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Circolare n. 4 del 25 febbraio 2015
Semplificazioni fiscali e chiarimenti dell’Agenzia delle Entrate
Indice
1. Premessa
2. Semplificazioni Iva
2.1. Dichiarazione d’intento
2.2. Comunicazione black list
2.3. Vies
2.4. Elenchi riepilogativi Intrastat
2.5. Detrazione Iva sulle spese di rappresentanza
2.6. Note di variazione Iva
2.7. Rimborsi Iva
2.8. Prima casa e allineamento Iva-registro
3. Semplificazioni ai fini delle imposte dirette
3.1. Spese di vitto ed alloggio dei professionisti
3.2. Società di comodo in perdita sistematica
3.3. Regimi opzionali imposte sui redditi ed Irap
3.4. Operazioni straordinarie delle società di persone
3.5. Liquidazione e cancellazione delle società dal Registro delle Imprese
3.6. Ritenute fiscali agenti, mediatori, rappresentanti e procacciatori
3.7. Responsabilità fiscale e retributivo-contributiva negli appalti
3.8. Comunicazione degli interventi di riqualificazione energetica
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1. Premessa
Il periodo d’imposta 2015 non è interessato esclusivamente dalla novità introdotte dalla Legge 23 dicembre
2014, n. 190 (c.d. Legge di Stabilità 2015), illustrate nella precedente Circolare n. 1/2015, ma anche dalle
semplificazioni fiscali introdotte dal D.Lgs. 21 novembre 2014, n. 175 (c.d. Decreto “Semplificazioni
fiscali”), in vigore dal 13 dicembre 2014. Tale provvedimento ha, infatti, innovato profondamente la
disciplina in ambito Iva, così come quella afferente il comparto delle imposte dirette, generando, tuttavia,
diversi dubbi interpretativi, alcuni dei quali già affrontati dall’Agenzia delle Entrate, prima, con le circolari
30 dicembre 2014, n. 31/E e 32/E e, recentemente, mediante la circolare 19 febbraio 2015, n.
6/E.
La presente Circolare si propone, pertanto, di illustrare le principali novità introdotte dal D.Lgs. n. 175/2014
e i relativi chiarimenti già forniti dall’Amministrazione Finanziaria, anche alla luce dei provvedimenti
attuativi emanati, partendo da quelle riguardanti gli adempimenti Iva, per, poi, passare a quelle in materia
di imposte dirette.
2. Semplificazioni Iva
Le principali novità introdotte dal D.Lgs. n. 175/2014, ai fini dell’imposta sul valore aggiunto, riguardano
le seguenti tematiche:
• la presentazione della dichiarazione d’intento;
• la comunicazione delle operazioni intercorse con soggetti domiciliati in Stati o territori a fiscalità
privilegiata;
• gli effetti dell’opzione per l’effettuazione delle operazioni intracomunitarie;
• le informazioni Intrastat concernenti le prestazioni di servizi rese e ricevute;
• la detrazione dell’Iva sulle spese di rappresentanza;
• la nota di variazione da accordo di ristrutturazione dei debiti omologato e piano attestato di risanamento
pubblicato nel Registro delle Imprese;
• i rimborsi Iva, il visto di conformità e l’obbligo di prestazione della garanzia;
• l’allineamento della disciplina Iva quella dell’imposta di registro ai fini dell’individuazione delle unità
abitative “prima casa”.
2.1. Dichiarazione d’intento
L’art. 20 del D.Lgs. n. 175/2014 ha modificato l’art. 1, co. 1, lett. c), del D.L. n. 746/1983 per effetto della
quale la dichiarazione d’intento – relativa alle operazioni effettuate dall’1.1.2015 – non deve più
essere comunicata all’Amministrazione Finanziaria dal fornitore dell’esportatore abituale, ma
direttamente dal cessionario o committente. L’Agenzia delle Entrate rilascia, poi, una ricevuta
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telematica, che l’esportatore abituale deve trasmettere al proprio cedente o prestatore, unitamente alla
dichiarazione d’intento, prima dell’effettuazione dell’operazione (artt. 6 e 8 co. 1 lett. c), e co. 2, del D.P.R.
n. 633/1972). La medesima novità riguarda le importazioni e, quindi, la presentazione in dogana della
dichiarazione d’intento e della ricevuta telematica rilasciata dall’Amministrazione Finanziaria: tuttavia, è
già previsto che, entro il 12 aprile 2015, l’Agenzia delle Entrate – al fine di dispensare dalla consegna
in dogana della copia cartacea delle dichiarazioni d’intento e delle ricevute di presentazione – metterà
a disposizione dell’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli la banca dati delle dichiarazioni d’intento.
Il cedente o prestatore provvederà, infine, a riepilogare, nella dichiarazione annuale Iva, i dati
contenuti nelle dichiarazioni d’intento ricevute.
In virtù delle suddette novità, si è, inoltre, resa necessaria la modifica del regime sanzionatorio di cui
all’art. 7, co. 4-bis, del D.Lgs. n. 471/1997, per effetto della quale il cedente o prestatore che effettua
operazioni di cui all’art. 8, co. 1, lett. c), del D.P.R. n. 633/1972, prima di aver ricevuto dal cessionario
o committente la dichiarazione d’intento e riscontrato telematicamente l’avvenuta
presentazione all’Agenzia delle Entrate, è punito con la sanzione amministrativa di cui al precedente
co. 3, ovvero dal 100% al 200% dell’Iva non applicata.
Le modalità attuative delle predette novità normative sono state, poi, definite dal Direttore dell’Agenzia
delle Entrate, con provvedimento del 12 dicembre 2014, n. 159674 – richiamato anche nelle
successive circolari n. 31/E/2014, par. 11 e n. 6/E/2015, par. 4 – che ha approvato il modello per la
dichiarazione d’intento di acquistare o importare beni e servizi senza applicazione dell’Iva, nel quale devono
essere indicati anche i dati relativi al plafond (quadro A): a questo proposito, è già stato chiarito che
le “Operazioni straordinarie” comportanti la compilazione della casella 6 del rigo A2 sono tutte quelle
fattispecie che possono determinare un trasferimento di plafond tra i soggetti interessati da un atto di
riorganizzazione, come l’affitto, la cessione o il conferimento d’azienda, oppure la fusione, scissione o
trasformazione di società (C.M. n. 6/E/2015, par. 4.2).
Il provvedimento n. 159674/2014 ha, inoltre, ha fornito specifiche indicazioni in merito alla fase
“transitoria”, intercorsa tra la data di formale entrata in vigore della novità normativa (13 dicembre
2014) ed i successivi 60 giorni previsti dallo Statuto del Contribuente (art. 3, co. 2, della Legge n.
212/2000), ovvero l’11 febbraio 2015: durante tale periodo, l’esportatore abituale ha potuto inviare
o consegnare la dichiarazione d’intento al proprio fornitore secondo le vecchie regole – e, quindi, senza
preventiva comunicazione telematica all’Agenzia delle Entrate, ferma restando la possibilità di applicare le
nuove disposizioni – mentre il fornitore non ha dovuto riscontrare telematicamente la
dichiarazione d’intento, né inviarla all’Agenzia delle Entrate (C.M. n. 31/E/2014, par. 11). Tale regime
di esonero, tuttavia, ha riguardato esclusivamente le dichiarazioni d’intento che hanno esplicato effetto
sulle operazioni effettuate sino all’11 febbraio 2015, in quanto la scadenza della comunicazione all’Agenzia
delle Entrate secondo le vecchie regole (16 febbraio 2015 per i contribuenti mensili) era successiva
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all’entrata in vigore delle nuove disposizioni, intervenuta il 12 febbraio 2015 (C.M. n. 6/E/2015, par.
4.1). Conseguentemente, le dichiarazioni d’intento – inviate nel corso dell’anno 2014 oppure dal 1°
gennaio 2015 – che hanno avuto rilevanza anche sulle operazioni effettuate dal 12 febbraio 2015
sono, poi, rientrate nella nuova disciplina, comportando, quindi, l’obbligo dell’esportatore abituale
di:
1) comunicarle all’Amministrazione Finanziaria, in via telematica, utilizzando il software denominato
“Dichiarazione d’intento”, disponibile gratuitamente sul sito Internet www.agenziaentrate.it,
ricomprendendo anche le operazioni effettuate tra il 1° gennaio 2015 e l’11 febbraio 2015;
2) consegnarle al fornitore, unitamente alla ricevuta di trasmissione rilasciata telematicamente dall’Agenzia
delle Entrate. A questo proposito, il provvedimento n. 159674/2014 ha precisato che, per l’invio al
fornitore, è consentita la stampa della sola dichiarazione d’intento, escludendo il quadro A
“Plafond”.
Il fornitore dell’esportatore abituale, prima dell’effettuazione dell’operazione senza applicazione
dell’Iva, deve assolvere i seguenti adempimenti:
a) verificare di aver ricevuto la dichiarazione d’intento;
b) riscontrare telematicamente la ricevuta di avvenuta presentazione all’Amministrazione Finanziaria,
da parte dell’esportatore abituale, della dichiarazione d’intento, mediante l’utilizzo della funzione di
libero accesso resa disponibile, sul sito dell’Agenzia delle Entrate, al cedente e al prestatore. A
tale fine, è necessario inserire il codice fiscale del fornitore e quello dell’esportatore abituale, nonché il
numero di protocollo della ricevuta telematica. In alternativa, per i soggetti abilitati ai servizi Entratel o
Fisconline, è prevista la possibilità di verificare nel proprio cassetto fiscale l’avvenuta
presentazione della dichiarazione d’intento da parte del cessionario o committente, unitamente alla
ricevuta telematica: tale modalità richiede dei tempi tecnici, per cui sarà inizialmente visibile soltanto
la ricevuta e, successivamente, anche il documento (C.M. n. 31/E/2014, par. 11). Il fornitore è tenuto
a verificare l’avvenuta trasmissione all’Agenzia delle Entrate soltanto con riferimento alle
operazioni poste in essere dal 12 febbraio 2015 (C.M. n. 6/E/2015, par. 4.1).
Si segnala, inoltre, che rimangono invariati gli altri adempimenti gravanti sull’esportatore abituale e sul
fornitore dello stesso, quali la tenuta e l’aggiornamento del registro di cui all’art. 39 del D.P.R. n.
633/1972, nonché l’indicazione in fattura – da parte del cedente o prestatore – degli estremi della
dichiarazione d’intento ricevuta e del regime di non imponibilità.
2.2. Comunicazione black list
L’art. 21 del D.Lgs. n. 175/2014 ha modificato l’art. 1, co. 1, del D.L. n. 40/2010, nel senso di stabilire che
l’obbligo di comunicazione delle operazioni intercorse con soggetti domiciliati in Paesi “black list” (D.M.
4 maggio 1999 e D.M. 21 novembre 2001), effettuate e ricevute, registrate o soggette a registrazione,
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deve essere assolta annualmente, e l’esonero ricorre per le operazioni che non eccedono la soglia di
euro 10.000 annui, per ammontare complessivo, anziché euro 500 per singola operazione. Tali novità
normative sono entrate in vigore il 13 dicembre 2014, con l’effetto che la comunicazione annuale ha
dovuto già essere presentata per tutte le operazioni black list effettuate nel corso dell’anno solare 2014:
l’Agenzia delle Entrate ha, tuttavia, ammesso – con comunicato stampa del 19 dicembre 2014, poi, ribadito
con la C.M. n. 6/E/2015, par. 1.2 e la C.M. n. 31/E/2014, par. 12 – la possibilità di completare gli
adempimenti del 2014 secondo le regole previgenti, avvalendosi, quindi, della comunicazione mensile e
trimestrale, nonché del limite di esonero di euro 500 per singola operazione.
Le modifiche normative in commento presentano, tuttavia, alcune criticità, riguardanti principalmente la
verifica del limite quantitativo di esonero e la data di scadenza. Sotto il primo profilo, l’art. 1, co. 1, del
D.L. n. 40/2010 fa riferimento, ai fini dell’individuazione dei soggetti obbligati, a “tutte le cessioni di
beni e prestazioni di servizi il cui importo complessivo annuale è superiore ad euro 10.000”. A questo
proposito, l’Agenzia delle Entrate ha precisato che tale limite non s’intende per singola operazione, come
nella legislazione previgente, bensì come soglia complessiva annua, con la conseguenza di prevedere
l’obbligo di comunicazione per effetto del superamento del limite di euro 10.000 di valore
complessivo di operazioni, da “riferirsi al complesso delle cessioni di beni e delle prestazioni di servizi
effettuate e ricevute nei confronti di operatori economici aventi sede, residenza o domicilio in Paesi c.d.
black list” (C.M. n. 6/E/2015, par. 1.1, e n. 31/E/2014, par. 12). Diversamente, la dottrina
prevalente ritiene che la suddetta soglia debba essere verificata con riguardo alle operazioni intercorse
nell’anno con la singola controparte localizzata in Stati o territori a fiscalità privilegiata.
Per quanto concerne, invece, la scadenza del termine di presentazione della comunicazione
annuale black list, si osservi che l’art. 21 del D.Lgs. n. 175/2014 nulla dispone in merito: a questo
proposito, una parte della dottrina ritiene che per l’adempimento si debba seguire la medesima
impostazione prevista per lo spesometro, sul presupposto che entrambi gli incombenti sono annuale
ed assolti mediante l’utilizzo dello stesso modello, ovvero quello polivalente: aderendo a tale tesi, che
si fonda sostanzialmente sulla presumibile ratio del legislatore di accorpare gli adempimenti, con
previsione dell’invio di un unico modello, la comunicazione annuale delle operazioni black list, in base alle
nuove regole, dovrebbe essere assolta entro il 10 aprile o 20 aprile dell’anno successivo, a seconda
che il contribuente liquidi l’Iva mensilmente o trimestralmente. A questo proposito, deve, peraltro,
osservarsi quanto stabilito dal Provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle Entrate n.
