CORSO DI FITOTERAPIA E FARMACOGNOSIA Anno 2012 – 2013

12e13UTECumulativo
CORSO DI FITOTERAPIA E FARMACOGNOSIA
Anno 2012 – 2013
INDICE DEGLI ARGOMENTI TRATTATI
CAPITOLO PRIMO - INTRODUZIONE E CONOSCENZE DI BASE
- Farmacognosia
- Fitoterapia
- Pianta medicinale
- Droga
- Preparazione delle droghe
- Farmacodinamica e Farmacocinetica
- Fitocomplesso
-Tossicità.
CAPITOLO SECONDO -DROGHE ADATTOGENE**
- Attività adattogena
- Ginseng
- Eleuterococco
- Maca (da aggiungere)**
- Rodiola (da aggiungere)**
CAPITOLO TERZO - DROGHE IMUNOSTIMOLANTI**
- Immunità
- Echinacea
- Acerola (da aggiungere)**
CAPITOLO QUARTO - DROGHE ANTINFIAMMATORIE
- Processo infiammatorio
- Salice
- Boswellia
- Arpagofito
- Ribes nero
- Borragine.
CAPITOLO QUINTO - ORO BLÙ
- Introduzione - ciclo dell’acqua - consumo di acqua - dissesto idrogeologico - conclusione.
CAPITOLO SESTO - ORO AZZURRO
- Premessa - fotosintesi - processo catabolico - consumo di ossigeno - conclusione.
CAPITOLO SETTIMO - DROGHE PER IL CAVO ORALE
- Apparato digerente descrizione
- Altea
- Malva
- Chiodi garofano
- Salvia
- Mirra
- Propoli.
CAPITOLO OTTAVO - DROGHE PER LO STOMACO
- Gastrite ed ulcera
- Camomilla
- Liquirizia
- Chinetosi
- Zenzero
- Insufficienza digestiva
- Cicoria
- Genziana
- Assenzio
- China
CAPITOLO PRIMO - INTRODUZIONE E CONOSCENZE DI BASE
FARMACOGNOSIA E FITOTERAPIA DEFINIZIONI
La “Farmacognosia”, è la materia che riguarda “lo studio e la conoscenza” delle piante medicinali, “l’identificazione
dei loro componenti”, chiamati anche “principi attivi vegetali” o più semplicemente “droghe”, utilizzabili a scopo
terapeutico.
La “Fitoterapia” è invece la materia che si occupa “dell’impiego, a scopo preventivo o curativo”, di piante medicinali e
dei loro estratti.
Queste due materie, a differenza di altre “dottrine scientifiche relative alla cura della salute”, sono vecchie di migliaia
di anni ed affondano le loro radici nella tradizione Egizia, Fenicia, Greca e Latina, quando ancora non esistevano né
la chimica la biologia o la farmacologia e le uniche possibilità terapeutiche erano solamente quelle fornite dall’impiego
delle erbe.
Per la definizione di farmacognosia e di fitoterapia è stato usato termine “materia”, piuttosto che non “scienza”, in
quanto ogni cultura o scuola di medicina aveva delle regole a cui attenersi e l’impiego delle erbe si basava:
- sul metodo empirico,
- sulla tradizione popolare,
- sul tramandare la conoscenza da maestro a discepolo,
- sulla correlazione di pratiche filosofiche e/o religiose,
- sull’utilizzo di alchimie spesso gelosamente custodite.
Solamente a partire dal medioevo la “Cultura Cristiana” ha permesso di definire e di sviluppare all’interno dei conventi
una prima vera e propria “Scuola di conoscenza razionale ed applicata”
- sull’uso delle piante medicinali,
- sulla loro coltivazione, conservazione,
- sui trattamenti a cui esse venivano sottoposte;
Questa scuola di conoscenza era però basata prevalentemente sull’osservazione, sulla classificazione delle piante
medicinali, piuttosto che sviluppare metodologie di riconoscimento, di identificazione e di isolamento delle sostanze in
esse contenute.
Successivamente, a partire dal 18° secolo, il metodo scientifico, sviluppato “dall’illuminismo”, permise di collegare la
farmacognosia alla fitoterapia e quindi alla scienza medica, ponendo di fatto le prime basi della “farmacologia”, intesa
come pratica medica finalizzata alla cura ed alla prevenzione delle malattie. L’impostazione della dottrina illuministica
era infatti quella di illuminare la mente degli uomini, ottenebrata dall’ignoranza e dalla superstizione, servendosi della
critica, della ragione e dell’apporto della scienza.
Più recentemente a partire dal 19° secolo lo sviluppo della “chimica”, della “biologia” e della “medicina moderna”
ampliarono notevolmente l’evoluzione scientifica della farmacognosia e portarono per la prima volta alla
individuazione ed alla classificazione dei principi attivi di origine vegetale. La farmacognosia, come la intendiamo oggi,
partendo da prodotti naturali, ha permesso di isolare, le droghe e di identificare i principi attivi responsabili di attività
biologica, dai quali sono poi stati sviluppati farmaci. La farmacognosia moderna è quindi una scienza multidisciplinare
che necessita delle conoscenze di specialisti di diverse materie quali:
- botanica, per riconoscere correttamente la pianta di interesse e per descriverla,
- biologia/biotecnologia vegetale, per spiegare i processi che portano alla formazione di determinate molecole e per
sviluppare ibridi di piante in grado di incrementare la resa dei principi attivi,
- agronomia, per sviluppare le procedure più appropriate per incrementare la coltivazione di specie selvatiche,
- chimica, per individuare la composizione dei fitocomplessi e per approntare i processi quali/quantitativi necessari per
selezionare i principi attivi presenti,
- tecnologia farmaceutica, per sviluppare le forme farmaceutiche in grado di favorire la corretta somministrazione degli
estratti e delle sostanze.
PIANTA MEDICINALE
Il termine di “pianta medicinale”, secondo l’OMS indica:
“ogni vegetale che contiene, in uno o più dei suoi organi, sostanze che possono essere usate ai fini terapeutici o
preventivi o che sono precursori di semisintesi chimico-farmaceutiche”.
In base a questa definizione ne deriva che le piante medicinali possono essere utilizzate,
- sia per isolare “principi attivi” da impiegare come tali nelle preparazioni farmaceutiche,
- sia per “ricavare sostanze chimiche di base”, da utilizzare per ulteriori sintesi chimiche, in grado di modificare la
struttura del composto di partenza e di ottenere altre sostanze aventi un’attività spesso diversa da quella iniziale.
DROGA
Il termine “droga” deriva dall’antico linguaggio olandese, che significa “secco”, per indicare le stato di conservazione
delle sostanze vegetali di interesse economico.
Attualmente questo termine assume almeno tre significati:
- “stupefacente”, inteso come sostanza naturale o di sintesi in grado di modificare temporaneamente lo stato psichico
dell’individuo alla ricerca di una condizione patologica di piacere, inducendo contemporaneamente un processo di
assuefazione e dipendenza da essa;
- “alimento”, considerato come parte o composto vegetale utilizzato per aromatizzare il cibo, per renderlo più
appetibile, o per migliorarne lo stato di conservazione;
- “medicamento”, inteso come parte della pianta o pianta intera, utilizzata a scopo terapeutico in quanto dotata di
attività biologica. La F.U. IX Ed. definisce la droga come “parte, secreto o escreto di piante medicinali che, come tali o
come preparazioni, possono essere utilizzate a fini terapeutici o come sostanze ausiliarie per la preparazione di forme
farmaceutiche”.
Da punto di vista della farmacognosia il termine “droga” è sempre riferito a qualunque sostanza di origine vegetale
che possieda un’azione terapeutica e che sia impiegata tal quale o a seguito di processi tecnologici di raffinazione
quali triturazione, spremitura, estrazione, distillazione, essiccamento, polverizzazione, altro.
A titolo esemplificativo il termine droga è utilizzato per indicare la “manna”, (sostanza vegetale che contiene il
mannitolo), assumibile come tale, esclusivamente per uso lassativo osmotico, alla dose di 5-20g/die. Il seme di
ippocastano, è una droga anche se esso viene ad essere utilizzato non come tale allo stato grezzo, ma come estratto
secco, in cui è presente in elevata concentrazione una sostanza, denominata “escina”, la quale viene utilizzata in
terapia come potente antiedemigeno locale e come vasoprotettore. Il mirtillo, chiamato anche ”vaccinium myrtillus” è
una droga, le sue bacche o frutti contengono sostanze chiamate antocianosidi, polifenoli, tannini, pectine, vit.C, le cui
proprietà terapeutiche riguardano l’apparato gastrointestinale, l’apparato visivo e l’apparato cardio-circolatorio.
PREPARAZIONE DELLE DROGHE
Disponibilità, le piante fornitrici di droghe utilizzabili in fitoterapia possono essere “spontanee” o “coltivate”, a questo
proposito occorre però ricordare che l’ottenimento delle droghe o dei principi attivi di origine vegetale, porta nella
maggior parte dei casi alla distruzione della specie vegetale dalla quale sono stati estratti i prodotti. Diversi sono i
fattori che indirizzano verso le prime o le seconde: primo fra tutti è quello economico, infatti se i costi di raccolta e/o di
trasporto sono particolarmente elevati è senza dubbio preferibile ricorrere alle piante coltivate. La coltivazione oggi è
molto diffusa anche perché essa permette di ottenere droghe fra loro molto più omogenee sia per la qualità che per la
quantità dei principi attivi in esse contenuti; queste piante potranno infatti essere raccolte tutte nello stesso momento e
in un’area limitata; altro vantaggio è quello di avere un controllo di qualità superiore ed evitare anche possibili
sofisticazioni. Si ricorre all’utilizzo di piante coltivate anche quando si rischia l’estinzione della pianta stessa o quando
le droghe sono presenti in concentrazioni molto ridotte per specie o quando non si riesce a soddisfare ad incrementi di
richieste nel medio e lungo periodo.
Raccolta, una tappa estremamente importante nell’iter che una droga percorre dal campo al bancone del farmacista
o dell’erborista è quella della raccolta, poiché il contenuto in principi attivi è variabile, è fondamentale conoscere il
momento in cui essi sono presenti in maggiore quantità, solo da questo momento la droga acquisisce importanza dal
punto di vista terapeutico e valore da quello economico. In linea di massima è utile adottare le seguenti procedure per
ottimizzare la raccolta delle droghe:
le piante, se annue, vanno raccolte nel periodo del loro pieno sviluppo;
se biennali nel secondo anno di vita; gli organi sotterranei, (radici, rizomi, tuberi, bulbi), preferibilmente in autunno o in
inverno;
le cortecce sono raccolte preferibilmente in primavera in quanto il cambio post-invernale produce un’elevata quantità
di cellule parenchimatose non ancora differenziate, che hanno la caratteristica di essere particolarmente tenere
permettendo una facile asportazione della corteccia;
le gemme vanno raccolte a fine inverno inizio primavera, quando iniziano a gonfiarsi, ma non ad aprirsi;
le foglie prima della fioritura;
i fiori, le infiorescenze e le sommità fiorite sono raccolti all’inizio della fioritura;
i frutti a completa maturazione o poco prima mentre i semi a completa maturazione dei frutti.
Altri accorgimenti da rispettare per la raccolta possono essere quelli di: evitare di raccogliere le droghe dopo piogge
intense, preferire giornate asciutte e soleggiate, (con il tempo umido la droga è più bagnata, meno facilmente
essiccabile e più facilmente deteriorabile), nel caso di fiori è consigliabile la raccolta di primo mattino, aspettando che
la rugiada si sia asciugata e in ogni caso, prima che il sole possa contribuire a volatilizzare parte degli oli essenziali
contenuti. La raccolta infine deve essere eseguita con molta cura, spesso manualmente o con mezzi adeguati, in
modo da evitare la frantumazione della droga o che questa possa esser mescolata ad altre parti della pianta di minore
o di nessun valore.
FARMACODINAMICA E FARMACOCINETICA
La “farmacodinamica” è quella branca della farmacologia che studia gli effetti biochimici e fisiologici dei farmaci
sull’organismo ed il loro meccanismo d’azione. In particolare la farmacodinamica studia l’interazione tra farmaco e
recettore e le interazioni tra farmaci rispetto al loro meccanismo d’azione ed alla loro affinità per un recettore.
