossibile sapere dove fossero finiti gli abitanti originali. I resti dell'elegante macellaio trovarono
rapidamente posto in un granaio non molto diverso da quello argentino. Lì Valerius fece rapidamente il
nido.
Sembrava che Zeddai avesse divulgato tutti i suoi schemi a quella gente, cosicché la maggior parte del
materiale su cui il giovane aveva lavorato in Argentina era presente anche lì. Quello su cui si concentrò,
quindi, fu ricostruire tutti gli studi che aveva fatto da sé.
Nel suo complicato lavoro, però, fu questa volta ostacolato in modo insidioso da una forza inaspettata.
"Trovo sempre affascinante come lei sia in contatto con le macchine signor Demoire." gli disse un giorno
Francine, entrando nel granaio. Entrava nel granaio come se ne fosse la proprietaria, in realtà quello era
l'unico modo in cui sapeva porsi. Aveva dismesso la divisa da fatica e solitamente indossava la divisa
militare maschile dell'esercito coloniale, con i gradi di tenente che le spettavano. Era un abbigliamento
insidioso, perché, non essendo fatto per il suo generoso seno, lo metteva sfacciatamente in risalto.
Valerius, quando Francine andava a trovarlo, faceva qualcosa che Yuz giudicava incredibile e degno di
attenzione: smetteva di lavorare.
"Cosa intende per contatto, madmoiselle?"
Francine toccava tutto, trovava irresistibile il contatto col ferro del myrmidon distrutto. "Io piloto soltanto
il mio Orleans. I tecnici mi dicono cose che non capisco, spesso... ma lei... lei conosce questi mostri in
modo profondo."
Valerius le sorrise. "Lo trovo molto semplice. In realtà credo sia un dono, non qualcosa per cui merito la
sua ammirazione..."
Lei gli fece un sorriso che era quasi un ghigno. "Mi ha affrontato con coraggio, a viso aperto. Posso darle
la mia ammirazione per questo?"
"Mi ha sconfitto..."
"Per quello, temo non potrà mai farci granchè..."
Risero entrambi e poi Valerius si trovò a dover dire qualcosa. E in quel momento fatidico riemersero tutti
i blocchi che formavano il suo complesso carattere. Terrorizzato all'idea di far sfuggire l'attimo, come in
un raptus, si aggrappò al polso di Francine.
"Ma cosa fa?" disse lei, senza però ritrarsi, con la freddezza del suo addestramento militare.
"Vorrei che i suoi tecnici mi permettessero di esaminare i comandi di Orleans... per... impedire che le
capiti qualcosa al prossimo combattimento."
Francine sospirò "Non credo incontrerò mai qualcosa di peggio del suo myrmidon quindi... anche così
non c'è niente da temere."
"Ma mettere a rischio la vita di un pilota è intollerabile. I myrmidon esistono solo perché esistono i loro
piloti"
"Mi sta dando molta importanza, signor Demoire"
Valerius si staccò dalla ragazza, i suoi occhi brillavano. "La sto dando a entrambi, se nota."
Purtroppo, ai tempi, sia Yuz che molti altri degli attori della vicenda erano troppo occupati con altri
problemi per capire cosa stava succedendo.
Capitolo 28 - Orleans
L'Orleans era alto all'incirca come l'elegante macellaio, ma pesava 50 tonnellate in meno. Erano tutte
blindature che la macchina francese non aveva e che gli lasciavano il corpo più snello, anche alla vista, e
una maggior velocità di gambe. Il prezzo era che, probabilmente, non avrebbe resistito a attacchi
d'artiglieria come invece il gigante creato da Zeddai.
La scelta era stata fatta, in verità, a causa dei suoi limiti. L'Orleans non aveva a disposizione il grandioso
motore del macellaio e quindi non aveva a disposizione la medesima potenza. Era equipaggiato con due
motori gemelli, installati a metà schiena, di traverso rispetto la struttura del busto e affondati in esso, così
da farli incrociare nel ventre stesso dell'essere. Spuntavano, all'altezza dei reni, per due cupolotti tondi,
che fungevano anche da comignoli per i gas di scarico. La coppia di motori forniva una maggior reattività
e versatilità, ma, nel complesso, la potenza generata era inferiore. Persino l'ignitium usato non poteva
avere le caratteristiche eccezionali di quelli che nutriva il macellaio, ma doveva essere distillato con un
più basso potenziale.
Generalmente, la figura dell'Orleans era più bella di quella dell'elegante macellaio. Qualcuno aveva speso
evidentemente del tempo a disegnargli una struttura affascinante. Era come un cavaliere in armatura,
un'armatura aderente e istoriata. Sul petto portava persino alcune incisioni di stampo classico, delle volute
puramente ornamentali. La sua testa era una maschera di metallo, finemente sagomata per dargli le forme
di un giovine o di una fanciulla.
Ovviamente, la caratteristica più eccezionale del myrmidon era il suo braccio destro. Comandato
esattamente come Valerius aveva intuito, cioè con un manicotto in cui il pilota inseriva direttamente il
proprio braccio, aveva una duplice funzione. Poteva essere agganciato a una spada di metallo, ma poteva
essere anche usato come fucile. Al centro del grezzo palmo, infatti, l'arto celava una bocca da fuoco che,
sfruttando praticamente tutto l'avambraccio come canna, con una camera di scoppio proprio sotto il
gomito, era capace di sparare proiettili di grosso calibro. Quest'arma, però, non poteva considerarsi
devastante per due ragioni: i proiettili caricati nella macchina erano pochi e per quanto fosse versatile il
sistema di guida del braccio comunque era impossibile avere una mira precisa. L'Orleans, per usare il suo
fucile, doveva stare esattamente immobile e avere tempo di calibrare correttamente il tiro. Facile capire
perché gli fosse più semplice agire di spada.
Francine era a sua volta un valore aggiunto. La ragazza possedeva una forza d'animo rara e una fibra
eccezionale per la sua età. Nell'esercito era conosciuta come "la spada immacolata di Francia" e questo
era. Un'arma tagliente, resistente e inesorabile.
Come tutte le armi forgiate nell'odio.
Capitolo 29 - La fabbrica
Mentre Valerius si occupava di ricostruire l'Elegante Macellaio e di impressionare Francine, Yuz era
rapidamente tornato alla sua prima preoccupazione, ovvero scoprire chi stava dietro la cospirazione che
aveva portato in vita i Myrmidon. Per far questo si era avvicinato molto a Delatroux, sperando che il
nobile francese si lasciasse sfuggire qualcosa.
In particolare, quello che preoccupava Yuz era il luogo in cui si trovavano, un villaggio abbandonato
alquanto fatiscente. I rottami del macellaio erano ammassati in un granaio persino meno attrezzato di
quello che avevano in Argentina mentre l'Orleans pareva abbandonato a sé stesso, seduto in un campo,
coperto da larghi teli che fungevano quasi da tenda.
Era impossibile credere che dei giganti di ferro potessero provenire da quel luogo, ma dopo aver per
lungo tempo cercato di capire la situazione da solo, il mio vecchio mentore osò una domanda diretta.
"Come mai non ho ancora avuto modo di parlare con i tecnici che hanno assemblato l'Orleans? Sono
ansioso di sottoporgli molte questioni."
Stavano prendendo il té sotto la veranda della casa coloniale più grande del paese, Delatroux apparve
imbarazzato. "E' un peccato che il vostro arrivo si sia accavallato con la questione più importante che
stiamo gestendo qui... purtroppo le menti migliori del progetto a oggi sono lontane e non torneranno.
Saremmo invece noi a raggiungerle. Alla fabbrica."
Yuz ebbe un impercettibile brivido, mitigato dal suo prodigioso istinto. "Fabbrica?"
"Il grande complesso per cui siamo in questo paese, il progetto principale di Avignone. La struttura dove
costruiremo i Myrmidon e convoglieremo tutte le riserve di ignitium necessarie a farlo funzionare."
"Co... costruiremo?"
"Certo, professore. Ormai stiamo uscendo dalla fase della sperimentazione. E per i nostri progetti non è
credibile avere a disposizione un solo mezzo. Speriamo di riuscire a ultimare entro l'anno ORL01 e
ORL02. Se nel frattempo lei e Demoire sarete riusciti a riassemblare la vostra macchina cominceremo ad
avere a disposizione un potenziale rispettabile."
Yuz rabbrividì tanto che fu sul punto di tradirsi. Finché era riuscito a vedere quello che stava capitando
come un esperimento scientifico la cosa non gli aveva fatto paura. Ma se realmente esisteva una fabbrica,
se veramente quelle creature potevano essere costruite in serie... tutti gli orrori della guerra del Vapore gli
caddero sulle spalle, insieme. "E dove... si trova questa fabbrica?"
"Vedrà. Un posto molto adatto, strategico. VIsto che praticamente abbiamo in mano il governo coloniale
nessuno la disturberà. E da lì avremo tutti i collegamenti logistici necessari per svolgere le nostre attività.
Avremo il mare così come la ferrovia e anche le miniere di ferro saranno a nostra disposizione. Potremo
fare anche molto di più di quanto abbiamo intenzione di fare ora."
Yuz capì che non avrebbe potuto estorcere in nessun modo la posizione di quel luogo infernale al suo
interlocutore. Ma capì anche che in un modo o nell'altro avrebbe dovuto venirne a conoscenza.
Ovviamente la nostra gente fa sì di non avvantaggiarsi delle proprie caratteristiche per intervenire nel
corso della storia e di rimanere sempre defilata rispetto agli eventi. Ma Yuz fino a quel momento si era
mosso come un semplice uomo e se se avesse continuato così gli avrebbero permesso di avvertire il
mondo di quello che stava accadendo.
Il suo ruolo presso i francesi assunse quindi per lui ancora più importanza.
Capitolo 30 - Insieme nell'abitacolo
Francine sedeva nell'abitacolo dell'elegante macellaio, a poco più di un metro da terra. Il busto del
gigante, quello che ne era rimasto, era stato sganciato dalla parte sottostante e sospeso tramite catene.
Valerius stava dedicando attenzione soprattutto all'addome e alle gambe della sua creatura poiché,
essendo la zona in cui risiedeva il motore, era anche la più preziosa.
Francine strinse i comandi sorridendo e premette i pedali con entrambi i piedi. "E' molto largo qui."
Valerius si arrampicò sulla piccola scaletta davanti all'abitacolo e si appese con le braccia al portellone
aperto, togliendo quasi completamente luce alla ragazza. "L'intera zona toracica del macellaio è molto più
larga di quella dell'Orleans."
"L'Orleans è molto più manovrabile grazie alla sua linea."
"L'elegante macellaio era fatto per andare dritto... qualunque cosa succeda."
Francine sorrise e parve rilassarsi. Le era impossibile sedere in un abitacolo senza conservare
l'espressione dura del militare. Quel sorriso rimbalzò stranamente su Valerius che, inaspettatamente, si
incupì. "Perché guida quella macchina, madamoiselle?"
"Non le è chiaro? La Francia ne ha bisogno."
"A volte mi chiedo se esista qualcosa chiamato Francia."
Francine fremette, tornò a stringere i comandi, come per schiantare il ragazzo che aveva davanti con la
forza del Myrmidon. "Parole che non dovrebbe pronunciare." rispose stizzita "Soprattutto lei. Le ricordo
che appartiene alla nazione che ha affondato la nave di mio padre."
Di fronte a un tale attacco al calor bianco molti avrebbero potuto essere intimoriti, ma non Valerius.
Qualunque cosa provasse per Francine, era comunque qualcosa di confinato sul fondo del suo spirito,
chiuso in una gabba dalla sua razionalità. "A volte mi chiedo se l'Inghilterra sia effettivamente la mia
nazione... e se esista anche lei."
"Capisco" continuò la ragazza, sempre più irritata "lei non riesce ad andare oltre le sue macchine, vero?
C'è solo questo... ferro per lei."
"Dovrebbe cominciare a pensarla anche lei così... considerando quello che ci gira intorno."
"Cosa intende?"
Valerius cacciò la testa nell'abitacolo. La sua voce prese a rimbombare, assumendo una nota metallica.
"Le persone che hanno fatto tutto questo... loro non sono né dalla parte della Francia né dalla parte
dell'INghilterra. E' sicura che potrà dar loro fedeltà sempre?"
Gli occhi di Valerius erano negli occhi di Francine. Erano occhi di metallo, inespressivi, non dissimili da
quelli disegnati per gioco sulle teste dei Myrmidon. Eppure erano occhi che guardavano avanti. La
ragazza cercò di bruciarli con il suo sguardo pieno di odio e di rabbia, a presto si rassegnò di non avere
calore per tutto quel gelo. Anzi, sentì la sua passione come trascinata in quegli specchi scuri aperti su
qualcosa di lontano. Alla fine prese Valerius per una spalla e lo trascinò dentro, fino ad averlo guancia
contro guancia, nella penombra dell'abitacolo. "Non farei di questi discorsi, Valerius, soprattutto in questo
momento." gli sussurrò.
Lui, per difendersi o forse per altro, le mise una mano sul fianco. "Un motivo in particolare,
mademoiselle?"
"Si, Delatroix mi ha comunicato che Avignone sta venendo qui"
Capitolo 31 - L'arrivo di Avignone
Avignone!
Yuz sentiva la tensione pulsargli nelle vene. Nelle ultime settimane aveva capito come trasmettere notizie
al di fuori del campo di Delatroux però era un esercizio intellettuale inutile senza avere niente da dire.
Sebbene avesse impiegato tutte le sue eccezionali doti e sebbene avesse esplorato il villaggio in lungo e in
largo non era riuscito a trovare nessuna informazione utile, né sull'ubicazione della base definitiva né sui
piani futuri delle misteriose persone che comandavano.
La visita di Avignone, però, aveva riacceso il suo entusiasmo. Se fosse riuscito almeno a dare un volto a
uno dei cospiratori avrebbe avuto in mano qualcosa. Certo, Canterbury, per via dei suoi collegamenti col
governo inglese, era di gran lunga più interessante per lui, ma questo non significava che Avignone non
avrebbe potuto rappresentare qualcosa di importante.
Anche Delatroux era nervoso. Era evidente che Avignone non si faceva vedere molto spesso e quella
visita era un evento notevole, nel bene e nel male. Approfittando della sua confusione, Yuz lo interrogò
direttamente. "E' la prima volta che incontra Avignone?"
"Assolutamente si. Come immagino lei con Canterbury, se non peggio." "Canterbury era un personaggio
ancora più sfuggente, ma immagino corresse molti rischi. La situazione politica in Francia lascia maggior
manovra."
Delatroux ammiccò involontariamente, nervoso. "Già..."
"Secondo lei cosa significa questa visita?"
"Quello che aspettiamo. Significa che il nostro tempo è giunto. Anche se non la ho aggiornata la fabbrica
è già a regime e presto ci trasferiremo lì. Significa che presto avremo a disposizione gli strumenti
necessari."
"Gli Orleans?"
"Assolutamente si. E spero che là il suo ragazzo possa completare i suoi lavori e rimettere in piedi
l'elegante macellaio. In realtà alcune persone non hanno apprezzato quello che abbiamo dovuto fare a
quella macchina."
Yuz ricordò le sue sensazioni nel vedere l'elegante macellaio riverso a terra. Una grade apprensione per
Valerius, certo, una grande angoscia, ma anche un senso di liberazione, come se quel demonio non fosse
solo un pezzo di ferro semovente, ma qualcosa di più terribile. Un'evidente percezione del futuro.
"Valerius sta lavorando alacremente" disse, con un sorriso posticcio "riparerà a quello che avete fatto
senza problemi. In realtà sta probabilmente approfittando della situazione per migliorare il mezzo."
"Non ne dubito..."
In quel momento uno degli aiutanti da campo di Delatroux entrò nella casa, rosso in volto, con il fiatone.
"Arrivano!" disse "Arrivano!" E nel dirlo indicò fuori dalla finestra. All'orizzonte, sull'unica strada che
portava al villaggio, avanzavano tre auto scure, dei blindati leggeri a vapore. Nella loro scia una densa
nuvola di polvere e gas di scarico.
"Andiamo dunque." disse Delatroux sorridendo.
"Andiamo." disse Yuz, altrettanto lieto.
Il loro atteggiamento gioioso era una menzogna. E lo sapevano entrambi.
Capitolo 32 - La donna dagli occhi rossi
Quando le tre autoblindo si fermarono in mezzo alla piazza centrale del villaggio c'erano ad attenderle
tutte le personalità del luogo.
Sia Delatroux che Francine erano in alta uniforme. Quella di Delatroux, ovviamente, era sgargiante, visto
che era il generale al comando dell'operazione. Francine, invece, nella sua tenuta da tenente era
semplicemente marziale sebbene i suoi capelli d'oro e la sua espressione dura facevano si che spiccasse
sulla folla.
Yuz e Valerius erano uno accanto all'altro e purtroppo davano l'impressione di essere due peones.
Avevano rifiutato le divise che gli erano state offerte, ma avevano anche avuto pessimo gusto negli abiti
civili. Yuz si era ormai affezionato alla tenuta da gaucho che aveva iniziato a usare in Argentina e
Valerius, naturalmente, aveva lavorato in officina fino a un momento prima e quindi si era presentato in
tenuta da lavoro, impolverato e con alcune vistose macchie d'olio sui pantaloni. Nessuno però li avrebbe
mai criticati, considerando che erano il rinomato professore Cyrus Zeddai e il suo pupillo.
Yuz, oltretutto, contava sul suo aspetto dimesso per rischiare il meno possibile. Incontrare Avignone era
un'opportunità, ma anche un pericolo e doveva essere cauto. Era improbabile che quella gente avesse mai
visto Zeddai da vicino o potesse riconoscerlo, ma era importante non strafare. La sua vasta cultura gli
aveva permesso di spacciarsi per il professore senza grossi problemi e con l'aiuto di Valerius non gli era
stato difficile sembrare un esperto di macchine, ma tirare troppo la corda avrebbe potuto avere risultati
deleteri.
Purtroppo, però, tutte le precauzioni che prese non servirono a nulla.
Dalle tre autoblindo scesero sei persone, cinque uomini e una donna. Poi uno degli uomini si affrettò ad
aprire una portiera nel retro della vettura di testa e aiutò a scendere una figura minuta, ma apparentemente
di grande importanza. La figura si fece subito avanti, fino a sopravanzare tutti i suoi accompagnatori.
Mentre veniva avanti tutti capirono chi fosse. E cosa fosse.
Innanzitutto era avvolta in una bizzarra tunica nera che lasciava poco del suo corpo uscire e aveva un
cappuccio, sempre appartenente alla tunica, stretto sulla testa. La faccia che spuntava fuori dal cappuccio
era inquietante: pelle bianca come uova di serpente, tirata sul teschio, niente peli e niente capelli, due
penetranti occhi sbarrati dalle iridi rosse come il sangue.
Delatroux si ritrasse e trattenne la sua sorpresa troppo tardi, la creatura lo guardò e sorrise. "Crede forse
che solo i tedeschi siano capaci di convivere con i mutanti, generale?" La voce acuta la identificava come
una donna sebbene in lei niente fosse femminile.
Calò un silenzio imbarazzato. Anche i francesi erano stati cresciuti nel terrore dei mutanti, la piaga
genetica che quasi tutto il pianeta aveva irrazionalmente condannato. La donna parve divertita da quel
silenzio e quella sensazione di imbarazzo, tanto che per un momento indugiò con i suoi occhi rubino su
tutti i presenti, passandoli in rassegna, terrorizzandoli.
Poi, indugiò un secondo di più su Yuz. "Avevo intuito che ti avrei trovato qui Yuzebner Ich Deshall."
Annunciò "Sono molto curiosa di sapere qual è l'interesse della tua gente per noi."
Capitolo 33 - Il potere dei mudra
Alle parole della donna intorno a Yuz si creò il vuoto. Solo Valerius gli rimase accanto, con una strana
espressione sul viso.
Yuz, intanto, aveva gonfiato il petto e in qualche modo godeva di quel momento. Perché Yuz, ahimé, ha
sempre adorato la sua persona, e l'unico piacere che poteva trarre dal nasconderla era il momento in cui
riusciva a rivelarla. Guardò la donna nei suoi occhi rossi. "Avignone?" chiese freddamente.
La piccola creatura diafana agitò le braccia. "Avignone non è così stupido da rivelarsi in un momento così
delicato. Ma ha mandato me per comprendere certe anomalie. E tu sei l'anomalia Yuzebner."
Delatroux sbiancò. Non faceva mistero di essere terrorizzato dalla mutante, ma la piega presa dalla
situazione stava rendendo ancora più evidente il suo panico. "Ma quest'uomo... il professor Zeddai..."
"Oh, un professore lo è di certo!" continuò la donna "ma non Zeddai, di cui ho visto il cadavere. Quello
che mi preoccupa, però, è che non è solo un professore."
Quelle parole sibilline non solo sollevarono un brusio da tutti i presenti, ma, per una volta, colsero di
sorpresa anche Valerius, che iniziò a guardare il vecchio che l'aveva accompagnato fino a quel punto con
aria interrogativa.
Yuz, intanto, richiamando tutta la sua disciplina, arretrava lentamente, le mani sulla schiena. "Siete tutti
voi mutanti a conoscerci o è una cosa particolare della vostra cricca?"
"I mutanti sono persone come le altre... non sono certo una fazione compatta. Per esempio consideriamo
un problema quelli di cui si è circondato il kaiser di Germania. La nostra organizzazione invece è tutt'altra
cosa e predere informazioni su di voi è stato necessario... ma adesso cosa devo pensare del fatto che voi
prendete informazioni su di noi?"
"Se ci conosceste bene sapreste che non c'è da stupirci se raccogliamo informazioni."
La donna ebbe un gesto di stizza, mosse una mano. Yuz si piegò in due come se avesse ricevuto una
bastonata sulle ginocchia. Non fece un fiato però, crollò a terra stringendo i denti e tornando rapidamente
a fissare gli occhi rossi.
"Perché qui? Perché ora?" chiese nuovamente la donna.
Yuz le sorrise di quello splendido sorriso che lo illuminava anche il giorno in cui mi disse addio.
"Interesse personale per il ragazzo. Tutto il resto è stato... casuale..."
La mutante mosse ancora la mano, questa volta fu la testa del vecchio a girare di lato come se avesse
subito un forte schiaffo. Ma quando lui si girò di nuovo il sorriso era ancora lì.
"Non ho problemi a ucciderti, vecchio folletto."
"Allora non sai proprio tutto su di noi, strega."
Sebbene molto spesso vi sono stati arconti che hanno messo in dubbio la condotta del mio mentore, posso
affermare serenamente qui che in quel frangente Yuz seguì le regole. La sua natura era rivelata, la sua
persona era in pericolo, la sua conoscenza rischiava di andare perduta. Probabilmente, anzi, furono le
regole a imporgli cosa fare. Il cuore gli suggeriva di confrontarsi con la mutante, affrontarla e cercare di
sopravvivere. Questo, infatti, lo avrebbe tenuto vicino a Valerius.
Invece mosse le dita fino a formare il quarto mudra e scomparve in un alone di luce.
Capitolo 34 - In difesa di Valerius
Quando Yuz scomparve tutti sussultarono stupiti. Alcuni credettero che fossero state le facoltà della
mutante a disintegrarlo, ma fu presto evidente che non era stato così. Fu la donna stessa a fugare ogni
dubbio. "Scappato!" disse.
"Scappato?" gemette Delatroux. "Dove?"
"Non è importante. Era quello che mi aspettavo da lui. Mi sarebbe piaciuto arrivare a compimento del
nostro duello, ma anche così va bene. Non lo vedremo più!" Poi gli occhi della megera si puntarono su
Valerius "Ci ha lasciato qui il suo pupillo!"
Anche Valerius si piegò in due, lanciando un urlo acuto. Valerius non aveva mai dimostrato grandissima
resistenza al dolore. Come tutti i maestri di spada non era interessato a incassare e, in generale, non
pensava di doversi temprare di fronte alla sofferenza fisica. L'attacco della mutante, oltre a essere deciso,
lo colse di sorpresa e lo lasciò tremante, mezzo accasciato al suolo.
"Immagino che questo bambino possa dirci molto sul suo compare e..."
La spada cerimoniale di Francine, l'arma che portava al fianco nella sua divisa ufficiale, si dispose
trasversalmente tra lo sguardo della donna e Valerius. Gli occhi della ragazza cercarono poi di catturare
quelli infernali della telepate. "Forse non ti è chiaro, donna, che le persone di questo luogo sono sotto la
nostra responsabilità."
Delatroux trattenne il respiro senza intervenire. La mutante sibilò quasi. "Non puoi chiamarmi donna. Il
nome che ho scelto quando ho accettato il Dono è Reika. Ora dimmi tu chi sei."
La spada non si mosse di un millimetro dalla sua posizione, davanti a Valerius. Oltretutto, un movimento
estremamente breve l'avrebbe potuta portare alla gola della mutante "Francine Valery Santaroche, tenente
dell'esercito francese, prima linea dei moschettieri di ferro, la spada immacolata di Francia"
"Il... pilota." aggiunse, da terra Valerius, con estremo sforzo.
Reika sorrise. "E tu poni questioni di responsabilità? Dopo che hai coltivato tutte queste serpi sotto il tuo
tetto?"
"Dici di sapere molte cose... allora dimmi, se Zeddai è morto da dove sono venuti tutti i progressi che
abbiamo fatto con i progetti?"
La mutante sbarrò gli occhi. "Progressi...?"
"Si, i piani che abbiamo realizzato in queste settimane. E' il lavoro di Valerius! Qualunque cosa sia stata
di lui, ci serve!"
I poteri di Reika cercarono di spostare la spada, Francine irrigidì il braccio con tale forza che alla fine la
donna desistette. "E credi che questo lavoro sia così prezioso da mettere a repentaglio l'operazione?"
"Assolutamente si."
Reika era evidentemente capace di spezzare Francine, ma non lo fece. Era arrabbiata, ma non furiosa.
Sembrava aver necessità di capire prima le cose per muoversi. Non era una donna avventata, al di là delle
sue capacità "Mettete Valerius in una prigione da cui non scappi" concesse "discuteremo meglio di lui
quando mi sarà riposata"
Capitolo 35 - La prigionia di Valerius
Valerius sedeva nella piccola stanza dove era stato relegato. Due guardie sorvegliavano la porta. Francine
invece era con lui.
"Non permetterò che le facciano del male, ma la situazione è pericolosa, ho bisogno che mi aiuti." diceva
la ragazza, con un tono stranamente supplice.
Valerius osservava un muro con la consueta apatia, distante dagli accadimenti. L'unico segno di
nervosismo visibile era la mano con cui continuava a frizionarsi lo stomaco, dove i poteri di Reika
l'avevano colpito. "La strega sa che non sarò mai fedele alla vostra causa. Me lo ha visto dentro."
"Ma se le dirà tutto di Yuz e prometterà di..."
"Non so niente di chi fosse Yuz. Ho scoperto le sue capacità assieme a voi. Per me era semplicemente un
vecchio professore."
Nella stessa misura in cui Valerius era tranquillo, Francine appariva agitata. La ragazza sentiva
l'oppressione di una situazione inevitabile ed era impotente. Evidentemente, fino a quel momento, era
stata abituata a superare ogni tipo di ostacolo. Si sedette vicinissima a Valerius, fino a essere a contatto
col suo corpo e gli prese le mani. "Perché ci disprezza tanto? Perché non può capire che la nostra via è
giusta?"
Colto da pietà, Valerius la guardò negli occhi. "Perché ho il dovere di combattere la mia battaglia."
"Si può sapere di cosa sta parlando?"
"Un giorno, madamoiselle, i giganti cammineranno sulla terra. E allora si tratterà di tenerne il passo o
perire."
Incapace di comprendere il giovane, Francine si alzò in piedi e tornò verso la porta. "La ucciderà."
"Purtroppo non vedo via d'uscita. Non fuggirò, madamoiselle... o potrò andare avanti da qui, con quello
che ho fatto o non avrà senso andarmente. Non potrei mai riuscire a ricostruire tutto da capo... un'altra
volta."
Francine strinse l'elsa della sua spada, come a cercarvi sostegno, poi aprì la porta, con uno schiocco così
forte che entrambe le guardie si girarono verso di lei, allertate. Si trovarono nella bizzarra situazione di
avere tutti e tre la mano sulla propria arma. Valerius, seduto sul fondo nella stanza, neanche li guardava.
"Problemi se torno ai miei alloggi?" chiese la ragazza.
I due soldati si ritrassero imbarazzati. "No, tenente."
Valerius, prima che la porta si richiudesse, guardò finalmente in direzione della schiena della giovane.
"Non siete solo un tenente, madamoiselle."
Ma Francine non aveva bisogno di sentire quelle parole, sapeva già cosa fare. "No, sono il pilota."
Capitolo 36 - Processo a Valerius
Nel paesino sequestrato dall'esercito c'era un piccolo municipio dove Reika decise di organizzare una
specie di processo. Sembrava che la donna mutante si divertisse in quella pomposità e quindi fece si che
buona parte dei soldati vi partecipasse.
Lei, alcuni dei suoi collaboratori e Delatroux sedevano a una lunga scrivania di faccia al resto del
pubblico. In prima fila tra il pubblico, circondato dai soldati, Valerius, privo di espressione.
Francine era sempre in prima fila, ma dall'altra parte della sala.
Reika declamò in modo teatrale tutto quello che era successo, dalla scoperta di Yuz al coinvolgimento di
Valerius, senza dimenticare di ribadire l'importanza del progetto che stavano portando a termine. Poi,
crudelmente, sorrise. "Per non mettere a repentaglio tutto quello che abbiamo realizzato l'unica soluzione
è mettere a morte Valerius Demoire. Chiedo al generale Delatroux che proceda alla sua fucilazione."
Ci fu un momento di silenzio teso, un brusio difficile da controllare, poi Delatroux si alzò in piedi "In
questo caso si predisponga..."
"No."
Francine Valery Santaroche, la spada immacolata di Francia, non aveva alzato la voce, ma il suo tono
deciso aveva perforato il silenzio quasi sacrale dell'assemblea e aveva spezzato la frase di Delatroux.
"Prego?" chiese allora l'uomo, stizzito, guardando negli occhi la ragazza.
"Qualunque sentenza abbia espresso quella donna non ha validità. La sua autorità qui dentro è tutta da
confermare."
Reika fissò prima Delatroux, poi si rivolse alla giovane. "Devo ricordati il patto su cui è fondata la nostra
collaborazione?"
"Un patto che non vi conferisce nessuna autorità."
Delatroux fremette, indeciso se cedere più allo sdegno per vedersi scavalcato o al terrore per aver
infastidito la mutante. "Francine, non hai nemmeno tu autorità di intervenire. Sono io al comando!"
Francine lo guardò, impassibile. "Ed è sua decisione assecondare i voleri di questa donna?"
"Assolutamente!"
Francine alzò un braccio, non meno di dodici soldati sollevarono i loro fucili di ordinanza e li puntarono
contro il lungo tavolo, su Delatroux, Reika e tutti gli altri. Ancora, la ragazza non alzò la voce. "Generale
Delatroux, lei si è già reso colpevole di negligenza, permettendo a una spia di farsi passare per il defunto
professor Zeddai, ora mostra evidenti segni di sudditanza nei confronti di una forza estranea alla corona di
Francia e, infine, vuole assassinare la più valida risorsa di conoscenza a nostra disposizione. E' mio
dovere destituirla!"
Delatroux guardò i soldati, tentato di ordinare loro di abbassare le armi, ma quello che vide lo fece
desistere. Non erano le accuse che gli muoveva la ragazza a far sì che loro fossero dalla sua parte, ma
l'aura stessa che Francine sprigionava. Francine non era solo un giovane soldato dell'esercito francese, era
l'unica persona capace di dominare il gigante di metallo, era colei che si era calata nel ventre del
myrmidon e che aveva subito le sue torture per dominarlo. Lui non si era accorto di quanto l'operato della
giovane avesse colpito i soldati. Erano tutti disposti a seguire lei... e obbedirle.
Reika non sembrava aver colto la sfumatura, spalancò gli occhi. "Piccola insolente!"
"Se ha intenzione di usare i suoi poteri" precisò Francine, tirando fuori la sua spada e puntandola sulla
strega "sappia che i fucili sono puntati anche su di lei e farò si che sparino appena sentirò entrare in gioco
le sue capacità. Che lei sia in grado o non sia in grado di fermare i proiettili che le verrano sparati contro è
affar suo."
"Forse non ti è chiaro giovane troia" disse la mutante, con voce graffiante "quell'uomo distruggerà anche
te. E più ti coinvolgerai con lui più saranno piccoli i pezzi in cui ti ridurrà."
"A oggi, strega, la Francia ne ha bisogno."
Fu così che Francine Santaroche, il pilota, prese il comando del progetto myrmidon in Uruguay e fu così
che Valerius poté continuare a lavorare alle sue macchine. Il ragazzo non ebbe quasi reazione durante il
colpo di mano della giovane pilota, sussultò solo alla fine, quando capì che era nuovamente libero.
Si preoccupò poi che niente, di quanto era avvenuto, restasse impunito.
Capitolo 37 - Trasferimento alla fabbrica
Dal momento in cui fu messo in fuga dalla mutante Reika, ovviamente, Yuz smise di avere informazioni
in presa diretta sulla vita di Valerius e sull'evolversi delle sue vicende. Questo non fermò il suo lavoro
come non ferma il mio. E' stata svolta una lunga e complicata ricerca per avere il dettaglio di ogni giorno
della sua vita e per quanto incredibile egli fosse, spesso è stato necessario scavare a fondo per ottenere
elementi.
Di certo, quanto abbiamo fatto non è esente da difetti. Vi saranno, da questo momento in poi,
ricostruzioni azzardate, resoconti parziali, a volte addirittura versioni sfacciatamente di parte di quello che
accadde. Ma tutto ciò che finirà in questo scritto sarà stato degno di essere raccontato e quindi degno di
essere letto.
Dunque la compagine dell'esercito francese coloniale presso cui il nostro ha trovato rifugio è ora
comandata da Francine Santaroche. Non è questo un dettaglio di scarsa importanza. Al di là del legame
sempre più profondo che stava in quel momento formandosi tra lei e Valerius, Francine, in quel luogo, era
anche uno degli esponenti più intransigente dell'ala politico-militare che in patria faceva riferimento a
Moschettieri di Ferro. Questi, oltre a essere i più irriducibili sostenitori del deposto re Gregoire, avevano
conservato intatte le ambizioni di conquista che avevano portato alla Guerra del Vapore. Era forse per
questo che, per guidare quel reggimento così strategico, era stato scelto Delatroux, una figura più
moderata. Ma il colpo di mano della ragazza aveva cambiato le cose. Delatroux lasciò la compagnia
assieme a Reika e il suo seguito, ufficialmente per mantenere i rapporti con Avignone, mentre l'artiglio
dei moschettieri di ferro si chiudeva intorno all'intera produzione di myrmidon della nazione, forse del
mondo.
Francine accelerò la transizione verso la nuova base. In una settimana aveva fatto caricare su treni speciali
sia l'Orleans che il myrmidon ancora incompleto su cui stava lavorando Valerius. Presto evacuò l'intero
villaggio in favore del nuovo complesso.
La nuova base era stata costruita completamente dal nulla in un angolo di costa desolato e lontano dai
centri abitati. Era costituita da una serie di palazzi enormi, uguali nelle forme e nei colori, disposti ad
anello come un borgo medievale. La ferrovia vi era stata deviata lì apposta e un piccolo porto ingabbiava
un tratto di mare altrimenti aguzzo di scogli. Era impensabile lo sforzo che era stato fatto per costruire un
luogo del genere con tempi così stretti. Sembrava che il governo dell'Uruguay, colluso con
l'organizzazione, avesse deviato lì la maggior parte delle risorse della nazione e avesse coinvolto
un'enorme quantità di mano d'opera.
Valerius, per la prima volta, risultò impressionato. Fu subito accolto nel gruppo degli scienziati francesi
che lavoravano al progetto anche se, seguento i suoi istinti, finì col tenersi sempre un po' in disparte. In
ogni caso poté mettere mano ai progetti dell'Orleans e completà quello che sarebbe stato il suo
capolavoro.
Capitolo 38 - Il battesimo del myrmidon
I piedi di metallo picchiavano il terreno con ferocia. Uno dietro l'altro, come martelli, suonavano il
tamburo del mondo con rabbia ottusa. Il fragore del ferro contro ferro e del ferro contro il suolo erano una
cantilena assordante e ossessiva.
"Non dovresti correre così."
La voce di Francine arrivava metallica tramite l'ottoniera. L'ottoniera era un affascinante strumento
inventato da un italiano alcuni anni prima, che gli scienziati francesi avevano installato sui myrmidon. Era
formata da una serie di piastre, in ottone appunto, sensibili a certe radiazioni. Finché due ottoniere
venivano tenute a una distanzia inferiore ad alcune decine di metri una poteva riprodurre con una certa
fedeltà i suoni che avvenivano accanto all'altra.
"Se non lo spingo non raccoglierò mai i dati che mi interessano." brontolò Valerius, aumentando ancora
la potenza. A un certo punto la sua macchina mise piede su un tratto di terreno più cedevole e rischiò di
cadere. Subito i giroscopi secondari entrarono in azione, dettando alle articolazioni i movimenti per
ristabilire il baricentro.
"Io di certo non raccoglierò la carcassa di quel coso."
L'Orleans avanzava con passo tranquillo. Non aveva, nemmeno volendo, grosse capacità di corsa. Né la
sua spada né il suo fucile, dopotutto, ne avrebbero giovato. La sua forma elegante, poi, incedendo lenta,
incuteva persino più timore.
La macchina in cui si trovava Valerius invece era il contrario: in essa era incorporato il motore Zeddai
Mark III, la versione riveduta di quello dell'elegante macellaio. Aveva l'anima di una locomotiva e il
cuore di un bufalo. Il ragazzo rimise la macchina alla massima potenza e percorse un altro lungo tratto di
prateria, poi frenò bruscamente. I giroscopi fecero gli straordinari per impedire al gigante di crollare, lui
fu sballottato in malomodo nell'abitacolo, la pesante maschera di metallo sul suo volto fece cigolare i
supporti a cui era agganciata mentre gli faceva girare la testa di lato.
"Io non ho bisogno di raccogliere dati" diceva intanto petulante Francine "torno alla base."
Valerius era così immerso nelle sue valutazioni che non avrebbe saputo dire se la salutò o meno.
Continuò a forzare il suo myrmidon ancora per più di un'ora, finché le sue gambe non furono entrambe
prese da crampi e, in un modo o nell'altro, fu costretto a trascinarsi nuovamente al hangar.
Uscendo dall'abitacolo gli venne incontro un ragazzo sui 15 anni con in mano un bicchiere d'acqua.
"Madamoiselle Santaroche è passata qua davanti ormai mezz'ora fa" lo avvertì "ha rivolto verso la sua
persona diverse valutazioni... colorite in modo imbarazzante."
Valerius bevve piano "Un giorno, Germaine, scopriremo perché si fa chiamare Immacolata. Ma non
oggi."
Il ragazzo rise, trattenuto solo dal grado di Francine e dal rispetto che doveva portarle. Poi alzò gli occhi
sul myrmidon, avvolto in una sottile nuvola di vapore, ancora caldo. "Com'è, mastro Demoire?"
Valerius arricciò il naso. Germaine pronunciava il suo nome "demuà". Non si sarebbe mai abituato né a
quello né a farsi chiamare mastro. "E' come me l'aspettavo... per ora."
"Spero abbia riflettuto sulla faccenda di battezzarlo. Per ora è una fila di lettere e numeri, ma non può
assolutamente scendere in battaglia così. Anche il caporale Salopette lo pensa."
Valerius finì il bicchiere d'acqua, sempre lentamente, poi si lasciò scivolare seduto a terra, slacciandosi
intanto il corpetto della tuta da pilota. "Hai tre anni meno di me Germaine, perché ti rivolgi a me sempre
come a un vecchio?"
"Oh, mastro Demoire, io tra tre anni non sarò certo arrivato dove è arrivato lei!"
Valerius ridacchiò. "Che notevole fortuna..."
"Quindi? Ha un nome?"
Il ragazzo appoggiò una mano sulla gamba di metallo del myrmidon e la accarezzò come fosse morbido
pelo. "Ho decido di chiamarlo Danse Macabre."
Capitolo 39 - Il compimento del progetto
De Rubeille era il più giovane dei dottori associati al progetto myrmidon e, forse per questo, cercava la
compagnia di Valerius. Aveva 25 anni e un importante blasone sulle spalle, per quello che contavano i
blasoni durante la repubblica.
Valerius presenziava personalmente a qualsiasi procedura di assemblaggio del Danse Macabre svolta
dagli operai della base. In quel momento stava assistendo all'assemblaggio di un'articolazione del
ginocchio e De Rubeille ne aveva approfittato per stargli accanto. "Non erano in molti, di là, a credere che
ce l'avrebbe fatta col Mark III." gli disse.
Valerius lo guadò cupo "Il motore Zeddai è quasi tutto lavoro del padre"
"Ma l'elegante macellaio funzionava con ignitium particolarmente puro. Nessuna delle raffinerie a nostra
disposizione sarebbe mai in grado di ottenerne così. Il fatto che lei sia riuscito a usare una qualità più
bassa della sostanza con tale efficienza ha dell'eccezionale."
"E' lavoro del padre." insisté Valerius "Era quasi tutto nelle sue carte. Io ho completato i suoi conti. Il
padre amava la chimica molto più di me, io preferisco la meccanica e l'automatica."
De Rubeille era specializzato in siderurgia. L'armatura dell'Orleans, così leggera, era in parte dovuta ai
metalli che lui stesso era riuscito a sintetizzare. "E poi c'è la storia della testa..." continuò a chiedere
sornione.
Valerius si staccò da lui. Tre operai stavano cercando di tenere in asse la capsula del ginocchio del
myrmidon per permetterle di entrare nella sede della coscia. Andò ad aiutarli. Non era particolarmente
forte, sebbene nelle ultime settimane si fosse irrobustito, ma non si tirava mai indietro quando si trattava
di svolgere quelle operazioni. De Rubeille lo attese pazientemente per tutto il tempo necessario, finché
non tornò da lui.
"La testa... è complicato." disse, detergendosi il sudore dalla fronte "Quella invece è un'idea che mi ha
fatto venire il professore Yuz."
Il francese fremette. Nonostante tutto, il nome del vecchio, da tutti considerato una spia, era tabù.
"Ancora chimica?"
"Matematica." disse semplicemente Valerius.
In quel momento si udì qualcuno urlare. Si girarono entrambi e videro Germaine correre verso di loro,
gesticolando. Arrivato, si piegò in avanti a riprendere fiato. "Mastro Demoire... professore De Rubeille..."
ansimò.
"Cosa succede, Germaine?" chiese Valerius. E nonostante tutto continuava a osservare le procedure di
assemblaggio.
"E' arrivato... l'ordine... la comunicazione... il progetto..."
"Il progetto?" chiese De Rubeille. Ma era abbastanza evidente cosa stesse cercando di dire il giovane.
Esisteva un solo ordine. Un solo progetto.
"Si" continuò Germaine, ripresosi un attimo "Ci è stato ordinato di salpare per la Francia."
Capitolo 40 - La lettera di re Gregoire
Noi, Gregoire I, re di Francia, protettore di Parigi, alfiere della chiesa,
accusiamo tutti coloro che siedono nel cosiddetto "parlamento della repubblica francese" di tradimento
nei confronti della Francia, di tradimento nei confronti nostri, di complotto con forze estere nemiche e di
oltraggio alle insegne della nazione.
Per tutti questi reati condanniamo tutti coloro che siedono nel cosiddetto "parlamento della repubblica
francese" a morte.
Essendo noi stati educati alla carità cristiana e alla pietà, consapevoli dei momenti terribili che i francesi
hanno dovuto attraversare negli ultimi anni, siamo pronti a concedere però la grazia a tutti coloro che
abbandoneranno il parlamento e ci riconosceranno nuovamente come re assoluti della Francia e unici
depositari del potere politico nel paese.
Lasciamo, per fare questa scelta, il tempo che ci sarà necessario a tornare a Parigi, annichilere le forze a
noi ostili e riguadagnare il trono da cui siamo stati ingiustamente tolti. Fino a quel giorno viene lasciata a
tutti la possibilità di chiedere il perdono.
Il giorno dopo la ricostituzione della monarchia e del corretto stato delle cose condanneremo a morte chi
sarà ancora dissidente, senza possibilità di grazia. I nostri soldati si premureranno di eseguire la condanna
in tempi rapidi.
Firmato Re Gregoire I, Aprile 1875
Quando il parlamento francese ricevette la lettera molti, i più ottusi, risero. I pochi che effettivamente
sostenevano ancora la monarchia, come il braccio politico dei moschettieri di ferro, approfittarono degli
ordini scritti nella lettera per lasciare il parlamento e dileguarsi.
Dopo un primo momento di diffusa perplessità, insomma, la repubblica francese decise di considerare la
lettera come un atto di ribellione. Re Gregoire aveva lasciato capire dove risiedeva, ovvero in un borgo a
lui fedele in Piccardia. Il parlamento deliberò che sarebbe stata costituita una forza armata per andarlo a
prendere.
Esattamente come secondo i piani.
Capitolo 41 - Preparazione alla prima battaglia
"Il caporale Salopette ha detto che mi darà il suo vecchio cannocchiale quindi credo che riuscirò a
vederla, mastro Demoire!"
Valerius stava lucidando un tubo che era semplicemente un pezzo di ricambio. Un'attività molto stupida,
ma ormai la messa a punto del Danse Macabre era completata e sarebbe stato ancor più stupido mettere le
mani sul myrmidon. Ma lui non riusciva a rinunciare al contatto col metallo. "Non sarà un grande
spettacolo." commentò.