94908/2013, punto 1.5, secondo cui – ai fini della segnalazione delle cessioni di beni e prestazioni di
servizi intercorse con controparti localizzate in Stati o territori a fiscalità privilegiata – il soggetto passivo
utilizza il modello polivalente, fermi restando “i termini di cui all’art. 3 del D.M. 30 marzo 2010”.
Quest’ultima disposizione, tuttora in vigore, precisa che la comunicazione deve essere effettuata “entro
l’ultimo giorno del mese successivo al periodo di riferimento”, ovvero – nel caso di adempimento annuale
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– entro il 31 gennaio dell’anno seguente. A questo proposito, si ricorda altresì che è riconosciuta al soggetto
passivo Iva la possibilità di presentare una comunicazione integrativa o rettificativa, completa in
ogni sua parte, entro l’ultimo giorno del mese successivo a quello di scadenza del termine per
la presentazione della comunicazione originaria. Nel caso di omissione di quest’ultima, l’opzione
non può essere validamente esercitata: qualora non ricorra tale ipotesi, il contribuente può aderire
all’agevolazione, barrando la casella “Comunicazione integrativa”, evitando così l’applicazione delle
sanzioni.
Rimangono, invece, confermate le altre regole applicative dell’adempimento: si ricorda, tuttavia, che il
D.M. 12 febbraio 2014 ha eliminato la Repubblica di San Marino dall’elenco degli Stati a fiscalità
privilegiata di cui al D.M. 4 maggio 1999, con effetto a partire dalle operazioni effettuate dal 24 febbraio
2014. Conseguentemente, a decorrere da tale data, le operazioni intercorse con operatori economici
stabiliti nella Repubblica di San Marino non devono più essere indicate nella comunicazione black list
(quadro BL del modello polivalente), fermo restando che gli acquisti di beni soggetti ad inversione contabile
da parte dell’acquirente nazionale – ai sensi dell’art. 16 del D.M. 24 dicembre 1993 – devono essere indicati
nel quadro SE del modello polivalente.
L’Agenzia delle Entrate ha, inoltre, ribadito che, in presenza di violazioni, la valutazione dell’eventuale
esimente dell’errore scusabile – consistente, ad esempio, nell’oggettiva impossibilità di ottenere il
codice fiscale, ovvero gli altri dati richiesti, della controparte black list – rimane di competenza degli organi
accertatori, i quali dovranno considerare la specificità del caso concreto. La C.M. n. 31/E/2014,
par. 12 ha, tuttavia, precisato che le eventuali violazioni commesse in vigenza della precedente
formulazione dell’art. 1, co. 1, del D.L. n. 40/2010, che – per effetto delle modifiche operate dall’art. 21
del D.Lgs. n. 175/2014 – non siano più da considerare illecito, non sono sanzionabili, in applicazione
dell’art. 3, co. 3, del D.Lgs. n. 472/1997, salvo che il relativo provvedimento di irrogazione sia già divenuto
definitivo.
2.3. Vies
L’art. 22 del D.Lgs. n. 175/2014 ha stabilito la sostituzione del co. 7-bis dell’art. 35 del D.P.R. n. 633/1972,
disponendo che l’opzione di cui al precedente co. 2, lett. e-bis), riguardante l’intenzione di effettuare
operazioni intracomunitarie, determina l’immediata inclusione nella banca dati dei soggetti passivi
che effettuano operazioni intracomunitarie: per i contribuenti già titolari di partita Iva, la richiesta di
inserimento nel Vies può avvenire esclusivamente in modalità telematica, tramite i servizi on line del sito
dell’Agenzia delle Entrate. A questo proposito, l’Amministrazione Finanziaria, con il comunicato stampa del
9 gennaio 2015 ha precisato che l’inclusione nel Vies è gratuita, ovvero non è richiesta alcuna somma
per accedere alla banca dati, né per ottenere la pubblicazione del numero di partita Iva: l’opzione può
essere espressa nella dichiarazione di inizio attività – compilando il campo “Operazioni
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intracomunitarie” del quadro I dei modelli AA7 (soggetti diversi dalle persone fisiche) o AA9 (imprenditori
individuali e lavoratori autonomi), ovvero, nel caso di enti non commerciali non soggetti passivi Iva, la
casella C del quadro A del modello AA7 – oppure in qualsiasi momento successivo, in via telematica,
direttamente o tramite soggetti incaricati. In alternativa, per i soggetti tenuti all’adempimento, è possibile
manifestare la propria volontà di effettuare operazioni intracomunitarie mediante la pratica
“Comunicazione Unica” di cui al D.L. n. 7/2007, come ribadito anche dal Provvedimento del
Direttore dell’Agenzia delle Entrate n. 159941/2014, par. 1.1.
La suddetta novità normativa ha, pertanto, comportato la soppressione della previgente formulazione della
norma, che riconosceva all’Agenzia delle Entrate – entro 30 giorni dalla data di attribuzione della partita
Iva, periodo durante il quale il contribuente non poteva formalmente effettuare cessioni ed acquisti
intracomunitari – la facoltà di emanare un provvedimento di diniego avverso l’inclusione nell’archivio Vies.
Conseguentemente, è stato abrogato anche il co. 7-ter dell’art 35 del D.P.R. n. 633/1972, secondo
cui con Provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle Entrate venivano definite le modalità di diniego o
revoca dell’autorizzazione di cui al co. 7-bis. Analogamente, è disposta l’abrogazione del successivo
co. 15-quater, in base al quale con Provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle Entrate erano stabiliti
i criteri e le modalità di inclusione delle partite Iva nella banca dati dei soggetti passivi che effettuano
operazioni intracomunitarie.
È stata, inoltre, prevista la presunzione che il soggetto passivo non intende più effettuare
operazioni intracomunitarie, qualora non abbia presentato alcun elenco riepilogativo per
quattro trimestri consecutivi, successivi alla data di inclusione nella banca dati. A tale fine, la Direzione
provinciale dell’Agenzia delle Entrate competente in base al domicilio fiscale del contribuente procede
all’esclusione della partita Iva dal Vies, previo invio di apposita comunicazione al soggetto passivo: a
questo proposito, l’Amministrazione Finanziaria ritiene che la verifica sui quattro trimestri consecutivi
operi dal 13 dicembre 2014, essendo ininfluenti quelli precedenti (C.M. n. 31/E/2014, par. 13). In altri
termini, l’Agenzia delle Entrate procederà alla cancellazione dal Vies a partire dall’anno successivo
all’entrata in vigore del D.Lgs. n. 175/2014, inviando, a tal fine, un’apposita comunicazione, per assicurare
al contribuente un’adeguata informazione e consentire gli adempimenti conseguenti: per il medesimo
obiettivo, l’esclusione avrà effetto a decorrere dal 60° giorno successivo alla data di spedizione, da parte
dell’Ufficio competente, della comunicazione. Pertanto, nel periodo intercorrente tra il ricevimento della
comunicazione e la cancellazione dal Vies, il contribuente interessato a conservare l’iscrizione può
rivolgersi all’Ufficio competente per le attività di controllo ai fini dell’Iva, con l’intento di superare la
presunzione di cui all’art. 35, co. 7-bis, del D.P.R. n. 633/1972: in particolare, è tenuto a fornire la
documentazione di tutte le operazioni intracomunitarie effettuate nel predetto periodo dei quattro trimestri
di riferimento, ovvero fornire adeguati elementi in ordine a quelle in corso oppure da effettuare: in
alternativa,
il
soggetto
passivo
può
manifestare l’intenzione di effettuare operazioni
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intracomunitarie. I soggetti esclusi, qualora si manifesti successivamente l’esigenza di effettuare
operazioni intracomunitarie, possono, infatti, nuovamente richiedere l’inclusione nel Vies.
Rimane, peraltro, salvo quanto disposto dal successivo co. 15-bis dell’art. 35 del D.P.R. 633/1972 –
anch’esso oggetto di modifica da parte del Decreto “Semplificazioni fiscali” – secondo cui, in caso di dati
di identificazione Iva incompleti o inesatti, l’Agenzia delle Entrate emana un provvedimento di
cessazione della partita Iva, e provvede all’esclusione della stessa dal Vies.
L’art. 35, co. 15-bis, del D.P.R. 633/1972, nella versione modificata prevista dal D.Lgs. 175/2014,
stabilisce, infatti, che con Provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle Entrate sono definiti:
• le modalità operative per l’inclusione delle partite Iva nella banca dati dei soggetti passivi che
effettuano operazioni intracomunitarie;
• i criteri e le modalità di cessazione della partita Iva e dell’esclusione della stessa dal Vies.
Per le operazioni effettuate in vigenza della precedente normativa, la C.M. n. 31/E/2014, par. 13 ritiene
applicabile il principio del “favor rei” previsto dall’art. 3, co. 2, del D.Lgs. n. 472/1997, secondo cui “salvo
diversa previsione di legge, nessuno può essere assoggettato a sanzioni per un fatto che, secondo una
legge posteriore, non costituisce violazione punibile”: conseguentemente, non è, pertanto, più
sanzionabile il comportamento posto in essere da un soggetto passivo che ha effettuato operazioni
intracomunitarie prima che del decorso dei 30 giorni entro i quali – ai sensi del previgente co. 7-bis dell’art.
35 del D.P.R. n. 633/1972 – l’Amministrazione Finanziaria avrebbe potuto emettere un provvedimento di
diniego all’iscrizione al Vies. In particolare, qualora il provvedimento di irrogazione delle sanzioni
non sia divenuto definitivo, non saranno applicabili le sanzioni previste dall’art. 6 del D.Lgs. n.
471/1997.
2.4. Elenchi riepilogativi Intrastat
L’art. 23 del D.Lgs. 175/2014 ha affidato ad un atto del Direttore dell’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli,
da emanare – di concerto col Direttore dell’Agenzia delle Entrate – entro il 13 marzo 2015 (art. 50, co. 6ter, del D.L. n. 331/1993), la modifica del contenuto degli elenchi riepilogativi relativi alle
prestazioni di servizi diverse da quelle di cui agli artt. 7-quater e 7-quinquies del D.P.R. n. 633/1972,
rese nei confronti di soggetti passivi stabiliti in un altro Stato dell’Unione Europea e quelle da questi ultimi
ricevute, al fine di circoscrivere le informazioni obbligatorie alle sole notizie concernenti:
• i numeri di identificazione Iva delle controparti;
• il valore totale delle relative prestazioni;
• il codice identificativo del loro tipo;
• il Paese di pagamento.
Il suddetto provvedimento attuativo è stato adottato lo scorso 19 febbraio 2015, con la determinazione
n. 18978, approvando le nuove istruzioni per l’uso e la compilazione degli elenchi riepilogativi delle
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cessioni e degli acquisti intracomunitari di beni e dei servizi resi e ricevuti, aventi periodi di riferimento
decorrenti dal 1° gennaio 2015: non sono stati, pertanto, pubblicati nuovi modelli. Nel caso in cui il
contribuente riporti le sole informazioni indicate dal D.Lgs. n. 175/2014, tali dati potranno essere aggregati,
riepilogando in ciascuna riga di dettaglio gli importi di tutti i servizi resi o ricevuti che presentino le stesse
caratteristiche (medesimo codice identificativo della controparte, codice servizio e Paese di pagamento).
Naturalmente, la circostanza che il modello sia rimasto invariato consente al contribuente di continuare
a riportare facoltativamente, anche per i periodi di riferimento decorrenti dal 1° gennaio 2015, il
numero e la data delle fatture, le modalità di erogazione del servizio e di incasso del corrispettivo.
È rimasta immutata anche la normativa di riferimento, rappresentata dall’art. 50, co. 6, del D.L. n.
331/1993, secondo cui i contribuenti presentano in via telematica all’Agenzia delle Dogane gli elenchi
riepilogativi delle cessioni e degli acquisti intracomunitari, nonché delle prestazioni diverse da quelle di cui
agli artt. 7-quater e 7-quinquies del D.P.R. 633/1972, rese nei confronti di soggetti passivi stabiliti in un
altro Stato della Comunità, e quelle da questi ultimi ricevute. Sul punto, si ricorda, peraltro, che la predetta
disciplina degli elenchi riepilogativi era stata modificata, con effetto a partire dal 1° gennaio 2015,
dall’art. 50-bis, co. 4, del D.L. n. 69/2013, nel senso di prevedere che le prestazioni di servizi ricevuti
non devono più essere segnalate negli elenchi riepilogativi. Conseguentemente, si dovrebbe
ritenere che la riduzione del contenuto informativo, prevista dal D.Lgs. 175/2014, finisca per interessare
esclusivamente le prestazioni generiche di servizi rese a soggetti passivi stabiliti in altri Stati comunitari:
l’estensione dell’adempimento ai servizi ricevuti è, infatti, in contrasto con l’art. 268 della Direttiva
2006/112/CE, secondo cui al singolo Paese membro è concessa, in via di deroga, la facoltà di imporre
gli elenchi riepilogativi per i beni oggetto di acquisto intracomunitario, e non anche per i servizi ricevuti.