La “farmacocinetica” studia quantitativamente, l’Assorbimento, la Distribuzione, il Metabolismo o l’Eliminazione,
(ADME), dei farmaci. In termini più generali, mentre la farmacodinamica studia gli effetti del farmaco sull’organismo, la
farmacocinetica studia gli effetti dell’organismo sul farmaco, ossia i processi che condizionano il raggiungimento ed il
mantenimento di un’adeguata concentrazione dei farmaci nei vari organi o apparati.
FITOCOMPLESSO
Fino a pochi anni fa le piante sono state considerate alla stregua di “banche molecolari”, dalle quali estrarre e
selezionare dei singoli principi attivi. In base a questo presupposto è stato possibile identificare ed isolare centinaia di
sostanze con spiccate attività farmacologiche, la morfina e la codeina dall’oppio, l’efedrina dall’efedra, la muscarina
dal fungo amanita muscaria, la teofillina dalle foglie di the etc. Per questa serie di composti è stato necessario isolare
il singolo principio attivo dagli altri elementi, per poter garantire un effetto terapeutico facilmente dosabile e
riproducibile. L’impiego del prodotto fitoterapico in toto, non consente, infatti, una precisa somministrazione della dose
desiderata e di conseguenza non è sempre possibile prevedere l’effetto farmacologico; attualmente è stato possibile
verificare che anche droghe contenenti minore attività biologica possono avere un ruolo terapeutico e la loro attività è
correlabile non solo al singolo principio attivo ma piuttosto all’interazione tra i diversi gruppi di sostanze presenti.
Da questo fatto di carattere sperimentale e scientifico, nasce il concetto di “fitocomplesso”, ovvero di insieme ,
(aggregazione, contemporaneità), di sostanze funzionali contenute nella pianta, in cui si trovano sia molecole ad
elevata attività biologica, (il cosiddetto principio attivo), che molecole con attività minori* ma in grado di modificare dal
punto di vista farmacocinetico o farmacodinamico l’azione di principi attivi. Le interazioni all’interno del fitocomplesso
possono essere varie e possono produrre:
- un effetto additivo, cioè gli effetti delle singole molecole si sommano, (1+1*= 2)
- un effetto sinergico, cioè gli effetti delle singole molecole si moltiplicano, (1+1* = 3)
- un effetto antagonista, cioè gli effetti si riducono o si annullano, (1+ 0* = 0)
Nel caso del rabarbaro per es. il contenuto dei “glucosidi antrachinonici”, non è diverso quali e quantitativamente da
quello di altre droghe purganti antrachinoniche, ma il cui effetto è molto più blando a causa della presenza di “tannini”
nel fitocomplesso che ne riducono l’efficacia.
L’attività di un estratto vegetale, deve essere perciò considerata come il risultato dell’azione di tutte le sostanze in
esso contenute e non può essere ricondotto al solo effetto di un singolo principio attivo.
TOSSICITÁ
È opinione molto diffusa che i prodotti naturali, in quanto tali non siano dannosi per la salute e che essi siano sempre
e comunque sicuri, questa errata convinzione, basata sul presupposto che tutto quello che è naturale è “bio” e quindi
salutare, è sostanzialmente il frutto di una conoscenza superficiale dei prodotti vegetali e riduttiva della complessità di
azioni causate da parte dall’uso spesso inappropriato dei cosiddetti prodotti naturali. In proposito basta ricordare i casi
mortali di avvelenamento da funghi dovuti ad un errato riconoscimento della specie trovata, o l’errato utilizzo che
veniva fatto in passato di erbe come abortivi, (prezzemolo, sabina, ruta, assenzio). La maggior parte delle “droghe
voluttuarie” sono di origine naturale, la coca, (contenente cocaina), l’oppio, (contenente morfina), la marijuana,
(contenente teraidrocannabinolo), il peyote, (cactus contenente mescalina), il khat o l’efedra, (contenenti catinone), i
funghi allucinogeni psilocybe e conocybe, (contenenti psilocina e psilocibina). Altro esempio di questo genere è
rappresentato dalla Cannabis sativa, pianta erbacea che era utilizzata in passato per ottenere fibre tessili e che
attualmente è sfruttata illegalmente per produrre droghe ad uso voluttuario quali hashish e marijuana. L’hashish è il
materiale resinoso della pianta contenente circa il 10-15% di “tetraidro cannabinolo”, (THC); mentre la marijuana è
costituita dalle infiorescenze e contiene il 3% circa di THC. Il THC induce euforia e benessere seguiti da rilassamento
e stato soporoso; derivati del THC, (nabilone e dronabinolo), vengono talvolta utilizzati in clinica nel trattamento della
nausea e del vomito causati da farmaci citotossici che non rispondono ai trattamenti standard.
La possibile pericolosità dei prodotti naturali non si esaurisce a pochi e documentati casi; sebbene i preparati di erbe
dotati di maggior tossicità siano vendibili solo in farmacia dietro presentazione di adeguata ricetta medica, anche le
piante ed i prodotti venduti in erboristeria possono celare insidiosi effetti collaterali e tossici. L’uso prolungato o
eccessivo di liquirizia induce ipopotassiemia e ipertensione arteriosa, l’iperico, il sedano, il bergamotto e l’arancio
amaro sono piante contenenti furanocumarine sostanze possono provocare reazioni di fotosensibilizzazione.
Infine, sebbene esista una generale diffidenza congenita nei confronti di ciò che è sintetico o di origine chimica, in
moltissimi casi ciò non trova giustificazioni razionali. L’acido salicilico, che si libera dai glucosidi salicilici non è diverso
da quello ottenuto per sintesi, i pochi milligrammi di taxòlo, che si ottengono dai molti chilogrammi di corteccia di
tasso, sono identici a quelli prodotti per via sintetica, con il conseguente vantaggio di evitare il danni alla pianta. La
digossina, prodotta in laboratorio, è identica a quella presente nella digitale e la codeina che è presente in alcuni
prodotti calmanti per la tosse secca è identica a quella presente nell’oppio, con l’indubbio vantaggio di evitare gli effetti
collaterali di tossicodipendenza provocati da quest’ultimo.
CAPITOLO SECONDO - DROGHE ADATTOGENE
ATTIVITÁ ADATTOGENA
Per “attività adattogena” di una droga, si intende la capacità di portare l’organismo ad uno stato di migliore resistenza
aspecifica, tale da contrastare meglio i fattori di tensione, emotivi e quindi di potersi più facilmente adattare a
condizioni di carico straordinario. Una droga possiede un effetto adattogeno, quando soddisfa alle seguenti condizioni:
- “aumenta” in maniera specifica la resistenza dell’organismo a stimoli nocivi di varia natura, (fisica, biologica o
psichica),
- “provoca” un effetto normalizzante, contrastando eventi emotivi o da tensione, spesso percepiti con molta intensità,
inducendo dal punto di vista psicologico sensazioni di calma e di tranquillità,
- “non causa effetti collaterali” sul fisico, (es. sulla pressione, sulla digestione, ecc), non provoca alterazioni
psicologiche o caratteriali, (torpore, sonnolenza, eccitabilità, ecc), non induce fenomeni di assuefazione.
A differenza delle droghe contenenti alcaloidi purinergici, (the, caffé, guaranà, cola, cacao), i quali agiscono molto
rapidamente da stimolanti del sistema nervoso centrale, le droghe adattogene hanno bisogno di un tempo molto
superiore, (giorni o settimane), per instaurare l’effetto desiderato, il quale però è generalmente duraturo e costante nel
tempo. Le droghe adattogene inoltre si differenziano dalle “sostanze dopanti”, che aumentano immediatamente le
prestazioni dell’individuo, ma la cui azione è inevitabilmente seguita da uno stato di depressione e spesso di
astinenza.
Le droghe adattogene più importanti comprendono “il ginseng” e “l’eleuterococco”.
GINSENG
Classificazione, il “Ginseng” o “Panax ginseng Meyer”, pianta medicinale appartenente alla famiglia delle Araliacee,
è la droga più importante della medicina orientale, il cui impiego terapeutico è ormai consolidato e diffuso da alcuni
millenni in Cina , Korea, Giappone, Siberia e India, paesi in cui questa droga è stata utilizzata nella medicina popolare
come rimedio di tutti i mali. Adesso il Ginseng è largamente coltivato anche negli stati uniti ed in Giappone, a scopo
commerciale per poter soddisfare le sempre più crescenti richieste a livello internazionale.
Droga, la droga è ottenuta come “estratto secco” dalle radici essiccate, le quali hanno un aspetto cilindrico, allungato
leggermente incurvato e rastremato verso il basso, la loro lunghezza è compresa mediamente tra 3 e 20 cm; le radici,
in particolare quelle più lunghe, presentano talvolta ramificazioni nella parte superiore, che le rende come aspetto
simili alla forma di un uomo, (nella lingua cinese il termine ginseng significa, infatti, piccolo uomo); la superficie delle
radici è rugosa con striature longitudinali. Le radici sono raccolte in autunno da piante d’età compresa tra i 3 ed i 6
anni, età a cui corrispondono le maggiori dimensioni delle radici ed il maggior contenuto di principi attivi. Il ginseng
coreano, che è quello maggiormente pregiato dal punto di vista commerciale in quanto contiene fino al 3% di
ginsenoidi nella droga secca. Gli elementi maggiormente presenti nell’estratto secco sono chiamati “ginsenosidi” ed il
loro contenuto titolato non deve essere inferiore all’1,5%, la loro composizione chimica, una volta isolata e classificata,
è costituita da 2 molecole chiamate “protopanaxadiolo” e “protopanaxtriolo”. È interessante osservare che queste due
sostanze naturali, le quali sono quelle maggiormente responsabili dell’attività terapeutica del ginseng, presentano una
struttura molecolare tipo ciclopentanperiidrofenantrenica, che è molto simile a quella dei corticosteriodi.
Proprietà terapeutiche, il ginseng è la droga adattogena per eccellenza: sebbene gli studi clinici finora condotti non
siano in completo accordo tra loro, si ritiene che il ginseng aumenti la resistenza alla fatica, per questo trova largo
impiego da parte degli atleti. Durante l’esercizio fisico, infatti, il suo impiego migliora il metabolismo glucidico e
diminuisce la produzione di acido lattico con conseguente incremento del potenziale aerobico del muscolo sotto
sforzo.
Nell’individuo non atleta, il ginseng aumenta la tolleranza al lavoro ed allo stress, promuove le capacità cognitive e
fornisce un benefico effetto antidepressivo. Il suo uso è indicato negli stati di astenia, (stanchezza cronica), il ginseng
potenzia inoltre le proprietà immunostimolanti dell’organismo, possiede una modesta attività ipoglicemizzante, può
essere utilizzato dai diabetici ed infine manifesta una scarsa, ma significativa azione antiaggregante piastrinica con
benefici effetti sulle terapie ischemiche e sulle capacità mentali. La tradizionale attività afrodisiaca, valutata in due
studi clinici nel 1995 e nel 2002 ha fornito risultati tendenzialmente positivi, tuttavia solo uno studio era stato condotto
in doppio cieco ed il numero di pazienti era scarso, (135 casi tra placebo e verum).
Controindicazioni ed effetti collaterali, l’uso eccessivo di questa droga o i suoi dosaggi prolungati per periodi
superiori ai 40/45 giorni, provocano nervosismo, irritabilità, insonnia e tremori agli arti; il qinseng è potenzialmente
teratogeno, incrementa la produzione di ormoni steroidei e quindi il suo uso è sconsigliato durante la gravidanza,
l’allattamento, nella prima infanzia e negli adulti ipertesi. Il ginseng può inoltre ostacolare l’azione dei farmaci
antidepressivi, può aumentare i livelli di digossina nel sangue e può infine potenziare l’azione farmacologia del
warfarin.
ELEUTEROCOCCO
Classificazione, anche questa pianta, denominata “Eleuterococcus senticosus” o “Ginseng siberiano”, appartiene
come la precedente alla famiglia delle Araliacee, la sua area di distribuzione allo stato selvatico si estende dalla zona
nord-orientale della Siberia fino alla Manciuria ed al Giappone.