"Questo me l'ha già detto!"
Germaine aveva insistito per far parte della squadra di supporto ai myrmidon. Una cosa molto stupida. Un
manipolo di 50 uomini che avrebbe seguito, a distanza, la marcia delle quattro macchine. Come se i
giganti di ferro potessero accorgersi della loro presenza.
"Ho fatto test più spettacolari."
Il giovane assistente fu sul punto di rispondere, ma vide qualcosa e si zittì, retrocedendo in buon ordine
fino a scomparire per un corridoio. Pur alla sua giovane età, c'erano dettagli, riguardo il suo maestro, che
curava con cura.
"Potrebbe anche andare a dormire, ogni tanto." diceva intanto Francine, avvicinandosi.
"Come lei." rispose lui, riponendo il tubo in una rastrelliera, accorgendosi d'improvviso di essere molto
stupido.
"L'esercito nemico è composto da 4000 uomini. Per ora stanno marciando. Li coglieremo ancora in
cammino, non si aspettano che li attacchiamo."
"Solo 4000?"
"La maggior parte dei militari di Francia è già con noi. Se la repubblica avesse mobilitato più gente
avrebbe perso il controllo della situazione ancor prima del nostro arrivo."
Valerius si trovò a fissare il suolo. "Capisco..."
"Finalmente il suo Danse Macabre avrà un battesimo di fuoco."
"Davvero? Pensavo dovesse esserci una battaglia, per quello."
"Domani noi..."
"Domani compiremo un massacro."
Francine prese il mento di Valerius e glielo sollevò, finché lui non fu costretto a guardarla negli occhi.
Era una cosa strana, i contatti fisici tra loro erano terribilmente rari. "Valerius! Domani noi ridaremo un
ordine a questa nazione! Noi riporteremo giustizia! Compiremo qualcosa di grande!"
"Non dovrebbe eccitarsi così. Non è bella, quand'è così eccitata"
Francine lo lasciò e gli assestò un leggero spintone "Cosa può importarmi di essere bella in un momento
come questo!"
"A me importa, perché di solito lo è."
Francine spalancò gli occhi e si immobilizzò, poi aprì un poco la bocca e la richiuse senza dire nulla. Si
ricompose, in modo marziale, quasi mettendosi sull'attenti. "Spero che la sorte abbia cura di lei, Valerius
Demoire."
Lui sorrise, quel sorriso che prendeva in giro il mondo. "Spero lo faccia, visto che sarò impegnato a
proteggerla, immacolata spada di Francia."
Lei se ne andò e anche lui, dopo poco, decise di ritirarsi. Sapeva che tutto quello che doveva avvenire era
inevitabile, quindi non provava angoscia. Solo un'infinita malinconia.
Capitolo 42 - Massacro
Il Danse Macabre era tornato a tormentare il suolo. Gli occhi di Valerius continuavano a rimbalzare tra le
ottiche che gli davano la visuale esterna e gli indicatori che aveva davanti a sé. Gli indicatori
continuavano inesorabilmente a salire, con una costanza che non aveva mai visto prima.
L'ottoniera gracchiava parole trascurabili.
Era rimasta una sola speranza per la sua anima. La speranza che i soldati della repubblica fuggissero
vedendolo. Per questo aveva messo la sua macchina sotto pressione e l'aveva fatta avanzare con ferocia.
Voleva che avessero paura di lui, che vedessero nel myrmidon un demone invincibile, contro cui era
impossibile avere scampo. Dietro lui, l'Orleans di Francine e i due ORL01 e ORL02 non riuscivano a
tenere il suo passo e andavano avanti più cauti. ORL01 e ORL02, comunque, avendo optato di usare il
fucile del braccio, non avevano nemmeno bisogno di arrivare a contatto per combattere. Francine invece
si, avendo la spada in pugno. Francine era l'unico pilota che avesse il coraggio di usare la spada del
myrmidon.
La colonna dei soldati della repubblica avanzava ordinata. 4000 uomini, un numero curiosamente alto di
cavalli, dell'artiglieria. Quando avvistarono il Danse Macabre non fecero quasi niente, per un lungo
momento semplicemente non capirono, poi gli fu chiaro cosa stava accadendo e allora le cose
cominciarono ad accadere.
Alcuni fuggirono, ma pochi, troppo pochi. La maggior parte si industriò dietro i cannoni, tanto per
allestire una linea di fuoco. Riuscirono a disporre una linea quasi completa di pezzi, caricarli, fare fuoco.
Non aveva senso che il Danse Macabre facesse qualcosa per proteggersi. Il mondo esplose intorno a lui.
La campagna fu rivoltata come l'impasto di una torta. Una palla colpì la macchina, sul fianco sinistro.
L'impatto risuonò nell'abitacolo di Valerius come un rintocco di campana, poi il myrmidon si sbilanciò in
avanti, oscillando come un ubriaco. Valerius capì che i giroscopi non riuscivano a compensare e prese il
controllo diretto delle gambe. Si fermò, provò ad aprirle, puntarle al suolo. In un secondo lunghissimo
riuscì a inchiodare la macchina in piedi, in equilibrio imperfetto, ma ferma.
Le forze della repubblica, follemente, giudicarono quella sua esitazione come una speranza di vittoria.
Caricarono ancora i pezzi, questa volta prendendo la mira. Valerius avrebbe dovuto prima ricostituire
l'assetto del myrmidon e poi ripartire. Non aveva mai valutato quell'opportunità. La possibilità di essere
così scomposto da essere vulnerabile. La difesa del myrmidon era la sua imprevedibilità, dato dal suo
muoversi su gambe. Fermo, era un inutile pezzo di ferro.
Prima che i pezzi potessero suonare di nuovo, però, ORL01 e ORL02 intervennero, forse su ordine di
Francine. Non erano ancora abbastanza vicini, ma si configurarono per il tiro e spararono. I primi tiri
arrivarono corti, ma gettarono scompiglio tra i soldati e alzarono un enorme polverone tra loro e il Danse
Macabre. La seconda salva cominciò a fare vittime.
Valerius riuscì a rimettere in modo il suo mezzo mentre Francine gli si affiancava. Incrociò lo sguardo
finto della maschera sulla faccia della macchina e intanto sentì Francine nell'ottoniera. "Gli ordini, cazzo,
i fottuti ordini. Maledetta testa pazza di un inglese indemoniato!"
L'Immacolata Spada di Francia.
Non c'era più possibilità. I soldati della repubblica ormai si erano organizzati per combattere. L'avrebbero
fatto, nonostante tutto. Probabilmente non erano coraggiosi, semplicemente non capivano cosa sarebbe
successo.
Valerius rimise il Danse Macabre a massima velocità, raggiunse l'Orleans e lo superò, arrivò a impatto.
Mentre travolgeva le linee nemica e avviava le braccia perché mulinassero ad altezza suolo sentì il sibilo
della spada dell'Orleans, dietro di lui, che cominciava la sua mietitura.
Un massacro, come secondo i piani, dopotutto.
Capitolo 43 - Danse Macabre
Il Danse Macabre era più massiccio dell'elegante macellaio. In realtà il suo torace e le sue gambe avevano
all'incirca le stesse dimensioni, ma le sue spalle erano più larghe in quanto alloggiavano un'unità
supplementare del motore, utile a dare spinta alle braccia. Nonostante questo, però, il pilota continuava ad
avere limitata capacità di controllo sulle braccia stesse: era possibile avviare dei movimenti base,
opportunamente configurati, ma nulla che eguagliasse la precisione da spadaccino dell'Orleans.
Sopra le braccia era installata una brutta testa bulbosa in cui erano incastonati due occhi rossi di diverse
dimensioni. Il più grande era grande come un uovo di struzzo, trasparente, inquietante nella sua
inespressività. Valerius non aveva mai raccontato a nessuno quale fosse il suo uso, presente o futuro che
fosse.
Il Danse Macabre montava il motore Zeddai Mark III nella stessa posizione in cui lo montava l'elegante
macellaio, ovvero all'altezza del suo bacino. La differenza rispetto al motore del prototipo era che il Mark
III poteva erogare una potenza di picco maggiore e, soprattutto, poteva avere buoni rendimenti anche con
ignitium di purezza media, come quello consumato dall'Orleans. Non dipendeva più, quindi, da forniture
di carburante pregiato.
Il Danse Macabre fondava la sua esistenza sulla potenza. Era incredibilmente robusto e inarrestabile. Se si
fosse lanciato in una foresta avrebbe fatto parecchi metri fendendo gli alberi prima di fermarsi.
Gli sfiatatoi dei gas di scarico erano una particolarità che Valerius aveva progettato con cura: erano
formati da due linee continue di piccoli ugelli che percorrevano longitudinalmente la schiena del
myrmidon, dalle spalle fino alla vita, una a destra e una a sinistra della sua spina dorsale, ad alcuni metri
di distanza da essa. Quando il pilota scaricava con forza il gas questo usciva da tutti i minuscoli buchi,
formando sulle spalle dell'essere come due imponenti ali di vapore.
Il Danse Macabre era un essere mostruoso. Era stato voluto così. Era il segno del futuro che attendeva
l'umanità: un demone di ferro dalle ali roventi, una creatura curvata dalla sua stessa potenza, che guardava
con disprezzo il mondo col suo occhio color sangue. Mieteva vite e raggelava anime.
Era ciò che Valerius vedeva ogni mattina, guardandosi allo specchio.
Capitolo 44 - Al cospetto del re di Francia
"La Francia insorge."
Re Gregoire li accolse così, applaudendo mollemente. Uomo altissimo, ti carnagione chiara, capelli
lunghissimi che gli arrivavano a metà schiena, liscissimi come fossero seta, un'espressione irridente da
giullare. Figlio di Sergio I, il re del fuoco, il peccatore che aveva dato inizio alla guerra del Vapore e vi
aveva trovato morte, impiccato dai vincitori del conflitto .
Valerius lo guardava apatico, cercando di tenere le distanze da lui, ma intanto Francine era raggiante. La
sua nomina a generale era stata confermata sul campo e un'alta uniforme era stata confezionata per lei in
fretta e furia perché si presentasse nel migliore dei modi al suo re. Era splendida, rigida nell'abito militare
eppure così traboccante di vita e energie. Re Gregoire cominciò a rivolgerle sguardi quasi lascivi, quando
Valerius se ne accorse le sue guance si infiammarono.
"La Repubblica non si aspettava niente del genere. Chiunque voleva un pretesto per la rivoluzione ha
preso in mano le armi. Diverse province hanno già dichiarato di essermi devote, Parigi è una polveriera.
Basterà entrarci per riavere tutto quello che mi è stato rubato."
Re Gregoire non parlava solo per loro. Nella sala grande del palazzo che occupava erano riuniti i suoi
consiglieri più vicini e le personalità politiche che lo avevano aiutato ad architetturare il piano per la sua
vendetta. Compatti, su un lato della sala, stavano impettiti i massimi esponenti dei moschettieri di ferro:
generali, politici, intellettuali. La loro vittoria era duplice: il Re stava vincendo e l'artefice della vittoria
era una loro creatura.
Ma re Gregoire aveva interessi tutt'altro che politici su Francine Santaroche, interessi che potevano
aspettare. Gli interessava di più un'altra questione. "E così voi siete inglese, Valerius Demoire."
Valerius attese, secondo etichetta, alcuni secondi, poi rispose. "Il collegio dove sono stato cresciuto
orfano era inglese."
"Orfano finché non vi ha adottato il professore Zeddai, uno scienziato inglese"
"Innegabile."
"E vi siete già fatto dei nemici, dicono."
"Ogni battaglia ne porta."
Re Gregoire affondò le dita tra i suoi capelli, le lasciò scivolare tra le ciocche come a suonare l'arpa. "Ma
marcerete con me su Parigi?"
"Marcerò per voi come ho fatto finora."
"Voi non mi piacete, Valerius Demoire."
Francine ebbe un fremito, impercettibile. Solo gli alamari della sua giacca vibrarono un po'. Valerius
invece sorrise. Erano sorriso contro sorriso, un re ghignante di vendetta e un genio beffardo, arrogante
con l'intero genere umano. Non parlarono, non si dissero niente, rimasero solo a guardarsi.
"Ma in verità, in generale, i soldati sono tutti sgradevoli." concluse re Gregoire.
Capitolo 45 - Myrmidon Stradivari
I cori della folla urlante riuscivano a coprire il rimbombo dei passi dei myrmidon. Il corteo avanzava per
le strade per riportare re Gregoire al suo trono. Dal momento in cui aveva dichiarato guerra alla
repubblica erano passate solo tre settimane.
I soldati in marcia erano la coda insignificante del mostro formato dai giganti di ferro che, con passo
lento, avanzavano verso il palazzo reale.
Dietro, armati di spade che non avrebbero mai avuto il coraggio di usare, ORL01 e ORL02. Davanti a
loro, leggermente più larghi, il Danse Macabre e l'Orleans originale. In testa, a guidare la marcia,
myrmidon Stradivari, la più arrogante e assurda delle opere della fabbrica dell'Uruguay. Nel suo abitacolo
re Gregoire, raggiante.
Gli operai della fabbrica dei myrmidon avevano sputato sangue per far sì che l'Orleans, gli ORL e il
Danse Macabre fossero pronti al momento della battaglia, eppure avevano deciso di tributare altro sangue
e costruire Stradivari, un giocattolo, confrontato agli altri, il ninnolo per un bambino capriccioso, uno
sgabello da cui guardare la razza umana dall'alto in basso.
Ma re Gregoire era ubriaco di successo. Non solo la Francia era tornata compatta sotto la sua corona, ma
già si vociferava che la Spagna fosse ansiosa di rinsaldare gli antichi rapporti di amicizia. Le colonie,
Uruguay in testa, erano state subito con lui dimostrando che la sua autorità era riconosciuta anche oltre
oceano.
Poco importava che la Germania era pronta a predisporre truppe per "ricostituire l'ordine democratico".
Ancor meno interessanti gli stizziti commenti dell'Inghilterra. La Francia aveva di nuovo il suo re e il suo
re avanzava dentro un gigante di ferro.
Rispetto a tanti altri eventi della storia, per far riprendere il trono a re Gregoire erano state versate solo
poche gocce di sangue. Il massacro durante quel primo sciagurato attacco, ovviamente, altre scaramucce,
qualche persona di comando che non aveva voluto cedere, ma un prezzo irrisorio per quello che era stato
ottenuto.
Forse per quello, aggrappato all'abitacolo della sua lucente armatura, con i visori che gli restituivano la
deformata panoramica della folla, re Gregoire si faceva corteggiare da pensieri cupi.
Non era stato versato abbastanza sangue.
Capitolo 46 - Consiglio ristretto d'Inghilterra
Consiglio ristretto del governo d'Inghilterra riunito in sessione speciale. Il primo ministro Hipster, il capo
dell'esercito Lancaster, il ministro degli interni Cromwell, il ministro degli esteri Mary Ann Deuforth e il
pupillo della regina, il capo scienziato della corona, l'indiano Delhin Sejak. La giornata era buia di
tempesta, ma nessuna lampada era stata accesa. Tutti si guardavano nella penombra.
"E' come suo padre. Solo più pazzo." notò il capo dell'esercito, veterano della guerra del Vapore.
"No" rispose Mary Ann Deuforth "erano pazzi i due che hanno provato a prendere il potere prima di lui e
che abbiamo neutralizzato in una settimana. Lui è qualcosa di diverso."
"Ha buoni consiglieri." cercò di fare il pacere il primo ministro "Dobbiamo ammettere che persino quei
guerrafondai reazionari dei moschettieri di ferro sono animali politici. Questo è un progetto costruito
pezzo per pezzo."
Delhin Sejak si avvicinò lentamente al tavolo e, facendo tesoro della poca luce che entrava dalle finestre,
guardò un'ultima volta l'immagine sul tavolo, rigirandola tre o quattro volte come la manopola di una
cassaforte. "Anche un pazzo può avere la meglio su tutti noi con a disposizione cose del genere..."
"Tecnologia nostra!" sbottò il capo dell'esercito, battendo il piede, forse incidendo il pavimento in legno
con il suo tacco rinforzato. "Fuggita di mano! Grazie a dei traditori!"
"E' ancora nostra" puntualizzò Sejak "la maggior parte degli studi di Zeddai sono depositati presso di noi.
E abbiamo proceduto anche noi con dei progetti..."
"Quindi" concluse sempre calmo il primo ministro HIpster "siamo pronti alla produzione di myrmidon?"
"Siamo pronti al miglioramento del progetto francese..."
Ci fu un momento di silenzio. Nessuno dei presenti in quella stanza aveva mai visto un myrmidon. Il
ministro degli interni aveva incontrato il colonnello Morgan, ma nemmeno lui sapeva cosa volesse dire
averne uno davanti. "Quindi torniamo alla questione iniziale..." disse comunque. Quella riunione speciale
era stata voluta fortemente da lui e dal primo ministro, solo loro avevano in mano i numeri.
"Quello che ci state dicendo" disse Mary Ann "è che questa nazione non può rimettere in moto la sua
industria pesante."
"Non con un progetto del genere" completò Cromwell "a meno di affamare la popolazione, spremere le
colonie e fermare tutto il resto"
"Avremo un'insurrezione nel giro di un mese." puntualizzò il primo ministro.
"Solo la Germania ha le capacità di avviare effettivamente un progetto myrmidon e avere difese sensate
prima che Re Gregoire faccia la sua mossa."
"Germania!" disse disgustata Mary Ann. "Non possiamo... darli alla Germania! Se li desse ai... ai..."
"Li darà sicuramente ai mutanti, milady" concluse il ministro degli interni, tagliente "ai mutanti e a noi. E
saranno nostri alleati"
"Non pensa cosa faranno quegli... esseri con un potere del genere?" continuò sbigottita a lamentarsi la
donna.
"Abbiamo ancora il controllo del mercato dell'ignitium" cercò di esporre il primo ministro "Loro
metteranno il ferro, noi il fuoco. E se decidessimo di sciogliere il patto le loro macchine smetterebbero di
marciare nel giro di una settimana. E' un piano complesso, ma possiamo gestirlo."
"E' un piano folle!" continuò a lamentarsi la Deuforth.
Il capo dell'esercito ridacchiò, corrosivo "Ed è solo l'inizio..."
Capitolo 47 - Amori a palazzo
Parigi era una grande città, ma nonostante questo non c'era spazio per i Myrmidon. Solo lo Stradivari era
stato lasciato nel giardino del palazzo, come a fare la guardia, mentre tutti gli altri erano stati sistemati in
una serie di capannoni di periferia, in una zona che i soldati del re presidiavano.
Valerius, ovviamente, aveva cominciato rapidamente a odiare la città. Il re non esitava a coinvolgerlo
nelle sue pantomime con i cosiddetti personaggi importanti, sfoggiandolo in una ridicola divisa militare
che lo faceva sentire un pagliaccio. Anche lontano dai momenti mondani non riusciva quasi mai a
starsene per conto suo e, soprattutto, non poteva lavorare sulle macchine.
Alla fine, in qualche modo, era riuscito a requisire per sé una sala non utilizzata del palazzo e lì vi si era
rinchiuso, letteralmente a chiave, con tutta la carta e le matite che era riuscito a provare. Era tornato a
lavorare su carta alle nuove evoluzioni del Danse Macabre, molti sospettavano si stesse dedicando alla
sua misteriosa testa.
Naturalmente non aveva orari. Aveva sempre dormito pochissimo e l'atmosfera eccitata di Parigi lo
faceva dormire ancora meno. Per questo gli capitava di trovarsi a notte fonda ancora intento a disegnare,
alla luce di qualche candela, o anche solo a camminare avanti e indietro per la stanza, fissando il cielo
scuro dalla grande finestra.
Una notte, mentre era intento in alcuni complessi calcoli, il ticchettare della chiave nella toppa della sua
stanza si udì distintamente, nel silenzio assoluto. Non sapeva che altri avessero la chiave di quella porta e
comunque non vedeva per quale ragione qualcuno dovesse aprirla. Per precauzione abbrancò la pistola
che, senza un motivo particolare, teneva sempre presso di sé.
La porta, sfortunatamente, era lontana da tutte le candele che aveva acceso. Vide quindi soltanto una
figura non molto grande scivolare attraverso la porta scostata, cercando di fare meno rumore possibile. Le
puntò contro l'arma. "Germaine?" chiese.
"Le sembro un ragazzino, Valerius?" gli disse Francine, venendo alla luce. Era eterea, avvolta in un'ampia
camicia da notte bianca, che la faceva sembrare una nuvola.
"Madamoiselle?" chiese dubbioso il ragazzo, mentre lei gli veniva incontro. "Cosa ci fa qui?"
"Non avevo sonno e volevo verificare una diceria."
"Quale diceria?"
"Che l'inglese pazzo invece di dormire compone poesie per il diavolo."
Valerius stava per ribattere, ma ormai Francine gli era a ridosso. Lui non riusciva a distinguere bene i
dettagli di lei alla luce delle poche candele, ma il suo profumo di pulito, così diverso dall'odore metallico
che aveva sempre, lo confuse.
"Lei crede a queste dicerie?" gli chiese lui, ormai apertamente imbarazzato.
"Renderebbero tutto più divertente, a dire il vero" rispose lei. Poi si tese in avanti a baciarlo.
Valerius, per un attimo, si ritrasse. Ma si ritrasse come incuriosito, come se la parte più razionale di lui
volesse vedere com'era fatta una ragazza che desiderava baciarlo. Poi il sangue ebbe il sopravvento e
allora lasciò che le sue labbra si avvicinassero. Appena furono a contatto, Francine gli si strinse e
cominciò a premersi contro di lui con forza, quasi con rabbia. Lo lasciò andare solo dopo alcuni minuti.
"Il suo comportamento è... inatteso" provò a dire lui. Francine non gli si era staccata completamente, gli
teneva ancora le mani sui fianchi. "Inatteso? Le devo ricordare, Valerius, che sono stata cresciuta da mio
fratello dall'età di sei anni, praticamente sempre a stretto contatto con i soldati e le caserme. Vi sono
molte cose da imparare in un ambiente del genere."
Finalmente Valerius sorrise. "La spada immacolata di Francia."
"Basta non permettere alle macchie di posarsi, Valerius." E lo baciò ancora.
Cominciarono a muoversi assieme, piccoli passi, come un ballo popolare, sempre stretti, finché non
finirono accanto alla fiamma delle candele. Allora Valerius si fermò a guardare il volto di Francine. La
ragazza era raggiante, ma non per quello che stavano facendo. Aveva realizzato il suo sogno, era nel
luogo che voleva, aveva il rispetto che meritava. Probabilmente gettarsi addosso a lui era un atto che la
gioia di quei giorni le aveva permesso di fare, riempiendola fino all'orlo di energie.
Ma proprio mentre la guardava, così felice, Valerius vide anche altro e ciò lo ferì. Perché se fosse stata
solo l'intelligenza, il suo dono, probabilmente non avrebbe avuto la vita straordinaria che stiamo
narrando. Quello che rese Valerius incredibile, quello che lo condannò a una vita di sofferenza, fu la sua
lungimiranza. Il vedere ciò che sarebbe successo e valutare ogni atto in funzione delle sue conseguenze.
Cercò di staccarsi da Francine.
"Perché?" si limitò a lamentarsi lei, tenendolo a sé.
Molti vi diranno che quella notte Valerius già sapeva cosa avrebbe fatto. E allora molti vi diranno che per
questo, il suo indugiare con Francine Santaorche fu un atto spietato e crudele. Non sono giunto a questa
conclusione. Io credo che in quel momento, dopo tante peripezie, Valerius abbia avuto pietà di sé stesso e
si fosse lasciando andare a un momento di ignoranza e oblio. Un momento da persona normale.
Quindi, per questo motivo, la baciò ancora lungamente.
Poi, quando furono nuovamente soddisfatti del bacio, sorrise alla ragazza che teneva tra le braccia. "Non
permetterò alla vostra avventatezza di farvi compiere errori irreparabili." le disse.
"Quindi?" fece lei, con un velo di preoccupazione.
"Quindi, considerando che abbiamo le uniche due copie della chiave di questa stanza, vediamo di usarle
prima di fare altro."
Capitolo 48 - La rete di Valerius
Ogni tanto Valerius raggiungeva i capannoni dove il Danse Macabre era stato chiuso. Curiosamente, era
l'unico dei tecnici a bazzicare per quella zona. La maggior parte delle menti del progetto myrmidon erano
rimaste in Uruguay e quelle che si erano presentate erano troppo occupate ad arringare i dotti locali per
fare qualcosa di buono.
Questo significava che Valerius passava gran parte del tempo col Danse Macabre, da solo e questo gli
stava bene. Era lontano dall'ambiente di corte, era lontano dalla gente ed era vicino al suo amato ferro.
Era anche lontano da Francine che, da quando il loro rapporto era cambiato, aveva cominciato a metterlo
a disagio. Nessuno sapeva ufficialmente della loro relazione, ma lei sembrava divertirsi ad avere
atteggiamenti sfacciati con lui. Respingerla non gli era possibile, perché poi lei diveniva dieci volte più
ingestibile, ma anche assecondarla gli era stressante.
Mentre era seduto a gambe incrociate in mezzo ai colossali piedi della sua macchina, soppesando e
valutando alcuni piccoli componenti, Germaine gli si avvicinò con fare circospetto. Non indossava la
divisa dell'esercito francese, ma dei vestiti da popolano che lo rendevano anonimo. "Mastro Demoire..."
Lui non lo guardò, si limitò a tenere sotto controllo la stretta allo stomaco. "Sei riuscito a parlare con le
persone che ti ho indicato?"
"Ho lasciato detto, mastro Demoire, ma sembra che avvicinarle non sia facile."
"Ma sono comunque sopravvissute?"
Le epurazioni di re Gregoire avevano rispettato la sua dichiarazione di guerra.
"Assolutamente si, ma sono terribilmente prudenti. Hanno bisogno di prove della nostra buona fede."
Valerius si alzò in piedi, andò in un angolo e prese un sottile tubo di ferro, lo porse a Germaine "Spero
basti."
"Vorranno... lei."
"Questo è da escludere. Non posso lasciare la corte in modo così sfacciato."
"Ma in questo modo sarà molto faticoso."
Valerius alzò lo sguardo sul Danse Macabre. Il suo volto inespressivo e grottesco non gli ispirò niente di
buono. "Re Gregoire non ha ancora deciso di dichiarare guerra al mondo e il secondo carico di ORL si è
messo in viaggio da poco. Abbiamo tempo."
"Come desidera, mastro Demoire."
Germaine si allontanò da lui senza aggiungere altro. Valerius si concentrò sul suono dei suoi passi. Era un
ragazzino più di lui, ma purtroppo aveva una dote che gli era indispensabile: gli era ciecamente devoto. In
quel momento non poteva minimamente rischiare di essere tradito, per cui doveva affidare a lui le fila di
tutta la missione, per quanto pericoloso potesse essere.
Capitolo 49 - La visita dell'ambasciatore spagnolo
L'uomo rubizzo dai folti baffi neri, ma completamente privo di capelli, che avanzava verso il trono di re
Gregoire, pareva quasi circospetto, come se si aspettasse qualche scherzo crudele. In realtà ogni suo passo
era fatto seguendo il corretto protocollo, non c'era come la casata di Castiglia per rispettare le minutaglie
della formalità.
"Il cugino del re di Spagna è qui in visita ufficiale." bisbigliò Francine nell'orecchio di Valerius, senza
badare che faceva rumore. In mezzo ai nobili e agli invitati serpeggiava incontrollato un costante brusio.
"E' un riconoscimento sfacciato dell'autorità di re Gregoire che butta a mare tutte le relazioni
diplomatiche intessute fino a oggi dalla corona di Madrid."
Valerius annuì. Quelle stesse relazioni erano servite a portare lui e Zeddai in Argentina e le conosceva
bene. Era incredibile come fosse capace di oscillare la fedeltà iberica.
"La Spagna non è una potenza, ma può aiutarci con l'ignitium, soprattutto grazie all'Africa." Francine
continuava ad abbassare la voce e, quindi, ad avvicinarsi all'orecchio di Valerius. Era un gesto deliberato,
ovviamente, che le permetteva di appoggiare il suo corpo contro quello del ragazzo, cercandone intanto le
mani. Valerius, a disagio, si scostò. "Se hanno qualcosa da darci sicuramente vorranno qualcosa in
cambio." decretò, cupo. Quella era una di quelle occasioni mondane che odiava, anzi, se aveva capito
bene quella era la più grande di tutte. La visita del cugino del re di Spagna aveva dato a un sacco di gente
un pretesto per uscire allo scoperto. Questo significava che l'evento sarebbe stato interminabile e lui
avrebbe dovuto viverlo tutto dalla prima fila, chiuso in una uniforme scomoda. In queste condizioni anche
i giochini di Francine, che continuava a stuzzicarlo, gli erano molesti.
"C'è di più" gli fece notare la ragazza "guarda quell'uomo alto vestito di nero, con la faccia patibolare. E'
un osservatore delle Cinque Repubbliche"
"L'Italia riconosce re Gregoire?"
"Se ne guarda bene, ovviamente, ma il fatto che quell'uomo sia lì significa che lo trovano interessante.
Dopotutto Roma continua a spingere per trovare qualcuno che si opponga alla Germania e non è rimasto
granché in Europa."
Valerius mandò tutto a mente. Sarebbe stato interessante parlare con personaggi del genere e capire se gli
sarebbero stati utili. Difficile trovare un'occasione, soprattutto perché il suo rango rimaneva oscuro, ma ci
avrebbe provato. Era sul punto di chiedere a Francine se c'erano altre personalità degne di nota, quando si
accorse di poterle indicare lui qualcuno. "Guarda lì, accanto alla prima colonna, leggermente dietro la
prima fila di personaggi in uniforme militare, vestito blu lungo. La riconosci?"
Francine si sporse quanto l'etichetta le consentiva "C'è una donna... si... ma non credo di averla mai
vista..."
"La sensibilità da soldato della spada immacolata di Francia le impedisce di riconoscere una parrucca?"
"Mh?"
"Reika è qui. L'occhio di Avignone è tornato a posarsi su di noi"
Capitolo 50 - Reika e il re
Il giorno dopo le formalità e le feste, Reika era nello studio privato di re Gregoire. Aveva tolto la parrucca
e il suo cranio rasato, assieme ai suoi occhi rossi, le conferivano un aspetto spettrale. Il re, però, non
sembrava impressionato, anzi, manteneva il suo arrogante contegno con estrema facilità.
"Presto arriveranno i nuovi myrmidon dall'Uruguay" annunciò la donna "ma siamo a rilento con
l'impiantare una fabbrica qui in Francia. Non possiamo basarci su rifornimenti che vengono dall'altra
parte dell'oceano!"
"Stiamo procedendo, infatti." ribatté il re "Stiamo convertendo le fabbriche pesanti di mio padre. E' molto
facile."
"Non sei ancora abbastanza forte per startene tranquillo!"
"Quanta premura, strega, sembra più il tuo trono che il mio!"
Reika tacque un momento, i suoi occhi penetranti attraversarono il re. Erano soli, re Gregoire stesso aveva
imposto che non ci fosse nessuno a quel colloquio, anche per poter parlare apertamente. La donna
mutante gli girò un po' intorno, fissandolo, estendendo i suoi poteri a sondarlo. "Sembra che tu stia
imparando l'irriverenza dal generale delle tue macchine."
"E sembra che tu provi ancora irrazionale rancore nei suoi confronti."
"E' l'inglese il problema, re Gregoire, l'inglese!"
"Per ora ci è stato incredibilmente utile!"
Reika capì che anche su re le sue idee non avrebbero avuto presa così decise di attenersi strettamente al
suo ruolo. "Per l'Inghilterra saremo pronti tra due mesi. Per allora la guerra dovrà essere già in corso. Ci
occuperemo di provocare la Germania, ma se anche non reagirà tieniti pronto a intervenire comunque."
Mentre questo colloquio si svolgeva Valerius, nel suo studio, manipolava una particolare versione di
ottoniera da lui stesso modificata. Era un modello più complesso dell'originale, che poteva entrare in
armonia solo con un'altra particolare ottoniera che ne condividesse le configurazioni. Quest'altra
ottoniera, però, non era un vero sistema di comunicazione, ma un piccolo oggetto che, a rischio della vita,
lui stesso aveva installato sotto il trono di re Gregoire nel suo studio privato.
Valerius, in piedi accanto all'ottoniera, ascoltava.
Alfredo Colonna, osservatore delle cinque Repubbliche, pochi passi dietro lui, faceva altrettanto.
Capitolo 51 - Oscure alleanze
Alfredo Colonna, magistrato della Repubblica dell'Est, amico personale di papa Romeo, cugino dei
Piranesi, la famiglia che controllava, de facto, la Repubblica del Nord. Una delle voci più autorevoli delle
Concilio delle Cinque.
Osservava Valerius con la sua faccia grigia, inespressiva, che sembrava non aver mai conosciuto
gioventù. Immobile osservava e taceva, come a mettere alla prova la pazienza del giovane che, intanto, gli
rivolgeva uno sguardo risoluto e beffardo.
Alla fine intrecciò le dita delle mani, come se vi tenesse in mezzo un rosario. "Perché l'ha fatto ascoltare a
me?"
Valerius fece un passo avanti. "Ho bisogno di trattare con voi e avevo bisogno che le cose si svolgessero
rapidamente. Immagino non soggiornerà a lungo qui. Offrirvi questo mi è meno rischioso che offrirvi la
tecnologia che vi fa tanto gola."
"Ora sono costretto a chiedermi quale informazione è più preziosa."
"Scusi?"
"Avrò più guadagno riportando in patria le prove che re Gregoire complotta segretamente con delle forze
misteriose o dicendo a re Gregoire stesso che il suo pilota straniero è un traditore?"
Impassibile. Una maschera. Non un movimento di troppo. E non un colore. Persino le parole di Colonna
erano grige. Valerius esitò un momento, la sua mente formidabile inciampò, ma il suo animo
spregiudicato la sostenne. "Non vi alleerete mai così sfacciatamente con re Gregoire da poter ottere vero
vantaggio consegnandomi a lui"
"Perché dice ciò?"
"Voi italiani non vi alleate mai con nessuno."
L'Italia, una delle poche nazioni a essere rimasta fuori dalla Guerra del Vapore. Le repubbliche avevano
chiuso le frontiere a tutte le nazioni e avevano minacciato chiunque mettesse piede sul loro suolo. Le altre
nazioni avevano troppi problemi per coinvolgerle e così le avevano lasciate stare. Questo aveva permesso
all'Italia di mantenere un'economia più equilibrata, ma l'aveva anche condannata all'arretratezza
tecnologica. Non che le Repubbliche amassero le grosse armi che fanno tanto rumore. Erano più portate a
mischiare la politica con l'assassinio silenzioso.
Alfredo Colonna si alzò in piedi. "La sua è comunque una spregiudicata concessione di fiducia nei miei
confronti."
"Avrò bisogno di aver fiducia in lei solo per poco tempo, ancora. Come ha sentito re Gregoire si muoverà
presto."
"E lei farà altrettanto. La strega mutante ha ovviamente ragione."
Valerius sorrise. "Per questo le ho fatto quelle richieste."
Colonna si avvicinò a un tavolo, prese un pezzo di carta, vi scarabocchiò sopra, come annoiato, poi
guardò Valerius, annuendo. Valerius, incredibilmente, sentì qualcosa rilassarsi dentro di lui. Per la prima
volta non era stato certo dell'esito delle sue manovre, per la prima volta aveva trovato davanti a sé
qualcuno che non era riuscito a comprendere. Ma proprio a quell'uomo affidò la sua ultima conoscenza.
"La strega mutante lavora per qualcuno che si fa chiamare Avignone. In Inghilterra c'è un suo complice,
che si fa chiamare Canterbury. Questi nomi, tutt'oggi, non significano nulla per me. Per voi?"
Nessuna espressione. Nessuna reazione. Nessun movimento del volto. "Sappiamo di loro, naturalmente."
disse Alfredo Colonna. Ma non aggiunse altro.
Capitolo 52 - Giganti nella notte
Germaine e Louis guardavano Valerius da sotto le loro cappe scure. Anche Valerius indossava una cappa
scura, era quella con cui si era mosso per Parigi, nella notte, per andare da palazzo ai magazzini. Lui
vedeva nei loro occhi la tensione e la paura e sentiva il peso di quelle sensazioni. Fino a quel momento,
Valerius non si era mai preso la responsabilità di nessuno. Tutto quello che aveva fatto lo aveva fatto
eseguendo gli ordini di qualcuno. Ma adesso doveva prendere decisioni che solo a lui spettavano e quindi
doveva cominciare ad accettare cosa questo comportava. "Avete paura?" chiese.
"Si, mastro Demoire." rispose di getto Germaine. Louis annuì a ruota.
"Non siamo un esercito." precisò Valerius "Siamo solo tre uomini. E non importa cosa avremo tra le
mani, non importa quanto sarà il potere. RImarremo sempre e comunque tre uomini. E' giusto che abbiate
paura, saremo tre uomini contro il mondo intero. Ma dovete fidarvi di me."
Germaine e Louis annuirono con decisione. Li aveva... soggiogati? Plagiati? Sottomessi? Era capace
Valerius Demoire di una cosa del genere? Lui lo temeva, io sono sicuro che non fosse così. Valerius
Demoire era una persona eccezionale. Persone con una certa sensibilità sanno di potersi realizzare solo
seguendo persone eccezionali. Come biasimare quei due ragazzi, così giovani, così ingenui e così privi di
futuro? Inservienti e aiutanti di campo di un esercito che gli avrebbe negato ogni onore per la loro
mancanza di un blasone, ragazzi che avevano deciso di affrontare il fuoco delle battaglie per fuggire alla
strada. Quello era il loro destino. Come contestargli che la lotta che offriva Demoire fosse migliore?
Germaine però continuava a essere perplesso. "Mastro Demoire..."
"Cosa?"
"Ci sono gli esplosivi. Non sarebbe difficile. Non morirà nessuno. Basterà organizzare la cosa affinché
non si muova, che ci faccia guadagnare tempo. Posso sabotarlo nella maniera corretta. Conosco bene
anche lui."
Valerius esitò. Esitò per un tale numero di ragioni che sarebbe noioso e lungo elencarle qui. "No. Non
toccatelo."
Germaine annuì di nuovo, Louis pure, Valerius fece loro un cenno e li cacciò via.
Li vide allontanarsi a fare quello che gli aveva ordinato, poi si girò verso il Danse Macabre. Il myrmidon
sembrava quasi triste per il lungo periodo di inattività a cui era stato costretto. Valerius si arrampicò fino
al suo abitacolo e vi entrò, ritrovando la piacevole sensazione di essere protetto, nel grembo del mostro,
nell'unico luogo dove sentisse di essere sé stesso. Poiché non c'era nessuno si prese tutto il tempo per
allacciarsi le imbragature, fare i controlli e sistemarsi sulla testa il casco con le ottiche. Quando ebbe
finito accese l'ottoniera. "Pronto." disse solo.
"Pronto." disse la voce di Germaine, così diversa, attraverso il sistema di comunicazione.
"Pronto." disse anche Louis.
Valerius attese un lungo secondo. Poi accese il motore del myrmidon, facendo tremare le pareti del
magazzino. "In marcia."
Capitolo 53 - Tradimento
Non c'era nessuno ad aprire le porte al Danse Macabre e il Danse Macabre fece da sé, camminando
attraverso i cancelli chiusi, sfondandoli come fossero carta. Valerius intuiva solo vagamente lo sgomento
che, intanto, stava portando. I soldati della guarnigione erano stati resi molli dalla facile vittoria e di certo
non erano all'erta. Quando il Danse Macabre mosse i primi passi non sapevano cosa fare e la maggior
parte di loro era impreparata a gestire un'emergenza.
"ORL01, tutto bene." "ORL02, tutto bene."
Valerius girò le ottiche. Nella notte vide le sagoma degli altri due myrmidon accanto a sé. Si soffermò un
attimo a vederli avanzare. Né Germaine né Louis erano veri piloti e lui era riuscito, di nascosto, a
impartirgli poce lezioni. Ma i due giganti avanzavano dritti e con passo sicuro e forse ce l'avrebbero fatta.
"Proseguiamo come da piano." confermò.
Pensava sarebbe stato tutto rapido e indolore, ma si sbagliava. Quando si trovò ai cancelli esterni del
campo provò una stretta al cuore. I soldati della guarnigione erano riusciti a schierarsi, erano anche
riusciti a mettere in campo alcuni pezzi leggeri. Tutte le bocche da fuoco erano puntate contro di lui.
"Nemici." avvertì Germaine.
Lo sapeva, non c'era bisogno di dirlo e no c'era neanche bisogno di decidere cosa fare. "Avanzare!"
Aumentò leggermente la velocità. Il Danse Macabre aveva due bocche da fuoco caricate a mitraglia
all'altezza delle spalle. Poiché il pilota non avrebbe mai avuto la possibilità di operare nessun tipo di
puntamento con un mezzo del genere, erano semplicemente due bocche adibite a far piovere schegge di
ferro sul suolo. Armi da massacro. Dopo aver constatato che i soldati non si ritiravano vedendolo
avanzare, Valerius si decise, armò una salva e sparò. Ci fu un momento di fumo e scintille e l'attimo dopo
ai suoi piedi era lo scompiglio più totale.
"Mastro Demoire, dobbiamo..."
Valerius vide ORL01 che cercava di muovere il braccio. Avevano armata entrambi la spada, come il
giorno della parata. "FERMO!" ingiunse attraverso l'ottoniera a Germaine "Me ne occupo io!"
Tirò un'altra salva di cannone e si fece strada verso la città. Si girò nella direzione che aveva deciso di
intraprendere per la fuga, ma proprio così vide dei nuvoloni di fumo all'orizzonte. "Autoblindo." disse.
Evidentemente re Gregoire non era così sprovveduto da non aver predisposto niente per un'evenzienza del
genere. Non sapeva cosa avrebbe comportato una battaglia del genere quindi direzionò la macchina
perché desse le spalle alle nubi. "Con me. Massima velocità."
Le strade della città non erano fatte per i myrmidon e i myrmidon le distrussero. Il Danse Macabre e i due
ORL avanzavano pestando il selciato, spesso sbandando e strappando pezzi di muro. Fortunatamente era
notte e non c'era in giro nessuno, ma lo spettacolo di loro che marciavano era terrificante. Valerius aveva
studiato una strada che gli permettesse di essere il prima possibile in uno spazio aperto, ma era anche la
prima che re Gregoire gli aveva chiuso. Per questo era costretto a quella corsa rocambolesca.
"Statemi dietro! Statemi dietro!" Il Danse Macabre lo faceva sobbalzare nel suo abitacolo. Gli ORL, che
pure erano più leggeri, apparivano più grossi e con le loro spade che oscillavano senza controllo facevano
ancora più danni. Valerius visse come una liberazione il momento in cui riuscirono a lasciare le mura
della città, tornando a correre su una strada con ampi spazi ai suoi lati. "Aumentiamo la velocità" stavano
comunque andando nella direzione opposta a quella che aveva progettato "andiamocene via di qui!"
"MASTRO DEMOIRE! A EST! A EST!" la voce di Germaine tradiva paura.
Valerius girò le ottiche, constatò quello che si avvicinava all'orizzonte e lo accettò. Perché era condannato
all'inevitabile.
"Qualunque cosa tu stia cercando di fare, io devo fermarti." disse la voce di Francine nell'ottoniera.
Valerius mosse le braccia del Danse Macrabre in segno di sfida. "Lo ho sempre saputo, spada immacolata
di Francia."
L'Orleans stava avanzando verso di lui, brandendo la sua spada.
Capitolo 54 - Francine Valery Santaroche
Francine Valery Santaroche, secondogenita dei Santaroche, piccola nobiltà rurale francese, in fondo alla
scala dei blasoni. Theodore Santaroche, suo padre, primo della sua schiatta a mostrare consistenti tracce
di ambizione, è nell'esercito da giovanissimo, marina, e ha dimostrato al suo Re e alla sua nazione
intelligenza, coraggio e sprezzo del pericolo. La Guerra del Vapore lo trova al culmine delle sue capacità,
ne fa prima un'eroe, poi un martire e infine un reietto. Francine ha sei anni quando tutto questo accade.
Theodore Santaroche, nel primo anno della Guerra del Vapore, comanda la Rose Noire, uno dei primi
battelli armati con i prodigi tecnologici prodotti dagli ingegneri francesi. Compie un massacro, trentuno
navi cadono sotto i suoi colpi, intere flotte si ritirano al sentire il suo nome.
Nel momento più alto della campagna francese re Sergio I decide l'invasione dell'Inghilterra a opera di tre
flotte. Una delle tre è affidata a Theodore Santaroche. La comanderà dal Mastodonte. E' sicuro di vincere
perché non sa che, nel frattempo, la flotta inglese ha acquisito i potenti motori Zeddai e i cannoni a vuoto
di pressione. La battaglia è la più sanguinosa di tutta la guerra, due terzi della flotta francese vengono
spazzati via, la metà della flotta inglese fa la stessa fine. Il Mastodonte rimane in prima linea fino
all'ultimo, ma viene circondato e attaccato da multipli nemici. Viene spezzato in due. Theodore
Santaroche e tutto l'equipaggio scompaiono tra i flutti.
La guerra finirà sei mesi dopo, con la Francia sconfitta e umiliata. La nazione manterrà la sua identità
sotto un governo fantoccio fabbricato ad hoc dai tedeschi. Scatta la persecuzione di tutti gli eroi di guerra
per spezzare una volta per tutte l'identità nazionale francese. I Santaroche perdono tutto, la madre di
Francine muore di dolore, a lei rimane solo il fratello Andrè. Andrè riceve aiuto da quello che rimane
dell'esercito francese, in memoria di suo padre, e si ritira in un forte di frontiera che gli affida il ruolo di
tenente e un tetto dove far crescere la sorella.
