0 1232 1 REPUBBLICA ITALIANA 4 Oggetto IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE R.G.N. 19057/2010 SEZIONE TRIBUTARIA CIVILE cr o n . AZaZ- Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: - Consigliere - PU Dott. ETTORE CIRILLO - Rel. Consigliere - Dott. ANTONIO VALITUTTI Dott. ANGELINA MARIA PERRINO - Consigliere - Dott. ROBERTO GIOVANNI CONTI - Consigliere - ha pronunciato la seguente SENTENZA sul ricorso 19057-2010 proposto da: AGSM VERONA SPA in persona del Presidente del Consiglio di Amministrazione e legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA G. PISANELLI 4, presso lo studio dell'avvocato GIGLI GIUSEPPE, che lo rappresenta e difende unitamente 1073 Rep. - Presidente - Ud. 26/03/2013 Dott. MARCO PIVETTI 2013 TRIBUTI agli avvocati CRIMALDI FRANCESCO SIMONE, MERCANTI GIUSEPPE giusta delega in calce; - ricorrente contro AGENZIA DELLE DOGANE in persona del Direttore pro tempore, AGENZIA DELLE DOGANE UFFICIO DOGANE DI i VERONA in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliati in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l'AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che li rappresenta e difende ope legis; - avverso la sentenza n. controrícorrenti 59/2009 - della COMM.TRIB.REG.SEZ.DIST. di VERONA, depositata 1'08/06/2009; udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 26/03/2013 dal Consigliere Dott. ANTONIO VALITUTTI; udito per il ricorrente l'Avvocato SESTILI delega Avvocato GIGLI che ha chiesto l'accoglimento; udito per il controricorrente l'Avvocato MELONCELLI che ha chiesto il rigetto; udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. IMMACOLATA ZENO che ha concluso per l'inammissibilità in subordine rigetto motivi 3 ° e 4 ° con assorbimento del 5 ° ricorso. PREMESSO IN FATTO. 1. Con sentenza n. 59/21/09, depositata 1'8.6.09, la Commissione Tributaria Regionale del Veneto accoglieva l'appello proposto dall'Agenzia delle Dogane di Verona avverso la decisione di primo grado con la quale era stato accolto il ricorso proposto dalla A.G.S.M. Verona s.p.a. nei confronti del silenzio rifiuto serbato dall'Amministrazione sull'istanza di rimborso, proposta dalla contribuente in data 18.3.99, relativo all'accisa sul consumo del gas metano per l'anno 1992. 2. La CTR - in riforma della decisione di prime cure riteneva, invero, che l'istanza fosse stata proposta dalla A.G.S.M. Verona s.p.a. oltre il termine perentorio biennale previsto dall'art. 14 d.lgs. 504/95, e che, pertanto, sull'istanza si fosse maturata la decadenza, con conseguente preclusione del diritto al rimborso. 3. Per la cassazione della sentenza n. 59/21/09 ha proposto ricorso l'AG.S.M. Verona s.p.a. affidato a cinque motivi, ai quali l'Amministrazione ha replicato con controricorso. La ricorrente ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c. OSSERVA IN DIRITTO. 1. Con nota del 24.11.94, la AGSM Verona s.p.a. comunicava all'Ufficio Tecnico di Finanza di Verona (in seguito UTF) che il proprio sistema informatico non aveva garantito, per gli anni 1992 e 1993, la corrispondenza fra il consumo di gas metano e la corretta liquidazione della relativa accisa. Successivamente, in data 13.12.94 e 20.1.95, la contribuente provvedeva ad inoltrare all' Ufficio le dichiarazioni rettificative dei periodi suindicati, provvedendo, altresì, alla riliquidazione dell' imposta erariale di consumo sul gas metano, ed al versamento - in data 31.1.95 - degli importi integrativi di imposta, non versati alle rispettive scadenze di legge. 