primo capitolo - MALATTIE AUTOIMMUNI SISTEMICHE

Il sistema immunitario. Generalità
Il sistema immunitario. Generalità
1
1
C. Barbato, G. Gigliucci, B. Kroegler, R. Perricone
Cenni storici
Il sistema immunitario umano è costituito da una complessa rete di organi, cellule e molecole, frutto
di un lungo processo evolutivo iniziato milioni di anni fa, a partire dalla comparsa dei primi esseri viventi. È preposto al mantenimento dell’omeostasi corporea e alla difesa nei confronti di insulti perturbanti
di diversa natura (agenti chimici, fisici, infettivi). L’immunologia, la scienza che studia il sistema immunitario, è una branca della medicina relativamente giovane e in continua evoluzione. Le origini di questa
disciplina risalgono al XVIII secolo ed Edward Jenner ne è considerato, tradizionalmente, il fondatore.
Il medico e naturalista britannico nel 1796 scoprì che l’inoculazione del virus del vaiolo bovino aveva
effetto protettivo contro il vaiolo umano. A questa importante scoperta si deve l’eradicazione del vaiolo
umano, avvenuta nel 1979, e l’introduzione del concetto di vaccinazione (il cui nome si deve all’iniziale
impiego di siero di origine vaccina), che ha modificato la storia naturale e l’epidemiologia di numerose
malattie infettive nei secoli a seguire. Il XIX è stato il secolo delle grandi scoperte in ambito immunologico: Robert Koch dimostrava il ruolo dei microrganismi e delle molecole da essi prodotte nella patogenesi delle malattie infettive; Metchinikoff individuava cellule con proprietà fagocitiche, in grado di
distruggere alcuni microrganismi; Pasteur realizzava il vaccino contro il colera dei polli e contro la rabbia; Behring e Kitasato scoprivano nel siero di individui vaccinati molecole capaci di legare in maniera
specifica precisi patogeni e di attivare il sistema immunitario, in seguito chiamate anticorpi. L’avanzamento tecnologico del XX secolo ci ha permesso di comprendere più a fondo i complessi meccanismi
che regolano il sistema immunitario. Sono emersi nuovi protagonisti sia in ambito cellulare (si pensi
alle diverse sottopopolazioni linfocitarie, dai linfociti helper ai linfociti B e T regolatori), che umorale (il
complemento, le interleuchine, le molecole di adesione, i molteplici recettori di membrana, solubili e
intracellulari). È stato appurato come il sistema immune sia profondamente coinvolto nella patogenesi
non solo delle malattie infettive, ma di molte altre condizioni, partendo dalle patologie autoimmuni
per arrivare fino al grande male del ventunesimo secolo, il cancro. Di qui le molteplici applicazioni
dell’immunologia in ambito terapeutico. Partendo dall’uso degli immunosoppressori, si è arrivati da
oltre un decennio all’impiego dei farmaci biotecnologici, molecole ingegnerizzate e indirizzate in modo
sempre più specifico verso i nuovi bersagli molecolari messi in luce. La necessità di rispondere ad esigenze sempre nuove in ambito clinico, diagnostico e terapeutico fa dell’immunologia una disciplina in
continuo divenire e accende l’ambizione della ricerca verso nuove sfide che si palesano all’orizzonte:
comprendere la patogenesi e cambiare la storia naturale delle malattie croniche autoimmuni, curare e
prevenire il cancro, far fronte ad infezioni ancora dilaganti, come HIV, malaria, tubercolosi ed alle epidemie da microrganismi emergenti.
2
Malattie Autoimmuni Sistemiche
Il sistema immunitario: caratteristiche generali, componenti e definizioni
Le risposte immunitarie possono essere suddivise in due categorie, innate ed acquisite.
In entrambi i casi, le cellule deputate a svolgere le attività del sistema immunitario sono i globuli
bianchi o leucociti e nello specifico i granulociti e i macrofagi rivestono un ruolo fondamentale quali
principali attori delle risposte innate, mentre i linfociti nell'immunità acquista.
Tutte queste linee cellulari originano nel midollo osseo, sede dell’emopoiesi, e, dopo un complesso
processo maturativo, circolano nel torrente ematico e linfatico raggiungendo le diverse sedi tissutali.
Tutte le cellule del sangue derivano dallo stesso progenitore, la cellula staminale emopoietica, e da
questa si differenziano passando attraverso il progenitore mieloide comune e il progenitore linfoide
comune (Figura 1).
Più precisamente, il progenitore mieloide comune dà origine a granulociti, macrofagi, cellule dendritiche e mastociti.
I macrofagi, prodotti della maturazione dei monociti, rappresentano uno dei tre tipi di fagociti del
sistema immunitario. Hanno un'ampia distribuzione tissutale, circolano nel torrente ematico e prendono parte alla risposta immune innata. Sono in possesso di recettori superficiali come ad esempio il
mannosio e il fruttosio, attraverso cui sono in grado di identificare, senza particolare specificità, molecole presenti sui patogeni, ma hanno a disposizione anche recettori specializzati per il riconoscimento di componenti specifici presenti sui batteri, come ad esempio il lipopolisaccaride dei batteri Gram
negativi (LPS). Inoltre, possiedono ulteriori formazioni recettoriali per riconoscere altri importanti elementi del sistema immunitario, come il complemento e gli anticorpi.
CSE, cellula staminale emopoietica;
PMult, progenitore multipotente;
PMLP, progenitore multipotente linfoide primario;
PLC, progenitore linfoide comune;
PMC, progenitore mieloide comune;
PME, progenitore megacariocita-eritrocitario;
PMG, progenitore macrofago-granulocitario;
PMD, progenitore monocita-dendritico;
CPBM, progenitore basofilo-mastocellulare;
PB, progenitore basofilo;
PM, progenitore mastocellulare
PEo, progenitore eosinofilo;
PN?, probabile progenitore neutrofilo.
Fig. 1 - Gerarchia dei progenitori ematopoietici.
Modificato da Katja Fiedler et al. Am J Blood Res.
2012;2(1):57-65.
Il sistema immunitario. Generalità
3
Le cellule dendritiche sono fondamentali nella captazione degli antigeni, molecole estranee o proprie dell’organismo (self) che, una volta riconosciute, attivano risposte immuni, siano esse innate o
acquisite. Esse hanno una classica forma stellata e, quando ancora immature, migrano nel sangue per
raggiungere tessuti colonizzati da agenti patogeni. In queste sedi maturano, fagocitano e processano
l'antigene, al fine di esporlo sulla loro superficie e presentarlo ai linfociti per il riconoscimento. Questa
complessa attività include un processo molto articolato di legame e identificazione di patterns molecolari selettivi e specifici di un patogeno (PAMPs-patterns molecolari associati al patogeno), facendo delle
cellule dendritiche cellule presentanti l’antigene (APCs- Antigen-Presenting Cells).