Droga, la droga dell’eleuterococco, è ottenuta come “estratto secco” dalle radici essiccate; essa è ricca di principi
attivi, denominati “eleuterosidi”, tra questi in particolare sono stati isolati chimicamente e quindi titolati, “l’eleuteroside
B e quello E”, i quali sono stati sottoposti a sperimentazione clinica e sono risultati essere dotati di attività terapeutica.
Proprietà terapeutiche, gli studi fitochimici e farmacologici, sull’eleuterococco, sono iniziati negli anni ‘50, a seguito
dell’espressa volontà dei ricercatori dell’Unione Sovietica di trovare un’alternativa al ginseng, allo scopo di ottenerne
un sostituto meno costoso. La fama di questa pianta è andata rapidamente crescendo, soprattutto sulla base della
sperimentazione clinica e farmacologia effettuata da parte dell’ex URSS, sebbene questi studi fossero stati di difficile
accesso e siano ancora scarsamente accreditati dai ricercatori americani. Famoso rimane in ogni caso l’impiego per
le prestazioni degli atleti sovietici alle olimpiadi di Mosca e per i cosmonauti nei lunghi periodi di permanenza nello
spazio. Le sperimentazioni effettuate e gli studi sviluppati hanno indicato le seguenti caratteristiche: “effetti sul SNC”,
“effetto antistress”, “ attività steroidale”, “attività cardiovascolare”, le quali hanno portato a considerare l’eleuterococco
come succedaneo del ginseng. Questa droga, oltre a condividere le attività del ginseng, manifesta anche una discreta
“azione immunostimolante”, che talvolta viene utilizzata con discreto successo, sia per la terapia /prevenzione delle
infezioni dell’apparato respiratorio superiore, che per la terapia complementare delle patologie infettive o tumorali.
Meccanismo d’azione, l’attività adattogena degli eleuterosidi, presenti nella droga, è stata osservata negli animali da
sperimentazione, ed ha mostrato, analogamente al ginseng, un aumento dimensionale e ponderale, per le ghiandole
surrenali con un conseguente aumento della produzione degli ormoni surrenalici; l’eleuterococco ha inoltre
evidenziato nel corso delle sperimentazioni anche un aumento delle vescicole seminali e della prostata.
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MACA
RODIOLA
CAPITOLO TERZO - DROGHE IMMUNOSTIMOLANTI
IMMUNITÁ - DEFINIZIONE
Il sistema immunitario svolge un’azione di contrasto e quindi di difesa, nei confronti di agenti nocivi esterni, con cui
l’organismo viene quotidianamente a contatto, siano essi di natura chimica, fisica o biologica, (questi ultimi sono quelli
notevolmente i più pericolosi per la salute dell’organismo). L’immunità reagisce a questi eventi nocivi attraverso due
diversi meccanismi d’azione che sono comunemente denominati: “immunità innata”, (naturale o aspecifica) e
“immunità acquisita”, (reattiva o specifica).
“L’immunità innata”, che si attiva immediatamente, funziona in particolare come una prima barriera di difesa contro
gli agenti infettivi, i quali dovrebbero essere eliminati prima di indurre una manifesta infezione. Questo tipo di
immunità, che non possiede una “memoria specifica”, è costituita da: ”barriere meccaniche”, (cute), “barriere
fisiologiche”, (acidità, lisozima, pepsina, etc.), “barriere microbiologiche”, (flora batterica o germi saprofiti), “barriere
tissutali”, presenti sia nel sangue per contrastare processi infettivi, (corpuscoli denominati monoliti, granulociti,
macrofagi etc.), sia nei tessuti connettivi per combattere reazioni allergiche, (mastociti). Il sistema con il quale le
cellule, presenti nelle barriere tissutali, eliminano le sostanze estranee è basato sulla “fagocitosi” o sulla
“degradazione” operata da parte di un meccanismo ossigeno-dipendente od ossigeno-indipendente.
“L’immunità acquisita” si attiva, solo dopo alcuni giorni, nel caso in cui un germe patogeno, penetrato
nell’organismo, abbia superato i primi meccanismi di difesa; a fronte di quest’evento, l’immunità acquisita, che
possiede una memoria, produce una risposta anticorpale specifica per il tipo di infezione in corso. L’immunità
acquisita, a sua volta, si distingue in “immunità umorale”, (mediata da anticorpi prodotti da linfociti B), ed “immunità
cellulare”, (mediata da linfociti T). I vaccini sfruttano la memoria e la specificità di questo sistema: il germe patogeno
attenuato o sue porzioni sono introdotte forzatamente, (per iniezione), nell’organismo il quale produce una blanda
risposta immunitaria specifica, con conseguente produzione di cellule memoria. I rimedi fitoterapici immunostimolanti,
a differenza dei vaccini, non agiscono verso un germe patogeno specifico, attivando la risposta immunitaria acquisita,
ma stimolano l’immunità innata, provocando per es. un aumento del numero di macrofagi.
Tra le droghe immunostimolanti “l’echinacea” è senza dubbio quella più conosciuta dal punto di vista commerciale.
ECHINACEA
Riferimenti, l’echinacea comprende 9 specie diverse e appartiene alla famiglia delle ”Asteraceae”. Il nome generico
di echinacea deriva dal greco “echinos”, ovvero riccio di mare, in riferimento alle squame aculeate che caratterizzano
la porzione superiore del capolino maturo. Questa pianta è originaria delle praterie, situate nelle zone temperate del
nord america, dove era utilizzata in passato dalle popolazioni indigene per favorire la cicatrizzazione e soprattutto per
curare i morsi dei serpenti; le specie commerciali attualmente più utilizzate sono: commercio sono l’E. angustifolia,
l’E. purpurea e l’E. pallida.
Droga, principi attivi e preparazioni consigliate, la droga è costituita prevalentemente dalle radici di colore brunogiallastro e di forma cilindrica, a volte intrecciata o a spirale; talvolta sono sfruttate anche le foglie o le parti aeree nel
loro insieme. La droga è utilizzata come “estratto secco, titolato in echinacoside” per l’E.angustifolia e per l’E.pallida,
mentre l’estratto secco dell’E.purpurea è titolato in “acido cicorico o in polifenoli”. La dose giornaliera consigliata varia
da 5 a 10 mg di echinacoside. La droga è ricca inoltre di flavonoidi, olii essenziali, derivati dell’acido caffeico ed altri
componenti.
Impieghi, l’echinacea rappresenta una delle droghe vegetali di maggiore sviluppo negli ultimi decenni, tanto che nella
sola germania si contano più di 100 preparati registrati a base di echinacea. Le principali attività attribuite
all’echinacea riguardano l’azione immunostimolante, relativa soprattutto agli stati influenzali ed alle malattie da
raffreddamento, verso le quali risulta utile l’assunzione preventiva dell’estratto, per via orale, da utilizzare per alcuni
giorni al manifestarsi dei primi sintomi. Tra gli altri usi dell’echinacea è opportuno ricordare: l’azione antibatterica,
sempre per via orale, come coadiuvante, nelle infezioni delle vie respiratorie e delle vie urinarie (attribuibile
probabilmente alla presenza dei principi attivi “fenil-propanoidi glicosidici” e “polieni”), l’azione vulneraria, (dal latino
vulnus), per uso topico come unguento, per facilitare la cicatrizzazione di ferite, piaghe, ecc. analoga a quella di altre
erbe quali, arnica, salvia e timo, importante è anche l’azione antivirale, in particolare quella manifestata nei confronti di
alcuni virus dell’influenza e dell’herpes.
Meccanismo d’azione, l’echinacea, utilizzata per via orale, attiva i meccanismi di difesa e di reazione propri dei
globuli bianchi, con conseguente potenziamento delle risposte immunitarie aspecifiche dell’organismo. L’echinacea,
inibisce inoltre la “ialuronidasi”, enzima idrolitico, che scinde “l’acido jaluronico” nei suoi due componenti fondamentali:
acido Dglucuronico e N-acetil-D-glucosamina, impedendo di fatto la propagazione dei batteri in altri tessuti. L’acido jaluronico,
mucopolisaccaride a struttura lineare, rappresenta il componente fondamentale del tessuto connettivo, come tutti i
mucopolisaccaridi esso forma in acqua soluzioni ad elevata viscosità e conseguente bassa permeabilità. La
jaluronidasi si trova in forte concentrazione nell’apparato buccale delle sanguisughe, nel veleno dei serpenti, delle api
e degli scorpioni ed in vari microrganismi patogeni, (pneumococchi, streptococchi, bacilli anaerobi della cancrena
gassosa ecc. La jaluronidasi conferisce ai vari microrganismi notevole capacità di penetrazione e la propagazione nei
tessuti potenziandone almeno in parte la virulenza o il potere infettivo. Nell’organismo umano la jaluronidasi è
presente nella cornea, nel corpo ciliare, nella milza nella pelle ed in altre parti dei tessuti molli. L’attività della
jaluronidasi è inibita da vari fattori, tra cui i vari farmaci antinfiammatori.
Effetti collaterali e tossicità: L’echinacea è considerata una droga sicura ed affidabile, tuttavia essa può provocare
reazioni allergiche ed il suo utilizzo non dovrebbe superare le 8 settimane consecutive. L’echinacea può alterare il
metabolismo e la sintesi del colesterolo e degli steroidi in generale con conseguenze sul meccanismo di
assorbimento/accumulo dei lipidi. È importante inoltre sottolineare che le droghe immunostimolanti, se utilizzate
impropriamente da pazienti sottoposti a terapia oncologica, aumentano la tossicità di molti chemioterapici, soprattutto
di quelli con un “indice terapeutico” molto ridotto. L’echinacea, se assunta contemporaneamente a farmaci
anabolizzanti, amiodarone, metotrexato e ketoconazolo, potenzia il loro effetto nocivo a carico del fegato.
ACEROLA
L’Acerola, o “Malpighia glabra”, appartenente alla famiglia delle “Malpighiaceae”, è una pianta spontanea originaria
dell’america centromeridionale vedi fotocopie e ATK monografia
CAPITOLO QUARTO - DROGHE ANTINFIAMMATORIE
PROCESSO INFIAMMATORIO - DEFINIZIONE
I processi infiammatori, che colpiscono con maggiore frequenza i tessuti muscolari, ossei o cartilaginei, sono in
generale caratterizzati da una dolorosità diffusa, a volte molto intensa, a seconda dell’area interessata, delle
condizioni di vita relazionale, dell’età e della sensibilità del paziente affetto da questa malattia. L’infiammazione, la
flogosi o il reumatismo, quando diventano cronici, causano molto spesso dei danni permanenti ai tessuti o agli organi
interessati, con conseguente riduzione o perdita della loro funzionalità.
Il processo infiammatorio è caratterizzato dalla liberazione da parte della membrana cellulare di una sostanza,
chiamata “acido arachidonico”, la quale, a sua volta, causa la formazione della “5-lipossigenasi” e della
“ciclossigenasi”, con conseguente produzione di “leucotrieni e di tromboxano”. Le conseguenze di queste reazioni
provocano, a livello dei capillari:
- una diffusa vasodilatazione,
- la formazione di edemi,
- un aumento della permeabilità vascolare,
- un’azione aggregante piastrinica
- vasocostrizione e broncospasmo nelle fibre dei tessuti elastici e respiratori.
I rimedi fitoterapici antinfiammatori non modificano il decorso di questa patologia, poiché essi non agiscono sulle
cause che l’hanno provocata, sia essa di carattere infettivo, tossico o autoimmune, essi sono solo in condizione di
fornire cure non eziologiche, ma solo sintomatiche, in altri termini essi diminuiscono la percezione della patologia, ma
non la risolvono. Questo gruppo di droghe, grazie alla propria azione antinfiammatoria, limita l’attività dei mediatori
fisiologici, coinvolti nel processo infiammatorio, riducendo il dolore, l’edema e ripristinando parzialmente la funzione
persa.