1.1. L'UTF provvedeva, quindi, ad una verifica contabile presso l'azienda, i cui risultati venivano trasfusi nel verbale del 7.4.97. Da tale verifica emergeva che l'imposta originariamente liquidata e pagata dalla AGSM, mentre risultava, per il primo trimestre del 1992, inferiore a quella dovuta sulla base della dichiarazione sostitutiva(£. 26.831.644.2411, anziché £. 27.611.729.715), per il secondo trimestre del 1992 risultava, invece, ver(£. sata in misura superiore a quella dovuta 12.651.707.336, anzichè £. 11.760.350). Con la conseguenza che la contribuente avrebbe dovuto corrispondere all'Erario, per il primo trimestre, la somma di £. 780.085.474, mentre per il secondo trimestre avrebbe maturato un credito di £. 891.375.025, per cui sarebbe emersa una differenza contabile, a suo credito, di £. 111.208.551. Nel predetto verbale del 7.4.97, peraltro, l'UTF portava il credito di £. 891.375.025, "dedotti gli oneri accessori (pari a £. 111.208.551) dovuti per ritardato versamento della differenza dell'imposta erariale di consumo del 10 trimestre, (...) in detrazione al debito risultante nella dichiarazione sostitutiva del l ° trimestre 1992". In sostanza, dunque, l'Ufficio compensava il debito della AGSM di 780.085.474 con il credito per £. 891.375.025, vantato dalla contribuente, aggiungendovi l'ulteriore somma di £. 111.209.551, a titolo di interessi ed indennità di mora conseguenti al ritardato versamento della maggiore imposta dovuta in base alla dichiarazione sostitutiva. 1.2. Sull'istanza di rimborso di tale somma, proposta dalla AGSM in data 18.3.99, si formava, peraltro, il silenzio rifiuto dell'Amministrazione, impugnato in sede giurisdizionale dalla contribuente, con esito positivo in prime cure e negativo in secondo grado, in forza della decisione n. 59/21/09, gravata da ricorso per cassazione della AGSM, affidato a cinque motivi. 2. Con il primo motivo di ricorso, la ricorrente denuncia l'omessa, contraddittoria ed insufficiente motivazione su un punto decisivo della controversia, in relazione all'art. 360 n. 5 c.p.c. 2.1. Avrebbe, invero, errato il giudice di appello nell'affermare che la AGSM non avrebbe prodotto le sentenze n. 930/03 e n. 5/04 della Corte di appello di Venezia, rese tra gli stessi soggetti, ed aventi ad oggetto le medesime questioni giuridiche sottoposte all'esame della CTR. Tali sentenze sarebbero state - difatti - allegate dalla contribuente al ricorso di primo grado, corredate dalla certificazione attestante il passaggio in giudicato, e sarebbero rimaste, poi, nel fascicolo trasmesso, a seguito della proposizione dell'appello avverso la decisione di prime cure da parte dell'Amministrazione finanziaria, alla cancelleria della Commissione tributaria di secondo grado. Ciò nondimeno, la CTR - sebbene ne avesse avuto la materiale disponibilità - avrebbe del tutto omesso di prendere in esame e di valutare siffatte sentenze, assumendo del tutto erroneamente, nella motivazione della decisione oggetto di ricorso per cassazione, che la AGSM avrebbe omesso di produrle nel giudizio di secondo grado. 2.2. Per il che sussisterebbe, a parere della ricorrente, il denunciato vizio motivazionale, avendo il giudice di appello immotivatamente posto a fondamento della decisione solo una parte delle risultanze processuali, omettendo - senza alcuna plausibile ragione - l'esame delle sentenze allegate agli atti, e dalle quali la CTR avrebbe potuto - a detta della contribuente - dedurre la formazione del giudicato esterno in relazione alla questione, controversa anche nel presente giudizio, afferente la pretesa decadenza della AGSM dall'actio indebiti proposta nei confronti dell'Amministrazione finanziaria. 2.3. Il motivo è inammissibile. 