Anche i mastociti si differenziano nei tessuti e, una volta attivati, hanno un ruolo di primaria importanza nel regolare la permeabilità vasale, processo fondamentale nelle reazioni allergiche.
I granulociti, così definiti per la presenza nel loro citoplasma di granuli, sono leucociti polimorfonucleati e si distinguono in neutrofili, eosinofili e basofili.
Sono prodotti in gran numero nel corso di una risposta immunitaria e, attraverso il circolo ematico,
raggiungono il sito di infezione dove svolgono la loro attività.
I neutrofili (o leucociti neutrofili polimorfonucleati-PMN) sono anche essi cellule fagocitarie con
un caratteristico nucleo multilobato e sono la componente cellulare più numerosa del sistema immunitario. Essi partecipano alle risposte innate, svolgendo un'attività di internalizzazione degli agenti
patogeni, ed esplicano la loro funzione di fagocitosi attraverso granuli citoplasmatici, chiamati lisosomi, contenenti enzimi litici e sostanze battericide come defensine, lisozima o collagenasi. Partecipano
inoltre anche altre molecole con azione antibatterica, come intermedi reattivi dell’ossigeno (perossido
di idrogeno, ossido nitrico, anione superossido) o intermedi reattivi dell’azoto (ossido nitrico, nitrati,
nitriti). Il fine ultimo è l'internalizzazione del patogeno in una vescicola legata alla membrana dei
fagociti, il fagosoma, che si fonde ai lisosomi, il fagolisosoma, e porta alla distruzione del patogeno
stesso.
Gli altri granulociti sono gli eosinofili, che svolgono la loro funzione prevalentemente in presenza di
infezioni parassitarie, e i basofili, che operano in sinergia ad eosinofili e mastociti.
Diversa è la linea maturativa del progenitore linfoide comune, da cui derivano i linfociti.
Esistono due categorie di linfociti, i Linfociti B e i Linfociti T.
I linfociti B attivati si differenziano in plasmacellule e secernono anticorpi (IgG, IgA, IgM, IgE, IgD),
mentre i linfociti T possono comportarsi come cellule T citotossiche, capaci di distruggere cellule infettate da virus, o cellule T helper, in grado di attivare altre cellule del sistema immunitario quali, ad
esempio, cellule B e macrofagi.
I linfociti sono capaci di originare una risposta immunitaria soltanto dopo aver incontrato un antigene, che ne induca proliferazione e differenziazione. Ogni linfocita maturo possiede recettori superficiali
dotati di una singola specificità antigenica ed è, dunque, capace di risposte molto specifiche. Per il linfocita T, si tratta del TCR (T Cell Receptor), capace di riconoscere antigeni processati all'interno di altre
cellule, mentre nel caso del linfocita B, il BCR (B Cell Receptor) è sostanzialmente un anticorpo legato
alla membrana cellulare.
I linfociti B usano molecole IgM come recettori per l’antigene. L’elemento chiave per la loro identificazione è quindi la presenza sulla superficie (s) di molecole monomeriche di IgM (sIgM). La loro funzione è di rispondere all’antigene differenziando in plasmacellule anticorpo-secernenti, e gli anticorpi
secreti hanno una specificità identica a quella del recettore IgM presente sulla membrana del linfocita
B da cui la plasmacellula deriva. Le IgM si legano direttamente agli antigeni solubili e intervengono nella
difesa contro le infezioni batteriche e nella fase extracellulare delle infezioni virali.
La fase antigene-indipendente della differenziazione B-linfocitaria inizia dalla cellula staminale indirizzata in senso linfoide, e termina con i linfociti B vergini che esprimono sIgM e hanno quindi acquisito
il recettore per l’antigene. Questa fase porta alla generazione di un gran numero di linfociti B clonalmente diversi, e si realizza attraverso tre processi complementari:
4
Malattie Autoimmuni Sistemiche
- il riarrangiamento dei geni che codificano per le regioni variabili delle Ig e assicurano la specificità anticorpale;
- una imponente proliferazione policlonale;
- la progressiva e ordinata espressione di una serie di markers di membrana, citoplasmatici e nucleari.
I linfociti T, che derivano dal timo, rappresentano normalmente circa il 60-80% dei linfociti totali
circolanti. Sono definiti classicamente in base alla capacità di formare rosette con emazie di pecora
(rosette E) e quindi al possesso del recettore CD2, o più comunemente, in base alla espressione sulla
membrana del marcatore CD3. Questo marcatore fa parte del recettore specifico dei linfociti T (TCR),
che ne permette l’identificazione anche nelle fasi precoci della maturazione, quando non sono ancora
espressi marcatori specifici sulla membrana.
Tutti i linfociti T possiedono questo recettore di riconoscimento, che rappresenta lo strumento comune grazie al quale essi sono in grado di avviare con alta specificità le loro diverse funzioni: adiuvante
ed induttrice della funzione di altre cellule, effettrice (citotossica e soppressiva) e regolatrice.
Il tipo di funzione che essi realizzano è però affidato alla presenza sulla membrana di altri marcatori,
che trasducono all’interno della cellula segnali positivi o negativi dopo il contatto tra il TCR ed il peptide
antigenico presentato. La popolazione complessiva dei linfociti T è così suddivisibile in due principali
sottopopolazioni, caratterizzate dalla presenza sulla membrana rispettivamente dell’antigene CD4 (linfociti T helper-inducer) che rappresentano il 40-50% circa, o dell’antigene CD8 (linfociti T suppressorcitotossici), che rappresentano circa il 20-30% dei linfociti totali. Esiste inoltre un piccolo subset di
linfociti T CD4- CD8-.
I linfociti T riconoscono gli antigeni estranei sulla superficie cellulare mediante recettori specifici di
membrana associati al complesso monomorfico CD3.
Appare evidente, quindi, come la risposta immunitaria si avvalga di specifiche ed articolate interazioni cellulari attraverso complessi sistemi recettoriali, come ad esempio l’MHC o complesso maggiore
di istocompatibilità. Esso è rappresentato da glicoproteine di membrana che espongono frammenti
peptidici riconosciuti dai linfociti T, con un ruolo sia nell'eliminazione delle cellule sia ad esempio nella
compatibilità in corso di trapianti. Esistono due classi di MHC, MHC di classe I e MHC di classe II, che
differiscono sia per la struttura che per la localizzazione a livello cellulare. Le molecole MHC di classe I
sono presenti su tutte le cellule nucleate ed interagiscono con i linfociti T citotossici, mentre le molecole MHC di classe II sono prevalentemente espresse a livello dei linfociti B, macrofagi e cellule dendritiche, ed interagiscono con i linfociti T helper. I linfociti T citotossici, infatti, esprimono molecole CD8 che
possiedono un’elevata affinità per le molecole MHC di classe I, mentre i linfociti T helper possiedono
una molecola di superficie, il CD4, che li rende capaci di riconoscere antigeni legati a molecole MHC di
classe II. L’ espressione delle classi di MHC è modulata dall’attività di alcune citochine, gli interferoni.