I fitoterapici antifiammatori possono essere classificati in base al loro meccanismo d’azione come:
1°) inibitori della ciclossigenasi, (COX),
2°) inibitori della 5-lipossigenasi, (5-LOX),
3°) antagonisti dell’acido arachidonico, (acidi Ω 3), chiamati anche “falso substrato”,
La tabella successiva fornisce una prima e sommaria indicazione di esempi di droghe antinfiammatorie e del loro
meccanismo d’azione:
Riferimento droga
Nome scientifico
Componente principale
Meccanismo d’azione
o pianta medicinale
Aglio
Allium sativum
Ajoene
inibizione COX
Arpagofito
Harpagophytum procumbens
Arpagoside
inibizione COX
Betulla
Betulla alba
Gliosidi salicilici
inibizione COX
Pioppo
Populus nigra
Glicosidi salicilici
inibizione COX
Primula
Primula officinalis
Glicosidi salicilici
inibizione COX
Salice
Salicacee
Glicosidi salicilici
inibizione COX
Ribes nero semi
Ribes nigrum
Acido α e γ-linolenico
falso substrato
Enotera
Oenotera biennis
Ac. γ-linolenico
falso substrato
Borragine
Borago officinalis
Acido γ-linolenico
falso substrato
Incenso
Boswellia serrata
Ac. Boswellici
inibizione 5-LOX
SALICE
Il “salice” appartiene alla famiglia delle ”Salicaceae”; questa pianta è originaria dell’Europa e comprende oltre 200
specie di alberi che si ibridano con relativa facilità tra loro. Il salice bianco è la specie più diffusa presente in Italia.
Droga, la corteccia essiccata è la parte della pianta utilizzata per ricavare la droga, essa è rimossa ogni due o tre anni
dai rami di piante adulte, nella droga sono presenti diversi elementi, di cui i principali sono: i tannini, i glicosidi fenolici
ed i flavonoidi.
Proprietà terapeutiche, la droga, che agisce “inibendo la ciclossigenasi”, possiede tutte le proprietà dell’acido
salicilico e quindi è utilizzata come antinfiammatorio, antipiretico ed analgesico, l’estratto secco ricco di “glucosidi
fenolici” è titolato in “salicina”. L’estratto secco di salice, è somministrato, a scopo terapeutico, come decotto ad un
dosaggio di 240 mg di salicina/die.
Impieghi, il decotto della corteccia essiccata possiede proprietà toniche, febbrifughe, astringenti, antipiretiche,
analgesiche ed antireumatiche, che risultano essere utili soprattutto nei casi di lievi malattie febbrili, di disturbi
reumatici o di manifestazioni articolari dolorose minori ad esse correlate. I problemi maggiormente segnalati per
questa droga sono quelli dovuti prevalentemente alla presenza dei tannini piuttosto che non a quelli attribuibili ai
salicilati presenti.
Effetti collaterali e tossicità, la droga non va somministrata ad individui allergici ai salicilati, saltuariamente provoca
nausea e vomito, può irritare la mucosa gastrointestinale, anche se in misura minore rispetto all’acido acetilsalicilico.
La droga non deve esser somministrata per lungo tempo contemporaneamente, a farmaci o preparati antiaggreganti o
anticoagulanti, ad alcool, a sedativi, a barbiturici o ad altri FANS
BOSWELLIA
La “boswellia serrata”, appartiene alla famiglia delle ”Burseraceae”; la parte della pianta utilizzata per la raccolta
della droga è costituita dalla corteccia di colore marrone, presente sui rami.
Droga, è ottenuta per incisione e sollevamento della corteccia presente sui rami, i canali sottostanti rilasciano
lentamente una resina, la quale dopo esser stata raccolta in adatti contenitori, solidifica lentamente a temperatura
ambiente, assumendo una colorazione ambrata, una consistenza vetrosa ed un aroma simile a quello dell’incenso. Le
piante, se incise opportunamente durante la stagione secca, non subiscono gravi danni e possono produrre circa 1 Kg
di droga ciascuna. L’essudato è costituito da due frazioni prevalenti: la prima a consistenza gommosa, (23%) e la
seconda composta da resine, (55%). La prima frazione contiene “polisaccaridi”, mentre la seconda parte è ricca di
“acidi terpenici denominati acidi boswellici”, i quali rappresentano i principi attivi dotati di maggiore attività.
Proprietà terapeutiche, la droga è utilizzata per il trattamento sintomatico, delle infezioni delle vie aeree superiori,
delle malattie artro-reumatiche, delle cefalee di lieve intensità e delle coliti di natura infiammatoria. Tuttavia Il
principale impiego di questa droga, è quello che riguarda la cura delle patologie infiammatorie croniche delle prime vie
aeree, quali rinosinusite allergica ed asma bronchiale, a causa del suo specifico “effetto inibitore della 5lipossigenasi”. Gli acidi boswellici a differenza degli inibitori della ciclossigenasi, (acido salicilico), non hanno effetti
gastrolesivi ed antiaggreganti piastrinici
.
ARPAGOFITO
“L’arpagofito”, appartiene alla famiglia delle “Pedaliaceae”, è una pianta rampicante con germogli striscianti,
originaria dell’Africa meridionale. Questa pianta è volgarmente chiamata anche “artiglio del diavolo” per via dei frutti,
dotati di robusti uncini, i quali, ferendo gli animali che li calpestano, li costringono ad una danza indemoniata.
Droga, è costituita dalle escrescenze laterali della radice, denominate “radici secondarie”, le quali sono organi di
deposito ed hanno un aspetto di tubercoli rossastri, con diametro di 5/6cm e lunghezza di 20cm. Per il commercio la
droga, tagliata in “rotelle” ed “essiccata”, deve avere un contenuto “non inferiore all1,2% di arpagoside”, (Ph. Eu. V),
le preparazioni attualmente più utilizzate sono l’estratto etanolico dotato di scarsa attività e l’estratto acquoso alla
dose di 50 mg/die di arpagoside.
Meccanismo d’azione, gli studi in vitro recentemente effettuati hanno dimostrato che l’arpagoside è responsabile
dell’inibizione della ciclossigenasi.
Proprietà terapeutiche, l’estratto, in toto dell’artiglio del diavolo, presenta una spiccata attività antinfiammatoria,
associata a quella analgesica ed antispasmodica; le indicazioni riguardano il reumatismo articolare acuto e cronico,
con riferimento alle artriti acute e croniche, particolarmente usato è il decotto della radice contusa essiccata e
polverizzata, somministrato a freddo.
Effetti collaterali e tossicità, la droga può dare luogo a gastriti e può provocare altri disturbi gastro-intestinali, per
questo motivo l’artiglio del diavolo non deve esser somministrato contemporaneamente ad altri farmaci
antinfiammatori, antiaggreganti o anticoagulanti.
RIBES NERO
Il “ribes nero”, appartiene alla famiglia delle “Grossulariaceae”, originariamente è una pianta spontanea molto diffusa
nelle aree verdi del nord e del centro Europa e nell’Asia settentrionale, recentemente questa pianta ha iniziato ad
esser coltivata su larga scala in Francia per l’utilizzo sempre più richiesto dei suoi frutti.
Droga, il ribes nero è una di quelle piante di cui si impiegano varie parti, da ciascuna delle quali si ottengono droghe
particolari, in grado di sviluppare attività terapeutiche molto diverse tra loro.
1°) “Le gemme”, esse rappresentano la parte della pianta maggiormente impiegata per uso fitoterapico, la
preparazione del “macerato glicerinato”, è ricca “olio essenziale, flavonoidi e glucosidi”; questi componenti svolgono
una potente attività antinfiammatoria ed antistaminica, sia a livello cutaneo che a quello delle vie respiratorie. Il ribes
nero è quindi indicato in caso di riniti allergiche e croniche, asma, bronchiti, laringiti, faringiti, dermatiti allergie e
congiuntiviti; questa droga possiede anche un’azione immunostimolante, per cui essa combatte la stanchezza,
aumenta la resistenza al freddo e previene l’insorgere delle malattie influenzali.
2°) “Le foglie”, esse sono utilizzate in fitoterapia sotto forma di infusi e tinture madri, per favorire l’eliminazione
dell’urea e dell’acido urico, per ridurre i livelli di colesterolo nel sangue, per drenare e depurare l’organismo. I
componenti principali contenuti nella droga sono i “triterpeni” ed i “polifenoli”.
3°) “I frutti”, essi sono utilizzati in fitoterapia sotto forma di “succo o di “infuso” per le loro proprietà astringenti,
vasoprotettive, capillaroprotettive e protettive per la retina; i frutti sono ricchi di “acido citrico, acido malico, acido
ascorbico, oligoelementi, flavonoidi, antociani ed acidi polinsaturi”, questi ultimi, in particolare, sono ricchi di acido γlinolenico, (circa il 16%), sostanza dotata di attività “falso substrato”.
BORRAGINE
La “borragine o borago officinalis” è una pianta erbacea annuale molto comune e diffusa in Italia; essa è presente
nei prati e nei luoghi assolati, dalla primavera inoltrata, raggiunge un’altezza di 60-90 cm, le sue parti aeree sono
caratterizzate dalla presenza di peli protettori ruvidi e serici. Le foglie sono di forma ovale ed ellittica con nervature
parallele; i fiori, di colore blu intenso, sono dotati di 5 petali disposti a forma di stella.
Droga, sono utilizzate le sommità fiorite, le foglie e soprattutto i semi, (per l’estrazione dell’olio); nelle foglie e nei fiori
sono presenti notevoli quantità di “mucillagini”, le quali sono dotate di una spiccata azione emolliente anche in
preparazioni da contatto; i semi dopo la spremitura producono un olio contenente un’elevata percentuale, (fino al
26%), di acido γ-linoleico.
Proprietà terapeutiche. Le foglie o i fiori sono attualmente utilizzati, in sciroppi espettoranti, in cataplasmi
antinfiammatori o in decotti antireumatici. La spremitura dei semi, effettuata a freddo permette di ottenere un olio ad
alto contenuto di acido γ-linoleico il quale, per le sue spiccate attività antinfiammatorie, è utilizzato in terapia per
trattare affezioni cutanee e problemi allergici, eczemi e affezioni cutanee di vario tipo.
)
.
CAPITOLO QUINTO - ORO BLÙ
INTRODUZIONE
In occasione della giornata mondiale dell’acqua, istituita dall’ONU e celebrata ogni anno il 22 marzo, l’Istat ha diffuso i
dati relativi all’utilizzo di questa fondamentale “risorsa finita”, fornendo statistiche sul “ciclo idrologico”, sull’uso delle
acque urbane e su alcuni fattori climatici. In particolare, per quanto riguarda l’acqua potabile consumata, risulta che
nel 2008 in Italia sono stati erogati “92,5 metri cubi per abitante”, con un incremento medio annuale dell’1,2% negli
ultimi 10 anni. Questo valore è costituito dall’acqua consumata, prelevata direttamente dal sottosuolo, trattata,
potabilizzata, distribuita e misurata dai contatori dei singoli utenti e dalle comunità chiuse, (luoghi pubblici, aziende,
scuole, ospedali, comuni ecc), con la sola esclusione dell’acqua utilizzata direttamente dai corsi d’acqua superficiali
per uso agricolo.
CICLO DELL’ACQUA
Il “ciclo dell’acqua”, denominato anche “ciclo idrologico”, consiste nella circolazione e nella distribuzione dell’acqua
all’interno dell’idrosfera terrestre, descrive i cambiamenti di stato fisico dell’acqua, (liquido, aeriforme e solido), in
relazione ai continui scambi di massa idrica tra l’atmosfera, la superficie terrestre, le acque superficiali, le acque
sotterranee e gli organismi. La sequenza la durata l’intensità e la frequenza dei passaggi di stato, all’interno del ciclo
dell’acqua, sono a loro volta influenzati negativamente dall’intervento umano, a causa dal dispendio energetico diffuso
in atmosfera, dai dissesti idrogeologici dovuti all’eccessiva urbanizzazione e infine dalla continua e costante opera di
disboscamento provocata a fini di lucro.
PIOVOSITÁ
Questo termine definisce il “valore di quantità di acqua piovana”, monitorato annualmente per una determinata area
geografica, all’interno della quale vengono eseguite misurazioni costanti delle precipitazioni che interessano
complessivamente l’intera superficie della zona di riferimento. Il “valore di piovosità” rilevato annualmente per il
territorio nazionale è mediamente pari a: 800 mm di pioggia/anno, i quali significano “800 litri/anno per metro quadro”
di superficie, corrispondenti a 0,8 m³/anno.