Francine cresce sostanzialmente in una caserma. Impara a leggere nello stesso tempo in cui impara a
sparare, tira di scherma invece di prendere lezioni di danza, si impregna della retorica rancorosa degli
sconfitti, che aspettano il momento della riscossa. Il forte dove si trova è una delle culle dove nasce il
movimento dei Moschettieri di Ferro, la forza politica che cerca di contrastare le influenze estere. Alcuni
dei suoi padri fondatori vedono in Francine un potenziale simbolo e la prendono sotto la loro ala. La
inquadrano con tutti gli onori nell'esercito, esaltano le sue capacità, la spronano a intensificare il suo
addestramento. Di contro Francine ridà un senso alla sua vita e si vota alla causa.
Quando il progetto myrmidon nasce il suo nome è in cima alla lista dei potenziali piloti. Le sue capacità
eccezionali le permettono di sbaragliare tutti gli altri potenziali pretendenti.
Questo avanzava verso Valerius, il giorno in cui lui tentava di lasciare Parigi assieme al suo myrmidon e a
due delle macchine forgiate dalla fabbrica uruguayana dei francesi. La spada immacolata di Francia, la
figlia prescelta della riscossa francese. Il peccato originale della Guerra del Vapore.
Ma Valerius non poteva permetterle di vincere.
Capitolo 55 - La seconda battaglia tra Valerius e Francine
"Non posso permetterti di rubare le nostre armi." la voce di Francine grattava di rabbia.
Quasi fosse un atto riflesso, Valerius strinse i comandi del Danse Macabre. "Gli ORL, forse, ma non
questo."
"Sei un bastardo ingrato, Valerius. Quello che hai ottenuto lo hai ottenuto grazie a noi!"
"No, mia cara. Quello che ho ottenuto lo ho ottenuto per quello che so fare. Non sarei nemmeno vivo se
non fossi chi sono."
"E chi... chi cazzo credi di essere, piccolo meccanico da strapazzo?"
L'Orleans avanzava al massimo della sua velocità, che non era molto considerando i motori leggeri che lo
supportavano. Valerius stava controllando per tenerlo alla debita distanza, ma intanto si preoccupava
anche di vedere che Germaine e Louis riuscissero ad allontanarsi a sufficienza. Se per qualche sciagurata
ragione la furia di Francine si fosse abbattuta su di loro invece che su di lui, i due ragazzini non avrebbero
avuto scampo.
Ma Francine lo stava puntando direttamente, com'era ovvio. Non stava combattendo per difendere il suo
amato re, ma solo il suo orgoglio.
"Raccoglierò finalmente dati utili." disse Valerius, più a sé stesso che all'ottoniera. E poi lanciò il Danse
Macabre all'assalto.
Sapeva che avrebbe vinto, non tanto per quelle che erano le sue capacità, né per le prestazioni del suo
myrmidon, ma perché conosceva alla perfezione Francine, fin nella sua intimità. E non quella del letto,
che aveva poco peso in un combattimento tra giganti di ferro, ma quella del suo spirito guerriero e del suo
addestramento. Francine non aveva mai dovuto veramente combattere contro un myrmidon, non aveva
mai dovuto affrontare un vero nemico. Persino l'elegante macellaio, al tempo, era stato solo un bersaglio.
Purtroppo però lei non si rendeva conto di quella situazione e questo la rendeva debole, vulnerabile.
L'Orleans e il Danse Macabre erano ormai lanciati uno contro l'altro, come due tori. Francine, esattamente
nel momento in cui Valerius se l'aspettava, alzò la spada per prepararsi a colpire.
"Una sola cosa, spero, spada immacolata di Francia." disse il ragazzo all'ottoniera. "Spero che gli
ammortizzatori che ho piazzato nei controlli del tuo braccio facciano il loro dovere."
L'Orleans si inclinò leggerme in avanti, in posizione di attacco e quello fu il segnale, per Valerius, di
agire. Alzò ulteriormente la potenza dei suoi motori, spingendo lo Zeddai Mark III ai suoi limiti massimi
e scaricò tutto nelle gambe della sua macchina. Il Danse Macabre spiccò quasi un balzo, prendendo
controtempo l'Orleans. Il myrmidon di Francine provò a calare la sua spada per colpire, ma la spalla della
macchina di Valerius, finendogli addosso, gli colpì proprio il braccio, bloccando il movimento a metà,
impendendogli di chiudere il letale affondo.
Francine, dall'ottoniera, urlò di dolore.
Valerius non poteva fermarsi, sapeva di aver lanciato il suo mezzo oltre i suoi limiti e che il suo equilibrio
era precario. Passò al controllo delle braccia e fece sì che il Danse Macabre le aprisse. In questo modo i
suoi pugni colpirono come un maglio il torace dell'Orleans e poi lo spinsero indietro. Valerius allora
avanzò ancora, l'Orleans arrivò a essere spinto al di là del suo baricentro, barcollò e iniziò
disastrosamente a cadere.
Mentre la carcassa sconnessa del myrmidon francese si sfracellava al suolo, i piedi del Danse Macabre
erano già sopra di lui. Valerius manovrò i comandi così da evitare il suo petto, dove si trovava l'abitacolo,
e fece si di calpestare invece il suo bacino. Si sentì un assordante fracasso di ferro contro ferro mentre
tutti i giunti della macchina a terra andavano in pezzi, menomandola irrimediabilmente.
"Figlio di puttana!" urlava intanto Francine, la voce resa stridula. Nonostante tutto, il sistema di controllo
dell'Orleans doveva averle procurato un terribile dolore, eppure non si era arresa. "Qualcuno ti prenderà e
ti ucciderà! Se mi lascerai respirare io ti ucciderò, Valerius Demoire! Cane traditore, bastardo senza
patria! Vigliacco!"
Valerius non infierì oltre. La sua vittoria era completa. Aveva avuto la rivincità sulla sconfitta
dell'elegante macellaio. Il grande sforzo lo costrinse a rilasciare lo scarico del Danse Macabre e così le
sue ali roventi di vapore si alzarono sul campo di battaglia.
Si allontanò a raggiungere Germaine e Louise con Francine che lo malediceva ancora.
Capitolo 56 - L'umiliazione di Francine
La mano di re Gregoire calò sulla guancia con forza, uno schiaffo virile, a una bambina. Una bambina
davanti a tutta la corte riunita, col braccio legato al fianco per risolvere una spalla lussata, lo sguardo
basso, l'uniforme non in ordine, i denti stretti.
Francine Valery Santaroche, il generale francese responsabile della fuga di Valerius Demoire.
"E così tu saresti il nostro miglior pilota?" gridò re Gregoire, con voce stridula.
"Evidentemente no." rispose lei a mezza voce, al suo re, senza osare alzare la testa, ma con un ribollire di
sensazioni in corpo che erano sul punto di strapparle la carne dalle ossa. Rabbia feroce, rabbia irrazionale,
rabbia totale. Rabbia persino contro il suo signore, ingioiellato e ben vestito a giocare al padrone di
Francia, così lontano dalle battaglie e dagli scontri eppure così sicuro di sé. Piccolo insetto che le
impediva di tornare a occuparsi della caccia di Valerius.
"Sono stato avvertito della distorsione del tuo giudizio su quell'inglese, generale Santaroche, e l'ho
sottovalutata. Ma tu ti sei presa sempre la responsabilità di tutte le tue scelte, giusto?"
"Giusto." Era responsabile di tutto. Voleva esserlo. Voleva tutta quella responsabilità e trascinarla
all'inferno con sé e con Valerus.
"Quindi cosa dovrei fare, ORA?"
Non resse più, esplose. "Mi lasci andare, maestà. Lo inseguirò in ogni angolo della nazione e lo troverò! E
quando lo avrò trovato gli farò pagare ogni cosa!"
Re Gregoire sembrava non averla nemmeno sentita. "Certo! bisogna trovarlo! E' difficile! E' difficile
trovare un maledetto inglese pazzo con i suoi due schiavetti a bordo di tre giganti di metallo alti 20 metri
l'uno! E' così difficile che ancora non abbiamo loro notizie!"
Si fece avanti un uomo alle spalle di Francine, un funzionario della corona. "Sembrano scomparsi nel
nulla. E' ovvio che sono stati aiutati. Era un progetto in preparazione da tempo."
"Sotto il nostro NASO!"
Re Gregoire tornò a sedersi sul suo trono. "Santaroche. Sei degradata con effetto immediato al grado di
sergente. Rimarrai nei myrmidon visto che nonostante la tua inettitudine nessuno sembra essere più
capace di te con quelle macchine."
Francine annuì. Incassò senza poter dire niente. Non le interessavano i gradi, non le interessava la sua
carriera. Voleva solo l'Orleans di nuovo in piedi e la possibilità di combattere.
"Per il resto..." il tono di re Gregoire cambiò, non nascose un ghigno "Diramate un comunicato ufficiale.
Dite che la spia anglotedesca Valerius Demoire ha attentato alla vita della corona e ha fallito. Dite che la
corona è indispettita e pretende riparazione"
Un altro funzionario si fece avanti. "Spia anglotedesca, maestà? Riparazione? Questo significa..."
"Significa che Valerius Demoire ci ha portato la guerra che chiedevamo a gran voce."
Capitolo 57 - La Seconda Guerra del Vapore
I governi di Germania e Inghilterra ignorarono la provocazione francese, ma ovviamente questo non
bastò. Mentre re Gregorie aspettava che i meccanismi della diplomazia dessero il via al conflitto che tanto
desiderava, sulle coste francesi sbarcarono le navi dall'uruguay che gli consegnarono sei nuovi ORL e due
nuovi modelli chiamati Arabesque. Anche se Valerius aveva di fatto annientato il primo contingente di
myrmidon a disposizione della Francia, quella fornitura la rendeva comunque la prima potenza in quanto
a disponibilità di giganti di ferro.
Le nazioni iniziarono inevitabilmente a schierarsi. La Spagna si alleò direttamente con la Francia,
altrettanto fece il Portogallo. Un'altra nazione, inaspettatamente, diede il suo appoggio alla corona di re
Gregoire: l'Argentina del presidente Soras.
Dall'altra parte l'Austria e la Svizzera garantirono il loro appoggio alla Germania e l'Inghilterra si dispose
alla guerra.
Il Belgio decise di allinearsi alle posizioni francesi e l'Olanda, precauzionalmente, prese invece le parti
della Germania.
L'est europeo era da lungo tempo dilaniato da guerre di successione che gli impedivano di avere un ruolo
attivo nelle politiche del continente. Da lì non arrivò nessun segnale né in un senso né nell'altro.
Le Cinque Repubbliche d'Italia si dichiararono neutrali, ma questo non lasciò tranquillo nessuno. Era noto
che in tutta Europa una spia su tre parlava italiano ed era impossibile stabilire dove i tentacoli delle
Repubbliche potessero arrivare.
La tensione crebbe fino a divenire insopportabile. Alla fine re Gregoire colse un nuovo futile motivo al
volo e dichiarò la guerra. I myrmidon invasero il suolo teutonico all'altezza di Strasburgo.
Francine non era con loro. Stava ancora guarendo le sue ferite e le ferite dell'Orleans che, come per
ripicca, i tecnici reali avevano trascurato.
Di Valerius Demoire e della sua brigata rinnegata di giganti di ferro nessuno aveva traccia.
Capitolo 58 - In territorio tedesco
Prendere Strasburgo era stato facile. Sei myrmidon, cinque ORL e un Arabesque, avevano aperto la strada
all'esercito, che era entrato praticamente senza perdere uomini. Strasburgo non sembrava nemmeno
preparata all'attacco, pochissima resistenza che si era come sciolta quando i giganti di ferro avevano
cominciato ad avanzare.
A quel punto i tenenti Granguinol e Calamboure erano stati mandati avanti, a studiare il territorio.
Avevano percorso una cinquantina di chilometri prima di decidere di fermarsi. Avevano fatto
accovacciare gli ORL ed erano scivolati fuori dai loro abitacoli, osservando le campagne dell'Alsazia.
Erano entrambi provati dalla lunga permanenza dentro le loro macchine, rossi in viso e accaldati.
"Non possiamo andare oltre." disse Granguinol "Finiremmo col non avere ignitium per tornare indietro."
"Questo significa che il nostro rapporto sarà: niente da segnalare."
"Bhe, ammetterai che se cammini con dei mostri del genere non è che arrivi esattamente di soppiatto. Se
qualcuno c'era, si è imboscato."
"Ma se c'era un esercito dubito che ce l'avrebbe fatta."
"Allora possiamo segnalare che non c'è un esercito ad attenderci."
"Già."
"Già."
Il silenzio era perfetto e proprio per questo quando andò in frantumi fu ancora più clamoroso. Sentirono
come um rumore di tamburi, mescolato a uno stridere che era a metà tra il nitrito di un cavallo e lo
schiocco di una frusta.
"E ora cosa diavolo c'è?" chiese Calamboure.
A Granguinol formicolava la nuca "Nell'abitacolo! Presto!"
"Come?"
"Risali a bordo di quella fottuta macchina."
Tornarono nel ventre dei loro myrmidon come conigli che cercano rifugio nella tana. Calamboure, ancor
prima di sistemarsi le imbragature, abbassò le ottiche del suo mezzo e mise a fuoco, per sfruttare i suoi
binocoli. Questo però gli permise di vedere solo una nube di polvere lontana. Completò quindi la chiusura
dei lacci e avviò la sua macchina, dirigendola proprio verso la nube, aumentando l'ingrandimento delle
sue lenti.
Presto gli fu possibile distinguere una cosa strana, una creatura che avanzava sulle quattro zampe,
velocissima, muovendosi in modo quasi disordinato. Ogni zampa sembrava andare per conto suo, ad
artigliare il terreno nel punto più opportuno, dove poteva ottenere più spinta. Nonostante la velocità
pareva goffo e infatti presto le sue forme denunciarono che era stato creato bipede e che stava avanzando
appoggiandosi anche sulle mani come una scimmia o un demonio.
Ed era inequivocabilmente un essere di metallo.
"Cos'è?" chiese Granguinol. Era armato della spada degli ORL, quella spada che la maggior parte dei
piloti temeva. La alzò a sua difesa.
"E' una creatura assurda e... sta venendo verso di noi."
Il myrmidon su quattro zampe divorò rapidamente il terreno che lo divideva dalle due avanguardie
dell'esercito francese. I due ORL, a questo punto, si disposero a riceverlo, entrambi con le spade
sollevate. Quando lui decise di intervenire, però, i due soldati dell'esercito invasore non ebbero modo di
reagire. Il gigante ostile si limitò a spiccare un balzo, un balzo altissimo, e atterrare in mezzo a loro con le
mani aperte, mani armate di pesanti artigli che affondò nelle loro corazze, facendoli stridere come dannati
dell'inferno, fino ad aprire profondi squarci.
Poi, una volta concluso l'attacco, fece una virata e fronteggiò i suoi nemici. Il suo volto non era un volto,
ma solo del ferro sistemato sopra le spalle, eppure aveva un che di ghignante, demoniaco.
Come per irridere gli ORL alzò una mano e la agitò verso di loro, in segno di sfida.
Myrmidon Konsole, il miracolo dell'industria tedesca, adattato per piloti mutanti.
Capitolo 59 - I piani di Valerius
La pioggia e gli alberi, tra l'uno e l'altro, facevano un gran fracasso.
Erano nella tenda grande, quella che serviva da base operativa. Germaine, Valerius e Guglielmo,
l'italiano. Guglielmo era quello con più anni, lì dentro, ma non erano più di ventidue, e qualcosa di
illogicamente gioviale nella sua faccia lo faceva sembrare coetaneo di Germaine.
Germaine era stato lontano dal campo tutto il giorno, in cerca di notizie sulla guerra. Fortunatamente i
telegrafi erano generosi di informazioni sul fronte.
"L'esercito francese ha incontrato resistenza" raccontò "e non parlo solo dell'esercito tedesco."
"Myrmidon." concluse rapidamente Valerius "Myrmidon tedeschi."
"Sembra che se l'aspettasse." aggiunse Guglielmo.
Valerius lo guardò. Il rapporto tra lui e Guglielmo era perennamente teso, da quando si erano incontrati,
da quando, sull'ordine di Alfredo Colonna, lui li aveva aiutati a nascondere le loro macchine da guerra.
Valerius guardava sempre Guglielmo come per evitare che gli si avvicinasse troppo. "Re Gregoire è un
pazzo a credere di poter usare i myrmidon come vantaggio tattico. La conoscenza per crearli si sta già
spargendo come una pestilenza. E non farà altro che peggiorare le cose."
L'italiano arricciò il naso "Per questo noi siamo qui in un angolo sperduto di Francia a infradiciarci le
brache, lontane da qualsiasi avvenimento interessante."
Questa volta Valerius non degnò l'italiano di una risposta, si limitò a dispiegare sul tavolaccio di fortuna
la mappa che lui stesso aveva disegnato. "Questa è Maison Fredière, il nostro obiettivo si trova qui. E'
difesa, ma non abbastanza per noi. Avendo a disposizione il Danse Macabre e gli ORL è inutile pensare a
un effetto sorpresa. Sfonderemo frontalmente, da qui." Indicò con una mano da quale lato sarebbero
arrivati.
Erano accampati nei pressi di Maison Fredière già da alcuni giorni, erano già andati a fare certi giri
esplorativi in zona e l'avevano vista tutti dal vivo. Mentre Guglielmo nemmeno di degnò di avvicinarsi al
tavolo, Germaine fissava la carta come ipnotizzato.
"Qualche perplessità?" gli chiese Valerius. Aveva imparato a trattare il suo discepolo da pari, dopo che
era riuscito con lui a fuggire da Parigi.
"E' una fortezza, inutile che ci prendiamo in giro. Senza i myrmidon ci vorrebbe la forza di re Gregoire
per entrarci. Ma visto che abbiamo i myrmidon non c'è molto da dire."
Valerius non cambiò tono. "Perplessità?"
Germaine non alzò gli occhi. "Non ci ha spiegato perché lo stiamo facendo, mastro Demoire"
Guglielmo rise "Come se scappare da Parigi con tre mostri di ferro fosse una cosa logica, invece!"
Valerius lo ignorò ancora, sapendo che era l'unico modo per indispettirlo. "Vi sono cose che potrei dirti,
Germaine, ma preferisco essere sicuro di cosa significano, prima. E per esserlo devo poter avere in pugno
l'uomo che abita questa casa. Dopo questo, avrai tutte le risposte che potrò darti. Ti fidi di me?"
Germaine si rizzò quasi sull'attenti. "Sempre al suo servizio, mastro Demoire"
Valerius richiuse la mappa, la pioggia fuori sembrava essersi fatta persino più forte. "Tu segui me
esattamente come io seguo il volere del padre."
Capitolo 60 - Assalto a maison Fredière
Continuava a piovere, la pioggia tambureggiava sull'armatura di ferro, scivolava giù sulla corazza,
luccicava alla luna.
Il Danse Macabre era il più in difficoltà, i suoi piedi scavavano il terreno soffice così faticava ad
avanzare. Ogni passo era uno sforzo notevole per il Zeddai Mark III, che continuava a vomitare fuori
vapore dalla schiena. Vapore che non formava ali diaboliche, ma una cortina confusa, che la pioggia quasi
scioglieva a mezz'aria.
"Non stiamo rallentando troppo?" chiese Germaine nell'ottoniera.
In tutta risposta Valerius aumentò ancora la potenza "Andiamo bene."
Inevitabilmente, li videro arrivare. Maison Fredière era una casa antica, di un'epoca più oscura, di
battaglie più crudeli. Era circondata da altre mura che i suoi previdenti padroni avevano fatto restaurare.
Su quelle mura apparve una fila di colubrine che cominciarono a sparare nella loro direzione.
Gli ORL aumentarono la velocità, potevano perché il terreno li infastidiva meno. Valerius, invece, fermò
proprio il suo myrmidon e scaricò le sue bocche da fuoco, puntandole verso l'alto. Si era occupato di
potenziarle e infatti trascinarono giù pezzi di mura, morsero alcuni degli artiglieri e fecero crollare
addirittura una colubrina, che si schiantò al suolo con suono di gong.
Questo, però, fece si che il fuoco si concentrasse su di lui. Le colubrine non avevano grande potenza di
fuoco, ma erano agili e potevano sparare molto. Valerius sentì i colpi rimbombare sulla sua corazza, forte
di saperla invincibile. Intanto le sue ottiche seguivano gli ORL che schiantavano i portoni e entravano.
Davano proprio l'impressione di giganti che entrassero nella casa di poveri uomini. A confronto con le
architetture del luogo apparivano ancora più colossali.
Entrambi gli ORL erano armati di spada, arrivarono alle spalle delle colubrine e la brandirono. La pioggia
di fuoco sul Danse Macabre diminuì subito, dopodiché furono solo urla, ma per poco.
Valerius avanzò. Con un segnale fece avanzare anche tutti gli altri, un manipolo di briganti, prodotto di
guerre e rivoluzioni. Gente che aveva collezionato a Parigi, ma anche fuggendo. Gugulielmo era alla loro
testa.
Come da piano, gli ORL presero i fianchi della casa, i briganti armati sfondarono l'ingresso principale e
ingaggiarono le guardie. Il Danse Macabre intanto cercava di capire quale fosse la via più rapida per
entrare e raggiungere il suo obiettivo. Alla fine, mentre ai suoi piedi il tumulto cresceva, l'istinto lo guidò
verso una serie di finistre. Agitò le braccia fino a sfondarle, poi ci mandò contro il myrmidon, fino ad
appogiarcelo. Riuscì comunque ad aprire l'abitacolo e arrampicarsi fin dentro la casa, con in mano un
fucile.
Ora non gli restava che trovarlo. E capire.
Capitolo 61 - Le scuse del narratore
Mi accorgo di aver smesso di parlare in questi scritti e di aver lasciato la storia a raccontarsi da sola.
E' giusto così, ho sostenuto il ruolo di Yuz perché dovevo, ma quando il mio buon maestro è uscito di
scena ho pensato che l'unica cosa fosse focalizzarmi sugli eventi e lasciarli scorrere.
Ora però devo confessare che, nel punto che avete appena letto ho dovuto posare la penna perché colto da
grande imbarazzo. Come procedere?
Innanzitutto sappiate che quella notte accaddero cose terribili. E' patetico che io dica ciò di un castello
sperso nelle campagne mentre il fronte franco-tedesco trucidava ogni giorno centinaia di giovani, ma così
fu. E quelle cose terribili ebbero ripercussioni nel futuro di tutti noi, a partire da Valerius fino ad arrivare
a voi che mi leggete.
Ma la maggior parte di quelle cose terribili sono sconosciute ai più. Perché? Perché l'accadere e il
conoscere, ci hanno insegnato, sono cose distinte come il possedere e l'essere e la nostra eterna lotta è
avvicinarli, pur consapevoli che rimarrano sempre distanti.
Eppure come posso raccontarvi l'ignoranza del mondo dandovi la conoscenza? Come posso dirvi quanta
stupidità e quanta assurdità provocarono i segreti di quella notte? Già vi vedo, a ridere dietro ai grandi di
quel tempo, perché io vi ho spiegato tutto, mentre loro brancolavano nel buio, muovendosi nella direzione
sbagliata.
Yuz approverebbe, ma Yuz ha sempre creduto che le persone debbano sempre fare la figura degli stupidi
di fronte alla Storia. Che senso avrebbe onorare la storia, altrimenti, diceva. Yuz, che era un uomo buono
che non avrebbe mai fatto male a nessuno, Yuz che aveva un profondo senso di giustizia, scriveva la
Storia per vendetta.
Ma io no. E visto che sono un peccatore e un meschino, un negligente che ha infranto quasi tutti i suoi
doveri, cederò ora la cronaca in mano al dramma, prostituirò l'accadere in nome delle emozioni, proverò a
mordere la peccaminosa mela del colpo di scena.
Vi parlerò di quella notte. Vi dirò cosa vi accadde. Ma non fino in fondo.
Come non vi ho spiegato finora le motivazioni di Valerius, come non vi ho detto molto su suo padre,
Cyrus Zeddai, come vi ho taciuto le trame di Canterbury e Avignone.
Solo che ora lo farò sfacciatamente, in modo infantile. Saprete delle cose e poi più nulla. Da lì, vi
troverete assieme a tutto il resto del mondo e faticherete a capire. Apprezzate questa fatica. Questa fatica
è il dono di quei tempi.
Quindi Valerius era sceso dal Danse Macabre e si era messo a correre per le stanze di maison Fredière, in
cerca in qualcuno...
Capitolo 62 - Il padrone di casa di maison Fredière
L'intero castello era in subbuglio, Valerius riuscì ad avanzare senza problema in mezzo a guardie che
correvano a destra e a sinistra per arrestare l'avanzata dei briganti. Quelle che si fermarono le uccise, di
spada o di fucile, come capitava. Alla fine varcò l'ennesima porta e, come niente fosse, se lo trovò
davanti.
"Valerius Demoire..."
Era un uomo altissimo, incredibilmente vecchio. Capelli bianchi gli stavano attaccati al cranio come
spennellate di vernice. Aveva occhi neri che bruciavano al centro di una faccia dalla pelle diafana e
flaccida. Indossava un lungo mantello nero in cui era chiuso come se potesse proteggerlo da lame e
proiettili.
"Non sei fuggito." disse solo Valerius. Quella, in realtà, era la sua più grande paura.
"Avrei potuto, ma mi è stato chiesto altrimenti."
"Chiesto?"
"Loro mi hanno dato ordine di aspettarti qui."
"E perché mai?"
"Per capire."
Valerius avanzò. Non c'era più nessun rumore intorno a lui. La furia della battaglia era un lontano ricordo.
Come poteva esserci così silenzio in quella stanza? "Di cosa stai parlando?"
"Non sono andati avanti coi loro piani tanti anni trascurando cose del genere. Tu arrivi qui e loro non si
scompongono, chiedono solo come tu sia arrivato qui. E lo chiedono a me."
"Gli insegnamenti del padre..."
"Gli sbagliati insegnamenti del padre. E le sue idee assurde, come quella di portarti via dall'Inghilterra nel
momento più delicato, a scomparire in Argentina. Se fossi rimasto a Londra, così vicino a noi, ora avresti
capito."
"E non sarei qui a combattervi!"
"E a che pro?"
Valerius aveva perso il fucile molto prima. In compenso aveva sguainato la spada. Quella spada in cui era
incredibilmente bravo e che aveva continuato ad allenare, anche dopo essere diventato un pilota di
myrmidon. Si avvicinò abbastanza all'uomo dai capelli bianchi da averlo a tiro di stoccata. "Non vi è più
inganno che voi possiate fare. Il padre mi ha detto tutto, così come voi lo avete detto a lui. Quindi non ci
sono più menzogne a difendervi."
Finalmente l'uomo con i capelli bianchi sorrise. "Allora useremo la verità."
L'uomo con i cappeli bianchi allungò il braccio e afferrò la lama di Valerius. La strinse con forza,
impedendo al ragazzo di muoverla, incurante del sangue che presto cominciò a gocciolare copioso dalle
sue dita. Stringeva la lama senza una smorfia, tenendo gli occhi neri negli occhi di Valerius, protendendo
tutto il suo essere avanti, verso di lui. "Troppo presto, giovane Demoire. Troppo presto."
Valerius lasciò andare la lama e indietreggiò. Si cercò nei vestiti un coltello, lo trovò, si avventò
sull'uomo dai capelli bianchi.
Ma quello aveva già cominciato a cambiare.
Capitolo 63 - La guerra divampa
Mentre Valerius seguiva i suoi disegni e incontrava il suo destino la guerra divampava.
Le truppe tedesche avevano fermato il primo impatto francese. I myrmidon Konsole erano più agili e
duttili degli Orleans e i loro piloti mutanti erano dotati di innegabili vantaggi. Ma re Gregoire aveva dalla
sua parte il numero. Presto molte fabbriche francesi cominciarono a produrre myrmidon nutriti
dall'ignitium spagnolo, una legione tale da non temere neanche le stregonerie teutoniche.
Dopo alcune settimane di scontri più o meno occulti, l'esercito francese penetrò in Germania fino alla
città di Stoccarda. Qui però si trovò a fermarsi perché le linee di rifornimento si erano troppo allungate. I
grandi myrmidon erano troppo veloci per la macchina bellica e avevano lasciato dietro tutta la logistica
necessaria. La città di Stoccarda, quindi, non cadde, ma fu presa d'assedio, mentre altre macchine
cercavano di aggirare le truppe degli invasori per schiantarle e impedirgli di tornare indietro.
Nel frattempo Austria, Olanda e Belgio, ognuno dalla sua parte, avevano cominciato a ingaggiarsi presso
i confini.
L'Inghilterra attese fin quando l'Europa continentale non fu rovente di combattimenti per intervenire. Non
si gettò nel grande tritacarne del fronte franco-tedesco ma, senza myrmidon, invase la Spagna, che fino a
quel momento si era sentita nelle retrovie. Divorò province spagnole in pochi giorni finché finalmente i
fedeli alla Castiglia contrattaccarono. Si venne a creare così un nuovo fronte in stallo, con le province del
nord sotto il pugno di ferro inglese e il sud spagnolo alla volta della sua liberazione, chiedendo ogni
giorno supporto e muscoli di ferro all'alleato francese.
Oltreoceano la situazione era più semplice. I myrmidon francesi di Uruguay ci misero poco a unificare
tutto il sudamerica sotto la corona di re Gregoire, lasciando coi propri governanti solo la repubblica
d'Argentina di Soras, che tanto aveva già giurato fedeltà al re.
Il nord america, invece, che era da sempre un bizzarro collage di piccole province ognuna fedele a
qualcuno di diverso, precipitò in un caos anarchico in cui ognuno rivendicava piena sovranità sul proprio
territorio e desiderio di conquista sul proprio vicino. I più intelligenti capirono che quella situazione
rischiava di rendere eterna la guerra in quei luoghi e chiesero aiuto. Nessuno era disponibile a darglielo.
Era la Seconda Guerra del Vapore e, incredibilmente, in quei primi mesi nessuno pronunciò mai il nome
di Valerius Demoire per narrarla. Perché Valerius ne era lontano, nascosto tra le pieghe della storia.
Questo è il motivo per cui ho dovuto fare qui questo quadro generale. Perché ora lasceremo il teatro del
bagno di sangue e percorreremo quelle pieghe. Perché lì si annida quello che vogliamo sapere. Lì è
iniziato tutto.
Capitolo 64 - La caccia al brigante
L'attendente del comandante Rebleu risalì i gradini degli alloggi a quattro a quattro urlando, tanto che il
comandante stesso uscì dalla sua camera già spaventato.
Il ragazzo gli si fermò davanti tutto trafelato e rosso in volto. "E' una specie... di demone..." ansimò.
Il comandante Rebleu non capiva, non capiva come potesse un soldato essere terrorizzato quando era tra i
pochi lontani dalla guerra. La loro base, infatti, nel cuore della Francia, era lontana dal conflitto e
permetteva a loro di vivere con una discreta serenità. "Ma insomma! Che succede?"
"E' arrivato un contingente... soldati del re. Nessun battaglione di appartenenza, nessun comandante di
riferimento. Dicono di essere un corpo speciale con una missione..."
"Soldati del re? Del nostro re? Di re Gregoire?"
"Si... esattamente!"
"E come diavolo è che il nostro re ha soldati da sprecare per farli venire qui?"
In quel momento rimbombò un colpo di pistola, che evidentemente era stato esploso nella sala sotto di
loro. Il comandante Rebleu si chiuse alla bell'e meglio la giacca dell'uniforme, visto che stava riposando
ed era in disordine, e cominciò a scendere. A metà scala sentì una voce acuta e feroce che evidentemente
se la prendeva con i suoi uomini.
"Non è possibile che io sia qui da ore e ancora nessuno sia venuto a ricevermi! Il tempo nella nostra
missione è prezioso! Preziosissimo! E voi ne avete già sprecato in grande quantità! Vi divertite a farmene
sprecare altro?"
Il comandante Reblue, a quella voce, ebbe quasi paura a mostrarsi, tanto da fermarsi agli ultimi gradini.
Peccato che non avesse avvertito del suo prudente atteggiamento l'attendente che non s'accorse della sua
frenata brusca e gli andò addosso, spingendolo a fare i pochi metri che ancora gli mancavano. Si trovò
quindi a rotolare quasi fino a trovarsi di fronte al loro terribile ospite.
Il volto non si vedeva. Teneva il cappuccio della mantellina azzurra della guardia reale calato sul volto.
Era un militare dall'aspetto spietato, con ancora la pistola in mano, circondato da tipacci a occhio ancora
più feroci di lui. I suoi occhi brillavano nell'ombra del cappuccio, come volessero aprirlo e guardargli
dentro. E... aveva una gran bel paio di tette.
"Il comandante della base, voglio sperare!"
"E...esatto..."
"Il re mi ha dato una missione speciale per cui mi occorre il vostro aiuto!"
"Una... missione speciale?"
Il feroce soldato si liberò del cappuccio, scuotendo poi la testa e frustando l'aria con una cascata di capelli
d'oro. "Sono il tenente Francine Santaroche, stiamo dando la caccia a un criminale chiamato Valerius
Demoire."
Capitolo 65 - La maschera di ferro
Rebleu guardava Francine davanti a sé e di tutte le domande che poteva farsi lo tormentava la più stupida:
"Da dove veniva quel diavolo biondo che sembrava la furia della guerra incarnata? E perché ce l'aveva
con lui?" L'aveva fatta accomodare nel suo ufficio privato ed era rimasto solo con lei. Avrebbe preferito
avere i suoi soldati a disposizione.
"Vi è stato rubato un carico di ignitium." affermò Francine.
Lui ricordò "Oh si, un fatto terribile... quei maledetti hanno assaltato il convoglio di notte. Non abbiamo
nemmeno capito quanti erano. E poi gli autocarri... non ci è tutt'ora chiaro come li hanno portati via"
Rebleu desiderò che lei fosse soddisfatta della risposta, ma Francine non fece una piega. "Avete idea di
chi sia stato?"
"Tedeschi! Sicuramente! Si prendono le nostre risorse per foraggiare le loro maledette macchine!"
"Quindi secondo lei dei tedeschi avrebbero attraversato mezza Francia per un carico di ignitium da
riportare attraverso la stessa fottuta mezza Francia fino alle loro linee di rifornimento?"
"Eh?"
"Mi spiega cosa ci guadagnerebbero i tedeschi a venire fino... qui? Il posto più lontano dalla guerra
disponibile???"
Rebleu cominciò a sudare, ma senza il coraggio di asciugarsi. Sentiva le gocce salate bruciargli gli occhi.
"Sono... completamente pazzi! Legga il rapporto! Saltavano come scimmie! Sparavano come briganti! E
il loro capo indossava una maschera di ferro orribile!"
"Una... maschera di ferro?"
"Si, l'hanno vista tutti. Una faccia di metallo ghignante con gli occhi rossi, da far tremare i polsi!"
Francine si voltò verso l'unica finestra dello studio, guardando fuori. "E così Valerius, adesso vai in giro
conciato come un pagliaccio..."
"Valerius...? Lei crede che questi briganti siano gli uomini del suo.... del suo uomo?"
Francine appoggiò un dito al vetro e cominciò a farlo scorrere verso il basso. "A cosa serve l'ignitium,
Rebleu?"
"A far funzionare le macchine..."
"Lei sa di molte... macchine in mano ai briganti? Roba che abbia bisogno di tutto quell'ignitium?"
"Ehm... no..."
"Valerius Demoire invece ne possiede... Grosse macchine assetate che non possono fare un passo senza."
La voce di Francine si stava inasprendo. Il suo odio le spuntava da sottopelle come gli aculei di un pesce
velenoso.
"Oh... lei dice? Certo... è una spiegazione"
"Ma ora io sono qui, comandante Rebleu. E questa volta non potrà scapparmi. Maschera di ferro o non
maschera di ferro."
Capitolo 66 - La cattura dei briganti
Rebleu era stato trascinato in prima linea dalla strega, evidentemente a scopo punitivo. La strega proprio
non digeriva il fatto che lui avesse trovato un angolo caldo dove spendere la vita tranquillo. La strega non
digeriva che lui fosse felice. La strega voleva che tutti fossero acidi come lei.
Era stato costretto a guidare i suoi uomini per un'agguato dopo che la strega aveva cominciato a rivoltare
la zona e aveva dedotto il posto dove secondo lei il brigante con la maschera di ferro si era rintanato. A
questo punto avrebbe potuto farsi la sua bella battaglia e sfogare la sua rabbia repressa e invece no, era
venuta a chiamare Rebleu e aveva detto a lui di attaccare. Con che autorità poi? Era solo un tenente e non
era esattamente la cocca del re, per quello che ne sapeva. Sapeva solo fare la voce grossa e far oscillare le
tette. E tanto era così stronza che alla fine lui aveva persino smesso di guardargliele, le tette.
Ma gli faceva paura. Era completamente pazza. E durante la guerra se un soldato accusa un altro soldato
di essere un parassita e lo uccide la gente non si fa molte domande. Ben gli sta, dicono tutti, e passano
avanti. E la strega dava l'impressione di avere un gran bisogno di uccidere qualcuno.
Così avevano trovato questo capannone di legno in una fattoria abbandonata e avevano circondato la
zona. Aveva con sé tutti i suoi trenta uomini, armati, e avevano dalla loro l'effetto sorpresa. Se la strega
aveva ragione, a suo modo, avrebbe compiuto un'impresa niente male.
Il piano non era niente di elaborato, quando ebbe ricevuto segnale che erano tutti schierati si fece avanti
con un solo attendente e si mise la mano a coppa davanti alla bocca. "Sappiamo che siete lì!" urlò.
"Venite fuori!"
Se la strega fosse stata lì avrebbe capito che non era un codardo. Il suo dovere lo sapeva fare. Ma la troia
aveva dato ordini e poi era scomparsa con i suoi servetti, lasciandogli tutto il lavoro. Tanto per stargli sui
coglioni una volta di più.
Dal grosso capanno non usciva nessuno, Rebleu chiamò un altro paio di volte poi diede ordine ai suoi
uomini di stringere. Avrebbero formato un anello di fucili in cui tritare chiunque gli si opponesse. Già
pensava a quando avrebbe appeso la maschera di ferro sopra il camino della caserma.
A un certo punto, mentre i suoi avanzavano, ci fu un rumore. Sembrava il gemito di un animale, un
animale molto grosso. Un suono fastidioso e straziante che faceva vibrare le ossa. Rebleu fece fermare i
suoi.
"Arrendetevi!" chiese ancora, come per far capire che si era fermato non per paura, ma per concedergli
un'ultima possibilità.
Il rumore si ripeté.
"Al diavolo! Tirate fuori quei maledetti da lì!"
I soldati avanzarono ancora, ma quando cominciarono a stringere sul capanno questo esplose. Esplose
senza fiamme o fragore, semplicemente tutto il legno saltò per aria, squarciato come carta straccia davanti
al vento, sollevando un polverone di segatura e detriti.
Quando i detriti cominciarono a posarsi si iniziarono a distinguere le figure completamente nere di due
giganti di metallo.
Capitolo 67 - La maschera e la spada
Rebleu, scampato fino a quel giorno alla guerra, non aveva mai visto i myrmidon in azione. I due che si
trovò davanti, oltretutto, erano particolarmente mostruosi, completamente neri, con visi diabolici resi
fiammeggianti da luminosi occhi rossi. I soldati ne furono atterriti e andarono in panico. Provarono a
sparargli con l'unico risultato di farsi piovere addosso cascate di scintille, mentre i giganti avanzavano
schiacciandoli.
"Quella troia!" esclamò Rebleu "In cosa diamine ci ha cacciato quella troia!" Le gambe gli tremavano e
anche la sua vista era offuscata.
"Di chi state parlando, signore?" disse una voce alle sue spalle.
Si girò. Ai suoi piedi i cadaveri dei due soldati che erano insieme a lui, davanti un uomo con in mano una
spada insanguinata e con sul volto una grottesca maschera di ferro.
A Reblue in nome venne alle labbra spontaneo. "Valerius Demoire!"
L'uomo con la maschera di ferro gli si fece presso, gli artigliò una spalla e gli puntò la spada alla gola.
"Posso sapere chi stavate ingiuriando, comandante? Ne sono curioso..." La freddezza e la strafottenza
dell'uomo mascherato spaventavano Rebleu per come erano assurde in quella condizione. Alle sue spalle
continuava a sentire gli spari, le urla dei suoi uomini e soprattutto lo sferragliare dei due myrmidon che li
uccidevano come insetti.
"La troia che ti da la caccia! E' colpa sua se sono in queste condizioni..."
La spada dell'uomo dalla maschera di ferro si avvicinò tanto alla gola di Rebleu da aprirgli una piccola
ferita. "Il suo nome... signor comandante."
"Francine Valery Santaroche! Tenente Santaroche!"
Il brigante spinse via il soldato francese con lo sdegno di un nobile che allontana un pezzente. Stava
ridendo. "Una donna come lei... così devota alla guerra... che sfugge dal fronte e dal grande conflitto per
inseguire... un nome."
"Lei è una troia e tu un demonio! Siete proprio una bella coppia!"
L'uomo mascherato fece un affondo, la spada aprì una piccola ferita nella spalla di Rebleu. Lui vi
appoggiò la mano, sentì il suo stesso sangue insudiciarlo.
"Io ho i miei scopi" disse la maschera di ferro "lei non ha più niente da perdere."
I due myrmidon neri stavano ancora facendo un gran fracasso, ma a questo si aggiunse un'altra onda di
frastuono, un terzo sfregare di ferro. Dai boschi poco lontani dalla zona di battaglia spuntò la testa
finemente definita di un altro myrmidon, il cui metallo però era chiaro e tirato a lucido.
"E' finita, Valerius." disse la macchina, dai suoi altoparlanti, con voce di donna. "Sto venendo a
prenderti."
Con furia cieca l'Orleans menò un possente colpo con la sua spada, sradicando davanti a sé una mezza
dozzina di alberi.
Era un colpo che avrebbe dovuto portare grande dolore al suo pilota, ma il suo pilota era la spada
immacolata di Francia, temprata nell'odio una volta di più.
Capitolo 68 - La fine dei briganti
Considerando la poca resistenza che i soldati francesi offrivano, l'Orleans era l'unico bersaglio che i
myrmidon neri potessero considerare.
Gli si gettarono contro con la forza di tutti i loro motori, ma si trovarono a frenare entrambi, quando la
sua spada gli balenò davanti. Poi a indietreggiare mentre lui avanzava, incurante della loro presenza. E
poi si trovarono a cercare modi di porre i loro corpi per offrire le parti più resistenti ai colpi. Perché
l'Orleans picchiava come un fabbro e il suo pilota sembrava non soffrire per questo.
No, era peggio. Persino l'uomo con la maschera di ferro se ne accorse e abbassò un poco la lama con cui
teneva d'occhio Rebleu. L'Orleans combatteva senza vederli, come se potesse passargli attraverso con la
semplice forza di volontà. Alla fine colpì con un colpo tremendo e la calotta che copriva l'abitacolo di una
delle due macchine saltò via come un tappo, esponendo il pilota.
Questo non si diede per vinto, si strappò via di dosso tutte le bardature, tirò fuori dalla sua tasca una
pistola e prese a sparare. Ridicolo e patetico come i soldati che avevano cercato di fermare lui.
L'altro myrmidon nero diede fondo a tutti i suoi motori, tanto che dalla sua schiena uscì una nuvola densa
di vapore bianco e si spinse contro l'Orleans. Questa volta lui colpì basso, come epoche prima aveva
colpito l'elegante macellaio. Entrambe le sue ginocchia saltarono, lanciandolo a cadere in mezzo agli
alberi.
"Smettetela!" urlò Francine attraverso gli altoparlanti, non fidandosi più delle ottoniere dei myrmidon a
pezzi. "Ditemi solo dove si trova lui!"
"Sta... sta cercando te..." balbettò Rebleu, se possibile spaventato dall'azione di Francine ancor più di
quanto lo era stato da tutto il resto.
"Credi sinceramente che quella povera ragazza sappia più che cosa vuole? E' un peccato però che sia
arrivata a noi in tempi così brevi."
"Sei forse un pazzo maniaco come lei? Guarda cosa sta facendo! Guarda che cos'è! E sta venendo a
prendere te!"
La maschera di ferro rise un'ultima volta, diede un gran pugno a Rebleu gettandolo a gambe all'aria e poi
prese a correre, gettandosi verso il folto della foresta.
Rebleu, in un ultimo moto patriottico, sembrò risvegliare il suo fegato, si tirò nuovamente in piedi e prese
a gesticolare, cercando di attirare l'attenzione dell'Orleans e indicandogli la via in cui era fuggito il
brigante.
Pochi secondi dopo, quando finalmente anche Francine si era voltata a guardare, stava indicando un muro
di fiamme.
Capitolo 69 - Germaine
Germaine, il pilota del myrmidon nero, quello che aveva cercato di sparare all'Orleans dopo che
l'abitacolo era saltato via, era legato a una sedia, il volto tumefatto a causa dello scontro, con due lividi
perfettamente circolari dove si trovavano le ottiche del casco. Nella stanza con lui solo Francine.
"Eri solo un inutile attendente finché non ti sei messo a seguire lui." gli disse con disprezzo.
"Lui sapeva che esistevo, al contrario tuo."
"E nonostante questo gli hai mentito tutto questo tempo."
"Mentito?"
Francine si fece avanti, infilò una mano nel colletto della giacca di Germaine e tirò fino a lacerare la
stoffa, fino ad aprire tutto, fino a esporre la pelle nuda. Nel farlo aveva lacerato anche una fascia di tela
che stringeva due piccoli seni. "Una specie di stupida spasimante..."