Nell’ambito delle cellule linfoidi, le cellule Natural Killer (NK) hanno un ruolo importante nell'immunità innata, in quanto non possiedono recettori antigene-specifici, ma sono in grado di riconoscere
alcune cellule che si presentano in forma atipica (es. cellule tumorali, cellule infettate da virus etc.), con
la finalità di distruggerle.
Proteine sieriche come le citochine e le molecole del complemento sono altri importanti elementi
del sistema immunitario.
Le citochine sono piccole proteine prodotte da numerose cellule nell’organismo, in seguito ad
uno stimolo attivante (Tabella 1). Sono in grado di influenzare direttamente le cellule da cui vengono
prodotte (azione autocrina) oppure le cellule adiacenti (azione paracrina), ma possono anche agire
a distanza attraverso il circolo ematico (azione endocrina). Possono essere suddivise in chemochine,
citochine chemiotattiche per la migrazione di cellule infiammatorie, ed altre interleuchine che regolano lo sviluppo e la maturazione delle cellule appartenenti al Sistema Immunitario. Tra le chemochine
rivestono un ruolo di grande importanza l’interleuchina-8 (IL-8) e la proteina chemoattraente dei ma-
Il sistema immunitario. Generalità
5
Tabella 1 - Alcune citochine e la loro azione
Citochina
IL-1
IL-2
IL-4
IL-6
IL-10
IL-12
MCP-1
IFNγ
IFNα
IFNβ
TNF-α
TNF-β
Cellule produttrici
Macrofagi, cellule epiteliali
Linfociti T
Linfociti T, mastociti
Macrofagi, linfociti T, cellule endoteliali
Linfociti T, macrofagi
Macrofagi, linfociti B
Monociti,macrofagi, cheratinociti, fibroblasti
Cellule NK, linfociti T
Leucociti
Fibroblasti
Linfociti T, cellule NK, macrofagi
Linfociti T e B
Attività
Febbre, stimolazione macrofagi e linfociti T
Stimolazione linfociti T
Attivazione dei linfociti B
Differenziazione linfociti B e T, febbre
Inibizione attività macrofagi
Stimolazione cellule NK
Stimolazione di macrofagi, rilascio istamina dai basofili
Stimolazione di macrofagi, aumento espressione MHC
Aumento espressione MHC classe I, attività antivirale
Aumento espressione MHC classe I, attività antivirale
Infiammazione locale, attivazione endoteli
Attività citolitica, attivazione endoteliale
crofagi (CMP-1). IL-8 induce i neutrofili a lasciare il circolo sanguigno per migrare nei tessuti circostanti,
mentre CMP-1 agisce sui monociti stimolando la loro migrazione dal circolo sanguigno per diventare
macrofagi tissutali. Altre molecole di fondamentale importanza sono l’interleuchina-1 e l’interleuchina-2, che promuovono la differenziazione e la proliferazione delle cellule fagocitarie, dei linfociti e delle
cellule NK. Esistono anche citochine che modulano in senso negativo il processo infiammatorio come
ad esempio l’interleuchina-10, che può agire riducendo la produzione di altre citochine. Meritano di
essere citate altre due famiglie di citochine, ossia quella del Fattore di necrosi tumorale (TNF), definito
cosi per il suo effetto citotossico nei confronti di cellule tumorali e la sua azione pro-apoptotica, e gli
interferoni, fondamentali nell’interferire con la replicazione virale.
Il Sistema complementare consiste di un insieme di proteine plasmatiche attivate in sequenza che
svolgono innumerevoli funzioni nel corso della risposta immunitaria. Classicamente, un evento infettivo ne provoca l’attivazione, stimolando una cascata di reazioni che in una sequenza fissa portano all’attivazione dei suoi vari componenti. Gli effetti sugli agenti patogeni consistono essenzialmente nell'aumento della fagocitosi, nell’attivazione leucocitaria e nella lisi della parete batterica stessa. Una delle
azioni più importanti svolte da queste glicoproteine è l’opsonizzazione, cioè l'adesione al patogeno,
che ne permette il riconoscimento da parte delle cellule fagocitarie, provviste di recettori specifici per
il complemento.
Ci sono tre diverse vie attraverso le quali il complemento può essere attivato:
- via classica, innescata dal legame del C1q (prima proteina della cascata complementare) con la
superficie del patogeno o con complessi antigene-anticorpo;
- via della lectina legante il mannosio, legame tra la lectina legante il mannosio e il mannosio che
si trova nei polisaccaridi e sulla superficie di batteri e virus;
- via alternativa, quando un componente del complemento, attivato spontaneamente, lega la superficie di un patogeno.
Tutte queste vie convergono nella produzione di una proteina chiamata C3 convertasi, che a sua volta permetterà la formazione di un’altra proteina, C5 convertasi, la quale, attraverso una serie di reazioni
di polimerizzazione, realizzerà, per mezzo degli ultimi componenti della cascata complementare, un
complesso di attacco alla membrana, con lo scopo di creare dei pori sulla membrana cellulare di alcuni
patogeni, determinandone la morte. In tutto questo articolato processo, che sarà dettagliatamente
descritto più avanti, si generano diversi peptidi del complemento, con funzioni di opsonizzazione e di
chemiotassi.
6
Malattie Autoimmuni Sistemiche
Oltre ai componenti cellulari e umorali fin qui descritti e responsabili di complessi meccanismi immunologici, meritano un cenno gli organi linfoidi, che si distinguono in:
- Organi linfoidi centrali o primari
- Organi linfoidi periferici o secondari
Gli organi linfoidi primari sono il midollo osseo ed il timo, ed hanno la funzione di generare e far
maturare i linfociti. Sia i linfociti B che T originano nel midollo osseo, ma solo i B vi maturano, perché i
T lo fanno nel timo.
Gli organi linfoidi secondari, invece, rappresentano il sito di inizio della risposta immunitaria acquisita, ospitando un gran numero di linfociti. Appartengono a questa categoria i linfonodi, la milza
ed i tessuti linfoidi associati all’intestino (GALT), ai bronchi (BALT) e alle mucose (MALT). In generale, i
linfociti circolano continuamente tra il sangue ed i tessuti linfoidi periferici, dove si attivano in seguito
al riconoscimento antigenico.