ASSORBIMENTO/DRENAGGIO
La percentuale media di assorbimento dell’acqua piovana, stimata in base all’azione drenante di un terreno erboso ed
alla conformazione idrogeologica degli strati sottostanti, corrisponde, in condizioni considerate idrogeologicamente
ottimali, al 20% circa del valore di piovosità di riferimento; pertanto un terreno erboso permeabile e pianeggiante è in
grado di assicurare annualmente un drenaggio corrispondente a circa “160 litri” di acqua per metro quadro di
superficie, i quali equivalgono ad un accumulo nella falda di “0,16 m³/anno”.
CONSUMO DI ACQUA PER UN COMUNE DI 30.000 ABITANTI
Il quantitativo di acqua potabile, consumato mediamente da parte di una persona, è pari a oltre 92 m³/anno. In un
comune di circa 30.000 abitanti il consumo medio di acqua potabile corrisponde quindi a: “2.760.000 m³/anno”.
APPROVVIGIONAMENTO IDRICO DA FALDA
A fronte del dato di consumo di acqua potabile, sopra indicato per un comune di 30000 abitanti, occorre una
disponibilità di drenaggio erboso corrispondenti a 17.250.000 metri quadri, i quali, a titolo esemplificativo, sono
equivalenti ad una superficie di forma rettangolare, i cui i lati misurano rispettivamente: 5.000 metri e 3.450 metri.
DISSESTO IDRODEOLOGICO CONSEGUENTE ALL’ USO DISTORTO DEL PGT
A titolo esemplificativo, l’autorizzazione alla costruzione di una palazzina di due piani, avente una superficie coperta di
200 m², destinata ad uso abitativo per 5 persone, a scapito di un terreno erboso permeabile all’acqua piovana,
provoca i seguenti dissesti idrogeologici, di cui gli “amministratori politici” dovrebbero sempre tenere conto:
1) mancato drenaggio annuale dell’acqua piovana, risulta essere pari a: (0,16 m³ x 200) = 32m³/anno,
2) consumo di acqua potabile 92m³/anno x 5 persone = 460 m³/anno,
3) disavanzo nel bilancio fornitura: [ consumo di risorsa idrica + mancato drenaggio ] = 492m³/anno.
CONCLUSIONE
Le diverse amministrazioni politiche presenti sul territorio: sindaci, assessori e giunte comunali, hanno, prima di ogni
altra considerazione politica di parte, l’obbligo di adempiere ai seguenti tre doveri, come già previsto dalla vigente
costituzione troppo spesso citata a vanvera in maniera ideologica:
1°) tutelare la salute dei cittadini,
2°) tutelare l’integrità del territorio,
3°) assicurare la salvaguardia delle risorse naturali.
Le azioni politiche finora, arbitrariamente e ideologicamente, svolte da parte degli amministratori locali,
indipendentemente dalla loro connotazione politica, sono sempre andate in senso opposto rispetto, sia riguardo alle
aspettative dei cittadini, sia rispetto a quanto essi avrebbero dovuto fare.
CAPITOLO SESTO - ORO AZZURRO
Premessa
L’ossigeno è l’elemento naturale “indispensabile” a garantire i processi vitali necessari per assicurare la
sopravvivenza sulla terra di ciascun organismo animale. Questo composto è presente, come gas allo stato libero,
nell’aria, che è utilizzata ininterrottamente giorno e notte da parte di ciascun essere vivente per la funzione
respiratoria. Tuttavia occorre ricordare che l’ossigeno, come tutte le sostanze presenti sul nostro pianeta, è però una
risorsa finita e la sua presenza nell’aria è soggetta ad una serie di trasformazioni, denominate “ciclo dell’ossigeno”.
Fotosintesi clorofilliana
La produzione di ossigeno è assicurata unicamente dalla presenza e dall’azione delle piante, le quali attraverso il
processo di “fotosintesi clorofilliana”, sono in grado di fornire l’apporto di ossigeno nell’aria che respiriamo. La
fotosintesi clorofilliana, è un processo chimico, grazie al quale sfruttando la luce solare diretta come fonte energetica
primaria, è possibile produrre sostanze organiche ed ossigeno, partendo dall’acqua metabolica e dall’anidride
carbonica atmosferica. La reazione di base che porta alla formazione dell’ossigeno è la seguente:
6 CO2 + 6 H2O + energia = C6H12O6 + 6 O2
Questa reazione, dal punto di vista pratico fornisce i seguenti valori ponderali: 264 grammi di Anidride Carbonica
reagiscono con 108 grammi di Acqua per formare 180 grammi di Glucosio e 192 grammi di Ossigeno.
Metabolismo delle piante - processo anabolico
Il “glucosio”, ottenuto dalla reazione sopra indicata, rappresenta l’elemento fondamentale per la vita della pianta, esso
consente infatti di produrre altri composti denominati carboidrati, i quali rappresentano la base energetica per tutti i
“processi metabolici” di trasformazione, di sviluppo e di accumulo necessari per garantire le funzioni vitali proprie della
pianta stessa. Il “metabolismo” di una pianta, determina lo sviluppo delle parti, (fusto, radici, rami, foglie, fiori, frutti),
che ne caratterizzano il ciclo di vita in generale. In conseguenza a questo dato di fatto, se consideriamo 100 il valore
ponderale di ossigeno, “sviluppabile chimicamente in via teorica da parte di una pianta in un anno”, la sua resa pratica
è in funzione dei due seguenti fattori di riduzione:
1) Una parte dell’ossigeno, prodotto annualmente da una pianta, viene consumato direttamente per il suo
metabolismo questo valore incide mediamente per il 10%
2) Il glucosio accumulato, come legno, nella pianta, rappresenta circa il 90% del peso complessivo della struttura, per
cui misurando sperimentalmente, ogni anno, a parametri omogenei di confronto, le variazioni della struttura ed il livello
di accrescimento della pianta stessa, è possibile calcolare la quantità di legno accumulato e conseguentemente i
corrispondenti valori di glucosio e di ossigeno sviluppati dalla fotosintesi clorofilliana.
3) Il risultato pratico finale dei fattori sopra indicati consente di affermare che la resa pratica annuale di ossigeno
prodotto e liberato da parte di una pianta corrisponde all’80% circa del valore teorico indicato nella reazione base. In
conseguenza di questo fatto una volta misurato il livello di accrescimento di una pianta e trasformato questo dato nel
suo corrispondente valore di peso accumulato è possibile calcolare con buona approssimazione il quantitativo di
ossigeno sviluppato.
4) Se una pianta di medie dimensioni, avente altezza di circa 3 metri, è caratterizzata da aumento ponderale di 6 kg il
valore di glucosio prodotto, rilevabile dalla seguente proporzione: [6 Kg : 80% = X : 100%] è pari a 7,5 kg. Questo
valore ponderale di glucosio, corrisponde a sua volta a 8 Kg di ossigeno sviluppato come gas, in base a quanto
risulta dalla seguente proporzione: [7,5 Kg : 180 = Y: 192].
Metabolismo umano - processo catabolico
L’aria utilizzata da parte di una persona calcolata in base alla “frequenza respiratoria” individuale è pari a 8/12 atti
respiratori/ minuto, il “volume di aria mobilizzata” con ciascun atto respiratorio non forzato, è pari a 300-500 ml. Da
questi due dati è facilmente possibile calcolare il quantitativo di aria utilizzata mediamente da parte di una persona per
ciascun anno di vita: [(0,400 lt x10resp./min) x (60 min) x (24 h) x (360 gg)] = 2.073600 lt → 2.070 m³ aria/anno.
La corrispondente percentuale di ossigeno “effettivamente consumato” annualmente da parte di una persona è pari al
5% dell’aria respirata, per cui risulta che una persona solamente per vivere, consuma annualmente circa 103 m³ di
ossigeno, equivalenti a 24 Kg di questo elemento.
La quantità di ossigeno, consumata annualmente da parte di una persona deve essere quindi compensata da una
corrispondente produzione, fornita mediamente da parte di 3 piante, aventi altezza di 3 metri circa.
In un comune di 30.000 abitanti il consumo annuale di ossigeno è pari a: (24Kg x 30.000) = 720.000 Kg, per cui il
numero di piante in grado di produrre questo quantitativo di ossigeno è pari a: (720000 : 8) = 90.000 piante.
Conclusione
Lo scarso livello di sensibilizzazione dei cittadini a questo problema, sommato ad un evidente disinteresse da parte
delle diverse amministrazioni politiche presenti sul territorio: sindaci, assessori e giunte comunali, stanno portando ad
un degrado sempre più evidente del territorio e ad peggioramento sempre più costante della qualità dell’aria a
disposizione. Questo disinteresse, spesso mascherato dietro presupposti di natura ideologica o peggio di natura
clientelare, da parte dei nostri amministratori politici è in aperto contrasto con quanto previsto dalla costituzione in
materia di: “tutela della salute dei cittadini, tutela dell’integrità del territorio, salvaguardia delle risorse naturali”. Le
azioni politiche finora, arbitrariamente e ideologicamente, svolte da parte degli amministratori locali,
indipendentemente dalla loro connotazione politica, sono sempre andate in senso opposto rispetto, sia alle aspettative
dei cittadini, sia a quanto essi dovrebbero fare.
CAPITOLO SETTIMO - DROGHE PER IL CAVO ORALE
PRINCIPALI PATOLOGIE E CURA DEL CAVO ORALE
Le principali patologie, curabili con mezzi fitoterapici, che riguardano il cavo orale, sono generalmente dovute ad
infezioni di natura batterica, fungina o virale, i processi infiammatori della bocca sono caratterizzati da bruciori e da
dolori più o meno intensi, da secchezza della bocca e da alterazioni del gusto. Le infiammazioni della bocca e del
cavo orale sono generalmente accompagnate da arrossamento delle parti interessate, da gonfiore o da comparsa di
macchie rossastre. I rimedi efficaci contro questo tipo di patologie sono definiti
”stomatici”. In terapia sono attualmente disponibili un numero elevato di prodotti fitoterapici, i quali possono essere
classificati in 3 gruppi a seconda della loro composizione o del loro meccanismo d’azione:
“droghe dotate di azione emolliente con effetto protettivo e lenitivo
“droghe ricche di oli essenziali”, dotate di attività antisettica ed analgesica,
“droghe tipo fitocomplesso”, dotate di attività immunostimolante o antinfiammatoria.
La tabella successiva elenca in dettaglio le droghe appartenenti ai tre gruppi sopra indicati:
Tipo di droga
Droghe utilizzabili per le affezioni della bocca o del cavo orale
Nome di riferimento
Droga utilizzata
Emollienti
Emollienti
Altea
Malva
Radice
Foglie/fiori
Oli essenziali
Oli essenziali
Chiodi di garofano
Salvia
Fiori
Parti aeree
Fitocomplesso
Fitocomplesso
Fitocomplesso
Boswellia
Mirra
Propoli
Gommoresina
Oloresina
Resina
ALTEA
L’altea o “altea officinalis”, appartenente alla famiglia delle “Malvaceae”, è una pianta erbacea, diffusa in tutta europa
ed in Asia settentrionale, la pianta può raggiungere i 120-150 cm, ha foglie grandi, alterne, ovali, lobate e presenta
infiorescenze a calice di colore bianco e rosato internamente. Questa pianta grazie alla presenza dei suoi numerosi
componenti è dotata di “attività di fitocomplesso”, per cui in questa sede sono illustrate solo alcune delle sue proprietà.
Droga, è costituita da una “mucillagine”, ottenuta per “decozione” da radici, di piante di due anni, dopo esser state
decorticate, essiccate e tagliate.
Proprietà terapeutiche, la droga ha un effetto emolliente ed antinfiammatorio, che è particolarmente utile nel
trattamento degli stati flogistici delle mucose del tratto oro-faringeo ed in modo particolare per curare glossiti, gengiviti,
faringiti, esofagiti, gastriti e coliti. Per uso locale l’altea è efficace, sotto forma di collutorio, per curare processi
infiammatori della bocca, negli ascessi dentari o come gargarismo per le infiammazioni della faringe e contro la
raucedine; in aggiunta occorre ricordare l’uso tradizionale della radice di altea in preparazioni farmaceutiche aventi
azione lenitiva nell’infiammazione gengivale conseguente alla dentizione del bambino. In campo dermatologico l’altea
è utilizzata in preparazioni ad uso topico, costituite da creme e lozioni, con attività antipruriginosa, emolliente ed
idratante per pelli secche a tendenza acneica, come risolutiva nella foruncolosi, contro bruciature, ragadi, screpolature
e punture d’insetto. Nella farmacopea tedesca l’altea è consigliata come rimedio naturale, per la formulazione di
dentifrici e per la preparazione di sciroppi utilizzati per il trattamento della tosse secca.