2.3.1. Il vizio di motivazione su un punto decisivo della controversa, denunciabile in cassazione ai sensi dell'art. 360 n. 5 c.p.c., ricorre, invero - secondo il costante insegnamento di questa Corte - quando il giudice di merito, dopo aver percepito un atto o un fatto del processo negli esatti termini materiali in cui è stato introdotto o prospettato dalla parte, abbia omesso del tutto di valutarlo, ovvero lo abbia valutato ed interpretato in modo insufficiente o illogico. Qualora, invece, 2 l'omessa valutazione dipenda da una falsa percezione della realtà, nel senso che il giudice ritiene per una svista, obiettivamente ed immediatamente rilevabile, inesistente un fatto o un documento, la cui esistenza risulti incontestabilmente accertata dagli stessi atti di causa, è configurabile un errore di fatto deducibile esclusivamente con l'impugnazione per revocazione ai sensi dell'art. 395, n. 4, c.p.c. (cfr. Cass. 15672/05, 11276/05, 19921/12, e molte altre). In tale ultima ipotesi, pertanto, è di tutta evidenza che il ricorso per cassazione, proposto per vizio di motivazione, è da ritenersi inammissibile. 2.3.2. Nel caso di specie, la AGSM non si duole affatto di un'omessa o incongrua valutazione di atti che la CTR abbia esattamente percepito nella loro esistenza fattuale, bensì dell'avere la stessa erroneamente escluso l'avvenuta allegazione delle predette sentenze, la cui esistenza agli atti era, invece, incontestabilmente acclarata dalle risultanze processuali. Trattandosi, pertanto, di palese errore revocatorio, la censura in esame non può che essere dichiarata inammissibile. 3. Con il secondo motivo di ricorso, la AGSM denuncia, sotto altro profilo, l'omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia, in relazione all'art. 360 n. 5 c.p.c. 3.1. Il giudice di appello avrebbe infatti, ingiustificatamente omesso di pronunciarsi sull'eccezione di giudicato esterno sollevata dalla AGSM nel corso del giudizio, con riferimento alle menzionate sentenze nn. 930/03 e 5/04. Nel quesito di diritto ex art. 366 bis c.p.c. (temporalmente applicabile alla fattispecie) la censura viene così precisata: "il fatto controverso e decisivo in relazione al quale la motivazione è omessa, insufficiente e contraddittoria è rappresentato dalla mancata pronuncia sull'eccezione di giudicato esterno sollevata da AGSM nel corso del giudizio". 3.2. La censura è inammissibile sotto un duplice profilo. 3.2.1. In primo luogo, infatti, per effetto della dichiarata inammissibilità del primo motivo di ricorso e dell'omessa proposizione dell'istanza di revocazione dell'impugnata sentenza, sulla statuizione relativa al mancato deposito delle sentenze suindicate nel giudizio di appello deve ritenersi formato il giudicato interno, come tale rilevabile anche in cassazione (Cass. 8379/09). Per il che la questione del preteso giudicato esterno è da ritenersi - com'è del tutto evidente - definitivamente preclusa. 3.2.2. Ad ogni buon conto, va rilevato che il motivo in esame è, altresì, inammissibile sotto un secondo profilo. La ricorrente censura - come si desume anche dal quesito di diritto, oltre che dall'intestazione e dall' illustrazione del motivo - un vizio di omessa pronuncia, ex artt. 112 e 360 n. 4 c.p.c., come vizio di motivazione rilevante ai sensi dell'art. 360 n. 5 c.p.c. Senonchè, trattandosi di vizi del tutto diversi sotto il profilo strutturale e funzionale, essendo diretti ad evidenziare due 3 -4 differenti errores in procedendo del giudice di merito, l'erronea sussunzione nell'uno piuttosto che nell'altro motivo di ricorso del vizio che il ricorrente intende, in realtà, far valere in sede di legittimità, comporta l'inammissibilità del ricorso stesso (cfr., ex plurimis, Cass. 7268/12, 7871/12). 