Si segnala, inoltre, che l’art. 25 del D.Lgs. n. 175/2014 ha disposto l’abolizione delle sanzioni di cui
all’art. 11 del D.Lgs. n. 322/1989, per l’omessa o inesatta comunicazione dei dati statistici richiesti nei
modelli Intrastat: a questo proposito, si ricorda che le predette informazioni devono essere fornite dai
contribuenti con periodicità mensile di trasmissione dei modelli, e che prima della novità normativa in
commento un’eventuale omissione o inesattezza nell’indicazione di tali dati comportava l’applicazione di
una sanzione minima di euro 207 per le violazioni commesse dalle persone fisiche, e di euro 516 per le
società e gli enti. Restano soggette alle sanzioni le sole imprese incluse nello specifico elenco pubblicato
periodicamente dall’Istat, soggette alle rilevazioni previste dal Programma statistico nazionale, per le
quali la mancata fornitura dei dati configura violazione dell’obbligo di risposta, in base agli artt. 7 e 11 del
D.Lgs. n. 322/1989: la nuova disposizione prevede che, in tal caso, le sanzioni si applicano una sola volta
per ogni modello Intrastat mensile inesatto o incompleto, a prescindere dal numero di transazioni
mancanti, o errate nel modello stesso.
2.5. Detrazione Iva sulle spese di rappresentanza
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L’art. 30 del D.Lgs. n. 175/2014 ha elevato da euro 25,82 ad euro 50 – con effetto a partire dalle
operazioni poste in essere dal 13 dicembre 2014 – il limite previsto dal Decreto Iva, ai fini
dell’individuazione:
• del presupposto oggettivo dell’imposta sul valore aggiunto, ovvero delle cessioni di beni (art.
2, co. 2, n. 4), del D.P.R. 633/1972) e delle prestazioni di servizi (art. 3, co. 3, primo periodo, del
Decreto Iva). Conseguentemente, si considera fuori dal campo di applicazione dell’Iva la cessione
gratuita di beni, la cui produzione o il cui commercio non rientra nell’attività propria dell’impresa, il cui
costo unitario non superi euro 50 (e non più euro 25,82): analogamente, non rientrano nell’ambito di
operatività dell’imposta sul valore aggiunto le prestazioni di servizi il cui valore non superi l’importo di
euro 50, anche se effettuate per l’uso personale o familiare dell’imprenditore, ovvero a titolo gratuito
per finalità estranee all’esercizio dell’impresa;
• dell’imposta indetraibile sulle spese di rappresentanza (art. 19-bis, co. 1, lett. h), del D.P.R.
633/1972). In virtù di tale modifica, l’Iva riguardante le spese di rappresentanza – così come
qualificabili ai fini delle imposte sui redditi (D.M. 19 novembre 2008) – è oggettivamente
indetraibile, salvo che si tratti di acquisti di costo unitario non superiore ad euro 50 (e non più
euro 25,82).
Quest’ultima modifica ha, pertanto, determinato l’adeguamento del limite previsto ai fini della deducibilità
dal reddito d’impresa delle spese di rappresentanza (art. 108, co. 2, del D.P.R. n. 917/1986). Le due
discipline sono, inoltre, accomunate dai medesimi criteri di individuazione di tali costi, stabiliti dal D.M. 19
novembre 2008. In particolare, l’art. 1, co. 1, secondo periodo, di tale Decreto definisce come spese di
rappresentanza quelle sostenute per viaggi turistici durante i quali siano programmate e, in concreto,
svolte significative attività promozionali dei beni o dei servizi la cui produzione o il cui scambio
costituisce oggetto dell'attività caratteristica dell'impresa. Lo stesso dicasi per i costi relativi a feste,
ricevimenti e altri eventi di intrattenimento organizzati in occasione di ricorrenze aziendali o di festività
nazionali o religiose, inaugurazioni di nuovi uffici, sedi o stabilimenti dell’impresa, oppure mostre, fiere
ed eventi simili in cui sono esposti i beni e servizi prodotti dal’azienda. È, inoltre, qualificabile come
spesa di rappresentanza ogni altro onere per beni e servizi distribuiti o erogati gratuitamente, ivi inclusi i
contributi erogati gratuitamente per convegni, seminari e manifestazioni simili il cui
sostenimento risponda a criteri di inerenza.
Non costituiscono, invece, spese di rappresentanza, i costi alberghieri e di ristorazione sostenuti per
ospitare clienti, anche potenziali, in occasione di mostre, fiere, esposizioni ed eventi simili in cui
sono esposti i beni e i servizi prodotti dall'impresa, visite a sedi o unità produttive dell'impresa. Non
costituiscono, inoltre, spese di rappresentanza i costi di alberghieri e di ristorazione sostenuti direttamente
dall'imprenditore individuale, in occasione di trasferte effettuate per la partecipazione a mostre, fiere,
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ed eventi simili in cui sono esposti beni e servizi prodotti dall'impresa o attinenti all'attività caratteristica
della stessa.
Le spese di vitto e alloggio sostenute per finalità diverse dalla promozione e dalle pubbliche
relazioni, a favore di soggetti diversi da clienti effettivi o potenziali (fornitori, agenti, rappresentanti,
ecc.), non sono da ricomprendere dal novero delle spese di rappresentanza (Norma di comportamento
AIDC n. 177/2010).
2.6. Note di variazione Iva
Le variazioni in diminuzione della base imponibile Iva, e del relativo tributo, sono disciplinate dall’art. 26,
co. 2, del D.P.R. n. 633/1972. La disposizione in parola contempla le diverse ipotesi (dichiarazione di
nullità, annullamento, revoca, risoluzione, rescissione e simili, applicazione di abbuoni o sconti previsti
contrattualmente) in cui un’operazione, successivamente all’emissione della fattura, venga meno, anche
soltanto parzialmente, ovvero se ne riduca l’ammontare imponibile: tale casistica comprende, inoltre, la
circostanza del mancato pagamento, non necessariamente integrale, a causa di procedure
esecutive o concorsuali rimaste infruttuose, oppure – come previsto dall’art. 31 del D.Lgs. n.
175/2014, che ha modificato la suddetta norma del Decreto Iva – quella dell’accordo di ristrutturazione
dei debiti omologato (art. 182-bis del R.D. n. 267/1942) o del piano attestato di risanamento
pubblicato presso il Registro delle Imprese (art. 67, co. 3, lett. d), L.Fall.).
Al ricorrere delle suddette eventualità, è riconosciuto al cedente del bene o prestatore del servizio il diritto
di emettere una nota di variazione Iva, ed esercitare la detrazione della corrispondente
imposta, soggette a regole differenti: ad esempio, il requisito dell’infruttuosità è stabilito
esclusivamente con riguardo alle procedure concorsuali (amministrazione straordinaria delle grandi
imprese in crisi, concordato preventivo, fallimento, liquidazione coatta amministrativa, accordo di
composizione della crisi da sovraindebitamento e procedimento di liquidazione del patrimonio del debitore).
Nel caso dell’accordo di ristrutturazione dei debiti, ovvero raggiunto dal debitore con i creditori
rappresentanti almeno il 60% della proprie passività, la possibilità – introdotta dall’art. 31 del D.Lgs. n.
175/2014 – di emettere la nota di variazione Iva senza limiti di tempo, per effetto della mera
emanazione del provvedimento giudiziale di omologazione, rappresenta un’indubbia novità positiva per i
creditori. Consente, infatti, di evitare il rischio di penalizzazione riscontrato in passato in capo ai
creditori partecipanti all’accordo, ovvero ricadere nell’art. 26, co. 3, del D.P.R. n. 633/1972 – riservato
all’accordo sopravvenuto tra le parti, non rientrante nelle fattispecie individuate dal precedente co. 2 – che
subordina il recupero dell’Iva alla condizione che la nota di variazione sia emessa entro un anno
dall’effettuazione dell’operazione. In altri termini, per effetto della predetta novità normativa, si deve
ritenere che il creditore il cui diritto sia “falcidiato” dall’accordo di ristrutturazione di cui all’art.
182-bis L.Fall. raggiunto col debitore possa emettere la nota di variazione Iva – ai sensi dell’art. 26, co. 2,
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del D.P.R. n. 633/1972 – per il semplice fatto che il tribunale competente ha emanato il decreto di
omologazione: conseguentemente, a differenza delle procedure concorsuali, non è necessario
attendere la completa esecuzione dell’accordo e, quindi, l’accertamento giudiziale dell’effettiva
infruttuosità.
I soggetti estranei all’accordo di ristrutturazione dei debiti non sono, pertanto, interessati dalla
tematica della nota di variazione Iva, in quanto devono essere soddisfatti al 100% entro 120 giorni dalla
scadenza del credito o dalla data del decreto di omologazione, se già scaduti in tale giorno (art. 182-bis,
co. 1, L.Fall.).
Il nuovo principio previsto per l’emissione della nota di variazione Iva a seguito di accordo di
ristrutturazione dei debiti omologato è applicabile anche nell’ipotesi del piano attestato di pubblicato presso
il Registro delle Imprese (art. 67, co. 3, lett. d), del R.D. n. 267/1942), ovvero un documento redatto
dal debitore, con l’assistenza dei propri consulenti, recepito dall’organo di gestione (collegiale o
monocratico) ed asseverato – in ordine alla veridicità dei dati aziendali su cui si fonda, e alla fattibilità
dello stesso – da un professionista, designato dal debitore, ed in possesso dei requisiti professionali
e di indipendenza individuati dalla predetta norma della Legge Fallimentare.
Il piano attestato di risanamento non è sottoposto al vaglio del tribunale, salvo che il debitore opti
successivamente per una diversa soluzione della crisi (accordo di ristrutturazione dei debiti o concordato
preventivo), oppure venga dichiarato fallito: conseguentemente, il momento in cui sorge il diritto
all’emissione della nota di variazione Iva – ai sensi dell’art. 26, co. 2, del D.P.R. n. 633/1972 – deve
ritenersi coincidente con la data della pubblicazione, presso il registro delle imprese, del piano attestato
di risanamento. Analogamente all’ipotesi dell’accordo di ristrutturazione dei debiti omologato, anche nel
caso del piano attestato di risanamento pubblicato presso il Registro delle Imprese, ai fini dell’emissione
della nota di variazione Iva – senza limiti di tempo, ai sensi dell’art. 26, co. 2, del D.P.R. n. 633/1972
– non è richiesto l’accertamento dell’infruttuosità, ma semplicemente il venir meno, in base al piano
attestato di risanamento, dell’operazione originaria, anche soltanto parzialmente: in altri termini, a
differenza delle procedure concorsuali, non è necessario attendere tempi particolarmente lunghi
prima di poter procedere all’emissione del documento rettificativo rilevante ai fini dell’imposta sul valore
aggiunto.
La novità introdotta dall’art. 31 del D.Lgs. n. 175/2014 è, pertanto, coerente con quanto già previsto dal
Tuir, in materia di deducibilità delle perdite sofferte dal creditore, che rilevano fiscalmente, tra
l’altro, a partire dal seguente momento (art. 101, co. 5, del Tuir):
• decreto di omologazione dell’accordo di ristrutturazione dei debiti (art. 182-bis del R.D. n.
267/1942);
• pubblicazione, presso il Registro delle Imprese, del piano attestato di risanamento (art. 67,
co. 3, lett. d), L.Fall.), quale prova degli “elementi certi e precisi”.
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Adempimenti del creditore
L’emissione della nota di variazione Iva non è soggetta a particolari vincoli formali, essendo sufficiente che
presenti le medesime caratteristiche della fattura di cui costituisce la rettifica:
1) contenga le generalità delle parti (cedente e cessionario del bene, prestatore e committente del
servizio), l’indicazione della variazione della base imponibile Iva, dell’aliquota applicata e del relativo
tributo, nonché i dati identificativi della fattura originaria;
2) sia numerata e annotata, nei termini di legge.
Analogamente, ai fini contabili, non sono previste peculiari prescrizioni: la nota di variazione può essere
rilevata – indifferentemente, a discrezione del cedente del bene o prestatore del servizio – nel registro
delle fatture emesse, in diminuzione, ovvero ad incremento di quello delle fatture d’acquisto.
L’emissione della nota di variazione non è, pertanto, consentita qualora l’operazione, da cui è derivato il
credito, risulti certificata dallo scontrino fiscale, ovvero eseguita dai soggetti ex art. 22 del D.P.R. n.
633/1972, i cui incassi sono annotati nel registro dei corrispettivi. Tale facoltà è, quindi, riservata alle
fattispecie giustificate da fattura (RR.MM. nn. 45/E/2005 e 219/E/2003).
La facoltà di cui all’art. 26, co. 2, del D.P.R. n. 633/1972, pur non essendo formalmente sottoposta ad un
limite temporale (C.M. n. 77/E/2000), ne incontra implicitamente uno, previsto ai fini della detrazione
dell’Iva, quello di cui all’art. 19, co. 1, del D.P.R. n. 633/1972, riguardante la dichiarazione relativa al
secondo anno successivo a quello in cui è sorto il diritto alla detrazione, ed alle condizioni
esistenti in tale momento (R.M. n. 89/E/2002).