Germaine distolse lo sguardo, arrossendo un poco. "Non gli ho mai mentito, nemmeno nel mio nome..."
"Immagino credesse di averti conquistato alla sua causa, invece eri solo in cerca del suo letto."
"Sembra che anche chi c'è stata, in quel letto, continui a millantare di chissà quale causa..."
Francine diede uno schiaffo a Germaine. Lo diede con la sinistra. Non era vero che l'Orleans non faceva
più male al suo pilota, era vero che lei aveva imparato a ignorare il dolore. Ma comunque, dopo aver
combattuto, era condannata comunque a un inferno di sofferenza. "Quindi riduciamo tutto a chi se l'è
scopato e a chi è invidiosa?"
Germaine stirò il sorriso fino a spaccarsi il labbro, gonfio per le botte. "Tra quella tradita e quella che era
ancora insieme a lui."
Francine alzò di nuovo la mano, ma non calò un secondo schiaffo. Il gioco del suo nemico era fin troppo
ovvio. Si chinò su Germaine e le prese le spalle. "Dove si trova lui ora?"
"Ammazzami piuttosto!"
"Perché non dovrei farlo, piccola troia?"
"Perché non puoi più raggiungerlo e ti consumerai prima di averlo! Io lo so che ogni giorno che passa fa
sempre più male, vero?"
Francine si allontanò da Germaine e cominciò a camminare per la piccola stanza. Paradossalmente, aver
rivelato il segreto della ragazzina aveva reso tutto più difficile. Sapeva che un uomo non avrebbe usato
certe armi, sapeva che un uomo non avrebbe capito abbastanza a fondo le sue debolezze. Ma ormai il
dialogo era su tutto un altro piano. Cercò di prenderla alla lontana. "Perché indossare una maschera di
ferro e vivere da brigante?"
Germaine fu sul punto di dire qualcosa, ma poi si vide chiaramente che cambiò il suo pensiero. "Ti dirò
l'ultimo posto in cui l'ho visto, ma devi promettermi di andarci."
"Cosa stai dicendo? Era con te quando ho attaccato, durante la battaglia. Rebleu mi ha raccontato tutto!"
Germaine scosse la testa. "Ti dirò del luogo dove è comparsa la maschera e tu ci andrai."
"Di cosa stai parlando?"
Germaine guardò negli occhi Francine e Francine vide che non aveva paura. Realizzò che non ne aveva
mai avuta. Capì che non erano le torture o le minacce a farle finalmente dire qualcosa, ma un preciso
piano nella sua testa. Capì che quella piccola ragazzina che per lungo tempo si era finta un ragazzo
l'aveva battuta.
"Maison Fredière." disse. E fu ovvio che non avrebbe più aperto bocca.
Capitolo 70 - I piloti mutanti
Delhin Sejak, capo scienziato inglese, stava guardando una lastra di metallo bucata. Non sapeva
descriverla altrimenti: era una lastra lunga alcuni metri, alta un paio, in cui vi era una serie infinita di
buchi, disposti a griglia come in un setaccio. In ogni buco c'era una sfera colorata. Girando la sfera, il
colore mostrato cambiava. Allungò il dito e provò a girare alcune sfere. "Non ne capisco il senso."
ammise.
Wilhelm Haruden, capo pilota tedesco, gli sorrise quasi con accondiscendenza. "Il myrmidon konsole si
guida facendo dei disegni su questa lasta, girando le sfere nei buchi. Vede? Se compongo un rombo
azzurro sto chiedendo al myrmidon di fare un passo avanti con la gamba destra, spostandolo di un paio di
buchi il passo lo farà con la gamba sinista."
"E come diavolo si può sperare di guidare la macchina così?"
Wilhelm socchiuse gli occhi, le sfere sotto la lastra cominciarono a girare vorticosamente, i due rombi
azzurri si alternarono a ritmo davanti a lui.
Delhin rabbrividì. "Pensavo che... voi comandasse direttamente gli arti..."
"Troppo elaborato" disse il mutante, scuotendo il cranio rasato "troppe cose da tenere in considerazione.
Non ti permetterebbe di focalizzarti sul combattimento. Così invece è sufficiente mandare a memoria la
sequenza di immagini che si vuole realizzare." A dimostrazione di quanto diceva, il tedesco cominciò a
disegnare figure sempre più complesse tramite le sfere, senza però spiegare cosa avrebbe dovuto fare la
macchina di conseguenza.
Delhin Sejak smise di dargli soddisfazione, tornando a osservare il gigante in sé. Perché i tedeschi lo
avevano dovuto realizzare così ghignante e grottesco? Sapeva che i piloti mutanti poteva usare con abilità
gli artigli, tanto da lacerare le corazze dei loro nemici, ma anche così non si capacitava delle mostruosità
che gli avevano installato al posto delle mani.
"Non è potente" disse Wilhelm avvicinadoglisi "è veloce, precisa, letale, ma non potente. SIcuramente
non al livello dell'Arabesque. Se sbagliamo qualcosa durante il combattimento siamo spacciati."
Sejak accarezzò il metallo. "E' per questo che stiamo perdendo la guerra?" Delhin Sejak, capo scienziato
della corona inglese, non avrebbe dovuto fare quel viaggio fino al fronte tedesco se la situazione non
fosse stata drammatica. Ma lo era e lo era ogni giorno che passava. Re Gregoire divorava terreno
avidamente.
"Non esistono molti piloti mutandi herr Sejak. Fare il nostro lavoro è molto difficile e molti muoiono
appena messi sul campo di battaglia. Si, abbiamo delle macchine superiori, che hanno però bisogno di
piloti superiori. E non ne abbiamo."
Delhin Sejak conosceva le macchine. Dopo la dipartita di Zeddai si era costretto a divenire il massimo
esperto inglese di myrmidon. Varie parti del Konsole erano opera sua. Ma se il problema era negli uomini
non c'era nulla che potesse fare. "Non siamo ancora pronti a intervenire qui." dovette dire.
"Allora vi aspetteremo." affermò pacatamente il mutante.
"Prenderanno Berlino."
Le sfere della plancia del Konsole girarono un'ultima volta, formando una distesa di macchie rosse. "Vi
aspetteremo anche se non avremo più città da difendere."
Capitolo 71 - La caduta di Berlino
Quando fu dichiarata la resa a Berlino trenta myrmidon Orleans marciarono tutti assieme nelle vie della
città, facendo esplodere a ogni passo i vetri delle case. Dietro di loro i più lenti Arabesque si
sparpagliavano nelle strade, pronti a puntare l'artiglieria contro chiunque opponesse resistenza.
In tutta la città erano rimasti solo sei myrmidon Konsole, rintanati negli angoli più bui delle strade, in
contatto l'uno con l'altro. I sei migliori piloti dell'aquila tedesca. scelti personalmente da Wilhelm
Haruden che però li aveva lasciati a loro stessi, occupato su un altro fronte.
Klizia Rademann, acquattata dietro il muro di una casa diroccata, guardò passare un Arabesque e lanciò
un fremito d'odio che gli altri piloti colsero.
"Non intervenire." le rispose subito il fratello Rutger, attraverso il contatto telepatico.
"Prima di cadere potrei portare con me almeno una decina di questi bastardi." rispose lei.
"Ma comunque prima o poi cadrai."
Klizia non era preoccupata di morire. Dopo aver conosciuto la comunione con gli altri mutanti e dopo
aver sperimentato il legame ancora più intimo che legava i piloti dei Konsole, non riusciva più a credere
che sarebbe stata distrutta completamente se il suo corpo fosse morto. Era convinta che i suoi pensieri
avrebbero continuato a rimbalzare tra i suoi compagni finché loro non fossero scomparsi e anche allora,
comunque, avrebbero certamente trovato altri mutanti a cui trasmettersi. Solo se la razza mutante si fosse
spenta sarebbe scomparsa, ma quello non era possibile.
Intanto, l'odio le provocava un dolore fisico. L'odio per quelle macchine disgustose che violavano il sacro
suolo della sua città, i cui piloti erano creature patetiche e meschine che disprezzavano i mutanti.
Sopravvivere con quell'odio era ben più difficile di affrontare la morte stessa.
Uscì dal suo nascondiglio tenendosi alle spalle dell'Arabesque. Il pilota era un incapace, i suoi movimenti
goffi, i suoi riflessi lenti. Valutò che avrebbe potuto assalirlo col suo Konsole da dietro e smembrarlo
prima che lui capisse cosa stava succedendo. Se anche il bastardo avesse chiesto aiuto lei sarebbe stata
lontana prima del sopraggiungere di chiunque.
I colori sulla plancia di Klizia si mossero, il Konsole si accucciò a terra come un animale, configurando la
massima spinta. Le gambe estremamente elastiche della macchina le davano una velocità mostruosa nei
primi metri.
"Lasciate la città." arrivò però in quel momento alla mente di Klizia. La calda, solida empatia di Wilhelm.
"Lasciate la città senza rischiare." ordinava.
Klizia non poteva disobbedire a Whilem, non poteva fisicamente. Il legame col suo capitano affondava
nel suo cervello. "Signore..."
"Lasciate la città. Li aspetteremo nelle nostre foreste."
Capitolo 72 - Francine a maison Fredière
Era autunno inoltrato e nessuno aveva pensato di scaldare gli abitacoli dei myrmidon.
Francine, ogni pochi passi, staccava le mani dai comandi e ci soffiava sopra. Non faceva così freddo,
certo, ma tutto quel metallo intorno le faceva entrare il ghiaccio sottopelle. Paradossale, pensando che,
pochi metri sotto, i motori a ignitium bollivano di fiamme.
Accanto a lei, sotto di lei molti metri, su un carro, il suo primo ufficiale seduto accanto a Germaine,
legata. Loro facevano strada. In pratica lei li lasciava andare avanti per lunghi minuti e poi faceva un
passo. Una marcia estenuante.
"Dove ci sta portando la troietta?" disse Francine all'ottoniera, subito pentendosene. Suonava così isterico
quel modo di rivolgersi alla ragazzina.
"Dice che siamo quasi arrivati." rispose il suo primo ufficiale, dal medesimo strumento installato dietro di
lui sul carro.
Dietro una svolta, improvvisamente, il terreno andava giù e in fondo alla discesa c'era una magione
dall'aspetto antico, imponente, austera. Nera di un vecchio incendio.
"Cos'è? Uno scherzo?" chiese Francine, sorpassando il carro, andando verso il maniero.
"La ragazza dice che lo hanno bruciato i proprietari."
"Con... dentro Valerius?"
"Dopo che è passato lui."
Era goffo, l'Orleans, per studiare un posto del genere, ma ormai per Francine guidarlo era facile come
andare a cavallo. Con ampie falcate arrivò presso le mura, vi girò intorno, cercò un ingresso e poi, a un
certo punto, si fermò, come raggelata, a guardare.
Appoggiato a un muro come un vecchio ubriacone stanco, smangiato a causa del calore, con un braccio
staccato, appoggiato a terra come un mucchio di ferraglia, il Danse Macabre la guardava dal basso della
sua triste decadenza. Un gigante di ferro che non aveva affrontato la battaglia, ma che era stato lasciato a
morire, in mezzo alle fiamme. Nonostante la corazza lo avesse preservato praticamente intatto,
sprigionava un senso di desolazione e abbandono tale da permettere facilmente di concludere che non si
sarebbe più mosso dalla sua triste posizione.
"Va... valerius." disse Francine. E si sbrigò a mettere una mano davanti al microfono dell'ottoniera,
mentre gemeva nell'intimità del suo abitacolo, così da non poter essere sentita.
Smontò lentamente l'imbracatura, aprì il portello e scivolò lentamente giù.
"Potrebbe essere pericoloso." la avvertiva il suo primo ufficiale dal microfono. Il carro, ancora lontano,
cercava di raggiungerla di buon passo.
"Ho la mia spada." disse semplicemente lei, toccando terra.
Voleva rimanere un attimo sola, senza l'Orleans, come nuda. Come si fa di fronte a una tomba.
Capitolo 73 - I cadaveri di maison Fredière
Francine si aggirava per stanze vuote e devastate. Aveva sperato che effettivamente gli abitanti del
castello gli avessero dato fuoco dopo averlo abbandonato, ma le tracce annerite dei corpi che incontrava
qua e là dimostravano il contrario. Qualcuno era tra quelle mura quando l'incendio era scoppiato, chi
aveva portato distruzione lo aveva fatto per cancellare vite umane oltre alle sue tracce.
Ogni tanto si chiedeva se qualcuno dei cadaveri che incontrava non fosse Valerius. Ogni volta doveva
lottare contro quell'idea, stabilendo che uno era troppo basso, uno troppo grosso, un altro aveva indosso
una divisa che non c'entrava nulla con lui. E poi perché Valerius sarebbe dovuto essere morto? Il Danse
Macabre non significava nulla, era solo un pezzo di ferro abbandonato.
Il castello era immenso, avrebbe potuto rimanere lì dentro a vagare per giorni, ma l'istinto la portò a
raggiungere il punto dove il Danse Macabre aveva sfondato. Da dentro l'edificio si vedeva distintamente
l'abitacolo aperto, per far uscire il suo pilota, per lasciarlo andare a compiere il suo destino. Ma dove?
Dove stava andando Valerius? E perché?
Le sembrò di individuare una via più importante delle altre, un percorso in mezzo alla cenere, che avesse
più senso degli altri. Lo seguì sperando che quelli fossero stati anche i passi di Valerius, così da poter
arrivare in fondo a quel tragitto e svelare il mistero di quel luogo orribile e lugubre. Prima ancora di avere
la certezza che la strada che stava percorrendo era quella giusta, trovò qualcosa di ancor più incredibile,
che la costrinse a fermarsi.
Per terra, accanto a una scala, c'era un cadavere. Un cadavere come molti altri che aveva incontrato fino a
quel momento, ma con qualcosa di diverso, qualcosa di mostruoso. Il suo braccio destro, ancora stretto
intorno a un fucile deformato dal calore, aveva qualcosa di non umano: era più grosso del normale,
coperto di scaglie verdi che erano resistite persino alle fiamme e con dita armate di lunghi artigli ricurvi.
Si inginocchiò, chiedendosi se fosse possibile che una tale bizzarria fosse stata messa lì per gioco, a
coronamento del disastro. Allungò una mano per toccarla, ma un movimento, dietro di lei, le impedì di
farlo. Un movimento semplice, secco, ovvio, che rieccheggiò nelle sale vuote come una profanazione.
"Benvenuta, spada immacolata di Francia."
Si girò, incontrò lo sguardo inespressivo e diabolico di una maschera di ferro.
Capitolo 74 - Francine e la Maschera di Ferro
Prima ancora di parlare, Francine sfoderò la spada e cercò di colpire. Maschera di Ferro parò il suo colpo
deviando la sua lama e la spinse indietro, il tutto muovendo unicamente il braccio. "La migliore pilota di
myrmidon del pianeta, senza dubbio. Ma una spadaccina mediocre."
Francine tornò all'attacco, Maschera si limitò a parare indietreggiando piano. Aveva dietro di sé un lungo
corridoio e tutto lo spazio che voleva e sembrava non avere fretta. Alla fine, stanca, la ragazza fu costretta
a ritirarsi. "Puoi fare numeri da circo quanto vuoi, ma ti sconfiggerò." ruggì, ansimante.
"Cosa sconfiggerai, spada immacolata?" disse l'uomo dal volto coperto, facendo roteare la sua spada.
"Sconfiggerai Valerius Demoire... o l'uomo che ha rubato la sua identità?"
Francine attaccò ancora, con impeto, Maschera di Ferro le fece tentare due affondi poi scartò di lato, la
spinse e la toccò irridendola sul sedere. Per lo slancio, lei finì contro un muro e dovette reggersi per
rimanere in piedi. In quel prezioso secondo in cui era senza difesa, il suo nemico le appoggiò la lama
accanto alla guancia.
"Dov'è lui?" si limitò a chiedere lei.
"E' così? Se io vi rispondessi vi dimentichereste di me e proseguireste nella caccia?"
"Avete assaltato un convoglio di proprietà del regno di Francia. Avete ucciso dei soldati!"
"E tutto questo non vi importa minimamente, vero?"
Francine si tirò indietro, la lama incise la sua carne aprendole una profonda ferita nel volto. Riuscì ad
appoggiare il piede poco dietro il piede del suo avversario e poi a spingere con tutto il corpo. La maschera
di ferro cadde a terra, lasciò la spada, ma si aggrappò a lei. Rotolarono goffamente sul pavimento finché
lui non si mise sopra a lei e le bloccò le braccia, inchiodandole le gambe al suolo con tutto il suo peso.
Rimase a guardarla in silenzio, il volto inespressivo di metallo a prenderla in giro.
"Perché questa buffonata? Perché una maschera? Non... vi state spacciando per lui! Non POTETE essere
lui! Perché questa farsa?"
L'uomo misterioso calò su di lei, premette il suo volto di ferro sul suo viso, in una specie di gelido bacio
meccanico, poi si rialzò. "Cercate la persona di Valerius Demoire? O il suo corpo?"
Francine si sentì dilaniare. Straziata dall'angoscia e umiliata smise di guardare il suo avversario. La sua
presenza guerriera cominciava a incrinarsi. "Vi prego..."
"Ho messo questa maschera proprio per capire quelli come voi... e per capire lui. Per questo dovete
rispondermi: perchè cercate Valerius Demoire?"
"Perché..."
"Smettetela di tortuarla così!" Era stata Germaine a urlare, arrivata assieme ai tre soldati che erano con lei
sul carro. Osservava la scena e sembrava soffrirne.
Per tenere a bada i nuovi venuti, la Maschera di Ferro tirò fuori di tasca una pistola e la puntò
genericamente contro tutti. "Mio fedele luogotenente, benvenuto"
"Ve l'ho portata. Qui. Cosa state facendo ora? Che senso ha tutto questo?"
"Non prendetemi in giro, Germaine. Sapete benissimo perché facciamo tutto questo."
Tacquero tutti, solo Francine ancora respirava affannosamente e osservava il volto di metallo con odio.
"Siete un buffone e un mistificatore!" disse.
"Ma posso salvarlo. Se vi interessa trovarlo ancora in vita."
Capitolo 75 - La testa del Danse Macabre
Maschera di Ferro camminava avanti a tutti di alcuni passi. Germaine, nonostante fosse stata slegata, era
rimasta con il gruppetto dei francesi, che Francine guidava con la spada ancora sguainata.
Ogni strada di quel castello annerito dalle fiamme era una tomba, ma Maschera di Ferro sembrava
fregarsene, rideva di quella decadenza e di quella distruzione. "Immagino tu abbia visto il Danse
Macabre... il suo mezzo."
"Si" rispose Francine "anche lui distrutto."
"Non distrutto... smembrato."
Erano tornati al luogo dove il myrmidon di Valerius si era schiantato. Francine lo osservò meglio e notò
che Maschera di Ferro non mentiva: nonostante molti parti fossero state smangiate dal fuoco, diversi
componenti erano stati evidentemente smontati dalla macchina e portati via.
"Hanno ancora bisogno di lui. Nel loro piano c'è stata una variazione piuttosto drammatica a cui stanno
cercando di riparare. E credono di poterlo usare." spiegò l'uomo misterioso, accarezzando l'armatura del
myrmidon. "E' per questo che so che è ancora in vita."
Francine sentiva a pelle che l'uomo senza volto si divertiva a buttare lì suggestioni e mezze frasi,
unicamente per tormentarla, per cui cercava di incassare i discorsi senza farsi vincere dalla curiosità.
"Quindi?"
La Maschera di ferrò si aggrappò a una profonda ferita slabbrata nella corazza del myrmidon e si issò
sulla sua spalla. Con agili movimenti riuscì a portarsi in equilibrio sulla sua schiena e poi vicino alla testa.
"Valerius ha aiutato a disassemblare questo mostro... e non era un uomo comune. Qui c'è la chiave per
liberarlo." Detto questo si chinò sulla testa e, con l'aiuto di un coltello, iniziò ad allentarne diverse viti.
Dopo alcuni minuti di lavoro la calotta del cranio del myrmidon rovinò al suolo con un suono di campana
di bronzo, un rumore assordante che riecheggiò nei corridoi vuoti. Sotto la calotta, un curioso groviglio di
schede trasparenti, cavi e contatti, una cosa a metà tra un'opera d'arte e una specie di strano organo
metallico.
"Il tarot system" annunciò la maschera di ferro "Il suo ultimo capolavoro."
Francine aveva visto nascere i myrmidon eppure rimase stranita da quell'oggetto. "Cosa diavolo è?"
"Un sofisticato sistema di guida, una unità di calcolo che può cambiare radicalmente il modo di pilotare
un myrmidon."
"E perché installarlo nella testa? Così in vista e vulnerabile?"
"E' stato NASCOSTO nella testa, spada immacolata di Francia. Perché appunto nessun ingegnere
cercherebbe qualcosa di tanto prezioso in un luogo tanto stupido. Valerius non sapeva se l'avrebbe
ultimato alla corte di re Gregoire e di certo non lo voleva concedere alla graziosa corona"
Anche Germaine dava idea di essere stata tenuta all'oscuro di tutto quello, ma non sembrava
impressionata, come se non fosse in grado di afferrare la grandezza di quanto l'uomo mascherato stava
dicendo. "E noi cosa possiamo farcene?"
La maschera di ferro accarezzò le sofisticate strutture di circuiti. "Sono sicuro che Valerius l'ha usato. Lui
potrà dirci dove si trova."
Capitolo 76 - La guerra dimenticata
Il colonnello Morgan vide la vedetta appena smontata di turno passargli accanto, occhi bassi, e la fermò.
"Come va?" gli chiese. Avrebbe potuto chiedere rapporto, ma aveva smesso da tempo con certe cose.
Nel vedere il suo comandante, il giovane, un ragazzo di forse diciotto anni, rabbrividì quasi. "Come
sempre, signore, non escono"
Non escono. Gli spagnoli non uscivano mai. Come loro del resto. Dopo essere penetrati nel nord della
nazione e aver conquistato terreno, gli spagnoli li avevano fermati, costringendoli a disegnare una lunga
linea di trincee che attraversava il paese. E rimanerci ficcati dentro.
"Bene, ragazzo, vai pure a riposarti"
Il giovane, invece di andarsene, raccolse tutto il suo coraggio e chiese. "Signore, li vedremo mai?"
Morgan era stanco anche di quello. "Cosa, ragazzo?"
"Le macchine, signore"
"Le vorresti vedere, ragazzo? Se le avranno prima loro, qui verremo spazzati via. Certo, se le avremo
prima noi... ma non le avremo."
"Perché, signore?"
Morgan guardò il cielo. Condannato a non poter guardare avanti, cercava di accontentarsi di guardare in
alto. "Perché gli stiamo bene dove siamo. Da quando abbiamo conquistato le due raffinerie di ingnitium
del nord abbiamo fatto il nostro. Tenere inchiodati gli spagnoli dove sono, impedirgli di intervenire nella
guerra, è quanto vuole la patria. Ma questo significa non perdere come non vincere."
"Capisco."
Il ragazzo rimase fermo immobile, a cercare altro coraggio. Morgan l'aveva visto molte volte. Aveva
cercato di dissuadere certi atteggiamenti, ma alla fine si era detto perché? Sono bambini al fronte, sono
già in guerra, quali strane idee potranno mai peggiorare il loro destino? "Vuoi chiedermi qualcosa?" lo
incoraggiò.
La recluta si sbloccò. "Lei ne ha veramente visto uno, signore?"
"Dicono che abbia visto il primo che abbia mai camminato sulla terra."
"Com'era?"
"Ti ricordi quando abbiamo dato l'assalto e c'era il fumo, la terra, il rombo dei cannoni e il fuoco tutto
intorno a noi?"
"Ce...certo signore"
"La stessa cosa, ma su due gambe."
Il giovane deglutì, fece il saluto, scomparve. Morgan avrebbe dovuto andare da qualche parte, gli
sembrava di ricordare, ma non ne aveva voglia. Si appoggiò alla parete della trincea e si rimise a guardare
in alto.
Cominciava ad avere paura che si sarebbero dimenticati di loro.
Capitolo 77 - Il myrmidon rosso
"Il principe del Belgio ha già ratificato la sua resa" disse il generale, insulsamente raggiante.
Delhin Sejak non era raggiante, anzi, prese la notizia con disgusto. "Quaranta myrmidon che marciano
sulla tua capitale. Ci ha fatto perdere fin troppo tempo."
Il generale fece una smorfia. Da quello che Delhin Sejak aveva saputo, era uno di quelli a cui non
piacevano troppo i colori di pelle diversi dal proprio. E la sua era innegabilmente scura. Purtroppo se lo
era ritrovato lì, quando aveva raggiunto il fronte, quanto lo aveva raggiunto. Non ne aveva fatto un
dramma, ma di certo non aveva intenzione di rendergli le cose facili. "Mi interessano di più le notizie
della Francia. Cosa dicono?"
"La Francia, signore?" fece il generale "Se mi permette abbiamo un'intera nazione tra noi e la Francia."
"Una nazione di troppo. Non mi interessa il Belgio, generale. Il Belgio si è schierato con la Francia
perché è troppo stupido per riflettere su cosa fare. Batterlo è un atto irrilevante rispetto alla guerra che, le
ricordo gentilmente, stiamo perdendo."
Il generale abbassò lo sguardo. Delhin si ricordò il suo sguardo infantile, quando si era presentato e lo
aveva guidato ad accogliere l'armata dei suoi myrmidon. Quando aveva visto i Valkyrie aveva gridato
come una donnicciola, uno spettacolo disgustoso. Come se lui non avesse un cazzo a che fare con la
vittoria o la sconfitta e fosse lì solo ad abbracciare le macchine. "Useremo il Belgio come base
d'appoggio. Costruiremo linee di rifornimento presso i loro porti. Istituiremo linee di approviggionamento
attraverso la Manica. E intanto lei porterà la guerra in Francia."
"Se scendessimo a liberare la Germania..."
"La Germania sarà una trappola in cui lascio i nostri nemici volentieri. Perderanno più uomini a tenere
ogni città che a conquistarne di nuove. E re Gregoire finora non ha ancora visto la guerra. Puntiamo
direttamente sulla Francia."
Accadde quello che Delhin temeva, il generale fece la cosa più stupida a disposizione. Si impettì tutto
come un soldatino di latta e cercò di alzare lo sguardo su di lui. "Se mi permette, signore, la strategia
militare è di mia competenza e..."
"Ed è stata fallimentare fino al mio arrivo. Vuole negarlo?"
"Loro avevano..."
"Dei mymidon. Un vantaggio che IO ho provveduto a pareggiare. Vuole negarlo?"
"Negare... negare... lei non..."
Delhin ne aveva abbastanza. Avevano così poco tempo. Aveva sperato che Berlino tenesse di più, aveva
fatto dei calcoli per cui avrebbe potuto affondare il colpo proprio quando i francesi pensavano di poter
festeggiare la conquista del regno tedesco. Invece era arrivato tardi e i nemici si erano già riorganizzati.
Significava dover colpire più forte e in modo inesorabile. "Io ho la piena autorità del governo inglese e la
benedizione della regina. Lei farà quello che io le ordinerò. A proposito, ho visto che ha cominciato a
interessarsi al myrmidon rosso, quello che non abbiamo ancora impiegato. Farebbe meglio invece a
rispettare il suo ruolo e stargli lontano."
"Perchè mai dovrei?"
"Perché quello è il mio"
Capitolo 78 - La foresta parlante
Gli otto Arabesque alla fine si erano decisi a ignorare gli alberi. Gli passavo semplicemente sopra,
travolgendoli e aprendosi la strada. Nonostante la mobilità dei myrmidon, la foresta si stava facendo
troppo fitta per cercare un sentiero e comunque erano sulle macchine più pesanti del fronte.
Gli Arabesque erano stati un arrogante tentativo francese di replicare la potenza del Danse Macabre,
senza avere a disposizione il disegno originale del Zeddai Mark III e senza il genio di Valerius. Il risultato
era un triplo motore dove ogni elemento era abbastanza simile a uno dei due elementi dell'ORL, il tutto
montato su una macchina che pesava il 40% più di un ORL. Oltretutto il motore era stato piazzato a metà
schiena e usciva praticamente parallelo al cranio dell'essere, come una gobba.
In compenso l'Arabesque poteva sviluppare una potenza di fuoco devastante ed era praticamente
inarrestabile. Era progettato per passare attraverso i muri.
"Perché siamo qui, capitano?" disse all'ottoniera il secondo in comando della squadra.
"Perché qui ci sono i nemici."
"E perché non ce li lasciamo, qui?"
"Perché abbiamo il dovere di ammazzarli tutti."
Se si guardavano indietro potevano vedere un vero e proprio sentiero aperto nella foresta. Foresta tedesca,
una specie di gabbia impenetrabile, una vera e propria prigione verde in cui gli ultimi resti dell'esercito
teutonico si erano chiusi da soli.
"Signore, contatto. Qualcosa nell'ottoniera." disse un uomo in coda.
"Cosa? Io non sento niente"
"Voci, signore, distinte. Non le sentite? Avete problemi di comunicazione. Il segnale è molto nitido."
"Non c'è niente soldato, fai un check."
Il myrmidon del soldato che sentiva le voci si fermò e cominciò a girare su sé stesso. Erano giri lenti,
pesanti, eppure la tensione della macchina era evidente. "Signore... sono gli alberi..."
"Sono gli alberi cosa, soldato?"
"Gli alberi stanno... parlando..."
"Soldato! Cosa cazz..."
Il myrmidon sparò una salva completa davanti a sè, fuoco e acciaio. Le alte piante esplosero e si
piegarono fino a spezzarsi. Le fiamme continuarono a serpeggiare sul suolo, si avvinghiarono a altre
piante, continuarono a dilagare. Il soldato aveva attivato anche i proiettili incendiari dell'Arabesque. Nel
cuore di una foresta.
"Cosa cazzo stai facendo, soldato? Ti ordino subito di scendere dal tuo mezzo!"
"GLI ALBERI DEVONO SMETTERE DI PARLARE!" Il myrmidon sparò un'altra salva, poi un'altra,
poi un'altra ancora. Poi l'ugello incendiario fu lasciato aperto a tutta, a irrorare di fuoco il paesaggio.
L'incendio cominciò a dilagare.
"Fermate quel coglione, ora!"
Due myrmidon gli andarono vicini. Praticamente l'Arabesque non aveva braccia. Lui li scartò,
indietreggiò e poi gli si lanciò contro. I tre cozzarono assieme, metallo contro metallo. Poi altri spari,
esplosioni.
"Fermi, cazzo, fermi!"
La situazione degenerò, i myrmidon cominciarono a buttarsi un addosso all'altro e tutti, intanto, si
spingevano verso l'incendio. Il comandante della spedizione era l'unico lucido, ma prima di poter
intervenire, le sentì.
Le voci degli alberi.
Un sommesso brusio proveniente da ogni pianta, da ogni foglia, da ogni filo d'erba lì intorno. Un
chiacchiericcio d'accusa che chiedeva al suolo di inghiottirli tutti e trascinarli all'inferno.
Il comandante sentì che il suo myrmidon era pesante, troppo pesante, le sue zampe stavano affondando
nel terreno. Qualcuno stava dando ascolto agli alberi, la macchina presto l'avrebbe trascinato con sé
nell'oscurità. Si strappò via le imbracature, si graffiò e si ferì nel togliersi le ottiche poi fece saltare il
portello del suo mezzo con le cariche d'emergenza e si gettò al suolo.
Cominciò a correre. Intanto l'atmosfera intorno a lui si era fatta rovente. Ma non importava, perché anche
in mezzo alle fiamme le piante continuavano a parlare. Parlavano di lui, della sua anima.
Trovò abbastanza lucidità da correre lontano dai suoi compagni e dall'incendio.
L'artiglio del Konsole di Wilhelm lo falciò come una spiga di grano.
Capitolo 79 - Alla casa sulla costa
Erano una carovana piuttosto bizzarra. Dietro tutti, Francine guidava l'Orleans con esasperante lentezza.
Certo, col motore così giù di giri almeno non aveva problemi con l'ignitium, ma faceva un passo al
minuto e le stava per venire un esaurimento nervoso.
Sul carro davanti a lei, gli stessi di quando era andata a Maison Frediére, a parte il fatto che Germaine non
era più legata e sedeva comodamente. In testa al gruppo il brigante con la maschera di ferro portava al
passo uno stallone bianco, galoppando ogni tanto avanti a tutti per sincerarsi della situazione.
L'Orleans portava, fissata alla schiena con delle catene, la testa del Danse Macabre, completa della calotta
e con parte della placca pettorale. Era un oggetto macabro. Il Danse Macabre aveva una testa meno
umanoide di tanti altri myrmidon, ma lì, appesa alla schiena come un oggetto inutile, dava proprio l'idea
del cranio di una persona, mozzato alla base e portato in giro come un trofeo tribale.
Francine aveva rapidamente capito perché Maschera di Ferro aveva corso il rischio di contattarla.
Rispetto al luogo dove si trovava maison Fredière stavano andando molto più a sud, verso Nizza.
Portandosi dietro un oggetto bizzarro come la testa di un myrmidon sarebbe stato inevitabile dare
nell'occhio e difficilmente il brigante avrebbe potuto spiegare alle guardie francesi che aveva buone
intenzioni. Anche così, con lei a bordo di una macchina francese e il carro con le insegne della corona,
erano stati fermati due volte da ispettori stradali e lei aveva dovuto tirare fuori tutto il suo orgoglio di
tenente per ottenere la possibilità di passare senza problemi.
Maschera di Ferro indicava loro la direzione, ma non gli diceva dove stavano andando. Non da Valerius,
questo era certo, perché se anche il segreto della sua posizione era nascosto nella testa del suo myrmidon,
mentre erano al castello non erano riusciti a estrarglielo. Qualsiasi tentativo di Francine di chiedere
spiegazione sia direttamente all'uomo mascherato sia a Germaine non aveva portato alcun frutto. Questa
era un'altra cosa che le stava facendo perdere la pazienza.
Alla fine arrivarono al mare. Per quello che ne sapeva lei, erano si e no a una trentina di chilometri da
Nizza, in un'area che però non era civilizzata. D'un tratto, Maschera di Ferro diede di sprone al suo
cavallo e corse avanti, lasciandoli indietro. Non avevano bisogno della sua guida, però, visto che esisteva
un unico sentiero. Seguendolo, arrivarono a una costruzione simile a una torre, di pietra, ai piedi della
quale c'era una capanna a dir poco fatiscente. Davanti alla capanna un ometto di nemmeno un metro e
cinquanta, ciuffi di capelli bianchissimi sulla testa, occhi azzurri chiarissimi nascosti dietro spessi occhiali
dalla strana montatura. Un corpo in generale esile, che sarebbe forse volato via, non fosse per la pancia
gonfia come un otre, che tendeva un grembiulaccio in tela grezza sporco di nero. L'ometto stava già
chiacchierando con Maschera di Ferro, ancora a cavallo.
Francine rimase a bordo dell'Orleans mentre il resto del gruppo scendeva dal carro. "Siamo arrivati?"
chiese all'altoparlante.
"Siamo..."
"Splendido! Splendido! Amico mio!" esclamò l'ometto eccitato. "L'Orleans! Il prototipo! La prima
macchina francese! Guarda il suo braccio! Sei pistoni idraulici opposti a quattro, la più vicina
rappresentazione di muscoli umani che la tecnica sia mai riuscita a realizzare. E un sistema di controllo
basato su una rete fitta di cavi d'acciaio che al confronto di tutto il resto paiono sottili come capelli! Ah! E
mi hanno anche raccontato che questa macchina può essere solo usata da un'avvenente fanciulla dalle tette
enormi! Ma chissà! Magari sono dicerie!"
Ci fu un momento di gelido silenzio, tra tutti. Persino l'Orleans sembrava aver diminuito il basso rombo
del suo motore.
"Scendo." disse poi semplicemente Francine, cominciando a sganciare le cinghie dal sedile.
Capitolo 80 - Il genio
Maschera di Ferro, Francine, Germaine, il primo ufficiale di Francine. Erano tutti intorno a un tavolaccio
nella casa dell'ometto, aspettando che lui recuperasse abbastanza bicchieri per tutti, un vino denso e scuro
e del formaggio, che sbatté in mezzo al tavolo con orgoglio, appoggiandoci intorno niente più che quattro
coltelli.
"Quest'uomo è Arcadio Martellone" spiegò Maschera di Ferro. "Sarà lui ad aiutarci col Tarot System di
Valerius"
Francine dava idea di voler tenere lontano l'ometto in ogni modo. Intanto lo teneva d'occhio col suo
peggiore sguardo, ma era inteso che se le si fosse avvicinato di più avrebbe cominciato con le sberle. "E'
un tecnico?"
"Ingegnere Inverso, angelo mio." fece lui, riempiendo con voluttà i bicchieri.
Maschera di Ferro, con un cenno, impedì che finisse vino nel suo. "Arcadio ha la capacità di analizzare e
comprendere i meccanismi delle macchine con uno sguardo. Da questo punto di vista è una persona unica
nel suo genere."
"Ah, da questo punto di vista?" continuò Francine. Il suo bicchiere era pieno, lo prese in mano con
cautela, come fosse colmo di ignitium.
"Lasciami in mano la tua macchina, amore" disse l'ometto, prendendo il suo bicchiere con slancio "e te ne
costrirò una uguale, anzi, migliore... magari con un abitacolo più... spazioso." Il suo sguardo sembrava
incapace di salire oltre una certa altezza.
"Vorrei arrivassimo a chiarirci di cosa stiamo parlando!"
Prima di entrare in casa, Arcadio aveva aspettato che i soldati scaricassero il cranio del Danse Macabre
dalla schiena dell'Orleans e lo aveva fatto scoperchiare, esaminando il meccanismo che Maschera di Ferro
aveva già mostrato a tutti al castello.
"Io direi" disse Arcadio, sorseggiando "che parliamo di un sistema di trasmissione dell'informazione a
base elettrica, con principi simili all'ottoniera che usano gli eserciti moderni, ma anche con l'apporto di
opportuni commutatori allo stato solido e reticolare che alterano il segnale in modo vario. Deve esistere
un sistema che comanda tutto questo, una batteria di morsetti che immagino si adattino alle dentellature
della base e che eroghino e ricevano l'energia necessaria. Niente che il più stupido motore a ignitium non
possa alimentare. Potrei dirvi di più se qualcuno mi illustrasse perché è stato messo insieme un accrocchio
del genere"
Maschera di Ferro guardò Germaine. La ragazza sembrava in soggezione di fronte all'uomo e non aveva
toccato vino. Deglutì. "Sistema di guida."
"Ah!" esclamò Arcadio "MA-TE-MA-TI-CA. La chiave per comprendere tutti i fenomeni dell'universo.
L'unica sintesi possibile per un'attività raffinata come pilotare un gigante di metallo!"
"Pensi sia stato possibile anche... registrarvi un messaggio?" chiese un po' titubante Germaine.
"Mio piccolo tesoro, credo che una mente brillante possa farci qualsiasi cosa."
Francine, nonostante tutto, era impressionata. Cominciò a bere cautamente il vino. "Chi l'ha progettata e
usata era un genio." ammise, senza esitazione.
"Ottimo" fece Arcadio con un ultimo sorrise "perché lo sono anch'io."
Capitolo 81 - Buonanotte, Myrmidon
Persino l'eccitazione di Arcadio sembrava avere un limite. Continuando a chiacchierare con Francine e gli
altri del marchingegno su cui avrebbe dovuto lavorare, anche lui parve calmarsi e divenire più pacato. Era
un uomo che doveva avere almeno una sessantina d'anni, nonostante la pelle lucida, tirata come pelle di
tamburo, e gli occhi intelligenti. Più rallentava più la sua età veniva a galla.
"Buon amico mio" disse a un certo punto, tirando fuori da una tasca una chiave e rivolgendosi a Maschera
di Ferro "immagino che quella cosa che hai addosso ti pesi. C'è una stanza al piano di sopra, puoi
chiuderla con questa e rilassarti un po'."
Maschera di Ferro annuì, prese la chiave e scomparve su per le scale.
"Lei, invece, angelo mio" continuò sogghignando verso Francine "può venire nella mia stanza o in quella
accanto. Ma non avrà chiave. Eh eh eh."
"Allora" fece Francine, a sua volta stanca di incassare sudice frecciatine "dormirò con la spada accanto."
Arcadio posò allora gli occhi su Germaine, che sembrava fissarlo, come in attesa di qualcosa. Il vecchio
ingegnere si alzò in piedi e andò verso di lei, ad accarezzarle il volto. "Giovani si, piccola, ma tu dovresti
almeno finire le scuole."
Germaine arrossì e si ritrasse. Era stata per tanto tempo camuffata da maschio che non era abituata a
comportarsi da femmina. "Io non... oh... sarebbe disgustoso."
"Già." Arcadio la superò, andando verso la porta.
"Dove... sta andando?"
"Quei brav'uomini dei soldati si stanno accampando nel mio giardino. Mi sembra educato chieder loro se
vogliono qualcosa. Per te c'è nientemeno che una terza stanza, di sopra."
Come se non potesse fare altrimenti, invece di salire a sua volta, Germaine andò dietro a Arcadio, fino a
uscire dalla casa. Lo trovò fermo pochi passi oltre la porta, a fissare la sagoma imponente e immobile
dell'Orleans.
"C'è chi pensa che la corazza sarebbe più solida se fosse fusa da un unico pezzo, sai?" disse l'ingegnere,
quando notò Germaine accanto a sè. "E' una stupidaggine. Il modo in cui è assemblata la rende elastica.
Può incassare meglio i colpi al posto del suo pilota."
"Anch'io..." Germaine ebbe un moto d'orgoglio "... sono un pilota."
"Davvero, cara? Che modello?" "ORL"
"Ah! Peccato, Orleans, ORL... non ho visto altro. Sono così curioso dei modelli più esotici."
"Sono stata a lungo vicino al Danse Macabre."
"La creatura di cui ora possiedo la testa. Un myrmidon molto brutto, a giudicare dalla sua faccia.
Terribile."
"Si, lo era."
"Chissà perché vi affannate tanto a cercare chi ha costruito una creatura così mostruosa..."
Capitolo 82 - A lezione da Arcadio
La mattina successiva Germaine si alzò all'alba.
Non c'era un motivo particolare, era sempre stata abituata così. Era stata un soldato e la pigrizia le aveva
sempre dato fastidio. Oltretutto, da quando Valerius era scomparso, era troppo irrequieta per rimanere a
letto a lungo.
Uscì dalla sua stanza, ma la casa sembrava ancora addormentata. Passò davanti alla stanza di Francine e
poi davanti a quella di Maschera di Ferro. Da entrambe non proveniva nessun rumore, cosa che la spinse
a muoversi in punta di piedi. Scese al piano terra e anche lì trovò tutto ancora immobile, ma le parve di
intuire un tintinnio proveniente da fuori. Credette che avrebbe potuto incontrare almeno i soldati
all'accampamento, già in piedi, e invece anche l'accampamento era nel torpore più assoluto. Il tintinnio
veniva invece da un capanno poco lontano.
Vi entrò. Il cranio del Danse Macabre era scoperchiato su un tavolo, la macchina era attaccata a fasci di
cavi che entravano in altre macchine. Arcadio era chino su una specie di bidone circolare, il tintinnio era
un piccolo martello con cui cercava di modellare una lamiera intorno a uno spesso cavo di gomma scura.
Germaine lo guardò lavorare un attimo, come per capire cosa stesse facendo, poi l'ometto alzò lo sguardo
e lei sobbalzò, facendo un passo indietro.
"Ohibò, piccola! Non c'è scuola oggi!" esclamò Arcadio.
"Vorrei farle notare che ho solo due anni meno del tenente Santaroche"
Lo sguardo di Arcadio atterrò alla solita altezza, ma parve come scivolare in mancanza di appigli. "Allora
devono averti nutrito malissimo, povero tesoro."
"Potrebbe essere un po' meno... un po' meno...!"
Arcadio si grattò il cranio col martello. "E perché mai? Sei sopravvissuta alla guerra e non riesci a farti
guardare le tette? Oppure io dovrei evitarlo per sembrare più piacevole? Credi che un uomo che vive con i
gomiti affondati nel metallo, alla mia età, abbia qualche chance di essere piacevole? Preferisco essere
divertente!"
"E insopportabile!"
"Mavalà valà! Le tette son davanti, è come se ti guardassi in faccia, non c'è niente di male. Troverei più
sgradevole parlarti tenendo gli occhi fissi sul tuo culo che sta dietro. Quella è mancanza di rispetto!" Nel
dir questo Arcadio, lesto come un gatto, fece un giro intorno a Germaine "E se vogliamo tornare a
lamentarci della tua alimentazione..."
"La! Smetta!"
Arcadio scrollò le spalle e tornò a dare colpi di martella. Un paio ben assestati parvero soddisfarlo.
Dopodiché andò a una leva e la tirò con uno strattone. "Il mio piccolo motore a ignitium!" disse, con
orgoglio.
Germaine gli si avvicinò, affascinata. Era solo un cilindro di metallo, tremava giusto un poco. Dalla
calotta superiore usciva una specie di sottile nebbiolina. Allungò una mano fin quasi a toccarlo e si stupì
di non percepire alcun calore. "E'... freddo"
"Un motore a ignitium non genera entropia come un motore a combustibile fossile. Il suo calore è più
controllabile e incanalabile. Per questo viene usato per mettere in moto un composto instabile come il
vapore pesante. Un altro vantaggio è che quasi niente esce dal circuito" Nel dire questo il vecchio
ingegnere appoggiò direttamente una mano sul fianco della macchina, sorridendo.