MALVA
La malva o “malva sylvestrtris”, appartenente alla famiglia delle “Malvaceae”, è una pianta erbacea, spontanea diffusa
in tutta europa nei terreni incolti e soleggiati. La malva fiorisce per tutta l’estate mostrando fiori di colore violaceo, con
corolla composta da 5 petali.
Droga, è ottenuta dalle foglie e dai fiori essiccati e triturati, i quali sono utilizzati per la preparazione di preparati infusi
o decotti ricchi di mucillagini.
Proprietà terapeutiche, la malva, tradizionalmente nota per la sua “azione antiflogistica e bechica”, è utilizzata per i
seguenti trattamenti:
- come collutorio, nella cura di malattie infiammatorie del cavo orale e delle prime vie aeree,
- come dentifricio, per curare infiammazioni gengivali,
- per via orale, come blando lassativo, depurativo e per la cura di infiammazioni del tratto gastrointestinale,
- per uso dermatologico, come componente di preparazioni cosmetiche, impiegate per il trattamento di ferite,
escoriazioni, forme pruriginose ed eczemi.
CHIODI DI GAROFANO
I chiodi di garofano o “eugenia caryophillata”, appartiene alla famiglia delle “Myrtaceae”, è una pianta sempreverde
di 12 -15 m. di altezza, è originaria dalle isoli Molucche, attualmente coltivato intensamente a Zanzibar, Sumatra e nel
Madgascar.
Droga è ottenuta dalle infiorescenze lunghe 10-12 mm, di forma cilindrica di color rosa, appuntite nella parte
prossimale e costituite da una parte distale di colore bianco e di forma piatta ed allargata, che le rende simili come
aspetto a quello di “piccoli chiodi”. I fiori una volta essiccati devono essere conservati in recipienti chiusi ed al riparo
dalla luce per mantenere intatta le loro caratteristiche di odore intenso e di un sapore aromatico. Dai fiori essiccati si
estrae, un “olio essenziale” in cui “l’eugenolo”, costituisce il principio attivo presente in maggior concentrazione.
L’eugenolo, dopo esser stato purificato, ulteriormente concentrato e trasformato in essenza, costituisce il componente
responsabile dell’attività medicamentosa della droga stessa.
Proprietà terapeutiche, l’essenza possiede “forti proprietà antisettiche ed analgesiche ad uso locale”, le quali ne
determinano un massiccio impiego in generale nella “preparazione dei cementi”, (in combinazione con l’ossido di
zinco), utilizzati in terapia odontoiatrica e più diffusamente il suo impiego è largamente conosciuto come lenitivo per
contrastare le manifestazioni odontalgiche e per ridurre i dolori provocati dalla carie.
SALVIA
La salvia, o “salvia officinalis”, appartenente alla famiglia delle “Labiatae”, è una pianta erbacea spontanea perenne,
largamente diffusa in tutta la regione mediterranea, le sue foglie sono caratterizzate da una forte componente
aromatica che e rende particolarmente conosciute ed apprezzate per uso alimentare.
Droga, le foglie e le sommità fiorite, dopo esser state essiccate, sono sottoposte ad un particolare processo di
distillazione in corrente di vapore, che permette di estrarre un “olio essenziale” ricco di principi attivi, tra i quali i più
importanti sono: l’acetato di bornile, la canfora, i thujoni, il cineolo, il borneolo, ed i flavonoidi.
Proprietà terapeutiche, la droga, in toto, possiede proprietà antisettiche, astringenti, detergenti ed analgesiche, per
cui essa è largamente impiegata per uso esterno nell’igiene orale e per curare le infiammazioni delle mucose
orofaringee. In aggiunta sono noti i suoi impieghi cosmetici nei preparati antiforfora, nelle creme antisudorifere ed
antisettiche.
MIRRA
La mirra, appartenente alla famiglia delle “Burseraceae”, è una pianta spontanea arbustiva, originaria del corno
d’africa, caratterizzata da un tronco di forma cilindrica, diritto, privo di rami, alto fino a 2m. alla cui sommità sono
presenti rami a cespuglio dotati di piccole foglie e di spine.
Droga, è ottenuta praticando, in autunno, piccole incisioni lungo la corteccia del tronco, attraverso le quali fuoriescono
piccole goccioline di consistenza resinosa, di aspetto trasparente di colore giallastro, che si rapprendono rapidamente
all’aria, formando granuli vetrosi di forma irregolarmente arrotondata aventi una colorazione, che con il passare del
tempo diventa sempre più scura. La conservazione della droga deve essere effettuata esclusivamente in recipienti in
grado di proteggere il contenuto da umidità, aria esterna, luce e calore eccessivo.
Proprietà terapeutiche i principi attivi contenuti nella droga sono prevalentemente utilizzati in preparazioni ad uso
topico: gargarismi, pennellature o dentifrici, per il trattamento di afte, di ulcerazioni buccali, per la cura di
infiammazioni o infezioni delle mucose gengivali, buccali oro-faringee, anche di quelle complicate da stomatiti.
PROPOLI
Il termine propoli è una parola composta derivata dal greco, composta da “pro” che significa davanti e “polis” che
corrisponde a città, questa parola in senso figurato assume il significato di “difensore della città”; le api utilizzano infatti
questo materiale par chiudere l’accesso all’alveare, (che è la loro città), ad altri insetti o elementi estranei.
Il propoli è una sostanza cero-resinosa, che viene raccolta da parte delle api dalle gemme e dalle cortecce di molte
piante, ha un colore variabile a seconda della pianta di provenienza, che può andare dal giallo-verde fino al rosso
scuro. La raccolta del propoli dagli alveari viene effettuata nelle ore più calde della giornata, da primavera inoltrata per
tutta la durata del periodo estivo.
La composizione chimica del propoli è estremamente variabile a seconda del tempo, della zona di raccolta, dal
clima, dalla razza delle api bottinatrici, per cui si possono solo indicativamente riportare i componenti che sono
sempre presenti in percentuale maggiore anche se in maniera variabile. I componenti maggiormente presenti nel
propoli sono i seguenti: resine e balsami, (50-55%), cera, (25-35%), olio essenziale, (1-1,5%), favonoidi, acidi
aromatici, acidi organici, zuccheri e vitamine, (10-15%).
Proprietà terapeutiche, questa sostanza, grazie alla presenza dei numerosi principi attivi contenuti, presenta
molteplici attività terapeutiche, utili per:
- trattamento di affezioni bronchiali e orofaringee, dovuto alla presenza delle resine e balsami, uso locale/orale
- azione antisettica del cavo orale, collegata alla presenza dell’olio essenziale e dei flavonoidi, uso locale/orale
- attività antinfiammatoria, vasoprotettiva e riepitelizzante dovuta alla presenza dei flavonoidi, uso topico
- azione antiulcera dovuta alla presenza della cera, uso orale.
CAPITOLO OTTAVO - DROGHE PER LO STOMACO
APPARATO DIGERENTE DESCRIZIONE PRELIMINARE
“L’apparato digerente”, in ogni essere umano, è il sistema deputato all’introduzione, digestione ed assorbimento dei
principi nutritivi, contenuti negli alimenti, eliminando, sotto forma di feci, i residui non utilizzabili per il proprio
metabolismo. L’apparato digerente è formato da un lungo tubo, che inizia con la bocca e finisce con l’ano. Le parti
principali di cui esso è costituito sono: cavità buccale, faringe, esofago, stomaco, intestino tenue, (duodeno, digiuno,
ileo), intestino crasso, (cieco, colon, retto).
Al processo digestivo partecipano anche alcune ghiandole, le quali sono adibite alla produzione di “succhi” che
svolgono un ruolo importante per la trasformazione e per l’assorbimento degli alimenti, esse sono: le ghiandole
salivari, il fegato ed il pancreas. La digestione avviene grazie all’intervento di enzimi secreti principalmente dalle
ghiandole salivari, dallo stomaco, dal pancreas e dall’intestino tenue, la cui attività è agevolata da fenomeni meccanici
di triturazione e mescolamento degli alimenti stessi, che hanno luogo nella bocca, nello stomaco e nell’intestino.
Questi processi, in grado di “demolire in poche ore” le più svariate sostanze organiche ed inorganiche, ovviamente
non devono danneggiare le pareti del sistema digerente stesso, le quali sono rivestite da mucose, in grado di
esercitare un’azione protettiva e di produrre secrezioni, che svolgono un’azione lubrificante e tamponante.
“ La bocca”, chiamata anche col nome di “cavo orale”, è la cavità all’interno della quale inizia la trasformazione del
cibo “in bolo alimentare”, tramite la masticazione e la produzione di saliva che si mescola uniformemente con esso;
l’assorbimento nella cavità buccale dei principi nutrienti contenuti negli alimenti è praticamente nullo, ad eccezione
della regione sublinguale che è in grado di favorire l’assorbimento di alcuni prodotti, (farmaci), contenenti sostanze
semplici, idrosolubili ed a basso peso molecolare.
“L’esofago” è un organo cilindrico a forma di tubo, lungo 25-30 cm, che si estende dalla faringe allo stomaco; la
funzione dell’esofago è quella di veicolare, attraverso la deglutizione, quantità uniformi e costanti di “bolo” nello
stomaco.
“Lo stomaco” è un organo cavo del volume medio di 1,2-1,5 litri, che può arrivare a dilatarsi fino a 3-3,5 litri, nello
stomaco avviene la seconda fase della digestione quella successiva alla masticazione. All’interno dello stomaco il
bolo alimentare è ulteriormente sminuzzato, fluidificato e trasformato in “chimo”, pronto per l’assorbimento, grazie
all’azione degli enzimi digestivi secreti dalla mucosa gastrica. L’elevata acidità del succo gastrico presente nello
stomaco, con valori di pH compresi tra 1 e 2, oltre a facilitare il processo digestivo, permette anche di distruggere
quasi tutti i germi sempre presenti nel cibo. Il tempo di permanenza del cibo nello stomaco dipende molto dalla
composizione del cibo stesso e mediamente si aggira intorno alle tre ore, questo tempo aumenta notevolmente se il
cibo ingerito è ricco di grassi. Nello stomaco l’assorbimento è scarso a causa del breve tempo di permanenza e
dell’elevato spessore della mucosa gastrica; fanno eccezione alcool e piccole molecole idrosolubili.
GASTRITI ED ULCERE DEFINIZIONI
“Gastrite” questa patologia è caratterizzata da una degenerazione infiammatoria, che si sviluppa a carico della
mucosa gastrica, causando erosioni sanguinanti, più o meno profonde, diffuse o concentrate, che interessano la
mucosa gastrica o la parete interna dello stomaco. La gastrite può essere di natura “acuta, transitoria oppure cronica”;
i sintomi tipici di una gastrite si manifestano sotto forma di bruciori di stomaco, disturbi digestivi, senso di acidità
avvertibile in bocca e sono spesso accompagnati da una dolorosità moderata e discontinua.
“Ulcera peptica”, questo termine è invece riferito ad un vero e proprio “danno manifesto” sviluppato prevalentemente
a danno della mucosa dello stomaco o del duodeno, più raramente a carico dell’esofago, le cui cause sono
generalmente correlate dai seguenti fattori patologici:
- aumento delle secrezioni digestive,
- diminuzione dei fattori protettivi della mucosa gastrica,
- svuotamento gastrico troppo rapido.
Questi processi patologici sono sempre caratterizzati da una scarsa o nulla capacità rigenerativa spontanea delle
mucose danneggiate. L’ulcera peptica è facilmente evidenziabile con diverse tecniche diagnostiche, essa è spesso
caratterizzata da una dolorosità diffusa, molto intensa e frequentemente protratta nel tempo.