Gli anticorpi, o immunoglobuline, sono molecole importanti nel corso di un processo immunitario.
Essi sono prodotti dalle plasmacellule, linfociti B attivati, e di fatto rappresentano la forma secreta del
recettore del linfocita B. Tutti gli anticorpi sono costituiti da catene polipeptidiche pesanti e leggere
appaiate, più precisamente due catene leggere e due catene pesanti, unite tra loro da ponti disolfuro.
Ciascuna catena possiede una regione costante (C) e una regione variabile (V). La porzione costante
della catena pesante costituisce la regione (Fc) che determina l'isotipo ed è responsabile delle funzioni
effettrici della molecola. La porzione variabile, invece, è diversa per ogni anticorpo, ed è deputata al
riconoscimento dell'antigene. Le Ig esistono in forma solubile o come recettori di superficie dei linfociti
B, costituendo una parte essenziale del B cell receptor (BCR). Tale recettore ha funzioni di riconoscimento e di mediazione di processi di differenziazione, maturazione, attivazione, proliferazione e produzione di Ig da parte dei linfociti B (Figura 2).
Nell’uomo, sulla base del tipo di catena pesante, esistono cinque classi di immunoglobuline: IgG,
IgM, IgA, IgD ed IgE. Le immunoglobuline G (IgG), di cui esistono quattro sottoclassi, sono quantitativamente le più rappresentate nel siero in cui circolano in forma di monomeri, ma sono presenti anche
a livello extravascolare, vengono prodotte durante la risposta secondaria, attivano il complemento attraverso la via classica. Esse svolgono un ruolo di opsonizzazione dei microrganismi, favorendone la
fagocitosi mediante recettori specifici (FcγRI) per il frammento Fc delle IgG espressi sulle membrane
cellulari di neutrofili e macrofagi. Il legame delle IgG sulla superficie di cellule estranee aumenta l’efficienza della lisi cellulare da parte di linfociti NK (ADCC), mediante un recettore a bassa affinità espresso
da queste cellule, il FcγRIII. Altri recettori a bassa affinità (FcγRII) sono espressi da monociti, macrofagi,
neutrofili, eosinofili, piastrine e linfociti B. Questi recettori facilitano l’eliminazione degli immunocomplessi circolanti da parte delle cellule fagocitiche.
Le immunoglobuline M (IgM) sono Ig pentameriche a distribuzione intravascolare; esse attivano la
via classica del complemento molto efficientemente. Rappresentano il primo livello di difesa anticorpale contro le infezioni, in quanto compaiono precocemente nella vita fetale, indipendentemente dalla
stimolazione antigenica, dando origine agli anticorpi naturali caratterizzati da plurime attività. Sono
sintetizzate durante la risposta primaria e sono le prime Ig espresse sulla membrana durante la maturazione/differenziazione dei linfociti B, coespresse con le IgD, la cui funzione fondamentale si esplica
durante i processi differenziativi nella fase che precede l’incontro con l’antigene.
Le immunoglobuline A (IgA) sono presenti in basse quantità nel siero, ma si concentrano elettivamente a livello delle mucose e dei secreti (saliva, lacrime, muco bronchiale, secreti gastroenterici, ecc.),
dove sono presenti in forma dimerica, prodotte da plasmacellule localizzate nei tessuti linfoidi associati
alle mucose (MALT). Le cellule epiteliali mucose sono dotate di uno speciale meccanismo che permette
loro di secernere attivamente IgA, dopo averle endocitate grazie ad un recettore specifico presente
sulla loro membrana cellulare (FcαR). La funzione delle IgA è di proteggere le superfici mucose dell’organismo esposte verso l’esterno dall’attacco di microrganismi.
Il sistema immunitario. Generalità
7
Fig. 2 - Struttura schematica di una molecola di Ig
Le immunoglobuline E (IgE), presenti nel siero in forma monomerica, intervengono nella risposta alle
infestazioni parassitarie, mediante interazione con recettori specifici espressi dagli eosinofili (FcεRII) e
dai mastociti (FcεRI), dei quali stimolano la degranulazione, con liberazione di potenti mediatori vasoattivi, proinfiammatori e citotossici. Inoltre, le IgE sono responsabili delle reazioni da ipersensibilità
immediata (patologie allergiche).
Possono essere utili alcune sintetiche definizioni:
- Anticorpi (immunoglobuline): molecole prodotte dai linfociti B (cellule B), formate da catene
pesanti e leggere. Possono esistere sotto forma di molecole poste sulla superficie delle cellule B
per il riconoscimento di antigeni, oppure come molecole solubili nel plasma;
- Antigeni: molecole estranee o proprie dell’organismo (self), il cui riconoscimento da parte del
sistema immune innato o acquisito determina l’attivazione immunitaria;
- Cellule dendritiche: cellule fagocitarie presentanti l’antigene (APC) del Sistema immunitario innato, reagiscono alle infezioni producendo grandi quantità di citochine, in grado di condizionare
la risposta immune sia innata che acquisita;
- Citochine: proteine solubili che interagiscono con specifici siti recettoriali regolando ed attivando la riposta infiammatoria ed immunitaria tramite effetti autocrini, paracrini ed endocrini;
- Complemento: enzimi plasmatici e proteine effettrici che si attivano in una sequenza fissa, la cui
funzione è quella di lisare patogeni e/o di renderli bersaglio per i processi di fagocitosi;
- Complesso maggiore di istocompatibilità (MHC): codificato da geni posti sul cromosoma 6, ne
esistono due classi (I e II); è un insieme di proteine che presentano peptidi alle cellule T;
- Linfociti B: linfociti derivati dal midollo osseo che esprimono immunoglobuline di superficie (recettori per antigeni) e producono anticorpi, una volta attivati e maturati in plasmacellule;
- Linfociti NK: linfociti a grandi granuli che uccidono cellule bersaglio come cellule tumorali e cellule infettate da virus;
- Linfociti T: linfociti derivati dal timo che mediano la risposta immune acquisita, si suddividono in
linfociti T citotossici, che hanno azione citolitica e linfociti T helper, che interagiscono con altre
cellule immunitarie come linfociti B e macrofagi;
8
Malattie Autoimmuni Sistemiche
- Recettore per l’antigene delle cellule B: complesso di molecole di superficie costituite da immunoglobuline di superficie associate a molecole di una catena α e una β. Il complesso riconosce
uno specifico antigene e invia alle cellule B un segnale per la differenziazione;
- Recettore per l’antigene delle cellule T: complesso di molecole di superficie costituito da catene α
e β associate a un complesso chiamato CD3. Fondamentale per le funzioni effettrici del linfocita T;
- Immunità acquisita: sistema delle risposte immuni che seguono l’immunità innata, è mediata
dai linfociti T e B;
- Immunità innata: primordiale sistema di riconoscimento dell’ospite, mediato da cellule con recettori in grado di riconoscere patogeni in modo aspecifico. Agisce prevalentemente attraverso
la fagocitosi.