"E questo muove i myrmidon?"
"Nah, questo è basato su un vecchio modello della guerra del Vapore. Per i myrmidon, anche per quelli
poco dotati come l'Orleans, servono sistemi anche tre volte più grandi, magari anche più di uno. Ma per
quello che serve a noi basterà."
Arcadio si chinò a raccogliere alcuni cavi che terminavano in pinze. Dall'altra parte erano attaccati al
motore a Ignitium e alla giunzione parevano come sfrigolare. Con i cavi in mano come un granchio
meccanico si avvicinò a tavolo con sopra la testa del Danse Macabre "E ora vediamo cosa ci ha lasciato
detto il vostro Valerius."
Capitolo 83 - Il sistema saprà trovare i simboli
Il tarot system sfrigolava e friniva come un grosso insetto, alimentato dal motore a ignitium alle sue
spalle.
Arcadio ci aveva lavorato ininterrottamente per due giorni e aveva smesso la faccia da maniaco lascivo
completamente. Sembrava più il capitano di una grossa nave, costretto però anche a fare il lavoro di tutto
l'equipaggio.
Correva sulle sue corte gambette da una parte all'altra del capanno, montando e smontando strumenti,
prendendo appunti su un foglio con una grossa matita o parlando tra sé e sé, a volte dando sinceramente
l'impressione che le macchine gli rispondessero.
Persino Francine era impressionata, gli si rivolgeva quasi con paura e quando lo vedeva concentrato non
osava disturbarlo. Germaine, invece, era diventata quasi una sua assistente, gli era sempre intorno, gli
passava le cose, ogni tanto riusciva anche a rispondere ai suoi dubbi. Vedere la ragazzina così operosa
fece quasi male a Francine, perché capì che il profondo rispetto per la scienza la legava a Arcadio
esattamente come l'aveva legata a Valerius e che quel legame era qualcosa a cui lei non avrebbe mai
potuto accedere. Sarebbe sempre stata solo un pilota, il cuore pulsante della macchina, un muscolo,
incapace di capire cosa aveva intorno.
Alla fine la risposta all'enigma della macchina di Valerius, per Arcadio, parve essere un'altra macchina.
Costruita evidentemente di notte, era un blocco di metallo da cui spuntavano infinite bacchette sottili, che
finivano in punte affilate. Arcadio legò questa sua nuova opera al Tarot System e chiamò tutti. Solo
Maschera di Ferro non si presentò, il brigante aveva lasciato casa di Martellone la sera prima.
"Credo di avere la quadra. Il vostro Valerius era un genio, ma non un genio di quelli semplici! Una mente
contorta! Sfidante! Bellissima! Ma terribile!"
"Ha capito come funziona?" cercò di tagliare i discorsi inutili Francine.
"Cosa? No, assolutamente, ma so cosa fa!"
"E qual è la differenza?"
"Mh? non le è ovvia?"
Arcadio lasciò cadere il discorso, forse semplicemente se ne dimenticò, poi diede due colpi al motore a
ignitium e strinse due o tre viti. La sua macchina si rizzò come un animale spaventato, poi le bacchette
cominciarono a volteggiare nell'aria, infine calarono giù come lance, si impiantarono nel legno del tavolo
e cominciarono a graffiarlo, muovendosi con decisione, in modo preciso"
"Mio Dio..." fece Germaine, avvicinandosi al tavolo.
"No..." disse invece Francine, emozionata. Le bacchette avevano qualcosa di ipnotico ed era come se
Valerius in persona le stesse muovendo.
Arcadio si avvicinò, fece scorrere un dito in un solco. "Signori... l'ultimo messaggio di Valerius
Demoire."
Sul legno i solchi erano evidenti, la calligrafia chiarissimo, il senso della frase oscuro.
Varcate la soglia di calendimaggio
Io non posso essere sconfitto
il sistema saprà trovare i simboli
E sotto un intrico di linee che sembrava casuale, se non fosse stato per la precisione con cui era stato
tracciato.
Capitolo 84 - L'enigma del tarot system
"Questa roba non significa niente..." disse Arcadio grattandosi la testa fra i ciuffi di capelli bianchi.
"Oppure significa tutto e allora questo vostro Valerius era forse un genio più di me."
"Non pensa ci sia nessun'altra informazione nella macchina?" chiese Germaine ansiosa. Le bacchette
avevano finito di scolpire il legno già da alcuni minuti, ma tutti erano rimasti in silezio, come aspettando
qualcosa di clamoroso, forse persino che Valerius entrasse direttamente dalla porta.
"E' tutto qui... e dentro Valerius." continuò sibillino Arcadio.
"Se è dentro Valerius" intervenne Francine "è inutile."
"Io non direi, angelo."
"Che idea ha?"
Arcadio si era messo a giocherellare con i trucioli che la macchina aveva prodotto. "Risponda a questa
domanda: per chi è questo messaggio? Valerius lo ha lasciato per qualcuno dotato di abbastanza tenacia
da inseguirlo fino all'ultimo luogo dove era stato visto, nel cuore di una guerra... chi voleva tanto
ardentemente trovarlo?"
"Lei può rispondere a questa domanda?" chiese Francine sulla difensiva. Il tono dell'uomo non le piaceva.
"Io no... e lei?"
Francine, la spada immacolata di Francia, si avvicinò quasi barcollante al tavolo e si mise anche lei a
scorrere le dita fra i segni. Sembrava come ipnotizzata dal geroglifico sul tavolo o anche solo dalla
macchina che vi incombeva sopra, con ancora tutti gli aghi tesi. "Si sta prendendo gioco di me?"
"Mai quanto lei si sta prendendo gioco di sé stessa."
Francine era immobile, guardava giù il legno e pensava a Valerius, nel più grave dei pericoli, mentre
programmava il tarot system e pensava a lei. Mentre le affidava con cieca fede la sua salvezza. Quella
storia doveva essere una burla, non era possibile che Valerius Demoire, l'uomo che l'aveva tradita,
gettando la sua reputazione nel fango, l'uomo che l'aveva umiliata sconfiggendola a Parigi in realtà, nel
momento peggiore, ancora fosse pronto a rivolgersi a lei. Ma se così non fosse stato... se veramente
Valerius avesse avuto quel pensiero, se veramente quel pensiero fosse stato nella sua testa mentre
educava la sua macchina a tracciare i segni.
Calendimaggio.
Che giorno terribile.
"Si, ora ho capito. So di cosa sta parlando. Partiremo domattina."
Capitolo 85 - Lo strano amico di Arcadio
Arcadio Martellone sedeva malinconico all'osteria del vicino paese. Si sarebbe potuto dire che stava
festeggiando la soluzione dell'enigma della macchina di Valerius, l'enigma per lui, visto che per altri
erano state scritte le parole sibilline.
Davanti a lui, allo stesso tavolo, sedeva un vecchio emaciato, vestito così umilmente che lo si sarebbe
potuto scambiare per un frate. I due avevano bevuto vino in silenzio per del tempo, come se non si
conoscessero. Si vedeva però benissimo che Arcadio aveva qualcosa, in fondo al cuore, che lo intoppava,
mentre l'altro aspettava semplicemente.
"Lei lo ama." disse alla fine l'ingegnere inverso.
"L'ho sempre saputo. Se non l'avessi saputo e se non avessi contato su questo mi sarei comportato molto
diversamente." rispose il vecchio.
"Ma lui no. Lui non può amare, è una creatura così splendida e complessa! Se tu fossi intervenuto per..."
"Ne sarebbe venuto solo danno."
Arcadio bevve dal bicchiere fino a svuotarlo, benché fosse colmo. "Ho risolto l'enigma per loro e ho
trovato solo un altro enigma. Te lo aspettavi?"
Il vecchio sospirò.
"Si, bhe, effettivamente ascoltare una risposta a questa domanda potrebbe portarmi via i pochi anni che
mi restano."
"Comunque hai fatto un buon lavoro."
"Avresti potuto aiutarmi. Ti è mai venuto in mente che potresti intervenire?"
Fu la volta del vecchio per bere. "Vorrei. Ci sto provando da molto tempo. Ma me lo rendono
difficilissimo e se lo facessi nel momento sbagliato probabilmente potrei mancare il momento opportuno.
Per questo sto agendo come agisco."
"Il solito misterioso." "Già, a proposito di misteriosi..."
La bottiglia di vino era finita, Arcadio vi ci specchiò, pensando se chiederne un'altra, la terza. "La
maschera di ferro. Non è una brava persona, lo sappiamo tutti e due. E sappiamo perché fa quello che fa.
Ti è stato almeno utile?"
"Oh si e lo sarà ancora"
Arcadio spinse indietro la sedia e si levò in piedi. Barcollava appena. "Bhe, meglio che vado a casa."
"No." disse il vecchio. Fece cenno all'oste per quella terza bottiglia.
"Non fai niente per tutti loro e vuoi rendere la vita impossibile a me?"
"Non tornare a casa stanotte, Arcadio. Domani ci sarà battaglia, alla tua vecchia stamberga."
Arcadio esitò. Avrebbe potuto correre fuori e andare ad avvertire Francine. Il vecchio sapeva che avrebbe
potuto farlo, gliel'aveva detto consapevole che sarebbe potuto accadere. Gliel'aveva detto perché era fatto
così. Facile da fregare il vecchio. Lo era sempre stato. Eppure Arcadio tornò a sedersi. "Non so come tu
faccia ad andare avanti così, caro vecchio Yuz."
Yuz riempì entrambi i bicchieri con la bottiglia appena arrivata. "Anni di disciplina e addestramento."
Capitolo 86 - Chiamata al fronte
Germaine fu svegliata dal fracasso e credette per un momento che era Francine che li svegliava per
partire.
Da quando aveva letto il messaggio, infatti, il tenente era divenuto molto strano e ansioso di adempiere
agli ordini di Valerius, su cui però non aveva illuminato nessuno.
Mentre si stropicciava gli occhi e si tirava in piedi, però, anche a Germaine fu chiaro che non aveva senso
svegliare tutti così presto e si preoccupò anche perché le urla che provenivano dal piano inferiore non
promettevano nulla di buono. Corse quindi fuori, ancora con indosso il lungo camicione da notte e si
paralizzò a mezza scala, vedendo casa di Martellone piena di soldati.
"Chi sei?" disse uno di loro, un ragazzo alto e di bell'aspetto, ma con gli occhi quasi fuori dalle orbite per
il nervoso. "Un disertore anche tu?"
"Quindi capitano, fa parte di un esercito che arruola BAMBINE?" ribatté Francine. Era davanti a lui,
senza uniforme, con addosso una canotta di tela grezza che poco nascondeva delle sue forme e dei
pantaloni da lavoro. Eppure era la più marziale della stanza.
"Tenente Santaroche, non mi sembra nella posizione..."
"Capitano Tartatienne, lei avrebbe dovuto espormi la sua posizione da tempo, invece si è avventato in
questa casa dove sono ospite solo per metterla in subbuglio!"
Tartatienne indietreggiò. Un'altra cosa che Germaine notò era che nessuno dei molti soldati era capace di
sostenere lo sguardo di Francine. Ma, soprattutto, che nessuno OSAVA posare gli occhi sul suo seno.
"La Francia è in guerra, tenente!"
"Una notizia piuttosto vecchia, capitano!"
"Ma l'esercito inglese ci ha invaso! Con un cospicuo numero di myrmidon sconosciuti!"
Germaine cacciò un breve grido. Re Gregoire era il suo re? Aveva imparato a obbedirgli nell'esercito, fin
da quando si era fatta prendere sotto l'ala dei moschettieri di ferro, ma era stato un atto riflesso per
confermare la sua identità. Da quando viaggiava come brigante, prima al seguito di Valerius, poi al
seguito di Maschera di Ferro, non era più sicura che la sua nazione avesse bisogno di un re. E non sapeva
nulla degli inglesi.
Negli occhi di Francine invece c'era una freddezza ultraterrena, erano occhi che avrebbero potuto vedere
Parigi bruciare senza muovere un muscolo. "Allora cosa ci fa qui?"
"Lei e il suo myrmidon siete chiamati al fronte!"
"Ho una missione importante! La cattura della spia e del traditore Valerius Demoire! Non ha autorità..."
Tartatienne tirò fuori un documento sgualcito dal viaggio. "L'ordine che impugno annulla la sua missione
e la chiama al fronte! Ci seguirà! Come soldato della Francia o come mio prigioniero! Questi sono gli
ordini."
Francine tacque. Germaine vide qualcosa spezzarsi dentro di lei. "Bhe... non posso che obbedire,
capitano"
Non c'era motivo per farlo, ma Germaine, su quelle parole, corse giù dalle scale e andò accanto a
Francine con una tale foga che alcuni soldati misero mano alle spade. "No! Non puoi!"
Germaine non capiva cos'era il confuso legame che aveva stretto con la spada immacolata di Francia. Era
come se Francine conservasse dentro di sé un frammento di Valerius e che lei si sentisse in dovere di
proteggerlo.
La nobile pilota di Myrmidon le prese le spalle. "Non posso impedirglielo, Germaine, lo capisci? Vuoi
che li combatta? Hai visto quanti sono?"
"Valerius mi ha detto di quando sfidasti l'intero esercito di re Gregoire per impedire che venisse
giustiziato!"
"Allora era il mio esercito, i miei uomini. Adesso..."
"Ci seguirà?" chiese intanto impaziente Tartatienne.
Francine non rispose ma strinse Germaine a sé. "Fallo per me. Porta a termine la missione che ci ha
affidato Valerius. Salvalo." E rapidamente sussurrò all'orecchio della ragazzina la soluzione del primo
verso dell'enigma del tarot system.
Germaine sentì le lacrime salirle agli occhi "Ma..."
"Andiamo signori!" la fece breve Francine "Visto che pare non siate capaci di difendere questa nazione
senza di me!"
Uscì dalla casa davanti a tutti, diretta all'Orleans.
Capitolo 87 - La partenza di Germaine
"Quindi hai deciso."
Arcadio Martellone aveva dormito fuori tutta notte, ma era tornato malinconico. Nella casa era rimasta
solo Germaine. Tutti gli altri erano scomparsi, risucchiati dalla guerra.
La ragazzina stava riponendo le sue cose in un zaino. "Non ho mai dubitato."
Il povero ometto appariva impotente. Cercò di avvicinarsi a Germaine, ma appariva impacciato. "C'è una
guerra là fuori."
"Sono stato un soldato, in quella guerra."
"No" disse Arcadio tristemente "non in una vera guerra."
Germaine strinse i lacci del suo zaino con rabbia. "Comunque sia, non ho dubitato perché non ho scelta."
"Potresti... aspettare la Maschera di Ferro."
"Sappiamo tutti e due che è meglio così. Lui usa noi almeno quanto noi abbiamo cercato di usare lui."
"In ogni caso non credo che Valerius si aspettasse che tu da sola andassi a salvarlo! Non era certo questo
il suo piano! Dovresti..."
"Fare quello che è giusto!"
Germaine provò a mettersi lo zaino in spalla. Le scivolò a terra un paio di volte. alla fine ce lo lasciò,
mentre lo fissava con odio digrignando i denti per il nervoso.
Arcadio, finalmente, trovò il coraggio di toccarle un braccio. "Sei il miglior assistente tecnico che abbia
mai visto. E figurati quanti ne devo aver visti. Rimani con me, io posso ancora fare cose grandi, grandi
abbastanza da aiutare Valerius. Ma se vai via..."
Germaine si calmò e lo guardò negli occhi, poi, con movimenti misurati, raccolse lo zaino e se lo mise in
spalla. "Sarebbe un onore rimanere al tuo fianco, Arcadio. Ma devo la mia fedeltà a mastro Demoire e il
mio rispetto al tenente Santaroche. Questo devo ripagare."
Arcadio annuì, prese Germaine sottobraccio e la accompagnò alla porta. Con notevole sforzo tornò
gioviale, stirò il suo volto in un brutto ghigno che cercava di apparire divertito. "Allora vorrà dire che
tornerai da me quando sarai cresciuta. Probabilmente allora capirai anche qualcosina di più delle
macchine e magari ti saranno anche venute le tette. Sarà addirittura meglio di ora, no?"
Germaine sentì uno strano groppo in gola. "Io... lo spero signor Arcadio"
"E non ti preoccupare. Io non sono così vecchio come sembro. Ho tutto il tempo di aspettarti, fai le cose
che devi con calma."
Germaine annuì e si staccò da lui. Era stata in Argentina al seguito di un re che non le aveva promesso
niente, se non del rispetto, aveva seguito poi Valerius, sia quando questo serviva il suo stesso re, sia
quando aveva deciso di avviare una guerra per sè stesso. Infine, non aveva trovato altra via che affidarsi
alle ambigue trame della Maschera di Ferro.
Ma adesso si incamminava sola, verso il fronte, per sciogliere l'enigma del messaggio della macchina.
Sola, senza più nessuno che le dicesse cosa fare, senza più nessuno che si prendesse cura di lei.
Capitolo 88 - La scacchiera
Statuine in argento con le forme di myrmidon.
Un vezzo, una follia, un elegante balocco. Si diceva riproducessero i modelli nazione per nazione. Persino
le nuovissime statuine inglesi erano copie approssimative dei Valkyrie.
Ogni statuina, un pezzo d'esercito. Statuine più piccole per gli sventurati senza giganti di metallo. Statuine
per navi, statuine per treni, statuine ovunque.
La guerra ridotta a una farsa.
Re Gregoire primo buffone.
"Avremmo già dovuto vincere!"
Re Gregoire da una manata al nord della Francia. Tutto l'esercito inglese crolla. Lo ha appena respinto.
Con una sola mano. Al suo generale d'armata viene da ridere, ma deve trannenersi. "Ci ha chiesto di
conquistare l'Europa, signore" puntualizza invece "non avrebbe potuto essere fa..."
"VI HO DATO I MEZZI PER CONQUISTARE L'EUROPA!"
Un minuto di silenzio. Sulla mappa gli ORL e gli Arabesque abbondano. Ce n'è persino uno colorato
leggermente diverso, con le spalle dorate. Quello del tenente Santaroche, una piccola ossessione di sua
maestà.
"Hanno reagito troppo in fretta."
Re Gregoire girava intorno all'enorme cartina che descriveva l'Europa e parte del nordafrica, un'opera di
diversi metri di larghezza, piazzata nella sala dei telescopi il giorno stesso in cui la guerra era iniziata. Re
Gregoire ci girava intorno come a giocare ad acchiaparella con i nemici. "La Spagna... un mucchio di
fango dove i nostri amici si sono impantanati contro dei cacciatori di frodo inglesi. Non si riesce più
nemmeno a ricevere dispacci sulla loro situazione! La Germania, che teniamo in pugno, al prezzo di
almeno tre myrmidon al giorno che scompaiono distrutti... dalla nebbia! E poi la Francia, con quei
stramaledetti giganti nuovi, di cui non riuscite a dirmi niente, che rischio di vedermi fuori dalla mia
finestra una bella mattina! Questo non è reagire troppo in fretta! Questo è un disastro! Mio padre nello
stesso tempo aveva sotto il tallone tutti i peggiori vermi di questo pianeta!"
Ma il padre di re Gregoire poi si era visto quei vermi spuntargli sotto i piedi, prenderlo e stritolarlo.
Anche se la forca su cui era stato appeso era andata distrutta il generale d'armata la ricordava bene. "Non
abbiamo mai combattuto una guerra come questa."
"Credete sia per me di un qualche interesse?"
Re Gregoire andò a sedersi. C'era un piccolo trono nella stanza dei telescopi, ormai era quello che usava
più spesso. "Dobbiamo spezzare l'equilibrio. Dobbiamo vendere un altro frammento della nostra anima"
Cercò di calmarsi. Perché doveva aspettare. Per quello che ne sapeva i dispacci erano arrivati. Presto
avrebbe avuto ospiti.
Capitolo 89 - Inquisizione
Delle tre persone nello studio privato di re Gregoire una sola era un uomo. Gli altri due erano alti quasi
due metri, massicci, chiusi in delle strane armature. Portavano in spalla una specie di piccola bombola che
tenevano collegata al cranio mediante dei tubi, che si infilavano direttamente nel loro elmetto,
completamente nero, con solo due piccoli oblò circolari per vedere.
Le due creature ticchettavano, re Gregoire non l'avrebbe mai ammesso, ma non sopportava quel
ticchettio, nel silenzio.
"Sono lieto che abbiate capito la gravità della situazione."
L'uomo era pallidissimo, naso affilato, capelli grigi, cortissimi. "Ci aspettavamo un'accoglienza ufficiale,
in verità."
"Per mettere in guardia i nostri nemici?"
"Per affermare la sua fedeltà alla causa."
Re Gregoire era nervoso, le tre figure riempivano la stanza, lo circondavano. Non era abituato a stare
solo. "Penso che sia la situazione più grave che possiate mai aver visto. Sono sul piede di guerra e
testimoni mi dicono che non hanno scrupoli a fare le cose peggiori. I myrmidon non migliorano la
situazione."
"Conosciamo bene i poteri dei mutanti, maestà. Sono anni che mettiamo in guardia i popoli a riguardo. E
sappiamo come combatterli."
Il ticchettio si fece più intenso, i due caschetti si mossero su e giù, come per annuire.
"Gli esecutori dell'inquisizione" sorrise re Gregoire "sono certo che sapranno dare supporto efficace alle
mie truppe."
"Le cinque repubbliche non si sono schierate" puntualizzò l'uomo "quindi neanche sua santità. Mi è stato
chiesto di puntualizzarlo, non posso trattare sotto nessun'altra condizione."
"Quindi l'inquisizione può allearsi con una nazione?"
"L'inquisizione può sempre fare ciò che è giusto."
Re Gregoire ebbe un brivido. Persino suo padre, che aveva fatto di tutto per conquistare l'Europa, si era
tenuto lontano da Roma. Avrebbe voluto farlo anche lui, ma con la situazione tedesca non gli era
possibile. "Cosa avrete in cambio da questa alleanza?" chiese.
"La riconversione della nazione tedesca e l'estirpazione della piaga mutante sono da sempre il nostro
obiettivo. Se lei ci aiuterà a ottenerlo non chiederemo altro."
Lo temeva. Non c'era niente di più terribile di un alleato che non volesse niente. "Bene. Allora potete
cominciare a mettervi in viaggio... sono contento di avere anche la vostra benedizione nella mia guerra..."
"No." per sottolineare la negazione, l'uomo alzò un dito. Anche i due esecutori parvero irrigidirsi.
"L'inquisizione non può elargire benedizioni, solo giustizia."
Capitolo 90 - Lo spagnolo folle
Morgan camminava a grandi passi nel fango delle trincee. La faccia del soldato che lo aveva chiamato
non gli piaceva affatto. Una faccia spaventata, dopo tanti mesi di inattività, poteva essere devastante.
Avevano il controllo su una specie di capanno che era rimasto preso in mezzo al conflitto e aveva resistito
alle bombe con miracolosa tenacia. Era troppo malridotto persino per dormirci, ma ci avevano chiuso
quello che lui doveva vedere. Anche quello non gli piaceva, l'ansia con cui avevano rinchiuso quella cosa.
Non era sano.
"Eccoci eccoci!"
Lo fecero entrare. C'erano tre soldati dei suoi, di cui uno molto giovane, e uno spagnolo legato a una
sedia, l'uniforme sudicia, la faccia anche. I suoi occhi luccicavano di follia.
"C'era tanta urgenza di mostrarmelo?" chiese. La faccia del prigioniero gli piaceva meno di tutto il resto.
Lo spagnolo si sentì interpellato, cominciò a parlare. Morgan colse le prime parole, poi tutto si confuse in
un biascicare ossessivo. L'uomo arrivò a urlare e poi lasciò la sua voce scemare fino al silenzio.
"Parla di apocalisse, comandante" disse il soldato giovane. Lo ricordava, era il migliore interprete che
avevano.
"Apocalisse?"
"Dice che si è consegnato per evitarla, ma forse non servirà. Dice che ci sono voci, nelle trincee spagnole,
che siamo tutti spacciati."
"Tutti chi? Tutti noi? Hanno un'arma per batterci?"
"No" finì il soldato abbassando gli occhi "tutti."
"Todos." ripeté sibilante lo spagnolo.
La trincea era sufficiente a giustificare quello che vedeva. Si poteva impazzire facilmente, bastava non
essere abbastanza forti. Quel soldato non lo era stato, ma perché allora lo avevano portato da lui?
"Dovrai essere più preciso." gli ingiunse. Dietro di lui il giovane tradusse.
Lo spagnolo parlava, il giovane gli stava dietro a fatica: "messaggi sulle ottoniere... messaggi da
nessuno... gente che sparisce... persi tutti i contatti con le truppe a ovest... lontano dal fronte."
"E questo basta per l'apocalisse?"
L'uomo si contorse sulla sedia, indicando una sua tasca. Morgan ci infilò la mano, ne trasse un oggetto di
metallo rotondo. Lo prese in mano. Era una moneta che non aveva mai visto, con delle incisioni
complicate, di un metallo che non riconosceva. C'erano delle scritte, lungo il bordo. La passò al giovane.
"Non è spagnolo, signore, è latino."
"E lo sai leggere?"
"Si signore."
"Quindi?"
"Dice: Io non posso essere sconfitto"
Capitolo 91 - Le minacce in Inghilterra
"Potete scordarvi che Delhin torni tra noi." disse petulante Mary Ann Deuforth agli altri membri del
consiglio ristretto "Ha deciso di vincere questa guerra da solo stando in prima linea."
"E guai a contraddire il favorito di sua maestà!" aggiunse il ministro degli interni Cromwell, con un tono
altrettanto polemico.
"Non ha mai negato la sua morbosa eccitazione per quei giganti di metallo." fece il primo ministro
Hipster. Lui non aveva il diritto di essere canzonatorio, visto che l'ironia era tutta per lui. Fosse stato per
la Deuforth e Cromwell, avrebbe dovuto strangolare Sejak appena aveva messo piede a Londra. Lui, al
contrario, pensava di poterlo controllare, ma poi era esplosa la mania per la scienza e la posizione di capo
scienziato di corte aveva assunto tutt'un altro senso. A suo discapito.
Il capo dell'esercito Lancaster era pensoso. Nel suo studio c'era una versione più spartana della mappa con
le statuine di re Gregoire. E non gli diceva nulla di buono. "Quindi abbiamo un indiano pazzo che carica a
testa bassa mettendo a rischio tutte le risorse militari a nostra disposizione."
"Ma sta vincendo." puntualizzò Cromwell.
"Per ora." Hipster aveva più di un enigma da risolvere. In realtà Sejak era la cosa che lo preoccupava
meno, almeno lui portava a casa risultati. "Quello che comunque non possiamo fare è credere che possa
vincere la guerra da solo. Il fronte francese è praticamente blindato, possiamo impedirgli di avanzare, ma
non potremo mai sfondare."
"Potremmo ratificare lo status quo." fece greve il ministro degli interni.
"Assurdo." esclamò stizzito il capo dell'esercito "La regina non lo permetterà mai. E poi? Tenerci un
pazzo come re Gregoire come vicino di casa?"
"Per andarlo a uccidere nel sonno" fece il ministro degli interni "Perché no?"
"Ora fate tutti silenzio!" ingiunse gelido il primo ministro. Non aveva alzato la voce, ma aveva ottenuto
risultato. "Siamo qui per una questione diversa e se vogliamo nuova. Il malcontento serpeggia tra la
popolazione, a questo eravamo preparati. Ma sta come sorgendo un movimento spontaneo, nel popolo, di
cui non capiamo gli scopi, ostile alla guerra e allo stato. Sono gente molto organizzata, non hanno ancora
fatto danni, ma destano preoccupazione."
Sapevano tutti di quella storia perché ogni aspetto del governo era stato toccato dalla vicenda. Ognuno
l'aveva accantonata come non fosse importante, ma sapendo in cuor proprio che semplicemente non c'era
la forza di gestirla. Odiarono tutti assieme il primo ministro per come l'aveva rimessa al centro
dell'attenzione.
"Credo di essere io la persona più avanti sull'argomento" intervenne Mary Ann "forse perché studio il
fenomeno da più tempo."
"E come mai?" fece il capo dell'esercito.
"Perché non è un movimento che è nato qui. E' stato importato. In altri paesi stavamo pensando a come
sfruttarlo."
"Quindi?" fece Hipster spazientito "Che informazioni hai?"
Mary Ann continuava a comportarsi come se non cogliesse la gravità della situazione. "Non molte." disse
"So solo che il suo leader indossa una maschera di ferro e si chiama Valerius Demoire".
Capitolo 92 - Il viaggio di Germaine
Non esistono dati su Germaine precedenti al momento in cui incontrò Valerius Demoire.
Non ci è noto il suo cognome probabilmente perché non era noto a lei stessa, non ci è chiaro da dove
venisse e quale caserma le abbia avventatamente permesso di arruolarsi.
Non sappiamo nemmeno perché abbia preso una decisione così bizzarra come indossare un'uniforme di
uomo e farsi gettare in una guerra. Anche quando poi divenne intima di vari personaggi delle vicende che
stiamo narrando, mai spiegò in modo esauriente la sua decisione.
Quello che sappiamo per certo è che Germaine fu un mediocre pilota di myrmidon che però raggiunse
obiettivi incredibili, considerando lo scarso addestramento ricevuto. E, allo stesso tempo, fu uno dei pochi
tecnici a tenere testa alla maniacale precisione e cura che Valerius metteva nelle sue opere. Come anche
Arcadio intuì era proprio quella, l'ingegneria, la sua vera vocazione, paradossalmente un'altro mestiere in
cui le sarebbe convenuto fingersi un uomo per riuscire, ma ad anni luce di distanza dal soldato.
La dote che Germaine mostrò maggiormente in questa storia, la dote che la rese determinante in diversi
frangenti e che la fa splendere come una eroina vera e propria, è però indubbiamente la caparbietà e il
modo caparbio in cui dimostrò incessantemente la sua fedeltà nei confronti di Valerius, una fedeltà che
poteva essere alimentata dall'amore, certo, ma comunque disinteressata e cieca, visto che quello stesso
amore era un sentimento disperato.
Germaine affrontò a quindici anni la Francia in subbuglio, lacerata dalla guerra, inasprita dagli infiniti
conflitti che l'ascesa di re Gregoire avevano fatto sorgere. Non ebbe a disposizione nemmeno un cavallo il
giorno che lasciò la casa di Arcadio, perché nemmeno lui ne aveva da dargliene, eppure questo non la
fermò, per quante miglia dovette percorrere. Non ebbe per lungo tempo la possibilità di toccare i comandi
di un myrmidon eppure più e più volte si mise a fronteggiarne, con pura e semplice determinazione.
Per questo motivo, nonostante gli indicibili supplizi subiti da Valerius, nonostante le trame di Maschera di
Ferro, nonostante la gloria ottenuta in battaglia da Francine, la nostra storia ora si concentrerà sulla
piccola Germaine e sul suo tentativo di decifrare l'enigma del tarot system. Non è il nostro un atto di
gratitudine, un pagamento per ciò che ha realizzato, ma un atto dovuto, che ci è richiesto dal nostro
impegno di cronisti, perché Germaine in quei tempi agì compiendo atti notevoli, che cambiarono il corso
della storia e il destino di tutti.
E ne pagò il prezzo.
Capitolo 93 - Il messaggio di Francine
Germaine aveva ritrovato un'uniforme da recluta ed era sporca di sabbia e fatica in faccia, abbastanza per
essere nuovamente scambiata per un ragazzo. La fattoria non era stata facile da raggiungere, lontana da
tutto, in mezzo alle colline, ma se non altro il vaggio l'aveva portata lontana dalla guerra e dai soldati.
Per tutto il viaggio aveva incrociato solo un gruppo di quattro ORL piuttosto malconci, che
evidentemente erano stati a lungo in prima linea. Aveva provato a salutarli, ma quelli non l'avevano
neanche notata, procedendo per la loro strada. Lei non ci aveva fatto molto caso, anche se vederli le aveva
ricordato quando era stata un pilota. Un mediocre pilota, ma sicuramente molto più utile che in quel
momento.
La fattoria, da lontano, pareva disabitata. Solo quando fu quasi al suo portico un uomo uscì da una porta
con un fucile. Era stato un soldato, evidentemente, ma ormai aveva fatto il suo tempo. Aveva tutti i
capelli bianchi e una barba malcurata. Anche la sua uniforme, notò subito Germaine, era vecchia,
apparteneva all'esercito del re precedente, quello della guerra del vapore. "Messaggi, ragazzino?" chiese,
scorbutico.
Lei abbassò la testa. "Si signore"
L'uomo non rispose, ma rientrò. Germaine lo seguì. Sembrava l'unico abitante della fattoria. La fece
sedere a un tavolo e le diede pane e latte. "Riferisci, avanti"
"Signore... mi è stato chiesto di riferire direttamente al capitano."
"Al capitano? Non c'è nessun capitano qui. Pensi che questo luogo ne abbia bisogno?"
"Mi è stato detto di venire qui e fare riferimento al capitano."
Il vecchio ci pensò su, poi gonfiò il petto. "Allora riferisci. Sono io il capitano..."
Germaine arrossì, imbarazzata. La situazione cominciava a parerle ridicola. "Signore... mi perdoni, ma mi
è stato detto come riconoscerlo."
"E come?"
Lei abbassò gli occhi, senza dire nulla.
"Di chi è il messaggio?"
"Francine. Francine Santaroche."
L'anziano soldato ebbe un attimo di esitazione, poi si sedette al tavolo. "Francine? Puoi dimostrarlo?"
"Lo... dimostra il messaggio, signore... ma è solo per... il capitano."
"Il capitano non può darti udienza."
Lei guardò il vecchio negli occhi. "E' di vitale importanza! La prego! MI faccia parlare con lui!"
"Il capitano non può darti udienza perché..."
"Forse perché credi che un cieco non sappia scendere una scala, Alfonse?"
Germaine si girò di scatto. Aggrappato al corrimano della scala che dava al piano superiore stava un
uomo di bell'aspetto, con forse meno di quarant'anni, alto e slanciato, con capelli neri arruffati e un sorriso
beffardo. Ma i suoi occhi guardavano il vuoto, le iridi e le pupille sbiadite, un segno rosso di qualche
antica ferita a cerchiargli le orbite. "Sono io il capitano, portalettere?"
Germaine annuì, poi pensò assurdamente che l'uomo non l'avrebbe vista. "Si, signore... si."
"E hai un messaggio da Francine?"
"Assolutamente, signore, per lei solo."
L'uomo si staccò dal corrimano e arrivò al tavolo. Guidandosi col bordo, trovò una sedia e vi si sedette.
"Se il problema è Alfonse non temere, non c'è niente che lui non possa sapere. E comunque qui non
abbiamo nessuno con cui parlare."
"Ma è una faccenda molto... delicata."
"Allora esponimela." In qualche modo il volto dell'uomo era rivolto verso di lei, con precisione. Persino i
suoi occhi vuoti sembravano fissarla.
"E' una questione di vita o di morte."
"Avanti portalettere, spiegami perché mia sorella ti ha mandato da me!"
Capitolo 94 - André Santaroche
André Santaroche perde la vista dieci giorni dopo la morte di suo padre Theodore. Si è dato alla vita
militare proprio ispirato dalla gloria di suo padre, ma non è entrato in marina. Innanzitutto l'ombra del suo
genitore lo avrebbe ostacolato e poi non dimostra grande passione per le navi. Si arruola quindi in
fanteria, appena fuori dalla caserma viene assegnato alle prime unità meccanizzate francesi, quelle che
daranno il primo decisivo vantaggio a Parigi per la conquista dell'Europa. Non si distingue
particolarmente come il padre, ma d'altronde è solo un ragazzotto di vent'anni. E' molto amato dai suoi
commilitoni e riesce a raggiungere rapidamente il grado di sergente. Il plotone da lui comandato
guadagna presto fama di grande sprezzo del pericolo.
Tutto ciò, nel momento in cui la flotta francese viene sconfitta dalla tecnologia inglese, brucia come carta
nel camino. In quel momento André è sul fronte tedesco, ma la corona lo richiama indietro, temendo
l'invasione. L'invasione avviene, tutte le truppe francesi schierate nel nord della Francia vengono spazzate
via. Le truppe in cui si trova André arrivano troppo tardi, trovano le terre ormai conquistate dalle truppe
d'invasione e nessun punto di riferimento.
Non riescono a evitare lo scontro, nove decimi di loro muoiono o rimangono sul campo feriti. André
riesce a ritirarsi con trenta uomini. E' il maggiore in grado, secondo la grottesca ironia della guerra viene
investito del grado di capitano.
L'unica strategia plausibile è tornare verso Parigi, ma è la stessa strada su cui l'esercito inglese si sta
muovendo di buon passo. Percorrerla è un suicidio. Per puro desiderio di sopravvivenza André decide coi
suoi di forzare il blocco degli invasori e ripiegare nel Belgio ormai neutrale. Per fatalità incappano nelle
retrovie inglesi e sono costretti alla battaglia. Per ognuno di loro cadono quattro soldati inglesi, ma alla
fine devono cedere.
Esattamente nel momento in cui André decide di arrendersi, un attimo prima di annunciarlo al nemico,
una granata gli cade accanto. Dicono sia stato un sasso, sparato via dall'esplosione, a corrergli esattamente
sopra entrambi gli occhi, spegnendoli per sempre. Ad alzare la bandiera bianca sarà uno dei suoi migliori
amici.
Nonostante tutto, l'ufficiale inglese in comando offre ad André Santaroche e ai cinque sopravvissuti della
battaglia l'onore delle armi, cura il giovane e promette sul suo onore di riconsegnarlo ai suoi familiari. In
qualche modo, con l'intera nazione al collasso, la storia di Santaroche fa il giro di tutti gli sconfitti soldati
francesi. Questo lo salva dall'indigenza. Il feldmaresciallo Alfonse Teramuche, alla morte della madre di
André, lo accoglie nella sua caserma come segretario personale, assieme a sua sorella Francine.
Quando l'ennesimo tentativo di spegnere completamente il vigore francese farà scivolare il
feldmaresciallo lontano dal potere, sia lui sia il soldato cieco scompariranno dalla storia, ritirandosi
lontani da tutto, dove non c'è più bisogno di lottare.
Ma Francine non poté seguirli. Francine era troppo giovane per arrendersi. Francine fu ghermita dal gorgo
della vendetta. Questo, più che la cecità, era ciò che Andrè sentiva come una condanna, sulle sue spalle.
Capitolo 95 - André racconta
André accettò da Alfonse un bicchiere d'acqua e fissò Germaine, la fissò col suo sguardo che non era un
vero sguardo e che quindi non avrebbe distolto di fronte a niente. Lei si fece piccola piccola, umiliata da
quella presenza così tragica eppure dignitosa, quel simbolo di una guerra passata, così utile a spiegare
perché non se ne dovrebbero combattere altre.
"Io... sono una ragazza." spiegò.
André annuì. "Piuttosto intelligente per te girare in abiti da maschio. Non sono tempi tranquilli, questi."
"E sono innamorata dello stesso uomo che ama sua sorella."
André sbatté le palpebre. "Francine? Innamorata? Una cosa che vorrei proprio vedere..."
"Si chiama Valerius Demoire. E' un inglese, una specie di avventuriero. Ha servito assieme a sua sorella il
re Gregoire, poi ha disertato."
"Se Francine lo ama davvero deve essere un bel dilemma, per lei."
"In realtà non ho ancora capito se lo cerchi per giustiziarlo o per amarlo ancora."
André rise di una risata asciutta, a cui andò dietro incredibilmente anche Alfonse. Se il cieco spaventata
Germaine per la sua compostezza, il vecchio la inquietava ancora di più. Le era stato spiegato brevemente
il suo grado di feldmaresciallo e come era caduto in disgrazia, ma lei non riusciva a vedere in quell'uomo
ossuto e sciatto un ufficiale del vecchio re. Sembrava quasi che oltre a fuggire dai luoghi della guerra,
Alfonse fosse anche fuggito dalla sua immagine e se ne fosse creata un'altra meno terribile, meno faticosa
da portare.
"Quest'uomo è in pericolo di vita. Si è messo contro forze più grandi di lui, forze enigmatiche che
comandano nell'ombra. Per salvarlo ho bisogno che qualcuno risolva un enigma. Francine lo aveva
risolto, ma è dovuta partire per il fronte. Prima di andarsene mi ha detto che l'unica altra persona che
potrebbe capire è lei."
André si fregò gli occhi ciechi. "Che storia complicata. Non sono più sicuro di poter essere d'aiuto in una
situazione del genere."
"Ma lei deve! La vita di Valerius dipende da questo!"
"Qual è questo enigma?"
"Dove si trova il varco di calendimaggio?"
Sia André che Alfonse si ritrassero, poi l'espressione del capitano si corrucciò con tale intensità che
persino i suoi occhi ripresero vita. "Non stai parlando di quello che penso, vero?"
"E' una cosa legata a Francine... a voi."
André battè un pugno sul tavolo. "E cosa può saperne... quest'uomo?"
Alfonse appoggiò una mano sull'amico più giovane e si chinò verso di lui. "Ha detto che lu la ama."
"No" rispose lui, irremovibile "ha detto che lei ama lui."
Germaine prese tutto il coraggio che aveva e si protese verso i due. "Vi prego. Vi supplico! Aiutatemi!
Sono pronta a qualsiasi cosa per salvarlo. Ditemi cosa devo fare, nessun altro saprà nulla! Sono pronta a
tagliarmi la lingua per tacere!"
Andrè chiese altra acqua, Alfonse gliela portò.
"C'è una piccola isola a est della manica." disse lentamente il cieco "Vi accaddero molte cose dopo la fine
della guerra."
Capitolo 96 - La prima avventura di Francine
Francine aveva 12 anni e aveva scelto di ignorare la paura, non ammettere che esistesse.
Rannicchiata sul fondo della nave, cercando di passare inosservata sia ai soldati sia agli altri attendenti
come lei, desiderava solo vedere il campo di battaglia e scoprire cos'era. Se non l'avesse fatto non avrebbe
capito il suo destino.
Il plotone era stato mobilitato perché era stato individuato un covo di pirati in un'isoletta a nord, poco
lontano dalla manica. Pirati inglesi, quasi certamente, ma gente a cui l'Inghilterra aveva tolto protezione. I
soldati francesi erano contenti di missioni così, gli permetteva di sfogare la frustrazione di essere ormai i
figli reietti di una nazione ormai senza dignità e di farlo contro il popolo che odiavano di più.
Francine era troppo piccola per partecipare a un'operazione del genere, ma si era imbarcata di nascosto e
c'era troppa anarchia perché qualcuno le chiedesse cosa ci facesse lì. D'altronde quel vecchio barbogio del
feldmaresciallo Alfonse, con alle spalle quel vigliacco di suo fratello, faceva di tutto per tenerla lontana
dalla battaglia. Nessuno dei due capiva, erano troppo vecchi o troppo stanchi per capire. La battaglia era
la risposta, la battaglia era la soluzione, nella battaglia dovevano esserci i motivi per cui era rimasta senza
un padre e senza una madre, a dover elemosinare un tetto.
Ma ignorare la paura era faticoso. La sentiva alla bocca dello stomaco, la vedeva alla periferia della sua
vista. Eppure faceva finta di niente. La paura le impediva di vomitare, anche se ricordava benissimo che
di solito stava male, quando andava in barca. La paura la faceva tremare così tanto che sentiva i suoi
muscoli stanchi.
Il comandante della spedizione era un certo Gigobert, che lei non conosceva, un uomo dal petto ampio
come uno scaldabagno e due folti baffi fulvi. Da quello che aveva capito, lì sulla nave, era quello che
aveva guidato i canti per tutto il tempo. Cantavano, i soldati. Forse era il loro modo per tenere lontana la
paura. Cantavano canzoni sconce piene di cose che lei non capiva e che riguardavano sempre donne che
si mettevano in posizioni strane e cose così. La paura non la rendeva nemmeno curiosa.
A un certo punto una canzone finì e Gigobert esitò un momento per proporne un'altra. Allora uno dei
soldati gli urlò "Agli inglesi! Agli inglesi!"
Lui rise e rispose "Domattina li coglieremo di sorpresa e li spazzeremo via! Siamo comunque l'esercito
migliore del mondo! Il fatto che ci abbiano fregato una volta non ci piegherà!"
Tutti risposero con un urrà. Ci provò anche Francine, ma si ritrovò completamente priva di voce.
"Segnatevi il giorno di domani. Sarà calendimaggio! Finalmente avrete una nuova battaglia di cui
raccontar enelle osterie!"
Francine non voleva raccontare niente nelle osterie. Francine voleva solo capire. Capire e smetterla di
tremare.
Capitolo 97 - L'isola di fango
La spiaggia era un mucchio di fango. A Francine erano sembrati belli, i soldati, allo sbarco, ma erano
bastati cinque minuti di marcia per ridurli a dei sudici viandanti.
Lei camminava in coda, accanto a un altro attendente che continuava a cercare di capire chi fosse. I
soldati marciavano troppo forte e la sua unica preoccupazione era non rimanere indietro. Stringeva le
gengive fino a sentirle scricchiolare, temeva che i piedi avessero già cominciato a sanguinare.
Erano sbarcati dal lato dell'isola più impervio perché i pirati controllavano la zona più dolce e dovevano
prenderli alle spalle. Era mattina prestissimo, sapevano che li avrebbero trovati appena tornati dalle
scorrerie notturne, mezzi addormentati e vulnerabili. Non erano abbastanza per sconfiggere un gruppo
all'erta di nemici, ma erano abbastanza per un'operazione a sorpresa.