2.7. Rimborsi Iva
L’art. 13 del D.Lgs. 175/2014, come illustrato nella precedente Circolare n. 3/2015 (anteriore alla
pubblicazione della C.M. n. 6/E/2015), ha riformulato l’art. 38-bis del D.P.R. n. 633/1972, anticipando
i tempi di esecuzione del rimborso, in quanto è stabilito che l’originario termine di 3 mesi non decorre
più dalla scadenza prevista per la trasmissione della dichiarazione, bensì dalla data di effettiva
presentazione della stessa. In altre parole, nel caso di inoltro della dichiarazione Iva, relativa all’anno
2014, il giorno 1° febbraio 2015, il predetto termine di decorrenza di 3 mesi deve computarsi da tale data,
e non dalla scadenza del 30 settembre 2015. Sul punto, la C.M. n. 32/E/2014, par. 1 ha chiarito che,
nel caso di presentazione di più dichiarazioni per lo stesso periodo d’imposta (correttive nei termini od
integrative), il termine di 3 mesi inizia a decorrere nuovamente dall’ultima dichiarazione presentata. Resta,
invece, fermo il termine per il computo degli interessi sulla somma da rimborsare che, ai sensi
dell’art. 38-bis, co. 1, del D.P.R. n. 633/1972, decorrono dal 90° giorno successivo a quello in cui è stata
presentata la dichiarazione, senza considerare il periodo intercorrente tra la data di notifica della richiesta
di documenti e quella della loro effettiva consegna, qualora superi 15 giorni. A questo proposito, la C.M.
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n. 32/E/2014, par. 1 ha precisato che, nel caso in cui il visto di conformità sia apposto mediante la
presentazione della dichiarazione integrativa, gli interessi sono dovuti dalla data di apposizione del
visto.
La novellata norma dispone, inoltre, che i rimborsi annuali od infrannuali di importo superiore ad euro
15.000 sono eseguiti – analogamente alle regole sulle compensazioni orizzontali – previa presentazione
della relativa dichiarazione od istanza (modello Iva TR) da cui emerge il credito richiesto a rimborso,
recante il visto di conformità (art. 35 del D.Lgs. n. 241/1997) o la sottoscrizione del soggetto incaricato
della revisione legale dei conti (art. 10, co. 7, del D.L. n. 78/2009), che attesta l’esecuzione dei controlli di
cui all’art. 2, co. 2, del D.M. n. 164/1999 (C.M. n. 28/E/2014). A tale riguardo, la C.M. n. 32/E/2014
ha confermato che – analogamente a quanto sostenuto in materia di compensazione (R.M. n.
82/E/2014) – i professionisti, in possesso dei relativi requisiti, possono autonomamente apporre il
visto di conformità sulla propria dichiarazione annuale o modello Iva TR, senza essere obbligati a rivolgersi
a terzi: in tale sede, è stato altresì chiarito che l’apposizione del visto di conformità, o la sottoscrizione
alternativa, è correlata all’utilizzo – e non all’ammontare complessivo – del credito. Conseguentemente, se
l’importo del credito Iva in compensazione e quello richiesto a rimborso sono, ad esempio, pari ad euro
10.000 ciascuno, non è necessaria l’apposizione del visto di conformità, sebbene il credito complessivo
ecceda, cumulativamente, la soglia di euro 15.000.
La C.M. n. 32/E/2014, par. 2.2.1 ha, inoltre, ribadito – come già chiarito nelle CC.MM. n. 28/E/2014
e 57/E/2009 – che, considerata l’obbligatorietà del visto di conformità ai fini della fruizione dell’istituto
della compensazione, nelle ipotesi in cui le scritture contabili siano tenute da un soggetto che non
può apporre il visto di conformità, il contribuente può comunque rivolgersi ad un Caf-imprese oppure
ad un professionista abilitato all’apposizione del visto. Questo principio deve ritenersi applicabile anche
nelle circostanze in cui il soggetto che tiene le scritture, astrattamente abilitato ad apporre il visto di
conformità, ne sia, tuttavia, oggettivamente impossibilitato: pertanto, laddove – per ragioni di ordine
pubblico, in attuazione di disposizioni di legge o, più in generale, per atto d’autorità – sia revocato l’incarico
al soggetto al controllo legale dei conti, considerata la strumentalità del visto di conformità ai fini della
compensazione e del rimborso, il visto può essere apposto da un Caf-imprese o da un professionista
abilitato. Rimane fermo che i suddetti soggetti sono comunque tenuti a svolgere i controlli di cui all’art.
2, co. 2, del D.M. n. 164/1999, e a compilare la dichiarazione.
Dichiarazione sostitutiva
Alla predetta dichiarazione annuale od istanza infrannuale deve essere allegata una dichiarazione
sostitutiva di atto di notorietà (art. 47 del D.P.R. 28 dicembre 2000, n. 445) – da rendersi
nell’apposito riquadro presente nella dichiarazione Iva (rigo VX4 del modello Iva 2015) o nel modello
Iva TR, analogamente a quella dei soggetti non operativi di cui all’art. 3, co. 45, della Legge 23 dicembre
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1996, n. 662 (C.M. n. 146/E/1998) – attestante la sussistenza di alcune specifiche condizioni in capo al
contribuente:
• il patrimonio netto non è diminuito di oltre il 40%, rispetto alle risultanze contabili dell’ultimo
periodo d’imposta chiuso anteriormente alla presentazione della dichiarazione o istanza di rimborso,
anche nei casi in cui il bilancio non sia ancora stato approvato (C.M. n. 32/E/2014, par. 2.2.2), a
dispetto di quanto stabilito nel previgente art. 38, co. 7, lett. c), n. 1), del D.P.R. n. 633/1972, che – ai
fini dell’individuazione del “contribuente virtuoso” – faceva riferimento all’ultimo bilancio approvato.
L’Agenzia delle Entrate ha altresì chiarito che, per i soggetti che non adottano la contabilità
ordinaria, la dichiarazione sostitutiva non riguarda il requisito relativo al patrimonio netto;
• la consistenza degli immobili non si è ridotta di oltre il 40%, rispetto alle risultanze contabili
dell’ultimo periodo d’imposta, a causa di cessioni non effettuate nella normale gestione
dell’attività esercitata;
• l’attività non è cessata, né si è ridotta, per effetto di cessioni di aziende o rami di aziende
compresi nelle suddette risultanze contabili;
• non risultano cedute, nell’anno precedente la richiesta, azioni o quote della società non
quotata per un ammontare superiore al 50% del capitale sociale. Ad esempio, nell’ipotesi di un’istanza
di rimborso presentata il 15 marzo 2015, l’anno di riferimento da assumere, ai fini della verifica di
tale presupposto, è quello compreso tra il 15 marzo 2014 e il 14 marzo 2015;
• sono stati versati i contributi previdenziali ed assicurativi.
L’Agenzia delle Entrate ha, inoltre, chiarito che – qualora nella dichiarazione Iva o nel modello Iva TR sia
presente una richiesta di rimborso – la dichiarazione di atto notorio, debitamente sottoscritta dal
contribuente, e la copia del documento di identità dello stesso, sono ricevute e conservate da chi invia la
dichiarazione ed esibite a richiesta dell’Amministrazione Finanziaria.
In caso di rimborso di importo superiore ad euro 15.000, già richiesto al 13 dicembre 2014, la
sussistenza dei predetti requisiti e delle condizioni previste per l’apposizione del visto di conformità e la
presentazione della dichiarazione sostitutiva deve essere verificata con riferimento alla suddetta data, e
non a quella della richiesta di rimborso, affinchè la valutazione del rischio tenga conto della situazione
attuale del contribuente (C.M. n. 32/E/2014, par. 2.5.2).
L’Agenzia delle Entrate ha, inoltre, ricordato che il contribuente può modificare la scelta effettuata in
dichiarazione relativa al credito richiesto a rimborso, presentando una dichiarazione integrativa entro i
90 giorni successivi alla scadenza del termine (C.M. n. 32/E/2014, par. 2.2.1): a questo proposito, la C.M.
n. 6/E/2015, par. 8.2 ha chiarito che tale fattispecie è differente da quella trattata dalla C.M. n.
25/E/2012, par. 2.2, in quanto non si interessa della revoca del rimborso – anche soltanto in parte –
bensì, al contrario, del caso in cui il contribuente intenda chiedere a rimborso un ammontare più elevato
rispetto a quello originariamente richiesto in dichiarazione. Al ricorrere di tale ipotesi, quindi, è possibile
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trasmettere la dichiarazione integrativa entro 90 giorni dal termine di presentazione della dichiarazione.
Diversamente, se il contribuente vuole revocare la precedente richiesta di rimborso, dovrà rettificare
la dichiarazione trasmettendo una dichiarazione integrativa, entro il termine di presentazione della
dichiarazione relativa al periodo d’imposta successivo.
Qualora la rettifica di tale decisione renda necessaria l’apposizione del visto di conformità – come
nell’ipotesi in cui l’istanza di rimborso, originariamente inferiore ad euro 15.000 superi tale limite – nella
dichiarazione integrativa deve essere apposto il visto di conformità o la sottoscrizione alternativa (C.M. n.
1/E/2010), salvo che il contribuente sia qualificabile come “rischio” e, quindi, soggetto all’obbligo di
prestazione della garanzia. Sul punto, la C.M. n. 6/E/2015, par. 8.2 ha precisato che, nel caso in cui il
contribuente intenda apporre il visto di conformità assente nella dichiarazione originaria,
l’integrativa potrà essere presentata anche oltre il termine di 90 giorni dalla presentazione della
dichiarazione.
Fermo restando che nei diversi casi in cui non sia in alcun modo modificata la scelta operata dal
contribuente in relazione al rimborso, ma sia esclusivamente corretta la mancata o non regolare
apposizione del visto di conformità o della sottoscrizione alternativa, il contribuente può correggere
l’omissione o l’errore mediante presentazione di una dichiarazione integrativa anche oltre il
termine di 90 giorni.
Rimborsi Iva fino ad euro 15.000
La principale novità è, pertanto, rappresentata dalla previsione dell’erogazione dei rimborsi annuali e
infrannuali di importo non superiore ad euro 15.000 (in luogo di quello previgente di euro 5.164,57)
senza la necessità di prestare la garanzia. L’obiettivo principale è, pertanto, quello di snellire la
procedura di esecuzione dei rimborsi di importo modesto, evitando così alcuni oneri in capo al soggetto
richiedente: in altri termini, l’intento del legislatore è quello di semplificare ed accelerare l’erogazione dei
rimborsi Iva, in conformità alle raccomandazioni espresse in materia dalla Commissione Europea.
La norma non chiarisce, tuttavia, le modalità di computo del limite di euro 15.000: per ogni singola
istanza di rimborso oppure cumulativamente (rimborsi annuali e trimestrali)? L’Agenzia delle Entrate ritiene
che il limite di euro 15.000 debba intendersi riferito non alla singola richiesta, ma alla sommatoria delle
istanze di rimborso presentate per l’intero periodo d’imposta (R.M. n. 165/E/2000): tale
orientamento è giustificato, a parere dell’Amministrazione Finanziaria, anche dalla considerazione che la
relazione illustrativa al D.Lgs. 175/2014 si limita a rilevare l’innalzamento dell’ammontare dei rimborsi
eseguibili senza adempimento, e non evidenzia alcuna ulteriore modifica rispetto alla previgente normativa
che possa condurre ad una diversa interpretazione (C.M. n. 32/E/2014, par. 2.1). Ciò comporta, ad
esempio, che nel caso di presentazione di un’istanza di rimborso infrannuale per un importo di euro 10.000
a cui faccia seguito, per il medesimo periodo d’imposta, una nuova istanza o dichiarazione con una richiesta
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di restituzione per un ammontare di euro 5.100, l’obbligo del visto di conformità – oppure della
sottoscrizione alternativa – e della dichiarazione sostitutiva di atto notorio sorge in relazione a tale ultima
domanda.
L’Agenzia delle Entrate ha, inoltre, chiarito che l’estensione da euro 5.164,57 ad euro 15.000 della soglia
di esonero da ogni adempimento esplica i propri effetti anche sulle richieste di rimborso presentate
prima del 13 dicembre 2014, data di entrata in vigore del novellato art. 38-bis del D.P.R. n. 633/1972.
Con l’effetto che l’Ufficio o l’Agente della Riscossione non procederà, quindi, a richiedere la garanzia
successivamente alla predetta data, ovvero – nell’ipotesi in cui sia stata domandata – il contribuente non
è più tenuto a presentarla (C.M. n. 32/E/2014, par. 2.5.1). Diversamente, le garanzie prestate con
riguardo ai rimborsi già erogati al 13 dicembre 2014 non potranno essere restituite: sul punto, la
C.M. n. 6/E/2015, par. 8.4 ha, inoltre, osservato che il contribuente può richiedere la restituzione
della garanzia prestata con riferimento ai rimborsi non ancora erogati alla data del 13 dicembre
2014.
Obbligo di prestazione della garanzia
È, invece, disposto l’adempimento della prestazione della garanzia per i rimborsi di importo superiore
ad euro 15.000, quando sono richiesti da soggetti passivi “a rischio”, come quelli che esercitano
un’attività d’impresa da meno di due anni, salvo che si tratti di start-up innovative (art. 25 del D.L.
n. 179/2012). Sul punto, la C.M. n. 6/E/2015, par. 8.3 ha precisato che – ai fini del computo di tale
biennio, rispetto alla data di presentazione della richiesta di rimborso – non rileva la data di apertura
della partita Iva, bensì quella di effettivo svolgimento dell’attività, che ha inizio con la prima
operazione effettuata: ad esempio, nel caso di richiesta di rimborso (annuale o trimestrale) trasmessa
l’11 aprile 2015, il contribuente non è obbligato alla prestazione della garanzia se ha effettivamente iniziato
l’attività dell’impresa prima del 12 aprile 2013. In tale sede, è stato altresì confermato che – così come
desumibile dalla formulazione letterale dell’art. 38-bis, co. 4, lett. a), del D.P.R. n. 633/1972 – l’obbligo di
prestazione della garanzia per i soggetti in attività da meno di due anni non riguarda i lavoratori
autonomi.