Immunità naturale ed acquisita: generalità
I meccanismi dell’immunità innata agiscono rapidamente e per brevi periodi e si sviluppano in risposte indotte precocemente a seguito di infezioni. Solo successivamente, qualora tali meccanismi non
siano sufficienti ad eliminare un agente patogeno, si sviluppa la risposta immunitaria acquisita, con la
formazione di cellule effettrici antigene-specifiche. Come fase finale, si generano cellule della memoria
atte a prevenire successive infezioni da parte dello stesso microrganismo.
I macrofagi e i neutrofili partecipano alla risposta immunitaria innata, e rappresentano la prima
linea difensiva in corso di infezioni. Solo dopo circa 4-7 giorni si avvia la risposta immunitaria acquisita,
attraverso l’attivazione linfocitaria.
Si può perciò riassumere l’attivazione del sistema immunitario nel seguente schema:
- Immunità innata (0-4 ore)
infezione > cellule preesistenti non specifiche > rimozione agente infettivo
- Risposta innescata (4-96 ore)
infezione > reclutamento cellule effettrici > attivazione cellule effettrici > rimozione agente infettivo
- Immunità acquisita (più di 96 ore)
Infezione > trasporto antigeni ai tessuti linfoidi > riconoscimento da parte dei linfociti T e B >
differenziazione ed espansione clonale linfocitaria > rimozione agente infettivo.
La risposta immune e le sue fasi
Quando un microrganismo penetra all’interno dell’organismo umano incontra le cellule responsabili
della risposta immunitaria innata. I macrofagi riconoscono gli agenti batterici e, attraverso articolate
interazioni recettoriali, innescano meccanismi fagocitari. Le cellule fagocitarie così attivate producono
citochine e chemochine, amplificando ulteriormente la risposta immunitaria.
Questo processo di amplificazione e fagocitosi rappresenta la base dell’infiammazione indotta in
corso di infezione. Classicamente l’infiammazione è definita dalle parole latine calor, dolor, rubor e
tumor, che significano rispettivamente calore, dolore, rossore e gonfiore, caratteristiche pressoché costanti nel corso di un processo infiammatorio. Questi effetti sono essenzialmente determinati dalle
sostanze prodotte dalle cellule immunitarie, prevalentemente citochine e chemochine, che sono in
grado di modificare la permeabilità vasale e l’aderenza delle cellule endoteliali, al fine di permettere
la migrazione delle cellule immunitarie nei siti dell’infezione. Proprio questo processo di reclutamento
cellulare locale, influenzato da sostanze come il TNFα, è mediato da importantissime molecole di adesione distribuite sulla superficie endoteliale e sui leucociti. Tali molecole appartengono alla famiglia
delle selectine, delle integrine e alla superfamiglia delle immunoglobuline. Il processo di “estravasa-
Il sistema immunitario. Generalità
9
zione”, ossia la migrazione dei globuli bianchi al di fuori dei vasi sanguigni, inizia tramite l’azione delle
selectine, che permettono ai leucociti di rotolare lungo l’endotelio per poter poi aderire più saldamente
tramite l’interazione tra integrine leucocitarie e superfamiglia delle immunoglobuline endoteliali. A
questo punto può avvenire lo stravaso leucocitario, diapedesi, e la migrazione cellulare sotto stimolo
citochinico attraverso i tessuti.
Infiammazione e fagocitosi possono essere anche indotte dalle proteine plasmatiche del complemento, che si legano alle superfici dei microrganismi favorendone la fagocitosi. Le cellule fagocitarie sono
infatti in possesso di specifici recettori rivolti verso le proteine del complemento, e quando queste aderiscono sulla superficie di un agente patogeno, permettono il riconoscimento dell’agente infettivo da parte
di un fagocita, con lo scopo di internalizzarlo e distruggerlo attraverso i processi litici a disposizione. Oltre
ai macrofagi, anche i neutrofili sono richiamati nella fase iniziale dell’infiammazione ed operano processi
di fagocitosi. Dopo questo innesco iniziale, si avvia la risposta immunitaria acquisita.
Cellule predisposte alla presentazione degli antigeni, le cellule dendritiche, interagiscono con agenti patogeni e migrano attraverso il sistema linfatico nei linfonodi regionali, per attivare i linfociti T. Le
cellule dendritiche attivate, infatti, espongono sulla loro superficie componenti comuni di alcuni patogeni, verso cui dispongono di specifici recettori, e producono anche citochine in grado di amplificare
ulteriormente la risposta immune acquisita. Inoltre, attraverso un processo chiamato macropinocitosi,
le cellule dendritiche sono in grado di catturare materiale extracellulare attraverso un meccanismo
recettore-indipendente, aggirando la capsula protettiva che molti batteri sviluppano per nascondere
molecole di superficie riconoscibili per i fagociti.
Ogni linfocita immaturo, linfocita naïve, possiede recettori specifici per un solo antigene, e tale specificità è determinata da un unico meccanismo genetico che origina nel midollo osseo e nel timo durante
lo sviluppo linfocitario. I cloni linfocitari per i diversi antigeni si svilupperebbero prima del contatto con
l’antigene stesso e indipendentemente da questo; le cellule facenti parte dello stesso clone posseggono il
medesimo recettore, che sarà diverso dai recettori presenti su cellule appartenenti a cloni diversi.
Fig. 3 - L’ipotesi della selezione clonale: il sistema immunitario è composto da milioni di cloni provenienti da un
progenitore comune; ogni linfocita è destinato a reagire con un Ag specifico prima dell’esposizione ad esso, possiede
recettori sulla superficie che riconoscono un solo Ag e prolifera e matura solo dopo il riconoscimento.
10
Malattie Autoimmuni Sistemiche
Esiste, quindi, un vero e proprio repertorio recettoriale dei linfociti in ogni individuo, e solo i linfociti
che incontrano un antigene riconosciuto in modo specifico dal recettore che espongono, sono in grado
di proliferare.
Macfarlane Brunet nel 1950 chiamò questo meccanismo di riconoscimento selezione clonale (Figura
3). Una volta che un linfocita ha riconosciuto e legato un antigene, viene attivato, prolifera, e produce
una progenie di cellule identiche (cloni). Tale processo prende il nome di espansione clonale.
Ovviamente, i linfociti sono in grado di distinguere antigeni self dell’organismo, così da evitare di
innescare una reazione immunitaria anche nei loro confronti.