4. Con il terzo motivo di ricorso, la AGSM denuncia la violazione e falsa applicazione dell'art. 14 del d.lgs. n. 504/95, in relazione all'art. 360 n. 3 c.p.c. 4.1. Avrebbe, invero, errato la CTR - a parere della ricorrente - nel ritenere applicabile alla fattispecie il termine biennale di decadenza di cui all'art. 14 del d.lgs. n. 504/95, il luogo di quello quinquennale, previsto dall'art. 7 del d.l. n. 46/76, applicato dalla menzionata sentenza n. 5/04. In tal modo, il giudice di appello, secondo la contribuente, sarebbe incorso in una violazione di legge che avrebbe determinato l'elusione del giudicato esterno, formatosi sulla decisione suindicata. 4.2. Il motivo è inammissibile per un duplice ordine di ragioni. 4.2.1. In primo luogo, infatti, la questione del giudicato esterno è da ritenersi preclusa in questa sede - come si è rilevato per il precedente motivo di ricorso - per effetto del giudicato interno, formatosi in conseguenza della dichiarata inammissibilità del primo motivo di ricorso e dell'omessa proposizione dell'istanza di revocazione dell'impugnata sentenza, sulla statuizione relativa al mancato deposito delle suindicate sentenze (nn. 930/03 e 5/04) nel giudizio di appello. 4.2.2. Va, dipoi, rilevato che, con la censura in esame, la ricorrente, sub specie della violazione e falsa applicazione dell'art. 14 d.lgs. 504/95, si duole, in realtà, del fatto che la CTR sia incorsa in violazione del giudicato di cui alla sentenza n. 5/04 della Corte di appello di Venezia, che aveva applicato alla stessa fattispecie il disposto dell'art. 7 del d.l. n. 46/76. In altri termini, la AGSM non censura la scelta della norma regolatrice della fattispecie operata dal giudice di appello, o la sua non corretta interpretazione o applicazione, bensì il fatto che detto giudice non si sia attenuto alla scelta della disposizione regolatrice effettuata dalla precedente sentenza n. 5/04. Ebbene, la violazione del cd. giudicato esterno può essere oggetto di ricorso per cassazione solo sotto il profilo della violazione e falsa applicazione della norma dell'art. 2909 c.c. e dei principi di diritto in tema di elementi costitutivi della cosa giudicata, nonché per vizi attinenti alla motivazione, specificamente dedotti dal ricorrente (Cass.S.U. 277/99, Cass. 26523/06), e non certo mediante deduzione della falsa applicazione di una norma, perché diversa da quella applicata dalla sentenza passata in cosa giudicata, senza, peraltro, dedurre nelle forme suindicate - la violazione del giudicato stesso. 4.2.3. La censura va, pertanto, dichiarata inammissibile, sotto il duplice profilo suesposto. -5 5. Con il quarto e quinto motivo di ricorso - che, per la loro evidente connessione vanno trattati congiuntamente la AGSM denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 14 d.lgs. n. 504/95 e 21 d.lgs. n. 546/92, in relazione all'art. 360 n. 3 c.p.c. 5.1. Assume, anzitutto, la ricorrente che avrebbe errato la CTR nel ritenere applicabile alla fattispecie concreta la disposizione di cui all'art. 14 del d.lgs. n. 504/95, che così recita: "L'accisa è rimborsata quando risulta indebitamente pagata. Il rimborso deve essere richiesto, a pena di decadenza, entro due anni dalla data del pagamento". La disposizione si riferirebbe, invero, nel suo tenore letterale, alla sola restituzione delle accise, e non anche degli interessi e dell'indennità di mora. Del resto, a parere della ricorrente, la stessa CTR avrebbe concluso per l'inapplicabilità della norma succitata al caso di specie, laddove, nell'impugnata sentenza ha sostenuto che, quand'anche si volesse supporre che la norma di cui all'art. 14 d.lgs. 594/95, per il suo tenore letterale, non sia applicabile agli interessi e all' indennità di mora, sarebbe pur sempre applicabile la disposizione generale di cui all'art. 21 d.lgs. 546/92. 