L’obbligo della prestazione della garanzia è, inoltre, posto a carico dei soggetti passivi che richiedono il
rimborso dell’eccedenza detraibile risultante all’atto della cessazione dell’attività, oppure ai quali – nei
due anni antecedenti la richiesta di rimborso – sono stati notificati avvisi di accertamento o
rettifica (anche con riferimento a tributi diversi dall’Iva amministrati dall’Agenzia delle Entrate) da cui
risulti, per ciascun anno, una differenza tra gli importi accertati e quelli dell’imposta dovuta o del
credito dichiarato superiore al:
• 10% degli importi dichiarati, se questi non superano euro 150.000;
• 5% degli importi dichiarati, se questi superano euro 150.000, ma non euro 1.500.000;
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• 1% degli importi dichiarati, o comunque ad euro 150.000, se gli importi dichiarati superano
euro 1.500.000.
Ad esempio, per una richiesta di rimborso presentata il 15 marzo 2015, non verrà considerato, ai fini di
tale fattispecie, qualsiasi atto di accertamento o rettifica notificato prima del 15 marzo 2013, rilevando
esclusivamente quelli notificati da tale data sino al 14 marzo 2015 – compresi quelli relativi al recupero
di crediti inesistenti (artt. 1, co. da 421 a 423, della Legge n. 311/2004 e 27, co. 18, del D.L. n.
185/2008), in ragione della natura giuridica dell’atto di recupero, il quale rientra nel novero degli atti
autoritativi impositivi, nella misura in cui reca una pretesa tributaria ormai definita, compiuta e non
condizionata – a prescindere dagli esiti degli stessi, ad eccezione degli atti annullati in autotutela
oppure oggetto di sentenze favorevoli al contribuente passate in giudicato (C.M. n. 54/E/1999).
L’avviso di accertamento notificato a partire dalla data di richiesta di rimborso non rileva ai fini
dell’obbligatorietà della presentazione della polizza, ma deve essere considerato con riguardo all’eventuale
adozione delle misure di sospensione previste dagli artt. 38-bis, co. 8, del D.P.R. n. 633/1972 e 23
del D.Lgs. n. 472/1997, ovvero – sussistendone i presupposti di gravità – della misura del fermo
amministrativo.
Se il contribuente non rientra nei predetti soggetti “a rischio”, è esonerato dalla prestazione della garanzia
se presenta la dichiarazione o istanza, da cui emerge il credito richiesto a rimborso, munita del visto di
conformità o della sottoscrizione alternativa, e allega la dichiarazione sostitutiva di atto di
notorietà. La nuova normativa presenta, pertanto, un radicale cambio di impostazione nel rapporto tra
fisco e contribuente, eliminando l’obbligo generalizzato di prestazione della garanzia, con la conseguente
significativa riduzione dei costi per ottenere rimborsi annuali e trimestrali, nonché con la
contrazione della tempistica di lavorazione per il venir meno della fase amministrativa di richiesta e
riscontro della validità delle garanzie.
La nuova formulazione dell’art. 38-bis del D.P.R. n. 633/1972 non prevede, pertanto, più alcun riferimento
ai c.d. “contribuenti virtuosi”, previsto, invece, dalla previgente versione della norma (co. 7), ovvero
quei soggetti passivi Iva che rispettavano determinate condizioni di solvibilità ed affidabilità (C.M. n.
10/E/2011): infatti, il nuovo co. 3, innovando completamente l’impostazione precedente, stabilisce, in
via generale, che – per l’esecuzione dei rimborsi di importo superiore ad euro 15.000 – non è più necessaria
la prestazione della garanzia a favore dello Stato, a prescindere dall’ammontare dei versamenti effettuati
e dalla tipologia di rimborso.
Requisiti della garanzia
La garanzia, ove dovuta, deve essere prestata per una durata di 3 anni dall’esecuzione del rimborso,
ovvero – se inferiore – per il periodo mancante al termine di decadenza dell’accertamento, fissato
al 31 dicembre del quarto anno successivo a quello di presentazione della dichiarazione, oppure al 31
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dicembre del quinto anno successivo a quello in cui la dichiarazione avrebbe dovuto essere presentata
(art. 57 del D.P.R. n. 633/1972): vale anche per crediti Iva, vantati dall’Amministrazione Finanziaria, relativi
ad annualità precedenti maturati nel periodo di validità della garanzia.
Qualora tra la data di notifica della richiesta di documenti da parte dell’ufficio e quella della loro
consegna trascorra un periodo superiore a 15 giorni, il termine di decadenza relativo agli anni in cui si è
formato il credito chiesto a rimborso è differito di un periodo pari a quello compreso tra il sedicesimo
giorno e la data di consegna.
Per data di consegna si intende quella in cui avviene la presentazione di tutta la documentazione, da
parte del contribuente, all’ufficio richiedente: nel caso di spedizione postale, coincide con il giorno in cui
l’Agenzia delle Entrate riceve la documentazione (C.M. n. 249/E/1997). Nell’ipotesi di ritardo nella
consegna di documenti, l’ufficio o l’Agente della Riscossione comunica al soggetto che presta la garanzia
o al contribuente l’estensione del termine finale dell’obbligazione della garanzia (C.M. n.
84/E/1998): l’eventuale mancata prestazione della garanzia non è idonea a prolungare illimitatamente il
termine di decadenza del potere di accertamento da parte dell’Amministrazione finanziaria, non rientrando
la stessa tra i documenti a cui si riferisce l’art. 57 del D.P.R. n. 633/1972 (C.M. n. 17/E/2011).
La garanzia può essere rappresentata dalla cauzione in titoli di Stato o dallo stesso garantiti, oppure, dalla
fideiussione rilasciata da una banca o un’impresa commerciale che, a giudizio dell’Amministrazione
Finanziaria, offra adeguate garanzie di solvibilità, ovvero dalla polizza fideiussoria rilasciata da
un’impresa di assicurazione.
Per le piccole e medie imprese (D.M. 18 aprile 2005), la garanzia può essere prestata anche dai consorzi
o dalle cooperative di garanzia collettiva dei fidi.
Per i gruppi di società, con patrimonio risultante dal bilancio consolidato superiore ad euro 250.000.000,
la garanzia può essere prestata mediante la diretta assunzione – da parte della capogruppo o
controllante di cui all’art. 2359 c.c. – dell’obbligazione di integrale restituzione della somma da rimborsare,
comprensiva dei relativi interessi, all’Amministrazione Finanziaria, anche in caso di cessione della
partecipazione nella controllata o collegata. La società capogruppo o controllante, che può prestare la
suddetta garanzia tramite assunzione diretta dell’obbligazione, è, in ogni caso, la società posta al vertice,
ovvero quella nazionale o comunitaria preposta alla redazione del bilancio consolidato (C.M. n.
164/E/1998), sempre che il patrimonio netto del gruppo superi il predetto limite (C.M. n. 32/E/2014,
par. 4.6): il bilancio consolidato tiene conto dei dati di tutte le società, nazionali ed estere, partecipanti al
consolidato, siano esse controllate o collegate proporzionalmente ai sensi dell’art. 37 del D.Lgs. 9 aprile
1991, n. 127. La capogruppo europea, in qualità di sub-holding, può comunque prestare la garanzia
mediante assunzione dell’obbligazione, qualora “la situazione patrimoniale della società che presta la
garanzia assicuri quei requisiti di solidità ed affidabilità richiesti per garantire direttamente i crediti delle
società controllate” (R.M. n. 41/E/2011).
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Quando è prestata la garanzia, non è obbligatoria l’apposizione del visto di conformità, o la
sottoscrizione alternativa, sulla dichiarazione od istanza dalla quale emerge il credito richiesto a rimborso.
Se, successivamente al rimborso o alla compensazione, viene notificato un avviso di accertamento o
rettifica, il contribuente è tenuto a versare, entro 60 giorni, le somme che, in base a tale atto, risultano
indebitamente rimborsate o compensate (oltre agli interessi del 2% annuo dalla data del rimborso o della
compensazione), salvo che presti la garanzia sino alla data di definitività dell’accertamento.
Rimborso in conto fiscale
Il nuovo art. 38-bis del D.P.R. n. 633/1972 si applica anche ai rimborsi richiesti in conto fiscale,
mediante procedura semplificata, ai sensi dell’art. 78, co. 33, lett. c), primo periodo, della Legge n.
413/1991: a questo proposito, l’Agenzia delle Entrate – ribadendo il principio già formulato dalla C.M. n.
146/E/1998, con riferimento al precedente limite di euro 5.164,57 – ha chiarito che i rimborsi sino ad
euro 15.000 non rilevano ai fini del computo della franchigia di cui alla precedente lett. b), ovvero non
devono essere sottratti dall’ammontare complessivo dei versamenti affluiti in conto fiscale (C.M. n.
32/E/2014, par. 2.4).
Il contribuente può chiedere l’erogazione del rimborso con le seguenti modalità:
• all’Agente della Riscossione in procedura semplificata, soltanto per le richieste annuali e nel
limite di euro 700.000 – compresi anche gli eventuali crediti compensati – ai sensi dell’art. 78, co.
33-38, della Legge n. 413/1991 e dell’art. 20 del D.M. n. 567/1993;
• all’Ufficio dell’Agenzia delle Entrate in procedura ordinaria, per le richieste sia annuali che infrannuali
– obbligatoriamente, con riguardo alle prime, per l’importo eccedente il limite di euro 700.000 – e nei
casi di procedure concorsuali e di cessazione dell’attività.
A seguito dell’eliminazione dell’obbligo generalizzato di prestazione della garanzia, anche per i rimborsi
richiesti mediante la procedura semplificata il contribuente può scegliere tra prestare la garanzia o
apporre il visto di conformità o la sottoscrizione alternativa sulla dichiarazione annuale, e presentare la
dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà. Al ricorrere di tali ipotesi, per i rimborsi superiori ad euro
15.000, il contribuente – che non rientri nelle fattispecie di “rischio” di cui all’art. 38-bis, co. 4, del D.P.R.
n. 633/1972 – può presentare una dichiarazione munita di visto di conformità e la dichiarazione sostitutiva
dell’atto di notorietà attestante la sussistenza dei requisiti patrimoniali e contributivi stabiliti dalla medesima
disposizione, ovvero idonea garanzia.
Con riguardo all’eventuale ritardo nella restituzione del credito richiesto a rimborso, è altresì
previsto che l’Agente della Riscossione liquida e corrisponde gli interessi, nella misura determinata dalle
specifiche leggi di imposta, senza necessità di una separata istanza da parte del contribuente: gli interessi
dovuti sono, quindi, erogati automaticamente, senza ulteriori adempimenti da parte del contribuente.
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La previsione della contestuale erogazione di capitale ed interessi da parte dell’Agente della Riscossione
comporta che, in sede di determinazione dell’importo da garantire, si debba tener conto degli
interessi per il ritardo nell’esecuzione dei rimborsi, al pari di quanto già previsto per i rimborsi in procedura
ordinaria: poiché le modifiche normative si applicano ai rimborsi erogati a partire dal 1° gennaio
2015, le stesse producono effetti anche con riferimento ai rimborsi in corso di esecuzione a quella data.
Procedure concorsuali
La C.M. n. 32/E/2014, par. 5.3, ha, inoltre, ricordato che – in deroga a quanto previsto dall’art. 38-bis, co.
1, del D.P.R. n. 633/1972 – l’art. 74-bis, co. 3, del D.P.R. n. 633/1972 dispone che i rimborsi previsti dal
precedente art. 30, non ancora liquidati alla data della dichiarazione di fallimento o liquidazione
coatta amministrativa e quelli successivi, sono eseguiti senza la prestazione della garanzia per un
ammontare non superiore ad euro 258.228,45. Questo limite deve ritenersi riferito a tutti i rimborsi
Iva erogati nel corso della procedura concorsuale, e non ai singoli periodi d’imposta (C.M. n.
54/E/2002): al fine di stabilire la sussistenza e la misura del diritto all’esonero dalla prestazione della
garanzia, è, pertanto, necessario verificare l’ammontare dei rimborsi richiesti anteriormente alla data della
dichiarazione di fallimento o della liquidazione coatta amministrativa, ma non ancora riscossi, e di quelli
domandati e percepiti nell’ambito di tali procedure. Tale norma agevolativa non è, invece, invocabile nel
caso di istituti concorsuali differenti dal fallimento e dalla liquidazione coatta amministrativa (R.M. n.
202/E/2007), come il concordato preventivo o l’accordo di composizione della crisi da
sovraindebitamento di cui alla Legge n. 3/2012.
2.8. Prima casa e allineamento Iva-registro
L’art. 33 del D.Lgs. n. 175/2014 ha mutato i criteri di individuazione delle unità abitative per le quali è
possibile usufruire dell’agevolazione “prima casa” ai fini dell’Iva – e, conseguentemente dell’applicazione
dell’aliquota ridotta del 4% – allineando tale disciplina a quella prevista nell’ambito degli atti soggetti ad
imposta di registro. In particolare, è stato modificato il n. 21 della Tabella A, Parte II, allegata al D.P.R.
633/1972, per effetto del quale, anche ai fini Iva, il riferimento non è più alle unità abitative “non di
lusso” identificate secondo i criteri del D.M. 2 agosto 1969, bensì a quelle che non siano accatastate
nelle categorie A/1, A/8 e A/9, come previsto per l’imposta di registro, dopo le modifiche – operate
dall’art. 26, co. 1, del D.L. 104/2013, con effetto dal 1° gennaio 2014 – all’art. 10, co. 1, del D.Lgs 23/2011
e, quindi, all’art. 1 della Tariffa, Parte I, allegata al D.P.R. 131/1986. Il legislatore ha, pertanto, rimediato
all’assenza di coordinamento tra la normativa Iva e quella dell’imposta di registro, evidenziata anche
dall’Agenzia delle Entrate, con la C.M. n. 2/E/2014, par. 1.3 (“per i trasferimenti soggetti ad Iva, ai fini
dell’individuazione delle case di abitazione ‘non di lusso’ cui si applicano le agevolazioni ‘prima casa’,
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continuano a rilevare i criteri dettati dal D.M. 2 agosto 1969, a prescindere dalla categoria catastale nella
quale l’immobile risulta censito in catasto”).