A tal proposito, sulla base degli studi di James Gowans, Ray Owen e Peter Medowar, a metà del XX
secolo, Burnet propose che, con buona probabilità, linfociti autoreattivi venissero rimossi prima della
loro maturazione, e tale teoria rappresenta il fondamento odierno della delezione clonale.
Selezione clonale, espansione clonale e delezione clonale rappresentano dunque i criteri basilari
dell’attività linfocitaria.
Una volta riconosciuto l’antigene, il linfocita interrompe la migrazione nel circolo sanguigno e prolifera nel tessuto linfoide, dove, nel giro di 3-5 giorni, si sviluppano le cellule effettrici.
I linfociti B maturano in plasmacellule secernenti anticorpi, mentre i linfociti T (cellule effettrici) diventano in grado di distruggere cellule infettate o attivare altre cellule del sistema immunitario.
Le cellule effettrici hanno vita limitata, e, una volta rimosso l’ antigene, la maggior parte di esse va
incontro ad apoptosi. Altre, invece, svolgono il ruolo di cellule della memoria che, in caso di un secondo
incontro con lo stesso patogeno, innescano una risposta immunitaria più rapida ed efficace.
L’ontogenesi dei linfociti B
Nella prima fase dello sviluppo, i progenitori dei linfociti B nel midollo osseo riarrangiano i loro geni
per le immunoglobuline. Questa fase è indipendente dall’antigene, mentre dipende dalle interazioni
con le cellule stromali del midollo osseo; si forma così una cellula immatura che porta un recettore
per l’antigene sotto forma di IgM sulla superficie cellulare, in grado di interagire con antigeni nel suo
ambiente. Le cellule B immature, che in questo stadio sono intensamente stimolate dall’antigene, sono
inattivate oppure muoiono in un processo di selezione negativa, che rimuove così dal repertorio molti
linfociti B autoreattivi. Nella terza fase dello sviluppo, le cellule immature sopravvissute giungono in periferia, dove esprimono le IgD di membrana, insieme alle IgM: a questo punto, possono essere attivate
dall’incontro con uno specifico antigene non-self in un organo linfoide secondario.
Gli stadi dello sviluppo dei linfociti B sono definiti dalle varie fasi dell’assemblaggio e dell’espressione dei geni funzionali del recettore dell’antigene; ad ogni stadio dello sviluppo del linfocita, il progresso
del riarrangiamento genico è costantemente monitorato: il locus della catena pesante subisce per primo il riarrangiamento e, se questo ha successo, si forma una catena pesante che si associa con catene
leggere per formare il recettore della cellula pre-B. Tale recettore innesca anche la proliferazione della
cellula pre-B, generando una numerosa progenie nella quale può essere tentato il riarrangiamento successivo della catena leggera. Se il riarrangiamento iniziale del gene della catena leggera è produttivo, si
forma un recettore completo dell’immunoglobulina della cellula B, il riarrangiamento genico si ferma
di nuovo, e la cellula B continua il suo sviluppo.
L’ontogenesi dei linfociti T
Il processo di differenziazione che porta dalla cellula staminale al linfocita T maturo avviene in tappe
successive, caratterizzate dalla progressiva acquisizione sulla membrana dei recettori TCR, delle molecole associate al TCR e via via di tutte le molecole che caratterizzano il linfocita T CD4+ o CD8+. I precursori dei linfociti T migrano dal midollo osseo fino al timo, dove cominciano a riarrangiare i geni del TCR.
Il sistema immunitario. Generalità
11
Le cellule che esprimono TCR α/β compatibili con le molecole MHC autologhe espresse dall’epitelio
del timo, subiscono la selezione positiva e sopravvivono. Le cellule che esprimono TCR auto-reattivi
ricevono segnali di morte cellulare e sono quindi rimossi dal repertorio con un processo di selezione
negativa. Lo sviluppo della cellula T è accompagnato da morte cellulare rilevante, che rispecchia la
selezione intensiva di cellule T e l’eliminazione di quelle con specificità recettoriali inappropriate. Nella
differenziazione, i geni del recettore si riarrangiano secondo un programma definito, simile a quello
delle cellule B, ma complicato dal fatto che i progenitori della cellula T devono scegliere tra più di una
sola discendenza, sviluppandosi in cellule T che esprimono recettori di tipo γ/δ o α/β. Nei timociti in
via di sviluppo, i geni δ, γ e β si riarrangiano virtualmente contemporaneamente; la trasmissione di segnale da parte di un recettore γ/δ funzionale impegna il precursore verso la discendenza γ/δ e queste
cellule arrestano qualsiasi ulteriore riarrangiamento genico e non esprimono i corecettori CD4 e CD8.
La produzione di un gene della catena β riarrangiato adeguatamente e la trasmissione di segnale da
parte del recettore della cellula pre-T impegnano il precursore verso la discendenza α/β. Le cellule T
che sopravvivono alla selezione, maturano e si allontanano dal timo per entrare in circolo; esse lasciano
ripetutamente il torrente circolatorio e migrano verso gli organi linfoidi periferici dove possono incontrare il loro antigene specifico estraneo, ed essere attivate. L’attivazione porta all’espansione clonale e
alla differenziazione in cellule T effettrici.
Cenni di immunologia clinica: immunità verso gli agenti infettivi e vaccinazioni, immunità e trapianti,
immunità e tumori, ipersensibilità, tolleranza verso il self ed autoimmunità, immunodeficienze congenite e acquisite
Il sistema immunitario protegge l’ospite dalle infezioni microbiche attraverso meccanismi di regolazione dinamici, volti ad eliminare, o comunque ad arginare, l’agente estraneo. Si avvale del compartimento dell’immunità innata come prima linea di difesa e, successivamente, di quella specifica. Le strategie
utilizzate sono diverse a seconda della natura del patogeno; se per i batteri extracellulari (Stafilococco
Aureo, Streptococco pneumoniae, Escherichia coli) la principale e più efficace arma è rappresentata dalla
produzione di anticorpi, per i batteri intracellulari (Micobatteri, Legionella pneumophila) e le infezioni fungine (Cryptococco neoformans, Histoplasma capsulatum) viene avviata la risposta cellulo-mediata. I virus
vengono combattuti attraverso l’azione dell'IFN-γ e delle cellule NK, e, successivamente, con la produzione
di anticorpi, che impediscono la penetrazione del virus nella cellula bersaglio, e attraverso cellule citotossiche, che eliminano le cellule infette. I protozoi intracellulari vengono distrutti dall’immunità cellulo-mediata, mentre gli elminti vengono eliminati dall’azione citotossica degli eosinofili, mediata dalle IgE.