A un certo punto avvistarono il mare, il mare dell'altra sponda, quella lontana da dove erano sbarcati. Una
piccola baia azzurra con in mezzo una nave. Francine conosceva il mare, come a suo fratello, le mancava
l'amore ossessivo di suo padre, ma era comunque cresciuta stando sulle ginocchia di un capitano di
marina e qualcosa aveva assorbito. La nave era evidentemente un convoglio commerciale, riattato in
qualche maniera per la battaglia. I cannoni uscivano goffi dalle murate, legati alla bell'emeglio con grosse
catene. Era strano che un mezzo del genere riuscisse a fronteggiare le sentinelle della manica, ma lei non
sapeva abbastanza di battaglie navali per dire come potesse fare.
Davanti alla baia, dove la spiaggia finiva e il terreno diventava erboso, c'era una serie di baracche
piuttosto solide, evidentemente costruite per restare, che davano idea non solo che i pirati avevano lì una
base stabile, ma anche che amavano la comodità.
Gigobert li portò presto lontani dalla vista della baia, poi li fece rallentare, li fece inginocchiare e
strisciare. Divennero ancora più sudici e coperti di fango.
Rimasero immobili per un tempo lunghissimo. Francine si chiese come facessero gli altri a mantenere
quell'immobilità senza chiedersi cosa stava succedendo. Non volava una mosca, era come se non fossero
lì, come se si fossero addormentati. Ebbe quasi paura che le loro esistenze si fossero congelate in un
attimo infinito.
A frantumare il ghiaccio, uno sparo.
"Pirati!" urlò la voce di Gigobert, fortissima, più forte delle sue canzoni "Siamo stati scoperti!
Combattete!"
Tutti i soldati si alzarono in piedi, fucili alla mano, gli spari cominciarono a suonare ovunque.
Francine invece era ancora bloccata al suolo. Non era più capace.
Non era più capace di ignorare la paura.
Capitolo 98 - Il pozzo
Anche se era tornato il silenzio e tutto sembrava finito non era cambiato niente: Francine era ancora lì, nel
fango, immobile, cercando di respirare con la faccia affondata nella mota, ignorando l'odore del sangue e
della polvere da sparo.
Quando il calcio la colpì alle reni provò un'ondata di dolore. Dolore per il colpo, ma anche dolore per
l'adrenalina che le scorreva in corpo e riattivava tutti i muscoli che aveva tenuto immobili, come uno
scoiattolo spaventato, come una patetica figura.
"Qui ce n'è uno vivo!" disse una voce sopra di lei. Ma parlava in inglese e lei non lo capiva. Le sembrava
solo che avesse detto quell'ultima parola, qualcosa tipo "laiv" con incommensurabile disprezzo.
"Non ci servono vivi. Ammazzalo!" rispose un altro. E il significato della parola kill lo conosceva,
gliel'aveva insegnato suo fratello.
Alzò la testa, sollevò a fatica le palpebre, impiastrate dal fango, e osservò il suo carnefice, un uomo
incredibilmente brutto che incombeva su di lei, vestito di stracci e con un ridicolo cappello. Stava tirando
fuori dalla cintura una pistola.
Allungò un braccio, un gesto di panico, ma toccò il fucile del cadavere poco lontano da lei. Tutto il resto
fu una sola mossa, la mossa che le avevano insegnato in caserma: si mise il calcio del fucile contro il
ventre, lo armò e sparò. Lo sparo le sfondò i timpani, il rinculo le fece male alla pancia quanto il calcio
del brigante, ma un secondo dopo vedeva il corpo del pirata cadere, mentre una zaffata di odore di sangue
più intensa di tutte le altre, ripugnante, la investiva.
"Cosa cazz..."
Si girò verso la voce, puntò, armò e sparò. Era un colpo in cui serviva mira, ma in quel momento qualcosa
la stava guidando. Anche il secondo pirata crollò.
Sentì voci provenire da oltre lei, troppe voci. Si alzò in piedi puntellandosi sul fucile e cominciò a correre
lontano. Cominciò a sentire degli spari alle sue spalle, molti spari. Capì che erano contro di lei. In un
lampo di lucida follia si chiese se lo avrebbe sentito, il colpo che l'avrebbe presa, o se il fatto che sentisse
le detonazioni significava che l'avevano già mancata.
Correva ricordandosi con disperazione quanto lontana era la barca, capendo che avevano camminato
molto, che non poteva farcela. Sentì che cominciava a piangere, sentì che si stava pisciando addosso, sentì
che stava per morire.
Se gli spari fossero cessati avrebbe potuto pensare che i pirati avessero desistito, ma perché desistere su
un'isola così piccola? Perché arrendersi? Bastava continuare ad andarle dietro per metterla con le spalle al
muro.
A un certo punto un piede le cedette. Credette di essere semplicemente inciampata e invece la terra prese
a inghiottirla. Qualcosa, nel suolo, era crollato, aprendo per lei un varco verso la profondità della terra.
Scivolò giù sul terreno viscido, per alcuni metri, finché intorno a lei non rimase che buio.
Era tutta un dolore, soffriva, si rannicchiò su sé stessa, per nascondersi da sé stessa, per nascondersi da
quello che aveva scoperto. Aveva attraversato il sangue, il dolore, la morte e l'omicidio eppure in tutto
quello, in quel sudicio nodo di ferocia e violenza, non c'era niente che spiegasse la morte di suo padre,
che spiegasse il cuore spezzato di sua madre o la cecità di suo fratello.
Era morta, forse, ed era morta per niente.
Capitolo 99 - Il mucchio grande
Impossibile dire quanto rimase in quella fossa. Fu svegliata dai colpi di cannone e le sembrò di non
essersi più mossa da quando era caduta. Potevano essere passati giorni, mesi, anni, non ne aveva
coscienza e non le importava.
Rimase rannicchiata nel buio, non pensava ci fosse niente là fuori che volesse aiutarla, ormai era decisa a
consumarsi lì, fino ad addormentarsi e non svegliarsi più. Era un'idea stranamente confortante, distorta,
ma l'unica che le fosse rimasta in testa.
Del tempo dopo i cannoni (altri giorni? altri mesi? altri anni?) qualcosa coprì parzialmente lo squarcio di
cielo che vedeva dalla sua posizione. Poi un urlo.
In inglese.
Morire per morire, non le interessava che l'avessero finalmente trovata, anzi, loro avrebbero avuto il
coraggio di fare quello che lei non era riuscita da sola: porre fine alla sua sofferenza. Forse li avrebbe
disgustati abbastanza da indurli a fare in fretta.
Venne calata una corda, scarponi graffiarono il fango, qualcuno la prese, le cinse la vita e la trascino. Alla
fine si ritrovò seduta per terra, sulla stessa erba dove aveva cercato di correre via.
Gli inglesi che aveva intorno erano ben diversi dai pirati che avevano provato a ucciderla: indossavano
divise linde e pulite ed erano ordinati. Parevano gente dell'esercito regolare.
Ciarlarono intorno a lei per un po', mentre lei ascoltava e non capiva, incredula di quello che stava
succedendo. Alla fine le si avvicinò un ragazzino di colore, cercò i suoi occhi e le parlò nella sua lingua.
"Facevi parte del contingente francese annientato, si? Sei una sopravvissuta, si?"
Sopravvissuta. Forse lo era. Ma perché?
"Li ho visti morire." rispose. Almeno una cosa vera. Una cosa logica.
Gli uomini ripresero a ciarlare fra di loro. Alcuni ridevano, chissà di quale cosa divertente, altri
sembravano guardarla con disgusto. Era giusto. Si faceva disgusto anche da sola.
Alla fine quello che forse era il comandante disse qualcosa e poi lo tradusse anche nella sua lingua
"Ridiamogliela indietro. Che male può fare?"
Lei annuì stancamente a quelle parole. Non c'era niente che potesse fare. Non c'era mai stato niente. Se ne
era accorto persino un inglese venuto da chissà dove. Abbassò il capo.
Una settimana dopo veniva riconsegnata a suo fratello. Una parte di lei veniva riconsegnata. Il resto
doveva essere finito dove erano finiti suo padre e sua madre. Nel mucchio grande.
Capitolo 100 - La morte rossa
La spada dell'Orleans penetrò a fondo nell'alloggiamento dei motori del Valkyrie. Nonostante i grossi
elementi che spuntavano dalle scapole della macchina, sembrava che gran parte del meccanismo fosse
all'altezza delle reni.
Inizialmente dalla ferità uscì uno sbuffo bianco di vapore, poi una specie di luce liquida in un alzo
zampillo che poi andò a scemare in un rivolo che scivolava bollente sul metallo. Francine fece appena in
tempo a estrarre l'arma, impedendo che si rovinasse a contatto con l'ignitium. Poi fece un passo indietro e
guardò la macchina nemica esplodere e spezzarsi in due.
Una spia le si accese sul cruscotto, una spia che non conosceva. Si stupì a fissare l'allarme del serbatoio di
ignitium. Da quando guidava l'Orleans non era mai arrivata così vicina al fondo. Da quanto stavano
combattendo? Fortunatamente l'adrenalina e la rabbia le impedivano di sentire la stanchezza, ma sapeva
già che il giorno dopo non avrebbe potuto muovere il braccio. Bhe, il giorno dopo era ancora molto
lontano.
Vide due Valkyrie che le prestavano il fianco per colpire un gruppo di soldati a cavallo. Li caricò di spalla
e poi mulinò la spada. Fu sicura di averne abbattuto uno, mentre l'altro si barcamenava per rimanere in
piedi.
I Valkyrie erano myrmidon dalla lunga distanza, avevano un fucile che sapevano usare in modo molto
efficiente, ma erano terrorizzati dal corpo a corpo. Erano veloci e potenti, ma sulle accelerazioni brevi gli
ORL erano meglio. Gli Arabesque invece li subivano particolarmente e infatti la maggior parte era stata
messa fuori gioco.
"Madame! Il Valkyrie rosso!"
Francine ebbe un sussulto che si trasmise all'Orleans. Il Valkyrie rosso era uno sterminatore, quando
calava sul campo di battaglia faceva numerose vittime. Lei non lo aveva incontrato mai, ma lo inseguiva
da sempre. SI girò verso di lui e notò uno scatto strano nel suo passo. Capì la situazione e mosse i
comandi affinché l'Orleans si mettesse in ginocchio. Il fucile del myrmidon nemico sparò un attimo dopo,
i colpi le passarono sopra la testa.
Calcolò distanza e tempi di ricarica, mise l'Orleans a massima potenza e caricò. Aveva imparato a colpire
con la spada in corsa, un attacco con cui poteva spezzare qualsiasi myrmidon in due. Si preparò a
sferrarlo, ma così abbassò le sue difese. Il Valkyrie rosso si girò sul lato destro, dove portava uno scudo
blindato, e poi fece una torsione esattamente a contrastare la sua spada. La sua lama si schiantò contro la
superficie corazzata, le fece vibrare tanto il braccio da farlo schizzare fuori dal manicotto. Il valkyrie
rosso, intanto, sfruttando la torsione contraria, cercò di infilzarla con la baionetta innestata sulla sua arma.
Lei schivò per un pelo, la sua armatura pettorale si scalfì.
"Spada immacolata di Francia, immagino!" le arrivò dall'ottoniera, in uno spigoloso francese zoppicante.
"Io sono la morte rossa!"
"Peccato conoscere il tuo nome un momento prima di ucciderti!" rispose lei. Rimise il braccio nei
comandi e, senza badare alla sofferenza, provò ancora a colpire. Il valkyrie parò ancora e questa volta il
dolore le fu così intenso che indietreggiò, con la vista che le si velava di nero.
Intuì che il valkyrie ricaricava, a quella distanza non poteva sbagliare e non c'era corazza che potesse
tenere. Provò confusamente a sviare, ma sapeva come sarebbe finita. Si rannicchiò in un estremo tentativo
di salvezza.
"Per Valerius! PER VALERIUS DEMOIRE!" un Arabesque caricò il valkyrie rosso un attimo prima che
potesse colpire e lo gettò lontano.
Lei sbarrò gli occhi. Aveva detto quel nome.
Capitolo 101 - Valkyrie
Il progetto del Valkyrie nasce assieme ai primi studi di Cyrus Zeddai prima di partire per l'Argentina. Lo
si può quindi considerare un discendente direttore dell'elegante macellaio, molto più di quanto lo fu il
Danse Macabre, in cui la mano di Valerius aveva operato pesanti modifiche.
Ovviamente, nel vivo della seconda guerra del Vapore, la maggior parte delle tecnologie impiegate
nell'elegante macellaio erano obsolete, a partire dal design del suo motore, lo Zeddai Mark II, che per
l'eccessivo peso era dislocato nel deretano della macchina.
Il primo lavoro che portò prestigio a Delhin Sejak e gli fece scalare le gerarchie scientifiche fu
indubbiamente il cosiddetto "motore disaccoppiato" in cui le camere a vapore pesante e i grossi serbatoi
che ribollivano di ignitium, erano distaccati dalle trasmissioni rotanti. In particolare questo si realizzò
ponendo due elementi trasmissivi e erogativi all'altezza delle scapole della macchina, leggermente in
fuori, mentre tutto il sistema termico rimaneva più in basso, all'altezza delle reni, poco sotto l'abitacolo.
Questa dislocazione aveva permesso di disegnare il myrmidon con molta più libertà di quanto avevano
potuto fare i progettisti delle altre nazioni, che avevano sempre visto i loro progetti deformati
dall'ingombro del motore.
Gli sfiatatoi sono disposti tutto intorno il bordo degli elementi sulle scapole, ma il sistema fa si che non
esca mai vapore bianco particolarmente denso.
Il Valkyrie è un mezzo da lunga gittata, dotato di un fucile che spara proiettili compatibili con obici da
cannone, ma con precisione superiore. Tutto il suo sistema delle braccia è disegnato per coordinare il
fucile, per cui quelli che sembrano da fuori movimenti complessissimi sono invece sequenze automatiche
innescate da pochi comandi. Il fucile può essere usato (con meno efficacia) come arma da corpo a corpo.
Di contro, anche a causa della sua massa non molto importante, il Valkyrie, privato della sua arma,
rimane alla mercé anche dei nemici più deboli.
Sulle sue spalle sono montati due scudi blindati che può offrire all'artiglieria nemica e con cui può
efficacemente proteggere i suoi motori. Sono pochi però i piloti che riescono a usarli abilmente, anche
perché sono completamente laterali, per lasciare libero il movimento delle braccia davanti.
Il Valkyrie riesce a sviluppare notevole potenza, a patto di avere distanze lunghe a disposizione. Non ha
una grandissima accelerazione anche se può modificare rapidamente l'assetto. Molti elementi fanno
sospettare che sia stato progettato in coordinamento col Konsole tedesco, che ha caratteristiche
praticamente opposte.
La variante rossa del myrmidon, denominato semplicemente Red Valkyrie, possiede caratteristiche
esclusive e alcune modifiche a diversi livelli, ma nessuno ha informazione di cosa consistano. Sul suo
progetto viene da sempre mantenuto il più stretto riservo, facilitato dal fatto che ne esiste un solo
esemplare.
Il Valkyrie è un myrmidon avanzato, che mostra la maturazione della tecnologia dei giganti di ferro.
Smette di essere semplicemente un colosso semovente e armato. Denuncia il fatto di essere stato creato
appositamente per la guerra.
Capitolo 102 - La salvezza di Valerius
Fronte Francese
L'accampamento la sera era silenzioso e non poteva essere altrimenti. La battaglia appena conclusa era
stata la più lunga mai combattuta da myrmidon nella storia. Erano riusciti a impedire che gli inglesi
prendessero il controllo di una città, ma quelli, intanto, erano riusciti a consolidare il loro dominio sulla
costa, il che gli garantiva un'invasione praticamente eterna.
Francine si aggirava tra i falò cercando di non essere notata, cosa difficile con i suoi capelli biondi e il suo
aspetto austero. Una fasciatura rigida le stringeva il braccio rendendola impacciata nei movimenti. Era più
una precauzione che altro, perché l'arto non era danneggiato, ma era stato sottoposto a terribile stress.
Trovò quello che cercava facilmente, perché nessuno, nell'esercito, le negava aiuto. Si sedette quindi
accanto a un giovane che stava un po' in disparte, a una certa distanza dal fuoco, indugiando sugli ultimi
bocconi della sua cena.
"Devo ringraziarla per avermi salvato la vita." gli disse, sedendosi.
"Sono io a ringraziarla. Se non avesse messo in difficoltà il myrmidon rosso non sarei mai stato capace di
colpirlo. Quella bravata mi ha reso un eroe."
"Io sono..."
"La prego madamoiselle Santaroche, chi non conosce le sue imprese?"
Francine sorrise. "Allora diciamo che mi presentavo solo per indurla a fare altrettanto."
"Sono il caporale Villeneuve, assegnato al quinto plotone Arabesque."
Francine provava disagio e questo disagio si trasformò rapidamente in irritazione. Villeneuve sapeva
benissimo perché era lì, ma sembrava divertirsi a rimanere zitto, costringendola a entrare lei in
argomento.
"Mentre combatteva ha pronunciato il nome di Valerius Demoire."
"Solo perché ero in sua presenza, madamoiselle."
"Cosa sai di lui?"
"Che la sua guida è più importante della guerra e che lei ha il compito di salvarlo."
Francine prese il braccio del soldato con il braccio sano. "Come fai a sapere tutte queste cose?"
Villeneuve le rispose con uno sguardo di sincero stupore e imbarazzo. "Lei non ascolta i suoi messaggi?"
"Messaggi?"
"I messaggi che arrivano nelle ottoniere senza provenire da nessuna parte, con cui Valerius ci allerta di un
pericolo più grande della guerra e ci invita a stare pronti! Non ne sa niente? Molti credono sia lei stessa a
inviarli!"
"Non ho mai sentito nulla di questa storia! Dove si ascoltano questi messaggi? Posso sentirli?"
Villeneuve si guardò intorno circospetto, come se quello non fosse l'accampamento del suo stesso
esercito. "Stanotte no. Ne verranno presto. Sono quei messaggi ad avermi convinto a lottare per Valerius,
non posso credere che lei, una delle persone che gli è più cara, non ne sappia niente!"
"Io...? Una persona a lui cara? Ha detto anche questo?"
Un piccolo gruppo di soldati si stava muovendo verso di loro. Villeneuve li guardò con sospetto e si alzò,
come se lì avesse finito. Rivolse a Francine solo un ultimo sguardo stupito. "Non ha forse lei il compito di
salvarlo?"
Francine rimase sola, nel buio. Come nella casa di Arcadio Martellone non era in grado di sopportare il
peso di quelle affermazioni, non era in grado di pensare che Valerius avesse affidato a lei un compito
tanto importante. Eppure quella non sembrava solo una fantasia sua o delle persone che aveva intorno, ma
una notizia sussurrata per tutte le campagne in maniera misteriosa.
Ne fu felice almeno quanto odiò, una volta di più, la persona di Valerius Demoire.
Capitolo 103 - Reika contro l'inquisizione
Germania
La porta si aprì senza che nessuno la toccasse. L'inquisitore Francesco Pupo Torvergata, seduto dalla
scrivania del sindaco della cittadina, arriccò semplicemente il naso e alzò un sopracciglio. Sentì dietro di
lui l'esecutore ticchettare di tensione, ma lo tenne fermo con il gesto di un singolo dito.
Reika avanzava, l'aria crepitava intorno a lei. "Credi che io sia tenuta a dover accettare la scelta del re?"
Lui le si avvicinò pacatamente. "Credi che mi rannicchierò in un angolo chiedendo al mio Dio di
scacciarti piangendo come un bambino?"
Reika estese il suo potere, non un gesto conscio, un vero e proprio rigurgito di rabbia. L'esecutore
cominciò ad avanzare.
"Non posso fermarlo. Se sospetta che tu mi stia plagiando morirai. E non potrò farci niente. Non accetta
ordini dalle potenziali vittime."
I passi dell'esecutore erano pesanti e metallici, aveva tirato su entrambe le mani che parevano
desolantemente vuote, pur essendo pesanti guanti di metallo. Solo, poco sopra il polso, si notava un
ugello affilato come una coda di scorpione.
Reika indietreggiò e cercò di calmarsi. L'esecutore le concesse il beneficio del dubbio. Francesco Pupo lo
rimandò al suo posto.
"Avevo già preso in mano la situazione." si lamentò la donna.
"Rimane curioso." continuò irriverente l'inquisitore "Credo di aver combattuto più mutanti io di te,
comunque."
"Mutanti a bordo di myrmidon."
Francesco Pupo tornò senza paura nel raggio d'azione della donna per poterla fissare da vicino. Solo da
vicino si poteva notare la sua pelle assurdamente liscia, il suo cranio rasato che non presentava nessuna
presenza di capelli e le sue pupille rosse, aliene, che alla luce sembravano piccoli animaletti guizzanti.
"Sai cosa prova un mutante nel momento in cui viene privato del suo potere anche solo per un momento?
Sai quale desolazione assaggia?"
"Hanno dei..." Reika si fermò, le parole le morirono in gola. Aprì gli occhi come se volesse farli saltare
via dalle orbite e aprì la bocca, senza respirare, in un urlo muto. Non l'esecutore dietro di lei, non l'uomo
macchina che respirava gas, non il mostro. Francesco Pupo Torvergata lasciò la presa psichica e tornò ad
allontanarsi. "E' infinitamente peggio di questo."
"Sappiamo tutti e due che l'inquisizione tradirà re Gregoire!"
"L'unico che può tradire è re Gregorie. L'unico che può essere tradito è Dio. L'inqusizione è solo una
conseguenza."
Reika tornò a estendere il suo potere, frustrata, lo fece crepitare a pochi centimetri dal volto
dell'inquisitore, innocua. "Non credere che lascerò il teatro delle operazioni. Sarò io a piegare la
resistenza tedesca. E a ottenere la fedeltà dei mutanti alla nostra causa."
"Per ora, donna, sei solo noiosa!"
Reika uscì, la porta si chiuse dietro di lei come risucchiata dalla sua presenza, sbattendo. Appena solo
Francesco barcollò un momento e poi crollò in ginocchio. Guardò per terra la piccola pozza di sangue che
si formava dal gocciolare del suo naso.
L'esecutore ticchettò dal suo angolo.
"Una donna di straordinaria forza..." gli disse l'inquisitore "ma se vogliamo controllarla dobbiamo farle
capire che siamo pronti a combattere."
Altri nervosi ticchettii.
"Sopravviverò, ma spero di non dovere mai andare oltre con lei. Adesso ho solo bisogno di qualcosa che
mi ridia un po' di forza."
Tre secchi ticchettii ancora.
"No, non comprometterà la nostra missione."
Capitolo 104 - In viaggio verso calendimaggio
Varco di Calendimaggio
Germaine stava a prua della piccola imbarcazione che stava portando i venti soldati all'isola. Non aveva
capito come un povero cieco e un feldmaresciallo destituito avessero potuto mettere insieme tanta gente
per una missione nebulosa come quella che lei aveva proposto, ma l'avevano fatto. L'unica cosa che
intuiva era che gran parte del lavoro lo avesse svolto "il vecchio", un uomo che era parte del gruppo, ma
non indossava l'uniforme militare e non sembrava comandare niente. Se ne stava per i fatti suoi in un
angolo e lei non aveva avuto ancora il coraggio di parlargli.
Stava appunto pensando come approcciarlo quando Ethienne gli venne vicino. Era un bel giovane sui
ventitre anni, i capelli un po' troppo lunghi per un militare, occhi troppo piccoli e naso troppo grosso.
Aveva da subito tentato di entrare in confidenza con lei, ma lei, di contro aveva visto la cosa con sospetto.
Dalle occhiate che lui le dava, anche non visto, era arrivata persino a dubitare che André avesse fatto bene
a svelare a tutti che era una ragazza.
"Lì dietro molti si aspettano un'isola piccola e disabitata. Non è un bene." le disse il giovane.
"Perché?"
"Perché se non lo fosse sarebbero impreparati."
Germaine riflettè a quando aveva perso Valerius, in quel grande castello, quando erano stati convinti di
aver vinto per un secondo, prima che tutto impazzisse. "Temo accadrà qualcosa per cui ci vorranno tutti e
venti questi uomini."
"Anche il vecchio continua a dirlo. E' un bene, perché è l'unico che riesca a spaventare certi, ma la cosa
non sembra ancora chiara."
Lui le diede l'ennesima occhiata, lei si spazientì e inchiodò il suo sguardo con un'occhiataccia ferina. "E
lei cosa pensa?"
Ethienne sostenne divertito lo sguardo, come se quel lampo d'odio fosse per lui una vittoria. "E'
un'avventura. Accadrà qualcosa. Qualcuno ricorda storiacce su questa isola. Fatti di sangue."
Nessuno conosceva la storia di Francine, ovviamente, ma il massacro in cui si era trovata doveva aver
avuto una certa risonanza in passato, non se ne stupiva. "E il sangue chiama sangue. Ha mai combattuto al
fronte?"
Di solito la risposta a quella domanda era sempre un petto che scattava in fuori, un'espressione rude e una
qualche fandonia su qualche momento storico. Ethienne invece scrollò le spalle. "Quando re Gregoire ha
marciato su Parigi mi sono trovato a combattere dei lealisti della repubblica. Ma erano quattro gatti. Lei?"
Germaine non sapeva dire quale vera battaglia avesse vissuto, ma non lasciò cadere l'occasione. "Sono
fuggita da Parigi a bordo di un gigante di ferro."
"Se era su un myrmidon non deve essere stato così difficile."
La ragazza arrossì, era caduta nella sua stessa trappola. Tornò a guardare l'orizzonte. "Ancora mezz'ora di
viaggio e dovremmo esserci."
Capitolo 105 - Due monete
Spagna
Il comandante spagnolo era un uomo dagli occhi acquosi e l'espressione triste, il volto allungato di
qualche ramo bastardo dei casati di Castiglia, reso spinoso dalla barba malfatta. Morgan era certo di non
apparire meglio, lui che non poteva contare nemmeno un'ottavo di nobiltà rubata, che non si lavava da
giorni e che aveva dei capelli che sembravano ormai un ammasso di sterpi.
I due ragazzi per tradurre, a sommare le età, non facevano forse nemmeno 40 anni.
"Lei capisce che questo incontro mi rende accusabile di tradimento. C'è la forca per il tradimento, in
guerra." spiegò lo spagnolo.
"Così è anche per me."
"Cosa l'ha convinta a presentarsi?"
Morgan era in imbarazzo. Quello che l'aveva convinto non avrebbe convinto un uomo sano di mente. Ma
lui aveva smesso di esserlo da tempo e ne soffriva. "Abbiamo catturato uno dei vostri. Delirava di molte
cose. Ma alcune collimano con quelle che erano nel suo messaggio."
Lo spagnolo rise. "Molti delirano al giorno d'oggi."
"Forse anche noi due, no?"
Lo spagnolo appoggiò una mano sul tavolo. Nascondeva qualcosa che raschiava sul legno mentre lui la
muoveva. La mosse alcune volte in larghi cerchi e poi se la lasciò scappare via. Una piccola moneta prese
a rotolare.
Non posso essere sconfitto
"No, purtroppo no. Noi non deliriamo."
Morgan appoggiò sul tavolo la moneta che aveva preso al demente. "Parli, per favore."
"Da quanto non riceve rapporti dall'ovest?"
"Non abbiamo molti uomini a ovest."
"Ne avete abbastanza da tenere a bada i nostri. Ma non comunicano da tempo, vero? Come non fanno i
nostri. Una cosa cambia, tra i vostri e i nostri. Alcuni dei nostri sono tornati indietro."
Morgan ebbe un brivido. Era ovvio cosa doveva essere successo a chi non tornava indietro. "Altri uomini
che delirano?"
"Qualcosa è venuto dall'oceano."
Morgan guardò le monete. "Dall'oceano possono venire solo i rinforzi per voi dall'America latina. Ma non
penso me ne parlerebbe in questo modo."
"Qualcosa."
Morgan scosse la testa spazientito, ma qualcosa lo trattenne dall'andarsene. Il problema non era che non
credeva allo spagnolo. Il problema era che non ne aveva paura. Non aveva paura di una minaccia che
stava venendo a distruggerli tutti, forse perché pensava che lo meritassero, di bruciare, una buona volta.
"Abbiamo delle ottoniere" continuò lo spagnolo "l'unica tecnologia che sia arrivata qui... quelle ottoniere
ci stanno spiegando cosa sta accadendo. Ed è qualcosa di terribile."
"E vi stanno dicendo anche cosa dovremmo fare?"
"Quello invece è ovvio." ci fu un lampo nello sguardo dello spagnolo. La sua vena castigliana nobile che
dardeggiava cercando di affermarsi. "Dobbiamo unirci e combattere il nemico."
Capitolo 106 - Maschera di Ferro a Londra
Londra
Con un ultimo colpo di reni si portò sul tetto. Le spalle cominciavano a dolergli per tutto quel saltellare e
anche a fiato cominciava ad avere problemi. Credeva di avercela fatta, ma quando sentì le tegole che si
smuovevano dietro di lui si girò con espressione rassegnata. "Non molto dignitoso per signori come voi."
Le guardie si assestarono sul tetto scivoloso e tirarono fuori le pistole. Sapevano di essere troppo lontani
per essere certi di colpirlo, ma non sembravano molto sicuri di voler avanzare. "Fermo!"
Maschera di Ferro conosceva quelle pistole quasi meglio delle guardie, indietreggiò ancora un passo, fino
al bordo. "La tenacia non basta per prendermi."
I soldati spararono, ma furono lenti. Lui si era già buttato di sotto. Si aggrappò a un davanzale, stette a
sentire i due che imprecavano e si lamentavano e poi capì che non sarebbe bastato quello a scoraggiarli.
Chiedendo l'ennesimo sforzo alle sue spalle tornò a issarsi su, mentre staccava dalla sua cintura un
piccolo sacchetto e lo gettava avanti a sé. Quando fu nuovamente in grado di mettersi in piedi i soldati
stavano tossendo per aver respirato il fumo uscito dal sacchetto. "Non vorrei farvi del male." fece lui,
tirando fuori la spada.
I soldati erano ligi al dovere. Strinsero i denti e tirarono fuori a loro volta le spade. C'era troppo vento, sul
tetto, il fumo si sarebbe diradato in fretta. "Sei in arresto, Valerius Demoire!"
"Vorrei ben sapere per cosa!" si lamentò. Poi attaccò, perché erano comunque due contro uno e il
vantaggio della sorpresa gli pareva prezioso. Andò praticamente addosso a uno e lo spintonò, quando vide
l'altro avvicinarsi si scostò e gli menò un fendente al polpaccio. Lo vide cadere rapidamente in ginocchio.
"Se aveste l'intelligenza di ascoltare i messaggi forse la smettereste di darmi la caccia così e cerchereste i
veri responsabili delle vostre sventure." disse.
C'era ancora un soldato in piedi, lo attaccò e si trovò a parare. Incrociarono le spade per un po'. Il soldato
era robusto, calava l'arma come un fabbro, ma non aveva stile. Maschera di Ferro doveva solo impegnarsi
affincé la sua lama scivolasse via. Alla fine riuscì a farla scivolare abbastanza aperta da entrare nella sua
difesa. Si limitò a ferirlo al braccio, costringendolo a lasciar cadere la sua arma. Dopodiché indietreggiò.
"Perché giovani come voi, a questo punto, non si uniscono alla guerra? C'è un ottimo fronte dove
combattere persone peggiori di me."
"Cosa interessa mai della guerra a un brigante come te?"
Maschera di Ferro si passò un dito sulla fessura che rappresentava la bocca sul suo volto di metallo. "Oh,
non immaginate nemmeno quanto mi interessi."
Detto questo diede le spalle ai suoi uomini, prese velocità e saltò al tetto successivo. Si girò un'ultima
volta, tanto per essere sicuri che avessero desistito all'idea di inseguirlo e poi finalmente si dileguò nella
notte.
Capitolo 107 - La battaglia di Francine
Fronte francese
Francine passò davanti due volte alla fila di sette piloti, il suo plotone. Non aveva senso creare gruppi di
myrmidon più grandi di otto elementi, il passaggio degli ordini attraverso le ottoniere diveniva
confusionario e i giganti di metallo avevano bisogno di troppo spazio per muoversi. Così le direttive
dell'esercito erano raggruppare i mezzi ancora in buono stato dopo le ultime battaglie in plotoni di otto.
Erano riusciti a crearne tre, Francine ne comandava uno.
"Siete sopravvissuti alla guerra." disse ai piloti, fermandosi in mezzo alla riga e indietreggiando di un
paio di passi, per vederli tutti. "Siete soprassissuti perché siete stati fortunati, ma almeno adesso sapete
com'è fatta. Quello che avete visto vi aiuterà a sopravvivere ancora."
I soldati erano a disagio. Erano a disagio perché lei era una donna? Da escludere. Francine non era
abituata a quel tipo di emarginazione. Nessuno aveva mai badato al suo sesso. Prima dei pregiudizi
veniva la paura. Chi aveva avuto modo di veder combattere l'Orleans di Francine Valery Santaroche
finiva inevitabilmente per avere paura di lei. E l'Orleans, con i fregi diversi dagli ORL e il braccio destro
più sofisticato, spiccava sempre, sul campo di battaglia.
"6 ORL e 2 Arabesque. C'è abbastanza ferro qui da far tremare la terra. Solo pochi anni fa questo
manipolo di macchine avrebbe potuto schiacciare un esercito. Ma non oggi." continuò "Oggi ci troviamo
di fronte a un nemico forte quanto noi, spietato, feroce. Il nemico di sempre. Il nemico che non abbiamo
mai smesso di combattere, anche quando ha cercato di farci credere il contrario."
Il silenzio era ghiacciato, irreale. Alle spalle degli uomini, gli otto myrmidon schierati. L'alba era spuntata
da pochi minuti, anche loro erano ombre sbiadite all'orizzonte, ombre enormi, bloccate in posizioni
innaturali, come sul punto di fare qualcosa.
"Da oggi prendo il comando di tutti voi. Non vi chiederò di uccidere per me. Non vi chiederò di morire
per me. Vi chiedo di fare quello che sapete fare meglio, vi chiedo di sopravvivere. Sopravvivere senza
mai, mai voltare le spalle davanti al nemico." Francine sorrise, un sorriso sghembo che la faceva sembrare
quasi mascolina "E questo significa che dovrete combattere."
Fece un secco saluto militare, i sette uomini risposero, dopodiché diede il rompete le righe. Mentre gli
altri tornarono alle loro mansioni, uno solo rimase nei paraggi di lei e dei myrmidon e le si avvicinò
quando furono finalmente soli. "Perché tutto questo impegno in questa guerra?". Villeneuve, uno dei due
piloti di Arabesque del plotone.
"Non capisco il senso di questa domanda" rispose lei, mantenendo il distacco tra comandante e
sottoposto, seppellendo quello che sapevano.
"Pensavo avesse capito che quello che accade qui non ha importanza."
Francine schiaffeggiò il soldato, da lontano sarebbe potuto sembrare che lui le avesse fatto una battuta
sconcia e che lei si fosse offesa, ma gli occhi della ragazza, in realtà, bruciavano di qualcosa di molto più
profondo. "Sono morte centinaia di persone in questo luogo. Quello che sta accadendo qui ha
importanza."
"Ma Valerius..."
"C'è chi sta per salvare Valerius. E mentre lo aspetto impedirò che qualche pazzo trasformi la mia patria
in cenere, se non le dispiace."
Capitolo 108 - La caccia ai mutanti
Germania
I due Arabesque avanzavano lenti scostando gli alberi con facilità. Considerando che la straordinaria
potenza di fuoco del myrmidon era tutta installata sulle spalle della macchina, le sue braccia
funzionavano sostanzialmente come due benne di ruspa e i piloti più capaci sapevano usarle per farsi
spazio.
Francesco Pupo Torvergata camminava in mezzo ai myrmidon come in una amabile passeggiata, i due
esecutori solo un passo indietro. Non sembrava particolarmente nervoso.
"Gli attacchi sono cominciati all'incirca a questo punto." disse dall'altoparlante uno dei piloti.
L'inquisitore scrollò le spalle, scovò un tratto di foresta ridotto in cenere poco avanti, una ferita nel
labirinto verde. "Capisco." sussurrò, quasi annoiato.
Uno degli esecutori ticchettò.
"Si, uno solo. Sono lontani da qui. Fanno molta strada per attaccare. Sono prudenti."
Entrambi gli esecutori ticchettarono.
"No, dobbiamo subito agire."
Uno dei due arabesque, intento a fare un passo, si bloccò con la gamba a mezz'aria. L'enorme massa della
macchina oscillò, mentre sembrava che il suo pilota si divertisse a sfidare l'equilibrio lasciandolo in quella
posizione precaria.
"Non risponde più all'ottoniera!" disse l'altoparlante dell'altro, già spaventato.
Francesco Pupo guardò la macchina immobile. Trovare una mente umana in mezzo a tutto quel ferro non
era affatto facile, almeno per lui. Pensò cosa volesse dire per il pilota di un myrmidon, chiuso in una
macchina non molto diversa da quella.
"Dobbiamo ritirarci!" continuò a berciare l'altro pilota "O saremo tutti morti."
I due esecutori si aprirono, schierandosi uno davanti e uno dietro le due macchine.
"Mi hai sentito maledetto barbogio! Dobbiamo andarcene cazzo! Andarcene subito!"
Francesco Pupo sentì il click delle sicure del myrmidon che scattavano, abbandonò lo studio del
myrmidon paralizzato e guardò verso l'altro, cercò quella mente. "Un piano astuto."
"BASTARDO! BASTARDO! BASTARDO! CI FAI AMMAZZARE TUTTI! CRE..."
Il myrmidon ebbe uno scatto, la sua schiena si piegò facendo puntare tutta la sua artiglieria verso l'alto.
Una salva completa di colpi esplose verso il cielo in una festosa fontana di fiamme.
Uno dei due esecutori aveva uno dei propri guanti di ferro appoggiati sulla gamba dell'Arabesque.
Ticchettò.
"Addormentalo, stai solo attento che non lasci qualcosa di questo bestione acceso."
In quel momento il myrmidon paralizzato si mosse, ma nella maniera sbagliata. Il suo equilibrio già
precario collassò, i giroscopi iniziarono automaticamente a cercare l'assetto, con poca fortuna. La
macchina crollò in ginocchio, allargò le braccia per arrestare la caduta e si bloccò in una posizione
grottesca, piegata in avanti, la faccia a terra, come un gesuita davanti Sua Santità il Papa.
Finalmente, Francesco Pupo Torvergata avvertì i passi.
Lui e i due esecutori si voltarono verso la direzione del suono, aguzzarono lo sguardo, presto videro la
valanga di metallo del konsole venire verso di loro ad alta velocità, sulle quattro zampe come un animale,
il suo sguardo ghignante acceso come un tizzone appena tolto dal camino.
Gli esecutori alzarono le braccia verso l'alto, dai loro ugelli installati sulle braccia uscì un denso fumo
nero che in pochi secondi coprì tutto. Si trovarono tutti immersi in una densa nebbia scura che aveva
divorato la foresta e aveva fatto sì che della macchina non rimanessero che i suoi passi.
Francesco Pupo Torvergata sapeva che togliere il contatto visivo a un mutante dava un vantaggio limitato,
che però nel suo caso era determinante. Sentì gli artigli psichici del pilota arrivargli addosso, li lasciò
entrare, lasciò che si aggrappassero alla sua mente e poi vi si avvinghiò a sua volta. Ora non era un
problema trovare la mente all'interno di tutto quel metallo. Ora aveva un filo diretto con essa.
Gli esecutori si connessero a lui e reagirono, attraverso il contatto psichico riversarono odio e paura.
I passi ritmati e pesanti del Konsole si incepparono come un tamburo sfondato, divennero doppi, tripli,
persero ritmo. Francesco vide la macchina emergere dal fumo ormai lanciata verso un albero. La guardò
schiantarsi, rotolare come un gatto zoppo e aggrovigliarsi su sé stessa.
Mentre gli esecutori tenevano fermo il pilota lui si avvicinò. L'abitacolo si aprì quando lui era ormai nei
pressi. Vide il volto di una ragazza emergere dalle strumentazioni del gigante di metallo. La ragazza
aveva gli occhi sbarrati e si teneva una mano sul cuore, come se cercasse di rallentarlo a forza.
"Dobbiamo parlare." disse lui.
Capitolo 109 - Lo sbarco
Varco di Calendimaggio
Germaine scese dalla barca e si paralizzò. Era scesa per prima, come se comandasse lei la spedizione, ma
chi era lei per comandare una cosa del genere? Il vecchio, d'altronde, non si era mosso quando erano
approdati e tutti gli altri invece si erano girati a guardarla. Scendere era un atto naturale, ma perché le
erano venuti dietro?
Ethienne le venne accanto e la toccò dentro, una spinta virile da camerata "Cos'è? Abbiamo sbagliato
isola?"
Lei si guardò intorno. Fango, le avevano parlato del fango e il fango decisamente era lì. "No, non credo."
Tutti i soldati presero a schierarsi, le avevano spiegato che i buoni soldati non avevano bisogno di un
comandante per essere ordinati, ma lei era preoccupata del fatto che non ne avessero uno per niente. Urlò
come per scacciare la paura. "Ci aspettiamo nemici! Tenete pronti i fucili!"
L'isola sembrava priva di vita, impossibile credere che ci fossero nemici da quelle parti, ma lei sentiva
che quella missione doveva finire con una battaglia, era qualcosa che era stato scritto. Cominciò a
marciare e si sentì una mano sulla spalla. "Il sentiero a destra è il più diretto, ma ci espone. Andiamo a
sinistra." Era la prima volta che il vecchio le parlava sul serio, le si era messo a fianco e subito lei si sentì
più rassicurata. Non era sola, almeno, e in qualche modo dal vecchio sprigionava un'aura quasi magica,
che andava oltre la sua anzianità e la sua sicurezza. Anche quel suo essere impossibile da definire,
dall'immagine sfuggente, significava che non l'avrebbe mai colpita al punto di farle male, significava che
era una presenza non ingombrante.
Cominciarono a marciare. In passato Germaine era stata spesso terrorizzata dalla marcia, perché sapeva di
rimanere indietro e soffrire. Era indubbiamente ciò in cui il suo fisico da ragazzina la penalizzava di più. I
suoi soldati avanzavano di buon passo, ma lei stava tenendo, gli stava a dietro bene e non sentiva di dover
cedere. Era cresciuta molto, aveva sofferto molto, ma provò una specie di moto d'orgoglio.
A un certo punto arrivarono a uno spuntone. La strada scendeva, ma il vecchio si portò sul bordo della
sporgenza di roccia e lì si accasciò. Lei fece altrettanto e vide, sotto di se, una specie di largo sbrego nel
suolo, una bocca buia. Da una parte la parete era spiovente, dall'altra il terreno vi entrava dentro con una
curva dolce, quasi fosse una lingua.
"Francine è caduta lì?" chiese Germaine, come se il vecchio dovesse sapere tutto di Francine.
"Era molto diverso allora, suppongo."
"E chi l'ha cambiato?"
"Loro."
Dalla buca risalirono arrancando due figure incappucciate, chiuse in mantelli viola, estremamente esili e
all'apparenza disarmate. Sembravano annoiate, intente in attività di routine. Impossibile vedere i volti.
"Preparatevi." disse Germaine
Capitolo 110 - Trincee vuote
Spagna
ll primo ufficiale di Morgan alzò un braccio. Duecento metri alla sua destra, un soldato spagnolo rispose
al segnale. Dopodiché tutti tornarono ad acquattarsi nelle trincee. Il primo ufficiale, nel farlo, scivolò e
finì in ginocchio.
"Non sei lucido, ragazzo." gli disse Morgan, con quella ruvida benevolenza che usava sempre. Erano
insieme da quando la campagna di Spagna era cominciata, veder sopravvivere così a lungo una persona
era sempre una benedizione.
"Io... no signore."
"Dimmi cosa c'è. Non abbiamo più molto tempo."
"Questa è... diserzione, signore?"
Morgan aveva preso il comando di una compagnia e l'aveva mossa verso Ovest. Il comandante spagnolo
aveva fatto altrettanto. A chi era rimasto erano state lasciate consegne di mantenere la situazione statica, il
che era da una parte un insulto alla guerra, dall'altra parte un'ipocrisia. La situazione non cambiava da
settimane. Morgan si chiese dove fosse la linea di demarcazione con la diserzione e non la trovò. "Stiamo
muovendoci verso ovest dove abbiamo rilevato che il fronte è scoperto. Il nemico fa altrettanto e ne
stiamo tenendo sotto controllo le mosse. Stiamo evitando che ci accerchi."
Il suo primo ufficiale abbassò gli occhi "E' una bugia, signore."
"E' una bugia credere che stiamo combattendo una guerra, ragazzo. E' una bugia darci consegna di tenere
una trincea di cui non interessa a nessuno. In questo senso la mia bugia vale come le altre."
Ripresero a marciare lungo le trincee. Trincee vuote. Ricordava che lì avrebbero dovuto trovarsi tre
plotoni di dragoni, sebbene non gli venisse in mente il nome del comandante che avrebbe dovuto guidarli.
E invece non c'era nessuno ad attenderli. E gli spagnoli non sembravano aver avuto maggior fortuna.
"Vuole che ignori questa situazione?" chiese ancora, polemico. Il cuore stava cominciando a battergli
troppo veloce. Era pronto alla guerra, era pronto a morire, ma quello era qualcosa che non aveva senso.
"No, signore."
Morgan era contento di aver ricominciato ad avere paura. La paura significava che era vivo, di nuovo.
Solo che non era più abituato a gestirla. "Facciamo ancora un paio di centinaia di metri. Lì dovrebbe
finire la zona presidiata."
Ripresero a muoversi piano, finché un rumore non li congelò. Un rumore imperioso, come di una
gigantesca tromba, un suono metallico e gonfio che vibrava nell'aria e scendeva a suolo con arroganza,
quasi schiacciando le persone. Un rumore mai udito prima.