Conseguentemente, l’aliquota agevolata Iva del 4% trova applicazione con riguardo ai trasferimenti
delle prime case di abitazione diverse da quelle accatastate come A/1, A/8 o A/9: queste ultime
non possono, invece, accedere al beneficio, anche qualora non risultino qualificabili come “non di lusso”
ai sensi del D.M. 2 agosto 1969.
L’esclusiva rilevanza, ai fini dell’accesso all’agevolazione “prima casa”, della categoria catastale dell’unità
abitativa comporta, pertanto, l’obbligo dell’indicazione – in sede di stipulazione dell’atto di
trasferimento o costituzione del diritto reale sull’abitazione per il quale si intende godere dell’aliquota Iva
del 4% – della classificazione (o classificabilità) catastale dell’immobile nelle categorie che
possono usufruire del regime di favore (C.M. n. 31/E/2014, par. 24.1).
Nel caso dell’atto preliminare in cui la classificazione dell’unità abitativa sia stata effettuata in base
al D.M. 2 agosto 1969, con assoggettamento degli acconti ad un’aliquota Iva superiore al 4%, è
riconosciuta la possibilità di rettificare le relative fatture, mediante una nota di variazione (art. 26 del
D.P.R. n. 633/1972), in modo da poter applicare la predetta aliquota ridotta sull’intero corrispettivo dovuto
(R.M. n. 187/E/2000).
Il D.M. 2 agosto 1969 risulta, tuttavia, ancora richiamato ai fini dell’applicazione del n. 127-undecies)
della Tabella A, Parte III, allegata al D.P.R. n. 633/1972, secondo cui si applica l’aliquota Iva del
10% alle “case di abitazione non di lusso secondo i criteri” dettati dal D.M. 2 agosto 1969, a prescindere,
quindi, dalla categoria catastale: sul punto, l’Agenzia delle Entrate ha, però, osservato che il n. 127undecies della tabella A, Parte III, allegata al D.P.R. n. 633/1972 richiama espressamente il n. 21
della Tabella A, Parte II, allegata al D.P.R. n. 633/1972, presupponendo, pertanto, che l’oggetto
del trasferimento sia un immobile avente la medesima natura o classificazione catastale di quelli che
potrebbero potenzialmente fruire dell’agevolazione “prima casa”, in presenza di tutte le altre condizioni
previste dalla nota II-bis dell’art. 1 della Tariffa, Parte Prima, allegata al D.P.R. n. 131/1986.
Conseguentemente, in base ad un’interpretazione sistematica di tali disposizioni, l’Amministrazione
Finanziaria ritiene che – ai fini dell’applicazione dell’aliquota Iva del 10% alle cessioni oppure agli atti di
costituzione di diritti reali aventi ad oggetto case di abitazione diverse dalla “prima casa” – non
assuma più alcun rilievo la definizione di “abitazione di lusso” di cui al D.M. 2 agosto 1969, che deve,
quindi, ritenersi superata (C.M. n. 31/E/2014, par. 24.2).
3. Semplificazioni ai fini delle imposte dirette
Le principali novità introdotte dal D.Lgs. n. 175/2014, interessanti i tributi Ires, Irpef ed Irap sono
riconducibili ai seguenti aspetti:
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• la deducibilità delle spese di vitto ed alloggio dei professionisti;
• l’individuazione delle società di comodo in perdita sistematica;
• i termini e le modalità di accesso ai regimi opzionali Ires ed Irap;
• le operazioni straordinarie delle società di persone;
• gli effetti fiscali e contributivi della liquidazione e cancellazione delle società dal Registro delle Imprese;
• la riduzione della base di calcolo della ritenuta fiscale d’acconto applicabile ad agenti, mediatori,
rappresentanti di commercio e procacciatori;
• la disciplina della responsabilità fiscale e di quella retributivo-contributiva negli appalti;
• l’abolizione della comunicazione all’Agenzia delle Entrate degli interventi di riqualificazione energetica
che si protraggono oltre la chiusura del periodo d’imposta di inizio degli stessi;
• la dichiarazione dei redditi precompilata, la cui concreta attuazione presuppone l’adozione di
appositi provvedimenti attuativi, e con riferimento alla quale l’Amministrazione Finanziaria ha già
preannunciato l’emanazione di una specifica Circolare esplicativa.
3.1. Spese di vitto ed alloggio dei professionisti
L’art. 10 del D.Lgs. n. 175/2014 ha sostituito il secondo periodo dell’art. 54, co. 5, del D.P.R. n. 917/1986,
stabilendo che “le prestazioni alberghiere e di somministrazione di alimenti e bevande
acquistate direttamente dal committente non costituiscono compensi in natura per il
professionista”: è rimasto, invece, invariato il primo periodo della disposizione, per effetto del quale le
spese relative a prestazioni alberghiere e a somministrazione di alimenti e bevande sono deducibili nella
misura del 75% e, in ogni caso, per un importo complessivamente non superiore al 2% dell’ammontare
dei compensi percepiti nel corso del periodo d’imposta.
La novità normativa, in vigore dal 1° gennaio 2015, non richiede, pertanto, più – ai fini della deducibilità
del costo, sostenuto direttamente dal committente per conto del professionista – il previo addebito in
fattura, da parte del lavoratore autonomo, delle spese di vitto e alloggio: è stata, quindi, superata la
procedura a suo tempo individuata dall’Agenzia delle Entrate, con le CC.MM. nn. 28/E/2006, par. 38, e
11/E/2007, par 7.2. e 7.3.
La modifica operata dal D.Lgs. n. 175/2014 si riferisce esclusivamente alle “prestazioni alberghiere e di
somministrazione di alimenti e bevande”, senza preoccuparsi di altre tipologie di spese, come quelle
relative ai viaggi del professionista pagati dal committente (biglietti di aerei, treni, ecc.): a questo
proposito, l’Agenzia delle Entrate ha, infatti, osservato che tale regime non è applicabile alle spese per
prestazioni e somministrazioni acquistate dal lavoratore autonomo e analiticamente addebitate in fattura
al committente, né a quelle relative a prestazioni diverse (ad esempio, i servizi di trasporto), ancorchè
acquistate direttamente dal committente (C.M. n. 31/E/2014, par. 2). In tale sede, è stato altresì
precisato che il novellato secondo periodo dell’art. 54, co. 5, del Tuir – non attribuendo carattere di
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“compensi in natura” ad alcune prestazioni e somministrazioni, se acquistate direttamente dal committente
– introduce una deroga al principio generale secondo cui costituisce compenso per il professionista
il rimborso delle spese da parte del committente, ovvero il sostenimento delle spese direttamente a cura
del committente. Tale deroga comporta, quindi, la completa irrilevanza, in capo al professionista, dei
valori corrispondenti alle prestazioni e somministrazioni, acquistate dal committente, di cui lo stesso
professionista ha beneficiato per rendere la propria prestazione, sia quali compensi in natura che come
spese per la produzione del reddito: per il committente, impresa o lavoratore autonomo, la deducibilità
del costo sostenuto per il servizio alberghiero o di ristorazione non è più subordinata alla ricezione
della parcella del professionista, e dipende dalle regole ordinariamente applicabili alle rispettive
categorie reddituali.
Committente
Professionista
Riceve, dal prestatore del servizio alberghiero o
Emette la parcella senza comprendere le
di ristorazione, il documento fiscale a lui in-
spese sostenute dal committente per l’ac-
testato, con l’esplicito riferimento al professio-
quisto di prestazioni alberghiere e per la sommi-
nista che ha usufruito del servizio.
nistrazione di alimenti e bevande.
Non comunica al professionista l’ammontare
Non comprende tali prestazioni nell’ammontare
della spesa effettivamente sostenuta.
dei compensi percepiti nel periodo d’imposta, costituenti la base di calcolo del limite di
deducibilità delle spese di vitto ed alloggio (2%) –
ferma restando la soglia di rilevanza fiscale del
75% del loro importo – e di quelle di rappresentanza (1%).
Non invia al professionista la copia della relativa
Considera non deducibili le spese sostenute
documentazione fiscale.
dal committente per l’acquisto di prestazioni
alberghiere e per la somministrazione di alimenti
e bevande.
Deduce il costo in base alle ordinarie regole
applicabili alla propria categoria di reddito
(impresa o lavoro autonomo)
Rilevanza per il committente
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L’Agenzia delle Entrate ha, inoltre, chiarito che la modifica normativa in commento – stabilendo l’irrilevanza
quale compenso in natura delle prestazioni e somministrazioni acquistate dal committente – è diretta a
semplificare gli adempimenti previsti, ma non comporta, per il committente, un trattamento fiscale delle
spese alberghiere e per la somministrazione di alimenti e bevande peggiorativo rispetto a quello applicabile
prima dell’entrata in vigore della novità legislativa: in altri termini, la funzione del costo deve continuare
a ritenersi assorbita dalla prestazione di servizi resa dal professionista beneficiario al committente.
Conseguentemente, non opera, in capo a quest’ultimo, il limite di deducibilità del 75% del costo (artt. 54,
co. 5, primo periodo, e 109, co. 5, quarto periodo, del D.P.R. n. 917/1986), con riferimento alle spese
sostenute per l’acquisto di prestazioni alberghiere e di somministrazione di alimenti e bevande di cui sono
beneficiari i professionisti, nel contesto di una prestazione di servizi resa al committente, imprenditore o
lavoratore autonomo (C.M. n. 31/E/2014, par. 2.1). Tale orientamento presuppone, naturalmente, che
sia dimostrabile l’inerenza della spesa rispetto all’attività del committente, l’effettività della stessa
e che dalla documentazione fiscale risultino gli estremi del professionista che ha usufruito delle
prestazioni o somministrazioni.
Redditi di lavoro autonomo non abituale
La disposizione novellata dal D.Lgs. n. 175/2014 è ritenuta applicabile anche nella determinazione dei
redditi diversi derivanti da attività occasionali di cui all’art. 67, co. 1, lett. l), del Tuir, in virtù della
sostanziale identità tra la nozione di compenso riferibile all’attività di lavoro autonomo professionale
e quella ascrivibile all’attività di lavoro autonomo non abituale (C.M. nn. 58/E/2001 e 1/E/1973, R.M. nn.
49/E/2013, 69/E/2003 e 20/E/1998). Conseguentemente, gli importi relativi alle prestazioni alberghiere e
di somministrazioni di alimenti e bevande, acquistate direttamente dal committente, non costituiscono
compensi in natura, e non sono deducibili dal reddito di lavoro autonomo non abituale: ciò anche nel
caso, diverso da quello oggetto della R.M. n. 49/E/2013, in cui l’attività di lavoro autonomo occasionale
non sia sostanzialmente gratuita, in quanto è previsto un compenso di importo eccedente le spese
sostenute (C.M. n. 31/E/2014, par. 2.2.).
3.2. Società di comodo in perdita sistematica
L’art. 18, D.Lgs. n. 175/2014 ha modificato l’art. 2, co. 36-decies e 36-undecies, del D.L. n.
138/2011, nel senso di ampliare da 3 a 5 periodi d’imposta l’orizzonte temporale di sorveglianza ai
fini della qualificazione di “società di comodo in perdita sistematica”: la novità normativa interesserà già la
compilazione del modello Unico 2015, in quanto si applica a partire dal periodo d’imposta in corso al 13
dicembre 2014 (C.M. n. 6/E/2015, par. 11.3), alle società costituite da almeno 7 anni (C.M. n.
6/E/2015, par. 14.1). Conseguentemente, è considerata società di comodo per perdita sistematica
quella con dichiarazioni in perdita fiscale – così come accertabile in base alla corretta applicazione delle
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regole del Tuir – nei 5 periodi d’imposta precedenti a quello oggetto della dichiarazione, oppure
in perdita fiscale in 4 periodi d’imposta, e con un reddito imponibile inferiore al minimo presunto (art. 30,
co. 3 della Legge n. 724/1994) nel restante esercizio. È, pertanto, di comodo nel periodo d’imposta 2014
la società con perdite fiscali negli esercizi 2009, 2010, 2011, 2012 e 2013, o con perdita fiscale nei periodi
d’imposta 2010, 2011, 2011 e 2012 ed un reddito imponibile inferiore al minimo presunto nel 2009. La
novità normativa potrà, pertanto, generare la situazione paradossale in cui una società è stata qualificata
di comodo nel 2013, in virtù di perdite fiscali nei periodi d’imposta 2010, 2011 e 2012, ma non nel 2014,
grazie alla novità del D.Lgs. n. 175/2014, per il semplice fatto che nel 2009 la società ha conseguito un
reddito imponibile almeno pari al minimo presunto.
Diversamente, qualora la società abbia avuto perdite fiscali nel quinquennio, è considerata di comodo per
il periodo d’imposta successivo, con le conseguenze che ne derivano: in primo luogo, per i soggetti Ires,
è prevista la maggiorazione dell’aliquota (10,50%), ai sensi dell’art. 2, co. 36-quinquies, del D.L. n.