Le cause più frequenti, che portano all’insorgenza di gastriti o di ulcere sono le seguenti:
- abitudini voluttuarie, pasti veloci e tra loro molto distanziati, abuso di caffé, fumo, alcool, bevande gassate fuori
pasto,ingestione di cibi conservati, fritti o ricchi di spezie,
- consumo prolungato di farmaci gastrolesivi, in particolare FANS o corticosteroidi,
- stati di forte tensione fisica o emotiva, che stimolano la secrezione di succhi gastrici,
- contaminazione batterica, correlata alla presenza del bacillo gram-negativo, denominato “Helicobacter pylori”, il
quale rappresenta la causa principale dell’ulcera peptica, colonizzando gli strati profondi del muco gastrico riducendo
contemporaneamente le sue proprietà gastroprotettive.
Terapie, le cure di natura farmacologica, attualmente adottate per contrastare o eliminare i danni provocati dalla
gastrite o dall’ulcera sono basate sui seguenti presupposti:
- neutralizzazione dell’acidità in eccesso
- riduzione della componente dolorifica, ,
- protezione della mucosa gastrica, fattore ritenuto basilare per accelerare i processi di guarigione.
Le classi di farmaci adottate per la cura delle gastriti e delle ulcere sono le seguenti:
- farmaci antiacidi ad azione tampone, comprendono sali di alluminio e magnesio, sodio alginato, sucralfato, etc. i
quali sono costituiti da compresse masticabili, bustine orosolubili, sospensioni o granulari in grado di contrastare
l’eccesso di acidità presente, Maalox, Gaviscon, Alka Seltzer Antiacido, Geffer etc.;
- farmaci anticolinergici, da somministrare preferibilmente per via orale, da soli o in associazione con altri prodotti,
atropina, scopolamina, pirenzepina, ottatropina;
- farmaci antibiotici, in grado di eliminare la contaminazione da Helicobacter pilori, da somministrare per via orale,
amoxicillina 2 g/die, claritromicina 1 g/die, levofloxacina 1 g/die, rifabutina 300 mg/die, metronidazolo 1g/die;
- farmaci antagonisti del recettore H2 dell’istamina, da somministrare per via orale o intramuscolare, cimetidina,
ranitidina;
- farmaci inibitori della pompa protonica, da somministrare per via orale o intramuscolare, omeprazolo, esomeprazolo,
lansoprazolo, pantoprazolo, etc.;
- associazione di farmaci ansiolitici ed anticolinergici, utilizzati per via orale, i quali sono in grado di agire, sia sulla
contrazione spastica, sia sui disturbi della sfera emotiva, valpinax, gefarnax, etc.
I prodotti fitoterapici tradizionali più noti a base di “altea, malva, aloe gel”, ricchi di mucillagini, rappresentano dal punto
di vista terapeutico dei validi rimedi in grado di svolgere “un’efficace azione emolliente” per la cura di gastriti o ulcere
di lieve entità. Per la cura di gastriti di "origine nervosa” sono invece consigliate droghe aventi attività ansiolitica come
“lavanda, melissa, luppolo, passiflora o valeriana” La “camomilla e la liquirizia” droghe caratterizzate da attività
antinfiammatoria ed emolliente, rappresentano al momento attuale i prodotti dotati della migliore attività terapeutica
per la cura di gastriti o di ulcere.
CAMOMILLA
Comprende due specie tra loro molto simili denominate rispettivamente “Camomilla comune” e “Camomilla romana”,
entrambe le specie appartengono alla famiglia delle “Asteraceae”; la camomilla è una pianta erbacea, spontanea,
annuale, ampiamente diffusa allo stato selvatico in tutta italia, la quale è caratterizzata da infiorescenze formate da
una parte centrale di forma emisferica di colore giallo, circondata da peduncoli di colore bianco. Questa pianta è
dotata di un “odore aromatico molto caratteristico” che viene immediatamente percepito e che consente di distinguerla
da altre erbe o piante ad essa simili o vicine, (es. margherite).
Droga, è costituita dalle infiorescenze senza i peduncoli, denominate “capolini”, i quali devono essere raccolti prima
che i fiori incomincino ad appassire. Secondo la European Pharmacopoeia i capolini devono contenere almeno
“4ml/Kg di olio essenziale”, estratto in corrente di vapore. La droga, una volta essiccata, contiene due diverse classi di
principi attivi “di natura lipofila e idrofila, aventi attività tra loro diverse:
- i principi attivi lipofili, presenti nell’olio essenziale, estratti in corrente di vapore, sono ricchi di polisaccaridi, α e ßbisabololo e camazulene, (caratteristico per la sua colorazione blu);
- i principi attivi idrofili, ottenuti dagli estratti acquosi o idroalcoolici, in cui sono presenti, mucillagini, flavonoidi e
apigenina.
Proprietà terapeutiche, “l’olio essenziale” è tradizionalmente utilizzato per via orale, come antinfiammatorio,
spasmolitico nella cura delle gastriti e per il trattamento dell’insufficienza digestiva, grazie all’azione combinata del
bisalbololo ed all’effetto emoliiente dei polisaccaridi.
Per uso topico, l’olio essenziale è utilizzato, spesso in associazione con antibiotici o antisettici, come coadiuvante nei
casi di infezione, sia per la cura di infezioni o infiammazioni della cavità buccale, sia come decongestionante per la
mucosa oculare, particolarmente indicato nei casi di stress visivi acuti.
I componenti, presenti nella “frazione idrofila”, somministrati come infusi per via orale, sono dotati di attività sedativa
ed ansiolitica. In omeopatia si usa la tintura madre, particolarmente ricca di mucillagini, per l’azione analgesica in caso
di problemi da dentizione e per l’azione antiflogistica del cavo orale. In aggiunta alle attività terapeutiche sopra
descritte, occorre infine ricordare “l’uso cosmetico” degli estratti di camomilla, nei prodotti per la cura e l’igiene del
capello, nella preparazione di saponi e bagni schiuma per la pelle e per l’igiene intima, nelle formulazioni di creme
decongestionanti, per dermatiti, punture d’insetto ed eritemi.
LIQUIRIZIA
La Liquirizia chiamata anche “Glycyrrhiza glabra”, appartenente alla famiglia delle “Fabaceae”, è una pianta erbacea
molto comune nella zona mediterranea; in Italia la liquirizia è largamente diffusa come coltivazione nelle regioni
meridionali ed in particolare in Abruzzo. Il principale utilizzo di questa pianta è nell’industria alimentare per le sue
proprietà aromatizzanti ed edulcoranti in generale e in particolare nell’industria dolciaria, per le sue caratteristiche di
amalgama dei sapori di prodotti ad uso voluttuario, caramelle, pastiglie, chewing gums ed altri.
Droga, è costituita dalla “radice essiccata”, costituita da bastoncini tubolari di superficie dura e rugosa, caratterizzata
da una colorazione marrone scura all’esterno, mentre all’interno i bastoncini presentano un aspetto fibroso
caratterizzato da colore giallo caratteristico. Le radici una volta essiccate devono esser conservate in adatti recipienti
o vasi con chiusura a tenuta in grado di proteggere la conservazione delle radici, dall’umidità, dall’aria e dalla luce. La
droga deve contenere, secondo la Eu. Pharmacopoeia “non meno del 4% di acido glicirrizico o glicirrizina”.
Proprietà terapeutiche, l’estratto di liquirizia possiede una potente “azione antigastrica ed antiulcerosa”, dovuta in
particolare alla presenza “dell’acido glicirretico e dei flavonoidi”. Questi due componenti una volta entrati a contatto
con le pareti dello stomaco aumentano i livelli di “prostaglandine”, sostanze dotate di effetto protettivo nei confronti
della mucosa gastrica, limitando da una parte l’eccesso di secrezione gastrica e dall’altra stimolando la rigenerazione
delle “cellule mucipare”, per mezzo delle quali avviene la secrezione del muco, che a sua volta rappresenta il “fattore
protettivo principale” responsabile del corretto stato di conservazione della mucosa gastrica.
Effetti collaterali, un eccessivo consumo di liquirizia provoca alterazioni più o meno intense del bilancio elettrolitico,
con conseguente ritenzione idrosalina, stato di ipertensione, ipokaliemia, riduzione della forza muscolare, e
alterazioni elettrocardiografiche, per cui questa droga deve essere usata con molta cautela da parte di pazienti
ipertesi, con problemi cardiaci o renali, non deve essere usata nei soggetti di età inferiore ai 12 anni, durante la
gravidanza e l’allattamento. La liquirizia infine non deve essere mai associata a trattamenti con steroidi, ibuprofene,
warfarin, salicilati ed acido desossicolico, in quanto essa potenzia spesso l’attività di questi farmaci e, di conseguenza,
anche i loro effetti collaterali.
CHINETOSI DEFINIZIONE
“La chinetosi” è un malessere caratterizzato da nausea e vomito, provocato da movimenti irregolari del corpo, come
può avvenire in automobile, in aereo o in nave, in queste situazioni il sistema nervoso centrale riceve segnali
contraddittori dall’apparato vestibolare e da quello visivo, per cui esso non riesce a collegare correttamente la visione
al movimento percepito.
Solitamente l’organismo si adatta spontaneamente più o meno rapidamente al nuovo tipo di movimento, in particolare
se questo perdura per lungo tempo; per questo motivo risulta più facile adattarsi ai frequenti movimenti
dell’automobile, piuttosto che a quelli saltuari dell’aeroplano o di una nave, soprattutto se questi ultimi avvengono in
condizioni critiche di turbolenza o di mare agitato, verso i quali è più difficile l’adattamento.
Per ovviare a questo tipo di problemi o per ridurre i sintomi spiacevoli da essi provocati, (vuoto allo stomaco, nausea,
vomito o irritazione), sono attualmente disponibili terapie farmacologiche basate su:
- somministrazione, per via orale o masticabile, di antistaminici, dimenidrinate, prometazina, (valontan, travelgum, o
xamamina), i quali agendo a livello del sistema nervoso centrale, provocano anche sonnolenza e diminuzione della
vigilanza,
- impiego di anticolinergici, per uso transdermico, scopolamina n-metilbromuro, (transcop), i quali agiscono inibendo le
contrazioni o gli spasmi generati a livello delle terminazioni nervose periferiche dagli organi a muscolatura liscia
presenti nella cavità addominale. L’azione anticolinergica, a livello locale della scopolamina, è simile anche se meno
intensa rispetto alle proprietà degli alcaloidi muscarina ed escina, droghe vegetali dotate di attività allucinogena.
Per quanto riguarda l’uso di preparati fitoterapici il prodotto più largamente utilizzato in questi casi è lo “zenzero”.
ZENZERO
Lo Zenzero, chiamato anche “Zingiber officinalis”, appartiene alla famiglia delle “Zingiberaceae”, è una pianta
erbacea, perenne con rizoma tuberoso, originaria dell’india, attualmente è coltivata in tutto il sud-est asiatico.
Droga, è ricavata dal rizoma ed è generalmente denominata “zenzero bianco” o “zenzero nero”, a seconda del
trattamento di decorticazione a cui è stato sottoposto il rizoma. I principali componenti presenti nell’estratto secco
ottenuto dalla droga, sono costituiti da un “olio essenziale” e da una “oleoresina”, entrambe queste sostanze sono
titolabili analiticamente, le loro caratteristiche ed attività terapeutiche sono descritte dal 1996 nella British Herbal
Pharmacopoeia, (B.H.P.).
Proprietà terapeutiche, diversi studi clinici in cui è stato somministrato l’estratto di zenzero per via orale hanno
sempre mostrato un’evidente azione antiemetica, sia per curare la nausea gravidica, sia su soggetti che soffrivano di
chinetosi, sia infine su pazienti affetti da nausea indotta da terapie a base di chemioterapici.
Meccanismo d’azione, questa droga “non agisce sul sistema nervoso centrale”, a differenza dei classici antiemetici,
ma interagisce localmente, inibendo i recettori che stimolano la motilità gastrica ed intestinale, con un meccanismo di
“antagonismo”, molto simile a quello già descritto per le droghe antinfiammatorie.
Effetti collaterali, questa droga possiede un’attività antiaggregante piastrinica, per cui essa va somministrata con
cautela in soggetti affetti da gastrite o da ulcera peptica, o in pazienti che soffrono di disturbi della coagulazione o che
stanno assumendo antiaggreganti/anticoagulanti, ulteriore cautela nell’uso deve essere adottata anche in presenza di
calcoli biliari e/o ostruzione dei canali biliari.