Il manifestarsi dell’infezione può dipendere sia dalla deficienza dei meccanismi dell’immunità, sia
innata che specifica, sia dalla capacità dei microrganismi di sviluppare delle strategie per sfuggire alla
risposta dell’ospite.
L’immunità verso microrganismi infettivi può essere ottenuta in modo naturale, quando l’ospite
viene in contatto con il patogeno, oppure artificiale, attraverso la somministrazione di vaccini, che
inducono una risposta del sistema immunitario (come l’instaurarsi dell'immunità e della memoria immunologica) senza le manifestazioni cliniche della malattia. La vaccinazione consiste nell’inoculazione
di vaccini per indurre una risposta immunitaria attiva simile a quella che si osserva nell’infezione naturale, in assenza di malattia. I vaccini possono essere microrganismi, virus, materiali d’origine microbica
(tossine) resi poco o per nulla dannosi per l’organismo, molecole sintetiche o ricombinanti, subunità,
acidi nucleici, qualsiasi “prodotto” in grado di funzionare da antigene.
L’immunità attiva ha lo scopo di indurre una protezione e soprattutto una memoria immunologica,
in modo che una successiva esposizione al patogeno provochi una pronta risposta, che lo elimini con
successo prima di dar luogo a manifestazioni patologiche.
L’immunità passiva consiste nel trasferimento di anticorpi preformati in un organismo ricevente.
Essa può avvenire in modo naturale, attraverso il trasferimento di anticorpi dalla madre al feto durante la
12
Malattie Autoimmuni Sistemiche
gravidanza, oppure in modo passivo, in quella che viene anche indicata come “sieroprofilassi”, cioè con
l’introduzione nel ricevente di anticorpi prodotti appositamente. Questo tipo di immunità ha il pregio di
essere ottenuta molto velocemente, ma ha anche il limite di non conferire memoria immunologica.
Il sistema immune ricopre un ruolo fondamentale anche nei trapianti, svolgendo un ruolo da protagonista nella genesi del rigetto. Per trapianto si intende il trasferimento di cellule, tessuti oppure organi
da un individuo donatore ad uno ricevente.
È detto “autologo” il trapianto da un individuo allo stesso individuo, “singenico” quello che avviene
tra due individui geneticamente identici; “allogenico” tra due individui della stessa specie ma geneticamente differenti e “xenogenico” quello tra individui di specie differenti.
Le molecole MHC sono le responsabili della maggior parte delle reazioni di rigetto. Esse vengono
presentate per il riconoscimento ai linfociti T in due modi differenti:
- in modo diretto, ovvero esposte sulle APC del donatore e riconosciute dai linfociti T del ricevente;
- in modo indiretto, ovvero vengono processate come normali proteine antigeniche dalle APC del
ricevente ed espresse dalle MHC del donatore come semplicissimi peptidi e riconosciute dai linfociti T del ricevente.
Una volta attivati, i linfociti alloreattivi migrano nel sito di trapianto e ne causano il rigetto. Il contributo
maggiore è dato dai linfociti CD4+ che, differenziati in cellule effettrici, secernono citochine che danneggiano il trapianto. I linfociti CD8+, attivati dalla via diretta dalle APCs del donatore esprimenti MHCI, si differenziano in linfociti T citotossici che eliminano le cellule esprimenti MHC allogenici di classe I. Al contrario, linfociti attivati dalla via indiretta sono ristretti per MHC self, quindi non possono eliminare le cellule
estranee ma solo cellule dell’ospite che esprimono antigeni del donatore. La produzione di alloanticorpi è
molto limitata e consiste nell’azione dei linfociti B, che mimano l’azione delle APC presentando frammenti
di MHC allogenico ai linfociti T helper, conseguentemente attivandoli a produrre anticorpi.
Il rigetto da trapianto è classificato in base alle caratteristiche istopatologiche e cinetiche nelle
seguenti categorie: iperacuto, acuto accelerato, acuto e cronico. Il rigetto iperacuto è caratterizzato
dall’occlusione trombotica dei vasi del trapianto, inizia entro pochi minuti dalla formazione dell’anastomosi, ed è mediato da anticorpi preesistenti nel ricevente.
Il rigetto acuto è un processo di danno sia vascolare che parenchimale, mediato sia da anticorpi che da
linfociti T, ed inizia dopo circa una settimana dal trapianto. In questo caso, gli anticorpi vengono sviluppati
dalla risposta immunitaria umorale del ricevente; il quadro istologico è caratterizzato da necrosi transmurale e infiammazione acuta dei vasi del trapianto, senza tuttavia il verificarsi di trombosi come nel caso
del rigetto iperacuto. Sia linfociti CD4+ che CD8+ contribuiscono al rigetto acuto. I trapianti che sopravvivono più di 6 mesi sviluppano una lenta occlusione arteriosa, risultato di una proliferazione delle cellule
muscolari lisce, modificazione che prende il nome di “vasculopatia del trapianto”. Questa proliferazione
è dovuta ad una serie di interazioni tra citochine e fattori di crescita prodotti da macrofagi e cellule endoteliali, stimolati a loro volta da linfociti T alloreattivi. Con il progredire dell’ischemia, il parenchima viene
sostituito da tessuto fibroso; questo processo fibrotico viene anche chiamato rigetto cronico.
Tra le strategie usate nella pratica clinica per prevenire tale rigetto, si inducono momentanee immunosoppressioni farmacologiche con Ciclosporina, Azatioprina, Mofetil Micofenolato. In associazione ai
farmaci immunosoppressori sono regolarmente usati farmaci antinfiammatori tra cui i corticosteroidi.
Fondamentale è inoltre attuare una forma di prevenzione per ridurre l’immunogenicità dell’allotrapianto attraverso la tipizzazione del gruppo sanguigno ABO, la tipizzazione HLA, lo screening per la
presenza di anticorpi preformati.
Anche i tumori esprimono antigeni riconosciuti dal sistema immune, nonostante la maggior parte di
essi abbia una debole immunogenicità e per questo la loro crescita venga difficilmente inibita. Gli antigeni tumorali possono essere rappresentati da proteine cellulari normali prodotte in maniera eccessiva
o aberrante sulle cellule neoplastiche, o da prodotti virali oncogenici o da oncogeni mutati. Il principale
meccanismo di sorveglianza ed eliminazione è rappresentato dall’uccisione delle cellule trasformate da
Il sistema immunitario. Generalità
13
parte dei Linfociti Citotossici CD8+, cellule NK, macrofagi e, in misura minore, attraverso la produzione
di anticorpi. Tuttavia, le neoplasie sono in grado, in una buona percentuale di casi, di evadere la risposta
immune attraverso meccanismi diversi tra cui la ridotta espressione sulle cellule tumorali delle molecole MHC, così da impedirne il riconoscimento da parte dei CTL, la selezione di cellule che non presentano
l’antigene, l’induzione della tolleranza nei confronti degli antigeni tumorali.