138/2011. È, inoltre, stabilita la determinazione forfettaria della base imponibile Irap, come
sommatoria del reddito minimo presunto, dei costi per il personale, le collaborazioni coordinate e
continuative e i lavoratori autonomi occasionali, nonché degli oneri finanziari (art. 30, co. 3-bis, della Legge
n. 724/1994). Si consideri altresì la significativa penalizzazione nella gestione del credito annuale
Iva, che non può essere compensato orizzontalmente, né richiesto a rimborso o ceduto a terzi: tali
limitazioni, peraltro, si trasformano nel blocco definitivo del credito Iva, che è, pertanto, definitivamente
perso, nel caso in cui la società risulti di comodo per tre periodi d’imposta consecutivi, e in tali tre annualità
non effettui operazioni rilevanti ai fini Iva almeno pari ai ricavi minimi presunti (art. 30, co. 4, della Legge
n. 724/1994).
Rimane, tuttavia, ferma la possibilità di non subire tali conseguenze negative, nell’ipotesi in cui – nel
periodo d’imposta di riferimento – ricorra una causa di esclusione della disciplina della società di
comodo, individuata dall’art. 30, co. 1, Legge n. 724/1994: si pensi, ad esempio, al caso di congruità e
coerenza agli studi di settore – anche in seguito ad adeguamento (C.M. n. 23/E/2012), oppure di
valore della produzione superiore all’attivo patrimoniale, o di impiego – nei due esercizi precedenti – di un
numero di lavoratori dipendenti mai inferiore alle 10 unità.
In mancanza di una causa di esclusione nel periodo d’imposta, la società può comunque sottrarsi alla
normativa applicabile alle società di comodo, invocando la sussistenza di una causa di disapplicazione
– tra quelle individuate dal provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle Entrate n. 87956/2012 – che
deve essersi verificata in almeno uno dei cinque periodi d’imposta precedenti a quello oggetto
della dichiarazione: è il caso, ad esempio, del margine operativo lordo positivo, o dell’impresa in
liquidazione che assume l’impegno alla cancellazione dal Registro delle Imprese entro il termine di
presentazione della dichiarazione del periodo d’imposta successivo.
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3.3. Regimi opzionali imposte sui redditi ed Irap
L’art. 16 del D.Lgs. n. 175/2014 ha introdotto rilevanti modifiche, a partire dal periodo d’imposta successivo
a quello in corso al 31 dicembre 2014, alle modalità di esercizio dell’opzione per il regime della
trasparenza fiscale (artt. 115 e 116 del D.P.R. 917/1986), dell’imposizione di gruppo Ires (artt. 117 e
ss. del Tuir) e della tassazione Irap dei soggetti Irpef secondo il principio di derivazione dal bilancio
proprio delle società di capitali (art. 5-bis, co. 2, del D.Lgs. n. 446/1997). In particolare, è stato stabilito
un unico termine per la manifestazione di tale facoltà, che deve essere esercitata direttamente “con la
dichiarazione presentata nel periodo d’imposta a decorrere dal quale si intende esercitare l’opzione”. In
altre parole, non è più prevista la specifica compilazione di un apposito modello, ed è fissata – per i
contribuenti aventi il periodo d’imposta coincidente con l’anno solare – la nuova scadenza del 30
settembre del primo anno di efficacia dell’opzione: le società di persone e agli imprenditori individuali, in
contabilità ordinaria, disporranno, pertanto, di un maggior termine per valutare la convenienza
dell’adozione delle regole di determinazione della base imponibile Irap previste per le società di capitali.
La scadenza non è, infatti, più fissata al 1° marzo, bensì al 30 settembre del primo anno di efficacia
dell’opzione. Tale maggior lasso temporale potrebbe rivelarsi molto importante, in quanto l’opzione per
tale regime presuppone una ponderata stima, su base prospettica triennale, del diverso trattamento
Irap di alcune significative componenti reddituali: si pensi, ad esempio, ad alcuni vantaggi offerti dal regime
naturale dei soggetti Irpef (art. 5-bis, co. 1, del D.Lgs. n. 446/1997), quali la non imponibilità delle
plusvalenze o delle sopravvenienze attive, ma anche ad alcune penalizzazioni, come l’indeducibilità delle
minusvalenze, delle sopravvenienze passive, dei costi per omaggi e di tutti quegli oneri non riconducibili
alle prestazioni di servizi di cui al D.M. 17 gennaio 1992.
Un termine più ampio è, inoltre, concesso alla consolidante e alle consolidate che intendono optare
per l’imposizione di gruppo del reddito Ires (artt. 117 e ss. del D.P.R. 917/1986), tenute all’adempimento
– a partire dal periodo d’imposta 2015 – non più entro il 16 del sesto mese del primo anno fiscale di
applicazione del regime (16 giugno per i contribuenti “solari”), bensì il 30 settembre. A questo proposito,
si rammenta, tuttavia, che l’accesso al regime richiede la sussistenza di alcuni rilevanti presupposti, come
il requisito del controllo e le condizioni individuate dall’art. 119, co. 1, Tuir: l’identità dell’esercizio
sociale di ogni consolidata con quello della consolidante, l’esercizio congiunto dell’opzione da parte
della consolidante e della consolidata, e l’elezione di domicilio, da parte di ogni consolidata, presso la
consolidante, ai fini della notifica degli atti e dei provvedimenti relativi ai periodi d’imposta per i quali
è esercitata l’opzione. La modifica normativa riguarda anche il rinnovo dell’opzione – secondo la
previsione dell’art. 14 del D.M. 9 giugno 2004, che per essa dispone l’applicazione delle modalità e dei
termini previsti per l’esercizio dell’opzione stessa – compresa l’ipotesi di ampliamento del perimetro di
consolidamento, ad esempio, tramite l’ingresso di una nuova società (C.M. n. 31/E/2014, par. 7). L’Agenzia
delle Entrate ha, peraltro, osservato che la novità normativa non interessa altri eventi connessi al
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consolidato fiscale che non possono trovare rappresentazione nella dichiarazione dei redditi,
come la comunicazione dell’interruzione della tassazione di gruppo o dell’importo delle perdite residue
attribuito a ciascun soggetto in caso di mancato rinnovo dell’opzione (artt. 13 e 14 del D.M. 9 giugno
2004): al ricorrere di una di tali circostanze, il contribuente deve, infatti, darne evidenza, mediante una
separata comunicazione – utilizzando il modello “Comunicazione relativa al regime di tassazione del
consolidato nazionale” – da inviare entro 30 giorni decorrenti, rispettivamente, dal verificarsi dell’evento
interruttivo o dal termine per la presentazione della dichiarazione.
Diversamente, risulta ridotto rispetto al passato il termine concesso ai fini dell’opzione per la
trasparenza fiscale, ovvero per la tassazione – in presenza dei requisiti di cui agli artt. 115 e 116 del
Tuir, e delle condizioni di cui al D.M. 23 aprile 2004 – del reddito della partecipata direttamente in capo ai
soci, in proporzione alle rispettive quote di partecipazione, indipendentemente dalla percezione dello
stesso, analogamente ai soggetti Irpef di cui all’art. 5 del D.P.R. n. 917/1986: nel caso dei contribuenti
“solari”, il 30 settembre, anziché il 31 dicembre, del primo periodo d’imposta di efficacia dell’opzione. In
particolare, con riguardo al primo triennio di applicazione della novità normativa (2015-2017), l’opzione
dovrà essere esercitata nel modello Unico 2015, e richiede la preventiva comunicazione formale in tal
senso di tutti i soci, mediante raccomandata con ricevuta di ritorno inviata alla partecipata (art. 4,
co. 1, del D.M. 23 aprile 2004). Non è, infatti, riconosciuta la validità della consegna a mano, in quanto
non permette di rendere certa, nei rapporti con l’Agenzia delle Entrate, l’effettiva volontà dei soci (R.M.
n. 185/E/2009): tale adempimento non è, tuttavia, dovuto qualora la partecipata sia costituita nella
forma di s.r.l. unipersonale, caratterizzata dalla riunione, nella medesima persona, della qualità di
socio ed amministratore unico, in quanto risulta soddisfatta la finalità della norma, consistente nella
necessità della partecipata di conoscere la volontà del socio (R.M. n. 361/E/2007). L’Agenzia delle
Entrate ha precisato che la modifica normativa apportata all’art. 115 del Tuir – in virtù del richiamo alla
medesima disposizione operato dal successivo art. 116 del Tuir – deve ritenersi applicabile anche con
riguardo all’esercizio dell’opzione per la trasparenza fiscale delle s.r.l. a ristretta base proprietaria (C.M. n.
31/E/2014, par. 7).
Rimane, in ogni caso, ferma la possibilità di esercitare tardivamente l’opzione, avvalendosi dell’istituto
della “remissione in bonis” (art. 2 del D.L. n. 16/2012), entro il termine di presentazione della dichiarazione
successiva. Tale disposizione prevede, infatti, che il contribuente in buona fede in possesso – alla data
originaria di scadenza del termine normativamente fissato per l’esercizio dell’opzione – dei requisiti
sostanziali di accesso ad un regime opzionale, il quale non abbia tempestivamente esercitato la
preventiva
opzione,
può
comunque
usufruire
del
beneficio,
purchè
risultino
soddisfatte,
congiuntamente, alcuni specifiche condizioni:
• in primo luogo, la violazione non deve essere ancora stata contestata, né devono già essere iniziati
accessi, ispezioni, verifiche od altre attività amministrative di accertamento delle quali l’autore
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dell’inadempimento abbia avuto formale conoscenza, con riguardo al comparto impositivo oggetto
dell’opzione (C.M. n. 38/E/2012, par. 1.2.);
• il soggetto obbligato eserciti tardivamente l’opzione, entro il termine di presentazione ordinario –
a nulla rilevando il “periodo di tolleranza” dei 90 giorni successivi previsto dall’art. 2, co. 7, del D.P.R.
n. 322/1998 – della prima dichiarazione utile rispetto alla scadenza prevista per l’adempimento
tempestivo della comunicazione. Conseguentemente, nel caso di opzione per il triennio 2015-2017, il
termine per la remissione in bonis è fissato al 30 settembre 2016, quale termine della prima
dichiarazione utile successiva alla scadenza;
• il contestuale versamento dell’importo di euro 258, ovvero la sanzione minima stabilita dall’art. 11,
co. 1, del D.Lgs. n. 471/1997, mediante il modello di pagamento F24, utilizzando il codice tributo
8114 (R.M. n. 46/E/2012), con espressa esclusione della possibilità della compensazione con altri
crediti disponibili. Non è neppure riconosciuta la facoltà di invocare l’istituto del ravvedimento operoso
di cui all’art. 13 del D.Lgs. n. 472/1997, per ridurre la sanzione, poiché quest’ultima rappresenta l’onere
da assolvere per avere diritto alla regolarizzazione della comunicazione tardiva.
3.4. Operazioni straordinarie delle società di persone
L’art. 17 del D.Lgs. n. 175/2014 ha modificato l’art. 1, co. 1, del D.P.R. n. 322/1998, eliminando il
riferimento ai soggetti Ires, con l’effetto che anche le società di persone e gli enti ad essi equiparati –
con periodo d’imposta non coincidente con l’anno solare – utilizzano i “vecchi modelli dichiarativi”, ovvero
quelli approvati durante lo stesso anno nel corso del quale si chiude il periodo d’imposta, così come le
società di capitali.
È stato, inoltre, modificato l’art. 17 del D.P.R. n. 435/2001, che disciplina i termini di versamento del
saldo delle imposte dovute in base alla dichiarazione dei redditi e al modello Irap: in particolare, è stata
rivista la normativa riguardante le società di persone interessate da operazioni straordinarie (liquidazione,
trasformazione, fusione e scissione), fissando il termine di versamento del saldo delle imposte sui redditi
e dell’Irap nel giorno 16 del mese successivo a quello di scadenza della presentazione della
dichiarazione – a prescindere dalla data di effettivo invio della stessa, anche se anteriore a quella di
legge (C.M. n. 6/E/2015, par. 11.1) – e non più al 16 di giugno dell’anno di trasmissione. È stata,
pertanto, superata l’anomalia che costringeva le società di persone, nel caso di operazioni straordinarie
effettuate tra gennaio e marzo, ad anticipare il versamento delle imposte (16 giugno) rispetto alla data di
presentazione della corrispondente dichiarazione (ottobre, novembre o dicembre del medesimo anno).