"Fucili in mano e attendete ordini!" impose Morgan. Si era già sentito così. Quando aveva visto venirgli
incontro l'elegante macellaio, in Argentina, il primo myrmidon mai creato.
"Signore!" disse il suo primo ufficiale "Lassù."
Tutti i soldati alzarono la testa.
Capitolo 111 - Il tempo di Maschera di Ferro
Londra
L'ottoniera era nascosta sotto dei tappeti, il che rendeva difficile operarla, con le manopole che si
impigliavano nelle nappe e i visori seminascosti.
L'uomo però aveva ben altro da preoccuparsi perché era consapevole che pochi minuti di gracchiare
potevano costargli la vita, se la persona sbagliata o anche solo l'orecchio sbagliato fossero stati in ascolto.
Questo era il motivo della pistola, affatto nascosta, che teneva a portata di mano.
Segnò su un foglio il messaggio, lo lasciò a ripetersi diverse volte, come sempre. La prima volta non lo
capiva mai, la seconda, cominciava a divenirgli chiaro, alla terza ormai aveva tutte le parole. Eppure era
solo quando lo rileggeva che ne capiva il senso, come se i suoni fossero solo suoni, mentre operava la
trascrizione. Le braci del camino erano accese, l'ultima precauzione, il foglietto ci sarebbe finito alla fine
delle operazioni.
Finì di trascrivere, lesse e rilesse, cercò di comprendere. Quando tutto gli fu chiaro, allora nella sua testa
ci fu abbastanza spazio per sentire il rumore alle sue spalle. Afferrò la pistola e la puntò.
"Tardi, amico mio." disse Maschera di Ferro fissando l'arma, con la mano sull'elsa della spada.
L'uomo non abbassò l'arma. "Tu hai esitato per primo."
"Io non sono qui a ucciderti."
"E perché non dovrei ucciderti io?"
Maschera di Ferro si portò in un angolo, si sedette su una poltrona e si tolse la maschera. Il suo volto
rimaneva comunque avvolto nelle tenebre. E comunque il suo volto non aveva importanza. "Perché
uccidermi?"
"Perché stai usando la ribellione di Valerius Demoire per i tuoi scopi, ingannando le persone. Lo
sappiamo che non c'entri niente con i messaggi, li ascolti come noi. Non sei la nostra guida."
Maschera di ferro fissò il volto ghignante della maschera, dopotutto era un volto che lui non vedeva mai.
"E quali sarebbero i miei scopi?"
"Non li conosco! E questo non ti aiuta."
"Io non ho bisogno di aiuto" la voce di Maschera di Ferro era metallica anche senza essere filtrata dalla
maschera stessa "ma voi si. Per questo ti chiedo ancora: ha senso uccidermi?"
"Dove hai intenzione di portarci?"
Il brigante si alzò, si rimise sulla faccia il volto ghignante che molti identificavano con Valerius Demoire.
Si avvicinò all'uomo, senza temere la sua arma. "Forse nello stesso posto dove vuole portarvi Valerius.
Come fai a essere sicuro del contrario? Credi sia arrivato fin qui solo perché sono furbo? La verità è che
nessuno ha mai trovato opportuno intralciare i miei piani, perché hanno sempre coinciso con quelli delle
persone con cui ho lavorato. Come ora coincidono con i tuoi."
"Con la piccola differenza che io so chi sei."
Maschera di Ferro appoggiò un dito sulla canna della pistola e la spostò a puntare il vuoto. "E non l'hai
detto a nessuno."
L'uomo all'ottoniera prese il biglietto con la trascrizione e lo gettò nel fuoco. Appoggiò intanto la pistola
sui tappeti. Rimase a guardare le fiamme. "Il messaggio dice che sono arrivati al Varco di
Calendimaggio."
"Quindi hanno salvato Valerius?"
"Non ancora."
Maschera di Ferro sospirò, un respiro da mantice attraverso la maschera, come lo sfiatare di un piccolo
myrmidon "In ogni caso il tempo è giunto."
Capitolo 112 - All'attacco
Fronte francese
Tre squadre complete, ventiquattro myrmidon. Sedici ORL, otto Arabesque. Per la percisione quindici
ORL e l'Orleans originale della Spada Immacolata di Francia. Delle tre squadre la squadra di Francine
sarebbe stata davanti, quella di sfondamento. Ai loro piedi, irrilevanti, tutti i soldati di cui ancora
disponeva l'esercito, alcune migliaia tra uomini a piedi, a cavallo e artiglieria. L'artiglieria sarebbe servita,
avevano più pezzi degli inglesi e poteva essere utilizzata contro i myrmidon. Tutto il resto doveva
semplicemente evitare di farsi massacrare.
Contro di loro una forza di myrmidon forse di quaranta unità. Impossibile stabilire come avesse fatto
l'industria inglese a sfornare in così pochi mesi un tale numero di mezzi. I tedeschi, che pure erano scesi
in campo prima, non erano riusciti a fare un tale sforzo bellico. Era evidente che ogni fabbrica e ogni
industria inglese si era prestata al progetto e per settimane, incessantemente, tutti i buoni operai inglesi
avevano battuto le armature dei giganti di ferro. Non era una novità, si diceva che era successo qualcosa
di molto simile durante la prima guerra del Vapore. Anche lì sembrava che la Francia non avesse rivali,
anche lì sembrava una guerra facile da vincere.
E alla fine il re era stato impiccato.
Cosa avrebbe fatto Francine, se re Gregoire fosse stato impiccato? Forse niente, forse quello era il minore
degli infiniti problemi che le affollavano la testa. Re Gregoire era un pazzo e un idiota, un fantoccio
guerrafondaio. L'unica cosa a cui serviva era tenere unita la Francia, impedirle di ricadere nella
mortificazione umiliante della Repubblica. Era per quello che lottava Francine. Impedire che la Francia
smettesse nuovamente di essere Francia. E anche se Valerius non avrebbe mai capito non importava,
capiva lei.
"Dicono che se lei chiamasse la ritirata, tutto l'esercito la seguirebbe. E' più importante del generale." le
disse Villeneuve dall'ottoniera.
"Loro mi obbediscono solo perché sanno che non chiamerò mai la ritirata."
"Lei ha una visione sbagliata del suo esercito, madame."
Francine strinse le manopole dell'Orleans. L'attacco era inevitabile e doveva essere rapido. Finché
l'Inghilterra teneva la testa di ponte, dal mare poteva arrivare qualsiasi cosa. Gregoire si era affidato ai
Myrmidon, ma non aveva ancora messo insieme una flotta. La flotta che aveva dato tanta gloria ai
Santaroche e che era stato il perno della prima guerra del Vapore. Sarebbero presto arrivate navi, così si
diceva, ma fino ad allora bisognava far sì che fossero le coste a respingere gli inglesi che scendevano per
la manica.
"Rimanete in formazione fino a mio ordine." disse Francine, aspettando poi che tutti i sette della sua
squadra confermassero di aver udito.
"Cercate sempre di mettere i Valkyrie alle strette e in inferiorità numerica. Li colpiremo direttamente,
lasciando la possibilità all'artiglieria di schierarsi. Ci lanceremo dove sono numerosi. Se andiamo a
contatto sono ferro da buttare." Se veniva a contatto con lei, si, era inevitabile. Purtroppo non poteva
contare su altre spade altrettanto efficaci.
Cominciò a muoversi. I myrmidon avanzavano facendo tremare la terra. A passo di marcia significavano
24 macchine, 48 possenti stantuffi che percuotevano il suolo, lo facevano risuonare con tale imperiosità
che sembrava potesse scoppiare come un palloncino.
"Un'ultima cosa" disse Francine, chinandosi ancor più nell'abitacolo, come per essere assorbita
dall'Orleans "Il Valkyrie rosso è mio."
Capitolo 113 - Il risultato dell'inquisizione
Germania
Reika fissava Klizia attraverso il piccolo vetro della porta della cella, frustrata. La pilota tedesca sedeva
sull'unica sedia presente nella stanza, a occhi chiusi, con le mani ammanettate e una strana coroncina di
metallo intorno al capo. Sembrava serena e Reika voleva raggiungerla per esplorare la sua mente, ma
c'era come della fitta nebbia intorno a lei, più la telepate cercava di penetrarla, più pareva infittirsi. Vista
l'urgenza di sapere si concentrò sulla serratura della porta, con l'intento di aprirla, ma mille aghi di
ghiaccio iniziarono a pungerle la schiena, inducendola a girarsi.
"Mi hanno detto che era qui." disse Francesco Pupo Torvergata, tranquillo. Come in segno di pace, tutte
le sue difese psichiche erano abbassate.
"Certo che sono qui. Devo esaminare la prigioniera. C'è una qualche barriera che non mi permette di
penetrare in lei."
Torvergata sorrise. "Crede che le abbiamo messo quella coroncina in testa per ornamento? La mordacchia
mesmerica paralizza i poteri della ragazza e, allo stesso tempo, la protegge dai poteri altrui."
"Non è modo di trattare un mutante."
Francesco Pupo si sostituì a Reika davanti alla finestrella, a esaminare la prigioniera. "Può lamentarsi con
sua maestà. Può spedire le sue lamentele assieme al mio corposo rapporto sulle informazioni estratte dalla
ragazza. Sui miei risultati."
"Menzogne dettate dalla paura, probabilmente."
"Non ha senso mentire all'inquisizione."
Cadde un momento di silenzio. Francesco Pupo nominava l'inquisizione come fosse un animale, una
bestia al suo guinzaglio, da scatenare contro i suoi nemici. E Reika subiva suo malgrado quel tono di
voce.
"Mi sembra però ardito pensare che..."
"Si, la ragazza conosce l'ubicazione della base dei tedeschi, è abbastanza plausibile, se ci pensa. Non
devono essere molti e devono essere tutti annidiati nel cuore della foresta."
"Ma..."
"E la regina Anna è con loro."
Anna di Baviera, il più ambito premio che l'inquisizione potesse desiderare, la grande ammaliatrice, la
tessitrice di peccato. La mutante che si era infilata nel letto di Re Friederich e lo aveva piegato alla causa,
trasformando la Germania nella patria di quelle sudice creature. L'inquisizione aveva cercato di ucciderla
in diverse occasioni, ma lei non si era rivelata solo una brava meretrice, aveva anche dimostrato grandi
doti di combattimento. I suoi poteri mentali erano famigerati, quasi nessun inquisitore poteva resistergli.
L'unica cosa che confortava Francesco Pupo Torvergata, pensando a lei, era che poteva comunque
bruciare.
Reika si ritrasse. Sembrava in ritardo su tutti i fronti, abbassò il capo. "Vuole rischiare il tutto per tutto?"
"Attaccheremo in forze la base dei tedeschi. Ho già avvertito il generale d'armata De l'Hopital, guiderà lui
stesso la spedizione. I soldati francesi sono in questa terra per quest'unico scopo: schiacciare i tedeschi. E
stavolta lo faranno una volta per tutte."
Capitolo 114 - Serpenti che muoiono
Varco di Calendimaggio
Attaccarono mentre cercavano di scendere verso il varco. Non uscirono da lì, non dallo squarcio che loro
avevano notato, ma da altre aperture laterali, più piccole, di cui l'isola sembrava essere piena. All'inizio,
finché ebbero la sorpresa, furono in vantaggio, quattro soldati caddero senza nemmeno accorgersi di cosa
stava accadendo, ma presto la loro tattica si rivelò folle. I francesi, schierati e con i fucili puntati, li
falciavano come animali. Ce n'erano già otto a terra.
Le loro armi erano bizzarre. Piccole come pistole, le loro canne erano larghe e piatte e di colore troppo
chiaro per essere del metallo solitamente impiegato per le armi da fuoco. Il loro sparo era una specie di
metallico tossire e non faceva fumo. Chi veniva colpito sentiva bruciare in un'area più vasta di quella di
un semplice proiettile e la ferita aveva la bizzarra forma di una croce.
Erano armi che non venivano ricaricate, ma nonostante questo vantaggio, i loro nemici cadevano. A un
certo punto nessuno uscì più dalle buche per attaccarli.
"Perché l'hanno fatto? Perché attaccare così?" chiese Germaine. Aveva abbattuto personalmente uno dei
nemici, le sue mani tremavano, il suo cuore batteva forte.
"Perché sono disperati. Spaventati e disperati. Non erano soldati." le rispose Ethienne, che era rimasto al
suo fianco tutto il tempo.
Uno dei soldati, vicino a un cadavere, cacciò un urlo e chiamò tutti a raccolta. Per evitare che la
situazione degenerasse, il vecchio arrivò prima degli altri e impose a tutti di attendere mentre si chinava a
esaminare il corpo. Germaine gli si fece timidamente vicino. "Cosa..."
Non era un uomo. E non importa quante razze di uomini voi possiate aver visto. Non era una razza
umana. Il suo corpo era coperto di sottili squame di colore smeraldino, il suo volto era privo di naso, i
suoi occhi, sebbene chiusi, apparivano larghi come monete. Privo di qualsiasi tipo di peluria, il suo cranio
era schiacciato. Tutto ricordava i tratti di un serpente.
Il vecchio lo osservava piano senza parlare. Alla fine lo ricoprì della sua tunica, perché se ne vedesse il
meno possibile. "Andiamo a salvare Valerius."
"Aspetta!" lo fermò Germaine. "Cosa sono?"
Il vecchio la guardò scuotendo la testa. "Quando Valerius sarà in salvo potremo parlarne, non credi?"
Germaine si girò verso i suoi uomini. Erano spaventati, nonostante avessero fatto mattanza di quei mostri
vedere la loro divesità pareva atterrirli. Lei era spaventata? Come poteva non esserlo? Eppure l'aveva
sempre saputo che c'era qualcosa di demoniaco in quello che stava combattendo. Lo aveva sentito anche
alla Maison fredière, dove Valerius era stato preso.
"Muoiono se gli spari." disse Ethienne, rivolto un po' a tutti "Questo è importante"
Nessuno ribatté, Germaine gli prese un braccio e lo trascinò con sè "Al varco." ordinò. E tutti la
seguirono, sebbene non fosse compito suo dare ordini.
Capitolo 115 - Attacco dal cielo
Spagna
Una parte del cervello di Morgan pensò che doveva trovare riparo.
Un'altra parte realizzò che, trovandosi in una trincea, era già al riparo.
Ma la realtà che Morgan sentiva con le viscere, con lo stomaco che si chiudeva, col cuore che gli
rimbombava nelle tempie era che riparo non ce n'era.
Nessuno aveva mai dovuto cercare riparo da una macchina volante.
Quanto poteva essere grande? Il fatto di fluttuare placida a mezz'aria distorceva la prospettiva, sembrava
vasta come una piccola isola, ma probabilmente era lunga solo un paio di centinaia di metri. Aveva una
bizzarra forma a triangolo e dal suo ventre uscivano come delle torri capovolte, in cui erano aperte
fessure. Tra le torri erano stese liane o cavi o corde o comunque qualcosa che le teneva assieme. Le corde
si muovevano, pulsavano, guizzavano, come se dentro ci stesse scorrendo qualcosa.
Era una macchina, era indubbio, luccicava di metallo, era squadrata, le sue superfici erano il frutto della
mano di un fabbro, ma allo stesso tempo era così grande, così pulsante che non poteva essere solo una
macchina, non esisteva forza tecnologica in grado di infondere movimento in una cosa così gigantesca.
Morgan avrebbe quasi creduto più credibile che al centro di quell'enorme architettura ci fosse legata una
balena e che il suo enorme cuore permettesse tutto quello.
Si muoveva, senza rumore, verso di loro.
"Comandante..." disse il primo ufficiale.
Morgan riconobbe la sensazione che aveva provato sentendo i passi dell'elegante macellaio, moltiplicata
centinaia di volte. "Nascondiamoci! Nascondetevi tutti! Trovate riparo!"
"Ma signore!"
Non aveva più importanza essere vigliacchi "SCAPPATE, PER L'AMOR DI DIO!"
Gli uomini che aveva portato dietro, di fronte al suo atteggiamento, persero coesione. Li vide mollare le
file e andare ognuno in una direzione diversa. Fu grato del loro comportamento, in questo modo c'era
forse qualche possibilità che qualcuno di loro si salvasse. Lui stesso volse le spalle alla macchina e
cominciò a correre, il primo ufficiale dietro di lui, patologicamente attaccato a lui.
La macchina volante cominciò a fare qualcosa. Impossibile dire cosa. Ma sotto di lei il terreno pareva
scaldarsi, l'aria bollire, il riverbero dovuto all'intenso calore deformava le immagini. Erano come ondate,
come folate di vento. Venivano già dalla nave volante e si schiantavano al suolo. Bruciavano qualsiasi
cosa incontrassero. Morgan, con la coda dell'occhio, vide un soldato divenire cenere per essere finito
inavvertitamente nel raggio d'azione dell'onda.
Rifletté su quello che aveva detto lo spagnolo. Nessuno era rimasto lì nell'ovest. Di chi era andato a
controllare nessuno era tornato.
Fu consapevole che presto sarebbero morti.
Capitolo 116 - La maschera cade
Londra
Il consiglio ristretto d'Inghilterra saliva le viscide scalinate della torre di Londra col disgusto e la
circospezione di chi non ha mai dovuto avvicinarsi al crimine veramente, ma ha sempre potuto giudicarlo
da una posizione elevata, da cui esso appare solo come una fastidiosa macchia scura, senza il fetore dei
nidi da cui proviene, senza la lascivia di cui è cosparso.
Ma, avevano detto i gendarmi, non esisteva altro luogo dove trattenerlo in sicurezza.
Arrivarono nella camera che era stata adibita solo per lui, camera svuotata dei criminali che prima vi
erano residenti. Impiccati? Liberati? Poco importava. Non doveva vederlo nessuno, non doveva parlare
con nessuno.
Il primo ministro Hipster fu il primo ad apparire, strappò le chiavi al carceriere e aprì la cella.
"Attenzione." disse dietro di lui il capo delle guardie.
"Perché? Non lo avete legato abbastanza?"
Era fissato contro il muro. Un'asse di legno era stata inchiodata tra i mattoni di pietra. Sull'asse degli
anelli. Negli anelli i suoi polsi, a tenergli le braccia larghe, come crocifisso, come in una grottesca parodia
di accogliente abbraccio.
"Dunque alla fine non era così difficile." esclamò Lancaster, mettendosi quasi accanto a Hipster. Quasi.
Un passo indietro. Nel caso il legno, gli anelli e le catene, per un secondo solo, smettessero la loro
funzione.
"Lo era." disse cupo il capo delle guardie. "Sono morti quindici uomini."
"E quanti dei suoi?"
"Quali suoi? Combatteva da solo."
Mary Ann Deuforth, che in parlamento teneva testa e dominava torme di uomini con il piglio del
condottiero, improvvisamente si riscoprì donna e si portò un fazzoletto alla bocca. Non parlava, a disagio
in quella situazione così diversa da quello che si aspettava. Trovava quasi insensato essere lì, dietro quella
piccola cosa, mentre i dispacci che le giungevano erano allarmanti. I francesi bloccavano lo sbarco dei
Valkyrie, degli orribili inquisitori italiani rischiavano di spezzare la resistenza tedesca.
Cromwell, ministro degli interni, sembrava quello più disgustato dalla situazione. Sudava copiosamente e
si stropicciava freneticamente le mani. Poi continuava a muoversi, fuori dalla cella, senza il coraggio di
entrare, come una mosca fastidiosa. "Perchè? Perché ha ancora su la maschera?" chiedeva, ma a bassa
voce, tanto che le prime due volte che lo chiese tutti lo ignorarono.
"Dobbiamo decidere in fretta." sentenziò Hipster "Il popolo è già in subbuglio per conto suo. Questa
vicenda va chiusa rapidamente."
"Concordo." disse Lancaster.
"Si, così torneremo a occuparci di ciò che conta." aggiunse la Deuforth.
"Per quale maledetta ragione ha ancora la maschera!" gridò invece alla fine Cromwell, zittendo tutti gli
altri.
"Nessuno ci ha detto di togliergliela." ammise il capo delle guardie.
Hipster andò dall'uomo legato, senza paura. "Nessuno vi dice di togliergliela e voi gliela lasciate addosso?
Nemmeno un po' curiosi?"
"Curiosi, signore?" chiese ancora il capo delle guardie.
Hipster appoggiò le dita sulle tempie dell'uomo legato, palpò i contorni della maschera, trovò le chiusure,
le fece scattare. Con un paio di strattoni smontò i meccanismi. Un pezzo, il sottogola, cadde a terra
tintinnando. Strattonò via il corpo principale. "Curiosi di vedere il volto di Valerius Demoire."
Capitolo 117 - Le fiamme della battaglia
Fronte francese
Francine aveva gli occhi sul Valkyrie rosso e non vedeva nient'altro intorno a lei. Stavano vincendo?
Stavano perdendo? Impossibile dirlo. L'ultima cosa che aveva percepito era che il Valkyrie rosso la stava
portando lontano dal campo di battaglia e stava continuando ad accelerare, mettendola alla prova. Sapeva
che il Valkyrie presto sarebbe stato troppo veloce per lei e la sua mente pensava a come risolvere quel
problema. Purtroppo il terreno pianeggiante non le dava molte alternative.
A un certo punto il Valkyrie rosso la sorprese. Piantò il piede a terra, si girò, si rannicchiò su sé stesso e
avviò la procedura del fucile. Dall'ultima volta che avevano combattuto gli sembrava più veloce, d'un
tratto si trovò a guardare la bocca dell'arma da fuoco. La detonazione le arrivò alle orecchie assordante, si
gettò di lato, ma la palla la colpì alla spalla, fortunatamente al braccio senza spada. Crollò a terra, rotolò
un paio di volte mentre l'intero arto si squarciava e si lacerava e alla fine saltava via. Con presenza di
spirito riuscì a rimodulare la posizione delle gambe prima del terzo rotolamento e usando la spinta
completa dei motori si ritirò in piedi.
Il Valkyrie rosso era già nuovamente pronto a colpire. Sparò, ma questa volta aveva preso la mira meno
accuratamente, eccitato all'idea di annientarla. Lei si accovaciò, schivò, ripartì in avanti.
Il braccio mancante minacciava il suo equilibrio. Non poteva più contare sui giroscopi per andare dritta,
doveva gestire il passo in maniera manuale. Ma aveva dalla sua la distanza che si riduceva sempre più,
mentre il Valkyrie rosso sembrava non avere pronta una contromossa. Sapeva che gli avrebbe presentato
gli scudi e alzò la spada prima. La lama colpì in pieno la canna del fucile, la deformò e la mozzò di alcune
decine di centimetri.
Rimasero a guardarsi mentre indietreggiavano entrambi. Il Valkyrie rosso modificò la presa sul fucile, lei
cercò di riprendere l'assetto corretto. Finché riusciva a tenerlo a distanza ravvicinata era in vantaggio.
Invece no. Il Valkyrie rosso avanzò e brandì il fucile come una mazza, dall'alto in basso, con più potenza
di quanto potesse sviluppare un ORL e, nuovamente, più velocità. Francine reagì di puro istinto, alzò la
spada sopra la sua testa, la tenne rigida. Parò il colpo, lo sentì trasmettersi lungo il manicotto, lungo il suo
braccio, lungo le sue ossa. Prima che il dolore la soffocasse agì, girò sul piede, appoggiò il moncherino
dell'altro braccio sul corpo del Valkyrie rosso e spinse. L'ORL era più leggero dell'inglese, ma aveva tutta
la spinta possibile. I suoi sfiatatoi lanciarono una lunga fumata bianca mentre trascinava il suo nemico a
terra.
"NO!" le arrivò dall'ottoniera, semplice, feroce. "NO!"
Andarono a terra. Nemmeno Francine sapeva cosa sarebbe successo dopo. La semplice gravità la favorì,
il Valkyrie rosso si schiantò, il corpo intero dell'Orleans gli si riversò sopra in una martellata di metallo.
Francine vide tutti i sistemi saltare, la sua console si stava spegnendo come le stelle della galassia il
giorno della fine del mondo.
Il braccio le faceva più male del solito. Forse era lussato. Strinse i denti, urlò, comandò l'arma ad alzarsi e
poi ad abbassarsi. Di punta riuscì a penetrare il nemico al petto, scavare nel metallo e poi uscire dalla
testa.
"NO!" gridò un'ultima volta il pilota della morte rossa.
Poi le fiamme avvolsero entrambi.
Capitolo 118 - Scacco alla regina
Germania
Francesco Pupo Torvergata cavalcava accanto al generale De l'Hopital che non faceva mistero di trovare
l'inquisizione inquietante, il cerchietto di metallo intorno alla sua testa scomodo e, soprattutto, la
compagnia degli esecutori insopportabile.
La colonna comprendeva un vero e proprio esercito a cui era stato unito un contingente di una decina di
myrmidon, tra ORL e Arabesque. Non c'erano mordacchie mesmeriche per tutti, erano state date a De
l'Hopital, a tutti i piloti dei giganti di ferro e agli ufficiali. Il resto, diceva Francesco Pupo, sarebbe stato
protetto dalla confusione. Ovviamente né lui né gli esecutori avevano addosso niente.
Francesco Pupo credeva di trovare nel generale De l'Hopital un campione della guerra, dopotutto era uno
dei fondatori dei moschettieri di ferro e uno di quelli che aveva colpito più duramente la vecchia
repubblica per restaurare Re Gregoire. Era anche uno dei fautori della conquista della Germania. Eppure
era un uomo segaligno, non molto alto, dalle dita lunghissime e gli occhi piccoli. Il cavallo era enorme
sotto di lui e anche l'esercito sembrava qualcosa destinato a sfuggire al suo controllo. Ma tutto ciò doveva
nascondere una mente acuta, lo si capiva dal modo in cui osservava ogni cosa in modo penetrante.
"Se mi spiegasse le sue perplessità potrei chiarirle la situazione, generale." gli disse, mentre avanzavano
nella foresta.
"Perplessità?" fece lui "Un agguato a un covo di ribelli. La sua strategia mi sembra pulita, inquisitore.
Tutti i miei strateghi la approvano. E finalmente ci libereremo di questi sgradevoli tedeschi."
"Ma?"
"Per esempio madame Reika ha detto di lei peste e corna."
Francesco si esibì nella sua consueta risata senza umorismo. "Oh, un mutante che parla male
dell'inquisizione..."
"Non è quello. Reika dice che lei la ostacola... esplicitamente."
Francesco apparve quasi imbarazzato "Purtroppo la mia formazione... mi induce a diffidare di lei."
"E poi la enorme quantità di informazioni che ha tratto da un unico pilota."
Uno degli esecutori si affiancò ai loro cavalli, cominciò a ticchettare. Quello bastò per far tacere il
generale.
Anche Francesco, a suo modo, parve infastidito da quell'intervento. Cercò di far cessare i ticchettii con un
gesto della mano. "Siamo molto lontani da Berlino, ora."
De l'Hopital parve sollevarsi, vedendo l'esecutore andare avanti. "E poi per come l'ha studiata... è
cosciente che sarà un massacro?"
"Un'azione efficace."
"Spargeremo sangue reale."
"Che non avrebbe mai dovuto mischiarsi a una corona."
Tacquero, i myrmidon stridevano intorno a loro nell'avanzare.
Alla fine parve che Francesco fosse combattuto se lasciare il discorso in sospeso o chiuderlo. Decise di
chiuderlo per il dovere dell'abito che indossava.
"Sarà semplicemente un rogo benedetto, generale."
Capitolo 119 - Dentro il varco
Varco di calendimaggio
Non era un buco.
Germaine si era chiesta cosa volesse dire scivolare in un piccolo buco, fino a scomparire alla vista di tutti
e lì rimanere, consapevoli di non poterne uscire, preparandosi a morire sepolti vivi. Si vergognava, ma la
notte stessa che aveva appreso la storia di Francine aveva avuto proprio quell'incubo, si era svegliata col
cuore in gola e non era più riuscita a dormire.
Per tutti questi motivi non si aspettava di trovare Valerius al varco di Calendimaggio, ma solo qualcosa
che lui vi aveva lasciato, un piccolo oggetto che li avrebbe guidati a salvarlo. Aveva capito che non era
così quando aveva visto lo squarcio nella terra, arrivando, ma quando poi avevano cominciato a scendere
le cose erano andate ben oltre la sua immaginazione.
"Lisce." disse Ethienne, facendo scorrere una mano sulla parete del cunicolo che stavano percorrendo. Un
cunicolo che presto diventò una vera e propria ampia galleria in cui il loro plotone stava agevolmente.
"Non c'è grotta che sia fatta così." si lamentò lei, scuotendo la testa.
"Ma è così che qualcuno la costruirebbe." disse il Vecchio, dietro di lei. Lo scontro con i rettili lo aveva
reso loquace.
Stavano continuando a scendere. Germaine si chiese tra quanto sarebbero arrivati sotto il livello del mare
e se a quel punto si sarebbero trovati con l'acqua alle caviglie. Non sembrava plausibile, più avanzavano,
più l'ambiente che incontravano era asciutto, pulito e rigoroso, artificiale. Ma artificiale in un modo che
Germaine non aveva mai visto, nemmeno nella grande fabbrica di Myrmidon d'Argentina dove era stata
addestrata.
"Scavano e manipolano la roccia" continuò a dire il Vecchio "in modo che nulla si veda in superficie. E'
vitale che nulla si veda in superficie."
"Perché?" Germaine cominciava a trovare il vecchio irritante.
"Perché lui non può essere sconfitto."
Ethienne fece scattare rumorosamente il cane del suo fucile. "Ottimo, il vecchio è uscito di senno. Bhe,
sarà solo il primo di molti di noi."
"Il primo di tutti, in questa guerra."
"FERMI!"
Sentirono dei passi. Passi tranquilli, pacati, come si possono sentire alla corte di un re o intorno alla sala
da pranzo di un nobile.
"Puntate!" suggerì precauzionalmente Germaine. "Puntate in direzione del tunnel."
Un uomo di mezz'età, dal volto gioviale, spuntò dal tunnel venendo verso di loro. "Come siete arrivati
qui?" chiese, senza dare impressione di rabbia e paura.
"Siamo qui per salvare Valerius Demoire." affermò di getto Germaine. "Chi sei tu?"
L'uomo sconosciuto si leccò le labbra. "Mi ricordo di te, ragazzina, su quell'enorme macchina francese.
Al fianco del Danse Macabre."
"Tu ti ricordi... e dove mi avresti visto? Parla!"
Tutto il corpo dell'uomo era scosso da movimenti inconsulti, come se sotto i suoi vestiti si agitassero
cose. Persino la sua faccia, flaccida, era attraversata come da ondate.
"Quando veniste a trovarmi a maison Fredière"
E detto questo, il corpo dell'uomo cominciò a gonfiarsi e qualcosa crebbe sulla sua schiena, enorme e
deforme, fino a toccare la volta di roccia.
Capitolo 120 - La battaglia impossibile
Spagna
Morgan e il suo primo ufficiale erano rimasti soli, si erano rintanati in un tunnel che probabilmente gli
inglesi avevano scavato per raggiungere gli spagnoli non visti. Era una sudicia galleria meno di un metro
sotto terra, buia e pronta a crollare da un momento all'altro. Morgan vedeva l'altro soldato come una
sagoma, con la poca luce che filtrava dall'ingresso.
"Siamo al sicuro qui?" disse il primo ufficiale.
Morgan provò la risposta tre volte, poi rinunciò.
"Siamo al sicuro?" provò a chiedere di nuovo quello, ottusamente.
"Io dico che non ci vede."
"Ma cosa vuol dire? Siamo protetti, no? Siamo sottoterra."
Avrebbe potuto farglielo credere, ma perché? Era certo di non riuscire a spaventarlo di più. "Non so che
arma stia usando. ma vedendo quello che fa credo che dovremmo essere molto più sotto. Quella cosa, se
arriva, ci cuocerà come polli."
Il primo ufficiale lanciò un gemito, lui gli prese la mano "... però credo che non possa vederci. E se non
ha altro motivo per sparare qui, non sparerà. E allora ci salveremo."
Sentirono un rombo lontano, era il rumore che avevano associato al momento in cui la nave volante
sparava la sua onda di calore. Il rombo durò meno delle altre volte, solo pochi secondi. Non avevano
sentito grida, ma sapevano che non voleva dire che quella cosa non avesse colpito qualcuno.
"Perché? Perché siamo venuti qui?" chiese il primo ufficiale.
"Perchè..." Morgan avrebbe voluto dire che lo aevano fatto per scoprire il mistero, per salvare delle
persone. Ma non era per quello. Non era per quello che aveva accettato. Era venuto lì per sfuggire alla
guerra. Era venuto lì per il capriccio di vedere qualcosa di differente della sua trincea dove tutto aveva
perso senso. Possibile che la sua noia fosse così acuta da non fargli prendere in considerazione la morte?
Un nuovo ruggito. Questo gli permise di non rispondere, ma il primo ufficiale scivolò per terra, in
ginocchio, tremante. Andò giù anche lui. "Siamo soldati." fece notare.
"In un mondo di giganti di ferro e macchine volanti! Siamo soldati molto stupidi!"
Morgan sorrise. Stupidi, a loro modo, lo erano sempre stati.
Sentirono un nuovo rombo. Ma qualcosa di più secco e limitato. E poi un fragore lontano. Al primo
rombo ne seguirono altri e altre esplosioni, simili a ruggiti.
Ruggiti nel cielo.
"Cannoni!" decise Morgan "Cannoni!"
"Cannoni?" fece il primo ufficiale.
Doveva vedere. Doveva scoprire cosa stava succedendo. Era giusto rintanarsi di fronte a mostro come la
macchina volante, ma se c'era una battaglia era suo dovere combattere. Corse fuori dal tunnel, tornò al
cielo. Ci mise un po' a riabituarsi alla luce, poi guardò verso l'alto. La macchina volante indietreggiava,
alcune delle sue propaggini bruciavano.
Nuove detonazioni lo fecero girare. Si erano sollevati dei cannoni dalle trincee, cannoni che dovevano
essere stati rintanati a lungo. Riconosceva la struttura di armi che aveva usato anche lui, ma gli appariva
fossero state apportate modifiche. Mentre guardava, intontito, la scena, un uomo gli si fece vicino. Non
indossava nessuna riconoscibile uniforme. "Per Valerius." lo salutò.
Capitolo 121 - Tane di topi
Spagna
Nemmeno loro erano andati abbastanza sotto da poter sfuggire alle onde di calore, ma anche loro,
evidentemente, contavano sul fatto di non essere visti. Era un concetto di trincea tridimensionale, copriva
da davanti, da dietro e anche da sopra. Il risultato è che finivi lo stesso col fare la vita del topo, a respirare
fango, bere pioggia e strisciare.
Avevano recuperato 15 uomini, divisi a metà tra i loro e gli spagnoli. Ora erano tutti seduti lungo la
trincea, dei teli che li rendevano praticamente invisibili dall'alto. In qualche modo, gli avevano dato del té.
"Non sono cannoni normali." affermò Morgan all'uomo che era venuto a prenderlo. Di tutti quelli che
erano stati salvati, era l'unico in vena di parlare. Tutti gli altri fissavano il vuoto, in particolare quelli che
avevano visto qualche loro compagno spazzato via a pochi metri da loro.
"Sono artiglieria, principalmente spagnola. Ma abbiamo dovuto modificarli. Avevamo bisogno di più alzo
e più gittata. Spariamo molto meno, ci vuole una vita a caricarli, ma è sufficiente."
"Quindi voi sapevate di quella cosa."
L'uomo sorrise. "Sono settimane che sopravviviamo a quella cosa."
Anche l'ufficiale spagnolo s'era salvato. Stremato, respirava a fatica addossato a un muro di fango. Uno
dei loro salvatori gli si era avvicinato e si era seduto accanto a lui. Gli parlava piano nella sua lingua,
pareva conoscerlo.
"Siete mischiati spagnoli e inglesi." continuò a notare Morgan.
"Come voi."
"E continuate a ripetere... quel nome."
"Valerius Demoire."
"Perché?"
"Venga con me."
Scesero nel cuore della tana. In certi punti le trincee erano state allargate in vere e proprie sale, puntellate
di travi per sostenere una crosta di terreno che no poteva essere più profonda di un metro. Topi. Topi.
Topi. A Morgan venivano in mente solo topi.
Al centro di una sala l'unico pezzo di tecnologia disponibile in tutta quell'area: un'ottoniera che
gracchiava a vuoto, ottusa, grattando come un insetto.
"Quali comunicazioni potete ricevere qui?" chiese Morgan scettico. A loro nemmeno le avevano date le
ottoniere.
"Ascolti."
Il gracchiare dell'ottoniera cominciò a divenire intermittente, poi iniziarono ad afferrarsi parole, in mezzo
ai rumori di statica. Alla fine c'era qualcuno che ripeteva una frase all'infinito. Fu una fortuna per Morgan,
perché dovette ascoltarla almeno una decina di volte prima di afferrare il significato.
"La battaglia per liberare Valerius è iniziata" diceva la voce, con tono cantilenante. E poi aggiungeva: "Io
non posso essere sconfitto."
Morgan si grattò la testa, ricordava le parole del pazzo che lo aveva portato lì. "Cosa significa tutto
questo?"
"Che presto la vera guerra comincerà."
Capitolo 122 - Non il suo volto
Londra
"E' lui?" chiese la Deuforth, con una nota di disgusto. Evidentemente si aspettava un affascinante
cavaliere sfigurato o un luciferino brigante.
Il volto sotto la maschera di ferro, invece, era un volto anonimo, dal naso un po' grosso, le gote cascanti,
gli occhi larghi e sfuggenti, le labbra increspate come fossero di cera. Guardava Hipster senza
espressione, senza parlare, come un granchio che, spostato il sasso dove si nascondeva, stia fermo per
sfuggire al predatore.
Cromwell finalmente si avvicinò, il fatto che il prigioniero non avesse più addosso la maschera non
sembrava averlo calmato. "Non mi... sembra la sua faccia."
"Il che è curioso" fece Hipster sprezzante, piantando gli occhi non in quelli dell'uomo in catene, ma
nell'espressione vuota del metallo dietro cui si nascondeva "visto che nessuno ha idea di che faccia
dovrebbe avere."
"Una faccia... diversa." fece Cromwell, continuando ad avvicinarsi piano.
"Per quanto assurdo possa sembrare" fece la Deuforth "Cromwell ha ragione. Questa non sembra per
niente la faccia di Valerius Demoire."
"Oh certo... ottima osservazione." Hipster schiaffeggiò il prigioniero. "Sei Valerius Demoire?" chiese.
L'uomo sotto la maschera di ferro dischiuse la bocca, poi sorrise, poi rise. Una risata chioccia, che vibrava
di una nota metallica, come se l'ultimo pezzo del suo travestimento gli fosse rimasto in gola. "Perché
rispondere a una domanda così stupida?"
Hipster schiaffeggiò ancora "Perché il primo ministro di Britannia, portavoce della Regina, te la sta
ponendo!"
"Ma il ministro degli Interni Cromwell ha risposto di già, perché continuare a chiedere?"
"E perché, cane, dovrei dare ascolto a lui?"
"Chissà. Se fosse lui Valerius Demoire?"
Senza un reale motivo, come se fossero sotto un incantesimo, Hipster, Deuforth e Lancaster si girarono
verso il quarto membro del consiglio ristretto che li guardò con un guizzo di paranoia. "Credete a un
uomo in catene? Un uomo che ha ucciso decine dei nostri soldati?"
"La sua sicurezza, Cromwell." notò Hipster "Perché dirci che non è lui?" il suo tono non era cambiato, era
lo stesso tono inquisitorio che aveva usato con la maschera di ferro.
"Perché... perchè... un'impressione! Anche miss Mary Ann ha detto la stessa cosa!"
"Ma non. Con quel. Tono." continuò Hipster.
Il primo ministro cominciò a toccarsi febbrilmente i polsini, c'era qualcosa che gli stava sfuggendo, era
evidente. Era come se avesse un insetto nelle braghe. Fece un passo verso Cromwell. "Sono successi
molti avvenimenti incredibili, signor Cromwell. Non posso dare nulla di scontato."
Cromwell contrattaccò, con la ferocia dell'uomo con le spalle al muro "La verità è che da quando il suo
indiano pazzo è andato a combattere la guerra da solo vuole farla pagare a tutti noi. Ma questo non
significa niente. Se la situazione le sta sfuggendo di mano non può dare la colpa a noi!"
Era uno scontro aperto. Deuforth e Lancaster osservavano, Hipster stava studiando come reagire. L'uomo
incatenatò parlò: "Io non sono Valerius Demoire." ammise.
Questo fece tornare l'attenzione su di lui, ma nessuno gli parlò, così lui aggiunse: "Cromwell non è
Valerius Demoire. Cromwell non può essere Valerius Demoire."
"Ridicolo!" esclamò Cromwell "Ridicolo che debba essere scagionato da un tagliagole!"
"Perché Cromwell" concluse l'uomo in catene "é conosciuto col nome di Canterbury"
Il secondo dopo, il muro della prigione esplose.
Capitolo 123 - Convalescenza
Fronte Francese
Sentì il suo corpo riemergere, letteralmente, dal torpore. Piano piano lo sentì salire verso la superficie
della realtà, come un moto inevitabile, come se fosse più leggera dell'incoscienza che aveva intorno.
Poi, appena toccò la superficie, le fiamme cominciarono a roderla e morderla, l'atmosfera della realtà era
satura di acido e di dolore.
Sbarrò gli occhi e urlò.
Provò a muoversi, ma il suo corpo non rispondeva, anzi, era come se ci fosse qualcosa di pesante che lo
teneva. Poi intuì che quella cosa pesante erano le mani di un infermiere che intanto le rivolgeva parole per
calmarla. "Stia tranquilla, madame. Non ancora! Non ancora!"
Non fece in tempo a concentrarsi sull'infermiere che un'ombra alle sue spalle le si avventò contro con un
pungilione. Il suo corpo tornò a essere pesante e ad affondare.
Oscillò tra la coscienza e l'incoscienza, tra la vita e la morte, tra la pace e il dolore, per un tempo
indefinito. Ogni volta che risaliva il bruciore era meno intenso, le parole dell'infermiere più chiare, i suoi
movimenti più controllati. Alla fine capì di essere tornata a dei reali cicli di sonno e veglia, intervallati da
qualcuno che la imboccava con cibo e acqua e alcune ombre indistinte che la guardavano e sussurravano,
lontano dalla sua percezione. Quando non ne poté più di essere alla mercé di sconosciuti riuscì a
risvegliarsi del tutto, i dottori le fecero mille domande a cui non seppe rispondere. Ne fece anche lei e loro
risposero allo stretto necessario. Era in un ospedale? Si. Era viva? Si. Avevano vinto la guerra? Nessuna
risposta.
Poi finalmente, qualcuno si rivolse a lei come a una persona e non come a un paziente. "Sono contento di
vederla in forma capitano Santaroche."
Capitano... non era il suo grado. O forse si. Si toccò le garze che ancora le ingombravano il polso destro.
"In forma?"
"I dottori mi dicono che le rimarrà quella cicatrice e quella sulla schiena, ma per il resto è intatta. Ho visto
l'Orleans e posso assicurarle che è stata fortunata."
Il suo volto era intatto. Tutto, in lei, era intatto. Ed era stato il Valkyrie a salvarla. Quando l'incendio dei
myrmidon era dilagato i sistemi di sicurezza della macchina inglese avevano erogato del refrigerante e,
soprattutto, avevano liberato il vapore pesante. Nonostante potesse sembrare una follia, il rilascio
controllato del fluido aveva assorbito le fiamme in pochi secondi. Abbastanza perché le protezioni del suo
abitacolo non cedessero. Era stata fortunata per tutto quello? Non si sentiva fortunata.
"Non mi dicono della guerra." si lamentò "Lei chi è?"
"Generale d'armata Malebranque, potrei direi di aver guidato la resistenza all'invasione inglese, ma non
posso, davanti a lei."
"E perché?"
"Perché lei ha guidato le truppe, è indubbio."
"E posso sapere come è finita? Abbiamo vinto?"
Malebranque parve imbarazzato: "Abbiamo respinto gli inglesi, gli abbiamo impedito di porre una testa di
ponte qui. Ora arriverà l'inverno e la nostra flotta e scongiurerà altri sbarchi. Si, abbiamo vinto."
"Quanti myrmidon ci sono rimasti?"
"Quattro, tutti della sua squadra."
Francine visualizzò quest'immagine di lamiera intrecciata come vimini, ad avvolgere il terreno come una
ghirlanda. Lamiera intrecciata lorda di sangue. "Dite che si sono salvati solo uomini della mia squadra?"
"Dicono che li abbia ispirati lei a sopravvivere."
"Saprebbe dirmi dove si trova ora il sergente Villeneuve?"
Malebranque non si aspettava la domanda. Valutò se dare la risposta, ma gli era fin troppo evidente che la
ragazza davanti a lui era avida di risposte e non poteva negargliele. Il giro di parole che usò voleva essere
una delicatezza, ma suonò grottesco. "Villeneuve non è tra quei quattro."
Capitolo 124 - Il rogo
Germania
Era un villaggio di taglialegna abbandonato chissà quando.
Con la prma guerra del Vapore e i motori a ignitium, il mercato del legname, come quello del carbone,
era crollato verticalmente. Nazioni ricche di foreste come la Germania avevano rischiato il tracollo
finanziario, molta gente era rimasta senza lavoro, molte aziende erano finite allo sbando.
Anche in questa situazione, un villaggio così sperduto nel cuore della foresta era qualcosa di anomalo,
antico. Dovevano essere passati molti anni dall'ultima volta che era stato effettivamente usato. La zona in
cui si trovava evidentemente non vedeva ascia da lungo tempo, gli alberi erano cresciuti senza controllo,
arroganti, infestando il suolo.