5.2. Una volta assodata, pertanto, l'applicabilità di tale ultima disposizione alla fattispecie concreta, andrebbe - ad avviso della AGSM - posta l'attenzione sul fatto che, dal combinato disposto degli artt. 19 e 21 del decreto cit. si desume che la domanda di "restituzione di tributi, sanzioni pecuniarie ed interessi o altri accessori non dovuti" (art. 19, lett. g), "in mancanza di disposizioni specifiche, non può essere presentata dopo due anni dal pagamento ovvero, se posteriore, dal giorno in cui si è verificato il presupposto per la restituzione". Ebbene, nel caso concreto, il presupposto per la restituzione degli interessi e dell'indennità di mora non dovuti si sarebbe verificato, secondo la contribuente, in data 7.4.97, giorno nel quale l'UTF aveva disposto la compensazione del credito di imposta della AGSM con il preteso debito per gli oneri accessori suindicati. Tale compensazione, venendo a creare il presupposto concreto per la restituzione, comporterebbe, quindi, - a parere della ricorrente - che il dies a quo del termine biennale di decadenza della domanda di restituzione dovrebbe intendersi spostato in avanti, essendo venuto a collocarsi temporalmente nella data nella quale (7.4.97) siffatta compensazione sarebbe stata disposta. Di conseguenza, alla data della domanda di rimborso, proposta il 18.3.99, il predetto termine biennale di decadenza non sarebbe affatto maturato, contrariamente a quanto erroneamente ritenuto dal giudice di appello. 6. Le censure suesposte sono totalmente infondate e vanno, pertanto, disattese. 6.1. Va - per vero - anzitutto rilevato che, contrariamente a quanto assunto dalla ricorrente, l'impugnata sentenza ha, inequivocabilmente, inquadrato la fattispecie in esame nel disposto dell'art. 14 del d.lgs. 504/95, che - come dianzi detto - prevede un termine di decadenza biennale, con decorrenza dalla data del pagamento, per la 5 -6 proposizione dell'istanza di rimborso dell'accisa indebitamente pagata. Ed infatti, l'applicabilità della diversa norma di cui all'art. 21 d.lgs. 546/92, disposizione generale in tema di decadenza dalla domanda di rimborso di imposte ed accessori di legge indebitamente versati, è stata ipotizzata dall'impugnata sentenza in via del tutto eventuale, e per mera completezza di argomentazione. Tale norma andrebbe, invero, applicata - a parere del giudice di appello - solo laddove "si volesse supporre" che la norma nella quale il caso concreto andrebbe sussunto in via principale, ossia l'art. 14 del d.lgs. 504/95, "non sia applicabile agli interessi ed all'indennità di mora", atteso il tenore letterale della stessa, che fa riferimento alla sola accisa pagata. Soltanto in tale evenienza, del tutto ipotetica, pertanto, resterebbe "pur sempre utile la regola dell'art. 21 del d.lgs. n. 546 del 1992", in combinato disposto con l'art. 19 dello stesso decreto. Com'è del tutto evidente, pertanto, nell'economia della decisione di seconde cure, il riferimento alla disposizione generale di cui all'art. 21 del decreto cit. assume il valore di un rilievo fatto ad abundantiam che, non concorrendo a costituire il tessuto logico e giuridico della sentenza (Cass. 725/77),non inficia l' inquadramento, operato dalla CTR, della fattispecie concreta nel disposto dell'art. 14 d.lgs. 504/95. 6.2. Siffatto inquadramento, a giudizio della Corte, è del tutto corretto e va, pertanto, condiviso. 