3.5. Liquidazione e cancellazione delle società dal registro delle imprese
L’art. 28, co. 4, del D.Lgs. n. 175/2014 ha stabilito che – ai soli fini della validità e dell’efficacia degli atti
di liquidazione, accertamento, contenzioso e riscossione di tributi e contributi, sanzioni ed interessi –
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l’estinzione della società di cui all’art. 2495 c.c. ha effetto trascorsi 5 anni dalla richiesta di
cancellazione dal Registro delle Imprese. Non è, tuttavia, disciplinata l’entrata in vigore della novità
normativa: a parere dell’Agenzia delle Entrate, trattandosi di disposizione procedurale in quanto tesa
a salvaguardare le azioni di recupero della pretesa erariale, la stessa è applicabile anche alle attività di
controllo fiscale riferite a società che hanno già chiesto la cancellazione dal Registro delle Imprese, o sono
state cancellate, prima del 13 dicembre 2014 (C.M. n. 31/E/2014, par. 19.2), nonché per attività di
controllo riguardanti periodi d’imposta precedenti a tale data, ovviamente nel rispetto dei termini di
decadenza e prescrizione previsti dalla legge (C.M. n. 6/E/2015, par. 13.1). Gli avvisi di accertamento
sono notificati alle società cancellate, secondo le nuove regole, applicabili anche agli atti di accertamento,
liquidazione e riscossione – ancorché interessati da contenzioso – notificati prima del 13 dicembre 2014,
e relativi a società cancellate prima di tale data. A questo proposito, l’Agenzia delle Entrate ha chiarito che
l’avviso di accertamento contenente la rettifica della dichiarazione della società cancellata dal
Registro delle Imprese sarà emesso nei confronti della società e notificato alla stessa presso la sede
dell’ultimo domicilio fiscale, in quanto, a tale fine, l’effetto dell’estinzione si produrrà soltanto dopo il
decorso di 5 anni dalla cancellazione (C.M. n. 6/E/2015, par. 13.4). Fermo restando che la società,
precedentemente alla cancellazione, può avvalersi della facoltà di eleggere domicilio presso una
persona o un ufficio nel comune del proprio domicilio fiscale, per la notificazione degli atti o degli avvisi
che lo riguardano, ai sensi dell’art. 60, co. 1, lett. d), del D.P.R. n. 600/1973. Nel caso di crediti tributari
sorti successivamente alla cancellazione della società dal Registro delle Imprese, in presenza di
presupposti maturati precedentemente alla stessa, la titolarità del diritto al rimborso è riconosciuto, pro
quota, direttamente ai soci, che sono legittimati a richiederlo (C.M. n. 6/E/2015, par. 13.7): ai fini della
semplificazione dell’erogazione del rimborso, è possibile delegare alla riscossione uno dei soci oppure
un terzo, anche lo stesso liquidatore, previa comunicazione al competente ufficio dell’Agenzia delle
Entrate (R.M. n. 77/E/2011).
L’Amministrazione Finanziaria ha altresì precisato che l’art. 28, co. 4, del D.Lgs. n. 175/2014 è applicabile
anche alle società di persone, ferma restando la diversa disciplina della responsabilità dei soci collegata
alla differente forma societaria (C.M. n. 6/E/2015, par. 13.6): tale orientamento si fonda sulla
considerazione che la giurisprudenza di legittimità ha ritenuto il principio dell’estinzione della società di
capitali a seguito della cancellazione ricorrere anche con riguardo alle società di persone, seppure con le
dovute distinzioni in ordine alla natura dichiarativa, anziché costitutiva, della cancellazione e alla
diversa misura delle responsabilità dei soci (Cass. nn. 6070, 6071, 6072 del 12 marzo 2013 e nn. 4060,
4061 e 4062 del 22 febbraio 2010).
L’art. 28, co. 5, del D.Lgs. n. 175/2014 ha, inoltre, riformulato il co. 1 dell’art. 36 del D.P.R. n. 602/1973,
per effetto del quale i liquidatori dei soggetti Ires che non adempiono all’obbligo di pagare, con le attività
della liquidazione, le imposte dovute per il periodo della liquidazione e per quelli anteriori –
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comprese le ritenute dei lavoratori dipendenti (C.M. n. 31/E/2014, par. 19.2) – rispondono in proprio
del pagamento delle imposte, se non provano, alternativamente, di aver soddisfatto:
1) i crediti tributari anteriormente all’assegnazione di beni ai soci od associati;
2) i crediti di ordine superiore a quelli tributari.
La novellata norma ha precisato, inoltre, che “tale responsabilità è commisurata all’importo dei crediti
d’imposta che avrebbero trovato capienza in sede di graduazione dei crediti”. La formulazione
della disposizione pare, pertanto, allinearsi all’orientamento di una parte della giurisprudenza di merito in
relazione all’ordine di pagamento dei creditori, secondo cui nella liquidazione ordinaria, non essendo
previste specifiche disposizioni in merito, si dovrebbe ritenere applicabile – come sostenuto dalla
prevalente giurisprudenza (Cass. n. 3321/1996, Trib. Genova n. 1125/2013 e Trib. Milano n. 14632/2010,
contra Cass. n. 792/1970 e 1273/1968, Trib. Udine 26 febbraio 2010) – il generale principio civilistico della
“par condicio creditorum” (art. 2741 c.c.). Conseguentemente, il liquidatore, nell’ipotesi di incapienza
dell’attivo rispetto all’ammontare dei debiti, dovrebbe rispettare le cause legittime di prelazione (ipoteca,
pegno e privilegio) e, quindi, le disposizioni civilistiche in materia, come l’art. 2777 c.c. (C.M. n.
6/E/2015, par. 13.5).
3.6. Ritenute fiscali agenti, mediatori, rappresentanti e procacciatori
L’art. 25-bis, co. 1, del D.P.R. n. 600/1973 prevede l’applicazione di un ritenuta fiscale d’acconto dell’Irpef
o dell’Ires dovuta dai percipienti all’atto del pagamento delle provvigioni comunque denominate per le
prestazioni, anche occasionali, inerenti a rapporti di agenzia, commissione, mediazione, rappresentanza di
commercio e procacciamento d’affari, salve le eccezioni contemplate dalla norma stessa.
Il successivo co. 2 stabilisce, inoltre, che la base di calcolo di tali ritenute è calcolata sul 50%
dell’ammontare complessivo delle provvigioni, con possibilità di riduzione al 20%, qualora il
prestatore dichiari al committente che, nell’esercizio della propria attività, si avvale in via
continuativa dell’opera di dipendenti o terzi, nel rispetto di quanto prescritto dal seguente co. 7, la
cui concreta attuazione rispondeva – prima dell’entrata in vigore del Decreto “Semplificazioni fiscali” – ai
dettami del D.M. 16 aprile 1983. In tale contesto, l’art. 27 del D.Lgs. n. 175/2014 ha sostituito il co. 7
dell’art. 25-bis del D.P.R. n. 600/1973, per effetto della quale con Decreto Ministeriale saranno
determinati i criteri, i termini e le modalità per la presentazione – anche mediante Pec – della
dichiarazione indicata nel co. 2, riguardante l’applicazione della ritenuta fiscale su una base
imponibile “ridotta” da parte del committente del rapporto di intermediazione. La dichiarazione
non potrà avere limiti di tempo, e sarà valida sino a revoca, ovvero fino alla perdita dei requisiti da
parte del prestatore. A questo proposito, l’Agenzia delle Entrate ha precisato che, nelle more
dell’emanazione del Decreto di attuazione, è possibile trasmettere la dichiarazione prevista dal D.M. 16
aprile 1983 pure tramite posta elettronica certificata, rispettando comunque i termini ivi previsti (C.M. n.
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31/E/2014, par. 18), ovvero entro il 31 dicembre dell’anno solare precedente: se le condizioni previste
per la riduzione al 20% si verificano in corso d’anno, la relativa dichiarazione deve essere presentata entro
15 giorni dal verificarsi delle stesse. In tale sede, è stato, inoltre, chiarito che la dichiarazione – trasmessa
con raccomandata con avviso di ricevimento oppure con posta elettronica certificata – conserverà
validità anche oltre l’anno cui si riferisce: in altri termini, le dichiarazioni inviate al committente entro
il 31 dicembre 2013 (o entro i 15 giorni dal verificarsi dei presupposti) rimangono valide sino al momento
della perdita dei requisiti.
L’omessa comunicazione delle variazioni comportanti il venire meno delle relative condizioni
applicative è soggetta alle sanzioni amministrative di cui all’art. 11, co. 1, lett. a), del D.Lgs. 471/1997,
ovvero da euro 258 ad euro 2.065.
3.7. Responsabilità fiscale negli appalti
L’art. 28, co. 1, del D.Lgs. n. 175/2014 ha disposto l’abrogazione dei co. 28, 28-bis e 28-ter dell’art.
35, del D.L. n. 223/2006, che prevedevano la responsabilità solidale dell’appaltatore con il
subappaltatore, nel limite del corrispettivo pagato senza aver acquisito preventivamente la
documentazione attestante il versamento delle ritenute sui redditi da lavoro dipendente, in relazione al
rapporto di subappalto, i cui termini fossero scaduti a tale data. Era stato, inoltre, stabilito
l’assoggettamento del committente ad una sanzione pecuniaria (da euro 5.000 ad euro 200.000),
qualora avesse provveduto ad effettuare il pagamento del corrispettivo senza chiedere l’esibizione, da
parte dell’appaltatore, della documentazione idonea alla dimostrazione del corretto assolvimento degli
obblighi fiscali, in capo sia all’appaltatore che all’eventuale subappaltatore e se, effettivamente, fossero
state accertate inadempienze in capo ai predetti soggetti.
Tale normativa è stata, quindi, abrogata integralmente dall’art. 28, co. 1, del D.Lgs. n. 175/2014:
conseguentemente, a partire dal 13 dicembre 2014, il committente e l’appaltatore possono pagare
liberamente i corrispettivi dovuti contrattualmente, senza dover preventivamente richiedere il rilascio della
predetta documentazione. Si è, invece, posto un dubbio in merito alle violazioni compiute
precedentemente, ma non ancora definitivamente accertate alla suddetta data. L’interrogativo riguardava,
pertanto, l’applicabilità o meno del “favore rei” di cui all’art. 3, co. 2, D.Lgs. n. 472/1997, secondo
cui – salva una diversa previsione di legge – nessuno può essere assoggettato a sanzione per un fatto
che, in base ad una disposizione posteriore, non costituisce una violazione punibile: si consideri, inoltre,
che il successivo co. 3 stabilisce che – nel caso in cui la legge vigente al momento in cui è stata commessa
la violazione e la disposizione posteriore stabiliscono sanzioni di entità diversa – si applica la norma più
favorevole, ad eccezione dell’ipotesi in cui il provvedimento di irrogazione sia divenuto definitivo. Sul punto,
si osservi altresì che in passato l’Agenzia delle Entrate aveva chiarito che il suddetto disposto normativo
trova applicazione non soltanto qualora la legge posteriore si limiti ad abolire la sanzione, bensì anche
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quando elimini un obbligo strumentale e, quindi, soltanto indirettamente la previsione sanzionatoria
(CC.MM. n. 180/E/1998 e 38/E/2013). Tale orientamento è stato in parte rivisto dalla C.M. n. 31/E/2014,
par. 19.1, con riguardo alla fattispecie in commento, nei seguenti termini:
• non trova applicazione la sanzione amministrativa pecuniaria, da euro 5.000 ad euro 200.000,
posta a carico del committente per le violazioni commesse prima del 13 dicembre 2014, e non
ancora divenute definitive a tale data;
• il principio di cui al punto precedente non può essere invocato in relazione alla responsabilità
solidale prevista in capo all’appaltatore, per le violazioni commesse dal subappaltatore entro il 13
dicembre 2014, in quanto il “favor rei” trova applicazione con esclusivo riferimento alle fattispecie
sanzionatorie. Diversamente, la norma precettiva, ovvero quella costitutiva della responsabilità per
l’imposta, è regolata dal principio generale della successione delle leggi nel tempo (c.d. tempus regit
actum) e, in particolare, da quello di irretroattività.
Si segnala altresì che rimane, invece, vigente il regime di responsabilità di cui all’art. 29, co. 2, del
D.Lgs. n. 276/2003, secondo cui il committente imprenditore o datore di lavoro risponde in solido, con
l’appaltatore e gli eventuali subappaltatori, sino a due anni dalla cessione del contratto di appalto, dei
trattamenti retributivi – compresa la quota di Tfr maturata durante il contratto di appalto – nonché dei
contributi e dei premi assicurativi in relazione ai dipendenti che hanno lavorato in esecuzione del
contratto di appalto. Tale disciplina è stata integrata dall’art. 28, co. 2, del D.Lgs. n. 175/2014, prevedendo
che, nel caso in cui il committente – convenuto in giudizio dal lavoratore attore – provveda a pagare
quanto spettante al dipendente altrui, è tenuto ad assolvere gli obblighi del sostituto d’imposta di cui al
D.P.R. n. 600/1973, coerentemente con i principi generali (R.M. n. 481/E/2008).
3.8. Comunicazione degli interventi di riqualificazione energetica
L’art. 12 del D.Lgs. n. 175/2014 ha abrogato il co. 6 dell’art. 29 del D.L. n. 185/2008, che prevedeva
l’obbligo di comunicazione all’Agenzia delle Entrate nel caso di interventi di riqualificazione energetica non
conclusi entro la chiusura del periodo di imposta di avvio degli stessi: tale adempimento doveva essere
assolto non oltre il mese di marzo dell’anno successivo a quello di sostenimento delle spese, ovvero per i
contribuenti aventi il periodo d’imposta non coincidente con l’anno solare – entro 90 giorni dalla fine
dell’anno fiscale in cui le spese erano state sostenute.
L’Agenzia delle Entrate ha precisato che la soppressione del predetto obbligo di comunicazione riguarda
(C.M. n. 31/E/2014, par. 4):
• i soggetti con periodo d’imposta coincidente con l’anno solare, per le spese sostenute nell’anno
2014, in relazione a lavori che proseguiranno nel 2015;
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• i contribuenti aventi il periodo d’imposta non coincidente con l’anno solare, per le spese
sostenute nel periodo d’imposta rispetto al quale il termine di 90 giorni sia scaduto a decorrere
dal 13 dicembre 2014, data di entrata in vigore del D.Lgs. n. 175/2014.
In tale sede, è stato, inoltre, chiarito che – in ossequio al principio del “favor rei” (art. 3, co. 2, del D.Lgs.
n. 472/1997) – devono ritenersi inapplicabili le sanzioni in misura fissa di cui all’art. 11, co. 1, del
D.Lgs. n. 471/1997 indicate nella C.M. n. 21/E/2010, par. 3.5, anche in relazione a fattispecie di omesso
od irregolare invio della comunicazione commesse prima del 13 dicembre 2014, per le quali, a tale
data, non fosse ancora intervenuto un provvedimento di irrogazione definitivo.
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