De l'Hopital vide un gruppo di persone uscire da un capanno e rabbrividì: erano evidentemente tutti
mutanti. Inconfondibile la pelle chiara, quasi trasparente, i capelli assenti o bianchi e gli occhi
incredibilmente profondi come di gufo, fissi davanti. Potendo percepire il mondo con la loro mente, i
mutanti non guardavano mai necessariamente nella direzione di loro interesse anzi, molto spesso
dimenticavano di volgere lo sguardo a ciò a cui davano attenzione.
"Sono molti." fece notare De l'Hopital.
"Sono quelli che ci aspettavamo." precisò Francesco Pupo. Gli esecutori dietro di lui lo sostennero
ticchettando.
"Non vi è modo di tornare indietro, poi."
"Non c'è altro modo per andare avanti, ora. Ordini l'attacco."
De l'Hopital alzò il braccio, sapeva che i suoi attendenti lo guardavano. Lo abbassò di scatto e tutto
cominciò.
Prima intervennero gli Arabesque. Uscirono dalla foresta e, di fronte al villaggio, scaricarono una salva
completa di colpi. Stando davanti a tutte le altre truppe non rischiavano di colpire compagni e la loro
potenza di fuoco, gettata con tale ferocia, ridisegnò letteralmente il villaggio, squarciando case e falciando
persone.
Quando i grossi myrmidon pesanti esaurirono i colpi da sterminio gli ORL avanzarono colpendo
dovunque vedessero movimento. Le loro spade spazzavano via capanne come fossero scope, i loro piedi
calpestavano senza ritegno.
De l'Hopital guardò il villaggio sciogliersi sotto l'impeto delle sue macchine da guerra, poi, con un ultimo
gesto, diede il via all'assalto dei soldati a terra.
In quel momento, però, mentre l'ultima ondata partiva, Francesco Pupo gli prese il braccio. "Non ci
sono!" esclamò.
"Non ci sono cosa?" fece lui, cercando di scrollarselo di dosso.
"I myrmidon nemici! Non sono qui!"
Tutto il contingente francese era in mezzo al villaggio, intento a falciare minuziosamente strutture, case,
persone. Un massacro preciso e igenico, dettato dalla rabbia per una forza ribelle e la paura per i poteri
aberranti dei mutanti.
Quando i myrmidon konsole saltarono fuori dalla foresta tutti assieme colsero i loro nemici così, con le
braccia affondate fino ai gomiti nel sangue, già convinti di avere vinto.
Capitolo 125 - Il ritorno di Valerius
Varco di Calendimaggio
La creatura deforme, verde come muschio di palude, aveva quattro zampe sproporzionate che a stento
teneva piegate sotto la volta della grotta. Quelli che erano stati gambe e braccia dell'uomo da cui era
uscita, invece, erano divenuti quattro peduncoli, che si agitavano febbrilmente in tutte le direzioni.
L'essere aveva un cranio enorme, con due occhi rossi fiammeggianti e una bocca larga che avrebbe potuto
inghiottire un myrmidon, un corpo tozzo e una specie di coda che, però, sembrava un mazzafrusto, diviso
in tre diversi tentacoli filiformi con un oggetto bulboso, all'apparenza solido come pietra, sulla punta.
La creatura gridò. Germaine riconobbe il grido, riconobbe di averlo udito a Maison Fredière, quando
credevano di aver vinto e invece era cominciato il calvario di tutti loro. Quel grido, allora, le annunciava
di aver perso Valerius.
"Schieratevi!" urlò Ethienne senza perdere sangue freddo. I soldati, all'ordine, si sentirono richiamati ai
propri doveri e si schierarono su due file, i fucili tesi verso l'essere. Prima che l'essere potesse muoversi
verso di loro, Ethienne calò il braccio e una salva completa partì dalle armi. La creatura sobbalzò indietro,
infastidita, ma poi riprese ad avanzare intatta.
"Continuiamo a sparare!" urlò Germaine, prendendo in mano anche il suo fucile e unendosi agli altri.
Sparavano senza razionalità, senza nemmeno guardare avanti, tanto la mole della creatura era tale che non
era possibile non colpirla.
L'essere doveva quasi strisciare sul ventre per venire verso di loro, di certo quell'ambiente non gli
giovava. Germaine capì però che sarebbe arrivato, prima o poi, e allora sarebbero stati tutti spacciati.
Indietreggiò fino al vecchio, che guardava la scena impietrito, senza sparare e senza fare altro. "Che
cos'é?" gli chiese, a istinto.
"Epthorr... io potrei..."
"Cosa? Cosa devo fare?"
La creatura era ormai vicina, il vecchio era paralizzato. Germaine capì che sarebbe finita come a Maison
Fredière e fece l'ultima cosa che l'essere si aspettava. Gli corse incontro, in mezzo alle enormi zampe,
schivandole quando le muoveva. Quando gli fu vicino rotolò a terra, si appiattì contro un muro e riuscì a
scavalcarlo. Si mise a correre lungo il corridoio cercando di lasciarselo alle spalle.
Sentì l'essere graffiare le pareti per girarsi e poi lo udì tirare zampate per raggiungerla. Stavolta non lo
avrebbe schivato, non lo avrebbe colto di sorpresa. Inutile girarsi e cercare di affrontarlo, inevitabilmente
prima o poi l'avrebbe ghermita.
E mentre pensava così, da dietro un angolo, spuntò Valerius Demoire, con in mano un'arma di foggia
strana, simile a quella dei serpenti all'esterno. "Eccoti!" disse "Io non posso essere sconfitto!" E sparò.
Capitolo 126 - Il myrmidon dell'Ecclesiaste
Londra
Mentre un largo tratto della torre di Londra crollava, Maschera di Ferro si toglieva di dosso le catene a cui
era legato con abilità di prestigiatore, trovandosi rapidamente libero, all'interno della cella con tutti gli
altri.
Si mosse verso Hipster, l'unico a parer suo sul punto di reagire, lo spintonò e gli tolse di mano la
pistolaccia che stava tirando fuori da sotto la giacca. Con quella si mise in un angolo e minacciò tutti. "Vi
ho attirati qui. Il mio l'ho fatto, signori."
"Lurido cane dell'inferno!" ruggì Cromwell. Ma Cromwell non era uomo da ruggire e la sua voce uscì
come un chioccio pigolio strozzato.
"Canterbury!" urlò invece la Deuforth "Ha detto Canterbury!"
"Un... inganno!" annaspò Cromwell "Un mezzo per spargere zizzania e confonderci! Per agevolare la sua
fuga!"
"La torre di Londra crolla, Cromwell! QUESTO agevolerà la sua fuga!"
Maschera di Ferro spostava gli occhi tra tutti, per tenerli a bada. Aveva occhi larghi, che la tensione
rendeva ardenti. Il suo volto non era meno temibile di quello che si era fatto scolpire nel metallo. "Spero
abbiate abbastanza informazioni su Canterbury perché non debba attardarmi a spiegare..."
"Un traditore dell'Inghilterra!" sentenziò la Deuforth "che sparge il suo veleno sotto l'ombra della nostra
bandiera come un viscido verme. Ho molto su di lui, ma mai avrei azzardato a dire che fosse Cromwell!"
Maschera di ferro si avvicinò lentamente all'uomo che aveva accusato. "Perché Canterbury ama muoversi
nell'ombra e mantenere un profilo molto basso. Predilige l'inazione all'azione e colpisce solo con la
certezza di riuscire. Una creatura sottile e sfuggente, nonostante tanti errori abbia commesso con questo
vile comportamento."
"Errori?" gracchiò Cromwell "Farneticazioni su farneticazioni su farneticazioni! E credi che il consiglio
ristretto d'Inghilterra accetti la denuncia di un sovversivo e di un galeotto? Di un pazzo vestito da
pagliaccio?"
"Non lo credo, no." rispose Maschera di Ferro. E sparò a Cromwell al petto.
Hipster guardò la scena impassibile, poi fece un cenno alle due guardie alle sue spalle. "Prendetelo. La
pistola ha un solo colpo"
Deuforth e Lancaster, impietriti, guardavano Cromwell accasciarsi al suolo, annaspare e morire, mentre le
guardie li superavano e andavano verso il suo assassino, con notevole cautela. Impossibile sapere cosa
fosse scattato in Hipster per renderlo così gelido e risoluto, ma lui guardò il suo prigioniero come se
niente stesse accadendo intorno a loro. "Ucciderlo? Tutto questo solo per ucciderlo?"
Maschera di Ferro gli sorrise, un piacere arrogante che aveva dimenticato, fin da quando aveva nascosto il
suo volto sotto il volto di metallo. "Ucciderlo oggi. Rallentare i nostri comuni nemici. E molte cose da
fare domani. Quando sarò di nuovo libero."
In quel momento un altro scossone fece crollare un'altra sezione del muro della torre. Per lo squarciò
passò un artiglio di metallo, illuminato da due occhi brucianti, incastonati in una sagoma grottesca,
appena intuibile nella polvere del disastro.
"Myrmidon Ecclesiaste a rapporto" disse una voce attraverso l'altoparlante della maschera "Al tuo
servizio!"
Maschera di ferro si gettò contro le guardie che venivano a prenderlo, assestò un pugno al ventre a uno e
un calcio sul muso dell'altro, poi si avvicinò con passo agile all'artiglio. "Impeccabile servizio, Arcadio!"
esclamò "E splendida macchina"
Con la delicatezza di una pinza chirurgica, l'artiglio del Myrmidon si chiuse intorno a lui.
Capitolo 127 - Teologia
Francesco Pupo si guardava intorno cercando di analizzare il luogo in cui si trovava. Ovviamente le sue
difese psichiche erano alzate al massimo, perché non sapeva quando lo avrebbero attaccato, ma purtroppo
doveva impiegare parte della sua mente per escludere i piagnucolii di De l'Hopital, legato accanto a lui.
"Avrebbe dovuto prevederlo! Avrebbe dovuto pensare un altro piano!"
Francesco lo guardò. Non aveva bisogno di avere le mani libere, gli bastava guardarlo, De l'Hopital si
fece piccolo piccolo e cercò di trascinarsi via, per quanto gli consentissero le corde.
"Lo sa, generale, lei è stato una grande delusione per me." lo apostrofò.
"Io? Una delusione?"
"La pensavo un uomo sottile, dai molti ingegni, invece da quanto ho capito è difficile vederla a suo agio
senza una battaglia da combattere, vero? E anche in quelle... sbaglio o ha avallato tutte le mie richieste
senza mai obiettare? Aveva per caso paura di me?"
"Paura?" De l'Hopital si ritrasse ancora un po' "Lei sa che cos'è, padre? Lei si rende conto di quello che ha
fatto negli anni? Pensa si possa parlare con lei senza provare paura?"
"Madame Reika non la faceva sentire abbastanza protetto?"
"Sono stato cresciuto nel timore di dio, padre. E lei ne è la rappresentazione in terra. Non so da dove sia
spuntata madame Reika. Oh... anche lei è mostruosa. Come gli esseri che sono qua. Ma parliamo di cose
diverse."
Tornarono in silenzio. Francesco Pupo ne fu sollevato perché così poteva di nuovo concentrarsi sulle sue
difese e su quello che aveva intorno, ma dopo un po' De l'Hopital riprese. "Ci tengono qui per fiaccarci.
Vogliono sapere i segreti della corona. Vogliono spezzarci."
"Vogliono spezzare me."
"Scusi?"
"Vogliono spezzare me, generale. Spezzare lei è inutile. Basta porle una mano sulla testa e avranno ogni
segreto serba nel cuore. Ma per farlo con me... no, non sarebbe così facile."
Ormai De l'Hopital era così lontano da Francesco Pupo che si contorse fino ad appoggiarsi a un muro. "La
superbia non è uno dei sette peccati capitali, inquisitore?"
"E la perfezione non è forse solo in Dio? La cerca in me?"
"Teologia! Quale splendido modo di passare il tempo!"
E il tempo riprese a passare, lentissimo. Nessuno venne a visitarli per un intero giorno mentre in loro
cresceva la sete, la fame, la stanchezza. De l'Hopital si rifugiò in una sorta di deliquio, uno stato di
semincoscienza da cui si riscuoteva a tratti, biascicando lamentele. Francesco Pupo stava perfettamente
sveglio, a occhi chiusi.
Poi, d'improvviso, senza avvisi, la porta si spalancò e entrò una singola persona. Una donna altissima,
sottile come un giunco, con i capelli intrecciati in un'articolata acconciatura che glieli lasciava attaccati al
cranio in un'opera di cesello simile a porcellana. Capelli bianchissimi e sottilissimi che mettevano in
risalto i suoi occhi rossi.
"Regina Anna di Baviera" sussurrò De l'Hopital, guardandola di sottecchi, temendo di sfidare il suo
sguardo mutante.
"Finalmente." disse invece Francesco Pupo Torvergata. E a quelle parole le sue corde si sciolsero e
strisciarono via da lui e lui si alzò in piedi fregandosi i polsi e sgranchendosi le ginocchia.. "Una lunga
pausa melodrammatica la vostra, maestà." disse il prete, guardando la donna.
La regina Anna gli sorrise. "Non avete gradito, padre inquisitore? Pensavo voleste provare a operare da
solo col generale."
Lui le sorrise di rimando. E si, lui si la guardò negli occhi, nei due laghi rubino in cui era immerso il suo
smisurato potere. "Come ho già avuto modo di dire, è bello aver stretto alleanza con una persona del
vostro vivace spirito."
De l'Hopital non parlava. Boccheggiava, fissando i due, senza capire. Con una tremenda paura di capire.
Capitolo 128 - Avignone
De l'Hopital si contorceva al suolo nei suoi legacci, cercando di assumere una posizione che gli
permettesse di confrontarsi con la mutante e l'inquisitore. "Io sarei una delusione, padre? Guardatevi voi!
Avete barattato la vostra vita con ogni briciola di dignità la vostra anima potesse avere!"
Francesco Pupo Torvergata non lo guardava. "Patetico fino all'ultimo... Avignone."
Il generale annaspò, Francesco Pupo prese a passarsi le mani tra i capelli corti, per lisciarli. Appariva
vezzoso come un gatto. "Ho stretto alleanza con i figli sbagliati di Dio ancor prima di presentarmi a sua
maestà Re Gregoire. Quanto è accaduto è stato un piano disegnato per la tua cattura."
"La mia... la mia..."
Finalmente l'inquisitore si chinò sul generale e cercò i suoi occhi. De l'Hopital non fece in tempo a
distogliere lo sguardo e si ritrovò agganciato allo sguardo magnetico dell'uomo di Dio. "Un completo
successo."
De l'Hopital era immobile come una preda affascinata dal suo predatore, la regina Anna gli girò intorno e
gli posò una mano sulla testa. Il generale francese tremò, cominciò a sussurrare parole, poi urlò e crollò
svenuto al suolo.
"Qualcuno lo ha protetto." sentenziò la donna "Avrò bisogno di tempo per entrare nella sua mente."
"Tempo che non abbiamo." sentenziò Francesco Pupo "Avignone deve venire via con me."
La regina dei tedeschi spalancò gli occhi, il religioso le agitò un dito davanti alla faccia. "Se lo lascio qui
Reika arriverà a voi con tutta la forza a sua disposizione. Consumerà questa foresta, vi distruggerà e lo
distruggerà. Se invece parto subito e lo porto con me posso riuscire a tornare a Roma. Re Gregoire non sa
del mio tradimento e un convoglio dell'inquisizione trova sempre modo di passare le frontiere."
"Posso svuotarlo di ogni informazione molto meglio di te!"
Francesco Pupo ghignò. "Mi è stato detto che la superbia è uno dei sette peccati capitali."
La regina Anna tenne testa all'inquisitore. Il suo potere era uno sciame d'api intorno a lei. Api di fiamme
che riflettevano le loro ali di fuoco nei suoi occhi rossi. Per un momento lunghissimo Francesco fu
convinto che presto sarebbe stato attaccato, ma non reagì, finché le api da sole sono si quietarono. "Vado
a preparare la vostra partenza" sentenziò la donna. E uscì.
Meticoloso come sempre, Francesco Pupo Torvergata controllò un'ultima volta il prigioniero e uscì dalla
stanza a sua volta. Si fermò subito fuori la porta, sentendo l'ombra alle sue spalle.
"Perché non vuoi che Reika venga qui? Falla venire."
"Sei stato tutto il tempo qui, Wilhelm?"
"Sono il campione di sua maestà. Lei mi ha ammesso alla sua Comunione. Qui, a Strasburgo o dall'altra
parte del pianeta, posso sempre vedere attraverso i suoi occhi."
"Ammesso alla sua Comunione e al suo letto?"
Wilhelm rise. "Ci temi tanto da non riuscire a capirci, prete."
"Hai sentito il generale. Io non provo paura. Io porto paura."
"Un compito crudele."
Francesco si avvicinò a Wilhelm fino a essere a pochi centimetri dal suo volto. Si prese un attimo per
studiare la faccia da ragazzino del miglior pilota di Germania. Poi, come suo uso, lo sfidò guardandolo
negli occhi. "La paura è la più grande alleata che avrai mai, Wilhelm. La paura è la guida per la
sopravvivenza. La paura si prende cura di te. Per questo sei pericoloso. Non hai paura, Wilhelm. Non è
giusto non averne."
Wilhelm ghignò. "Fai venire qui Reika, prete, falla venire."
Capitolo 129 - Le scuse del narratore
Sono stato un buon allievo di Yuz.
Non è un giudizio nè mio né suo, tutti i miei superiori mi hanno sempre ritenuto un buon narratore, ligio
alla dottrina e alle regole, uno che sa padroneggiare i precetti dell'arte di raccontare. E se è vero che Yuz è
stato un immenso maestro, mi riconosco anche delle doti e del talento e anche del piacere in ciò che
faccio.
Eppure scrivere la storia di Valerius Demoire sta mandando i pezzi le mie certezze e allora ecco che le
regole vengono violate una dietro l'altra, tutti i canoni vengono scavalcati e mischiati, le più basilari
procedure da seguire ignorate.
Dovevo parlarvi di Valerius Demoire, nel momento della sua lunga prigionia lo ho abbandonato, primo
peccato, poi ho deciso persino di spezzare la mia narrazione su ben cinque fronti, secondo peccato, poi
ora abbandono tutti questi fili senza che si siano spenti o ricongiunti, terzo peccato. Imperdonabile.
Perché mi comporto così? Perché la storia di Valerius Demoire non è la storia di un uomo, la storia di
Valerius Demoire è la storia dell'intera umanità, in uno dei suoi momenti cruciali. La forza di Valerius
Demoire è stato riunire tutti i popoli, tutte le persone sotto la sua immagine e sotto i suoi gesti e portarli
tutti in una direzione unica. Tutti i popoli, una volta soltanto, per un solo passo. Ma un passo che ha fatto
tremare la terra.
L'universo è un grande ingranaggio, un ingranaggio persino più complesso di quelli che compongono la
sala degli orologi che pure rappresenta il tempo. Per un certo periodo Valerius è stato la ruota centrale di
questo ingranaggio e tutte le altre gli sono ruotate intorno.
Quindi questa storia può essere scritta solo dopo essere stata fatta a pezzi. E se anche è vero che la mia
anima è in essa non esiterò a fare a pezzi la mia anima per portarla a compimento. Perché voi dovete
capire. Io stesso devo capire.
Sto comportandomi male? Si.
Yuz mi disapproverebbe? No, non credo.
Quindi ora torneremo da Valerius, in quella gora che abbiamo chiamato Varco di Calendimaggio. Egli
fronteggia un mostro, in piedi, con un'arma misteriosa in mano. Germaine è ai suoi piedi.
Egli, dice, non può essere sconfitto.
Ma quanta sofferenza si può provare anche nella vittoria!
Capitolo 130 - Il grande sonno
Il colpo della strana arma di Valerius colpì il mostro a una spalla e il mostro indietreggiò. Sul suo volto
ormai inumano si dipinse una smorfia che, forse, era di stupore, come se non immaginasse di poter essere
ferito.
Valerius lo colpì altre due volte e questo lo fece imbestialire. Forse era solo irritato, ma l'idea che dava
era che avesse paura di morire. Provò a partire alla carica di Valerius, ma dalle sue spalle i soldati francesi
ripresero a sparare, distraendolo. Fu Valerius, allora, che caricò, avanzando camminando e continuando a
sparare. Capendo che la pioggia di colpi non si sarebbe fermata il mostro ruggì, ma quando provò a fare
un passo la sua zampa cedette, perforata già da tre colpi. Valerius allora cominciò a mirare alla sua
enorme testa. Mise a bersaglio una mezza dozzina di proiettili prima che la creatura emise un ultimo
lungo gemito e si accasciasse per terra.
A quel punto la pistola cadde di mano di Valerius e lui crollò in ginocchio.
"No!" fece Germaine, soccorrendolo. Tutti gli altri, invece, rimanevano a distanza, con timore quasi
reverenziale.
"Un piano... di fuga... avventato, il mio." notò il ragazzo, forse solo per sé stesso, tenendosi una mano sul
petto per calmare il cuore.
"Che cosa le hanno fatto? Cos'ha? Che posto è questo?"
Valerius tossì furiosamente, poi guardò Germaine. I suoi occhi erano velati, opachi. "Ger... Germaine?"
chiese.
Lei, risponendo a puro istinto, lo abbracciò. "Si, mastro Demoire, sono io!"
"Germaine era... un ragazzino molto brillante. Tu invece sei una... una..."
"Non si affatichi!"
Germaine sentì il corpo di Valerius abbandonarsi tra le sue braccia. Fu così repentino da farle cedere le
gambe e farla crollare in ginocchio a sua volta. Cercò poi di lasciarsi trascinare gentilmente dal peso di
Valerius fino di adagiarlo al suolo. "Aiutatemi!" prese a urlare "Aiutatemi!"
Il vecchio fu il primo ad avvicinarsi. Si inginocchiò accanto al corpo esanime.
"Non sento il respiro" disse Germaine "e il battito... e... cosa gli hanno fatto? Cosa gli hanno fatto? E'..."
Il vecchio aprì i vestiti di Valerius e cominciò a frugare il suo corpo, avvicinò il volto al volto del giovane
e lo esaminò con attenzione. Man mano che lo esaminava il suo volto si faceva sempre più grigio. "E'
vivo" annunciò alla fine "ma debolissimo. Non so cosa gli abbiano fatto durante la prigionia."
"Si riprenderà?"
"Non posso saperlo... ma non possiamo lasciarlo qui."
"Ethienne! Ethienne!" chiamò Germaine. Il soldato, come tutti gli altri, era andato a esaminare il corpo
del mostro. Accorse subito. "Cosa c'è?"
"Portiamo Valerius in una delle stanze che abbiamo visto prima. Manda una decina di soldati a esplorare
il resto di questo posto. Noi dobbiamo... dobbiamo curarlo."
Ethienne guardò il corpo di Valerius e un'ombra passò sul suo volto. Valerius era mortalmente pallido,
immobile come se non avesse più vita, gli occhi non completamente chiusi, ma con uno spiraglio, sotto le
palpebre, che mostrava solo il bianco. "Che Dio gli stia accanto."
"Già" disse il vecchio, cominciando a tirarlo su, mentre Ethienne andava a prenderlo dalle gambe. "Dio e
non solo lui."
Capitolo 131 - Le quattro nicchie
Il vecchio controllò che non ci fosse nessuno nei dintorni, poi formò con le dita il primo mudra della
guarigione sopra il corpo di Valerius. Vide l'energia scendere dalle sue mani nel corpo del ragazzo e
dissolversi. Era come gettare una torcia nel pozzo, per quanta luce facesse la profondità era tale da
inghiottirla comunque, prima o poi.
Germaine tornò da lui, con la faccia stravolta. Il vecchio aveva fatto un rapido calcolo di quanto la
ragazza aveva dormito nelle ultime quarant'ott'ore, non una cifra cospicua.
"Ha capito che cos'ha?" chiese la ragazzina.
I Calcoli. Gli sarebbe bastato svolgerli per capire, ma si era già spinto troppo oltre. "No."
"Era in piedi! Ha combattuto per noi! Ha distrutto quel mostro! E poi..."
Il vecchio passò le braccia sui bordi del lettino dove Valerius riposava. "Questa... alcova lo ha tenuto
addormentato. Sembra capace di indurre una qualche animazione sospesa. Penso che lo controllassero
così. Ma lui è sfuggito al sonno indotto, in qualche modo, per salvarci. E lo shock lo ha quasi distrutto."
"Perchè? Perché tenere Valerius... surgelato?"
Il vecchio prese la pistola che Valerius aveva usato contro il mostro. "Non sempre. Questa pistola è stata
modificata da lui. Sfruttavano il suo genio, probabilmente. Gli davano poche confuse ore di libertà in cui
esercitare la sua scienza e poi lo rimettevano qui, come un animale da compagnia."
"E' terribile! Perché?"
"Perché loro sapevano che non poteva essere sconfitto."
Ehienne apparve sulla porta in quel momento, trafelato, pallido in volto. "Germaine... devi venire."
"Sto assistendo Valerius! Occupatene tu!"
"No, non è possibile, non c'è nessun altro oltre te che può capire!"
"Capire cosa?"
"Devi venire!"
Ethienne se ne andò, Germaine si trovò a doverlo seguire. La base dell'isola di Calendimaggio era
enorme, sembrava che cunicoli fossero stati scavati per anni. Ethienne la portò per un corridoio
lunghissimo in fondo al quale si sentiva il ruggito del mare. A un certo, punto, mentre camminavano, la
volta sotto cui si trovavano prese ad alzarsi, fino a formare una stanza immensa, enorme in tutte le
direzioni. Germaine si trovò a guardare il soffitto. "Questo deve essere esattamente sotto la collina
centrale. Hanno scavato l'isola come una noce, lasciando solo il guscio."
"Di qua!" attirò però la sua attenzione Ethienne.
Passarono accanto a delle enormi nicchie, simili ad absidi di cattedrali, forme perfette, pareti dritte e una
emisfera come cupola. Tutto liscio come marmo. Germaine ne contò una, due, tre e poi...
"Luce!" ordinò. "Luce!"
Tutte le torce disponibili le vennero accanto, illuminando la quarta nicchia. "Mio Dio..."
"Hai detto di averne visti... hai detto di essere abile con questi. Tu devi capire cosa ci fa qui." disse
Ethienne.
Germaine barcollò, indietreggiò, cercò di abbracciare con la vista tutto, ma non le era possibile. Non le
era stato mai possibile in luoghi più comodi, figurarsi lì. Arrivò fin quasi alla parete opposta e anche così
riuscì solo a intuire i tratti diabolici del volto, gli occhi su cui le fiamme delle torce guizzavano,
rendendoli irrealmente vivi.
Stava fissando il volto di un myrmidon che non aveva mai visto prima.
Capitolo 132 - Tarot System Enabled
Germaine era riuscita ad allontanare persino il vecchio dal capezzale di Valerius per fargli vedere il
myrmidon. Il vecchio sembrava una persona immutabile, che niente avrebbe potuto spostare, e invece
quando vide la grande macchina sbiancò. "No... non possono essere arrivati a tanto."
Germaine intanto si era fatta portare una scala ed era salita fino al ventre del mostro. Incredibilmente non
ebbe difficoltà a trovare come aprire l'abitacolo anche perché la serratura era posizionata esattamente
dove la teneva l'Orleans. La ragazza esitò un momento se entrare o no nella macchina, ma alla fine
qualcosa ebbe la meglio in lei e scivolò nell'alloggio del pilota. Lo trovò stretto, caldo e umido, appena
riuscì a posizionarsi sulla poltrona sentì quella avvolgerla come in un abbraccio, come se il myrmidon si
aggrappasse a lei per vivere.
"Scendi di lì!" sbraitava intanto da sotto il vecchio.
Germaine non sentiva. Da quanto tempo non pilotava un myrmidon? Da molto, forse troppo. E aveva
sempre sepolto l'ebrezza che aveva provato nel farlo perché se ne vergognava. Non pensava di potersi
ritenere un pilota, non come Valerius, nemmeno come Francine. Era stata sbattuta su un ORL unicamente
perché Valerius aveva bisogno che qualcuno lo portasse fuori da Parigi, ma non lo aveva mai meritato.
Eppure una scossa le attraversò tutto il corpo mentre stringeva i comandi.
Trovò la leva d'accensione e la mosse. Al primo scatto si accese soltanto il cruscotto della macchina e un
cupo ronzio attraversò l'abitacolo. Davanti a lei, su una striscia formata da un intero alveare di minuscole
luci, apparve una scritta.
TAROT SYSTEM ENABLED
Improvvisamente le venne in mente Arcadio Martellone, il suo entusiasmo e la sua eccitazione di fronte
alle invenzioni di Valerius. Anche la macchina che l'aveva portata lì era un Tarot System, ma questo era
stato installato su un myrmidon, era nel posto che gli competeva, era dove poteva esprimere al meglio la
sua potenza.
Germaine non resistette, fece fare alla leva d'accensione un secondo scatto. Sentì la turbina principale
sobbalzare sotto di lei, poi fermarsi e tacere mentre delle luci rosse le si accendevano davanti. Delusa, le
osservò con attenzione e scivolò nuovamente fuori, sulla scala. "Non ha ignitium!" spiegò "Sarà difficile
muoverlo senza rifornirlo."
"Pazza!" continuava a inveire da sotto il vecchio "Ti sei messa a giocare con quel mostro come con un
giocattolo! Non capisci che più questi mostri invaderanno il mondo più noi andremo giù! Sei qui a capire
cosa è successo e non vedi la cosa più terribile!"
Germaine si chiese se doveva effettivamente sentirsi in colpa. Il vecchio esercitava su di lei un
magnetismo ambivalente. Da un certo punto di vista gli sembrava una persona così lontana che mai
avrebbe potuto dirle qualcosa di importante, dall'altra parte sembrava conoscerla da sempre. "Cosa avrei
dovuto vedere?" gli chiese, tornandò giù.
"Quattro nicchie! Quattro! E tre vuote! Sai cosa significa?"
Germaine pensò ai serpenti, alle creature che li avevano attaccati e poi al mostro di maison freider da cui
Valerius li aveva salvati. Rabbrividì.
"Hanno delle macchine!" continuò il vecchio "Hanno tre myrmidon progettati da Valerius in persona!"
Capitolo 133 - Il messaggero della Cabila
Ho già reso questo racconto fin troppo personale e, con ipocrisia, me ne sono sempre lamentato. Cosa
posso dire ora che compaio in scena io?
Sebbene la mia storia cominci dove gli appunti di Yuz cominciavano, per me la vicenda di Valerius
Demoire iniziò sull'isola di Calendimaggio, dove fui mandato perché proprio Yuz, la persona che finora
ho chiamato semplicemente come "il vecchio" doveva essere richiamato all'ordine.
Già allora Yuz era il meno influente di noi, ma il più terribile. Nessuno della Cabila voleva avere a che
fare direttamente con lui perciò la loro decisione fu di prendere un discepolo, un discepolo che doveva
essere affidato a lui, e lanciarlo tra le sue braccia, assieme a tutte le diffide e le maledizioni che
apparivano necessarie per il suo comportamento.
E' importante dichiarare qui quanto fossi terrorizzato? E' importante dire quanta rabbia dovetti reprimere
in nome della disciplina quando, nel dettaglio, mi furono dette le accuse che avrei dovuto muovere al mio
futuro maestro, affinché gliele ripetessi parola per parola?
Vi interessa il fatto che, tra noi allievi, correva la leggenda che Yuz avesse un giorno spezzato in due una
montagna, in un accesso d'ira, per dissetarsi della lava delle viscere della terra?
Ero così insicuro che non usai il nono mudra del trasporto per raggiungerlo. Era mia idea che l'isola fosse
troppo piccola, ci fossero in giro troppe persone all'erta e armate e, soprattutto, se lui si fosse accorto del
mio arrivo avrebbe potuto sabotarlo, lanciandomi dall'altra parte del pianeta, in mezzo a qualche foresta
sperduta.
Per questo il nono mudra, disegnato con l'aiuto dei miei maestri, mi portò sulla costa francese, non molto
lontano dalla casa di André Santaroche. Lì presi una barca e la comandai col quinto mudra del
movimento, affinché veleggiasse sicura sull'isola. Una volta toccato il luogo della mia missione mi
nascosi dietro il quarto mudra dell'invisibilità e andai in cerca del destinatario del mio messaggio.
Sorpresi Yuz al capezzale di Valerius, dove sapevo stava in pianta stabile. Parlava animatamente con
Germaine, una ragazza che allora mi colpì per il suo aspetto esile, contrapposto a una feroce
determinazione. Quando fu fuori dalla stanza al mio maestro bastò un gesto per annullare la mia
invisibilità e umiliarmi.
"Cosa ci fai qui?" mi chiese.
Recitai le lunghe formule di saluto. Le ascoltò tutte pazientemente, ma solo per mettermi in difficoltà.
"Ora dimmi, cosa ci fai qui?" ripeté.
"La Cabila pensa che tu stia inquinando i calcoli, Yuzebner Ich Deshall"
"Ah si? E come farei?"
"Sappiamo delle volte che hai usato il mudra della guarigione su questo ragazzo, per esempio."
Yuz mi prese per una spalla. Mi aspettavo che la sua mano bruciasse e invece niente, trasalii a vuoto. Mi
guidò a guardare Valerius da vicino. "Osserva! Calcola! Credi che stesse per morire? Credi che si possa
uccidere così facilmente Valerius Demoire? Non sto sovvertendo l'ordine delle cose! Sto solo riducendo
al minimo la sua sofferenza."
Valerius, sul suo letto di dolore, mi colpì. Era incredibilmente giovane, per quello che sapevo di lui. La
mia paura di Yuz mi costringeva a tenergli gli occhi addosso. "E la sofferenza non fa parte del Calcolo?"
chiesi.
"La sofferenza non è nei numeri! E' nei conti sbagliati!" mi rispose lui. E, in qualche modo, capii cosa mi
stava dicendo. Improvvisamente ero diventato il suo allievo.
"Sto eseguendo gli ordini della Cabila." mi scusai.
"Anch'io li ho eseguiti a lungo. Ma mi devono lasciare qui. Hanno dei debiti nei miei confronti."
"Quindi cosa dovrei fare?"
Yuz non era arrabbiato con me. Non potevo saperlo perché non sapevo come si comportava Yuz, non
sapevo come leggere il suo animo come invece so ora, ma la sua ferocia, la sua grande forza serviva a
lottare contro il suo destino e contro il destino di tutti, non contro di me. Per questo mi disse la frase che
ritengo più preziosa tutt'oggi, la frase che forse determina l'esistenza di questa storia e, quindi, la mia.
"Io faccio parte di questa vicenda ora." mi disse "ma ti è stato insegnato a osservare. Osserva per me."
Forse sapeva, non posso sapere come, che sarebbe scomparso prima che queste parole sarebbero finite
scritte.
Capitolo 134 - Il risveglio di Valerius
E poi d'improvviso, un giorno, avvenne.
Germaine, stremata dalla lunga attesa e dalle continue delusioni, non era più accanto all'alcova, ma si era
gettata nello studio del myrmidon. Aveva anche trovato dei progetti, tracciati di pugno da Valerius stesso,
e stava cercando di capirli.
Yuz, che probabilmente percepiva la situazione già prima che ci fossero segni, divenne progressivamente
sempre più irrequieto. Anche lui ogni tanto lasciava la stanza del moribondo, come se gli mancasse l'aria.
Accadde verso il tramonto, quando cominciava già la distribuzione delle provviste. Yuz era presente,
assieme a un soldato. Io dietro tutti e due, ancora protetto, invisibile, osservavo.
Valerius inarcò la schiena come preso da una frustata e respirò a fondo, respirò come se gli servisse tutta
l'aria del mondo. Intanto strinse i pugni, scalciò, gemette. Yuz gli prese una mano e allora Valerius aprì
gli occhi, mentre tornava ad afflosciarsi. Nella confusione della malattia, sono sicuro, il giovane
riconobbe il suo vecchio professore e provò a pronunciarne il nome. Lui gli mise un dito davanti alla
bocca. "E' ancora presto per parlare." gli sussurrò.
Poi il mio vecchio mentore si girò verso il soldato che era con lui. "Vai a cercare Germaine, subito.
Valerius si sta svegliando!"
Il soldato corse via, come colpito da una scossa elettrica, Yuz si girò verso di me e mi prese una spalla.
"Dobbiamo andarcene."
"Scusi?" feci io, senza sinceramente capire.
"Non voglio davvero inquinare il Calcolo, stupido! Dobbiamo allontanarci e lui non deve vederci."
"Ma così... senza...?"
Ormai Yuz mi aveva già portato fuori dalla stanza di Valerius. CI allontanavamo di gran passo. Dalla
direzione opposta proveniva un vociare concitato, sentivo la voce di Germaine.
"Andiamo, per il nono mudra meglio essere all'aperto."
Fermai il mio maestro, perché l'unico motivo per cui lo sopportavo era per gli insegnamenti che poteva
darmi. In quel momento c'era qualcosa che dovevo assolutamente imparare. "Perché?"
"Perché cosa, piccolo sciocco?"
"Perché rimanere a osservarlo così tanto tempo e poi fuggire come un ladro nel momento in cui apre gli
occhi?"
Yuz esitò. Niente rabbia. Niente furia. Niente che potesse tagliare rocce. Un leggero rossore di
vulnerabilità. "Perché ero in pena per lui."
"Una cosa così... così semplice?"
Yuz mi prese vicino. Compose il nono mudra anche se eravamo all'interno, scomparimmo.
Mentre ci dissolvevamo, nella stanza di Valerius, Germaine entrava e trovava lui seduto sul suo letto, che
scuoteva la testa e cercava di capire. Germaine era solo una ragazzina, è bene ricordarlo, e di fronte a
quella scena non riuscì a fare altro che gettare le braccia al collo al giovane.
Valerius parlava pianissimo, fortunatamente la sua bocca era vicino all'orecchio della fanciulla. "Tu sei..."
"Germaine, mastro Demoire, per servirla come sempre." rispose lei. Piangeva.
"Ma... ma..."
"Sono innamorata di voi. Da sempre."
Capitolo 135 - Arriva l'inverno
Fu uno degli inverni più rigidi mai riportati dalle cronache.
Testimonianza del fatto che il malessere di Valerius era artificiale fu che lui si riprese rapidissimamente,
tornando in buona salute in pochi giorni. Però decise che non era ancora tempo di lasciare l'isola di
Calendimaggio. Era certo che i serpenti non sarebbero tornati mentre lui, di contro, aveva bisogno di una
base. Poi, ovviamente, stava tornando a montare in lui la sua ossessione più antica, quella di perfezionare
e completare il myrmidon nell'alcova.
Valerius fu molto imbarazzato di scoprire la storia di Germaine, era evidente che il loro rapporto doveva
cambiare. Ma era un momento molto delicato per qualcosa del genere. Valerius era stato svuotato di ogni
sentimento dalla prigionia e Germaine era vulnerabile come la sua età imponeva.
Il risultato fu che si avvicinarono l'uno all'altra in modo sempre più morboso, cercando prima la
vicinanza, poi il contatto, poi qualcosa di più. Ma per Valerius questo non significava tradire ciò che era
stato con Francine perché ciò che provava per Germaine, ciò che faceva con Germaine era qualcosa di
completamente diverso.
Germaine accoglieva a braccia aperte il lato di Valerius che Francine aveva sempre disprezzato,
Germaine era devota fino alla schiavitù, Germaine era come una fonte a cui Valerius si abbeverava per
ricevere comprensione e conforto. Ma una fonte è qualcosa che abbandoni, quando ricominci il viaggio.
Curiosamente, presto tutti si dimenticarono di Yuz e nessuno si chiese dove fosse finito. Ma dopotutto
questa era precisamente la sua volontà.
Intanto il gelo portava la pace. Pace sulla costa francese, dove gli inglesi non potevano arrivare via nave e
dove non vi erano più myrmidon Valkyrie utilizzabili.
Pace nella dilaniata Germania, dove Reika aveva assunto il comando, mentre gli uomini della regina
Anna rimanevano nascosti nelle loro diaboliche foreste e Francesco Pupo Torvergata affrontava il viaggio
per tornare a Roma.
Pace nelle trincee spagnole, dove ormai si era formato un fronte unico, dimentico del conflitto, per dare la
caccia alla macchina volante.
Pace persino alla corte d'Inghilterra, dove il primo ministro HIpster si convinceva sempre più di essersi
liberato di una serpe velenosa con la morte di Cromwell e, oltre a sostituirlo, si impegnava a seguire tutte
le sue macchinazioni, per estirpare e bruciare ciò che aveva corrotto.
Una pace tale, in quel momento, che persino tu, lettore, puoi prendere un attimo di respiro.
FINE LIBRO PRIMO
Capitolo 136 - Intermezzo
Delhin Sejak si svegliò e si chiese dove si trovasse. La stanza dove era non aveva niente di famigliare,
una stanza da letto grezza, scarsamente arredata, con mura di mattoni rossi, come se non avessero avuto
voglia di dargli un intonaco. Delhin era confuso, vuoto, l'unica cosa che, curiosamente, smuoveva
qualcosa nella sua mente era lo strano odore che sentiva nell'aria, anche se non riusciva ad afferrare cosa
fosse.
Cosa ricordava? La battaglia, assolutamente. La potenza del Red Valkyrie nell'annientare i nemici. Poi
l'Orleans era apparso alla sua vista e si era dedicato a lui. Lo aveva trascinato lontano dalla battaglia, lo
aveva chiuso in trappola, lo aveva colpito. Poi... il fuoco...
Delhin saltò giù dal letto e si esaminò il corpo, terrorizzato. Indossava una corta tunica che gli lasciava
addosso solo la decenza. Si tastò le braccia, le gambe, il torace, il volto, ma si trovò perfetto, senza
nemmeno un graffio. Uscì dalla stanza non per capire dove fosse, ma in cerca di uno specchio. Lo trovò
nell'anticamera. Si strappò via la tunica e si guardò a lungo, nudo. Non aveva un solo segno.
Tranquillizzato si rivestì e cominciò a vagare. Qualunque cosa fosse, il luogo in cui si trovava era
immenso. E quell'immensità, diceva la sua mente, si accordava all'odore che sentiva. In qualche modo gli
parve di capire come muoversi, c'erano posti che somigliavano a quello, senza essere quello, che aveva
visto in passato. Vagò finché non trovò una grande finestra che dava su un cortile interno, dove erano
ammassati dei fusti aperti, pieni di un qualche liquido scuro da cui saliva un acuto sibilo.
Allora, finalmente, ricollegò l'odore che aveva nelle narici, quella strana essenza ferrosa, eppure allo
stesso tempo acida, non abbastanza piccante da bruciare agli occhi, ma abbastanza per seccare la gola.
Ignitium.
Esistevano raffinerie di ignitium tanto grandi in Francia? Non lo ricordava, in realtà nemmeno lo sapeva.
Di certo non era nessuna delle grandi raffinerie inglesi, perché le aveva visitate. In ogni caso capì di
trovarsi nell'ala degli operai, dalla finestra vedeva uno dei cortili dove gli elementi base del composto
riposavano dopo la prima mescola. Piegando un po' il collo individuò anche le due ciminiere
dell'altoforno. Andando per esclusione comprese da che parte si trovava il comlpesso di comando, da cui
la raffineria veniva diretta. Lo aiutò anche vedere, muovendosi verso di esso, che gli arredi divenivano
più raffinati, le pareti meno grezze, gli ambienti in generale più puliti.
Non c'era nessuno, in quel luogo, ma la fabbrica sembrava in piena attività. In quel caso si sarebbe
aspettato un brulicare di persone. Invece nessuno gli venne incontro né lo fermò, mentre andava sempre
più verso gli uffici centrali, verso il centro di comando. Alla fine aprì quello che, era evidente, doveva
essere il grande ufficio del direttore.
"Ben sveglio."
Seduto a una scrivania di legno nero stava un nuovo minuto, dal cranio rasato, con sugli occhi due oculari
meccanici che ticchettavano a ogni suo movimento della testa. Era piegato a scrivere su dei fogli.
"Dove mi trovo?" gli chiese.
"Non credo lei possa conoscere questa raffineria di Kurtuz, ci troviamo in Turchia, sul Mar Nero. E' il più
grande impianto al di fuori dei giochi della guerra.
"E lei chi é?"
"Usiamo chiamarci con nomi di città, un vezzo, diciamo." L'uomo alzò gli occhi di vetro e ottone e gli
sorrise. "Può chiamarmi Gerusalemme."
"Città... Avignone... Canterbury..."
"Entrambi eliminati, un brutto caso. Ma erano due inetti, utili solo per loro posizione. Ovviamente la loro
dipartita ci porta a lei..."
"Canterbury è ritenuto un traditore dell'Inghilterra."
"Un po' come verrà considerato lei, dopo aver schiantato l'esercito di myrmidon inglesi contro le forze di
re Gregoire, non crede?"
Delhin guardò in terra. La guerra era perduta, eppure dentro di lui non gli importava. La furia del Red
Valkyrie lo aveva saturato, era quella l'unica cosa che contava. "L'esercito... il mio..."
"Ma possiamo venirci incontro, dicevo."
"Incontro?"
L'uomo si alzò in piedi. Era molto alto, ma il suo corpo appariva fragile, nel grande camicione colorato
alla turca che lo copriva. Scivolò verso Delhin. "Io posso rifare di lei un eroe, lei darà quello che manca a
tutte le nazioni, la pace."
"Io... e... in che modo potrei mai?"
"Con l'autorità del suo nobile nome, con le sue conoscenze alla corte d'Inghilterra e con la sua abilità di
stratega."
"Io non..."
"E con il myrmidon che ho preparato."