INSUFFICIENZA DIGESTIVA DEFINIZIONE
“L’insufficienza digestiva” è una sindrome caratterizzata da digestione, lenta, spesso difficoltosa, da gonfiore
addominale, da frequenti eruttazioni dopo il pasto, da sonnolenza e talvolta da cefalea. Le cause di questa alterazione
del processo digestivo dipendono molto frequentemente da una scarsa secrezione di succhi gastrici, di succhi biliari o
pancreatici, a loro volta provocati da disfunzioni patologiche dello stomaco, del fegato e/o delle vie biliari. Nella
maggior parte dei casi l’insufficienza digestiva è dovuta a disturbi causati da:
- stili di vita troppo frenetici o scarsamente compatibili con il nostro organismo,
- regimi alimentari errati, disordinati o spesso tra loro troppo intervallati
- situazioni di stress indotto da fattori relazionali.
I medicamenti maggiormente utilizzati per curare questa fastidiosa condizione patologica, soprattutto quando questa
si manifesta “in fase acuta”, spesso accompagnata da nausea e sonnolenza post-prandiale, consistono
nell’assunzione per via orale di medicamenti a base di ”metoclopramide”, “domperidone”, “clebopride”, che agiscono
sostanzialmente favorendo lo svuotamento dello stomaco con interventi sulla stimolazione delle contrazioni della
mucosa gastrica.
I rimedi fitoterapici maggiormente utilizzati per combattere l’insufficienza digestiva, sono basati sull’utilizzo dei
cosiddetti “amari o erbe amare”, i quali contengono principi attivi dotati di attività eupeptica, in grado di stimolare
l’appetito e la secrezione gastrica, facilitando direttamente o indirettamente il processo digestivo. Le diverse proprietà
attraverso le quali gli “amari” svolgono la loro attività farmacologica sono riconducibili i seguenti tre meccanismi
d’azione:
- meccanismo nervoso riflesso, le droghe dotate di questo meccanismo, una volta assunte per via orale, attraverso le
terminazioni nervose del palato, della lingua o della sola mucosa olfattiva, “attivano la fase cefalica della digestione”,
la quale a sua volta stimola in maniera riflessa le secrezioni salivari, quelle dei succhi gastrici e la motilità del tratto
digerente;
- meccanismo diretto, le droghe dotate di questo meccanismo d’azione una volta arrivate a contatto con le pareti dello
stomaco, “stimolano direttamente la mucosa gastrica” a causa del loro effetto irritante;
- meccanismo misto, nelle droghe dotate di questo meccanismo d’azione, i componenti “aromatici più volatili
stimolano la fase cefalica”, mentre “i principi attivi amari irritano direttamente” la mucosa gastrica.
Preparazioni a base di amari o di erbe amare, questo tipo di prodotti, attivi contro l’insufficienza digestiva,
presentano però delle forti limitazioni per quanto riguarda il loro utilizzo a fini terapeutici, per cui la loro
somministrazione può essere effettuata solamente con preparazioni contenenti un dosaggio molto basso di amaro,
per evitare effetti collaterali di tossicità.
Molte delle erbe amare, utilizzate in fitoterapia, contengono principi attivi di tipo “fitocomplesso”, i quali sono dotati di
proprietà terapeutiche, in grado di svolgere funzioni molteplici, complementari o addirittura diverse da quella di natura
eupeptica richiesta per curare l’insufficienza digestiva, tra le quali ricordo le attività coleretiche, colagoghe, diuretiche,
lassative, febbrifughe, antispastiche o addirittura cosmetiche, presenti più o meno intensamente nella maggior parte
delle cosiddette erbe amare
In aggiunta a quanto sopra indicato occorre ricordare che, a seconda del metodo di estrazione adottato per la maggior
parte di queste erbe, i principi attivi in esse contenuti, possono essere utilizzati per scopi e trattamenti tra loro molto
differenti, a titolo esemplificativo ricordo che:
- il cardo mariano, la china, il ginepro, l’assenzio, l’arancio amaro e l’anice possono essere utilizzati sia nell’industria
farmaceutica che nel settore liquoristico,
il finocchio, la salvia, la cicoria, il tarassaco, il rosmarino e l’arancio dolce sono utilizzati direttamente come prodotti
alimentari.
Effetti collaterali, l’attività degli amari contro l’insufficienza digestiva è efficace solo per stimolazione della mucosa
gastrica, per questo motivo la loro somministrazione deve essere costituita da preparazioni liquide, (sciroppi, amari,
elisir), ad elevato gradiente alcolico ed a contenuto estremamente diluito di una o più sostanze amare, per cui le
limitazioni più frequenti, riscontrate con il loro utilizzo riguardano:
- elevata presenza di alcool nelle preparazioni utilizzate,
- formazione di gastrite dovuta ad una ipersensibilità verso uno o più componenti,
- alterazioni dei meccanismi di assorbimento di farmaci ingeriti vicino ai pasti.
CICORIA
La “Cicoria”, appartenente alla famiglia delle “Asteraceae”, è una pianta erbacea molto comune e largamente diffusa
in tutto il continente europeo, la Cicoria è costituita da numerose varietà, denominate come: silvestre o selvatica,
fogliosa, radicchio e indivia o scarola, le quali sono coltivate, come ortaggio, in tutta Italia. Questa pianta presenta
foglie di forma molto simile a quelle di altre specie, come per es. il Tarassaco, tuttavia solo nel caso della cicoria i
“capolini” presentano delle infiorescenze di colore celeste intenso, che si schiudono all’alba e che si richiudono a sera,
questa particolare caratteristica della cicoria permette di distinguerla facilmente dalle altre specie. Le foglie basali
giovani costituiscono un ottimo cibo come insalata e la radice, dopo esser stata abbrustolita e polverizzata, presenta
caratteristiche organolettiche particolari che ne consentono un uso sempre più frequente come succedaneo del caffè.
Proprietà terapeutiche, le foglie di cicoria sono utilizzata prevalentemente soprattutto come:
- “tonico amaro” eupeptico e stomachico, (in grado cioè di stimolare le secrezioni digestive dello stomaco),
- come coleretico, (per favorire la secrezione della bile),
- come diuretico e nelle infezioni urinarie,
- come coadiuvante nell’insufficienza biliare, nelle coliche epatiche
- come ipoglicemico, (la cicoria selvatica), particolarmente adatto ai diabetici,
- come cosmetico nel trattamento di diverse dermatosi.
La radice opportunamente essiccata e polverizzata è comunemente utilizzata come decotto, o surrogato del caffè, (il
quale è privo di caffeina). In questo caso sono esaltate le proprietà di tonico intestinale, leggermente lassativo e
stimolante dell’appetito, che rendono questa bevanda particolarmente indicata a chi soffre di disturbi epatici. Le
proprietà terapeutiche della cicoria erano note e documentate già ai tempi degli antichi Egizi e successivamente
illustrate dai Romani.
GENZIANA
La “Genziana”, della famiglia delle “Gentianaceae”, è una pianta erbacea perenne comprende diverse specie ed è
diffusa, come habitat, nelle zone montuose dell’europa centro-meridinonale .
Droga, viene ottenuta dalla “radice”, in cui sono contenuti “olii essenziali, glucosidi amari, mucillagini ed alcaloidi”, i
quali sono facilmente estraibili a freddo da soluzioni idro-alcooliche, favorendo così la preparazione di prodotti,
commercializzati come “liquori o elisir”, preparati spesso su scala artigianale e mescolati, prevalentemente, assieme
ad altre erbe aromatiche..
Proprietà terapeutiche, la genziana è usata come “eupeptico”, per favorire cioè i processi digestivi, questa
caratteristica è nota fin dai tempi degli antichi Romani, che la utilizzavano anche come febbrifugo. Attualmente la
Genziana è utilizzata soltanto per la preparazione di amari, con funzioni di stimolo dell’appetito, corroborante e tonico.
In cosmetica viene utilizzato l’infuso della radice di genziana, per l’azione schiarente delle lentiggini sulla pelle e per la
cura delle pelli grasse.
Tossicità, le principali controindicazioni all’uso prolungato degli estratti di Genziana riguardano la formazione di
ulcere gastro-duodenali, l’insorgenza di cefalee nei soggetti sensibili e l’aumento della pressione arteriosa.
ASSENZIO
“L’Assenzio”, o “Arthemisia absinthium”, è una pianta erbacea annuale, odorosa, molto aromatica, amarissima, che
cresce spontaneamente o anche come coltivazione in luoghi asciutti soleggiati e ventilati nella fascia mediterranea
fino alla zona subalpina e fiorisce in estate.
Droga, è ottenuta per estrazione a freddo e per successiva distillazione delle “foglie e delle sommità fiorite”, raccolte
ed essiccate nella stagione calda, l’essenza ottenuta è facilmente degradabile in presenza di luce e di ossigeno, per
cui questo preparato deve essere conservato in recipienti chiusi, tenuti al riparo della luce e dell’umidità. Le
preparazioni galeniche sono prevalentemente costituite dalla “tintura al 2% in alcool a 60°” e dalla “macerazione in
vino dolce al 3%”.
Principi attivi, la distillazione della droga porta alla separazione dell’olio essenziale costituito da “α e β tuioni”,
sostanze terpeniche, a catena chiusa, (composti ciclici), di sapore aromatico, facilmente ossidabili, degradabili ed
estremamente reattive ed assorbibili dall’organismo. Questo principio attivo agisce, secondo molti ricercatori, come
antagonista serotoninico presinaptico e presenta molte analogie farmaco-tossicologiche con il tetraidrocannabinolo,
(THC), sostanza chimica presente nella canapa indiana. Il Tujone agisce in maniera selettiva, sul sistema nervoso
centrale, come forte stimolante dei centri nervosi, contrastando l’azione dell’acido gamma-aminobutirrico, (o GABA),
che è un inibitore dell’attività elettrica neuronale. Le cellule nervose, non più protette dal GABA, subirebbero il
bombardamento di una moltitudine caotica di impulsi, determinando uno stato di euforia, accompagnato da apparente
lucidità, ma anche da alluncinazioni, convulsioni e delirio.
Impieghi, il liquore ottenuto dalla distillazione della droga con alcool e miscelato con estratti di altre erbe(es, anice,
camomilla, finocchio e melissa), agisce in piccole dosi come amaro stomachico, stimolante e tonico.
CHINA
La “China”, o “Cinchona”, è una pianta arborea, originaria delle foreste tropicali delle Ande, appartenente alla famiglia
delle “Rubiaceae”. La Cinchona comprende varie specie, “succirubra, lancifolia, calisaya e officinalis”, classificate
ciascuna in funzione delle caratteristiche della corteccia dalla quale viene estratta la droga.
Droga, è contenuta nella “corteccia”, ricavata dal tronco o dai rami della pianta adulta; la corteccia, a sua volta, è
caratterizzata da grossi pezzi aventi una forma piatta, leggermente incurvata o arrotolata. La denominazione
commerciale attribuita alle diverse varietà di China deriva dal colore della parte interna della corteccia di ciascuna
specie, che a sua volta ne caratterizza il riferimento qualitativo; inoltre la presenza di muschio, sulla parte esterna
della corteccia, è utile per selezionare eventuali utilizzi della parte stessa. I diversi principi attivi presenti nella
corteccia sono costituiti “tannini” e da “alcaloidi” contenenti in prevalenza:
“Chinina, Chinidina, Cinconina e Cinconidina.
Attività, gli utilizzi dell’”estratto fluido di china” e dei suoi alcaloidi sono ampiamente documentati in tutte le
farmacopee, tra le principali proprietà terapeutiche della China, sperimentate, già da lungo tempo, occorre ricordare:
- l’azione antimalarica, (la più famosa),
- cardiaca, (antiaritmica),
- gastrointestinale, (eupeptica e lassativa),
- antipiretica ed antinevralgica.
Recentemente la “tintura madre”, ottenuta dalla corteccia è utilizzata in omeopatia con indicazioni in caso di problemi
digestivi, sindromi febbrili, raffreddori anemia e stati di eccitazione neuromotoria.