6.2.1. Va osservato, infatti, che la norma generale prevista dall'art. 21 del d.lgs. 546/92, secondo la quale l'istanza di rimborso può essere presentata entro due anni - oltre che dal pagamento - anche dal giorno in cui si è verificato il presupposto per la restituzione, costituisce una norma di carattere residuale e di chiusura del sistema (Cass. 3575/10). Essa, dunque, non può di certo applicarsi - come, del resto, si evince in maniera del tutto chiara dall'inciso contenuto nel co. 2 di detta norma, laddove ne consente l'applicazione solo "in mancanza di disposizioni specifiche" - al caso in cui, come nella specie, vi sia una disciplina speciale dettata in materia di decadenza dal diritto al rimborso (Cass. 24056/11, in motivazione). Tale disposizione, contenuta nell'art. 14 del d.lgs. 504/95 è, per vero, finalizzata - come si desume dalla stessa legge delega (art. l, co. 4 l. 427/93) - ad assicurare la semplificazione, lo snellimento e l'omogeneizzazione delle procedure in materia di recuperi e di rimborsi delle accise, uniformando le precedenti, varie e disomogenee, disposizioni, nell'ottica di una sollecita e razionale azione amministrativa, anche in vista degli incombenti obblighi comunitari, implicati dal processo di integrazione europea (Cass. 16469/04). 6.2.2. Se, dunque, il disposto dell'art. 14 del decreto cit. ha natura e portata di norma speciale, che sancisce la decadenza dal diritto al rimborso nella specifica materia delle accise, è evidente che essa è applicabile anche all'istanza di restituzione degli interessi e dell'indennità di mora. Allo stesso modo, infatti, la di- -7 sposizione generale di cui al combinato disposto degli artt. 19 e 21 d.lgs. 546/92 - cui l'art. 14 d.lgs. 504/95 è sovrapponibile come norma speciale - disciplina unitariamente la decadenza dal diritto alla restituzione, sia dell'imposta che degli accessori di legge. D'altro canto, la previsione in parola sancisce la regola generale della decadenza in materia di accise, in relazione all'intera area dei crediti per indebito pagamento che il contribuente possa vantare, introducendo nel sistema una norma innovativa, che si è sostituita al previgente art. 19 del D.M. 8.7.24. Ebbene, tale ultima previsione, non a caso, adoperava una dizione generica ed onnicomprensiva, facendo, invero, riferimento ad "un diritto al risarcimento del danno" che, sia il contribuente che l'Amministrazione potevano azionare in un termine quinquennale di prescrizione; voce che ricomprendeva, dunque, - com'è evidente - qualsiasi somma (a titolo di imposta, interessi, sanzioni, o altri accessori) che si ritenesse indebitamente corrisposta, a latere del contribuente, o illegittimamente non pagata, a latere dell' Amministrazione finanziaria (cfr. Cass. 16121/04, 12045/08,). 6.3. Una volta acclarato, pertanto, che la norma applicabile al caso di specie è quella di cui all'art. 14 d.lgs 504/95, va osservato che da tale inquadramento normativo della fattispecie concreta derivano talune importanti conseguenze, rilevanti per la risoluzione della vertenza in esame, in punto decorso del termine biennale di decadenza in materia di accise. 6.3.1. Va rilevato, infatti, che la più volte citata norma di cui all'art. 14 d.lgs. 504/95 è priva di qualsivoglia disposizione di tipo transitorio relativa a fattispecie in cui il diritto al rimborso sia sorto in epoca anteriore alla sua entrata in vigore. In tal caso, il diritto al rimborso, che non si sia già prescritto per decorrenza del termine ordinario decennale, deve intendersi perento per intervenuta decadenza se la parte interessata non abbia proposto la domanda entro due anni - non già dalla data del pagamento, giacchè verrebbe a risultarne resa in concreto difficile la proposizione - bensì dall'entrata in vigore della norma di cui all'art. 14 del d.lgs n. 504/95, e cioè con decorrenza dal 14.12.95 (Cass. 16469/04, 12045/08). 