Le risposte immunitarie sono indispensabili per la difesa dell’ospite da numerosi agenti esogeni ed
endogeni, ma sono altresì capaci di provocare danno tissutale e malattia; l’esposizione ripetuta allo
stesso antigene può, in determinati casi, scatenare reazioni patologiche, dette reazioni da ipersensibilità, ad indicare una risposta aberrante all’antigene; lo sviluppo delle malattie da ipersensibilità (sia
allergiche che autoimmuni) si associa spesso all’ereditarietà di geni predisponenti (geni HLA e molti
geni non-HLA). L’ipersensibilità deriva da uno squilibrio fra risposte effettrici e meccanismi di controllo
che normalmente limitano tali risposte.
Sulla base della velocità della reazione e dei meccanismi immunitari interessati, le reazioni di ipersensibilità sono classificate in:
Ipersensibilità immediata (tipo I: mediata da linfociti Th2, IgE e mastociti): reazioni immunologiche
rapide che si scatenano, in soggetti precedentemente sensibilizzati, pochi minuti dopo che l’antigene si
è legato agli anticorpi presenti sui mastociti. Queste reazioni sono dette allergiche e si possono manifestare come reazioni locali o sistemiche.
Ipersensibilità mediata da anticorpi (tipo II): causata da anticorpi che riconoscono antigeni di membrana e della matrice extracellulare. I determinanti antigenici possono essere intrinseci alle membrane
o alla matrice extracellulare; sostanze esogene che si legano alla membrana o matrice. Alcuni esempi
sono le reazioni trasfusionali (le emazie del donatore incompatibile reagiscono con anticorpi preformati dell’ospite e vengono opsonizzate), la Malattia emolitica del neonato (eritroblastosi fetale dovuta alla
differenza antigenica tra madre e feto; IgG della madre attraversano la placenta e lisano gli eritrociti
fetali); l’anemia emolitica autoimmune, l'agranulocitosi e la trombocitopenia (il soggetto produce anticorpi contro le proprie cellule ematiche).
Ipersensibilità mediata da immunocomplessi (tipo III): i complessi antigene-anticorpo producono
i loro effetti patologici determinando una reazione flogistica nelle sedi di accumulo. L’antigene che fa
parte degli immunocomplessi può essere esogeno (es. proteina iniettata o antigene virale) o endogeno
(se il soggetto produce anticorpi contro componenti self). Le reazioni da immunocomplessi possono
essere distinte in “sistemiche” - immunocomplessi si formano in circolo e si accumulano in vari organi
- e “localizzate” (glomerulonefrite, artrite).
Ipersensibilità cellulo-mediata (tipo IV): Reazioni scatenate da linfociti T (CD4+ e CD8+) attivati
dall’antigene (sensibilizzati).
Alla base dei processi autoimmuni, si può individuare un’alterazione della tolleranza immunologica. La
tolleranza immunologica é principalmente rivolta ad antigeni autologhi (“self”). I meccanismi fondamentali
per lo sviluppo e il mantenimento della tolleranza al “self” sono rappresentati dall’eliminazione dei linfociti
immaturi che incontrano gli autoantigeni durante il loro processo di sviluppo (selezione negativa) e dall’inattivazione funzionale dei linfociti maturi che incontrano autoantigeni nel corso della vita. La perdita della tolleranza nei confronti degli autoantigeni può essere la conseguenza sia di una selezione anomala dei linfociti
autoreattivi, cioé di un difetto della tolleranza centrale, sia di alterazioni della presentazione degli autoantigeni alle cellule del sistema immunitario, cioè di un’anomalia della tolleranza periferica. Quando il sistema
immunitario di un organismo reagisce nei confronti di antigeni autologhi, può verificarsi un danno tissutale.
Sia la deficienza che l’alterazione dei meccanismi normalmente responsabili del mantenimento della tolleranza possono determinare una risposta del sistema immunitario nei confronti del “self”. Tali processi sono
molteplici e possono essere alterati sia a causa di anomalie genetiche, sia in seguito ad anomale interazioni
tra il sistema immunitario ed i numerosi agenti biologici che continuativamente tale sistema è chiamato ad
affrontare e neutralizzare al fine di salvaguardare l’omeostasi dell’organismo.
14
Malattie Autoimmuni Sistemiche
Le immunodeficienze possono essere distinte in primitive o secondarie. Le immunodeficienze primitive comprendono un insieme eterogeneo di malattie geneticamente determinate, caratterizzate da
difetti congeniti nella differenziazione e/o funzione del sistema immunitario. Con l’eccezione del deficit
di IgA, si tratta di patologie rare. Nonostante l’eterogeneità genetica, esistono tuttavia elementi clinici
comuni tra le diverse forme di immunodeficienze primitive.
In funzione della linea differenziativa maggiormente coinvolta, si distinguono diversi gruppi di deficit congenito dell’immunità:
- Deficit prevalentemente anticorpali (Agammaglobulinemia congenita legata al sesso, Immunodeficienza Comune Variabile) caratterizzati clinicamente da infezioni ricorrenti dopo i 6 mesi di vita
- Deficit dei fagociti, che possono manifestarsi con infezioni cutanee, polmonari e linfonodali da
batteri o funghi
- Deficit del complemento: meningiti batteriche (deficit fattori tardivi), malattie autoimmuni (deficit
fattori precoci)
Le Immunodeficienze secondarie sono patologie caratterizzate da difetti dell’immunità innata o
acquisita, dovute a molteplici cause (dalle patologie proteino-disperdenti alle infezioni virali come
l’HIV).
I deficit anticorpali possono essere causati da perdita di proteine (proteinuria, enteropatie proteinodisperdenti), mielomi ed altre neoplasie (alcuni linfomi e tumori solidi), splenectomia o cause iatrogene (alcune classi di farmaci antiepilettici). Il deficit dei linfociti T può essere causato da infezioni virali,
immunodeficienza transitoria come in corso di molte infezioni virali, immunodeficienza progressiva
(HIV) e neoplasie (alcuni linfomi o tumori solidi). Infine, le terapie cortisoniche, immunosoppressive
e citostatiche e la malnutrizione possono essere causa di un deficit misto. La diagnosi delle immunodeficienze si basa su un’attenta anamnesi (per escludere familiarità), su esami di laboratorio volti a
dimostrare la natura del deficit (emocromo, protidogramma, dosaggio delle immunoglobuline, sottopopolazioni linfocitarie) ed infine sulla valutazione delle possibili cause di suscettibilità alle infezioni.