6.3.2. Orbene, nel caso concreto, sia dall'impugnata sentenza (p. 2), che dallo stesso ricorso dell'AGSM (pp. 15, 21 e 23), risulta che il pagamento della maggiore imposta - poi imputata, in parte, dall'Ufficio agli oneri accessori - che si assume non dovuta per £. 111.208.551 (e 57.434, 42) è, inequivocabilmente, avvenuto in data 31.1.95, ossia prima del 14.12.95, data di entrata in vigore del d.lgs. 504/95. Ne discende - per le ragioni suesposte - che l'istanza di rimborso delle somme, che la contribuente reputava non dovute, andava proposta, a pena di decadenza, entro i due anni dall'entrata in vigore del suddetto decreto, ovverosia entro il 14.12.97 (cfr. Cass. 12045/08). Di contro, come dianzi detto, tale istanza è stata presentata dalla 7 8 AGSM solo in data 18.3.99, e cioè abbondantemente oltre i due anni dal 14.12.95; per cui il diritto della contribuente al rimborso in parola deve considerarsi, nella specie, definitivamente precluso per intervenuta decadenza 6.3.3. Né giova alla ricorrente dedurre che il predetto termine biennale dovrebbe decorrere dalla diversa data (7.4.97) in cui l'Amministrazione avrebbe compensato il credito di imposta della AGSM con l'asserito debito per interessi ed indennità di mora, venendo in tale data a concretarsi - di conseguenza - un presupposto effettivo e concreto per la restituzione. Tale assunto - in verità ancorato dalla contribuente al tenore letterale dell'art. 21 d.lgs. 546/92, la cui applicazione questa Corte ha ritenuto di escludere nel caso di specie - si palesa erroneo, pure a volerlo valorizzare in riferimento alla norma di cui all'art. 14 d.lgs. 504/95, che disciplina, invece, la fattispecie concreta. Ed invero, il diritto del contribuente al rimborso delle somme pagate indebitamente a titolo di accise (nel caso concreto per il consumo del gas metano), va attivato con richiesta proposta nel termine biennale suindicato, con decorrenza o dal pagamento (qualora intervenuto dopo l'entrata in vigore del d.lgs. 504/95) o dall'entrata in vigore di detto decreto (ove si tratti, come nel caso di specie, di pagamento avvenuto prima di tale data) (Cass. 12045/08). Tali eventi segnano, infatti, il momento dal quale indefettibilmente decorre il predetto termine decadenziale per l'esercizio del diritto alla restituzione, qualunque sia la causa per la quale il pagamento non sia dovuto, e perfino nell'ipotesi in cui l'accisa, debitamente pagata, sia divenuta - dipoi - non dovuta per una qualsiasi causa sopravvenuta (Cass. 23515/08). Il termine decadenziale suindicato è fissato, invero, per finalità di interesse pubblico, sicchè esso non è disponibile neppure dalla stessa Amministrazione, restando del tutto irrilevanti ed ininfluenti le cause per le quali la non debenza venga a verificarsi (Cass. 24056/11, 3363/12). 6.4. Ne consegue, pertanto, che l'istanza di rimborso avrebbe dovuto essere comunque proposta dalla AGSM - nel caso concreto - entro due anni dall'entrata in vigore del d.lgs. n. 504/95, essendo del tutto irrilevante la dedotta successiva compensazione operata dall'Amministrazione, insuscettibile - per le ragioni esposte - di determinare uno slittamento in avanti del suddetto termine biennale di decadenza. 7. Il ricorso della AGSM non può, di conseguenza, che essere rigettato, con conseguente condanna della ricorrente alle spese del presente giudizio, nella misura di cui in dispositivo. P.Q.M. La Corte Suprema di Cassazione; rigetta il ricorso; condanna la ricorrente alle spese del presente giudizio, che liquida in e 8.000,00, oltre alle spese prenotate a debito. 8 -9 Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Tributa ia, il 26.3.2013. IlJ onsiglie â–
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